Other face of the moon

di littleMoony
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo # 1 - E' tutto passato ***
Capitolo 2: *** Capitolo # 02 - Gahool ***



Capitolo 1
*** Capitolo # 1 - E' tutto passato ***


Capitolo # 1 - è tutto passato Anni prima...

- Mamma! - giocava un bambino di due anni in mezzo alla neve candida nella parte più settentrionale e sperduta del Canada.
La madre sorrideva contenta mentre lo guardava un principio di un pupazzo di neve. Aveva le mani inguantate e le braccine esili coperte da un giubotto antivento imbottito blu e nero. Saltava da un punto all'altro affondando di tanto in tanto nella neve più soffice.
Il padre si avvicinò alla moglie e le baciò la tempia sorridendo. Il padre lo guardava, fiero di lui. Sarà un grande quando crescerà, diceva sempre. Lo adorava. Non si poteva negarlo.
- Ehi Alex! - chiamò lui. Il bambino si voltò, sorrise a apertamente e gli corse incontro per quanto poteva, imbottito com'era.
L'uomo si abbassò per riceverlo, ma tutto accade in secondo.
Non avevano visto il lupo grigio che usciva dal boschetto. Correva incontro il bambino a più non posso. A perdifiato, con occhi famelici e la lingua a penzoloni dalla bocca muniti di denti forti che laceravano le carni. Afferrò il bambino sballottolandolo nella neve fresca. Mordeva il lupo, mordeva, con tutta la forza che aveva nella mandibola.
La neve si tinse di rosso. Rosso porpora, e l'aria si riempì di un odore metallico.
Un urlò squarciò quel momento felice; uno sparo; un guaito. E tutto finì.

Charles si svegliò, madido di sudore e ansante. Fissò le lenzuola candide del suo letto.
- Charles, tesoro, che succede? - lui si passò una mano sul volto. - Ancora l'incubo? - e annuì pesantemente - Oh caro.. - bisbigliò lei per poi abbracciare a sé il marito. - Su. E' passato. -
- Sì, è passato. E tutto finito. -
- Papà? - sentirono una vocina aldilà della porta e la zampa di un orsacchiotto di peluche si intravide dalla porta.
- Sì, Alexander? - rispose l'uomo cercando di avere un tono di voce naturale.
- P-posso entrare? - e sbucò una testolina coperta da una zazzera bionda.
- Certo che puoi entrare. - disse Katheline, la madre aprendo le braccia. Il bambino le corse incontro saltando sul letto. - Come mai sei sveglio? -
- Ho sentito papà che urlava... - ammise lui abbassando il capo e prese a mordicchiare il povero orecchio del pupazzo.
- Oh, piccino ma sto bene. - disse lui tranquillizzandolo. - Il peggio è passato. - ma allungò lo sguardo sul braccino del figlio. C'era un'enorme cicatrice che squarciava il muscolo nella parte superiore. - No. Il peggio non è passato. -

I giorni nostri...

- Jack? Hai visto il mio spazzolino? - nessuna risposta. - Jack! Lo spazzolino! - urlò più forte. Niente. - Jack! - sbraitò un ragazzo biondo aprendo la porta che portava alla camera del fratello più grande. - Il mio spazzolino dov'è! -
Il moretto alzò gli occhi dalla rivista di scope da corsa che aveva in mano con fare annoiato.
- Il tuo spazzolino dici? Deva averlo in bocca Brutus. - Il biondo guardò ai piedi del letto di Jack e notò il bulldog sbavoso con in bocca il suo spazzolino azzurro.
Alexander ringhiò e tornò nel bagno in comune sbattendo la porta.
- Tesoro? Le valigie sono pronte? -
- No mamma, aspetta. -
- Dai Alex. Tuo fratello ha già tutto pronto in macchina. -
Alexander sbuffò. Tuo fratello qui, tuo fratello là, pensò adirato, sempre Jack nei pensieri.
Si diede una pettinata veloce e preparò le valigie sul bordo della scala. Erano quasi vuote, perché lui in viaggio non si portava quasi mai niente. Era Jack quello che bastava a riempire tutto per entrambi. E aveva solo dodici anni.
Chiuse le finestre; prese nuovamente le valigie e scese da basso; raggiunse la macchina ormai stracarica. La madre era come sempre splendida sul sedile davanti, con i capelli biondi raccolti in un chignon improvvisato sul viso angoloso, gli occhi scuri coperti da un paio di occhiali da sole stile anni novanta. Sorrise. Adorava sua madre Katheline. Non poteva farci niente. Se questo significava essere mammone, forse lo era.
Intravide Jack con in braccio l'orrendo Brutus che masticava ancora il suo spazzolino. Il ragazzo lo sfilò dalla bocca del cane e lo porse al fratello. - Rivolevi il tuo spazzolino? Eccolo. -
Alexander rimase immobile a fissarlo inespressivo. finché non sentì la voce autoritaria del padre che li chiamava. Charles era molto alto, muscoloso, con i capelli castano scuro su una faccia da calendario fotografico che contenevano due pietre azzurro ghiaccio. Sì, dal padre non aveva preso minimamente niente, se non la carnagione leggermente più scura del normale, ma proprio leggermente. Jack invece era la sua copia sputata. Nonchè aveva un mucchio di gente che gli sbavava dietro. Alexandee guardò il padre; il padre guardò Alexander con sufficienza prima di strappargli le borse dalle mani per poi caricarle in macchina.
- Andiamo. - fu l'unica parola che proferì.
Dopo ore e ore di interminabile viaggio, con Brutus che non faceva che sbavare, Jack di ridere con suo padre e il silenzio della madre, Alexander scese dalla macchina e respirò l'aria con l'odore di salsedine che proveniva dal mare della California. Gli era sempre piaciuto quel posto. Aveva sempre voluto visitarlo, ed eccolo lì. A vedere il mare di sera, come non faceva altro che immaginarsi. Ma l'immaginazione era ben lontana dalla realtà. Il mare era blu scuro a causa del fatto che era ormai buio, ma Alex pensava che il mattino dopo sarebbe stato azzurro come il cielo. Già, forse meglio il mare alla neve, pensò il biondino massaggiandosi la ferita che sbucava per metà dalla maglietta bianca a manica corta.
Continuava a fissare il mare, ma a un certo punto sentì la voce della madre che lo richiamò dicendogli che dovevano andare verso l'albergo; salutò il mare con un sorriso e un "ci vediamo domani" prima di tornare indietro.

Era seduto su una sedia, che rideva con la sua famiglia. Brutus poggiato su un tappeto che masticava un osso di gomma. Alexander non era mai stato contento come quella sera. Finalmente la sua famiglia tornava a ridere come un tempo. Guardò fuori, non c'era la luna in cielo. Un nuovo plenilunio era arrivato.
Tornò a dare attenzioni ai suoi familiari, ma questi lo guardarono straniti. La madre sgranò gli occhi e si alzò lentamente dal divano; Jack prese Brutus che cercò di afferrare al volo l'osso senza successo; il padre si alzò cautamente, come se stesse guardando una bestia feroce. Andò verso il muro, a cui era appeso un fucile. Lo prese e lo impugnò saldamente.
Jack urlava di sparare quasi in preda al panico, la madre piangeva.
Alexander era l'unico che non capiva. Si guardò le mani. Rimase sconcertato da quello che vide: due zampe di lupo.
Abbassò ancora di più lo sguardo e vide che le sue gambe erano diventate anch'esse zampe pelose e tra loro vi era una folta coda grigia. Si alzò, inciampò nel tappetto. Si rialzò e corse a uno specchio. Non ci arrivava. Cercò di alzarsi in punta di piedi, o meglio. Si mise su due zampe. Guardò nello specchio.
Occhi gialli ricambiavano lo sguardo. sopra un muso affusolato.
Aprì la lunga bocca. Una lunga fila di denti gli si stagliò nell'immagine riflessa.
Alexander si voltò verso il padre. Voleva urlare di non sparare, che era ancora lui, ma l'uomo lo fissava come disgustato dall'attuale visione.
L'ormai lupo sentì che invece di parole uscivano versi selvaggi, affatto umani come credeva.
Più si sforzava di pensare da umano più gli veniva fame e sentiva la bava colargli dal muso.
Sentì uno sparo. Tutto divenne buio.
Alexander si sedette urlando come se un acuto dolore gli trapassasse il petto. Si teneva la parte sinistra con le mani mugolando. La porta della sua stanza si spalancò e comparve sua madre dall'aria preocupata.
- Alex? Alexander? Che succede? - gli domandò prendendogli il viso tra le mani e costringendolo a guardarla.
Era sudato, provava dolore e sul suo viso si dipinse una smorfia.
- Mi fa male mamma. Mi fa male il petto. Tanto. -
Lei si voltò verso il marito che era comparso sulla soglia. Lui la guardò alzando il capo e gonfiando il petto.
- Non è niente Alex. Ora passa. E' tutto finito. - disse con una voce che non ammetteva repliche prima di tornare nella propria stanza.

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Capitolo 2
*** Capitolo # 02 - Gahool ***


Capitolo # 2 - Gahool Una lettera.
Alexander era in piedi davanti alla porta di casa. Il postino era appena andato via, ma in cielo c'era un gufo. Strano, ma incredibile.
Aveva tra le mani una lettera di colore giallognolo con scritte color verde smeraldo.
La stringeva forte, quasi ci lasciava i segni sulla busta. Non voleva lasciarla andare per nessuna ragione al mondo. Era un nuovo motivo di orgoglio per la madre e forse anche per il padre?
La conosceva bene quella lettera. Jack l'aveva ricevuta solo un anno prima e Alexander aveva cominciato a picchiarlo perché la voleva anche lui. La madre li aveva divisi dicendo al più piccolo di calmarsi, che l'avrebbe ricevuta anche lui.
Finalmente era arrivata. Pensava addirittura di arrivare a incorniciarla da quanto si era impuntato.
- Alex? C'era posta? - gli chiese la madre sbucando dalla porta aperta, nella sua vestaglia color nocciola. - Ehi? - allungò un po' il collo e sgranò gli occhi. - Charles! Charles! - corse dentro con un sorriso a trentadue denti e abbracciò il marito - Alexander ha ricevuto la lettera! Appena adesso! - disse estasiata, ma il padre..
- Bene. - rispose andando alla macchinetta del caffè per versarsi una tazza di liquido scuro.
Alexander arrivò in cucina e guardò la sua famiglia riunita. La madre si voltò dopo un paio di secondi e sorrise; Jack sorseggiava il caffè-latte leggendo La Gazzetta del Profeta; il padre leggeva il giornale locale.
In poche parole, a parte Alex e sua madre a nessuno interessava.
- E se finisco a Serpeverde? - chiese con un filo di voce ma speranzosa il biondo guardando Jack poi Charles.
- Può essere. - esordì l'uomo mentre Jack sghignazzava.
- Come può essere che io ho un mostro sotto il letto - rise il fratellastro.
- Sei tu il mostro, Jack - rispose Alex sedendosi a tavola e la madre gli porse dei waffles imbevuti in sciroppo d'acero appena fatti.
Jack lo ignorò e guardò il padre per poi cominciare a parlare di Quidditch. Alexander ne aveva sentito parlare. Era il gioco preferito alla scuola del fratello. Tutte le Case ci giocavano, ma quelli del primo anno non potevano parteciparvi a causa del fatto che erano nuovi, pensò il ragazzo ingoiando un boccone di soffice waffle.
Alexander ascoltava. Gli ispirava quel gioco. In un certo senso era un misto tra calcio, pallacanestro e baseball e lui amava il baseball. Partecipava sempre ai giochi della sua scuola quando era in programma e lui era un ottimo battitore, non poteva negarlo. Come lanciatore non era male, ma la battuta, la mazza in mano, il tlang della pallina e poi la corsa, corsa sfrenata a cercare di recuperare più basi possibili. Sì, amava quel gioco.
Credo proprio che questa scuola mi piacerà, pensò il biondo guardando la lettera ancora chiusa, poggiata sul tavolo accanto a lui. Non voglio aprirla, non voglio rovinarla. Potrei chiedere a Jack di farmi leggere la sua, continuarono i suoi pensieri. Guardò Jack, sperando lo guardasse almeno per poter cominciare a fare la domanda, ma il moretto non lo fumava pari. Il minore sospirò e lasciò da parte la colazione.
Prese la busta e cominciò ad aprirla lentamente, cercando di non rompere nemmeno un angolo o di farci uno strappo. Jack gliela strappò di mano e l'aprì di fretta.
- Muoviti lumacone. Non è così importante - aperta tirò fuori la lettera. Cominciò a leggere ad alta voce. - Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Direttrice: Minerva McGrannitt. Caro signor Sfigato, siamo lieti di informarti che dovresti darti fuoco.. -
- Jack! Leggila bene. - lo rimbeccò il padre.
- Okay papà.. -

SCUOLA DI MAGIA E STREGONERIA DI HOGWARTS
Direttrice: Minerva McGrannitt

Caro Signor Davies,
siamo lieti di infarmarLa che Lei ha diritto a frequentare la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Qui accluso troverà l'elenco di tutti i libri di testo e delle attrezzature necessarie.
I corsi avranno inizio il 1° settembre. Restiamo in attesa della Sua risposta via gufo entro e non oltre il 31 luglio p.v.

Con ossequi,
Neville Longbottom
Vicedirettore

Finì Jack gesticolando. - E questo è tutto. - gli ripassò quello che era suo di diritto.
Alexander fissò la lettera per un lungo momento poi alzò lo sguardo verso la madre che aveva gli occhi gonfi di lacrime dalla gioia. Sorrise il bambino. Sorrise contento. Poi il sorriso si smorzò.
- Che c'è caro? -
- Ma io.. non ho un gufo.. -
La mamma rise divertita mentre si asciugava gli occhi. Il padre lo guardò a capo basso e il figlio, notò che forse stava cercando di nascondere un possibile sorriso? Non poteva saperlo, non gli vedeva bene la bocca.
- Non c'è problema Alex. Oggi andiamo a comprare tutto a Diagon Alley -
- Cos'è Diagon Alley? -
- E' il quartiere dove ci sono tutti i negozi possibili che servono ai maghi per ottenere l'occorrente per Hogwarts -
Alexander era in estasi oramai. Non si teneva più. Chiedeva, implorava di andarci subito, ma la madre ridendo gli diceva di no.
- Ci andiamo io e te. - si fece sentire Charles, senza guardarlo in faccia.
- Anche perché tu Kat non puoi andarci - esordì Jack con un ghigno sulla faccia.
- E' che non conosco il passaggio.. - disse flebilmente lei come una scusa.
- Non c'è problema. - Charles si alzò finendo l'ultimo goccio di caffè. - Andiamo noi. - baciò la tempia della moglie e appena si furono cambiati uscì col figlio.

Alexander non aveva mai trascorso una giornata da solo col padre fin da quando aveva memoria. Stavano camminando, fianco e fianco. Il bambino non sapeva se essere felice o meno, ma continuava a trotterellargli vicino. Charles si fermò davanti a un pub con su scritto Il paiolo magico. Era un po' smesso come locale, pensava Alexander, ma appena il padre entrò, lui lo seguì senza dire niente. Quando furono dentro, le persone dentro si voltarono verso di loro.
- Charles? Charles Davies? - fece il barista buttandosi uno straccetto sulla spalla dopo essere asciugato le mani.
- Certo Tom. Chi altro se no? - rispose il moro stringendogli la mano.
- Qual buon vento? - poi notò il bambino - Oh, ora tocca ad Alexander? - e l'altro annuì lentamente.
- Andiamo a fare spese. - aggiunse sollevando le sopracciglia.
- Certo certo andate pure. - sorrise il barista scompigliando i capelli di Alex.
Charles guidò Alex fin nel retro del locale dove vi era un unico bidone della spazzatura e un lungo muro. L'uomo batté tre volte su un mattone e il muro cominciò a scomparire. Il piccolo indietreggiò per la sorpresa, ma Charles lo trattenne per la spalla. Appena il muro fu scomparso del tutto lo condusse attraverso e si ritrovarono in un altro quartiere. Alexander alzava lo sguardo e si guardava in giro a bocca spalancata. Era incredibile.
Gli piaceva già quel posto ed era lì da soli due secondi!
Cominciò a correre qua e là guardando le vetrine. Forse c'erano troppi negozi per lui.
Stava andando ancora avanti, quando il padre lo fermò prendendolo per la maglia.
- Dobbiamo andare prima alla banca. Tu vai in quel negozio di animali. Io torno subito - gli disse con un tono che non ammetteva no.
Alexander fece come gli era stato detto ed entrò nel negozio chiamato Emporio del gufo. Fuori aveva un'insegna che diceva: Emporio del Gufo: gufi selvatici, barbagianni, gufi da granaio, gufi bruni e civette bianche.
Cominciò a guardarsi intorno. I gufi grigi erano enormi. Gli piacevano, ma gli sembravano alquanto stupidi. Passò avanti. Le civette bianche. Splendide nei loro piumaggi candidi come la neve della sua Canada.
Era da un po' che non la vedeva. Da una decina di giorni a questa parte il padre aveva detto alla sua famiglia che si sarebbero trasferiti a Londra per un po'. Erano andati a stare nell'enorme villa di famiglia in cui prima abitavano i genitori di Charles. A Katheline Londra era sempre piaciuta, fin da bambina diceva lei con un sorriso, e quindi fu molto contenta quando il marito fece quell'annuncio una sera a cena. Jack sbuffò, ma disse che se lo aspettava. Doveva tornare ad Hogwarts e quindi doveva per forza tornare a Londra in tutti i modi. Che Charles avesse previsto che ad Alexander sarebbe arrivata la lettera? Nessuno lo sa. Il biondo si chiedeva tante cose sul padre, ma non aveva mai ricevuto risposta.
Continuava a scrutare tutti i volatili lì dentro. Dalle civette passò ai gufi da granaio. Grossi uccelli di ogni colore che probabilmente, come diceva il nome, servivano a catturare i topi che si nascondevano in quei locali per mangiarne le cibarie custodite. Guardava in alto, in basso. Finché, su un trespolo, non vide uno splendido barbagianni che dormiva lì appollaiato. Era bellissimo. Un piumaggio bianco candido, candido con alcune striature color rame e color oro. Il becco era di un color perla chiaro e luccicava sotto la flebile luce del negozio.
Rimase a fissarlo per un tempo che parve infinito, ma qualcuno lo ridestò poggiandogli una mano sulla spalla. Suo padre. A quanto pare la visione era finita, aveva preso i soldi e ora doveva lasciare solo quel magnifico uccello. Sospirò rassegnato e si avviò a uscire, ma Charles andò verso il banco cui il proprietario era seduto dietro.
- Vorrei quel barbagianni lì se possibile. - Alexander sgranò gli occhi e si voltò lentamente. - Quello poggiato sul trespolo - ora era sconvolto. Vide il proprietario sorridere mentre prendeva l'uccello che si era ridestato dal sonno e lo metteva con delicatezza in una gabbia. Il padre pagò e raggiunse il figlio porgendogli la gabbia - Ora devi dargli un nome - disse solamente per poi superarlo.
Alexander rimase stupefatto dal gesto. L'avevo visto fissare il barbagianni o magari semplicemente aveva preso quello che sembrava più adatto a lui?
Il bambino seguì il padre. Aveva deciso che l'avrebbe chiamato Gahool, come il regno dei barbagianni in quel film fatto al computer che aveva visto una sola volta.
Proseguirono con le spese. Comprarono i libri di testo, il calderone in peltro assieme alle provette. Passarono davanti al negozio di scope da corsa, ma Charles lo tirò via dicendogli che per lui era troppo presto. Arrivarono davanti a un negozio fatiscente, ormai cadeva a pezzi. Si chiamava Ollivander. Entrarono.
Un signore anziano era sopra una sedia che stava impilando delle scatole lunghe e basse un po' malmesse. Alexander pensava fossero scatole da scarpe.
L'anziano si voltò e sollevò un poco le sopracciglia. - Signor Forst - disse scendendo e poggiandone altre sul bancone per poi stringere la mano a Charles.
- Signor Ollivander. Ci serve una bacchetta - disse poggiando una mano sulla spalla del figlio.
- Eh già. Lo vedo - sorrise appena guardando Alexander. - Allora vediamo - si allungò e prese una scatola - Legno di quercia e crine di unicorno - la porse al ragazzo - Agitala un pochino e vediamo se ti sceglie - fece come gli aveva detto e un paio di scatole caddero a terra - No. Questa no. - gliene porse un'altra - Legno di acero e agrifoglio. Agiti signorino - Alexander agitò. Il vetro di un portafoto si ruppe. - Nemmeno questa... - si allontanò un momento e tornò subito dopo. - Legno di salice, undici pollici questa con penna di coda di fenice. Agiti - agitò. Questa volta ci fu uno scintillio più forte della lampadina. Olivander inspirò sorridendo.
- Che odore di mirtillo e muschio - fece il biondo confuso, ma poi guardò la bacchetta che aveva in mano, alzando lo sguardo sul negoziante.
- La bacchetta ha deciso. -
Finirono le compere con la divisa senza stemma e poi, piano piano senza fretta, tornarono a casa carichi di borse e una gabbia.

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