Hidamari di CaskaLangley (/viewuser.php?uid=90)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nessuna paura ***
Capitolo 2: *** Con il corpo ***
Capitolo 3: *** Tesori del mare ***
Capitolo 4: *** Lo stesso odore ***
Capitolo 5: *** Tutti e due ***
Capitolo 6: *** Compromesso ***
Capitolo 7: *** Involucri vuoti ***
Capitolo 8: *** Solitudini ***
Capitolo 9: *** Speranza ***
Capitolo 1 *** Nessuna paura ***
Attenzione: la
storia contiene spoiler più o meno espliciti su Kingdom Hearts, Kingdom Hearts:
Chain of Memories e Kingdom Hearts 2.
Attenzione di nuovo:
ho scelto il rating R perché la storia non è in effetti così grafica e
dettagliata nelle descrizioni. Non la ritenevo una NC17, insomma, e non credo
che lo sia. Tuttavia ci tenevo a sottolineare la R -che spesso viene ignorata,
poverina ;_;" - in quanto "Hidamari" pur non essendo una yaoi contiene
riferimenti ad atti violenti e sessuali tra due ragazzi (<3). Se la cosa vi
turba, vi secca o semplicemente non fa per voi, è meglio che non proseguiate
nella lettura. Vediamo come funziona questo rating, altrimenti lo alzo XD Grazie
^-^!
Questa storia è una
one-shot, ma sull’EFP ho preferito dividerla in capitoletti, anche perché aveva
già nella sua forma originale i titolini interni :o Comunque è già terminata e
la pubblicherò completamente in quattro aggiornamenti; non so in che arco
temporale, dipende tutto da quali disponibilità di connessione avrò XD ma in
massimo due settimane sarà pubblicata tutta (questo per tranquillizzare che mi
conosce e conosce bene anche i miei tempi imbarazzanti ;_;").
Ok, non rompo più >_<
HIDAMARI
#31;
biancospino ~ speranza
Nessuna paura
Sora si riparò gli
occhi dall’accecante luce del sole pomeridiano. I riflessi sul mare brillavano
così forte da sembrare cristalli rotti, specchi che riflettevano raggi taglienti
come lame.
Accolse la vista con
un po’ di fastidio, ma si abituò presto, come ci si abituerebbe a qualsiasi
difetto presente su qualcosa di desiderato tanto a lungo. Era come quando, da
piccolo, chiedeva per Natale giocattoli che sembravano molto più belli di come
si rivelavano una volta aperta la scatola, ma era così felice di averli
ottenuti, così soddisfatto all’idea di poterli mostrare a tutti quanti il giorno
dopo, che non importava se le sue aspettative fossero state o meno deluse,
perché quello che importava era l’appagamento.
La felicità, in fondo.
E a proposito di
felicità, vide subito che sulla spiaggia, seduta sulla sabbia senza nemmeno un
telo, Kairi era in attenta contemplazione del mare.
Si avvicinò a lei di
corsa, temendo che un soffio di vento potesse portargliela via - come si era
sempre portato via tutti i miraggi che lo avevano accompagnato durante il suo
interminabile viaggio.
Sollevò un sacco di
sabbia, che era tanto leggera e secca da volargli fin quasi negli occhi. Quando
le fu dietro alla schiena, e quando vide che la propria ombra incontrava la sua,
intrecciandosi per terra come chiara prova della loro esistenza, sospirò a pieni
polmoni perché fu finalmente certo che lei era lì. Loro erano lì. Ed erano
insieme.
Ormai era tornato da
almeno un mese, ma questi pensieri lo rendevano ancora così puerilmente felice
che gli veniva voglia spesso voglia di stringerla, o anche solo di posarle una
mano sulla spalla, di far passare tra le dita una ciocca dei suoi
capelli…qualsiasi cosa, per godersi la sua tangibile, dolcissima presenza.
Kairi si girò, con
una mano aperta sopra gli occhi, e gli rivolse un sorriso luminoso.
Non era sorpresa di
vederlo, al contrario, era come se lo avesse aspettato fino a quel momento.
Kairi lo guardava
sempre in quel modo, nel modo in cui metti a fuoco una sagoma amica in
lontananza, e ogni volta sembrava corrergli incontro, con quei suoi occhi
azzurri e brillanti, anche se restava immobile.
A volte Sora pensava
che non ci fosse niente nel mondo in grado di dare tanta gioia.
Potersi aspettare.
Avere l’assoluta
sicurezza che il momento di vedersi arriverà, e arriverà presto.
Era come continuare a
tornare a casa.
Sora si sedette
accanto a lei, e strinse con soddisfazione la sabbia caldissima tra le mani.
Lei lo rimproverò
felice, pungolandogli il naso con una matita: "Pigrone, ma quanto hai dormito?"
– Sora notò che non stava guardando il mare, ma era invece concentrata su un
blocco da disegno.
"Non me ne parlare,
sto morendo di sonno…"
"Sei rimasto ancora a
fare compagnia a Riku, vero?"
Sora appoggiò i
gomiti sulle ginocchia e sospirò.
Da quando erano
tornati, Riku faceva la vita di un gatto fuso con un pipistrello.
Passava le giornate
dormendo nel rifugio segreto, per terra, come un animale selvatico, e quando il
buio calava lui si alzava, mangiava, camminava, guardava il mare e tornava a
dormire. Sora aveva cercato in vano di cavarlo fuori da quel buco umido e buio,
ma aveva presto dovuto arrendersi davanti alla sua ormai nota ostinazione.
"Io non lo capisco…"
sospirò Kairi scuotendo lentamente la testa e tornando ad esaminare il disegno
schizzato sul foglio, ma non aveva usato il tono di chi non capisce davvero.
Kairi non era una
stupida. Non era mai stata egocentrica, una principessa che aspetta senza
muovere un dito che il suo principe azzurro la vada a cercare. Era coraggiosa,
invece, e sapeva guardare in faccia le cose.
Era una dote che Sora
doveva ammettere di non possedere, per questo in lei la ammirava così tanto.
Tuttavia il fatto che
Kairi fosse così sveglia in quell’occasione non era completamente una fortuna.
Era chiaro che Riku
non avesse intenzione di farsi capire da lei, né da nessun altro.
E Sora odiava essere
consapevole di questo, e di dargli ragione, in fondo.
La notte, quando il
sole calava e il mare diventava blu scuro, Sora si sdraiava sulla sabbia
e…respirava.
Era felice di essere
tornato. Felice come non avrebbe mai immaginato di poter essere.
Ma solo di notte,
quando tutto taceva, e solo le onde del mare lambivano i suoi pensieri, gli
sembrava di riuscire a respirare. Il giorno era troppo frenetico. Così luminoso,
e accecante, così pieno di rumore, che Sora non poteva fare altro che seppellire
i pensieri e i ricordi che ogni tanto bussavano nella sua testa sotto una
valanga di immagini e di parole, muovendosi, ridendo, comportandosi come se
tutto fosse stato normale.
…Normale.
…le cose sarebbero
mai più state normali, per loro…?
Guardò il profilo
sereno di Kairi, la sua pelle rosa, i capelli che prendevano una colorazione
quasi rossa alla luce, ed era chiaro, dolorosamente chiaro, che
nonostante la sua sensibilità, nonostante il suo coraggio, nonostante la sua
forza, lei non avrebbe potuto capire, e non doveva capire.
Non era giusto che
capisse.
Kairi, che era così
bella accarezzata dalla luce…
Sora scosse la testa,
allontanando i pensieri malinconici. C’era la notte per diventare pensierosi. Il
giorno era fatto per godersi ogni momento.
"Che cosa sarebbe
quella roba?" domandò scavezzando il collo sul disegno di Kairi. Ovviamente si
accorse che quella roba non era un titolo lusinghiero, ma era troppo
tardi per ritrattarlo, e lei gli dette un colpetto in testa col blocco,
arrabbiata. Poi lo girò al contrario sulle ginocchia e disse: "Sarebbe una cosa
che non è venuta. Uffa."
Sora cercò di
appianare le cose: "Posso vederlo bene?"
"A che serve, tanto è
una roba."
"Ma dai, scusami,
l’ho visto di sfuggita, e poi c’era il sole. Fai vedere, per favore."
Kairi gonfiò
graziosamente le guance, poi sospirò e gli porse il blocco.
"Faccio schifo, dillo
pure, tanto lo so."
"Ma dai, sono dei
fiori, giusto?"
"Sì, ma quali?"
"Se non lo sai tu…"
"Io lo so! Sei tu che
non lo capisci perché non sono capace!"
"In tua difesa si può
dire che non conosco bene i fiori…"
"E’ un biancospino."
Sora rise come un
castoro nervoso, e cambiò discorso: "Non sapevo che disegnassi."
Nel dirlo si rese
conto di quanto triste, e lunga, fosse stata la loro lontananza.
Mentre lui spazzava
via Heartless a Keyblade spianato, Kairi…lei viveva.
Andava a scuola.
Guardava il sole sorgere e tramontare. Parlava con i compagni di classe, rideva,
disegnava, e faceva tutte quelle cose che era giusto che facesse.
Ad essere ingiusto
era che lui l’avesse trascinata in quel casino.
Era ingiusto che
l’avesse fatta aspettare, e preoccupare.
Era ingiusto che
l’avesse messa in pericolo così tante volte che lei avrebbe dovuto odiarlo, e
non guardarlo con quell’affetto che gli riempiva il cuore.
Kairi meritava ogni
più piccolo attimo di quella vita meravigliosa e normale.
Quella vita
meravigliosa e normale che Sora, dopo aver tanto lottato per renderle, le aveva
infine tolto un’altra volta. Chi gli assicurava che questa volta sarebbe durata?
Quando lei parlò,
come se fosse destino che con poche parole dovesse cancellare ogni suo
turbamento, si sentì subito meglio.
"Ho cominciato da
quando siamo tornati qui insieme. Non so perché, mi è preso così. Ma è meglio
che smetta, mi sa, sono negata nella maniera più assoluta…" ammise, ridendo.
Sora, allora, guardò
con più attenzione il blocco. Rimase in silenzio per un po’, senza sapere lui
stesso a che cosa stesse pensando, finché non disse solamente, in un sussurro:
"Naminé."
Kairi lo guardò
dubbiosa, con i suoi occhi rotondi da cerbiatta.
"…Naminé…credo che
lei disegnasse…"
Invece di esserne
turbata, lei accolse questa pseudo-rivelazione con gioia. La sua bocca si
schiuse, poi sorrise felicemente. Sinceramente, Sora trovava un po’ strana la
sua tranquillità davanti a certe cose, come quando a undici anni lui e Riku
erano convinti di aver visto un mostro marino, e invece di scappare a riva Kairi
si era immersa con gli occhialini per vederlo da vicino (cosa che ovviamente li
aveva costretti a seguirla, e mentre Riku poteva essere effettivamente
interessato ai mostri marini, Sora non era completamente convinto di volerne
incontrare uno dal vivo).
Poi Kairi guardò il
blocco e fece una smorfia: "Qualcosa mi dice che era più brava di me, vero?"
"Non mi ricordo. Non
bene, almeno. Però forse sì, era brava…non ne sono sicuro, però."
"Forse Roxas lo
saprebbe!" disse lei emozionata. Sora, come se lo avessero colto sul fatto in un
momento imbarazzante, arrossì.
"Non lo so, forse, io
che ne so?"
"Credi che loro si
conoscessero bene?"
"Non lo so…forse."
"Io la vedo più come
una cosa…mmmh, di affinità, sai. Magari non si vedevano spesso, ma era come se
fossero sempre uniti" nel dirlo intrecciò le dita delle mani e gliele mise
davanti agli occhi "Capisci?"
"Non lo so, forse…"
"Non lo so, forse,
non lo so, forse…queste risposte non mi servono a molto, Sora!"
Sora si grattò
imbarazzato la testa e Kairi disegnò un cuoricino sul blocco.
"…come ti senti con
questa cosa…?"
"Con che cosa?"
"Avere un’altra
persona dentro di te."
"Tecnicamente non
sono delle altre persone" rispose Sora scrollando le spalle.
"Sì lo, so, non
tecnicamente, però…" tracciò con la matita un lungo segno sul foglio "…Naminé
aveva dei pensieri…" prese un pugno di sabbia e lo lasciò scivolare tra le dita
"…lei parlava, rideva, e aveva paura…"
"Non aveva un cuore"
rispose Sora, troppo duramente. Kairi scosse la testa, sorridendo tristemente:
"Lo so, però…comunque sia, la cosa più strana è che non mi sento affatto strana.
Piuttosto da quando l’ho incontrata è come se fossi…completa. Lei è me, ma è
contemporaneamente una mia amica che vive lontana, e so che sta bene…anche se in
realtà mi vive così vicina."
Sora scavò nella
sabbia con un piede. Non voleva dirle che lui non provava nessuno dei quei
sentimenti piacevoli, e non solo. Non provava niente. Quando pensava a certe
cose c’era come il vuoto, dentro di lui. La sensazione di avere dei ricordi, e
delle emozioni da incanalare, ma di non riuscire a farlo.
Kairi domandò
imbarazzata: "Quello che dico ha il minimo senso?"
Lui le sorrise:
"Certamente che ce l’ha."
"Anche tu ti senti
così?"
Sora rifletté per un
attimo sulla possibilità di mentire, poi capì che in quel frangente sarebbe
stato inutile. Non era abituato a dire bugie, e voleva farlo abbastanza poco da
essere credibile quando vi era costretto.
"Quando è successo,
Riku ha detto che sarei stato sempre lo stesso. Ma io non mi sento così. A volte
mi sento…invaso."
Kairi tacque.
Difficile capire perché. Poteva essere scossa, o semplicemente rispettosa. Lei
era sempre stata così, estranea al desiderio di riempire il silenzio con parole
tutto sommato inutili.
Sora invece odiava il
silenzio.
Avrebbe voluto ridere
e urlare così forte da coprire tutto il silenzio del mondo.
Tuttavia, adesso,
quel silenzio…
Senza muoversi di un
solo centimetro da dov’era seduta, Kairi si inclinò fino ad appoggiare la testa
contro la sua spalla, con gli occhi chiusi.
Sora si agitò solo
per un attimo, ma quello subito successivo si rilassò in modo sorprendente.
"…Sora…"
"Mh?"
"…non senti mai
come…come dei sentimenti, che non riconosci come tuoi, sul subito…ma poi ci
pensi, e ci ripensi, e ad un certo punto è come se in fondo, da qualche parte,
anche tu avessi provato quegli stessi sentimenti, ma in modo molto meno…"
Non continuò. Sora
attese a lungo, poi terminò: "doloroso."
"…allora capita anche
a te?"
Lui annuì.
Un’ammissione pericolosa, viste le circostanze.
Kairi si spostò i
capelli da davanti al viso.
"Quando ero qui da
sola, e vi aspettavo, e quando non riuscivo a ricordarmi bene di te…mi sentivo
molto sola. Però avevo sempre quella speranza…quella sensazione che vi avrei
rivisti, prima o poi. Quella fiducia in voi. Ma a volte, da quando siamo
tornati, io siedo qui, o sono a casa mia, o magari sono in mezzo alla gente…e mi
sento sola in modo desolante. Mi sento così sola, e spaurita, che mi viene da
piangere. E vorrei tanto urlare, e chiedere aiuto, ma a stento respiro, come se
una mano mi tappasse la bocca…"
Sora cercò di
guardarla e vide che stava strizzando gli occhi.
"Ehy…"
"…forse Naminé si
sentiva in questo modo…" disse Kairi d’un fiato "…forse si sentiva sola,
sperduta, e prigioniera…e non aveva nemmeno un cuore per sperare che qualcuno
andasse a trarla in salvo…"
"Ehy, ehy" si
preoccupò, alzando poi senza pensarci un braccio per cingerle le spalle, e lei
chiuse subito gli occhi.
"Se ci penso mi sento
così in colpa…"
"Ma cosa stai
dicendo, non è mica colpa tua!"
"Lo so" singhiozzò,
strofinandosi gli occhi col dorso della mano "ma a volte questi sentimenti sono
così soffocanti che vorrei poterla almeno abbracciare…"
Sora non sapeva cosa
fare. Ormai poteva saltare in testa ad un drago di vento, attorcigliare Jafar
nella sua coda, colpire il Baobao con un fulmine e massacrare mille Heartless,
ma quando si trattava di trovare le parole per consolare qualcuno, nella
fattispecie la ragazza più importante del mondo, era praticamente paralitico.
Come sempre fu Kairi
a risolvere tutto con un gesto semplicissimo: gli prese la mano.
"…forse io ho
rischiato di dovermi sentire proprio come lei…ma sono stata fortunata ad
arrivare su quest’isola, e ad incontrare voi. Da quando sono rinvenuta su questa
spiaggia, non mi sono mai sentita sola. Anche quando mi sembrava di esserlo
perché eravate lontani, eravamo comunque vicini. Anche quando sono saltata in
quel portale."
"Quella comunque è
stata una cosa un po’ stupida…" bofonchiò Sora.
Kairi rise: "Sì, però
vi ho ritrovati, giusto?"
Lui le sorrise a sua
volta: "Giusto."
"E non ne ho mai
dubitato nemmeno per un secondo."
"Beh, questo è perché
sei pazza e hai il cuore più grosso della tua testa…"
Kairi spalancò gli
occhi, poi divertita lo colpì in testa col blocco da disegno e rise: "Oddio, da
che pulpito viene la predica! Che paura, per un attimo mi sei sembrato identico
a Riku, che impressione!"
"Vero vero? L’ho
fatto apposta! In effetti sono soddisfatto di com’è uscita!"
Kairi incrociò le
braccia sul petto e simulando una voce profonda che faceva quasi paura sul suo
faccino delizioso disse: "Questo è perché sei pazza e hai il cuore più grosso
della tua testa!"
Sora, per dare una
maggior credibilità, le spostò tutta la frangetta davanti agli occhi. Lei rise e
lo ripeté, facendo lo sguardo arcigno. Poi, cercando di riprendere fiato, disse:
"oddio, speriamo che Riku non salti fuori adesso o ci uccide!"
Sora scosse la testa:
"Non credo che il problema esista…"
Kairi, allora, gli
prese nuovamente la mano. Sora, nonostante si sentisse improvvisamente triste,
fu contento nel rendersi conto che aveva smesso di sobbalzare sorpreso quando si
toccavano. Era consolante, e piacevole.
"…vorrei che Riku
tornasse a scherzare con noi…"
Kairi gli prese la
mano tra le sue e gli disse dolcemente, ma con assoluta sicurezza: "Un giorno
succederà."
Sora annuì, con la
sensazione disgustosa di avere come un sedimento in fondo allo stomaco. Della
sporcizia che siccome era così tappato, trattenuto, otturato come un lavandino,
non riusciva a lavarsi via.
Lui capiva Riku, e in
un certo senso era pronto a giustificarlo, ma quell’atteggiamento lo faceva
sentire così…accusato.
Non ne poteva più di
sentirsi in colpa per averlo lasciato andare. Di non essere stato abbastanza
sveglio o abbastanza forte o abbastanza veloce da riportarlo a casa subito.
Quando lo vedeva lì,
accartocciato per gli affari suoi, Sora si sentiva il fallimento peggiore
dell’universo.
E si chiedeva: ha
avuto senso aver aiutato tante persone?
Aveva avuto senso, se
alla fine non era riuscito ad aiutare proprio lui?
…
…aveva avuto senso…?
"…Sora…?" lo chiamò
dolcemente Kairi.
Lui le sorrise e lei
lo ricambiò, serena.
Andava bene anche
così.
Non importava che
Riku lo facesse sentire come se si stesse aggrappando con i denti ad un filo che
pendeva dalle tenebre. Finché Kairi gli dava tutta quella luce, non aveva paura.
…non aveva…
…nessuna…
…paura…
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Capitolo 2 *** Con il corpo ***
Con il corpo
Alle undici meno un
quarto di sera già sapeva che non sarebbe riuscito a dormire.
Camminava per la sua
stanza senza sosta, toccando gli oggetti, osservando le pareti con incredibile
attenzione, ed era come se tutte quelle cose lo stessero ingannando, perché
avevano una forma, sì, e una consistenza, ma non dovevano averla, perché quelle
cose non sarebbero dovute esserci.
O forse era lui,
quello che non ci doveva essere.
Era mancato da casa
per due anni. Due anni, nell’arco di una vita intera…guardandola in proporzione,
non erano niente. Ma a quindici anni due anni sono una vita, e dopo tutto quello
che aveva passato si sentiva come un adulto che tornando alla stanza della sua
infanzia non la riconosce, anche se è rimasta invariata; il tempo aveva
modificato il ricordo, e la stanza del ricordo era infine diventata più vera di
quella reale.
Quando si sentiva
così non lo aiutava che sua madre gli parlasse e lo guardasse come se niente
fosse stato, come se si fosse allontanato per una settimana, se fosse stato in
gita scolastica, e dopo un iniziale entusiasmo per il ritorno aveva
immediatamente ricominciato a rimproverarlo per la scuola e perché non
sparecchiava mai la tavola. Era assurdo. Da quando era tornato, quello che aveva
vissuto si stava allontanando.
La sala della
chiamata…Riku che veniva inghiottito dalle ombre…Kairi che era una principessa e
lui che riceveva un’arma leggendaria per salvarla e portare la pace nei
mondi…più ci pensava, più queste cose si sfumavano fino a perdere la loro
consistenza. I ricordi diventavano così precisi, ma così poco vividi, da
diventare praticamente sogni.
La prima settimana,
quando tutti e tre si sforzavano di vivere come avevano sempre fatto, a Sora era
sembrato di aver definitivamente compiuto l’impresa. Di aver salvato tutto
quello che c’era da salvare.
Poi aveva capito che
Riku non si era perdonato.
Lo avevano fatto
tutti, ma lui…lui non poteva ancora perdonare se stesso.
Quando si era isolato
nel rifugio, Sora aveva dovuto arrendersi all’evidenza : non esisteva modo di
riportare indietro il passato, anche se tutti e tre lo avrebbero voluto. Il
mare, il sole, la sabbia, l’albero di Paopu, quelle cose non sarebbero cambiate.
Erano stati loro a cambiare.
Le cose non sarebbero
mai più state le stesse, se non in quei ricordi che sembravano sogni.
Uscì fuori con molta
cautela, per non svegliare i propri genitori.
Si fermò ad osservare
il proprio riflesso distorto dalla cascata, sentendo l’acqua fredda schizzargli
sulla faccia. Si chiese come stessero Donald e Goofy, sorridendo a questo
pensiero.
Davanti al rifugio
erano nati rigogliose siepi di fiorellini bianchi. Chissà se chi li aveva
piantati sapeva che dietro a quello che sembrava un inutile buco ci fosse una
grotta, probabilmente sì, e forse lo avevano coperto proprio per impedire che i
bambini giocando ci si inoltrassero e si facessero male.
Tutte le volte che
Sora attraversava quel cespuglio, graffiandosi coi rami e soffiando i piccoli
petali inodori dal naso, aveva come la terribile sensazione che il loro stesso
mondo li stesse chiudendo fuori.
Riku stava ancora
dormendo.
Era sdraiato per
terra, incurante del sacco a pelo che Kairi aveva insistito per dargli, quasi
sdegnasse l’idea di averne bisogno. Messo così, appoggiato contro la parete
della roccia, sembrava un animale selvatico che era stato prima addomesticato e
poi abbandonato di nuovo alla natura. Ogni notte dormiva sotto la porta chiusa,
come se stesse facendo la guardia ad una casa senza famiglia. Si vedeva
benissimo che aveva provato ad aprirla con la forza, le sue mani sanguinavano
sempre.
Il senso di colpa
continuava a gettare detriti nel cuore otturato di Sora.
"Si può sapere che
cosa stai guardando?"
Lui sobbalzò dallo
spavento. Si guardò alle spalle, preparandosi inconsapevolmente alla lotta, poi
capì e guardò Riku, che lo stava fissando con fastidio.
"Credevo che
dormissi, mi hai fatto prendere un colpo!"
"Infatti stavo
dormendo, poi sei arrivato tu a fare casino" -si girò dall’altra parte, dandogli
la schiena.
"Non ho fatto
affatto casino, e comunque fa lo stesso, tanto ero venuto per svegliarti."
"Perché dovrei
svegliarmi?"
"Perché è ora, no?"
"Ora di cosa?"
"Di svegliarti!"
"Che ore sono?"
Sora scrollò le
spalle: "Sarà quasi l’una, credo. Non so."
Riku finalmente si
mise a sedere. Non sembrava per niente uno che aveva dormito fino a quel
momento. Buttò un occhio verso il passaggio, poi disse: "Sarà appena passata
mezzanotte."
"Certo, adesso sai
anche leggere l’ora dalla luce…"
"Non ci vuole tanto
per chi non è tonto come te" appoggiò la schiena contro la porta e si passò le
dita tra i capelli per sistemarli "…sono stato in posti dove c’era così poca
luce, che ho imparato a riconoscere le sfumature delle tenebre…"
Sora si sedette
accanto a lui, e chiuse gli occhi in silenzio.
C’era un altro motivo
per cui non riusciva a dormire.
Nonostante spesso si
sentisse fuori luogo come una battuta venuta male, le sue giornate scorrevano
tranquille. Stava con Kairi, ed era felice, una felicità ridicola, addirittura
bovina.
Ma quando cominciava
a diventare buio, e restava solo, lo stomaco cominciava a dargli fastidio.
Era come se le membra
gli si contorcessero.
Come se una mano di
fuoco lo stritolasse dentro.
Si sentiva ribollire
lento, come lava in un vulcano. E poi tutto quello che provava, tutto quello che
ricordava e che pensava…tutto si scioglieva.
Provava un senso
abbacinante di bisogno. Un’urgenza inappellabile, folle, che lo faceva sudare e
diventare nervoso, irascibile, intrattabile, ipersensibile, ma anche indolente.
Le mani gli tremavano, e faceva fatica a respirare bene. Somigliava ad una fame
feroce, insaziabile, ma non era affatto una fame –e si era rassegnato a questo
solo dopo tre notti in cui era sgattaiolato in cucina ad ingozzarsi di carne
come se fosse rimasto ad abitare nelle Terre del branco. Ed era doloroso, ma non
era nemmeno un dolore.
Era piuttosto
un’attesa; resa ancora più bruciante dall’incoscienza, perché non aveva la più
pallida idea di che cosa stesse aspettando, e quindi non poteva nemmeno mettersi
a cercare.
Non aveva mai provato
niente di tanto insistente. Gli mandava il sangue alla testa, gli rendeva
impossibile stare fermo. Avrebbe tanto voluto avere un qualche migliaio di
Heartless da massacrare, anche a mani nude, ma non c’era niente da massacrare
lì.
Così andava da Riku,
anche se spesso questo peggiorava la situazione.
Doveva essere l’odore
sulla sua pelle.
Quell’odore di
sangue, di sudore e di metallo, di fuoco e di terra bruciata dopo aver lanciato
un Thundaga.
L’odore di chi ha
combattuto impugnando un Keyblade.
Quell’odore lo
perseguitava. Quando sua madre preparava il pesce, quando i fiorellini bianchi
fuori dal rifugio profumavano al mattino, quando era sulla spiaggia e le onde
gli bagnavano i piedi, Sora a volte sentiva quell’odore.
In quei momenti
voleva essere stretto. Non abbracciato: stretto. Voleva che qualcuno gli
impedisse di esercitare il desiderio di distruggere.
La sera prima, poi,
mentre ripensava alle parole di Kairi su Naminé, Sora aveva finalmente
realizzato l’ovvio all’improvviso: a Roxas mancava Axel.
Lo aveva pensato con
una tale lucidità, una tale sicurezza, che era come se fosse stato lui a
dirglielo, esasperato dalla sua ottusità. Gli mancava in un modo furioso e
irragionevole, un modo che faceva venire voglia a Sora di sbattere la testa
contro al muro fino a rompersela.
Per farlo soffrire
così, lui e Axel dovevano essere stati molto amici.
"…Riku?"
"Mh?"
"Quando eri
nell’oscurità…hai avuto occasione di conoscere Axel?"
"Axel?"
"Uno dei tredici. Con
i capelli rossi."
Riku appoggiò la
testa contro la porta e ce la batté più volte, come per aiutare i pensieri a
convogliare in un unico punto: "Axel, Axel, Axel…"
"Smettila di
ripeterlo…" - era come essere pungolato insistentemente con uno spillo in un
punto sensibile.
"Axel!"
"Te ne sei
ricordato?"
Riku simulò uno
sguardo falsamente sexy e lo puntò col dito: "A-X-E-L! Memorizzato?"
"Lui! Lui"
"Che razza di
deficiente, accidenti. Sì, mi è capitato d’incontrarlo. Perché?"
"Lui e Roxas erano
amici."
"Ancora con queste
storie?"
"Credo che lui gli
manchi molto."
"E?"
"Roxas non aveva un
cuore…"
"…e?"
"Com’è possibile?
Come può una persona mancarti tanto da fare così male, senza nemmeno avere un
cuore?"
"Una persona non ti
manca solo col cuore."
"E come altro?"
"Con la testa, col
corpo.."
"Come fa a mancarti
qualcuno col corpo? E’ illogico!"
"E noi tutti ci
fidiamo ciecamente del tuo concetto di cosa è logico e cosa non lo è…" lo
schernì, poi si alzò in piedi e dichiarò: "Vado a farmi una nuotata, vieni?"
Sora, cancellando
completamente ogni possibile pensiero impegnato dalla mente, spalancò gli occhi:
"Che cosa?!"
"Ho detto che vado a
nuotare."
"Sì, non sono sordo,
ho capito!"
"Allora cosa lo
chiedi a fare? Stupido."
"E’ tardi!"
"Tardi per che cosa?"
"Per nuotare!"
"Sarà tardi per te,
per me è presto. Mi sono svegliato adesso."
"Ma è buio!"
"E allora?" gli
sorrise maliziosamente.
Sora saltò in piedi
come un gatto in allerta. Si sentiva esattamente come da piccolo, quando Riku si
prefiggeva di disubbidire deliberatamente agli ordini degli adulti, e riusciva
sempre a fare in modo non solo di convincerlo, ma di metterlo addirittura nelle
condizioni di scongiurarlo di portarlo con lui. Quel sorriso spavaldo e
quasi sensuale non era mai stato di buon auspicio per lui.
"Nuotare di notte è
pericoloso."
Riku si limitò a
ridergli in faccia e si incamminò. Sora gli andò dietro e continuò, come il
Grillo parlante: "E se ti attacca una medusa?"
"Nell’ultimo anno mi
hanno attaccato cose ben peggiori, Sora. Credo di poter gestire una medusa" si
aprì senza riguardo una via tra i fiori bianchi e Sora si prese in faccia la
maggior parte dei rami.
"Le meduse fanno
male! Bruciano, e sono velenose, e se ci pensi sembrano dei piccoli nobody!"
"So gestire anche un
nobody, sebbene nella sua leggendaria e letale forma tascabile."
"Ma brucia!" ripeté
lui, come se quella fosse l’argomentazione migliore possibile. E lo era, lui lo
sapeva bene, a cinque anni una medusa gli si era appiccicata alla faccia, e
poteva giurarlo sulla testa del Re, preferiva dover impacchettare altri
diecimila regali per Babbo Nachele piuttosto che sentire ancora una volta quell’orribile
dolore.
"Che paura."
"Se ci sono gli
squali?"
"Faccio un bagno
vicino alla riva, non vado in mare aperto a pescare gamberi."
"E se escono i pesci
velenosi che si nascondono di giorno?"
Riku rise: "Non
esistono pesci del genere!" –e a pochi metri dalla riva cominciò a spogliarsi.
Sora cercò di dire
qualcos’altro, ma prima che potesse formulare una frase sensata l’amico gli
lanciò in faccia giacca e maglia. Lui buttò tutto a terra con rabbia e continuò
a seguirlo.
"Al buio non puoi
vedere bene dove stai andando!"
Riku si girò e gli
stoccò un’occhiata, un misto di ilarità e sdegno così eloquente che non dovette
nemmeno aggiungere altro. Sora si sentì subito un cretino e aggiunse: "Qui non è
come andare in giro nell’oscurità bendato ad ammazzare mostri con il Keyblade!"
"No, qui potrei
pestare una conchiglia rotta."
"Sì!"
Riku rise ancora e si
tolse i jeans. Sora incrociò le braccia sul petto: "Se ti prende uno squalo te
lo scordi di chiedere aiuto a me."
"Se mi prendesse uno
squalo ti butteresti in acqua senza pensarci nemmeno un secondo."
Sora si limitò a
guardarlo male: "Sì, è vero."
"Adesso però gradirei
che ti girassi e coprissi gli occhioni innocenti."
"Come se non ti
avessi mai visto nudo. Nell’oscurità hai subito qualche altro cambiamento di cui
non mi hai ancora reso partecipe?"
Riku fece un mezzo
sorriso provocatorio: "Non è l’oscurità, è la crescita, quella cosa che a te non
tocca. Non voglio scatenare gelosie ingestibili."
"Se non ti ammazza lo
squalo lo faccio io" decretò lui prima di dargli la schiena. Quando poi si rese
conto che Riku non faceva rumore da un po’ si girò preoccupato, e sospirò di
sollievo quando vide che era già in acqua.
A volte, senza nessun
motivo, veniva colto dall’ansia e dal terrore atavico di girarsi e scoprire che
Riku e Kairi non erano più con lui. Temeva di perderli di nuovo più di qualsiasi
altra cosa.
Sora si avvicinò
all’acqua la toccò con la mano. Aveva dimenticato che il mare fosse così caldo
di notte. Ci pensò su un po’, poi si disse che oh, al diavolo, anche lui poteva
gestire una medusa, e sicuramente tra lui e Riku potevano gestire uno squalo,
quindi si spogliò e si buttò, tagliando con un tuffo la prima onda che si fece
avanti.
Quando riemerse aveva
i capelli appiccicati alla faccia e si sentiva bene.
Si avvicinò a Riku,
che fece una breve risata -compiaciuto per essere riuscito ancora una volta a
fargli fare quello che voleva lui. Sora scrollò le spalle con fare indifferente:
"Se arriva uno squalo io gli salto sulla schiena e lo colpisco. Ho fatto
pratica, in questo."
"Io gli squarcio la
pancia a mani nude."
"Io gli strappo la
pinna e la uso come arma contro di lui."
"Io gli cavo gli
occhi e li uso come arma contro di te."
"Perché, che ti ho
fatto?"
"A quel punto lo
squalo sarà morto e avrò ancora voglia di combattere, suppongo" detto questo, si
immerse. Sora si guardò intorno per cercare di seguire la sua sagoma, perché
aveva imparato negli anni che in quei casi era meglio non distrarsi, le
strategie di Riku per spaventarlo erano variegate e potevano ancora stupirlo.
Invece lui si limitò
a riemergere e a sputargli acqua addosso. Poi gli chiese: "A te non capita mai?"
"Che cosa?"
"Di avere voglia di
combattere."
Sora scosse la testa.
"Non ci credo."
"Perché?"
"Perché non è vero."
"E’ vero, invece.
Sono stanco di combattere…E dovresti esserlo anche tu."
"E’ ovvio che sono
stanco, ma questo non toglie che a volte ne abbia voglia. E ce l’hai anche tu."
Sora chiuse gli occhi
con superiorità: "Pensa un po’ quello che vuoi."
Poi li riaprì e vide
che Riku gli stava facendo di nuovo quel sorriso malizioso che non prometteva
niente di buono. Già temeva che lo avrebbe sfidato a qualcosa di pericoloso,
come a chi tratteneva di più il fiato sott’acqua, e senza la sua coda da tritone
dubitava che sarebbe riuscito a batterlo. Riku si sarebbe affogato, pur di non
tirare la testa fuori prima di lui.
"Dai, dimmi che non
ti dava i brividi."
Sora non gli rispose.
L’altro insistette, più serio: "Dimmi che ammazzare quelle cose non ti
eccitava."
Sora pigolò offeso:
"Torno a riva" - fece per girarsi, ma Riku gli afferrò un braccio. Quel contatto
lo fece sobbalzare, e risvegliò in lui l’orrendo mal di pancia che lo teneva
sveglio la notte. Questo lo innervosì ancora di più.
"Che c’è, cosa vuoi?"
Riku lo tirò più
vicino, fino a far quasi toccare i loro corpi.
Gli stese un braccio
sulla spalla, lentamente, si chinò su di lui e gli sussurrò roco all’orecchio:
"Stai forse cercando di dirmi, Sora, che massacrare ondate di Heartless non ti
hai mai dato piacere?"
A Sora sembrò di
essere sul punto di sputare il cuore.
Gli diede una spinta,
con cui riuscì a staccarselo di dosso e a farlo quasi cadere.
Sibilò a denti
stretti, respirando come se lo avessero spaventato: "Mi dispiace, io non sono
come te."
Dopo aver nuotato per
al massimo due metri verso la riva si sentì schiacciare con forza sul fondo del
mare. Cercò di divincolarsi, ma arrivò fino a sbattere il muso contro la sabbia
e la ghiaia. L’aria cominciò a mancargli e iniziò a dimenarsi, scalciare e
graffiare, finché non fece un disperato tentativo ed aprì la bocca per mordere
l’aggressore. Riuscì ad agguantargli il braccio, e fosse l’ultima cosa che
faceva glielo avrebbe strappato e risputato sulla spiaggia. Finalmente la morsa
lo liberò e poté riemergere, con i polmoni in fiamme e il respiro affannoso da
fare male. Gli occhi gli bruciavano e aveva bevuto almeno due litri d’acqua, che
continuava a rigurgitare dalle profondità dello stomaco, mentre ne soffiava
istericamente altra fuori dal naso. Era cresciuto su un’isola, ma non aveva mai
imparato a sopportare l’acqua nel naso. La odiava, e quel bastardo lo sapeva
benissimo. Non aveva ancora smesso di tossire, quando Riku gli prese con
forza il polso: "Che cosa vorrebbe dire che non sei come me?"
Sora gli morse la
mano e subito Riku gli diede uno schiaffo con l’altra. Lui gli diede un pugno
nello stomaco che gli tolse momentaneamente il respiro, così poté liberarsi
facilmente e raggiungere la riva. Mentre cercava i suoi vestiti con lo sguardo
Riku gli urlò ridendo: "Sei un ipocrita, Sora!"
Non gli diede retta.
Doveva andarsene. Doveva solo andarsene in fretta.
Riku però non era
della stessa idea, gli arrivò alle spalle e lo strattonò così forte che per un
pelo non gli slogò la spalla. Sora ebbe i riflessi abbastanza pronti da
abbassarsi e dargli una gomitata, poi lui lo bloccò e gliene piantò a sua volta
una nella schiena. Sora gli azzannò un fianco e riuscì a liberarsi,
sfracellandosi con la faccia contro la sabbia, che adesso non sembrava così
morbida. Il tempo di cominciare a sputare granelli che Riku lo rigirò senza
troppi problemi e gli spappolò mezza gengiva con un cazzotto sulla guancia. Sora
si strozzò con sangue, ma lo inghiottì quasi con piacere, e gli sputò addosso
quello che restava mentre con la mano libera lo colpiva alla mascella, poi se lo
tirò con forza vicino, gli conficcò le unghie nella schiena e gli morse il collo
quanto più forte poteva, finché Riku non afferrò il suo con entrambe le mani e
continuò a stringere; Sora fu costretto ad aprire la bocca per respirare, e si
lasciarono entrambi andare.
Un attimo dopo, Riku
gli aveva bloccato le mani al terreno.
A Sora bruciavano gli
occhi per via della sabbia, che diventava ulteriormente molesta appiccicandosi
ai loro corpi bagnati. Sputò altro sangue sulla bocca di Riku, che lo leccò e
gli sorrise, con le labbra che gli sanguinavano per i pugni.
Sora gli sorrise a
sua volta, prima che lui lo lasciasse andare e gli desse così l’occasione di
saltargli nuovamente alla gola e azzannarlo. Riku lo prese per la fronte e se lo
tolse di dosso, sbattendolo con forza di nuovo contro la sabbia. Ghignò, sadico
e soddisfatto: "Sempre a mordere, piccolo bastardo, sei un uomo o un leoncino?"
Sora prese il respiro
prima di rispondergli "sono stato in tempi diversi entrambe le cose", e con una
ginocchiata nello stomaco riuscì ad ottenere di nuovo la posizione dominante.
Continuarono a
picchiarsi con entusiasmo, riempiendosi di morsi e di lividi, e quando alla fine
Sora si ritrovò sopra di lui senza fiato, affannato, col sangue che ribolliva
nelle vene e il viso arrossato, Riku lo afferrò per i capelli, se lo portò
vicinissimo e gli disse a pochi centimetri dalle labbra: "Ripetimi ancora che
non ti dà piacere".
Sora lo accontentò
con un mezzo sorriso, ma scosse lentamente la testa con un tranquillissimo "no".
Lui allora gli strinse più forte e lo costrinse a guardare in basso.
Le loro erezioni dure
e palpitanti dicevano l’esatto contrario.
Sora scoppiò a
ridere, non avendo altro da aggiungere. Riku doveva averla interpretata come una
resa, perché si rilassò, e lui non si rilassava mai prima di essere del tutto
sicuro di aver reso innocuo il suo avversario, anche se quell’avversario era il
suo migliore amico.
Sora aveva la testa
vuota e dolorate, ma anche la piacevole sensazione di aver riciclato qualcosa
all’interno del suo corpo. Sputò altro sangue sulla sabbia e ridacchiò: "Ti
odio, prima di domani avrò inghiottito duecento litri di sangue."
"Sono io che ti odio,
mi hai quasi strappato il collo, stupido pazzo."
Lui sospirò
beatamente: "Domani avrò così tanti dolori che non riuscirò ad alzarmi dal
letto."
"Così almeno per
qualche ora non penseremo ad altro…"
Sora rotolò giù da
lui e si sdraiò al suo fianco. Poi fece un verso disgustato: "Se vedo ancora
sabbia mi metto a gridare."
"Allora credo che
dovresti andartene."
"Già. Qui ci sarà
sempre un sacco di sabbia, vero?"
"Andiamocene."
Sora smise di
guardarlo. Rivolse gli occhi al cielo e sorrise: "E dove te ne vuoi andare?"
"Non lo so. Che cosa
non abbiamo ancora visto?"
"Non lo so…forse
questa volta abbiamo davvero visto tutto."
"Ti sbagli.
Sicuramente ci sono ancora un sacco di cose da vedere."
Sora sorrise tra se e
se. Per Riku ci sarebbe stato sempre qualcosa da vedere, perché per Riku c’era
sempre altro. Sora poteva avere dei dubbi, e anche quei lunghi momenti di
rimpianto. Ma era una persona semplice, in fin dei conti. A lui andava bene
anche così. Le stelle, il mare, le cose che lo avevano cresciuto. Aveva visto
abbastanza.
Riku non avrebbe mai
visto abbastanza.
Era stata quell’ansia
irragionevole di vivere il più possibile a renderlo il pupazzo di Malefica, ma
era stata quella stessa ansia a salvare il suo cuore.
Sora non aveva quell’avidità,
ma non aveva nemmeno quella forza.
Chiuse gli occhi,
godendosi finalmente in pace l’odore che di solito lo tormentava.
Forse le cose erano
andate in modo sbagliato quando la porta della luce si era aperta.
Odiava pensarlo, ma a
volte sentiva che forse la cosa migliore per loro sarebbe stata restare
dall’altra parte. In un mondo in cui tutto è niente, e si vive di ricordi come
relitti di vascelli in fondo all’oceano.
"Come fai a sapere
che Roxas e Axel erano amici?"
Sora girò la testa:
"Perché ti viene in mente adesso?"
"Mi è venuto in mente
e basta. Te l’ha detto Roxas? O è una di quelle cose che sentite?"
"Me l’ha detto Axel,
prima di sparire. Ha detto…" tornò a guardare il cielo, mentre una profonda
tristezza gli saliva fino agli occhi. All’improvviso gli veniva da piangere.
"…ha detto che Roxas
era l’unico che gli piaceva. E che lo faceva sentire come se avesse avuto un
cuore…"
"Addirittura."
"Addirittura…"
Adesso aveva le
lacrime agli occhi. Che orribile, orribile situazione. Non era più nemmeno
padrone delle sue emozioni. Se solo avesse potuto infilasi una mano in gola e
sradicare Roxas da lì sarebbe stata la persona più felice del mondo, ma
purtroppo non poteva, e non solo perché Roxas non era una placca infiammata, ma
soprattutto perché non poteva dire con certezza che cosa scatenasse quei
sentimenti assurdi dentro di lui.
Non che facesse
alcuna differenza, in fondo.
Poi sentì Riku
ridere.
"Che c’è?"
"Senti, ma ti ha
detto proprio così? Mi fa sentire come se avessi un cuore?"
"Già."
Riku rise ancora. A
lui non sembrava molto carino ridere dei sentimenti altrui, specialmente con
Roxas lì davanti (beh, davanti idealmente), ma prima che potesse avanzare una
critica Riku disse divertito: "Allora credo che tu ti sia perso un passaggio,
Sora."
"Uh?"
"Non sarebbe una
novità, diciamo che non sei mai stato esattamente la pallina più brillante
dell’albero di Natale…"
"Visto che tu invece
sei così sveglio spiegami un po’ che cosa mi sarei perso!"
"Se non altro,
cominciano a tornare un po’ di cose…"
"Uffa, piantala di
rimuginare da solo!"
"Prima mi hai chiesto
come si fa a sentire la mancanza di qualcuno col corpo, no?"
"Sì."
"Fai due più due. A
mente, se ci riesci, altrimenti puoi usare le dita."
"Non capisco cosa
stai cercando di comunicare…"
Riku rise e Sora
sbuffò: "Per me non hai capito niente e mi stai solo prendendo in giro."
"Sono
dell’organizzazione! Sto cercando di confonderti!"
Sul subito Sora non
capì, ma quando ci arrivò Riku aveva già aggiunto: "Ho sentito tre idioti dire
questa cosa un sacco di volte, per non ammettere che non capivano niente."
"Rikuuu!
Almeno non ti vantare perché sei rimasto a spiarci senza farti vivo neanche una
volta, non è proprio il caso!"
Niente da fare, Riku
stava ridendo di lui e non avrebbe smesso molto presto. in fondo era meglio così.
La sua risata lo tranquillizzava fin da quando erano bambini, e Dio, se aveva
bisogno di essere tranquillizzato adesso.
Dopo un po’ che se ne
stavano in silenzio, ancora nudi, con gli occhi chiusi e solo le onde del mare a
suonare come una ninna nanna, Sora sbadigliò. Riku incrociò le mani dietro alla
testa e disse: "Forse è il caso che tu torni a casa. Domani ti aspetta un’altra
interminabile giornata di sole…"
"Dovrei anche lavarmi
questa sabbia di dosso…"
"Ormai si sarà
seccata."
Sora provò a
spolverarla e vide che in effetti andava via facilmente. Si sarebbe fatto una
doccia per bene a casa. Inghiottì un altro po’ di sangue e tirando fuori la
lingua per il disgusto biascicò: "Non ti perdonerò mai."
Riku rispose troppo
seriamente: "Lo so."
"Per la gengiva…"
specificò, a bassa voce.
Un attimo dopo Riku
era sopra di lui e gli teneva ferme le braccia.
Sora sentì una
terribile, insopportabile vampata di calore.
Poi Riku gli prese la
testa, gliela piegò su un lato e gli azzannò il collo.
Sora gridò fortissimo
e lui gli tappò la bocca. Sora gli morse la mano, ma lui non la tolse, così
continuò a mordere il più forte possibile, come se volesse sbriciolargli le
dita. Lo morse con tutte le sue forze perché il cuore gli batteva come un
trapano nel petto. Perché la pelle gli bruciava a contatto con la sua. Perché la
stretta salda e violenta attorno i polsi lo eccitava. Perché aveva voglia di
prendere in bocca i suoi capelli bianchi e tirarli, di avere le mani libere per
graffiare ancora la sua schiena. Perché sentiva tutto il suo corpo sul punto di
far esplodere ogni più piccola terminazione nervosa. Avrebbe voluto che quel
dolore sublime non finisse mai.
Quando Riku lo lasciò
lui mollò la sua mano, e non poté trattenersi da ricominciare a respirare
affannosamente, sconvolto, e spaventato.
Riku gli diede un
colpetto sulla fronte con le dita e gli disse: "Così impari a mordermi, piccolo
bastardo".
Sora non rispose. Le
sue maledette viscere avevano preso fuoco e si stavano squagliando come gelato
flambé. Riku si fece serio, guardandolo, poi guardò la mano che recava il segno
dei suoi denti e constatò: "Un giorno potresti diventare il Re della giungla."
Sora cercò di
recuperare la voce: "Una volta ci ho provato, ma secondo Rafiki non ero adatto…"
Riku rise e si alzò.
Quando i loro corpi
furono nuovamente divisi, sotto la pelle di Sora ricominciò una battaglia
furiosa; dalla soddisfazione per essere finalmente in salvo, a uno struggente
senso di mancanza. Cercò di alzarsi, ma gli girava la testa. Chiuse gli occhi.
"In quanto alla cosa
di Roxas, pensaci. Buona notte, stupido leoncino."
Sora riaprì gli occhi
solo quando sentì che Riku era tornato in acqua.
Si mise faticosamente
a sedere, ma non riusciva a mettere bene a fuoco le cose. Gli sembrava di avere
la febbre. Quindi era vero che nuotare di notte può essere pericoloso.
Sputò altro sangue e
vide che ce l’aveva ancora duro.
Il suo primo pensiero
fu di dolore, per quando avrebbe dovuto togliere la sabbia da lì.
Anche il secondo fu
di dolore, ma di un dolore meno veniale.
Toccò l’erezione per
controllare che fosse vera. Beh, era vera.
Pensò a Roxas. Pensò
ad Axel. Pensò a Riku.
Axel e Riku.
Axel e Roxas.
…
…
…oh, no.
|
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Capitolo 3 *** Tesori del mare ***
Tesori del mare
Tesori del mare
Da quando era tornato
Sora non aveva ricominciato ad andare a scuola. Altra cosa che sua madre trovava
perfettamente normale. Meglio così. Non avrebbe saputo spiegarle quanto la sua
sofferenza all’idea di stare inchiodato ad un banco per tutte quelle ore fosse
giustificata. D’altra parte era consapevole che prima o poi avrebbe dovuto
ricominciare. Doveva finire le medie, poi le superiori, poi magari andare
all’università, e dopo ancora trovare un lavoro, e poi, e poi…la verità era che
Sora non riusciva a vedere se stesso a distanza di quell’anno.
Il Sora che avrebbe
fatto tutte quelle cose era da un’altra parte, ormai.
Il Sora che era
adesso continuava a pensare, in un angolino buio e remoto della sua coscienza,
che un giorno sarebbe accaduto qualcosa che gli avrebbe fatto ricomparire il
Keyblade tra le mani.
Non avrebbe voluto,
ma quello era il solo futuro che riuscisse ad immaginare con un certo realismo.
"Sora!"
Si scosse e cominciò
a guardarsi frettolosamente intorno, cercando di localizzare la provenienza del
richiamo.
Kairi lo stava
salutando agitando un braccio, mentre correva verso di lui. Aveva ancora la
cartella e la divisa scolastica; le stava così bene che lui non riusciva a
sopportarne la vista senza arrossire e gongolare almeno una volta. Si rendeva
conto di quanto questo fosse stupido, e allora? Ne era felice.
Kairi lo raggiunse e
si buttò sulla sabbia con le ginocchia, poi vedendolo gridò subito: "Sora, Santo
Cielo! Che cosa ti è successo??"
Sora fece spallucce:
"Ho fatto a botte con Riku."
"Che cosa?
Siete due stupidi! Guarda che disastro, mamma mia…" avvicinò una mano alla sua
guancia viola, ma non fu una buona idea, e Sora si ritrasse. Lei capì e chiese
mille volte scusa in un secondo, poi allontanando le mani per paura di fare
altri danni chiese che cosa fosse successo.
"Niente."
"Come sarebbe a dire
niente?"
"Non è successo
niente. Abbiamo solo fatto a botte."
"Così. Senza motivo."
"Sì" confermò, e poi
rise "Questa mattina mi sono svegliato con in bocca questo enorme grumo di
sangue e…" - resosi conto che l’espressione di Kairi non rifletteva esattamente
la sua stessa esaltazione, decise di risparmiare i particolari. Lei disse, non
troppo convinta: "Beh, contenti voi…"
Contenti…forse.
Chissà. Fatto stava che Sora aveva passato una notte assurda e piena di calore.
In ogni sua insopportabile forma. E non era completamente sicuro che dipendesse
solo dalla temperatura. Se avesse dovuto dare la colpa a qualcuno di quell’insopportabile
condizione, beh, l’avrebbe data certamente a Roxas.
"Ah!" fece Kairi,
distraendolo dai suoi pensieri "Era tipo una delle vostre gare? Come quelle che
facevate sempre!"
"La rissa, dici?"
Kairi annuì. Sora le
sorrise: "Sì, una specie."
Lei allora batté
gioiosa le mani, e fece un largo sorriso, che Sora non comprese.
"Che c’è da sorridere
…?"
"State tornando
normali!" poi fece con una mano segno di fermarsi e disse, crucciata "Ok, fai
finta che non abbia detto normali…però hai capito lo stesso il senso,
vero?"
"Uuh…sì, forse…"
Kairi si sedette
composta accanto a lui.
La luce le
accarezzava dolcemente le guance rosa, e mentre si spostava i capelli dietro le
orecchie, portandosi le ginocchia al petto e sistemando la gonna dell’uniforme
sui fianchi, Sora la ammirò come si ammirerebbe un tramonto, una maestosa
cascata, la nascita delle tartarughe o qualsiasi altra meraviglia della natura,
e pensò che non fosse semplicemente splendida.
Era splendente.
La guardò così a
lungo, imbambolato e sereno, che persino lei, affatto semplice da far
vergognare, fece un mezzo sorriso imbarazzato. Siccome gli sembrava di dover
giustificare il proprio interesse, le disse: "Non ti ho ancora detto che i
capelli così ti stanno benissimo!"
"Davvero?"
"Sìssì."
Kairi ne accarezzò le
punte e gli sorrise: "Meno male che me lo dici, in effetti avevo qualche
dubbio…"
Sora scosse
vigorosamente la testa: "Ti donano tantissimo, davvero! Non che coi capelli
corti stessi male, tutto il contrario, ma ti fanno più…"
"Femminile?"
"…uh….veramente
pensavo ad alta…"
Kairi si fermò, come
se non avesse capito bene, poi rise. Anche Sora rise e aggiunse: "Ma anche più
femminile."
"Non vale adesso che
te l’ho detto io!" prese un pugno di sabbia e fece il gesto di lanciarglielo
negli occhi, cosa che fece scattare all’indietro Sora supplicandola di non farlo
mai più, lui odiava la sabbia. Kairi si sporse in avanti, sorridendo
ancora, e la soffiò via.
Anche in quel
momento, per lui, Kairi era splendente.
Ogni suo gesto, anche
il più piccolo, lo meravigliava.
Quando strappava un
fiore, quando si puliva le ginocchia dalla sabbia, ma anche quando starnutiva
con entrambe le mani davanti alla bocca, e faceva quello starnutino trattenuto e
minuscolo, come se non stesse davvero starnutendo, ma stesse dicendo solo "ecciù!",
lui restava a bocca aperta, meravigliato.
Ripensò a quando lui
e Riku l’avevano trovata sulla spiaggia. Dalla casa sull’albero era apparsa così
piccola che era sembrata, ad un primo sguardo, una bambola.
Sua madre gli aveva
sempre detto che il mare è pericoloso, ed è giusto che sia così, perché deve
difendere un’infinità di bellissimi tesori.
Quando si
avvicinarono e videro che quella bambola in realtà era una bambina, Sora pensò
che il mare avesse tirato fuori uno di quei tesori.
Aveva talmente paura
che il mare se la riprendesse, i primi tempi, che tremava tutte le volte che lei
si avvicinava all’acqua, e lui e Riku partivano in quarta a sorvegliarla,
cercando frettolosamente una scusa qualsiasi per portarla sulla terra ferma,
dove le onde cattive non l’avrebbero raggiunta.
L’avevano trovata
loro.
Loro l’avevano
aiutata, avvolta in una coperta e scortata al rifugio segreto; lì l’avevano
nutrita, le avevano dato da bere latte col cioccolato, avevano steso i suoi
vestiti al sole e le avevano dato i loro, Sora i pantaloni e Riku la maglietta,
e mentre lei turbata e tremante non aveva versato nemmeno una lacrima, loro con
le dita le avevano pettinato i capelli sottili e secchi di salsedine.
Kairi non era un
tesoro qualsiasi. Lei era la loro principessa.
Pensando a questo
Sora si sentì pervadere da un affetto e una gratitudine così profonda che gli
sembrava di tremare. Senza pensarci strinse un braccio intorno alle sue piccole
spalle e lei lo lasciò fare, avvicinandosi, mentre sorrideva e apriva la
cartella sulle ginocchia. Tirò fuori il blocco da disegno, cercò un foglio, e
glielo mostrò.
"Guarda che cosa ho
fatto nell’ora di matematica, invece di ascoltare."
Sul blocco, schizzati
in un angolo, due bambini tenevano per mano una bambina.
La bambina aveva i
capelli corti e un vestitino bianco. Un bambino aveva i capelli grigi, mentre
quelli dell’altro erano punte insensate sparate verso tutte le direzioni.
Insieme, guardavano ammirati un gigantesco frutto di Paopu che usciva dal mare,
e il bambino coi capelli grigi lo indicava, come se stesse proponendo di andarlo
a prendere. Dietro di loro c’era un buco nero, vicino a una cascata…ma il buco
era coperto di fiori bianchi. Nessuno si sarebbero potuto nascondere, lì.
Sora sospirò, e
sorrise appena, senza fiato, scuotendo la testa. Kairi si sistemò ancora i
capelli, che il vento continuava a scompigliarle: "Ok, lo so che tecnicamente è
orrendo, però in fondo in fondo è carino, no?"
Chiedendosi per quale
stupida ragione avesse aspettato tutto quel tempo, Sora le diede un bacio.
Voleva essere solo un
attimo, invece esitò sulle sue labbra profumate di amarena.
Quando si allontanò
appena, Kairi si sistemò il lucidalabbra sbavato con il mignolo e rise, con gli
occhi chiusi: "Pensavo che non lo avresti mai fatto, la prossima volta ti
disegno un poster intero, anzi, ti vernicio direttamente un muro!"
Anche Sora rise e se
la avvicinò nuovamente, ma a quel punto lei si era alzata sulle ginocchia
ridacchiando, e dopo avergli messo le braccia intorno al collo lo aveva spinto a
terra.
Sora sbottò,
divertito ed esasperato insieme: "Nooo, basta sabbia!"
Kairi gli picchiettò
la fronte con un dito, rimproverandolo: "Saltare in un buco nero per venirti a
cercare non è bastato! Non si può certo dire che tu non sia un uomo che si vuole
far desiderare, Sora!"
Lui cominciò a
ridere, cercando di fermarle le mani con cui gli stava facendo il solletico.
Quando ci riuscì la guardò bene nei suoi bellissimi occhi azzurri, come se fosse
stata la prima volta. Le prese il viso tra le mani e la baciò di nuovo.
Mentre erano sdraiati
lì, da soli, e la sua nuca castano brillante copriva l’accecante luce del sole,
Sora pensò per la prima volta, con tutto il cuore, che era valsa la pena di
essere tornato.
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Capitolo 4 *** Lo stesso odore ***
Lo stesso odore
Lo stesso odore
Era completamente,
irrimediabilmente innamorato di Kairi.
Era passata
esattamente un’ora dall’ultimo bacetto che si erano scambiati sulla soglia di
casa, sorridendosi come tutte le sere, eppure in modo completamente diverso da
tutte le altre sere.
Tra di loro era
sempre stata una cosa tra le righe, così scontata, eppure così delicata.
Adesso, finalmente, i
loro sentimenti erano chiari davanti a loro. Si potevano manifestare in gesti
comuni, così ovvi, eppure così straordinari.
Lui la amava.
La amava anche in
quel momento, quando dopo una mezz’ora in solitudine nella sua stanza quel senso
di euforia e pace si era stemperato fino a scomparire, sostituito dalla solita
sensazione di essere nel posto sbagliato.
Da quando Kairi gli
aveva sorriso dicendogli a domani, una voce languida dentro di lui aveva
cominciato a sussurrare incessantemente il nome di Riku.
Eppure Sora amava la
vita che aveva riconquistato.
Amava la spiaggia,
nonostante il recente odio per la sabbia. Amava il paesaggio sempre uguale, così
rilassante, e il suono delle onde così famigliare, ma che la natura capricciosa
del mare rendeva ancora imprevedibile. Amava quel far niente dolcissimo, pescare
e arrabbiarsi se non prendeva niente, poi addormentarsi in pieno pomeriggio in
riva al mare, sdraiato all’ombra dell’albero di Paopu. Amava godersi quel mondo
minuscolo eppure così bello insieme a Kairi, e avere la sensazione che quel
mondo gli calzasse così perfettamente perché era stato creato per loro.
Ma aveva premuto
tutto il giorno sui lividi che Riku gli aveva procurato.
Aveva succhiato e
ingoiato tutto il sangue che gli usciva dalla gengiva, torturandola quando
sembrava stare guarendo, e a cena la sua gamba era ciondolata nervosamente per
tutto il tempo mentre minuto dopo minuto l’orologio si sforzava a muovere le
proprie lancette con arrogante tranquillità.
Dalla sera prima una
piccola parte di lui era rimasta all’ombra, ad aspettare che il momento
tornasse.
Ancora botte. Ancora
lividi. Ancora quell’odore irresistibile.
Non dimenticava la
dolcezza delle labbra soffici di Kairi anche adesso che si consumava nel
desiderio della durezza del corpo di Riku che distruggeva il suo. Tratteneva
invece entrambe le sensazioni il più possibile vicine, come tesori, e ne amava
il brutale contrasto. Le sue scoperte più recenti e importanti.
Appena rintoccarono
le undici e mezza -ed era prestissimo- saltò fuori dalla finestra.
Il sangue si
risvegliava nelle sue vene ad ogni passo, poi cominciava a ribollire, fino a
cavalcare, quando fu vicino al rifugio. Nessuna lotta poteva essere più
invitante di una che coinvolgeva Riku, per via di quell’amicizia così salda e
profonda intrecciata alla rivalità feroce.
Quando entrò nel
rifugio Riku stava ancora dormendo.
Sora si inginocchiò
accanto a lui e cominciò a colpirlo per svegliarlo, anche se non ce n’era
bisogno perché lui sembrava dormire con un occhio aperto come i cani o gli
assassini, sempre in allerta. Infatti gli bloccò subito il secondo pugno.
"Si può sapere da
dove viene questa orrenda abitudine di svegliarmi?"
"Dal fatto che non
puoi dormire tutto il giorno" disse frettolosamente, e gli morse la mano con cui
tratteneva la sua. Riku gliela tolse senza fatica, borbottando: "Perché non ti
compri una di quelle cose su cui si fanno i denti i cuccioli e non mi lasci in
pace?"
"I denti me li faccio
su di te se non ti alzi!"
"Sciò, micio, sciò.
Ho sonno" e detto questo si girò dall’altra parte.
Sora, trovandosi di
fronte al muro della sua schiena, non trovò niente di meglio da fare che dargli
una ginocchiata. Chiaramente Riku lo stava provocando, come faceva sempre quando
si appassionava a qualcosa che lui gli aveva proposto e che Sora aveva
inizialmente snobbato, come la pesca (hobby di cui si erano stufati dopo due
settimane), il Blitzball (una settimana) e il
tuffati-dal-punto-più-alto-di-pancia-e-fatti-un-male-bestiale (un pomeriggio,
poi le loro madri li avevano legati a delle palme, letteralmente, con delle
corde che passavano sotto le ascelle). Lo faceva apposta per farlo imbestialire
e ci riusciva benissimo.
"Non puoi avere
ancora sonno, hai dormito tutto il giorno!"
"Tu sei fuori con
Kairi, tutto il giorno. Che cosa ne sai di che cosa faccio io?"
Eccole lì. Le tacite
accuse che Sora non sopportava. Se non altro questa volta era nelle condizioni
di sfogarsi, quindi gli diede un pugno.
"Puoi anche
risparmiarti quel tono da emarginato, non siamo certo io e Kairi che ti abbiamo
chiuso qui!"
"Senti, torna tra
un’ora, o al limite vai a farti le unghie contro una parete. Vai micio, pussa
via."
In tutta risposta
Sora gli addentò una spalla. Era solida, nervosa, forte, come sospettava che le
sue non sarebbero state mai. Continuò a mordere, finché lui non smise di fare
l’impassibile e lo allontanò con una sberla sulla testa.
"Si può sapere cosa
vuoi?"
"Devo fartela pagare
per ieri sera!"
Riku, finalmente,
aprì bene gli occhi. Si appoggiò sui gomiti, e gli rivolse quel suo sguardo da
falco arrogante che punta la preda in trappola.
Era lo sguardo che
Sora aspettava.
"Vuoi farmela
pagare."
"Esatto. Mi fa ancora
male la guancia!"
"Nient’altro?"
"Che cos’altro c’è?"
Lo aveva detto con
una tale sicurezza, che si sentì come se non ci fosse veramente nient’altro.
"Non lo so, vuoi
dirmelo tu? O se sei ancora in vena di riflessioni a riguardo puoi farmelo dire
dal tuo amico invisibile."
Sora lo conosceva
abbastanza da sapere che non alludeva a niente, e contemporaneamente stava
alludendo a tutto. Faceva così solo per tirarlo scemo. Quanto non lo sopportava,
perché doveva essere così odioso? Non poteva picchiarlo e basta?
"Non è mio amico."
"Allora c’è
qualcos’altro di cui vuoi parlare?"
"No, ho detto che ti
devo spaccare la faccia per ieri sera!"
Riku lo lasciò
andare: "Provaci."
Finalmente, Sora non
aspettava altro.
Gli si scagliò subito
contro con un pugno, ma Riku lo fermò, gli torse il braccio e in un batter
d’occhio gli era seduto sulla schiena, e gli teneva la testa schiacciata per
terra; se lo avesse voluto gli avrebbe slogato una spalla senza nessuna fatica.
Sora si godette ogni secondo di quel dolore, come se dopo quello non sarebbe mai
più stato possibile averne dell’altro.
Riku gli chiese
svogliatamente: "Adesso posso tornare a dormire?"
Sora concentrò tutta
la sua forza sul braccio libero e riuscì a sbilanciarlo e levarselo di dosso.
Gli salì sopra, bloccandogli le gambe con le sue, e riuscì a dargli finalmente
quel benedetto cazzotto in faccia. Poi si fermò a guardarlo, ansimando
soddisfatto.
Invece di reagire,
Riku lo guardò a sua volta: "Avevo capito che volessi picchiarmi."
"Perché, che cosa
sembra?"
Lui si limitò a
ridere e Sora lo picchiò sull’altro lato della faccia, forte come se avesse
dovuto spaccare il terreno, e lui lo aveva subito afferrato per la maglia e
schiacciato contro il pavimento. Gli si era seduto sullo stomaco, e dopo averlo
stordito con un pugno –così sicuro di essere il più forte che non lo aveva
neppure immobilizzato- si aprì la maglia e scostò il colletto della giacca; si
abbassò, lo afferrò per i capelli e gli mostrò il collo rosso e violaceo:
"Guarda che cosa mi hai fatto. Perché non impari a fare a botte, invece che
mordere come una bestiaccia?"
Si era avvicinato.
Si era avvicinato
tremendamente tanto.
Era un invito, e Sora
lo colse: lo morse di nuovo, nello stesso punto, con così tanta rabbia che Riku
gridò, e questa volta fu lui a dovergli mettere una mano sulla bocca perché non
li sentissero tutti –perché nessuno se ne accorgesse, si spaventasse o si
preoccupasse e uscisse dalla propria casa per andare a vedere, per distruggere
la loro più illecita e delirante e sublime forma di pace. Una pace fragilissima
che poteva contenere solamente loro.
Riku se lo strappò di
dosso, gli tirò con forza una manica e gli addentò la spalla nuda. Sora strinse
la terra fredda, quasi scavandola, in preda ad uno sconcertante miscuglio di
dolore e piacere. Si aggrappò a lui e gli abbassò la maglia sulla schiena
sudata, scoprendo le spalle forti e muscolose, il petto scolpito che guardò con
un’invidia talmente avida da somigliare al desiderio. Gli morse a sua volta la
spalla, poi decise di distruggergli in modo definitivo il collo e se lo riprese,
tirando la pelle coi denti come se la dovesse strappare e mangiare, e a quel
punto, inosservato e protetto dal senso di colpa, aprì la bocca e lo leccò per
un brevissimo istante, esitando con le labbra premute –assaggiando finalmente
quell’odore che gli dava dipendenza. Riku ringhiava, continuava a morderlo, e
gli occhi di Sora si riempivano di lacrime mentre gli sollevava la maglia lungo
la schiena e succhiava vorace il sangue che finalmente riusciva a fargli
versare. Provò a stritolargli la spina dorsale, ma era impossibile, così con le
mani cominciò a graffiarlo, a scavarlo come un topo che fa un buco nel muro.
Con un unico e rapido
gesto Riku si tolse la giacca.
Avrebbe voluto farlo
anche Sora, il calore lo stava soffocando, ma lui gli impediva di muoversi e
anche questo lo soffocava, come lo soffocava la voce rotta dal dolore di Riku
che gli ansimava vicino all’orecchio: "meno male che non ti dava piacere,
bastardo…"
Inutile negare
ancora, ma non avrebbe perso ammettendolo e lui lo sapeva. L’unico modo in cui
poteva rispondergli era graffiarlo più forte, aprire di più la bocca, divorargli
più carne, strappargli di dosso quell’odore meraviglioso e velenoso, nella
speranza che togliendoglielo tutto avrebbe smesso di essere così profondamente
in suo potere.
Riku si spinse con
forza contro di lui, facendogli sentire in modo inequivocabile tutta la sua
erezione, e Sora gli attanagliò la vita con le gambe per imprimergli negli
addominali di pietra la forma della propria.
Riku gli morse
l’orecchio, gli parlò così vicino che poteva sentire le sue labbra: "E’ tutto
qui? Non dovevi farmela pagare per non so ancora bene cosa?"
Sora cercò di
toglierselo di dosso, ma lui ovviamente fece resistenza, e il contrasto dei loro
movimenti lo stordì di un piacere insopprimibile e vergognoso. Si sentì meno
colpevole quando capì che anche Riku l’aveva sentito, e attese fremente quando
un attimo dopo gli sussurrò "no, tu rimani qui" prima di dargli una spinta
veloce e profonda col bacino.
Sora stava
impazzendo. Stava sgusciando fuori dalla sua pelle.
Capiva solo il
sangue, il membro di Riku che sempre più duro cercava di scavargli le viscere, i
loro grugniti orgogliosi e doloranti, l’odore del sudore e la certezza di non
appartenere più a quel piccolo patetico luminoso mondo ristretto. Niente al di
fuori di queste cose aveva il benché minimo senso, ogni cosa iniziava e finiva
contro i movimenti bruschi dei loro fianchi.
Cominciò a tremare in
modo convulso, non riusciva a tenere ferme le mani e dovette aggrapparsi al suo
collo con le braccia; così vicina tutta l’anatomia di Riku sembrava ancora più
imponente, addirittura monumentale di fronte alla sua imbarazzante magrezza,
all’ostinata adolescenza del suo corpo.
Ricominciò a cercare
di morderlo ancora più forte, umiliato, ma non riusciva nemmeno più a tenere la
presa e si ritrovò a ficcargli i denti nei nervi al ritmo dei loro lombi, fino a
quando Riku non lo morse dietro la nuca e fu così inaspettatamente doloroso che
gridò forte, e per non gridare ancora di più si riempì la bocca della sua
spalla.
Non aveva mai sentito
così tanto dolore tutto insieme, era in estasi; e la cosa più soddisfacente in
assoluto era sentire Riku che soffocava i gemiti mentre lo mordeva, le
vibrazioni della sua pelle bagnata e fremente sotto le sue mani. Anche se era
Sora ad avere la schiena contro il pavimento, per una volta perdevano entrambi.
Senza motivo d’un
tratto divenne tutto ancora più intenso, e violento, le spinte di Riku si
facevano sempre più furiose e insieme persero definitivamente ogni senso civile
della decenza; Sora senza più forze succhiò tutto il sapore della spalla di
Riku, che emise un rantolo esausto contro il suo collo, stringendogli la
schiena, spingendosi ferocemente contro di lui un’ultima volta.
Poi praticamente si
spensero. I loro corpi continuarono a sfregarsi lentamente ancora un po’, senza
coscienza, raccogliendo ogni scheggia d’estasi. Quando non rimase più niente
finalmente si fermarono, e ogni loro più piccolo osso si arrese alla gravità,
facendoli franare sul pavimento come soldatini giocattolo distrutti.
A Sora non sembrava
di aver mai avuto tanto bisogno di respirare in vita sua.
Quel bisogno fu così
urgente che premette le mani sul petto di Riku ripetendo "alzati, alzati,
alzati" e quando lui gli scivolò appena un po’ su un fianco fece entrare nei
polmoni tanta di quell’aria che temeva gli sarebbero esplosi, ma non bastò.
Era tutto così
asfissiante, e bollente, e umido. La sua maglia era zuppa da far schifo, come il
torace scivoloso di Riku. Aveva la guancia bagnata di saliva, probabilmente sua,
perché a furia di mordere succhiare e leccare aveva praticamente sbavato su
tutta la spalla e il collo dell’altro.
…era venuto nei
pantaloni. Chissà se anche Riku…
Tutto il suo corpo
tremava e per far stare ferme le mani dovette agguantargli la schiena; non la
poteva tenere con le unghie, perché era troppo umida, così dovette stringerla
con tutte le braccia. Provò a dare un occhiata in basso, per risolvere il suo
dubbio, ma ovviamente non si vedeva nulla. Si mosse appena contro il suo bacino
e sentì il sesso completamente rilassato, poi vide che lui aveva fatto una
smorfia infastidita e si era ritratto. Anche lui, quindi…Ok, questo decisamente
lo faceva sentire meglio, e per dirla tutta gli dava un piacere un po’ sadico.
Poi chiuse gli occhi.
Cercò di concentrarsi
sul suo respiro, era così…potente. Di quel potere completamente
rassicurante.
Lui spostò appena la
testa per dirgli all’orecchio: "Questo collo te lo faccio ripagare, razza di
gattaccio."
Tutto quello che Sora
riuscì a rispondere fu "va bene" prendendo altra aria e buttandola fuori quasi
con disperazione.
Rimasero per
tantissimo così, buttati l’uno sull’altro come cadaveri. Solo quando Sora fu
riuscito a normalizzare minimamente il respiro cercò il collo di Riku e lo
leccò. Lui allora si mosse, tenendosi appena sollevato con i gomiti, e Sora
continuò a leccarlo con calma, con un affetto e una tenerezza totalmente devoti,
come se questo potesse davvero servire a guarirlo.
Riku rise. Una risata
quasi dolce.
"Proprio come un
leoncino…"
L’odore
inconfondibile di Riku, si rese conto in quel momento, era esattamente come il
suo.
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Capitolo 5 *** Tutti e due ***
Tutti e due
Tutti e due
Il mattino dopo, Sora
dovette constatare che i morsi di Riku erano molto più pericolosi delle lance di
Xaldin. Tutti i nervi dal collo in giù gli tiravano e bruciavano ancora in modo
pazzesco, e se provava a toccare l’enorme macchia violacea che si era formata
sulla spalla desiderava ardentemente poter usare un’energiga. Solo le sue parti
basse, chissà perché, sembravano felici e contente.
Quella notte, con i
muscoli che gli consentivano a stento di muoversi, la spalla che gli bruciava, i
lividi che gli facevano male in qualunque modo si mettesse e l’odore di Riku che
si mescolava a quello ancora distinguibile dello sperma, aveva dormito
meravigliosamente bene.
Nemmeno i sogni erano
riuscito a turbarlo, sogni quantomeno realistici in cui Axel gli stava
sopra e tutto intorno esattamente come gli era stato Riku, con la non
trascurabile differenza che erano completamente nudi, stavano facendo l’amore, e
lui gli ripeteva adorante che era il suo piccolo Roxas.
Che. Imbarazzo.
Veramente.
Ma mentre sognava,
era felice.
Guardando fuori dalla
finestra vide Kairi che si accingeva a suonare il campanello. Ci picchiò i pugni
per attirare la sua attenzione e quando lei lo vide gli sorrise e gli fece cenno
di scendere. Sora si precipitò giù dalle scale dopo essersi infilato le prime
cose che aveva trovato, e quelle cose furono i vestiti che indossava la sera
prima, che erano sporchi di terra e odoravano del suo sudore e di quello di
Riku, per non parlare nello specifico dei pantaloni. Immaginava che non fosse
una buona idea avvicinarsi troppo a Kairi in quello stato, ma aveva voglia di
vederla, non aveva tempo per cambiarsi, e comunque a lui quell’odore piaceva.
Aprì la porta e se la
trovò davanti, come una perla quando apri la conchiglia.
Si pentì subito di
non essersi messo dei vestiti puliti.
Kairi indossava un
abitino color crema, e tra i capelli aveva un rametto di fiori bianchi. La luce
non aggressiva del mattino la rendeva ancora più armoniosa in ogni sfumatura di
colore.
Maledetti vestiti
sporchi.
Kairi lo salutò e si
avvicinò. Lui indietreggiò e lei lo guardò interrogativa, così dovette
ammettere: "E’ meglio se mi stai lontana, puzzo da far schifo…"
Kairi rise e gli
diede retta: "Volevo vedere come stava la tua guancia."
A lui faceva così
male la spalla che della guancia si era completamente dimenticato, tantopiù che
la gengiva aveva smesso di sanguinare. Se la colpì con un pugno simbolico e le
strizzò l’occhio: "Stai tranquilla, mi riprendo in fretta."
"Però è ancora tutta
livida…" gli fece cenno di aspettare con la mano e tirò fuori da una borsa di
paglia una boccetta "Vi ho preso questo. Stavo andando da Riku per darglielo. Se
avete fatto a botte, conoscendovi, chissà come siete ridotti dove non posso
vedervi."
Sora avrebbe voluto
abbracciarla per la gratitudine. Non avrebbe avuto l’effetto di un’energiga, ma
insomma, meglio di niente.
"Vieni con me?"
"Credo che Riku stia
dormendo, non so se è il caso di svegliarlo, poi diventa cattivo…"
"Ma no, è gentile
anche se lo svegliamo."
"Se lo svegli tu,
forse."
Kairi gli prese una
mano, tirandolo un po’, con il sorriso sulle labbra: "Dai, vieni."
"Sì, certo, tanto se
deve picchiare uno dei due non si fa certo dubbi su chi scegliere…"
Lei rise e lo tirò
ancora: "Vorrà dire che ti potrai nascondere dietro le mie spalle. Ti proteggerò
io, per una volta."
Sora capì di non
poter resistere ad una proposta del genere, e sospirò: "Fammi almeno andare a
cambiare."
"Ma no, va bene
così!"
Non poteva vincere
contro di lei, era chiaro da sempre, quindi si lasciò trascinare di buona lena
fino al rifugio, dove lei strappò un altro rametto di fiori bianchi e se lo mise
sull’altro lato della testa. Sembravano un’aureola, adesso, o una piccola corona
discreta che le si addiceva perfettamente.
Sora guardò il
cespuglio e mormorò senza volerlo: "Le cose sono cambiate così tanto, solo
piantando dei fiori…"
"Non è detto che il
cambiamento debba essere una cosa negativa…"
Lui la guardò e vide
che anche lei lo stava guardando.
Vorrei che non lo
fosse avrebbe voluto dirle, ma quelle parole si fermarono a lungo sulla
lingua prima di ritornare nella gola. Le disse invece: "Te lo tengo aperto, fai
attenzione a non graffiarti."
Kairi scosse la testa
e sospirò: "Sora, non succede niente se mi faccio un graffio. Non preoccuparti
per queste cose. Non devi più proteggermi, adesso."
Anche se lo aveva
detto col sorriso, Sora sentì che non c’era al mondo cosa peggiore che qualcuno
avrebbe potuto dirgli. E che glielo dicesse proprio Kairi lo rendeva ancora più
difficile.
Con un incredibile
senso di rassegnazione la lasciò passare in mezzo al cespuglio senza aiutarla.
Poi si intenerì, quando una volta nel rifugio vide che lei era l’unica che
ancora non dovesse fare attenzione a camminare nel passaggio.
Come aveva
immaginato, Riku stava dormendo.
Era a petto nudo, e
sulla schiena aveva delle profonde strisciate rosse che sembravano fatte dagli
artigli della Bestia. Sora fece uno stupido sorriso soddisfatto, poi si guardò
intorno e vide che la giacca e la maglia di Riku erano ancora dove li avevano
lasciati quella notte.
Kairi si inginocchiò
vicino a lui e gli posò una mano sulla spalla, poi cominciò a scuoterlo
dolcemente e a chiamarlo.
"Sono sveglio,
Kairi."
Lei gli tolse i
capelli da davanti alla faccia con le dita, e cominciò con un tono affettuoso da
mamma: "Ti ho portato un unguento per le ferite. Ma cos’è successo al tuo collo,
ti ha morso una tigre?"
"Un leone. Era grosso
come una cavalletta, ma con dei denti malefici…" e aprì leggermente un occhio
per guardare in direzione di Sora.
"Siete proprio due
stupidi. Non siete cambiati affatto da quando facevate a gara per chi
raggiungeva prima la stella…"
"Dodici a
cinquantacinque, vorrei ricordare" disse Riku mettendosi sulla schiena.
Sora protestò: "Ero
almeno a quindici!"
"Puoi essere anche a
diciotto, ma sei sempre un perdente…"
"Almeno non mi
rassegno…"
"Questo lo devo
ammettere."
Sora annuì
orgoglioso, poi Riku aggiunse: "Ma chi può dire se sia un bene?"
"E’ un bene. Lo
sappiamo tutti che questo è il lato migliore di Sora" disse Kairi, mentre
sbatacchiava la boccetta per versarsi delle gocce sulle mani.
Sora si inginocchiò
vicino a lei e guardò Riku con un sorriso sornione di sfida: "Visto? E’ il mio
lato migliore. Tu che lati migliori hai?"
"Per esempio non
puzzo."
Sora si annusò e si
allontanò accuratamente da Kairi.
"Di chi è la colpa se
puzzo così, eh? Scusa se io ho una casa vera e non posso farmi il bagno alle
quattro del mattino come te!"
Riku lo guardò come
se volesse dire qualcosa, ma poi rimase in silenzio e distolse lo sguardo.
Meglio così, perché Sora già stava trattenendo il respiro. Si tranquillizzò, e
si rivolse a Kairi: "Qual è il lato migliore di Riku?"
Lei si stava
sfregando le mani per spargere bene l’olio: "Fammi pensare…"
"Visto? Ci deve
pensare!"
"Certo che ci deve
pensare, è difficile scegliere il mio lato migliore visto quanti ce ne sono."
"Non è vero, se ne
sta inventando uno credibile per non offenderti."
"Il lato migliore di
Riku è la sua coscienza" disse lei, estranea al loro infantilismo.
Riku sorrise
amaramente, strusciando il viso contro le braccia come un gatto pigro: "Con
tutti quelli che potevi scegliere come hai fatto a toppare così clamorosamente?"
Kairi gli posò le
mani sulla schiena e cominciò a massaggiarlo. Sora per un attimo fu geloso, di
tutti e due.
Non voleva che lui
venisse toccato così dalle sue mani, né che lei s’intromettesse nel loro mondo e
alterasse i segni che gli aveva lasciato sul corpo. Quelli erano i suoi
segni.
"Ma stai zitto, è
inutile che fai la scena con me, vi conosco troppo bene. Tutti e due."
"Come fai a dirlo?"
Sora raggelò.
Kairi, invece,
continuò a sorridere come chi la sa lunga, massaggiandolo come se niente fosse.
"Perché conosco i
vostri cuori…Ci ho guardato dentro per tutti questi anni. Ho visto il meglio di
voi, e anche il peggio. Io so esattamente quello che siete."
Si spostò i capelli
dietro un orecchio con il polso per non ungerli. Un rametto di fiorellini
bianchi le scivolò sulla spalla, poi cadde a terra.
"Siete i miei eroi."
Sora guardò il
rametto a terra, e si sentì come se quei fiori oltre all’entrata del rifugio gli
avessero anche ricoperto il cuore. Erano bellissimi, e avevano un buon
profumo…ma lo rendevano inaccessibile. Così difficile da raggiungere senza
graffiarsi…
Riku in quel momento
stava guardando altrove, come sempre. Il suo pensiero era rapito da altri mondi,
mondi lontani da quello, mondi dove loro non c’erano.
Il suo sguardo verde
perso nel vuoto lo faceva sentire come se loro tre fossero ancora divisi ai capi
opposti dell’universo, e non c’era palazzo, buco nero, scalinata o battaglia che
potesse risanare quella orribile frattura
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Capitolo 6 *** Compromesso ***
Compromesso
Le cose tra lui e
Riku erano giunte all’esasperazione.
Ad un certo punto era
diventato chiaro quello che volevano, ed era lì, fisico, palese davanti a loro.
Finché si rotolavano
nella terra lottando come animali erano a pari e potevano fare ancora finta di
niente, ma quando inevitabilmente uno schiacciava l’altro contro il terreno
otteneva tutto il potere, e avrebbe potuto esercitarlo nel modo in cui tutti e
due desideravano fino allo spasmo, ma entrambi erano troppo testardi per essere
i primi a cedere. Così avevano passato un’infinità di notti a massacrarsi di
botte, a sputare il proprio sangue e leccare quello dell’altro, a gridare per i
morsi inflitti a muscoli ancora doloranti per la sera precedente, a prendersi le
ginocchiate nello stomaco e a strusciarsi fino alla pazzia, e quando quella
straziante tensione sessuale raggiungeva il culmine, e a Riku -che vinceva
inevitabilmente, anche perché lui spesso glielo permetteva, come se in fondo
fosse convinto di dovergli qualcosa- sarebbe bastato un solo movimento per
dargli quello che entrambi volevano, puntualmente lasciava passare il momento,
il tempo entro il quale Sora era costretto a reagire e a sbalzarlo via, per non
ammettere che lo cercava, lo stava aspettando.
Vivevano le loro
notti pestandosi, nell’attesa di stordirsi talmente tanto di pugni da non
curarsi più di chi avrebbe vinto e chi perso, ma per quanto si picchiassero, per
quanto sangue perdessero e quanti buchi si scavassero nella carne a morsi,
quando si ritrovavano ad essere dominanti si lasciavano ribaltare, cedevano il
potere, e con esso anche la patata bollente.
Erano due idioti.
Kairi aveva ragione,
non erano affatto diversi da quando correvano fino a sfinirsi per chi
raggiungeva prima la stella. Fare il passo decisivo significava aver perso,
ammettere di non farcela più a sopportare quella forza brusca e sconosciuta che
attirava i loro bacini. Sarebbe significato chiamarla in un modo ben preciso.
Sarebbe stato troppo
umiliante.
Dopo un mese così
Sora aveva raggiunto un livello molesto di frustrazione; aveva una spalla e una
caviglia slogata, un morso/succhiotto grosso come un palazzo nell’interno coscia
(e per tutto il tempo in cui Riku era stato lì a farglielo lui gli aveva tirato
i capelli trattenendosi veramente con sforzo dal supplicarlo), era pieno di
lividi in faccia ed era venuto nei pantaloni un’infinità di volte.
Almeno grazie a Kairi
si rilassava.
Le giornate con lei
erano esattamente come le aveva sognate durante il suo viaggio, se possibile
addirittura più meravigliose. Stavano sempre insieme, si tenevano per mano,
parlavano tantissimo, e quando si baciavano, cosa che si era rivelata
l’inaspettata ciliegina sulla torta, Sora sentiva chiaramente che lei era tutte
le cose più belle che uno ricorda di casa quando è lontano, tutte insieme.
Quello che c’era tra
loro era semplice e chiaro, di una dolcezza implicita e completamente naturale.
Non erano diventati fidanzatini smielati e appiccicosi, non avevano cambiato
atteggiamento l’uno nei confronti dell’altra, non si erano dati nomignoli, e se
si appartavano era perché spesso Sora non riusciva a stare in mezzo a gente che
non sapeva, e non perché avessero quel fastidioso e a quanto pare
irrinunciabile bisogno di pomiciare come tutte le altre coppie.
Il loro rapporto era
così fluido, così divertente.
Ma il fatto che fosse
semplice non significava che fosse meno intenso di quello con Riku, o meno forte
o meno coinvolgente. Era solo meno…contorto. E grazie al cielo, meno violento.
Inutile negarlo, gli
piaceva quando Riku lo mordeva a sangue, e sentiva i suoi denti, la sua lingua,
il suo respiro. Ma gli piaceva allo stesso modo che Kairi gli sorridesse
toccandogli con l’indice il dorso della mano.
Gli piaceva l’odore
di Riku quanto gli piaceva quello di Kairi.
Lui li amava.
Li amava entrambi,
con identico trasporto e uguale devozione.
Solo che mentre le
cose con Kairi procedevano secondo il loro ritmo naturale, la goliardia del
rapporto con Riku lo rendeva più frenetico. Con lui Sora voleva. Non
sapeva che cosa questo implicasse. Era fermo ad uno stadio molto precedente al
desiderio consapevole del cosa e del come, c’erano solo
sensazioni, parole che aveva sempre detto e che adesso avevano assunto nuovi
significati che gli toglievano il respiro.
Voglia. Forza.
Possesso. Dentro. Fame.
Una notte, dopo che
avevano lottato come leoni per almeno un’ora, gli era salito sopra e gli aveva
aperto i jeans. Non sapeva che cosa cercasse finché Riku non se l’era tirato
fuori e gliel’aveva offerto, e lui aveva saputo da subito di non poter fare
altro che abbassarsi i pantaloni e farlo entrare nell’unico posto in cui potesse
farlo. Aveva perso, e allora? Non era una novità.
A livello teorico
sapeva che quello era sesso.
Era la cosa più
vecchia del mondo, ma era così diverso da come se l’era sempre immaginato,
perché era così…vero. Nessuna sfumatura, nessun velo, nessuna dolcezza. Nessuna
pietà. Era solo carne. Era primitivo, violento, egoista, furioso. Non era
diverso da nessuna delle loro lotte. Eppure quella cosa apparteneva a loro così
intimamente che era come se fossero stati loro a inventarla, e per questo Sora
imparò presto ad adorarla.
La sua più grande
soddisfazione, quella sera, era stata la consapevolezza di avere Riku nelle sue
mani.
Sora era quello che
stava soffrendo. Quello che resisteva stoicamente al dolore.
Riku era
completamente succube del piacere che si stava prendendo dal suo corpo. Come
sempre, aveva lasciato che quello che voleva possedere lo dominasse.
Quando Riku era
venuto dentro di lui, tenendogli i fianchi e prolungando la spinta come per
infliggergli il colpo di grazia, Sora aveva ansimato ad alta voce sotto di lui,
imprecando e poi ridendo con lui, finché non si era spostato i suoi capelli dal
viso e gli aveva detto all’orecchio: "Uno a zero".
"Uno a uno" era stata
la risposta accomodante di Riku, che poi gli aveva morso per sfida le labbra,
guardandolo negli occhi; quando quel morso era diventato un bacio -il loro
primissimo bacio- gli aveva preso il pene e glielo aveva stretto e mosso con
forza fino a portarlo all’apice, a quella delicata follia, per poi sussurrargli
con un sorriso stronzo e vittorioso: "Due a uno, Sora".
Riku non sopportava
di essere in svantaggio, ma Sora adesso sapeva di avere comunque un vantaggio su
di lui. Gli sembrava un compromesso più che accettabile.
Qualche sera dopo era
pigramente sdraiato su di lui, e di tanto in tanto lo faceva ridere con
esternazioni di compiacimento come fare le fusa e dire grwar sfregando la
guancia contro il suo petto.
Riku gli stava
grattando la testa e lo coccolava a modo suo -accarezzandolo frettolosamente,
pizzicandolo e dandogli colpetti con le dita sui lividi. Poi gli domandò
all’improvviso, come se ci avesse pensato tutta la sera: "L’hai già fatto con
Kairi?"
Sora sgranò gli occhi
e si tirò su, guardandolo come se fosse diventato scemo: "Cosa?!"
"Non mi sembra una
domanda così stupida."
"Certo che lo è!" - e
lo era perché, nella sua abissale ignoranza e imbarazzante ingenuità, a quel
farlo legava solo e unicamente gli approcci violenti e sanguinosi avuti con
Riku, e non intendeva nella maniera più assoluta fare le stesse cose con Kairi,
nemmeno nei casi in cui era stato lui a dare invece che ricevere.
Naturalmente sapeva
che il sesso poteva essere anche diverso da come lo facevano loro, ma quello gli
sembrava l’unico modo in cui lui potesse e volesse farlo. L’unico in cui
gli sarebbe venuto naturale.
"Credevo che a questo
punto voi due vi foste messi insieme."
"Certo, come lo siamo
noi due."
"Spero non nello
stesso modo, se alzi un dito su Kairi ti ammazzo."
"Ma sì, ovvio
che non nello stesso modo in quel senso…nello stesso modo perché stiamo
insieme in senso stretto. Passiamo il tempo insieme."
"…Tutto qui?"
Come tutto qui?
Passare tutto quel
tempo con Kairi era meraviglioso, paradisiaco, il massimo!
"Che cosa vuol dire
tutto qui?!"
"Vuol dire tutto
qui."
Sora morse il suo
petto in modo lento, umido, appiccicando tutte le labbra e la lingua contro la
sua pelle prima di stringerla tra i denti. Adesso che si era come rappacificato
con il suo odore, il suo sapore gli piaceva ancora di più. Gli ricordava sempre
meglio la sensazione di stringere il metallo freddo dell’impugnatura del
Keyblade, per qualche associazione di pensiero che aveva a che fare col sudore,
con la vittoria, e la paura di morire.
"Io non penso a fare
quelle cose con Kairi."
"Figurati."
Scosse la testa:
"Davvero. Non mi interessa pensarci, e non ci penso" si appoggiò sui gomiti, in
modo da poterlo guardare in faccia "…a me basta stare con lei. La sua vicinanza
mi riempie talmente di gioia che non vedo cosa potrebbe esserci di più. Sapere
che mi sta accanto e non se ne andrà è già bellissimo. Quindi se potessi passare
il resto della vita anche solo stringendole la mano, continuerebbe a non
importarmi di fare nient’altro. Per me sarebbe il massimo della felicità."
Riku tacque e lo
schiaffeggiò. Poi lo derise, ma con affetto: "Quanto sei stupido."
"Ripetilo!"
"Sei stupido."
Sora restituì lo
schiaffo. Riku prese ad accarezzargli lentamente la schiena: "Quindi secondo la
tua logica noi lo facciamo perché mi odi."
"Ma per te sarebbe
stata la stessa identica cosa, se Roxas non si fosse messo in mezzo…"
Lui scoppiò a ridere
così forte che Sora sobbalzò sul suo petto.
"Certo, Roxas! Dovrei
inventarmi anche io un nobody per queste cose! Io? No, è stato Kirux!"
"Che brutto nome…"
"Non dare la colpa a
Roxas, tu mi odi e basta."
Sora rise e
sogghignò: "Sì, fa tutto parte di un piano per ucciderti."
"Ah, ecco, adesso mi
tornano un po’ di cose…"
Ascoltò il battito
del suo cuore e sospirò: "Non ti voglio uccidere, Riku…"
"Non sarebbe un
problema."
"Come no? Morire
cambia un po’ di cose…"
"Forse per gli altri.
A me non interessa."
Lui si tappò le
orecchie: "Non intendo starti a sentire."
Perché doveva fare
sempre così? Perché quello stupido doveva sempre cercare di deprimerlo con mezza
frase ingiustificata e gratuita?
Lui gli prese un
polso, allontanandogli una mano dall’orecchio, poi si avvicinò e sussurrò: "Se
potessi scegliere, vorrei che fossi tu a uccidermi."
"…E perché non
scegliere di vivere, invece?"
Riku si limitò a
ridere di nuovo. Tornò a grattargli la testa e gli disse dolcemente: "Ti
invidio, Sora. Non ti sei mai vergognato di essere così debole…"
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Capitolo 7 *** Involucri vuoti ***
Involucri vuoti
Odiava ammetterlo, ma
a volte gli sembrava di sentirsi bene solamente nell’oscurità del rifugio
segreto.
Quando passava in
mezzo a quei fiori ormai quasi distrutti, e le labbra capricciose di Riku
decidevano se quella sera gli avrebbero dato solo dolore, o solo affetto, oppure
entrambe le cose insieme, Sora da lui prendeva tutto e chiudeva fuori il resto.
Le braccia di Riku rinventavano il suo mondo ogni notte.
Quando tornava nel
mondo degli altri, Sora odiava il modo in cui si sentiva.
Come quando andava ad
aspettare Kairi fuori da scuola e vedeva i suoi coetanei uscire. Parlava con
loro, e inizialmente anche con un certo piacere, e una certa curiosità, ma dopo
poche parole capiva che lui e quelle persone avevano davvero molto poco di cui
parlare, ormai. C’erano troppe cose che avrebbe voluto raccontare e altrettante
che doveva tacere.
Si sentiva
così…interrotto.
Odiava lo sguardo di
sufficienza o affettuosa noncuranza che gli si dipingeva sul viso ascoltando gli
affari degli altri, come i fratelli maggiori che ascoltano le scoperte dei
fratellini più piccoli. Odiava pensare di essere migliore di loro.
in fondo, che cosa
avevano fatto Tidus o Wakka?
Magari avevano preso
un otto a scuola. Avevano ottenuto un buon punteggio in una partita di
Blitzball. Potevano anche aver battuto il record di Riku nella corsa fino alla
stella.
Beh, Sora aveva
salvato il mondo.
Due volte.
Era consapevole di
essere stato scelto per caso, o forse per meriti innati, ma non certo per
risultati conseguiti con lo sforzo. Sapeva che nella stessa situazione qualsiasi
altro Keyblade Master si sarebbe comportato come lui. Non era speciale, non
davvero.
Eppure si sentiva
speciale.
Non ci aveva mai
pensato nemmeno per un secondo mentre era in viaggio. Anche quando aveva
affrontato Riku, il suo pensiero ricorrente era stato "ha ragione, il Keyblade
spetta a lui. Io sono solo un moccioso, ridatemi Kairi e fatemi tornare a casa,
c’è stato un terribile errore".
Adesso era come se,
allontanandosi dalle cose, avesse preso davvero coscienza della loro enormità.
A volte guardava
l’orizzonte e si chiedeva quanto distassero da lì i luoghi in cui avrebbe potuto
dimostrare di nuovo il suo valore. Non voleva desiderare di partire, quando era
così felice di essere tornato.
Era felice…ma era
cambiato.
Anche se Kairi gli
aveva detto di non farlo mai…
Adesso era come
dislocato nello spazio. Niente di quello che aveva imparato, lì aveva senso.
Lui sapeva fare un
doppio salto e un aerocombo, ma non aveva seguito le lezioni di matematica dalle
frazioni in poi. Quando Kairi faceva i compiti sulla spiaggia e risolveva
un’espressione lui si sentiva offeso, addirittura ferito, e voleva solo
strapparle i quaderni e gridare come un pazzo: "Ho sconfitto Ade! Capisci?
Ade! Se vai sul monte Olimpo puoi vedere la mia costellazione!"
Era stato un pirata.
Aveva cavalcato il vento su un tappeto volante. Aveva salvato la Cina insieme a
Mulan. Aveva nuotato nel regno di Atlantide, e visto il passato a Timeless River.
E niente di tutto questo, su Destiny Island, aveva il benché minimo significato.
Più si sentiva così,
più capiva perché Riku si fosse sfasciato le mani contro quella porta chiusa.
Più si sentiva
isolato da quel piccolo mondo, più isolava se stesso in un mondo ancora più
piccolo. Un mondo umido, e buio, dove l’affetto che poteva ricevere dall’unica
persona che lo capisse era direttamente proporzionale a quanto portava le sue
ossa vicino a rompersi.
Amava Kairi. La amava
moltissimo.
…non sopportava di
pensare che lei non potesse capirlo.
E forse chissà, anche
quello che lo legava a Riku non era altro, ormai, che l’illusione di ritrovare
il passato nel suo odore. Magari per Riku lui non era altro che una cicatrice
vivente dell’oscurità. Quando lottavano, chi poteva dire contro che cosa Riku
lottasse. Chi poteva dire contro che cosa vincesse, e da che cosa si lasciasse
invece vincere.
Forse era
semplicemente troppo dura essere stati uomini per due anni, e ritrovarsi adesso
ad essere di nuovo ragazzini.
Forse Sora non amava
né Kairi, né Riku.
Forse Sora amava il
ricordo delle gesta gloriose che vivevano in loro. La parte di luce e di ombra
che si dividevano nella sua vita e sul quale era stato abilmente in bilico per
tanto tempo.
Forse, in fondo, Sora
amava solamente se stesso…
…che pensieri
orribili. Se ci fosse stato Donald gli avrebbe dato lo scettro in testa. E poi
Goofy lo avrebbe consolato con una parola magari banale, ma così vera che
sarebbe stato impossibile ignorarla. Forse con loro Sora sarebbe tornato il
ragazzo che era stato prima della chiamata, e non quello che aveva supplicato un
suo nemico di portarlo da Kairi, perché era troppo stanco di lottare.
Stava per alzarsi dal
muretto, quando la campanella suonò e tutti cominciarono ad uscire da scuola.
Qualcuno lo salutò.
Un paio di ragazze si fermarono addirittura a parlargli, per arrivare a
chiedergli ovviamente di Riku. Fortunatamente non dovette rispondere, perché in
quel momento, insieme a Selphie, arrivò Kairi che lo soccorse: "Sora! Un
ragazzaccio che non viene a scola non dovrebbe farsi vedere in giro, potresti
scatenare gli istinti violenti di tutti!" poi gli diede un breve bacio. Mossa
assolutamente impeccabile, perché interpretandola per una richiesta d’intimità
tutti si dileguarono.
Kairi gli prese la
mano e cominciarono a camminare. Sora non era troppo in vena di parlare,
purtroppo, e così si limitava ad ascoltare lei, annuendo e ammirando i riflessi
sui suoi capelli. Poteva restare per ore a guardare i giochi di colori che
compieva la luce su quei capelli castani, timorosamente meravigliato come
davanti al volo di una farfalla. Pensò poi ai capelli argentei di Riku, al loro
colore piatto, e cercò di ricordarsi come fossero al sole.
"Sora? C’è qualcosa
che non va?"
"Ma no, stai
tranquilla. Sono solo un po’ pensieroso…"
"Deve essere un bel
problema, se ti fa addirittura pensare…"
"Già…Ehy!"
Kairi rise e si
fermò.
"Seriamente, che cosa
ti dà da pensare? Magari ci possiamo pensare insieme."
"…ripensavo a quello
che mi hai detto su Naminé. Sul fatto che si sentisse sola e che a volte ti
senti sola anche tu."
"Mh."
"Che cosa ne pensi?"
Lei scosse risentita
la testa: "…in che senso?"
"Che cosa ne pensi di
questa cosa dell’empatia con Naminé…? Insomma, credi che è sia come se i suoi
sentimenti si fossero…aggiunti ai tuoi?"
"Non so, non credo
che…"
Sora non la lasciò
finire: "Secondo te ti sarebbe possibile provare qualcosa che non hai mai
provato prima, qualcosa che non proveresti altrimenti, solo perché Naminé l’ha
provata, o la prova? E come se fosse un residuo della sua memoria, oppure è come
se fosse viva, dentro di te, avesse dei pensieri, e quei pensieri si
mischiassero ai tuoi? E ti sentiresti confusa, in quel caso, non è vero? Non hai
la sensazione che qualcun altro pensi con la tua testa?"
In pratica: poteva
dare la colpa a Roxas per quello che stava diventando?
Alla fine di quell’insensata
filippica, Sora respirava velocemente.
Kairi aveva
continuato a guardarlo, senza farsi scappare una sola smorfia di confusione,
incredulità, fastidio o che cos’altro. Lei lo guardava sempre come se quello che
stava dicendo avesse perfettamente senso.
Quando fu sicura che
avesse finito, gli posò una mano sul petto, all’altezza del cuore.
"Non può esserci
qualcuno che pensa con la tua testa, Sora. Non c’è nessuno."
"I giochi di parole
non mi aiutano a capire…."
"…io non credo di
provare i sentimenti di qualcun altro, perché Naminé non è qualcun altro. Naminé
sono io. Naminé è me. Anche se per un po’ siamo state qualcuno di diverso, siamo
nate come la stessa persona, ed è quello che siamo tornate ad essere. E
allora…non mi sento come se i suoi sentimenti si fossero aggiunti ai miei. Mi
sento come se i miei sentimenti fossero tornati a casa."
Sora chiuse gli
occhi. Lei lo richiamò: "Ehy…"
Lui riaprì gli occhi.
Lei gli sorrise.
"Puoi provare cose
che non hai mai provato prima perché tu le provi. Io non non capisco
niente di queste cose, e non ho gli strumenti per fare un ragionamento
veritiero…ma per quello che sento, e che mi sembra di aver capito, i nostri
sentimenti si appoggiano a quelli dei nostri Nessuno. I sentimenti non possono
sparire, non importa se non c’è un cuore dove contenerli. Se provi qualcosa, non
se ne può semplicemente andare. Quel qualcosa non si è perso, è sicuramente
rimasto con noi…ma non si è sovrapposto ai nostri sentimenti. Li ha completati.
Io mi sento come…se Naminé avesse provato solamente cose che ho provato anche
io, solo in modo diverso. E quelle cose, adesso, ogni tanto si mettono…in
risalto, dentro di me. Ma quello che sentiamo…non importa perché, è solamente
nostro."
Sora sospirò: "Mi sta
venendo il mal di testa."
"Scusa, ho parlato
troppo…"
"No, no!" le prese le
spalle, temendo che se ne andasse "Per niente, anzi, ti ringrazio! E’ questa
storia che mi fa venire il mal di testa, perché se non ci penso è perfettamente
chiara, e quando invece ci penso diventa un…"
"Sora…" gli disse
mettendogli un dito sulla bocca, e gli sorrise "…tu sei sempre Sora. Questa è la
sola cosa importante. Non preoccuparti troppo di questo, altrimenti finirai per
diventare l’involucro vuoto del tuo Nessuno. Sarebbe un controsenso, non credi?"
Sora le prese la mano
e annuì.
"…ma allora…"
"Sì?"
"…quello che dicevi
sulla solitudine. Sul fatto che a volte ti senti molto sola…"
Kairi si distanziò un
po’ da lui, pur mantenendo il contatto: "Beh, non è che posso riuscire a
spiegarti proprio tutto! Sei tu quello che era là fuori a sentire le
spiegazioni, mica io!"
Sora si grattò la
testa, imbarazzato: "Vero, hai ragione…"
Poi Kairi gli lasciò
la mano.
Fece qualche passo e
guardò verso il mare, che da sopra la collina sembrava ancora più immenso.
Si sistemò i capelli
e fece un sorriso malinconico, ma fiducioso.
"Tutti i viaggi che
avete fatto…un giorno me li racconterete, non è vero…?"
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Capitolo 8 *** Solitudini ***
Solitudini
Solitudini
Almeno adesso sapeva
che quello che provava era reale.
Si era congedato da
Kairi poco lontano dalla cascata. Era tardo pomeriggio e lo aveva invitato a
casa sua a mangiare un po’ di cioccolato caldo con la frutta. Sora ovviamente
era l’ultimo che si sarebbe tirato indietro, e così lei si era fatta prendere
dall’entusiasmo e aveva pensato che poteva portare il fornellino al rifugio,
così magari potevano mangiare tutti e tre insieme.
Sora aveva annuito,
trattenendo dietro le labbra la tristezza.
Il cespuglio di fiori
bianchi era ormai rado per il loro continuo avanti e indietro Kairi gli aveva
detto che quando tentava di disegnarlo aveva consultato un libro a riguardo, e
aveva così scoperto che il biancospino nel linguaggio dei fiori simboleggia la
speranza.
Lei aveva trovato
simbolico che ne avessero piantato così tanto proprio mentre lui e Riku erano da
qualche parte nel mondo a fare gli eroi.
Sora trovava
simbolico che il loro ritorno lo avesse ridotto così.
Quando varcò il
passaggio venne messo all’erta da tremendi rumori di lotta. In un solo secondo
passò in rassegna di tutto: Heartless, Nobody, Organizzazione, Malefica, persino
Pietro. Corse dentro a perdifiato, con le mani che continuavano a posizionarsi
in modo da far comparire il Keyblade e che si ritiravano frustrate quando niente
succedeva.
Non c’era nessuno nel
rifugio. Solo Riku.
Stava prendendo
ancora a pugni la porta.
Sora lo chiamò, ma
come poteva immaginare non servì a niente. Gli si avvicinò lentamente, come si
sarebbe avvicinato ad un animale selvaggio con la zampa chiusa in una tagliola;
il fatto che fosse in trappola non lo rendeva meno pericoloso, e certamente non
lo rendeva più ragionevole.
"Riku…"
Nessuna risposta.
Solo colpi.
Sora arrivò così
vicino che il sangue gli schizzava in faccia. Lo faceva stare male. Era strano,
perché da qualche tempo il dolore di Riku era il suo rifugio, il luogo dove
poteva sguinzagliare il proprio e rimettergli la catena prima di tornare nel
mondo reale. Adesso aveva solo una gran voglia di piangere.
Gli toccò una spalla
con una mano, ma lui lo scacciò. Sora allora gli saltò sulla schiena,
aggrappandosi con tutte le sue forze e gridando il suo nome come se potesse
servire a farlo rinsavire, ma quando Riku lo disarcionò e lo buttò a terra, e
continuò a sbattere le mani spellate contro la pietra, lui capì che non c’era
niente da fare rinsavire.
Quello era Riku. Lo
era sempre stato.
Davanti a questo,
Sora era impotente.
Si rialzò in piedi e
gridò l’unica cosa a cui era riuscito a pensare: "E’ chiusa!"
Riku continuava ad
ignorarlo e a lui cominciava a tremare la voce di rabbia.
"Non puoi aprirla!"
"Sì che posso!" gli
rispose finalmente.
"Nessuno può!"
Lo sentì quasi fare
quel sorriso invasato e sensuale che aveva sempre quando era convinto di poter
uccidere Dio, lo stesso con cui gli aveva teso la mano quando era sparito,
inghiottito dalle ombre.
"E’ una di quelle
maledette porte che si aprono desiderandolo, no? Col cuore e altre stronzate di
questo genere."
Sora rispose
amareggiato, perdendo per un attimo la voglia di fare qualcosa: "Sono quelle
stronzate che ci hanno riportati a casa…"
"E le stesse
stronzate mi riporteranno là."
Lui scosse forte la
testa: "Riku, smettila! Kairi sta venendo qui, la spaventerai! Riku!"
"Può venire anche il
Re, per quello che mi riguarda."
Sora si stava
veramente arrabbiando. Si avvicinò di nuovo a lui, abbastanza da sentire
l’aria che si tagliava sotto i suoi colpi, e tremando per il nervoso urlò: "Non
puoi aprirla, mettitelo in quella testaccia, non puoi aprirla! Non puoi
aprirla!"
Riku ringhiò
solamente: "Vattene."
"Perché?!" gli
afferrò disperatamente un braccio "Perché?!"
Riku cercò di
toglierselo di dosso, ma lui era aggrappato così forte che dovette farlo
sbattere contro al muro per fargli mollare la presa. Sora cadde sul pavimento
con la testa e la schiena doloranti, ma si alzò immediatamente.
"Perché?!"
"Perché questo non è
il mio posto!"
Sora sentì un
tremendo dolore al cuore.
Avrebbe voluto non
averglielo chiesto.
Lui lo sapeva il
perché. Non avrebbe dovuto costringerlo a dirglielo.
Adesso era così vero
che feriva come una lama.
"Non è vero! E’
questo il tuo posto! Ti sei solo convinto che non lo sia perché quello che hai
passato là…"
Riku lo interruppe,
fermandosi a riprendere fiato per un momento: "Non avrei dovuto seguirti. Avrei
dovuto restare là."
Adesso Sora era
veramente, veramente infuriato. Doveva solo trattenersi dal cavargli gli
occhi e strappargli i capelli, e ringraziò di non poter usare la magia,
altrimenti lo avrebbe carbonizzato seduta stante con un firaga. Era così
arrabbiato che non riusciva nemmeno a gridare.
Gli disse a denti
stretti: "Perché sei tornato, allora? Perché, stupido cretino!"
"Perché credevo che
fosse quello che volevo. Ma mi sbagliavo."
"Beh, bell’errore,
Riku! Lascia stare questa maledetta porta!"
In quel momento
sentirono entrambi la voce preoccupata di Kairi, che distorta dall’eco nel
passaggio chiedeva: "Ragazzi?"
Sora guardò Riku e lo
scongiurò con gli occhi di smetterla, adesso. Lui picchiò una testata
contro la porta e si fermò, con il corpo scosso dai tremiti. Sora avrebbe voluto
toccarlo, ma quando allungò la mano capì che non sarebbe stato giusto, e la
ritrasse.
Anche se di notte
diventavano un unico cuore che batteva ad un ritmo indomabile e meraviglioso, di
giorno erano lontani. E in quello, erano completamente soli.
"Che cosa state
facendo?"
Kairi aveva una
grande cesta di paglia tra le braccia.
Riku sibilò:
"Vattene, per piacere."
"Riku!" Sora si girò
verso di lei "Non dargli retta, è solo nervoso, tra un attimo…"
"Tra un attimo che
cosa, Sora? Ci picchieremo? E poi? Vuoi far vedere a Kairi un bello
spettacolo…?"
Sora lo bruciò con lo
sguardo e indietreggiò, inquadrandolo finalmente per quello che era.
Un nemico.
"Vattene, allora…"
disse tra i denti, poi alzò la voce "Vai, che cosa aspetti?!"
"Ti sembra che non ci
stia provando?!"
"Vai?"
s’intromise Kairi, e subito ripeté con un pigolio quasi isterico "Vai?"
Sora gridò, rivolto
più a lui che non a lei, guardandolo con tanta rabbia che non ricordava quando
fosse stata l’ultima volta in cui aveva desiderato così che qualcuno sparisse,
che qualcosa finisse.
"Riku se ne vuole
andare! Ci vuole lasciare dopo tutto quello che abbiamo fatto per ritrovarci!"
Kairi cercò subito di
avvicinarsi di corsa, ma Sora le sbarrò il passaggio trattenendola con un
braccio. Lei gridò il nome di Riku, incredula. Sora aveva gli occhi che
bruciavano di lacrime amare.
"Vai, torna
nell’oscurità! Tornaci, Riku! Sei solo un vigliacco!"
A quel punto Riku
avanzò verso di loro. Lui non si mosse e rimase a prendersi un pugno in faccia
che lo fece crollare a terra. Anche Kairi, che si era tenuta al suo braccio,
venne spinta via; per poco non cadde, mentre il cesto che teneva si sfracellò
sul pavimento. Lei lo guardò, come se decidere di raccoglierlo o meno avrebbe
significato decidere del loro futuro.
Sora si alzò e colpì
Riku nello stomaco. Lui lo afferrò e gli diede una ginocchiata diretta sui reni.
Sora s’inginocchiò a terra e Kairi si avvicinò per aiutarlo, ma si ritrasse
quando vide che stava sanguinando dalla bocca.
"Io sarei il
vigliacco?" gli chiese Riku, proiettandogli addosso la sua ombra fredda e
slanciata.
Sora sputò e gli
sorrise: "Sì, tu."
Riku gli diede un
calcio in faccia. Kairi li supplicò di smetterla e cercò di buttarsi sul suo
corpo per fargli da scudo, ma quando gli fu addosso Sora la spinse via e le
gridò di starne fuori.
Non le aveva mai
parlato così e sperava di non doverlo fare mai più.
Lei comunque non la
prese bene e invece di spaventarsi gridò: "Devo sempre starne fuori! Non sapete
fare altro che tenermi fuori!" si alzò in piedi e andò da Riku, che riempì di
pugni nervosi sul petto "Devo sempre stare fuori da tutto! Che cosa vuol dire
che te ne vuoi andare?! Riku!"
Lui la spinse via,
abbastanza forte da farla cadere, ma non da farle del male. Sora controllò da
lontano che stesse bene e si rivolse di nuovo a lui: "Sei un vigliacco!"
"Io sarei il
vigliacco? Svegliati, Sora! Tu vuoi che resti per te! Vuoi che resti per
dimostrare al mondo quanto sei stato bravo, quanto sei stato eroico! Vuoi
che rimanga perché tu vuoi essere felice!"
"E anche se fosse?!
Che cosa c’è di sbagliato in questo?! Che cosa c’è di male nel voler essere
felici?! Io non sono come te, io voglio essere felice!"
"Tu non sei come me,
Sora, è questo il problema! Tu vorresti che io fossi come te per non
sentirti in colpa per quello che sono diventato! Perché quello che vedi in me ti
fa paura! Ma il motivo per cui vieni qui ogni notte è perché muori dalla voglia
di essere come me!"
Sora si sentì
pugnalare alla gola.
Si alzò, senza sapere
che cosa volesse fare. Gli si avvicinò, ma non provò a colpirlo. Riku lo guardò
con disprezzo, prendendogli i capelli con una sensualità di cui solo lui poteva
essere capace in un momento del genere, e gli disse compassionevole: "Tu non sei
pronto per diventare come me."
Sora cercò di
guardarlo negli occhi il più freddamente possibile.
"Io almeno ho il
coraggio di provare ad essere felice."
"Nascondendoti qui
con me…? Usandoci come feticci di quello che è stato? Bella idea di coraggio,
Sora. Bella idea di felicità. Dopotutto, forse sei diventato un mostro
esattamente come me…"
"Nessuno pensa che tu
sia un mostro. E se anche qualcuno lo pensasse, quei qualcuno non siamo né io né
Kairi. Tu lo pensi. Ti sei convinto di essere un mostro perché così è più
facile credere di non meritare di essere felice, ma tu lo meriti!"
"Io non credo."
Sora non riuscì più a
restare duro e il suo sguardo si sciolse.
"Perfetto. Vattene
allora. Vai a fare il mostro da solo."
"Da solo è
l’unico modo in cui mi aspetto di essere."
"Lo vedi? Lo vedi?!"
si allontanò bruscamente, come se stargli vicino fosse diventato pericoloso per
la sua incolumità "Riku Riku e solamente Riku! Per te esiste soltanto
Riku! E’ sempre e solo Riku! Perché devi sempre fare così?! Perché devi sempre
comportarti come se fossi solo?!"
"Perché lo sono."
"Grazie…" mormorò
Kairi in un angolo. Riku era leggermente risentito, si vedeva, ma non disse
niente. Questo a Sora fece ancora più male.
"Sei un idiota. Vai
al diavolo. Vai a essere solo lontano da qui. Goditi il tuo egoismo, goditi il
tuo tormento, e goditi anche la tua solitudine. Io forse non sarò rimasto
nell’oscurità quanto te, e non pretendo di capire che cos’hai provato. Ma se
quello che è stato là è più importante che essere di nuovo a casa con noi…allora
vai. Fai come se non l’avessi mai combattuta e fatti inghiottire dall’oscurità
una volta per tutte. Sei solo…sei solo un vigliacco."
"Tu non sai niente
della solitudine."
Sora spalancò gli
occhi.
"Io non so niente
della solitudine?"
Riku non gli rispose.
Lui gli afferrò la maglia, strattonandolo e alzando la voce: "Ti ho cercato per
due anni! Per due anni! Credi che non mi sia mai sentito solo?! Credi che non
sia stato orribilmente doloroso?!"
Riku sorrise
amaramente: "Bighellonare in giro col mago pasticcione e il capitano dal cuore
d’oro la definisci solitudine?"
"BIGHELLONARE?"
ripeté Sora con un sorriso incredulo "BIGHELLONARE?"
"Bighellonare."
"Io ti stavo
cercando! Stavo cercando te! E già che c’ero scusa tanto se ho
dovuto fare anche quella cosetta di salvare il mondo!"
"E il custode del
Keyblade ci ricorda le sue gesta…"
"Smettila! Smettila
di farmi sembrare il cattivo, smettila di farmi sembrare quello che si prendeva
la gloria mentre tu soffrivi! Io volevo solamente trovarti! Volevo solamente
ritornare a casa! Io ero solo esattamente quanto te, e se non ci credi allora
sei tu che non sai niente della solitudine!"
Riku stava per
parlare, ma la voce di Kairi li immobilizzò entrambi.
"Basta, adesso
smettetela, tutti e due!"
Sora ritornò
lentamente in se. La guardò, poi guardò Riku, e andò da lei. Provò ad
avvicinarsi, e forse ad accarezzarle una spalla, ma lei si strinse forte il
cesto al petto e si allontanò, fissandolo con una mancanza di fiducia che lo
distrusse.
I suoi bellissimi
occhi azzurri erano pieni di lacrime amare, e di una delusione così cocente e
feroce che faceva più male di tutti i lividi che aveva sul corpo.
Sora provò a
scusarsi, ma si fermò di nuovo quando lei alzò di nuovo la voce rotta dal
pianto.
"Siete voi che non
capite niente, la solitudine non è brandire uno stupido Keyblade!"
Buttò a terra il
cestino e li guardò con disprezzo, mentre piangeva. Sapeva essere così forte e
così fragile insieme…loro due non lo avevano mai imparato.
"Mi avete tagliata
fuori da tutto! Sono rimasta qui ad aspettarvi! Sono venuta a cercarvi, vi ho
ritrovati, e per che cosa?! Per questo?!" diede un calcio al cestino, che
si aprì, rovesciando a terra due frutti di Paopu "Allora andatevene! Siete solo
dei macellai! Andatevene tutti e due! Tornatevene ai vostri viaggi, tornatevene
alle vostre avventure, alle vostre missioni e alla vostra oscurità! Andate a
fare gli eroi! Andate a spaccare teste con le vostre chiavi giganti e sparite
per sempre dalla mia vita!"
Aveva gridato con
così tanta voce che il suo pianto era diventato muto. Ma Kairi era così, non
lasciava mai che le lacrime si mettessero tra lei e quello che voleva dire. Non
sapeva piangere per ricatto, né per risolvere i problemi, anche se in quel
momento sarebbe stata la cosa più facile per tutti.
Invece di aspettare
che la compassione stemperasse gli animi, tirò su col naso un’ultima volta e se
ne andò. Non di corsa, ma con un passo svelto, e dignitoso…da vera principessa.
Sora si sentì come se
non avesse mai capito niente.
Come se niente di
tutto quello che aveva fatto fosse stato giusto.
…come aveva potuto
credere che Kairi non capisse…?
Si rendeva conto solo
in quel momento che non solo lei aveva capito, aveva capito tutto quanto, ma che
li aveva anche perdonati. Ogni singolo giorno, da quando erano tornati, lei li
aveva perdonati.
Aveva perdonato le
loro stranezze, i loro silenzi, il loro ostinato chiudersi dentro una noce di
ricordi, rimpiangendo cose che non avrebbero meritato di essere rimpiante.
Li aveva sempre
perdonati, e avrebbe continuato a perdonarli se solo loro avessero provato a
fare qualcosa per uscirne, se non avessero permesso che quello che avevano
sempre sognato infine distruggesse le loro vite.
…ma loro non avevano
capito niente…
Erano soli, adesso,
con la loro ridicola insensibilità.
Sora poteva anche
maneggiare due Keyblade contemporaneamente, ma il cuore di Kairi…quello lo aveva
fatto cadere così stupidamente. Proprio lui, che lo aveva addirittura tenuto
dentro di se…
La prima cosa che
riuscì a dire fu solo "guarda cos’hai fatto" rivolto a Riku, che si guardava le
mani sanguinanti.
Lui gli rispose dopo
un po’: "…uno come me può fare solo questo genere di cose…"
Allora Sora si
avvicinò lentamente.
Gli prese le mani e
se le avvolse nella maglietta, il più delicatamente possibile, per non fargli
più male del necessario. Lo guardò con una rabbia triste e sconsolata, piena di
amore.
"Sei uno stupido…"
Gli prese una mano e
se la posò sulla guancia. Sentiva il suo sangue appiccicoso e caldo.
"Sei uno stupido…"
Si sforzò di non
lasciare andare la tensione tutta insieme e scoppiare a piangere. L’aveva già
fatto una volta, e non era stata la migliore delle sue dimostrazioni di
coraggio.
"Sei uno stupido…"
Riku gli sussurrò
dolcemente: "Lo so…"
Sora appoggiò la
fronte contro il suo petto e si riempì i polmoni del suo profumo.
Non sentiva solo
l’odore della battaglia, adesso. Riku profumava anche di sale e di onde del
mare. Di lunghe corse sulla spiaggia e del Paopu dolcissimo riscaldato dal sole.
All’improvviso era
come se le scintille del Keyblade si fossero spente, e lui poteva finalmente
guardarsi intorno con estrema chiarezza.
Erano ritornati a
casa.
Lo abbracciò con
trasporto, e una triste, nostalgica dolcezza. Quando alzò gli occhi, lui gli
sorrise come se si fossero appena ritrovati.
Sora strinse un lembo
della sua maglia tra le mani e si allontanò.
"…dobbiamo trovare
Kairi."
Riku annuì.
Uscirono insieme dal
rifugio e Kairi era lì. Davanti alla cascata, con le ginocchia rannicchiate al
petto, in mezzo ai biancospini come un animaletto in cerca di rifugio dalla
pioggia.
Sora si avvicinò,
timoroso di farle male anche solo così. Cercò di pulirsi la guancia dal sangue
di Riku per non turbarla, ma poi capì che quella era la cosa più bella che
potesse mostrarle. Si inginocchiò davanti a lei e le accarezzò i capelli. Appena
si mosse, lei si buttò tra le sue braccia e gli disse che era uno stupido. Lui
guardò Riku, poi sorrise, stringendo la sua vita sottilissima "Lo so…"
Aspettò un attimo che
si calmasse, ma come sempre era lui il più scosso di tutti.
"…credevamo che te ne
fossi andata…"
Lei sorrise,
rilassata: "Stavo aspettando che veniste a cercarmi. E infatti siete venuti…"
"Certo che siamo
venuti…"
Sora sentì alle sua
spalle Riku che si faceva spazio tra i rami, e vide la sua ombra che tornava nel
rifugio. Gli dispiaceva, ma aveva altre priorità al momento.
Fu invece Kairi che,
sorprendendolo ancora una volta, si buttò a terra come un giocatore di baseball,
e gli si aggrappò alla gamba. Riku sobbalzò spaventato. Aveva fatto sobbalzare
Riku! Il poveretto non sapeva cosa fare, e siccome solo facendo un passo l’aveva
strisciata di mezzo metro si era subito chinato a soccorrerla, riempiendola di
domande su come stesse e ripetendole che era una scema, non ci si butta in mezzo
ai piedi della gente, specialmente di quella alta il triplo di te. Sora rise
allegramente, guardandoli.
Kairi si mise a
sedere da sola, come una bambina orgogliosa. Aveva le ginocchia sbucciate.
"Non te ne andare"
gli disse, a metà strada tra una supplica e un ordine. Lui fece per rispondere,
ma lei glielo impedì: "Non te ne andare!"
Sora ne approfittò e
si inginocchiò accanto a lei.
"Smettila di fare
l’idiota, il tuo posto è qui con noi!"
"Lo è sempre stato e
lo sarà sempre!"
"Anche se sei
odioso!"
Kairi rise, e rise
anche Riku.
Sora non sapeva quale
dei due avesse la risata più bella, ma a lui sembrava che avessero entrambi la
più stupenda risata di tutto il mondo. Quando ridevano insieme, poi, era come
svegliarsi bene alla mattina.
Era essere completo.
Per fortuna, nessuno
gli avrebbe mai chiesto di scegliere una sola di quelle risate.
Riku chiuse gli occhi
e sospirò: "Quanto siete insistenti. Dovevo buttarvi in mare quando ero ancora
in tempo…"
Kairi lo abbracciò,
poi afferrò Sora e lo costrinse ad un abbraccio di gruppo. Lui sul subito pensò
di dover dire qualcosa per sdrammatizzare, ed essere così all’altezza di Riku
che sicuramente avrebbe fatto il superiore. Invece lui se lo strinse al petto,
senza nessuna esitazione. Li strinse entrambi.
Il profumo dei fiori
legava dolcemente l’odore eccitante della sua pelle e quello vanigliato dei
capelli di Kairi, e Sora capì che non c’era niente che potesse o dovesse fare.
Essere se stesso, in
quel momento, era in assoluto la fortuna più grande che la vita gli avesse
concesso.
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Capitolo 9 *** Speranza ***
Speranza
Speranza
Erano seduti vicini
nel rifugio, a dividersi un Paopu intinto nella cioccolata calda. Non era ancora
molto tardi, e la fiamma sotto il padellino bastava a fare da illuminazione.
Kairi si stava
mettendo in bocca un pezzetto di frutto infilzato nel bastoncino, ma questo
scivolò via, cadendole sulla gonna e sporcandole le labbra di cioccolato.
Riku sospirò e si
lamentò perché gli sembrava di dover fare la balia a due mocciosi, Sora invece
sorrise e le diede un bacio. Quando si allontanò appena lei gli si avvicinò di
nuovo e gliene diede un altro, un bacino a stampo, che era assolutamente
perfetto per le sue labbra piccole che assumevano, in quei momenti, una
deliziosa forma a cuoricino.
Al terzo bacetto Riku
parlò tra se e se: "Fate pure con calma, io intanto mangio…"
Sora rise contro le
labbra di Kairi, si girò e diede un piccolo morso a quelle di lui, per poi
baciarle con gioia infantile.
Ovviamente calò il
silenzio, finché Kairi non disse, in una mezza risatina: "Ok, questo è strano."
Riku scrollò le
spalle: "No, per il grande Signore del Doppio gioco è perfettamente normale."
"Non faccio il doppio
gioco!"
"No, certo. Chi lo
avrebbe mai detto che dentro l’acino d’uva nella tua testa si nascondesse un
minuscolo genio del crimine."
Sora gli schiacciò la
caviglia con un tallone, poi si appoggiò con la schiena contro il muro e
dichiarò solennemente: "Io vi amo moltissimo. Sarebbe strano se pretendessi di
fare una distinzione."
Riku fece un leggero
sogghigno: "Sì, certo, adesso guarda che gira e rigira diventa persino una cosa
nobile."
"Non ho detto che è
nobile, ho detto che è così e basta" borbottò spazientito, poi infilzò con forza
un frutto nel bastoncino e lo ficcò nel cioccolato. Riku gli prese la mano e si
mise lo spicchio in bocca. Poi gli avvicinò la testa con una mano e lo baciò. Un
bacio con la bocca aperta e tutta la lingua, questa volta, profondamente intimo.
Invece di inibirlo, Sora si rese conto che la presenza di Kairi lo eccitava. Non
che ne fosse troppo fiero, comunque. A quel punto, però, gli suonò un
campanello, e all’improvviso pensò che forse, vagamente e molto lontanamente,
Kairi potesse avere qualche perplessità sulla faccenda. Si staccò bruscamente da
Riku e si girò verso di lei, agitando le mani e sentendosi in dovere di dare una
spiegazione, quindi cominciò: "Senti Kairi, come ho appena detto io vi amo tutti
e due, quindi…"
Kairi lo interruppe:
"Sì, tutto questo è molto bello, Sora, sono perfettamente d’accordo con te, solo
che c’è una cosa che non mi torna."
"Che cosa?"
"Perché tu puoi
baciare Riku e io no?" –e fece un buffo faccino dispiaciuto.
Riku, neanche a
dirlo, concordò animatamente e le prese un polso per tirarsela vicina, e Sora si
mise in mezzo, sbracciando e impedendo con tutte le sue forze che attuassero i
loro malvagi propositi.
"Nooo, che fate, non
potete!"
"Perché no?" gli
chiese Kairi, facendo l’ingenua, mentre era praticamente mezza sdraiata sulle
sue gambe e mezza su quelle di Riku, che lo prese in giro "Guarda che noi ti
amiamo moltissimo, ma non possiamo mica fare distinzioni."
Sora continuò a
lagnarsi come un bambino ostinato: "Non poteteeee!"
"Che pena, hai
proprio la sindrome del protagonista…" osservò Riku, e Kairi disse: "Su, non
essere egoista".
Sora cominciava solo
adesso a capire i risvolti criminali di cui aveva parlato Riku, e a trovare le
falle nel suo piano perfetto. Tuttavia, quando dopo gli sguardi beffardi in sua
direzione le labbra belle e delicate di Kairi si unirono in modo quasi casto a
quelle carnose e sensuali di Riku, scoprì con immensa sorpresa che non gli dava
poi tanto fastidio. Al contrario, gli sembrava legittimo. E bello.
Quando si baciarono
di nuovo, in modo più impegnativo, Sora tirò la maglia di Riku come un bimbo
lasciato in disparte, e lui si separò da Kairi per baciarlo. Nella sua bocca gli
sembrò quasi di sentire il sapore di entrambi. Poi anche lei gli diede un lungo
bacio, mentre Riku gli grattava la nuca con le dita e gli mordicchiava
possessivamente il collo.
Santo Cielo.
Era troppo per il suo
povero cuore.
Continuarono a
baciarsi a vicenda, in un silenzio quasi sacro. Il profumo della cioccolata che
ribolliva rendeva più languido e confortante l’ambiente, mentre lentamente Sora
perdeva il controllo delle sue stesse sensazioni.
Dovevano essere quasi
le due quando Kairi, che aveva i ritmi di una persona normale, si addormentò.
Riku gli propose di
fare sesso per passare il tempo, ma la cosa era infattibile perché Kairi non
solo era miracolosamente riuscita a mettersi in modo da bloccare l’accesso alle
parti coinvolte, ma aveva anche il sonno piuttosto leggero, e nessuno dei due
voleva prendersi la responsabilità di rischiare che si svegliasse e venisse
sconvolta dai loro incontri cruenti. Così rimasero a mangiare Paopu e
cioccolata, baciandosi e infliggendosi piccole torture, dai morsi ai bastoncini
appuntiti conficcati nel torace.
Molto tempo dopo,
quando Sora cominciava ad avere un po’ di sonno (mentre per il fuso orario di
Riku era giusto sera), Kairi aprì gli occhi e li salutò con due mani. Una per
uno. Poi chiese che ore fossero. Riku guardò fuori e disse che probabilmente
erano le quattro passate. Lei allora si sfregò gli occhi, più vitale: "Tra un
po’ allora albeggia. Andiamo a vedere?"
Sora annuì subito e
aspettò la risposta di Riku -che sembrò non dover arrivare mai, finché non
sbuffò: "E luce sia!"
Lui e Kairi ebbero un
puro momento di giubilo e lo abbracciarono, poi si abbracciarono anche tra di
loro, giusto per non farsi mancare niente. Lei li prese per mano e uscirono.
Subito Riku sbottò:
"Ma allora sono questi cosi a puzzare così al mattino!"
"Sono fiori, non
possono puzzare!" contestò Kairi, accarezzandoli simbolicamente come per
consolali dall’offesa subita.
Sora disse, alzando
le spalle: "Beh, ti ci dovrai abituare" e si chiese se lui si sarebbe abituato
mai. Alla sua vecchia vita che diventava nuova. A tutte le cose che erano
cambiate, e anche a quelle che sarebbero rimaste sempre le stesse. Mentre Riku
prendeva a calci il cespuglio, e Kairi ne strappava un rametto per metterselo
tra i capelli, era sicuro di sì.
Non vedeva il mare
con tutti e due da così tanto tempo che quasi si commosse.
Andarono sotto
l’albero di Paopu e si sedettero, lui tra le gambe di Riku, e Kairi tra le sue.
In realtà Kairi si riaddormentò subito, ma non importava. La tenne stretta tra
le braccia, pensando che ne era valsa la pena.
Era valsa la pena di
tutto.
Quando il primo
spicchio di sole si affacciò sopra al mare la chiamò pianissimo all’orecchio,
per non spaventarla. Lei sbatté gli occhi, dapprima confusa, poi si svegliò, e
la prima cosa che fece fu girarsi e guardare Riku. Anche Sora lo fece, ma lui
non se ne accorse, perso com’era nella silenziosa contemplazione dell’orizzonte.
Ma sembrava sereno, e questo era l’importante.
Quando Kairi si
riaddormentò Riku le accarezzò la testa, mentre dava un bacio alla sua.
Sora prese il rametto
di biancospino dai capelli di lei e se lo mise nella tasca dei pantaloni,
insieme al talismano. Poi si abbandonò completamente contro il petto di Riku e
si addormentò, respirando tranquillamente il loro profumo.
Adesso sapeva che
qualsiasi fosse successa, quello sarebbe rimasto sempre il suo mondo.
Un mondo dove
l’oscurità e la luce danzavano nel palmo della sua mano.
***
Note incoerenti
dell’autrice
Yeah! Altri tre
giorni, altre trenta pagine! Sta diventando un’inquietante costante ò_o Magari
gli astri cercano di dirmi che il 30 di marzo morirò, lol (…).
Comunque che palle
ste one-shots lunghissime XD Ma almeno c’è una storia, non sono cinque pagine di
pippe mentali del personaggio che riflette sui suoi pensieri (che cosa contorta,
poi, riflettere sui propri pensieri), quindi va bene.
Che dire di Hidamari
(che, tra parentesi, significa luogo soleggiato)?
Amo Kingdom Hearts <3
Amo Riku e Sora <3 Amo Sora e Kairi <3 Amo anche Kairi e Riku <3 ma, cosa che è
stata ben più decisiva, amo i rapporti triangolari (penso che chi mi
sleggiucchia ogni tanto l’abbia notato XD Vedere "Non sono un angelo" su Final
Fantasy VII per credere). Per quanto mi riguarda la situazione tra questi tre e
talmente ambigua da questo punto di vista (nel senso più puro del termine, poi:
Sora è chiaramente innamorato di Kairi, ma è altrettanto chiaramente innamorato
di Riku, anche se in termini meno dichiaratamente romantici –anche perché Nomura
è un paraculo), che era un esplicito invito a finire FINALMENTE con un bel
menage-a-trois *_*/
E qui vi farete la
domanda legittima: la lemon di gruppo?
Oh-yes <3! Però la
storia era già lunga e sarebbe stata obbiettivamente inutile XD Quindi me la
sono evitata, anche perché per quello che avevo in mente avrei dovuto far
passare del tempo (narrativo, dico) e mi avrebbe sballato i tempi, che volevano
essere invece brevi (il tutto si svolge in poco più di un mese). Senza contare
che volevo restare quanto più possibile in canon (quanto più possibile,
leggasi: KH è un gioco dove si uccidono i cattivi con la forza dell’amore,
accidenti, quanto puoi restare in canon a una cosa del genere?!), e con la
storia del "passò un po’ di tempo" è facile scanonizzarsi.
Detto questo, penso
che la farò a parte è_é/ tanto una storiella zozza non si rifiuta mai, è come
il caffè.
Questa volta non ho
dediche da dispensare, quindi la dedico a me stessa e alla mia passione
(platonica) per il menage-a-trois <3
Questa è la prima
storia che scrivo per il theme set 35 Flowers della writing community
True Colors
<3 I personaggi su cui ho fatto claim sono appunto Riku, Kairi e Sora, quindi
dovrete vedere come minimo altre quattordici storie scritte da me su di loro:
abbiate molta pazienza XD Pubblicherò le storie dei 35 Flowers prima lì, quindi
se vi rotolate nel vostro letto nella spasmodica attesa di leggere altre
duecento inutili pagine della sottoscritta, passate prima da lì (e scaricatevi
Veronica Mars, rifinitevi Kingdom Hearts, non so, ma fate qualcosa). Inutile
dire che se scrivete, dovete assolutamente aderire >_<
…ok, ho finito *_*/
Vi cito solo la colpevole del rating che dice in una mail:
"[...] R
(cazzo, sono due ragazzini che
si scazzottano e un tribacio, alla fine,
non osare piazzarci un rating superiore XD) [...]"
Blame lisachan!!
|
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