TOMORROW NEVER KNOWS

di Meahb
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Near the end ***
Capitolo 2: *** Mentre tutto scorre ***
Capitolo 3: *** Waiting in vain ***
Capitolo 4: *** Fuck you ***
Capitolo 5: *** In the green ***
Capitolo 6: *** Total eclipse of the heart ***
Capitolo 7: *** broken wings ***
Capitolo 8: *** why ***
Capitolo 9: *** wish you where here ***
Capitolo 10: *** Ti sento ***
Capitolo 11: *** L'amore comunque ***
Capitolo 12: *** Ballando al buio ***
Capitolo 13: *** The power of love ***
Capitolo 14: *** Final ***
Capitolo 15: *** Adesso tu ***



Capitolo 1
*** Near the end ***


DISCLAMER

DISCLAMER:

Autore: AmarantaB

Summary: Il Celebrity Deathmatch ;) House contro Cameron. Quando l’amore non viene accettato, spesso si commettono immensi sbagli. Ma è proprio vero che chi ama, sa sempre perdonare?

Spoilers: No one peeps!! ;)

Pairs: House/Cameron... ma non escludo qualche colpo di scena!

Timeline: E’ una sorta di AU. Diciamo che questa storia parte a metà della seconda stagione, e poi vive di vita propria!

 

 

 

TOMORROW NEVER KNOWS

Da una canzone dei The Beatles

 

 

 

 

NEAR THE END

Capitolo 1

 

 

 

Vuoti di memoria non c’è posto per tenere insieme tutte le puntate di una storia,

piccolissimo particolare ti ho perduto senza cattiveria.

(Samuele Bersani, “Giudizi Universali”)

 

 

 

 

Allison aprì con prepotenza l’ingresso del Princeton.

Non aveva nessuna voglia di lavorare quel giorno, e a dirla tutta, avrebbe preferito evitarlo per i prossimi dieci anni.

Come di consueto, aveva trascorso una nottata terribile e, come di consueto, la metà dei pensieri erano rivolti a quel dannato misantropo senza cuore.

Non che non se lo fosse tolto dalla testa, questo no, ma doveva prendere atto che nei momenti di maggiore sconforto era inutile non tentare di pensare a lui.

Stranamente, in quel periodo, House era sinonimo di problemi.

Anzi, non era nemmeno troppo bizzarro. Dopotutto, per quel che la riguardava, Gregory House era sempre strano un enorme problema.

Ingombrante come un elefante all’interno dei caravan del circo.

Ridacchiò al pensiero.

Le piaceva quella metafora, avrebbe dovuto tenerla a mente.

Superò il banco delle infermiere, ed entrò decisa nell’ascensore.

Fortunatamente, almeno per quella volta, poteva evitare di dividerlo con qualcuno.

La lieve pressione del mezzo che cominciava la corsa, le fece fischiare leggermente le orecchie.

Tipico.

Per levarsi quel fastidio, avrebbe dovuto deglutire per una buona mezz’ora. Sbuffò, leggermente infastidita.

Una lieve scossa la informò che la corsa era finita.

Uscì senza guardarsi intorno, speranzosa solo di arrivare in ufficio e trovarlo confortevolmente… vuoto.

E così fu.

Sicuramente, a breve, sarebbe esploso un meteorite. Era raro che i suoi desideri venissero esauditi con quella semplicità.

Si tolse la giacca e, con un gesto fluido, infilò il camice bianco.

Quel capo, la faceva sentire diversa.

Era una sorta di protezione da qualsiasi dolore, sia fisico che mentale, e indossarlo la faceva sentire immune.

Un’immunologa immune!

Probabilmente a forza di frequentare House, aveva incorporato un po’ del suo sarcastico senso dell’umorismo.

Bhè, dopotutto era un’arma che poteva tornarle utile.

Si sedette, e cominciò a classificare alcune cartelle cliniche.

Non avevano casi interessanti per le mani, e il lavoro di classificazione aspettava solo di essere portato a termine.

Prese una penna, e scribacchiò qualcosa sul suo block notes. Non amava particolarmente quel genere di compiti, ma se non altro la sua scrittura era comprensibile. Avrebbe pagato pur di non dover decifrare la scrittura dei suoi colleghi uomini.

Per non parlare di quella di Greg.

La sua era simile all’aramaico antico.

Spesso si era dovuta sforzare fino all’inverosimile, per capire cosa diavolo andasse scrivendo su quella dannata lavagna bianca.

Un lieve spostamento d’aria, portò con se la robusta figura di Foreman.

“Buongiorno, Cam”.

Lei gli rispose con un cenno della testa, e l’uomo buttò gli occhi al cielo.

Compiendo i suoi stessi gesti di qualche minuto prima, anche Foreman indossò il suo camice.

“Dimmi che è arrivato qualche caso interessante”, mormorò lui.

“Spiacente”, sorrise, “Dovrai sederti e classificare le cartelle insieme a me”.

Lui le voltò le spalle, e si versò una generosa sorsata di caffè nella tazza accanto al bollitore.

“E Chase?” chiese.

“Non è ancora arrivato”.

“House?”

Lei fece spallucce. “Le opzioni sono due: o e in giro per l’ospedale, o è ancora a casa a dormire”.

Lui annuì e si sedette.

Non le offrì il caffè, ed Allison lo trovò un gesto molto poco gentile.

L’interfono suonò, spezzando il pesante silenzio della stanza.

“Si?” rispose lei.

Era la Cuddy.

“Benissimo. Arriviamo subito”.

Fece per riattaccare, ma di scatto, rialzò la cornetta, “Potrebbe ripetere per favore?”

Foreman la scrutò con rinnovato interesse.

“Non so dove sia, mi spiace. Ci siamo soltanto io e Foreman”, annuì, lasciando andare un sospiro, “Arriviamo”.

Foreman la guardò riappendere la cornetta, con una buffa espressione interrogativa a dipingergli il volto.

“Era la Cuddy, ci vuole consegnare un caso”.

“Bingo!” sorrise lui.

 

L’ufficio di Lisa Cuddy, era grande quasi quanto la sua fama di donna dai nervi d’acciaio.

I toni della tappezzeria e dei mobili erano insolitamente caldi, per uno studio ospedaliero. Un tipico tratto femminile.

La donna stava spiegando con tono estremamente professionale i sintomi di una giovane donna di ventidue anni.

Da quello che risultava dall’anamnesi, la ragazza di nome Meredith, aveva contratto un tipo molto particolare di fungo della pelle. Il suo corpo era ricoperto di crosticine sanguinolente, che le deturpavano irrimediabilmente il volto.

Terribile!

“Credo che non si tratti solo di un fungo…” mormorò la Cuddy, accavallando le gambe.

“Pensa sia una sorta di allergia da contatto?” domandò Chase in piedi, accanto al muro.

Era arrivato in ritardo, e la Cuddy, nonostante il gran daffare, non gli aveva risparmiato una bella lavata di capelli.

Lei lo guardò dal basso versò l’alto.

“Potrebbe essere”, mormorò, “Ma non sono io il genio delle malattie infettive”.

Guardò l’orologio, e nonostante i tentativi, la sua rabbia era decisamente percepibile.

“Dove diavolo si sarà cacciato House?”

La porta si spalancò, e il dottore fece il suo ingresso. Un sorriso smagliante, e gli occhi divertiti.

“Ciao Raggio di Sole, mi cercavi?”

 Lei lo fulminò con lo sguardo, “Ti avviso che le tue ore di ambulatorio sono notevolmente aumentate”.

“E perché mai?” domandò lui con espressione innocente.

“Perché sei maledettamente in ritardo, e perché abbiamo bisogno di te”.

Lui la guardò compiaciuto, tenendo il bastone tra le gambe.

“E levati quel sorrisino dalla faccia. Se non fossi stato così dannatamente bravo, ti avrei sbattuto in mezzo ad una strada”, si alzò, aggirando la scrivania, “E non sono ancora fuori tempo massimo per farlo!”

Lui si strinse nelle spalle, e guardò Cameron, “Oh ma io ho la mia bella immunologa che mi renderà immune dalle tue minacce!”

Cameron fece una smorfia. Lo aveva detto lei, di aver incorporato il suo sense of humor…

“Non ci sperare!” gli rispose, acida.

Lui si finse impressionato, “Cos’è? Vi siete messi d’accordo per caso? Tutti contro House?”

“Sarebbe divertente!” ridacchiò Foreman, incrociando le braccia.

“Cioccolatino, non mi sembra di aver chiesto il tuo parere”, lo rimbrottò House.

“Greg piantala. Abbiamo un caso”, lo zittì la Cuddy.

“Oh fantastico! E per questo che siamo tutti qui? Per un caso?” scosse la testa, perplesso, “Che stranezza!” borbottò.

“Vuoi piantarla di fare l’idiota una buona volta, e ascoltarmi?”

Lui sporse in avanti il capo, sorridendo, “Naturalmente raggio di sole!”

Lei sbuffò. Non c’era modo di chiudergli la bocca, e se c’era, di certo lei non era stata informata.

“Meredith Burns, ventidue anni. Il suo medico di famiglia sostiene di aver rilevato un fungo della pelle. La ragazza ha il corpo pieno di croste e protuberanze infette. Una sorta di varicella alla massima potenza”.

Lui annuì, “Quindi?”

“Come quindi?” domandò lei sbalordita.

“Io cosa dovrei fare?”

Lei scosse la testa, incredula, “Devi fare una diagnosi. Ti paghiamo per questo”.

“Hai detto che è un fungo della pelle, no?”, le sorrise, “E allora chiama un dermatologo”.

“Lo prediamo!” Cameron si era alzata in piedi, prendendo la cartella dalla scrivania della Cuddy.

“Ce ne occupiamo noi”, ripeté, “Se non è un fungo, scopriremo di che si tratta”.

“Ehi, ehi!” House le piazzò il bastone dinanzi, “Da quando in qua tu decidi di accettare un caso? Mi sono perso qualche puntata?”

“Ti manderò il cofanetto dvd con tutta la serie a casa, non temere”, lo canzonò lei serissima.

“Greg”, Lisa lo fissò negli occhi con risolutezza, “Non te lo sto chiedendo. Te lo sto ordinando”.

 

Cameron bussò leggermente alla porta dell’ufficio di Greg.

Lui l’aveva fatta chiamare da Chase, dicendo che doveva necessariamente parlarle.

In privato.

Se fosse successo qualche tempo fa, avrebbe saltellato dalla gioia, ma adesso…

Non le andava di rimanere troppo tempo da sola con lui. La sua maschera di rabbia e freddezza, non sarebbe durata tanto a lungo.

Atrocemente conscia dei suoi limiti, abbassò la maniglia ed entrò nell’ufficio.

Lui era seduto, i piedi mollemente abbandonati sopra la scrivania, e le mani incrociate dietro la nuca.

Alla sua destra, il computer diffondeva un’aria classica.

Wagner. Tristan und Isolde.

Scelta interessante.

“Pensavo non venissi”, disse lui senza cambiare di un centimetro la sua posizione.

Insousciante.

Se c’era un aggettivo che poteva definirlo in quel momento, era sicuramente quello. Insousciante.

“Sei il mio capo. Se mi chiami, devo venire. E’ la regola.”

Lui la guardò con espressione indecifrabile.

“Bene. Allora il tuo capo ti chiede una cosa”, la fissò negli occhi, “Che diavolo ti prende?”

Allison lo guardò senza capire, “Cosa intendi?”

Lui tolse i piedi dalla scrivania, poggiandoli a terra senza grazia.

“Quello che ho detto”.

Lei fece un paio di passi avanti, entrando nel cono di luce della lampada pied-à-terre.

“Non riesco a seguirti Greg”.

Lui si alzò in piedi, prendendo distanza dalla sua esile figura.

Un rifiuto. L’ennesimo.

“Per essere un’immunologa, manchi sicuramente di perspicacia, mia cara”.

Lei lo ignorò volutamente.

“Possiamo andare dritti al punto? Avrei del lavoro da fare”, lo incalzò.

“Cos’è che ti rende così caustica? Hai le mestruazioni per caso?”

Uno a zero per lui.

Cameron era arrossita, chinando lievemente il capo.

“Senti House, non ho la benché minima intenzione di starmene qui a prendere i tuoi insulti. Hai detto di volermi parlare… bhè, parla”.

Lui strinse il bastone nella mano destra.

“Hai qualche problema con me, per caso?” indagò.

Lei ridacchiò, “Come se questa fosse una novità.”

“Ebbene, elencami questi problemi. Non mi piace lavorare con gente che non riconosce la mia autorità.”

Stranamente professionale.

Allison si domandò se per caso, non ci fosse qualcosa dietro.

“Sai benissimo che tipo di problemi ho, Greg. Non c’è bisogno che mi umili ulteriormente elencandoteli”.

Lui annuì impercettibilmente.

“Credo che questi problemi ti impediscano di lavorare al massimo delle tue possibilità”.

Lei non disse nulla, si limitò a tenere lo sguardo fisso sulla sua bocca.

Non poteva guardarlo negli occhi.

Non doveva guardarlo negli occhi.

“L’hai detto tu. Non io”.

“Ma non stai smentendo le mie illazioni, e questo prova che ho ragione”, le offrì un sorriso compiaciuto, “Come sempre”.

Lei sbuffò, “Continuo a non capire dove tu voglia andare a parare Greg.”

Lui la guardò furente.

“Sei in ferie.”

“Che cosa?” gridò lei.

“Hai capito. Sei in ferie. Ti chiamerò io quando sarò convinto che potrai tornare”.

Allison scosse la testa, non credeva alle sue orecchie.

“Stai scherzando, vero?”

Lui le si piazzò davanti, sostenendo il suo sguardo.

“Non è più il momento di scherzare. Sei fuori Cameron. Vattene a casa.”

“Tu… non puoi farmi questo”.

Aveva le lacrime agli occhi.

“Certo che posso”, la contraddisse lui, “Sono il tuo capo, rammenti?”

“Sei un bastardo, ecco cosa sei”, ribatté lei con voce venata.

“Non si discute, Cameron. Sei in ferie per un po’. Vattene a sciare, o al mare, o stai a casa e rifletti sulla tua misera vita. Fai quello che ritieni più giusto, ma per il momento sei fuori. In questo stato non mi servi.”

“Non ti servo??” stava scuotendo la testa con furia, “Cosa pensi che sono? Il tuo gingillo? Non puoi farmi questo House. Non ne hai il diritto”.

“Ma ho il dovere di fornire ai miei pazienti l’assistenza medica migliore. Tu non mi aiuti in questo scopo. E adesso, fuori”.

Allison guardò l’uscio, poi lui, poi nuovamente l’uscio.

“Me la pagherai House”.

Lui la guardò uscire dalla stanza con lunghe falcate.

“Bon voyage, Cameron”.

 

 

An when you feel you’re near the end,

will you just turning over the stars again.”

 

David Gilmour, “Near the end”

 

TO BE CONTINUED...

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Capitolo 2
*** Mentre tutto scorre ***


MENTRE TUTTO SCORRE

MENTRE TUTTO SCORRE

Capitolo 2

 

 

 

 

 

Sono a casa
La mia porta è aperta
E la mia luce è accesa
Come un ladro nella notte puoi venire
Io non ho difesa
Mentre dormo mentre sogno puoi colpire
Di sorpresa

( De Gregari, “La casa”)

 

 

Avrebbe dovuto sentirsi in colpa?

In fin dei conti, l’aveva sbattuta fuori senza troppe cerimonie, senza darle nemmeno un minimo di speranza.

Senza dirle che, comunque, le sarebbe mancata

Bhè, si, le sarebbe mancata.

Perché doveva mentire su una cosa così ovvia? Il team, senza di lei, sembrava monco.

Un’immunologa aveva il suo peso quando si trattava di malattie infettive, su questo non c’era dubbio.

Ma anche lui sapeva con cristallina certezza, che la mancanza non sarebbe stata solo professionale.

Aveva agito egoisticamente, cacciandola, questo era vero.

Era lui, ancor più di lei, ad aver bisogno di staccare. Non riusciva più ad averla intorno senza provare l’impulso di rivelarle qualcosa, di sorriderle, di sfiorarla.

E non poteva permettersi di sbagliare.

Non ne aveva più l’opportunità.

Magari avrebbe potuto predersele lui, le ferie, ma la sua mancanza avrebbe pesato maggiormente su peso della bilancia.

“Alcune vite sono più importanti da salvare”, diceva un libro, e lui era sempre stato d’accordo.

Cameron poteva anche essere sacrificata, la medicina avrebbe sopravvissuto.

Ma lui?

Non sapeva darsi una risposta.

Di sicuro poteva fare a meno di lei, così come poteva fare a meno di tante altre cose, ma aveva solo il timore di sopire i suoi sentimenti, di non eliminarli.

Aprì con violenza il cassetto della scrivania, estraendo la sua pallina da tennis gialla.

Forse un po’ di rumore lo avrebbe distratto.

Qualcuno bussò alla porta, e lui, per la sorpresa, quasi non perse l’equilibrio.

“Chi è?” tuonò.

La porta si sbarrò, lasciando entrare Chase.

“Cosa vuoi Cip?”

“Dov’è Cameron? Stamattina non si è presentata in ufficio”, domandò.

“E’ in ferie. A tempo indeterminato”.

“Che cosa?”

Lo stupore sul volto di Chase, era a dir poco esilarante. Sembrava un bambino a cui avevano tolto il pacchetto di caramelle da sotto il naso.

“Hai capito bene, angioletto”

“E adesso come facciamo? La Burns ha bisogno di alcuni esami che avrebbe dovuto fare lei!” incamerò aria, “Io non sono in grado di occuparmene, e Foreman sta facendo gli esami neurologici” lo guardò incredulo, “Come hai potuto concederle le ferie, House? Ti sei bevuto il cervello?”

Spazientito, House si alzò in piedi, incamminandosi verso l’uscio, “Non mi sembra di dover rispondere a te delle mie azioni, angioletto”, lo rimbrottò, “Andiamo a fare queste analisi”.

“Ma come…” Chase lo seguiva come un segugio ben addestrato.

House si bloccò di scatto, e il giovane per poco non gli finì addosso.

“Non ho preso una laurea in malattie infettive facendo gli occhi dolci al rettore”.

 

 

Lisa Cuddy sbuffò.

Jimmy Wilson, l’oncologo dell’ospedale, nonché suo amico, stava seduto dinanzi a lei, con negli occhi uno sguardo pieno di disapprovazione.

“Non dovevi concedergliele e basta”, continuò lui, “Cameron è necessaria tanto quanto lo sono gli altri due”.

Lisa poggiò i gomiti sulla scrivania, “Cosa avrei dovuto fare?” domandò. Nel tono della voce, una vena d’ira, “Sai perfettamente com’è House. Non potevo discutere per un mese, rischiando che non si occupasse dei pazienti con la dovuta attenzione”.

Wilson incrociò le braccia sul petto, “Non ti nascondere dietro a queste scuse, Lisa. Greg deve occuparsi dei suoi pazienti a prescindere dai problemi che potrebbe avere con Cameron. E lei…” sospirò, “Cameron non meritava di essere cacciata solo perché House non riesce a sostenere la sua presenza”.

La fissò con risolutezza, “Continuerà a comportarsi come un bambino capriccioso se tu continuerai a trattarlo come tale”.

Lei si addirizzò infuriata, “Dato che sei così bravo a trattare con House, avresti potuto parlarci tu”.

Lui non raccolse. Se proprio dovevano recriminarsi qualcosa, non era certo sul comportamento da tenere con Greg.

House, per quanto ne sapeva, doveva essere messo in circolazione con un libretto di istruzioni, in modo da sapere come comportarsi ad ogni evenienza.

“Senti Jimmy, non mi va di discutere di questo”, Lisa sospirò rumorosamente, “Voglio solo che House si concentri su quella povera ragazza. Non mi interessa dei suoi problemi con Cameron”.

Wilson ridacchiò, “Oh andiamo!” rise, “Ti interessa eccome!”

Lo sguardo di Lisa scintillò di divertimento, “Perché, a te no?”

Lui alzò le mani, “Touchè!”.

“Lui ne è innamorato”, borbottò Lisa.

“Può essere”, asserì Jimmy.

“Vorrei sapere perché cavolo non glielo dice. Sarebbe più facile no? Lei sarebbe felicissima, lui sarebbe meno rompicoglioni, e noi saremmo finalmente salvi!”

Jimmy rise, “Ti sembra che House si sia mai comportato nel modo più semplice?”
”Purtroppo no…” dovette ammettere Lisa.

“Appunto!”

“Dovrei chiamarla”, cambiò discorso, “Magari è a pezzi”.

“E’ altamente probabile”, confermò Wilson.

“Potrei addirittura andare da lei…”

“Ottima idea!”

Wilson sorrise, quindi si alzò, incamminandosi verso l’uscio, “Tu vai da lei. Io vado da lui”.

Lisa annuì. Di sicuro Jimmy si era tenuto il compito meno facile.

 

Foreman appoggiò le lastre allo schermo della luce al neon.

Neurologicamente, Meredith Burns non aveva il benché minimo problema. Tutto funzionava alla grande. Eric lasciò andare un lungo sospiro di sollievo.

Se si potevano escludere i problemi neurologici, il campo si ristringeva a qualche patologia infettiva. Se solo House non avesse deciso di accordare a Cameron le ferie, a questo punto avrebbero già avuto una risposta.

Avanzò lentamente verso il bollitore, e si verso l’ennesima tazza di caffè.

Chissà poi perché Allison aveva deciso di andarsene in ferie proprio nel bel mezzo di un caso clinico così interessante, non se lo riusciva a spiegare.

Eppure, le era apparsa molto risoluta a volersi occupare della Burns…

Soprappensiero, si lasciò cadere su una delle sedie dell’ufficio.

Proprio nello stesso istante entrò House, seguito a ruota da Chase.

“Abbiamo due opzioni”, attaccò Greg, senza nemmeno salutare.

Chase si sedette al suo posto, estraendo una penna dal taschino del suo camice bianco.

“Potrebbe essere allergia da contatto a qualche tessuto, oppure peste”.

“Peste?” domandò Foreman strabuzzando gli occhi.

House lo guardò in tralice, “Cosa vi insegnano oggi nelle università?” domandò allargando le braccia, “Peste si. Quella malattia che fa venire pustole e bubboni”.

“Ma è impossibile!” obbiettò Eric, cocciuto.

“Questo lo dici tu”, House cominciò a camminare per l’ufficio facendo roteare il bastone.

Sembrava imitasse Fred Astaire.

“Potrebbe averla contratta in mille modi, eppure ce n’è uno che ha influito sugli altri”.

“E quale sarebbe?” domandò Chase, che fino ad allora era rimasto in silenzio.

“Che ne so io?” House piegò il capo a sinistra, “Questo è il vostro lavoro”.

Foreman sospirò rumorosamente. Un evidente segno di disappunto.

“Possiamo prendere in considerazione l’allergia da contatto?”

“Sicuro!” sorrise House, “Puoi prendere in considerazione tutto quello che ti pare, anche il gelato alla vaniglia. Ma prima di tutto devi scoprirmi in che modo si è beccata la peste”.

“House è una sanissima ragazza americana di vent’anni, non può avere la peste”, Chase sembrava completamente esterrefatto.

“Sanissima dici?” Greg sogghignò, “E come le mettiamo quelle orribili pustole sul viso?”, finse di rabbrividire, “Non la toccherei nemmeno con il mio bastone”.

Chase scosse la testa sconfitto. Quando il suo capo si metteva in testa qualcosa, dissuaderlo era praticamente impossibile.

“Non potresti chiamare Cameron e dirle di tornare? Abbiamo bisogno di lei”.

House scosse la testa, “No, non posso”.

“E perché mai?”

Greg si allontanò dalla lavagna, guadagnando strada verso l’uscio.

“Per la stessa ragione per la quale non stai indagando su come Meredith Burns si è presa la peste”.

Uscì, lasciando i suoi due assistenti a bocca aperta.

Qualcosa, stava andando decisamente storto.

 

Come primo giorno di ferie forzate, se la stava cavando piuttosto bene.

Aveva lavato i panni sporchi ammucchiati nella cesta da più di una settimana, aveva stirato, passato la cera, sistemato gli armadi, e spolverato la libreria.

Aveva chiamato casa, e qualche amico di vecchia data.

Si era letta metà de “Il Grande Gatsby”, e aveva mangiucchiato sedano e Philadelphia.

Si era anche fatta un lungo bagno rilassante, dopodiché aveva guardato un interessantissimo documentario sulle locuste.

Adesso però, aveva esaurito tutte le attività pratiche, e l’unica cosa che le sembrava possibile fare, era… bhè pensare.

Non a Greg, o almeno, non direttamente.

Voleva pensare in quale strano modo erano giunti al punto di non ritorno. Anzi, erano andati decisamente oltre.

Si sentiva sola e sconfitta, come se avesse perso tutti i suoi risparmi puntando sul cavallo sbagliato.

Dannazione!

Eppure era stata moderatamente convinta di aver agito nel migliore dei modi per entrambi.

Insomma se Greg non la voleva, non poteva mica frustarlo per quello!

Lui era liberissimo di agire come meglio credeva, e lei doveva necessariamente trovare un metodo per salvaguardarsi. Non si trattava di allontanarsi da lui, quanto piuttosto di condividere quella sofferenza frequentandolo quotidianamente.

Solo così, forse, sarebbe riuscita a guarire.

Ma Greg, accidenti a lui, aveva deciso di complicarle ulteriormente le cose.

Sarebbe potuto entrare nel suo appartamento in quello stesso istante, e lei non avrebbe mutato di una virgola il suo atteggiamento.

Sospirò, domandandosi se non era forse il caso di presentare le sue dimissioni all’ufficio della Cuddy. Se House non la voleva più fra i piedi, probabilmente lei doveva far in modo di comportarsi di conseguenza.

Forse aveva ragione lui. Magari quello era l’unico modo accettabile per guarire completamente da quella dannata cotta adolescenziale.

Sono qui sola Greg, pensò, e sto riflettendo sulla mia misera vita.

Una vita che tu hai aiutato a rendere più miserabile.

Scosse il capo, contrariata.

Non era certo colpa di Greg, se lei si era innamorata.

Cosa c’entrava lui?

Oddio.

Se avesse continuato di quel passo, probabilmente sarebbe impazzita.

Si alzò dal divano, deambulando lentamente verso la cucina.

Aveva bisogno di una bella tazza di caffè caldo.

Proprio mentre stava versando la bevanda bollente, il telefono squillò.

Prese il cordless abbandonato sul piano di lavoro.

“Cameron”, soffiò.

Qualcuno dall’altra parte disse qualcosa, e lei sbarrò gli occhi, improvvisamente sveglia.

“Dottoressa Cuddy?”

Annuì lentamente, stentando a credere alle sue orecchie.

“Si sono a casa”, incamerò aria, “Va bene”.

L’aspetto qui”.

Senza ombra di dubbio, stava succedendo qualcosa di decisamente strano.

 

 

“Sparami addosso bersaglio mancato, provaci ancora è un campo minato quello che resta del nostro passato, non rinnegarlo è tempo sprecato. Macchie indelebili a coprirne il reato, scagli la pietra chi è senza peccato, scagliala tu perché ho tutto sbagliato”

 

Negramaro, “Mentre tutto scorre”

 

TO BE CONTINUED

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Capitolo 3
*** Waiting in vain ***


WAITING IN VAIN

WAITING IN VAIN

Capitolo 3

 

 

Si ama davvero una sola volta. Anche se non ce ne rendiamo conto.

(L’Ombra del Vento)

 

 

“Hai sentito cosa ho detto?”

Wilson si alzò dalla sedia, piazzandosi direttamente dinanzi ad House che se ne stava spaparanzato sulla sua poltroncina.

“Si papà ho sentito”, gracchiò.

“E non hai da dire nulla?”

House lo guardò di traverso, “Cosa ti devo dire?”

Wilson si strinse nelle spalle, “Qualsiasi cosa!” sbuffò, “Oh andiamo House, ti conosco, e conosco il cervello umano, soprattutto il tuo. Non ci credo che non hai niente da dire in proposito”.

Greg incamerò aria, “Una cosa ce l’avrei, a dir la verità, ma non so se posso dirla”.

“Naturale che puoi”.

“Non aspetti altro uhm?”

Wilson non rispose, non ce n’era bisogno.

“Ok”, House si alzò, raccattando il suo bastone, “Quando posso cominciare a scegliere una nuova immunologa?”

Jimmy spalancò gli occhi, “Prego?”

“Mi hai sentito”, ribatté Greg.

“Vuoi sostituirla cosi? Senza nemmeno tentare di riaverla indietro?”

House sospirò, “Evidentemente non siamo fatti per lavorare insieme, e non posso stare senza un immunologo, mi serve.”

Wilson lo guardò in tralice, “E quando l’hai mandata in ferie allora?”

“L’hai detto, amico. L’ho mandata in ferie, non l’ho mica licenziata”.

“A tempo indeterminato”, rintuzzò Wilson, “L’hai messa in una sorta di aspettativa”.

“Oh che noia!” sbuffò Greg, “E quindi? E’ lei che ha deciso di andarsene, non io”.

“Non credo che tu le abbia lasciato altra scelta”.

“Eccome, invece. Poteva anche aspettare due giorni”.

Wilson scosse la testa, “E’ fuori da una settimana House. Sette dannati giorni”.

House si strinse nelle spalle.

Non lo stava ascoltando davvero, questo era abbastanza evidente ad entrambi.

“House sei sicuro? Se la lasci andare potresti non riaverla più indietro”.

House rimase un momento senza parlare.

Voleva lasciarla andare? Si.

Poteva convivere con l’idea di non averla tra i piedi? Si.

Anche se era una scelta definitiva? No.

Borbottò qualcosa tra se e se, quindi tornò a guardare Wilson.

“Vado dalla Cuddy”, annunciò.

“La riprenderai nel team?”

“Vado semplicemente a chiederle quando potrò selezionare un nuovo immunologo”.

 

Foreman sbatté violentemente la cartella sulla scrivania.

“Che diavolo!” imprecò.

Chase lo guardò annuendo.

La notizia di Cameron che lasciava l’ospedale, aveva stordito anche lui.

Non poteva nascondere che lei, in qualche modo, gli piacesse, ma non era una mera questione di attrazione.

Lavorare con Cameron era stimolante.

Gli dispiaceva doverne fare a meno.

“Sei sicuro che House non farà nulla per convincerla a restare?”

“La Cuddy è stata abbastanza esplicita in proposito. House si adeguerà alla scelta di Cameron. Né più, né meno.”

Foreman strinse i denti, “Ma è una follia!” sbraitò, “Cameron sa come muoversi, ci conosce. Siamo un team, Cristo Santo!”

Chase lo guardò stranito.

“Cos’è questo nervosismo? Non mi sembra andassi così d’accordo con lei per infervorarti in questo modo”.

Eric si girò di scatto, “Cosa c’entra? E’ pur sempre una collega”.

Chase non la bevve.

Aveva capito all’istante qual’era la vera preoccupazione di Foreman. Se House avesse assunto un nuovo elemento valido, lui sarebbe stato scalzato dalla classifica.

Egocentrismo da contatto.

A forza di lavorare con House, l’avevano contratto anche loro. Ma Foreman ne era completamente pregno, o almeno, così sembrava.

“Forse cambierà idea”, mormorò.

“Ne dubito” lo contraddisse Eric, “Se House non ci metterà le mani, Cameron se ne andrà. E non posso certo biasimarla per questo”.

Chase rimase in silenzio.

Di sicuro, House era quello con l’asso nella manica. La scelta stava a lui.

Ma sapeva anche che il medico non avrebbe mosso un dito.

Pregare Cameron di restare, poteva essere interpretato ambiguamente.

Pensoso, fissò il cielo oltre la vetrata.

Sarebbero stati mesi difficili per tutti.

 

Lisa firmò le carte che House le stava porgendo, senza la minima esitazione.

Era stufa di chiedergli ogni due minuti se era sicuro di ciò che stava facendo.

Se Greg intendeva privarsi di Allison, peggio per lui.

Per quel che la riguardava, aveva già contattato diversi ospedali ben lieti di accogliere Cameron nei loro staff. La ragazza sarebbe sopravvissuta.

Come, era tutta un’altra storia.

“Perché vuoi tenerli tu?”

I fogli delle dimissioni, di solito rimanevano nell’ufficio della direttrice.

“Voglio farci un quadretto”, la sbeffeggiò lui, “Così quando tornerà strisciando, glieli farò vedere”.

Lisa scosse la testa, “Nemmeno un minimo di senso di colpa uhm?”

Greg la fissò serenamente, “Non l’ho licenziata io”.

“Ma l’hai indotta a farlo”.

“Balle!”

Lei poggiò le mani sul tavolo, “House, pensa seriamente a quello che fai. Ho qui decine di offerte di lavoro per lei, potresti non vederla mai più”.

Lui si strinse nelle spalle.

Cominciava ad averne abbastanza di quella solfa.

Tanto, presto o tardi, Cameron l’avrebbe lasciato comunque. Accelerare il processo non avrebbe cambiato il risultato finale.

“Buon per lei”, si alzò dalla sedia, “Quando mi trovi un sostituto?”

Lei nemmeno lo ascoltò, si limito a socchiudere gli occhio.

Testardo come dieci muli.

“Quando ne avrò il tempo. Adesso devo occuparmi di altre mille faccende. Se avevi messo Cameron in ferie significa che potevi farne a meno. E così sarà”.

Uno a zero per lei.

“Carino da parte tua”, la canzonò lui.

“Figurati! Per gli amici questo ed altro”.

Si alzò dalla sedia, avanzando verso la porta.

“House, sei ancora in tempo. Finché Cameron non verrà a firmare i documenti, siamo ancora in gioco”.

Lui non la ascoltò. Si alzò a sua volta, zoppicando verso l’uscio aperto precedendola.

“Mandala nel mio ufficio quando arriva. Voglio salutarla personalmente”.

Uscì, lasciandola senza parole.

 

Allison rilesse per la milionesima volta i fogli che la Cuddy le aveva mandato per e-mail.

C’erano davvero delle proposte di lavoro interessanti, e stava seriamente pensando di contattare anche il Dott. Sebastian. Forse era ancora in tempo per quei famosi sei mesi di internato in Kenya.

Non se la sentiva di procrastinare all’infinito quella storia.

Greg doveva diventare un capitolo chiuso, e lei doveva metterci tutta la sua buona volontà.

Allontanarsi era l’unica soluzione? Lo avrebbe fatto.

Naturalmente il pensiero di privarsi di lui definitivamente, le provocava un pesante e insostenibile groppo alla gola, ma avrebbe saputo gestirlo.

In fin dei conti aveva superato un lutto ben più grave.

Anzi, decise che questa svolta, sarebbe stata quella epocale.

Cambiare nuovamente vita, le avrebbe giovato.

Magari non avrebbe più provato lo stesso amore che nutriva per Greg, ma questo non la spaventava.

L’amore ci passa accanto una sola volta, e si è fortunati anche solo a riconoscerlo.

Inutile recriminare e lambiccarsi la testa con inutili quesiti.

Se quella storia non era decollata, era ben probabile che non decollasse mai.

Si.

Era una storia chiusa. Finita. Archiviata.

Fredda come il ghiaccio si incamminò verso la sua stanza.

Doveva fare un salto al Princeton a firmare le sue volontarie dimissioni e poi sarebbe stata libera.

Decise di andare in un orario neutro, per evitare di incontrare Greg.

Sicuramente, nel pomeriggio lui non ci sarebbe stato.

Annuendo alla sua immagine riflessa nello specchio, sorrise.

Si, era meglio così, davvero.

Si sfumò del lucidalabbra e spense la luce.

Proprio mentre usciva il portone, si rammentò che era giovedì. E Greg, il giovedì pomeriggio, aveva ambulatorio.

Per un momento, la sua maschera di ghiaccio cedette.

 

“I don’t want waiting in vain for your love…”

 

Annie Lennox, “Waiting in vain”

 

TO BE CONTINUED

 

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Capitolo 4
*** Fuck you ***


FUCK YOU

FUCK YOU

Capitolo 4

 

 

La dove sei diretto non ci sono sentieri, né piste, solo il tuo istinto. Hai seguito i segnali e alla fine sei arrivato. Adesso devi fare un bel gran tuffo nell’ignoto e scoprire da solo chi ha torto, chi ha ragione, e chi sei tu veramente.

(Sergio Bambaren, “Il Delfino”)

 

 

Molto spesso, ci sono cose che la mente umana, per quanto sviluppata, non riesce a capire fino in fondo.

Una di queste cose, sono i sentimenti.

Apparentemente illogici, stravolgono la vita, mutano i punti di vista, modellano una nuova persona, che prende vita proprio dinanzi al nostro sguardo ammutolito.

Greg aveva tentato di capire in che modo si attivassero questi meccanismi.

Voleva spiegarsi come mai, Allison Cameron era entrata così violentemente nei suoi pensieri, senza volerne sapere di uscire.

Naturalmente, per quanto bravo fosse, non era riuscito a darsi una sola risposta soddisfacente.

Con Stacy era stato più semplice.

A quell’età, l’amore sembra una cosa naturale, quasi scontata.

E naturale era stato anche il decorso del loro travagliato rapporto.

Ma con Allison, le cose si erano messe diversamente.

Era stata lei ad aver fatto il primo passo. Ed era stata ancora lei a tentare di convincerlo che quello che sentiva, poteva essere solo qualcosa di benigno.

Ma Greg non ci aveva creduto.

L’amore è oscuro, triste, doloroso, ma mai benigno.

L’amore è possesso, brama e desolazione. Una sorta di Bomba H che dopo la deflagrazione non lasciava nient’altro che macerie.

Non poteva correre ancora questo rischio, di più non doveva.

Un altro scossone al suo cuore raggrinzito, e sarebbe finito ad essere un vecchio rompicoglioni con la mania della suscettibilità.

Ridacchiò.

Probabilmente era già così.

Scelse un brano dalla sua raccolta di mp3, e il computer cominciò a diffondere una musica lenta e malinconica. Tuttavia, decisa.

Come una bella stola di seta bianca, appoggiata sopra ad un massiccio pezzo di ferro.

La dolcezza, nascondeva forza.

Ed Allison era nello stesso modo.

Non si era arresa al suo rifiuto, stava semplicemente tentando di proteggersi.

Poteva biasimarla? In fondo anche lui stava facendo la stessa cosa.

Ma lui, per Dio, non avrebbe dovuto cambiare di una virgola la sua vita.

Per un momento pensò di ritornare sui suoi passi. Poteva tranquillamente dire che ci aveva ripensato, e che la rivoleva nel suo team. Le avrebbe offerto anche un aumento di stipendio, se fosse servito a qualcosa.

Ma sapeva di non poterlo fare.

Non sarebbe stato nelle sue corde.

Lui, il misantropo dott. House, che richiamava disperatamente indietro una semplice assistente… improponibile!

Sbuffando guardò l’orologio.

Cameron per quel giorno non sarebbe passata, ma comunque, i suoi pazienti dell’ambulatorio, avrebbero dovuto aspettare ancora un po’.

 

Allison varcò la porta del Princeton mascherando il nervosismo con un bel sorriso luminoso.

Il solo pensiero che quella poteva essere l’ultima volta che avrebbe messo i piedi in quel sontuoso edificio, le procurò un vuoto nello stomaco.

In fin dei conti, per quanto costellati da momenti a dir poco dolorosi, i suoi anni di internato erano stati proficui.

Ne aveva imparate di molte, e aveva imparato anche che l’amore arriva quando pensi di esserne quasi completamente immune.

Salì nell’ufficio della Cuddy, e nel passare dinanzi al loro ufficio, notò che era stranamente vuoto.

Bizzarro…

Magari i ragazzi stavano lavorando al caso Burns. Si chiese come stesse la ragazza. Sperò solo che Greg fosse riuscito a completare una diagnosi.

Bussò alla porta della direttrice, e attese il suo “avanti” prima di varcare la soglia.

Con sua sorpresa, nella sedia di fronte alla scrivania, notò il dott. Wilson.

“Buonasera”, salutò avanzando di qualche passo.

“Ciao Cameron, siediti pure”, la invitò gentilmente Lisa.

La ragazza prese posto accanto al dottore, salutandolo con un sorriso.

“Sei qui per i documenti, immagino”, intuì Lisa.

Cameron annuì, “Vorrei poter terminare l’agonia il più presto possibile”.

Lisa e Wilson annuirono contemporaneamente.

“Purtroppo, al momento, non ho qui i documenti”.

Allison la guardò senza capire. Come non aveva i documenti? Eppure soltanto la mattina le aveva faxato i termini di recessione…

“Devo ripassare in un altro momento, dunque?”

Lisa scosse il capo. Nell’espressione una nota di… dispiacere. Si, era dispiaciuta per qualcosa.

“Purtroppo House me li ha sequestrati”, ridacchiò, “Vuole che tu vada da lui a firmarli”.

“Cos’è? Un tentativo di riprendermi indietro?” c’era speranza nella sua voce? Davvero?

Lisa si strinse nelle spalle, “Forse”, ma dalla sua risposta si intuiva il contrario.

“Se non te la senti vado io a sottrarglieli di nascosto”, propose Jimmy con un sorriso, “Tanto adesso è in ambulatorio”.

Cameron scosse la testa e si alzò, appoggiando le mani ai braccioli della sedia.

Voleva un confronto?

Ebbene, l’avrebbe avuto. In fin dei conti se lo meritava.

“No, andrò da lui”, sorrise debolmente, “In fin dei conti, oltre che cacciarmi non può fare nient’altro”.

Si avviò verso l’uscio lentamente, quindi, giunta alla porta si voltò, “Con permesso”, sussurrò.

E uscì nel corridoio.

 

Wilson camminava in cerchio nell’ufficio di Lisa.

Chase e Foreman erano arrivati a ragguagliare la dottoressa sui progressi che avevano sul caso Burns. Naturalmente questa non era la normale procedura.

Nel passare dinanzi all’ufficio di House, infatti, avevano visto la figura esile di Cameron in piedi di fronte alla scrivania, e avevano preferito andare oltre.

“Se sento dei colpi secchi, ho il permesso di intervenire?”, domandò Chase, cercando flebilmente di scherzare.

Nessuno gli diede udienza.

Quell’incontro poteva avere mille finali… nessuno sembrava improbabile.

Foreman scosse la testa con disappunto.

“Magari alla fine si mettono d’accordo, e lui deciderà di riprenderla nel team”, continuò Chase.

Sembrava che solo parlando, riuscisse a calmare i nervi.

“Ne dubito”, borbottò Wilson.

“Anch’io”, gli fece eco Lisa.

Chase si strinse nelle spalle. Aveva apparentemente terminato le cartucce.

“Posso domandare perché questa situazione sia sfuggita così di mano a tutti?”

Era stato Foreman a parlare, le braccia incrociate sul petto facevano tendere le maniche del camice sui muscoli delle braccia.

Lisa si strinse nelle spalle. Non sapeva cosa rispondere, e se anche lo avesse saputo, probabilmente non avrebbe risposto comunque.

Dannazione!

Le sembrava di essere tornata al liceo. La coppia del gruppo era saltata, e loro stavano tentando di raccogliere i cocci… assurdo!

Era o non era la direttrice dell’ospedale? Avrebbe dovuto mantenere almeno una parvenza di autorità, Cristo Santo!

“Non credo siano fatti che ci riguardano”, disse decisa, “E credo che voi abbiate del lavoro da sbrigare. House e Cameron sono adulti e vaccinati, se la caveranno”.

Guardò i due giovani ragazzi, in piedi dinanzi a lei. Era la prima volta che notava la loro differenza. Erano opposti.

“Andate”, ordinò.

I due giovani si fissarono, e uscirono mestamente dall’ufficio, salutando con un cenno del capo il dott. Wilson.

 

Il petto di Allison, si alzava e abbassava al ritmo del suo respiro affannato.

Era in piedi di fronte a lui, negli occhi la sua risolutezza, era tradita dalle mani tremanti.

“Fammi firmare quei dannati fogli, House”, borbottò.

Greg la guardò affascinato.

Stava andando in mille pezzi, eppure la sua dignità era totalmente integra.

No, non poteva privarsi di lei. No, davvero.

“Sicura?”

Lei scrollò le spalle infastidita.

“Cosa vuoi da me?” sibilò, “Prima fai il possibile e l’impossibile per cacciarmi, e adesso mi domandi se sono sicura?”

“Ti ho semplicemente concesso delle ferie”, ribatté lui ostentando sicurezza.

“A tempo indeterminato”, precisò lei, “A casa mia questo significa che vuoi sbattermi fuori”.

“A casa mia no”, obbiettò House senza smettere di guardarla.

Lei sentì la carezza del suo sguardo sul corpo, e per un momento temette di crollare in ginocchio, schiacciata dal peso di quei sentimenti così contraddittori.

Ti rivoglio, Cam” sussurrò lui.

Non sembrava Greg a parlare, adesso. Sembrava semplicemente… un uomo.

“Perché?”

“Apri bene le orecchie perché non credo che mi sentirai parlare così un’altra volta”, l’ammonì lui, “Voglio che resti perché ho bisogno di te”.

Cameron sbarrò gli occhi. Improvvisamente sentì la rabbia montarle dentro.

“Non è vero”.

“E invece si”, la contraddisse lui.

“Tu mi rivuoi indietro perché non sopporti l’idea che io vada avanti senza di te. Bhè… breaking news House, non ne sono più in grado. Me ne fotto della tua autostima, se vuoi un cagnolino adorante, vai a cercarlo al canile”.

Greg la fissò stupito. Non ce la faceva così battagliera, eppure non se la sentiva di darle torto. Poteva anche avere ragione.

Purtroppo per lui, però, sapeva che non ne aveva.

La voleva con se perché ne era innamorato. Che lo avrebbe ammesso, era un’altra storia.

“Non è così semplice, non lo è mai stato”, disse lui con un sussurro.

Sembrava dannatamente vulnerabile, ma Allison resistette all’impulso di andare da lui e prenderlo tra le braccia per rassicurarlo.

“E’ semplicissimo invece”, la voce era venata di rabbia e pianto, “Io ti amo, tu no. Questi sono i fatti. Non posso fartene la colpa, ma posso evitarmi di soffrire, quindi me ne vado”.

Avanzò decisa verso la scrivania, sfilandogli i fogli dalle mani.

Con le lacrime agli occhi, raccattò una penna, e firmò ogni maledetta pagina.

Si rialzò, ravviando i capelli, e lo guardò negli occhi.

“Addio House”, sussurrò uscendo.

Greg sprofondò nella sua poltroncina di pelle, sospirando.

Non era andata come aveva previsto.

Fissò per un istante i documenti, quindi li passò nel mangiacarte.

 

 

 

 

“ I said, fuck you! You will never know, what is turnin’ in my mind. Fuck you! So you better watch out, so you better watch out, out...”

 

Articolo31 feat. Paola Turci, “Fuck you”

 

TO BE CONTINUED

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Capitolo 5
*** In the green ***


IN THE GREEN

IN THE GREEN

Capitolo 5

 

 

Ogni minuto che passa è un’occasione per rivoluzionare tutto completamente.

(Hitch)

 

…Sei mesi dopo…

 

Allison rientrò nel suo appartamento, e si lasciò cadere sul bianco divano del soggiorno.

Era stravolta.

Le lezioni che aveva accettato di tenere all’università, la lasciavano sempre in riserva di energie. Aver a che fare con aspiranti medici aitanti, aveva le sue zone d’ombra.

Allungandosi schiacciò il tasto che le permetteva di ascoltare la segreteria.

C’erano un paio di messaggi del suo nuovo capo, Susan Blake, uno di Tamara, la sua amica, e uno di…

“Ciao Cameron, sono la dottoressa Cuddy. So che sei molto impegnata ultimamente, ma ecco… avrei bisogno della tua consulenza. Chiamami appena puoi per favore.

Ah, e complimenti per il tuo articolo su “Nature”, è stato molto interessante”.

Allison si drizzò a sedere, mandando indietro il nastro per ascoltare di nuovo il messaggio.

La dottoressa Cuddy chiedeva una sua consulenza?

E perché mai?

Si tolse la giacca, gettandola disordinatamente sul bracciolo del divano, e premette il tasto di chiamata. Se doveva proprio farlo, tanto valeva farlo subito.

Aspettò che la Cuddy rispondesse, torcendo nervosamente il filo del telefono.

“Ufficio della dottoressa Cuddy”, rispose la donna.

“Ehm, dottoressa sono Cameron” disse lei, intimidita.

Cristo, erano passati sei mesi dall’ultima volta che aveva avuto a che fare con loro.

“Ciao Cameron, come va?”

“Tutto bene, grazie”, rispose lei poco convinta, “Ho ascoltato il suo messaggio”.

“Ah benissimo!” mormorò l’altra, “Puoi venire qui in ospedale?”

“Oggi stesso?”

“E’ una situazione piuttosto complessa”, le spiegò Lisa, “Vorrei poterne discutere di persona, se per te non è un problema”.

“Nessun problema, dottoressa. Sarò lì nel pomeriggio”.

“Perfetto, ti aspetto”.

Chiuse la conversazione, con una bizzarra sensazione nello stomaco.

Stava succedendo qualcosa di strano, e non sapeva dirsi se questo fosse stato un bene, oppure no.

C’entrava Greg?

Non se lo augurava.

Aveva lavorato duro in quei sei mesi per evitare di pensarci, non poteva accettare di vedere tutto il suo impegno svanire a causa di uno stupido incontro.

O forse Greg non c’entrava. Magari avevano avuto un caso difficile, e avevano pensato a contattarla per un secondo parere. Era altamente probabile.

La domanda che però le circuitava nella mente, era un’altra.

Era stato Greg a chiedere di contattarla, oppure lui ne era completamente all’oscuro?

Per saperlo, sarebbe bastato andare lì e scoprire cosa diavolo stava succedendo.

Lisa entrò nell’ufficio dove i ragazzi stavano lavorando.

Come ogni volta, entrare lì e non vedere Cameron tra di loro, la faceva sentire strana.

“Allora”, attaccò sospirando, “Cosa dice il paziente?”

Foreman si alzò dalla sedia, porgendole alcuni fogli scritti a computer.

“Sembra che abbia respirato qualche agente velenoso. Questo spiegherebbe il perché del rigonfiamento all’interno della trachea. L’unico problema adesso, è capire di quale agente si tratta per somministrargli l’antidoto giusto”.

Lisa annuì, “Quanto tempo abbiamo?”

Un giorno”, borbottò Chase, “Due al massimo”.

“Ha già contattato Cameron?”

La dottoressa annuì soprappensiero.

Aveva fatto bene a contattare la bella immunologa? Non sapeva darsi una risposta.

Se da un canto, sapeva che Cameron avrebbe potuto aiutarli, dall’altro era terrorizzata dalla reazione che avrebbe potuto avere Greg.

Lui, in quei sei lunghi mesi, aveva sempre evitato di parlarne, ma Lisa sapeva –sapeva- che ci pensava spesso. Essere innamorati di una persona, per quanto sconsiderato possa sembrare, implica dei processi necessari.

Pensarci continuamente, faceva parte del gioco, così come fingere di non farlo.

Lisa sospirò, in apprensione, “Dovremmo sbrigarci. Di questo passo rischiamo di compromettere seriamente le funzioni vitali”.

Foreman annuì, “House dice di controllare gli agenti velenosi che possono sprigionarsi nel reparto di chirurgia. E’ possibile che nelle stanze, si sia diffuso qualcosa… che so, qualche acido”.

La Cuddy assentì, “Potrebbe avere ragione… non di rado qualche infermiera sbadata ha combinato disastri. Siete troppo giovani per ricordarlo, ma in questo stesso ospedale il dott. Sanders accusò una brutta forma di allergia da contatto causata proprio da un acido disinfettante utilizzato nelle sale operatorie”.

“Dovremmo andare a controllare”, propose Chase incamminandosi verso l’uscio.

“Mi sembra un’ottima idea, Chase”, annuì la Cuddy, “Pensateci voi. Io sarò nel mio ufficio ad aspettare Cameron. Per qualsiasi cosa…” si strinse nelle spalle, “Sapete dove trovarmi”

 

Ecco il Princeton.

Di nuovo.

E di nuovo ecco tutte quelle sensazioni scomode che aveva pretenziosamente creduto di aver eliminato.

Sciocchezze!

L’imponenza dei suoi sentimenti era pari a quella del palazzo che si erigeva dinanzi a lei.

Fiero, chiaro, senza nessun cedimento.

Aveva semplicemente cambiato visuale. Da dove si era trovata fino a quel momento, aveva semplicemente evitato di vedere l’evidente, ma adesso fingere di non vedere le sembrava un gigantesco atto di vigliaccheria.

Incamerò aria, ed entrò nell’ingresso.

Non era cambiato nulla, eppure sapeva che in realtà era cambiato tutto.

Gli equilibri erano mutati irrimediabilmente, e forse, non troppo impercettibilmente.

Sperava solo di non farsi troppo male, una volta saputa tutta la verità.

Uscì dall’ascensore e , senza guardarsi intorno, si diresse velocemente all’ufficio della Cuddy.

La porta era aperta, e la dottoressa le sorrise andandogli incontro.

“Ciao Cameron”, la salutò.

L’immunologa strinse la mano che la dottoressa le stava offrendo, e le sorrise sinceramente.

“Siediti ti prego. Dobbiamo parlare di una cosa importante”.

Cameron si tolse la giacca e la borsetta, posandole sulla sedia a fianco della sua.

“Spero non sia nulla di grave”, s’informò in apprensione.

“Diciamo che ci sono due questioni estremamente importanti da affrontare”, le spiegò.

Si chinò, ed estrasse alcuni fogli dalla sua valigetta verde scuro.

Cameron l’aveva sempre trovata deliziosa, un perfetto mix tra femminilità e autorevolezza, così com’era la Cuddy.

“Da quale iniziamo?” domandò Cameron, celando la preoccupazione.

Lisa sfogliò le pagine che aveva in mano, “C’è una questione burocratica, e una questione medica”, la informò, “Proporrei di cominciare dalla prima”.

Cameron annuì.

“Allora, Cameron, il problema è piuttosto spinoso. Qualche settimana fa il General, mi ha faxato la richiesta dei documenti del tuo licenziamento”.

“Ce li ha House”, disse lei senza remore.

Lisa scosse la testa, “House sostiene di non aver alcun protocollo del tuo licenziamento”, la fissò negli occhi, “Addirittura ha asserito che tu non hai mai firmato nulla”.

Cameron strabuzzò gli occhi, “E questo cosa vuol dire?”

“Vuol dire che sei ancora una nostra dipendente, Allison”, sussurrò Lisa.

“Ma non è possibile”, gridò, “Io ho firmato la recessione del contratto. L’ho firmata sotto ai suoi occhi”.

La Cuddy sospirò, “Posso crederti, ma il punto è che quei fogli non si trovano più da nessuna parte”, ridacchiò, “Ho ispezionato personalmente l’ufficio di House, ho chiesto all’amministrazione… ho addirittura minacciato Wilson di licenziamento se non fosse stato in grado di portarmi quei maledetti documenti ma… niente. Sembrano essere stati risucchiati da nulla”.

Cameron deglutì, “Io non so cosa dire… sono sicura di averli firmati dottoressa. Potrei giurarlo”.

“Ti credo”, le sorrise Lisa, “Ma senza quei documenti tu sei a tutti gli effetti una nostra dipendente, e come tale dovresti lavorare qui. Ho fatto in modo che la tua assunzione al General risultasse come una semplice collaborazione, ma capisci anche tu che dovremmo prendere una decisione. Se tu vuoi, farò in modo di farti avere quei documenti per domani, oppure possiamo trovare una scelta alternativa”.

Cameron la guardò senza rispondere. Quella scena, sembrava un doloroso deja-vu, e la cosa non la rassicurava per niente.

“Posso pensarci qualche istante?”

“Tutto il tempo che vuoi”

Cameron annuì, grata della comprensione della dottoressa.

“E adesso passiamo alla questione medica”, la informò la Cuddy.

Allison la guardò, aveva ripreso la sua classica posa professionale.

“Mi ha detto che aveva bisogno di un consulto. Di che si tratta?”

“E’ un caso delicato. Il paziente in questione sembra aver inalato dei gas tossici. Sospettiamo che i suoi sintomi nascondano un caso di avvelenamento. Chase e Foreman sono andati ad ispezionare l’ambiente più a rischio, ma ci serve il tuo aiuto per isolare il virus e trovare un antidoto”.

Cameron annuì, “Sono disponibile”, proclamò, “Devo sapere altro?”

Lisa annuì, “In passato il paziente è stato vittima di un infarto e a tutt’oggi è in cura antidolorifica”.

Cameron appuntò con perizia quello che la dottoressa stava dicendo, le ciglia aggrottate, le labbra unite in una linea continua.

“Allergie?”

Lisa scosse la testa, “A quanto ne sappiamo, nessuna.”

“Non è comunque da escludere”, la informò Cameron, “Alcuni antibiotici a contatto con veleni, possono avere dei brutti effetti collaterali”.

La Cuddy annuì, “Si, lo so”

Cameron si alzò dalla sedia, senza togliere lo sguardo da quello della dottoressa.

“Posso…” attese un momento, imbarazzata, “Potrei andare a prendere il mio camice?”

Lisa annuì con un sorriso, “E’ al solito posto”, la informò.

Cameron le sorrise, ignorando il pesante magone che le era ritornato nello stomaco. Inesorabile.

S’incamminò verso l’uscita, quindi si voltò di scatto.

“Dottoressa?” la chiamò.

La Cuddy alzò il capo di scatto, “Si, Cameron, dimmi”.

“Posso sapere il nome del paziente?”

Lisa inspirò profondamente, quindi lasciò andare il respiro con lentezza.

Gregory House”, sussurrò.

 

 

“Everything follows everything, I’m tying to belive. Everything follows, I’m trying... and someone singin’ to me...and I would be, with you again...”

 

Elisa, “In the Green”

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Capitolo 6
*** Total eclipse of the heart ***


TOTAL ECLIPSE OF THE HEART

TOTAL ECLIPSE OF THE HEART

Capitolo 6

 

*Gregory House*

 

Tubi.

C’erano tubicini di plastica trasparente che entravano senza consenso nella sua bocca.

Sentiva la gola secca, la labbra aperte innaturalmente.

La luce alogena lo costrinse a chiudere nuovamente gli occhi. La violenza con cui colpiva la sua povera retina era insopportabile.

E il sangue.

Distingueva perfettamente l’odore ferroso del sangue dappertutto. Sulle mani, sulle labbra, sul collo.

I polmoni ricevevano affaticati l’ossigeno che quei maledetti tubi spingevano nel suo corpo.

E sentiva freddo.

Dannatamente freddo.

In lontananza udiva voci sconosciute che parlavano concitatamente.

Che modo orribile di morire.

Appiccicato ad una maledetta macchina che gli pompava l’ossigeno nei polmoni, senza la vicinanza di qualcuno caro al suo cuore.

Una persona in particolare.

Allison.

L’aveva vista passare dinanzi alla sua stanza, prima di non essere più in grado di respirare.

Aveva visto distintamente i suoi occhi verdi come smeraldo, risplendere nella luce bianca delle lampade al neon del corridoio.

Li aveva visti, e aveva sperato che si voltassero per un misero istante a soffermarsi nei suoi.

Se avesse potuto, avrebbe ridacchiato.

La vicinanza della morte, porta ad essere romantici?

Non lo avrebbe mai sospettato…

Eppure si augurava di avere ancora un momento da vivere per poterle parlare.

Si sa, la morte rende vigliacchi, ma probabilmente, più che la morte, era stato l’amore a renderlo tale.

Voleva chiederle scusa.

Per tutte le volte che l’aveva rifiutata, per quelle in cui le aveva fatto versare lacrime amare. E voleva scusarsi per non aver avuto il coraggio di ammettere i suoi sentimenti.

Non era come prometterle di vivere insieme in eterno, felici e contenti.

Si trattava solo di guardarla negli occhi, e dirle che aveva avuto ragione da subito.

Da sempre.

Voleva dirle che era innamorato. Come poteva essere innamorato un moccioso del liceo…

Se ne avesse avuto l’opportunità, avrebbe riso di se stesso.

Gregory House che ammetteva le sue debolezze. E non solo. Stava anche ammettendo di amare Allison Cameron.

Da morire dal ridere.

Chissà, forse avrebbe avuto modo di farlo.

O forse no.

Qualcuno aveva la sua vita nelle mani. Si augurò solo che sapesse maneggiarla a dovere.

Continuava a sentire un freddo becco.

Dannazione! Perché qualcuno non lo copriva con qualcosa??

Incompetenti, come al solito.

Lui stava per lasciarci le penne, e la Cuddy gli metteva al seguito uno suolo di medici incompetenti.

La famosa legge del contrappasso?

All’improvviso, un tocco gentile, gli prese una mano.

Sentì una lieve pressione calda, benefica, diffondersi dalla mano fino al polso, per salire su per il braccio.

Istintivamente si rilassò.

Qualcuno, aveva preso la sua mano tormentata dalle flebo, e la stava tenendo tra le sue.

Il cuore gli batté più velocemente.

Era di questo, che aveva bisogno?

Di un misero contatto umano?

Stava decisamente diventando un vecchio rincoglionito.

Smaniare per un semplice tocco… divertente!

Se solo fosse stato in grado di aprire gli occhi, era certo di trovarsi davanti il viso di Lisa Cuddy.

Sarebbe stato un atteggiamento tipicamente patetico adatto a lei.

Non aveva mai capito cosa ci provassero le persone, a tenere le mani ai pazienti che stavano per morire. Lo trovava dannatamente macabro.

Cercò di inspirare, senza riuscirci veramente.

Voleva riuscire a prendere il controllo di se stesso, per arrivare ad aprire gli occhi.

Prima di morire, voleva concedersi un piccolo sfizio.

Sfottere la Cuddy!

Si concentrò…

Non era poi così difficile no?

Bastava fare una leggera pressione muscolare sulle palpebre e… voilà, il gioco era fatto.

Sentiva la mano sconosciuta, aumentare la pressione della stretta, come a volersi sincerare di trasmettergli un po’ di forza.

Patetico, sì, ma gentile.

Si concentrò ancora un po’.

Piano, con calma… non c’era mica da avere fretta.

Tentò di sospendere ogni percezione, indirizzando tutte le sue forze sui muscoli degli occhi.

Quando faticosamente lì aprì, si trovò a fissare un paio di occhi verdi smeraldo.

E poi, più nulla.

 

 

“Once upon a time I was fallin’ in love, but now I’m only fallin’ apart. Nothing I can do, total eclipse of the heart”

 

Bonnie Tyler, “Total eclipse of the heart”

 

 

 

TO BE CONTINUED...

 

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Capitolo 7
*** broken wings ***


BROKEN WINGS

BROKEN WINGS

Capitolo 7

 

 

 

Tu, sei tutto quello che non ho mai capito di aver voluto.

(Mela & Tequila)

 

 

 

Allison strinse furiosamente la mano di Greg, mentre Foreman gli stava togliendo i tubi del respiratore.

L’attacco respiratorio di House, li aveva preparati al peggio.

Una crisi del genere, nelle sue condizioni, significava morte certa. Ma lei lo conosceva, Greg non si sarebbe mai allineato alla media nazionale.

Il grande medico, non poteva morire in maniera così… semplice.

“Ci è andata bene!” borbottò Chase, regolando il misurino della flebo.

Era stanco e provato, sul viso c’erano ancora i segni del terrore di poco prima, ma i suoi occhi, sorridevano.

Allison annuì, senza smettere di fissare il viso si Greg.

Aveva avuto così paura di perderlo.

Era in laboratorio quando Greg aveva avuto la crisi. Stava isolando il virus per provare l’antidoto. C’era riuscita, bastava solo aspettare la reazione dell’antibiotico, e poi House sarebbe stato salvo, e lei… bhè, lei se ne sarebbe tornata a casa di buon grado.

Ma invece il destino, aveva deciso di agire diversamente.

E quando si era ritrovata un Chase sconvolto che farfugliava di morte imminente e crisi respiratoria, si era sentita morire.

Era corsa da lui, aveva iniettato l’antidoto nella flebo, incurante di tutto, del defibrillatore che andava, del monitor impazzito, delle mani che le tremavano, e dell’immobilità di Greg.

Doveva salvarlo. A qualunque costo.

Per quanto non appartenesse più alla sua vita, non avrebbe avuto senso andare avanti senza sapere che lui c’era.

Sarebbe stato inutile.

Ma Greg aveva reagito alla cura quasi immediatamente.

E adesso, dopo tre ore, stavano togliendo i tubi e le flebo con l’antidoto.

Doveva restare ancora in osservazione, questo si, ma tant’è… era salvo.

Allison guardò l’orologio.

Tra un po’ lui si sarebbe svegliato, e lei preferiva non essere nei paraggi.

Ormai non aveva più nulla da fare lì.

“Io me ne vado”, sussurrò alzandosi dalla sedia, ma senza lasciare la mano di Greg.

Chase si voltò per permettersi di guardarla in viso, “Sei sicura? Tra un po’ si sveglierà, gli farà piacere vederti”.

Allison abbassò lo sguardo su Greg, fissandolo con dolcezza.

“Ripasserò tra qualche giorno, non temere!” lo rassicurò, “Per adesso ha bisogno di voi”.

Chase non disse nulla, si limitò ad abbassare il capo concentrandosi sulla flebo che aveva tra le mani.

Allison lo guardò, poi guardò Greg.

Sarebbe ripassata, si.

Sorrise, quindi uscì dalla stanza.

 

Lisa Cuddy entro di gran carriera nella stanza di House.

Lo trovò sdraiato nel letto, con in mano una montagna informe di fogli.

“Quale parte della frase ‘devi riposare’ non hai capito?” domandò fermandosi ai piedi del letto.

House alzò lo sguardo, sorridendole, “Ciao Adolf!” la salutò, “Come dici, prego?”

Lisa sospirò infastidita, “House per favore, smettila di lavorare. Solo una settimana fa hai rischiato di lasciarci le penne, potresti essere un po’ più oculato…ti pare?”

Lui tornò a guardare i fogli, “Oculato, dici?” sbuffò, “Mi sono stufato di star qui senza far nulla. Voglio alzarmi e uscire. Ho una vita, per Dio!”

Lisa si rassegnò, sedendosi sulla sedia accanto al letto, “Con Wilson abbiamo stabilito di lasciarti uscire domani. Tanto sarai qui, ti terremo d’occhio!”

“Oh grazie!” borbottò lui, “Cosa dicono le mie analisi?”

La donna aprì la cartella che teneva in mano, “E’ tutto ok, House. Non mi spiego com’è possibile ma stai bene”, lo guardò di sottecchi, “L’antidoto non ha creato complicazioni, e il Vicodin sembra funzionare come al solito”. Gli fissò la gamba, nascosta da un lenzuolo azzurro, “Senti dolore?”

Lui la fissò, piegando il capo a sinistra, “No.”

La Cuddy annuì compiaciuta. Cameron aveva fatto un ottimo lavoro…

Dammi il nome dell’immunologo che mi ha curato”, domandò Greg, sfogliando una cartella clinica.

“Perché?” domandò lei in apprensione.

“Perché voglio regalargli una scatola di cioccolatini”, la canzonò.

“Non sono tenuta a farlo”, sussurrò lei.

Lui la fissò in silenzio. La conosceva abbastanza bene da capire che gli stava nascondendo qualcosa.

“Avanti Raggio di sole!” ridacchiò, “Giuro che non manderò nessun sicario ad ucciderlo!”

Lei mise le mani sui fianchi, “Innanzitutto chi ti dice che si tratta di un uomo?”

“Le donne non fanno lavori così precisi”, si mise una mano sulla bocca, fingendo di essersi pentito di quelle parole, “Esclusi i presenti s’intende!”

Lei scosse la testa, nascondendo un sorriso. Non riusciva ad avercela con lui. Dopotutto avevano rischiato di perderlo, e… bhè, anche essere presi in giro era rincuorante.

“Te lo dirò solo se prometti che per oggi mollerai il lavoro…”

Lui scosse la testa indignato, “Ricattatrice!” l’apostrofò. Si drizzò a sedere, “Ma ci sto. Sai che amo le sfide impossibili!”

“Perfetto!” assentì lei, con un bel sorriso.

“Dunque?”

“Cosa?”

“Il nome…”

Lei si strinse nelle spalle, “Te lo dirò domani. Se lo facessi adesso, tu continueresti a fare di testa tua!”

Greg scosse la testa, quindi raccattò il telecomando che giaceva sul comodino.

“Devi dirmi altro?” le domandò.

Lisa rimase per un momento in silenzio. C’era qualcosa da dire? Effettivamente si. C’erano un sacco di cose di cui avrebbe dovuto informarlo, ma la verità era che non se la sentiva.

Non le andava di dirle che da qui ad una settimana, Cameron sarebbe tornata a lavorare con loro, così come non avrebbe voluto dirgli che la sua immunologa era felicemente fidanzata con un nerd dell’ultima categoria.

Un certo Robert J. Aspen, assistente alla cattedra di psichiatria dell’università.

Ci sarebbe stato tempo.

Doveva esserci sempre tempo.

“Niente di importante”, mentì.

Lui annuì, “Allora se non ti dispiace…” accese il televisore, che rimandò subito la sigla del General Hospital, “Ho delle cose importanti da fare!”

La Cuddy sbuffò, quindi si alzò e usci.

Poco dopo ricomparve sulla porta, “Sei un bastardo lo sai?”

Greg non rispose.

“Ma significa che stai meglio!” sorrise, quindi uscì lasciandolo solo.

 

 

“A cosa pensi?”

Cameron si voltò di scatto, come se qualcosa l’avesse scottata.

Robert era in piedi di fronte a lei, con le mani in tasca e l’aria dubbiosa. Scosse la testa impercettibilmente. Come diavolo le era venuto in mente di frequentare un tipo del genere?

Non che fosse male, questo no, però… però non era Greg.

Ecco qual’era il problema reale.

Aver trascorso due giorni interi con lui, curandolo, tenendogli la mano.

L’aveva visto morire e rinascere, e non poteva far finta che non fosse accaduto nulla.

Così come non poteva ignorare il fatto che in quelle quarantotto ore, non aveva pensato mai a Robert. Mai.

Sospirò.

“E’ per la questione del Princeton?” domandò lui.

Allison si strinse nelle spalle, “Anche”, sussurrò.

Lui si avvicinò, cercando di prenderle una mano che lei prontamente ritrasse.

“Allie, per cortesia”, la pregò lui con una nota di rabbia nella voce, “Dimmi cosa diavolo hai. Sto impazzendo.”

Anche io, pensò lei, eppure eccomi qua.

“Stavo pensando al caso House”, disse.

L’espressione di Robert si fece accigliata, “E perché mai?” domandò, “Tu stessa hai detto che è andato tutto bene. Cosa c’è da pensare?”

Lei lo guardò stranita, “E’ pur sempre il mio capo, Rob. Ho il diritto di pensarci quanto mi pare e piace”, fu dura, ma non se ne curò, “Abbiamo rischiato di perderlo, e…”

Lui si lasciò cadere sul divanetto scuro, “E’ ancora il tuo capo?” domandò, “Ma non eri tu quella che lo detestava?”

Il sarcasmo della domanda non sfuggi ad Allison, “E quindi?”

“Come quindi?” chiese lui.

“Non tentare di psicanalizzarmi, Rob”, lo guardò furente, “Non funziona!”

“Hai ragione”, asserì lui, “Non funziona. Sei cambiata completamente. Mi tieni fuori, mi rifiuti… cosa ci faccio con una storia finta come questa?”

Allison rimase in silenzio.

Se l’era domandato più volte anche lei, e mai aveva trovato una risposta.

Si alzò dalla sedia, camminando verso l’appendiabiti.

“Dove vai ora?” domandò lui, alzandosi a sua volta.

“Al Princeton. Voglio vedere come sta House. E’ parecchio che non ho sue notizie”.

Lui s’infuriò.

“Allison se esci da quella porta sappi che…”

“E’ finita”, finì lei per lui, “Hai ragione” assentì, “Meriti di meglio di una come me.”

S’infilò la giacca, e prese la borsa, “Ci sentiamo Robert”, lo salutò.

Lui rimase ammutolito, chiedendosi cosa diavolo fosse successo in così poco tempo.

Due minuti prima… andavano d’accordo, per Dio.

Lei lo guardò un’ultima volta, quindi aprì la porta e uscì.

Scendendo le scale del palazzo, si pentì per essere stata così dura, ma non poteva fare altrimenti.

Adesso c’era Greg.

Solo e soltanto Greg.

Era una settimana che non lo vedeva, e voleva assicurarsi che stesse bene.

Voleva vederlo… vivo.

Pulsante.

Stronzo.

Voleva vedere il suo Dott. House.

 

 

Varcò l’uscio dell’ufficio della Cuddy, dirigendosi a grandi passi verso la stanza di Greg.

La dottoressa le aveva detto che House stava meglio e che, probabilmente, l’indomani l’avrebbero fatto uscire.

Alla sua richiesta di vederlo, la Cuddy aveva assentito con slancio. A suo avviso, gli avrebbe fatto bene sapere che lei, nonostante tutto, si stava preoccupando per lui.

Avanzò lentamente dinanzi alla porta, raccogliendo le sue energie in un bel respirò.

Bussò, e senza aspettare risposta entrò nella stanza.

Lui giaceva nel letto, una gamba penzoloni fuori delle coperte.

Quando la vide, non fu così bravo a mascherare la meraviglia.

“Il figliol prodigo!” l’apostrofò sarcastico.

Lei non ci badò. Era troppo felice dentro, di vederlo così.

Anche se significava beccarsi i suoi insulti.

“House!” lo salutò.

“Che ci fai qui?” domandò lui, spegnendo la televisione.

“Sono passata a vedere come stai…”

Lui rise. Inaspettatamente rise.

“Non eri tu, quella mi odiava a morte?”

Lei represse una risatina. Eccome no! Lo odiava a tal punto da avergli salvato la vita. Decise di non fare il suo gioco, limitandosi a non rispondere.

“Sai che ci sono immunologi molto più bravi di te?” domandò, rizzandosi a sedere, “Uno in particolare mi ha salvato la vita! Grandioso!”, le puntò contro l’indice, “Credo proprio che lo sceglierò per sostituirti. Se fossi stata qui, sarei morto e sepolto a quest’ora!”

Allison rimase un momento in silenzio.

Non capiva.

Nessuno aveva detto a Greg che era stata lei ad isolare il virus? Nessuno gli aveva detto che era stata lei a salvarlo?

Tuttavia, resse il gioco. Forse era meglio così.

“Me ne compiaccio” mormorò.

“Anche io” disse lui.

La guardò ancora, senza la benché minima traccia di benevolenza, “Cosa vuoi, Cam?”

Scosse le spalle, “Ah si! Sei venuta a vedere come sto!” si indicò, “Come puoi constatare tu stessa, godo di ottima salute!”

“Bene…” sussurrò lei, in imbarazzo.

“Quindi puoi andare!” le consigliò, “A noi del Princeton non piacciono i traditori!”

“Cosa dici?” gli domandò.

“Te ne sei andata, ricordi? Eri così arrabbiata che mi hai anche mandato al diavolo!”

“Credo fosse nei miei diritti!” ribatté lei, indispettita.

“Mmm”, lui la guardò dubbioso, “No, non era nei tuoi diritti”, alzò una mano, imitando un generale, “Al capo si porta sempre rispetto, matricola. Non lo sa?”

Allison scosse la tesa, “Che bastardo arrogante”.

“Puoi andare Cameron”, disse lui.

Lei lo fissò risoluta. Non era arrivata fin lì per essere cacciata di nuovo.

“Non voglio”, rispose.

Lui si voltò si scatto, “Non vuoi?” ripeté pensando di non aver sentito.

“Esatto. Sono passata a trovarti e…”

Mi hai trovato”, concluse lui, “Mi hai parlato, e adesso puoi andartene”.

“Perché?” domandò lei. E quella domanda, ne nascondeva un’altra ben più profonda.

“Perché, cosa?”

“Perché continui a rifiutarmi?”, abbassò lo sguardo, “Sono qui per te, capisci? Perché ero preoccupata. Non voglio nient’altro che saperti…” lo guardò, “Vivo”.

“Oh ma come sei altruista!” la prese in giro lui, “Te ne sei andata, non ci faccio nulla con la tua pena”.

“Non è pena”, lo corresse lei.

“Ah no, giusto! E’ amore, vero?”

Lei si sentì morire. Eppure non era mai stato così caustico.

Scosse la testa, senza dire nulla, e s’incamminò verso l’uscio.

“Stammi bene, House”.

Lui la guardò uscire, e nella sua testa si accese un’immagine nitida, fino ad allora sopita chissà dove.

Due occhi di smeraldo che lo fissavano terrorizzati.

 

 

 

 

 

 

 

In my opinion seeing is to know
The things we hold
Are always first to go
And who's to say
We won't end up alone

 

Alter Bridge, “Broken Wings”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

TO BE CONTINUED...

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Capitolo 8
*** why ***


WHY

WHY

Capitolo 8

 

 

Non rinunciare mai a quello che ami,

altrimenti perderai per sempre la tua parte migliore

(Per Amore)

 

 

Greg entrò nell’ufficio della Cuddy, roteando lentamente il bastone.

Erano passate due settimane dalla famosa crisi respiratoria, e lui aveva cominciato a lavorare a pieno regime.

Invero, si sentiva stanco.

Come se il peso del dolore e della non accettazione, si facesse sentire più del consentito.

Aprì la porta, trovandosi di fronte Jimmy e la dottoressa.

“Cosa fai tu qui?” domandò all’oncologo, senza celare il disappunto.

Ultimamente, mal sopportava intrusioni o sorprese.

“Ti stavamo aspettando”, rispose l’altro senza dar peso all’evidente malumore dell’amico.

Se ne sarebbero occupati dopo.

“Ah bene! Cos’è una trappola? Mi volete qui per farmi il lavaggio del cervello o che so io?”

Cominciava ad averne abbastanza anche di loro.

Loro che non facevano altro che dirgli cosa fare e cosa non fare ‘House il paziente ti aspetta’, ‘House quella cura è una follia’, ‘House qui, House lì’… ne aveva le palle piene.

E non voleva nasconderlo a nessuno.

Dopotutto non erano loro i paladine del ‘condividiamo le angosce e i dolori?’

Quindi decise che avrebbe condiviso.

“Ci sono cose importanti che dobbiamo discutere insieme”, interloquì Lisa guardando entrambi i medici, “Tutti e tre” precisò.

“Non avevi abbandonato l’idea di avere un figlio?” domandò Greg, sedendosi di fronte alla scrivania, “Bhè se ci hai chiamati perché vuoi il nostro seme” la fissò lungamente negli occhi, “Scordatelo! Non regalo spermatozoi al primo che passa!”

Lisa incassò il colpo senza battere ciglio. A dir la verità l’umore nero di Greg, non lasciva presagire nulla di buono.

“Non temere, non sei qui per questo”, lo rassicurò sarcastica.

Lui sospirò rumorosamente, “Bene”, fece per alzarsi, “Quindi me ne vado. Ho ambulatorio” la fissò, “E non posso proprio arrivare in ritardo!”

La Cuddy si spazientì, “Resta dove sei”, intimò, “Dobbiamo parlare”.

Forse era stato il suo tono perentorio, o forse l’idea di andare in ambulatorio era talmente oscena da non essere nemmeno presa in considerazione, tant’è che Greg si rimise seduto.

Inaspettatamente remissivo.

“Ricorderai che qualche tempo fa, ti avevo chiesto i documenti di licenziamento di Cameron”, attaccò lei, fissandolo negli occhi, “Ebbene, siccome hai deciso di non darmeli, sono sorti dei problemi”.

Lui ridacchiò, “Ti arresteranno?” domandò, fingendosi preoccupato, “Che terribile disdetta! Dovrai partorire in carcere!”

Lei scrollò le spalle, “Direi che quel che aspetta a te, è peggio”, lo ammonì.

“Mi torturerai?” ammiccò, “Sempre detto che sei una donna sadica!”, la scrutò da capo a piedi, intensamente, “Con quelle tette, sarebbe difficile dire il contrario”.

Jimmy si mise una mano di fronte alla bocca per non ridere.

“House piantala!” soffiò Lisa, “E’ una questione spinosa”.

“Spinoza? Gran filosofo!” si voltò verso Jimmy, “Non trovi anche tu?” gli domandò.

L’amico gli lanciò un’occhiataccia, “Non è il caso di scherzare adesso…” consigliò.

Greg si spazientì, “Ok, ne ho abbastanza!”.

Si alzò dalla sedia, ponendosi dietro di essa, “Cosa c’è?”

Lisa incamerò aria, “C’è che Cameron da stamattina è ancora alle nostre dipendenze” disse tutto d’un fiato.

Lui rimase impassibile, quindi si voltò per uscire.

Quando arrivò di fronte alla porta, si decise a parlare, “Quando dicevo nuovo immunologo, presupponeva il reclutamento di una persona di sesso maschile, che non rispondesse al nome di Allison Cameron”, si voltò verso Lisa, “Ma come al solito tu non mi ascolti mai!”

Aprì la porta, infuriato, “Dannato girl power!”.

 

 

Chase passò una tazza di caffè a Cameron, che sedeva alla scrivania della sala riunioni.

“Mi fa piacere averti qui”, disse sorridendo.

La ragazza annuì, fissando la schiena di Foreman, appoggiato alla finestra.

Anche a lei, faceva piacere essere di nuovo tra di loro.

Certo, sarebbe stato più difficile del previsto, ma in fin dei conti quella era la sua vera vita. Il suo lavoro.

I suoi colleghi.

Avrebbe potuto scappare fino a Timbucktu, ma nessuna distanza sarebbe mai stata sufficiente, per cancellare una realtà tanto pesante.

Sorseggiò il caffè, sbirciando la porta.

Non aveva visto ancora Greg, ma sapeva che quella fortuna non sarebbe durata a lungo.

Stavano lavorando ad un caso, e presto o tardi lui sarebbe passato a subissarli di dubbi, informazioni e richieste folli.

Come faceva sempre.

Posò la tazza sul tavolo, e prese i fogli della analisi del nuovo paziente.

Era un bambino di nove anni, affetto da strani disturbi del sonno. Purtroppo, se si escludevano patologie legate a qualche farmaco che ingeriva a causa del diabete alimentare, avrebbero dovuto indirizzare la ricerca sul campo psichiatrico.

Non se lo augurava.

“E’ pronta la biopsia del tessuto polmonare?” domandò ai suoi colleghi.

Foreman finalmente si voltò, “Doveva passare House a prenderla”, sorrise, “Ha un conto aperto con il tipo delle analisi. Hanno scommesso cento dollari su una puntata di General Hospital e House ha vinto!”

Cameron scosse la testa.

Sempre il solito.

Non cambiava mai.

“Speriamo di non doverlo torturare con TAC encefaliche o robe simili. Sarebbe terribile per lui”, mormorò abbassando lo sguardo sui fogli che teneva in mano.

“Bhè, sono dell’idea che una bella seduta di elettroshock non arrecherebbe alcun danno!” rise Foreman.

Cameron strabuzzò gli occhi, e Chase scoppiò a ridere.

“Sta parlando di House”, la rassicurò.

Foreman annuì, “Comincio ad averne abbastanza del suo dannato malumore”, sbuffò con aria contrita, “E’…”

Rabbioso”, finì Chase per lui.

Cameron si strinse nelle spalle, “Sarà a causa del mio ritorno”, sospirò sconfitta.

Erano giunti a questo, dunque?

Non riuscivano nemmeno a lavorare insieme dopo quanto era successo?

“Non è da escludere”, borbottò Chase, andando a prendere dell’altro caffè.

Cameron si voltò verso la porta a vetri, l’aria pensosa.

Proprio in quel momento notò Greg camminare di gran carriera verso il suo ufficio, ignorando la sala riunioni.

Dietro di lui, Wilson.

Di sicuro, aveva preso il suo ritorno peggio del previsto…

 

 

“Per essere zoppo vai anche troppo veloce!”, attaccò Wilson entrando nell’ufficio.

“Taci!”, lo zittì l’altro.

“House smettila di fare il bambino undicenne sgridato dai genitori. Te lo avremmo detto”.

Greg si voltò di scatto, “Ah si? E quando? Quando me la sarei ritrovata in sala riunioni ad aspettarmi per un ragguaglio?”

Wilson scrollò le spalle, “Se non sbaglio sono due giorni che la Cuddy tenta di rintracciarti”.

“Ma smettila” borbottò l’altro.

“Non capisco cosa ci sia di così strano”, domandò Jimmy sedendosi, “In fin dei conti è solo Cameron!” spalancò le braccia, “Quante volte ci hai litigato? Un milione. E sono altrettante le volte in cui ci sei passato sopra. Non capisco cosa ci sia di così diverso, adesso”.

“C’è di diverso che non la voglio. Non voglio lavorare con lei, non voglio averla tra i piedi, non voglio doverci parlare tutti i giorni!” gridò Greg, infuriato.

“Allora potevi evitare di smarrire i fogli del mio licenziamento”.

Sulla soglia c’era Cameron.

Si stringeva le mani sul petto, il viso teso, gli occhi velati di lacrime.

“Oh perfetto”, bofonchiò House.

“E’ colpa tua se sono ancora qui”, continuò lei ignorando volutamente Wilson, “Io ho firmato quei fogli proprio in questo ufficio, davanti a te. Non puoi averlo scordato”.

Lo fissò intensamente, “Non puoi aver scordato quello che mi hai detto”.

Lui strinse il bastone con foga, “E se invece lo avessi fatto?”

Lei fece una smorfia, “Non lo hai fatto, House”, lo fissò a lungo, “Lo so!”

Lui ridacchiò indispettito, “Sei una veggente?” la canzonò.

“Lo so perché altrimenti non sarei qui”, avanzò di un passo verso di lui, “Ti sei voluto lasciare una scappatoia, non è così? Lo sapevi che sarebbe successo, lo sapevi bene, è per questo che hai nascosto i termini di recessione”, incamerò aria, “Purtroppo per te, al General se ne sono accorti molto tardi, quando già avevi cambiato idea”, si strinse nelle spalle, “E adesso le cavolate che hai fatto ti si stanno ritorcendo contro”.

“Non tentare di psicoanalizzarmi”, l’ammonì lui, “Per quello c’è già Wilson”.

Lei scosse la testa, senza sapere più cosa dire.

Era… vuota.

Completamente svuotata.

Come se quello che le permetteva di rimanere intatta, si stesse lentamente disfacendo.

“Vuoi che me ne vada, dunque?”

Lui non rispose.

Lei si spazientì, “Perché?”

“Non puoi lavorare con una persona che detesti, no?” disse lui, “Lo hai affermato tu stessa”.

A quel punto, si infuriò.

Ne aveva abbastanza di quella storia infantile, e ne aveva abbastanza anche del comportamento puerile di Greg.

Basta.

Era ora di dire la verità.

“Pensi davvero che se ti detestassi così tanto mi sarei adoperata per salvarti la vita?” gli domandò.

Lui sbarrò gli occhi stupito.

“Esatto! E’ così. Quando stavi male”spiegò, “La Cuddy mi ha chiamata pregandomi di venire qui. Sono io il bravo immunologo che ti ha salvato. Sono io quella che volevi chiamare per sostituirmi, sai? E sai perché l’ho fatto?”, respirò affannosamente, “Perché anche se non mi vuoi, anche se mi ripudi, se mi cacci… non potevo pensare di vivere senza saperti in vita”.

Lo fissò con risolutezza, “Non ti ho chiesto nulla. Mai. Ma non provare mai più a dire che ti detesto perché sei il primo a sapere che non è così”.

Greg non fiatò.

All’improvviso si ricordò di un tocco gentile, forte, caldo, che gli stringeva la mano come per assicurarsi di non perderlo tra le tenebre.

Si ricordò una voce che lo pregava di resistere, di reagire, di non mollare. Una voce che gli aveva rimbombato nella testa per giorni. Distante. Impaurita.

E si ricordò di due occhi verdi smeraldo che si tuffavano nei suoi, portando con loro la promessa di salvezza che tanto cercava.

E si ricordò anche le sue ammissioni in punto di morte. Aveva promesso che, se fosse sopravvissuto, le avrebbe detto di amarla.

Lo aveva giurato.

“Me ne vado, House”, interloquì lei, fermando il flusso dei suoi pensieri, “E questa volta faccio sul serio”.

Si voltò, e uscì dalla porta.

Le spalle scosse dal pianto.

 

 

 

 

 

 

 

 

Why, do you always do this to me?

Why, couldn't you just see through me?
How come, you act like this....Like you just don't care at all

 

Avril Lavigne, “Why”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

TO BE CONTINUED...

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Capitolo 9
*** wish you where here ***


WHISH YOU WHERE HERE

WHISH YOU WHERE HERE

Capitolo 9

 

*Allison Cameron*

 

E sempre quella domanda.

Sempre la solita, insistente, costante domanda.

Una domanda che si faceva da mesi… da anni.

Domande, sempre domande, continuamente domande.

Senza avere mai una risposta.

Senza aver mai la possibilità di sentirsi finalmente compresa, accettata, voluta.

E Greg…

Una costante talmente pesante da non riuscire più a respirare.

Un assillo continuo.

Una voce bassa e roca che ripeteva continuamente le stesse cose.

Non ti voglio.

Perché? Perché, non mi vuoi? Cosa c’è di male in me? In cosa sbaglio?

Ecco… sempre domande.

Voglio solo una risposta, Greg. Soltanto una risposta.

Perché proprio non capisco cosa c’è che non vada in me. Non lo so davvero.

Potrei starmene un mese, seduta a pensarci e non lo capirei.

Non lo capirei perché tu sei il mio mistero.

Lo sei sempre stato.

Non ho scelto io di innamorarmi di te. Lo hai fatto tu.

Con i tuoi modi, i tuoi silenzi.

Con le tue occhiatacce, e le tue battute.

Io che non credevo di essere ancora toccata dall’amore, mi sono dovuta ricredere.

E sono caduta a terra, sconfitta, sapendo che quel peso che sentivo dentro, invece di diminuire, sarebbe aumentato esponenzialmente.

Come posso privarmi di te?

Come posso andarmene ancora, senza aver paura di non vederti mai più?

Ti ho detto che volevo solo saperti in vita, ma mentivo.

Vorrei averti qui.

Ora.

Adesso.

Vorrei poter dimenticare il male che mi fai, il cuore che sanguina, la testa che esplode.

Vorrei solo riuscire a trovare un modo per lasciarti andare.

O che lo trovassi tu.

Lasciami andare, Greg, te ne prego.

Non posso vivere avendoti accanto e sapendo di non poterti avere.

Non ci riesco.

Ho provato, Dio se l’ho fatto! Ho provato a non pensarti, a non vederti, ad ignorarti…

Ma è stato il destino a riportarmi da te. Un destino beffardo che mi ha messo tra le mani la tua vita.

Cosa c’è di più prezioso per me?

Ed ero terrorizzata, Greg.

Avevo paura di sbagliare, di commettere un errore che ti avrebbe strappato a me per sempre.

E ti stringevo la mano per assicurarmi di tenerti con me.

Ti avrei cullato, se me lo avessero permesso.

Non importa se poi non me lo avresti perdonato. E se non te ne fossi ricordato.

Lo avrei fatto perché non potevo credere di perderti.

E la tua mano che si faceva sempre più fredda, e il tuo viso immobile, gli occhi chiusi.

Non sai come mi sono sentita, dentro.

Pensavo che, da lì ad un minuto sarei esplosa in mille pezzi.

Pensavo di non riuscire a sopravvivere.

E invece mi hai ascoltato.

Hai preso a respirare e in quel momento ho sentito il mio cuore esplodere.

Come posso, dunque, ignorare tutto questo?Come posso non volerti amare dopo aver sentito il tuo cuore fermarsi e poi rinascere?

Non me lo chiedere, Greg.

Non lo fare.

Me ne andrò se è necessario, ma non domandarmi di smettere di amarti.

Non  potrei farlo.

Sarebbe come tradire il mio cuore.

Sarebbe come tradire il tuo.

Perché so che il tuo cuore risponde al mio richiamo. Lo vedo nella vasta profondità dei tuoi occhi chiari, quando mi guardi.

E ti ho sentito muoverti verso di me.

Ti ho sentito chiedermi di restare.

E non me ne andrò.

Non posso farlo.

Se solo…

Se solo fosse facile rinunciare a te.

Se solo ce la facessi.

Vivrei senza una parte di me, ma continuerei a vivere. Terrorizzata e pure soddisfatta del mio istinto di sopravvivenza.

E’ così, sai?

E’ quell’istinto, che mi permette di andare avanti.

Vorrei che adesso fossi qui.

Per guardarti negli occhi.

Per sentirti respirare.

O forse, solo per sentirti dire che non mi ami.

Sarebbe più facile.

Sarebbe più semplice.

Sarebbe conveniente…

 

 

 

“How I wish, how I wish you where here… We’re just two lost souls swimmin’ in a fish bowl year after year. Runnin’ over the same old ground but have we found the same old fear. Wish you where here...”

 

Pink Floyd, “Wish you where here”

 

To be continued...

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Capitolo 10
*** Ti sento ***


TI SENTO

TI SENTO

Capitolo 10

 

 

Non abbiamo la possibilità di cambiare molte cose che la vita ci mette davanti, ma possiamo scegliere come affrontarle, come farci influenzare da esse, e quanto lasciare che ci trasformino dentro. (Kate Kann)

 

 

 

 

“Dov’è Cameron?”

Greg entrò nell’ufficio della Cuddy, con l’aria contrita.

“Perché?” domandò lei, senza alzare lo sguardo dalla cartella che stava leggendo.

“Sono due giorni che non si presenta a lavoro”, spiegò lui con una nota d’ansia nella voce.

Lisa alzò finalmente lo sguardo, “E’ una tua assistente. Non mia. E’ un tuo problema”.

Greg sbuffò, quindi prese a camminare in circolo per l’ufficio.

“A casa non risponde”, sbirciò l’ingresso dell’ospedale, “E nemmeno al cellulare”.

Lisa non rispose.

“Mi hai sentito?”

“Cosa vuoi che ti dica, House?”, sbottò lei, “Non so dove sia, ne cosa faccia, non ne ho la più pallida idea”.

Lui la guardò di traverso.

“Non fare quella faccia”, l’ammonì puntandogli contro l’indice, “Non so che cos’hai combinato, e non voglio nemmeno saperlo, ma sono sicura che la responsabilità sia tua”.

Lui evitò di rispondere.

Chissà perché, ogni volta che si trattava di Cameron, lui doveva necessariamente esserci di mezzo.

Ok, ok, questa volta era colpa sua, doveva ammetterlo, però stava cercando di recuperare no?

Si stava preoccupando.

“Devi aiutarmi”, bofonchiò poco convinto.

Lisa sorrise, “In che modo?”

Lui si voltò di scatto, “Sei o non sei una donna?”

“E con questo cosa vorresti insinuare?”, domandò lei sulla difensiva.

Lui scrollò le spalle, “Se sei una donna, sai come ragionano quelle del tuo genere”, spiegò, “Quindi dimmi come ragiona Cameron”.

“Non sono mica una psichiatra”, obbiettò lei.

“Oh andiamo, raggio di sole!” sospirò lui, “Non me la stai rendendo semplice”.

Lei inspirò, quindi si alzò, avvicinandosi alla finestra dove sostava lui.

Fissarono per un istante l’esterno, senza parlare.

“Non è una malattia, questa”, disse lei a voce bassissima, “Sono sentimenti”.

Cosa cambia?” chiese lui, ostinato.

“Non puoi prevenirla. Non puoi diagnosticarla”, si voltò per permettersi di guardarlo, “E soprattutto non puoi curarla”.

“Eppure c’è un decorso anche qui”.

Lei annuì impercettibilmente, “C’è sempre un decorso. Per tutto. Ma durante la malattia sei inerte. O c’è, permane, ti conquista, o la debelli. Con l’amore non funziona così, sai?

Hai la possibilità di scegliere come agire. Puoi viverlo, senza remore, oppure puoi ignorarlo. L’unica cosa che lo differenzia da una malattia, e che devi tener conto della persona per cui provi quelle emozioni”.

Greg non rispose, si limitò a fissare dinanzi a se.

“Lei è innamorata di te, House. Ma questo non ti permette di sputarle contro il tuo cinismo”, chiarì Lisa, “Non puoi calpestarle il cuore ogni giorno, e pretendere che lei stia lì ferma senza dire nulla”.

Lui si voltò, rimanendo ostinatamente in silenzio.

Cosa avrebbe dovuto fare, dunque?

Cosa?

Non era bravo con queste cose. Non lo era mai stato. E trovarsi a parlare con Lisa Cuddy di questo, aveva del paradossale.

“Me ne vado” disse solo.

Lei si voltò, rimanendo a guardare la sua schiena che si allontanava.

“Buona fortuna, Greg”, sussurrò.

 

Allison si versò l’ennesima tazza di caffè, quindi se ne tornò sul divano.

Non sarebbe andata a lavorare nemmeno quel giorno.

Si doveva concedere del tempo per pensare.

Si sfilò i calzettoni di spugna che indossava, e poggiò i piedi bollenti sul pavimento fresco.

Il contrasto di temperatura, le provocò un brivido.

Sorseggiò il caffè lentamente, tentando di svuotare la mente.

Si era imposta di non pensare. Doveva semplicemente trascorrere qualche giorno, senza rimuginare su ciò che le stava accadendo.

Sulla situazione controversa che stava vivendo.

Chiuse gli occhi e si distese, controllando il respirò.

Sentì i muscoli della schiena rilassarsi, quindi respirò più profondamente.

Qualche istante dopo, il campanello suonò.

A piedi nudi si diresse verso il portone, giro la chiave nella porta, quindi aprì.

Di fronte a lei, Greg.

La testa china, lo sguardo colpevole, e il peso del corpo abbandonato contro il muro.

“Cosa vuoi?” domandò freddamente.

“Posso entrare?”

Lei rimase un momento immobile, indecisa sul da farsi, quindi si scansò per permettergli di passare.

“Cosa vuoi?” ripeté ostinata.

“Sei malata?” tergiverso lui, camminando per il salotto.

“No”.

“E allora come mai, di grazia, non sei a lavoro?”

Lei si sedette sul divano, senza preoccuparsi di averlo alle spalle.

“Temo che la mia presenza non sia gradita, in ospedale. Non mi va di stare in un posto dove non vengo apprezzata per il lavoro che faccio”.

Era stato lui a buttarla sul lato professionale no? Quindi avrebbe continuato su quella linea.

Anche se doveva ammettere, che ignorare il tonfo sordo e accelerato del suo cuore, si stava rivelando una vera e propria impresa.

“Ti sbagli”, obbiettò lui.

“Quindi la devo considerare un’intolleranza soggettiva?” ridacchiò.

Lui era decisamente in imbarazzo, ma non se la sentì di essere magnanima. Non se lo meritava.

“Non me la renderai facile vero?” domandò lui, piazzandosi proprio di fronte a lei.

“Cosa c’è da rendere facile?” chiese lei a sua volta, “Mi sembra avessimo stabilito quello che era semplice e quello che invece non lo era”.

“Tu lo hai stabilito”, contestò lui, “Non io!”

“Ah!” esplose lei, “Hai ragione. Tu sei quello che…” fece finta di pensare, “Aspetta che ti cito: non voglio averla tra i pedi, e non voglio essere costretto a parlarci ogni giorno”, lo guardò furente, “Cosa diavolo dovrei fare secondo te? Fingere di non aver sentito?”

Greg chinò il capo.

Com’è che aveva detto la Cuddy? Ah già, non avrebbe dovuto sputarle contro il suo cinismo.

Mi spiace” sussurrò. E si stupì da solo di quelle parole.

“Prego?”

“Mi spiace”, ripeté con un filo di voce.

Alzò la testa, per permettersi di fissarla negli occhi, “E grazie”.

Lei lo guardò senza sapere cosa dire.

“Quando ho avuto quell’attacco… bhè ti ho sentita Cam. Ho sentito la tua mano, la tua voce…ho visto i tuoi occhi” deglutì, respirando a fatica. Era molto più facile essere sarcastici.

“Non so perché ho voluto ignorarlo…” sospirò, “Ma mentre ero lì, senza sapere cosa diavolo stesse succedendo, mi sono fatto una promessa…”

Allison lo guardò senza fiatare. Stava succedendo qualcosa. Se lo sentiva nelle ossa.

Ma chissà perché si sentiva come se quello che aveva sempre sognato, si stesse trasformando nell’incubo peggiore che avesse mai temuto.

“Mi ero promesso di non fingere di non sentire…”, ridacchiò, “bhè quello che sento! Ma è stato difficile”, si sedette accanto a lei, quindi si voltò, “Per me è più facile essere quello che sono piuttosto che mostrarmi debole”.

“Non lo saresti nemmeno se fingessi”, obbiettò lei, la voce roca.

Lui ridacchiò di nuovo. Un chiaro segno di nervosismo.

“Eppure è quello che ho sempre pensato. Ho sempre considerato i sentimenti robetta da donnacce…” la fissò in silenzio, “Ma poi mi sono dovuto ricredere. Non pensavo avessero a che fare anche con me, e invece mi riguardavano eccome”.

“Qual’era la promessa?” domandò lei, le guance in fiamme, il cuore che pulsava forte, sembrava che volesse uscirle dal petto.

“Che ti avrei detto quello che sto per dirti…”

Allison rimase in attesa.

Aveva assurdamente paura di quello che le sue orecchie stavano per sentire.

Sono innamorato, Cam”, mormorò, in evidente imbarazzo.

“Innamorato?” balbettò lei.

“Innamorato sì”, ripeté Greg, “Di te”.

Istintivamente, Allison prese distanza da lui.

“Questo…”, lei deglutì, “Questo cosa significa?” domandò.

“Non significa nulla. Significa che sono innamorato di te.”

Allison scosse la testa, ancora incredula di quello che aveva appena sentito.

Cosa diavolo stava succedendo?

E stava succedendo davvero?

“Cosa dovrei fare?” gli domandò con ansia.

Lui scosse la testa a sua volta, “Niente. Non voglio niente da te, volevo solo che sapessi quello che mi sa succedendo”, incamerò nuovamente aria.

Gli sembrava di soffocare, e sentiva veramente troppo caldo.

Dannatamente caldo.

“Ti ho mandata in ferie perché non sopportavo di averti intorno…”

Lei fece per ribattere, ma lui la fermò con un cenno della mano, “Non volevo averti intorno perché era difficile ignorare quello che sentivo. Smanioso di vederti e pure dannatamente arrabbiato per quello che mi stavi facendo provare. Non riuscivo a sostenere quelle emozioni ok? Non ci riuscivo. Stavo per impazzire, e l’unica cura che ho trovato a tutto questo era allontanarti…”

Adesso lei stava piangendo. Le lacrime le rigavano il volto, saltando poi sulle ginocchia che teneva piegate contro il petto.

“Non sapevo cosa fare…”

“Avresti potuto parlarmene, almeno”, considerò lei.

“E per dirti cosa?” ridacchiò lui.

“Quello che mi ha detto adesso”, inspirò profondamente, “Greg” lo chiamò per nome, “Se non fossi stato male, adesso non saresti qui a raccontarmi queste cose. Se non ci fossi stata io lì, a tenerti le mani durante l’attacco respiratorio, tu non saresti qui adesso. Se il destino avesse preso un’altra strada questa conversazione non ci sarebbe mai stata”.

“O forse si”, azzardo lui, con un mezzo sorriso.

Non posso Greg, mi spiace”, sospirò Allison, ricominciando a piangere.

“Cosa?”

“Non posso far finta di niente”

“Non devi più farlo, adesso”

Lei scosse la testa, un sorriso amaro a dipingerle il volto, “Proprio non capisci vero?”

“Cosa dovrei capire?”

Si alzò, camminando con fare nervoso per la stanza, “Come faccio adesso? Come faccio a lavorare con te dopo quello che mi hai detto? Io voglio lasciarti andare Greg, voglio essere libera ma…” strinse i pugni, “Dannazione non ce la faccio”, il suo viso si fece più dolce, “Io ti amo… ma stare con te significa morire…non posso sostenerlo”.

Greg annuì, quindi si alzò in piedi e raccattò il suo bastone.

Deambulò lentamente verso di lei, lasciandosi accarezzare dal suo fiato caldo che fuoriusciva accelerato dalle sue labbra morbide.

Si avvicinò e la baciò.

Sfiorandole le labbra e socchiudendo gli occhi, sentì per la prima volta il suo sapore.

“Ciao Cam”, la salutò.

Gli occhi di lei si riempirono di altre lacrime, che ben presto cominciarono a scendere.

Inarrestabili.

Lo guardò uscire, e chiudersi la porta alle spalle.

Cadde a terra, in ginocchio. I singhiozzi disperati a riempire la stanza.

 

 

 

“Qui con la vita non si può mai dire

Arrivi quando sembri andata via… ti sento dentro tutte le canzoni, in un posto dentro, che son io ti sento…”

 

Luciano Ligabue, “Ti sento”

 

 

 

 

 

 

 

To be continued…

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Capitolo 11
*** L'amore comunque ***


L

L’AMORE COMUNQUE

Capitolo 11

 

 

Alcune cose ci sfuggono perché sono così impercettibili che le trascuriamo. Ma altre non le vediamo proprio perché sono enormi.

(R.J. Pirsing)

 

 

 

Camminò lentamente lungo il corridoio del Princeton, gli occhi fissi sulle scarpe, la testa che pulsava al peso dei pensieri che la riempivano.

Aveva pianto ancora una volta.

Aveva passato l’ennesima notte in bianco.

Sospirando, entrò nella sala riunioni, salutando a mala pena Foreman e Chase.

Prese la sua agenda e una tazza di caffè, quindi si sedette accanto alla finestra, continuando a rimuginare.

Le sembrava di non fare altro, da una settimana a quella parte.

E lo vedeva.

Era nel suo ufficio, muoveva il capo al ritmo della musica, e nel frattempo leggeva qualcosa al pc.

Le mancava.

Dio, se le mancava.

Le mancava soprattutto il senso di attesa che l’aveva pervasa nei mesi passati. Quel meraviglioso, e insieme terrificante, senso di mistero che aleggiava sulla sua vita.

Il sapere e non sapere che lui, in un modo del tutto particolare, teneva a lei.

Lo sapeva, eppure aveva sempre ignorato quella possibilità.

Probabilmente timorosa, di ciò che comportava concedersi totalmente a lui.

Sapeva di aver fatto la scelta migliore per se stessa, era cosciente che il suo piccolo e fragile cuore non avrebbe retto, eppure sentiva di essersi trattenuta.

Come sempre.

Avrebbe voluto abbracciarlo, quel giorno, avrebbe voluto concedersi a lui senza riserve, donarsi completamente come aveva sempre desiderato, ma…

Sempre quel dannato ed insistente ma.

Quel ma che le impediva di vivere completamente dei sentimenti talmente forti da farla sentore viva. Forse per la prima volta.

Sospirò, alzando il capo.

I suoi colleghi se ne stavano seduti al tavolo a guardare le rispettive documentazioni, apparentemente ignari di quello che era successo solo qualche giorno prima.

Ignorando, soprattutto, il suo dolore costante.

Forse era meglio dedicarsi al lavoro, sul serio.

Greg era stato estremamente professionale, durante quei giorni, e anche se la cosa l’aveva sulle prima fatta soffrire, aveva accettato di buon grado di assecondare i suoi passi.

Quel ballo, da ora in poi, avrebbe dovuto funzionare.

Per forza.

Si sforzò di concentrarsi sul caso Blim, ma senza risultati concreti.

“Come siete messi, con le analisi?” domandò per non sentire il rumore dei suoi pensieri.

Chase alzò il capo, abbandonando la sua penna sopra i fogli.

“Dobbiamo fare le prove di coagulamento,e poi si può procedere”, le spiegò.

Cameron annuì, quindi si alzò dalla sua seduta, raccattando il tesserino.

“Me ne occupo io”, li informò con voce forzata, “Vado subito”.

Gettò un’occhiata all’ufficio di Greg.

Lo avvertite voi, per favore?” domandò con tono implorante.

 

 

Greg uscì dalla sala riunioni, incamminandosi verso la camera di Dylan Blim.

Non poteva continuare ad evitarla.

Se la decisione che avevano –aveva- preso, era definitiva, avrebbe dovuto cominciare a conviverci con consapevolezza.

Spalancò la porta senza bussare, esibendosi in uno dei suoi migliori sorrisi.

Fissò il braccio del paziente, quindi Cameron, quindi la signora Blim.

“Impressionante vero?” domandò chinando il capo a sinistra, “Mandare una bella donna per tagliuzzare un braccio, ha del paradossale!”

La signora Blim si sforzò di sorridere, guardando Cameron con aria interrogativa.

“Sono il Dr. House”, si presentò con tono amabile.

“Molto lieta”, balbettò la donna, recuperando un minimo di contegno.

“Allora, Superman!” gridò House, “Come andiamo con quel sangue?”, finse di annusare l’aria, “Dovrebbe essere buono! Un vampiro impazzirebbe!”

Cameron lo fulminò con lo sguardo, dopo aver notato la signora Blim trasalire.

“Aggiornami”, domandò perentorio.

“Al terzo esame possiamo stabilire che la coagulazione non ha problemi”, disse lei molto professionalmente.

“Fantastico!” esclamò House allargando le braccia, e puntando il bastone verso l’alto, “Signor Blim, possiamo toglierle quel maledetto tappo nell’orecchio!”

“Cosa?” domandò la signora Blim incredula.

House si sporse verso di lei in tono confidenziale, “Mai sentito parlare di cotton fioc? Suo marito ha un tappo che… fiuu!” fischiò, “Farebbe impallidire il Principe del Cerume!”

“Io non capisco”, mormorò la Blim, scuotendo il capo.

“Certo che non capisce! Altrimenti cosa l’ho presa a fare la laurea?”

“House, cosa vai blaterando?” domandò Cameron.

“Labirintite”, spiegò lui scuotendo il capo, “Causata da… bhè da quello schifo che ha nelle orecchie!”

Cameron si alzò, lasciando una garza sul braccio del paziente.

Si avvicinò ad House, e lo trascinò fuori della stanza, senza dare nessuna spiegazione.

“Cosa dici?” gli domandò.

Lui la fissò stranito.

Quel contatto… saldo, forte…

“E’ labirintite”, ripeté

“E perché non  me lo ha detto prima?” lo accusò, mettendo le mani sui fianchi.

“Perché l’ho scoperto solo ora”, disse lui stringendosi nelle spalle.

Cameron sbuffò.

“Cosa dobbiamo fare dunque?”

“Mandarlo da un otorino!” scherzò lui, “Con la speranza che non gli vomiti in testa”.

“Smettila!” lo ammonì lei, mascherando un sorriso.

“Vai da Foreman e digli che tra un’ora lo aspetto qui per procedere”.

Cameron annuì, quindi, senza aggiungere altro, s’incamminò verso la sala riunioni.

 

 

Greg entrò nell’ufficio di Wilson senza nemmeno salutare, si sedette su quella che ormai considerava la sua poltroncina, e allungò le gambe con una smorfia di dolore.

“Ciao a te!” lo canzonò Wilson, con una smorfia.

“Non fare la fidanzatina gelosa, adesso!” lo ammonì l’altro, poggiando il bastone accanto alla poltroncina.

“Cosa ti serve, House?” andò al sodo l’altro.

Lui incrociò le mani sul petto, “Mmmm…” mormorò assumendo un’espressione meditabonda, “Vediamo… una gamba sana, un bel burrito, una scena di sesso nel prossimo episodio di General Hospital e un po’ di Vicodin!” sorrise poi.

Wilson scosse la testa.

Estrasse il libretto delle ricette, e scrisse velocemente la prescrizione.

“Come va?” domandò, fissandolo.

Era ben chiaro ad entrambi che non si stava riferendo alla gamba.

“Benone! Cosa potrei volere di più?” scherzò Greg.

“Hai provato a…voglio dire…”

“Cosa?”

“A parlarle?”

Greg raccattò il suo bastone, e cominciò a ridere.

“Com’è che date tutti lo stesso consiglio?” bofonchiò infastidito, “Se è andata male la prima volta, cosa ti fa pensare che la seconda sia differente?”

Wilson si passò le mani sugli occhi, con fare stanco.

“Hai ragione. Nessuno assicura niente”, sospirò, “Però…voglio dire… non ti senti più leggero?”

House scoppiò a ridere, quindi si incamminò verso l’uscio. Sventolò la ricetta con fare divertito, “Grazie, comunque”, mormorò uscendo.

Wilson rimase per un po’ a fissare la porta chiusa.

Era dispiaciuto di come erano andate le cose, ma doveva ammettere di averci pensato ad una conclusione simile.

Cameron si era spezzata il cuore con le sue stesse mani per lui, ed era inevitabile che, presto o tardi, ne avrebbe avuto abbastanza.

Un tocco leggero, lo riscosse.

“Avanti”, disse.

La porta si aprì, lasciando entrare una Cameron pallida e stravolta.

“Ciao Cameron”, la salutò senza dar peso al suo evidente stato d’animo.

“Salve”, lo salutò lei con un sorriso debole, “House non è qui?” domandò poi guardandosi attorno.

“Mi spiace”, si scusò lui, “E’ uscito qualche minuto fa”.

“Capisco”, sussurrò lei chinando il capo.

“Posso esserti d’aiuto io?”

Lei alzò la testa di scatto.

“Lei? Oh, bhè…” ridacchiò, “A dir la verità volevo solo vedere come stava”, confessò in imbarazzo.

“Non bene”, rispose lui in tono grave, “Credo abbia ricevuto la prima porta in faccia della sua vita. Deve farci ancora i conti”, tentò di sorriderle, “Ma vedrai che si riprenderà presto. E’ o non è un bastardo misantropo?” scherzò.

Cameron gli sorrise grata, quindi si voltò per uscire.

“E tu?” domandò lui, costringendola a voltarsi nuovamente, “Tu come stai?”

I suoi occhi si fecero improvvisamente rossi, “Io?” ridacchiò, “A pezzi

Wilson non disse nulla.

La capiva.

La capiva meglio di quanto lei stessa potesse immaginare.

“Posso fare qualcosa?” le domandò.

Lei ci pensò un attimo, quindi annuì, “Saprebbe dirmi dov’è andato?”

Wilson sbirciò l’orologio, quindi tornò a guardarla, “Credo sia a casa adesso”.

Lei annuì, sorridendogli, “Grazie dottore”.

Uscì di gran carriera, improvvisamente consapevole di ciò che doveva fare.

Andare da lui.

Subito.

 

 

 

“E guarda l'amore che non ha commenti
da fare.
L'amore comunque che non ha paura del mare
da attraversare…”

 

Francesco De Gregori, “L’amore comunque”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

To be continued…

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Capitolo 12
*** Ballando al buio ***


BALLANDO AL BUIO

BALLANDO AL BUIO

Capitolo 12

 

Oggi smetto di fuggire dal passato, oggi è il giorno in cui si fanno i conti.

 (Never Die Alone)

 

 

La strada era deserta.

Adorava andarsene in giro con la moto, quando il resto del mondo sembrava dormire dietro le finestre con le luci accese.

Apparentemente ignari di ciò che stava accadendo fuori. Protetti nel loro presuntuoso microcosmo, senza voler sapere di più.

Senza aver bisogno di sapere di più.

Lui, invece, aveva sempre pensato che rintanarsi da qualche parte, senza contemplare il contesto, era fondamentalmente sbagliato.

Non che fosse mai stata una persona aperta, questo no, ma per lo meno non preferiva ignorare quello che lo circondava.

Anche con Cameron.

Soprattutto con Cameron.

Aveva visto cosa c’era nei suoi occhi, ed era rimasto terrorizzato da tutto quello che prometteva di offrigli.

Non ne era in  grado, dannazione!

Possibile che nessuno se ne rendesse conto? Ci aveva provato, aveva fatto in modo che lei capisse quello che sentiva, non poteva davvero fare altro. Sul serio.

Ammettere di essere innamorato di lei, checché ne dicesse Wilson, non l’aveva fatto sentire più leggero.

Parlarle per confessarle ciò che provava senza sputarle contro il suo cinismo, come lo aveva consigliato la Cuddy, non gli aveva aperto alcuna porta.

Semmai, l’aveva chiusa. Serrata

E lui non sapeva davvero come reagire.

Averla sempre intorno, dover convivere con il suo odore, con il suono della sua voce, con i suoi occhi… bhè, non ce la faceva.

Spiacente gente, ma il Dr. House, non ce la fa!

E non ce la faceva perché…perché, Cristo santo, la sentiva.

Sentiva la sua sofferenza, sentiva il suo dolore, sentiva il suo senso di sconfitta.

Una ridda di emozioni che si confondevano con le sue, diventando un’unica informe massa nera e pesante.

Perché non potevano affrontarlo insieme?

Perché, lei, non riusciva a vedere quello che c’era adesso, dimenticando quello che invece era successo in passato?

Non voleva, che lui l’amasse?

Bhè, c’era riuscita!

L’aveva fatto innamorare davvero, come si innamorano le persone normali, come si innamorano i ragazzini…

E lui, che non aveva mai creduto nell’esistenza di qualcosa che non si potesse spiegare scientificamente, si era dovuto rassegnare alla semplicità con cui quei sentimenti avevano avvolto il suo cuore.

Mise la freccia, e svoltò verso il suo quartiere residenziale.

Aveva cercato di resistere all’insano impulso di andare a casa di Cameron, e aspettarla, e adesso voleva starsene a casa, imbottirsi di Vicodin e dormire.

Non sognare, semplicemente dormire.

Lasciarsi avvolgere dal buio dell’oblio senza doversi per forza spiegare cosa diavolo gli stava succedendo.

Scalò la marcia, in prossimità del suo appartamento.

La strada era deserta, fatta eccezione per una figura che sostava in piedi sul marciapiedi di fronte al suo appartamento.

Aggirò una macchina, e svoltò verso il vialetto.

Passò accanto alla misteriosa figura, lanciandole poco più di una fuggevole occhiata.

Un’occhiata veloce che gli bastò per riconoscerla.

Lei, era lì.

Cameron era appena dietro di lui.

 

Corse verso il garage, senza guardare a terra.

Incurante di ostacoli, di pericoli.

Incurante del buio e del freddo, del silenzio che le esplodeva nelle orecchie e del caos che si agitava nella sua testa.

Seguì la luce e lo trovò.

Stava smontando dalla moto, e nel frattempo tentava di togliersi il casco.

La fissò in silenzio, lo sguardo fermo, distante… inaccessibile.

“Ciao...” balbettò lei, in evidente imbarazzo.

“Cosa succede?” domandò lui, in tono neutro.

Lei si guardò intorno, nervosa.

“Potremmo…” accennò con il capo al piano superiore, “Potremmo salire?”

Lui annuì, nascondendo il nervosismo.

S’incamminò verso la rampa delle scale, dandole la schiena.

E lei seguì la sua figura, il suo odore, come se fosse l’unica cosa in grado di guidarla fuori da quella situazione buia. Terribile.

E osservò il suo corpo muoversi, salire le scale con fatica, appoggiandosi al bastone, ignorandola per non naufragare.

Arrivarono dinanzi alla porta dell’appartamento, e il rumore della chiave che girava nella toppa, la distolse da quei pensieri.

E focalizzò la mano di lui che, scattante, toglieva la chiave e con un colpo di polso apriva la porta.

Le fece cenno di entrare, facendosi da parte per farla passare.

Le luci risplendevano sul piano a coda nero, saettando per la stanza.

Greg deambulò fino al divano, lasciò il bastone accanto al bracciolo, quindi si voltò a guardarla.

“Cosa succede, dunque?” domandò.

E la sua voce le penetrò nelle orecchie, come un mucchio di aghi che la pungevano, facendola sanguinare, ricordandole come il cuore di lui aveva sanguinato per causa sua.

Inspirò profondamente, tentando di raccogliere le idee per dare una risposta sensata.

“Mi…mi dispiace”, mormorò con aria colpevole.

“Ti dispiace?” ripeté lui, con un sogghigno.

Lei annuì, tentando di darsi una controllata.

Non sarebbe scoppiata a piangere un’altra volta. Non poteva farlo.

“E per cosa?” domandò lui, mettendola in difficoltà.

“Per non aver capito la portata del tuo gesto”, rispose a testa alta.

Greg sulle prime non disse nulla. Si limitò a guardarla con un’espressione intelligibile.

Cosa stava cercando di capire? Si domandò Cameron.

“La portata del mio gesto, uhm?”, si mise seduto sul bracciolo, prendendo il bastone e disegnando dei cerchi larghi sul pavimento.

“Io…ecco…io ero accecata dalla rabbia, capisci? Non so perché non ho voluto…”

Smettila”, la interruppe lui brusco.

Allison vacillò, al tono perentorio di lui.

“Non voglio sentire altro”, l’ammonì.

“E io invece voglio che mi ascolti”, continuò lei testarda.

Alzò lo sguardo, puntandole contro i suoi occhi chiari, “Ti ho ascoltata, Cam. Ho ascoltato ogni dannata parola e lo sai a cosa sono giunto?”

Lei scosse la testa, ignorando il pizzicore appena dietro le palpebre.

“Hai ragione”, asserì con un mezzo sorriso, “Hai perfettamente ragione. Non si può passare sopra al male che una persona ci ha fatto. Sai come dicono no? Errare è umano, perseverare è diabolico!” ridacchiò, “E io con te ho perseverato troppo”.

“No”, quasi lo gridò, “Non è vero, House, non è come credi. Sono io”, si puntò il dito contro il petto, “Sono io, Cameron. Come avresti potuto comportarti diversamente?” ridacchiò, “Abbiamo sempre agito così, non vedo perché avresti dovuto…”

Perché tengo a te”, la fermò di nuovo, “E la Cuddy dice che…”

“Lascia stare cosa dice la Cuddy”, stavolta fu lei ad interromperlo, “Dimmi quello che tu vuoi dirmi, non farti consigliare il metodo migliore da qualcun altro”.

Lui socchiuse gli occhi, passandosi una mano sulla fronte, “Non saprei cosa aggiungere, Cam. Non è questione di modo, è questione di contenuti, e quelli”, sospirò, “Quelli non cambiano. Sono ancora innamorato di te, e agirò indipendentemente da questo”.

“Perché?”

Lui si alzò, “Perché continui a farmi questo, Cam? Perché continui a torturarmi?” le puntò contro il bastone, “Ho avuto la mia porzione di sofferenza, lasciami il tempo per metabolizzarla”.

Un tuono lacerò il silenzio. Stava per scoppiare un terribile temporale.

Allison fissò per un istante fuori dalla finestra, quindi tornò a guardare lui.

“Non sono pronta a rinunciare a te”, sussurrò, “Non ne ho la forza”.

Lui sospirò lentamente.

Un altro tuono, e le luci si abbassarono per un momento.

“E cosa dovrei fare io?”

Cameron si appoggiò al mobile che le stava alle spalle. Se lo era chiesta anche lei, in fin dei conti. Cosa avrebbe dovuto fare Gregory House in una situazione come questa?

Cosa?

“Potresti…” fece un passo verso di lui.

Un solo, misero passo.

Greg si spazientì, “Cameron basta!” sbottò, si alzò, ignorando la fitta alla gamba, “Smettila!” l’ammonì, “Ti prego. Non ce la faccio a sostenere questa situazione. Non ci riesco, e non mi interessa riuscirci. Non mi sento più leggero, non ho trovato uno scopo e non sono guarito dalla mia solitudine. Voglio essere solo lasciato in pace”, la fissò, “E’ chiedere troppo?”

Lei lo guardò, con aria risoluta, “E’ domandare troppo, chiedermi di amarmi?”

“Cosa diavolo sto facendo, secondo te?” gridò lui, infuriato, “Cosa diavolo ho fatto fino ad ora?”

“Mi hai evitata”, rispose lei con un filo di voce.

“E ti ho chiesto scusa”, ribatté lui cocciuto.

“Ma poi hai continuato a farlo”.

Lui sbuffò, “Oh andiamo! Me lo hai chiesto tu, dannazione!” le puntò contro l’indice, “TU!” ripeté.

Un altro tuono, e la luce si spense.

“Ci mancava questa!” imprecò lui, camminando verso la centralina.

Inciampò, e sollecita Cameron lo afferrò.

Rimasero per un momento così, lei che lo stringeva col fiato corto, e lui che si lasciava stringere trattenendo il respiro.

Il buio che li avvolgeva, e il battito accelerato dei cuori che rimbombava nelle orecchie.

Un contatto.

Uno stupido contatto bastava ad incendiarli.

Come avrebbero potuto far finta di nulla?

Come si poteva ignorare un emozione di quella portata?

L’esserci anche se distanti, il riconoscersi anche tra mille persone, ed il continuo cercarsi.

Cercarsi.

Cercarsi.

E dopo essersi trovati, aver paura di immergersi in quel mare di sensazioni sconsiderate.

Aver paura di non riuscire a dare abbastanza amore, e aver paura di non essere in grado di riceverlo.

Sentirsi inadeguati all’interno del loro mondo, ma sentirsi ancor più inadeguati all’esterno.

Dove la gente non capisce.

Dove il mondo li guardava con cinismo, con invidia, con bramosità…

E in mezzo a tutto questo, c’era il loro amore.

Bistrattato, negato, calpestato, ferito, cacciato.

Eppure sempre presente, sempre vivo, sempre pulsante.

Greg fece per mettersi dritto, ma la presa di Cameron non lo mollò.

Frugarono nel buio alla ricerca dello sguardo dell’altro e quando lo trovarono…

Si abbracciarono, stretti, chiudendo gli occhi respirando piano.

Concentrandosi solo sulle loro emozioni.

 

 

 

 

 

“Se ti stringo un po’ di più, ballando al buio, in silenzio

Il tempo, il tempo sorriderà

Ballando al buio, in silenzio…in silenzio.”

 

Stadio, “Ballando al buio”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

To be continued…

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Capitolo 13
*** The power of love ***


THE POWER OF LOVE

THE POWER OF LOVE

Capitolo 13

 

 

Non sognarlo, vivilo!

(The Rocky Horror Picture Show)

 

Mani.

Corpi.

Respiri.

Carezze... esigenti, forti, leggere, dolci.

Baci, e labbra e lingua e respiro.

E dolcezza e amore.

E dolore e paura.

Corpi caldi, vibranti, brucianti…

Corpi che si cercano, e finalmente si trovano.

E navigare in acque calme, che giungono fino a casa.

Una casa nuova, sconosciuta, eppure da sempre sognata.

E rendersi conto che la realtà supera di gran lunga il sogno, e aver paura , tuttavia di sognare ancora.

Capelli sciolti, che si posano scomposti sulla pelle, sulle lenzuola, e che profumano di pace, di quiete…di amore.

E parole sussurrate con il fiato corto, occhi che parlano, mani che frugano tra le lenzuola per cercarsi.

E intrecciarsi.

E legarsi.

Braccia che avvolgono, gambe che stringono, dita che sfiorano.

E respiri che si mescolano, che si espandono nella stanza.

E “ti amo”, dieci volte, cento volte, mille volte.

E ancora, e ancora e ancora.

Cercarsi ancora, senza essere mai sazi, perdendo il senso della misura, della sufficienza.

Volere tutto e volerlo subito.

E continuare a chiedere amore, continuare a darlo, continuare a riceverlo.

Eppure temere che non sia ancora abbastanza, e chiederne sempre di più.

E lenire le ferite, baciare le cicatrici, asciugare le lacrime.

Promettere di non versarne più, promettere di non farne più versare.

E crederci.

Credere a tutto quell’amore, credere alla promessa che i due corpi intrecciati si sussurrano.

Finalmente sorridere.

Sorridere di gioia, piangere di felicità.

Sbarrare gli occhi, increduli, stupiti, meravigliati.

Scioccati per quell’amore che cresce, che si alimenta al suono irregolare di respiri affaticati.

E comunque, non saper definire cosa significhi stanchezza.

Essere pieni di energia, essere pronti ad usarla, a sperderla, a donarla all’altro, con la consapevolezza che tanto, l’altro ce la restituirà.

E fermarsi.

Rimanere immobili, le dita intrecciate, a guardarsi.

Sorridere, e baciarsi.

Baciare le guance, le labbra, le palpebre, la fronte.

E “ti amo”.

E “anche io”.

E sorridere ancora.

Rotolarsi al fianco dell’altro, e voltarsi, stendersi su un fianco senza smettere di guardarsi negli occhi.

E “ci sei…”.

E “ci sono sempre stato”.

E “rimarrai?”.

Sorridere.

E “contaci”.

Quindi abbracciarsi ancora, stringersi forte.

Posare il capo sul petto, ascoltando il battito del cuore, il respiro che alza e abbassa il torace.

E “Buonanotte Al”.

Stringersi un po’ di più, senza riuscire a smettere di sorridere.

E “Buonanotte Greg”.

E dormire.

Senza aver bisogno di sognare.

Perché il sogno, giace addormentato tra le nostre braccia.

 

 

Il sole entrò timido nella stanza.

Come se anche lui avesse paura di disturbare quei due corpi che, finalmente, giacevano insieme addormentati.

La camera era satura d’amore, di pace, di quiete.

Allison si mosse nel sonno, e allungando una mano, trovò il corpo caldo di Greg.

Si alzò di scatto, temendo di aver solo sognato.

Lui era voltato verso di lei, un braccio allungato nella sua direzione, il volto calmo.

Sereno.

Istintivamente sorrise.

Come se si fosse resa conto, solo ora, della vera identità del suo amante.

Gregory House.

Allungò una mano, e con le dita gli carezzò il viso, delicatamente.

Socchiuse gli occhi, sdraiandosi.

Ripensò alla notte che aveva appena trascorso, e un groppo pesante le piombò sulla gola.

Era ancora spaventata.

Cosa sarebbe successo, adesso?

Come avrebbero dovuto comportarsi, dopo quello che era successo?

Erano una coppia?

Erano…amanti?

Sbuffò, tirandosi le lenzuola fin sopra la testa.

Forse a causa del movimento brusco, Greg si mosse.

Con una mano si stropicciò gli occhi, quindi dopo un lungo sospiro, li aprì.

E la trovò così, nascosta tra le lenzuola candide, le gambe piegate, e una mano che spuntava sul cuscino.

Sorrise, e abbassò lentamente il lenzuolo.

“Da cosa ti nascondi?” le domandò, chinandosi per baciarla.

Gli sembrava di non riuscire a smettere.

Lei ricambiò il bacio, quindi si appoggiò contro di lui.

“Dal sole”, mormorò poco convinta.

Lui non la bevve, “O forse da brutti pensieri?”

Lei si voltò, per permettersi di guardarlo negli occhi.

Erba e cielo che si mescolavano.

“Non so cosa pensare…” borbottò.

Greg le baciò i capelli, cercando di darle una spiegazione che sapeva di doverle fornire.

“A proposito di cosa?” le domandò.

Di noi”.

Greg sospirò quindi con un gesto fluido, la fece voltare.

“Dimmi cosa c’è che non capisci”, la esortò.

Lei si strinse nelle spalle, affondando il volto contro la sua spalla.

Si era arreso a lei, ancora una volta.

Come la sera prima.

“Non lo so…” mugolò.

Greg, inaspettatamente, ridacchiò.

“Non lo sai?” le chiese, alzando un sopracciglio, “Ok, allora facciamo che adesso ti dico quello che non capisco io, e poi tu farai altrettanto”.

Senza alzare la testa dall’incavo del collo di lui, Allison annuì.

“Non capisco”, attaccò lui, giocando con i capelli di lei, “Come abbiamo fatto a rinunciare a questo per così tanto tempo. Quello che abbiamo condiviso ieri sera, scientificamente parlando, è stato…bhè, lo sai”, sorrise, “E quello che mi spaventa ora, è pensare di doverci rinunciare ancora un volta. Non credo ne sarei in grado”.

Lei alzò il capo, annuendo.

“Io nemmeno”, asserì.

Greg le baciò una ciocca di capelli che teneva in mano.

“Allora possiamo lavorarci su!”, la canzonò.

“Possiamo?” domandò lei, non ancora rassicurata.

“Si, Al, possiamo”.

Lei si mise seduta, il lenzuolo avvolto pudicamente contro il petto.

“Ieri sera ero sincera”, mormorò, chinando il capo, “Sul serio. Non so perché l’altra settimana ho reagito in quel modo alle tue parole. Forse perché volevo ferirti, forse perché avevo paura di non essere in grado di sostenere un nuovo colpo”, lo fissò, “Ma poi ho capito. Ho capito che non potevo lasciarti andare in quel modo. Non aveva senso spezzarmi di nuovo il cuore con le mie stesse mani, quando tu mi avevi già offerto il tuo…”

Greg la ascoltò in silenzio, senza interromperla.

“E ieri sera”, continuò, “Sono venuta qui per dirtelo. Volevo dirti che mi dispiaceva, ma che capivo se tu non volevi ripensarci. Sarei stata male, ma avrei accettato qualunque cosa mi avresti detto”, ridacchiò imbarazzata, “Ma appena ti ho visto…” lo fissò, “Non ce l’ho fatta. Non volevo rinunciarci, di più, non potevo…”

Greg annuì con un sorriso.

“E non dovrai farlo…” la rassicurò.

“No!” sorrise lei, baciandolo e gettandogli le braccia attorno al collo, “Non lo farò mai. Te lo prometto!”

Lui si lasciò baciare, ricambiandola, capovolgendola sui cuscini per guardarla in faccia.

“E allora dimmi qual è il problema…” la esortò.

Allison sospirò, quindi fece una smorfia.

Cosa siamo, adesso?”

Greg gettò la testa all’indietro, ridendo.

“Cosa c’è da ridere?” lo rimbrottò lei, colpendolo sulla spalla.

“Sei spassosa!” le spiegò.

“Ah si?”

“Cosa siamo, dici?” le chiese.

Lei annuì, e lui la baciò ancora.

E ancora, e ancora.

Fin quando i confini dei loro corpi non divennero così labili da non essere riconoscibili.

Siamo Greg e Allison”, sussurrò lui al suo orecchio, “Pensi che possa bastarti?”

“A te basta?” rigirò la domanda, Allison.

“Potrebbe essere altrimenti?” sorrise lui, parlandole sulle labbra.

Allison scosse la testa, finalmente conscia di quello che lui, in quel momento aveva cercato di dirle.

Consapevole, soprattutto, che non sono le etichette a far funzionare una storia, bensì l’amore, la presenza, la voglia di esserci.

Di crederci.

E lei ci aveva creduto, e tutt’ora ci stava credendo.

E forse, per la prima volta, era convinta che anche lui, ci stesse credendo con la stessa forza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“The power of love, a force from above
Cleaning my soul, flame on burn desire
Love with tongues of fire...purge the soul
Make love your goal...”

 

 

Frankie goes to Hollywood, “The power of love”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

To be continued...

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Capitolo 14
*** Final ***


Ragazze

 

 

Ragazze...ci siamo!!

Questa bella avventura sta giungendo al termine! Voglio ringraziare di cuore tutti coloro che mi hanno seguita e sostenuta in questo breve tempo di produzione! E' stato bello leggere le vostre impressioni, i vostri consigli, e anche le vostre critiche. Personalmente penso che senza il vostro così largo consenso, questa storia sarebbe finita molto prima!!

Prima di postarvi il finale, ho voluto prendermi una pagina per spiegarvi com'è nato e perché! Insomma...chiamatela anche "licenza poetica"!!!

Avevo naturalmente per le mani, un sacco di belle idee su come concludere questa storia, ma volevo evitare di scendere nel ridondante. Sinceramente raccontare una storia che avesse una conclusione degna di Cenerentola mi sembrava decisamente banale...anzi, mi sembrava del tutto inappropriato! Così, parlando con la mia amica, nonché beta d'eccezione di ogni mia storia, abbiamo cercato di capire come poteva finire la storia di House e Cam... e bhè, gente, la storia di House e Cam NON finisce. Non avrei mai potuto mettere la parola fine perché questi tredici capitoli ci hanno portato ad un nuovo inizio. E' di questo che ho scritto, dunque. Un nuovo inizio, una nuova storia! Perché le storie d'amore non finiscono mai, bensì cambiano, si evolvono, e crescono.

Spero che anche voi, dunque, apprezzerete questa fine un pò "sui generis" ;) Ci siamo lasciate la strada aperta, chissà, magari un domani arriverà anche un seguito!!

E vi ringrazio ancora ragazze! In particolar modo: Mistral, Hamburger, Damagedlove, Semplicementeme, Shy, Amy, EriMD, Irene!!, Levity, K, Caro, Tanyas, Preziosoele, Venus, Nike87, Nick, Piccy6, Schuchan e Diomache. E anche Sam Carter, che mi ha onorata della sua recensione!

Questa storia, gente, è dedicata a voi!!! E come vi ho già detto, per qualsiasi consiglio, richiesta, collaborazione e quant'altro scrivetemi a amarantab@email.it

 

Vi abbraccio forte

Amaranta B.

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Capitolo 15
*** Adesso tu ***


ADESSO TU

ADESSO TU

Capitolo 14

 

 

La si può trovare, un giorno, e di colpo, quando ormai si disperava. Allora l’orizzonte si apre , è come se una voce gridasse “Eccola!”, e provi il bisogno di confidarle tutto, di sacrificarle tutto! Non ci si spiega, ci si intuisce. Ci si è già visti nei sogni. Finalmente lo hai davanti, il tesoro tanto cercato: risplende, scintilla. Eppure dubiti ancora, non osi crederci: ne resti abbagliato come all’uscita dalle tenebre alla luce.

(Gustave Flaubert)

 

 

 

 

Greg chiuse il rubinetto, e poggiò entrambe le mani sul lavandino.

Si scrutò minuziosamente allo specchio, carezzando con lo sguardo ogni parte del suo viso.

Sorrise impercettibilmente.

Aveva un’espressione diversa. Strana.

Un’espressione che non si era mai visto addosso.

Allison.

Quel nome gli circuitava nella mente come uno yo-yo impazzito. Stentava a credere di aver trascorso la notte con lei, di averla posseduta, di averla avuta tra le braccia.

Così esile, così apparentemente fragile.

Eppure così forte, così decisa…

Forse era questo che lo aveva fatto innamorare di lei.

La forza costante grazie alla quale era riuscita ad arrivare al suo cuore.

Il suo cuore!

Non ci aveva mai pensato in quei termini. Neanche con Stacy.

Ma con Allison era diverso.

Lei voleva tutto lui.

Non cercava di mascherare o cambiare i suoi difetti, e non lo trattava nemmeno come un pazzo schizofrenico con le manie di protagonismo.

Lo trattava semplicemente come se fosse stato suo da sempre.

Con quel misto di sufficienza e consapevolezza che spesso, troppo spesso, lo aveva fatto sentire insicuro.

Già, maledettamente insicuro.

Per mesi era stato ad un passo dal confessarle tutto quello che sentiva, eppure ogni volta si era sentito inadeguato.

Terrorizzato alla sola idea di un suo rifiuto.

Era quello il suo problema.

Esser sempre stato fuori dal mondo, quello vero, lo aveva reso in qualche modo, stranamente fragile.

Un pezzo di cristallo, all’apparenza indistruttibile eppure così dannatamente delicato.

Era per questo che aveva sempre rimandato quel confronto.

Aveva avuto paura di perdere il controllo di se stesso, intimorito dalla possibilità di andare in mille pezzi e doverlo mascherare al resto del mondo.

Quel mondo che non vedeva altro che un luminare in grado di risolvere qualsiasi problema.

Un uomo burbero, misantropo, scortese, bastardo.

Un uomo…indelicato.

Eppure solo un uomo.

Un semplice uomo animato da timori, emozioni, amore.

Un uomo che aveva bisogno di essere riscaldato da dentro.

Un uomo che per lungo tempo, aveva smaniato per un semplice abbraccio.

Per un sorriso.

Per una carezza.

E adesso, essere consapevole di avere tutto questo a portata di mano, lo faceva sentire stranamente completo.

Bizzarro l’amore no?

Un giorno ti senti l’ultimo uomo rimasto sulla terra, e il giorno dopo ti sembra di essere in cima al mondo.

Bizzarro, davvero.

 

 

Allison sciacquò la sua tazza, quindi la ripose sulla mensola della cucina.

Si guardò intorno, con curiosità.

Quante volte aveva immaginato Greg, tra quelle mura…

Quante volte, ancora, aveva sognato di essere qui con lui…

E ora che c’era davvero, le sembrava di vivere qualcosa di irreale.

Lei, nella cucina di Greg, mentre lui era in bagno a prepararsi per andare a lavoro.

Quel bizzarro quadretto familiare aveva del…magico!

Era come se, alla fine del gioco, ogni piccolissima parte del puzzle si fosse rimessa a posto, senza forzature, senza sbavature, bensì con immensa naturalità.

E ripensò, ancora una volta, alla notte appena trascorsa.

Al modo perfetto e sublime con cui i loro corpi si erano intrecciati, incastrati.

E aveva sentito il clic.

Quel clic che sta a significare che ogni cosa, adesso, era al suo posto.

Che per quanto il quadro sarebbe potuto cadere e incrinarsi, entrambi avrebbero fatto il possibile per riaggiustarlo.

Per renderlo ancora più bello di prima.

Era già successo una volta, perché non doveva credere che sarebbe potuto accadere di nuovo?

E nella mente le rimbombavano ancora le parole di Greg, “Non capisco, come abbiamo fatto a rinunciare a questo per così tanto tempo.”

Quelle parole avevano dello stupefacente.

Lei per prima, si era chiesta come facessero a convivere con certe emozioni, stando estremamente attenti a non farle trapelare, e sapere che anche lui, condivideva quei pensieri la faceva sentire… in due.

Le sembrava di aver trovato la metà perfetta che permetteva al suo cuore di battere così velocemente.

Come se fosse rinato.

Come se Greg avesse curato ogni ferita, pulendola con le labbra e cicatrizzandola con un bacio.

E il segno ormai non c’era più, cancellato dai segni della passione, dell’amore, della gioia.

Una gioia che aveva paura di non meritare.

Un gioia che sapeva essere sua, e sua soltanto.

Era convinta di quello che stava succedendo.

Sapeva che quella storia li avrebbe condotti lontano, ancor più lontano di dove erano adesso. Così come sapeva che non sarebbe stato facile lasciar entrare il mondo nel loro piccolo e magico universo.

Era sempre stata romantica, ma non aveva mai perso di vista la realtà dei fatti.

Conosceva Greg e conosceva se stessa.

Non c’era bisogno di scomodare Freud per rendersi conto che ci sarebbero stati momenti difficili.

Ci sarebbero state liti, incomprensioni, musi lunghi e frecciatine.

Ci sarebbero state porte sbattute con rabbia e cellulari staccati.

Ci sarebbero state grida e silenzi.

Ma tutto questo ci sarebbe stato perché c’erano loro.

Allison e Greg.

Cameron e House.

Un chiasmo che sapeva d’amore e d’incertezza.

Un chiasmo che, senz’altro la faceva sorridere.

E sorridendo alla sua immagine riflessa alla finestra, si disse che non c’era nulla di cui aver paura.

L’essenza di ogni amore è l’incertezza, ma la magia vera e propria è esserci.

E crederci.

Crederci quando si ride, e crederci ancora di più quando si piange.

Crederci e basta.

E dare la vita per far sì che quell’amore potesse crescere giorno per giorno.

Senza domande.

Senza supposizioni.

Solo vivendolo.

 

Greg aprì la porta dello stanzino, ne estrasse un casco e lo lanciò a Allison che, sollecita lo prese al volo.

“Bella presa! Hai mai pensato di giocare a football?” la canzonò lui.

La ragazza fece una smorfia, quindi soppesò il casco con una strana espressione.

“Cosa c’è?” le domandò Greg, infilandosi la giacca.

Lei alzò il capo, per guardarlo. Gli mostrò il casco, “Cosa ci faccio?” chiese, stupita.

“Se vuoi puoi metterci dentro dell’acqua, aspettare che si scaldi e buttarci la pasta!” le propose lui, sogghignando.

“Non essere idiota!” lo zittì lei, passando il casco da una mano all’altra.

Lui le andò incontro, togliendole l’oggetto dalle mani e calzandoglielo sulla testa, “Ecco qua!” la guardò, facendo una smorfia divertita, “Mi sembri un astronauta!”

Allison si tolse il casco, e glielo sbatté contro il petto, “Stia attento Dr. House”, lo ammonì con un guizzo divertito negli occhi, “Ho un oggetto contundente in mano!”

Greg alzò le mani in segno di resa, “Ok, ok!” sbuffò, “Ma ti consiglio di infilarlo! Non ho intenzione di pagare una multa a causa tua!”

Allison prese la sua giacca, abbandonando il casco sopra il divano, “Andiamo da qualche parte?” gli domandò.

House scosse la testa, “Tesoro, sono le dieci e mezza. Odio ricordartelo, perché significa ricordarlo anche a me stesso, ma… abbiamo un lavoro, e proporrei di affrettarci, altrimenti la Cuddy sbatte fuori ad entrambi!”

Allison sbarrò gli occhi, stupita, “Andiamo a lavoro insieme?” domandò.

Greg la prese per mano, raccattò il caso, e la trascinò fuori da casa.

“So che la nottata che hai trascorso può averti causato un forte stress emozionale ma, Cameron, dolcezza, lavoriamo insieme da tre anni”, la guardò, chinando il capo a sinistra, “E se per caso hai una strana forma di amnesia, appena arriviamo vai dalla Cuddy e le dici che io non c’entro nulla ok?”

Allison assecondò la sua camminata traballante, eppure decisa, “Dalla Cuddy?” domandò perplessa.

Greg gettò le mani verso il cielo, “Oh Dio! La Cuddy, si! La nostra direttrice sanitaria! Bella donna, tette da paura e piglio da generale! Te la ricordi?”

Allison si arrestò di scatto, “Greg smettila!” lo pregò, “Cosa diavolo stiamo facendo?”

Lui si fermò a sua volta, trattenendosi a pochi centimetri da lei, “Andiamo a lavorare, no?” rispose lui, con franchezza.

“Andiamo a lavorare insieme?”

“Si, andiamo a lavorare insieme!” rispose lui, pazientemente.

“Così, come se fossimo…”

“Una coppia?” finì lui, per lei.

“Esatto!”

Greg le prese entrambe le mani, soppesandole gentilmente, “Preferisci di no?” le domandò con una nota di apprensione nella voce.

“No!” si affrettò a rispondere lei, “Cioè, si!” sospirò, “Oh accidenti! Si, voglio andare a lavorare insieme a te e…” gli sorrise, teneramente, “E voglio anche essere una coppia!”

Greg ridacchiò, “Allora dov’è il problema?”

“Bhè ecco…” attaccò lei, in evidente imbarazzo, “Pensavo che tu non volessi…”

Lo voglio eccome!” la contraddisse lui, con un mezzo sorriso sornione, “E la prossima volta, invece di saltare alle tue conclusioni, rendimi partecipe dei tuoi voli pindarici ok?”

Lei ridacchiò, quindi si sporse per ricevere un bacio, che non tardò ad arrivare.

Si sorrisero, quindi s’incamminarono verso la moto.

“Mi hai chiamato tesoro”, osservò lei, divertita.

“Non è vero”, obbiettò lui.

“E’ vero eccome!” ribatté lei.

Lui s’infilò il casco, e lei fece altrettanto.

“Ma non abituartici!” l’ammonì con un sorriso.

Lei si strinse nelle spalle, quindi montò dietro di lui.

“E non ti azzardare mai più a dire in mia presenza che la Cuddy ha delle tette da paura!” lo ammonì, con divertimento.

Greg rise, quindi mise in moto e partì veloce, inserendosi ben presto nel traffico scomposto della città, lasciando che Allison lo circondasse da dietro, beandosi di quel contatto.

Con un paio di abili manovre, e dopo aver aggirato un improbabile serpentone di auto, passando per delle vie secondarie, arrivarono al Princeton.

Lui spense la moto, e smontò.

Lei rimase per un po’ seduta, le mani appoggiate al sellino, il casco ancora in testa.

Al, siamo in ritardo di…” guardò l’orologio, “Tre ore! Vuoi muoverti?”

Ma Allison non accennò a smontare, cosicché Greg lo fece per lei.

Le tolse il casco, e, dopo averla presa per mano, la condusse verso l’ingresso principale.

“Sei sicuro?” gli domandò ancora, in apprensione.

“Lo sono”, rispose lui deciso, continuando a camminare.

Entrarono così, per mano, lei poco dietro, sul viso un’espressione di gioia e imbarazzo, lui poco più avanti, un sorriso strafottente e l’aria di chi aveva finalmente trovato il suo tesoro.

Un nuovo ingresso.

Un nuovo inizio.

Un vecchio amore.

 

 

“E ci sei adesso tu, a dare un senso ai giorni miei, va tutto bene dal momento che ci sei…adesso tu… “

 

Eros Ramazzotti, “Adesso tu”

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