Put your hands in the air if you hear me out there.

di Artemis Black
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Atto primo ***
Capitolo 2: *** Atto secondo: Il portico. ***
Capitolo 3: *** Atto terzo: l'infortunio, i sogni e il cornicione. ***
Capitolo 4: *** Atto quarto: Doomed from the start we met with a goodbye kiss ***



Capitolo 1
*** Atto primo ***


 Atto primo.

La sveglia suona come sempre alle 7.30 precise, svegliandomi con la canzone dei Coldplay intitolata Lost! che era appena passate in radio.
Mi alzo e vado a farmi una doccia gelida per svegliarmi. Dopo essermi lavata, impiego la solita mezz'ora a scegliere che mettere: jeans, maglia dei Rolling Stones un pò sgualcita e le mie adorate converse verdi consumate.
Scendo le scale e mi catapulto in cucina. Il disordine regna in questa stanza!
Ci sono ancora i piatti della cena della sera precedente, li metto tutti nella lavastoviglia e lasci che li lavi al posto mio. L'invenzione perfetta per quella pigra di mia madre!
Prendo del latte e i cereali per fare colazione, o meglio, non avendo una tazza dove mettere i cereali, ne metto una manciata in bocca e poi bevo il latte. Aaaah che ingegno!
Tutto grazie a quella sfaticata di mia madre.
La vado a chiamare in camera sua e la sveglio dicendole che devo andare a scuola.
"Tesoro, stasera lavoro fino a tardi. Per mezzanotte cerco di stare a casa." disse mezza assonnata.
Risalii in camera e presi lo zaino con l'iPod e andai a scuola.
Siccome ero in anticipo, decisi di andare a piedi anziche prendere la metro e l'autobus.
Una bella camminata non mi avrebbe fatto male, sopratutto dopo essermi mangiata una scatola di biscotti il giorno precedente, Quindi c'era anche un pizzico di senso di colpa che mi spingeva a camminare.
Dopo tre quarti d'ora arriva nella tanto temuta struttura, che ogni ragazzo/a che si rispetti, odia con tutto il cuore. Tranne me. Mi piace studiare, imparare, scoprire cose nuove e sopratutto comprenderle.
Ma anche io, ahime, odiavo alcuni professori.
Quello di chimica... che inoltre odiava me perchè avevo i capelli rossicci.
Prendevo B a tutti i suoi compiti anche se meritavo una A. Pazienza!
Andavo bene in tutte le altre materie anche se non ero un super genio e non aspiravo a grandi borse di studio. Ero al penultimo anno e quindi dovevo cominciare a prendere in considerazione che fare della mia vita dopo il liceo. College? Andare a lavoro? Viaggiare? Fare la mammona a vita?
Ero indecisa.
Ma pensiamo giorno per giorno... già è difficile passare per i corridoi pieni di ragazze all'ultima moda con trucco e parrucco sempre impeccabile e ragazzi pompati e super-stronzi che giocano nella squadra di football e credono di essere le celebrità della scuola perciò possono permettersi tutto.
Un esempio? L'anno scorso ero andata ad una festa con una compagna di classe di spagnolo e che poi non vidi per il resto del party. Si trasformò in un orgia collettiva e bisognava stare attententi ad aprire qualsiasi porta di ogni stanza, potevi trovarci cheerleader con giocatori intenti a provare ogni posizione del kamasutra oppure gente sbronza che neanche si conosceva e si accompiavano felicemente in bagno.
Me ne andai prima della mezzanotte e passeggiai per le strade di New York. Entrai in una biblioteca e comprai dei libri (tanto per cambiare) e tornai a casa felice di aver trovato una vecchia rilegatura di alcuni libri di Shakespeare e Dickinson.
Spagnolo, francese, matematica e finalmente la campanella dell'intervallo suonò.
Fiumi di gente si riversò nei corridoi per poi scomparire nel campo da football o nella mensa. Con tranquillità presi le mie cose e mi diressi al mio armadietto. I corridoi erano vuoti e una pace perfetta aleggiava nella scuola.
Stavo mettendo a posto dei libri e prenderni altri quando uno scellerato con lo skate mi venne addosso.
"Idiota!" urlai massagiondomi il polso destro.
"Oddio scusami! Stavo guardando il cellulare e poi... solitamente non c'è nessuno nei corridoi adesso..." disse aiutandomi a rialzarmi.
"Beh c'ero io caro, e non sono certo una ragazza tanto piccola da non essere notata!" dissi un pò acida.
"Scusami, hai ragione." disse lui raccogliendo lo skate.
"No... scusami, sono stata troppo acida." dissi e presi i libri da per terra.
Lui mi aiutò a raccoglierli e si presentò.
"Comunque io sono Andrew, Andrew Garfield." disse sorridente.
Niente male come ragazzo, ma mi aveva quasi ucciso, quindi era nel mio diario nero.
"Oh, quello che gioca nella squadra di basket! Non dovresti essere un pò più alto?" gli dissi.
"Si in effetti rispetto agli altri sono bassino ma me la cavo abbastanza bene a giocare. Come sai il mio nome? Non sono certo il capitano!" disse lui.
"Sai com'è, le voci di corridoio ti attribuiscono vari flirt con l'ex fidanzata del quarterback e decine di relazioni clandestine con varie cheerleader... sai così dicono." dissi sarcastica.
"Davvero?!" disse e si mise a ridere a voce alta.
Che... bella risata.
"La gente non sa che inventarsi!" disse lui piegandosi in due dalle risate.
"Già, devi sapere che io ho avuto una relazione con il bidello dell'anno scorso e inoltre mi piace mangiare le lumache! Incredibile quanta fantasia aleggia in questo istituto!" dissi.
"Ahahahahaha... comunque non mi hai detto il tuo nome." disse lui e smise di ridere.
"Ma tu chi sei che avanzando nel buio della notte inciampi nei miei più segreti pensieri?" dissi seria.
"Perchè citi Shakespeare?" mi rispose.
Conosceva la frase... o mio dio.
"Ehm, ecco io..." incespicai nelle mie stesse parole.
Ero rimasta spiazzata!
"Le cortesie più piccole piantano sorrisi come semi che germogliano nel buio." disse lui con un sorriso.
"Dickinson..." dissi a bassa voce.
"L’individuo equilibrato è un pazzo." disse lui continuando.
"Và avanti..." sussurrai
“Da un certo punto in avanti non c’è più modo di tornare indietro. E’ quello il punto al quale si deve arrivare…” disse chiudendo gli occhi e gesticolando.
"La vita è fatta di piccole felicità insignificanti, simili a minuscoli fiori. Non è fatta solo di grandi cose, come lo studio, l’amore, i matrimoni, i funerali. Ogni giorno succedono piccole cose, tante da non riuscire a tenerle a mente né a contarle, e tra di esse si nascondono granelli di una felicità appena percepibile, che l’anima respira e grazie alla quale vive." concluse sorridendomi.
Aveva citato Bukowski, Kafka e infine Banana Yoshimoto.
Lasciò il suo skate per terra e comincio a spingerlo verso la fine del corridoio. Stava andando via.
"Sono Kimberly! Kimberly Rae! Ma puoi chiamarmi Kim!" dissi a urlando.
Lui si girò e mi sorrise. Un sorriso sincero e bellissimo.
Il mio cuore batteva, batteva più forte del solito.
Poteva essere l'inizo di qualcosa?
 
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Salve a tutti!
Eccomi qui con una nuova storia! stavolta la protagonista, Kim, sarà affiancata da Andrew Garfield (si quello che ha fatto The Amazing Spiderman).
Quando mi sono accorta che nessuno aveva mai scritto su di lui, mi sono sentita quasi in dovere di scriverci una FF. Non so se avete visto il film Non lasciarmi, o The Social Network o Leoni per Agnelli (oltre al film su Spiderman), beh sono semplicemente fantastici.
Lui è un attore bravissimo che merita tanto, e io lo adoro!
Perciò se anche a voi piace o no, vi invito a seguirela storia e di vedere tutti i film in cui ha recitato!
Spero vi piaccia :D
See you soon,
Artemis Black 

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Capitolo 2
*** Atto secondo: Il portico. ***


ATTO SECONDO
Era la seconda settimana che mia madre doveva lavorare fino a tardi e a me non piaceva affatto. Odio stare da sola in casa fino a mezzanotte!
Fortuna che c’era la tv a tenermi compagnia, anche se non la guardavo.
Solo perché un lavoro non bastava a pagare tutte le spese della casa. Che rabbia!
Ed io non potevo aiutare più di tanto. Mia madre diceva che dovevo solo studiare e divertirmi. Era tutto ciò che dovevo fare all’età di 17 anni.
Se poi venisse a sapere che in pratica ho zero amici e pochissimi conoscenti, si immischierebbe e comincerebbe a trovarmi amiche che io non voglio.
Io ce li ho dei veri amici, sono i miei libri.
Loro non mi tradiscono mai, mi sono sempre di compagnia e tutti hanno bellissime storie da raccontare. I libri sono meglio delle persone.
La mia camera è sorretta da libri! Al posto di un armadio gigante che tutte le ragazze vorrebbero, io mi sono fatta comprare una libreria enorme. Occupa tutta la parete opposta al letto. Niente tv, un computer portatile poggiato sullo scrittoio antico che avevo trovato in un mercatino delle pulci a 50$. Praticamente regalato!
Sopra al letto avevo alcuni poster dei più celebri film: Orgoglio e Pregiudizio, Casablanca, Pretty Woman, Marie Antoinette, Psycho, Assassinio sull’Orient Express, Brave Heart, Il Miglio Verde, Thelma e Louise e per finire… Harry Potter.
Uno dei libri più belli del genere fantasy che io abbia mai letto!
E per finire un mini armadio e una cassettiera con sopra uno specchio e alcuni libri.
Sentii qualcuno infilare la chiave nella porta, mi alzai dal divano in cucina e andai a vedere chi era: mia madre.
“Oh, ciao tesoro, aiutami con la spesa” mi disse mentre mi dava alcune buste.
Poggiai il tutto sul tavolo della cucina e cominciai a riporre le cose al loro posto.
“Allora, come è andata a scuola?” mi chiese.
“Niente di nuovo, quello di chimica ancora mi odia. “ dissi.
“Vuoi che ci vada a parlare?” chiese preoccupata.
“No, non mi interessa prendere un A in chimica. Posso farne a meno.” Dissi.
“Ah… ok, e con le tue amiche?” chiese.
“Mamma…” la guardai scorbutica.
“Dai, è impossibile che una brava e intelligente ragazza come te non ha amici!” disse alzando le braccia.
“Appunto, sono un livello troppo alto per tutti quei deficienti che sono in quella scuola. Sono un super genio incompreso!” dissi sorridendo. Un sorriso amaro.
“Contenta tu… e i tuoi libri.” Disse.
“Io me ne vado a letto.” Aggiunse con aria stanca.
“E non mangi?” gli chiesi.
“No, non ho fame.” Rispose lei, poi si chiuse in camera.
E io che gli avevo preparato una gustosa passata di verdure! Mi c’erano voluti secoli per frullare tutti quei vegetali!
Buttai tutto nel lavandino e misi la lavastoviglie in funzione. Aspettei fino a quando non ebbe finito e poi tornai in camera mia.
Mi lavai e mi misi il pigiama. Sdraiata sul letto cominciai a pensare a quell’Andrew.
Non si era fatto vedere per una settimana, chissà che gli era successo, chissà come stava.
Un momento, stop.
Perché mi stavo preoccupando di un tizio che per poco non mi uccideva?
Scacciai via quei pensieri dalla testa e mi addormentai.
E sognai Andrew.
 
“Allora ragazzi, fate 5 giri di campo e poi lo stretching.” Disse il professore di ginnastica.
Io ero un intellettuale, non potevo mettermi a correre di prima mattina. Avevo la forza di un bradipo addormentato!
“Rae, comincia a correre!” urlò il professore.
Le ragazze cheerleader mi guardarono dall’alto in basso e cominciarono a ridacchiare.
“Oche.” Dissi quando gli passai vicino.
“Cosa hai detto scusa?” mi chiese una di loro.
“Belle gonne!” urlai. Loro rimasero di stucco e sussurrarono un “Sfigata”.
Continuai a correre alla velocità della lumaca, senza curarmi di quelle oche starnazzanti.
“Ehi Kim, cosa ci fai qui?”
Io ero tra le nuvole e quando Andrew apparve dal nulla, mi spaventai tanto da cadere a terra per aver inciampato sui miei stessi piedi.
La mia figura da stupida goffa l’avevo fatta. Sentii le cheerleader passare affianco a noi e ridere come galline.
“Tutto bene?” chiese Andrew porgendomi la mano per aiutarmi ad alzarmi.
“Sisi…” dissi “Possibile che ogni volta che sto con te rischio di morire?” gli dissi
Lui cominciò a ridere.
“Non è colpa mia se ti butti ai miei piedi ogni volta che mi vedi.” Disse ammiccando.
“Spudorato!” dissi sgranando gli occhi. Continuai a correre senza voltarmi, mi aveva fatto infuriare.
“Chiedo venia.” Disse affiancandomi.
“Mi dispiace signorino, ci vorrà di più che delle semplice scuse!” dissi altezzosa.
Stavo per caso imitando una madama del 400?! O mio dio, no!
“Ehm scusa… insomma volevo dire” fui interrotta da Andrew.
“No, hai ragione. Che ne dici se dopo scuola andiamo a fare un giro?” mi chiese.
La mia mente calcolatrice già stava pensando in che squallido modo mi avrebbe persuaso a buttargli le braccia al collo e sedotto per portarmi a letto con lui.
“Dimmi la verità, c’è un secondo fine?” gli chiesi alzando il sopracciglio.
“La verita' non e' cio' che si direbbe una buona, gentile e fine fanciulla.” Mi disse e poi mi mise in mano un foglietto ed ancdò via.
Ero ancora intontita dopo ciò che aveva detto e aprendo la mano scoprii che mi aveva appena lasciato il suo numero di telefono.
Santi numi! Avevo in mano il numero di un ragazzo che mi aveva appena citato Wilde.
-Oh cara, Kim non lasciartelo sfuggire!- mi dissi.
“Rae, muoviti!”
Il professore mi destò dagli allori e mi spronò a continuare a correre. Gli dissi che non mi sentivo bene e mi rispose di filare negli spogliatoi.
Rientrai a scuola e mi andai a cambiare. Non puzzavo ma decisi di fare la doccia comunque, stavo per uscire con un ragazzo! Ancora non ci credevo.
Anche se non ero quel tipo di ragazza, che appena uno gli sbatte le ciglia, gli si risvegliano gli ormoni e comincia a dare di matti andando in giro a raccontarlo alle amiche e a spettegolare su quanto sia sexy e quanto le sue labbra siano di un rosa intenso.
Preferisco sapere quanto sia intelligente e cosa aspira a fare nella vita, cosa gli piace fare nel tempo libero e che libri gli piacciono.
Io voglio diventare attrice, voglio lavorare nel mondo del teatro. Voglio poter esprimermi su un palcoscenico e poter interpretare qualche personaggio di Shakespeare.
E’ per questo che ho deciso che cercherò una buona compagnia teatrale o magari, riuscirò  a farmi ammettere in qualche college famoso, qui a New York.
Ma questo è ancora un sogno da cominciare a realizzare… ho ancora un anno e mezzo da passare in questo liceo.
Mi vestii e cercai di sistemarmi i capelli rossicci ribelli: non erano ne lisci ne ricci… mossi forse non troppo. La giusta piega per dei capelli insulsi.
 
La campanella suonò e la classe si riversò nei corridoi. Io rimasi pietrificata sul mio sgabello nell’aula di biologia. La professoressa mi guarda preoccupata da sopra i suoi occhiali grandi e fuori moda, come li avevano definiti delle ragazze in fondo all’aula.
“Tutto bene, Rae?” mi chiese. Aveva all’incirca 55 anni e molte esperienze passate che portava scritte nel suo volto, colpito dagli anni ma straordinariamente bello.
“Un ragazzo mi ha chiesto di uscire dopo la scuola.” Dissi tutto d’un fiato.
Non so sinceramente perché l’avevo fatto, ma mi fidavo in qualche modo dell’unica professoressa che più mi stava simpatica.
“Oh tesoro” disse e si avvicinò a me “Va e goditi la giornata!” aggiunse incitandomi.
“Ma non so come comportarmi! E’… è la prima volta che qualcuno si interessa a me ed io che sono sempre pronta a dare una risposta, a calcolare tutti i miei piani, adesso mi ritrovo con questo maledetto mal di pancia e una confusione in testa perché non so come comportarmi!” gli dissi.
Lei prese uno sgabello e si misi di fianco a me.
Mi indicò la finestra, la primavera era alle porte e piccoli boccioli rosa stavano nascendo su di un albero.
“Prendi la vita così com’è, non calcolare tutto perché alla fine non sarà mai come l’avrai pianificato. Sii te stessa e vedi che andrà bene, e se non andrà… beh, allora è un ragazzo sciocco e poco intelligente per te!” mi disse dandomi una leggera pacca sulla spalla.
“Ed ora vai, ti starà aspettando!” mi disse.
“Si, si certo… ehm, grazie.” E corsi fuori dall’aula.
Nel frattempo la professoressa Smith rimase in aula ad osservare l’albero in fiore.
Si toccava spesso la fede che aveva all’anulare sinistro e sorrideva amareggiata: credevo alle sue parole, sapevo che dovevo sbattermene dei miei piani e vivere alla giornata.
Anche la Smith avevi molti programmi… poi però, perso il suo bene più prezioso mentre era frustrata nel trovare una soluzione a tutto. Il marito era morto per un tumore l’anno precedente.
 
Uscii fuori dalla scuola e aspettai sulle scalinate dell’entrata.
Controllai il cellulare ma non avevo il coraggio di mandargli un messaggio.
“Ehi, Kim!” sentii qualcuno chiamarmi alla mia destra.
Era Andrew.
Il cuore prese a palpitarmi forte, le mie guance diventarono leggermente rosate e sul mio viso si stampò uno stupido sorriso sbilenco che non riuscivo a togliermi.
Lo raggiunsi e lo salutai.
“Allora, vieni con me?” mi chiese divertito.
“Dove?” ero curiosissima.
“Al porto!” disse ridendo.
“Cosa diamine ci andiamo a fare?” chiesi divertita.
“A divertirci!” disse lui sorridendo.
Salimmo su di un autobus per andare fuori Manhattan, poi proseguimmo a piedi.
Ci prendemmo degli yogurt, buonissimi, continuando a camminare senza sosta fino al porto.
Ridevamo e scherzavamo. Lui mi raccontava di come adorava fare i scherzi ai suoi vicini di casa e io gli raccontavo le gaffe di mia madre.
“Ti piacciono i libri, giusto?” chiesi.
“Si, molto. Leggo appena posso ma devo dire di avere una libreria alquanto piccola.”
“Oh, io invece ho una libreria da parete che occupa tutta la mia stanza!” disse fiera.
“Davvero? Me la devi far vedere!” chiese lui.
“Certo, ehm quando vuoi.” Risposi.
Lo avevo invitato a casa mia. Wow, gran bel passo avanti Kim!
“Eccoci… allora adesso dobbiamo fare qualcosa di… ecco, illegale.” Disse lui serio.
“Cosa? Aspetta, aspetta, che vuoi fare?” dissi.
Mi disse di abbassare la voce e seguirlo.
Scavalcammo una recinzione e ci avviammo verso un garage enorme dismesso.
“E’ proprietà privata?” chiesi quando entrammo in quell’enorme magazzino aperto.
“No, è dismesso e non ci viene più nessuno” disse lui.
Appoggiò il suo zaino su una scrivania di ferro piena d’attrezzi da lavoro ed andò alla fine del magazzino.
“Che fai? Cioè… perché siamo qui?” chiesi poggiando anche il mio zaino.
Lui tolse un grande telone da dei contenitori enormi di ferro che di solito si vedono sulle barche.
“Ti faccio vedere come passo la maggior parte dei miei pomeriggi!” disse lui.
Saltò sopra quelle casse e cominciò a fare salti mortali, carpiati e varie piroette.
Si tolse la felpa e me la lanciò, stava per saltare da una cassa ad un’altra… solo che in mezzo c’era il vuoto.
“Oddio che vuoi fare?” dissi terrorizzata.
“Saltare!” disse lui
“Ma sei a più di due metri da terra e potresti romperti l’osso del collo!” gli urlai.
Troppo tardi, aveva già saltato.
Mi coprii gli occhi e mi girai di spalle.
“Non voglio guardare!” urlai.
Sentii un tonfò ma non avevo il coraggio di guardare se era riuscito ad atterrare o no.
Poi sentii qualcuno avvicinarsi e farmi pressione ai fianchi.
“No, dai, ti prego smettila! Ahahahahahahaha!” dissi sena fiato.
Mi aveva sorpreso alle spalle e mi stava facendo morire di solletico.
“Dai, basta!” dissi ridendo. Lui rideva insieme a me.
Mi girai e i nostri occhi si incontrarono pericolosamente, come la distanza ravvicinata delle nostre bocche.
Mi teneva stretta a sé con le sue mani poggiate sui miei fianchi. Sentivo il suo respiro irregolare e le sue mani calde su di me.
Le mie guance arrossirono violentemente ed abbassai lo sguardo da quegli occhi di uno stupendo color nocciola.
“Allora, ti piace il parkour?” chiese scostandosi.
“No. Per niente.” Dissi.
“Ok, allora ti faccio cambiare idea!” disse.
Mi prese in braccio con la forza e portò su di una di quelle cose.
“Andiamo! Seriamente, io non mi butto da qua.” Dissi incrociando le braccia.
“Lo faresti per me?” chiese lui avvicinandosi e facendomi il labbruccio.
“Non vale! Se me lo chiedi così devo accettare… ho un debole per i labrador!” dissi sarcastica.
“Kimberly Rae come hai osato paragonarmi ad un labrador?” chiese lui.
Io risi come una matta alla sua espressione.
Poi mi costrinse a fare un semplice salto da una cassa ad un’altra.
“ok, questa è la mia massima agilità… per il resto, inciampo sulle mie stesse scarpe perciò!” dissi.
“Non ci credo.” Disse lui riprendendosi la felpa.
“Ne hai avuto la prova stamattina!” feci la linguaccia.
Lui rise, ed io mi sciolsi alla vista di quel riso così soave e innocente. E terribilmente sexy.
Mi stavo lasciando andare in apprezzamenti poco casti, ma in fondo era lui che istigava, no?!
Mi stava rubando la mente, il cuore, il corpo, l’anima.
Mi stavo addentrando in qualcosa di fantastico e stupendo, ma al tempo stesso rischioso e con probabili delusioni.
Decisi di fidarmi di lui. Non avevo niente (o forse tutto) da perdere.
Si era fatto tardi così decidemmo di tornare indietro. Ci fermammo in una pizzeria vicino casa mia e prendemmo due pizze a portar via.
Lo feci entrare a casa e mangiammo la pizza in silenzio. Un silenzio imbarazzante e poco rilassante.
“Allora, volevi vedere la mia libreria?” chiesi mentre pulivo il tavolo.
“Mi farebbe piacere” rispose sorridendo. Un altro balzo al cuore.
Salimmo le scale e lo condussi nella mia camera.
“Wow! E’… è bellissima” disse sedendosi sul mio letto.
“E’ tutto ciò che mi appartiene, la libreria a parte di me” dissi sedendosi affianco a me.
“Non ho mai avuto altri amici all’infuori dei libri” dissi amaramente.
Lui mi guardò con fare silenzioso.
“Che c’è?” gli chiesi. Mi stava fissando ed io non mi sentivo a mio agio con i suoi ochi che mi scrutavano centimetro per centimetro.
“Continua a parlare.” Mi disse con dolcezza.
Gli raccontai di quando andavo alle medie e di quando ero caduta in depressione. Gli raccontai di mio padre, che non era mai esistito per me e di mia madre che si spaccava in due per portare a casa la cena. Mi sfogai, raccontai tutto quello che non avevo mai detto a nessuno.
“Non sono una persona bella e neanche molto interessante.” Dissi infine.
“L'amore guarda non con gli occhi ma con l'anima.” Disse lui, citando Shakespeare.
Lo guardai stupita e le mie guance si tinsero di porpora.
Andò vicino alla libreria e prese un libro a caso: Cime tempestose.
“Mi piace questo libro… ma non ho mai letto la fine.” Disse lui rigirandoselo tra le mani.
“Lo puoi prendere se vuoi!” dissi frettolosa.
Una scusa per farlo passare nuovamente a casa mia?! Forse.
“Grazie.” Disse.
“Si è fatto tardi… i miei saranno in pensiero.” Disse.
Scendemmo le scale e lo accompagnai alla porta.
Ci salutammo sulla veranda, promettendoci che ci saremmo rivisti il giorno dopo a scuola.
Rimasi seduta fuori a guardarlo andare via.
Quando ad un tratto fece marcia indietro e tornò sotto il portico.
“Non so perché, ma lo devo fare, lo voglio fare.” Disse lui salendo i pochi gradini.
“Cosa intend-“ fui interrotta.
Mi baciò.
Uno baciò dolce, leggero come un piuma. Avevo dapprima gli occhi sgranati poi li chiusi lentamente assaporando quel bacio atteso da molto, tanto agognato, sospirato e sognato.
Mise le sue mani sulle mie guance infuocate e mi avvicinò a se con calma.
Un bacio romantico che piano piano si trasformò in qualcosa di più passionale e fugace.
Quando ci staccammo eravamo tutte e due accaldati e ansimanti.
Io sorridevo come una stupida e lui anche.
Rimanemmo così per 5 minuti, a scavarci negli occhi l’uno dell’altra.
Poi mi saltò con un bacio sulla fronte e corse via.
Il mio cuore esultava, era in piena festa.
Per una volta, avevo avuto quello che tanto avevo sognato… ero felice.

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Salve a tutti :D
Ringrazio ognuno di voi che sta leggendo questa storia, in particolare a:
Chi ha recensito
Lady_Lyoko 
Eruanne

a chi l'ha messa nelle preferite e nelle seguite
Lady_Lyoko
Spero che il capitolo sia di vostro gradimento, e recensite se trovate qualche errore :)
See you soon,
Artemis Black

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Capitolo 3
*** Atto terzo: l'infortunio, i sogni e il cornicione. ***


 
Lo avevo baciato.
Oh, certo che lo avevo baciato. Ed era stato tutto così bello! 
Così bello che ero stata a casa per una settimana… perché mi era venuta la febbre.
Un bacio dolce e romantico sotto al portico di casa rovinato dalla pioggia e dal fatto che ero rimasta chiusa fuori casa fino a mezzanotte. Quando mia madre è tornata dal lavoro, mi ha trovato seduta sul portico tremante. Risultato: trentanove di febbre per 6 giorni.
Avevo sentito Andrew il giorno dopo il nostro bacio e il giorno dopo, poi mi aveva detto che sarebbe partito per andare a Chicago per un torneo di basket e così non l’ho più sentito.
“Tesoro questo è il certificato per il rientro a scuola per domani.” Disse mia madre entrando in camera.
“Grazie.” Risposi.
“Devi ancora dirmi come diavolo sei rimasta chiusa fuori!” disse.
“Lascia correre, ormai sto bene!” gli dissi sorridendo.
“Tanto lo so che centra un ragazzo. Ti si legge in faccia!” disse lei facendomi la linguaccia.
“Che stregoneria hai mai usato per leggermi nel pensiero, donna! Mostramelo!” dissi.
“Sesto senso da donna! Dovresti averlo anche tu, figliola.” Mi rispose.
“Oh madre, il mio sesto senso è riuscire a trovare del cibo ovunque. Non rimembri?! Sono un maschiaccio mancato!” dissi mentre mi grattavo l’ascella apposta.
“Ma smettila! Devi solo far uscire la donna che è in te!” 
“Neanche con un lanternino riusciresti a trovarla!” gli risposi ridendo.
“A tavola! E’ arrivato il cibo.” Disse scendendo le scale.
“Cinese o italiano?” chiesi.
“Cinese!” sentii urlare dalle scale.
Mangiammo in silenzio in cucina e poi guardammo un po’ di tv.
Verso le 22 salii in camera e mi misi a leggere, infine mi addormentai.
 
La sveglia suonò puntuale e io puntualmente la scaraventai il più lontano possibile. 
Mi lavai e poi mi vestii, scesi a fare colazione e poi svegliai mamma. 
Stamattina avrei preso la metro con l’autobus.
Erano le 8.30 e presi appena in tempo la metro, come al solito vuota. Se avessi preso la corsa precedente sarei stata appiccicata al vetro del vagone per tutto il tragitto.
Mi sedei e presi l’iPod e partì Radio Nowhere di Bruce Springsteen.
Mimai le parole della canzone mentre leggevo i titoli del giornale del signore di fronte a me: sparatoria in centro, rapina ad una banca, evasione fiscale, partita di football… teatro!
C’era una compagnia che avrebbe messo in scena Sogno di una Notte di Mezza Estate per una settimana al teatro sulla 24esima. Dovevo avere i biglietti! 
Così decisi di andare al botteghino dopo la scuola. 
“Prossima fermata…” disse la voce meccanica e le porte della metro si aprirono.
Presi lo zaino e uscii. La fermata dell’autobus non era tanto distante da quella della metro.
Salii la scale e la l’aria fredda di New York mi investì. La temperatura si era abbassata bruscamente per essere alla fine di marzo.
Cercai la sciarpa nello zaino e ci litigai per un po’, perché il vento me la faceva volare in faccia.
“Hai bisogno d’aiuto?” mi tolsi la sciarpa dalla faccia e vidi un sorriso smagliante davanti a me. 
“Andrew?!” come diamine aveva fatto a sapere a che stazione scendevo?
“Signorina Kim, le volevo gentilmente chiedere se le andava di farci una passeggiata fino alla struttura adibita allo studio?” mi chiese mimando un signorotto inglese.
“Certo, mio caro.” Dissi mimando un inchino.
Mi prese le mani e mi avvicinò a sé per baciarmi. Le mie guance arrossirono violentemente e le mie mani strinsero le sue. Per un momento non sentii più freddo, anzi stavo andando in ebollizione.
“E’ meglio se ti copri bene, non voglio che ti ammali di nuovo.” Mi disse mentre mi riscaldava le mani sfregandole con le sue.
“La mia salute di ferro!” dissi sarcastica.
Lui rise ed io con lui.
Camminammo per le strade fredde e frenetiche mano nella mano e la cosa mi piaceva tanto, tantissimo. Ogni tanto lui mi lanciava occhiate fugaci per poi girarsi ed arrossire di nascosto, anche se io l’avevo sgamato.
“Voglio andare ad una rappresentazione teatrale.” Dissi.
“Davvero? Su cosa?” mi chiese curioso.
“Sogno di una notte di mezza estate.” Gli risposi.
“Bello! Quando ci andiamo?” chiese.
“Ehm non lo so, oggi pomeriggio volevo passare al botteghino.” Gli dissi entusiasta.
“Vengo con te allora.” Mi disse.
All’entrata della scuola ci separammo: lui andò dai suoi amici di basket ed io andai a lezione.
La giornata passò velocemente e allora di pranzo andai a mangiare di fuori, anche se mi stavo gelando le mani.
Quando finalmente la campanella suonò la fine della scuola, incontrai Andrew per i corridoi.
“Mi accompagni un momento in palestra? Poi andiamo al botteghino.” Mi chiese.
Io annuii e lo seguii.
Mi fermai sugli spalti e nel frattempo che lui parlava con il coach. Lo vidi gesticolare e arrabbiarsi, il coach cercava di calmarlo ma si beccò un vaffa di rimando.
Poi si avvicinò a e disse di andare via.
Per tutta la strada fino al teatro, rimase in silenzio e rimuginare a quanto gli aveva detto il coach.
Quando gli chiesi quale giorno gli andava bene per vedere lo spettacolo, mi rispose con un “Fai tu.”
“Giovedì sera alle 20 abbiamo uno spettacolo da vedere!” gli dissi sorridendo.
“Mmm bene.” Disse.
“Cos’è successo?” gli chiesi preoccupata.
“Ehm, niente è che… vieni andiamo a prenderci qualcosa di caldo.” Disse e mi prese per mano.
Ci fermammo in un pub irlandese lontano dalle chiassose strade di NY.
Era piccolo e a gestione familiare, aveva panche e sgabelli in legno scuro e le pareti erano di colore verde. Appena entrammo sentii il tepore di quel posto riscaldarmi le mani e tutto il mio corpo. Ci sedemmo ad un tavolino vicino alla finestra che dava sulla strada: lui prese un irish coffe ed io un thè caldo con biscotti.
“Centra qualcosa il basket per caso?” azzardai a domandarglielo.
“Si…” disse.
Rimanemmo in silenzio a sorseggiare le nostre bevande calde.
“Me lo fai assaggiare?” gli chiesi.
“E’ alcolico, sicura?” mi disse.
“Certo! Ehi non sono mica astemia io!” risposi.
Ne bevvi un sorso e mi piacque molto.
“E’ buonissimo! La prossimo volta lo prendo anche io.” Dissi.
“Va bene, piccola alcolizzata!” disse sarcastico.
“Non chiamarmi così!” dissi corrucciando le labbra.
“No aspetta, rifai quello che hai fatto con le labbra!” mi chiese.
Lo rifeci e lui mi scattò una foto.
“Ehi! Brutto…. Cancellala.” Dissi.
“No!” disse lui alzando il mento.
“Cancellala o la tua vita sarà a rischio.” Dissi seria.
“Non mi incanti.” Disse lui morsicandosi il labbro inferiore.
“Ti odio.” Dissi.
“Oh, che sentimento profondo!”
Gli feci una smorfia e mi alzai dalla panca. 
Pagammo il conto e andammo a fare una passeggiata per Central Park: parlammo delle nostre madri, dei viaggi che avremmo voluto fare e della scuola.
“Io non so che fare… non ci voleva proprio questo infortunio. Ora devo depennare la borsa di studio del basket…” disse mentre eravamo seduti su di una panchina.
“Che è successo?” gli chiesi.
Si alzò i pantaloni fino al ginocchio: c’era un enorme livido nero e violaceo che contornava tutta la parte destra dell’arto.
“Oddio! Co-come te lo sei fatto?” 
“Durante una delle partite che abbiamo giocato a Chicago la scorsa settimana. Non è nulla di grave ma devo stare fermo per circa 6 mesi e per un anno non dovrei fare nessuno sport.” Disse amareggiato.
“Mi dispiace… sai neanche io so che fare. Ma ho comunque solo tre opzioni: riuscire a prendere una borsa di studio in qualche materia, viaggiare per il mondo o… andare ad una scuola di recitazione.” Dissi.
“E quale sceglierai?”
“Beh, non so quale borsa di studio prendere e nessuna di quelle che la scuola offre, mi attira. Viaggiare per il mondo sarebbe bello… ma c’è troppo rischio e inoltre sarebbe costoso e poco produttivo. Il mio sogno è recitare, magari uno dei libri classici che leggo sempre o una commedia scritta interamente da me! Ma credo di sognare troppo in grande… Non so.” 
“Non devi avere paura di sognare e non limitarti ad un qualcosa di piccolo, sogna ciò che vuoi veramente e non vergognartene. Ma soprattutto, se ci tieni tanto a recitare, fa si che quello sia il tuo futuro.” 
Quelle parole mi stupirono e mi segnarono nel profondo.
“Hai ragione, forse dovrei seguire più spesso i miei sogni.” Dissi sicura di me.
“Ecco, già va meglio!” disse lui sorridendo.
“Tu invece, che farai senza il basket?” 
“Vedrò, devo vedere cosa so fare veramente e quale sia il mio vero sogno…” disse.
“Andiamo, si sta facendo tardi.” Mi disse e si alzò dalla panchina porgendomi la mano.
Lo salutai alla stazione della metro e lo salutai.
Arrivai a casa e come al solito non c’era nessuno. Così entrai in camera e mi misi al computer per cercare una scuola di recitazione adatta a me. 
Quando mia madre rientrò dal lavoro, mi trovò addormentata sulla tastiera del portatile.
 
“Allora passo a prenderti per le 19, ok?” mi chiese Andrew all’uscita di scuola.
“Certo! Tanto sai dove abito.” Dissi e lo salutai.
Appena tornata in casa aprii l’armadio e frugai tra i vestiti in cerca di qualcosa di adatto per andare al teatro con Andrew, senza essere troppo eleganti.
Rivoltai mezza cameretta nella ricerca di vestiti adatti, ma niente mi sembrava all’altezza.
Poi provai nell’armadio di mia madre e trovai qualcosa.
La chiamai per sapere se potevo prenderlo in prestito e lei acconsenti, basta che glielo avrei lavato e riportato sano.
Rimaneva un solo problema: le scarpe.
Non potevo mettermi le converse verdi e neanche un paio di scarpe da ginnastica! 
Così dovetti uscire di casa e andare in un negozio di scarpe.
Provai alcune ballerine ma non faceva per me, troppo basse come scarpe. Provai anche delle scarpe con il tacco e decisi che non sarei mai uscita con dei trampoli alti 12 cm.
Così la commessa mi portò un paio di sandali gioiello alti all’incirca 8 cm, con pietre verdi smeraldo e bianco perla molto carine e non troppo raffinate. Me ne innamorai e decisi di comprarle.
Soddisfatta del mio abbigliamento, tornai a casa e mi preparai.
 
Alle 19 in punto sentii qualcuno bussare: era Andrew.
“Ehi, ciao! Vieni.” Dissi.
“Wow! Sei… sei bellissima. Davvero!” disse sorridendo.
Arrossii timidamente e lo ringraziai. Lo feci accomodare in cucina mentre io mi davo un’ultima sistemata.
“Eccomi, sono pronta.”
“Ok, andiamo allora!” disse.
Chiusi il portone a chiave e lo raggiunsi in strada. 
“Stasera, mio padre mi ha prestato la sua macchina.” Disse e mi mostrò il suv nero parcheggiato poco distante da casa mia.
“Così non dovremo andare a piedi!” dissi entusiasta.
“E neanche prendere la metro!” disse ridendo.
Arrivammo puntuali al teatro e ci godemmo lo spettacolo nel migliore dei modi.
Io rimasi rapita da come recitava l’attore protagonista, era perfetto. 
Così la mia mente cominciò a fantasticare su quanto fosse bello recitare e immaginai me stessa su quel palco. Era la mia vocazione, il mio destino: volevo diventare un attrice.
Quando mi girai verso Andrew, vidi una strana luce brillare nei suoi occhi. Sicuramente gli stava piacendo lo spettacolo perché aveva un sorriso compiaciuto sulle labbra. Eppure c’era qualcos’altro che rapiva il suo interesse. 
“Allora ti piace?” gli sussurrai
“Molto.” Disse al mio orecchio.
Quando il sipario calò e gli artisti si inchinarono davanti agli spettatori, si levò un coro di applausi. 
Una volta fuori il teatro Andrew mi portò sul tetto di un edifico abbastanza alto e lì ammirammo la città che non dormiva mai.
Luci e suoni animavano la notte quasi più del giorno e c’era anche più gente per le strade. 
“E’ bellissimo!” dissi poggiando i gomiti sul cornicione.
“Già…” mise un suo braccio intorno alle mie spalle e mi avvicinò a sé.
Rimanemmo a contemplare la città e il magnifico panorama che si stagliava di fronte a noi.
Poi Andrew si mise in piedi sul cornicione allargando le braccia e chiudendo gli occhi. 
“Ehm, perché non scendi?” chiesi preoccupata.
“Non preoccuparti! Dai, Sali anche tu.” Mi disse.
“Cosa? No, no e se poi cado? Non ci vengo lì sopra.” Dissi allontanandomi.
“Se non ci provi non sai che ti perdi.” 
Ci guardammo negli occhi e trovai la sicurezza per affrontare quel cornicione. All’inizio mi sedei soltanto, con i piedi a penzoloni nel vuoto poi Andrew mi incitò a mettermi in piedi e con molta fatica ci riuscii.
“Apri gli occhi!” mi disse lui.
“Non ci penso proprio!” dissi aggrappandomi al suo braccio.
“Ma non sai dove mettere i piedi.” Disse stuzzicandomi.
Così li aprii e il mio cuore si fermò. Ero al limite della vita in qualche modo: un passo in avanti e mi sfracellavo al suolo, un passo indietro ed ero salva. 
Mi piacque stare in bilico e mimai un giocoliere che camminava su un filo invisibile. Andrew si mise a ridere ed anche io con lui.
“Vorrei poter fermare il tempo, anzi vorrei fermarmi in questo momento esatto. Sono così felice e carica di vita più che mai, e questo solo grazie a te.” Gli dissi.
Lui sorrise e mi stampò un bacio sulla fronte e mi abbracciò.
“Lo stesso vale per me… Non ho mai incontrato ragazze come te, sei rara ed unica. E così perfetta per me, non ti lascerò andare via. Mai.” Disse
Si sciolse dall’abbraccio e scese dal cornicione.
Allargò le braccia verso di me e cominciò a canticchiare:” Put your hands in the air if you hear me out there, I’ve been looking for you day and night, shine a light in the dark, let me see where you are ‘cause I’m not gonna leave you behind. If I told you that you’re not alone and I show you this is where you belong, put your hands in the air one more time!” 
Ascoltai quelle parole e le impressi nella mia mente. Non mi sarei mai più dimenticata quelle parole per il resto della mia vita.
Mi prese per la vita e mi portò giù dal cornicione.
“Ti è piaciuta?” mi chiese.
“Si, molto.” Risposi e lo baciai.
________________________________________

Salve a tutti, eccomi tornata!
In questo capitolo viene svelato il motivo perchè ho chiamato così la storia e il rapporto tra Andrew/Kim si salda ancora di più :3
Voglio ringraziare tutti voi che leggete e seguite la storia, in particolare a:

Josh H 
Lady Lyoko 
BabyLily
Blake_Echelon
dakihysteria
kill_your_darlings
letherebelove
See you soon,
Artemis Black

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Capitolo 4
*** Atto quarto: Doomed from the start we met with a goodbye kiss ***


ATTO QUARTO
 
“Allora per il nostro anniversario avevo in mente di andare a mangiare in qualche ristorante d’élite, che ne dici?”
Andrew mi sorprese alle spalle come sempre mentre prendevo i libri dall’armadietto.
“Andrew, non serve!” gli risposi sorridendo.
“Ok, allora provvedo io a qualche bel posto.” Disse e mi baciò.
Poi fuggì via con il suo skate.
Era già passato un anno da quando ci eravamo conosciuti ed eravamo pazzi l’uno per l’altra. Andavamo a teatro insieme, avevamo anche fatto un viaggetto poco tempo fa a Boston e facevamo tantissime altre cose insieme, inoltre Andrew mi aveva imparato qualche salto di parkour, con scarsi risultati.
Lo avevo presentato a mia madre e lei subito mi disse che le piaceva e che sapeva che c’era qualcuno nel mio cuore, mi si leggeva negli occhi.
Lui mi presentò ai suoi la settimana successiva. Erano due persone per bene: la madre era casalinga ma ogni tanto lavorava come babysitter per le altri madri della palazzina in cui vivevano, il padre invece viaggiava molto tra Stati Uniti e Gran Bretagna. C’era una settimana massimo due al mese, poi ripartiva. Faceva avanti e indietro da circa 4-5 anni.
“Sai quante mie partite di basket si è perso?!” mi disse una volta Andrew.
Non era arrabbiato con il padre, solo che non gli piaceva il suo lavoro perché lo teneva molto tempo lontano da casa.
“Ma ormai ci ho fatto l’abitudine.” Mi aveva risposto.
Al nostro 6 mese insieme, facemmo l’amore per la prima volta.
Fu tutto bellissimo e molto dolce da parte sua: mi aveva portato una torta gigante al cioccolato a casa, per festeggiare ed eravamo finiti in camera mia a sfogliare i vari libri che avevo. Mi chiese di recitare per lui e io lo feci, poi non so come ci eravamo ritrovati in biancheria intima sotto le lenzuola del mio letto.
Avrei voluto rimanere per sempre stretta al suo petto e a contatto con la sua pelle calda e morbida. Circondata da braccia premurose e pronte a difendermi da qualsiasi cosa.
Ero felice, felice più che mai.
La mia vita la dovevo passare con lui, ne ero sicura al mille per cento.
Nel frattempo avevo trovato anche una scuola per recitazione non tanto distante dal mio liceo e la retta non era altissima. Andrew invece era ancora indeciso e forse l’avevo influenzato molto sulla scelta: lo avevo indirizzato verso qualcosa che non fosse sportivo, per via del suo ginocchio, e lo avevo portato a vedere così tanti spettacoli teatrali che ormai si era appassionato a quel mondo.
Sua madre una volta mi confessò che fin da piccolo Andrew allestiva piccole scenette in camera sua, poi da quando il padre lo aveva forzato a fare un sacco di sport, aveva lasciato perdere.
“Ti piace il teatro da quando sei piccolo, ammettilo!” dissi una volta mentre eravamo a passeggio per Central Park.
“Eh, cosa? Te l’ha detto mia madre vero?” chiese.
“Yep!” dissi tutta contenta.
“Perché non trovi anche tu una scuola di recitazione o belle arti?” gli chiesi.
“Perché… non lo so. Mi sembra di rubarti un sogno.” Disse serio.
Mi fermai di botto.
“Aspetta, cosa?! Ma non lo devi neanche pensare! Se è un tuo sogno, allora realizzalo!” gli dissi entusiasta.
“Stai usando le mie parole per convincermi?”
“Ho imparato dal migliore!” gli risposi.
E così si mise a cercare qualcosa anche lui, ma ancora non era deciso. Io l’avevo aiutato in tutti i modi, ma adesso era lui che doveva prendere una decisione.
 
Al suono della campanella mi ritrovai un biglietto di Andrew attaccato all’armadietto con scritto che mi sarebbe venuto a prendere alle 20 a casa mia, per poi andare a festeggiare il nostro anniversario.
“Spero che tu non abbia combinato niente di troppo eccentrico, pomposo e lussuoso.” gli scrissi in un sms.
Nel pomeriggio mi andai a comprare un vestito: semplice ma elegante, leggero e di colore verde smeraldo, senza spalline, lungo fin sotto il ginocchio con un piccolo spacco di lato e una spilla. Tornata a casa chiesi a mia madre se potevo rimanere fuori tutta la notte con Andrew e lei acconsentì sorridendomi.
“Kim, puoi rimanere a dormire a casa sua o farlo venire qua. Decidi tu.” Disse.
“Mamma stai bene? Hai la febbre? Influenza suina? Sintomi della Mucca pazza?” gli chiesi preoccupata e scioccata dalla proposta.
“Ma no! E’ che voglio che tu passa del tempo con lui… state insieme, godetevi la vita finchè potete.” Disse lei.
“Ok. Ma non lo faccio venire qui!” dissi salendo le scale per andarmi a preparare.
Non potevo sapere che l’indomani mia madre mi avrebbe fatto capire il perché di questa proposta, quasi indecente.
Alle 20 spaccate sentii il motore della macchina di Andrew parcheggiare di fronte casa e suonare il clacson. Uscii di casa e mi fiondai in auto.
“Allora ho una cosa da dirti che ti farà felice tanto quanto me!” dissi.
“Spara!” disse lui fremendo.
“Posso rimanere fuori tutta la notte e posso addirittura dormire da te!” dissi sorridendo a 40 denti.
Lui mi guardò stupito poi avvicinò il suo viso al mio e mi baciò con passione.
“So cosa vorresti fare, paraculo!” dissi mentre scendeva a baciarmi il collo.
“E c’è qualcosa di male? O magari non sei d’accordo?” disse lui con voce terribilmente sexy e provocatoria.
“Sei un maniaco. Vuoi farmi confessare di voler fare porcate con te!” dissi indicandolo.
“Oh! Che tragedia!” disse lui alzando le mani e allontanandosi.
Mise in moto la macchina e partimmo.
Per tutto il tragitto ascoltammo la radio cantando a squarciagola Another Day in Paradise di Phil collins, I’m Your Baby Tonight di Whitney Houston, You Give Love a Bad Name dei Bon Jovi, I Was Born To Love You dei Queen e tante altre, grazie ad una stazione radio che mandava in onda solo vecchie canzoni.
Quando ci fermammo, eravamo davanti casa sua.
“Questo è il ristorante dove mangeremo?” chiesi stupita.
“Avevi detto niente sfarzo, perciò ho preparato qualcosa di più intimo. Mia madre è andata da mia zia fuori New York e non tornerà a casa per i prossimi tre giorni.” Disse lui arricciando la lingua.
“Oh, bene.” Dissi io soddisfatta.
Come un cavaliere, mi aprì la portiera e mi fece entrare per prima in casa. La sala era tutta addobbata con luci di natale attaccate sui muri e messe su alcune piante. La luce soffusa creava un atmosfera intima e romantica perfetta per festeggiare un anniversario.
Al centro della stanza c’era un tavolo apparecchiato con una tovaglia blu e delle candele accese.
“Romantico.” Dissi a Andrew. Lui mi sorrise e mi fece accomodare, poi andò in cucina e tornò con un carrello pieno di leccornie.
Mangiammo lentamente, gustandoci il momento e il cibo. Assaporavamo e masticavamo in silenzio, guardandoci negli occhi.
Dopo il dessert chiacchierammo un po’, parlando dei libri letti di recente, ricordando le scene preferite dei nostri film preferiti o degli spettacoli teatrali. Rimanemmo a lungo sul divano, la sua testa poggiata sulle mie ginocchia e io che giocherellavo con i suoi capelli.
Si fece tardi e allora Andrew mi chiese se sarei rimasta a casa sua o se doveva riaccompagnarmi a casa.
“Scherzi?!” gli dissi, e poi lo tirai a me baciandolo.
Lui mi prese in braccio e mi portò in camera sua, mi poggiò dolcemente sul letto continuando a baciarmi. Gli tolsi la giacca e gli slegai la cravatta dal collo, lui nel frattempo mi sfilò il vestito da dosso e cominciò a baciarmi il collo. Gli sbottonai la camicia lentamente, assaporando quel momento carico d’attesa ed eccitazione. Una volta rimasti nudi, i nostri corpi si cercavano, si toccavano, si riscaldando, confondendo la mente e il pensiero nel diventare una cosa sola.
Rimanendo per tutta la notte inebriati dall’odore dell’amore e dal tepore dei nostri corpi, addormentandoci abbracciati l’uno all’altra.
 
“Here comes the sun, little darling” stavo cantando la canzone dei Beatles e strimpellando le note con la chitarra, quando Andrew si svegliò e mi sorrise.
“Buongiorno amore.” Gli dissi alzandomi dalla sedia per andarmi a sedere sul letto.
“Buongiorno anche a te!” disse e mi fiondò le sue braccia intorno al collo per avvicinarmi a lui e baciarmi. Ci rotolammo un po’ tra le lenzuola poi Andrew si andò a fare la doccia e io andai in cucina a preparare la colazione: bacon con uova, pancake e latte freddo.
“Ti sei messa la mia maglia da basket?” disse lui entrando in cucina con addosso solo i boxer.
Gli sorrisi e gli stampai un bacio sulle labbra. Ci sedemmo e mangiammo la nostra prima colazione insieme.
Poi ci andammo a vestire e lui mi riportò a casa.
“Che ne dici se dopo la scuola andiamo a vivere insieme?” mi chiese prima che potessi uscire dalla portiera.
Lo guardai sorpresa e poi gli risposi con un si accompagnato con tanti baci.
“Ci vediamo più tardi.” Gli dissi e poi entrai in casa.
Mia madre era seduta in cucina e stavo guardando alcuni fogli intensamente tanto da non accorgersi che ero rientrata.
“Ehi, mamma ci sei?” gli dissi.
“Si si! Stavo solo guardando delle carte…” disse.
“Di che si tratta?” chiesi preoccupata.
Ci mise un po’ a rispondere.
“Debiti… avviso di sfratto.” Disse.
“Cosa?!” presi le carte tra le mani e le sfogliai una ad una.
“Da quant’è che siamo in rosso?” chiesi.
“Da quasi un mese… non abbiamo più un soldo, ho perso il lavoro la settimana scorsa.” Disse piangendo.
“O mio dio… come facciamo adesso?” mi sedetti disperata sulla sedia.
Mia madre si asciugò le lacrime e mi prese le mani tra le sue e le accarezzò dolcemente.
“Ho telefonato tua nonna, ci ospiterà per un po’.” Disse.
Io rimasi pietrificata. Non ero in grado di spiccicare una parola, di piangere, di arrabbiarmi, niente di niente.
Mia madre si alzò e mi venne ad abbracciare.
“Ci dovremmo trasferire in Arizona, tesoro.” Disse accarezzandomi i capelli.

____________________________________________________


Buongiorno gente :D
Arrivano tempi duri per Kim! Chissà cosa accadrà ai due innamorati e alla loro storia.
Aspettate e leggerete il seguito!
Grazie a tutti quelli che leggono la storia, in particolare:

Josh H 
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See you soon,

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