TOMORROW NEVER KNOWS di Meahb (/viewuser.php?uid=19354)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Near the end ***
Capitolo 2: *** Mentre tutto scorre ***
Capitolo 3: *** Waiting in vain ***
Capitolo 4: *** Fuck you ***
Capitolo 5: *** In the green ***
Capitolo 6: *** Total eclipse of the heart ***
Capitolo 7: *** broken wings ***
Capitolo 8: *** why ***
Capitolo 9: *** wish you where here ***
Capitolo 10: *** Ti sento ***
Capitolo 11: *** L'amore comunque ***
Capitolo 12: *** Ballando al buio ***
Capitolo 13: *** The power of love ***
Capitolo 14: *** Final ***
Capitolo 15: *** Adesso tu ***
Capitolo 1 *** Near the end ***
DISCLAMER
DISCLAMER:
Autore:
AmarantaB
Summary:
Il Celebrity Deathmatch ;) House contro Cameron.
Quando l’amore non viene accettato, spesso si
commettono immensi sbagli. Ma è proprio vero che chi ama, sa sempre perdonare?
Spoilers:
No one peeps!! ;)
Pairs:
House/Cameron... ma non escludo qualche colpo di scena!
Timeline:
E’ una sorta di AU. Diciamo che questa storia parte a metà della seconda
stagione, e poi vive di vita propria!
TOMORROW NEVER KNOWS
Da una canzone dei The
Beatles
NEAR THE END
Capitolo 1
Vuoti di memoria non c’è posto per tenere
insieme tutte le puntate di una storia,
piccolissimo particolare ti ho perduto senza
cattiveria.
(Samuele Bersani, “Giudizi Universali”)
Allison aprì con
prepotenza l’ingresso del Princeton.
Non aveva nessuna voglia
di lavorare quel giorno, e a dirla tutta, avrebbe preferito evitarlo per i
prossimi dieci anni.
Come di consueto, aveva
trascorso una nottata terribile e, come di consueto, la metà dei pensieri erano
rivolti a quel dannato misantropo senza cuore.
Non che non se lo fosse
tolto dalla testa, questo no, ma doveva prendere atto che nei momenti di
maggiore sconforto era inutile non tentare di pensare a lui.
Stranamente, in quel
periodo, House era sinonimo di problemi.
Anzi, non era nemmeno
troppo bizzarro. Dopotutto, per quel che la riguardava, Gregory House era sempre
strano un enorme problema.
Ingombrante come un
elefante all’interno dei caravan del circo.
Ridacchiò al pensiero.
Le piaceva quella
metafora, avrebbe dovuto tenerla a mente.
Superò il banco delle
infermiere, ed entrò decisa nell’ascensore.
Fortunatamente, almeno
per quella volta, poteva evitare di dividerlo con qualcuno.
La lieve pressione del
mezzo che cominciava la corsa, le fece fischiare leggermente le orecchie.
Tipico.
Per levarsi quel
fastidio, avrebbe dovuto deglutire per una buona mezz’ora. Sbuffò, leggermente
infastidita.
Una lieve scossa la
informò che la corsa era finita.
Uscì senza guardarsi
intorno, speranzosa solo di arrivare in ufficio e trovarlo confortevolmente…
vuoto.
E così fu.
Sicuramente, a breve,
sarebbe esploso un meteorite. Era raro che i suoi desideri venissero esauditi
con quella semplicità.
Si tolse la giacca e,
con un gesto fluido, infilò il camice bianco.
Quel capo, la faceva
sentire diversa.
Era una sorta di
protezione da qualsiasi dolore, sia fisico che mentale, e indossarlo la faceva
sentire immune.
Un’immunologa immune!
Probabilmente a forza di
frequentare House, aveva incorporato un po’ del suo sarcastico senso
dell’umorismo.
Bhè, dopotutto era
un’arma che poteva tornarle utile.
Si sedette, e cominciò a
classificare alcune cartelle cliniche.
Non avevano casi
interessanti per le mani, e il lavoro di classificazione aspettava solo di
essere portato a termine.
Prese una penna, e
scribacchiò qualcosa sul suo block notes. Non amava particolarmente quel genere
di compiti, ma se non altro la sua scrittura era comprensibile. Avrebbe pagato
pur di non dover decifrare la scrittura dei suoi colleghi uomini.
Per non parlare di
quella di Greg.
La sua era simile
all’aramaico antico.
Spesso si era dovuta
sforzare fino all’inverosimile, per capire cosa diavolo andasse scrivendo su
quella dannata lavagna bianca.
Un lieve spostamento
d’aria, portò con se la robusta figura di Foreman.
“Buongiorno, Cam”.
Lei gli rispose con un
cenno della testa, e l’uomo buttò gli occhi al cielo.
Compiendo i suoi stessi
gesti di qualche minuto prima, anche Foreman indossò il suo camice.
“Dimmi che è arrivato
qualche caso interessante”, mormorò lui.
“Spiacente”, sorrise,
“Dovrai sederti e classificare le cartelle insieme a me”.
Lui le voltò le spalle,
e si versò una generosa sorsata di caffè nella tazza accanto al bollitore.
“E Chase?” chiese.
“Non è ancora arrivato”.
“House?”
Lei fece spallucce. “Le
opzioni sono due: o e in giro per l’ospedale, o è ancora a casa a dormire”.
Lui annuì e si sedette.
Non le offrì il caffè,
ed Allison lo trovò un gesto molto poco gentile.
L’interfono suonò,
spezzando il pesante silenzio della stanza.
“Si?” rispose lei.
Era la Cuddy.
“Benissimo. Arriviamo
subito”.
Fece per riattaccare, ma
di scatto, rialzò la cornetta, “Potrebbe ripetere per favore?”
Foreman la scrutò con
rinnovato interesse.
“Non so dove sia, mi
spiace. Ci siamo soltanto io e Foreman”, annuì, lasciando andare un sospiro,
“Arriviamo”.
Foreman la guardò
riappendere la cornetta, con una buffa espressione interrogativa a dipingergli
il volto.
“Era la Cuddy, ci vuole
consegnare un caso”.
“Bingo!” sorrise lui.
L’ufficio di Lisa Cuddy,
era grande quasi quanto la sua fama di donna dai nervi d’acciaio.
I toni della tappezzeria
e dei mobili erano insolitamente caldi, per uno studio ospedaliero. Un tipico
tratto femminile.
La donna stava spiegando
con tono estremamente professionale i sintomi di una giovane donna di ventidue
anni.
Da quello che risultava
dall’anamnesi, la ragazza di nome Meredith, aveva contratto un tipo molto
particolare di fungo della pelle. Il suo corpo era ricoperto di crosticine
sanguinolente, che le deturpavano irrimediabilmente il volto.
Terribile!
“Credo che non si tratti
solo di un fungo…” mormorò la Cuddy, accavallando le gambe.
“Pensa sia una sorta di
allergia da contatto?” domandò Chase in piedi, accanto al muro.
Era arrivato in ritardo,
e la Cuddy, nonostante il gran daffare, non gli aveva risparmiato una bella
lavata di capelli.
Lei lo guardò dal basso
versò l’alto.
“Potrebbe essere”,
mormorò, “Ma non sono io il genio delle malattie infettive”.
Guardò l’orologio, e
nonostante i tentativi, la sua rabbia era decisamente percepibile.
“Dove diavolo si sarà
cacciato House?”
La porta si spalancò, e
il dottore fece il suo ingresso. Un sorriso smagliante, e gli occhi divertiti.
“Ciao Raggio di Sole, mi
cercavi?”
Lei lo fulminò con lo
sguardo, “Ti avviso che le tue ore di ambulatorio sono notevolmente aumentate”.
“E perché mai?” domandò
lui con espressione innocente.
“Perché sei
maledettamente in ritardo, e perché abbiamo bisogno di te”.
Lui la guardò
compiaciuto, tenendo il bastone tra le gambe.
“E levati quel sorrisino
dalla faccia. Se non fossi stato così dannatamente bravo, ti avrei sbattuto in
mezzo ad una strada”, si alzò, aggirando la scrivania, “E non sono ancora fuori
tempo massimo per farlo!”
Lui si strinse nelle
spalle, e guardò Cameron, “Oh ma io ho la mia bella immunologa che mi renderà
immune dalle tue minacce!”
Cameron fece una
smorfia. Lo aveva detto lei, di aver incorporato il suo sense of humor…
“Non ci sperare!” gli
rispose, acida.
Lui si finse
impressionato, “Cos’è? Vi siete messi d’accordo per caso? Tutti contro House?”
“Sarebbe divertente!”
ridacchiò Foreman, incrociando le braccia.
“Cioccolatino, non mi
sembra di aver chiesto il tuo parere”, lo rimbrottò House.
“Greg piantala. Abbiamo
un caso”, lo zittì la Cuddy.
“Oh fantastico! E per
questo che siamo tutti qui? Per un caso?” scosse la testa, perplesso, “Che
stranezza!” borbottò.
“Vuoi piantarla di fare
l’idiota una buona volta, e ascoltarmi?”
Lui sporse in avanti il
capo, sorridendo, “Naturalmente raggio di sole!”
Lei sbuffò. Non c’era
modo di chiudergli la bocca, e se c’era, di certo lei non era stata informata.
“Meredith Burns,
ventidue anni. Il suo medico di famiglia sostiene di aver rilevato un fungo
della pelle. La ragazza ha il corpo pieno di croste e protuberanze infette. Una
sorta di varicella alla massima potenza”.
Lui annuì, “Quindi?”
“Come quindi?” domandò
lei sbalordita.
“Io cosa dovrei fare?”
Lei scosse la testa,
incredula, “Devi fare una diagnosi. Ti paghiamo per questo”.
“Hai detto che è un
fungo della pelle, no?”, le sorrise, “E allora chiama un dermatologo”.
“Lo prediamo!” Cameron
si era alzata in piedi, prendendo la cartella dalla scrivania della Cuddy.
“Ce ne occupiamo noi”,
ripeté, “Se non è un fungo, scopriremo di che si tratta”.
“Ehi, ehi!” House le
piazzò il bastone dinanzi, “Da quando in qua tu decidi di accettare un caso? Mi
sono perso qualche puntata?”
“Ti manderò il cofanetto
dvd con tutta la serie a casa, non temere”, lo canzonò lei serissima.
“Greg”, Lisa lo fissò
negli occhi con risolutezza, “Non te lo sto chiedendo. Te lo sto ordinando”.
Cameron bussò
leggermente alla porta dell’ufficio di Greg.
Lui l’aveva fatta
chiamare da Chase, dicendo che doveva necessariamente parlarle.
In privato.
Se fosse successo
qualche tempo fa, avrebbe saltellato dalla gioia, ma adesso…
Non le andava di
rimanere troppo tempo da sola con lui. La sua maschera di rabbia e freddezza,
non sarebbe durata tanto a lungo.
Atrocemente conscia dei
suoi limiti, abbassò la maniglia ed entrò nell’ufficio.
Lui era seduto, i piedi
mollemente abbandonati sopra la scrivania, e le mani incrociate dietro la nuca.
Alla sua destra, il
computer diffondeva un’aria classica.
Wagner. Tristan und
Isolde.
Scelta interessante.
“Pensavo non venissi”,
disse lui senza cambiare di un centimetro la sua posizione.
Insousciante.
Se c’era un aggettivo
che poteva definirlo in quel momento, era sicuramente quello. Insousciante.
“Sei il mio capo. Se mi
chiami, devo venire. E’ la regola.”
Lui la guardò con
espressione indecifrabile.
“Bene. Allora il tuo
capo ti chiede una cosa”, la fissò negli occhi, “Che diavolo ti prende?”
Allison lo guardò senza
capire, “Cosa intendi?”
Lui tolse i piedi dalla
scrivania, poggiandoli a terra senza grazia.
“Quello che ho detto”.
Lei fece un paio di
passi avanti, entrando nel cono di luce della lampada pied-à-terre.
“Non riesco a seguirti
Greg”.
Lui si alzò in piedi,
prendendo distanza dalla sua esile figura.
Un rifiuto.
L’ennesimo.
“Per essere
un’immunologa, manchi sicuramente di perspicacia, mia cara”.
Lei lo ignorò
volutamente.
“Possiamo andare dritti
al punto? Avrei del lavoro da fare”, lo incalzò.
“Cos’è che ti rende così
caustica? Hai le mestruazioni per caso?”
Uno a zero per lui.
Cameron era arrossita,
chinando lievemente il capo.
“Senti House, non ho la
benché minima intenzione di starmene qui a prendere i tuoi insulti. Hai detto di
volermi parlare… bhè, parla”.
Lui strinse il bastone
nella mano destra.
“Hai qualche problema
con me, per caso?” indagò.
Lei ridacchiò, “Come se
questa fosse una novità.”
“Ebbene, elencami questi
problemi. Non mi piace lavorare con gente che non riconosce la mia autorità.”
Stranamente
professionale.
Allison si domandò se
per caso, non ci fosse qualcosa dietro.
“Sai benissimo che tipo
di problemi ho, Greg. Non c’è bisogno che mi umili ulteriormente elencandoteli”.
Lui annuì
impercettibilmente.
“Credo che questi
problemi ti impediscano di lavorare al massimo delle tue possibilità”.
Lei non disse nulla, si
limitò a tenere lo sguardo fisso sulla sua bocca.
Non poteva guardarlo
negli occhi.
Non doveva
guardarlo negli occhi.
“L’hai detto tu. Non
io”.
“Ma non stai smentendo
le mie illazioni, e questo prova che ho ragione”, le offrì un sorriso
compiaciuto, “Come sempre”.
Lei sbuffò, “Continuo a
non capire dove tu voglia andare a parare Greg.”
Lui la guardò furente.
“Sei in ferie.”
“Che cosa?” gridò lei.
“Hai capito. Sei in
ferie. Ti chiamerò io quando sarò convinto che potrai tornare”.
Allison scosse la testa,
non credeva alle sue orecchie.
“Stai scherzando, vero?”
Lui le si piazzò
davanti, sostenendo il suo sguardo.
“Non è più il momento di
scherzare. Sei fuori Cameron. Vattene a casa.”
“Tu… non puoi farmi
questo”.
Aveva le lacrime agli
occhi.
“Certo che posso”, la
contraddisse lui, “Sono il tuo capo, rammenti?”
“Sei un bastardo, ecco
cosa sei”, ribatté lei con voce venata.
“Non si discute,
Cameron. Sei in ferie per un po’. Vattene a sciare, o al mare, o stai a casa e
rifletti sulla tua misera vita. Fai quello che ritieni più giusto, ma per il
momento sei fuori. In questo stato non mi servi.”
“Non ti servo??” stava
scuotendo la testa con furia, “Cosa pensi che sono? Il tuo gingillo? Non puoi
farmi questo House. Non ne hai il diritto”.
“Ma ho il dovere di
fornire ai miei pazienti l’assistenza medica migliore. Tu non mi aiuti in questo
scopo. E adesso, fuori”.
Allison guardò l’uscio,
poi lui, poi nuovamente l’uscio.
“Me la pagherai House”.
Lui la guardò uscire
dalla stanza con lunghe falcate.
“Bon voyage, Cameron”.
“An when
you feel you’re near the end,
will you
just turning over the stars again.”
David
Gilmour, “Near the end”
TO BE CONTINUED...
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Capitolo 2 *** Mentre tutto scorre ***
MENTRE TUTTO SCORRE
MENTRE TUTTO SCORRE
Capitolo 2
Sono a casa
La mia porta è aperta
E la mia luce è accesa
Come un ladro nella notte puoi venire
Io non ho difesa
Mentre dormo mentre sogno puoi colpire
Di sorpresa
( De Gregari, “La casa”)
Avrebbe dovuto sentirsi
in colpa?
In fin dei conti,
l’aveva sbattuta fuori senza troppe cerimonie, senza darle nemmeno un minimo di
speranza.
Senza dirle che,
comunque, le sarebbe mancata…
Bhè, si, le sarebbe
mancata.
Perché doveva mentire su
una cosa così ovvia? Il team, senza di lei, sembrava monco.
Un’immunologa aveva il
suo peso quando si trattava di malattie infettive, su questo non c’era dubbio.
Ma anche lui sapeva con
cristallina certezza, che la mancanza non sarebbe stata solo professionale.
Aveva agito
egoisticamente, cacciandola, questo era vero.
Era lui, ancor più di
lei, ad aver bisogno di staccare. Non riusciva più ad averla intorno senza
provare l’impulso di rivelarle qualcosa, di sorriderle, di sfiorarla.
E non poteva permettersi
di sbagliare.
Non ne aveva più
l’opportunità.
Magari avrebbe potuto
predersele lui, le ferie, ma la sua mancanza avrebbe pesato maggiormente su peso
della bilancia.
“Alcune vite sono più
importanti da salvare”, diceva un libro, e lui era sempre stato d’accordo.
Cameron poteva anche
essere sacrificata, la medicina avrebbe sopravvissuto.
Ma lui?
Non sapeva darsi una
risposta.
Di sicuro poteva fare a
meno di lei, così come poteva fare a meno di tante altre cose, ma aveva solo il
timore di sopire i suoi sentimenti, di non eliminarli.
Aprì con violenza il
cassetto della scrivania, estraendo la sua pallina da tennis gialla.
Forse un po’ di rumore
lo avrebbe distratto.
Qualcuno bussò alla
porta, e lui, per la sorpresa, quasi non perse l’equilibrio.
“Chi è?” tuonò.
La porta si sbarrò,
lasciando entrare Chase.
“Cosa vuoi Cip?”
“Dov’è Cameron?
Stamattina non si è presentata in ufficio”, domandò.
“E’ in ferie. A tempo
indeterminato”.
“Che cosa?”
Lo stupore sul volto di
Chase, era a dir poco esilarante. Sembrava un bambino a cui avevano tolto il
pacchetto di caramelle da sotto il naso.
“Hai capito bene,
angioletto”
“E adesso come facciamo?
La Burns ha bisogno di alcuni esami che avrebbe dovuto fare lei!” incamerò aria,
“Io non sono in grado di occuparmene, e Foreman sta facendo gli esami
neurologici” lo guardò incredulo, “Come hai potuto concederle le ferie, House?
Ti sei bevuto il cervello?”
Spazientito, House si
alzò in piedi, incamminandosi verso l’uscio, “Non mi sembra di dover rispondere
a te delle mie azioni, angioletto”, lo rimbrottò, “Andiamo a fare queste
analisi”.
“Ma come…” Chase lo
seguiva come un segugio ben addestrato.
House si bloccò di
scatto, e il giovane per poco non gli finì addosso.
“Non ho preso una laurea
in malattie infettive facendo gli occhi dolci al rettore”.
Lisa Cuddy sbuffò.
Jimmy Wilson, l’oncologo
dell’ospedale, nonché suo amico, stava seduto dinanzi a lei, con negli occhi uno
sguardo pieno di disapprovazione.
“Non dovevi
concedergliele e basta”, continuò lui, “Cameron è necessaria tanto quanto lo
sono gli altri due”.
Lisa poggiò i gomiti
sulla scrivania, “Cosa avrei dovuto fare?” domandò. Nel tono della voce, una
vena d’ira, “Sai perfettamente com’è House. Non potevo discutere per un mese,
rischiando che non si occupasse dei pazienti con la dovuta attenzione”.
Wilson incrociò le
braccia sul petto, “Non ti nascondere dietro a queste scuse, Lisa. Greg deve
occuparsi dei suoi pazienti a prescindere dai problemi che potrebbe avere con
Cameron. E lei…” sospirò, “Cameron non meritava di essere cacciata solo perché
House non riesce a sostenere la sua presenza”.
La fissò con
risolutezza, “Continuerà a comportarsi come un bambino capriccioso se tu
continuerai a trattarlo come tale”.
Lei si addirizzò
infuriata, “Dato che sei così bravo a trattare con House, avresti potuto
parlarci tu”.
Lui non raccolse. Se
proprio dovevano recriminarsi qualcosa, non era certo sul comportamento da
tenere con Greg.
House, per quanto ne
sapeva, doveva essere messo in circolazione con un libretto di istruzioni, in
modo da sapere come comportarsi ad ogni evenienza.
“Senti Jimmy, non mi va
di discutere di questo”, Lisa sospirò rumorosamente, “Voglio solo che House si
concentri su quella povera ragazza. Non mi interessa dei suoi problemi con
Cameron”.
Wilson ridacchiò, “Oh
andiamo!” rise, “Ti interessa eccome!”
Lo sguardo di Lisa
scintillò di divertimento, “Perché, a te no?”
Lui alzò le mani,
“Touchè!”.
“Lui ne è innamorato”,
borbottò Lisa.
“Può essere”, asserì
Jimmy.
“Vorrei sapere perché
cavolo non glielo dice. Sarebbe più facile no? Lei sarebbe felicissima, lui
sarebbe meno rompicoglioni, e noi saremmo finalmente salvi!”
Jimmy rise, “Ti sembra
che House si sia mai comportato nel modo più semplice?”
”Purtroppo no…” dovette ammettere Lisa.
“Appunto!”
“Dovrei chiamarla”,
cambiò discorso, “Magari è a pezzi”.
“E’ altamente
probabile”, confermò Wilson.
“Potrei addirittura
andare da lei…”
“Ottima idea!”
Wilson sorrise, quindi
si alzò, incamminandosi verso l’uscio, “Tu vai da lei. Io vado da lui”.
Lisa annuì. Di sicuro
Jimmy si era tenuto il compito meno facile.
Foreman appoggiò le
lastre allo schermo della luce al neon.
Neurologicamente,
Meredith Burns non aveva il benché minimo problema. Tutto funzionava alla
grande. Eric lasciò andare un lungo sospiro di sollievo.
Se si potevano escludere
i problemi neurologici, il campo si ristringeva a qualche patologia infettiva.
Se solo House non avesse deciso di accordare a Cameron le ferie, a questo punto
avrebbero già avuto una risposta.
Avanzò lentamente verso
il bollitore, e si verso l’ennesima tazza di caffè.
Chissà poi perché
Allison aveva deciso di andarsene in ferie proprio nel bel mezzo di un caso
clinico così interessante, non se lo riusciva a spiegare.
Eppure, le era apparsa
molto risoluta a volersi occupare della Burns…
Soprappensiero, si
lasciò cadere su una delle sedie dell’ufficio.
Proprio nello stesso
istante entrò House, seguito a ruota da Chase.
“Abbiamo due opzioni”,
attaccò Greg, senza nemmeno salutare.
Chase si sedette al suo
posto, estraendo una penna dal taschino del suo camice bianco.
“Potrebbe essere
allergia da contatto a qualche tessuto, oppure peste”.
“Peste?” domandò Foreman
strabuzzando gli occhi.
House lo guardò in
tralice, “Cosa vi insegnano oggi nelle università?” domandò allargando le
braccia, “Peste si. Quella malattia che fa venire pustole e bubboni”.
“Ma è impossibile!”
obbiettò Eric, cocciuto.
“Questo lo dici tu”,
House cominciò a camminare per l’ufficio facendo roteare il bastone.
Sembrava imitasse
Fred Astaire.
“Potrebbe averla
contratta in mille modi, eppure ce n’è uno che ha influito sugli altri”.
“E quale sarebbe?”
domandò Chase, che fino ad allora era rimasto in silenzio.
“Che ne so io?” House
piegò il capo a sinistra, “Questo è il vostro lavoro”.
Foreman sospirò
rumorosamente. Un evidente segno di disappunto.
“Possiamo prendere in
considerazione l’allergia da contatto?”
“Sicuro!” sorrise House,
“Puoi prendere in considerazione tutto quello che ti pare, anche il gelato alla
vaniglia. Ma prima di tutto devi scoprirmi in che modo si è beccata la peste”.
“House è una sanissima
ragazza americana di vent’anni, non può avere la peste”, Chase sembrava
completamente esterrefatto.
“Sanissima dici?” Greg
sogghignò, “E come le mettiamo quelle orribili pustole sul viso?”, finse di
rabbrividire, “Non la toccherei nemmeno con il mio bastone”.
Chase scosse la testa
sconfitto. Quando il suo capo si metteva in testa qualcosa, dissuaderlo era
praticamente impossibile.
“Non potresti chiamare
Cameron e dirle di tornare? Abbiamo bisogno di lei”.
House scosse la testa,
“No, non posso”.
“E perché mai?”
Greg si allontanò dalla
lavagna, guadagnando strada verso l’uscio.
“Per la stessa ragione
per la quale non stai indagando su come Meredith Burns si è presa la peste”.
Uscì, lasciando i suoi
due assistenti a bocca aperta.
Qualcosa, stava andando
decisamente storto.
Come primo giorno di
ferie forzate, se la stava cavando piuttosto bene.
Aveva lavato i panni
sporchi ammucchiati nella cesta da più di una settimana, aveva stirato, passato
la cera, sistemato gli armadi, e spolverato la libreria.
Aveva chiamato casa, e
qualche amico di vecchia data.
Si era letta metà de “Il
Grande Gatsby”, e aveva mangiucchiato sedano e Philadelphia.
Si era anche fatta un
lungo bagno rilassante, dopodiché aveva guardato un interessantissimo
documentario sulle locuste.
Adesso però, aveva
esaurito tutte le attività pratiche, e l’unica cosa che le sembrava possibile
fare, era… bhè pensare.
Non a Greg, o almeno,
non direttamente.
Voleva pensare in quale
strano modo erano giunti al punto di non ritorno. Anzi, erano andati decisamente
oltre.
Si sentiva sola e
sconfitta, come se avesse perso tutti i suoi risparmi puntando sul cavallo
sbagliato.
Dannazione!
Eppure era stata
moderatamente convinta di aver agito nel migliore dei modi per entrambi.
Insomma se Greg non la
voleva, non poteva mica frustarlo per quello!
Lui era liberissimo di
agire come meglio credeva, e lei doveva necessariamente trovare un metodo per
salvaguardarsi. Non si trattava di allontanarsi da lui, quanto piuttosto di
condividere quella sofferenza frequentandolo quotidianamente.
Solo così, forse,
sarebbe riuscita a guarire.
Ma Greg, accidenti a
lui, aveva deciso di complicarle ulteriormente le cose.
Sarebbe potuto entrare
nel suo appartamento in quello stesso istante, e lei non avrebbe mutato di una
virgola il suo atteggiamento.
Sospirò, domandandosi se
non era forse il caso di presentare le sue dimissioni all’ufficio della Cuddy.
Se House non la voleva più fra i piedi, probabilmente lei doveva far in modo di
comportarsi di conseguenza.
Forse aveva ragione lui.
Magari quello era l’unico modo accettabile per guarire completamente da quella
dannata cotta adolescenziale.
Sono qui sola Greg,
pensò, e sto riflettendo sulla mia misera vita.
Una vita che tu hai
aiutato a rendere più miserabile.
Scosse il capo,
contrariata.
Non era certo colpa di
Greg, se lei si era innamorata.
Cosa c’entrava lui?
Oddio.
Se avesse continuato di
quel passo, probabilmente sarebbe impazzita.
Si alzò dal divano,
deambulando lentamente verso la cucina.
Aveva bisogno di una
bella tazza di caffè caldo.
Proprio mentre stava
versando la bevanda bollente, il telefono squillò.
Prese il cordless
abbandonato sul piano di lavoro.
“Cameron”, soffiò.
Qualcuno dall’altra
parte disse qualcosa, e lei sbarrò gli occhi, improvvisamente sveglia.
“Dottoressa Cuddy?”
Annuì lentamente,
stentando a credere alle sue orecchie.
“Si sono a casa”,
incamerò aria, “Va bene”.
“L’aspetto qui”.
Senza ombra di dubbio,
stava succedendo qualcosa di decisamente strano.
“Sparami addosso bersaglio
mancato, provaci ancora è un campo minato quello che resta del nostro passato,
non rinnegarlo è tempo sprecato. Macchie indelebili a coprirne il reato, scagli
la pietra chi è senza peccato, scagliala tu perché ho tutto sbagliato”
Negramaro, “Mentre tutto
scorre”
TO BE CONTINUED
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Capitolo 3 *** Waiting in vain ***
WAITING IN VAIN
WAITING IN VAIN
Capitolo 3
Si ama davvero una sola volta. Anche se
non ce ne rendiamo conto.
(L’Ombra del Vento)
“Hai sentito cosa ho
detto?”
Wilson si alzò dalla
sedia, piazzandosi direttamente dinanzi ad House che se ne stava spaparanzato
sulla sua poltroncina.
“Si papà ho
sentito”, gracchiò.
“E non hai da dire
nulla?”
House lo guardò di
traverso, “Cosa ti devo dire?”
Wilson si strinse nelle
spalle, “Qualsiasi cosa!” sbuffò, “Oh andiamo House, ti conosco, e conosco il
cervello umano, soprattutto il tuo. Non ci credo che non hai niente da dire in
proposito”.
Greg incamerò aria, “Una
cosa ce l’avrei, a dir la verità, ma non so se posso dirla”.
“Naturale che puoi”.
“Non aspetti altro uhm?”
Wilson non rispose, non
ce n’era bisogno.
“Ok”, House si alzò,
raccattando il suo bastone, “Quando posso cominciare a scegliere una nuova
immunologa?”
Jimmy spalancò gli
occhi, “Prego?”
“Mi hai sentito”,
ribatté Greg.
“Vuoi sostituirla cosi?
Senza nemmeno tentare di riaverla indietro?”
House sospirò,
“Evidentemente non siamo fatti per lavorare insieme, e non posso stare senza un
immunologo, mi serve.”
Wilson lo guardò in
tralice, “E quando l’hai mandata in ferie allora?”
“L’hai detto, amico.
L’ho mandata in ferie, non l’ho mica licenziata”.
“A tempo indeterminato”,
rintuzzò Wilson, “L’hai messa in una sorta di aspettativa”.
“Oh che noia!” sbuffò
Greg, “E quindi? E’ lei che ha deciso di andarsene, non io”.
“Non credo che tu le
abbia lasciato altra scelta”.
“Eccome, invece. Poteva
anche aspettare due giorni”.
Wilson scosse la testa,
“E’ fuori da una settimana House. Sette dannati giorni”.
House si strinse nelle
spalle.
Non lo stava ascoltando
davvero, questo era abbastanza evidente ad entrambi.
“House sei sicuro? Se la
lasci andare potresti non riaverla più indietro”.
House rimase un momento
senza parlare.
Voleva lasciarla andare?
Si.
Poteva convivere con
l’idea di non averla tra i piedi? Si.
Anche se era una scelta
definitiva? No.
Borbottò qualcosa tra se
e se, quindi tornò a guardare Wilson.
“Vado dalla Cuddy”,
annunciò.
“La riprenderai nel
team?”
“Vado semplicemente a
chiederle quando potrò selezionare un nuovo immunologo”.
Foreman sbatté
violentemente la cartella sulla scrivania.
“Che diavolo!” imprecò.
Chase lo guardò
annuendo.
La notizia di Cameron
che lasciava l’ospedale, aveva stordito anche lui.
Non poteva nascondere
che lei, in qualche modo, gli piacesse, ma non era una mera questione di
attrazione.
Lavorare con Cameron era
stimolante.
Gli dispiaceva doverne
fare a meno.
“Sei sicuro che House
non farà nulla per convincerla a restare?”
“La Cuddy è stata
abbastanza esplicita in proposito. House si adeguerà alla scelta di Cameron. Né
più, né meno.”
Foreman strinse i denti,
“Ma è una follia!” sbraitò, “Cameron sa come muoversi, ci conosce. Siamo un
team, Cristo Santo!”
Chase lo guardò
stranito.
“Cos’è questo
nervosismo? Non mi sembra andassi così d’accordo con lei per infervorarti in
questo modo”.
Eric si girò di scatto,
“Cosa c’entra? E’ pur sempre una collega”.
Chase non la bevve.
Aveva capito all’istante
qual’era la vera preoccupazione di Foreman. Se House avesse assunto un nuovo
elemento valido, lui sarebbe stato scalzato dalla classifica.
Egocentrismo da
contatto.
A forza di lavorare con
House, l’avevano contratto anche loro. Ma Foreman ne era completamente pregno,
o almeno, così sembrava.
“Forse cambierà idea”,
mormorò.
“Ne dubito” lo
contraddisse Eric, “Se House non ci metterà le mani, Cameron se ne andrà. E non
posso certo biasimarla per questo”.
Chase rimase in
silenzio.
Di sicuro, House era
quello con l’asso nella manica. La scelta stava a lui.
Ma sapeva anche che il
medico non avrebbe mosso un dito.
Pregare Cameron di
restare, poteva essere interpretato ambiguamente.
Pensoso, fissò il cielo
oltre la vetrata.
Sarebbero stati mesi
difficili per tutti.
Lisa firmò le carte che
House le stava porgendo, senza la minima esitazione.
Era stufa di chiedergli
ogni due minuti se era sicuro di ciò che stava facendo.
Se Greg intendeva
privarsi di Allison, peggio per lui.
Per quel che la
riguardava, aveva già contattato diversi ospedali ben lieti di accogliere
Cameron nei loro staff. La ragazza sarebbe sopravvissuta.
Come,
era tutta un’altra storia.
“Perché vuoi tenerli
tu?”
I fogli delle
dimissioni, di solito rimanevano nell’ufficio della direttrice.
“Voglio farci un
quadretto”, la sbeffeggiò lui, “Così quando tornerà strisciando, glieli farò
vedere”.
Lisa scosse la testa,
“Nemmeno un minimo di senso di colpa uhm?”
Greg la fissò
serenamente, “Non l’ho licenziata io”.
“Ma l’hai indotta a
farlo”.
“Balle!”
Lei poggiò le mani sul
tavolo, “House, pensa seriamente a quello che fai. Ho qui decine di offerte di
lavoro per lei, potresti non vederla mai più”.
Lui si strinse nelle
spalle.
Cominciava ad averne
abbastanza di quella solfa.
Tanto, presto o tardi,
Cameron l’avrebbe lasciato comunque. Accelerare il processo non avrebbe cambiato
il risultato finale.
“Buon per lei”, si alzò
dalla sedia, “Quando mi trovi un sostituto?”
Lei nemmeno lo ascoltò,
si limito a socchiudere gli occhio.
Testardo come dieci
muli.
“Quando ne avrò il
tempo. Adesso devo occuparmi di altre mille faccende. Se avevi messo Cameron in
ferie significa che potevi farne a meno. E così sarà”.
Uno a zero per lei.
“Carino da parte tua”,
la canzonò lui.
“Figurati! Per gli amici
questo ed altro”.
Si alzò dalla sedia,
avanzando verso la porta.
“House, sei ancora in
tempo. Finché Cameron non verrà a firmare i documenti, siamo ancora in gioco”.
Lui non la ascoltò. Si
alzò a sua volta, zoppicando verso l’uscio aperto precedendola.
“Mandala nel mio ufficio
quando arriva. Voglio salutarla personalmente”.
Uscì, lasciandola senza
parole.
Allison rilesse per la
milionesima volta i fogli che la Cuddy le aveva mandato per e-mail.
C’erano davvero delle
proposte di lavoro interessanti, e stava seriamente pensando di contattare anche
il Dott. Sebastian. Forse era ancora in tempo per quei famosi sei mesi di
internato in Kenya.
Non se la sentiva di
procrastinare all’infinito quella storia.
Greg doveva diventare un
capitolo chiuso, e lei doveva metterci tutta la sua buona volontà.
Allontanarsi era l’unica
soluzione? Lo avrebbe fatto.
Naturalmente il pensiero
di privarsi di lui definitivamente, le provocava un pesante e insostenibile
groppo alla gola, ma avrebbe saputo gestirlo.
In fin dei conti aveva
superato un lutto ben più grave.
Anzi, decise che questa
svolta, sarebbe stata quella epocale.
Cambiare nuovamente
vita, le avrebbe giovato.
Magari non avrebbe più
provato lo stesso amore che nutriva per Greg, ma questo non la spaventava.
L’amore ci passa accanto
una sola volta, e si è fortunati anche solo a riconoscerlo.
Inutile recriminare e
lambiccarsi la testa con inutili quesiti.
Se quella storia non era
decollata, era ben probabile che non decollasse mai.
Si.
Era una storia chiusa.
Finita. Archiviata.
Fredda come il ghiaccio
si incamminò verso la sua stanza.
Doveva fare un salto al
Princeton a firmare le sue volontarie dimissioni e poi sarebbe stata libera.
Decise di andare in un
orario neutro, per evitare di incontrare Greg.
Sicuramente, nel
pomeriggio lui non ci sarebbe stato.
Annuendo alla sua
immagine riflessa nello specchio, sorrise.
Si, era meglio così,
davvero.
Si sfumò del
lucidalabbra e spense la luce.
Proprio mentre usciva il
portone, si rammentò che era giovedì. E Greg, il giovedì pomeriggio, aveva
ambulatorio.
Per un momento, la sua
maschera di ghiaccio cedette.
“I don’t want
waiting in vain for your love…”
Annie Lennox,
“Waiting in vain”
TO BE CONTINUED
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Capitolo 4 *** Fuck you ***
FUCK YOU
FUCK YOU
Capitolo 4
La dove sei diretto non ci sono sentieri, né
piste, solo il tuo istinto. Hai seguito i segnali e alla fine sei arrivato.
Adesso devi fare un bel gran tuffo nell’ignoto e scoprire da solo chi ha torto,
chi ha ragione, e chi sei tu veramente.
(Sergio Bambaren, “Il Delfino”)
Molto spesso, ci sono
cose che la mente umana, per quanto sviluppata, non riesce a capire fino in
fondo.
Una di queste cose, sono
i sentimenti.
Apparentemente illogici,
stravolgono la vita, mutano i punti di vista, modellano una nuova persona, che
prende vita proprio dinanzi al nostro sguardo ammutolito.
Greg aveva tentato di
capire in che modo si attivassero questi meccanismi.
Voleva spiegarsi come
mai, Allison Cameron era entrata così violentemente nei suoi pensieri, senza
volerne sapere di uscire.
Naturalmente, per quanto
bravo fosse, non era riuscito a darsi una sola risposta soddisfacente.
Con Stacy era stato più
semplice.
A quell’età, l’amore
sembra una cosa naturale, quasi scontata.
E naturale era stato
anche il decorso del loro travagliato rapporto.
Ma con Allison, le cose
si erano messe diversamente.
Era stata lei ad aver
fatto il primo passo. Ed era stata ancora lei a tentare di convincerlo che
quello che sentiva, poteva essere solo qualcosa di benigno.
Ma Greg non ci aveva
creduto.
L’amore è oscuro,
triste, doloroso, ma mai benigno.
L’amore è possesso,
brama e desolazione. Una sorta di Bomba H che dopo la deflagrazione non lasciava
nient’altro che macerie.
Non poteva correre
ancora questo rischio, di più non doveva.
Un altro scossone al suo
cuore raggrinzito, e sarebbe finito ad essere un vecchio rompicoglioni con la
mania della suscettibilità.
Ridacchiò.
Probabilmente era già
così.
Scelse un brano dalla
sua raccolta di mp3, e il computer cominciò a diffondere una musica lenta e
malinconica. Tuttavia, decisa.
Come una bella stola di
seta bianca, appoggiata sopra ad un massiccio pezzo di ferro.
La dolcezza, nascondeva
forza.
Ed Allison era nello
stesso modo.
Non si era arresa al suo
rifiuto, stava semplicemente tentando di proteggersi.
Poteva biasimarla? In
fondo anche lui stava facendo la stessa cosa.
Ma lui, per Dio, non
avrebbe dovuto cambiare di una virgola la sua vita.
Per un momento pensò di
ritornare sui suoi passi. Poteva tranquillamente dire che ci aveva ripensato, e
che la rivoleva nel suo team. Le avrebbe offerto anche un aumento di stipendio,
se fosse servito a qualcosa.
Ma sapeva di non poterlo
fare.
Non sarebbe stato nelle
sue corde.
Lui, il misantropo dott.
House, che richiamava disperatamente indietro una semplice assistente…
improponibile!
Sbuffando guardò
l’orologio.
Cameron per quel giorno
non sarebbe passata, ma comunque, i suoi pazienti dell’ambulatorio, avrebbero
dovuto aspettare ancora un po’.
Allison varcò la porta
del Princeton mascherando il nervosismo con un bel sorriso luminoso.
Il solo pensiero che
quella poteva essere l’ultima volta che avrebbe messo i piedi in quel sontuoso
edificio, le procurò un vuoto nello stomaco.
In fin dei conti, per
quanto costellati da momenti a dir poco dolorosi, i suoi anni di internato erano
stati proficui.
Ne aveva imparate di
molte, e aveva imparato anche che l’amore arriva quando pensi di esserne quasi
completamente immune.
Salì nell’ufficio della
Cuddy, e nel passare dinanzi al loro ufficio, notò che era stranamente
vuoto.
Bizzarro…
Magari i ragazzi stavano
lavorando al caso Burns. Si chiese come stesse la ragazza. Sperò solo che Greg
fosse riuscito a completare una diagnosi.
Bussò alla porta della
direttrice, e attese il suo “avanti” prima di varcare la soglia.
Con sua sorpresa, nella
sedia di fronte alla scrivania, notò il dott. Wilson.
“Buonasera”, salutò
avanzando di qualche passo.
“Ciao Cameron, siediti
pure”, la invitò gentilmente Lisa.
La ragazza prese posto
accanto al dottore, salutandolo con un sorriso.
“Sei qui per i
documenti, immagino”, intuì Lisa.
Cameron annuì, “Vorrei
poter terminare l’agonia il più presto possibile”.
Lisa e Wilson annuirono
contemporaneamente.
“Purtroppo, al momento,
non ho qui i documenti”.
Allison la guardò senza
capire. Come non aveva i documenti? Eppure soltanto la mattina le aveva faxato i
termini di recessione…
“Devo ripassare in un
altro momento, dunque?”
Lisa scosse il capo.
Nell’espressione una nota di… dispiacere. Si, era dispiaciuta per qualcosa.
“Purtroppo House me li
ha sequestrati”, ridacchiò, “Vuole che tu vada da lui a firmarli”.
“Cos’è? Un tentativo di
riprendermi indietro?” c’era speranza nella sua voce? Davvero?
Lisa si strinse nelle
spalle, “Forse”, ma dalla sua risposta si intuiva il contrario.
“Se non te la senti vado
io a sottrarglieli di nascosto”, propose Jimmy con un sorriso, “Tanto adesso è
in ambulatorio”.
Cameron scosse la testa
e si alzò, appoggiando le mani ai braccioli della sedia.
Voleva un confronto?
Ebbene, l’avrebbe avuto.
In fin dei conti se lo meritava.
“No, andrò da lui”,
sorrise debolmente, “In fin dei conti, oltre che cacciarmi non può fare
nient’altro”.
Si avviò verso l’uscio
lentamente, quindi, giunta alla porta si voltò, “Con permesso”, sussurrò.
E uscì nel corridoio.
Wilson camminava in
cerchio nell’ufficio di Lisa.
Chase e Foreman erano
arrivati a ragguagliare la dottoressa sui progressi che avevano sul caso Burns.
Naturalmente questa non era la normale procedura.
Nel passare dinanzi
all’ufficio di House, infatti, avevano visto la figura esile di Cameron in piedi
di fronte alla scrivania, e avevano preferito andare oltre.
“Se sento dei colpi
secchi, ho il permesso di intervenire?”, domandò Chase, cercando flebilmente di
scherzare.
Nessuno gli diede
udienza.
Quell’incontro poteva
avere mille finali… nessuno sembrava improbabile.
Foreman scosse la testa
con disappunto.
“Magari alla fine si
mettono d’accordo, e lui deciderà di riprenderla nel team”, continuò Chase.
Sembrava che solo
parlando, riuscisse a calmare i nervi.
“Ne dubito”, borbottò
Wilson.
“Anch’io”, gli fece eco
Lisa.
Chase si strinse nelle
spalle. Aveva apparentemente terminato le cartucce.
“Posso domandare perché
questa situazione sia sfuggita così di mano a tutti?”
Era stato Foreman a
parlare, le braccia incrociate sul petto facevano tendere le maniche del camice
sui muscoli delle braccia.
Lisa si strinse nelle
spalle. Non sapeva cosa rispondere, e se anche lo avesse saputo, probabilmente
non avrebbe risposto comunque.
Dannazione!
Le sembrava di essere
tornata al liceo. La coppia del gruppo era saltata, e loro stavano tentando di
raccogliere i cocci… assurdo!
Era o non era la
direttrice dell’ospedale? Avrebbe dovuto mantenere almeno una parvenza di
autorità, Cristo Santo!
“Non credo siano fatti
che ci riguardano”, disse decisa, “E credo che voi abbiate del lavoro da
sbrigare. House e Cameron sono adulti e vaccinati, se la caveranno”.
Guardò i due giovani
ragazzi, in piedi dinanzi a lei. Era la prima volta che notava la loro
differenza. Erano opposti.
“Andate”, ordinò.
I due giovani si
fissarono, e uscirono mestamente dall’ufficio, salutando con un cenno del capo
il dott. Wilson.
Il petto di Allison, si
alzava e abbassava al ritmo del suo respiro affannato.
Era in piedi di fronte a
lui, negli occhi la sua risolutezza, era tradita dalle mani tremanti.
“Fammi firmare quei
dannati fogli, House”, borbottò.
Greg la guardò
affascinato.
Stava andando in mille
pezzi, eppure la sua dignità era totalmente integra.
No, non poteva privarsi
di lei. No, davvero.
“Sicura?”
Lei scrollò le spalle
infastidita.
“Cosa vuoi da me?”
sibilò, “Prima fai il possibile e l’impossibile per cacciarmi, e adesso mi
domandi se sono sicura?”
“Ti ho semplicemente
concesso delle ferie”, ribatté lui ostentando sicurezza.
“A tempo indeterminato”,
precisò lei, “A casa mia questo significa che vuoi sbattermi fuori”.
“A casa mia no”,
obbiettò House senza smettere di guardarla.
Lei sentì la carezza del
suo sguardo sul corpo, e per un momento temette di crollare in ginocchio,
schiacciata dal peso di quei sentimenti così contraddittori.
“Ti rivoglio, Cam”
sussurrò lui.
Non sembrava Greg a
parlare, adesso. Sembrava semplicemente… un uomo.
“Perché?”
“Apri bene le orecchie
perché non credo che mi sentirai parlare così un’altra volta”, l’ammonì lui,
“Voglio che resti perché ho bisogno di te”.
Cameron sbarrò gli
occhi. Improvvisamente sentì la rabbia montarle dentro.
“Non è vero”.
“E invece si”, la
contraddisse lui.
“Tu mi rivuoi indietro
perché non sopporti l’idea che io vada avanti senza di te. Bhè… breaking news
House, non ne sono più in grado. Me ne fotto della tua autostima, se vuoi un
cagnolino adorante, vai a cercarlo al canile”.
Greg la fissò stupito.
Non ce la faceva così battagliera, eppure non se la sentiva di darle torto.
Poteva anche avere ragione.
Purtroppo per lui, però,
sapeva che non ne aveva.
La voleva con se perché
ne era innamorato. Che lo avrebbe ammesso, era un’altra storia.
“Non è così semplice,
non lo è mai stato”, disse lui con un sussurro.
Sembrava dannatamente
vulnerabile, ma Allison resistette all’impulso di andare da lui e prenderlo tra
le braccia per rassicurarlo.
“E’ semplicissimo
invece”, la voce era venata di rabbia e pianto, “Io ti amo, tu no. Questi
sono i fatti. Non posso fartene la colpa, ma posso evitarmi di soffrire, quindi
me ne vado”.
Avanzò decisa verso la
scrivania, sfilandogli i fogli dalle mani.
Con le lacrime agli
occhi, raccattò una penna, e firmò ogni maledetta pagina.
Si rialzò, ravviando i
capelli, e lo guardò negli occhi.
“Addio House”, sussurrò
uscendo.
Greg sprofondò nella sua
poltroncina di pelle, sospirando.
Non era andata come
aveva previsto.
Fissò per un istante i
documenti, quindi li passò nel mangiacarte.
“ I said,
fuck you! You will never know, what is turnin’ in my mind. Fuck you! So you
better watch out, so you better watch out, out...”
Articolo31 feat. Paola
Turci, “Fuck you”
TO BE CONTINUED
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Capitolo 5 *** In the green ***
IN THE GREEN
IN THE GREEN
Capitolo 5
Ogni minuto che passa è un’occasione per
rivoluzionare tutto completamente.
(Hitch)
…Sei mesi dopo…
Allison rientrò nel suo
appartamento, e si lasciò cadere sul bianco divano del soggiorno.
Era stravolta.
Le lezioni che aveva
accettato di tenere all’università, la lasciavano sempre in riserva di energie.
Aver a che fare con aspiranti medici aitanti, aveva le sue zone d’ombra.
Allungandosi schiacciò
il tasto che le permetteva di ascoltare la segreteria.
C’erano un paio di
messaggi del suo nuovo capo, Susan Blake, uno di Tamara, la sua amica, e uno di…
“Ciao Cameron, sono
la dottoressa Cuddy. So che sei molto impegnata ultimamente, ma ecco… avrei
bisogno della tua consulenza. Chiamami appena puoi per favore.
Ah, e complimenti per
il tuo articolo su “Nature”, è stato molto interessante”.
Allison si drizzò a
sedere, mandando indietro il nastro per ascoltare di nuovo il messaggio.
La dottoressa Cuddy
chiedeva una sua consulenza?
E perché mai?
Si tolse la giacca,
gettandola disordinatamente sul bracciolo del divano, e premette il tasto di
chiamata. Se doveva proprio farlo, tanto valeva farlo subito.
Aspettò che la Cuddy
rispondesse, torcendo nervosamente il filo del telefono.
“Ufficio della
dottoressa Cuddy”, rispose la donna.
“Ehm, dottoressa sono
Cameron” disse lei, intimidita.
Cristo, erano passati
sei mesi dall’ultima volta che aveva avuto a che fare con loro.
“Ciao Cameron, come va?”
“Tutto bene, grazie”,
rispose lei poco convinta, “Ho ascoltato il suo messaggio”.
“Ah benissimo!” mormorò
l’altra, “Puoi venire qui in ospedale?”
“Oggi stesso?”
“E’ una situazione
piuttosto complessa”, le spiegò Lisa, “Vorrei poterne discutere di persona, se
per te non è un problema”.
“Nessun problema,
dottoressa. Sarò lì nel pomeriggio”.
“Perfetto, ti aspetto”.
Chiuse la conversazione,
con una bizzarra sensazione nello stomaco.
Stava succedendo
qualcosa di strano, e non sapeva dirsi se questo fosse stato un bene, oppure no.
C’entrava Greg?
Non se lo augurava.
Aveva lavorato duro in
quei sei mesi per evitare di pensarci, non poteva accettare di vedere tutto il
suo impegno svanire a causa di uno stupido incontro.
O forse Greg non
c’entrava. Magari avevano avuto un caso difficile, e avevano pensato a
contattarla per un secondo parere. Era altamente probabile.
La domanda che però le
circuitava nella mente, era un’altra.
Era stato Greg a
chiedere di contattarla, oppure lui ne era completamente all’oscuro?
Per saperlo, sarebbe
bastato andare lì e scoprire cosa diavolo stava succedendo.
Lisa entrò nell’ufficio
dove i ragazzi stavano lavorando.
Come ogni volta, entrare
lì e non vedere Cameron tra di loro, la faceva sentire strana.
“Allora”, attaccò
sospirando, “Cosa dice il paziente?”
Foreman si alzò dalla
sedia, porgendole alcuni fogli scritti a computer.
“Sembra che abbia
respirato qualche agente velenoso. Questo spiegherebbe il perché del
rigonfiamento all’interno della trachea. L’unico problema adesso, è capire di
quale agente si tratta per somministrargli l’antidoto giusto”.
Lisa annuì, “Quanto
tempo abbiamo?”
“Un giorno”,
borbottò Chase, “Due al massimo”.
“Ha già contattato
Cameron?”
La dottoressa annuì
soprappensiero.
Aveva fatto bene a
contattare la bella immunologa? Non sapeva darsi una risposta.
Se da un canto, sapeva
che Cameron avrebbe potuto aiutarli, dall’altro era terrorizzata dalla reazione
che avrebbe potuto avere Greg.
Lui, in quei sei lunghi
mesi, aveva sempre evitato di parlarne, ma Lisa sapeva –sapeva- che ci
pensava spesso. Essere innamorati di una persona, per quanto sconsiderato possa
sembrare, implica dei processi necessari.
Pensarci continuamente,
faceva parte del gioco, così come fingere di non farlo.
Lisa sospirò, in
apprensione, “Dovremmo sbrigarci. Di questo passo rischiamo di compromettere
seriamente le funzioni vitali”.
Foreman annuì, “House
dice di controllare gli agenti velenosi che possono sprigionarsi nel reparto di
chirurgia. E’ possibile che nelle stanze, si sia diffuso qualcosa… che so,
qualche acido”.
La Cuddy assentì,
“Potrebbe avere ragione… non di rado qualche infermiera sbadata ha combinato
disastri. Siete troppo giovani per ricordarlo, ma in questo stesso ospedale il
dott. Sanders accusò una brutta forma di allergia da contatto causata proprio da
un acido disinfettante utilizzato nelle sale operatorie”.
“Dovremmo andare a
controllare”, propose Chase incamminandosi verso l’uscio.
“Mi sembra un’ottima
idea, Chase”, annuì la Cuddy, “Pensateci voi. Io sarò nel mio ufficio ad
aspettare Cameron. Per qualsiasi cosa…” si strinse nelle spalle, “Sapete dove
trovarmi”
Ecco il Princeton.
Di nuovo.
E di nuovo ecco tutte
quelle sensazioni scomode che aveva pretenziosamente creduto di aver eliminato.
Sciocchezze!
L’imponenza dei suoi
sentimenti era pari a quella del palazzo che si erigeva dinanzi a lei.
Fiero, chiaro, senza
nessun cedimento.
Aveva semplicemente
cambiato visuale. Da dove si era trovata fino a quel momento, aveva
semplicemente evitato di vedere l’evidente, ma adesso fingere di non vedere le
sembrava un gigantesco atto di vigliaccheria.
Incamerò aria, ed entrò
nell’ingresso.
Non era cambiato nulla,
eppure sapeva che in realtà era cambiato tutto.
Gli equilibri erano
mutati irrimediabilmente, e forse, non troppo impercettibilmente.
Sperava solo di non
farsi troppo male, una volta saputa tutta la verità.
Uscì dall’ascensore e ,
senza guardarsi intorno, si diresse velocemente all’ufficio della Cuddy.
La porta era aperta, e
la dottoressa le sorrise andandogli incontro.
“Ciao Cameron”, la
salutò.
L’immunologa strinse la
mano che la dottoressa le stava offrendo, e le sorrise sinceramente.
“Siediti ti prego.
Dobbiamo parlare di una cosa importante”.
Cameron si tolse la
giacca e la borsetta, posandole sulla sedia a fianco della sua.
“Spero non sia nulla di
grave”, s’informò in apprensione.
“Diciamo che ci sono due
questioni estremamente importanti da affrontare”, le spiegò.
Si chinò, ed estrasse
alcuni fogli dalla sua valigetta verde scuro.
Cameron l’aveva sempre
trovata deliziosa, un perfetto mix tra femminilità e autorevolezza, così com’era
la Cuddy.
“Da quale iniziamo?”
domandò Cameron, celando la preoccupazione.
Lisa sfogliò le pagine
che aveva in mano, “C’è una questione burocratica, e una questione medica”, la
informò, “Proporrei di cominciare dalla prima”.
Cameron annuì.
“Allora, Cameron, il
problema è piuttosto spinoso. Qualche settimana fa il General, mi ha faxato la
richiesta dei documenti del tuo licenziamento”.
“Ce li ha House”, disse
lei senza remore.
Lisa scosse la testa,
“House sostiene di non aver alcun protocollo del tuo licenziamento”, la fissò
negli occhi, “Addirittura ha asserito che tu non hai mai firmato nulla”.
Cameron strabuzzò gli
occhi, “E questo cosa vuol dire?”
“Vuol dire che sei
ancora una nostra dipendente, Allison”, sussurrò Lisa.
“Ma non è possibile”,
gridò, “Io ho firmato la recessione del contratto. L’ho firmata sotto ai
suoi occhi”.
La Cuddy sospirò, “Posso
crederti, ma il punto è che quei fogli non si trovano più da nessuna parte”,
ridacchiò, “Ho ispezionato personalmente l’ufficio di House, ho chiesto
all’amministrazione… ho addirittura minacciato Wilson di licenziamento se non
fosse stato in grado di portarmi quei maledetti documenti ma… niente.
Sembrano essere stati risucchiati da nulla”.
Cameron deglutì, “Io non
so cosa dire… sono sicura di averli firmati dottoressa. Potrei giurarlo”.
“Ti credo”, le sorrise
Lisa, “Ma senza quei documenti tu sei a tutti gli effetti una nostra dipendente,
e come tale dovresti lavorare qui. Ho fatto in modo che la tua assunzione al
General risultasse come una semplice collaborazione, ma capisci anche tu che
dovremmo prendere una decisione. Se tu vuoi, farò in modo di farti avere quei
documenti per domani, oppure possiamo trovare una scelta alternativa”.
Cameron la guardò senza
rispondere. Quella scena, sembrava un doloroso deja-vu, e la cosa non la
rassicurava per niente.
“Posso pensarci qualche
istante?”
“Tutto il tempo che
vuoi”
Cameron annuì, grata
della comprensione della dottoressa.
“E adesso passiamo alla
questione medica”, la informò la Cuddy.
Allison la guardò, aveva
ripreso la sua classica posa professionale.
“Mi ha detto che aveva
bisogno di un consulto. Di che si tratta?”
“E’ un caso delicato. Il
paziente in questione sembra aver inalato dei gas tossici. Sospettiamo che i
suoi sintomi nascondano un caso di avvelenamento. Chase e Foreman sono andati ad
ispezionare l’ambiente più a rischio, ma ci serve il tuo aiuto per isolare il
virus e trovare un antidoto”.
Cameron annuì, “Sono
disponibile”, proclamò, “Devo sapere altro?”
Lisa annuì, “In passato
il paziente è stato vittima di un infarto e a tutt’oggi è in cura
antidolorifica”.
Cameron appuntò con
perizia quello che la dottoressa stava dicendo, le ciglia aggrottate, le labbra
unite in una linea continua.
“Allergie?”
Lisa scosse la testa, “A
quanto ne sappiamo, nessuna.”
“Non è comunque da
escludere”, la informò Cameron, “Alcuni antibiotici a contatto con veleni,
possono avere dei brutti effetti collaterali”.
La Cuddy annuì, “Si, lo
so”
Cameron si alzò dalla
sedia, senza togliere lo sguardo da quello della dottoressa.
“Posso…” attese un
momento, imbarazzata, “Potrei andare a prendere il mio camice?”
Lisa annuì con un
sorriso, “E’ al solito posto”, la informò.
Cameron le sorrise,
ignorando il pesante magone che le era ritornato nello stomaco. Inesorabile.
S’incamminò verso
l’uscita, quindi si voltò di scatto.
“Dottoressa?” la chiamò.
La Cuddy alzò il capo di
scatto, “Si, Cameron, dimmi”.
“Posso sapere il nome
del paziente?”
Lisa inspirò
profondamente, quindi lasciò andare il respiro con lentezza.
“Gregory House”,
sussurrò.
“Everything
follows everything, I’m tying to belive. Everything follows, I’m trying... and
someone singin’ to me...and I would be, with you again...”
Elisa, “In
the Green”
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Capitolo 6 *** Total eclipse of the heart ***
TOTAL ECLIPSE OF THE HEART
TOTAL ECLIPSE
OF THE HEART
Capitolo 6
*Gregory
House*
Tubi.
C’erano tubicini di
plastica trasparente che entravano senza consenso nella sua bocca.
Sentiva la gola
secca, la labbra aperte innaturalmente.
La luce alogena lo
costrinse a chiudere nuovamente gli occhi. La violenza con cui colpiva la sua
povera retina era insopportabile.
E il sangue.
Distingueva
perfettamente l’odore ferroso del sangue dappertutto. Sulle mani, sulle labbra,
sul collo.
I polmoni ricevevano
affaticati l’ossigeno che quei maledetti tubi spingevano nel suo corpo.
E sentiva freddo.
Dannatamente freddo.
In lontananza udiva
voci sconosciute che parlavano concitatamente.
Che modo orribile di
morire.
Appiccicato ad una
maledetta macchina che gli pompava l’ossigeno nei polmoni, senza la vicinanza di
qualcuno caro al suo cuore.
Una persona in
particolare.
Allison.
L’aveva vista passare
dinanzi alla sua stanza, prima di non essere più in grado di respirare.
Aveva visto
distintamente i suoi occhi verdi come smeraldo, risplendere nella luce bianca
delle lampade al neon del corridoio.
Li aveva visti, e
aveva sperato che si voltassero per un misero istante a soffermarsi nei suoi.
Se avesse potuto,
avrebbe ridacchiato.
La vicinanza della
morte, porta ad essere romantici?
Non lo avrebbe mai
sospettato…
Eppure si augurava di
avere ancora un momento da vivere per poterle parlare.
Si sa, la morte rende
vigliacchi, ma probabilmente, più che la morte, era stato l’amore a renderlo
tale.
Voleva chiederle
scusa.
Per tutte le volte
che l’aveva rifiutata, per quelle in cui le aveva fatto versare lacrime amare. E
voleva scusarsi per non aver avuto il coraggio di ammettere i suoi sentimenti.
Non era come
prometterle di vivere insieme in eterno, felici e contenti.
Si trattava solo di
guardarla negli occhi, e dirle che aveva avuto ragione da subito.
Da sempre.
Voleva dirle che era
innamorato. Come poteva essere innamorato un moccioso del liceo…
Se ne avesse avuto
l’opportunità, avrebbe riso di se stesso.
Gregory House che
ammetteva le sue debolezze. E non solo. Stava anche ammettendo di amare Allison
Cameron.
Da morire dal ridere.
Chissà, forse avrebbe
avuto modo di farlo.
O forse no.
Qualcuno aveva la sua
vita nelle mani. Si augurò solo che sapesse maneggiarla a dovere.
Continuava a sentire
un freddo becco.
Dannazione! Perché
qualcuno non lo copriva con qualcosa??
Incompetenti, come al
solito.
Lui stava per
lasciarci le penne, e la Cuddy gli metteva al seguito uno suolo di medici
incompetenti.
La famosa legge del
contrappasso?
All’improvviso, un
tocco gentile, gli prese una mano.
Sentì una lieve
pressione calda, benefica, diffondersi dalla mano fino al polso, per salire su
per il braccio.
Istintivamente si
rilassò.
Qualcuno, aveva preso
la sua mano tormentata dalle flebo, e la stava tenendo tra le sue.
Il cuore gli batté
più velocemente.
Era di questo, che
aveva bisogno?
Di un misero contatto
umano?
Stava decisamente
diventando un vecchio rincoglionito.
Smaniare per un
semplice tocco… divertente!
Se solo fosse stato
in grado di aprire gli occhi, era certo di trovarsi davanti il viso di Lisa
Cuddy.
Sarebbe stato un
atteggiamento tipicamente patetico adatto a lei.
Non aveva mai capito
cosa ci provassero le persone, a tenere le mani ai pazienti che stavano per
morire. Lo trovava dannatamente macabro.
Cercò di inspirare,
senza riuscirci veramente.
Voleva riuscire a
prendere il controllo di se stesso, per arrivare ad aprire gli occhi.
Prima di morire,
voleva concedersi un piccolo sfizio.
Sfottere la Cuddy!
Si concentrò…
Non era poi così
difficile no?
Bastava fare una
leggera pressione muscolare sulle palpebre e… voilà, il gioco era fatto.
Sentiva la mano
sconosciuta, aumentare la pressione della stretta, come a volersi sincerare di
trasmettergli un po’ di forza.
Patetico, sì, ma
gentile.
Si concentrò ancora
un po’.
Piano, con calma… non
c’era mica da avere fretta.
Tentò di sospendere
ogni percezione, indirizzando tutte le sue forze sui muscoli degli occhi.
Quando faticosamente
lì aprì, si trovò a fissare un paio di occhi verdi smeraldo.
E poi, più nulla.
“Once upon a
time I was fallin’ in love, but now I’m only fallin’ apart. Nothing I can do,
total eclipse of the heart”
Bonnie Tyler,
“Total eclipse of the heart”
TO BE CONTINUED...
|
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Capitolo 7 *** broken wings ***
BROKEN WINGS
BROKEN WINGS
Capitolo 7
Tu, sei tutto quello che non ho mai capito
di aver voluto.
(Mela & Tequila)
Allison strinse
furiosamente la mano di Greg, mentre Foreman gli stava togliendo i tubi del
respiratore.
L’attacco respiratorio
di House, li aveva preparati al peggio.
Una crisi del genere,
nelle sue condizioni, significava morte certa. Ma lei lo conosceva, Greg non si
sarebbe mai allineato alla media nazionale.
Il grande medico, non
poteva morire in maniera così… semplice.
“Ci è andata bene!”
borbottò Chase, regolando il misurino della flebo.
Era stanco e provato,
sul viso c’erano ancora i segni del terrore di poco prima, ma i suoi occhi,
sorridevano.
Allison annuì, senza
smettere di fissare il viso si Greg.
Aveva avuto così paura
di perderlo.
Era in laboratorio
quando Greg aveva avuto la crisi. Stava isolando il virus per provare
l’antidoto. C’era riuscita, bastava solo aspettare la reazione dell’antibiotico,
e poi House sarebbe stato salvo, e lei… bhè, lei se ne sarebbe tornata a casa di
buon grado.
Ma invece il destino,
aveva deciso di agire diversamente.
E quando si era
ritrovata un Chase sconvolto che farfugliava di morte imminente e crisi
respiratoria, si era sentita morire.
Era corsa da lui, aveva
iniettato l’antidoto nella flebo, incurante di tutto, del defibrillatore che
andava, del monitor impazzito, delle mani che le tremavano, e dell’immobilità di
Greg.
Doveva salvarlo. A
qualunque costo.
Per quanto non
appartenesse più alla sua vita, non avrebbe avuto senso andare avanti senza
sapere che lui c’era.
Sarebbe stato inutile.
Ma Greg aveva reagito
alla cura quasi immediatamente.
E adesso, dopo tre ore,
stavano togliendo i tubi e le flebo con l’antidoto.
Doveva restare ancora in
osservazione, questo si, ma tant’è… era salvo.
Allison guardò
l’orologio.
Tra un po’ lui si
sarebbe svegliato, e lei preferiva non essere nei paraggi.
Ormai non aveva più
nulla da fare lì.
“Io me ne vado”,
sussurrò alzandosi dalla sedia, ma senza lasciare la mano di Greg.
Chase si voltò per
permettersi di guardarla in viso, “Sei sicura? Tra un po’ si sveglierà, gli farà
piacere vederti”.
Allison abbassò lo
sguardo su Greg, fissandolo con dolcezza.
“Ripasserò tra qualche
giorno, non temere!” lo rassicurò, “Per adesso ha bisogno di voi”.
Chase non disse nulla,
si limitò ad abbassare il capo concentrandosi sulla flebo che aveva tra le mani.
Allison lo guardò, poi
guardò Greg.
Sarebbe ripassata, si.
Sorrise, quindi uscì
dalla stanza.
Lisa Cuddy entro di gran
carriera nella stanza di House.
Lo trovò sdraiato nel
letto, con in mano una montagna informe di fogli.
“Quale parte della frase
‘devi riposare’ non hai capito?” domandò fermandosi ai piedi del letto.
House alzò lo sguardo,
sorridendole, “Ciao Adolf!” la salutò, “Come dici, prego?”
Lisa sospirò
infastidita, “House per favore, smettila di lavorare. Solo una settimana fa hai
rischiato di lasciarci le penne, potresti essere un po’ più oculato…ti
pare?”
Lui tornò a guardare i
fogli, “Oculato, dici?” sbuffò, “Mi sono stufato di star qui senza far nulla.
Voglio alzarmi e uscire. Ho una vita, per Dio!”
Lisa si rassegnò,
sedendosi sulla sedia accanto al letto, “Con Wilson abbiamo stabilito di
lasciarti uscire domani. Tanto sarai qui, ti terremo d’occhio!”
“Oh grazie!” borbottò
lui, “Cosa dicono le mie analisi?”
La donna aprì la
cartella che teneva in mano, “E’ tutto ok, House. Non mi spiego com’è possibile
ma stai bene”, lo guardò di sottecchi, “L’antidoto non ha creato complicazioni,
e il Vicodin sembra funzionare come al solito”. Gli fissò la gamba, nascosta da
un lenzuolo azzurro, “Senti dolore?”
Lui la fissò, piegando
il capo a sinistra, “No.”
La Cuddy annuì
compiaciuta. Cameron aveva fatto un ottimo lavoro…
“Dammi il nome
dell’immunologo che mi ha curato”, domandò Greg, sfogliando una cartella
clinica.
“Perché?” domandò lei in
apprensione.
“Perché voglio
regalargli una scatola di cioccolatini”, la canzonò.
“Non sono tenuta a
farlo”, sussurrò lei.
Lui la fissò in
silenzio. La conosceva abbastanza bene da capire che gli stava nascondendo
qualcosa.
“Avanti Raggio di sole!”
ridacchiò, “Giuro che non manderò nessun sicario ad ucciderlo!”
Lei mise le mani sui
fianchi, “Innanzitutto chi ti dice che si tratta di un uomo?”
“Le donne non fanno
lavori così precisi”, si mise una mano sulla bocca, fingendo di essersi pentito
di quelle parole, “Esclusi i presenti s’intende!”
Lei scosse la testa,
nascondendo un sorriso. Non riusciva ad avercela con lui. Dopotutto avevano
rischiato di perderlo, e… bhè, anche essere presi in giro era rincuorante.
“Te lo dirò solo se
prometti che per oggi mollerai il lavoro…”
Lui scosse la testa
indignato, “Ricattatrice!” l’apostrofò. Si drizzò a sedere, “Ma ci sto. Sai che
amo le sfide impossibili!”
“Perfetto!” assentì lei,
con un bel sorriso.
“Dunque?”
“Cosa?”
“Il nome…”
Lei si strinse nelle
spalle, “Te lo dirò domani. Se lo facessi adesso, tu continueresti a fare di
testa tua!”
Greg scosse la testa,
quindi raccattò il telecomando che giaceva sul comodino.
“Devi dirmi altro?” le
domandò.
Lisa rimase per un
momento in silenzio. C’era qualcosa da dire? Effettivamente si. C’erano un sacco
di cose di cui avrebbe dovuto informarlo, ma la verità era che non se la
sentiva.
Non le andava di dirle
che da qui ad una settimana, Cameron sarebbe tornata a lavorare con loro, così
come non avrebbe voluto dirgli che la sua immunologa era felicemente fidanzata
con un nerd dell’ultima categoria.
Un certo Robert J.
Aspen, assistente alla cattedra di psichiatria dell’università.
Ci sarebbe stato tempo.
Doveva esserci sempre
tempo.
“Niente di importante”,
mentì.
Lui annuì, “Allora se
non ti dispiace…” accese il televisore, che rimandò subito la sigla del General
Hospital, “Ho delle cose importanti da fare!”
La Cuddy sbuffò, quindi
si alzò e usci.
Poco dopo ricomparve
sulla porta, “Sei un bastardo lo sai?”
Greg non rispose.
“Ma significa che stai
meglio!” sorrise, quindi uscì lasciandolo solo.
“A cosa pensi?”
Cameron si voltò di
scatto, come se qualcosa l’avesse scottata.
Robert era in piedi di
fronte a lei, con le mani in tasca e l’aria dubbiosa. Scosse la testa
impercettibilmente. Come diavolo le era venuto in mente di frequentare un tipo
del genere?
Non che fosse male,
questo no, però… però non era Greg.
Ecco qual’era il
problema reale.
Aver trascorso due
giorni interi con lui, curandolo, tenendogli la mano.
L’aveva visto morire
e rinascere, e non poteva far finta che non fosse accaduto nulla.
Così come non poteva
ignorare il fatto che in quelle quarantotto ore, non aveva pensato mai a Robert.
Mai.
Sospirò.
“E’ per la questione del
Princeton?” domandò lui.
Allison si strinse nelle
spalle, “Anche”, sussurrò.
Lui si avvicinò,
cercando di prenderle una mano che lei prontamente ritrasse.
“Allie, per cortesia”,
la pregò lui con una nota di rabbia nella voce, “Dimmi cosa diavolo hai. Sto
impazzendo.”
Anche io, pensò lei,
eppure eccomi qua.
“Stavo pensando al caso
House”, disse.
L’espressione di Robert
si fece accigliata, “E perché mai?” domandò, “Tu stessa hai detto che è andato
tutto bene. Cosa c’è da pensare?”
Lei lo guardò stranita,
“E’ pur sempre il mio capo, Rob. Ho il diritto di pensarci quanto mi pare e
piace”, fu dura, ma non se ne curò, “Abbiamo rischiato di perderlo, e…”
Lui si lasciò cadere sul
divanetto scuro, “E’ ancora il tuo capo?” domandò, “Ma non eri tu quella che lo
detestava?”
Il sarcasmo della
domanda non sfuggi ad Allison, “E quindi?”
“Come quindi?” chiese
lui.
“Non tentare di
psicanalizzarmi, Rob”, lo guardò furente, “Non funziona!”
“Hai ragione”, asserì
lui, “Non funziona. Sei cambiata completamente. Mi tieni fuori, mi rifiuti… cosa
ci faccio con una storia finta come questa?”
Allison rimase in
silenzio.
Se l’era domandato più
volte anche lei, e mai aveva trovato una risposta.
Si alzò dalla sedia,
camminando verso l’appendiabiti.
“Dove vai ora?” domandò
lui, alzandosi a sua volta.
“Al Princeton. Voglio
vedere come sta House. E’ parecchio che non ho sue notizie”.
Lui s’infuriò.
“Allison se esci da
quella porta sappi che…”
“E’ finita”, finì lei
per lui, “Hai ragione” assentì, “Meriti di meglio di una come me.”
S’infilò la giacca, e
prese la borsa, “Ci sentiamo Robert”, lo salutò.
Lui rimase ammutolito,
chiedendosi cosa diavolo fosse successo in così poco tempo.
Due minuti prima…
andavano d’accordo, per Dio.
Lei lo guardò un’ultima
volta, quindi aprì la porta e uscì.
Scendendo le scale del
palazzo, si pentì per essere stata così dura, ma non poteva fare altrimenti.
Adesso c’era Greg.
Solo e soltanto Greg.
Era una settimana che
non lo vedeva, e voleva assicurarsi che stesse bene.
Voleva vederlo… vivo.
Pulsante.
Stronzo.
Voleva vedere il suo
Dott. House.
Varcò l’uscio
dell’ufficio della Cuddy, dirigendosi a grandi passi verso la stanza di Greg.
La dottoressa le aveva
detto che House stava meglio e che, probabilmente, l’indomani l’avrebbero fatto
uscire.
Alla sua richiesta di
vederlo, la Cuddy aveva assentito con slancio. A suo avviso, gli avrebbe fatto
bene sapere che lei, nonostante tutto, si stava preoccupando per lui.
Avanzò lentamente
dinanzi alla porta, raccogliendo le sue energie in un bel respirò.
Bussò, e senza aspettare
risposta entrò nella stanza.
Lui giaceva nel letto,
una gamba penzoloni fuori delle coperte.
Quando la vide, non fu
così bravo a mascherare la meraviglia.
“Il figliol prodigo!”
l’apostrofò sarcastico.
Lei non ci badò. Era
troppo felice dentro, di vederlo così.
Anche se significava
beccarsi i suoi insulti.
“House!” lo salutò.
“Che ci fai qui?”
domandò lui, spegnendo la televisione.
“Sono passata a vedere
come stai…”
Lui rise.
Inaspettatamente rise.
“Non eri tu, quella mi
odiava a morte?”
Lei represse una
risatina. Eccome no! Lo odiava a tal punto da avergli salvato la vita. Decise di
non fare il suo gioco, limitandosi a non rispondere.
“Sai che ci sono
immunologi molto più bravi di te?” domandò, rizzandosi a sedere, “Uno in
particolare mi ha salvato la vita! Grandioso!”, le puntò contro l’indice, “Credo
proprio che lo sceglierò per sostituirti. Se fossi stata qui, sarei morto e
sepolto a quest’ora!”
Allison rimase un
momento in silenzio.
Non capiva.
Nessuno aveva detto a
Greg che era stata lei ad isolare il virus? Nessuno gli aveva detto che era
stata lei a salvarlo?
Tuttavia, resse il
gioco. Forse era meglio così.
“Me ne compiaccio”
mormorò.
“Anche io” disse lui.
La guardò ancora, senza
la benché minima traccia di benevolenza, “Cosa vuoi, Cam?”
Scosse le spalle, “Ah
si! Sei venuta a vedere come sto!” si indicò, “Come puoi constatare tu stessa,
godo di ottima salute!”
“Bene…” sussurrò lei, in
imbarazzo.
“Quindi puoi andare!” le
consigliò, “A noi del Princeton non piacciono i traditori!”
“Cosa dici?” gli
domandò.
“Te ne sei andata,
ricordi? Eri così arrabbiata che mi hai anche mandato al diavolo!”
“Credo fosse nei miei
diritti!” ribatté lei, indispettita.
“Mmm”, lui la guardò
dubbioso, “No, non era nei tuoi diritti”, alzò una mano, imitando un generale,
“Al capo si porta sempre rispetto, matricola. Non lo sa?”
Allison scosse la tesa,
“Che bastardo arrogante”.
“Puoi andare Cameron”,
disse lui.
Lei lo fissò risoluta.
Non era arrivata fin lì per essere cacciata di nuovo.
“Non voglio”, rispose.
Lui si voltò si scatto,
“Non vuoi?” ripeté pensando di non aver sentito.
“Esatto. Sono passata a
trovarti e…”
“Mi hai trovato”,
concluse lui, “Mi hai parlato, e adesso puoi andartene”.
“Perché?” domandò lei. E
quella domanda, ne nascondeva un’altra ben più profonda.
“Perché, cosa?”
“Perché continui a
rifiutarmi?”, abbassò lo sguardo, “Sono qui per te, capisci? Perché ero
preoccupata. Non voglio nient’altro che saperti…” lo guardò, “Vivo”.
“Oh ma come sei
altruista!” la prese in giro lui, “Te ne sei andata, non ci faccio nulla con la
tua pena”.
“Non è pena”, lo
corresse lei.
“Ah no, giusto! E’
amore, vero?”
Lei si sentì morire.
Eppure non era mai stato così caustico.
Scosse la testa, senza
dire nulla, e s’incamminò verso l’uscio.
“Stammi bene, House”.
Lui la guardò uscire, e
nella sua testa si accese un’immagine nitida, fino ad allora sopita chissà dove.
Due occhi di smeraldo
che lo fissavano terrorizzati.
In my opinion
seeing is to know
The things we hold
Are always first to go
And who's to say
We won't end up alone
Alter Bridge,
“Broken Wings”
TO BE
CONTINUED...
|
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Capitolo 8 *** why ***
WHY
WHY
Capitolo 8
Non rinunciare mai a quello che ami,
altrimenti perderai per sempre la tua
parte migliore
(Per Amore)
Greg entrò nell’ufficio
della Cuddy, roteando lentamente il bastone.
Erano passate due
settimane dalla famosa crisi respiratoria, e lui aveva cominciato a lavorare a
pieno regime.
Invero, si sentiva
stanco.
Come se il peso del
dolore e della non accettazione, si facesse sentire più del consentito.
Aprì la porta,
trovandosi di fronte Jimmy e la dottoressa.
“Cosa fai tu qui?”
domandò all’oncologo, senza celare il disappunto.
Ultimamente, mal
sopportava intrusioni o sorprese.
“Ti stavamo aspettando”,
rispose l’altro senza dar peso all’evidente malumore dell’amico.
Se ne sarebbero occupati
dopo.
“Ah bene! Cos’è una
trappola? Mi volete qui per farmi il lavaggio del cervello o che so io?”
Cominciava ad averne
abbastanza anche di loro.
Loro che non facevano
altro che dirgli cosa fare e cosa non fare ‘House il paziente ti aspetta’,
‘House quella cura è una follia’, ‘House qui, House lì’… ne aveva le palle
piene.
E non voleva nasconderlo
a nessuno.
Dopotutto non erano loro
i paladine del ‘condividiamo le angosce e i dolori?’
Quindi decise che
avrebbe condiviso.
“Ci sono cose importanti
che dobbiamo discutere insieme”, interloquì Lisa guardando entrambi i medici,
“Tutti e tre” precisò.
“Non avevi abbandonato
l’idea di avere un figlio?” domandò Greg, sedendosi di fronte alla scrivania,
“Bhè se ci hai chiamati perché vuoi il nostro seme” la fissò lungamente negli
occhi, “Scordatelo! Non regalo spermatozoi al primo che passa!”
Lisa incassò il colpo
senza battere ciglio. A dir la verità l’umore nero di Greg, non lasciva
presagire nulla di buono.
“Non temere, non sei qui
per questo”, lo rassicurò sarcastica.
Lui sospirò
rumorosamente, “Bene”, fece per alzarsi, “Quindi me ne vado. Ho ambulatorio” la
fissò, “E non posso proprio arrivare in ritardo!”
La Cuddy si spazientì,
“Resta dove sei”, intimò, “Dobbiamo parlare”.
Forse era stato il suo
tono perentorio, o forse l’idea di andare in ambulatorio era talmente oscena da
non essere nemmeno presa in considerazione, tant’è che Greg si rimise seduto.
Inaspettatamente
remissivo.
“Ricorderai che qualche
tempo fa, ti avevo chiesto i documenti di licenziamento di Cameron”, attaccò
lei, fissandolo negli occhi, “Ebbene, siccome hai deciso di non darmeli, sono
sorti dei problemi”.
Lui ridacchiò, “Ti
arresteranno?” domandò, fingendosi preoccupato, “Che terribile disdetta! Dovrai
partorire in carcere!”
Lei scrollò le spalle,
“Direi che quel che aspetta a te, è peggio”, lo ammonì.
“Mi torturerai?”
ammiccò, “Sempre detto che sei una donna sadica!”, la scrutò da capo a piedi,
intensamente, “Con quelle tette, sarebbe difficile dire il contrario”.
Jimmy si mise una mano
di fronte alla bocca per non ridere.
“House piantala!” soffiò
Lisa, “E’ una questione spinosa”.
“Spinoza? Gran
filosofo!” si voltò verso Jimmy, “Non trovi anche tu?” gli domandò.
L’amico gli lanciò
un’occhiataccia, “Non è il caso di scherzare adesso…” consigliò.
Greg si spazientì, “Ok,
ne ho abbastanza!”.
Si alzò dalla sedia,
ponendosi dietro di essa, “Cosa c’è?”
Lisa incamerò aria, “C’è
che Cameron da stamattina è ancora alle nostre dipendenze” disse tutto d’un
fiato.
Lui rimase impassibile,
quindi si voltò per uscire.
Quando arrivò di fronte
alla porta, si decise a parlare, “Quando dicevo nuovo immunologo, presupponeva
il reclutamento di una persona di sesso maschile, che non rispondesse al nome di
Allison Cameron”, si voltò verso Lisa, “Ma come al solito tu non mi ascolti
mai!”
Aprì la porta,
infuriato, “Dannato girl power!”.
Chase passò una tazza di
caffè a Cameron, che sedeva alla scrivania della sala riunioni.
“Mi fa piacere averti
qui”, disse sorridendo.
La ragazza annuì,
fissando la schiena di Foreman, appoggiato alla finestra.
Anche a lei, faceva
piacere essere di nuovo tra di loro.
Certo, sarebbe stato più
difficile del previsto, ma in fin dei conti quella era la sua vera vita.
Il suo lavoro.
I suoi colleghi.
Avrebbe potuto scappare
fino a Timbucktu, ma nessuna distanza sarebbe mai stata sufficiente, per
cancellare una realtà tanto pesante.
Sorseggiò il caffè,
sbirciando la porta.
Non aveva visto ancora
Greg, ma sapeva che quella fortuna non sarebbe durata a lungo.
Stavano lavorando ad un
caso, e presto o tardi lui sarebbe passato a subissarli di dubbi, informazioni e
richieste folli.
Come faceva sempre.
Posò la tazza sul
tavolo, e prese i fogli della analisi del nuovo paziente.
Era un bambino di nove
anni, affetto da strani disturbi del sonno. Purtroppo, se si escludevano
patologie legate a qualche farmaco che ingeriva a causa del diabete alimentare,
avrebbero dovuto indirizzare la ricerca sul campo psichiatrico.
Non se lo augurava.
“E’ pronta la biopsia
del tessuto polmonare?” domandò ai suoi colleghi.
Foreman finalmente si
voltò, “Doveva passare House a prenderla”, sorrise, “Ha un conto aperto con il
tipo delle analisi. Hanno scommesso cento dollari su una puntata di General
Hospital e House ha vinto!”
Cameron scosse la testa.
Sempre il solito.
Non cambiava mai.
“Speriamo di non doverlo
torturare con TAC encefaliche o robe simili. Sarebbe terribile per lui”, mormorò
abbassando lo sguardo sui fogli che teneva in mano.
“Bhè, sono dell’idea che
una bella seduta di elettroshock non arrecherebbe alcun danno!” rise
Foreman.
Cameron strabuzzò gli
occhi, e Chase scoppiò a ridere.
“Sta parlando di House”,
la rassicurò.
Foreman annuì, “Comincio
ad averne abbastanza del suo dannato malumore”, sbuffò con aria contrita, “E’…”
“Rabbioso”, finì
Chase per lui.
Cameron si strinse nelle
spalle, “Sarà a causa del mio ritorno”, sospirò sconfitta.
Erano giunti a questo,
dunque?
Non riuscivano nemmeno a
lavorare insieme dopo quanto era successo?
“Non è da escludere”,
borbottò Chase, andando a prendere dell’altro caffè.
Cameron si voltò verso
la porta a vetri, l’aria pensosa.
Proprio in quel momento
notò Greg camminare di gran carriera verso il suo ufficio, ignorando la sala
riunioni.
Dietro di lui, Wilson.
Di sicuro, aveva preso
il suo ritorno peggio del previsto…
“Per essere zoppo vai
anche troppo veloce!”, attaccò Wilson entrando nell’ufficio.
“Taci!”, lo zittì
l’altro.
“House smettila di fare
il bambino undicenne sgridato dai genitori. Te lo avremmo detto”.
Greg si voltò di scatto,
“Ah si? E quando? Quando me la sarei ritrovata in sala riunioni ad aspettarmi
per un ragguaglio?”
Wilson scrollò le
spalle, “Se non sbaglio sono due giorni che la Cuddy tenta di rintracciarti”.
“Ma smettila” borbottò
l’altro.
“Non capisco cosa ci sia
di così strano”, domandò Jimmy sedendosi, “In fin dei conti è solo Cameron!”
spalancò le braccia, “Quante volte ci hai litigato? Un milione. E sono
altrettante le volte in cui ci sei passato sopra. Non capisco cosa ci sia di
così diverso, adesso”.
“C’è di diverso che
non la voglio. Non voglio lavorare con lei, non voglio averla tra i piedi,
non voglio doverci parlare tutti i giorni!” gridò Greg, infuriato.
“Allora potevi evitare
di smarrire i fogli del mio licenziamento”.
Sulla soglia c’era
Cameron.
Si stringeva le mani sul
petto, il viso teso, gli occhi velati di lacrime.
“Oh perfetto”, bofonchiò
House.
“E’ colpa tua se sono
ancora qui”, continuò lei ignorando volutamente Wilson, “Io ho firmato quei
fogli proprio in questo ufficio, davanti a te. Non puoi averlo scordato”.
Lo fissò intensamente,
“Non puoi aver scordato quello che mi hai detto”.
Lui strinse il bastone
con foga, “E se invece lo avessi fatto?”
Lei fece una smorfia,
“Non lo hai fatto, House”, lo fissò a lungo, “Lo so!”
Lui ridacchiò
indispettito, “Sei una veggente?” la canzonò.
“Lo so perché altrimenti
non sarei qui”, avanzò di un passo verso di lui, “Ti sei voluto lasciare una
scappatoia, non è così? Lo sapevi che sarebbe successo, lo sapevi bene, è per
questo che hai nascosto i termini di recessione”, incamerò aria, “Purtroppo per
te, al General se ne sono accorti molto tardi, quando già avevi cambiato idea”,
si strinse nelle spalle, “E adesso le cavolate che hai fatto ti si stanno
ritorcendo contro”.
“Non tentare di
psicoanalizzarmi”, l’ammonì lui, “Per quello c’è già Wilson”.
Lei scosse la testa,
senza sapere più cosa dire.
Era… vuota.
Completamente svuotata.
Come se quello che le
permetteva di rimanere intatta, si stesse lentamente disfacendo.
“Vuoi che me ne vada,
dunque?”
Lui non rispose.
Lei si spazientì,
“Perché?”
“Non puoi lavorare con
una persona che detesti, no?” disse lui, “Lo hai affermato tu stessa”.
A quel punto, si
infuriò.
Ne aveva abbastanza di
quella storia infantile, e ne aveva abbastanza anche del comportamento puerile
di Greg.
Basta.
Era ora di dire la
verità.
“Pensi davvero che se ti
detestassi così tanto mi sarei adoperata per salvarti la vita?” gli
domandò.
Lui sbarrò gli occhi
stupito.
“Esatto! E’ così. Quando
stavi male”spiegò, “La Cuddy mi ha chiamata pregandomi di venire qui. Sono io il
bravo immunologo che ti ha salvato. Sono io quella che volevi chiamare per
sostituirmi, sai? E sai perché l’ho fatto?”, respirò affannosamente, “Perché
anche se non mi vuoi, anche se mi ripudi, se mi cacci… non potevo pensare di
vivere senza saperti in vita”.
Lo fissò con
risolutezza, “Non ti ho chiesto nulla. Mai. Ma non provare mai più a dire che ti
detesto perché sei il primo a sapere che non è così”.
Greg non fiatò.
All’improvviso si
ricordò di un tocco gentile, forte, caldo, che gli stringeva la mano come per
assicurarsi di non perderlo tra le tenebre.
Si ricordò una voce che
lo pregava di resistere, di reagire, di non mollare. Una voce che gli aveva
rimbombato nella testa per giorni. Distante. Impaurita.
E si ricordò di due
occhi verdi smeraldo che si tuffavano nei suoi, portando con loro la promessa di
salvezza che tanto cercava.
E si ricordò anche le
sue ammissioni in punto di morte. Aveva promesso che, se fosse sopravvissuto, le
avrebbe detto di amarla.
Lo aveva giurato.
“Me ne vado, House”,
interloquì lei, fermando il flusso dei suoi pensieri, “E questa volta faccio sul
serio”.
Si voltò, e uscì dalla
porta.
Le spalle scosse dal
pianto.
Why, do you
always do this to me?
Why, couldn't
you just see through me?
How come, you act like this....Like you just don't care at all
Avril
Lavigne, “Why”
TO BE CONTINUED...
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Capitolo 9 *** wish you where here ***
WHISH YOU WHERE HERE
WHISH YOU
WHERE HERE
Capitolo 9
*Allison
Cameron*
E sempre quella
domanda.
Sempre la solita,
insistente, costante domanda.
Una domanda che si
faceva da mesi… da anni.
Domande, sempre
domande, continuamente domande.
Senza avere mai una
risposta.
Senza aver mai la
possibilità di sentirsi finalmente compresa, accettata, voluta.
E Greg…
Una costante talmente
pesante da non riuscire più a respirare.
Un assillo continuo.
Una voce bassa e roca
che ripeteva continuamente le stesse cose.
Non ti voglio.
Perché? Perché, non
mi vuoi? Cosa c’è di male in me? In cosa sbaglio?
Ecco… sempre domande.
Voglio solo una
risposta, Greg. Soltanto una risposta.
Perché proprio non
capisco cosa c’è che non vada in me. Non lo so davvero.
Potrei starmene un
mese, seduta a pensarci e non lo capirei.
Non lo capirei perché
tu sei il mio mistero.
Lo sei sempre stato.
Non ho scelto io di
innamorarmi di te. Lo hai fatto tu.
Con i tuoi modi, i
tuoi silenzi.
Con le tue
occhiatacce, e le tue battute.
Io che non credevo di
essere ancora toccata dall’amore, mi sono dovuta ricredere.
E sono caduta a
terra, sconfitta, sapendo che quel peso che sentivo dentro, invece di diminuire,
sarebbe aumentato esponenzialmente.
Come posso privarmi
di te?
Come posso andarmene
ancora, senza aver paura di non vederti mai più?
Ti ho detto che
volevo solo saperti in vita, ma mentivo.
Vorrei averti qui.
Ora.
Adesso.
Vorrei poter
dimenticare il male che mi fai, il cuore che sanguina, la testa che esplode.
Vorrei solo riuscire
a trovare un modo per lasciarti andare.
O che lo trovassi tu.
Lasciami andare,
Greg, te ne prego.
Non posso vivere
avendoti accanto e sapendo di non poterti avere.
Non ci riesco.
Ho provato, Dio se
l’ho fatto! Ho provato a non pensarti, a non vederti, ad ignorarti…
Ma è stato il destino
a riportarmi da te. Un destino beffardo che mi ha messo tra le mani la tua vita.
Cosa c’è di più
prezioso per me?
Ed ero terrorizzata,
Greg.
Avevo paura di
sbagliare, di commettere un errore che ti avrebbe strappato a me per sempre.
E ti stringevo la
mano per assicurarmi di tenerti con me.
Ti avrei cullato, se
me lo avessero permesso.
Non importa se poi
non me lo avresti perdonato. E se non te ne fossi ricordato.
Lo avrei fatto perché
non potevo credere di perderti.
E la tua mano che si
faceva sempre più fredda, e il tuo viso immobile, gli occhi chiusi.
Non sai come mi sono
sentita, dentro.
Pensavo che, da lì ad
un minuto sarei esplosa in mille pezzi.
Pensavo di non
riuscire a sopravvivere.
E invece mi hai
ascoltato.
Hai preso a respirare
e in quel momento ho sentito il mio cuore esplodere.
Come posso, dunque,
ignorare tutto questo?Come posso non volerti amare dopo aver sentito il tuo
cuore fermarsi e poi rinascere?
Non me lo chiedere,
Greg.
Non lo fare.
Me ne andrò se è
necessario, ma non domandarmi di smettere di amarti.
Non potrei farlo.
Sarebbe come tradire
il mio cuore.
Sarebbe come tradire
il tuo.
Perché so che il tuo
cuore risponde al mio richiamo. Lo vedo nella vasta profondità dei tuoi occhi
chiari, quando mi guardi.
E ti ho sentito
muoverti verso di me.
Ti ho sentito
chiedermi di restare.
E non me ne andrò.
Non posso farlo.
Se solo…
Se solo fosse facile
rinunciare a te.
Se solo ce la
facessi.
Vivrei senza una
parte di me, ma continuerei a vivere. Terrorizzata e pure soddisfatta del mio
istinto di sopravvivenza.
E’ così, sai?
E’ quell’istinto, che
mi permette di andare avanti.
Vorrei che adesso
fossi qui.
Per guardarti negli
occhi.
Per sentirti
respirare.
O forse, solo per
sentirti dire che non mi ami.
Sarebbe più facile.
Sarebbe più semplice.
Sarebbe conveniente…
“How I wish,
how I wish you where here… We’re just two lost souls swimmin’ in a fish bowl
year after year. Runnin’ over the same old ground but have we found the same old
fear. Wish you where here...”
Pink Floyd,
“Wish you where here”
To be
continued...
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Capitolo 10 *** Ti sento ***
TI SENTO
TI SENTO
Capitolo 10
Non abbiamo la possibilità di cambiare
molte cose che la vita ci mette davanti, ma possiamo scegliere come affrontarle,
come farci influenzare da esse, e quanto lasciare che ci trasformino dentro.
(Kate Kann)
“Dov’è Cameron?”
Greg entrò nell’ufficio
della Cuddy, con l’aria contrita.
“Perché?” domandò lei,
senza alzare lo sguardo dalla cartella che stava leggendo.
“Sono due giorni che non
si presenta a lavoro”, spiegò lui con una nota d’ansia nella voce.
Lisa alzò finalmente lo
sguardo, “E’ una tua assistente. Non mia. E’ un tuo problema”.
Greg sbuffò, quindi
prese a camminare in circolo per l’ufficio.
“A casa non risponde”,
sbirciò l’ingresso dell’ospedale, “E nemmeno al cellulare”.
Lisa non rispose.
“Mi hai sentito?”
“Cosa vuoi che ti dica,
House?”, sbottò lei, “Non so dove sia, ne cosa faccia, non ne ho la più pallida
idea”.
Lui la guardò di
traverso.
“Non fare quella
faccia”, l’ammonì puntandogli contro l’indice, “Non so che cos’hai combinato, e
non voglio nemmeno saperlo, ma sono sicura che la responsabilità sia tua”.
Lui evitò di rispondere.
Chissà perché, ogni
volta che si trattava di Cameron, lui doveva necessariamente esserci di mezzo.
Ok, ok, questa volta era
colpa sua, doveva ammetterlo, però stava cercando di recuperare no?
Si stava preoccupando.
“Devi aiutarmi”,
bofonchiò poco convinto.
Lisa sorrise, “In che
modo?”
Lui si voltò di scatto,
“Sei o non sei una donna?”
“E con questo cosa
vorresti insinuare?”, domandò lei sulla difensiva.
Lui scrollò le spalle,
“Se sei una donna, sai come ragionano quelle del tuo genere”, spiegò, “Quindi
dimmi come ragiona Cameron”.
“Non sono mica una
psichiatra”, obbiettò lei.
“Oh andiamo, raggio di
sole!” sospirò lui, “Non me la stai rendendo semplice”.
Lei inspirò, quindi si
alzò, avvicinandosi alla finestra dove sostava lui.
Fissarono per un istante
l’esterno, senza parlare.
“Non è una malattia,
questa”, disse lei a voce bassissima, “Sono sentimenti”.
“Cosa cambia?”
chiese lui, ostinato.
“Non puoi prevenirla.
Non puoi diagnosticarla”, si voltò per permettersi di guardarlo, “E soprattutto
non puoi curarla”.
“Eppure c’è un decorso
anche qui”.
Lei annuì
impercettibilmente, “C’è sempre un decorso. Per tutto. Ma durante la malattia
sei inerte. O c’è, permane, ti conquista, o la debelli. Con l’amore non funziona
così, sai?
Hai la possibilità di
scegliere come agire. Puoi viverlo, senza remore, oppure puoi ignorarlo. L’unica
cosa che lo differenzia da una malattia, e che devi tener conto della persona
per cui provi quelle emozioni”.
Greg non rispose, si
limitò a fissare dinanzi a se.
“Lei è innamorata di te,
House. Ma questo non ti permette di sputarle contro il tuo cinismo”, chiarì
Lisa, “Non puoi calpestarle il cuore ogni giorno, e pretendere che lei stia lì
ferma senza dire nulla”.
Lui si voltò, rimanendo
ostinatamente in silenzio.
Cosa avrebbe dovuto
fare, dunque?
Cosa?
Non era bravo con queste
cose. Non lo era mai stato. E trovarsi a parlare con Lisa Cuddy di questo, aveva
del paradossale.
“Me ne vado” disse solo.
Lei si voltò, rimanendo
a guardare la sua schiena che si allontanava.
“Buona fortuna, Greg”,
sussurrò.
Allison si versò
l’ennesima tazza di caffè, quindi se ne tornò sul divano.
Non sarebbe andata a
lavorare nemmeno quel giorno.
Si doveva concedere del
tempo per pensare.
Si sfilò i calzettoni di
spugna che indossava, e poggiò i piedi bollenti sul pavimento fresco.
Il contrasto di
temperatura, le provocò un brivido.
Sorseggiò il caffè
lentamente, tentando di svuotare la mente.
Si era imposta di non
pensare. Doveva semplicemente trascorrere qualche giorno, senza rimuginare su
ciò che le stava accadendo.
Sulla situazione
controversa che stava vivendo.
Chiuse gli occhi e si
distese, controllando il respirò.
Sentì i muscoli della
schiena rilassarsi, quindi respirò più profondamente.
Qualche istante dopo, il
campanello suonò.
A piedi nudi si diresse
verso il portone, giro la chiave nella porta, quindi aprì.
Di fronte a lei, Greg.
La testa china, lo
sguardo colpevole, e il peso del corpo abbandonato contro il muro.
“Cosa vuoi?” domandò
freddamente.
“Posso entrare?”
Lei rimase un momento
immobile, indecisa sul da farsi, quindi si scansò per permettergli di passare.
“Cosa vuoi?” ripeté
ostinata.
“Sei malata?” tergiverso
lui, camminando per il salotto.
“No”.
“E allora come mai, di
grazia, non sei a lavoro?”
Lei si sedette sul
divano, senza preoccuparsi di averlo alle spalle.
“Temo che la mia
presenza non sia gradita, in ospedale. Non mi va di stare in un posto dove non
vengo apprezzata per il lavoro che faccio”.
Era stato lui a buttarla
sul lato professionale no? Quindi avrebbe continuato su quella linea.
Anche se doveva
ammettere, che ignorare il tonfo sordo e accelerato del suo cuore, si stava
rivelando una vera e propria impresa.
“Ti sbagli”, obbiettò
lui.
“Quindi la devo
considerare un’intolleranza soggettiva?” ridacchiò.
Lui era decisamente in
imbarazzo, ma non se la sentì di essere magnanima. Non se lo meritava.
“Non me la renderai
facile vero?” domandò lui, piazzandosi proprio di fronte a lei.
“Cosa c’è da rendere
facile?” chiese lei a sua volta, “Mi sembra avessimo stabilito quello che era
semplice e quello che invece non lo era”.
“Tu lo hai stabilito”,
contestò lui, “Non io!”
“Ah!” esplose lei, “Hai
ragione. Tu sei quello che…” fece finta di pensare, “Aspetta che ti cito: non
voglio averla tra i pedi, e non voglio essere costretto a parlarci ogni giorno”,
lo guardò furente, “Cosa diavolo dovrei fare secondo te? Fingere di non aver
sentito?”
Greg chinò il capo.
Com’è che aveva detto la
Cuddy? Ah già, non avrebbe dovuto sputarle contro il suo cinismo.
“Mi spiace”
sussurrò. E si stupì da solo di quelle parole.
“Prego?”
“Mi spiace”, ripeté con
un filo di voce.
Alzò la testa, per
permettersi di fissarla negli occhi, “E grazie”.
Lei lo guardò senza
sapere cosa dire.
“Quando ho avuto
quell’attacco… bhè ti ho sentita Cam. Ho sentito la tua mano, la tua
voce…ho visto i tuoi occhi” deglutì, respirando a fatica. Era molto più facile
essere sarcastici.
“Non so perché ho voluto
ignorarlo…” sospirò, “Ma mentre ero lì, senza sapere cosa diavolo stesse
succedendo, mi sono fatto una promessa…”
Allison lo guardò senza
fiatare. Stava succedendo qualcosa. Se lo sentiva nelle ossa.
Ma chissà perché si
sentiva come se quello che aveva sempre sognato, si stesse trasformando
nell’incubo peggiore che avesse mai temuto.
“Mi ero promesso di non
fingere di non sentire…”, ridacchiò, “bhè quello che sento! Ma è stato
difficile”, si sedette accanto a lei, quindi si voltò, “Per me è più facile
essere quello che sono piuttosto che mostrarmi debole”.
“Non lo saresti nemmeno
se fingessi”, obbiettò lei, la voce roca.
Lui ridacchiò di nuovo.
Un chiaro segno di nervosismo.
“Eppure è quello che ho
sempre pensato. Ho sempre considerato i sentimenti robetta da donnacce…” la
fissò in silenzio, “Ma poi mi sono dovuto ricredere. Non pensavo avessero a che
fare anche con me, e invece mi riguardavano eccome”.
“Qual’era la promessa?”
domandò lei, le guance in fiamme, il cuore che pulsava forte, sembrava che
volesse uscirle dal petto.
“Che ti avrei detto
quello che sto per dirti…”
Allison rimase in
attesa.
Aveva assurdamente paura
di quello che le sue orecchie stavano per sentire.
“Sono innamorato, Cam”,
mormorò, in evidente imbarazzo.
“Innamorato?” balbettò
lei.
“Innamorato sì”, ripeté
Greg, “Di te”.
Istintivamente, Allison
prese distanza da lui.
“Questo…”, lei deglutì,
“Questo cosa significa?” domandò.
“Non significa nulla.
Significa che sono innamorato di te.”
Allison scosse la testa,
ancora incredula di quello che aveva appena sentito.
Cosa diavolo stava
succedendo?
E stava succedendo
davvero?
“Cosa dovrei fare?” gli
domandò con ansia.
Lui scosse la testa a
sua volta, “Niente. Non voglio niente da te, volevo solo che sapessi quello che
mi sa succedendo”, incamerò nuovamente aria.
Gli sembrava di
soffocare, e sentiva veramente troppo caldo.
Dannatamente caldo.
“Ti ho mandata in ferie
perché non sopportavo di averti intorno…”
Lei fece per ribattere,
ma lui la fermò con un cenno della mano, “Non volevo averti intorno perché era
difficile ignorare quello che sentivo. Smanioso di vederti e pure dannatamente
arrabbiato per quello che mi stavi facendo provare. Non riuscivo a
sostenere quelle emozioni ok? Non ci riuscivo. Stavo per impazzire, e l’unica
cura che ho trovato a tutto questo era allontanarti…”
Adesso lei stava
piangendo. Le lacrime le rigavano il volto, saltando poi sulle ginocchia che
teneva piegate contro il petto.
“Non sapevo cosa fare…”
“Avresti potuto
parlarmene, almeno”, considerò lei.
“E per dirti cosa?”
ridacchiò lui.
“Quello che mi ha detto
adesso”, inspirò profondamente, “Greg” lo chiamò per nome, “Se non fossi stato
male, adesso non saresti qui a raccontarmi queste cose. Se non ci fossi stata io
lì, a tenerti le mani durante l’attacco respiratorio, tu non saresti qui adesso.
Se il destino avesse preso un’altra strada questa conversazione non ci sarebbe
mai stata”.
“O forse si”, azzardo
lui, con un mezzo sorriso.
“Non posso Greg,
mi spiace”, sospirò Allison, ricominciando a piangere.
“Cosa?”
“Non posso far finta di
niente”
“Non devi più farlo,
adesso”
Lei scosse la testa, un
sorriso amaro a dipingerle il volto, “Proprio non capisci vero?”
“Cosa dovrei capire?”
Si alzò, camminando con
fare nervoso per la stanza, “Come faccio adesso? Come faccio a lavorare con te
dopo quello che mi hai detto? Io voglio lasciarti andare Greg, voglio essere
libera ma…” strinse i pugni, “Dannazione non ce la faccio”, il suo viso si fece
più dolce, “Io ti amo… ma stare con te significa morire…non posso
sostenerlo”.
Greg annuì, quindi si
alzò in piedi e raccattò il suo bastone.
Deambulò lentamente
verso di lei, lasciandosi accarezzare dal suo fiato caldo che fuoriusciva
accelerato dalle sue labbra morbide.
Si avvicinò e la
baciò.
Sfiorandole le labbra e
socchiudendo gli occhi, sentì per la prima volta il suo sapore.
“Ciao Cam”, la salutò.
Gli occhi di lei si
riempirono di altre lacrime, che ben presto cominciarono a scendere.
Inarrestabili.
Lo guardò uscire, e
chiudersi la porta alle spalle.
Cadde a terra, in
ginocchio. I singhiozzi disperati a riempire la stanza.
“Qui con la vita non si
può mai dire
Arrivi quando sembri
andata via… ti sento dentro tutte le canzoni, in un posto dentro, che son io ti
sento…”
Luciano Ligabue, “Ti
sento”
To be continued…
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Capitolo 11 *** L'amore comunque ***
L
L’AMORE COMUNQUE
Capitolo 11
Alcune cose ci sfuggono perché sono così
impercettibili che le trascuriamo. Ma altre non le vediamo proprio perché sono
enormi.
(R.J. Pirsing)
Camminò lentamente lungo
il corridoio del Princeton, gli occhi fissi sulle scarpe, la testa che pulsava
al peso dei pensieri che la riempivano.
Aveva pianto ancora una
volta.
Aveva passato l’ennesima
notte in bianco.
Sospirando, entrò nella
sala riunioni, salutando a mala pena Foreman e Chase.
Prese la sua agenda e
una tazza di caffè, quindi si sedette accanto alla finestra, continuando a
rimuginare.
Le sembrava di non fare
altro, da una settimana a quella parte.
E lo vedeva.
Era nel suo ufficio,
muoveva il capo al ritmo della musica, e nel frattempo leggeva qualcosa al pc.
Le mancava.
Dio, se le mancava.
Le mancava soprattutto
il senso di attesa che l’aveva pervasa nei mesi passati. Quel meraviglioso, e
insieme terrificante, senso di mistero che aleggiava sulla sua vita.
Il sapere e non sapere
che lui, in un modo del tutto particolare, teneva a lei.
Lo sapeva, eppure aveva
sempre ignorato quella possibilità.
Probabilmente timorosa,
di ciò che comportava concedersi totalmente a lui.
Sapeva di aver fatto la
scelta migliore per se stessa, era cosciente che il suo piccolo e fragile cuore
non avrebbe retto, eppure sentiva di essersi trattenuta.
Come sempre.
Avrebbe voluto
abbracciarlo, quel giorno, avrebbe voluto concedersi a lui senza riserve,
donarsi completamente come aveva sempre desiderato, ma…
Sempre quel dannato ed
insistente ma.
Quel ma che le impediva
di vivere completamente dei sentimenti talmente forti da farla sentore viva.
Forse per la prima volta.
Sospirò, alzando il
capo.
I suoi colleghi se ne
stavano seduti al tavolo a guardare le rispettive documentazioni, apparentemente
ignari di quello che era successo solo qualche giorno prima.
Ignorando, soprattutto,
il suo dolore costante.
Forse era meglio
dedicarsi al lavoro, sul serio.
Greg era stato
estremamente professionale, durante quei giorni, e anche se la cosa l’aveva
sulle prima fatta soffrire, aveva accettato di buon grado di assecondare i suoi
passi.
Quel ballo, da ora in
poi, avrebbe dovuto funzionare.
Per forza.
Si sforzò di
concentrarsi sul caso Blim, ma senza risultati concreti.
“Come siete messi, con
le analisi?” domandò per non sentire il rumore dei suoi pensieri.
Chase alzò il capo,
abbandonando la sua penna sopra i fogli.
“Dobbiamo fare le prove
di coagulamento,e poi si può procedere”, le spiegò.
Cameron annuì, quindi si
alzò dalla sua seduta, raccattando il tesserino.
“Me ne occupo io”, li
informò con voce forzata, “Vado subito”.
Gettò un’occhiata
all’ufficio di Greg.
“Lo avvertite voi,
per favore?” domandò con tono implorante.
Greg uscì dalla sala
riunioni, incamminandosi verso la camera di Dylan Blim.
Non poteva continuare ad
evitarla.
Se la decisione che
avevano –aveva- preso, era definitiva, avrebbe dovuto cominciare a conviverci
con consapevolezza.
Spalancò la porta senza
bussare, esibendosi in uno dei suoi migliori sorrisi.
Fissò il braccio del
paziente, quindi Cameron, quindi la signora Blim.
“Impressionante vero?”
domandò chinando il capo a sinistra, “Mandare una bella donna per tagliuzzare un
braccio, ha del paradossale!”
La signora Blim si
sforzò di sorridere, guardando Cameron con aria interrogativa.
“Sono il Dr. House”, si
presentò con tono amabile.
“Molto lieta”, balbettò
la donna, recuperando un minimo di contegno.
“Allora, Superman!”
gridò House, “Come andiamo con quel sangue?”, finse di annusare l’aria,
“Dovrebbe essere buono! Un vampiro impazzirebbe!”
Cameron lo fulminò con
lo sguardo, dopo aver notato la signora Blim trasalire.
“Aggiornami”, domandò
perentorio.
“Al terzo esame possiamo
stabilire che la coagulazione non ha problemi”, disse lei molto
professionalmente.
“Fantastico!” esclamò
House allargando le braccia, e puntando il bastone verso l’alto, “Signor Blim,
possiamo toglierle quel maledetto tappo nell’orecchio!”
“Cosa?” domandò la
signora Blim incredula.
House si sporse verso di
lei in tono confidenziale, “Mai sentito parlare di cotton fioc? Suo marito ha un
tappo che… fiuu!” fischiò, “Farebbe impallidire il Principe del Cerume!”
“Io non capisco”,
mormorò la Blim, scuotendo il capo.
“Certo che non capisce!
Altrimenti cosa l’ho presa a fare la laurea?”
“House, cosa vai
blaterando?” domandò Cameron.
“Labirintite”, spiegò
lui scuotendo il capo, “Causata da… bhè da quello schifo che ha nelle orecchie!”
Cameron si alzò,
lasciando una garza sul braccio del paziente.
Si avvicinò ad House, e
lo trascinò fuori della stanza, senza dare nessuna spiegazione.
“Cosa dici?” gli
domandò.
Lui la fissò stranito.
Quel contatto… saldo,
forte…
“E’ labirintite”, ripeté
“E perché non me lo ha
detto prima?” lo accusò, mettendo le mani sui fianchi.
“Perché l’ho scoperto
solo ora”, disse lui stringendosi nelle spalle.
Cameron sbuffò.
“Cosa dobbiamo fare
dunque?”
“Mandarlo da un
otorino!” scherzò lui, “Con la speranza che non gli vomiti in testa”.
“Smettila!” lo ammonì
lei, mascherando un sorriso.
“Vai da Foreman e digli
che tra un’ora lo aspetto qui per procedere”.
Cameron annuì, quindi,
senza aggiungere altro, s’incamminò verso la sala riunioni.
Greg entrò nell’ufficio
di Wilson senza nemmeno salutare, si sedette su quella che ormai considerava la
sua poltroncina, e allungò le gambe con una smorfia di dolore.
“Ciao a te!” lo canzonò
Wilson, con una smorfia.
“Non fare la
fidanzatina gelosa, adesso!” lo ammonì l’altro, poggiando il bastone accanto
alla poltroncina.
“Cosa ti serve, House?”
andò al sodo l’altro.
Lui incrociò le mani sul
petto, “Mmmm…” mormorò assumendo un’espressione meditabonda, “Vediamo… una gamba
sana, un bel burrito, una scena di sesso nel prossimo episodio di General
Hospital e un po’ di Vicodin!” sorrise poi.
Wilson scosse la testa.
Estrasse il libretto
delle ricette, e scrisse velocemente la prescrizione.
“Come va?” domandò,
fissandolo.
Era ben chiaro ad
entrambi che non si stava riferendo alla gamba.
“Benone! Cosa potrei
volere di più?” scherzò Greg.
“Hai provato a…voglio
dire…”
“Cosa?”
“A parlarle?”
Greg raccattò il suo
bastone, e cominciò a ridere.
“Com’è che date tutti lo
stesso consiglio?” bofonchiò infastidito, “Se è andata male la prima volta, cosa
ti fa pensare che la seconda sia differente?”
Wilson si passò le mani
sugli occhi, con fare stanco.
“Hai ragione. Nessuno
assicura niente”, sospirò, “Però…voglio dire… non ti senti più leggero?”
House scoppiò a ridere,
quindi si incamminò verso l’uscio. Sventolò la ricetta con fare divertito,
“Grazie, comunque”, mormorò uscendo.
Wilson rimase per un po’
a fissare la porta chiusa.
Era dispiaciuto di come
erano andate le cose, ma doveva ammettere di averci pensato ad una conclusione
simile.
Cameron si era spezzata
il cuore con le sue stesse mani per lui, ed era inevitabile che, presto o tardi,
ne avrebbe avuto abbastanza.
Un tocco leggero, lo
riscosse.
“Avanti”, disse.
La porta si aprì,
lasciando entrare una Cameron pallida e stravolta.
“Ciao Cameron”, la
salutò senza dar peso al suo evidente stato d’animo.
“Salve”, lo salutò lei
con un sorriso debole, “House non è qui?” domandò poi guardandosi attorno.
“Mi spiace”, si scusò
lui, “E’ uscito qualche minuto fa”.
“Capisco”, sussurrò lei
chinando il capo.
“Posso esserti d’aiuto
io?”
Lei alzò la testa di
scatto.
“Lei? Oh, bhè…”
ridacchiò, “A dir la verità volevo solo vedere come stava”, confessò in
imbarazzo.
“Non bene”, rispose lui
in tono grave, “Credo abbia ricevuto la prima porta in faccia della sua vita.
Deve farci ancora i conti”, tentò di sorriderle, “Ma vedrai che si riprenderà
presto. E’ o non è un bastardo misantropo?” scherzò.
Cameron gli sorrise
grata, quindi si voltò per uscire.
“E tu?” domandò lui,
costringendola a voltarsi nuovamente, “Tu come stai?”
I suoi occhi si fecero
improvvisamente rossi, “Io?” ridacchiò, “A pezzi”
Wilson non disse nulla.
La capiva.
La capiva meglio di
quanto lei stessa potesse immaginare.
“Posso fare qualcosa?”
le domandò.
Lei ci pensò un attimo,
quindi annuì, “Saprebbe dirmi dov’è andato?”
Wilson sbirciò
l’orologio, quindi tornò a guardarla, “Credo sia a casa adesso”.
Lei annuì,
sorridendogli, “Grazie dottore”.
Uscì di gran carriera,
improvvisamente consapevole di ciò che doveva fare.
Andare da lui.
Subito.
“E guarda l'amore che non
ha commenti
da fare.
L'amore comunque che non ha paura del mare
da attraversare…”
Francesco De Gregori,
“L’amore comunque”
To be continued…
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Capitolo 12 *** Ballando al buio ***
BALLANDO AL BUIO
BALLANDO AL BUIO
Capitolo 12
Oggi smetto di fuggire dal passato, oggi è il
giorno in cui si fanno i conti.
(Never Die Alone)
La strada era deserta.
Adorava andarsene in
giro con la moto, quando il resto del mondo sembrava dormire dietro le finestre
con le luci accese.
Apparentemente ignari di
ciò che stava accadendo fuori. Protetti nel loro presuntuoso microcosmo, senza
voler sapere di più.
Senza aver bisogno
di sapere di più.
Lui, invece, aveva
sempre pensato che rintanarsi da qualche parte, senza contemplare il contesto,
era fondamentalmente sbagliato.
Non che fosse mai stata
una persona aperta, questo no, ma per lo meno non preferiva ignorare quello che
lo circondava.
Anche con Cameron.
Soprattutto
con Cameron.
Aveva visto cosa c’era
nei suoi occhi, ed era rimasto terrorizzato da tutto quello che prometteva di
offrigli.
Non ne era in grado,
dannazione!
Possibile che nessuno se
ne rendesse conto? Ci aveva provato, aveva fatto in modo che lei capisse quello
che sentiva, non poteva davvero fare altro. Sul serio.
Ammettere di essere
innamorato di lei, checché ne dicesse Wilson, non l’aveva fatto sentire più
leggero.
Parlarle per confessarle
ciò che provava senza sputarle contro il suo cinismo, come lo aveva consigliato
la Cuddy, non gli aveva aperto alcuna porta.
Semmai, l’aveva chiusa.
Serrata
E lui non sapeva davvero
come reagire.
Averla sempre intorno,
dover convivere con il suo odore, con il suono della sua voce, con i suoi occhi…
bhè, non ce la faceva.
Spiacente gente, ma il
Dr. House, non ce la fa!
E non ce la faceva
perché…perché, Cristo santo, la sentiva.
Sentiva la sua
sofferenza, sentiva il suo dolore, sentiva il suo senso di sconfitta.
Una ridda di emozioni
che si confondevano con le sue, diventando un’unica informe massa nera e
pesante.
Perché non potevano
affrontarlo insieme?
Perché, lei, non
riusciva a vedere quello che c’era adesso, dimenticando quello che invece era
successo in passato?
Non voleva, che lui
l’amasse?
Bhè, c’era riuscita!
L’aveva fatto innamorare
davvero, come si innamorano le persone normali, come si innamorano i ragazzini…
E lui, che non aveva mai
creduto nell’esistenza di qualcosa che non si potesse spiegare scientificamente,
si era dovuto rassegnare alla semplicità con cui quei sentimenti avevano avvolto
il suo cuore.
Mise la freccia, e
svoltò verso il suo quartiere residenziale.
Aveva cercato di
resistere all’insano impulso di andare a casa di Cameron, e aspettarla, e adesso
voleva starsene a casa, imbottirsi di Vicodin e dormire.
Non sognare,
semplicemente dormire.
Lasciarsi avvolgere dal
buio dell’oblio senza doversi per forza spiegare cosa diavolo gli stava
succedendo.
Scalò la marcia, in
prossimità del suo appartamento.
La strada era deserta,
fatta eccezione per una figura che sostava in piedi sul marciapiedi di fronte al
suo appartamento.
Aggirò una macchina, e
svoltò verso il vialetto.
Passò accanto alla
misteriosa figura, lanciandole poco più di una fuggevole occhiata.
Un’occhiata veloce che
gli bastò per riconoscerla.
Lei, era lì.
Cameron era appena
dietro di lui.
Corse verso il garage,
senza guardare a terra.
Incurante di ostacoli,
di pericoli.
Incurante del buio e del
freddo, del silenzio che le esplodeva nelle orecchie e del caos che si agitava
nella sua testa.
Seguì la luce e lo
trovò.
Stava smontando dalla
moto, e nel frattempo tentava di togliersi il casco.
La fissò in silenzio, lo
sguardo fermo, distante… inaccessibile.
“Ciao...” balbettò lei,
in evidente imbarazzo.
“Cosa succede?” domandò
lui, in tono neutro.
Lei si guardò intorno,
nervosa.
“Potremmo…” accennò con
il capo al piano superiore, “Potremmo salire?”
Lui annuì, nascondendo
il nervosismo.
S’incamminò verso la
rampa delle scale, dandole la schiena.
E lei seguì la sua
figura, il suo odore, come se fosse l’unica cosa in grado di guidarla fuori da
quella situazione buia. Terribile.
E osservò il suo corpo
muoversi, salire le scale con fatica, appoggiandosi al bastone, ignorandola per
non naufragare.
Arrivarono dinanzi alla
porta dell’appartamento, e il rumore della chiave che girava nella toppa, la
distolse da quei pensieri.
E focalizzò la mano di
lui che, scattante, toglieva la chiave e con un colpo di polso apriva la porta.
Le fece cenno di
entrare, facendosi da parte per farla passare.
Le luci risplendevano
sul piano a coda nero, saettando per la stanza.
Greg deambulò fino al
divano, lasciò il bastone accanto al bracciolo, quindi si voltò a guardarla.
“Cosa succede, dunque?”
domandò.
E la sua voce le penetrò
nelle orecchie, come un mucchio di aghi che la pungevano, facendola sanguinare,
ricordandole come il cuore di lui aveva sanguinato per causa sua.
Inspirò profondamente,
tentando di raccogliere le idee per dare una risposta sensata.
“Mi…mi dispiace”,
mormorò con aria colpevole.
“Ti dispiace?” ripeté
lui, con un sogghigno.
Lei annuì, tentando di
darsi una controllata.
Non sarebbe scoppiata a
piangere un’altra volta. Non poteva farlo.
“E per cosa?” domandò
lui, mettendola in difficoltà.
“Per non aver capito la
portata del tuo gesto”, rispose a testa alta.
Greg sulle prime non
disse nulla. Si limitò a guardarla con un’espressione intelligibile.
Cosa stava cercando di
capire? Si domandò Cameron.
“La portata del mio
gesto, uhm?”, si mise seduto sul bracciolo, prendendo il bastone e disegnando
dei cerchi larghi sul pavimento.
“Io…ecco…io ero accecata
dalla rabbia, capisci? Non so perché non ho voluto…”
“Smettila”, la
interruppe lui brusco.
Allison vacillò, al tono
perentorio di lui.
“Non voglio sentire
altro”, l’ammonì.
“E io invece voglio che
mi ascolti”, continuò lei testarda.
Alzò lo sguardo,
puntandole contro i suoi occhi chiari, “Ti ho ascoltata, Cam. Ho ascoltato ogni
dannata parola e lo sai a cosa sono giunto?”
Lei scosse la testa,
ignorando il pizzicore appena dietro le palpebre.
“Hai ragione”, asserì
con un mezzo sorriso, “Hai perfettamente ragione. Non si può passare sopra al
male che una persona ci ha fatto. Sai come dicono no? Errare è umano,
perseverare è diabolico!” ridacchiò, “E io con te ho perseverato troppo”.
“No”, quasi lo gridò,
“Non è vero, House, non è come credi. Sono io”, si puntò il dito contro il
petto, “Sono io, Cameron. Come avresti potuto comportarti diversamente?”
ridacchiò, “Abbiamo sempre agito così, non vedo perché avresti dovuto…”
“Perché tengo a te”,
la fermò di nuovo, “E la Cuddy dice che…”
“Lascia stare cosa dice
la Cuddy”, stavolta fu lei ad interromperlo, “Dimmi quello che tu vuoi dirmi,
non farti consigliare il metodo migliore da qualcun altro”.
Lui socchiuse gli occhi,
passandosi una mano sulla fronte, “Non saprei cosa aggiungere, Cam. Non è
questione di modo, è questione di contenuti, e quelli”, sospirò, “Quelli
non cambiano. Sono ancora innamorato di te, e agirò indipendentemente da
questo”.
“Perché?”
Lui si alzò, “Perché
continui a farmi questo, Cam? Perché continui a torturarmi?” le puntò contro il
bastone, “Ho avuto la mia porzione di sofferenza, lasciami il tempo per
metabolizzarla”.
Un tuono lacerò il
silenzio. Stava per scoppiare un terribile temporale.
Allison fissò per un
istante fuori dalla finestra, quindi tornò a guardare lui.
“Non sono pronta a
rinunciare a te”, sussurrò, “Non ne ho la forza”.
Lui sospirò lentamente.
Un altro tuono, e le
luci si abbassarono per un momento.
“E cosa dovrei fare io?”
Cameron si appoggiò al
mobile che le stava alle spalle. Se lo era chiesta anche lei, in fin dei conti.
Cosa avrebbe dovuto fare Gregory House in una situazione come questa?
Cosa?
“Potresti…” fece un
passo verso di lui.
Un solo, misero passo.
Greg si spazientì,
“Cameron basta!” sbottò, si alzò, ignorando la fitta alla gamba, “Smettila!”
l’ammonì, “Ti prego. Non ce la faccio a sostenere questa situazione. Non ci
riesco, e non mi interessa riuscirci. Non mi sento più leggero, non ho trovato
uno scopo e non sono guarito dalla mia solitudine. Voglio essere solo lasciato
in pace”, la fissò, “E’ chiedere troppo?”
Lei lo guardò, con aria
risoluta, “E’ domandare troppo, chiedermi di amarmi?”
“Cosa diavolo sto
facendo, secondo te?” gridò lui, infuriato, “Cosa diavolo ho fatto fino ad ora?”
“Mi hai evitata”,
rispose lei con un filo di voce.
“E ti ho chiesto scusa”,
ribatté lui cocciuto.
“Ma poi hai continuato a
farlo”.
Lui sbuffò, “Oh andiamo!
Me lo hai chiesto tu, dannazione!” le puntò contro l’indice, “TU!”
ripeté.
Un altro tuono, e la
luce si spense.
“Ci mancava questa!”
imprecò lui, camminando verso la centralina.
Inciampò, e sollecita
Cameron lo afferrò.
Rimasero per un momento
così, lei che lo stringeva col fiato corto, e lui che si lasciava
stringere trattenendo il respiro.
Il buio che li
avvolgeva, e il battito accelerato dei cuori che rimbombava nelle orecchie.
Un contatto.
Uno stupido contatto
bastava ad incendiarli.
Come avrebbero potuto
far finta di nulla?
Come si poteva ignorare
un emozione di quella portata?
L’esserci anche se
distanti, il riconoscersi anche tra mille persone, ed il continuo cercarsi.
Cercarsi.
Cercarsi.
E dopo essersi trovati,
aver paura di immergersi in quel mare di sensazioni sconsiderate.
Aver paura di non
riuscire a dare abbastanza amore, e aver paura di non essere in grado di
riceverlo.
Sentirsi inadeguati
all’interno del loro mondo, ma sentirsi ancor più inadeguati all’esterno.
Dove la gente non
capisce.
Dove il mondo li
guardava con cinismo, con invidia, con bramosità…
E in mezzo a tutto
questo, c’era il loro amore.
Bistrattato, negato,
calpestato, ferito, cacciato.
Eppure sempre presente,
sempre vivo, sempre pulsante.
Greg fece per mettersi
dritto, ma la presa di Cameron non lo mollò.
Frugarono nel buio alla
ricerca dello sguardo dell’altro e quando lo trovarono…
Si abbracciarono,
stretti, chiudendo gli occhi respirando piano.
Concentrandosi solo
sulle loro emozioni.
“Se ti stringo un po’ di
più, ballando al buio, in silenzio
Il tempo, il tempo
sorriderà
Ballando al buio, in
silenzio…in silenzio.”
Stadio, “Ballando al buio”
To be continued…
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Capitolo 13 *** The power of love ***
THE POWER OF LOVE
THE POWER OF LOVE
Capitolo 13
Non sognarlo, vivilo!
(The Rocky Horror Picture
Show)
Mani.
Corpi.
Respiri.
Carezze... esigenti,
forti, leggere, dolci.
Baci, e labbra e lingua
e respiro.
E dolcezza e amore.
E dolore e paura.
Corpi caldi, vibranti,
brucianti…
Corpi che si cercano, e
finalmente si trovano.
E navigare in acque
calme, che giungono fino a casa.
Una casa nuova,
sconosciuta, eppure da sempre sognata.
E rendersi conto che la
realtà supera di gran lunga il sogno, e aver paura , tuttavia di sognare ancora.
Capelli sciolti, che si
posano scomposti sulla pelle, sulle lenzuola, e che profumano di pace, di
quiete…di amore.
E parole sussurrate con
il fiato corto, occhi che parlano, mani che frugano tra le lenzuola per
cercarsi.
E intrecciarsi.
E legarsi.
Braccia che avvolgono,
gambe che stringono, dita che sfiorano.
E respiri che si
mescolano, che si espandono nella stanza.
E “ti amo”, dieci volte,
cento volte, mille volte.
E ancora, e ancora e
ancora.
Cercarsi ancora, senza
essere mai sazi, perdendo il senso della misura, della sufficienza.
Volere tutto e volerlo
subito.
E continuare a chiedere
amore, continuare a darlo, continuare a riceverlo.
Eppure temere che non
sia ancora abbastanza, e chiederne sempre di più.
E lenire le ferite,
baciare le cicatrici, asciugare le lacrime.
Promettere di non
versarne più, promettere di non farne più versare.
E crederci.
Credere a tutto
quell’amore, credere alla promessa che i due corpi intrecciati si sussurrano.
Finalmente sorridere.
Sorridere di gioia,
piangere di felicità.
Sbarrare gli occhi,
increduli, stupiti, meravigliati.
Scioccati per
quell’amore che cresce, che si alimenta al suono irregolare di respiri
affaticati.
E comunque, non saper
definire cosa significhi stanchezza.
Essere pieni di energia,
essere pronti ad usarla, a sperderla, a donarla all’altro, con la consapevolezza
che tanto, l’altro ce la restituirà.
E fermarsi.
Rimanere immobili, le
dita intrecciate, a guardarsi.
Sorridere, e baciarsi.
Baciare le guance, le
labbra, le palpebre, la fronte.
E “ti amo”.
E “anche io”.
E sorridere ancora.
Rotolarsi al fianco
dell’altro, e voltarsi, stendersi su un fianco senza smettere di guardarsi negli
occhi.
E “ci sei…”.
E “ci sono sempre
stato”.
E “rimarrai?”.
Sorridere.
E “contaci”.
Quindi abbracciarsi
ancora, stringersi forte.
Posare il capo sul
petto, ascoltando il battito del cuore, il respiro che alza e abbassa il torace.
E “Buonanotte Al”.
Stringersi un po’ di
più, senza riuscire a smettere di sorridere.
E “Buonanotte Greg”.
E dormire.
Senza aver bisogno di
sognare.
Perché il sogno,
giace addormentato tra le nostre braccia.
Il sole entrò timido
nella stanza.
Come se anche lui avesse
paura di disturbare quei due corpi che, finalmente, giacevano insieme
addormentati.
La camera era satura
d’amore, di pace, di quiete.
Allison si mosse nel
sonno, e allungando una mano, trovò il corpo caldo di Greg.
Si alzò di scatto,
temendo di aver solo sognato.
Lui era voltato verso di
lei, un braccio allungato nella sua direzione, il volto calmo.
Sereno.
Istintivamente sorrise.
Come se si fosse resa
conto, solo ora, della vera identità del suo amante.
Gregory House.
Allungò una mano, e con
le dita gli carezzò il viso, delicatamente.
Socchiuse gli occhi,
sdraiandosi.
Ripensò alla notte che
aveva appena trascorso, e un groppo pesante le piombò sulla gola.
Era ancora spaventata.
Cosa sarebbe successo,
adesso?
Come avrebbero dovuto
comportarsi, dopo quello che era successo?
Erano una coppia?
Erano…amanti?
Sbuffò, tirandosi le
lenzuola fin sopra la testa.
Forse a causa del
movimento brusco, Greg si mosse.
Con una mano si
stropicciò gli occhi, quindi dopo un lungo sospiro, li aprì.
E la trovò così,
nascosta tra le lenzuola candide, le gambe piegate, e una mano che spuntava sul
cuscino.
Sorrise, e abbassò
lentamente il lenzuolo.
“Da cosa ti nascondi?”
le domandò, chinandosi per baciarla.
Gli sembrava di non
riuscire a smettere.
Lei ricambiò il bacio,
quindi si appoggiò contro di lui.
“Dal sole”, mormorò poco
convinta.
Lui non la bevve, “O
forse da brutti pensieri?”
Lei si voltò, per
permettersi di guardarlo negli occhi.
Erba e cielo che si
mescolavano.
“Non so cosa pensare…”
borbottò.
Greg le baciò i capelli,
cercando di darle una spiegazione che sapeva di doverle fornire.
“A proposito di cosa?”
le domandò.
“Di noi”.
Greg sospirò quindi con
un gesto fluido, la fece voltare.
“Dimmi cosa c’è che non
capisci”, la esortò.
Lei si strinse nelle
spalle, affondando il volto contro la sua spalla.
Si era arreso a
lei, ancora una volta.
Come la sera prima.
“Non lo so…” mugolò.
Greg, inaspettatamente,
ridacchiò.
“Non lo sai?” le chiese,
alzando un sopracciglio, “Ok, allora facciamo che adesso ti dico quello che non
capisco io, e poi tu farai altrettanto”.
Senza alzare la testa
dall’incavo del collo di lui, Allison annuì.
“Non capisco”, attaccò
lui, giocando con i capelli di lei, “Come abbiamo fatto a rinunciare a questo
per così tanto tempo. Quello che abbiamo condiviso ieri sera, scientificamente
parlando, è stato…bhè, lo sai”, sorrise, “E quello che mi spaventa ora, è
pensare di doverci rinunciare ancora un volta. Non credo ne sarei in grado”.
Lei alzò il capo,
annuendo.
“Io nemmeno”, asserì.
Greg le baciò una ciocca
di capelli che teneva in mano.
“Allora possiamo
lavorarci su!”, la canzonò.
“Possiamo?” domandò lei,
non ancora rassicurata.
“Si, Al,
possiamo”.
Lei si mise seduta, il
lenzuolo avvolto pudicamente contro il petto.
“Ieri sera ero sincera”,
mormorò, chinando il capo, “Sul serio. Non so perché l’altra settimana ho
reagito in quel modo alle tue parole. Forse perché volevo ferirti, forse perché
avevo paura di non essere in grado di sostenere un nuovo colpo”, lo fissò, “Ma
poi ho capito. Ho capito che non potevo lasciarti andare in quel modo. Non aveva
senso spezzarmi di nuovo il cuore con le mie stesse mani, quando tu mi avevi già
offerto il tuo…”
Greg la ascoltò in
silenzio, senza interromperla.
“E ieri sera”, continuò,
“Sono venuta qui per dirtelo. Volevo dirti che mi dispiaceva, ma che capivo se
tu non volevi ripensarci. Sarei stata male, ma avrei accettato qualunque cosa mi
avresti detto”, ridacchiò imbarazzata, “Ma appena ti ho visto…” lo fissò, “Non
ce l’ho fatta. Non volevo rinunciarci, di più, non potevo…”
Greg annuì con un
sorriso.
“E non dovrai farlo…” la
rassicurò.
“No!” sorrise lei,
baciandolo e gettandogli le braccia attorno al collo, “Non lo farò mai. Te lo
prometto!”
Lui si lasciò baciare,
ricambiandola, capovolgendola sui cuscini per guardarla in faccia.
“E allora dimmi qual è
il problema…” la esortò.
Allison sospirò, quindi
fece una smorfia.
“Cosa siamo,
adesso?”
Greg gettò la testa
all’indietro, ridendo.
“Cosa c’è da ridere?” lo
rimbrottò lei, colpendolo sulla spalla.
“Sei spassosa!” le
spiegò.
“Ah si?”
“Cosa siamo, dici?” le
chiese.
Lei annuì, e lui la
baciò ancora.
E ancora, e ancora.
Fin quando i confini dei
loro corpi non divennero così labili da non essere riconoscibili.
“Siamo Greg e Allison”,
sussurrò lui al suo orecchio, “Pensi che possa bastarti?”
“A te basta?” rigirò la
domanda, Allison.
“Potrebbe essere
altrimenti?” sorrise lui, parlandole sulle labbra.
Allison scosse la testa,
finalmente conscia di quello che lui, in quel momento aveva cercato di dirle.
Consapevole,
soprattutto, che non sono le etichette a far funzionare una storia, bensì
l’amore, la presenza, la voglia di esserci.
Di crederci.
E lei ci aveva creduto,
e tutt’ora ci stava credendo.
E forse, per la prima
volta, era convinta che anche lui, ci stesse credendo con la stessa forza.
“The power of love, a force from above
Cleaning my soul, flame on burn desire
Love with tongues of fire...purge the soul
Make love your goal...”
Frankie goes to Hollywood, “The power of love”
To be continued...
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Capitolo 14 *** Final ***
Ragazze
Ragazze...ci siamo!!
Questa bella avventura sta giungendo al termine! Voglio
ringraziare di cuore tutti coloro che mi hanno seguita e sostenuta in questo
breve tempo di produzione! E' stato bello leggere le vostre impressioni, i
vostri consigli, e anche le vostre critiche. Personalmente penso che senza il
vostro così largo consenso, questa storia sarebbe finita molto prima!!
Prima di postarvi il finale, ho voluto prendermi una
pagina per spiegarvi com'è nato e perché! Insomma...chiamatela anche "licenza
poetica"!!!
Avevo naturalmente per le mani, un sacco di belle idee
su come concludere questa storia, ma volevo evitare di scendere nel ridondante.
Sinceramente raccontare una storia che avesse una conclusione degna di
Cenerentola mi sembrava decisamente banale...anzi, mi sembrava del tutto
inappropriato! Così, parlando con la mia amica, nonché beta d'eccezione di ogni
mia storia, abbiamo cercato di capire come poteva finire la storia di House e
Cam... e bhè, gente, la storia di House e Cam NON finisce. Non avrei mai potuto
mettere la parola fine perché questi tredici capitoli ci hanno portato ad un
nuovo inizio. E' di questo che ho scritto, dunque. Un nuovo inizio, una nuova
storia! Perché le storie d'amore non finiscono mai, bensì cambiano, si evolvono,
e crescono.
Spero che anche voi, dunque, apprezzerete questa fine un
pò "sui generis" ;) Ci siamo lasciate la strada aperta, chissà, magari un domani
arriverà anche un seguito!!
E vi ringrazio ancora ragazze! In particolar modo:
Mistral, Hamburger, Damagedlove, Semplicementeme, Shy, Amy, EriMD, Irene!!,
Levity, K, Caro, Tanyas, Preziosoele, Venus, Nike87, Nick, Piccy6, Schuchan e
Diomache. E anche Sam Carter, che mi ha onorata della sua recensione!
Questa storia, gente, è dedicata a voi!!! E come vi ho
già detto, per qualsiasi consiglio, richiesta, collaborazione e quant'altro
scrivetemi a amarantab@email.it
Vi abbraccio forte
Amaranta B.
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Capitolo 15 *** Adesso tu ***
ADESSO TU
ADESSO TU
Capitolo 14
La si può trovare, un giorno, e di colpo,
quando ormai si disperava. Allora l’orizzonte si apre , è come se una voce
gridasse “Eccola!”, e provi il bisogno di confidarle tutto, di sacrificarle
tutto! Non ci si spiega, ci si intuisce. Ci si è già visti nei sogni. Finalmente
lo hai davanti, il tesoro tanto cercato: risplende, scintilla. Eppure dubiti
ancora, non osi crederci: ne resti abbagliato come all’uscita dalle tenebre alla
luce.
(Gustave Flaubert)
Greg chiuse il
rubinetto, e poggiò entrambe le mani sul lavandino.
Si scrutò minuziosamente
allo specchio, carezzando con lo sguardo ogni parte del suo viso.
Sorrise
impercettibilmente.
Aveva un’espressione
diversa. Strana.
Un’espressione che non
si era mai visto addosso.
Allison.
Quel nome gli circuitava
nella mente come uno yo-yo impazzito. Stentava a credere di aver trascorso la
notte con lei, di averla posseduta, di averla avuta tra le braccia.
Così esile, così
apparentemente fragile.
Eppure così forte, così
decisa…
Forse era questo che lo
aveva fatto innamorare di lei.
La forza costante grazie
alla quale era riuscita ad arrivare al suo cuore.
Il suo cuore!
Non ci aveva mai pensato
in quei termini. Neanche con Stacy.
Ma con Allison era
diverso.
Lei voleva tutto
lui.
Non cercava di
mascherare o cambiare i suoi difetti, e non lo trattava nemmeno come un pazzo
schizofrenico con le manie di protagonismo.
Lo trattava
semplicemente come se fosse stato suo da sempre.
Con quel misto di
sufficienza e consapevolezza che spesso, troppo spesso, lo aveva fatto sentire
insicuro.
Già, maledettamente
insicuro.
Per mesi era stato ad un
passo dal confessarle tutto quello che sentiva, eppure ogni volta si era sentito
inadeguato.
Terrorizzato alla sola
idea di un suo rifiuto.
Era quello il suo
problema.
Esser sempre stato fuori
dal mondo, quello vero, lo aveva reso in qualche modo, stranamente fragile.
Un pezzo di cristallo,
all’apparenza indistruttibile eppure così dannatamente delicato.
Era per questo che aveva
sempre rimandato quel confronto.
Aveva avuto paura di
perdere il controllo di se stesso, intimorito dalla possibilità di andare in
mille pezzi e doverlo mascherare al resto del mondo.
Quel mondo che non
vedeva altro che un luminare in grado di risolvere qualsiasi problema.
Un uomo burbero,
misantropo, scortese, bastardo.
Un uomo…indelicato.
Eppure solo un uomo.
Un semplice uomo animato
da timori, emozioni, amore.
Un uomo che aveva
bisogno di essere riscaldato da dentro.
Un uomo che per lungo
tempo, aveva smaniato per un semplice abbraccio.
Per un sorriso.
Per una carezza.
E adesso, essere
consapevole di avere tutto questo a portata di mano, lo faceva sentire
stranamente completo.
Bizzarro l’amore no?
Un giorno ti senti
l’ultimo uomo rimasto sulla terra, e il giorno dopo ti sembra di essere in cima
al mondo.
Bizzarro, davvero.
Allison sciacquò la sua
tazza, quindi la ripose sulla mensola della cucina.
Si guardò intorno, con
curiosità.
Quante volte aveva
immaginato Greg, tra quelle mura…
Quante volte, ancora,
aveva sognato di essere qui con lui…
E ora che c’era davvero,
le sembrava di vivere qualcosa di irreale.
Lei, nella cucina di
Greg, mentre lui era in bagno a prepararsi per andare a lavoro.
Quel bizzarro quadretto
familiare aveva del…magico!
Era come se, alla fine
del gioco, ogni piccolissima parte del puzzle si fosse rimessa a posto, senza
forzature, senza sbavature, bensì con immensa naturalità.
E ripensò, ancora una
volta, alla notte appena trascorsa.
Al modo perfetto e
sublime con cui i loro corpi si erano intrecciati, incastrati.
E aveva sentito il
clic.
Quel clic che sta a
significare che ogni cosa, adesso, era al suo posto.
Che per quanto il quadro
sarebbe potuto cadere e incrinarsi, entrambi avrebbero fatto il possibile per
riaggiustarlo.
Per renderlo ancora più
bello di prima.
Era già successo una
volta, perché non doveva credere che sarebbe potuto accadere di nuovo?
E nella mente le
rimbombavano ancora le parole di Greg, “Non capisco, come abbiamo fatto a
rinunciare a questo per così tanto tempo.”
Quelle parole avevano
dello stupefacente.
Lei per prima, si era
chiesta come facessero a convivere con certe emozioni, stando estremamente
attenti a non farle trapelare, e sapere che anche lui, condivideva quei pensieri
la faceva sentire… in due.
Le sembrava di aver
trovato la metà perfetta che permetteva al suo cuore di battere così
velocemente.
Come se fosse rinato.
Come se Greg avesse
curato ogni ferita, pulendola con le labbra e cicatrizzandola con un bacio.
E il segno ormai non
c’era più, cancellato dai segni della passione, dell’amore, della gioia.
Una gioia che aveva
paura di non meritare.
Un gioia che sapeva
essere sua, e sua soltanto.
Era convinta di quello
che stava succedendo.
Sapeva che quella storia
li avrebbe condotti lontano, ancor più lontano di dove erano adesso. Così come
sapeva che non sarebbe stato facile lasciar entrare il mondo nel loro piccolo e
magico universo.
Era sempre stata
romantica, ma non aveva mai perso di vista la realtà dei fatti.
Conosceva Greg e
conosceva se stessa.
Non c’era bisogno di
scomodare Freud per rendersi conto che ci sarebbero stati momenti difficili.
Ci sarebbero state liti,
incomprensioni, musi lunghi e frecciatine.
Ci sarebbero state porte
sbattute con rabbia e cellulari staccati.
Ci sarebbero state grida
e silenzi.
Ma tutto questo ci
sarebbe stato perché c’erano loro.
Allison e Greg.
Cameron e House.
Un chiasmo che sapeva
d’amore e d’incertezza.
Un chiasmo che,
senz’altro la faceva sorridere.
E sorridendo alla sua
immagine riflessa alla finestra, si disse che non c’era nulla di cui aver paura.
L’essenza di ogni amore
è l’incertezza, ma la magia vera e propria è esserci.
E crederci.
Crederci quando si ride,
e crederci ancora di più quando si piange.
Crederci e basta.
E dare la vita per far
sì che quell’amore potesse crescere giorno per giorno.
Senza domande.
Senza supposizioni.
Solo vivendolo.
Greg aprì la porta dello
stanzino, ne estrasse un casco e lo lanciò a Allison che, sollecita lo prese al
volo.
“Bella presa! Hai mai
pensato di giocare a football?” la canzonò lui.
La ragazza fece una
smorfia, quindi soppesò il casco con una strana espressione.
“Cosa c’è?” le domandò
Greg, infilandosi la giacca.
Lei alzò il capo, per
guardarlo. Gli mostrò il casco, “Cosa ci faccio?” chiese, stupita.
“Se vuoi puoi metterci
dentro dell’acqua, aspettare che si scaldi e buttarci la pasta!” le propose lui,
sogghignando.
“Non essere idiota!” lo
zittì lei, passando il casco da una mano all’altra.
Lui le andò incontro,
togliendole l’oggetto dalle mani e calzandoglielo sulla testa, “Ecco qua!” la
guardò, facendo una smorfia divertita, “Mi sembri un astronauta!”
Allison si tolse il
casco, e glielo sbatté contro il petto, “Stia attento Dr. House”, lo ammonì con
un guizzo divertito negli occhi, “Ho un oggetto contundente in mano!”
Greg alzò le mani in
segno di resa, “Ok, ok!” sbuffò, “Ma ti consiglio di infilarlo! Non ho
intenzione di pagare una multa a causa tua!”
Allison prese la sua
giacca, abbandonando il casco sopra il divano, “Andiamo da qualche parte?” gli
domandò.
House scosse la testa, “Tesoro,
sono le dieci e mezza. Odio ricordartelo, perché significa ricordarlo anche a me
stesso, ma… abbiamo un lavoro, e proporrei di affrettarci, altrimenti la Cuddy
sbatte fuori ad entrambi!”
Allison sbarrò gli
occhi, stupita, “Andiamo a lavoro insieme?” domandò.
Greg la prese per mano,
raccattò il caso, e la trascinò fuori da casa.
“So che la nottata che
hai trascorso può averti causato un forte stress emozionale ma, Cameron,
dolcezza, lavoriamo insieme da tre anni”, la guardò, chinando il capo a
sinistra, “E se per caso hai una strana forma di amnesia, appena arriviamo vai
dalla Cuddy e le dici che io non c’entro nulla ok?”
Allison assecondò la sua
camminata traballante, eppure decisa, “Dalla Cuddy?” domandò perplessa.
Greg gettò le mani verso
il cielo, “Oh Dio! La Cuddy, si! La nostra direttrice sanitaria! Bella donna,
tette da paura e piglio da generale! Te la ricordi?”
Allison si arrestò di
scatto, “Greg smettila!” lo pregò, “Cosa diavolo stiamo facendo?”
Lui si fermò a sua
volta, trattenendosi a pochi centimetri da lei, “Andiamo a lavorare, no?”
rispose lui, con franchezza.
“Andiamo a lavorare
insieme?”
“Si, andiamo a lavorare
insieme!” rispose lui, pazientemente.
“Così, come se fossimo…”
“Una coppia?” finì lui,
per lei.
“Esatto!”
Greg le prese entrambe
le mani, soppesandole gentilmente, “Preferisci di no?” le domandò con una nota
di apprensione nella voce.
“No!” si affrettò a
rispondere lei, “Cioè, si!” sospirò, “Oh accidenti! Si, voglio andare a lavorare
insieme a te e…” gli sorrise, teneramente, “E voglio anche essere una coppia!”
Greg ridacchiò, “Allora
dov’è il problema?”
“Bhè ecco…” attaccò lei,
in evidente imbarazzo, “Pensavo che tu non volessi…”
“Lo voglio eccome!”
la contraddisse lui, con un mezzo sorriso sornione, “E la prossima volta, invece
di saltare alle tue conclusioni, rendimi partecipe dei tuoi voli pindarici ok?”
Lei ridacchiò, quindi si
sporse per ricevere un bacio, che non tardò ad arrivare.
Si sorrisero, quindi
s’incamminarono verso la moto.
“Mi hai chiamato
tesoro”, osservò lei, divertita.
“Non è vero”, obbiettò
lui.
“E’ vero eccome!”
ribatté lei.
Lui s’infilò il casco, e
lei fece altrettanto.
“Ma non abituartici!”
l’ammonì con un sorriso.
Lei si strinse nelle
spalle, quindi montò dietro di lui.
“E non ti azzardare mai
più a dire in mia presenza che la Cuddy ha delle tette da paura!” lo ammonì, con
divertimento.
Greg rise, quindi mise
in moto e partì veloce, inserendosi ben presto nel traffico scomposto della
città, lasciando che Allison lo circondasse da dietro, beandosi di quel
contatto.
Con un paio di abili
manovre, e dopo aver aggirato un improbabile serpentone di auto, passando per
delle vie secondarie, arrivarono al Princeton.
Lui spense la moto, e
smontò.
Lei rimase per un po’
seduta, le mani appoggiate al sellino, il casco ancora in testa.
“Al, siamo in
ritardo di…” guardò l’orologio, “Tre ore! Vuoi muoverti?”
Ma Allison non accennò a
smontare, cosicché Greg lo fece per lei.
Le tolse il casco, e,
dopo averla presa per mano, la condusse verso l’ingresso principale.
“Sei sicuro?” gli
domandò ancora, in apprensione.
“Lo sono”, rispose lui
deciso, continuando a camminare.
Entrarono così, per
mano, lei poco dietro, sul viso un’espressione di gioia e imbarazzo, lui poco
più avanti, un sorriso strafottente e l’aria di chi aveva finalmente trovato il
suo tesoro.
Un nuovo ingresso.
Un nuovo inizio.
Un vecchio amore.
“E ci sei adesso tu, a
dare un senso ai giorni miei, va tutto bene dal momento che ci sei…adesso tu… “
Eros Ramazzotti, “Adesso
tu”
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