Dark Night

di valina_babi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Festa ***
Capitolo 2: *** 2. Punti ***
Capitolo 3: *** 3. La fine ***
Capitolo 4: *** 5. Persuasione ***
Capitolo 5: *** 4. Addio ***



Capitolo 1
*** 1. Festa ***


 

Ho sempre amato New Moon, credo che dell'intera saga sia il mio libro preferito, e come personaggio amo in modo incondizionato Edward, anche se in certi momenti lo prenderei a noci; di lui mi affascina la mente, il modo di ragionare, pensare, vivere la vita e i sentimenti. Per questo motivo quando zia Steph decise di scrivere Midnight Sun ho gongolato come non mai saltellando come una pazza per giorni... per poi avere istinti omicidi sia verso di lei, sia verso chi non ha retto e ha pubblicato tutto sul web, con conseguente decisione della Steph di non continuare (sgrunt).
Come era prevedibile non ho saputo resitere e ho divorato i 12 capitoli di Midnight Sun, e secondo il mio modesto parere la saga vista da Edward sarebbe molto pià bella, per questo ho deciso di scrivere la mia personalissima versione di New Moon, vista da Edward ovviamete, mostrando i luoghi e le fasi più buie della sua lontananza da Bella.

Grazie in anticipo a chi avrà voglia di leggere i miei personalissimi viaggi nella mente di Endward.

Buona Lettura

Valina




1. Festa


Era stata l’estate migliore dei miei cento anni, normalmente mi sarebbe sembrato un periodo insignificante, un attimo se paragonato alla mia eterna esistenza, e invece no. Era stata lei a renderla speciale, lei con cui da sei mesi condividevo la mia vita e il mio cuore, lei che era riuscita a fare battere il mio cuore di pietra che mai più avrebbe dovuto battere, mi aveva fatto scoprire l’amore e affrontare l’inferno e il mostro che era dentro di me, pronto a saltare fuori al minimo accenno di rossore sulle sue guance, a ogni balzo del suo piccolo cuore. Ma mai avrei potuto farle del male, mai avrei potuto nuocerle, lei era mia, come io ero suo e questa era una verità insindacabile, nulla avrebbe potuto cambiarla.

Bella mi aveva ridato la vita, senza di lei la mia esistenza non avrebbe avuto più senso.

Solo grazie al mio potere potevo rendermene conto appieno.

Solo ascoltando le menti di chi mi stava accanto potevo percepire quanto fossi cambiato, quanto Bella, seppur tenera e fragile umana, fosse riuscita a modellare la pietra dura che mi risiedeva in petto al posto del cuore.

Lei così tenera e dolce era riuscita a risvegliare in me sentimenti umani che credevo scomparsi, avevo scoperto cosa si provava ad amare, e finalmente capivo appieno Esme e Carlisle, i miei genitori adottivi, e il loro amore sconfinato, e a dire il vero li invidiavo.

Sì la mia era invidia perché mai avrei potuto lasciarmi andare del tutto, dovevo sempre mantenere un freno, non potevo mai lasciare che il mio amore si esprimesse per intero o avrei rischiato di fare del male a Bella.

Era frustrante doverla accarezzare trattenendosi perché la mia forza terribile avrebbe potuto sbriciolarla, ancor più non poterla baciare come avrei voluto.

Era stato insopportabile il solo pensiero di perderla quando la primavera successiva era sopravvissuta per poco all’attacco di James. Mi logorava e tormentava il pensiero di essere arrivato appena in tempo, di averla salvata per un pelo, di averla vista, li davanti a me mentre bruciava, di aver dovuto decidere se la visione di Alice si sarebbe avverata o meno…ma non potevo pensare a Bella vampiro, non riuscivo a pensare che lei perdesse la sua anima, né tanto meno riuscivo a immaginare la mia vita senza di lei.

Che cosa avrei fatto se non fossi arrivato in tempo, se James l’avesse uccisa?

Probabilmente avrei trovato un modo per cessare la mia esistenza.

Non potevo vivere senza di lei. Non avrei mai potuto. E sempre questo pensiero mi tormentava.

Il pensiero di poter essere io la causa della sua fine, io essere miserevole e spregevole, per natura un mostro.

La amavo incondizionatamente, ma ogni volta odiavo sempre di più me stesso.

Avrei voluto essere umano, mai come ora capivo Rosalie, per poter dare a Bella tutto quello che voleva senza correre alcun rischio.

“Edward…si può?” era la voce di Alice,la mia sorella preferita…non risposi, ero troppo impegnato a rimuginare sui miei tormenti.

Era la prima sera da molto tempo che non rimanevo da Bella, adoravo guardarla dormire e ascoltarla parlare nel sonno, ma quella sera ero andato a caccia e poi ero rimasto a casa, avrei dovuto aiutare Alice a rifinire i dettagli per la festa di Bella, ma il mio umore era pessimo e avevo deciso di starmene da solo a pensare, in quella condizione non sarei stato di grande aiuto… starmene chiuso in camera a pensare in quei casi era la cosa migliore che potessi fare, per questo decisi di ignorarla

“Edward o mi rispondi o butto giù la porta!” l’ondata di irritazione che i pensieri di Alice emanavano mi travolse, risvegliandomi totalmente dai miei ragionamenti, mi alzai stancamente e le aprii la porta.

Come un fulmine, senza che le dicessi nulla, entrò nella mia stanza come una folata di vento e si sedette a gambe incrociate sul mio divano nero. Sprizzava energia da tutti i pori, e sembrava una diga che sta per crollare..subito intuii che se non l’avessi fermata avrebbe iniziato a esporre la sua idea per la festa di compleanno di Bella.


«Lo sai che per essere così piccola sei davvero fastidiosa?» l’apostrofai con un po’ di risentimento, mi dava fastidio essere stato interrotto nel mio momento di riflessione, ma mi divertivo a punzecchiarla…
 
«Edward, smettila di tenere il muso o dico a Bella qual è il suo regalo!» per tutta risposta ringhiai, ma era un ringhio giocoso.

Non glielo avrei lasciato fare, Bella mi aveva obbligato a non spendere soldi per il suo compleanno, non riuscivo a capire perché ma pensava che fosse uno spreco il fatto che io spendessi soldi per lei….per cui le avrei donato una parte di me stesso, le mie musiche…sapevo, anche senza leggerle la mente, che le sarebbero piaciute più di qualsiasi altro regalo…

«Va bene Alice, che vuoi?»

«Dai…vieni a darmi un consiglio? Ho bisogno di te! Del tuo parere…ho bisogno di sapere se quello che ho organizzato potrebbe piacere a Bella», mi disse in modo implorante. "E poi se non vieni ti ho detto cosa faccio", aggiunse solo mentalmente. Fu quella ‘minaccia’ a smuovermi, non le avrei permesso di rovinarmi la sorpresa, «Come se tu non lo sapessi già…vero?» certe volte era proprio irritante, aveva già visto come sarebbe andata la serata, sarebbe filato tutto liscio, senza intoppi, solo con qualche ‘lamentela’ di Bella perché quello che aveva organizzato era troppo, ma nonostante questo voleva il mio aiuto.

La seguii nel suo studio e passai il resto delle poche ore che ci separavano all’alba a preparare con lei la festa per Bella, e a pensare che finalmente di lì a poche l’avrei finalmente rivista e abbracciata.

 

Finalmente arrivò il momento e io e Alice salimmo sulla Volvo, e in un baleno eravamo già nel parcheggio della Forks High.

Decisi di appoggiarmi alla macchina in attesa che Bella arrivasse, e lo stesso fece Alice.

Fu l’udito ancor prima della vista ad avvertirmi dell’arrivo di Bella, il rumore del suo Chevy oramai decrepito era proprio fastidioso, soprattutto se avevi l’udito super sensibile di un vampiro…
Bella parcheggiò e subito Alice le si fece incontro raggiante 

«Buon compleanno, Bella!» Sì la mia piccola sorellina non stava proprio nella pelle, era tanto che nessuno di noi festeggiava un compleanno e ormai noi lo sapevamo, Alice aveva un debole per l’organizzazione delle feste, anche se i suoi gusti, erano un po’ troppo barocchi ed esagerati…in certi casi, e questo era proprio uno di quelli. E

ro sicuro, quasi al cento per cento che Bella avrebbe preferito qualcosa di semplice, oppure nulla come ci aveva espressamente chiesto.


«Shhh! Non dire quella parola!» sibilò. E si guardò attorno, odiava attirare l’attenzione su di lei e un compleanno era precisamente quello che l’avrebbe messa al centro dell’attenzione di tutti i suoi amici.

Alice però non le diede ascolto, dicendo solo a mente "Non ho intenzione di ignorare questa festa, insomma dovrebbe essere un giorno importante per lei… perché non se ne rende conto?" le lanciai un’occhiata e alzai in modo impercettibile le spalle, eravamo maghi nelle nostre conversazioni mute.

Alice continuò, come se nulla fosse successo e come se Bella non avesse detto nulla né tanto meno protestato,

«Il regalo lo vuoi ora, o aspetti?» mentre mi raggiungevano.

«Ti avevo detto che non volevo regali» borbottò. Alice si rabbuiò, accorgendosi che l’umore di Bella non era dei migliori, che le fosse successo qualcosa nelle poche ore che ero stato lontano da lei?, e le rispose

«Va bene…più tardi allora. Ti sono piaciuti i regali dei tuoi? A me sono sembrati regali tanto carini…» non le dava tregua, era ovvio che Alice sapeva cosa Charlie e Reneè avrebbero regalato a Bella, ma perché tartassarla in quel modo? Bella sospirò, come se fosse infastidita

«Si. Grande» non era molto attaccata ai beni materiali.

«Secondo me è una bella idea. In fondo, l’ultimo anno e il diploma vengono una sola volta e vanno documentati.»

«Tu quanti diplomi hai già avuto?»

«Ok. Ok. Lasciamo perdere.» non riuscii a trattenere un sorriso nel sentire le loro parole.

Bella riusciva sempre a scherzare sul fatto che fossimo vampiri, e molte volte ancora mi stupivo, che dopo quello che era successo a Phoenix, non fosse fuggita via da me urlando che non mi voleva più rivedere.
Non appena mi raggiunsero le offrii la mano, Bella la prese, mi fissò negli occhi e il suo cuore saltò un battito. Avrei dovuto abituarmi al suo cuore ballerino, che era lo specchio delle sue emozioni, ma lo amavo talmente che non sarei mai riuscito a farne a meno.

Sollevai la mano rimasta libera e le sfiorai il contorno delle labbra con la punta di una dito dicendo

«Quindi, come stabilito, non posso farti gli auguri o pronunciare quella parola, giusto?»

«Vedo che hai capito benissimo»

«Grazie per la conferma» mi sistemai i capelli, un gesto inutile, di routine ma necessario a mascherare la mia immobilità agli altri esseri umani «Speravo avessi cambiato idea. Di solito la gente adora compleanni, regali e cose del genere.» Alice rise.

«Dai, sarà fantastico, oggi tutti saranno ai tuoi ordini e poi ci saranno i regali e tutto il resto, cosa ci può essere di tanto orribile?” era una domanda retorica ovviamente, ma Bella rispose «Che divento vecchia.»

Voleva sembrare dura, la sua era una frecciatina rivolta a me, sapevo bene quale regalo voleva da me, ma mai e poi mai avrei potuto concederglielo, mai e poi mai avrei posto fine alla sua vita per trasformarla in un mostro, non le avrei mai rubato l’anima, mai l’avrei condannata a un’esistenza di bruciore e sete, anche se questo significava che un giorno l’avrei persa. Mi irrigidii. Non potei evitarlo.

Fu Alice a cogliere il mio cambio di umore e tentò di smorzare la situazione aggiungendo «Diciotto anni non vuol dire essere vecchia, o hai già intenzione di metterti a contare le tua zampe di gallina?» ma l’umore di Bella non accennava a migliorare.

«Sono più vecchia di Edward»

«Tecnicamente, sì. Ma solo di un anno. E poi se vai a contare all’anagrafe…lui è un vecchietto al confronto tuo.» Nulla le avrebbe tolto il buon umore, in quel momento la sua mente era già volata alla festa di quella sera, per questo si affrettò a spostare su quell’argomento la conversazione. «A proposito. A che ora vieni da noi?» ovviamente Bella non sapeva della festa che le avevamo organizzato per cui sembrò cadere dalle nuvole, oppure aveva capito e non voleva venire?

Desiderai tremendamente di poterle leggere la mente, ancora una volta provai ma da lei arrivava solo silenzio.

«Non sapevo di essere invitata.»

«Oh, dai, sii buona! Vorrai farci perdere la festa, vero?»

«Pensavo di poter essere io a decidere il giorno del mio compleanno…» sì, aveva perfettamente capito di cosa parlava, e non sembrava voler cedere.

La mia piccola umana testarda, era anche per questo che la amavo… ma quella volta non gliel’avrei data vinta, o Alice non mi avrebbe lasciato in pace per un pezzo, per cui risposi io per lei

«La passo a prendere subito dopo la scuola.» Provò lo stesso a protestare «Ma oggi lavoro»

«Invece no. Ti ho già preso la giornata libera, ti sostituisce la madre di Newton e mi ha anche chiesto di farti gli auguri.»

«Ma.. non posso venire.» Balbettò, si vedeva chiaramente che era in cerca di una scusa, e io ero curioso di quale sarebbe stata. «Non ho ancora visto Romeo e Giulietta, per inglese.» Alice sbuffò.

«Ma se lo sai a memoria.»

«Berty dice che dobbiamo vederlo rappresentato come voleva Shakespeare sennò non rende.» Alzai gli occhi al cielo per non farmi scappare un sogghigno che pessima attrice che era. Alice non si voleva arrendere

«Hai già visto il film.»

«Si, ma non quello degli anni sessanta, secondo il professore è la migliore in circolazione.» Alice stava perdendo la pazienza e il buon umore, le lanciò un’occhiataccia.

«Con le buone o con le cattive, Bella, in un modo o nell’altro..» fermai appena in tempo la minaccia che le avevo letto nella mente, rivoltando come una frittata quello che lei aveva detto poco prima sui compleanni.

«Tranquilla, Alice. Lascia che Bella veda il film. È il suo compleanno.»

«Appunto.» Mi diede man forte Bella.

«Saremo a casa per le sette. Così potrai finire di sistemare tutto alla perfezione» finalmente Alice tornò a sorridere di nuovo, con mio grande sollievo, sapevo che mi avrebbe dato il tormento se non fosse riuscita la sua festa. Rise.

«Così va meglio. Allora a sta sera Bella!» Sorrise, le diede un buffetto sulla guancia e si allontanò a passo spedito senza lasciarle il tempo di rispondere. Bella allora si volse verso di me, sembrava un condannato a morte che va al patibolo

«Ti prego Edward..» cominciò cercando di implorarmi, ma io tagliai corto,

«Ne parliamo dopo. Siamo già in ritardo.» Il che era per altro vero ormai eravamo gli unici rimasti nel parcheggio. Ci affrettammo verso la nostra lezione, nessuno ci guardò mentre ci sedevamo, fui io a lanciare un’occhiata a Newton. Mi dava sempre più sui nervi. Ora tentava anche di imitarmi, “Quanto possono essere patetici gli umani quando cercano di attirare la loro preda” pensai con un moto di disgusto.

Era proprio irritante anche perché in molti casi i suoi pensieri erano troppo espliciti, e, soprattutto quando riguardavano Bella, la mia ragazza, dovevo trattenermi dal desiderio di ucciderlo. “Non puoi farlo, non devi farlo, è amico di Bella e la feriresti. E poi dopo averlo ucciso dovresti fuggire da Forks, lasciare Bella perché rischieresti di fare scoprire la tua  famiglia.”  Questo mi ripetevo ogni volta che il desiderio di ucciderlo o anche solo terrorizzarlo in modo che smettesse con le sue fantasie che giungevano nella mia mente a livello urlo.
Evitammo apposta l’argomento compleanno, personalmente non volevo guastare l’umore di Bella e nemmeno quello di Alice e quell’argomento avrebbe portato certamente tensione.

A pranzo ci sedemmo al solito tavolo, assieme agli amici umani di Bella, vigeva una sorta di tacito accordo tra tutti noi. Noi non parlavamo a loro, loro ignoravano noi. Quella sarebbe stata la reazione giusta, essere intimoriti dalla nostra presenza, eleganza e alterità.

Il pomeriggio trascorse lento. Non accadde nulla di particolare, solo la normale routine scolastica. All’uscita mi diressi al pick-up di Bella, Alice aveva riportato a casa la Volvo e si sarebbe occupata dei preparativi che mancavano per la festa.

Senza pensarci mi avvicinai alla portiera del passeggero e la aprii, per me era una cosa assolutamente normale, così mi era stato insegnato, così prevedeva la mia educazione: essere gentiluomo e cavaliere, sempre. 


«È il mio compleanno, posso guidare?» disse Bella appoggiandosi dalla parte del guidatore a braccia incrociate, adoravo quando faceva l’imbronciata e ostentava una forza che non aveva.

«Mi hai chiesto tu di ignorarlo.»

«Quindi, se oggi non è il mio compleanno sta sera non devo per forza venire..»

«Va bene.» Mi innervosiva e insieme divertiva il suo comportamento, per cui continuai a stuzzicarla. «Buon compleanno.» E mi diressi alla portiera del guidatore aprendogliela.

«Sssh…» mi zittì senza troppo entusiasmo, salì e mise in moto.

Nel tragitto giocherellavo con la sua autoradio, lo facevo apposta, sapendo quale sarebbe stato il regalo di Emmet e Rosalie.

«Mamma mia! Questa radio prende proprio male…senti come gracchia.» Aggrottò le sopracciglia, sembrava davvero arrabbiata.

«Vuoi una radio migliore? Guida la tua Volvo!.» Rispose acida.

Quando parcheggiò davanti a casa di Charlie le presi il volto tra le mani, delicatissimo, la sua pelle era come porcellana tra le mie mani 

«Dovresti essere felice, quando se non oggi?» le sussurrai, il viso a  pochi centimetri dal suo.

«E se non volessi esserlo?» chiese, ma aveva già il fiato corto.

«Peccato risposi» i miei occhi fissi sui suoi. Poggiai le mie labbra sulle sue baciandola dolcemente, i sensi all’erta, attento a non esagerare. Come sempre lei non mi aiutò, mi strinse forte, gettandosi con foga nel bacio. Sorrisi mentre mi staccavo dal caldo bacio e scioglievo il suo abbraccio.

«Bella, per favore» sussurrai, vicino, troppo vicino al suo collo e all’odore invitante del suo sangue, ma non era solo il suo sangue a tentarmi, era anche il suo corpo. Era in questi momenti che desideravo maggiormente essere umano, per poter stare con lei appieno senza preoccupazioni, senza temere di farle del male.

Posai di nuovo le mie labbra sulle sue prendendole le mani e incrociandogliele sullo stomaco “per stare più sicuro” mi dissi.

Sentivo il suo cuore martellarle in petto.

«Pensi che un giorno migliorerò?» chiese «Che un giorno il mio cuore smetterà di battere all’impazzata non appena mi sfiori con un dito?»

«Mmm…Spero proprio di no, spero proprio che resti così per sempre..» risposi compiaciuto, amavo quel suono, non avrei saputo farne a meno perché metteva a nudo quelle emozioni che non potevo sentire nella sua testa.

Alzò gli occhi al cielo.

«E adesso andiamo a vedere come si ammazzano tra di loro i Capuleti e i Montecchi, ok?» disse avviandosi e aprendo la porta di casa.

«Agli ordini!» e mi lasciai sprofondare sul divano, pronto ad accoglierla tra le mie braccia.

Quando mi raggiunse dopo aver fatto partire il nastro afferrai il plaid che se ne stava abbandonato sullo schienale sul sofà e ce la avvolsi dentro, ero consapevole che la temperatura gelida del mio corpo l’avrebbe congelata altrimenti.

«Sai Romeo mi fa venire nervi.» L’avevo punta sul vivo, perché ribatté offesa

«Cos’ha che non va Romeo?», evidentemente, come tutte le donne tendeva ad innamorarsi di uno come Romeo.

«Be’, è un tantino volubile, un po’ banderuola…prima è innamorato pazzo di questa Rosalina.. poi si innamora perdutamente di Giulietta. Poi, massimo della furbizia, pochi minuti dopo il suo matrimonio, per vendicare il suo migliore amico uccide Tebaldo, il cugino di Giulietta. Non è molto intelligente. Commette un errore dopo l’altro. Rovina con le sue proprie mani, la sua felicità».

Sospirò «Se vuoi, lo guardo da sola?» disse per punzecchiarmi.

«Non ti preoccupare, tanto io guarderò te.» Sì, lei era il migliore spettacolo che io potessi guardare. Disegnavo cerchi immaginari sul suo braccio, notai la sua pelle d’oca, solletico o eccitazione? Mi sorpresi a pensare.

«Piangerai?» continuai.

«Se seguo il film, quasi sicuramente.»

«Proverò a non distrarti.» Volevo vedere le sue reazioni davanti al film, ma non potei trattenermi dal baciarle i capelli, e dal sussurrarle all’orecchio le battute di Romeo, che conoscevo a memoria.

Con grande stupore sentii che il suo cuore batteva all’impazzata ogni volta che parlavo, chissà forse sognava di essere la mia Giulietta, io speravo di no, alla fine Giulietta finisce male, io speravo con tutto il cuore che  tra noi ci fosse il lieto fine e non la tragedia.
Sorrisi quando si mise a piangere quando Giulietta si svegliò trovando Romeo morto ai suoi piedi.

«Ti confesso,un po’ qui invidio Romeo» dissi, asciugandole gli occhi con una ciocca di capelli.

«Sì, in effetti l’attrice che fa Giulietta è molto carina.» Aveva frainteso, come solito, aveva avuto il sopravvento la sua bassa autostima. Risposi disgustato, come poteva ancora non credere di essere speciale?

«Non invidio l’attore per la ragazza…ma Romeo per la facilità con cui si è suicidato. Per voi umani è così facile! Siete tanto fragili! Vi basta assumere del veleno…»

«Cosa?» esclamò come scandalizzata.

«Una volta ci ho pensato, e grazie a quello che Carlisle mi aveva raccontato sapevo che per noi non è altrettanto semplice. Lo sai, dopo  aver capito cos’era diventato ha tentato in mille modi senza riuscirci..» poi aggiunsi ironicamente «Oltretutto, è in perfetta forma.» Si voltò e mi guardò negli occhi

«Cosa? Che vuol dire ‘una volta ci ho pensato?» Impossibile continuava a non capire, perché certe volte non era perspicace come solito? Non ci tenevo a ricordare la primavera precedente e il nostro viaggio a Phoenix, non piaceva a me e men che meno a lei..

«L’anno scorso, a Phoenix, quando hai rischiato di.. morire..» respirai, il mio tono mi avrebbe tradito, invece volevo continuare a sembrare calmo, non volevo mostrarle quanto avevo temuto di perderla e che non sapevo come vivere senza di lei «Certo, cercavo mi sforzavo in tutti i modi di arrivare in tempo, di trovarti viva. Ma una parte di me pensava al peggio e pensava alle alternative. Noi non siamo fragili come voi umani, per noi non è così semplice» Un’ombra passò sul suo viso, e si passò involontariamente un dito sulla cicatrice fredda che aveva sul polso, il segno dei denti di James.

Scosse la testa, come per tornare presente, come volesse scacciare i ricordi dalla mente e poi tornò a fissarmi.

«Di che parli?»

«Beh non sarei mai riuscito a vivere senza di te», alzò gli occhi al cielo, per lei era una affermazione banale, per me l’essenza stessa della mia vita. Continuai «Non sapevo come fare, non potevo chiedere a Emmett o Jasper, perciò pensai di andare in Italia, di scatenare la furia Volturi.» Guardavo lontano, ma la sentivo tendersi rabbiosa, "Non riusciva a sopportare l’idea che io morissi?” mi crogiolai in questa speranza, era un pensiero egoista, ma non mi importava.

L’amavo e tutto quello che desideravo era stare con lei.

«Chi sono i Volturi?» chiese incuriosita, eppure pensavo di avergliene parlato quando le avevo raccontato la storia di Carlisle…

«Una famiglia. La famiglia di vampiri più antica e potente ancora esistente. La nostra casata reale, più o meno. Li hai visti, nel ritratto con Carlisle, prima di trasferirsi in America ha vissuto con loro a Volterra. Aro, Marcus e Caius, i tre patroni delle arti. ricordi?»

«Sì, certo..» Si illuminò, si era ricordata di quando le avevo parlato di Aro, Marcus e Caius.

«Comunque sia, non vanno scatenati» continuai «A meno che non si cerchi la morte,o qualunque altra cosa ci tocchi.» Mi lanciò uno sguardo inorridito e mi prese il volto tra le mani

«Non devi mai, mai, mai più neanche pensare una cosa del genere! Non importa quello che potrebbe accadermi, ma non permetterò che tu faccia una cosa simile» eccola qui, la Bella che amavo, quella che non sopportava le attenzioni, sì non sopportava l’idea che io mi facessi del male anche se le fosse successo qualcosa, era così altruista? No, semplicemente mi amava.

«È un discorso inutile.. non permetterò mai più che tu sia in pericolo.» Dissi più per tranquillizzare me che lei.

«Come se fosse colpa tua! Non sono forse io che attiro le disgrazie? Come puoi pensare una cosa del genere?» sembrava arrabbiata.

«E tu cosa avresti fatto? Cosa avresti fatto se fossi stata al mio posto?»

«Non è la stessa cosa» soffocai una risata, davvero credeva di amarmi più di quanto io amavo lei?

«Se ti succedesse qualcosa? Sopporteresti l’idea che anche io muoia?» aveva centrato il punto, la amavo a tal punto da non volere distruggere la sua anima, avrei potuto permettere che si facesse del male se mi fosse successo qualcosa? Ma io non lo avrei mai permesso, sarei stato con lei per tutta la sua vita, mi ero convinto che questo mi sarebbe bastato, e poi mi sarei tolto di mezzo,ormai non potevo più pensare di poter vivere senza di lei.

«Forse riesco a capirti.. un po - ammisi - Ma cosa farei io senza di te?»

«Quello che facevi prima di incontrarmi.» Sospirai.

«Per te è tutto così  facile».

«Lo è. In fondo non sono così interessante» decisi di lasciare perdere.

Non sarebbe servito a nulla tentare di spiegarle per l’ennesima volta quanto lei era importante e interessante per me, era diventata il centro della mia vita, di tutta la mia esistenza.

«Lasciamo perdere. Discorso inutile», tagliai corto.

Sentii un rmore ne vialetto e mi staccai da lei, sapevo che suo padre aveva dei limiti di sopportazione molto bassi nel vederci vicini, non aveva tutti i torti a considerarmi la causa dell’infortunio, chiamarlo così era a dir poco riduttivo, della primavera precedente.

«È Charlie?» mi chiese. Poco dopo Charlie entrò dalla porta.

I suoi pensieri erano offuscati, sapevo da chi aveva preso Bella, e non erano molto ben disposti nei miei confronti. Irradiavano fastidio per la mia presenza e insieme sollievo nel vedere Bella felice, nonostante tutto Charlie capiva quanto ci amassimo.

«Ciao ragazzi.» Sorrise entrando, aveva due pizze in mano.

«Ho preso una pizza. Non volevo che anche il giorno del tuo compleanno dovessi cucinare e pulire. Fame?»

«Certo grazie, papà.» Io rifiutai con garbo, come solito, Charlie non avrebbe capito i miei gusti alimentari.

Sentii emanare da lui un lampo di curiosità “Perché questo si rifiuta sempre di mangiare con noi? Sarà schizzinoso o magari è allergico a qualcosa”. Bella me l’aveva detto: Charlie, ricordai, tendeva a crearsi soluzioni di comodo per le domande cui non trovava risposte accettabili. Evidentemente io ero una di queste. E poi ormai ci aveva fatto l’abitudine, l’unica cosa che gli sfuggiva, e che sono sicuro non gli avrebbe fatto piacere, era che io passavo quasi tutte le notti nella stanza di sua figlia.

«È un problema se le rubo Bella sta sera?» vidi un lampo nascosto nei suoi occhi e sentii il lampo del ricordo: l’ultima volta che avevo portato fuori Bella alla sera era stato al ballo, la volta precedente quella malaugurata partita di Baseball. Poi si tranquillizzò.

«Va bene.. tanto sta sera c’è la partita Mariners contro Sox, perciò non sarò molto di compagnia.. ah, aspetta». Poi prese la macchia fotografica che aveva regalato a Bella e gliela lanciò. "Cattiva idea” pensai.

I riflessi di Bella diciamo.. erano abbastanza lenti, per cui la presi io al volo, appena prima che toccasse terra dopo essere sfuggita a Bella.

«Bella presa.» Commentò Charlie. «Se fate una festa, fai qualche foto, lo sai che Reneè ti telefonerà al più presto per sapere se usi i nostri regali.»

«Bella idea Charlie» dissi e la porsi a Bella. Me la puntò contro e scattò la prima foto.

«Funziona» esclamò, come se non ne avesse mai usata una prima di allora.

«Meno male. Ah e salutatemi Alice, è un po’ che non la vedo.»

«Ma se era qui tre giorni fa…» gli ricordò Bella continuando «Glielo dirò».

«Buona serata allora, a più tardi ragazzi.» Con questo ci congedò e si sedette sul divano davanti alla tv.

Sorrisi trionfante,la accompagnai alla macchina, questa volta si sedette al posto del passeggero senza fare storie, presi la strada verso nord. Mi irritava quel catorcio. Più volte le avevo proposto una macchina nuova, ma lei si ostinava a tenere il suo pick-up. Sbuffai.

«Vacci piano. Pensalo come se fosse il nonno della tua Volvo.» Mi ammonì.

«Sai cosa ci vorrebbe per te? Una bella Audi Coupé. Silenziosa e potentissima..» mi divertivo a punzecchiarla

«Per me Il mio pick-up è perfetto, va più che bene ed è indistruttibile. E poi non sopporto gli oggetti costosi e superflui. Non avresti dovuto spendere un soldo in regali di compleanno.»

«Nemmeno un centesimo»

«Bene»

«Posso chiedere un favore?»

«Dipende da che cos’è.» sospirai e diventai serio

«Bella, l’ultima vera festa di compleanno è stata quella di Emmett, nel 1935. Per favore, non fare troppo la difficile questa sera,cerca di divertirti e venirci incontro. Sono tutti su di giri… intendo proprio tutti.»

«Tutti?» la sua voce uscì soffocata, per un attimo ebbi paura per la sua salute. «Credevo che Emmett e Rosalie fossero ancora in viaggio di nozze in Africa».

Sapevo dell’antipatia che Rosalie provava per Bella, ma ne conoscevo i motivi. Più che antipatia vera e propria era invidia, Bella non si rendeva conto della fortuna che aveva, sapevo che sarebbe stata pronta a rinunciarvi, ma non sapeva, non riusciva a capire quanto fosse fortunata a poter cambiare, crescere, invecchiare… era proprio questo che Rosalie le invidiava, ma non ero io la persona più adatta a spiegarglielo, un giorno, se e quando avrebbe voluto, sarebbe stata Rosalie stessa ad aprirsi con Bella, a spiegarsi con lei..

«Emmett ci teneva, ha convinto Rose a tornare prima» mi affrettai a spiegare, il mio fratello orso invece adorava Bella, la trovava buffa, e allo stesso tempo molto forte e coraggiosa, d’altra parte aveva deciso di stare con un vampiro, come poteva essere altrimenti?

«E…Rosalie?»

«Lo so, Bella. Non preoccuparti. Farà del suo meglio. Proverà a non rovinare tutto.» Era questo che le avevo chiesto, nulla più, tentare di rendere la serata il meno teso possibile, non volevo che rovinasse la festa di Bella col suo malumore o le sue battute acide nei suoi confronti o nei miei, in effetti quando si comportava in quel modo le avrei staccato volentieri la testa a morsi, ma poi avrei dovuto fare i conti col mio fratello preferito..
Non mi rispose, sentivo la sua tensione al pensiero di incontrare Rosalie, e sapevo anche che si sentiva in colpa, pensava di essere la causa della prolungata lontananza di Emmett e Rosalie, non poteva immaginare che in realtà nulla centrava con lei, tutti, io in particolare, avevamo qualche problema a sopportare i periodi del dopo matrimonio di Emmett e Rosalie, definirli una coppia focosa era infatti troppo riduttivo, tendevano a sfasciare case, con grande disappunto di Esme che le preparava per loro, e ad essere un po’ troppo espliciti nei loro pensieri, il che ovviamente si rivelava una tortura psicologica per me: non era una delle cose che preferivo sentire pensieri così intimi dei miei familiari… mi sembrava di invadere la loro privacy.
Decisi di cambiare discorso, sapevo che questa rivelazione poteva rovinarle l’umore, e quindi la mia serata e non volevo minimamente che ciò accadesse.

«Allora se non vuoi l’Audi, che regalo preferisci? Sai non vorrei deluderti..» rispose mormorando, quasi avesse paura della mia reazione.

«Sai bene cosa voglio». Ecco, l’unica cosa che mai le avrei dato, su cui non avrei mai ceduto, non avrei mai preso la sua anima, non avrei mai lasciato che il suo cuore cessasse di battere, anche se questo significava non portarla con me nell’eternità, avrei lasciato che vivesse e poi l’avrei seguita: non potevo vivere senza di lei, ma non potevo neanche condannarla ad essere una mostro.
Tentai di tagliare corto non volevo parlare di questo, non sta sera.

«No. Non sta sera, Bella, ti prego. Non parliamone ora»

«Beh, allora magari sarà Alice ad accontentarmi.» Perché  era così testarda? L’amavo proprio anche per questo. Alice si sarebbe mai permessa? Non credo, ma non le avrei nemmeno mai lasciato l’occasione.

D’altra parte sapevo della sua visione, per quello ero stato riluttante a mandarla a Phoenix con Bella, l’avevo pregata di tenerselo per se, e a quanto pareva mi aveva dato ascolto.

«Questo non sarà il tuo ultimo compleanno, Bella». Ringhiai.

«Non è giusto!» Trattenni la risposta che le stavo per dare, non volevo un litigio, ma era li che stavamo per arrivare.
Ormai eravamo arrivati, io già vedevo la casa bianca illuminata, una fila di lanterne appesa alla veranda. I vasi di rose già sulla scalinata. “Chissà se sono riusciti a finire” pensai.

Ma certo Alice ed Esme erano maghe in questo, avrebbero tranquillamente potuto aprire una agenzia di organizzazione eventi. Sarebbe stato tutto perfetto. La sentii gemere.

Vero, tendevo sempre a dimenticare quanto odiasse essere al centro dell’attenzione, probabilmente pensava che fosse troppo. “Perché sottovaluta sempre la sua importanza? Perché non capisce che per noi è una di famiglia? Perché non capisce quanto sia importante per me?” respirai profondamente, volevo che la mia voce suonasse tranquilla e non tormentata da quelle domande.

«È una festa. Cerca di divertirti e di comportarti da brava ragazza.»

«Va bene.» mormorò. Non sembrava convinta. Scesi ad aprirle la porta e le offrii la mano.

«Stavo pensando..» Attesi, allarmato da cosa potesse turbarla.

«Se vi faccio delle foto e poi le sviluppo, vi si vedrà?» giocava con la macchina fotografica. Incredibile che fosse questo a preoccuparla. Non riuscii a non ridere. Era così umana, anche nelle sue preoccupazioni. Ma era per questo che la amavo. La aiutai a scendere dalla macchina, la guidai fino alle scale.

Sentii che tremava leggermente forse era spaventata da quello che l’attendeva dentro?

Sicuramente più dalla festa che dai sei vampiri che stavano dentro casa. Non capivo perché, ma noi non la preoccupavamo, non la spaventavamo, nemmeno dopo il suo incontro-scontro con James che l’aveva quasi uccisa. Scacciai subito dalla mia mente quei pensieri oscuri, non volevo rovinarmi la serata.

«Auguri, Bella!» gridarono tutti assieme non appena ci videro sulla porta, lei tenne gli occhi bassi, non avevo bisogno di guardarla per sapere che era arrossita, sentivo il suo sangue chiamarmi, ma lo evitai senza problemi.

Mi bastò concentrarmi su Alice, il sorriso le illuminava il volto “Dici che ho esagerato?”, mi chiese con una muta domanda…sorrisi.

Aveva ricoperto tutto il pavimento di candele rosa e vasi di rose rosse e rosa, vicino al mio pianoforte aveva messo un tavolino, era nuovo..chissà quando lo aveva comprato, forse nel pomeriggio in mia assenza, coperto da una tovaglia aveva adagiato la torta e i regali.

Vidi Bella indugiare con lo sguardo sulla stanza, era evidente che pensasse che quello era troppo, sapevo che le piacevano le cose semplici, ma nessuno di noi era riuscito a trattenere l’entusiasmo di Alice.

Esme l’abbracciò con cautela, e la baciò sulla fronte, la mia mamma era sempre dolce e tenera, la considerava già una figlia. I suoi pensieri gongolavano. “Figliolo, lo sai, hai scelto proprio bene, sono davvero contenta che tu abbia trovato qualcuno che completi la tua esistenza.”
Carlisle la strinse. Sussurrandole all’orecchio

«Mi dispiace, Bella. Non siamo riusciti a bloccare l’entusiasmo di Alice.»
Dietro di loro c’erano Emmett e Rosalie, vidi Bella guardarli come intimorita, chissà cosa passava per quella sua buffa testolina in quel momento, non so cosa avrei dato per saperlo, feci l’ennesimo tentativo. Ma da lei solo vuoto. Emmett le rivolse un ampio sorriso, Rose rimase impassibile.

«Non sei cambiata di una virgola! Speravo di trovarti diversa e invece sei sempre qui con cuore che batte a mille e le guance rosse.» poi aggiunse a mio unico beneficio “Non ti sei ancora deciso a trasformarla? Saresti più contento e tranquillo anche tu, fidati! Pensa, non doverti più trattenere, non essere terrorizzato dal farle male…” lo fulminai in uno sguardo. Avevo dimenticato quanto il mio fratellone fosse perspicace.

Nella sua semplicità Emmett vedeva molto più a fondo di altri, e poi, era l’unico con cui potevo confrontarmi su certe cose, non senza un certo imbarazzo, però mi capiva e sapeva darmi utili consigli. In fondo lui e Rose erano una coppia abbastanza normale, molto legati anche fisicamente.

Si amavano in modo diverso da Alice e Jasper, certe volte sfuggiva anche a me la natura del loro legame, non potevano vivere l’uno lontano dall’altra, si appartenevano, erano anime gemelle, complementari.

Certo anche Esme e Carlisle, avevano un lato fisico nel loro amore, ma mi imbarazzava il pensiero di parlare di certe cose con i miei genitori, anche se sapevo benissimo che molte cose, molte mie paure, le avevano intuite da soli.

«Grazie mille, Emmett.» Rispose Bella e arrossì ancora di più.
Rise,

«Esco un attimo.» Strizzò l’occhio ad Alice, «Vado a fare quel che sapete voi…torno fra poco!!!» e aggiunse «Torno subito, vedete di non combinare guai.»

«Ci provo».
Poi Alice si staccò dalla dolce presa di Jasper e si avvicinò a Bella per farle gli auguri, Jasper si limitò a sorriderle, rimanendo vicino al corrimano della scala.

Non mi aveva ancora del tutto perdonato per avergli chiesto di mantenere le distanze da Bella le prime volte.

Ma, dopo tutto, lui sapeva bene quanto me che non era saggio sfidare troppo i propri limiti. Era ben consapevole dei propri limiti e dei propri problemi di autocontrollo.

Sarebbe stato inutilmente pericoloso esporre Bella al pericolo, come se non lo fosse già abbastanza… e Jasper non poteva che darmi ragione, in fondo se lui fosse stato al mio posto ed Alice a quello di Bella si sarebbe comportato molto diversamente? No di certo.

«È ora, forza Bella, apri i regali» cinguettò Alice, prendendo Bella sotto braccio, la trascinò vicino al tavolo su cui erano poggiati i regali. Bella sfoderò una espressione da martire

«Alice, te lo avevo detto, non voglio nessun regalo, non dovevi preoccuparti per me…»

«E io come solito ho fatto di testa mia», la interruppe sfacciata e poi la incoraggiò piazzandole il primo pacchetto tra le mani dove poco prima stava la macchina fotografica.

«Forza.  Apri.»

Bella si rigirò il pacco tra le mani, soppesandolo poi finalmente lo scartò, guadava la scatola  con aria interrogativa, probabilmente voleva indovinarne il contenuto.

Finalmente l’aprì, ma rimase stupita trovandola vuota. Io sorrisi davanti al suo sguardo interrogativo, lo stesso fece Rose, Jasper ormai non si tratteneva più e sghignazzò sonoramente.

Alice si affrettò a spiegarle

«È  la nuova autoradio per il tuo ‘trattore’. Emmett è andato a montarla subito, così non puoi rifiutarti di accettarla.» Bella era senza parole emozionata al regalo, perché si ostinava a credere di non meritare nulla? Di non essere al centro dell’attenzione? Era un luogo che le spettava di diritto…eppure lei si ostinava a non volerlo. Era speciale, ma non voleva ammetterlo nemmeno a se stessa.

«Jasper, Rosalie…grazie» disse con la voce piena di emozione, poi aggiunse alzando il tono «Grazie, Emmett». Lui si limitò a risponderle con la sua contagiosa risata e anche lei alla fine sorrise.

«Ora, vediamo…apri il nostro, mio e di Edward.» disse Alice, era davvero entusiasta, anche io lo ero, ma perché la mia dolce sorellina non poteva darle tregua un momento? Bella per tutta risposta mi incenerì con lo sguardo.

«Ma mi avevi promesso». Prima che io riuscissi a rispondere Emmett rispuntò dalla porta della cucina.

«Appena in tempo!» esclamò e spinse Jasper in avanti. I miei nervi ebbero un sussulto che si placò immediatamente appena sentiti i pensieri di Jasper, era tranquillo, solo curioso, nulla di più. Poi aggiunsi per rassicurare Bella.

«Non ho speso un centesimo per quel regalo, Bella», le risistemai una ciocca di capelli dispettosa dietro l’orecchio, la sentii rabbrividire, anche la sua pelle aveva avvertito il fremito come di corrente elettrica che avevo sentito io, per quanto le stessi vicina, per quanto ormai fossi assuefatto alla sua presenza ogni volta che la toccavo la mia pelle ghiacciata ardeva, di sete e desiderio, non desideravo più solo il suo sangue, ma anche il suo corpo…
Sospirò e poi si rivolse ad Alice, ormai era rassegnata al fatto che nessuno di noi la avesse ascoltata.

«Va bene. Dammi allora.» sembrava un condannato che sale al patibolo, Emmett non si trattenne e continuò a ridacchiare.
Afferrò il pacchetto, guardava me, non quello che stava facendo, piccola umana distratta… non la vidi tagliarsi, la sentii solo mormorare «Oh, cavolo» e sentii l’odore del suo sangue più forte.

In un istante capii tutto, in un istante cambiò tutto.
In un istante mi arrivarono i pensieri di sei menti come fossero una, tutte bramavano il suo sangue ma si trattenevano, riuscivano a resistere, tutti tranne una…

«No!» ruggii e mi scagliai contro Bella, non callcolai bene la mia forza, ci misi troppo impeto e la scagliai dall’altra parte del tavolo, rovesciandolo assieme a tutto il suo contenuto, torta, piatti, regali…
Poi mi scagliai contro Jasper, non potevo permettere che succedesse a causa di una mia disattenzione, non potevo permetterglielo, anche se rischiavo di fargli del male, anche se rischiavo di ferire mio fratello… era questo quello che mi feriva più di tutto, io avevo portato Bella alla festa, io l’avevo messa in pericolo… ma in quel momento non c’era tempo, non potevo perdermi nei miei pensieri, dovevo allontanare da lei i denti affilati di Jasper.  Mi riebbi appena in tempo da schivare un suo morso, i suoi denti si chiusero a pochi centimetri dal mio viso, fu allora che intervenne Emmett, era decisamente il più forte tra tutti noi, e non ebbe problemi a prendere Jasper di peso e immobilizzarlo per portarlo fuori nonostante questi si muovesse e agitasse tentando di sfuggire alla sua presa ferrea.
Mi  voltai verso Bella, il profumo del suo sangue mi investì in pieno, avevo fatto più danno di quello che credevo, cadendo aveva trascinato con se i piatti di cristallo che erano finiti in mille pezzi, e uno di quei frammenti ora era nel suo braccio. Sanguinava parecchio e stava per svenire, non potevo lasciarla li, in balia dei miei familiari, per quanto abituati a controllarsi, erano un pericolo per lei.

La vidi guardarsi il braccio e poi alzare il viso, negli occhi uno sguardo di terrore, in quell’istante capii, io ero un pericolo per lei…


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Capitolo 2
*** 2. Punti ***


Ciao a tutti!
Eccoci al capitolo due, ve lo lascio senza troppe anticipazioni.
Soltanto grazie a tutti e tutte quelle che hanno deciso di dedicare cinque minuti della loro vita a leggere la mia storia, e a chi lìha inserita tra le ricordate, grazie grazie grazie
Vale

 
2. Punti

  La voce mentale di Carlisle interruppe il flusso dei miei pensieri “Edward…” annuii in maniera impercettibile “bisogna fare uscire gli altri, poi la cureremo, non ti preoccupare, non succederà nulla, e non arrabbiarti con lui, non è colpa sua..” mi stupii, come poteva essere così calmo? Come potevo fare finta di nulla? Mio fratello aveva tentato di uccidere la mia ragazza e io non dovevo preoccuparmi?


«Emmett, Rose, tenete Jasper e portatelo fuori» disse poi rivolgendosi agli altri. Emmett annuì serio.

«Andiamo» sentii il guizzo dei pensieri di Jasper, si dimenava, si opponeva con tutte le sue forse a Emmett, ma non ce l’avrebbe mai fatta a liberarsi, Emmett era molto più forte di noi, mi rannicchiai lo stesso al fianco di Bella, mostrando i denti, ero lo stesso pronto a difenderla, non si sa mai diceva una vocina nella mia testa. La stessa vocina mi aveva detto di non respirare, essere assuefatto al suo odore era una cosa, ma la tentazione del sangue, lì vicino a me era tutt’altra cosa. La mia gola ardeva di fuoco. “Te l’avevo detto che portava solo guai” mi disse maligna Rose, un ringhio uscì dal mio petto. Perché non poteva accettare Bella ed essere semplicemente felice per me come gli altri? Perché doveva essere gelosa? Non sopportavo che si comportasse in quel modo… “Forse quello che sbaglia sei tu…forse quello egoista sei tu…dopotutto perché un mostro dovrebbe essere felice?” Chiese un vocina malvagia della mia testa, scossi violentemente la testa, volevo che uscisse, o perlomeno tacesse, non volevo ascoltarla, ma forse aveva ragione…
Anche Esme dovette seguire gli altri fuori, guardò me e Bella sfiorata dall’imbarazzo «Perdonami, Bella» "Mi dispiace infinitamente, Edward…"
Non mi ero accorto di mio padre, Carlisle era rimasto tranquillo, impassibile, mi si avvicinò calmo e mi disse

«Lascia fare, Edward è tutto a posto, nessuno si è fatto troppo male, ora sistemiamo tutto. Aiutami devo guardarle la ferita..»
Ci misi un momento a recuperare la lucidità necessaria,  annuii e rilassai i muscoli tesi. Lasciai che Carlisle esaminasse il taglio di Bella, era pietrificata, non si muoveva sconvolta anche lei da ciò che aveva visto. Alice portò un asciugamano,ma la ferita era troppo piena di vetri, Carlisle strappò un lembo dalla tovaglia bianca, chissà se Esme se ne sarebbe risentita era una delle sue preferite, ma alla fine era solo un oggetto di scena inutile..potevamo fingere, ma eravamo comunque mostri, fermò il sangue e l’emorragia legandolo come un laccio emostaticoimprovisato.

«Bella, decidi, vuoi andare all’ospedale, o ci penso io qui?»

«Qui per favore» era pallida, spaventata, ferita e nonostante questo si preoccupava che Charlie non sapesse nulla, che noi non venissimo coinvolti in incidenti strani, perché non aveva quel minimo di senso di conservazione che ogni umano normale ha? Perché metteva sempre e solo gli altri al primo posto? Se avesse avuto un minimo di amor proprio non si sarebbe mai messa con me, con un mostro che poteva ucciderla…
Mille pensieri mi affollavano la testa, mille piccole osservazioni che mi portavano a una unica conclusione, quella che mi avrebbe ferito di più…
Dovetti sforzarmi per restare concentrato su quello che succedeva. Portai Bella in cucina, poco dopo apparve Alice che portava la borsa di Carlisle e una lampada da lettura. Continuavo a non respirare, ma la gola mi bruciava, non perché sentissi il profumo, ma per le sei menti affamate che pensavano a quello appena successo. "No, - mi dissi -  non la metterò mai più in pericolo"

«Edward, non devi restare per forza, se vuoi vai anche tu.» mi sussurrò dolcemente, negli occhi uno sguardo compassionevole, proprio l’ultima cosa che avrei voluto vedervi.

«Posso farcela» dissi e rimasi li rigido nella mia immobilità.

«Non fare l’ eroe. Carlisle può farcela anche senza di te. Non stare qui a soffrire, esci a prendere un po’ di aria». La vidi sussultare all’ennesima  puntura d’ago. Perché si ostinava a fare la forte quando l’unica cosa che io desideravo era poter stare li con lei,  tenerle la mano, come qualsiasi fidanzato alla fidanzata maldestra, senza desiderare il suo sangue… senza avere sete di lei.

«No, resto»

«Perché devi essere un tale masochista?» non capiva che mi tratteneva li solo l’amore sconfinato che provavo per lei?

«Edward, per favore. Vai a cercare Jasper prima che si disperi, ne starà facendo una tragedia, ce l’avrà con se stesso. L’unico che potrebbe calmarlo sei tu»

«Hanno ragione, vai a parlare con Jasper, cerca di calmarlo» aggiunse Bella

«Magari saresti anche renderti utile» chiosò Alice, “La faccia da funerale qui non serve…e nemmeno con Jasper, torna tra  poco, quando avremo risistemato Bella, è inutile che soffri così…” chiuse mentalmente.
Perché si mettevano tutti contro di me? Non capivano che cosa mi girava per la testa? Quante cose contemporaneamente stavo pensando? Erano tre contro uno, decisi di ascoltarli, seppur dopo averli fulminati mi voltai e uscii dalla porta sul retro.
 
Cercai la scia di Jasper, era fin troppo facile da seguire. Lo trovai seduto su un masso al di là del fiume, la testa tra le mani, l’espressione funebre e folle al contempo, guardato a vista da Rose ed Emmett che però si tenevano a distanza di sicurezza, sentivano la furia che emanava da lui e assieme la frustrazione. Mi avvicinai e mi sedetti davanti a lui sul prato, tentavo di mantenere la calma, feci un respiro profondo

«Vattene» mi intimò.

«No. Non sei tu che devi torturarti. Non sei tu ad averla messa in pericolo»

«Non sono io? Sono stato io ad attaccarla o te ne sei dimenticato? Potevo farle del male,ferirla, ucciderla e fare del male a te, credimi, mi dispiace.»

«No, è la nostra natura, tu hai solo difficoltà a controllare la sete. Il mostro sono io…non dovevo portarla qui. Non dovevo esporla al pericolo. Anzi non dovevo espormi e basta. Avrei dovuto ignorarla, resisterle…»

«Smettila di accusarti» sibilò freddo.

«Avevate ragione tu e Rosalie. È troppo pericoloso, non posso restare con lei se è umana, ma non voglio trasformarla, non è un mio diritto…»

«Ma sarebbe la soluzione più semplice..»

«Ma la obbligherei a lasciare tutti i suoi affetti, suo padre, sua madre, i suoi amici per un’esistenza di eterno dolore. Non accetterebbe mai, e non è giusto che io glielo chieda…»

«Agire da egoisti ogni tanto fa bene alla salute…»

«Sì, ma io non porrò fine alla vita di Bella, non sarò io a trasformarla in un mostro».

«Va bene, ma trova una soluzione, hai visto anche tu quanto può essere pericoloso. Ha già rischiato di morire una volta, deciditi, trasformala o…»

«Non dirlo… rifletterò» ma avevo la morte nel cuore, sapevo cosa mi stava per dire Jasper, ma non volevo sentirlo, non volevo pensarlo…ma ormai il tarlo del dubbio si era insinuato in me e teneva occupata la mia mente.

«Vado a vedere se è tutto a posto» conclusi e mi avviai verso la grande casa bianca. Non ascoltai i pensieri di Jasper mentre me ne andavo, percepivo solo un vago sentore di amarezza, continuava a sentirsi in colpa per quello che aveva fatto.
Giunsi alla casa di corsa, già da fuori sentivo le voci di Bella e Carlisle, parlavano di me, del perché Carlisle mi aveva trasformato, di mia madre, donna dolce e perspicace che aveva intuito la vera natura del mio padre adottivo, un fitta mi prese il cuore come tutte le volte che ripensavo a mia madre. Aveva sacrificato la sua guarigione per starmi accanto e se ne era andata, lasciandomi a Carlisle, alla mia nuova esistenza… in un attimo capii, io non sarei dovuto esistere. La verità mi colpì come uno sparo, ma fece molto più male, scalfì la scorza dura della mia pelle di pietra e mi spezzò il cuore. Più io le stavo vicina più la mettevo in pericolo.
"Edward…prendi la decisione giusta…trasformala”  il pensiero mi colpì d’improvviso strappandomi ai miei ragionamenti, tanto che ci misi un momento a capire da chi arrivava, era stata Esme, la mia nuova, dolce, mamma… si preoccupava sempre per me, voleva il mio bene... ignorai quel pensiero, non intendevo farlo…
Mi appoggiai allo stipite della porta tentando di riprendere il controllo delle mie emozioni, non volevo che Bella me le leggesse in volto, aspettai un momento poi mi decisi ed entrai, serio, rigido, non respiravo, non volevo metterla in pericolo..

«Non mi sono mai pentito di aver salvato la vita a Edward, di averlo trasformato». La voce di Carlisle, i suoi pensieri erano colmi di sincerità e apprensione, capiva che quello più turbato in quella situazione ero io… «Forse è meglio riaccompagnarti a casa»
Decisi di entrare. Non respiravo, non volevo che il sangue sulla sua camicetta risvegliasse il mostro che ero, non volevo metterla di nuovo in pericolo.

«Ci penso io» le dissi attraversando la stanza.

«Se vuoi mi può portare Carlisle» si guardò la camicetta, aveva intuito quale era il problema, era sempre così premurosa e sciocca, si preoccupava per me e non per la sua incolumità, tipico di lei, ma in fondo la amavo per questo.

«Posso farcela». Risposi secco, nulla di ciò che riempiva i miei pensieri avrebbe dovuto turbarla, almeno finchè io non avessi deciso. «Ma devi toglierti quella camicetta. Se la vede Charlie gli prende un colpo. Chiedo ad Alice di prenderti qualcosa di pulito». Sfrecciai fuori della cucina senza aggiungere altro.
Li sentii che continuavano a parlare, nel salone Esme stava pulendo il macello che avevo fatto gettando Bella per terra. Mi sentii tremendamente in colpa, ancora una volta li avrei costretti a soffrire tutti per colpa mia ed era la cosa che meno desideravo…
Alice mi raggiunse in cima alle scale, aveva in mano un fagotto azzurro in mano, una camicia, aveva visto di cosa avevo bisogno ed era venuta in mio aiuto. Chissà se aveva visto qualcos’altro.. evidentemente si, mi giunsero immagini sfocate, verde, tutto verde, forse una foresta e due sagome nella notte…

«Cos’era?» le chiesi.

«Non so, quello che ho visto poco fa. Ma mi è apparso sfocato, una decisione non ancora chiara»

«Oh, vedremo, quando sarà certa ti apparirà più chiara».

«Lo sai che a Jasper spiace infinitamente?»

«Lo so». Tagliai corto e scesi facendole cenno di seguirmi. Non volevo che anche Alice mi guardasse con compassione, o sguardo implorante perché non me la prendessi con Jasper, non era quello che volevo, sarei solo stato peggio. Sentii i suoi  passi felpati dietro di me. Raggiungemmo il salone ed Alice corse svelta da Bella, io rimasi in disparte.

«Su», disse Alice. «Cerchiamo qualcosa che sia meno in stile Jack lo Squartatore». E si diressero verso il bagno. Mi giunse l’eco delle loro voci, Bella chiedeva ad Alice di me e Jasper, temeva una mia reazione esagerata, in fondo mi conosceva meglio di quanto mi aspettassi, capiva a fondo la mia natura. Forse molto di più di quanto mi capissi io in quel momento.
Alice uscì dal bagno, «Guai a te se le fai del male, le voglio troppo bene» mi sussurrò passandomi accanto. Poco dopo uscì anche Bella, appena la vidi aprii la porta, volevo solo allontanarmi da casa, volevo riportarla al sicuro, lontano dai vampiri, lontano dai mostri.

«Bella! I tuoi regali», gridò Alice mentre mi raggiungeva. Recuperò da sotto il pianoforte i due pacchetti e la macchina fotografica e glieli ficcò sotto il braccio.

«Mi ringrazierai la prossima volta».
Esme e Carlisle le augurarono una buona notte, “Edward, non colpevolizzarti, non è colpa tua, né di Jasper, non succederà più una cosa del genere, nessuno di noi la metterà più in pericolo” aggiunsero rivolti a me.
Certo che non succederà mai più mi dissi, e capii quello che avrei dovuto fare. Alice mi lanciò un’occhiata torva, anche lei aveva capito, la visione di prima ora era chiara, io e Bella nel bosco da soli, e io me ne sarei andato, per sempre. “Non ti farò mai più del male, anche a costo di soffrire per l’eternità” questo diceva l'Edward della visione.
Giungemmo al pick-up e le aprii la portiera del passeggero poi feci il giro della macchina e salii, la vidi scalciare sotto il sedile qualcosa, ma guardavo fisso davanti a me non pensai troppo a cosa poteva essere. Misi in moto, non riuscivo a parlarle, sopraffatto dal dolore, era troppo grande, troppo dura da sopportare, ma ce l’avrei fatta, mi sarei allontanato da lei per il suo bene. Le avrei ridato la sua vita da umana.

«Ti prego, parla.», implorò mentre imboccavo l’autostrada, potevo sentire la sua frustrazione nella voce.

«Cosa devo dire?»

La vidi rabbrividire, si era accorta del mio umore «Perdonami, per favore».

Una scintilla di rabbia mi si accese negli occhi. «E che cosa dovrei perdonarti?».

«Se fossi io non fossi così sbadata questo non sarebbe successo».

«Bella, non è un crimine. Ti sei tagliata un dito con la carta di un regalo…nessuno ti condanna a morte per questo! ».

«Ma è colpa mia lo stesso.».

Perché anche lei si doveva colpevolizzare?
Non faceva altro che rendere le cose più difficili..non capiva che il problema ero io?
Non era lei il mostro, ero Io.
Io la mettevo in pericolo solo standole vicino.
Io che rischiavo di ucciderla solo con una carezza.
Io che ero mostro e predatore.
Scoppiai e le dissi quello che mi pungolava la mente da troppo tempo.

«Colpa tua? Se fossi stata con Newton, Jessica, Angela gli altri tuoi amici umani non sarebbe successo niente di questo! Quale sarebbe stato il maggior pericolo, non trovare i cerotti? Se fossi davvero inciampata e ti fossi tirata addosso dei piatti, senza che nessuno ti ci scaraventasse contro, cosa avresti rischiato? Di sporcare i sedili della macchina mentre ti portavano al pronto soccorso? Magari uno dei tuoi amichetti, Mike Newton, per esempio, ti avrebbe tenuta per mano mentre ti davano i punti, senza dover combattere la sete che ho di te. Bella, smettila di dire che è colpa tua. Mi faccio ancora più ribrezzo».

«Che diavolo c'entra Mike, adesso?».

«Mike Newton c'entra, perché sarebbe molto più sicuro per la tua incolumità stare con un umano come lui, piuttosto che con un mostro come me», ruggii, infuriato con lei perché non capiva perché si ostinava ad amarmi contro ogni logica, con me per la mia natura di mostro.

«Piuttosto che stare con lui preferirei morire.», protestò. «Preferirei morire se l’alternativa è non stare con te».

«Smettila di fare il melodramma, per favore».

«E tu non essere ridicolo». Non risposi. Continuai a guardare fuori dal vetro, gli occhi fissi sulla strada. Mi sforzavo, lottavo contro me stesso cercando un motivo valido per stare con lei. Stretto nella mia lotta interiore tra ciò che era giusto e ciò che era sbagliato.
Arrivati nel vialetto spensi il motore, fermo al volante, non mi muovevo.

«Resti con me stanotte?», chiese, implorante.

«Sarebbe meglio che io tornassi a casa.» Sì, sarebbe stato meglio, dovevo avvisare gli altri della mia decisione sempre che Alice non l’avesse già fatto.

«È o non è il mio compleanno».

«Smettila di fare i capricci... vuoi o no che tutti fingano che non lo sia? Scegli!». Parlai deciso, ma ormai era riuscita a smuovermi, e probabilmente capì di avere vinto.

«Okay. Ho deciso. Voglio che sia il mio compleanno, che non lo ignori. Ti aspetto di sopra».
Saltai giù e prese i regali. La guardai torvo.

«Non devi prenderli per forza».

«E invece li voglio», risposi automaticamente.

«Invece no. Carlisle ed Esme hanno speso dei soldi per comprarli e tu sono settimane che dici che non vuoi che spendiamo soldi per i tuoi regali».

«Sopravviverò». Strinse goffa i pacchetti con il braccio buono e si chiuse la portiera alle spalle. La mia piccola dolce, fragile Bella. In meno di un secondo ero sceso e l’avevo già raggiunta

«Lascia almeno che te li porti», e glieli tolsi di mano. «Ti aspetto in camera tua».

Sorrise. «Grazie».

«Buon compleanno», sussurrai, chinandomi e le sfiorai dolcemente le labbra. La sentii allungarsi per prolungare il bacio, ma mi allontanai lo stesso, regalandole il sorriso che sapevo l’aveva fatta innamorare di me e mi allontanai nell’oscurità, salendo veloce fino alla sua finestra.
Mi sedetti sul letto, giocherellando con i suoi regali, la sentii raccontare a Charlie della festa, dell’eccesso di Alice e mi scappò un sorriso tirato, e poi dare la buona notte. Neanche aveva fatto tre gradini che sentii Charlie chiedere

«Cos'hai fatto al braccio?».

La sentii imprecare in modo sommesso «Solito sono inciampata. Ma non è nulla».

«Non ti smentisci mai vero?», sospirò, immaginai la sua espressione rassegnata ormai alla goffaggine della figlia.

«Notte, papà».

Nonostante quello che Bella credeva, suo padre era molto perspicace, la capiva al volo, vedeva molte cose che la figlia non gli diceva.
Entrò in camera interrompendo il filo dei miei pensieri. Era per me la visione più sexy che potessi avere, anche se nei suoi semplici pantaloncini e canottiera. Profumava di buono. Ora finalmente potevo respirare, e bruciare di sete e passione.
"Dovrai abituarti a fare a  meno di lei
" mi dissi, e una stilettata di dolore ferì il mio cuore morto.
Alzai gli occhi, volevo imprimermi ogni particolare di lei prima di abbandonarla.

«Ciao», dissi. La mia voce risuonò bassa, come proveniente da un abisso.. quello del mio dolore.
Si avvicinò al letto mi tolse i regali di mano e mi si sedette in braccio, audace come sempre, senza alcun timore, preda perfetta.

«Ciao». Si raggomitolò contro di me, modellandosi perfettamente alla pietra del mio corpo. «Posso aprire i regali, ora?».

«Da dove viene tutto questo ritrovato entusiasmo?», domandai.

«Nulla sono solo curiosa».
Afferrò il lungo rettangolo piatto, il regalo di Carlisle ed Esme.

«Posso?», suggerii, volevo evitare qualunque pericolo. Strappai la carta argentata con un solo movimento fluido. Le restituii la scatola bianca.

«Secondo te riesco ad aprire il coperchio senza fare danni?», mormorò, non risposi continuavo a guardarla, amavo ogni centimetro della sua pelle e l’avrei amata per sempre, se solo avessi potuto. Era intenta a studiare il regalo, un biglietto aereo per noi due, che probabilmente non avremmo mai usato,non dopo quello che stavo per decidere.

«Wow! Andiamo a Jacksonville?».

«Quella era l’idea».

«Non ci credo. Renée impazzirà! Ma tu come farai? Non potrai uscire per il sole, non sarà un problema?».

«Direi che ce la posso fare.. potrei sempre accampare la scusa di qualche tesina..», risposi. «Se avessi saputo che avresti reagito così, te lo avrei fatto aprire davanti ai miei, avevano un po’ paura che ti arrabbiassi».

«Si, cioè, no. È vero è troppo, ma andremo insieme!».

Sorrisi. «Sai sto cominciando a pentirmi di non avere speso nulla per il tuo regalo. Non credevo che alla fine saresti rinsavita».
Ripose i biglietti e prese l’ultimo pacchetto, il mio regalo, lo scartai come avevo fatto con l’altro, le diedi il compact disc argentato, la mia musica, il mio cuore.

«Cos'è?», chiese perplessa.
Non risposi; presi il CD e lo misi direttamente nel lettore, avrebbe sentito direttamente cosa era il mio regalo, non le avrei rovinato la sorpresa. Aspettammo in silenzio. Poi iniziò la musica. La mia musica, la sua ninna nanna. La vidi restare in silenzio, le lacrime agli occhi, aspettavo una risposta che non arrivava.

«Che hai? Il braccio…?», chiesi, ansioso.

«No, non è quello. È il regalo più prezioso che potessi farmi». Continuò ad ascoltare rapita..

«Pensavo che portare un piano fin qui non sarebbe stato così semplice..», spiegai e sorrisi al pensiero.

«Già».

«Come va il braccio, ti fa male?».

«Benino». "Piccola sciocca umana masochista è inutile che finga.. perché non accetta le attenzioni altrui?" pensai.

«Aspetta ti porto un’aspirina».

«Non devi, non serve», protestò, ma non la ascoltai e andai in bagno tornando poco dopo, non feci quasi caso all’avvertimento che mi aveva lanciato, probabilmente voleva ricordarmi che Charlie non sapeva che io passavo quasi tutte le notti da lei, ma non serviva ricordarmelo, lo sapevo da solo e poi ero sempre più convinto non era un bene per lei, avrei dovuto smettere…
Tornai prima che la porta si richiudesse, e le diedi l’aspirina, stranamente la prese senza opporsi, che stesse guadagnando un poco di buon senso? Probabilmente, mi dissi, era solo perchè il braccio cominciava a farle male, l’effetto dell’anestetico doveva ormai essere svanito.
  
«È tardi, non è ora che gli umani vadano a dormire?», glielo feci notare, e dolcemente la misi a letto, avvolgendola nella coperta, non volevo gelarla col mio corpo. Mi sdraiai accanto a lei e la abbracciai. Si accoccolò ancora più vicino a me e la sentii sussurrare.

«Grazie ancora».

«Prego».
Restammo in silenzio entrambi sul finire della sua ninna nanna. Ma la mia mente galoppava, era giusto privarla delle sue esperienze umane? Metterla in pericolo? O era solo puro egoismo da parte mia? Cercai di convincermi che accanto a me era più sicura che lontano, che siccome era una calamita per disgrazie non le avrebbe evitate comunque. ‘certo, se poi tu la metti davanti a un vampiro affamato..’ mi disse la voce nella mia testa..

«Che stai pensando?», chiesi in un sussurro.
Attesi un secondo, dovevo dirle la verità, ma in un certo modo non volevo. «Ecco, pensavo a cosa è giusto e cosa sbagliato».

«Ricordi che ho deciso di non volere che ignorassi il mio compleanno?» voleva cambiare discorso, la spaventava vedermi pensieroso.

«Sì», risposi, cosa voleva, cosa cercava? Qualcosa che avrei potuto darle senza farle del male?

«Be', pensavo siccome è ancora il mio compleanno, vorrei ricevere un altro bacio».

«Sei avida, stasera». Era umana, tanto umana, e per questo la amavo, ma per questo era altrettanto fragile

«Lo sono - ma per favore, fallo solo se lo vuoi anche tu», aggiunse, doveva essersi accorta che ero molto turbato.
Risi e sospirai.

«Non sia mai detto che io faccia qualcosa controvoglia», ero disperato, la volevo, più di ogni altra cosa, la desideravo, desideravo il suo corpo. Le presi il mento tra le mani, trattandola come una bambola di porcellana e appoggiai le mie labbra sulle sue.
All’inizio fui prudente come solito, sapevo quale limite non dovevo oltrepassare, ma poi decisi di spingermi un po’più avanti…
se davvero volevo lasciarla, se davvero dovevo cominciare a fare a meno di lei avrei dovuto sciogliere le sue mani da dietro i miei capelli, ma non ci riuscii; anzi, giocai con la mia mano libera, carezzandole i capelli, tenendola più stretta a me.
La mia mente mi diceva di staccarmi, il mio corpo di rimanere immobile.
A malincuore sciolsi il bacio, staccandomi bruscamente, allontanandola dalle mie zanne, per un momento avevo quasi rischiato di perdere il controllo, di metterla in pericolo, di nuovo…
Crollò sul cuscino, ansimava, non aveva più fiato, avevo esagerato.

«Scusa», dissi, il fiato mancava anche a me. «Ho esagerato».

«Non m'importa».

Mi rabbuiai. «Prova a  dormire, Bella».

«No, voglio un altro bacio».

«Sopravvaluti il mio autocontrollo».

«Cosa ti tenta di più: il mio sangue o il mio corpo?».

«L'uno e l'altro». Sorrisi un momento, non sapeva quanto quell’affermazione fosse vera, la mia parte umana e la mia parte di mostro in eterna lotta tra loro. «Ora, perché non smetti di sfidare la sorte e ti metti a dormire?».

«Va bene», rispose e si rannicchiò contro di me. Avvicinò il suo braccio al mio corpo, sciocca, pensava non me ne sarei accorto… ma era dolce anche nel suo essere sciocca. In un baleno cadde nel mondo dei sogni.
Era bella anche mentre dormiva, anzi, molto più che bella, era il sole della mia esistenza altrimenti vuota.
La amavo e la desideravo sopra ogni cosa, ma sapevo che ero il primo a metterla in pericolo.
Persino in quell’istante la gola mi bruciava, il suo sangue mi chiamava, il suo corpo mi chiamava.
Natura umana e natura di mostro unite in me stesso.
Le mie labbra bruciavano ancora del contatto con le sue, di quel bacio più profondo.
Ne avrei voluti altri cento, altri mille, non mi sarei mai staccato da lei.
“Finirai per farle del male” maledetta vocina nella mia testa, perché non voleva tacere?
Perché mi doveva fare del male? Ma in fondo aveva ragione.
Che fosse la mia coscienza che si risvegliava?
Io volevo stare con Bella, sempre a tutti i costi, la amavo più della mia stessa vita, avrei preferito morire che vivere un solo istante della mia eterna esistenza senza di lei. Nondimeno la mia presenza la esponeva a un continuo pericolo.
Per colpa mia la primavera precedente era quasi morta, una fitta di dolore e rabbia mi percorse al pensiero di lei, pallida e ferita da quel sadico di James nella scuola di ballo.
Per colpa mia aveva rischiato di morire questa sera, durante una innocua festa di compleanno. Era bastato un nonnulla, la sua goffaggine a scatenare cinque vampiri famelici e a mandarmi nel panico.
Meritavo io nonostante tutto di starle accanto? 
Potevo continuare a metterla in pericolo costante per colpa del mio amore?
No, non lo meritava.
Bella meritava una vita serena, una vita umana quello era quello che meritava, quello che avrebbe avuto…me ne sarei andato. L’avrei lasciata. L’avrei liberata dalla mia presenza, lasciandola libera di trovare la felicità senza di me. Lasciandola vivere una vita lunga e felice, togliendo finalmente il pericolo dalla sua strada.
Avevo riflettuto tutta la notte e ora avevo deciso. Attesi l’alba, poi le diedi un bacio sulla fronte sussurrandole all’orecchio un “Ti amo” e uscii dalla finestra.

 

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Capitolo 3
*** 3. La fine ***


Ciao a tutti! 
sono in imperdonabile ritardo lo so! avevo promesso che avrei pubblicato subito dopo le ferie... ma a riprendermi da Venezia ci ho messo più del previsto! 
senza altri indugi vi lascio il capitolo! 
grazie a chi mi ha inserito nelle ricordate, recensite, reguite e anche a chi è solo passato di qui!
Vale



3
La fine
 
Corsi a casa sfrecciando più veloce del vento nella foresta verde e muschiosa di Forks, avrei desiderato perdermici, lasciare libera la mente, ma non appena imboccai il viottolo che portava alla radura dove si trovava la grande casa bianca fui assalito dai pensieri infuriati di Rosalie.
“Brutto cretino! Perché ci dobbiamo rimettere tutti? Non voglio andarmene! Ci siamo appena trasferiti e ambientati! Egoista! Dovevi pensarci prima! Lasciare che io e Jasper sistemassimo le cose un anno fa o che si trasformasse!” questi erano solo i più carini e gentili, gli altri erano davvero irripetibili.
Non potevo ignorarli, mi urlavano nella mente a un volume esagerato. In quel momento avrei solo voluto silenzio, e invece dovevo ascoltare anche le lamentele di Rose; perché si comportava come una bambina egoista? In fondo era la sua natura, ma avrebbe potuto riflettere prima di parlare. Se solo avesse saputo cosa passavo, cosa soffrivo all’idea di lasciare Bella, il mio cuore, la mia anima, la mia ragione di vita, non avrebbe parlato così. Ma era Rosalie, sempre tutta concentrata su se stessa, sempre solo sulla sua bellezza, mai un pensiero per gli altri… non avrebbe capito, lei con Emmett non aveva problemi di questo tipo, non li avrebbe mai avuti, si sarebbero amati per l’eternità, io invece per l’eternità avrei sofferto…
Alice mi venne in contro sulle scale «Non c’è nulla che io possa fare o dire per farti cambiare idea vero?», la mia sorellina, lei si che mi voleva bene, vedeva quanto male stavo e sarei stato. In un certo senso mi capiva, non avrebbe mai sopportato l’idea di perdere il suo Jasper, lo amava troppo, di un amore troppo profondo… per questo capiva o almeno immaginava il mio dolore.
«No, Alice, ormai ho deciso. Hai già detto agli altri?»
«Sì, almeno quella te l’ho risparmiata. Si stanno già muovendo. Partiamo domani. Tu? Non puoi andartene così, senza dirle nulla, ne soffrirebbe troppo. Devi parlarle.»
«Lo so.» Risposi secco ed entrai. Non avevo voglia di parlare. Superai il salone e raggiunsi lo studio di Carlisle. Lui era la seduto alla sua scrivania.
«Carlisle. Ho fallito.» Era lo sconforto, la disperazione a parlare per me.
«Edward. Non disperarti. Una soluzione alternativa potremmo trovarla.» provò.
«No. Non intendo più esporla ad alcun pericolo.»
«Sai che soffrirà immensamente… lo sai che tu non la dimenticherai…»
«Lo so. Ma è umana le sue emozioni sono volubili, guarirà e troverà la sua felicità, una che sia giusta. Non pericolosa…» risposi provando a credere a ciò che stavo dicendo.
«Va bene. Se questo è ciò che desideri ti appoggio. Gli altri non quasi già pronti. Alice ci ha avvisato appena siete usciti ieri sera di fare le valige. Ho voluto fare un tentativo. Ma se questa è la tua decisione partiremo. Ho già mandato un fax con le mie dimissioni all’ospedale. Domattina recupererò tutte le mie cose e poi ce ne andremo a Denali.»
«Va bene. Grazie.»
«Tu però non puoi andartene senza parlarle. Dei dirle addio, spiegarle.»
«Sì. Lo farò e poi vi raggiungerò. A Denali. E li forse troverò pace.» Mi squadrò con aria preoccupata, sentivo la preoccupazione nei suoi pensieri. Sapeva che senza Bella non potevo trovare pace, era lei la mia pace, il mio paradiso. Uscii dallo studio e mi diressi verso la mia stanza. Non potevo sopportare lo sguardo pieno di dolore di Carlisle, meno ancora avrei sopportato quello di Esme, sentivo che soffriva per me, o la rabbia di Rosalie, o la frustrazione di Jasper che si sentiva colpevole. “Andatevene dalla mia testa!” avrei voluto gridare. Ma non potevano. Era il mio dono e insieme la mia condanna sentire ogni loro pensiero, condividere ogni loro emozione. Mi vestii per la nuova giornata e presi la Volvo. Non lo salutai nemmeno, non lo avrei sopportato, lasciai un foglio sullo scrittoio di Esme in cui le dicevo che li avrei raggiunti in breve tempo dai nostri cugini di Denali, da Tanya, ma non potevo sopportare di leggere il dolore della partenza nei  loro occhi. Mi diressi verso la scuola. Troppo velocemente arrivai nel parcheggio deserto. E mi ritrovai solo con i miei pensieri, a riflettere su come dire addio alla mia unica ragione di vita.
Il tempo trascorreva lento, eterno. Ogni minuto di quell’ora in cui attesi seduto nella mia  auto mi sembrò una eternità. Poi finalmente i primi studenti cominciarono ad arrivare, a fare commenti sul perché “strambo – Cullen” fosse li così presto. Ma era facile ignorare quelle insignificanti voci umane. Sentii il rombo del Pick-up di Bella quando era a circa un chilometro, scesi dall’auto e mi appoggiai alla portiera, ad attenderla. Parcheggiò nell’unico posto disponibile. Lontano, al limite del parcheggio, la raggiunsi e le aprii lo sportello.
«Come stai oggi?». Le chiesi, forse ero troppo apprensivo..
«Splendidamente», mentiva, glielo si leggeva negli occhi, non era una brava attrice. Sobbalzò quando chiusi la portiera. Camminammo in silenzio fino all’aula, la vedevo riflettere, una ruga disegnata in mezzo alla fronte, sul viso che tanto amavo era disegnata la concentrazione. Avrei tanto voluto sapere cosa pensava, cosa ardeva di chiedermi. Ma non lo fece. Non parlò, non chiese nulla. Passai la mattinata a osservarla, a guardare ogni minimo cambiamento sul suo viso, a seguire ogni guizzo dei suoi occhi. Le chiedevo ogni tanto se le faceva male il braccio. Ero sinceramente preoccupato, ma appena la sua risposta giungeva mi richiudevo nel mio mutismo. Pensavo, meditavo, cercavo le parole migliori con cui dirle che stavo per lasciarla, che sarei uscito dalla sua vita per sempre, per non rientrarvi mai più. Ma non le trovai in quel mattino.
Arrivò finalmente l’ultima campanella del mattino, e ci sedemmo a mensa, sapevo che Bella aveva un grande spirito di osservazione e si sarebbe subito accorto della mancanza di Alice, ma evitai l’argomento fino a quando mi fu possibile.
«Dov'è Alice?», chiese, non mi sbagliavo, l’aveva cercata con lo sguardo per tutta la mensa e non vedendola si era preoccupata.
Senza volerlo però aveva fatto precisamente la domanda che non volevo, sbriciolai quello che avevo tra le mani, dovevo assolutamente calmarmi o non avrei controllato la mia voce spaventandola: «Con Jasper», le risposi atono
«Come sta? Sta bene?».
«Se n’è andato. Ha deciso di prendersi un periodo in cui stare lontano, a riflettere». Risposi con una mezza verità.
«Cioè? Dove?» era sinceramente preoccupata e dispiaciuta per mio fratello.
Mi strinsi nelle spalle, sapevo mentire bene e non volevo che l’argomento andasse troppo avanti dopo tutto ero io quello che fuggiva, non Jasper, ero io quello che stava per andarsene: «Non sa ancora di preciso».
«E Alice gli farà compagnia», non era una domanda. Era fin troppo perspicace, sapeva che quei due non potevano stare lontani, dove era l’uno era l’altra, due metà di un’anima… “come noi” pensai e questo mi procurò una forte fitta di dolore.
«Sì, starà con lui per un po’. Vorrebbero trasferirsi a Denali.». una mezza bugia, saremmo andati tutti lì, anche se la versione ufficiale era un trasferimento a Los Angeles. Deglutì in maniera evidente.
«Ti fanno male i punti?», chiesi premuroso.
«Chi se ne importa dei miei punti!», l’avevo fatta arrabbiare.
Rimasi in silenzio, lei appoggiò la testa sul tavolo. Le avevo fatto passare l’appetito. Era triste, lo sapevo le sarebbe mancata Alice, ed era sconfortata, si sentiva in colpa. Quando la campanella suonò le diedi un buffetto sulla testa e la accompagnai a biologia. Sedetti a fianco a lei per le restanti due ore mantenendo le distanze, in silenzio, fingendo attenzione al professore, come se mi importasse qualcosa di quella stupida lezione, quelle cose già le conoscevo a memoria!
«Puoi venire un po’ dopo, stasera?», mi chiese mentre la riaccompagnavo al pick-up
«Perchè?». La sua richiesta mi stupiva, una parte di me sperava che il suo spirito di conservazione si stesse risvegliando e stesse cominciando a temere il suo fidanzato – vampiro.
«Oggi lavoro. Recupero la giornata libera di ieri ».
«Ah».  
«Però ti aspetto quando ho finito, d'accordo?». Esitò temendo la mia risposta.
«Se vuoi…» la scelta doveva essere sua, non mia, lei doveva essere libera anche di fuggire da me se lo avesse desiderato, lo avevo sempre messo come prima condizione.
«Certo che sì! Che domande fai?», ribadì quasi scocciata dalla mia domanda. Le risposi indifferente.
«D'accordo», di nuovo la baciai sulla fronte, chiusi la portiera e mi avviai alla mia Volvo. La vidi uscire dal parcheggio turbata, era triste, glielo leggevo in faccia, le mie parole o le mie azioni l’avevano ferita? Decisi di seguirla, da lontano solo per essere sicuro che stesse bene.
Mi fermai a qualche centinaio di metri da lei, la vidi discutere con se stessa dentro al pick-up e per la miliardesima volta mi maledissi perché non potevo sentirne i pensieri. Poi la vidi scendere ed entrare nel negozio. Mi avvicinai. Sentii Mike Newton informarsi su come fosse stato il suo compleanno, se si fosse divertita, quali regali avesse ricevuto; Bella con molto buon senso glissò l’argomento. Bene, neanche lei voleva parlarne era una certezza ormai: l’avevamo spaventata. Era giusto che la lasciassi vivere tranquilla, che togliessi dalla sua strada il pericolo che rappresentavo. Avrebbe trovato lo stesso la felicità, con un umano come Newton, anche se a questo pensiero la gelosia mi uccideva, dilaniandomi il cuore. Sarebbe stata felice, serena, sicura, avrebbe avuto una famiglia e non mi avrebbe più rivisto. Quando vidi che il suo pomeriggio sarebbe stato tranquillo, che nessun pericolo era in agguato decisi di andare a casa sua, parcheggiai la Volvo dall’altro lato della strada, scesi e mi sedetti sui gradini davanti alla porta.
Dovevo tenere la mia mente occupata, non potevo permettere che vagasse indisturbata, che mi portasse a pensieri cupi di quello che sarebbe stato il mio futuro senza Bella. Per non pensare mi misi a contare una fila di formiche che correva verso uno degli alberi. Una, due, tre… alla formica tremilaseicentoventisei sentii il rumore della macchina di Charlie e sentii i suoi pensieri, era confuso di trovarmi li seduto, non capiva, era una cosa nuova, e come tale lo metteva in imbarazzo e lo spaventava un po’.
«Buona sera, capo Swan.» Anche io ero nervoso, nonostante i miei più di cento anni, non ero tranquillo.
«Edward, quante volte ti devo dire di chiamarmi Charlie?» era chiaro, voleva mettermi a mio agio, ma voleva anche lui un’atmosfera meno rigida.
«Aspettavo Bella, è ancora a lavoro.»
«Ah, sì, credo di sì.» Fantastico! Non aveva neanche idea di dove fosse sua figlia, un moto di rabbia mi corse nella mente, come poteva non preoccuparsi? Per quanto Forks fosse una città minuscola non poteva essere così tranquillo…
«ok, allora aspetto.» risposi pronto a tornare alla mia occupazione precedente.
«Entra. – mi disse esitante – non vorrai stare qui fuori a congelarti?» vero, avevo tralasciato che un’umano non sarebbe mai rimasto immobile davanti a una porta, dovevo stare più attento. Aprì la porta e lo seguii, Charlie si tolse la giacca e appese la fondina, io lo imitai, non avrei più sbagliato. Prese il telecomando e si accomodò sul divano. «Siediti non startene lì impalato, sembri un soprammobile.» Risi educatamente alla sua battuta e mi accomodai sulla poltrona. Charlie ordinò la sua pizza e non si scompose più di tanto di fronte alla mia mancanza di appetito, ormai ci era abituato. Io rimasi concentrato sulla partita non che mi interessasse il baseball, ma dovevo pur sempre mantenere la mia immagine, poco importava che la mia fosse una finzione. Dopo circa mezz’ora sentii il rumore del pick-up e poco dopo Bella entrò.
«Papà? Edward?».
«Siamo qui», rispose Charlie. Io continuai a guardare la tv, come se fossi veramente interessato alla partita.
«Ciao», disse.
«Ciao, Bella», rispose Charlie senza neanche voltarsi. «Se hai fame c’è della pizza in cucina».
«Grazie».
Si diresse verso la cucina, ma a metà del corridoio si fermò a guardarmi, «Arrivo subito», dissi. Ma poi tornai a guardare la TV. Sentii i suoi passi sparire veloci in cucina, dove rimase un po’, poi la sentii salire le scale, e poi di nuovo scendere. Era nervosa, sapevo bene perché, era una reazione al mio umore.
Finalmente tornò in sala dopo avere appoggiato qualcosa sul tavolo, guardai con la coda dell’occhio era la sua macchina fotografica, il regalo di Charlie. Mi girai e il flash mi colpì di sorpresa lasciandomi abbagliato per un momento. Anche Charlie si voltò accigliato. Io ancora tentavo di recuperare la vista, erano fastidiosi i mille puntini di luce bianca che mi ballavano davanti agli occhi.
«Cosa fai, Bella?», si lamentò Charlie.
«E dai». Sorrise e si sedette accanto a lui. «Lo sai che mamma chiamerà e vorrà di sicuro sapere se uso i vostri regali. Dovrò pur dirle qualcosa!».
«Sì, ma devi proprio fotografare anche me?», borbottò.
«Certo, primo sei il mio papà, secondo se un bell’uomo e poi, mi ha comprato tu la macchina no? E allora paga pegno e fatti fotografare!».
«La prossima volta col cavolo che ascolto Reneè, io odio le foto» borbottò tentando di non farsi sentire dalla figlia.
«Dai, Edward, - disse Bella indifferente, come se suo padre non avesse aperto bocca – faccene una!».
Mi lanciò la macchina fotografica, evitò di guardarmi negli occhi, sapeva che stavo collegando le cose. Forse iniziava a capire e sperava che anche noi ce ne saremmo andati, come Alice e Jasper…”oh povero amore mio, come ti sbagli, come vorrei che fosse così, ma se non ci fosse pericolo non me ne andrei neanche io”
«Bella sorridi», mormorai.
Sorrise, una smorfia tirata che non rendeva giustizia al suo sorriso, ma io scattai.
«Okay, ora è il vostro turno», propose Charlie. “Magari così evito altre foto!” e come lo sapevo io lo sapeva anche sua figlia. Mi alzai in piedi, gli porsi la macchina fotografica a mi avvicinai a Bella. Mi limitai ad appoggiarle una mano sulla spalla,  lei mi strinse forte.
«Sorridi, Bella», ribadì Charlie.
Sospirò e sorrise, entrambi fummo accecati dal flash.
«Ok, per sta sera basta. Se finisci subito il rullino poi come fai sennò?” disse Charlie e nascose la macchina fotografica tra due cuscini. Io tolsi la mano dalla spalla di Bella e tornai a sedermi sulla poltrona, se volevo abituarmi a stare senza di lei, dovevo cominciare a prendere le distanze. Bella raggiunse il padre sul divano, tremava, si rannicchiò con le gambe strette al petto, appoggiando il mento sopra queste. Non si mosse di un centimetro per tutta la serata, non fosse stato per il battito del suo cuore che martellava un ritmo veloce ma costante avremmo potuto scambiarla per uno di noi. Finita la partita mi alzai.
«Devo tornare», dissi.
Charlie non si mosse, ipnotizzato dalla televisione, accennò solamente «Ciao, ciao».
Bella barcollò giù dal divano, imprecai mentalmente contro la sua goffaggine. Mi accompagnò alla porta, che io infilai, dirigendomi diretto verso la Volvo.
 «Te ne vai? Non resti?», chiese, ma già sapeva la risposta e la temeva, lo sentivo.
«Stasera no».
Non mi chiese perché, mi lasciò andare senza aggiungere altro. Attraversai il vialetto e la strada e salii in auto. Misi in moto e mi sentii sprofondare. Nello specchietto la vidi ancora ferma davanti alla porta, evidentemente aspettava che io tornassi indietro, che tornassi da lei, che le spiegassi il motivo di tanta freddezza, ma non potevo, non in quel momento anche se l’avrei fatto presto.
Sfrecciai a centosessanta fino a casa, poi scesi, non entrai nemmeno nella grande casa bianca che ormai sapevo vuota. Mi diressi nella foresta, verso le montagne, non volevo voci nella mia testa, volevo solo solitudine, con le immagini e i miei ricordi di Bella, la Bella felice, quella che amavo, non quella in pericolo davanti al mostro. Nella mia folle corsa verso le vette ormai innevate incrociai una scia che prometteva bene, sapeva d cibo, di sangue, della promessa di placare la sete che sempre mi ardeva la gola. Estesi la mente e mi lascia andare agli istinti, avrei voluto essere un animale, non un essere senziente e, in quel momento, molto mi avvicinai ad esserlo. Mi acquattai su un ramo basso, potevo sentire il cuore della mia preda pulsare, stava accelerando doveva avermi fiutato. Sapeva che di lì a poco sarebbe diventato da cacciatore, preda, lo intuiva. Ma davanti alla morte non fuggiva, lui coraggioso felino mi attaccò per primo, mordendo e graffiando con le sue zampe poderose che nulla potevano contro il mio corpo di marmo. Fu quasi un lutto affondare le zanne nel collo del leone di montagna, degno avversario della mia furia. Lui era stato coraggioso, aveva affrontato il pericolo ed era morto nel tentativo, io sarei stato abbastanza forte? Sarei stato in grado di affrontare la prova più ardua? Vivere senza la mia ragione di unica ragione di vita. Sarei stato capace di vivere senza la mia Bella? Si, mi dissi e così sarà anche lei. Le lascerò il mio cuore, ma sopravvivrò, dopo tutto conducevo la mia esistenza anche prima di incontrarla, anche prima di conoscere il mio sole, la mia luce, l’altra metà della mia anima. “Sopravvivrai, devi farlo, devi lasciarla, devi darle la possibilità di vivere.” Riuscii a convincermi ancora una volta. Ancora una volta soffocai l’istinto che mi diceva di non abbandonarla, incurante del dolore che mi sarei provocato.
Tornai dalla caccia troppo presto, entrai veloce nella casa vuota. Trovai un biglietto di Alice sul mio divano. “So che non serve a nulla perché sei testardo come un mulo, ma ti prego ripensaci.” Sorrisi. La mia tenera sorella – veggente. Mi voleva bene e ne voleva a Bella. Si preoccupava per noi. Mi cambiai, indossando una camicia nera di cotone e un paio di jean scuri, sopra un pullover chiaro. Di nuovo arrivai a scuola troppo presto e rimasi ad aspettare Bella. Di nuovo le sedetti accanto sempre in silenzio. Anche a mensa le ero vicino, ma non dissi nulla, la vidi passare la macchina fotografica ai suoi compagni umani, vidi lo sciocco gioco che cominciò appena scattarono la prima foto, ma nulla mi toccava.
Dopo le lezioni la accompagnai al pick-up, anche quel giorno doveva lavorare. Decisi che l’avrei lasciata in pace, che non sarei andato da lei nemmeno dopo il lavoro, nemmeno la sera. Mi presi quella giornata come prova, avrei provato resistere lontano da lei. Aspettai che partisse dal parcheggio della scuola poi di nuovo mi diressi nella foresta. Corsi, per ore, a perdifiato, gli alberi che si piegavano al mio passaggio, gli uccelli e gli animali che scappavano e si rintanavano consci del pericolo che rappresentavo. Consci della minaccia che incombeva su di loro se solo avessi deciso di mettermi a cacciare ma non era giornata, non ero ancora abbastanza assetato, mi ero nutrito più che abbondantemente il giorno prima. Il sangue del puma che avevo ucciso scorreva ancora ben forte e vigoroso nel mio corpo. Passai quasi tutto il pomeriggio nella mia folle corsa senza meta. Poi senza accorgermene ripresi la via che mi portava a Forks. Guidato da una forza invisibile giunsi a casa di Bella, ormai era buio, nessuno più vagava per la città. Vidi due luci accese, quella della sala, Charlie era come sempre disteso sul divano sfondato, e quella della sua camera. Decisi di salire su un albero per vedere cosa stava facendo. Scelsi quello che mi dava la visione migliore della sua camera, un pino non troppo alto, mi acquattai tra i rami e ringraziai l’idea che avevo avuto al mattino di vestirmi di scuro. Stava sistemando le fotografie che aveva scattato nei giorni precedenti. A un tratto ne prese e le confrontò, «Sì, decisamente, ha qualcosa che non va. Non è il mio Edward» disse. E in quel momento fui pienamente consapevole che avesse capito. In qualche modo sapeva che ero cambiato. In qualche modo intuiva che sarebbe successo qualcosa di terribile e lo temeva. Finì di riporre le fotografie e di scrivere le didascalie. Rimasi quasi tutta la notte a osservarla da lontano. Non riuscivo a staccarmene. La vidi rigirarsi nel letto faticava a prendere sonno, e poi continuare ad agitarsi. Passai la notte a guardarla e riflettere. Solo poco prima dell’alba tornai a casa, veloce, per cambiarmi d’abito. Avevo deciso. Le avrei parlato e poi me ne sarei andato per sempre. Uscendo sfiorai i tasti del mio pianoforte. Una musica lenta e triste cominciava a comporsi nella mia mente. Sarebbe stata la musica dell’addio, della mia solitudine, sarebbe stata l’unica compagna del mio futuro. 
Di nuovo una mattina lenta, vuota. Non mi interessava, non ascoltavo nulla. Ero lì presente col corpo vicino a Bella, ma la mia mente non c’era, vagava, in cerca delle parole migliori, di quelle che potessero ferire il meno possibile. Non importava della voragine che mi stavo scavando nel petto, mi importava solo che lei non soffrisse.
Fu con sollievo che accolsi la campanella della fine delle lezioni, potevo finalmente fingere di essere normale, potevo comportarmi, finalmente, in modo genuino. A Bella non dovevo nascondere nulla, sapeva tutto e conosceva il mostro e non lo temeva. Ma il mostro ora stava per annientarla, l’avrebbe ferita a morte per salvarla, le avrebbe spezzato il cuore per il suo bene. Mentre la riaccompagnavo al pick-up presi il coraggio, era inutile ormai rimandare, e le chiesi «Posso venire da te?».
«Si, certo, perché non dovresti».
«Subito?», dissi mentre le aprivo la portiera.
«Sì. Volevo solo passare a spedire una cosa per Reneè. Mi aspetti a casa? ».
Voltai lo sguardo e scorsi sul sedile del passeggero una busta voluminosa. Immediatamente intuii, le foto! Aveva deciso di mandarne una parte alla madre. Immediatamente mi venne in mente un piano. Mi allungai e lo presi «Faccio io, e scommetto che arriverò lo stesso prima di te..», sorrisi velocemente il suo pick-up antidiluviano non poteva certo reggere il confronto con la mia Volvo quanto a velocità, ma fu un lampo di un istante e poi tornai a rabbuiarmi.
«Va bene», rispose. Non le lasciai il tempo di aggiungere altro, le chiusi la porta e mi diressi alla Volvo. Salii, misi i moto e guidai agile e veloce nel poco traffico di Forks fino alla posta. Soppesai il plico. Poi lo aprii, senza rovinarlo, in modo da poterlo poi richiudere. Guardai le foto e tolsi l’unica che mi ritraeva. “Come se tu non sia mai esistito” mi dissi. Era così che volevo andarmene. Volevo che lei vivesse come se non mi avesse mai incontrato e per questo dovevo togliere ogni mia traccia dalla sua vita. Richiusi il pacchetto lo imbucai e di nuovo mi diressi verso casa sua. Come previsto arrivai che il vialetto era deserto, decisi di parcheggiarmi al posto che di solito occupava Charlie, non sarei rimasto, le avrei parlato e poi sarei sparito dalla sua vita per sempre.
Arrivò pochi minuti dopo di me, la aspettavo appoggiato alla porta. Le andai incontro e le presi lo zaino togliendoglielo dalle spalle, lo poggiai sul sedile del passeggero e la guardai per un lungo istante. Aveva capito? Probabilmente immaginava qualcosa di terribile.
«Bella ti va una passeggiata? Dobbiamo parlare… », non attesi nemmeno la sua risposta, sapevo che non sarebbe arrivata, nel momento stesso in cui l’avevo guardata negli occhi vi avevo visto il terrore. Le presi la mano, mentre ancora taceva, incapace di trovare una risposta logica al mio comportamento, e la condussi nel bosco che confinava con il suo giardino, quella in cui tanto tempo prima l’avevo implorata di non entrare da sola. Era la visione di Alice che ora si concretizzava. Due persone che camminavano nel bosco, mano nella mano, una se ne sarebbe andata, l’altra sarebbe rimasta sola, sarebbe riuscita a trovare l’uscita? La visione non lo diceva..
Non la portai molto nel folto, ci fermammo appena al di là degli alberi, si vedeva ancora la casa, sarebbe riuscita a ritrovare la strada facilmente. Mi appoggiai un tronco caduto. Mi sarei strappato il cuore dal petto piuttosto che farle questo, ma dovevo, “Lo fai per lei, per il suo bene, non puoi permettere che corra altri pericoli per colpa tua” mi dissi per darmi il coraggio di parlare.
«Dimmi», disse, voleva sembrare coraggiosa, come davanti a James, voleva mostrarsi più forte di quello che era, non voleva mostrare le sue debolezze. Presi fiato. Parlare era più difficile del previsto.
«Bella, noi traslochiamo».
La sentii respirare.
«Perché? Se aspettassimo l’anno prossimo dopo il diploma...».
«Bella, non possiamo più rimandare. Fra poco la gente comincerà a parlare di nuovo di noi, e  qualcuno arriverà a capire che siamo diversi, che non invecchiamo. Dovremmo in ogni caso andarcene presto di qui».
Era rimasta perplessa, sapevo cosa sperava, voleva che ce ne andassimo io e lei, ma non potevamo. Non potevo portarla con me, il pericolo per lei derivava proprio da me. La vidi esitare, stava cercando di capire. Sostenni il suo sguardo impassibile, senza tradire nessuna emozione, decenni di finzione erano serviti a qualcosa..
«Hai detto stiamo...», sussurrò.
«Noi, i miei genitori, i miei fratelli e io». Posi l’accento su ogni parola soprattutto sull’ultima, doveva capire..
«Vengo con voi.» avevo immaginato questa sua reazione ed ero pronto.
«No, Bella. Non puoi seguirci in mezzo ad altri vampiri.».
«Il mio posto è dove sei tu».
«Ti sbagli, non sono adatto a te.».
«Non dire sciocchezze. Meglio di te non potrebbe esserci nulla per me».
«Il mio mondo e il tuo non possono coesistere, non possono intrecciarsi. »,ero risoluto nella mia decisione e non mi avrebbe smosso.
«Ma l’incidente…la festa di compleanno…Jasper…Edward non è colpa tua, non è successo nulla…non ha alcuna importanza!».
«E’ vero, era prevedibile». Ribattei freddo.
«Non puoi! Mi hai giurato che saresti rimasto con me, che non mi avresti lasciata… ».
«Solo fino a che non fosse un pericolo per te, fino a quando fosse stato per te bene. », precisai.
«NO! Non dirmi che il problema è la mia anima!», gridò, supplicò. «Carlisle mi ha detto la verità, mi ha detto quello che pensi. Ti prego non rovinare tutto, Edward, prenditi la mia anima, è già tua e senza di te non mi serve a nulla! ». “Credimi amore lo so, come la mia è già tua, insieme al mio cuore che con te ha ricominciato a battere e saranno tuoi per sempre” avrei voluto dirle quello che pensavo, quelli che erano i miei veri sentimenti. Ma non potevo, non dovevo. Presi fiato, guardai per terra. Dovevo sferrare il colpo di grazia che avrebbe ucciso il suo cuore e il mio insieme. Quando finalmente rialzai lo sguardo ero solo pietra dura, nessun sentimento traspariva dai miei occhi e dal mio corpo, ero una lastra di freddo marmo.
«Bella, non ti voglio con me». Scandii ogni parola lentamente. Ogni parola un colpo per i nostri cuori assieme. Volevo che capisse, che credesse, ma dentro di me urlavo di dolore e morivo a poco a poco.
«Tu... non... mi vuoi?».
«No». Di nuovo gelido.
Mi guardava persa. In cerca di una mia parola che non arrivò.
«Be', allora cambia tutto». La sua voce era calma ora, mi ero aspettato urla, pianti, suppliche, ma nulla di questo arrivò. Bella non era il tipo. Avrebbe pianto in silenzio, senza mostrarsi agli occhi degli altri, faceva parte del suo carattere. Sentii il bisogno di riempire il vuoto lasciato dalla sua voce. «Ovviamente, a modo mio, ti amerò sempre. Ma l’incidente al tuo compleanno mi ha aperto gli occhi. Non posso fingere di non essere un mostro. Non sono umano e ignorare la mia identità non è “utile” diciamo…sono stanco di fingere di essere qualcuno che non sono. Forse dovevo rendermene conto prima, parlarti prima..ti chiedo scusa».
«No». Sussurrò acida «Non farlo».
Le sue parole spruzzavano vetriolo, erano dette per ferirmi un poco, ma non scalfirono neppure la superficie del mio cuore ormai di nuovo freddo come pietra.
«Tu non sei la persona giusta per me, Bella». Era l’ultimo colpo. La sferzata finale.
La vidi che provava a dire qualcosa, non trovava le parole, si fermò e poi ricominciò.
«Se... ne sei certo». Sapevo bene che non si considerava all’altezza, ma mai come in quel momento avrei desiderato dirle che non era vero, che lei per me era tutto, che senza di lei non potevo vivere, ma non potevo, non dovevo farlo. Mi limitai ad annuire, non ero certo che la voce, per quanto allenata a mentire, non mi avrebbe tradito. Si paralizzò, immobile. Fu allora che mi venne in mente la fragilità della sua natura umana, quanto facilmente gli umani potessero ammalarsi, ferirsi, cercare di farsi del male di proposito… l’immagine mi assalì e il dolore fu ancora più forte. Fu per quello che aggiunsi. «Se posso ti chiederei un favore, però».
I suoi occhi furono illuminati da un lampo di speranza. Mi giurò con un filo di voce «Tutto quello che vuoi» sapevo che lo avrebbe detto. Sapevo che l’unico modo di vincolarla alla promessa era chiederglielo in nome dell’amore che io in quel momento stavo rinnegando. La guardai intensamente negli occhi, e le dissi, più un ordine che una richiesta. «Ti prego non fare nulla di stupido e insensato. Non sfidare la sorte. Capito?» annuì, ormai svuotata del tutto.
«Fallo per Charlie, stai attenta a ciò che combini… non riuscirebbe a stare senza di te.». “Neanche io amore mio, la sola idea che ti possa accadere qualcosa di male mi strazia. L’idea stessa che tu non possa vivere in eterno mi dilania, ma così deve essere, e dopo ti seguirò qualunque cosa mi aspetti.”
Annuì di nuovo. «Va bene», disse in un sussurro.
Ero un po’ più rilassato, sapevo che Charlie era l’unica altra persona che la teneva vincolata a Forks, e a lui non avrebbe mai fatto del male..
«Anche io ti faccio una promessa. Giuro che è l’ultima volta che mi vedi. Non tornerò più. Non ti metterò mai più in pericolo. Vivrai la tua vita senza più nessuna intrusione da parte mia o della mia famiglia. Sarà come se non fossi mai esistito, come se fossi morto nel 1918.».
La vidi vacillare presa dalle vertigini. Lo shock della notizia stava arrivando a fare il suo effetto. Le sorrisi dolcemente. Era comunque la mia piccola, fragile dolce Bella «Non preoccuparti. Sei umana… la tua memoria è poco più che un colabrodo pieno di buchi. Il tempo guarisce tutte le vostre ferite».
«E i tuoi ricordi?», chiese.
«Be'...». Feci una breve pausa, non dovevo pensare a me, alla sofferenza che mi aspettava. «Non dimenticherò. Ma noi ci distraiamo molto facilmente..». Sorrisi, era vero la nostra mente era molto spaziosa, ma difficilmente sarei riuscito a ignorare il mio desiderio e l’amore che provavo per Bella, speravo solo che non mi avrebbe consumato. Feci un passo indietro,verso il folto. «Tutto qui, credo. Non ti daremo più fastidio».
«Alice non tornerà». La voce non le uscì, ma capii lo stesso e scossi la testa
«No. Gli altri se ne sono già andati. Sono rimasto solo io, per dirti addio.».
«Alice se n'è andata?».
«Voleva salutarti anche lei, ma l'ho convinta che un taglio netto sarebbe stato per te meno doloroso».
Respirava ormai troppo veloce, era in iperventilazione, e in tutti i modi tentava di calmarsi senza risultato. Scosse la testa, come per mandare via un pensiero fastidioso, insopportabile.
«Addio, Bella», dissi con voce insolitamente tranquilla e pacifica.
«Aspetta!». Voleva gridarlo, ma la voce non arrivò alla bocca. Vederla così ferita, inerme di fronte alle mille spade che componevano le mie frasi mi aveva ferito nel profondo. Mi avvicinai, avrei voluto abbracciarla, baciarla, dirle quanto in realtà l’amavo, ma mi trattenni. Posai per un istante le mie labbra sulla sua fronte, l’ultimo bacio casto al mio amore.
«Fai attenzione», sussurrai e poi sparii in un vortice di vento leggero e innaturale.

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Capitolo 4
*** 5. Persuasione ***


Ciao a tutti!
Grazie a tutti quanti hanno letto!!!! siete un sacco!!!  =)
bando alle ciance... ciancio alle bande... ecco il primo aggiornamento vacanziero!!! 
Buona lettura!!!!

5. Persuasione

Le cinque ore di viaggio mi sembrarono interminabili. Un eterno scorrere di alberi tutti uguali accanto alla strada, senza che il paesaggio cambiasse mai, come se io non mi muovessi di un centimetro. Era solo una mia sensazione. Desideravo con tutto me stesso non muovermi da Forks, ma lento e inesorabile, minuto dopo minuto, chilometro dopo chilometro mi avvicinavo sempre di più alla mia meta. Denali. Lì avrei rivisto la mia famiglia. Lì avrei trascorso almeno i primi tempi della mia nuova esistenza senza Bella. Lì avrei scontato la dannazione nel buio eterno, ora che avevo lasciato il mio sole e l’unica luce della mia vita, indietro per sempre.
Giunsi in vista della casa di Tanya che era quasi mezzogiorno. Vidi la scura casa di legno alzarsi dietro il profilo degli alberi, sentii lo scroscio del ruscello e lo sciabordare tranquillo dell’acqua sulle sponde del lago. A mano a mano cominciai a sentire l’agitazione dentro la casa, i pensieri dei miei cari. Alice li doveva aver avvertiti del mio imminente arrivo perché li trovai tutti pronti ad accogliermi sulla soglia di casa. Mi strinsero in un abbraccio, senza dire nulla, non c’erano parole in quel momento, non c’era frase che potesse mitigare il mio dolore lo sapevano bene. Sentii i pensieri di tutti i miei cari concentrarsi sulla mia espressione, mi vidi riflesso in ognuna delle loro menti, un fantasma, l’ombra dell’uomo che ero stato. Era come se fosse morto qualcuno. Anzi, qualcuno era morto, il mio cuore per la seconda volta aveva cessato di battere nell’istante esatto in cui avevo lasciato Bella.
I giorni passavano lenti, ogni minuto come un’ora, ogni ora come un secolo. È assurdo come il tempo passa lento quando tu non vuoi altro che acceleri la sua corsa, come ogni volta che tu vuoi evitare un pensiero questo ti ritorni sempre in mente… così ogni volta che tentavo di ricacciare il mio dolore mi tornava in mente qualcosa di Bella, un tono della sua voce, i suoi occhi, il suo profumo,il caldo tocco delle sue dita sulla mia pelle fredda, il tocco morbido delle sue labbra sulle mie. Bastava un attimo e ogni mio sforzo era vano e il dolore del distacco dalla mia amata tornava a colpirmi più forte di prima. Divenni più taciturno. Sentivo nei pensieri di tutti la compassione che essi provavano per me. I loro pensieri non facevano che ripetere che non era la cosa giusta, che avrei dovuto agire diversamente, farla diventare una di noi. Ma non potevo permetterlo, mai avrei permesso che Bella perdesse la sua anima. La sola indifferente al mio dolore e al mio comportamento era Rosalie, troppo impegnata a tenermi il muso e a ringhiarmi dietro ogni sorta di insulto perché per colpa mia avevamo dovuto lasciare Forks, la nostra prima vera casa dopo anni. Non so se mi dessero più fastidio i pensieri irosi di Rose o quelli compassionevoli di tutti gli altri. Forse era una combinazione di entrambe le cose. Gli uni mi infastidivano perché ancora una volta mi dimostravano quanto fosse ottusa ed egoista mia sorella, gli altri mi facevano soffrire ancor di più. Non sopportavo di essere la causa di tanto dolore anche all’interno della mia famiglia. Sapevo che anche Alice soffriva, voleva sinceramente  bene a Bella, la considerava già una sorella, per lei il distacco era stato molto doloroso, e Jasper non mancava di ricordarmelo. D’altra parte lui doveva usare il suo potere molto spesso e avere attorno e sentire lui stesso tutto quel dolore lo turbava molto a causa del suo senso in più.  Esme e Carlisle da veri genitori soffrivano perché mi vedevano soffrire, preoccupati per quella che sarebbe stata la mia sorte futura. un pomeriggio li sentii distintamente discutere di me, captai solo poche frasi prima di lasciar loro un po’ di privacy, ma quelle poche frasi mi colpirono dimostrandomi quanto mi conoscessero e mi amassero.
«Credo che l’amore abbia cambiato totalmente la sua natura e che sarà difficile se non impossibile per lui riaversi da questo distacco.» stava dicendo Carlisle
E mia madre, la mia dolce mamma, rispose «Ma noi gli staremo accanto e tenteremo di riempire la voragine che si è aperta nel suo petto…»
La mia tenera Esme, era davvero una madre per me, con un groppo in gola che mi impediva di respirare e gli occhi gonfi di lacrime che non potevano scendere mi allontanai dalla casa, non potevo stare ad ascoltare. Ogni loro parola, ogni loro pensiero aumentava il mio dolore che era la causa del loro.
Mi sedetti su un sasso in riva al lago. Rannicchiai le ginocchia al petto e le cinsi con le braccia, volgendo lo sguardo allo specchio d’acqua. Osservavo i pesci salire a galla a prendere le mosche. Tentavo di occupare la mia mente con osservazioni della natura per non pensare, per cui non mi accorsi di Alice che era arrivata e si era seduta al mio fianco. Non so dire quanto tempo rimase seduta immobile accanto a me, guardando anche lei il lago. Aspettava. Aspettava che io mi accorgessi di lei, che trovassi il coraggio di parlarle, che trovassi il coraggio di aprire il mio cuore a lei, l’unica tra tutti i miei familiari che riuscisse veramente a capirmi, più della stessa Esme e di Carlisle.
«Alice» dissi, e lei si voltò a guardarmi con occhi profondi, mi mostrò un frammento di una visione: io che correvo nella foresta. Non c’era altro, nulla di più definito. Solo quella vaga immagine.
«Che cosa significa Edward?»
«Non lo so, ancora non lo so..»
Poi un altro frammento, Bella, la mia dolce piccola Bella, rannicchiata sul suo letto, l’album di fotografie buttato a terra mezzo aperto e lei in lacrime, scossa dai singhiozzi. Una coltellata colpì il mio petto. Non potevo sopportare di vedere Bella soffrire, in nessun modo lo potevo tollerare.
«Alice, smettila!» le ringhiai acido
«Lo sai, è inutile che neghi la verità, lei sta soffrendo, lo vedo chiaramente, e tu ti trascini avanti come uno zombie. Smettila di crogiolarti nel tuo dolore. Lo sai anche tu che non potrai continuare per molto, che il dolore ti condurrà alla pazzia se non torni da lei.»
«Alice, non capisci? Me ne sono andato, ho rinunciato a lei perché possa vivere una vita normale, una vita tranquilla»
“Tsé, una vita tranquilla lei che attira castrofi?”pensò scettica, ma io non mi feci fermare e proseguii «Non posso tornare, le ho promesso che non mi avrebbe mai più rivisto, che non avrei più interferito con la sua vita. L’ho promesso a lei e giurato a me stesso. Non la metterò mai più in pericolo.»
«Sai che anche se non sarai tu a metterla in pericolo ci sarà sempre qualcos’altro. Quella ragazza attira disgrazie, ricordatelo. E poi chi ti dice che proprio per il dolore perché tu l’hai lasciata non decida lei stessa di farsi del male? Chi te lo assicura, è fragile e umana, non serve per forza una calamità naturale o una forza sovrannaturale perché le succeda qualcosa di brutto….»
Scacciai veloce l’immagine di Bella fredda e immobile, la mia mente e il mio cuore non potevano sopportare neanche l’immagine o la fantasia di lei morta, se le fosse successo qualcosa in qualche modo, in qualsiasi modo l’avrei seguita. Mi aggrappai all’unica speranza che avevo: la sua promessa.
«Non lo farà. Me l’ha promesso. Le ho fatto giurare che qualunque cosa accada non farà nulla di stupido e non si metterà in pericolo»
«Edward, ti prego, come puoi affidarti a una promessa del genere… - la voce di Alice ora era acuta, se avesse potuto avrebbe cominciato a piangere – come puoi credere che lei la rispetterà. Hai visto anche tu quanto soffre. Come puoi credere che Bella riesca in qualche modo a dimenticarti, a lasciarsi alle spalle la vostra storia, il tempo che avete trascorso assieme. Edward non è una umana qualsiasi. Non lo hai capito? Lei aveva scelto te come destino per la sua vita. Aveva SCELTO, capisci Edward? Io l’ho visto chiaro nelle mie visioni sempre di più. Nel suo futuro si vedeva come una di noi per questo non supererà mai il vostro distacco. E sai anche tu che non si dimenticherà mai di te. È umana, e non sarà una stupida promessa fatta a te a impedirle di farsi del male o togliersi la vita se è quello che ha deciso.»
«E che cosa dovrei fare io? Dimmi Alice. Cosa dovrei fare? Tornare da lei. Dire quanto in realtà la amo? Che l’ho ferita solo per il suo bene? Che tutte le cose orribili che le ho dette in realtà non le penso neanche lontanamente? Come credi che potrebbe riprendermi al suo fianco… come puoi credere che lei mi ami ancora? È umana, lo hai detto tu stessa, e per questo so che riuscirà a passare oltre, soffrirà certo, passerà momenti di buio ma lei ritroverà un nuovo sole nella sua vita, qualcuno che sia più giusto per lei. Qualcuno che non la metta in pericolo con la sua sola esistenza, qualcuno…»
«Edward, lo sai che ti stai sbagliando. Non credi nemmeno tu in quello che dici. Sai quanto ti ama. Lo hai visto. Sai che sarebbe pronta a tutto pur di stare con te, anche a rischiare la sua vita, e te lo ha già dimostrato.» la sua logica non aveva falle, ma non potevo darle ragione, sarebbe stato ammettere che la mia era una battaglia persa in partenza, per questo abbassai il viso…ma Alice me lo prese tra le mani, portandomi a guardarla negli occhi.
«Ti prego torna da lei. Dille quanto l’ami. Dille che senza di lei neanche tu puoi vivere. Che sei disposto a sopportare le pene dell’inferno, e credimi capisco la tua sofferenza per resistere all’impulso del mostro che è in noi, pur di stare con lei.»
«Non posso, non la metterò mai più in pericolo. Non correrò più il rischio di ucciderla con le mie stesse mani. Non me lo perdonerei mai.»
Sapevo che i sentimenti di Alice erano sinceri, sapevo che soffriva per me in modo profondo, ma lei sapeva che in quel momento non avrei ceduto. Per questo non insistette oltre. Mi mostrò invece la stessa visione di prima. Ora era nitida. Mostrava me che correvo nella foresta, seguivo un odore, ma non potevo sapere quale. Sapevo cosa dovevo fare. Avevo già inflitto agli altri abbastanza dolore con la mia muta e luttuosa presenza. Avrei aspettato la notte e radunate poche cose me ne sarei andato.
«Te ne vai.» disse Alice ancor più addolorata mano a mano che la visione diventava più chiara, delineandosi nella sua mente e nel futuro.
«Sì. Alice, ti prego dillo tu agli altri, ma solo dopo che sarò partito. Un altro addio non lo sopporterei.» si limitò ad annuire e ad abbracciarmi.
«Lo sai che te ne pentirai per il resto della tua vita?» sussurrò al mio orecchio, un ultimo tentativo di persuadermi a tornare a Forks.
«Lo so. Ma non mi perdonerei mai se le succedesse qualcosa per colpa mia. Non posso. La amo più di me stesso.» Mi strinse ancora più forte. Senza dire più nulla. Quello era il suo addio. La sua più grande dimostrazione di affetto.
Attesi che il crepuscolo scendesse poi silenzioso entrai nella mia stanza e raccolsi poche cose in uno zaino capiente da trekking, presi il cellulare e ancor più silenzioso mi allontanai dalla casa di Tanya. Non avevo intenzione di tornare, non per il momento. Non volevo causare ulteriore dolore alla mia famiglia, per questo lasciavo anche loro.
«Sono pronto per la mia vita solitaria» mi dissi avviandomi verso il folto del bosco.

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Capitolo 5
*** 4. Addio ***


Eccomi qui! anche di qua!! 
non sono morta... per chi se lo fosse chiesto... ho solo avuto mille milioni di casini la conclusione dei quali è.. "crescere... bleah!
ok... ora lasciando stare i miei casini.. XD

vi lascio il capitolo quattro! anche qui sono ferma al punto in cui ero due anni fa quando ho lasciato! la nota positiva è che almeno questa è quasi conclusa (non qui... tranquilli, al sicuro nel pc!) per cui pianino pianino arriveranno tutti i capitoli!
buona lettura!
grazie a chi ricomincerà a leggere (e non mi ha mai dato fuoco per essere sparita) e a chi inizierà a leggere ora!


 

4. Addio

 

 

 

 Veloce come il vento corsi lontano da lei, sentii che chiamava il mio nome, che tentava di raggiungermi. Il mio cuore si strinse e dovetti lottare con tutte le mie forze per non voltarmi, per non tornare da lei e dirle quanto l’amavo. “La ragione alla fine ha il sopravvento”, mi dissi. Per quanto l’amassi e desiderassi stare con Bella era giusto andarmene, era giusto lasciarla alle possibilità e felicità di una vita umana. Ormai avevo deciso: avrei ucciso il mio cuore per salvare il mio amore. Avevo deciso e non sarei tornato indietro. Mi rimanevano solo due cose da fare.


Correvo veloce attraverso la foresta, incurante della mia direzione, perso nei miei pensieri, in un muto dialogo con me stesso. Sparito, mi ritrovai a meditare sulle parole che le avevo detto: “Sarà come se non fossi mai esistito..”, cosa potevo fare per renderle reali, tangibili? In un attimo decisi, e mi voltai di nuovo verso Forks, verso casa sua.

Quando arrivai, della macchina di Charlie, per fortuna, non c’era nessuna traccia. Entrai dalla porta sul retro senza preoccuparmi troppo di nascondermi, il pomeriggio ormai era inoltrato nessuno mi avrebbe visto. Salii le scale ed entrai nella sua camera, l’odore di Bella mi colpì forte in viso, mi rammentò quanto la amavo, quanto la desideravo, quanto il mostro la desiderava, solo quello mi diede la forza di andare avanti. Mi guardai attorno, sapendo cosa dovevo fare. Cercai l’album, era ancora per terra, vicino al letto, dove lo aveva lasciato il giorno prima, quando aveva attaccato le fotografie. Lo aprii, sapevo che avrei dovuto fare in fretta, ma non riuscivo. Mi tremavano le mani, non era da me essere così goffo, ma era come dire addio alla mia stessa vita, cercai di calmarmi ma non raggiunsi grandi risultati, ogni foto era una ricordo indelebile, ogni immagine una coltellata dolorosa al petto. Sfogliai l’album e tolsi le fotografie che mi ritraevano. Mi fermai a guardarle un momento, capii cosa Bella aveva visto il giorno prima, era palese il mio cambiamento di umore, vidi due Edward diversi, che tra loro nemmeno si somigliavano: l’Edward rinato per l’amore di Bella, e l’Edward dilaniato dal dolore di doverla lasciare. In quel momento fui consapevole di quello che mi aspettava. Non avrei superato il distacco da lei, per quanto le avessi detto che per me i ricordi non sarebbero stati un problema, che la mia mente era facile alle distrazioni mi resi conto che era una pura menzogna che avevo tentato di raccontarmi. Carlisle mi aveva avvertito, “L’amore cambia in modo radicale gli esseri come noi. E se succede qualcosa alla persona da noi amata, non si riesce più a tornare indietro. Non c’è altra soluzione che la sofferenza eterna.” Questo mi aspettava. Un’eternità di dolore e sofferenza lontano dal mio amore, ma per salvarla da me ero pronto ad affrontarla. Chiusi l’album e lo rimisi dove lo avevo trovato in modo che non notasse il cambiamento, non subito almeno. Rialzandomi vidi il cd che le avevo regalato, anche quello doveva sparire. La mia, anzi la sua, ninna nanna non avrebbe più risuonato in quella stanza, né a dire il vero in nessun altro luogo che nella mia mente, nei miei ricordi, come sottofondo al ricordo del suo viso e del suo profumo. Diedi un ultimo sguardo a  quella camera che tanto bene conoscevo, presi tutto tra le mani e mi avviai di nuovo verso le scale. Uscendo dalla porta feci scricchiolare un’asse di legno. In quel momento mi venne l’idea. Non avrei portato con me quei regali rubati, li avrei solo nascosti. Una parte di me spingeva infatti perché io le lasciassi qualcosa di me, e quello era un modo sciocco e infantile per rimanerle vicino. Mi chinai e senza fare rumore scostai e alzai l’asse del pavimento, riempii il vuoto sottostante e poi risigillai. Avevo chiuso per sempre in quella stanza la mia musica, e anche il mio cuore, sarebbe rimasto lui a vegliare su Bella, ormai nel mio petto c’era solo una pietra dura, aperta al solo dolore.

Sceso al piano di sotto sentii in lontananza il rumore dell’auto di Charlie, se fosse entrato e avesse trovato la casa vuota senza nessun indizio gli sarebbe venuto un colpo. Ebbi un moto di compassione per lui. Presi un foglio di carta dal blocco che stava vicino al telefono nella bianca cucina e una penna e scarabocchiai veloce un messaggio per lui “Vado a fare due passi nel bosco con Edward, torno presto. B”, poi veloce come il vento uscii e salii in macchina. Dovevo allontanarmi il più in fretta possibile di lì. Riuscii per un pelo a non farmi vedere da Charlie che parcheggiava nel vialetto. Guidai veloce verso casa, non entrai, non ero ancora pronto a dire addio del tutto. Scesi dall’auto ignorando la casa bianca che si stagliava nel mezzo della radura, mi inoltrai invece correndo nel bosco. Veloce, sempre più veloce, mi lasciai trasportare dai miei piedi senza pensare. Non mi guardavo attorno, non mi serviva per evitare gli alberi, per cui non feci caso a dove ero diretto, me ne resi conto quando vi arrivai. La scura spiaggia di La Push, il territorio dei Quileute, inconsciamente, o meglio, non del tutto cosciente di quello che facevo avevo violato il patto. Non cercavo lo scontro o la morte. Non volevo sfidare gli indiani. Una parte di me voleva assicurarsi che Bella tornasse a casa incolume, senza che nulla le succedesse mentre era nel bosco. Per quello il mio inconscio mi aveva condotto lì. Dai miei più acerrimi nemici. Dai discendenti dei lupi. Volevo che i Protettori si assicurassero che lei tornasse a casa, sapevo che se Charlie fosse stato solo nella ricerca, non ce l’avrebbe mai fatta… che sarebbe potuto succedere qualcosa alla mia Bella, e questo non potevo sopportare nemmeno di pensarlo. Consapevole di quello che dovevo fare risalii la costa, diretto alla casa dei Black, sapevo dove era, bastò seguire l’odore muschiato che contraddistingueva i cagnacci. Fortunatamente nella casa rossa c’era solo il vecchio, il bambino, non sapeva nulla, non ancora, ci considerava solo una sciocca leggenda. Era buffo che fosse stato proprio un discendente diretto del capo Eprahim Black a infrangere il patto per primo, anche se inconsapevolmente. Per questo allora non avevamo reagito. In fondo se il bambino non avesse parlato troppo Bella non avrebbe mai saputo che cosa ero io e non avremmo vissuto i nostri sei mesi di felicità insieme.

Vedendomi sulla sua soglia di casa il vecchio trasalì. Benché fosse sulla sedia a rotelle e in confronto a me non avesse scampo, incuteva comunque un certo rispetto.


«Che ci fa una sanguisuga nel nostro territorio? Hai forse deciso di morire Cullen?» Il suo tono era sprezzante, consapevole che il patto era dalla loro parte. Potevo solo sperare che decidesse di ascoltarmi, prima di agire, prima di chiamare il Lupo di cui sentivo l’odore.


«No.»


«Hai violato il patto però… che vuoi?»


«Informarvi che ce ne siamo andati, io sono l’ultimo, e me ne andrò molto presto. Potete tornare a vigilare anche su Forks. E poi…», mi fermai, nella sua mente leggevo trionfo e insieme dubbio, aveva capito che c’era dell’altro, ma non immaginava cosa gli stavo per chiedere. Avrei una richiesta.»


«Quale.» Rispose in tono freddo. In realtà i suoi pensieri erano curiosi, che uno di noi andasse a chiedere aiuto a loro era l’ultima cosa che si aspettava.


«Vi chiedo, anzi, vi prego. Assicuratevi che Bella sia trovata, è sola nel bosco. Lei mi è più cara della mia stessa vita e non sopporterei che le succedesse qualcosa.»


«L’hai lasciata sola nel bosco?» Tuonò furioso.  “Mostro!”


Il mio sguardo bastò a zittirlo, lo lessi nella sua mente, vedeva un uomo diviso in due, dilaniato dal dolore. “Che questa sanguisuga in fondo abbia un cuore?”


«Lo faremo», aggiunse.


«Grazie». Feci un cenno e me ne andai. Voltando le spalle alla casa, sentii il vecchio che chiamava col pensiero il lupo. Ora ero certo che Bella sarebbe tornata. Tornai sui miei passi di corsa, dirigendomi verso la dimora della mia famiglia. Mi lasciai guidare di nuovo dalle mie gambe. Non volevo pensare, era troppo doloroso. Lasciavo che decidessero loro dove portarmi. Giunsi alla radura dove avevo mostrato a Bella la mia pelle al sole, mi sdraiai e passai l’intera giornata a ricordare ogni momento che avevo passato con lei, dal primo giorno in cui per poco non l’avevo presa e uccisa a quell’ultimo in cui le avevo procurato la ferita più grande che un cuore potesse sopportare.

Lasciavo che la mente vagasse tra i ricordi che avevo di lei, non mi importava nulla del dolore che scatenavano, non riuscivo a farne a meno. Fu per quello che scesa la sera mi avviai verso Forks. Sapevo che era una stupidaggine, che non avrei dovuto farlo. Sapevo che sarebbe servito a farmi solo soffrire di più, ma non potevo trattenermi. Corsi più lento sta volta, non volevo che tutto finisse troppo in fretta, e dovevo essere sicuro che quando fossi arrivato suo padre dormisse già, se mi avesse visto, ero sicuro, avrebbe tentato di uccidermi per quello che avevo fatto a sua figlia.


Giunsi davanti a casa di Bella che era ormai mezza notte, nessun suono proveniva dalla casa. Salii sull’albero del cortile dietro e aprii per l’ultima volta la finestra di Bella. Entrai di soppiatto, nella stanza a fianco sentivo che suo padre russava, e questo un po’ mi tranquillizzò, non sarebbe venuto a vedere. Mi voltai verso Bella, rannicchiata sul letto in posizione fetale, le braccia attorno alle gambe. Nel sonno singhiozzava, tanto che per un momento temetti di averla svegliata. Mi avvicinai e mi sedetti sul letto, a fianco a lei. Presi a carezzarle il volto rigato di lacrime. Un macigno mi stringeva la gola, mi impediva di respirare. “Non andartene ti prego…”, mormorò nel sonno. E io muto obbedii a quella preghiera. Per l’ultima volta mi stesi al suo fianco a guardarla dormire il suo sonno agitato. Non mi serviva leggerle nel pensiero per sapere che riviveva il momento in cui le avevo detto che me ne andavo. Le carezzai i capelli e glieli baciai assaporando il suo odore. Volevo ricordare tutto di lei alla precisione. Non avevo intenzione di scordare nulla, di dimenticare nessun particolare. Lei sarebbe stata mia e io suo per sempre. Nessuna avrebbe più scaldato il mio cuore, che ora giaceva freddo nel centro del mio petto, dura pietra nel mio corpo di marmo.


Attesi le prime luci dell’alba, poi mi scostai, il mio tempo qui era finito. Le scostai due ciocche ribelli dal viso e premetti le mie labbra dolcemente sulle sue sussurrandole all’orecchio, “Prenditi cura del mio cuore, è tuo per sempre”, un ultima carezza, “Ti amo, per sempre.” E poi uscii lasciando la finestra aperta. Era il mio addio definitivo. Non sarei più tornato indietro. Era l’inizio dell’inferno, per me.


   Tornai a casa, la mia casa vuota, fredda, morta ora che tutti i suoi abitanti se ne erano andati. Finii di preparare le mie poche cose, in fondo, pensai Alice non perderà l’occasione di rifarmi di nuovo il guardaroba. Pochi minuti ed ero già pronto a partire per raggiungere la mia famiglia a Denali, ma quando arrivai sulla porta mi mancò la forza, ancora una volta. Ero un debole, non riuscivo ad andarmene. Come potevo allontanarmi, come potevo trovare la forza di andarmene, lasciare Bella, il mio amore da sola al suo destino. Come potevo ferirla in un modo così crudele. Mi accasciai, la schiena contro la porta, non potevo trovare la forza per farlo, ma dovevo. Rimasi così la testa tra le mani, le gambe rannicchiate al petto,  invaso dal mio dolore per un tempo imprecisato. Era di nuovo notte inoltrata quando finalmente dentro di me trovai la forza per alzarmi, una notte buia, nessuna luce filtrava dalla vetrata a sud della casa. Mi diressi al piano, per l’ultima volta, e suonai. Lasciai che le dita corressero e suonassero tutto il mio dolore,  lasciai che sui tasti tracciassero sui tasti bianchi e neri il funerale del mio cuore e della mia felicità. Mai più li avrei riavuti, mai  più li avrei ritrovati lontano da Bella..


Come desideravo poter piangere, potere sfogare il mio dolore, ma a un vampiro non è concesso piangere, come non è concesso essere felice. “La felicità è lontana mille universi dalla mia natura e mai più potrò raggiungerla o sperarla.” Mi dissi, poi sigillai la vetrata, presi la mia roba e mi avviai verso la Volvo, verso Denali, e il mondo, il mio inferno personale, se accanto non potevo avere Bella.


 

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