Mocking Destiny

di valina_babi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - 1. Look Right ***
Capitolo 2: *** 2. Points of view ***
Capitolo 3: *** 3. Bad temper 4. The third is the right one... maybe ***
Capitolo 4: *** 4. 5. Or maybe not 6. Speaking with a friend ***
Capitolo 5: *** 6. Coffee smell and baffling gift; 7. Bad temper never misleads ***
Capitolo 6: *** 6. 8 Best Bodyguard of ever ***
Capitolo 7: *** 6. Capitolo 9. Sometimes the Destiny doesn't enter ***



Capitolo 1
*** Prologo - 1. Look Right ***


Piccola premessa, 

ho cominciato questa storia circa due anni fa, in un momento non proprio felice per la mia vita, anzi... diciamo che erano successe alcune cose che mi avevano costretto a rivedere i miei paralleli e meridiani, se non altro in termini di amicizie.

In questa storia, o almeno nel suo inizio ci sono molti pezzi della Me di quel momento, molti ci saranno della Me che c'è stata e della Me che sono ora, non posso farci nulla perchè in parte alcuni personaggi sono nati e sono parte della mia vita e dello sfogo iniziale per cui era nata questa storia (approdata qui solo con molta calma e dopo molto tempo). Per questo mi scuso con chi troverà questa storia "lamentosa" o troppo piena di dettagli a volte reali (scusate è vero in alcuni casi tendo un po' a perdermi).

ringrazio fin da ora chi avrà la pazienza e la voglia di leggere e sopportare il miei "dieci minuti di follia scrittoria" (originario titolo del file sul mio pc XD) e soprattutto i miei deliri!

grazie ancora 

buona lettura 

Vale 






Prologo


"L'amore è irrazionale, entra nelle nostre vite e le sconvolge come un fiume in piena e se ci si abbandona ad esso si può essere sommersi o sopravvivere."

 

L’amore è irrazionale, entra nelle nostre vite, porta scompiglio, fa nascere immensa gioia e voglia di vivere. Poi un giorno così come è venuto se ne va, lasciandoci spogli, aridi come un deserto che da troppo tempo è orfano dell’acqua. Lasciandoci in eredità i ricordi, dolorose ferite di un tempo felice ormai trascorso.

 

Capitolo uno – Look Right


BIP. BIP.BIP.BIP.

 

“Maledetta sveglia” grugnii girandomi a spegnerla. Decisi di prendermi ancora qualche minuto al caldo sotto le coperte. Di alzarmi tanto per cambiare non ne avevo proprio voglia. Ero arrivata a Londra tre settimane prima, ospite da Giulia che era li in Erasmus. Ero fuggita, codarda come ero. Non avevo avuto la forza di restare a casa. Non volevo continuare a vedere le solite tre facce ipocrite e Bologna in quel momento mi sembrava troppo piccola. Decisamente troppo. Soprattutto quando la persona che ti aveva fatto soffrire come un cane te la ritrovavi sotto il naso, senza volerlo, tutte le volte che uscivi di casa. Presi di nuovo il cuscino e lo abbracciai forte, affondandovi dentro il viso. Le lacrime che mi salivano agli occhi al solo ricordo dei bei momenti passati con lui.

 

Toc, toc. Non risposi. Ma Giulia non si diede per vinta. Entrò piano piano senza fare rumore nella mia stanza e venne a sedersi sul letto accanto a me. «Vale..» mi disse carezzandomi la schiena. «Tesorino…» alzai leggermente la testa. Provai a sorriderle, ma venne fuori una smorfia. «Dai, Vale alzati. Sono tre settimane che sei qui e non hai mai messo il naso fuori da questa stanza. Sto cominciando a pensare che sei venuta a trovare solo la mia stanza degli ospiti sai?» riuscì a farmi sorridere in modo genuino. Era tanto che non lo facevo, ma Giulia sapeva come riuscirci. Era anche l’unica a conoscere tutta la storia, a sapere quanto male quei due fossero riusciti a farmi.

 

«Dai forza. Alza quel pesante culone dal mio letto che ho un bel programmino per te oggi.»

 

«Dai dimmi.» Riuscii a rispondere.

 

«Primo. Adesso ti alzi e poi andiamo a correre ad Hide Park. Che non c’è niente di meglio che un po’ ginnastica alla mattina.»

 

«Mmm, lo sai che odio correre.»

 

«Sì. Ma sai anche che dopo ti senti meglio!»

 

«Giusto, vero. Hai ragione. Poi?»

 

«Poi dunque, proprio perché sono tre settimane che non ti muovi e perché non hai mai visto Londra…proporrei Buckingham Palace eeee….Shopping!»

 

«Ok, ai tuoi ordini zietta».

 

«Bene. Ti aspetto di sotto tra dieci minuti».

 

Mi alzai, andai in bagno che si trovava sull’ammezzato. “E’ proprio fatta strana questa casa, o meglio tipicamente inglese. Ricorda tanto quella di Notting Hill.”  E in effetti era davvero molto simile. Sistemata su tre piani. Con uno stretto ingresso che dava sulla sala da pranzo e su un cucinotto minuscolo. E ai piani di sopra le stanze, all’ammezzato il bagno. Era proprio strana. Più alta che larga. Ma capivo perché la mia amica la aveva scelta. Ogni stanza aveva un enorme vetrata a bovindo che faceva entrare tutta la luce possibile anche in una terra in cui il cielo era di norma coperto di nuvole e in cui le giornate di sole erano da considerarsi un vero e proprio regalo. Tornai in camera avvolta dal mio mega asciugamano rosa, “Quello di Parigi” ricordai a me stessa sorridendo. Ed effettivamente lo avevamo comprato insieme, perchè io imbranata lo avevo lasciato a casa sperando di trovarlo nel nostro albergo a due stelle e mezzo ed ero rimasta fregata perché evidentemente non li avevano. Mi vestii veloce. Infilai una tuta con una maglietta qualsiasi dalla valigia. “Dio, è ora che mi metta a svuotarla. E che davvero la smetta di fare lo zombie per colpa di Daniele e della Robby. Non se lo meritano.” Presi un bel respiro e scesi veloce le scale. La Giulia mi aspettava seduta sul divanetto del bovindo con un libro in mano. La raggiunsi in silenzio e le sbucai da sopra il libro. «Pronta. Andiamo?» le dissi. Lei mi fece un sorriso a trentadue denti e si alzò veloce e uscì facendo strada verso Hide Park. Veloce la seguii. Non conoscevo la strada per cui mi limitai a starle dietro.

 

 

Giulia aveva proprio ragione. Andare a correre di prima mattina era un ottimo modo di cominciare la giornata, scaricava i nervi e ti faceva sentire leggero. Ma ormai erano quasi le otto e mezzo e se volevamo davvero fare tutti i giri che  avevamo progettato era davvero ora di andare. Stavamo tornando indietro, camminando tranquille, chiacchieravamo, spensierate. Quella mattina sembrava davvero che il sole avesse ricominciato a splendere sulla mia vita. Era tanto facile far sembrare tutto normale e anche io cominciavo a crederci. Stavamo progettando nei minimi particolari la nostra mattinata.

 

«Allora, vuoi andare anche da Harrod’s o quello ce lo teniamo per un altro giorno?»

 

«Per me possiamo andare anche un altro giorno. Tanto non siamo di corsa e di cose da vedere ne abbiamo già duemila. Comunque dicevamo. Prima fermata Bukingham Pa..» non riuscii a finire la frase. Stavamo attraversando la strada. Io ero davanti e persa nelle mie chiacchiere mi ero accidentalmente scordata che in Inghilterra si gira dall’altra parte. Sentii i freni fischiare mi girai immobilizzata dalla paura. Ero li immobile come una deficiente in mezzo alla strada. Non avevo mai avuto manie suicide. Ma in quel momento sembrava che io stessi solo li ad aspettare lo schianto. Tre… due.. uno… nulla. La macchina si era fermata a pochi centimetri dalle mie gambe. Non mi aveva nemmeno toccata. Ma forse per la paura forse per il sollievo le mie gambe si fecero di burro e io caddi come una pera cotta.

 

L’ultima cosa che vidi prima di cadere nel buio furono due occhi azzurro-grigio che angosciati mi guardavano e mi scrutavano da vicino. Poi nulla. solo buio.

 

 

Lentamente cominciai a riemergere. Dovevo essere svenuta e probabilmente avevo anche sbattuto la testa. Sentivo delle voci lontane parlare concitato. Sembrava litigassero. Ma non riuscivo a capire cosa stessero dicendo. Ci misi un pochino per capire che era perché parlavano in inglese. Dopo che mi fui sintonizzata sul canale giusto cominciai finalmente a capire qualcosa di cosa stavano dicendosi. Distinguevo chiaramente la voce di Giulia, l’altra no. Non la conoscevo. Era la voce di un ragazzo, vellutata, bassa, sensuale anche nel suo essere arrabbiato. Si perché stavano discutendo su di me.

 

«Ma sei pazzo a guidare in quel modo?»

 

«Veramente è la tua amica a non avere minimamente guardato, e poi io avevo il verde, voi il rosso. Io via libera. Voi invece avreste dovuto stare ferme.»

 

«No scusa, ma hai idea della velocità a cui stavi andando? Eri un tantino sopra i limiti!» continuò la mia amica infuriata.

 

Si stavano decisamente litigando su di chi era la colpa. E per un momento sembrava che non si stessero ricordando che io ero ancora li tra loro due mezza svenuta. Decisi che forse era il momento di ricordargli che c’ero anche io. Aprii gli occhi, piano piano.

 

«Babi! -  mi disse Giulia preoccupatissima -  tutto bene? La testa? Tutta intera?»

 

«Si – biascicai – ho la testa dura lo sai. Ci vuole un po’ più di una testata per distruggermi.»

 

«Beh, sai. Se poi qualcuno non avesse tentato di investirti staresti meglio comunque no?» e accennò col capo al ragazzo che mi stava dall’altra parte.

 

«Va, bene, mi dispiace. Ma è anche colpa sua. Doveva guardare dove stava andando!» rispose quello stizzito.

 

«Basta. Smettetela. Non mi è successo nulla, non mi sono fatta  niente. Per cui non c’è di che preoccuparsi. Giusto?» dissi e mi voltai verso il ragazzo. E il mio cuore si fermò di colpo. O – Mio – Dio …

 

Rimasi incantata su quel volto. Occhi azzurro- grigio, capelli castani e sparati in un modo assurdo. Era un angelo. Era L’Angelo che riempiva i miei sogni da mesi, da quando avevo visto quel benedetto film. E… o mammina… in quel momento era li di fianco a me, tutto preoccupato che io non mi fossi fatta nulla. I miei neuroni ci misero un momento per rimettersi in moto e farmi collegare le cose.

 

«Tutto bene?» mi disse. Evidentemente si era accorto della mia assenza.

 

«Sì, sì» dissi con solo un filo di voce.

 

«Vale, - mi rimproverò Giulia in italiano – levati quella faccia da “Oddio ho appena visto la Madonna”, lo so anche io chi è. Voglio solo capire come stai davvero.» poi aggiunse in inglese «Magari è un po’ sotto shock»

 

«Penso anche io. Sei sicura di stare bene? Sei bianca come un cencio e stai tremando» mi chiese lui con tono gentile e premuroso.

 

«S-s…» ma rinunciai, la voce non voleva saperne di uscire dalla mia gola, per cui mi limitai ad annuire. “Porca vacca Vale respira!”, prendendomi di nascosto una pedata da Giulia come incentivo e un «Controllati!»

 

«Ok, ok, ci sono» riuscii a dire trovando non so dove un fil di voce. Lui mi guardò poco convinto, ero decisamente una pessima attrice.. totalmente incapace di mentire, mi si leggeva tutto negli occhi di solito, e in quel momento, ne ero sicura stavo facendo la peggiore figura di m^rda della mia vita.

Feci per alzarmi e lui fu pronto a sorreggermi tenendomi per un braccio ed aiutarmi, alzai gli occhi e rimasi incatenata ai suoi, “Dio mio… ma come può essere così bello…”  gongolò una parte di me, mentre l’altra mi urlava di smettere di fare l’idiota.

 

«Grazie – mormorai – ci riesco» forse il tono era stato troppo brusco? Oh al diavolo Vale, basta dire idiozie, tanto lui si sarà scordato di te prima di sta sera, o al massimo ti prenderà per il culo insieme ai suoi amici, per cui basta! Dio quanto odiavo il mio essere così sognatrice e così cinica insieme, riuscivo quasi sempre a smontarmi da sola.

 

Tolse la mano dal mio braccio facendola scivolare e sfiorò la mia mano, un brivido mi percorse la schiena attraversandomi come una scossa elettrica. Respirai a fondo per riprendere il controllo di me stessa e poi rialzai gli occhi verso di lui, sorrideva imbarazzato.

 

«Beh.. – si passò la mano tra i capelli – mi dispiace.»

 

«No, non ti devi preoccupare..»

 

«Sì, insomma forse, e dico forse la tua amica ha ragione… forse andavo un tantino sopra i limiti..» sembrava davvero imbarazzato e dispiaciuto.

 

«No, scusami tu. Sono io che ho sempre la testa tra le nuvole.» dissi e gli sorrisi, rimanendo di nuovo imbambolata a osservare la bellezza del suo volto. Era vero. Le foto non gli rendevano abbastanza giustizia, dal vivo, così imbarazzato, anche senza lo smoking ma con una semplice maglietta a maniche corte e i jeans scuri… era molto meglio, di una bellezza divina oserei dire.

 

«Ok, bene.. ora che vi siete scusati… dato che grazie a Dio alla fine nessuno si è fatto male… direi che possiamo andare. Vale?» si inserì nella conversazione Giulia. “Ok. Ora mi volto e la strangolo.” Pensò una parte di me. insomma stavo vivendo una specie di sogno, cioè almeno in parte avevo incontrato l’uomo dei miei sogni… e lei era riuscita definitivamente a smontare la magia di quel momento. Ripresi controllo di me e mi girai verso la mia amica.

 

«Si, certo. Sono pronta.» risposi acida poi di nuovo mi voltai verso di lui. Come dovevo salutarlo? Cosa potevo dirgli? Optai per un saluto simpatico, che non mi avrebbe fatto scordare, o almeno così vagamente speravo.

 

«Ciao, Robert, è stato un piacere farmi quasi investire da te.» e sfoderai il migliore dei miei sorrisi, lasciandolo così in mezzo alla strada con un sorriso appena accennato che si apriva sul suo volto. Si forse ci ero riuscita, forse l’avevo stupito.

Magari si sarebbe ricordato di me.

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Capitolo 2
*** 2. Points of view ***


Buondì!
Eccomi qui col secondo capitolo.
Grazie grazie grazie a chi ha letto il primo.
Come sempre aspetto le voste critiche e i vostri giudizi
Buona lettura
Vale

Capitolo due. - Points of view 

Ci allontanammo ridacchiando come due povere matte.
«Ma come ti è venuta quell’uscita?» chiese Giulia mentre camminavamo verso casa.
«Non ne ho idea», tergiversai.
Lei mi guardò di sottecchi e mi pungolò.
«Oh, Babi, avanti. Non sei buona di dire balle. Avanti, sputa il rospo», maledetta me, e la mia assoluta incapacità di mentire.
A che cavolo sono serviti cinque anni di corso di teatro se non sono neanche capace di dire una semplice, innocente bugia?
Tanto valeva ormai dirle la verità, provare ad arrampicarmi sugli specchi non sarebbe servito a nulla. Sperai solamente che non mi sfottesse troppo.
«Lo so, ora mi prenderai per il culo per tutta la vita. Ma… magari così non si scorda di me» finii la frase di corsa e mi sentii avvampare, il mio viso lo sapevo era diventato di colpo rosso come un pomodoro maturo.
Mi stupii quando non sentii nessuna risata, alzai gli occhi e fissai Giulia.
Stava pensando ed elaborando una risposta.
«Allora, non mi ridi in faccia ora?» la punzecchiai.
«No. Alla fine è da te. Sei una scemina romantica ed è da te fare una cosa del genere… d’altra parte non credo che si scorderà di quella imbranata turista italiana che ha quasi investito e la cui amica se lo è sbranato... » fu lei a farmi ridere, scoppiai in una risata fragorosa.
Continuammo a punzecchiarci in quel modo fino a casa. Arrivati al portone aprimmo ed entrammo.
«Allora… - cominciò Giulia, di sicuro la migliore delle due nel fare programmi, si voltò verso di me con la sua faccia tipica di quando aveva in mente qualcosa, nella fattispecie, la scaletta per la giornata – direi… doccia al volo e poi Buckingham Palace, ci stai? Se vogliamo fare tutto però abbiamo un quarto d’ora massimo per prepararci…»
«Ok, agli ordini capo, sarò qui sotto tra un quarto d’ora», corsi all’ultimo piano, in camera mia.
Resi grazie che quella stramba casa avesse ben due bagni, un lusso che a casa mia non c’era, resi grazie anche a quello: avevo imparato a fare la doccia più veloce del mondo con quel sistema, forse anche perché a casa la Gaetts, mia mamma… se entro cinque minuti non ero fuori dal bagno cominciava a sclerare… chissà.
Fui fuori dalla doccia, avvolta nel mio mega asciugamano rosa, in cinque minuti e mi ritrovai di nuovo davanti alla mia valigia aperta. “Vale, sta sera quando torni la svuoti, è indecente che sia ancora piena” la rivoltai sopra al letto alla ricerca di un paio di jeans e di una maglietta carina che ci stesse assieme.
Optai per jeans chiari e la mia maglietta dell’Hard Rock Cafè di Mosca, una delle mie preferite.
Pettinai i capelli in una coda che raccolsi in un comodo chignon, avevo sempre odiato i capelli lunghi sciolti d’estate (facevano caldo, soprattutto se come i miei erano lunghi fino al sedere) e poi era la pettinatura che da quando pattinavo, cioè da una vita, reputavo più comoda; infilai le scarpe da ginnastica e presi la borsa a tracolla viola.
Scesi di corsa, trovai Giulia al fondo delle scale pronta ad urlarmi di muovermi
, ma la precedetti.
Restò quasi stupita nel vedermi pronta all’orario stabilito: da quando ero universitaria l’usanza del quarto d’ora accademico si era allargata in tutto quello che facevo...più o meno.
«Visto? quando voglio so essere puntuale» le dissi con un sorriso.
«Sì, appunto. Quando vuoi» rispose sorridendo a sua volta.
Uscimmo di casa e percorsa tutta la Lancaster Miews andammo verso la fermata della metro, era la cosa più comoda, ad attraversare a piedi tutto Hyde park e a fare il giro dei giardini di Buckingham Palace ci avremmo messo molto di più, ma anche così non era troppo comodo. Prendemmo due fermate della rossa, per poi scendere e cambiare fino a Westminster, e poi arrivammo a piedi. Tutt’altro che comodo insomma ma di certo più veloce che farsela tutta a piedi.

La visita a Buckingham Palace fu magnifica, non riuscivo a non incantarmi davanti al lusso e alla bellezza del palazzo.
Non potei non rimanere incantata nel salone da ballo, quello usato per i ricevimenti ufficiali, tanto che Giulia dovette prendermi per un braccio e dirmi in tono scherzosamente minaccioso «Guarda che io vado avanti con la guida e non ti torno a riprendere sai?».
Veloce scattai l’ultima foto e raggiungemmo la guida che stava già di nuovo spiegando, introducendo la Queen’s Gallery, la galleria di quadri della regina.
Rimasi incantata, per l’ennesima volta, davanti a un Vermeer.
«Ehi… hai intenzione di metterci radici li davanti?» mi punzecchiò di nuovo Giulia, scossi la testa senza risponderle, senza realmente averle prestato attenzione, quando andavo per musei era come se non esistesse nessun altro, solo io e il quadro, o l’opera d’arte, che avevo davanti a me, entravo in un mondo tutto mio e niente poteva distogliermi da lì davanti.
«Terra chiama Vale, terra chiama Vale – disse imitando la voce gracchiante di una radio, poi mi prese per un braccio – dai, su. Lo so che tu staresti qui in eterno, ma tempus fugit come diceva Orazio, quindi andiamo!»
«Ma…»
«Niente ma. Già mi tocca trascinarti via di qui a forza come ho fatto da davanti ad Amore e Psiche del Canova quando eravamo al Louvre…»
«E aggiungerei anche dal David a Firenze» continuai stando al gioco.
«Sì appunto. Ma hai idea della faccia che hai quando sei davanti a un quadro o a una statua?»
«Ehm… non proprio sai?» le risposi sincera.
«Beh… hai presente quando tu mi dicevi che quando parlavo del moroso avevo gli occhioni luccicanti e pieni di stelline peggio che un albero di Natale?»
«Sì, certo, ti ho sfottuto finché ci sei stata assieme», le risposi sorridendo.
«Ecco… tu, davanti alle opere d’arte sei uguale. Potrei quasi dire che hai la stessa faccia sognante che avevi sta mattina davanti a Mr. Pattinson» disse, chiudendo in bellezza lo sfottò.
Io arrossii al ricordo della figuraccia del mattino.
«Ecco lo sapevo dove volevi andare a parare», dissi incrociando le braccia, finta offesa, facendole una linguaccia in pieno stile “bambina di cinque anni”.
Lei per tutta risposta, smascherato il mio bluff si mise a ridere e mi prese sottobraccio; ci avviammo velocemente ridendo come due matte, verso il cancello principale pronte a vedere il cambio della guardia.

L’attesa sembrava interminabile, per di più la ressa di gente stava aumentando davanti al cancello e cominciavano pure ad arrivare spintoni da quelli dietro che volevano crearsi un varco per vedere qualcosa.
«Uffi, ma quanto ci mettono!» mi lamentai.
«Babi, calmati.. mancano ancora tre minuti a mezzo giorno. Lo so che mi stai morendo di fame, ma se pazienti un altro pochino…» «Veramente non sto morendo di fame, non ragiono con lo stomaco io, solo che.. solo che se questa cafona qui dietro mi tira un altro spintone giuro che mi volto e me la mangio» dissi alzando la voce e girandomi verso la turista grassottella che avevo alle spalle fulminandola con lo sguardo.
Poi mi voltai di nuovo e preparai la macchina fotografica.

Quando tutto fu finito e le guardie furono tornate ai loro posti, Giulia insistette per portarmi a mangiare in un “Fish and Chips”, tipico fast food inglese dove si mangiava pesce e patate fritte.
Questo stando alla teoria, in pratica una volta preso in mano il cartoccio di carta oleata non riuscivi più a distinguere quale fosse il pesce e quali le patatine fritte, avevano lo stesso odore e sapore: olio fritto e rifritto.
«Giuro, prossima volta piuttosto Mc Donald’s, ok?» dissi addentando l’ennesimo pesce-patatina, non provai nemmeno a distinguere. «Ok ok – rispose – Mi perdoni se per scusarmi del pranzo non proprio eccezionale ti porto a fare shopping da Harrods?»
«Certo Giulietta, lo sai che Shopping è la parola magica» dissi facendole un sorriso a trentadue denti e sporgendomi per abbracciarla.
Evitai, aveva fatto una faccia del tipo “Se mi tocchi con quelle manacce unte però mi rimangio la proposta”, scoppiai a ridere e lei con me, anche se non sapeva esattamente perché poteva immaginarlo.
Veloci finimmo il pranzo e poi ci dirigemmo di nuovo al metrò. Harrods. I
l paradiso degli acquisti l’enorme centro commerciale che insieme ai Lafayette di Parigi riempie i sogni di ogni malato di shopping. Otto piani di lusso sfrenato e negozi firmati, otto piani di articoli super costosi e all’ultima moda che aspettano solo di essere provati e acquistati.
Personalmente non sono mai stata una malata di shopping, certo, mi piace la moda e mi piacciono le firme, ma… il mio portafoglio mi ha sempre e solo permesso di sognarle, o a scelta di averle a Natale come regalo unico di vari parenti insieme.
Bah, che invidia, e che palle avere dei genitori che pensano che qualunque cosa tu voglia comprare sia uno spreco di soldi.
Come se io fossi la fighetta ricca che vuole per capriccio la decima borsa di Luis Vuitton solo perchè «Quelle che ho ora sono fuori moda, sono della collezione passata». Che odio. Ne avevo tre in classe del genere, e ve lo posso assicurare, ne avrei fatto molto volentieri a meno.
Ero solo una persona normale, un’universitaria normale che a casa studiava e si faceva un mazzo quadro per riuscire a fare un piccolo lavoretto e avere due soldi per togliersi gli sfizi.
Pretendevo tanto chiedendo un’aiutino per comprarmi quelle scarpe favolose?
“Bah tanto è inutile, qui o vinco il super enalotto o quelle scarpe potrò solo continuare a sognarle.” Pensai scollando finalmente il naso dalla vetrina.
Diedi un’occhiata all’orologio.
“Oh, cavolo! Sono già le tre! Avevo appuntamento al piano terra un quarto d’ora fa con Giulia. Se fa tardi a lavoro, Quella finisce che mi ammazza.”
Mi dissi e cominciai a correre verso le scale mobili, non feci a tempo a fare dieci metri che SBAM!
Riuscii a scontrarmi contro un ragazzo, imprecai tra me guardando la custodia dei miei Ray Ban appena comprati che volava fuori dal sacchetto in cui l’avevo amorevolmente riposta mentre io volavo a gambe all’aria.
“Se mi si sono rovinati gli occhiali nuovi non mi arrabbio neanche… vedrai come impari a guardare dove vai.”
Una mano si avvicinò a me, lunga affusolata e ben curata
“Una mano da pianista” partorì in automatico la mia testa.
«Baby, Baby… dovresti stare più attenta sai? Ad avere la testa sempre così tra le nuvole rischi di farti male…»
“Ossantoddio” è la Sua voce quella che sento?
No.
Non è possibile il quasi incidente di sta mattina mi deve avere fatto poco bene.
Non è possibile che in una città di quasi otto milioni di abitanti come Londra, io riesca nella stessa a giornata a farmi quasi investire da una persona e poi lo stesso pomeriggio a scontrarmi con lui?
E quante possibilità ci sono che quella persona sia Robert Pattinson?
«Non sono la tua Baby, né quella di nessun altro. Al massimo, poi, è Babi». Risposi rifiutando la mano che mi offriva e guardandolo negli occhi.
“Oh madre santa No. Non è possibile. Non ci posso credere. È davvero lui di nuovo. O il destino si sta proprio divertendo a giocare con me e a prendermi per i fondelli, o io ho davvero un culo o una sfiga spropositata, bisogna vedere i punti di vista.”

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Capitolo 3
*** 3. Bad temper 4. The third is the right one... maybe ***


eccomi qui di nuovo!

non so come scusarmi! sono sparita per due mesi... m a in questo momento è abbatsanza un casino anche solo arrivare al PC!
provo a farmi perdonare lasciandovi due capitoli! 
aspetto critiche e ogni tipo di commento da parte vostra!
grazie a chi ha recensito, aggiunto nelle preferite e seguite o è solo passato di qui!
vi lascio i capitoli e corro a nascondermi perchè so che arriveranno pomodori
<3 Vale

3: Bad Temper
 

“Ok, basta, recupera la tua sanità mentale o qui rischi che chiamino la Neuro. Finiscila di sbavare, recupera le tue cose e vai che sei in ritardo”. Mi ordinai. Mi guardai attorno per vedere dove era finita la borsina con dentro i miei RayBan. Non c’era da nessuna parte.
«Ehi, guarda che ti è caduta questa». disse tentando di fare il gentile porgendomi il pacchetto.
«Lo so, grazie. Non sarebbe caduta se tu non mi fossi venuto addosso» risposi stizzita, strappandogli il sacchetto che mi stava porgendo.
“Dai che carino, te l’ha anche recuperato..”
“Dopo avermelo fatto cadere” odiavo quando la mia mente partiva a parlare da sola mi sentivo una pazza e forse lo ero.
«Beh, non vorrei essere ripetitivo, ma mi sa che sei tu che sei distratta. Se guardassi dove metti i piedi non sbatteresti contro la gente»
«Mi sa che non sono l’unica, Mister so-tutto-io, se tu avessi guardato dove andavi mi avresti evitato»
«Ah sì? Ora sarebbe colpa mia? Non ero io a correre per un grande magazzino come se fossi una pazza» rispose piccato.
«Primo non stavo correndo come una pazza e secondo ero in ritardo». Precisai.
«Ecco. Appunto. Lei era in ritardo e allora investe le persone…»
«Sì sono in ritardo, e se la gente non stesse qui a darmi colpe che non ho, non farei la figura di quella che non sa leggere l’orologio. Quindi se non ti spiace… puoi gentilmente levarti dai piedi e farmi raggiungere la mia amica?»
«Oh sì certo, scusi sua maestà. La lascio passare…» disse scostandosi e facendomi un inchino. Si divertiva pure a sfottere? Era lui ad essermi venuto contro..
«Grazie. – risposi grugnendo – buona giornata, signor sono-tanto-carino-quindi-me-le-fanno-passare-tutte-lisce».
Gli voltai le spalle e mi avviai verso le scale mobili. Ero alla seconda rampa quando mi decisi a guardare come stesse il contenuto del mio prezioso pacchettino. Sfilai con cura gli occhiali dalla loro custodia e li osservai attentamente. Un bellissimo graffio rovinava una delle lenti e la montatura nella caduta si era scheggiata. “Ecco, lo sapevo oggi il destino ha proprio deciso di giocare con me!” mi dissi rimettendo gli occhiali nella borsa, trattenendo le lacrime che volevano salire e andare a fare un giro.
Quando finalmente arrivai al pian terreno ero molto vicina a quello che si suol dire incazzata nera, velocemente mi guardai attorno e raggiunsi Giulia che mi stava aspettando vicino alle porte girevoli.
«Finalmente! Ti sei persa a guardare le vetrine? Pensavo di dover cominciare a organizzare le squadre di ricerca».
«Sì, va bene sono in ritardo. Scusa». risposi secca.
«Ok. Va bene. Posso chiedere cosa è successo oppure mi mangi? Sai… manca solo il fumo che esce dal naso e diventi la sorella di un drago»
«Guarda lasciamo perdere che è meglio. Per farla breve ho già rovinato gli occhiali che avevo appena comprato» risposi ringhiando.
«No, mi dispiace. Ma come hai fatto? Se vuoi proviamo a chiedere se te li cambiano» provò a consolarmi.
«No, non credo che servirebbe. Non te li cambiano se ti sono caduti perché sbatti contro la gente» risposi mentre la guidavo all’esterno.
«Sbatti contro la gente? Scusami ma davvero non capisco, contro chi sei andata a sbattere?»
«Tanto se te lo dico mi prendi per matta o per esaltata. Non ci crederai mai…»
«Dai forza, peggio di sta mattina non può essere andata». mi pungolò.
«Beh… ecco…»
«Avanti… Vale, sputa il rospo» mi disse e mi guardò con uno sguardo che non ammetteva repliche. Mi avrebbe estorto quello che mi era successo anche sotto tortura se fosse stato necessario. “Ma perché ho una amica che i fatti suoi proprio non se li sa fare?” mi dissi mentre decidevo come risponderle.
«Beh.. hai presente l’incontro di sta mattina? – non rispose si limitò ad annuire – beh… ecco. Ho fatto il bis. Solo che sta volta ci siamo proprio scontrati» sgranò gli occhi guardandomi come se stesse vedendo un omino verde che ballava in mezzo alla strada.
«Cioè mi stai dicendo che ti sei scontrata con Robert Pattinson per la seconda volta in un giorno?» gridò,
«Shhh… cioè Giulia, capisco che tu non ci creda, ma la gente ti sta guardando storta…» e le indicai un distinto signore che ci stava squadrando con aria preoccupata, probabilmente pensava che fossimo due pazze, o più realisticamente due turiste… come dire… in Inghilterra di inglesi che sbraitavano per la strada ce n’erano ben pochi..
«Cioè, giuro! Non ci posso credere! Tu sei la persona più fortunata che conosco! Cioè… hai idea di che culo hai avuto? Io sono mesi che abito qui e non ho incontrato neanche un personaggio famoso. Tu invece al primo giorno che esci… non ho parole…Londra ha otto milioni di abitanti e tu sei riuscita a incontrare l’attore più desiderato di questo momento due volte e nello stesso giorno!!!! Ti prego dimmi che sta volta lo hai trattato in un modo civile, dimmi che almeno gli hai chiesto l’autografo o almeno che…» non finì la frase, la interruppi
«Ti devo ricordare che mi ha rotto duecento euro di occhiali appena comprati?» sbottai acida.
«Ok… devo dedurre che non  gli hai chiesto l’autografo…»
«Certo che no. Anzi avrei voluto dirgli due nomi in più. Ma alla fine mi sono trattenuta, sono civile anche io… in fondo»
«Ecco, lo sapevo. Maledetto il tuo caratteraccio!».
 
Ero in camera mia, il pomeriggio ormai era passato, era stato fin troppo lungo dato che non ero stata capace di fare nulla.  In qualunque cosa tentassi di concentrarmi la mia mente volava a quella mattina e allo scontro che avevo avuto ad Harrods. Giulia aveva ragione, avevo avuto la fortuna di incontrare non una ma ben due volte un grande divo di Hollywood, e per ben due volte ero riuscita ad aggredirlo. Certo non che lui non se lo fosse meritato. Insomma, la prima volta quasi mi aveva messo sotto e la seconda mi aveva preso in pieno, mandato a gambe all’aria e rotto gli occhiali nuovi. Già. Tanti soldini spesi nei miei fantastici occhiali e quell’affascinante imbranato era riuscito a rovinarmeli subito. Andare a chiedere una sostituzione era impensabile, mi immaginavo già la commessa che con tono acido rispondeva “Beh, signorina, alla fine gli occhiali sono caduti a lei, doveva stare più attenta a non prendere contro a nessuno.”
« Valeee. Allora io vado!» mi urlò Giulia dal pian terreno.
«Sì certo fa pure. – le risposi – se hai bisogno chiama».
Sentii la porta sbattere due piani più sotto e mi alzai dal letto, decisa finalmente a fare qualcosa di utile. Svuotai la valigia, o meglio quel poco che vi era rimasto dentro e risistemai il resto che avevo sparpagliato per tutta casa quella mattina. Poi presi il pc portatile, il cellulare e scesi al pian terreno dove mi sedetti nel divanetto del bovindo. Non feci a tempo ad accendere il pc che subito mi raggiunse un trillo conosciuto. Skype. Una piccola casella gialla lampeggiava sulla barra di windows. Un sorriso mi illuminò subito il volto: era Elena la mia migliore amica, l’avevo lasciata a Bologna, ma in tutto quel casino e nella mia vacanza-fuga da Bologna era l’unica oltre a Giulia e ai miei con cui parlavo.
>Dimmi che quello che penso non è vero. Dimmi che tu con queste foto non centri nulla. Dimmi che quegli assurdi pantaloncini con la scritta ART non erano i tuoi. E soprattutto dimmi che quella non eri tu!
Ok. Che cosa era successo di così sconvolgente da impedire alla mia amica di salutarmi?
>Ehi, non si usa più salutare? Comunque spiega. Che succede? Non ho capito un’acca!
Per tutta risposta mi mandò un link. Il forum che seguivamo da mesi, senza perdere un giorno solo. Tamburellai sulle mie ginocchia nell’attesa che caricasse la pagina. “Il topic più sbavoso di tutto il forum… strano, di solito lei non lo frequenta troppo dato che preferisce altri attori…” scorsi veloce la pagina. Ero quasi arrivata alla fine che per un pelo non mi venne un colpo. Capii immediatamente a cosa si riferissero le sue quattro domande. C’erano almeno quattro o cinque foto che ritraevano un quasi incidente, il mio quasi incidente con Robert Pattinson di quella mattina. Rimasi ferma immobile davanti a quelle foto. “Non può essere, la mia più grande figura di merda è in mondovisione…”. Pensai disperata. Un trillo mi risvegliò dal mio stato di incantamento.
-Vale? Ma ci sei?
-Si scusa, mi ero incantata.
-Allora? Ti prego, ti prego, ti prego. Dimmi che non sei tu!
-Ehm… chiama che ti spiego.
-Ok
Non passarono neanche due secondi che sentii il trillo della chiamata, immediatamente accettai, aumentando la finestra a pieno schermo.  Mi ritrovai davanti Elena trepidante in attesa di spiegazioni.
«Ciao cara. Come state nel Bel Paese?» la salutai.
«Su, su avanti. Dimmi cosa è successo».
«Ok scusi, volevo fare conversazione. Che cosa vuoi sapere?»
«Come cosa? Tutto! Anzi per prima cosa. Eri tu?»
Non risposi subito, sentii il calore del sangue andare a colorarmi le guance, se mi conoscevo bene ero diventata rosso bordeaux. Abbassai gli occhi e annuii.
«Sì ero io, ma non ti azzardare a dire un beo sul forum o quando torno ti strangolo>>.
«O-mio-dio e scusa… che cazzo ci facevi con quegli stramaledetti pantaloncini?!»
«Ehm… Giulia è riuscita a farmi uscire, finalmente oserei dire, ehm… e mi ha portato a correre. Era la mia tenuta sportiva…» mi giustificai.
«Ok. Capito. Ma… va bene che Londra non è un buco, però.. dato che una possibilità su otto milioni di incontrarlo l’avevi, potevi conciarti un po’ meglio? Ma lasciamo perdere. Piuttosto… come hai fatto a farti quasi mettere sotto dal Divino? E lui? È stato gentile? Ti ha aiutato? Ma soprattutto dal vivo è davvero meglio che in foto?» aveva parlato come un fulmine, una parola dietro l’altra, una domanda in fila alla seguente, quasi senza riprendere fiato.
«Ehi, una domanda per volta. Ora rispondo a tutto». Feci una breve pausa per prendere fiato e riorganizzare le idee, poi ripresi a parlare. Allora, questa mattina siamo andate a correre, eravamo sulla strada di ritorno da Hide Park e stavamo parlando. Ora, onestamente, tu lo sai che io ho la testa sempre per aria no?»
«Certo, come faccio a non saperlo? Inciampi in continuazione perché pensi sempre ad altro…» puntualizzò.
«Ecco appunto. Bene, stavamo parlando e quando è stato il momento di attraversare la strada..beh…per farla breve mi sono accidentalmente scordata che qui si gira al contrario e ho guardato dalla parte sbagliata. Quindi sono passata lo stesso e in quel momento stava arrivando lui, che, grazie al cielo ha frenato in tempo. Il resto lo vedi nelle foto».
«No, no, cara. Sappi che come risposta non mi basta. Le foto documentano tutto, ma non raccontano nulla.  Che è successo dopo? Che ti ha detto?»
«L’inizio non lo so con certezza, sono un tantino mezza svenuta».
«Ecco la solita, ha davanti uno strafigo e mi sviene».
«Ehi, ho detto all’inizio, il resto ero presente. Comunque quando mi sono ripresa la Giulia e Lui stavano litigando su di chi fosse la colpa, se mia perché sono svampita o se sua perché andava un po’ forte».
«Conoscendoti la colpa è tua, anche perché… come fai a dare la colpa di qualcosa a uno così?»
«Elena!!! Vabeh comunque alla fine non abbiamo stabilito di chi era la colpa. Appurato che stavo bene ce ne siamo andate».
«Come così? Senza a, né ba? Senza neanche un piccolo misero autografo per la tua migliore amica?»
«Sì così, senza nulla. Tanto la mia razione di sfiga di oggi non si è mica esaurita sta mattina sai?».
«In che senso scusa?»
«Niente. Lo sai che io nel destino non ci credo, ma al caso ogni tanto sì e all’esistenza della sfiga sempre?>> annuì «Bene, se io ti dicessi ho incontrato Robert Pattinson, senza nessuna fotografia a testimoniarlo tu, cosa mi risponderesti».
«Difficile, improbabile, ma non impossibile».
«Se ti dicessi “Mi sono quasi fatta investire da Robert Pattinson” tu cosa mi diresti?»
«Beh date le foto, che è tipico di te».
«E se Ti dicessi che nella stessa giornata sono anche riuscita a incontrarlo una seconda volta e ad andargli a cadere addosso?» rimase di sasso per un istante, poi sgranò gli occhi facendo una delle facce più buffe che le avevo mai visto e mi disse d’un fiato.
«Ti prego dimmi che stai scherzando».
«No. Giuro. Credimi anche se non ho foto a testimoniarlo». Le feci un breve riassunto del mio incontro-scontro del pomeriggio e di come lo avevo trattato.
«Cioè, Vale? Il caso ha deciso di darti una seconda possibilità e tu cosa fai? Lo prendi a nomi? Lo sbrani? Lo tratti male? Ma sei normale?» conclusi.
«Devo ricordarti che mi ha rotto duecento euro di RayBan appena comprati? Forse a lui li regaleranno gli occhiali, ma a me no» piagnucolai.
«Bah… io non ho parole, è un anno che gli sbavi dietro sul forum e la volta in cui la fortuna sta dalla tua parte non una sola, ma ben due volte… tu le volti bellamente le spalle...»
«Oh vabeh… almeno l’ho trattato da persona normale e non come una di quelle pazze urlanti che lo rincorrono tutto il giorno no?»

 «Fin troppo da persona normale, mi sa che di fronte a te arrabbiata è arrivato a rimpiangere le urlatrici folli» mi disse ridendo. Scoppiai a ridere anche io, sì effettivamente non ero un bel vedere quando ero arrabbiata, somigliavo un po’ al piccolo Taz-mania dei cartoni, una piccola furia. Continuammo così a ridere per almeno un’ora, nella mia vacanza-fuga di tutti i bolognesi lei era quella che mi mancava di più. Dovetti chiudere promettendo a Elena che l’avrei richiamata il prima possibile quando sentii partire Decode, la suoneria del mio cellulare, era Giulia. “Strano quando è al lavoro non chiama mai.”
«Dimmi Giulia, che succede?» Chiesi preoccupata.
«Nulla, chiedevo solo un piacere grande grande da parte di Paul. Anne sta sera si è data malata, di norma faremmo senza di lei, ma sta sera c’è un po’ più bolgia del solito, non è che verresti a darci una mano?»

«Va bene. Arrivo, tempo di vestirmi e chiamare un taxi».

«Ok perfetto, allora avviso Paul»
«Ehi, aspetta furbina, se non mi dai l’indirizzo come ci arrivo?»
«Oh si certo, scusami» e mi dettò veloce l’indirizzo che io annotai subito su un foglietto appeso sulla bacheca accanto alla porta. «A fra poco!». La salutai e mi andai a vestire, presi un semplice paio di Jeans e una maglietta scura. “E addio seratina tranquilla” pensai tra me mentre mi chiudevo alle spalle la porta di casa.


4. The third is the right one...maybe


«Vale porti questo al tavolo là in fondo nell’angolo?» presi il vassoio dal bancone e stando bene attenta a non rovesciare nessuno dei boccali di birra che erano stati posati sopra mi diressi verso il tavolo che mi era stato indicato. Era un tavolo nell’angolo del locale vicino alla porta d’entrata, posai il vassoio per aiutarmi e veloce distribuii le bevande ai ragazzi che lo occupavano. Non appena ebbi finito mi voltai di nuovo verso il bancone dove Paul già mi faceva cenno di muovermi: era pronta l’ordinazione successiva. Nell’affrettarmi per raggiungerlo sentii una folata di aria calda sulla schiena e la porta del locale sbattere nonostante il chiasso. Avvertii una strana sensazione, come se qualcuno mi stesse fissando, come se qualcuno si stesse divertendo a perforarmi la schiena con gli occhi, mi girai per un istante e rimasi incantata per un secondo.
«No, non di nuovo. Non è umanamente possibile!» pensai,  o meglio dissi perché Giulia subito mi chiese
«Che c’è?» non le risposi, scossi soltanto la testa indicandole la porta e limitandomi ad aggiungere acida «Guarda un po’ chi è entrato?». Si voltò verso l’ingresso e trasalì.
«No. Non è possibile. Che succede oggi, ma ha attivato il radar oppure la tua fortuna ha deciso di fare gli straordinari?»
«Lasciamo perdere và. – chiusi il discorso – piuttosto… mi fai un piacere? Puoi servirli tu? Io non so se ce la faccio a non urlargli in faccia quello che penso di lui»
«Cioè che sei cotta di lui come tutte le ragazzine?»
«No. Che è un cafone e uno snob viziato»
«Ragazze? Potete fare salotto più tardi?» ci richiamò all’ordine Paul.  «Sì, scusaci» rispose Giulia e riprendemmo a servire i tavoli come se nulla fosse. Un centinaio di giri col vassoio dopo i piedi cominciavano a farmi decisamente male, ma la gente non accennava minimamente a diminuire “Ma finirà mai questa maledetta giornata?” pensai tra me. Grazie al cielo, almeno, Giulia aveva deciso di darmi una mano evitandomi l’incombenza di servirlo al tavolo.
«Vale? Porta questi. Sono al tavolo là in fondo» disse Paul porgendomi l’ennesimo vassoio. Mi voltai verso il tavolo che mi stava indicando e feci una smorfia. Come non detto.
«Non può portarlo Giulia?»
«No, glielo darei ma è in giro a portare bicchieri», disse scuotendo la testa.
«E va bene» sospirai. I passi che mi portarono lungo i dieci metri che separavano il bancone da quel tavolo furono i più pesanti di tutta la serata, sembrava quasi che i miei piedi volessero fare quella strada nel senso inverso, anzi ci avrei giurato: era sicuramente così. Avvicinarmi a quel tavolo era la cosa che volevo fare di meno in quel momento, ma mi ci trovavo costretta, quindi optai per la diplomazia. Almeno per una volta nella mia vita non avrei agito da pazza, o almeno ci avrei provato. Feci un ultimo respiro come a cercare la concentrazione e poi finii l’ultimo passo avvicinandomi al tavolo. Feci un sorriso, sforzandomi in tutti i modi di non guardarlo «Ragazzi ecco le vostre birre» dissi pronta a distribuirle.
«La Heineken è mia». Disse Robert, sembrava lo avesse fatto apposta per attirare la mia attenzione. Alzai gli occhi fissandolo in viso e gliela allungai. Mi fermai a fissarlo un secondo di troppo rimanendo incantata dai suoi occhi grigio-azzurri. Osservai per un istante il suo volto, gli zigomi scolpiti e quel cappellino di lana maledetto che gli copriva i capelli. Il ragazzo che sedeva alla sua sinistra gli diede di gomito accennando un sorrisetto, doveva aver notato che mi ero incantata, “Eppure ero sicura di averlo fissato per non più di dieci secondi… “ imprecai tra me punta sul vivo dal mezzo sorrisetto strafottente del suo amico. Ma quello che mi fece definitivamente infuriare fu la sua risatina strozzata in un finto colpo di tosse. “Maledetto pallone gonfiato. Ok che sei figo, ma chi ti da il diritto di sfottere?” ingoiai quello che avrei tanto voluto dirgli e mi voltai. Non riuscii a fare nemmeno un passo verso il bancone.
«Baby, ma che fai. Mi segui?»
«Te l’ho già detto oggi, è Babi. E poi si da il caso che io lavori qui» risposi secca voltandomi di nuovo verso di lui guardandolo per un momento fisso negli occhi e desiderando con tutto il cuore di avere il potere di incenerirlo. Lui di rimando mi fissò negli occhi e io mi sentii le ginocchia molli. Ma perché doveva essere così irrimediabilmente affascinante “Basta, smettila piccola idiota. Torna  al tuo lavoro prima di fare un’altra figura del menga” mi ingiunsi  e mi girai di nuovo verso il bancone tentando in tutti i modi di non inciampare nei miei piedi. Avevo la sensazione che la mia schiena fosse perforata da due spilli e temevo che girandomi lo avrei ritrovato a fissarmi di nuovo. No. Non ce l’avrei fatta a sopportarlo, abbassai gli occhi e feci altri tre passi, per un pelo schivai il vassoio che Giulia aveva in mano e finii per sbattere contro il bancone.
«Sveglia Valentina!  - mi disse Paul, allungandomi un altro vassoio – tavolo tredici»
Mi avviai allontanandomi dal bancone, ma non feci nemmeno tre passi che già non ricordavo quale fosse il tavolo a cui dovevo portare il vassoio. “Diamine centrava con un tre ma non mi ricordo!” Mi voltai un momento come a cercare un aiuto ma l’unica cosa in cui mi imbattei furono due perle grigie che mi fissavano e mi mandarono definitivamente in confusione. In un baleno scordai non solo quale era il tavolo ma anche come mi chiamavo e dove mi trovavo. Decisi che avevo bisogno di una pausa, tornai decisa verso il bancone poggiando il vassoio ancora pieno davanti al proprietario.
«Paul, scusami, ho bisogno di una pausa» lo pregai
«MA che vi prende a tutte sta sera? – disse, poi dopo avermi guardata in faccia aggiunse – Certo piccola, hai una faccia, sembra che tu abbia visto un fantasma!»
«Magari è solo il caldo» abbozzai come scusa con un mezzo sorriso.
Ringraziai veloce e mi allontanai in direzione della porta. Uscii e feci ancora qualche passo andandomi a sedere su un gradino lì vicino. Appoggiai la schiena contro il muro e chiudendo gli occhi tirai il fiato lentamente  tentando di ritrovare la tranquillità. “Piccola idiota calmati!”

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Capitolo 4
*** 4. 5. Or maybe not 6. Speaking with a friend ***


Buondì! cucù. ciao ciao!
per la serie chi non muore si rivede.. sono ancora qui! inutile dire che sono imperdonabile, sono passati due anni dall'ultima volta ma la mia vita già caotica è sfociata nel caos più assoluto. 
approfitto di questa pubblicazione per dirvi che... non so se concluderò mai la storia. sono cambiata (credo) e non so quanto ancora mi riconosco nei personaggi. per questo motivo quindi probabilmente mi limiterò a correggere e postare ciò che già era pronto tentando di tirare le fila e di unire con i pezzi e con l'andamento della storia che avevo in mente.
grazie per chi ancora vorrà leggere o seguire.

Vale

Capitolo 5. Or maybe not.



«Respira. Uno, due, tre, respira» Continuavo a ripetermi, tentando di rispolverare le tre lezioni in croce sulla respirazione che ci avevano fatto ad allenamento, ma senza ottenere grossi risultati. Averlo incontrato per la terza volta in una giornata mi aveva mandato completamente in confusione. Mi sentivo come un flipper bloccato con come unica cosa funzionante la spia lampeggiante con scritto TILT. Mi sentivo stupida, incredibilmente stupida. “Di solito sono le quindicenni che si comportano così, non le ragazze di quasi ventitre anni.” Mi ripetei rimproverandomi di nuovo e appoggiando la testa sulle ginocchia. Rimasi ferma così continuando nel tentativo di tranquillizzarmi e recuperare la calma. Dopo qualche minuto sentii una mano che mi si appoggiava su una spalla.

«Sì?» dissi senza neanche alzare gli occhi, immaginando che fosse Giulia.

 «Babi, tutto bene?» il mio cuore cominciò battere come un batterista impazzito. Quella voce bassa e maschile non era decisamente quella di Giulia, alzai gli occhi e mi ritrovai a fissare direttamente quelli del ragazzo che sembrava perseguitarmi da tutto il giorno, un oceano blu ghiaccio in cui affogare. “Vale ritorna tra nooooooiiiii” mi disse una vocina nella mia testa.

«Che cosa ci fai qui?» gli risposi domandando a mia volta.

«Beh, io.. ecco… - fece per passarsi una mano tra i capelli ma incontrò il berretto di lana e la riabbassò – stai bene? Cioè, hai avuto una giornata stressante immagino così quando ti ho vista uscire ho pensato che ci fosse qualche problema e sono venuto a…»

«Vedere come stavo, giusto?» conclusi io la frase mettendo una punta di acidità nella voce. Non avevo bisogno del babysitter meno che meno di uno come lui, per quanto non mi dispiacesse che fosse venuto a vedere se stavo bene. “Ma santo dio che mi prende? È un divo di Hollywood e io sono solo una delle migliaia di fan che non capiscono più nulla quando lo vedono, che diavolo vuoi che gliene importi di me?” ripresi il controllo e continuai. «Beh sto bene, anche se starei di sicuro meglio se qualcuno non avesse tentato di investirmi o di calpestarmi oggi, e… guarda caso era pure la stessa persona che sembra che mi stia seguendo da tutto il giorno…»

«Hey hey frena. Potrò anche averti quasi investita, ma chi è che correva per Harrods e mi ha preso in pieno?» mi rispose alzando a sua volta la voce.

«Se tu avessi guardato dove andavi mi avresti evitato e non mi avresti fatto cadere e rotto gli occhiali!»

«Se io avessi guardato dove andavo? Ma tu sei pazza. Se tu non avessi la testa così tra le nuvole non ti avrei né investito né preso contro!»

«Io avrò anche la testa tra le nuvole ma tu è tutto il giorno che mi stai tra i piedi!»

«Ah sono io che ti sto tra i piedi? Non sei forse tu che come tutte le ragazzine stupide e infantili mi segui solo perché sei innamorata del vampiro di Twilight?»

«Ragazzina cosa?!» gli ringhiai contro e senza rendermene conto, senza neanche provare a fermarlo gli diedi lo schiaffo che si meritava e che mi era rimbalzato sulle mani per mezzo pomeriggio. Sbiancai shockata io stessa da quello che avevo fatto, di solito non ero tipo da tirare sberle, e infatti me ne pentii immediatamente.

«Io.. io.. scusami» dissi in un sussurro e corsi di nuovo dentro al locale lasciandolo lì fuori a tenersi la guancia dolorante.


Capitolo 6. Speaking witha friend

 

“Diamine devo essere impazzito. Sono cinque minuti buoni che sono qui in piedi come un povero allocco e non riesco a muovere un passo. Forse perché quello che mi ha fatto mi ha definitivamente stregato. Oddio, credo di essere pazzo, anzi decisamente la pazzia è l’unica ragione che potrebbe spiegare il mio comportamento. Un ragazzo normale non se ne resta così impalato come un idiota a reggersi la guancia dopo uno schiaffo, in qualche modo reagisce, sbraita, urla o almeno le corre dietro. Ma perché io non riesco a spostarmi di qui, perché non riesco a muovermi? Perché le mie gambe e i miei muscoli si rifiutano di obbedire alla testa? Perché sì, diamine, una parte di me vorrebbe seguirla ma è come se la mia forza di volontà fosse completamente svanita, come se fosse scomparsa e volatilizzata. Devo essere completamente fuori per reagire così, nessuna ragazza mi ha mai lasciato così sconvolto. Mi sento come se un fulmine mi avesse attraversato e bruciato con la sua scossa, eppure nonostante tutto sarei pronto a rifarlo. A prendere la scossa di nuovo, a prendere uno schiaffo di nuovo. Sì, devo decisamente essere impazzito.”

«Picchia duro la piccoletta» Mi voltai verso Tom che mi guardava con aria dubbiosa.

«Scusa e tu da quando saresti lì?» chiesi appellandomi a ogni santo pregando che non avesse assistito alle scena.

«Abbastanza da vedere una ragazza darti una sberla e te rimanere lì come un allocco» Concluse sogghignando. “Ecco come non detto. Ma perché quando io spero una cosa succede l’esatto contrario?”

 «Oh. Ti prego non dire nulla e soprattutto non sfottere».

«Come mi vuoi togliere anche questo divertimento? Per una volta sei riuscito a trovare una ragazzina che non ti sviene ai piedi, ma ti mena e io devo pure starmene in assoluto silenzio?» lo guardai in tralice, ma la mia occhiata non servì a fermarlo «ma te li immagini i titoli del Sun o di quei giornaletti di gossip domani se solo un paparazzo ha immortalato la tua colossale figura di cacca?»

Riuscii a sorridere. «Credo che si divertiranno molto. Sai sanno inventare storie spettacolari. “Pattinson mollato dalla ragazza in un parcheggio.” “Il rubacuori inglese dal cuore infranto”… »

«No, no ne ho uno migliore. “Il vampiro malmenato da una ragazzina”» aggiunse sghignazzando.

«Eddai non esagerare era solo una sberla»

«Sì ma una signora sberla. Ti ha lasciato le dita!» continuò.

«Già» e per un riflesso incondizionato mi passai di nuovo la mano sulla guancia sinistra. In quel momento mi si accese la lampadina, finalmente i miei neuroni avevano deciso di terminare lo sciopero  e di rimettersi in moto. Ci pensai un attimo a testa bassa poi di nuovo guardai Tom.

«Che hai in mente? Quello sguardo non mi piace per nulla» disse.

«Mmm.. diciamo che mi è venuta un’idea. Ma ho bisogno del tuo aiuto. E per piacere non fare domande» lo supplicai.

«Ok, ti aiuto. Ma non puoi pretendere che io non chieda nulla: prima racconti tutta la storia e poi… forse ti darò una mano»

«Dio. Tu non sei un migliore amico, ma un ricattatore» dissi e raccontai velocemente tutta la giornata, l’incidente, lo scontro da Harrods e la discussione di poco prima. Tom stette in silenzio fino alla fine del mio breve racconto poi chiese.

«E sei sicuro che non ti abbia seguito apposta? O non abbia organizzato tutto?»

«Non credo. Non mi pare così pazza»

«Mmm… non sono della stessa idea… a me pare completamente pazza»

«Va bene, forse un po’ ma così tanto da farsi quasi investire?»

«Non hai idea di cosa le ragazze sarebbero disposte a fare pur di conoscerti…»

«Sarà anche vero, ma non credo che poi mi prenderebbero a sberle» lo interruppi.

«Giusto vero. Anche tu hai ragione…» concluse.

«Per cui, mi aiuti o no?»

«Sì, sì.. ti aiuto. Forza, dimmi cosa ti serve»

«Beh, ho bisogno che tu chieda al gestore il suo indirizzo… sai se lo faccio io poi la gente comincerà a farsi domande…»

«Sì, sì, ho capito mister-paranoia. Vado subito, aspettami al tavolo» mi disse mentre rientravamo nel pub che finalmente sembrava meno affollato, mi guardai attorno, ma di lei non c’era traccia e nemmeno della sua amica. Immaginai che fossero nel retro a raccontarsi quello che era successo, “Sarebbe tipico delle donne”  mi dissi e sorrisi. Tom tornò pochi istanti dopo e mi allungò senza farsi vedere dagli altri nostri amici un foglietto bianco. Sopra aveva scritto un nome e un indirizzo.

«Sei sicuro che funzionerà?» chiese in un sussurro.

«Non lo so. Lo spero…»

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Capitolo 5
*** 6. Coffee smell and baffling gift; 7. Bad temper never misleads ***


Buondì! 
sono qui! di nuovo... ma solo perchè poi  scappo in montagna e non so se e quanto riuscirò ad aggiornare. (nota positiva dell'essere su per un monte è che FORSE riuscirò a scrivere, ma dato la mia vita incasinata non è detta mai l'ultima parola).  

 

ne approfitto anche per riaspondere a Jusy JB che ha recensito!
=) Jusy sei troppo buona!!! Mai dire che la mia follia è giunta al termine.. ma mi conosci e dovresti saperlo ;P comunque si hai visto giusto =P 

buona lettura! e buone vacanze!

 

 

Capitolo 6. Coffee smell and baffling gift
 

Un aroma di caffè caldo e brioche appena sfornata riempì la mia camera

«Ehi Bell’addormentata???» disse Giulia con voce dolce finendo di aprire la porta.

«Ancora cinque minuti…» biascicai girandomi dall’altra parte.

«Eh, no cara la mia principessa, ora ti alzi, non credere che io ti abbia portato la colazione fin quassù per vederti girare dall’altra parte sai?» disse appoggiando qualcosa sul mio letto, poi si mosse veloce e con un rumore di tapparella la mia stanza fu invasa dalla luce.

«E-che Ca***»

«Mmm… sempre fine eh? Fortuna che ti ho appena dato della principessa… chissà se il principe azzurro sarebbe così carino con te se sapesse quanto sei fine…»

«La finisci con questa storia dei principi e delle principesse?»

«Giusto… vero, tu preferisci i vampiri con le Volvo argentate, o sbaglio?» disse con chiaro tono canzonatorio.

«Come scusa?»

«Vampiro con la Volvo… o meglio… attore che lo interpreta e che guarda caso abita qui a Londra...?»

«Eh?»

«Sveegliaaaa – disse ridacchiando – Robert Pattinson?»

«E che cosa centra lui questa mattina? Non basta che mi ha rovinato la giornata di ieri?!» chiesi stordita, per tutta risposta lei si aprì in un enorme sorriso e mi avvicinanò il vassoio con cui aveva portato il caffè e la brioche e… oddio un biglietto che chiaramente era indirizzato a me e un sacchetto con una scritta in corsivo. RayBan.

«E questi?!» dissi indicandoli.

«Dio Babi, ma perché la mattina sei così rintronata? Ti devo fare lo schemino?!>> mi canzonò. Io sbuffai e con uno sguardo piuttosto eloquente la invitai a continuare.  «Beh… il tuo principe azzurro»

«La finisci di chiamarlo così? Non è un principe azzurro, anzi è solo un riccastro viziato»

«Bah, mettiamola così, il tuo riccastro viziato sta mattina ha suonato alla mia porta lasciandomi quello per te»

Rimasi basita. Non me lo sarei mai aspettata. «Scusa. Ha suonato dove? Ma chi gli ha dato l’indirizzo?» mi guardò con gli occhi fuori dalle orbite.

«Vale. Dio. Io sono anni che sostengo che tu sei fuori. E ora mi dimostri che sei fuori completamente. Io ti sto dicendo che sua strafigaggine Robert Pattinson  ha suonato al mio campanello e mi ha lasciato questi per te, e tu cosa fai? Mi chiedi da chi ha avuto il mio indirizzo?»

«Perché? Che c’è di strano?»

«Come che c’è di strano! Santo Dio! Ma mezzo mondo sogna che questo gli accada! – disse raggiungendo un tono semi-isterico con la voce, poi mi guardò risoluta negli occhi – e ora. hai intenzione di aprire quel sacchetto e il biglietto annesso o mi vuoi lasciare morire dalla curiosità?» aggiunse mettendosi in modalità gatto-di-Shrek. Sbuffai ridendo e presi tra le mani il sacchettino. Lo aprii delicatamente ed estrassi un paio di occhiali RayBan, erano scuri, montatura rigida nera. Il mio cuore ebbe un sussulto. Poi presi la busta, sull’esterno era semplicemente scritto BABI. La voltai e la aprii. Su un semplice biglietto di cartoncino bianco, un’elegante mano maschile aveva scritto.

“Se devo andare all’inferno tanto vale andarci in grande stile”
Sono usati lo so, ma spero che possano andarti bene come risarcimento
per quelli rovinati nel nostro “scontro” di ieri. Scusami, sono stato un’idiota,
mi piacerebbe rimediare.

Un grazie sarebbe gradito. Rob.

 

E poi in basso nell’angolo un indirizzo di Barnes.

Rimasi paralizzata. Non potevo credere a quello che stavo leggendo, doveva essere un sogno o un incubo da cui poi mi sarei risvegliata.

«Allora, hai intenzione o no di dirmi quello che c’è scritto?» alzai gli occhi, ma evidentemente si vedeva da molto lontano che ero abbastanza smarrita perché Giulia mi prese dalle mani il biglietto. Lo lesse e rilesse per due volte. «Oddio. E tu che hai intenzione di fare?»







Capitolo 7. Bad temper never mislead



«Vorrei tanto sapere come diavolo mi hai convinto ad arrivare fin qui» dissi acida girandomi verso Giulia che sedeva accanto a me nel taxi.

«Eh, Eh, - sogghignò – lo sai che so essere mooolto persuasiva» rispose ridacchiando.

«Mmm… più che persuasiva direi insistente e rompi balle» puntualizzai.

«Uffa.. non essere cattiva – sentenziò guardandomi in tralice, poi riprese – allora, hai intenzione di stare qui tutto il giorno o hai deciso di muoverti e andare a suonare alla sua porta?!»

«Sì, ma che cavolo gli dico…»

«Non lo so. Inventati qualcosa basta che non lo tratti male, come tuo solito»

«Io? Guarda che in generale quello poco educato è stato lui, e poi te l’ho detto. Non mi serve la sua “carità” non li voglio questi» dissi indicando il pacchetto che avevo con me.

«E piantala di fare la puntigliosa! Ammettilo che in fondo sei lì che gongoli perché sei riuscita a conoscere il tuo idolo…»

«No. Non dire scemenze. Io mi sono lasciata convincere a venire qui per un solo motivo»

«Che sarebbe? Saltargli addosso e dargli un bacio?»

«No, scema. Voglio ridargli questi. Non li voglio!!! Meno che meno da un riccastro viziato che pensa di potermi conquistare solo regalandomi i suoi occhiali».

«E va bene, se vuoi andare avanti fai pure, ma arriverà il giorno in cui ti pentirai seriamente di quello che stai per fare e mi dirai “Oh Giulia, se ti avessi ascoltato…”»

«Va bene, e se arriverà quel giorno tu potrai rinfacciarmelo a vita. Ma ora se non ti dispiace vado a sistemare questa cosa». Dissi risoluta. Aprii la portiera dell’auto e scesi, attraversai la strada di corsa e mi fermai di fronte al portone, la mano mi tremava forte mentre suonai il campanello su cui campeggiava il nome Pattinson.

“Fa’ che mi apra lui, fa’ che mi apra lui, fa’ che mi apra lui…”

Sentii il rumore della chiave e mi si presentò di fronte una signora alta, bionda e che chiaramente si poteva dire fosse la madre Robert, la stessa forma del viso, gli stessi occhi:erano due gocce d’acqua.“Ecco, appunto.”

«Salve. Desisera?» mi chiese con voce gentile.

«Buongiorno. Ehm… mi chiamo Valentina, cercavo Robert» mi squadrò con occhi indagatori.

«Mi dispiace signorina, Robert non è in casa» mi rispose secca.

«Mi scusi. So che le sembrerò cafona e magari invadente, ma avrei davvero bisogno di parlare con lui»

«Senti ragazzina sono stanca di tutte voi che tentate di invadere la privacy di mio figlio in tutti i modi. Lasciatelo vivere. E ora se non ti dispiace…» mi stava chiaramente indicando il vialetto e la strada come a dire “levati dai piedi”.

«Mi dispiace, recarle un tale disturbo – dissi tentando di essere il più cortese possibile, di non mostrare la rabbia che in realtà stava montano dentro di me: in fondo era stato suo figlio a darmi l’indirizzo.. – ma in realtà è stato proprio Robert a dirmi»

«A dirle di venire? Potrebbe essere un po’ più fantasiosa. Questa scusa l’ho già sentita»

«Ma…»

«Non mi interessano i suoi “Ma”. Né tanto meno la storia che seguirebbe, sono sicura che sarebbe ben studiata e inventata, ma non mi interessa in nessun modo. E ora la invito gentilmente ad andarsene o chiamerò la polizia» mi interruppe e concluse con tono freddo e risoluto. Io annuii sentendomi mortificata ancora di più “Era tutto un modo per umiliarmi ancora di più..” pensai. Ricacciai indietro le lacrime che minacciavano di salirmi agli occhi, presi fiato e risposi.

«Mi scusi. Non credevo che sarei stata un tale disturbo. Ero davvero decisa a sistemare una cosa. Grazie. Arrivederci» dissi girandole le spalle. Senza aspettare il tonfo della porta che si chiudeva alle mie spalle mi incamminai di nuovo verso la strada, non riuscii a fare tre passi che lacrime silenziose cominciarono a scendere lungo le mie guance. “Diamine. Perché il mio umore e i miei occhi sono legati a doppio filo? Odio essere così debole.”

«Babi…» mi chiamò la sua voce. Mi bloccai come se una scossa elettrica mi avesse attraversato improvvisamente. «Babi» mi chiamò di nuovo ma io rimasi lì bloccata incapace di muovermi, mi prese e poggiò una mano sul mio braccio spingendomi a voltarmi. «Babi mi dispia…»

«No! – urlai – Non provare a dire che ti dispiace. Non provare a dire che non avevi architettato questa simpatica scenetta per mettermi ancora di più in ridicolo, per prenderti gioco di me. Beh ci sei riuscito. Sei riuscito a farmi sentire una stupida, una ingenua…è vero sono proprio una illusa. Sei riuscito a farmi pentire di aver pensato anche solo per un secondo di darti una seconda possibilità».

«Ma…»

«Sta’ zitto. Non mi interessa nulla di tutto quello che puoi dirmi o inventarti in questo momento signor “Grande-attore”. Non mi interessa. Sei riuscito in pochi minuti a dimostrarti quello che sei. Un ragazzino viziato, che solo perché ha i soldi ed è famoso, crede di poter avere tutto il mondo e tutte le donne ai suoi piedi. Sai che ti dico? Mi fai schifo, non mi serve la tua carità. Non mi servono i tuoi occhiali. E non voglio più sentir parlare di te» gridai, spostando bruscamente la sua mano al mio braccio e mettendoci gli occhiali. Mi girai di scatto e ignorando il suo «Babi, per favore, ascoltami!» corsi di nuovo al taxi in cui Giulia mi stava ancora aspettando. Saltai dentro di corsa e abbracciai la mia amica, lasciando sfogare le lacrime.

«Babi calmati. Dimmi quello che ti ha detto almeno…»

«No. È solo un’idiota viziato…»

«Va bene, me lo dirai con calma dopo.   Ora pensa a calmarti». Diede al tassista l’indirizzo del pub dove lavorava, mi strinse a sé in un abbraccio fraterno tentando di consolarmi. Mi detestavo quando avevo reazioni del genere, ero infantile ed esagerata. Sciolsi per un momento l’abbraccio e mi strofinai gli occhi con le mani per togliere le lacrime, abbassai lo sguardo e vidi le dita sporche di nero.

«Nooo cavoli… ero pure truccata…»

«Beh, diciamo che ora somigli abbastanza a un panda» disse Giulia, io scoppiai a ridere in maniera isterica, rischiando di affogarmi con la mia saliva e le ultime lacrime che stavano colando lungo le guance.

«Eddai non mi morire. Ora appena arriviamo al pub chiedo a Paul un attimo e ti risistemi» disse stringendomi le spalle.

«Grazie» le dissi e continuammo a ridere insieme.

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Capitolo 6
*** 6. 8 Best Bodyguard of ever ***


ciao!
grazie a tutti voi che avete letto, a chi arriva per la prima volta e a Jusy e Marioasi che avete commentato!
eheh il caratterino di babi è.. un po' pestifero! =P

buona lettura!!!

8. Best Bodyguard of ever


Steso sul letto della mia stanza strimpellavo note senza senso sulla mia adorata chitarra, ero in vacanza per modo di dire, pochi giorni, tre settimane di pausa prima di ricominciare e non smettevo mai del tutto. Anche in quel momento di pausa dovevo lavorare sul prossimo personaggio. Che stress. La notorietà poteva essere esaltante, essere un attore era senz’altro un mestiere favoloso, ti permetteva di viaggiare in mille posti e paesi nuovi, ma era anche snervante. Annullava completamente la tua privacy e la tua vita privata. Tutto di te diventava pubblico. Ed era uno stress non indifferente, soprattutto per un ragazzo che come me aveva solo ventitré anni ed era inseguito da migliaia di ragazzine urlanti ovunque andasse. Desideravo un po’ di pace, a volte desideravo non aver mai fatto quel dannato provino, premere il tasto rewiew e riportare indietro la mia vita di due anni. Ma  questo non era possibile e quindi dovevo cavarmela al meglio da solo. Certo avere un sistema di guardie del corpo mentre ero in giro e mia madre che faceva da mastino in quei pochi giorni in cui ero a casa dei miei aiutava.. ma incasinava anche, soprattutto se volevi tentare di sistemare le cose con una ragazza. Avevo parlato per un pezzo quel pomeriggio con mia madre. Appena ero rientrato in casa, mi aveva a dire poco aggredito.
«Ma ti rendi conto di quanto stanno diventando sfrontate le tue fan? Arrivare fin qui, a casa dei tuoi! Io poi vorrei sapere come ha fatto quella ragazzina a sapere che eri qui e non in un albergo» gridava e digrignava i denti. Erano rare le volte in cui avevo visto mia madre realmente arrabbiata, ma credetemi, fa davvero paura. Esitai un momento prima di risponderle.
«Ehm.. veramente.. l’indirizzo glielo ho dato io» dissi quasi sussurrando e passandomi una mano in mezzo ai capelli imbarazzato.
«Che cosa? – gridò – Robert! Ma sei impazzito? Ti rendi conto dell’assedio che si installerà qui di fronte quando le sgallettate urlanti sapranno che tu sei a casa dei tuoi? Hai una minima idea di quello…»
«Scusa mamma. Sono stato un idiota, lo so. Non ho pensato a quello che voi dovreste sopportare, ma pensaci per un attimo. Io convivo con quella merda tutti i giorni da due anni. E poi non credo che sia questo il caso. Non credo che Babi dirà qualcosa in giro. Credo di averla ferita davvero»
«Tu conosci quella ragazza?» mi guardò meravigliata.
«Sì. E stava tentando di dirtelo se tu non l’avessi stoppata in quel modo. Per quello le sono corso dietro nonostante tu mi stessi dando del pazzo e dell’idiota. Ma è tutto inutile. Sono riuscito a farmi odiare, credo»
«Tutto inutile cosa?» chiese. In breve le spiegai chi era Babi e come l’avevo conosciuta. O meglio come ci eravamo scontrati, come le avevo rotto gli occhiali e avevo in qualche modo tentato di rimediare.
«Oddio… il mio Rob si è preso una cotta…» cominciò allegra.
«Mamma ti prego. Non ho quindici anni. Anzi direi che li ho passati da un bel po’. Quindi potresti toglierti quel sorrisetto dalla faccia? Mi spaventi. E comunque te l’ho detto. Credo di aver mandato tutto alle ortiche»
«Non preoccuparti, nulla è perduto finché non getti la spugna» aveva risposto e dandomi un buffetto sulla guancia mi aveva lasciato da solo seduto sul divano della sala.
Mia madre. Era un tesoro ma a volte davvero incasinava le cose in un modo impossibile. Feci scorrere di nuovo le dita sulle corde della chitarra. Tentavo disperatamente di trovare un modo di rimediare a quel pomeriggio. Ma come diavolo avrei fatto. Ora che ero un attore, che veramente avrei potuto avere qualsiasi ragazzina ai miei piedi ero probabilmente riuscito a farmi odiare dall’unica ragazza che desideravo. “Sono un idiota
Bip bip. Il suono del telefono che annunciava un messaggio mi riportò alla realtà. Lasciai la chitarra sul letto e corsi a recuperare il telefono, l’avevo lasciato da qualche parte sulla scrivania disordinata. Frugai per qualche secondo lasciando cadere a terra la sceneggiatura di Eclipse. Finalmente lo trovai, era sepolto tra carte, blocchi e sceneggiature, il bello dell’essere un attore famoso era che per il momento non dovevi fare provini, le sceneggiature te le mandavano a casa. Aprii il messaggio
- Si può sapere che diavolo le hai fatto? Era a dir poco disperata. Non sei proprio capace di sfruttare le occasioni eh?
Giulia. La sua amica. Digitai veloce la risposta.
- Scusa. Lo so. Sono un cretino. Mi dispiace, ma mia madre si è messa in mezzo. Sai com’è è un po’ un mastino da quando le fan mi perseguitano. E ora lo so che mi prenderai per il culo a vita perché non so tirare fuori gli attributi. C’è un solo problema ora. Non ho idea di come rimediare e credimi se ti dico che è l’unica cosa che desidero fare.
Sì ero decisamente un imbranato, impedito. Non ero capace di prendere al volo le occasioni nemmeno quando mi si presentavano sotto il naso.
Bip. Bip. Di nuovo l’I-phone.
- Lo so. Siamo al pub, sai com’è io lavoro e anche Vale, vedi di non farti scappare l’occasione anche sta sera.
Digitai la risposta in un attimo.
- Grazie. Ti devo un monumento. Se va come ho in mente, ti sarò debitore a vita.
Cercai veloce tra le ultime chiamate il numero di Tom e lo composi. Attesi pochi istanti e finalmente rispose.
«Ehi, Tom. Che si fa sta sera?» domandai.
«Non so Rob. Avevi idee??» rispose.
«Mmm… potremmo tornare al pub di ieri sera.. mi  è parso carino…» buttai lì.
«Sì. Il pub o la cameriera?» mi punzecchiò sghignazzando.
«Tom! Non sfottere e non ti fare viaggi mentali»dissi tentando di celare quello che realmente pensavo.
«Dai, lo sai che non sai contare balle»“Ecco appunto, fortuna che di mestiere faccio l’attore.”
«Oh, e va bene hai ragione. È carina e allora?» confessai, tanto al mio migliore amico non sarei riuscito a nascondere nulla.
«Allora niente» disse tentando di trattenere una risata.
«Allora?» incalzai, non avrei accettato una risposta negativa anche a costo di andarlo a prendere al nostro vecchio appartamento e di portarlo al pub a calci nel sedere.
«Sì, va bene Romeo. A che ora passo a prenderti?»
«Alle otto»
«Ok! Agli ordini. Ah, una cosa…»
«Dimmi», risposi secco.
«Vedi di non fartela scappare».
«Anche tu? Prima la sua amica, poi mia madre, poi tu. Ma la finite di dirmelo?>>
«Tua madre?!»chiese, ormai non riusciva più a smettere di ridere.
«Sì ci ha messo il naso anche lei» dissi con tono piatto.
«Wow… adesso abbiamo anche la mamma come consulente?»
«Tom…»
«Sì?» disse con tono finto ingenuo.
«Va’ a farti fottere», gli risposi ridendo.
«Ci vediamo tra un’ora, innamorato» e riattaccò prima che riuscissi a rispondergli. Riposi il telefono. Ma tre secondi dopo dovetti riprenderlo.
- Attento a promettere monumenti e favori in cambio… ho la memoria mooolto lunga. A dopo. Giulia.
Risi di gusto, e poi tornai a suonare. Se Tom fosse stato puntuale avevo tutto il tempo per prepararmi con calma e soprattutto per tranquillizzarmi. Non potevo combinare un casino anche sta volta.


 

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Capitolo 7
*** 6. Capitolo 9. Sometimes the Destiny doesn't enter ***


ciao a tutte!
eccomi qui di nuovo. no non sono stata in vacanza fino ad ora... ma a me la vita semplice non piace quindi per sport me la complico un po'
capitolo di passaggio =) 
a voi dirmi cosa ne pensate


capitolo 9: Sometime the Destiny doesn't enter 

«Giulia, la finiamo con quel telefono? Il tuo Romeo non può aspettare che tu abbia finito di lavorare per mandare messaggini? Hai un ordine che è qui che aspetta», disse Paul rivolgendosi a Giulia che era di nuovo appiccicata al suo telefono. Giulia alzò gli occhi per un momento e fece per rispondere, ma la precedetti.
«E dai Paul. Lasciala in pace un momento. Dammi lo porto io.» dissi e mi allungai a prendere il vassoio.
«Tavolo sedici» rispose solamente, lanciando un’altra occhiataccia a Giulia, che fece una faccia angelica e gli disse «Scusa, questione di vita o di morte. Ma giuro, era l’ultimo» e si preparò a prendere a sua volta un vassoio. Io sorrisi tra me. coi suoi occhioni verdi e un sorriso Giulia riusciva sempre e comunque a ottenere quello che voleva. Non ero ancora riuscita a capire come facesse, ma ero sicura che oltre ai suoi begli occhioni e al suo bel visino avesse anche una buona dose di faccia tosta. Io non ci sarei mai riuscita… portai il vassoio al tavolo e distribuii le tre bibite fredde ai ragazzi che mi sorrisero in rimando. Poi tornai verso il bancone, affiancandomi a Giulia.
«A chi scrivevi?» le chiesi curiosa senza troppo farmi notare da Paul, in fondo non volevo farlo arrabbiare sul serio.
«A mio fratello, sai ogni tanto si preoccupa per la sua sorellina» e mi fece un sorriso a trentasei denti, come se mi volesse nascondere qualcosa. Ma non gli diedi peso. E risposi semplicemente.
«Salutami Gabri» e sorrisi a mia volta. Poi presi l’altro vassoio che mi porgevano e di nuovo mi avviai verso il tavolo. Riuscii a fare altri tre giri, poi mentre portavo l’ennesimo vassoio vidi entrare un gruppo di ragazzi che vagamente mi ricordavano qualcuno, ma non ci feci caso più di troppo. Giunsi al tavolo posai il vassoio. «Ecco qui le vostre patatine>> dissi con un sorriso e le allungai alle ragazze che erano lì sedute. Ripresi il mio vassoio  e andai verso il bancone. La sagoma di un ragazzo di spalle attirò la mia attenzione. Era seduto a uno degli sgabelli, indossava una camicia azzurra aperta con le maniche arrotolate e un cappellino nero da baseball. Una parte del mio cervello registrò che la sua sagoma mi ricordava qualcuno, ma l’altra era troppo impegnata e assorta nel suo lavoro. Feci di nuovo alcuni giri di vassoio senza pensare al ragazzo del bancone, ma  qualcosa dentro di me mi spingeva verso di lui, mi incatenava a guardargli la schiena ogni volta che ero di ritorno al bancone.
«Vale, mi porti un po’ di vuoti?» mi chiese Paul mentre  mi avvicinavo di nuovo a lui. Mi limitai ad annuire e feci un veloce giro di tavoli riprendendo sul vassoio alcuni bicchieri e piatti vuoti, passai davanti a un tavolo e un ragazzo dai capelli neri, uno di quelli della compagnia che entrando mi aveva solleticato la memoria, mi fece l’occhiolino. Tentai di non badarci troppo. Magari era solamente l’ennesimo cretino che voleva provarci e sinceramente non avrei saputo come affrontarlo, per me in quel momento era meglio evitare direttamente il problema. Gli sorrisi e tornai al bancone, feci il giro e andai nel retro-cucina, dove stava la lavastoviglie, a posare i vuoti, spinsi il bottone avviando un carico e di nuovo uscii dalle porte a spinta.
«Mi fai una birra media?» mi disse una voce al bar. Io veloce presi il bicchiere e lo riempii.
«Ecco qui» dissi e poggiandolo su un sottobicchiere quadrato lo misi di fronte al ragazzo che me lo aveva chiesto.
«Grazie» sorrisi a quella voce calda e vellutata ed alzai gli occhi dal legno del ripiano per vedere il ragazzo a cui apparteneva. Il respiro mi si mozzò. “Dio che stordita. Ecco perché mi sembravi familiare!”
«Cosa ci fai qui. Smettila di seguirmi» dissi d’un tratto fredda, non mi interessava che fosse stato carino con me negli ultimi dieci secondi, mi importava solo quanto mi avesse ferito quel pomeriggio e il giorno precedente.
«Volevo parlarti»
«Non ho nulla da dirti. Direi che ne ho sentite già abbastanza oggi non ti pare?»
«Beh.. speravo il un’accoglienza migliore…»
«Beh. Speravi male signor  Pattinson» risposi alzando di poco la voce.
«Per favore. Potresti non gridare? Sai.. vorrei che la mia vita almeno per una sera rimanesse privata» mi chiese.
«Certo. Scusi. Signor grande-attore. Non si preoccupi – dissi con tono canzonatorio – la sua vita rimarrà assolutamente privata sta sera. Io sto bene anche se non le rivolgo la parola, anzi.. sto meglio e ora se non le dispiace… devo lavorare» conclusi in tono acido riprendendo il vassoio e il blocchetto. Con lo sguardo cercai Giulia nel locale, la individuai velocemente e mi diressi come una furia verso di lei, prendendola da parte e portandola verso il retro.
«Mi spieghi che diavolo ci fa qui lui?» chiesi indicandole con un cenno il mio persecutore.
«Ah, cara Babi.. io non ne ho idea…» rispose con tono innocente.
«Mmm.. proprio non ne hai idea, vero? Quindi se ti chiedo di darmi il tuo telefono e vedere cosa ti scrivevi con Gabri non avrò brutte sorprese, giusto?» per un momento guardò in basso poi in alto, cercando un modo di uscire da quel vicolo cieco.
«Babi.. non so come dirtelo…»
«La verità mi basterebbe»
«Oh… ok. Glielo ho detto io. è da questa mattina che mi sta chiedendo come può rimediare. È un impedito ma non è il pallone gonfiato che credi. Sotto la faccia da attore è un ragazzo di ventitré anni normale.»
«Sì. E io ci dovrei pure credere, vero?»
«Sì, giuro»
«Beh mettiamola così. Non voglio più ritrovarmi tra i piedi quel ragazzo di ventitré anni normale che guarda caso fa l’attore. Chiaro? Per cui, smettila di tentare di fare cupido» dissi con tono fermo.
«Mi sa che è troppo tardi… li ho invitati dopo la chiusura per una spaghettata di mezza notte da noi»
«Giulia…» la rimproverai.
«Ma giuro che non è stato per te e chi-sai-tu. A me sembra tanto carino il suo amico…» disse con aria gongolante, tirando fuori la sua migliore espressione da cucciola.
«Oh e va bene – sbuffai – ma come fai a ottenere sempre quello che vuoi? Sappi però che prima o poi te la faccio pagare, lo sai. Tentare di farmi da cupido non serve»
«Ma io non lo sto facendo per te. lo faccio per me» e mentre usciva aggiunse fugace «E per lui!»
«Giulia! Ti strangolo!» le urlai dietro.
«La volete finire voi due? Che vi prende sta sera?» ci ringhiò Paul entrando nel retro con la testa. Risposi io, mortificata dal rimprovero.
«Sì. Scusaci. Ora ci concentriamo» dissi  e tornai al mio lavoro. Purtroppo concentrarsi non era così facile. Un pensiero fisso mi vorticava nella mente, anzi due. Per prima cosa stavo tentando di escogitare un modo per uccidere Giulia. E poi come una vocina insistente, come un martello che batteva senza fine, c’era la consapevolezza che avrei dovuto rivederlo, di nuovo e che sta volta non potevo scappare. Se avesse tentato di affrontarmi di nuovo, non avrei avuto scampo, avrei dovuto ascoltarlo e ora si faceva largo un’unica emozione dentro di me. Avevo paura. Di non sapere cosa dire, come rispondere, come comportarmi, di non sapere resistergli.

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