Ultimate Heroes.

di Disorientated Writer
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Caccia alla bandiera: se non succede una catastrofe, non è divertente. ***
Capitolo 2: *** Il mio buon papà mi manda incontro alla morte. ***



Capitolo 1
*** Caccia alla bandiera: se non succede una catastrofe, non è divertente. ***


L’oscurità.
Quell’oscurità dalla quale è nato il Tartaro, dalla quale sono nati i peggiori incubi e le più tremende pene.
È una dimensione infinita, quella in cui Lei si trova. È rimasta lì per millenni. Ma ora, qualcosa nella maledizione che la tiene imprigionata qualcosa si è sbloccato. E non ha intenzione di perdere questa occasione.
Nell’immenso buio della prigione, qualcosa inizia a brillare. Sono due enormi occhi dalle pupille cremisi, che sembrano danzare come fiamme distruttive, pronte ad avvolgere il mondo e ridurlo in cenere.
Una risata rimbomba per la dimensione.
La vendetta è vicina. E sarà una vendetta intrisa di incubi e fiamme.
 
 

 

     Ultimate Heroes.

                              I - Caccia alla Bandiera: se non succede una catastrofe, non è divertente.  

 

 















 
 
Ogni storia inizia in un modo diverso. Ci sono quelle che cominciano con un dolce risveglio mattutino, alcune partono con una passeggiata o altre con una rapina.
Questa, invece, incomincia con uno scorpione gigante che ha deciso di tranciarmi via lo stomaco.
Mi presento: il mio nome é Tyler Hamilton, ma tutti mi chiamano semplicemente Ty. Ho diciassette anni e mio padre é una divinità. Non nel senso che é un divo del cinema o altro, édavvero una divinità. Si chiama Apollo e sì, è il dio del Sole dell’antica Grecia, sì, è ancora vivo e no, questa cosa non mi rende automaticamente un essere divino, asini. Ai tempi della storia – ricordate? Quella del maiale che mi mangia il panino – vivevo a Los Angeles con i miei genitori adottivi, Josh ed Emma Hamilton. Non vivono sull'Olimpo, certo, ma credetemi, quei due non hanno niente da invidiare ai gentili signori del piano di sopra. Almeno, Josh ed Emma non mi hanno mai mandato in luoghi pericolosi con un'altissima probabilità di morte lenta e dolorosa (la scuola stavolta non conta).
Ma torniamo a noi. 

 
-
 
« Ty! Ty! Svegliati, per i più consunti slip di Ade! »
Jared Lachowski, uno dei più insopportabili, irruenti, impertinenti, loquaci figli di Apollo, nonché mio migliore amico,  mi scrollò violentemente, mentre cercavo disperatamente di sprofondare tra le braccia di Morfeo –che poi, non capisco perché i mortali dicano così. Io non mi farei mai abbracciare da Morfeo. Bleah.
« Taci, sto dormendo, razza di idiota. » borbottai, mandandolo da una certa parte.
« Oggi è il gran giorno: la caccia alla bandiera! » esclamò lui, al massimo della felicità.
Sbuffando sonoramente rotolai giù dal letto.
« Wow, però. In fondo è solo, quanto, la centosettantesima caccia? » biascicai, mentre mi vestivo in tutta fretta, nel bagno della nostra cabina,insieme a tutti gli altri ragazzi di Apollo.
« Fratello, possibile che tu sia sempre così guastafeste? Ci sono anche le cacciatrici! » sospirò Jared, infilandosi la maglietta in fretta e furia.
Era risaputo che il mio migliore amico avesse una cotta per una Cacciatrice di nome Willow, figlia di Demetra.
Poverino.
« Andiamo, amico. E speriamo di non incontrare la tua bella. » bofonchiai, afferrandolo per una manica e trascinandolo fuori da quella gabbia di matti che era la Cabina di Apollo.
Per poi ritrovarci in quella gabbia di mentecatti che era il Campo Mezzosangue.
Voglio dire … potevamo essere i figli degli déi più potenti, Eroi, guerrieri e quello che vi pare … ma alla fine eravamo tutti schizzati.
Giusto per confermare la mia precedentemente citata teoria, arrivò l’Oracolo del Campo.
Uno quando pensa alla parola oracolo pensa ad una ragazza eterea, che medita in continuazione, vestita con abiti di seta leggera e cose varie … ecco, il nostro Oracolo era qualcosa di completamente diverso.
Charlotte “Charlie” Belacourt, diciotto anni, francese. Capelli neri come l’inchiostro, lisci, e una spasmodica passione per la musica punk-metal, come testimoniavano i suoi pantaloni in pelle strappati sul ginocchio e le borchie sulla maglietta.
« Hamilton, Lachowski. » ci salutò con un sorriso amichevole e un mezzo inchino, prima di superarci per avviarsi verso la casa grande.
Charlie era sempre stata un po’ schizzata, me l’aveva confidato Chirone in gran segreto, quando era stata assunta da mio padre, cinque anni fa.
« Dai, Ty, andiamo, la colazione ci aspetta! E dopo .. oh, accidenti, corsa con le Ninfe! Odio correre. » aggiunse demoralizzato il mio migliore amico, strattonandomi per una manica e distraendomi dai miei pensieri a tema pazzia.
Fortuna che Jared non poteva entrare nella mia mente, altrimenti il manicomio sarebbe diventata la mia casa dopo nemmeno due giorni al Campo.
« Sì, andiamo … » risposi, seguendolo verso la mensa, dove Chirone ci aspettava per il solito discorsetto pre-caccia.
Quando arrivammo, il padiglione di marmo era già sovraffollato.
Normale, visto che per tutti (tranne me) la Caccia alla Bandiera era uno degli avvenimenti più interessanti del mese.
Il motivo per cui odiavo la Caccia? Succedeva sempre, sempre, sempre qualche casino.
Mai che ci si potesse divertire in santa pace.
Qualche tempo prima, ad esempio, un Segugio Infernale mi aveva rincorso per tutto il bosco, prima di essere sedato da alcuni figli di Ade.
E la volta prima? Ero caduto in una fossa. Piena di escrementi di cavallo.
Diciamocelo, non ero io ad avere problemi con la Caccia alla Bandiera, era lei che mi invogliava a non giocarci mai più di volta in volta!
Ma, comunque, torniamo alla storia.
Chirone, con i suoi due metri e venti equini, osservava l’intera platea con fare serio, come se si preparasse a chissà quale disgrazia. Ottimo.
Mi guardai intorno, cercando di vedere se i miei compagni di (dis)avventura erano nervosi quanto me.
Ovviamente, no.
River e Luke Wilson, i gemelli discendenti di Afrodite ed Ermes, si stavano dando il cinque, esaltati, come al solito.
Accanto a loro, Amelie Darren faceva scrocchiare le nocche. Fortuna che eravamo nella stessa squadra, o avrei seriamente temuto per la mia stessa vita.
Katalina Dukas e Jack Lu, la figlia pacifista (e ci terrei a sottolineare la parola ‘pacifista’) di Ares e il figlio tuttofare di Efesto con una spasmodica passione per la fotografia.
Dietro, Jackie Lu, sorella maggiore di Jack, cercava in tutti i modi di aprire un barattolo contenente una strana sostanza verde acido, che sperai non utilizzasse contro di me.
Charlie, l’Oracolo, era seduta a gambe incrociate sul prato, a pochi metri da Chirone, e ci fissava sorridendo maliziosa. Chissà quale arcana visione aveva avuto sulla Caccia alla Bandiera.  
« Eroi! » tuonò Chirone, facendo sobbalzare un paio di matricole.
Io abbozzai un sorriso. Il nostro equino insegnante iniziava sempre così, prima del discorso per la Caccia. Che, come previsto, durò una ventina di minuti buoni. Ormai lo sapevo a memoria, quel discorso.
Con qualche piccola variazione, ma la solfa era sempre quella: “nessun morto, è vietato mutilare, è un ottimo allenamento, vi divertirete, l’importante non è vincere ma partecipare” e bla, bla, bla.
Le solite cose.
Quando Chirone ci congedò, Jared mi arpionò il braccio.
« Okay, spruzzetto di sole. Ora noi due andiamo a cercare le nostre care “cugine” Cacciatrici. »
« Contaci, fratello, contaci. Io torno a dormire, fino a stasera non ho intenzione di fare altro! » esclamai, liberandomi dalla sua presa con uno strattone e dandogli un buffetto scherzoso sul naso, prima di allontanarmi a grandi passi verso la mia cabina.
 
La donna indossa una tunica greca bianca, sgualcita.
E’ appoggiata alla parete di roccia, e del sangue fresco le cola dal labbro.
Alexej non sa dire quanti anni abbia. Diciotto? Venti? Non sembra molto più grande di lui.
Eppure, ha qualcosa di estremamente familiare.
Se solo riuscisse ad avvicinarsi di più …
Ad un tratto, la donna spalanca gli occhi.
« Alexej … »
 
Mi alzai di scatto, gridando.
Non mi ero neanche accorto di essermi appisolato sul mio letto della cabina di Apollo.
« Tyler, tutto bene? » domandò mia sorella Whitney, osservandomi con un cipiglio preoccupato dall'alto del suo metro e ottantacinque. 
Io annuii, facendo un gesto vago con la mano, stringendomi nelle spalle e tentando di sorridere. 
« Brutto sogno. » sillabai, prima di alzarmi ed uscire, senza nemmeno guardarmi intorno.
Il sogno mi aveva scosso, e anche parecchio.
Chi era quella donna?
E perché mi sembrava così familiare?
Mi sedetti sotto il grande pino che torreggiava su tutto il campo.
Era magico, dicevano.
Ma l’unico potere che aveva avuto su di me, fino a quel momento, era stato di calmarmi.
Mi bastava sedermi sotto le sue fronde ombrose, e la mia mente tornava all’equilibrio iniziale.
Per le mutande a unicorni di Poseidone! Pensai, lanciando un sassolino.
Ci mancava solo il sogno inquietante.
Come se la prospettiva di una caccia alla bandiera non fosse abbastanza.
Sconsolato, mi rialzai, certo che neanche il pino magico avrebbe potuto calmarmi.
Avevo una strana sensazione addosso. La sensazione che presto, tutto sarebbe cambiato.
Strano come un semplice sogno potesse sconvolgermi così tanto.
Scrollai le spalle, deciso a non pensarci.
In fondo, non era altro. Solo un sogno.
« Ty! Ty! Ty! » la voce trillante di River mi risvegliò dal mio coma.
« Però, River, hai imparato come mi chiamo dopo ben … » feci finta di contare sulle dita, « cinque anni! I miei complimenti. » sorrisi, abbracciandola.
River era di quanto più vicino ad una sorella avessi. Più di tutte le figlie di Apollo.
Lei ricambiò il sorriso, battendo le mani in modo compulsivo.
« Sei pronto per la Caccia, eh? Ti batto, tanto ti batto! » canticchiò, prendendomi per mano e trainandomi verso il centro del campo.
Mi limitai a ridacchiare, lasciandola alle sue fantasie. Potevo anche odiare quello stupido gioco, ma odiavo di più perdere, in ogni situazione.
Il resto del pomeriggio passò così, in compagnia di River e di suo fratello gemello Luke, che si era unito a noi poco dopo.
Di Jared neanche l’ombra, ma non me ne preoccupai troppo. Probabilmente era appostato fuori dalla cabina di Artemide cercando di spiare all’interno alla ricerca di Willow.
La sua stava diventando un’ossessione, ormai.
E infine, per mia (s)fortuna, l’ora della Caccia arrivò.
Lo so, sembra che io sia un fissato, dal momento che non parlo d’altro.
Ma, che ci volete fare … un trauma è un trauma.
Chirone ci schierò su due linee. Eroi da una parte, Cacciatrici dall’altra.
Riepilogò brevemente le regole per i novellini, poi, ci diede il via.
E la Caccia iniziò.
 
Erano venti minuti che mi giravo i pollici. Letteralmente.
Mi avevano messo di guardia alla bandiera, e da allora non avevo più visto anima viva.
Sbuffai, stringendo l’elsa della mia spada, Tempesta.
Non so perché si chiami così, in realtà.
Me l’ha regalata Chirone quando ho compiuto quindici anni.
Avrei anche potuto portare il mio amato arco, ma tirare in mezzo agli alberi con il solo aiuto della luce della luna non è proprio il massimo.
Ad un tratto, il rumore di un ramo spezzato mi fece sobbalzare.
Un istante dopo,  mi ritrovai un coltello puntato contro la gola.
« Amelie, la smetti? Siamo in squadra insieme, genietta. » sospirai.
Lei digrignò i denti, e io alzai gli occhi al cielo.
Da quando era arrivata al campo non la smetteva di attaccare briga con me. Qualsiasi scusa era buona per insultarmi o provare ad uccidermi.
Infatti, mi ero ripromesso di vivere fino ai centosettant’anni solo per fare un dispetto a lei.
« Non mi importa se siamo in squadra insieme, Hamilton. Io faccio que- »
«Quello che voglio, quando voglio, come voglio, e tu non hai alcun diritto di darmi ordini. » la scimmiottai, spostandole il coltello dalla mia gola con una mano. « Lo so, tesoro, me lo ripeti ogni santissimo giorno. »
A quel punto, Amelie mi tirò un pugno sulla mandibola che mi spedì dritto a terra.
« Hey! » esclamai, indignato.
Ma ti pare che uno non può neanche concentrarsi sulla Caccia che deve vedersela con qualcuno della propria squadra?
Mi rialzai, titubante, e la incenerii con lo sguardo.
Peccato fosse notte, o l’avrei disintegrata all’istante.
Lei mi guardò con il suo solito fare superiore, come fosse la Regina degli Déi.
« Tutto qua, Hamilton? » disse, accennando una risata, nonostante i suoi occhi rimanessero freddi e inespressivi come al solito.
Mi spolverai l’armatura. Poi, le mollai un cazzotto in pieno stomaco.
Al diavolo il detto ‘le donne non si toccano neanche non un fiore’, quella non era una donna, era una gorgone vestita da brava ragazza, per Zeus!
Iniziammo a pestarci di brutto. Niente armi, sarebbero servite a ben poco.
Ero a mezzo centimetro dalla sua gola, quando un urlo squarciò il cielo.
« Hai sentito? » sussurrò Amelie, stupita.
Solo in quel momento mi resi conto che ci trovavamo in una posizione piuttosto imbarazzante, con lei stesa sotto di me.
Chiunque avrebbe potuto pensare piuttosto male.
Tastandomi un occhio nero ricevuto in regalo poco prima, mi rialzai velocemente.
« Ma chi … »
Non riuscii a terminare la frase.
Una ragazza dai capelli corvini correva a perdifiato nella nostra direzione.
Inseguita da uno scorpione gigante.
Ora, dovete sapere che ci sono solo tre cose che odio più di tutte le altre: i broccoli, il gelato di soia e gli scorpioni.
E il fatto che quello fosse gigante, non aiutava molto. 
Amelie scattò in piedi, dimentica del fatto che circa mezzo nanosecondo prima ci stavamo pestando di botte, e mi urlò di portare al sicuro la ragazza apparsa dal nulla, che era appena inciampata e svenuta.  
Bene.
Dai, andiamo davanti a uno scorpione gigante!
Racimolando tutto il mio coraggio, impugnai Tempesta e corsi il più veloce possibile verso di lei. Sperai che con un po’ di fortuna lo scorpione mi avrebbe ignorato.
Ovviamente, puntò subito verso di me.
Sarà per la mia smisurata bellezza, stupendosità o non so quale altra inumana caratteristica, ma i mostri tendono sempre a puntare me più degli altri.
E non sto scherzando.
Sembrano preferirmi come spuntino.
Sarò anche appetitoso, oltre che bello, figo, dolce, intelligente e chi più ne ha più ne metta?
Scossi la testa. Non era il momento per pensieri come quelli. Una semidea rischiava la vita.
Mi sarei contemplato allo specchio più tardi.
Con un balzo superai una radice e atterrai proprio davanti alla ragazza.
Ovvero, di fronte allo scorpione.
« Vieni a prendermi bello! Sono qui! » urlai, cercando di attirare la sua attenzione per permettere ad Amelie di attaccarlo da dietro.
Lo scorpione alzò la coda e puntò verso di me.
Riuscii ad afferrare la ragazza e scostarmi di lato appena in tempo, ma il maledetto mi ferì di striscio sulla spalla.
Pazienza.
Cercai di trascinarla via prima che il mostro potesse riprovarci.
Troppo lento.
Veloce all’inverosimile, lo scorpione ritentò il colpo, stavolta ferendomi all’addome.
Poi, la sua testa si staccò.
Amelie, in piedi sopra di lui, brandiva la sua Ascia della Morte.
« Certo che potevi anche farlo prima. » borbottai, sentendo un’improvvisa fitta di dolore per tutto il corpo.
« Uhm, Amelie, quello scorpione non era velenoso, vero? »
Domandai, poco prima che il mondo diventasse completamente buio.
L’ultima cosa che sentii fu l’impatto con il terreno e un urlo.















Madamoiselle's Corner. 
OH MIEI DEI, NON CI CREDO *---* e rieccomi qui, con il seguito di 'Dio e Semidea', una Ninetta scomparsa, un Apollo al momento inutile e un piccolo diopertrequarti chenonsadiesserlo :'))
Ebbene sì, nonostante le altre due storie aperte (-L'assassino della porta accanto- e -The Avengers-) sono tornata alla carica :3
Come già detto nella presentazione, questa è dedicata a Effie Malcontenta Weasley, la mia cara Liliana Tempesta c:
Devo ammettere che ero un po' titubante sul mettere o no questo capitolo, ma tanto ... o la va o la spacca e.e
Se vi fa orrore, vi prego, ditemelo :3 
Ringrazio inoltre Viola(Khyhan), il mio/la mia Pvezzemolo/a(JupiterEj) e Valerie, della quale non ricordo mai il nick su EFP :3
Ps. AMMIRATE LA COPERTINA DELLA STORIA, GENTILMENTE DISEGNATA DA BEATRICE, UNA MIA CARA AMICA 


Al prossimo capitolo, che con ogni probabilità avrete nel 2056! 
Madamoiselle Nina. 

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Capitolo 2
*** Il mio buon papà mi manda incontro alla morte. ***


    II.
   Il mio buon papa' mi manda incontro alla morte. 












 
Una notte d’estate. Grilli che cantano spensierati nel prato. Il bacio della buonanotte.
Subito dopo, il fuoco.
Il piccolo urla, ma non può fare niente. Ha due anni.
Il caldo diventa insopportabile.
Dov’è il papà? E la mamma?
Perché non lo tirano fuori dalla culla, che sta iniziando a prendere fuoco?
Perché non vengono a svegliarlo, dicendogli di non preoccuparsi?
Una ragazza dai lunghi capelli neri appare all’improvviso.
Sorride. Ora lo prenderà in braccio e lo salverà dalla morsa delle fiamme.
La ragazza ricambia il sorriso, e il bambino vede qualcosa luccicarle nel palmo della mano.
Lei si avvicina, il bambino dai capelli chiari tende le braccia … e un’altra persona si frappone tra i due. E' una ragazza.
Le due donne iniziano ad urlare e a litigare.
Il bambino è confuso. Perché non lo tirano fuori? Perché non lo aiutano?
Inizia a sentire caldo. Tanto, caldo.
E le fiamme sono così vicine …
L’ultima cosa che vede prima di chiudere gli occhi è la mamma che si accascia per terra.
 
Aprii gli occhi all’improvviso e mi ritrovai grondante di sudore.
Provai a muovere il collo, ma una fitta di dolore mi indusse a rinunciarci.
Come mi ero ridotto in quello stato? Mi faceva male ogni singola cellula del mio corpo, per Zeus!
« Bentornato nel mondo dei vivi, Hamilton! È da ieri sera che sei ridotto così e neanche muovi le palpebre. »
Accanto al mio letto Jared e Luke Wilson, il fratello gemello di River, mi fissavano sorridenti.
« Che mi è successo? Mi sento come se un Iperboreo mi si fosse seduto sopra … »
Jared scoppiò a ridere.
« Amico, sei stato ferito da un mega-scorpione avvelenato, ricordi? »
« Ah. »
Ora ricordavo. Bleah.
Già, mi ero lanciato contro uno scorpione gigante … ma perché?
La testa mi faceva troppo male per poter ragionare oltre.
« Sei sveglio, Bell’Addormentato! »
Amelie era appena entrata nell’Infermeria, e mi guardava a braccia conserte.
Io sorrisi malizioso.
« Mi hai appena detto che sono bello, per caso? Non è che ti sei preoccupata, vedendomi svenire? » le domandai, ridacchiando con un certo sforzo. Ma per alcune soddisfazioni si è disposti a fare tutto.
Lei avvampò, e solo chissà quale forza maggiore le impedì di saltare sul mio letto e strozzarmi.
Quant’è dolce questa ragazza.
Jared alzò gli occhi al cielo, evidentemente seccato dai nostri infiniti battibecchi.
Stava per aprire bocca, quando lo scalpiccio di quattro paia di zoccoli lo interruppe.
« Vedo che ti sei svegliato finalmente, Tyler. »
Chirone, il nostro equino direttore del Campo (Dioniso non contava) si avvicinò sorridendo al mio letto.
« Sono lieto di vederti talmente in forma da poter battibeccare con la signorina Darren. » continuò, lanciandomi un’occhiataccia.
Ah, non ve l’ho detto? Chirone è uno di quelli “peace&love, bro!”. Beh, non l’ho mai visto con i bigodini e il vestito da Hippie, ma l’ho sognato. Il che vuol dire che probabilmente è successo. Oh, déi.
« Come mai non ti sei ancora preoccupato della salute della giovane Kaliko Morgenstern, Ty? »
Il Signor Cavallo mi lanciò un’altra occhiataccia. Déi, per lui non facevo mai niente che andasse bene?
« Della salute di chi? » chiesi, terminando la frase con una nota stridula non voluta. Tutta colpa del dolore provocatomi dal cercare di alzarmi a sedere.
« Sei ancora convalescente, non dovresti sforzarti così, anche se sembri guarire più in fretta degli altri. E, per la cronaca, Kaliko è la ragazza che hai salvato dallo Scorpione. »
Oooooooooooooh.
Ecco perché mi ero lanciato contro uno scorpione!
Adesso era tutto più chiaro.
« Oh. Ehm, beh, come sta? » domandai, non sapendo bene che pesci pigliare.
Chirone mi sorrise, assicurandomi che si era completamente ripresa e ora riposava nel letto accanto al mio.
Bene, neanche mi ero accorto che qualcuno occupasse quel letto.
Dovevo essere parecchio rintontito, dal momento che solitamente mi accorgevo di tutto.
In quel momento, quasi si fosse sentita chiamare in causa, Kaliko Vattelappesca aprì gli occhi.
Aveva degli occhi stranissimi.
O meglio, gli occhi erano normali.
Era il colore che mi lasciò stupito.
Erano azzurri verso l’esterno, e man mano che si avvicinavano alla pupilla diventavano sempre più viola.
Erano bellissimi.
Tossicchiai, rendendomi conto che ero rimasto a guardarlo come un idiota per due minuti buoni.
Chirone sorrise e ordinò a tutti quanti di lasciare la ragazza da sola con il suo salvatore.
Divenni paonazzo.
Quando finalmente tutti svanirono, mi guardai le mani, indeciso sul da farsi.
E ora?
« Grazie per avermi salvata, comunque. » disse, tanto per rompere il ghiaccio, immagino.
« Eh? Oh, figurati, ma non è stato merito mio. Amelie ha ucciso il coso. »
Lei sorrise.
« Già, ma lei l’ho già ringraziata. »
Bene. Fantastico.
Scossi la testa. Da quando in qua Ty Hamilton non sapeva cosa dire in compagnia di una ragazza?
Passò così una mezz’ora.
Nel più imbarazzato dei silenzi.
« Di chi sei figlia, Kaliko? » domandai, incuriosito. Non aveva i capelli biondi e gli occhi grigi tipici dei figli di Atena, né la bellezza folgorante e il trucco perfetto dei figli di Afrodite, che non si sbafava neanche dopo cinque secchiate d’acqua fredda, e non sembrava particolarmente muscolosa né per Efesto né per Ares. Zeus? Niente occhi azzurri. O meglio, non del tutto. Ade? Forse, anche se non sembrava poi così depressa.
Kaliko mi interruppe prima che potessi terminare il mio elenco.
« Non lo so. Sono cresciuta in un orfanotrofio, non so nemmeno se il mio genitore mortale sia maschio o femmina. »
C’era qualcosa che non mi convinceva troppo in quella storia.
« E allora come hai fatto a sapere del Campo? E degli déi, e tutto il resto? » le domandai, confuso.
Lei scosse la testa.
« Non è una storia che mi piace raccontare. »
Déi, quant’era misteriosa quella ragazza!
Mi strinsi dolorosamente nelle spalle, a dire “come vuoi tu”.
In quel preciso istante entrò un satiro con una maglietta dei Power Rangers che mi fece bere una robaccia verdognola, spedendomi a dormire.
 

Si trova nella culla.
Quella color limone che gli piace tanto.
È seduto, e davanti a lui c’è un altro bambino dai capelli biondi e gli occhi azzurri che gioca con una macchinina rosso fiammante.
I due bambini ridono insieme, come grandi amici.
Si vogliono bene, in quel modo assoluto in cui solo un bimbo di due anni può volerne.
La porta della stanza di apre ed entra la mamma, sorridente, seguita da Apollo e da un altro uomo biondo.
Anche il piccolo sorride. 
 

Quando mi svegliai ero ancora assurdamente assonnato.
Mi stropicciai gli occhi e con uno sbadiglio provai nuovamente a mettermi seduto.
Sforzo inutile, visto che la mia schiena sembrava alquanto sorda alle mie richieste.
Ripensai al sogno precedente. Non ero sicuro fosse veramente un ricordo, dal momento che non avevo mai visto mia madre, perciò difficilmente avrei potuto ricordarmi il suo volto.
E Apollo sulla porta che mi guardava sorridendo? Ma per favore.
Non si era mai, e dicomai fatto sentire. L’unica volta che avevo avuto un qualche contatto con lui era stata la notte in cui venni riconosciuto.
Poi basta.
Neanche un “ciao Ty, come stai? Mi dispiace di essere un padre orrendo, ma che ci vuoi fare, noi déi dell’Olimpo siamo piuttosto occupati”.
Sapevo di non potermi lamentare (in fondo, io almeno ero stato riconosciuto), ma la cosa mi irritava lo stesso.
Per non dire riempire di rabbia e amarezza.
Le tende che circondavano il mio letto si aprirono di colpo e il volto sorridente di River fece capolineo tra esse.
« Heilà, spruzzetto di sole! Che ne dici di alzarti e venire alla riunione del Campo indetta da Chirone a cui non puoi assolutamente mancare perché altrimenti Dioniso ti trasforma in paguro con le scaglie verde fluo? » mi domandò tutto d’un fiato, come se avessi scelta.
« Sicuro. C’è solo un piccolo dettaglio … non riesco neanche a mettermi seduto. » borbottai, irritato. Scusate tanto se uno scorpione gigante si è divertito a usarmi come punching-ball neanche due giorni fa.
Lei sorrise melliflua e prese una siringa dal comodino lì vicino.
Io sbiancai. Ho il terrore degli aghi.
« Tranquillo, Alex, non sentirai niente! Ora, se permetti … » mi disse, prendendomi il braccio e infilandoci dentro l’ago prima che io avessi la prontezza di iniziare ad urlare.
Stavo per iniziare a gridare come un pazzo quando mi accorsi che effettivamente non sentivo niente.
Osservai stupito l’ago.
« E’ normale? »
« No, è un veleno che ti ucciderà in due secondi tra atroci dolori. Scheeerzo! » trillò, incurante di avermi tolto quasi dieci anni di vita.
Mi diede una pacca sulla testa e mi aiutò ad alzarmi. Qualunque cosa contenesse quella siringa (e non ero sicuro di volerlo sapere) ora l’intorpidimento era sparito, e riuscivo a tenermi in piedi senza problemi.
O quasi, visto che durante il tragitto infermeria-mensa rischiai di inciampare una dozzina di volte, e fu solo il tempestivo aiuto di River che mi impedì di finire disteso a terra.  
Quando arrivai, vidi Chirone in piedi (o in zoccoli, dovrei dire?) sul palco, e alla sua destra Dioniso, seduto su una poltrona leopardata. Che razza di gusti che aveva quel tizio …
« Bene, ora che siamo tutti, vorrei condividere alcune notizie con voi. » iniziò Chirone, lanciandomi un’occhiata per assicurarsi delle mie reali condizioni.
Dioniso, invece, non sembrava particolarmente interessato alla mia salute.
Pff, figuriamoci.
« Abbiamo notizie inquietanti sui movimenti dei mostri. »
Disse, mentre mi accomodavo al tavolo dei figli di Apollo accanto a Jared, che mi diede una pacca sulla spalla.
« Un’accozzaglia di creature –di ogni genere- gira per New York, battendo porta per porta alla ricerca di un semidio. Sembrano impazziti. Fonti sicure mi assicurano che girano tranquillamente per le strade di Manhattan senza neanche cercare di nascondersi. Speriamo solo che la Foschia faccia il suo dovere. »
Rimasi a bocca aperta.
Reazione che sembrò accomunare l’intero Campo Mezzosangue.
Anche Ninfe, Satiri e quant’altro si erano riuniti per sentire quello che Chirone aveva da dire, e non sembrarono particolarmente contenti nel sentire quelle parole.
Mostri impazziti non avrebbero reso felice nessuno.
A quel punto, Charlotte Belacourt, l’Oracolo del Campo, fece il suo ingresso trionfale.
Ovvero, cadde dallo scranno dove Dioniso (Chirone) l’aveva fatta accomodare e rotolò sul palco, in preda alle convulsioni.
Ora, non so se avete mai visto un Oracolo in preda alla cosiddetta “Crisi da Visione”, ovvero in preda a una qualche profezia. Io si, ma mai, e dico mai, niente di simile.
Charlie si prese la gola e, prima che chiunque potesse intervenire, si alzò in piedi.
Aveva gli occhi completamente dorati, segno che la previsione stava per iniziare.
E avevo la brutta sensazione che non mi sarebbe piaciuta per niente.
Charlie aprì le braccia e intonò:
 
Nove eroi partire per mare dovranno,
E nel regno della Lupa infine giungeranno.
L’anima di colei che è legata al Sole ritroveranno,
E madre e figlio nuovamente insieme saranno.
Dei Nove uno si perderà e un altro della caccia il richiamo udirà,
E la patria degli déi, solo sette ne rivedrà.
 

Fantastico. Nel giro di due giorni ero stato messo ko da uno scorpione, punto con un ago e avevo assistito ad una profezia alquanto inquietante.
Figo.
Ma, ovviamente, la mia sfortuna non era finita.
Perché la mia sfortuna non ha mai fine.
« Chi si propone per questa Impresa? » tuonò Chirone.
Gli rispose il silenzio.
Lui chiuse gli occhi e sospirò.
« Molto bene. Allora vi sceglierà il nostro Oracolo. » disse, dando un colpetto al braccio di Charlie, che sembrava essersi ripresa dalle convulsioni.
Lei annuì, seria, e guardò l’intera platea.
Poi decretò i suoi Eroi.
« Luke e River Wilson. Amelie Darren. Jared Lachowski. Willow Blake. Katalina Dukas. Jamie Martewall. Kaliko Morgenstern. » a quel punto, sembrò pensarci su.
Non me. Ti prego, non me.
Non …
« Tyler Hamilton. »
No.
No.
No.
Per i mutandoni a tulipani di Ade, no!
Grazie papà. Ti voglio bene.
Davvero.
Jared sembrava spaventato quanto me.
Era la sua seconda Impresa, nonostante i diciassette anni compiuti.
Okay, calma Ty, calma.
Lanciai un’occhiata ai miei compagni d’avventura.
Luke e River erano tosti. Un po’ con la testa fra le nuvole forse, ma come compagni erano il massimo. Jared, Amelie (oh déi, davvero? Amelie?!), Jamie Martewall, il figlio di Ares che sembrava la copia umana di un armadio, sua sorella Katalina-Svalvolata-Dukas, Kaliko che conoscevo da si e no cinque ore e Willow Blake, la Cacciatrice per cui Jared aveva una cotta.
Figo.
Gli altri iniziarono ad applaudire, ma io ero troppo stanco per sorbirmi tutte le cerimonie. Mi alzai e tornai in infermeria, lanciandomi a peso morto sul letto prima che qualcuno potesse dire “Ty".
 
 
 
 
 
Stesso giorno, Berlino.
 
 
 
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo color porpora. La notte stava arrivando, meglio rientrare a casa il più in fretta possibile.
Infilò le mani nelle tasche e accese l’iPod.
Mentre camminava per le vie affollate della capitale tedesca con “Decode” dei Paramore sparato nelle orecchie, provò la strana sensazione di essere osservato.
Cosa non troppo strana per lui, visti i capelli biondo chiaro, gli occhi azzurri e il metro e ottantacinque d’altezza. Senza contare la massa di muscoli che lo ricopriva.
Cato Herondale era decisamente ben piazzato per avere solo diciassette anni.
Mentre svoltava nella via di casa, ebbe nuovamente quella sensazione.
Alzò gli occhi dall’iPod e vide solamente un gatto, un signore con un mantello e la vecchia Ebba, la vicina rintontita che parlava ai cucchiai.
Cato sfilò gli auricolari dalle orecchie e si abbassò per ficcarli nello zaino.
Giusto in tempo per evitare di ritrovarsi un coltello d’argento piantato nella fronte.
L’arma sibilò a pochi centimetri dalla sua testa e si conficcò nel muro.
Cato alzò gli occhi, stupito.
L’uomo con il mantello era sparito.
Raccolse in fretta e furia il suo zaino e corse dentro casa, chiudendo la porta a chiave.
Sua madre, Felicity, era partita per qualche giorno alla volta del Kenya, dove faceva volontariato.
Fece per accendere la luce della cucina quando vide l’uomo attraverso i vetri della finestra che lo osservava dall’altra parte del vialetto.
In preda all’inquietudine, il ragazzo si diresse verso le scale. 
Appena poggiò il piede sul primo gradino, sentì un forte odore di bruciato.
Girandosi, vide che l’intera cucina stava andando a fuoco.
D’istinto guardò fuori dalla finestra. L’uomo lo osservava sorridendo.
Cato sentì la paura impossessarsi di lui.
Corse su per le scale, cercando l’estintore che sua madre teneva nascosto in bagno.
Sparito.
Imprecò ed entrò di corsa in camera sua, cercando qualsiasi cosa potesse spegnere quel maledetto incendio. Con lo zaino ancora in spalla, si ricordò troppo tardi dell’altro estintore ai piedi delle scale.
Ormai il fuoco aveva divorato le scale a chiocciola, non poteva più scendere.
Ma non aveva la minima intenzione di finire allo spiedo.
Digrignò i denti e aprì la finestra.
L’aria fresca gli accarezzò il viso.
Con un ultimo sguardo rattristato verso la sua stanza, saltò giù dalla finestra e atterrò rotolando.
Non appena toccò il terreno, l’intera casa prese fuoco.
Si passò le mani sul volto, incredulo.
Ma non ebbe tempo di ragionare su quello che era successo.
L’uomo si stava avvicinando, e Cato fece ciò che più riteneva opportuno.
Scappò il più velocemente possibile lontano da lì.
Scavalcò il muretto della vecchia Ebba, facendo suonare un milione e mezzo di allarmi, ma non si fermò.
Percorse tutte le viette interne che conosceva fin da piccolo, formate dalle siepi che dividevano una casa dall’altra.
Per sua sfortuna, il centro era ancora lontano, e le vie popolate ancora di più.
Sentì il fiato del suo inseguitore sul collo, ma non rallentò.
Anzi, corse con più foga di prima, ringraziando mentalmente gli anni di atletica leggera a cui sua madre lo aveva costretto.
Ad un tratto, per chi sa quale ragione, si ritrovò da solo.
L’uomo era sparito.
Con un sospiro, corse fino alla stazione ferroviaria più vicina. Meglio allontanarsi dalla circolazione per un po’.
Con una stretta al cuore pensò a sua madre, nel Kenya. Cosa avrebbe trovato, una volta tornata a Berlino?
Niente.
Né la casa, né tantomeno il figlio.
Fortuna che non si separava mai dal suo zaino, il che voleva dire che tutti i documenti, i soldi e le cose più importanti erano lì dentro.
Con un sospiro, si avvicinò alla biglietteria.
 

 
 













Madamoiselle's corner:
SIANO LODATI GLI DEI! *-*
Non posso credere di essere riuscita a scriverlo, sul serio AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHA.
Io rido, in realtà c'è da piangere, ma vabbè uwu 

Alloooooooors, per questo capitolo ringrazio come al solito Khyhan, la mia piccola (sei più grande di me, eh, ma dettagli e.e) Salvatrice :')
Uh, il prossimo capitolo, beh, non so quando verrà.
Probabilmente l'anno prossimo :')

CATO. parliamo di Cato. Allora il PoV è in terza persona perché voglio tenerlo misterious(?) per un po' .w.
E, se non si fosse capito, è liberamente ispirato a Cato di Hunger Games :') 

love,
Madamoiselle Nina.




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