Centocinque giorni alla maturità - Cronaca di un’esperienza coercitiva di Lely1441 (/viewuser.php?uid=26394)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mercoledì 9 marzo 2011 ***
Capitolo 2: *** Venerdì 11 marzo 2011 ***
Capitolo 3: *** Domenica 13 marzo 2011 Lunedì 14 marzo 2011 ***
Capitolo 4: *** Lunedì 28 marzo 2011 ***
Capitolo 5: *** Venerdì 15 aprile 2011 ***
Capitolo 6: *** Lunedì 30 maggio 2011 ***
Capitolo 7: *** Venerdì 3 giugno 2011 ***
Capitolo 8: *** Mercoledì 8 giugno 2011 ***
Capitolo 9: *** Lunedì 11 luglio 2011 ***
Capitolo 1 *** Mercoledì 9 marzo 2011 ***
Centocinque
giorni alla maturità - Cronaca di un’esperienza
coercitiva
You don’t waste no
time at all,
don’t hear the bell
but you answer the call:
it comes to you as
to us all…
We’re just waiting for
the hammer to fall
What the hell we’re
fighting for?
Just surrender and
it won’t hurt at all.
You just got time
to say your prayers
while you’re
waiting for the hammer to fall.
(*)
Mercoledì
9 marzo
2011
«Ti
prego, abbassa quel volume», implora mia cugina, entrando
nella stanza e
lasciandosi pesantemente cadere sul mio letto. «Ho un mal di
testa allucinante,
stanotte per finire studiare mi sono ridotta alle due di
mattina…»
Mi
volto appena, colpito dalla corrente d’aria prodotta dalla
porta che è rimasta
aperta. «EH?»
«Abbassa
quel volume!»
«COSA?»
Mia
cugina rotea gli occhi al cielo, si alza e spegne le cuffie del
computer. «Ti
ho detto di abbassare il volume, prima che tu diventi irrimediabilmente
stupido. Non che ci manchi poi troppo…»
«Ah,
ok, ok», borbotto, l’attenzione rivolta al 99% al
mio videogioco e all’1% a
lei. Dopotutto è mia parente, non ci guadagno niente a
forzare i miei istinti
vitali (cioè continuare a giocare fino
all’esaurimento delle mie energie… o dei
miei punti vita, che dir si voglia) per darle retta.
Tanto
si tratta sempre del solito blablabla.
«Hai
finito di studiare storia?»
Storia,
storia… Cosa c’era da studiare?
«Ah-ha»,
rispondo, sparando all’ennesimo idiota che mi si è
parato contro. Ma te guarda
‘sti imbecilli. Sai che ho un fucile ultimo modello in mano,
puoi farti
ammazzare così?!
«Bravo!
E scienze?»
Ma
che cazzo! Pure scienze?! Ma i professori non hanno nulla di meglio da
fare che
sfogare le loro frustrazioni sessuali su di noi?
«Ho
fatto, ho fatto, piantala di preoccuparti», sibilo
infastidito. Se c’è una cosa
che mi irrita, è quando mia cugina si comporta come mia
madre (per fortuna che
piantarsi davanti ad un computer è più difficile
che farlo quando sto giocando
con la wii in salotto, perché altrimenti avrei
già dovuto dire addio alla mia tranquillità).
Lei
si zittisce immediatamente - e già questo dovrebbe
insospettirmi -, occhieggia lo
zaino che è rimasto chiuso da quando sono tornato a casa
all’1.30 - troppo faticoso
anche fingere di aver fatto qualcosa - e si avvicina diffidente.
«Hai
già messo dentro i libri per domani?»
«Uh-hu»,
bofonchio io, mentre l’1% delle mie cellule cerebrali rimaste
sul chi va là strilla
impazzito e infastidisce
le altre, le quali tentano disperatamente di finire questo maledetto
livello per
battere il record di Vanni.
«’Sti,
se tu mi hai detto anche una sola mezza verità in tutto
questo discorso, giuro che
mi faccio i capelli blu», afferma convinta, aprendo lo zaino
e trovando conferma
ai suoi dubbi. Dubbi piuttosto chiassosi, devo dire. «Non hai
neanche tolto il dizionario
per l’esercitazione di latino!», boccheggia
avvilita, come se avesse scoperto nell’armadio
il cadavere di un gattino scuoiato.
Forse
con il gattino sarebbe andata meglio, dato che è allergica
al loro pelo… Non poteva
esserlo alla carta?!
La
ignoro,
sperando che mi vengano concessi quei due minuti che mi servo-
«MELISSA!»,
strillo orripilato, mentre lei mi fissa accigliata e con il cavo
d’alimentazione
in mano. «Come, come… No, stavo per finire il
livello, non puoi davvero essere così
stronza!»
«Stammi
bene a sentire, Cristiano Cammareri», attacca, avvicinandosi
e assumendo l’aria
da Furia che la contraddistingue quando si altera per davvero.
«Non me ne frega
niente se i professori ti portano in palmo di mano perché
sei giusto un po’ bravo
in qualche sport: per quanto tu possa essere il nuovo profeta salvatore
del basket
questo non ti porterà a fare traduzioni da otto, e si
dà il caso che tua madre,
ovvero la sorella di mia madre,
ovvero la persona più dolce e
tenera del mondo, mi abbia chiesto
una
mano per riuscire a farti diventare un uomo e smettere di essere
un… un…»
«Un
cosa?», chiedo stupidamente. Lei mi guarda e lancia un acuto
degno della Callas.
«Un
cazzaro!», tuona, in una
riproduzione
abbastanza realistica della Galadriel cinematografica tentata dal
potere dell’Anello.
Mi appiattisco contro lo schienale della poltroncina e la fisso ad
occhi sbarrati.
A
volte
dimentico che anche lei ha ereditato parte dei geni Visconti, che si
trasmettono
solo da madre a figlia, ignorando bellamente il ramo maschile.
«Mela…»
«Mela
un cazzo», sibila, e se inizia ad essere volgare è
sul serio un problema. Apre
l’armadietto dei libri di scuola, trova
quello di storia e me lo lancia addosso, rischiando di ammazzarmi.
«Il capitolo
sulla Rivoluzione Russa. Ora».
«Ma
Mel, sono le 11! Non puoi davvero pretendere che inizi a studiare
ades-»
Taccio
davanti alla sua espressione, e apro rassegnato lo strumento della mia
tortura.
«Non
ti alzerai da qui finché non avrai finito di studiare. Tutto», conclude con tono
sadico. Arrischio una sola occhiata al foglio
affisso sotto il calendario della Roma, creato per segnare il countdown
che mi separa
dal primo giorno degli esami, e sospiro afflitto. Ancora centocinque
giorni di supplizio.
La
maggior
parte delle persone teme la maturità in sé per
sé, ma questo solo perché non hanno
la famigerata Melissa Florenzi come cugina di primo grado…
«Cristiano!
Concentrati!»
Non
vedo l’ora di uscire da questo campo di concentramento.
(*)
Non
perdi affatto tempo,
non
senti la campana ma rispondi alla chiamata:
giunge
per te come per noi tutti…
Stiamo
solamente in attesa che si abbatta il martello.
Per
cosa diavolo stiamo combattendo?
Solo
arrenditi e non ti sarà fatto del male.
Hai
giusto il tempo per dire le tue preghiere
mentre
aspetti che si abbatta il martello.
Queen - Hammer to fall
Note
dell’autrice: questa raccolta si è
classificata prima al contest “Notte prima degli
esami” indetto da Maeve e Mizar19; ringrazio ovviamente i
giudici (con mesi di ritardo…
XD), e faccio i miei complimenti alle altre partecipanti e podiste ^^
Secondariamente,
questa raccolta è uno spin-off di un’altra mia
raccolta sulla maturità, ovvero “Centosei
giorni alla maturità - Diario di un lager”,
rimasta inconclusa perché dopo il mio
orale mi sono letteralmente data alla pazza gioia (roghi di appunti,
bamboline voodoo
di miei insegnanti, sacchi pieni di quaderni di matematica di cinque
anni… Scherzo,
ovviamente, non ho fatto veramente tutto questo. Dopottutto, faceva
troppo caldo
per accendere il camino). Sono tutt’ora incerta su come (e
se) continuarla, perché
sono rimasta fregata dal mio stesso aggiornare in base ai giorni in cui
l’azione
del capitolo veniva ambientata. Insomma, non posso postare a marzo la
descrizione
dell’orale di Nadia ò_ò Ci devo pensare
su. Non mi dispiacerebbe neanche fare una
raccolta universitaria, ma vedremo.
In
comune
con l’altra raccolta c’è soprattutto il
personaggio di Melassa Melissa. Qualcosa
alla ‘vediamo cosa si nasconde dietro ad una
secchiona’, in pratica. Ovviamente
è già del tutto scritta, quindi non
sparirò nel nulla, tranquilli.
È
ambientata
durante l’anno scorso, quindi siamo ancora alla seconda prova
di latino per il Classico
e così via… Spero non crei alcun problema
esistenziale o chissà cosa.
Ho
terminato
da poco una chiamata con una maturanda, quindi i miei migliori auguri
per tutti
coloro la cui apocalisse è anticipata a
quest’estate. Pensate a godervela bene,
o avrete sprecato mesi con l’angoscia di quattro stupide
giornate. Non ne vale la
pena ;)
Ci
risentiamo
l’11 marzo, alla prossima!
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Capitolo 2 *** Venerdì 11 marzo 2011 ***
Centocinque
giorni alla maturità - Cronaca di un’esperienza
coercitiva
Here I stand (here
I stand…),
look around around
around around
(Around around
around around…)
but you won’t see
me (you won’t see me…).
Now I’m here (now I’m
here…),
now I’m there (now
I’m there...):
I’m just a, just a
new man,
yes, you made me
live again!
(*)
Venerdì 11 marzo 2011
«Ti
giuro, è stato un parto. Avrei preferito alzarmi in piedi,
gettare i fogli al vento,
spogliarmi e correre nudo per l’aula piuttosto che scrivere
un altro rigo con la
Mengoni appostata davanti a me… È stata
un’ora intera a fissarmi, capisci? Non sono
neppure riuscito a tirar fuori mezzo bigliettino, dato che me li ero
lasciati per
la fine… Quella vacca».
Io
e
Vanni siamo fuori in cortile, sfidando il freddo che non vuole saperne
di andarsene,
io per fare la seconda merenda e lui per fumarsi la terza sigaretta
della giornata.
Giovanni Palma, al secolo Vanni, è il mio migliore amico da
quando siamo all’asilo:
avevamo litigato su quale dei Biker Mice fosse migliore, se Turbo o
Pistone, e
non venendone a capo ci eravamo lanciati contro il pranzo. Amore dal
primo istante.
Abbiamo frequentato le stesse scuole fino alla scelta del liceo, dato
che lui si
è venduto alla concorrenza scientifica, ma,
poiché l’edificio è lo stesso per
entrambi
gli indirizzi, approfittiamo delle pause per sfogarci delle prime tre
terribili
ore di scuola, oppure, come in questo caso, ci diamo un orario e con
una scusa usciamo
per farci gli affari nostri.
«Come
pensi sia andata, nonostante tutto?», gli domando, a bocca
piena. Lui scrolla nervosamente
le spalle e sibila un:
«Sarà
tanto se prendo la sufficienza, ma niente che non possa
sopportare».
La
differenza
tra noi due è che io, pur non riuscendo ad avere il sei
sicuro in tutte le materie,
bene o male non ho mai avuto un debito - questo è dovuto al
fatto che sì, essere
lo sportivo migliore di un liceo Classico ha ed avrà sempre
i suoi vantaggi -, mentre
lui è avanzato con difficoltà e non è
riuscito spesso a farla franca. Solo che si
tratta dell’ultimo anno, e vedo quanto questo lo agiti.
«Vedrai
che andrà bene», mormoro, con convinzione.
«È pur sempre la prima simulazione di
terza prova, saranno sicuramente più morbidi».
Lui
scrolla le spalle e si accende un’altra sigaretta. Me ne
offre una, ma come sempre
la rifiuto: se voglio continuare a basare il mio futuro sulla mia
prestanza fisica,
non posso ridurmi ad avere due polmoni raggrinziti come quelli di un
ottantenne.
All’improvviso
si blocca e seguo il suo sguardo fino ad intravvedere, dietro le
vetrate, mia cugina
che scende le scale, visibilmente seccata.
«Quella
di inglese si domanda se ti stai cibando di un cinghiale, e se magari
te lo sei
dovuto persino procurare cacciando», esordisce, piazzandosi
davanti a me a braccia
incrociate. Ormai i professori non fanno neppure più finta
di credermi, quando chiedo
di andare in bagno e sparisco per venti minuti.
«Arrivo,
arrivo», ciancico, facendo di tutto il panino un solo morso e
masticando a bocca
aperta. Sia lei che Vanni mi guardano disgustati.
«Sei
proprio un maiale», sbotta lui, e solamente allora Mela
sembra accorgersi della
sua presenza.
«E
tu,
che ci fai qui fuori?», domanda accigliata.
«La
sua classe ha un’ora buca, dopo la simulazione»,
spiego io, evitando sul nascere
qualsivoglia litigio. Questi due non vanno affatto d’accordo,
e non capisco neppure
il perché. Mia cugina s’era presa una bella cotta
per lui, ma avevamo dieci anni…
Dovrebbe esserle passata, no?
Vanni
getta il resto della sigaretta per terra e la calpesta, limitandosi ad
un ringhiato:
“Ci vediamo all’uscita”, e andandosene
senza salutare. Mia cugina resta in silenzio,
finché strilla, orripilata:
«Oh,
Dio! Già la simulazione? Siamo così indietro con
lo studio, e il nostro tempo sta
finendo, il nostro tempo sta finendo *!»
«Mela,
mancano più di due settimane, evita di fare
l’isterica come tuo solito», sospiro,
alzandomi dal muretto su cui mi ero seduto e guadagnandomi
un’occhiata truce.
«Immagino
che tu abbia l’intenzione di preparare quattro poderosi
programmi di metà anno in
un solo pomeriggio».
Le
regalo
un sorriso smagliante.
«Come
hai fatto ad indovinare?», chiedo, mentre torno in classe e
la lascio fumante di
collera repressa. Non vedo l’ora di andare agli allenamenti
di basket, così da smaltire
la tensione di mia cugina. Dovrebbe correre un po’ anche lei,
ma se glielo proponessi
temo mi ridurrebbe in un sacco da boxe…
(*)
Sono
qui in piedi (sono qui in piedi…),
guardi
intorno, intorno, intorno, intorno
(intorno,
intorno, intorno, intorno…)
ma
non mi vedrai (non mi vedrai…).
Ora
sono qui (ora sono qui…),
ora
sono lì (ora sono lì…):
sono
solo un, solo un uomo nuovo,
sì,
tu mi hai fatto vivere ancora una volta!
Queen
- Now I’m here
* And our time is running out, our time is
running out
Muse - Time is running out
Prossimo aggiornamento:
14 marzo
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Capitolo 3 *** Domenica 13 marzo 2011 Lunedì 14 marzo 2011 ***
Centocinque
giorni alla maturità - Cronaca di un’esperienza
coercitiva
This thing called
love I just can’t handle it,
this thing called
love I must get round to it…
I ain’t ready!
Crazy little thing
called love.
(*)
Domenica
13 marzo 2011
Lunedì 14 marzo 2011
«Stai
ferma lì, vado a prenderti un bicchiere
d’acqua», borbotto a Mel, seduta in stato
catatonico sul mio letto. Il problema di avere una cugina incapace di
reggere un
misero bicchiere d’alcol è che poi sei tu a
doverla riportare a casa oltrepassando
i controlli di tua zia… Ecco perché ho optato per
ospitarla da me, dato che i miei
- per grazia divina! - non sono ancora rientrati.
Dovrei
farmi qualche domanda sullo squallore della vita di un diciottenne che
rientra prima
dei suoi genitori, ma ora sono più preoccupato per la figlia
segreta di Courtney
Love che minaccia di vomitare l’anima sopra la mia divisa da
calcio da un momento
all’altro.
«Tieni»,
sospiro, allungandole anche un pacchetto di biscotti trovato sulla
credenza. Lei
mi fissa con gli occhi socchiusi, e mi tira un debole calcio contro il
ginocchio.
«Idiota,
l’acqua e gli zuccheri peggiorerebbero solamente la
situazione», biascica, e io
le restituisco il calcio.
«Idiota,
sei l’ultima persona in grado di sapere come si affronta una
sbornia. Inoltre, è
acqua calda con limone, o ti calma lo stomaco o ti aiuta a buttar fuori
tutto»,
le spiego, sedendomi al suo fianco. Lei prende in mano il bicchiere che
si inclina
pericolosamente verso il pavimento, ma riesce a bere un po’
prima di appoggiarlo
per terra.
«I
biscotti
però non li mangio», bofonchia, appoggiando il
capo sulla mia spalla. «Non mi sono
mai sentita più brutta e stupida e goffa in vita
mia», continua, e mi rendo conto
allarmato che si tratta di un Codice Giallo: l’anticamera
dell’inferno per qualsiasi
ragazzo.
«Mela,
tu sei piuttosto carina, e sicuramente non stupida… Vorrei
smentire per il goffa,
ma non ti ho ancora perdonato il fatto di aver versato
l’intera moka di caffè bollente
dritta dritta sulle mie scarpe da tennis, due anni
fa…»
Sento
che ridacchia piano, e già mi sento su un terreno
più sicuro.
«Quelle
scarpe erano orrende…», bisbiglia, e mi inalbero:
«Assolutamente
no! Erano stupende! Non ne ho mai trovate di più
belle».
«Sei
serio? Erano gialle. Fosforescenti».
«Sono
serissimo».
«Con
delle strisce blu elettrico
e verde acido ai lati…
Dai, erano assolutamente inguardabili».
«Ancora
una parola e confermerai il mio sospetto che non si sia trattato di un
incidente».
Mela
si zittisce immediatamente, e ritorna alla cupezza di
poc’anzi.
«’Sti,
non mi guarda mai, non sa neanche che io esisto…»,
riprende il discorso, e per poco
non mi schiaffo una mano sulla faccia.
«Chi,
Mel?»
«Lo
sai chi».
Qualcuno
ricordi a mia cugina che, in quanto proprietario di un cromosoma Y,
sono geneticamente
impossibilitato ad entrare nella mente delle donne, e che la diretta
conseguenza
è che non ho la benché minima idea di chi stia
tirando in ballo.
«Mela…»
«Capisci?!
Proprio quest’anno, quando mi ero ripromessa zero
distrazioni, dovevo… dovevo…»
La
sua
voce s’incrina e ho paura che alzi il tono, svegliando tutto
il condominio. Le passo
un braccio dietro alla schiena, e la stringo a me.
«Non
sono cose che puoi governare, e comunque se non ti ricambia
è proprio un coglione».
Lei
mi guarda, sorpresa, e scoppia a ridere. E continuerebbe
all’infinito se io non
le avessi tappato la bocca con una mano, intimandole di fare piano.
«È
che
sei troppo… troppo…»
«Piantala
di balbettare».
«Troppo
stupido», singhiozza esilarata, gettandosi sul letto e
continuando a ridacchiare
tra sé e sé. «Fammi un bicchiere di
latte caldo, va’. Quella schifezza è
imbevibile».
Roteo
gli occhi al cielo, tornando in cucina ed eseguendo gli ordini. Ripenso
alle ultime
interazioni con il genere umano maschile avute da mia cugina, e il
cerchio si restringe
subito: Vanni.
No
no
no, Vanni no, ti prego. Lui la detesta!
Rientro
in camera e trovo la signorina già addormentata, stesa di
traverso e totalmente
incurante della mia povera divisa che mi ero stirato giusto qualche ora
prima. Perfetto,
si prospetta una notte sul divano: bel modo di trascorrere i cento
giorni dall’esame!
Osi
ancora una volta dire che non le voglio bene…
(*)
Questa
cosa chiamata amore non riesco proprio a maneggiarla,
Questa
cosa chiamata amore devo riuscire ad aggirarla…
Non
sono pronto!
Piccola
pazza cosa chiamata amore.
Queen - Crazy little thing called love
Prossimo
aggiornamento: 28 marzo
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Capitolo 4 *** Lunedì 28 marzo 2011 ***
Centocinque
giorni alla maturità - Cronaca di un’esperienza
coercitiva
By flash and
thunder fire I’ll survive
(I’ll survive, I’ll
survive!),
then I’ll defy the
laws of nature
and come out alive.
(*)
Lunedì 28 marzo 2011
Our
time is running out, our time is running out; you can’t push
it underground, you
can’t stop it screaming out…*
«Appropriata
la suoneria, ‘Sti», ridacchia Vanni al mio fianco,
mentre finiamo i nostri dieci
giri del campo.
«Me
l’ha cambiata Mel, dice che questo dovrebbe aiutarmi a
rendermi conto dello scorrere
inesorabile del tempo che ci resta», spiego, ringraziando
l’accigliato piccoletto
di dodici anni che mi ha rincorso per metà del percorso per
riuscire a consegnarmelo.
Quello mi manda bellamente a quel paese - bastardo ingrato, io alla sua
età avrei
pagato oro persino per allacciare le scarpe ad un campione del mio
livello! -, ma
lo ignoro, preoccupato dal “Mela” che appare
lampeggiante sul display. Che cos’ho
dimenticato di fare stavolta…?
«Pezzo
di deficiente!», tuona lei, «Si può
sapere dove cazzo ti sei cacciato, eh?!»
Il
tono
è talmente alto che lo sente persino Vanni, lo capisco dal
suo sorrisino malcelato.
«Mel,
è lunedì… Ho gli allenamenti di
calcio, ricordi?»
«Tu
hai sempre qualche tipo di
allenamento!
Ma ti ricordo che domani c’è la nostra prima
simulazione, e devi ancora ripassare
due intere materie!»,
sfiata, e io mi
chiedo perché la gente finisca sempre ad urlarmi contro e ad
insultarmi. Sono un
bravo ragazzo, bevo solo quando non devo guidare, non fumo, non mi
drog- «Mi stai
ascoltando?!»
«Sì,
Mela, sarebbe impossibile non udire la tua soave voce da tre chilometri
di distanza,
temo», rispondo rassegnato, cominciando a rallentare il passo
e a camminare per
riprendere fiato. «Posso studiare quando torno a casa,
dai».
Un
silenzio
di tomba cade tra noi, e io mi preparo all’ennesimo urlo.
Invece, mi sorprende con
un tono volutamente controllato.
«’Sti,
ragiona. Finisci alle otto, con doccia e tutto torni a casa alle
nove… Non mi risulta
che tu possegga il dono dell’ubiquità».
«Mel,
ho già saltato l’altra volta…»
«Passami
Vanni».
Sia
io che lui sgraniamo gli occhi, mentre mi fa cenno di non passarglielo
per nessun
motivo.
Mi
spiace,
sarai anche il mio migliore amico, ma non penso sia ancora nata la
creatura che
oserebbe mettersi contro mia cugina arrabbiata.
“Ti
odio”
sillaba
silenziosamente, prima di afferrare il cellulare come se fosse un
ordigno alieno.
«Dimmi».
Segue
una conversazione di cui non comprendo assolutamente nulla, ma lo
sguardo di Vanni
non mi piace affatto. «Va bene. Ci… Ci vediamo
dopo», conclude.
«Allora?»
Lui
sospira, e io lo guardo senza capire.
«Qualsiasi
cosa farò, ricordati che ti voglio bene».
«Cosa…»
Scorgo
la sua testa avvicinarsi a velocità supersonica alla mia,
poi una botta e vedo tutto
nero.
«Non
pensavo m’avresti presa sul serio, sai?», sta
dicendo mia cugina, e io socchiudo
gli occhi in tempo per focalizzare lei e l’altro bastardo
negli spogliatoi, seduti
vicini.
«”Dagli
una testata, se è il caso”… Ti ho
solamente preso in parola. Come si dice, sopra
lo scudo o sotto lo scudo, no? In qualche modo dovevo fartelo portare a
casa».
«Non
sapevo che anche voi Scientifici utilizzaste certi metri di
paragone…»
«Non
lo fanno mai, infatti», borbotto arrabbiato, cercando di
raddrizzarmi. «Cosa diavolo
è successo?»
«È
successo
che sono le cinque, ho il permesso di portarti a casa per un improvviso
quanto devastante
malore e così, forse, riuscirai a combinare
qualcosa», cinguetta allegra Mel, alzandosi
in piedi e aspettando che io la segua.
«Peccato
che ora la mia testa non sia in condizione nemmeno di ricordarsi la
filastrocca
di Fra’ Martino, grazie al vostro prezioso aiuto»,
replico, non so se più sconvolto
o seccato.
Fisso
velenosamente Vanni, che fa spallucce. Tu
quoque…
«Smettila
di fare la vittima e vai a studiare, su», ridacchia lui,
mentre Mel lo abbraccia,
grata.
«Per
una volta tanto hai fatto qualcosa di decente in vita tua, me ne
ricorderò».
Ma
guarda
che faccia strana che fa quel lurido traditore… Mia cugina
si avvia verso l’uscita
e io lo blocco con un braccio.
«Da
quant’è che ti piace Mel, Bruto?»
Purtroppo
non ricevo altra risposta che un suo sorriso da sfinge,
perché l’altra adorabile
creatura che vuole il mio sangue minaccia di tornare dentro e
trascinarmi via con
la forza. E ne sarebbe capace.
«Buon
Fichte!», è l’ultima cosa che mi dice
quel criminale, prima che me ne vada con un’orrida
sensazione di vuoto allo stomaco. Preferirei tifare Milan piuttosto che
affrontare
anche una sola pagina di filosofia…
(*)
Tra
il fuoco e le fiamme del tuono sopravvivrò
(sopravvivrò,
sopravvivrò!),
poi
sfiderò le leggi della natura
e
ne uscirò vivo.
Queen - Seven seas of Rhye
*
Il nostro tempo sta finendo, il
nostro tempo sta finendo, non puoi spingerlo sottoterra, non puoi farlo
smettere di urlare…
Muse - Time is running out
Prossimo aggiornamento: 15 aprile
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Capitolo 5 *** Venerdì 15 aprile 2011 ***
Centocinque
giorni alla maturità - Cronaca di un’esperienza
coercitiva
I had a dream
when I was young,
a dream of sweet
illusion,
a glimpse of hope
and unity
and visions of one
sweet union…
But a cold wind
blows
and a dark rain
falls
and in my heart it
shows…
Look what they've
done to my dream, yeah
(*)
Venerdì 15 aprile 2011
«Tesoro,
per caso hai visto dove ho lasciato la mia borsa?»
«È
qui,
mamma, sulla sedia», mormoro, concentrato
sull’ennesimo schema di storia che sono
costretto a fare. Mia madre si affaccia dalla porta e quasi strilla
dall’emozione.
«Cristiano!
Stai davvero studiando?»
«Ho
deciso di mettere fine alla mia vita tramite un bel suicidio neuronale,
così non
sporco in casa», ribatto, inacidito. C’è
un buon motivo se è praticamente impossibile
vedermi seduto a fare qualcosa per scuola: tira fuori il peggio di me.
Fin da piccolo,
tenermi fermo era impossibile; quando le mie maestre mi hanno trovato a
cavalcioni
del davanzale del quarto piano, mia madre mi ha iscritto il giorno
stesso a tutti
i corsi sportivi della città: calcio, basket, tennis, nuoto
e judo. So che sembra
impossibile, ma sono riuscito quasi sempre a far coincidere gli orari,
con il risultato
che tutte le mie energie vengono incanalate verso
l’attività fisica per una media
di circa cinque ore al giorno (purtroppo ho dovuto lasciare nuoto e
judo in quarta
ginnasio, tennis quest’anno, ed è un altro dei
motivi per cui penso che la scuola
sia fondamentalmente inutile).
Non
c’è di cui stupirsi, quindi, che per un professore
di ginnastica il cui motto è:
“siete Classicisti, non preoccupatevi se siete penosi, almeno
provateci” uno stacanovista
dello sport come me sia quasi un Messia sceso dall’alto per
rassicurarlo e fargli
vedere che sì, tutte le sue frustrazioni e le sue pene
saranno ben ricompensate,
prima o poi.
Ciò
che mia cugina odia del sistema (o Sistema, come lo chiama lei)
è il fatto che,
poiché da quando ci sono io non abbiamo mai perso una
partita di nulla, e dato che
Turaccioli è il genero
della preside, io non possa essere bocciato. È
matematicamente certo, assolutamente
sicuro, nonostante il mio impegno pari a zero, mentre lei si fa un “culo così, ‘Sti, mi
faccio un culo così!”
per mantenere la sua media del nove.
Tante
care cose, Mela, mi hai costretto tu ad iscrivermi al Classico per non
rimanere
sola. Poi, a dispetto di tutte le sue lamentele, si è sempre
fatta in quattro per
aiutarmi (un po’ perché si sente ancora in colpa
del suo capriccio da tredicenne,
un po’ perché mia madre gliel’ha chiesto
piangendo), ma questa è un’altra storia.
«Tua
cugina dov’è?», chiede mia madre, mentre
controlla la lista della spesa attaccata
all’anta del frigorifero.
«Boh…
Ha detto che doveva studiare con altri nostri compagni di classe, penso
sia a casa
di uno di loro».
Mia
madre mi scruta, sospettosa.
«È
qualche
settimana che questa storia vai avanti… Non avrete mica
litigato?»
Roteo
gli occhi al cielo. Io e Mela discutiamo un giorno sì e
l’altro pure.
«No,
mamma».
«Uhm,
ok… Allora perché non le domandi se puoi
aggiungerti a loro? Sempre meglio che studiare
da solo, dopo un po’ so che ti deconcentri e inizi a fissare
il soffitto…»
Adorabili
genitori che cercano di farsi gli affari tuoi.
«Ricordi
quando sono tornato a casa da scuola, tre anni fa, con la faccia e le
braccia piene
di graffi e morsi, zoppicando?»
Lei
annuisce, aggrottando le sopracciglia, non capendo dove voglia
arrivare. Sospiro.
«È
successo
perché avevo domandato a Silvia - quella bionda, quella
carina - se volesse uscire
con me. La sua migliore amica, Nadia, mi è saltata addosso e
mi ha intimato di star
loro lontano almeno trenta metri, fuori dalla nostra classe. Melissa
è con loro
e qualcun altro».
«Oh…
In effetti, lo studio di gruppo solitamente è una scusa per
non fare niente», aggiunge
velocemente lei, cercando di non sorridere. Possibile che non capisca
che sì, io
posso aver seriamente paura di una ragazza schizzata quanto Nadia? Ci
tengo alla
mia incolumità!
«Mamma,
non ridere».
«Non
sto ridendo!», ghigna apertamente lei, avvicinandosi e
lasciandomi un bacio sulla
guancia. «Studia tutto, da bravo».
Dato
che sembra essere in una modalità tanto positiva, arrischio
la mia mossa finale.
«Ma’,
vero che mi vuoi bene?», domando in tono piagnucoloso,
tecnica affinata dopo anni
di duro allentamento.
«Certo,
tesoro».
«E
quindi
non fa niente se prendo meno di settanta
all’esame…?»
«Provaci
e di te non resterà che polvere», annuncia lei con
tono soave, aprendo la porta
di casa e uscendo. Sbatto ripetutamente la fronte contro il tavolo,
dandomi dello
stupido per aver nutrito qualche speranza.
Maledetti,
maledetti tedeschi che hanno deciso di invadere la Polonia…
È tutta colpa loro!
(*)
Avevo
un sogno
quando
ero piccolo,
un
sogno di dolce illusione,
uno
scorcio di speranza e unità
e
visioni di una dolce unione…
Ma
spira un vento gelido
e
cade una pioggia scura
e
nel
mio cuore si mostra…
Guarda
cos’hanno fatto al mio sogno.
Queen
- One Vision
Prossimo
aggiornamento: 27 aprile
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Capitolo 6 *** Lunedì 30 maggio 2011 ***
Centocinque
giorni alla maturità - Cronaca di un’esperienza
coercitiva
When you’re feelin’
down and your resistance is low
light another
cigarette and let yourself go.
This is your life,
don’t play hard to
get;
it’s a free world,
all you have to do
is fall in love.
Play the game
ev'ryone play, the game of love!
(*)
Lunedì
30 maggio
2011
«Tutto
bene?», mi chiede Matteo, sorprendendomi in uno dei miei
attacchi di morte cerebrale,
che ultimamente si stanno riproponendo con una frequenza allarmante.
Sembro sotto
sedativi, costantemente.
«Voglio
morire», proclamo con aria funebre, facendolo scoppiare a
ridere. «È stata la lezione
più… insostenibile e pallosa di tutto
l’anno», concludo, accasciandomi sul banco.
«La
Barberini non è mai stata leggera, ma ritengo che il suo
massimo l’abbia raggiunto
con Kant a ottobre».
Rabbrividisco,
ringraziando il cielo che molti sabati, almeno quelli che non sono
costretto a saltare
per colpa di mia cugina, siano dedicati all’allenamento di
basket di serie B,
cosa che mi ha sempre fatto evitare degli incontri indesiderati di
terzo tipo
con filosofia, italiano e fisica… Ma quale immenso dolore.
«Dovrebbero
rendere illegale permettere di insegnare a simili elementi, dovrebbe
esserci una
legge che lo vieti…»
«Dovrebbero
vietare anche l’idiozia umana, ma Marika è ancora
con noi e non in carcere», ribatte,
riferendosi alla stupida della
classe
che ha posto domande sciocche ed inutili per tutta la lezione, rendendo
una totale
agonia il già terribile supplizio. Eppure, Matteo non
è tipo da frecciatine, quindi
lo guardo, ammirato.
«Ti
facevo più uno stinco di Santo, sai?», gli
confido. Lui mi fissa sorpreso e scoppia
a ridere, alzandosi dal banco sul quale si era seduto.
«Solitamente
lascio per me certe opinioni, tutto qui. Comunque volevo chiederti se
ti andava
di unirti a noi, questo pomeriggio, per il Grande Ripasso di
fisica».
«Ho
gli allenamenti di calcio, poi l’interrogazione è
sabato… C’è tempo», rispondo,
con la solita indolenza da “sono uno sportivo e lo studio non
sarà mai il mio mestiere”.
«Ma grazie lo stesso. Sbaglio o questi incontri stanno
cominciando ad assomigliare
ai ritrovi di una setta? Ieri addirittura mia cugina è
uscita dopo cena…»
Lui
mi rivolge uno sguardo perplesso, e capisco che la cara Melissa mi ha
raccontato
una balla.
«Ieri
non avevamo in previsione nulla… Forse è
semplicemente uscita, o hai capito male»,
tenta, incerto. Dato
che mi è stato insegnato
che i panni sporchi si lavano in famiglia, gli rivolgo un sorriso
rassicurante.
«Sì,
scusa, mi stavo confondendo con un’altra cosa»,
rispondo, ma so già di non averlo
convinto. Fortuna che la D’Agostino sceglie quel momento per
entrare e incominciare
ad abbaiarci contro, quindi c’è un fuggi fuggi
generale verso il proprio posto.
Fisso sovrappensiero Matteo, seduto come sempre accanto ad Anna, e mi
chiedo chi
sia stato tagliato fuori dalla vita di chi, se io da quella di mia
cugina o lui
da quella della ragazza di cui è palesemente innamorato fin
dalla quarta ginnasio…
Anna
si volta e mi sorprende a guardarli, così mi rivolge un
sorriso radioso. Ricambio
mentre il mio stomaco fa una capriola all’indietro - nessuna
sorpresa, con lei di
mezzo si è fortunati se non si hanno reazioni di ben altro
tipo - e mi chiedo sconsolato
perché debba essere così irreducibilmente
lesbica. Non che io possa nutrire qualche
speranza, dato che prima di me ci sarebbe una lista infinita di
ragazzi, ma è uno
spreco troppo grande per l’universo maschile…
«Cammareri,
ci puoi degnare della tua attenzione o devo compilare un modulo di
richiesta scritta
da farti consegnare più in là?»
Che
bocciolo di rosa, quest’insegnante.
Bagascia
frigida.
(*)
Quando
ti senti giù e la tua resistenza è bassa
accendi
un’altra sigaretta e lasciati andare.
Questa
è la tua vita,
non
giocare duro per riuscire ad ottenere qualcosa;
è
un mondo libero,
tutto
ciò che devi fare è innamorarti.
Fai
il gioco che fanno tutti, il gioco dell’amore!
Queen - Play the game
Prossimo aggiornamento: 1 giugno
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Capitolo 7 *** Venerdì 3 giugno 2011 ***
Centocinque
giorni alla maturità - Cronaca di un’esperienza
coercitiva
I hang my head and
I advertise:
“A soul for sale or
rent”.
I have no heart,
I’m cold inside,
I have no real
intent.
Save me, save me,
save me,
I can’t face this
life alone!
Save me, save me,
save me...
I’m naked and I’m
far from home.
(*)
Venerdì 3 giugno 2011
«Il
moto apparente del Sole».
Guardo
mia cugina sbattendo gli occhi.
«Il
moto apparente…»
«Del
Sole, sì».
«Uhm…»
Lei
mi fissa per qualche istante, prima di chiudere il libro con un gesto
secco.
«Basta,
sono ufficialmente sei ore che studiamo senza interruzioni.
Fonderebbero il cervello
di chiunque», afferma, dirigendosi verso il mio frigo e
frugando al suo interno,
emergendone con la vaschetta di gelato delle Emergenze.
Mio.
Dio. Questa non è mia cugina.
«Mela,
sicura di stare bene?», domando, aspettandomi di vederle
spuntare all’improvviso
altre due teste dal collo per sbranarmi meglio. Alieni, demoni, qual
è l’oscura
forza impadronitasi del suo corpo?
«Benissimo,
perché?», domanda lei, aggredendo con violenza la
vaschetta. Ma non le ha insegnato
nessuno che bisogna lasciarlo un po’ a temperatura ambiente
per farlo ammorbidire…?
«Perché
nessuna Melissa di mia conoscenza si sarebbe mai dichiarata sconfitta
da un misero
pomeriggio di studio…»
Assume
il suo classico sguardo da folle, un po’ allucinato e un
po’ omicida, ma invece
di cominciare a gridare scoppia a piangere.
Possibile
che quel gelato sia così duro?
«Non
ce la faccio più! Continuano a dirci “studiate,
studiate, perché se lo farete andrà tutto
bene!” e io sto studiando, ma non
credo che ci sarà qualcosa che riuscirà ad andare
bene! Ho la sensazione di stare
affogando, mi sento soffocata, voglio solo rompere questo…
questa cosa che hanno
creato*», singhiozza, lasciandomi basito. Una crisi isterica
per il suo studio e non per il mio?
«Mel…»
«Fammi
finire!», strilla, e io chiudo gli occhi per
l’acuto. «Passi la vita a farti prosciugare
l’esistenza da quei cosi, per avere uno straccio di
possibilità per il futuro, poi
ti dicono che stai studiando troppo e che non puoi lasciarti rovinare
in questo
modo! Ma facessero pace con il cervello!»
Uh,
ora capisco. Ieri quello di italiano l’ha presa da parte per
farle un discorso,
preoccupato dal suo aspetto. In effetti avrà perso minimo
cinque chili nell’arco
di due settimane, ed un vampiro ha una carnagione più scura
della sua - e meno occhiaie.
«Mela,
tu sei sempre stata quella che amava studiare. Non lasciare che diventi
un peso»,
le suggerisco, mentre le lacrime continuano a scorrere sul suo viso.
«Non sei la
ragazza che si danna per arrivare da qualche parte, lo fai
perché ti piace, e penso
che manca ancora un mese… Non fartelo rovinare».
Lei annuisce, sfregandosi le mani
sugli occhi. «La carta assorbente è dietro di
te», borbotto, vedendola strappare
rabbiosamente qualche foglio dal rotolo.
«Scusa».
«Figurati.
Tutti stiamo dando segni di cedimento».
«Tutti
tranne te», dice, con tono quasi risentito.
«Sono
un totale incosciente, non ricordi?»
Lei
sbuffa e sorride.
«Per
fortuna che poi te ne vai a studiare Scienze Motorie e non
Medicina…»
«Ammettilo
che ti mancherò».
«Ma
se mi toccherà aiutarti anche con delle materie che non sono
mie!»
Scoppio
a ridere e approfitto del momento per domandarle quello che voglio
chiederle da
un bel po’.
«Ehi,
Mela. Non stai male solo per questo, vero?»
Lei
torna a dedicarsi all’opera di disintegrazione del suo
gelato, con una solerzia
sospetta.
«No».
«E…?»
«E
niente,
non posso parlartene», chiude il discorso. Conosco quel tono,
e so che non c’è verso
di farle cambiare idea.
«Ti
voglio bene, Mel».
E
stavolta
le lacrime che si affacciano dai suoi occhi mi fanno stringere lo
stomaco in una
morsa dolorosa.
(*)
Chino
la testa e annuncio:
“Anima
vendesi o affittasi”.
Non
ho cuore, sono freddo dentro,
non
ho nessun vero scopo.
Salvami,
salvami, salvami.
non
posso affrontare questa vita da solo!
Salvami,
salvami, salvami...
Sono
nudo e sono lontano da casa.
Queen - Save me
* I think I’m drowning, asphyxiated, I
wanna break this
spell that you’ve created
Testo
in parte rimaneggiato, Muse - Time is running out
Prossimo
aggiornamento: 8 giugno
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Capitolo 8 *** Mercoledì 8 giugno 2011 ***
Centocinque
giorni alla maturità - Cronaca di un’esperienza
coercitiva
Yesterday my life
was in ruins,
now today I know
what I’m doing.
Got a feeling I
should be doing all right,
doing all right.
(*)
Mercoledì 8 giugno 2011
Quando
rincaso sono ormai le nove di sera, e i miei sono sicuramente fuori.
Sono euforico
perché a calcio ci hanno spremuti come limoni, quindi sono
troppo stanco per pensare
che oggi è stato l’ultimo giorno di scuola, che
non entrerò più in quella struttura
se non per gli esami (che, porca miseria, è un ritorno di
merda, lasciatemelo dire)
e che la vera sfida inizia ora.
Per
fortuna che sono troppo sudato persino per pensare di sprecare altro
liquido corporeo
per qualcosa tipo “piangere”.
Faccio
in tempo ad appoggiare il borsone per terra, che il campanello squilla.
«Arrivo…
Anna?»
Anna
sbatte le palpebre, perplessa.
«Al
citofono aveva risposto Melissa, aveva detto interno
sei…»
«Questo
è l’interno quattro, il sei è di
sopra», spiego, non raccapezzandoci più nulla.
«Grazie!»
«Niente,
figurati».
La
osservo
salire le scale di corsa, e mi chiedo che razza di mostri siano quelle
due per studiare
persino la sera dell’8 giugno. Roba maniacale.
L’unica
cosa che voglio è farmi una doccia e… cavolo, mi
sono dimenticato che lo scaldabagno
è rotto, potevo lavarmi negli spogliatoi! Pazienza,
chiederò a Melissa di poter
usare il bagno degli zii, dopotutto non è la prima volta che
succede. Prendo un
cambio di biancheria pulita - scegliendo i pantaloni della tuta meno
usurati; dopotutto
c’è Anna in casa, non voglio fare la figura dello
straccione -, il mazzo di chiavi
in cui ci sono quelle della porta d’ingresso di Mela, e
salgo. Entro senza suonare
e urlo, a metà del corridoio:
«Mel,
uso il tuo bag-»
Oh.
Mio.
Dio.
«Cristiano!»,
urla mia cugina, staccandosi dalle labbra di Anna.
«Voi
due vi stavate… Cosa? Perché?»,
balbetto.
«Ma a te piaceva Vanni!»
«Forse
dieci anni fa, ‘Sti», risponde, mentre trattiene
con una mano Anna, che vorrebbe
solamente andarsene. «Resta», le sussurra, prima di
accompagnarmi alla porta per
un braccio.
«’Sti,
ti prego, non dire niente a nessuno. Devo prima…
abituarmici, ok?»
Annuisco,
stordito. Sa benissimo che non la tradirei mai, ma questo non
è un buon motivo per
avermelo tenuto nascosto tanto a lungo…
«Mela,
dovevi dirmelo. Come hai potuto far finta di niente? Non ti fidi
abbastanza di me?»
«Non
è che non mi fido, ‘Sti… È
che so che anche la persona più buona del mondo
può mostrare…
remore… per questo».
«Ma
io non sono la persona più buona del mondo! Sono Cristiano,
sono tuo cugino, sono
praticamente tuo fratello! Sono quello che è stato
più a contatto con i tuoi pannolini
di chiunque altro».
Sono
arrabbiato. E deluso. Vedo che è sull’orlo delle
lacrime, ma onestamente non mi
interessa.
«Ti
prego…»
«Non
dirò niente, promesso», sibilo, tornando nel mio
appartamento. Chiudo la porta con
un calcio e decido che la doccia me la farò gelida,
così magari riuscirò a placarmi
un po’.
Sms
da: Mela
Ricevuto
alle: 21.38
Del:
08/06/11
Ti
prego,
scusami. Solo è già tanto difficile
così e prima ho dovuto accettarlo io, volevo
aspettare la fine degli esami per dirvelo, così da essere
sicura di avere abbastanza
tranquillità per studiare…
Sms
a: Mela
Inviato
alle: 22.57
Del:
08/06/11
Sei
stata male per mesi e non mi hai permesso di aiutarti,
anzi, non l’hai permesso a NESSUNO. Come credi che possa
sentirmi? Quando ho rotto
con Marta non hai fatto altro che stressarmi finché non mi
sono sfogato, dicendomi
che il male più grande che avrei potuto farti era quello di
soffrire senza parlartene,
che noi due ci saremmo sempre stati l’uno per
l’altra… Era solo retorica?
Sms
da: Mela
Ricevuto
alle: 23.01
Del:
08/06/11
Ti
prego,
scusami.
Sms
a: Mela
Inviato
alle: 23.35
Del:
08/06/11
Buonanotte.
Sms
da: Mela
Ricevuto
alle: 23.39
Del:
08/06/11
Ti
voglio
bene.
(*)
Ieri
la mia vita era in rovina,
oggi
so ciò che faccio.
Sento
che sto facendo tutto bene,
facendo tutto bene.
Queen - Doing all right
Prossimo
aggiornamento: 8 luglio
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Capitolo 9 *** Lunedì 11 luglio 2011 ***
Centocinque
giorni alla maturità - Cronaca di un’esperienza
coercitiva
Too late, my time
has come,
sends shivers down
my spine ,
body’s aching all
the time.
Goodbye everybody -
I’ve got to go,
gotta leave you all
behind and face the truth.
Mama ooo- (any way
the wind blows),
I don’t want to
die,
I sometimes wish
I’d never been born at all.
(*)
Lunedì 11 luglio 2011
«Ti
prego, ‘Sti, mangia qualcosa… Almeno un
po’ di frutta».
«Vomito».
«Ma
se poi non mangi e hai un calo di zuccheri e nel mentre
dell’orale svieni e devi
ridare tutto?»
Dovrebbero
far lavorare mia madre a contatto con gli anoressici. Il solo pensiero
di dover
ricominciare daccapo mi fa salire un’ondata di nausea, di
malavoglia prendo in mano
il cucchiaio e affronto la tazza di latte (ormai fredda) con i cereali.
Mi alzo
in piedi e comincio a camminare intorno alla tavola, con gli occhi
spiritati e due
occhiaie lunghe fino ai piedi.
Inutile
dire che stanotte non ho dormito assolutamente nulla, e che ho tentato
un mega ripasso
dell’ultima ora, del tutto inutile.
«Farò
scena muta, ma’».
«Oh,
non dire sciocchezze, tesoro», dice mia madre, smettendo di
osservarmi preoccupata
dalla porta e venendo ad abbracciarmi. «Hai studiato tanto
questi ultimi mesi, puoi
farcela».
«Non.
So. Niente», sillabo, ed è vero. Il sorriso di
compatimento che mi rivolge mi fa
venire un urto di nervi. «Porca puttana, dico sul serio! E
che cazzo, possibile
che nessuno mi creda mai? Vaffanculo, io non ci vado».
«Cri,
ti lascio passare la volgarità solo perché
è oggi. Ma tu ci andrai, e farai vedere
di cosa sei capace, d’accordo?»
Di
niente,
sono capace, di niente. Torno a girare intorno alla tavola, mangiando
quello che
mi sembra cemento, finché non mi sento davvero male, corro
in bagno e rimetto.
«Questa
è l’ultima volta che ti do retta».
Il
resto
poi passa come se fosse dannatamente veloce e dannatamente lento nello
stesso tempo.
Mi ritrovo davanti alla classe in cui devo dare il mio orale come
dentro ad un sogno.
Sono il primo, e Vanni è già lì che mi
aspetta.
«Avanti,
vedrai che è una cazzata», tenta di rassicurarmi,
aggiungendo una pacca sulla spalla.
Lui se n’è liberato tre giorni fa, e ancora ho
nelle orecchie le sue urla di vittoria.
Vorrei
rispondere, ma la voce mi si blocca in gola. In quel momento esce
l’esterna di scienze,
che viene a chiamarmi.
«Signor
Cammareri? Possiamo cominciare».
Passo
davanti a Chiara e Francesca, pallide quanto me e in attesa del loro
turno, ed entro
nella classe. I banchi sono disposti a ferro di cavallo; il Presidente
mi sorride
gentile e mi fa segno di mettermi seduto sulla sedia posta al centro,
di lasciare
per terra lo zaino pieno di libri.
«Allora,
signor Cammareri, abbiamo visto che la sua tesina parla del
doping… Ce la vuole
esporre?»
Annuisco,
e il mio è un inizio balbettante ed incerto. Poi
però mi rilasso e procedo spedito,
finché non iniziano le domande vere e proprie: Seneca,
Euripide, il ciclo di Carnot…
Stento a crederci, ma riesco a rispondere - quasi - a tutto. Il tempo
non passa
così velocemente quanto mi avevano promesso tutti quelli che
hanno già provato l’esperienza,
ma sicuramente non è un’ora che sembra
un’eternità.
È
una
banalissima lunga interrogazione, e nemmeno paragonabile a quelle a cui
mi sottoponeva
la mia prof di italiano, storia e geografia del ginnasio…
Stento a crederci, ma
erano più difficili.
Concludo
il mio orale e mi lasciano andare, dopo avermi chiesto per quale
squadra di calcio
abbia fatto i provini. Glielo dico, e scoppiano a ridere.
«Se
riesci a entrare, Cristiano, puoi anche ritirarti
dall’università… Sarebbe solo
uno spreco di tempo», mi fa l’occhiolino quello di
italiano. Io sorrido, e faccio
spallucce.
«Mia
madre vuole un figlio laureato in qualcosa, quindi temo che
dovrò proprio cercare
di non deluderla…»
Mi
volto
e vedo che sono entrati dentro, mentre non vedevo - e non mi sono
accorto di nulla!
-, anche Sebastiano, che sarà l’ultimo domani,
Anna e Melissa. Mia cugina cerca
di parlare, ma io la blocco, bisbigliando un
“fuori”.
«’Sti…»
«Lascia
perdere. Mi sei mancata troppo questo mese perché me ne
importi ancora qualcosa,
ma prova a rifarlo e vedi», le dico, sorridendo. Lei mi
abbraccia di slancio, e
vedo che anche Anna sorride, in disparte. «Oh, avanti, vieni
qui: ormai devo considerarti
una di famiglia, no?»
«Oddio,
‘Sti, non ti sembra affrettato?», ride mia cugina,
soffocata dal mega abbraccio
che ci scambiamo noi tre.
«Taci».
Poi
vado da Vanni, che mi guarda perplesso, e ammetto che mi dispiace un
casino per
lui.
«Sei
andato alla grande», dice, quando capisce che non posso
spiegarglielo. Non abbiamo
mai avuto bisogno di grandi discorsi, al massimo ci esprimiamo tramite
il lancio
di oggetti.
«Grazie
di tutto. Sei il migliore amico che si possa desiderare».
La
sua
faccia schifata mi ripaga di tutto lo stress provato oggi.
«Non
ci provare neanche», dice, quando faccio per abbracciarlo.
«Non ci pensare
neanche».
Faccio
spallucce e mi avvio verso l’uscita, con mia cugina a
braccetto.
Dio,
è finalmente finita.
E
del
voto, onestamente, non me ne frega niente. Non sarà quello a
delimitare chi siamo
realmente.
Cammareri
Cristiano: 72 Scansafatiche Futuro milionario
Florenzi
Melissa: 100 e lode Secchiona Lesbica
Chirurgo
Palma
Giovanni: 68 Senza futuro Laureato in Ingegneria
Biomedica
(*)
Troppo
tardi, è giunta la mia ora,
mandandomi
i brividi lungo la mia colonna vertebrale,
il
corpo mi fa male in continuazione.
Addio
a tutti - devo andare,
devo
lasciarvi tutti indietro e affrontare la verità.
Mamma
ooo- (in qualsiasi modo spiri il vento),
non
voglio morire,
qualche
volta vorrei non essere mai nato.
Queen
-
Bohemian Rhapsody
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