Something about you

di HeavenIsInYourEyes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lindsay Moore ***
Capitolo 2: *** Last Friday night ***
Capitolo 3: *** Whatshername ***
Capitolo 4: *** Vermillion ***
Capitolo 5: *** Lonely girl ***
Capitolo 6: *** Beyond the wall ***
Capitolo 7: *** The only one ***
Capitolo 8: *** Qualcosa è cambiato ***
Capitolo 9: *** Erase and Rewind ***
Capitolo 10: *** Holding your hand ***
Capitolo 11: *** But in your arms I’d rather stay ***
Capitolo 12: *** What would happen if we kissed? ***
Capitolo 13: *** In my room… You can go, you can stay ***
Capitolo 14: *** Blow me one last kiss ***
Capitolo 15: *** Fly away from here ***
Capitolo 16: *** Total eclipse of the heart ***
Capitolo 17: *** She danced on tables ***
Capitolo 18: *** I will break your heart ***
Capitolo 19: *** Leave out all the rest ***
Capitolo 20: *** First date ***
Capitolo 21: *** You're not like the others ***
Capitolo 22: *** But you fit me better than my favorite sweater ***
Capitolo 23: *** Heaven is a place on Earth with you ***
Capitolo 24: *** But I am free ***
Capitolo 25: *** It’s just happiness… And nothing else matters ***
Capitolo 26: *** So just forget about the World tonight ***
Capitolo 27: *** Memento ***
Capitolo 28: *** I just love you a little too much ***
Capitolo 29: *** Leave your shoes at the door (Prima parte) ***
Capitolo 30: *** Leave your shoes at the door (Seconda parte) ***
Capitolo 31: *** La felicità è il posto dove hai sempre voglia di tornare ***
Capitolo 32: *** The mess you’ve made of things ***
Capitolo 33: *** Something about you ***
Capitolo 34: *** Do you want me crawling back to you? ***
Capitolo 35: *** Everybody’s gotta learn sometime ***



Capitolo 1
*** Lindsay Moore ***


Capitolo 1

Lindsay Moore

 

She's an endless war, like a hero for the lost cause

Like a hurricane, in the heart of the devastation

She's a natural disaster

She's the last of the American girls”

-The last of the American girls, Green day-

 

 

Le note dei Guns n’ Roses risuonarono nella Cadillac Eldorado nera del 70’, sovrastando i rumori della caotica Seoul e i sospiri pesanti del guidatore. La ragazza sul sedile del passeggero guardava la città scorrere veloce davanti a sé, lasciando un braccio a penzoloni cosicché l’aria potesse carezzarle dolcemente la mano bianca.

-Potresti abbassare il volume?- l’uomo le lanciò un’occhiata di sbieco; la diretta interessata guardò il cielo da sotto gli occhiali da sole e si allungò, abbassando di una tacca –Ti ringrazio per la tua disponibilità e gentilezza.- borbottò ironico, tamburellando le dita sul volante.

-Se vuoi rimetto le cuffie.- gli rivolse un sorrisetto prima di adagiarsi meglio sul sedile, le converse scure ora appoggiate sul cruscotto, agitando l’Mp3 nero.

-No, ma sarei felice se togliessi i piedi da lì- le diede una sberla sulle scarpe –L’ho pulita l’altro giorno- la ragazza sbuffò e si rannicchiò sul sedile. L’uomo lanciò un’occhiata allucinata alle suole appoggiate sulla tappezzeria ma non fiatò, limitandosi a massaggiare una tempia –Allora, com’è andato il viaggio?-

Una smorfia le imbruttì i lineamenti delicati del viso ovale -Terribile. Un bambino continuava a darmi i calci sul sedile- un sorrisetto spuntò mentre si indicava le braccia gracili su cui svettavano alcuni tatuaggi –Quando le ha viste, gli ho detto che sono una galeotta evasa dal carcere accusata di omicidio e ha smesso.- ridacchiò al pensiero di suoi enormi occhi saturi di paura e le unghie che si conficcavano sui braccioli del sedile.

-Lindsay— sbuffò il padre.

Aprì le braccia –Che c’è? Gli ho detto che se avesse parlato lo avrei cercato e ucciso- tolse gli occhiali, portandosi indietro i capelli e utilizzandolo come cerchietto –Papà, sto scherzando.-

-Simpatica- si stropicciò il volto –Hai chiamato Emily? Sa che sei arrivata?- Lindsay alzò le spalle –Diamine, Lin, sai che quella donna si preoccupa se non ti fai sentire.-

Però non si è preoccupata quando ha pensato bene di prepararmi bagagli e burattini e mettermi sul primo volo disponibile per la Corea, pensò stizzita mentre giocherellava con il cellulare –Dopo la chiamo.- replicò sventolando una mano, tornando ad alzare il volume mentre Welcome to the Jungle le infondeva un briciolo di buonumore. Mosse un poco le spalle, facendo ciondolare la testa a ritmo di musica.

-Pensavo ti fosse passata la cotta per Axl Rose.- sentenziò suo padre svoltando a destra.

-La cotta per lui, non per la sua musica.- continuò a canticchiare; il padre smorzò il suo entusiasmo alzando il finestrino quando si fermarono ad un semaforo.

-Questo rumore mi sta dando sui nervi.- il suo vocione la fece smettere di danzare.

-Rumore…- soffiò scuotendo la nuca -Una volta piacevano anche a te.- gettò un’occhiata al biglietto dell’aereo e, stranamente, quando vi lesse New York non provò alcuna sorta di mancanza o desiderio di scappare da quella macchina. Del resto, quel viaggio di dispiacere a Seoul significava stare lontana per qualche tempo dalla madre, quella donna isterica e squilibrata che sembrava vedere del marcio in ogni sua azione. Lo stropicciò e lo infilò nella tasca anteriore della borsa a tracolla e appoggiò la guancia sul finestrino mentre tutti quegli enormi palazzi si srotolavano davanti ai suoi occhi. Sorrise; in un certo senso era come non essersene mai andata da casa.

 

Lindsay Moore era una comune ragazza americana, con un nome e cognome banali, incapace di far chiarezza su cosa volesse fare della propria giovane vita e abile nel dare via ad una serie di problemi senza chiudere quelli che ancora la tormentavano. E ora si ritrovava immersa in un altro mondo, a chilometri di distanza da amici e parenti serpenti solo perché aveva combinato qualche marachella di troppo. Il fumo e gli alcolici non erano esattamente nella lista delle cose preferite di sua madre e aveva scoperto a proprie spese che molte altre cose non rientravano nelle sue grazie. Così eccola lì, armata di acido e zero voglia di rendersi simpatica, in direzione della casa di Mark Moore a cui ora stava squillando il cellulare, una fastidiosa suoneria da vecchio sordo capace di farle salire i nervi.


Vide suo padre sporgersi e spegnere la radio, le fece segno di tacere imponendo il palmo aperto davanti a sé e, guidando con una sola mano, cominciò a parlare la telefono in coreano. Lin si morsicchiò l’interno delle guance mentre provava a seguire il filo del discorso, rinunciandoci quando capì che no, non stava parlando di balene e pescherecci. Si appoggiò al sedile, infilandosi le cuffie bianche nelle orecchie. Il coreano non lo masticava granché bene, ma sinceramente non lo aveva mai creduto un problema. Aveva vissuto a Seoul fino a cinque anni e mentre sua madre continuava a parlarle in inglese, Mark aveva avuto la geniale idea di darle lezioni di coreano. Poi dalla capitale coreana si era trasferita nuovamente a New York per seguire il padre, assunto nella filiale americana della prestigiosa azienda di informatica per cui lavorava. Infine era cresciuta, i suoi si erano separati e Mark aveva pensato bene di abbandonarla in quell’enorme metropoli caotica per andarsene dall’altra parte del mondo. E no, le brevi e fugaci vacanze di tre mesi che aveva sempre trascorso con lui non erano sufficienti a incularle quell’ostica lingua in testa.

Il tremendo viaggio in macchina si concluse con qualche scambiò di parola in lingua locale, giusto per testare le sue doti oratorie e prenderla in giro, facendola sbuffare la maggior parte delle volte. Scese avvertendo le gambe formicolare e togliendo dal viso una ciocca di capelli sfuggita alla lunga treccia corvina, si ritrovò a guardare con una smorfia la villetta che le si era parata davanti agli occhi, così diversa dal grattacielo che era sempre stata costretta a scalare per arrivare al proprio appartamento. Scosse la nuca, recuperò la valigia e si fiondò in casa seguendo il padre che gettò le chiavi sul comodino all’ingresso.

Il rumore della tele accesa li portò in cucina dove una bambina, seduta al tavolo, ridacchiava alla vista di un cartone animato. Si volse stringendo il cucchiaio fra le labbra -Ciao papà!- il suo enorme sorriso si spense quando si scontrò con la figura sciatta di Lindsay –Oh, ciao.- alzò una manina e la sventolò piano.

Lin schioccò la lingua e alzò una mano ingioiellata –Ehi- e solo quando ricevette uno scappellotto sulla nuca da Mark, si premurò di essere un po’ più ciarliera –Ciao Minji, come stai? Oh, ma come sei cresciuta! Mi ricordo che eri piccola così e—

-Adesso basta, metti i brividi.- borbottò il padre con un mezzo sorriso mentre si piegava a prenderle la valigia e cominciava ad allontanarsi verso le camere da letto al piano di sopra.

Lindsay rivolse uno sguardo divertito alla sua larga schiena e, rimasta sola, si avvicinò al frigorifero della cucina, appoggiandovisi contro. Aprì la tracolla e tirò fuori la bottiglietta d’acqua recuperata all’aeroporto, lasciando che lo sguardo vagasse per tutta la cucina bianco candida, sui i fiori che riempivano la piccola sala fino a posarsi sulla bambina che, silenziosa, guardava un po’ lei e un po’ la televisione. Solo dopo qualche minuto scandito dagli improperi del padre dedicati alla valigia, la sorellastra si decise a rivolgerle la parola -Come mai sei qui? L’anno scorso non sei venuta.- c’era una punta di fastidio nella sua vocina, ma Lindsay non se ne preoccupò. Del resto, non erano mai state unite.

-Punizione.- si limitò a dirle.

-Mia mamma quando mi mette in punizione, mi dice di andare in camera.-

-La mia mi manda in Corea, invece.- si grattò la nuca mentre sentiva la sua risatina, dicendosi che no, sua madre non avrebbe potuto trovarle punizione peggiore. Si era davvero impegnata quella volta, doveva dargliene atto.

-Tua mamma è strana!-

-E’ una strega- mugugnò –Chyoko non c’è?- bevve un sorso d’acqua, corrugando la fronte quando vide Minji storcere il naso.

-Non si beve a canna. Si usa sempre un bicchiere.-

Lindsay si lasciò sfuggire una risata breve; rimproverata da una mocciosa di dieci anni con i codini e un inguardabile vestitino a fiorellini –E tu non lo sai che non si risponde ad una domanda con un’altra domanda?- gettò la bottiglietta nel cestino, vedendola gonfiare le guance prima di tornare a guardare la ciotola di cereali.

-E’ a lavoro. Tornerà per pranzo.- infilò nella boccuccia una cucchiaiata di anellini di miele, tenendo gli occhi incollati al piccolo televisore sul bancone di marmo della cucina. Lindsay annuì, si dondolò sulla punta dei piedi e quando comprese come la sua voglia di chiacchierare pari a zero fosse condivisa anche dalla bambina, si dileguò.

Le imprecazioni del padre la guidarono fino alla propria camera scarsamente illuminata ma in ordine. Chyoko doveva essersi presa la briga di tenergliela pulita, pensò provando una strana sensazione di disagio che, per un istante, aveva fatto dissipare ogni sorta di rancore nei confronti di quella donna –Vuoi una mano?- posò la tracolla sulla soglia, portando le mani dietro la schiena.

-Non riesco ad aprirla!- diede una botta sulla parte anteriore, abbandonandola sul letto dalla trapunta a fiori –Valigia tua, problema tuo- borbottò alla fine, accarezzandosi la barba scura. Il silenzio imbarazzante che aveva tenuto loro compagnia per tutto il viaggio in macchina pensò bene di tornare a far loro visita. Lin strinse il laccio della tracolla, dondolandosi sulle punte mentre pensava a qualcosa da dirgli. Nh, forse dirgli che poteva andarsene da qualche altra parte non era proprio il modo più gentile per poter cominciare una conversazione. Fu lui ad attirare la sua attenzione con la sua voce grave –Senti, hai esperienza come barista?-

Lindsay sbatté le palpebre un paio di volte. Dubitava che essere l’addetta agli alcolici ai festini degli amici valesse come esperienza –Qualche cocktail lo so fare. Vuoi che ti prepari un Mojito?- fece per andarsene giù in cucina, ma la risata rauca del padre la fece bloccare.

-Non tengo alcolici in casa- a quella notizia, il cuore di Lindsay cominciò a piangere. Addio giornate in panciolle nel giardino a prendere il sole con una bella birra fredda ad allietarla –No, no, ti ho trovato un lavoro.-

Sgranò gli occhi nocciola -Che bell’accoglienza!- mormorò sarcastica, appoggiandosi allo stipite della porta mentre studiava la propria camera da letto. Era di un odioso rosa confetto scelto all’età di sette anni, quando credeva che un bellissimo principe azzurro sarebbe venuto a prenderla a cavallo di un destriero bianco e l’avrebbe portata verso il tramonto. Poi il bel principe azzurro si era trasformato in un tatuatore che veniva a prenderla a cavallo di una moto rombante e il tramonto, beh, erano le luci di Las Vegas.

Suo padre ignorò il tono scorbutico mentre apriva le tende per far entrare luce –Non sei qui in vacanza. E non voglio vederti a casa sul divano con una coca fra le mani.-

-Cos’hai contro la birra?- lo vide voltarsi con espressione arcigna. Conoscendolo, non ci avrebbe messo due secondi a ricomprarle un biglietto per l’America –E dove dovrei lavorare?-

-C’è un locale molto rinomato a venti  minuti da qui. Il Tribeca, lo hai mai sentito?- Lin scosse la nuca; la sua conoscenza di Seoul era molto limitata –Beh, il proprietario cercava una nuova barista e gli ho dato il tuo nominativo- le parve scocciato mentre dava quella spiccia spiegazione ma forse era solo stanco per essersi svegliato alle cinque del mattino –Per favore, Lin, non farmi fare brutte figure. Siamo amici da anni e vorrei evitare—

-Tranquillo, non prenderò a pugni nessuno- suo padre annuì, sbuffando alla vista delle sue braccia tatuate a sprazzi, come se non si fosse ancora abituato a tutte quelle immagini e quelle scritte, come se tutto ciò la rendesse più teppista di quanto non fosse –Quando dovrò iniziare?- abbassò le maniche della felpa di Minnie, impedendogli di continuare con la sua corrosiva osservazione.

-Stasera.- la superò con un sorriso divertito alla vista della sua faccia sormontata da stupore.

-Stasera?! Starai scherzando, spero!- lo seguì in corridoio, parandosi davanti a lui prima che potesse scendere le scale che portavano alla cucina, il salotto e lo studio –Sono stanca, non ho dormito in aereo! E come farò a servire i clienti? Il mio coreano è piuttosto fiacco e—

-Hai ancora 13 ore prima di iniziare a lavorare.  Chiyo ti ha comprato alcuni dizionari e quaderni per ambientarti con la lingua, sono sicuro che te la caverai. Hai anche il tempo per fare un pisolino, pensa un po’!- storse il naso a quelle parole, venendo nuovamente superata. Decise di non controbattere, anche perché non avrebbe ottenuto nulla da quel mulo di suo padre -Ti ha anche preparato dei vestiti puliti. Lavati e quando hai finito scendi per la colazione- Lin trattenne un’imprecazione fra i denti –E chiama Emily!- lo vide gettare la cravatta sul divano prima di sentire la risata di Minji e di Mark riempire l’aria.

-Che strazio.- bisbigliò a sé stessa, giocherellando con la punta della lunga treccia mentre si barricava in camera, serrando le labbra alla vista dell’enorme vocabolario che le ricordava il libro di fisica delle superiori tanto era grande e scritto con caratteri incomprensibili. Lo aprì controvoglia, scorgendo un post-it rosa con poche e semplici scritte in coreano:

 

Spero tu abbia viaggiato bene. Ci vediamo a pranzo.

Chyoko.”


 

Un sorriso spontaneo fiorì sulle labbra carnose. Forse quella punizione non sarebbe stata poi così tanto orribile.

 

 

A Vip’s corner:

Le presentazioni non mi escono granché bene, quindi non mi ci cimenterò nemmeno D: Sappiate solo che adoro i Big Bang e questa storiella mi frullava nella testa da un bel po’ di tempo… Così è nata la prima fanfiction della mia vita (siate clementi, please *.*).

So che come primo capitolo/prologo fa un bel po’ pena, ma mi serviva per introdurre il mio OC che spero non vi starà troppo sulle balle xD Adoro caratterizzare i personaggi e soprattutto scavare nella mente di tutti loro per capire cosa ne pensano. Spero uscirà qualcosa di decente e che voi possiate accompagnarmi in questa avventura magari dicendomi cosa ne pensate :) Critiche positive e negative sono sempre ben accette se servono a migliorarmi :)

Che dire? Ah, sì, i Big Bang (Top ♥, Tutti ♥ ) compariranno nel prossimo capitolo, non disperate ;) Se volete vedere come continua, non c’è che da aspettare e pazientare poco poco poco *.*

Alla prossima!,

HeavenIsInYourEyes.

 

 

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Capitolo 2
*** Last Friday night ***


Capitolo 2

Last Friday night

 

And the way she looked was way beyond compare. 
So how could I dance with another 
And I saw her standing there.”

The Beatles – I saw her standing there 

 


 

La sala era semi vuota, fatta eccezione per lo staff del locale che si muoveva veloce per preparare i tavoli e sistemare. Lindsay si soffermò a guardare due ballerine dimenarsi sui tavoli, probabilmente in procinto di esibirsi quando la stanza si fosse riempita; lasciò perdere, tanto il suo mondo sarebbe stato dietro il bancone a servire un gruppo di bambocci che le avrebb detto –Un Kamikaze e il tuo numero, grazie!-. Nh, magari i coreani erano più educati dei Newyorkesi. Strinse le mani intorno al laccio della borsa a tracolla, si alzò sulla punta dei piedi cercando di scorgere qualche addetto al locale; una gnoma minuta e dai vistosi capelli rosso fuoco che si muoveva veloce fra i tavoli rotondi e quadrati con la divisa del Tribeca catturò la sua attenzione. Strinse il bigliettino nella mano ingioiellata e, dopo aver preso un profondo respiro, zampettò fino a lei, ora impegnata a prendere alcuni vassoi da sotto il bancone.

Le puntellò due dita smaltate di blu elettrico sulla spalla. Quando la vide voltarsi, due enormi occhi azzurri palesemente finti la incenerirono -Che c’è? Non vedi che ho da fare?!- alzò un poco il viso, fissandola bieca –Chi ti ha fatto entrare? Il locale non è ancora aperto al pubblico.-

Lindsay si grattò il naso lentigginoso, ignorò l’acidume della tappetta e aprì il bigliettino stropicciato -Scusa, starei cercando il signor Yoon.- le rivolse un’occhiata incerta, conscia che con il proprio, stentato coreano non sarebbe riuscita a farsi comprendere facilmente. La cameriera aveva però inclinato la testa e dopo averle scoccato un’occhiata esasperata, sventolò una mano.

-Non ha tempo questa stasera! Abbiamo degli ospiti moooolto importanti da servire!- le diede le spalle e Lin fu tentata di darle un calcio con le converse, magari facendola capitombolare a terra. Si dondolò sui piedi, cercando di trattenersi; la guardò da oltre la spalla –Sei ancora qui? Cosa vuoi ancora?!-

-Lavorare, forse?- la vide corrugare la fronte mentre stringeva i vassoi contro il petto, inclinando il capo in attesa di spiegazioni. Lieta di aver avuto la sua attenzione, Lin tornò a guardare il fogliettino –Devo cominciare stasera.  Mi manda qui mio padre, il signor--

Un piccolo urletto fuoriuscì dalle labbra pitturate di rosso scuro della cameriera che ora aveva sgranato gli occhi a dismisura –Ma allora sei tu! Eccoti finalmente!- la guardò con cipiglio severo –Sei in ritardo di venti minuti!-

Lindsay arcuò un sopracciglio fino –Perdonami se le vostre vie sono tutte uguali tra loro- biascicò sarcastica, gettando un’occhiata all’orologio da polso –E poi sono in perfetto orario.- mormorò a sé stessa, chiedendosi se quella squinternata non fosse ubriaca o fatta. Continuava a fissarla con occhi enormi, come se avesse davanti a sé una specie di mostro a tre teste, ma dopo aver sbattuto i vassoi sul tavolo sembrò ridestarsi dallo stato di trance in cui si era infilata.

-Oh, fa niente, l’importante è che tu sia qui! Lo spettacolo non può cominciare senza di te!-

Spettacolo?! –E cosa dovrei fare? La giocoliera con i bicchieri?-

-Non te lo hanno detto quando ti hanno assunta?- domandò stizzita dalla sua ironia -Il Tribeca apre sempre la serata con uno spettacolo!- batté le mani sorridendole gioiosa, come se avesse riacquistato il buonumore. Lindsay si stropicciò il viso pallido; quella non aveva capito nulla del suo discorso –Ora muoviamoci, ti porto nei camerini. Andremo dopo dal signor Yoon, ora non c’è tempo!-

-Camerini?-

-Sì, dobbiamo cambiare quei vestiti. Non puoi ballare con le scarpe da ginnastica! E cosa sono quegli orribili pantaloni alla turca?!- Ballare? Orribili pantaloni alla turca?! -Vieni, di là abbiamo i vestiti e i trucchi. Cacchio, hai delle occhiaie spaventose!- Vestiti e trucchi? Orribili pantaloni alla turca?! –Coraggio non startene impalata, non abbiamo molto tempo!- BALLARE?!

-Ballare?- sgranò gli occhi nocciola, scuotendo la folta chioma corvina –No, no, no, ci deve essere un errore! Io sono qui per fare la barista!- agitò le mani, come se stesse scekerando degli alcolici.

La ragazzina posò le mani sulle sue spalle -Ti prego, non fare quel passo di danza quando sarai sul bancone.- no, decisamente non aveva compreso nulla delle sue parole. La trascinò per un lungo e tetro corridoio prima di gettarla come un panno sporco nel presunto camerino –Coraggio, non abbiamo tempo! Tra poco comincerà lo spettacolo, non possiamo permetterci che sia tutto fuori posto!- Lindsay si massaggiò il polso, guardò la porta chiusa a chiave e la mosca che trafficava con trucchi e spazzole; quando la vide brandire un rossetto rosso, comprese che le cose sarebbe degenerate.

 

Dieci tentativi di fuga più tardi, Lindsay uscì dal camerino con indosso un vestitino succinto da poliziotta, stivali oscenamente alti e il viso cosparso di robaccia. Gettò un’occhiata allo specchio del camerino, una smorfia disgustata a intaccarle il volto –Sembro una prostituta!-

-E’ il tema della serata, Po—

-I’m a free bitch baby?- domandò ironica, sistemandosi meglio le spalline che continuavano a caderle sulle spalle. Quel top le comprimeva talmente tanto il seno da farla sembrare una maggiorata.

-No, Police Department. Ma dovremmo proporre anche il tuo! Ricordami di dirlo al signor Yoon quando andremo da lui!- Lin roteò gli occhi, si avvicinò allo specchio ma quando provò a togliere un po’ di ombretto con i guanti, la cameriera le diede una vassoiata sul sedere –Ci ho messo più di venti minuti per metterti le ciglia finte, non mandare in fumo il mio duro lavoro!-

Lindsay arricciò le labbra rosse mentre quella miniatura ora le stava sistemando i lunghi capelli mossi legati in una pseudo acconciatura alla moicana. Scostò le mani e la guardò esausta –Senti, ti ringrazio per tutto il tuo lavoro, ma io sono qui per—

La nana guardò l’orologio appeso al muro e sventolò una mano –Non c’è tempo! Di qua!- la prese per il polso rischiando di farla incespicare nei tacchi troppo alti e la strattonò per tutto il lungo corridoio buio e vuoto da cui si poteva udire la musica ovattata proveniente dalla discoteca –A proposito, bei tatuaggi!- le indicò le braccia nude –Non ti ha fatto male?-

-Non quanto il motivo per cui li fai- bisbigliò a sé stessa, limitandosi a scuotere la nuca quando la vide attendere una risposta –Senti, tu—

-Ginko! Ma tutti mi chiamano Kamikaze!-

Perché c’è la speranza che tu un giorno esploda?, pensò con cattiveria mentre sentiva i piedi stringersi all’interno degli stivali sicuramente di un numero più piccolo -Lindsay Moore, come ti pare, senti, io non devo ballare! Io sono qui per fare la barista!- provò a piantare i piedi a terra ma rischiò di slogarsi la caviglia, così la seguì veloce fino a che non giunsero nella sala da ballo principale. La pista si era riempita, alcuni tavoli erano già stati occupati mentre su altri vi era ancora il cartellino con sopra scritto Riservato. Alcuni buttafuori osservavano la pista gremita dall’alto dell’angolo VIP, recintato da basse pareti di vetro colorato. Gettò un’occhiata all’insegna del Tribeca che svettava lampeggiante sopra l’entrata del locale, tornando ad osservare scettica due coreane che si dimenavano sui tavoli circondate da ragazzi esaltati –Sicura che non sia la serata Coyote Ugly?- esalò indicandole.

Ginko si limitò ad annuire, tornando ad aggiustarle i capelli –Non sei di qui, vero? Il tuo coreano è pessimo!-

-Perspicace- si limitò a dirle scacciando per l’ennesima volta le sue mani, avvertendo la sua risatina leggera nonostante il frastuono proveniente dalla casse –Vengo da New York. Oh, magari provo a dirtelo in inglese così lo capisci: non sono qui per bal—

-New York? Mi avevano detto che eri Brasiliana!- la interruppe e l’americana si grattò la nuca; no, decisamente non era una brasiliana e la sua terza scarsa di reggiseno, il sedere non proprio sodo o alto e la pelle pallida non avrebbero potuto trarre nessuno in inganno. Vide un gruppo di ragazzi con i capelli rasati alzare i bicchieri verso di lei e urlarle qualcosa prima di scoppiare a ridere. Lindsay annuì con le labbra contratte in una smorfia, si sistemò il top che rischiava di lasciarla nuda e tornò a fissare la cameriera che, incurante di lei, sembrava cercare qualcuno nella folla. Aveva allentato la presa e Lin si era divincolata docilmente, mordendosi le labbra mentre si preparava a fuggire verso la liberta. O alla ricerca di signor Yoon, era lo stesso. Quello spiacevole malinteso andava troncato subito o si sarebbe ritrovata a sculettare sopra un cubo invece che servire Alexander ai clienti sbavanti. Guardò la porta d’ingresso, faceva ancora in tempo ad andarsene… Fece per voltarsi, ma venne spintonata da due coreani con capelli rossi tinti seguiti da due ragazze vestite scollacciate, cose che nemmeno nei peggiori bar di New York aveva avuto il piacere di vedere –In confronto, io sono una santa.- soffiò guardando la propria gonnellina a pieghe nero traslucido che le arrivava a nemmeno metà coscia. La musica di Pitbull le rimbombava nelle orecchie, la gente gridava e si dimenava.

E prima che potesse rendersene conto o anche solo tentare di fuggire, si era ritrovata immersa nell’euforia generale.

-OhMammaMiaSonoArrivati!- Lindsay guardò stralunata la nana che aveva cominciato ad andare in iperventilazione. Solo dopo qualche istante si rese conto che no, la folla –e Ginko- non gridava il proprio amore a Pitbull che usciva dalle casse, ma ad un gruppetto di cinque ragazzi appena approdati al Tribeca che venivano accompagnati all’angolo VIP proprio dirimpetto a lei. Li osservò con sorpresa, stupita dalla reazione esagerata della gente.

-Chi sono?- chiese incuriosita, inclinando il capo mentre li vedeva salutare lo stuolo di ragazzine adoranti. Ginko conficcò le unghie nel suo esile polso, agitandolo.

-I Big Bang!- trillò, trattenendosi dal saltare sul posto.

Lin aprì le braccia –Appunto. Chi sono?-

-Come fai a non sapere chi sono?! Ma lì in America che musica ascoltate?- sinceramente scioccata di fronte alla sua sparata, la cameriera si avvicinò al suo orecchio per farsi sentire –Sono i Big Bang! Uno dei gruppi coreani più famosi! E belli, ma dico, li hai visti?!- arcuò un sopracciglio mentre si voltava a fissarli meccanicamente: due sembravano usciti da un concerto rock con quelle giacche di pelle nera e con capelli improponibili –azzurri il primo e con i capelli rasati da un lato e più lunghi su quello opposto con ciocche fucsia il secondo - mentre gli altri tre si sarebbero salvati se non fosse stato per l’abbigliamento strambo. No, decisamente lei e Ginko avevano due concezioni diverse di bello.

Lin si grattò il naso –Scusa, ma io sono cresciuta a pane e Metallica- assottigliò gli occhi per guardarli meglio. Da quella distanza non riusciva a distinguere le fattezze dei volti, le sembravano un po’ tutti uguali. Di sicuro li avrebbe notati anche al buio tanto erano colorati; qualcuno di loro aveva già cominciato ad ondeggiarsi sulle note di Rain over me, giusto per far venire una coccolone alle fanciulle presenti -E le uniche boy band che conosco sono i Backstreet Boys e gli Nsync.- storse il naso al ricordo della propria cotta per Nick Carter. Dio, Nick Carter! Che adolescenza triste…

-Che infanzia difficile- mormorò l’altra seriamente dispiaciuta, come se avesse colto il flusso dei suoi pensieri. Lin rimase a fissarli ancora un po’, chiedendosi se fosse normale non provare eccitazione per un gruppo coreano apparentemente famoso che era lì, a pochi metri da lei… No, decisamente doveva cominciare ad aggiornarsi sulla cultura coreana. Ginko la strattonò e prima che potesse obiettare per la centesima volta, proprio mentre uno della boy band –fucsia boy- aveva cominciato ad introdurre la serata, eccola catapultata di fianco al bancone su cui altre ballerine erano già pronte ad esibirsi –Bene, ora sali e stendili!-

-Chi devo ammazzare?!- non aveva compreso molto delle sue parole, ma dal pugnetto che le aveva rifilato sulla spalla doveva trattarsi di un incoraggiamento. Sospirò pesantemente e a quel punto posò le mani sulle sue spalle, scuotendola un poco, distogliendola dalla sua contemplazione dei Biga Bang –Senti, per l’ultima volta, io non sono qui per ballare!-

-Andiamo, sei solo agitata perché ci sono i Big Bang. Vedrai che andr—

-Ma chi se ne frega dei Big Mac!- esalò inviperita, venendo guardata in cagnesco da un gruppetto di ragazzine sbavanti.

Anche Ginko la guardò male –B.I.G. B.A.N.G!-

-E io sono la nuova BA.RIS.TA!-

La faccia di Ginko si contrasse in una smorfia di terrore, divenne pallida come un cencio e balbettò qualcosa di sconnesso prima di mormora nervosa –Stai scherzando, vero?- Lindsay alzò le spalle e un ghigno fiorì sulle labbra carnose –Sono morta, oddio sono morta! Perché non me lo hai detto prima?!-

-L’ho detto!- Con un coreano improvvisato, ma l’ho detto!, pensò esasperata. E poi non era colpa sua se durante la fase di make-up quella specie di anguilla aveva continuato a ciarlare senza sosta.

La vide boccheggiare mentre guardava verso il gruppo di ragazzi, ora affiancati da un energumeno vestito di rosso che aveva appena recuperato il microfono; fu solo al la parola coreografia che Ginko scattò -Sali sul bancone, ora! Non abbiamo tempo per cambiare tutto!- Kamikaze saltellò e Lindsay, sopracciglia fini aggrottate e tacchi ben piantati al suolo appiccicoso, la guardò seccata –Il signor Yoon è qui! Se qualcosa va storto, mi taglierà la testa!- per poco non scoppiò a ridere di fronte a quel melodramma, ma quando vide il presunto proprietario del locale, un po’ la compatì. Era un uomo esile vestito in giacca e cravatta e fissava severo il personale con quei suoi occhietti assottigliati. Le ricordava una vipera. O uno della Yakuza, non c’era molta differenza.

-Non è un problema mio- si aggiustò le autoreggenti che non volevano saperne di stare su, poi guardò le ragazze sul bancone che le facevano segno di raggiungerle;  l’aura di depressione che aveva circondato quel siluro di Ginko le entrò fino alle ossa. Sbuffo, conscia che si sarebbe pentita di quella decisione -Non so la coreografia.-

Kamikaze sorrise a trentadue denti, la fece voltare e la spinse verso la superficie di legno e marmo -Ma quale coreografia? Devi ballare, improvvisa! È il tuo lavoro!-

-No, io devo solo far ubriacare la gente!- si sedette al bancone e si issò in piedi, imprecando a mezza voce con malagrazia americana prima di alzare una mano in segno di saluto ai presenti, incerta. Si ammutolì quando la musica cessò, le luci sfumarono su tonalità di blu opaco e la sala si immerse nel silenzio. L’uomo vestito col completo rosso fuoco stava per concludere il discorso, lo capì dal suo tono di voce che andava via via sfumando. Portò le mani sui fianchi e nell’attesa picchietto la punta dello stivale destro sul tavolo, spazientita. La prima serata lavorativa era iniziata male e, sfigata com’era, si sarebbe certamente conclusa anche peggio.

Di sottecchi scorse le altre ragazze mettersi in posizione e impulsivamente lanciò un’occhiata alla cameriera quasi stesse implorando silenziosamente il suo aiuto, ma di lei nessuna traccia. C’erano solo lei, le tre poliziotte coreane, un nuvolo di ragazzi scalpitanti ed eccitati, i Big Bang che le fissavano con sorrisi stampati sul volto e la voce gongolante del vocalist. Si lisciò i capelli laterali tutti tirati all’indietro, piegandosi leggermente mentre imitava le altre colleghe –Odio la Corea. E odio Pitbull.- bisbigliò a sé stessa.

Ci fu un istante di incertezza, scandito dalle luci che cominciarono a muoversi verso loro quattro, dalla folla che applaudì per incitarle e dai battiti accelerati del cuore. Ma fu un breve istante, di quelli che la sfioravano e poi se ne andavano, lasciandole addosso solo tanta adrenalina. Una base elettronica uscì dalle casse, spiazzandola un attimo. Quello non era certamente Pitbull, a meno che non si fosse messo a duettare con un coreano o avesse deciso lui stesso di abbandonare lo spagnolo per le lingue orientali. Si maledì per non aver aperto il dizionario compratole da Chyoko e, guardando le altre, cominciò a muoversi piano, cercando di andare a ritmo. Nessuna coreografia, eh?, puntualizzò stizzita trattenendosi dallo scendere dal bancone; quelle tre erano perfettamente sincronizzate tra loro mentre lei sembrava un ippopotamo ubriaco! I capelli rosso fuoco di Ginko avrebbero fatto una brutta fine…

Wow, Fantastic baby

Dance, I wanna dan dan dan dan Dance

Fantastic baby

Dance, I wanna dan dan dan dan Dance

Wow, Fantastic baby

 

Guardò la folla, sospirò e chiuse gli occh. Si lasciò trasportare, cercò di svuotare la mente e per un attimo riuscì a dimenticarsi della madre che l’aveva rimproverata al telefono per non essere stata avvisata del suo arrivo in Corea, del padre che le criticava i tatuaggi o i vestiti poco femminili, di Minji che continuava a sbirciare nella sua valigia… Di tutti i problemi che sperava aver abbandonato in America. Ogni nota cominciò a pervaderle il corpo, facendola muovere come se fosse ipnotizzata, come se esistesse solo lei in quella caotica e rumorosa sala da ballo. La musica procedeva e lei non capiva più nulla. Fu come se dell’elettricità l’avesse attraversata, come prendere il volo e librarsi in aria. C’era solo lei e quella musica che rimbombava nelle orecchie facendola smarrire, il vociare ovattato della gente e la pelle d’oca.

C’era solo lei, la sua voglia di ballare e quella voce profonda che rappava in sottofondo, facendole scorrere i brividi lungo la schiena…

*********

-Spiegami ancora cosa ci facciamo qui- mormorò Taeyang a Daesung mentre si guardava attorno, salutando le proprie fan con un sorriso aperto –Abbiamo lavorato ininterrottamente per 13 ore, sono stanco!-

-Dobbiamo promuovere il nostro nuovo album e festeggiare il nostro ritorno sulle scene!- cantilenò l’amico che, invece, era estasiato al pensiero di essere nuovamente circondato dalle ammiratrici.

GD diede una gomitata a Tae dopo aver esposto il suo brillante discorso di benvenuto a sé stesso e si fiondò verso le poltrone, buttandocisi sopra con un gesto fluido –Andiamo, dovresti rilassarti. E poi è da un sacco di tempo che non usciamo tutti assieme!- batté le mani come un bambino al parco giochi, facendogli scuotere la nuca divertito –Abbiamo i drink, le patatine, la frutta, la folla esaltata e… Le ballerine vestite da poliziotte, ma è stupendo!- sclamò saltando sui divanetti, venendo raggiunto dagli amici che scoppiarono a ridere.

Top si lasciò cadere pesantemente sul divano mentre allentava il colletto della camicia troppo stretto -A te non piacevano le infermiere?-

GD inclinò la testa all’indietro, guardandola con un ghigno -Le poliziotte hanno le manette.- si inumidì le labbra mentre faceva l’occhiolino a un Seung Ri borbottante.

-Poi dicono che sono io quello maniaco e pervertito- Daesung gli diede una pacca sulla spalla prima di concentrarsi sull’omaccione con il vestito rosso che aveva cominciato a presentare la serata del Tribeca –E poi, insomma, mi sarei aspettato una coreografia più futuristica!- aprì le braccia rischiando di far scivolare il bicchiere di Daesung sulla camicia nera con stampe dorate.

-Cos’hai contro le poliziotte?- domandò il leader addolorato, imbronciandosi.

-Ma non ho niente contro le poliziotte!-

-E allora non lamentarti!-

-Dico solo che è una coreografia banale- si imbronciò per la poca considerazione che GD gli stava prestando, troppo esaltato per quel nuvolo di ragazze eccitate per la loro presenza –E comunque, non sono tutte poliziotte!- puntò il dito verso la quarta da destra che era appena salita sul tavolo e, con indifferenza, aveva salutato la folla mentre veniva squadrata dalle altre tre colleghe.

-Non è possibile, è più tatuata di GD!- scherzò Daesung scompigliandosi la chioma bionda.

Le labbra del diretto interessato si aprirono in una fragorosa risata mentre il ragazzino si appiattiva sulla comoda poltrona bianca –Sicuri che non sia la serata Police Department & Galeotte evase?- domandò serio serio, ricevendo dei sospiri esasperati da parte degli amici.

-Non puoi goderti la serata invece di fare tutti questi commenti?- domandò Ji Yong lanciandogli contro un acino d’uva. Seung Ri storse il naso e si mise buono buono a guardare le quattro squinzie, mugugnando fra sé mentre sorseggiava il suo drink.

Top sorrise, scuotendo la nuca mentre recuperava il proprio bicchiere dal tavolo. Come al solito i quattro si erano lanciati nella fase commentiamo la scenografia e il corpo di ballo da cui lui, solitamente, si tagliava elegantemente fuori. Insomma, non che gli dispiacesse vedere qualche bella ragazza muovere il bacino con sensualità, ma dopo i primi passi la noia si impossessava di lui. E, lo sapeva, le ragazze del Tribeca non avrebbero fatto differenze alcuna. Avrebbero fatto qualche foto assieme, si sarebbero scambiati qualche moina –GD avrebbe scambiato anche il numero di cellulare- e poi sarebbe finito tutto lì. Una sequenza di momenti che, ormai, non gli facevano più scorrere l’adrenalina in corpo.

-Sembra una mappa stradale.- commentò Taeyang facendoli scoppiare a ridere.

Alzò la nuca, deciso per una volta a condividere i propri pensieri con gli amici… Fu solo allora che si accorse dell’oggetto della loro discussione: una specie di teppista vestita da poliziotta che non si amalgamava con il resto del gruppo di ballerine. Le tre continuavano a mettersi in posa sotto i flash dei clienti, lanciavano loro occhiate divertite e sghignazzavano. La quarta –era straniera, lo riconobbe dal taglio degli occhi- sembrava essere capitata lì per caso, indifferente al resto della platea che sembrava richiamare la sua attenzione svagata. Il suo viso era rivolto alla porta d’entrata, non verso loro, come se non li conoscesse e nemmeno fosse interessata ad essere notata. Gli diede l’impressione di voler scomparire, una ragazza appariscente che voleva a tutti i costi diventare invisibile. Da quella posizione privilegiata poté scorgere il suo profilo delicato, il naso leggermente all’insù e la linea delle labbra chi si andava dischiudendo, come se stesse parlottando fra sé. Fissava il pubblico con noia,  il corpo eretto mentre portava le mani sui fianchi e tamburellava uno stivale sul bancone, quasi fosse stata costretta a salire lì sopra vestita in maniera provocante.

-Uh, aprono con la nostra canzone!- mormorò Daesung contento, rivolgendo un enorme sorriso alle danzatrici.

-Godiamoci lo spettacolo!- mormorò il leader beandosi delle movenze sensuali del corpo di ballo, portando le braccia dietro la nuca mentre canticchiava la parte introduttiva di Fantastic Baby.

-Perché la Galeotta va a caso e le altre seguono una coreografia?- domandò Seung Ri arricciando le labbra e assottigliando gli occhi scuri.

-Improvvisazione?- replicò Tae massaggiandosi il collo.

-Balla quasi peggio di Top- mormorò Ji Yong con un ghigno, girandosi verso l’amico per cogliere ogni sfumatura del suo fastidio a quelle parole. Ma sembrarono non scalfirlo, non quella volta. Top se ne rimaneva immobile con la cannuccia fra le dita senza fiatare, udendo la voce di Tae farsi sempre più distante nonostante fosse a pochi centimetri da lui. La tatuata aveva un non sapeva che di ipnotico, qualcosa di assolutamente magnetico, una sensualità che non scaturiva dall’abito troppo corto o dal trucco vistoso, niente di tutto quello. Era il suo movimento fluido a rapire la sua stanca attenzione, il suo sembrare da sola nonostante fosse circondata da gente… Per quanto si sforzasse, non riusciva a staccarle gli occhi di dosso –E’ quella coi codini o la poliziotta che ha appena tirato fuori le manette?- il sussurro malizioso di Ji Yong lo fece sussultare. Quel maledetto riusciva sempre a captare ogni suo pensiero quasi avesse l’accesso personale alla sua mente.

-Il barista con la cresta.- si limitò a rispondere tornando a prendere possesso delle proprie facoltà. L’amico ghignò, circondandogli le spalle con il braccio prima di tornare a guardare le poliziotte che, terminata la canzone, avevano fatto un breve inchino alla platea adorante; la straniera aveva invece regalato un bel dito medio a uno che aveva provato a sollevarle la gonna a pieghe. Storse il naso; no, decisamente la bellezza fluida dei suoi movimenti veniva spazzata via dalla sua poca femminilità.

-Se vuoi possiamo invitarle a bere qui, con noi- propose GD aprendo le braccia e posandole sul divano, lanciando poi un’occhiata divertita a Ri –A meno che tu non abbia da ridire anche su questo.-

-Tanto lo sappiamo che tu punti ai camerini.- tossì Tae facendo scoppiare a ridere gli altri, in particolar modo Ri che aveva visto compiersi una piccola vendetta nei confronti del leader che, quella sera, lo aveva preso di mira.

GD imprecò a mezza voce prima di lasciarsi trasportare dagli schiamazzi degli amici e Top fu grato a Tae per aver repentinamente cambiato discorso. Odiava essere l’oggetto di scherno di Ji Yong; per quella notte, avrebbe lasciato l’onore al piccolo Seung Ri. Dopo la canzone di apertura della serata, le ballerine si sparpagliarono continuando a ballare il repertorio che il Tribeca proponeva. Puntò lo sguardo sulla frutta, cercando qualcosa di più interessante di quella grezza ragazza che adesso danzava proprio sul tavolo a pochi metri da loro. Alcune fan si avvicinarono a loro per fare delle foto e per i loro autografi, così poté distrarsi e scacciare via quella sgradevole sensazione di disagio che aveva provato nel vedere quella ipnotica ballerina.

Ma, a quanto pareva, quella sembrava sempre attirare la sua attenzione seppur indirettamente. Fu infatti dopo qualche canzone cui non prestò attenzione che la musica venne fatta sfumare, fino a diventare appena udibile, e l’uomo vestito di rosso al microfono aveva esalato un infastidito -Lindsay Moore è  pregata di scendere dal tavolo- i cinque si fissarono; probabilmente era una loro fan che, desiderosa di stringersi a loro, aveva provato a scavalcare la balaustra facendosi largo fra i tavoli –E raggiungere l’ufficio del signor Yoon.-  o forse no…

Videro la ballerina straniera grattarsi la chioma alla moicana prima di scendere dal tavolo dopo essersi alzata le autoreggenti. La musica riprese a riempire la sala e la gente, dimentica di quel breve siparietto, tornò a farsi i fatti propri. La voce sorniona di Seung Ri spezzò il silenzio –L’ho detto io che era una galeotta.-

-Magari è terminata la sua ora d’aria.- constatò il leader prima di tornare a guardare l’obiettivo della macchina fotografica di una ragazza che gridava il suo nome. Top avvertì il braccio di GD stringersi intorno al collo per trascinarlo verso di lui e fare una foto assieme, ma il suo sguardo restava puntato alla platea.

La vide zampettare facendosi largo fra la calca, aggrapparsi alla balaustra per evitare una rovinosa caduta sulle scale e poi venire trascinata per un polso da una nana saltellante apparentemente isterica dietro la porta per il solo staff.  E veloce come i suoi passi sul bancone, si volatilizzò alla sua vista. Si ritrovò a grattarsi la nuca azzurra nel rendersi conto che era rimasto imbambolato a fissare una perfetta sconosciuta dalle sembianze di una prostituta.

-Top! Mi fai un autografo sulla pancia?!- si ritrovò a strozzarsi con il cocktail per quell’assurda richiesta da parte di una fan, cercando di trattenere le risate anche se quelle sguaiate dei compagni non aiutavano. Si avvicinò alla giovane prendendo fra le dita il pennarello nero che gli era stato porto. La serata stava decisamente diventando divertente anche senza la presenza di quella Lindsay Galeotta Moore.

*****

Spense la sveglia allungando una mano, imprecò contro il cuscino e si alzò, mettendo a fuoco la buia stanza da letto. Gettò un’occhiata alla sveglia: le 12.30 lampeggiavano rossastre; forse era tempo di andarsene in cucina, pensò controvoglia mentre zampettava a piedi nudi nel corridoio. Grugnì in risposta all’allegro saluto di Minji che stava giocando con le bambole nel salotto e represse un enorme sbadiglio quando vide la figura esile di Chyoko. Piombò in cucina con i capelli scompigliati, due profonde occhiaie,  il trucco colato a imbruttirle il viso pallido e una sgradevole sensazione di malumore che l’aveva accompagnata per tutto il tragitto dalla discoteca da cui era stata cacciata fino a casa. Anzi, ad essere precisi, dalla discoteca da cui era fuggita. La presenza di Chyoko le fece montare il nervoso; sapeva che avrebbe tentato di imbastire una conversazione, ma lei non ne voleva proprio sapere.

-Oh, buongiorno Lin! Sto preparando il ramen, hai fame?- le rivolse un’occhiata sconsolata quando le studiò il volto –Dovresti struccarti la sera prima di andare a letto. La tua pelle deve respirare!- c’era una nota di divertimento nella sua voce severa. Lin si grattò la nuca; Emily le avrebbe solo urlato che avrebbe rischiato di macchiare il cuscino –Allora, com’è andato il tuo primo giorno di lavoro?- Chyoko tornò a darle le spalle. La ragazza si stropicciò gli occhi e mugugnò qualche frase senza senso mentre attendeva che il cervello uscisse dalla fase connecting people.

Si sedette al bancone e appoggiò la fronte sulla superficie di marmo. Già, se avesse tirato le somme di quella nottata, cosa ne avrebbe ricavato? Ne avrebbe ricavato che il Tribeca era un posto di mentecatti che ospitava strani tizi dalle capigliature assurde ma che, a quanto pareva, erano piuttosto popolari e dove lavorava una mosca impazzita ed isterica che non lasciava finire di parlare. Decise di esalare solo un rauco –Uno schifo.- che fece ridacchiare la donna ora alle prese con le spezie da scegliere.

-Non dirlo a me.-

La nuca si alzò di scatto in direzione dell’arco che divideva la cucina dal salotto, scontrandosi con la figura austera del padre che aveva appena parlato e quella di un uomo anziano e smagrito vestito di tutto punto che la fissava con noia: era il signor Yoon, quello sguardo tagliente non lo avrebbe mai dimenticato. Strano come il sonno le fosse improvvisamente passato.

-Papà, signor Yoon- alzò una mano in segno di saluto ricevendo uno sguardo colmo di rassegnazione da parte di Mark; Chyoko si dileguò dalla cucina inventando una scusa, lasciandola alle prese con le proprie responsabilità –Come sono contenta di vederla qui sta—

-Risparmiamoci i convenevoli.- la zittì l’anziano imponendo il palmo davanti a sé. Quel maledetto di suo padre ghignò di fronte al suo disagio; perché non si volatilizzava anche lui come la sua bella donna coreana?!

-Il signor Yoon mi ha raccontato di ieri sera- Mark si accarezzò la barba –Devi dirmi qualcosa, Lindsay?-

La diretta interessata sbatté le palpebre, si grattò la punta del naso, tossicchiò, deglutì ma nulla uscì dalle sue labbra carnose. Le venivano in mente le parole di Katy Perry We danced on tabletops, ma dubitava che una canzone l’avrebbe tratta d’impiccio. Oltretutto Mark odiava Katy Perry, quindi… Inclinò il capo –Ma non ti ha già raccontato tutto lui?-

-Lindsay— lo vide stropicciarsi il volto prima di lasciar cadere le braccia lungo i fianchi.

Nh, per una serie di sfortunati eventi mi sono ritrovata a ballare mezza nuda su di un tavolo, pensò amareggiata, conscia che una confessione del genere avrebbe firmato la sua condanna a morte o un biglietto per solo andata in America… Propendeva per la prima, dato lo sguardo infuocato del padre. Alzò le spalle, optando per i monosillabi –Non è successo nulla di interessante.-

-Ballare sui tavoli invece di pulirli non è stato di suo gradimento?- domandò il signor Yoon inclinando il capo, assottigliando i minuscoli occhietti.

Pulirli… -Sono stata declassata a sguattera di corte?- si lasciò sfuggire con ironia, appoggiando la guancia sul palmo aperto. Vide il signor Yoon arcuare un sopracciglio alla sua sparata mentre Mark copriva il viso con una mano.

-Se continui di questo passo, finirai col fare la sguattera qui in casa.- sciorinò suo padre spazientito.

Si morse le labbra al pensiero che lei, per una volta, era davvero andata a lavoro senza intenzione di combinare guai. E avrebbe potuto dire loro tuuuutta la verità, passare come la martire della situazione e bearsi dei benefici che ciò avrebbe comportato. Ma le tornò alla mente quella saetta umana di Ginko e, per qualche strana ragione, non se la sentì di metterla nei casini. Sospirò –Senta, capisco se vuole licenziarmi- si ritrovò a grattarsi la chioma corvina –Anche se non ero nemmeno stata assunta.- aprì leggermente le braccia come a dire che non aveva molto da dire.

-Non sono venuto qui per licenziarti- mormorò l’anziano aggiustandosi la cravatta –Ero solo venuto a sentire la sua versione dei fatti visto che, ieri sera, si è dileguata dal locale senza passare per il mio ufficio- c’era una nota di disappunto nella sua voce burbera e la ragazza si grattò il naso lentigginoso, stiracchiando le labbra –Fujii Ginko mi ha spiegato il malinteso. L’ho invitata a lasciar parlare le persone prima di prendere iniziative- Lin si lasciò strappare un sorriso, lieta che alla ragazza non si fosse ritorto nulla contro -Farò finta che questo spiacevole episodio non sia mai accaduto nel mio locale- vide un sorriso appena accennato spuntargli da sotto i baffi e Lin, stranamente sollevata, puntò lo sguardo per terra pur di celare la propria gratitudine alla nana saltellante e al vecchio Yakuza –Comincerai la settimana prossima. Passa domani mattina a prendere la tua divisa, Fujii ti spiegherà tutto- le allungò un bigliettino da visita prima di congedarsi con un breve inchino mentre Mark la fissava divertito. Quel maledetto sapeva tutto, si era solo voluto prendere un po’ gioco di lei –A proposito, per quanto non abbia apprezzato la ballata sul tavolo, sappi che gli ospiti d’onore sono stati molto contenti della tua improvvisata.- alzò lo sguardo dal bigliettino di fine carta di riso con motivi azzurrognoli e rossi su cui svettava il nome del locale, incrociando lo sguardo placido dell’uomo. Lo vide alzare una mano prima di dileguarsi dalla cucina seguito dal padre mentre Chyoko faceva il proprio ingresso con finta confusione; come se Lindsay non lo avesse capito che lei, per tutto il tempo, si era acquattata dietro il muro ad origliare.

Le rivolse un sorriso gentile –E’ andata bene, non trovi?- domandò retorica, facendola annuire –A proposito, chi erano gli ospiti d’onore di cui parlava il signor Yoon? Hai conosciuto qualche star?-

Lin alzò le spalle continuando a studiare il bigliettino –Dei tizi strani. Com’è che si chiamano? Ah, sì- la guardò con un breve sorriso –I Big Mac.-

 

 

A Vip’s corner:

Ooooh, e anche il secondo capitolo è andato :D Lo so che sembra tutto molto veloce e soprattutto barboso, ma sono capitoli introduttivi che servono a dare il via alla storia :( Perdonatemi inoltre se è piuttosto lungo, ma quando hanno dato il dono della sintesi io ero a dormire, probabilmente -.-

Oook, che dire? Diciamo che i Big Bang e Lindsay non si sono incontrati/scontrati fisicamente, ma almeno si sono vicendevolmente notati xD E no, non facciamoci infinocchiare dai primi pensieri di Top su ipnotizzamenti e cose varie… Non mi piacciono le cose troppo facili e non credo nei colpi di fulmine, è meglio precisarlo xD Spero che sia stato comunque di vostro gradimento :)

Come concludere? Ah, sì, se voleste anche lasciare una traccia del vostro passaggio mi rendereste davvero felice; una minuscola minuscolissima recensione non vi porta via che un minuto del vostro tempo *.* … Fa tanto pubblicità per qualche referendum, lo so :3

Ringrazio di cuore Fran Hatake per aver recensito il primo capitolo e un grazie a lil_monkey, MonkeyCrys, Stupid_Liar e _AlexeTK per aver aggiunto Something about you fra le seguite ♥ Grazie mille di cuore *.* Se passaste ancora di qui mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate *.* Un grazie sentitissimo anche a chi legge ma resta in silence :)

Alla prossima! (si spera xD),

HeaveIsInYourEyes.

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Capitolo 3
*** Whatshername ***


Capitolo 3

 

Whatshername

 

She went away and then I took a different path

I remember the face

But I can’t recall the name

Now I wonder how Whatsername has been”

Whatshername – Green Day

 

 

 

-Non puoi semplicemente buttarla?-

-Certo che no! È così… Divertente, ecco!-

Alle parole imbevute di fastidioso piacere di Ji Yong, Top si chiese perché, quando aveva sentito bussare alla porta, non aveva avuto la brillante idea di chiedere chi fosse, invece di aprire e far sì che quel rompipalle entrasse come un uragano -Divertente per te.-

-E cosa c’è di male?- gli rivolse uno sguardo imbronciato prima di ritornare a leggere la lettera che stringeva fra le mani –Dove ero rimasto? Ah, sì: amo il modo in cui canti, i tuoi movimenti sul palco mi fanno andare in fibrillazione e la tua voce è così sensuale che censura censura censura.- una risata seguì le sue parole, sovrastando la musica di Jay Z che usciva dalle casse del computer acceso.

Seung-Hyun avrebbe davvero tanto voluto unirsi alla sua allegria o almeno farsi contagiare, ma il fatto che quella lettera parlasse di lui, beh, non lo aiutava a lasciarsi andare. Anzi, una sensazione di imbarazzo misto ad irritazione continuava a spingere le imprecazioni contro la sua bocca, ma ogni volta che stava per rivolgersi in malo modo all’amico, scaricava la propria rabbia sulle felpe ammassate sulla sedia della scrivania.

-Per quanto andrà avanti questa tortura?- considerò aspro, aprendo le braccia.

-Aha, non lo so! Trovo piuttosto divertente la tua irritazione.- cantilenò incurante del suo sbuffo sonoro, rimmergendosi nella lettura.

Top si ritrovò a pensare che era davvero sfigato, ma uno sfigato di dimensioni bibliche, eh! Insomma, perché capitavano sempre a lui le fan squilibrate che avevano il vizio di lasciargli souvenir imbarazzanti?! Come i perizoma dei più disparati colori che GD aveva pensato bene di sequestrargli, o quelle lettere sgradevoli piene di frasi fatte e melense che, la maggior parte delle volte, gli davano la nausea. Cioè, lui adorava le sue fan, le amava!, ma quando superavano il limite si ritrovava a chiedersi perché, gli oggetti delle loro pazzie, non fossero quei due teneroni di Daesung o Tae. Volse il viso, scorgendo quello felice di GD… Forse perché, in quel modo, il loro leader non avrebbe avuto più nulla con cui divertirsi. Ji Yong sembrava infatti trovare esaltante gongolarsi delle disgrazie altrui, come se le difficoltà degli altri fossero un film comico. E lo faceva sempre con quell’aria un po’ svagata che non ti permetteva di incazzarti seriamente, ma solo partecipare allo scherzo, alla fine.

Si grattò il capo. Forse avrebbe dovuto riderci su anche lui. Fu solo quando la voce di GD riempì la stanza che il nervoso tornò a scacciare quel briciolo di positività che si era insinuato fra le sue viscere -Quando ti vedo, capisco che il Paradiso non è una bugia come dicono- rise sguaiatamente, rotolandosi sul letto sfatto –Oh, Hyung, direi che qui qualcuna è innamorata persa!- sventolò la lettera mentre tentava di calmare le convulsioni dovute al troppo ridere.

Top roteò gli occhi, incerto se sbatterlo dalla propria camera a calci o più semplicemente mandarlo a quel paese. Optò per il silenzio, tanto quel deficiente avrebbe trovato il modo di prenderlo per il culo fino allo sfinimento anche da dietro la porta chiusa a chiave -E’ solo una fan- esalò caustico, lanciando via le felpe che occupavano la poltrona. Ma dove diavolo l’aveva messa la maglietta Beyond 9 arancione?! –E tu non sai cosa significhi la parola privacy.- gli rivolse un’occhiata da oltre la spalla ma GD sventolò una mano, ghignando mentre procedeva con la lettura.

-Era per terra sul pavimento. Pensavo fosse cartaccia, invece è un tesoro inestimabile!- trillò divertito, scoppiando a ridere quando ricevette sul viso una felpa blu –Oh, c’è anche il suo cellulare: se vuoi vivere in un sogno, basta comporre questo numero.-

-Wow, ma è una poetessa- esalò sarcastico, storcendo il naso alla vista di tutti quei vestiti sparpagliati in giro. Avrebbe dovuto nascondere tutto prima che Tae fosse giunto in camera sua; gli sarebbe venuto un infarto di fronte a quello spettacolo raccapricciante –Dove hai detto che andiamo, stasera?- provò a cambiare discorso sfruttando quel momento di strano silenzio in cui l’amico sembrava meditare con gli occhi fissi sull’ultima parte del foglio.

-Tribeca.-

-Ancora?!-

-Oggi era il turno del maknae scegliere la meta- il ragazzo alzò le spalle –Dice che lì c’è bella musica.-

-Solo perché settimana scorsa hanno messo il nostro cd a ripetizione- replicò il più grande scuotendo la nuca, lasciando cadere un paio di boxer –Questo significa sciarpa e occhiali da sole?-

-Aha, come sempre. Andremo comunque nel privé- borbottò annoiato, mettendosi poi seduto mentre sventolava ancora il foglio -Allora, la chiamerai?-

Si voltò verso di lui con sguardo allucinato –Cosa?! No, assolutamente no!- lo vide arcuare le sopracciglia, probabilmente scettico di fronte alla sua reazione spropositata –Lo sai come la penso sull’uscire con qualche fan.-

L’amico portò dietro l’orecchio le lunghe ciocche viola solo sul lato destro del volto -Se vai avanti di questo passo, rimarrai single a vita- Ji Yong alzò le braccia al cielo, quasi fosse una disgrazia quella appena descritta –Insomma, non te la devi mica sposare! La chiami, ci esci e poi la porti in cam—

-Chiamala tu, se ti interessa.- gli rivolse un’occhiata eloquente, senza dilungarsi in ulteriori discussioni. Quello che usciva con le ragazze per il puro gusto di sedurle e averle tutte per sé, sentendosi importante, era Ji Yong, non lui. D’accordo, era un uomo e come tale anche lui aveva avuto le sue esperienze e le sue sporadiche nottate votate alla semplice avventura, ma ora come ora era talmente sommerso di lavoro che non aveva alcuna intenzione di barcamenarsi in una relazione. Per di più con una che diceva di vedere il Paradiso quando lui le gravitava a dieci centimetri di distanza.

Lo vide pensarci su prima di prendere il cellulare e pigiare con velocità mentre un sorrisetto si delineava sulle sue labbra sottili. Top scosse la nuca, lasciandosi sfuggire una risatina breve. Quello era sempre il solito… Scostò alcune magliette lasciandosi sfuggire, finalmente, un’imprecazione a mezza voce che catturò l’attenzione del compagno -Qualcosa non va?-

-Non sono dell’umore per uscire.- bofonchiò incerto, grattandosi la chioma azzurrina. E in quel momento si morse la lingua, conscio che di lì a poco l’amico avrebbe sfruttato questo suo commento per riportare a galla vecchie discussioni che credeva ormai sepolte. Mai, si disse, mai mostrarsi vulnerabili di fronte a Ji Yong. Infatti, quello si era messo comodo, si era sporto e gli aveva rivolto un ghigno allarmante.

-O non sei dell’umore per venire al Tribeca?- arricciò le labbra, inclinando il volto mentre lo studiava –C’entra per caso una ballerina vestita da poliziotta?- GD chiuse il cellulare, infilandolo nella tasca dei pantaloni della larga tuta.

I propri neuroni si misero in allarme, incitandolo a trovare una scusa e scappare da quella stanza. Perché il tono di voce utilizzato da Ji Yong aveva un non sapeva che di inquietante e familiare… Comprese che, di lì a poco, sarebbe partito un giochino tutto suo pur di cavargli di bocca parole che, sapeva, lo avrebbero fatto pentire. Dalla sua c’era il fatto che no, nessuna di quelle quattro tizie si fosse insidiata nella sua mente e solo perché si era soffermato a guardarne una per qualche istante di troppo, non significava che l’amore avesse bussato alle porte del suo cuore. Oh, diavolo, stava cominciando a parlare come la squinternata della lettera! Si stropicciò il viso, poi puntò il dito contro l’amico –Non ricominciare! Non erano così interessanti come vuoi farmi credere!-

L’amico guardò la porta poi riportò lo sguardo finto sconvolto su di lui –Come voglio farti credere?- il suo tono si fece più basso –Non ero io quello incantato- osservò alzando le spalle, agitando poi le mani –Dai, andiamo! A me puoi dirlo! Siamo o no come fratelli?!-

Appollaiato sul suo letto sfatto, G-Dragon ora lo fissava con occhi piccoli piccoli, quasi volesse scavare nella sua mente. Era da una settimana ormai che lo tartassava su chi, fra le quattro ballerine, avesse catturato la sua attenzione. Top alzò lo sguardo dallo specchio e lo puntò verso l’amico che, curioso, lo fissava con un mezzo sorriso.

-Quale versione non hai capito di nessuna delle quattro?- esalò sfinito, lasciando che un pizzico di irritazione venisse palesato dalle sue parole scandite piano. Parlare con GD era qualcosa di assolutamente impervio e tortuoso. Aveva la fastidiosissima capacità di cogliere ogni suo minuscolo pensiero, ritorcerglielo contro e lasciarlo lì, solo come un cane, ad arrovellarsi il cervello. E solitamente le discussioni non erano nemmeno così semplici, oh no! Quello si divertiva a porre domande sconvenienti e poi tirare le somme senza curarsi delle reali emozioni dell’interlocutore. E, assolutamente odioso, era che alla fine ci azzeccava sempre.

-Era quella coi codini?-

Gli lanciò contro la felpa che indossava, restando in canottiera –No.-

-Quella con le manette di pelo rosa?-

-No.-

-Quella con i denti da castoro?-

-Ce n’era una con i denti da castoro?!-

-Sì, quella che ha chiesto il numero a Tae!- lo fissò con la fronte corrugata; no, proprio non si ricordava nulla di quelle quattro tizie. Ma le parole di GD arrivarono con sicurezza, come se nessun’altra opzione fosse accettabile –Non dirmi che era la Galeotta- e lui si ritrovò a fissare un punto indefinito del muro con la maglietta pulita Beyond 9 arancione a mezz’aria. Ah, già, la Galeotta… Quella strana ragazza che, per tutta la durata della coreografia, era riuscita a risaltare nonostante la banalità della scena, rapendolo. I suoi movimenti, i suoi gesti, il suo sguardo vuoto e annoiato che aveva brillato quando aveva cominciato a danzare, tutto era stato magnetico… Quasi se ne era scordato e se GD non l’avesse nominata, probabilmente sarebbe finita nel dimenticatoio proprio come tutte le altre. Sorrise appena. No, l’immagine era ancora vivida nella sua mente, solo aveva deciso di accantonarla -Uhu, ci ho preso?- il cinguettio del leader lo riportò coi piedi per terra, facendogli scorrere i brividi. Se si fosse dimostrato anche solo vagamente interessato a quella stramboide, GD non lo avrebbe più lasciato stare. Fece per rispondergli, ma la porta che si aprì li fece bloccare; Daesung comparve sorridendo loro.

-Siete pronti? Ri non vede l’ora di andare a ballare.- udirono le sue urla indistinte provenienti dalla cucina, intimando loro di darsi una mossa anziché giocare in camera.

GD ridacchiò –Gli avete dato ancora lo zucchero?-

Dae gli scoccò un’occhiata severa –Allora, siete pronti?-

-Dacci dieci minuti- borbottò Seung-Hyun mentre spegneva il computer e si lanciava alla ricerca di sciarpa e occhiali –Ma dove diavolo li ho messi?-

-Se mettessi un po’ in ordine, non faresti così tanta fatica- si intromise D-Lite con fare da mamma chioccia, scuotendo la nuca quando vide GD fare la sua imitazione. Al grido di -Aiutatemi, vi prego!- da parte di Tae, Daesung agitò l’indice –Sentite, datevi una mossa. Io vi aspetto di là e cerco di trattenere Seun Ri.- la porta si richiuse e con lui se ne andarono anche le discussioni che GD aveva cercato di portare avanti.


 

Ventimila imprecazioni dopo da parte del leader, i ragazzi si fiondarono verso la loro auto alla volta del Tribeca. GD se ne stava imbronciato in un angolo perché Taeyang gli aveva strappato le chiavi di mano, evitando di farli sfracellare contro qualche muro, Dae cercava di sedare gli animi e Seung Ri sembrava una molla impazzita tanto saltava.

Top scosse la nuca –Questa è l’ultima volta che sceglie lui il posto, eh.- lo indicò con sguardo seccato, ricevendo una linguaccia in cambio dal ragazzino che, senza chiedere il permesso, si era appallottolato sul sedile del passeggero. Dae e Top si scambiarono un’occhiata esasperata, sospirarono e si sedettero dietro.

-Sei solo nervoso perché ci sarà la tua ballerina con una mappa geografica sulle braccia.- borbottò Ji Yong continuando a dare i calci al sedile di Tae che, incurante dei suoi modi bruschi, canticchiava tranquillo.

-Non è la mia ballerina, per l’ennesima volta!- si lagnò stanco, nascondendo il viso fra le mani.

-Ma chi, l’evasa?!- Seung Ri scattò, guardandolo sconvolto -Com’è che si chiamava?-

-Linda?- propose Tae incerto, svoltando a sinistra.

-No… Era qualcosa come Lizy…- provò il maknae grattandosi il mento.

-Non me frega niente.- sbottò Seung-Hyun pregando che il locale comparisse presto davanti ai suoi occhi. Ma quanto diavolo distava il Tribeca?!

-Lindsay!- il silenzio calò, solo le note di Ain’t no fun scandivano i secondi che passavano. Daesung guardò i presenti, poi aprì le braccia di fronte alla sorpresa dipinta sul loro volto –Beh, che sono quelle facce? Io ho un’ottima memoria!-

-Hyun, pensavo ti piacessero le ragazze fini ed eleganti, non le ribelli che fuggono dai carceri!- esalò il maknae suscitando l’allegria generale.

Top ciondolò la testa mentre teneva per sé gli insulti rivolti al più piccolo –Come vi pare.-

-Magari non lavora nemmeno più lì. Il Signor Yoon non sembrava aver gradito la sua esibizione.- borbottò Tae mentre parcheggiava a debita distanza dall’ingresso e lo guardava dallo specchietto. Già, a quanto sembrava quella straniera nemmeno doveva trovarsi sui tavoli a ballare; no, lei era lì per pulirli o almeno, questo aveva confessato loro un buttafuori. Nh, meno ci avrebbe avuto a che fare meglio sarebbe stato, si ritrovò a pensare quando l’aria gelida della notte sferzò contro il suo viso dai lineamenti marcati.

-Tu prega che ci sia- GD cominciò a camminare all’indietro, indicandolo con uno sguardo che era tutto un programma –Voglio divertirmi un po’ questa sera.-

Dae batté una mano sulla spalla di Top che, silenziosamente, lo ringraziò per essere l’unico lì dentro a lasciar perdere le stronzate che sparava il loro leader. Fu il più piccolo a distogliere il flusso dei suoi pensieri quando si strinse nella giacca elegante borbottando un flebile -Prevedo guai.-

Top li affiancò lasciando che un Daesung ciarliero riempisse la sua mente ora offuscata da mille turbe. Quando arrivò alla porta posteriore del locale, restando dietro ai compagni che intanto parlottavano con i buttafuori loro complici e avvertiti della loro visita clandestina, le parole del ragazzino continuarono a ronzargli in testa…


-Prevedo guai.-


Sospirò e si aggiustò il cappellino che gli copriva la chioma azzurrognola. Perché aveva la sensazione che quella sarebbe stata una nottata da dimenticare?


 

******


-Serata anni 80’!-

Così aveva esordito Ginko quando, vedendola comparire alla porta d’ingresso, l’aveva trascinata per il lungo e tetro corridoio, l’aveva sbattuta nel camerino e le aveva gettato addosso una salopette corta corta e una maglietta rossa con sopra scritto Tribeca. E sì, per tutto il viaggetto non aveva fatto altro che scusarsi per la settimana prima, ripeterle quanto mortificata fosse e che, la prossima volta, l’avrebbe lasciata parlare –l’’ultima promessa non l’aveva mantenuta, visto che l’aveva interrotta una volta sì e l’altra pure-. Ora se ne stava lì, in piedi sulle scale che davano alla pista da ballo gremita di gente euforica, con la cassa di birra fra le mani ingioiellate, a fissare le ballerine mezze svestite che ondeggiavano sensuali sui cubi -Dubito che ai quei tempi si sarebbero conciate così.- biascicò mentre si aggiustava il fiocco rosso che, avvolgendo i suoi capelli mossi corvini lasciati sciolti, le dava la parvenza di una campagnola più che di una barista di drive-in.

Kamikaze, vassoio stretto contro il petto, ciondolava la testa a ritmo di musica mentre guardava divertita il locale -Il nostro coreografo è piuttosto bizzarro!- la guardò con espressione allucinata; avrebbe dovuto chiedere il nome dell’organizzatore di quelle serate e farsi fornire il recapito del suo spacciatore… Doveva essere roba buona se partoriva certe stronzate colossali! Scosse la nuca, ritrovandosi a venire spintonata da alcuni ragazza decisi a fiondarsi in pista. Uno di loro, più precisamente quello con la cresta che le aveva palpato il sedere, rise di fronte al suo dito medio alzato. E Lindsay comprese come i coreani non fossero poi tanto più educati degli idioti newyorkesi –So che avresti voglia di decapitarli, ma non farlo. È vietato picchiare i clienti.-

-Perché continui a ripetermi cose ovvie?- domandò seccata vedendola sistemarsi i capelli rosso fuoco in un’alta coda di cavallo –Do l’idea di una teppista?-

-Certo!- sgranò gli occhi –quella sera verde smeraldo- e le indicò le braccia scoperte –All’inizio, volevamo chiederti da che carcere sei evasa!-

-Casa di mia madre.- replicò asciutta, facendola scoppiare a ridere. Lin continuò a fissare la pista da ballo mentre un sorrisetto spuntava sul suo volto ovale e leggermente truccato. Quel posto poteva anche rasentare l’Inferno, ma la presenza genuina della Fujii sembrava migliorare un po’ tutto. Era vitale e soprattutto adorava riempire i suoi silenzi senza chiederle perché fosse troppo musona o poco ciarliera.

Si appoggiò alla balaustra delle scale, mordendosi l’interno delle guance mentre osservava il corpo di ballo. Il signor Yoon le aveva tassativamente proibito di posare le sue scarpe da ginnastica sulla sua preziosa superficie di marmo e legno una seconda volta; le sembrava così lontano il giorno in cui aveva danzato su quel bancone appiccicoso sotto gli incitamenti dei clienti… -Sogna cara, sogna- Ginko picchiettò la mano sulla sua spalla –Il tuo posto è dietro il bancone, non sopra.-

-Lo so, lo so- ruminò scansandola, dirigendosi a passo spedito verso il retro del bar per dare le birre al collega –Tanto anche quel lavoro sarebbe stato orribile.- posò con malagrazia la cassa sul pavimento, ricevendo un’occhiataccia da parte del barista.

-Se rompi qualcosa paghi tu, lo sai?-

-E’ usanza coreana dire ai nuovi arrivati cose banali e ovvie?- domandò ironica, scocciata dall’ennesima paternale fuori luogo.

La ignorò -Vai a pulire quel tavolo lì.- ordinò dopo averle scoccato un’occhiata contrariata che le fece scuotere la nuca. I coreani non avevano nemmeno il senso dell’umorismo! Recuperò uno straccio, schivò un gruppetto di giovani e si diresse verso un tavolo a lato della pista su cui, probabilmente, dovevano essersi seduti degli elefanti poco ordinati.

Imprecò a mezza voce senza troppa galanteria, conscia che la gente non avrebbe mai prestato attenzione a lei che, con l’allegria di un condannato a morte, era piegata sul tavolo per cercare di scrostare alcune macchie di White Russian. Quella sua prima vera e propria serata di lavoro si stava rivelando una terribile tortura. Era vestita da cretina, i colleghi erano più antipatici di lei –il che era qualcosa di assolutamente impossibile- e i clienti continuavano a spintonarla o appellarla con diminutivi poco garbati. Forse avrebbe dovuto insegnare loro che bitch, in inglese, non significava dolcezza o tesoro del mio cuore. Si passò una mano sulla fronte prima di prendere i bicchieri. Del resto era normale che stesse andando così, la giornata era cominciata in maniera a dir poco orribile!: sua madre che la chiamava e le faceva una bella ramanzina su quanto fosse maleducato da parte sua non farsi sentire almeno tre volte al giorno, poi c’era stato suo padre che si era premurato di ricordarle che quella che il signor Yoon le stava concedendo era la sua ultima possibilità. L’unica salvabile in mezzo a quel covo di mentecatti era Chyoko, ma forse solo perché trascorreva la maggior parte del tempo a lavoro e non aveva modo di rimproverarle qualsiasi cosa, anche che respirasse. Scostò dal viso una ciocca ribelle, volgendo il viso di lato quando avvertì un disgustoso odore di alcool pizzicarle le narici.

-Ma tu sei la tipa dell’altra volta! La poliziotta ribelle!- un coreano dai capelli rosso fuoco cotonati, le sopracciglia folte nere e un sorriso sciocco sul volto smunto le aveva appoggiato una mano sulla spalla. Lin scostò l’arto con ruvidezza e gli rivolse un’espressione annoiata prima di rigettarsi nel lavoro.

-Scusa, non sono di qui- borbottò in inglese, speranzosa che si levasse dai piedi. Quando si rese conto, però, che quello non si decideva a scansarsi, il centesimo -Che palle!- della serata sfuggì alle sue labbra carnose pitturate di rosso per l’occasione.

-Oggi non balli? Dovresti ballare, balli molto bene, sai?-

-Certo, come ti pare- lo evitò e si diresse veloce verso il bancone. Lanciò un’occhiata oltre la spalla, accorgendosi della sua scomoda presenza dietro sé. Ma che strazio! Da dove era uscito questa specie di Hanamichi Sakuragi con un Mojito fra le mani?! E soprattutto, perché i buttafuori facevano entrare gentaglia del loro calibro?! –Ancora tu? Ma non hai qualche tipa da abbordare?- esalò infastidita, riversandogli quel mare di parole pregando che la prendesse per una sclerotica e la lasciasse perdere. Ma quello non demordeva e mentre lei si nascondeva al riparo dietro il bancone, quello si sporgeva su di esso.

-In realtà, volevo qualcosa da bere- mormorò poggiando i gomiti sulla superfice appiccicosa –Cosa mi consigli?-

-Un Invisibile, come quello che dovresti diventare in questo momento.-

La sua risata sguaiata le trapanò il cervello -Sei una tipa focosa… Mi piace!- le rivolse un sorriso sghembo a cui lei replicò con uno sguardo al soffitto richiamando il proprio self-control. Approfittò del caos della sala, dell’entrata in scena del capo coreografia che, sempre vestito nel suo completo rosso fuoco, annunciava l’apertura di uno spettacolo il cui nome e senso le era sfuggito tanto parlava veloce, per cercare di scacciare il moscone ronzante. Arricciò le labbra, si piegò dietro il bancone e tirò fuori il tubo per la Coca Cola collegato al bancone, puntando la pistoletta contro l’arrapato che non voleva schiodarsi da lei. Si inumidì le labbra mentre si risollevava, i capelli a coprirle il volto e le dita già pronte a premere sul grilletto. Ma qualcosa andò storto nel suo piano brillante, c’era infatti qualcosa che non quadrava quando si ritrovò a vedere il liquido uscire dalla canna: c’era che il moscone si trovava ora sotto il cubo per cercare di palpare la ballerina, c’era che quello davanti a lei era un disgraziato cliente capitato lì per caso conciato in maniera assurda… E c’era lei, incapace di formulare una qualsiasi voglia frase di senso compiuto…

–Le servite così le bevande, ora?- Oh, cazzo…, pensò amareggiata, portando indietro i capelli con la mano libera –Peccato che io volessi una birra- concluse il giovane davanti a lei, zuppo di Coca Cola che continuava a colargli dal viso al collo. Se ne stava lì, fradicio e immobile, con una sciarpa a coprirgli la bocca e degli occhiali da sole poco consoni ad una stanza semi immersa nel buio; il cappellino che copriva una chioma turchese di dubbio gusto, invece, era scivolato per terra a causa del getto. Lin inclinò il capo e senza battere ciglio ripremette il grilletto, schizzandogli i capelli –Co-cosa credi di fare?!- tuonò con voce rauca, sputando un po’.

Lin lo studiò a lungo prima di commentare con un atono –Hai della roba azzurra sui capelli. Volevo toglierla- che però sembrò non migliorare la situazione. Vide le sue labbra tremare, la lingua schioccare in bocca e tutto ciò che lei fece fu posare la pistoletta. E di lì a poco, il caos sarebbe esploso prima ancora che potesse prendere in mano le redini della situazione… Impulsivamente il ragazzo si era levato gli occhiali e la sciarpa, gettando il tutto a terra, rivolgendole l’occhiata più truce che avesse a disposizione… Con risultati devastanti –Tu—

le sue parole vennero sommerse da un urlo -OhMioDioC’èTop!- gridò qualche invasata, indicandolo. Un nuvolo di Top sorpreso ed eccitato si levò nell’aria tesa, lasciandola interdetta un attimo. E ora chi era questo Top?! Possibile che lì al Tribeca invitassero sempre ospiti d’onore?!

-Se c’è Top, allora— farfugliò qualcuno nello stupore generale.

-Aaaah, i Big Bang sono qui!- strillò qualcun’altra, dando il via ad una serie di gracidii e urletti che riuscivano a sovrastare anche le note di International Love.

-Ancora questi Big Qualcosa?- mormorò a sé stessa con esasperazione. Lindsay vide venir circondato e sballottato il tipo dalla chioma azzurra e solo allora realizzò che, forse, era lui quel fantomatico Top che aveva catturato l’attenzione delle donzelle in sala. E lei sarebbe rimasta lì a godersi lo spettacolo come gli stava suggerendo di fare la sua cattiveria, ma un’altra vocina, più saggia e preoccupata, la sollecitava a darsi una mossa e trarlo d’impiccio: A) Prima che un personaggio famoso, aveva a che fare con un cliente che aveva preso a Cocacolate; B) Il tizio avrebbe potuto denunciarla e lei si sarebbe ritrovata a sborsare soldi per il suo bel faccino milionario. In qualsiasi caso la mettesse, né il signor Yoon, né suo padre o sua madre, né il suo misero conto in banca avrebbero fatto i salti di gioia –Che palle!- sbuffò grattandosi la fronte prima di riprendere la pistoletta e puntarla verso lo sciame impazzito, bagnandole. Scavalcò il bancone approfittando del loro sbalordimento, si piegò verso di lui e senza attendere un segno di vita, lo trascinò fino alla porta dello staff, lasciandosi dietro le urla e gli schiamazzi della folla inferocita.

Lo condusse fino al camerino, chiudendo la porta a chiave mentre lo sentiva imprecare e togliersi la giacca macchiata. Gironzolava come un leone in gabbia e, ne era sicura, presto l’avrebbe sbranata se non avesse risolto quella brutta situazione. La ragazza snodò la folta chioma corvina, si dondolò sulle punte e portò le mani dietro la schiena –Ehi, senti--

-Fantastico! Ora come ci torno là fuori?!- aprì le braccia, volgendosi finalmente verso di lei. Era un bel ragazzo dalla pelle olivastra e i lineamenti del viso marcati, ora contratti in una smorfia di furia, contornati da dei capelli azzurro improponibile tutti schiacciati. La linea serrata della mascella lasciava trasparire la sua ferocia e i suoi occhi scuri allungati non lasciavano adito a dubbi: se avesse potuto, l’avrebbe ammazzata in quel preciso istante.

-Fra qualche minuto si dimenticheranno di te.- borbottò agitando le mani, sentendolo lamentarsi in coreano mentre si sedeva scomposto sulla sedia, stropicciandosi il viso. Probabilmente l’aveva insultata, ma in quel momento non gliene fregò granché. Le importava solo fuggire da quell’assurda situazione.

Un bussare concitato alla porta rapì la sua attenzione –Liiiin! Lin, apri, sono Ginko!- la sua voce era stridula e stranamente agitata –Ci-ci sono i Big Bang qua fuori!-

L’americana si volse in direzione della chioma azzurra e un –Oh!- di sorpresa si sparse nell’aria satura di nervosismo –Quindi tu sei uno dei Big Mac- lo vide strabuzzare gli occhi e stringere con forza i pugni mentre la manina di Ginko che si infrangeva sulla porta continuava a martellarle il cervello, seguita dalle risate di altri tizi dietro essa. Comprese che la sua ora era segnata e che la sua seconda possibilità di lavorare al Tribeca era sfumata. Aprì la porta e indicò l’armadio –Ti cerco un asciugamano.-

 

******

 

Sedeva in uno stanzino adibito a camerino sotto lo sguardo allucinato di una nana dai capelli rosso fuoco, un GD che lo scrutava assolutamente estasiato, beandosi probabilmente della sua difficile situazione e quella sottospecie di barista sclerotica che aveva un modo tutto suo di servire i clienti paganti che, come se nulla la sfiorasse, se ne restava appoggiata al muro di mattoni a fissarsi le unghie smaltate di rosso.

-Gli altri dove sono?- sbuffò, riempiendo finalmente quel silenzio scomodo.

GD portò una gamba sull’altra, stravaccandosi sulla poltrona –Di là a placare gli animi- rivolse un’occhiata alla tatuata –Così, tu sei una barista- Top lasciò cadere il capo –Ma non ballavi sui tavoli, l’altra volta?-

-Sarebbe stato meglio.- sentenziò greve vedendola alzare le spalle.

-Ora li pulisco.-

-E di dove sei? Non sei di qui, giusto?-

-New York.- c’era noia nella sua voce calibrata, come se parlare richiedesse uno dispendio di energie troppo alto.

-Oh, che figo!- GD saltò, sporgendosi ad osservare le sue braccia –E tutti quelli? Quanto li hai pagati? Sai, vorrei farmene uno qui e—

-Ji Yong!- tuonò Top massaggiandosi la chioma turchese, invitandolo a riabbassarsi la maglietta visto che la nana silenziosa era andata in iperventilazione. Puntò lo sguardo su di lei che, appiattita nell’angolo della stanza, continuava a fissarli con occhi verdi larghissimi -Sta bene la tua amica?- chiese preoccupato e un tantino spaventato al pensiero che quella potesse rivelarsi un’altra psicopatica.

-Credo di no- mormorò quella senza dilungarsi troppo, cominciando a sistemarsi la salopette –Se non avete bisogno di altro, io me ne andr--

-Voi americani non chiedete scusa?- la interruppe brusco. La vide far scivolare la mano dalla maniglia e voltarsi verso di lui con espressione altezzosa, come se non credesse alle sue orecchie. E pensare che quello sguardo era riuscito a paralizzarlo quella famosa notte. Ora avrebbe voluto solo spaccarle la faccia.

-Primo di tutto, non dovevi essere lì dietro. Insomma, quale star va a prendersi da bere senza bodyguard?- blaterò a braccia conserte, continuando a guardarlo. La risata sguaiata dell’amico ebbe il potere di fargli ribollire il sangue nelle vene e prima che potesse calmarsi, l’asciugamano era già stato scaraventato al suolo a far compagnia alla sua giacca sporca.

-Quando lo verrà a sapere il signor Yoon—

-Oh, no, ti prego, non farlo!- squittì la tappa che doveva essersi ripresa dal suo stato catatonico –Non farle passare dei guai!- la ragazzina guardò tutti e tre con aria disperata, saltellando –Ripagherà i danni, ma non andare dal signor Yoon!-

-Cosa?!- domandò la mora sconvolta –Mi sono solo difesa da un maniaco! Non è colpa mia se lui era lì!-

-Con una pistola per la Coca Cola? Doveva essere un tipo tosto, quello- ghignò GD schioccando la lingua.

La barista gli rivolse un’occhiata sprezzante prima di biascicare qualcosa in inglese stretto. E Top, che l’inglese non lo masticava molto, si ritrovò a captare la parola rompicoglioni e altri aggettivi poco eleganti –Sai? Sono coreano, non cretino.- sibilò a denti stretti, vedendola arcuare un sopracciglio mentre un sorrisetto si delineava sulle sue labbra rosse. Trattenne un insulto che gli pendeva dalle labbra, scuotendo la nuca. Quell’odiosa ragazzina era ben lontana dalla ballerina che si muoveva armoniosa sul bancone del Tribeca. No. Quella era una psicolabile a piede libero che, probabilmente, aveva trascorso la propria adolescenza in riformatorio.

-Era uno dai capelli rossi. Sembrava Hanamichi Sakuragi.- fiatò poco dopo, sventolando le mani.

GD corrugò la fronte –Hanamichi Sak--

-Piuttosto che parlare di cazzate, trovate un modo per farci uscire di qui!- sbottò Top con frenesia, non capendo come l’amico potesse amorevolmente conversare con quella in un momento di tale crisi. Si stropicciò il volto -Come avranno fatto a riconoscermi? Mi ero imbacuccato per bene.-

-Di certo non saranno stati i capelli azzurri, proprio no.- il tono di voce colmo di ironia della straniera fu la goccia che fece traboccare il vaso ormai straripante. La sua rozzità, la sua maleducazione, il suo dover per forza chiudere la conversazione con quella sua voce colma di tedio… Era la prima volta che, chiuso in una stanza con due ragazze, si ritrovava a volerne veder morta una. Sarebbe bastato uno scusa. Uno scusa nemmeno troppo convinto ma che l’avrebbe fatto uscire vittorioso da quella situazione bizzarra che lo vedeva come il giullare di turno, che l’avrebbe aiutato a sentirsi un po’ meglio. E magari anche la sua giacca si sarebbe sentita meglio. Ma quella se ne restava davanti alla porta con la mano sulla maniglia in procinto di andarsene.

A quel punto, sfiancato dal nervoso, un’imprecazione gli sfuggì dalle labbra seguito da un bell’insulto al suo vestiario che la faceva sembrare una prostituta di periferia, e un sospiro pesante con l’aggiunta di una melodrammatica passata di mani fra i capelli appiccicosi. GD fischiò, probabilmente non si aspettava che un’espressione così colorita venisse pronunciata da uno come lui, sempre attento a non scadere nel volgare; Ginko tossicchiò imbarazzata. Alzò lo sguardo, grato che le barriere linguistiche non permettessero alla sclerotica di capire cosa avesse proferito. Fu solo allora che la vide voltarsi con le labbra arricciate ed espressione altera. Avrebbe voluto chiederle cosa Diavolo avesse da fissare con quei suoi occhi banalmente nocciola che non erano nemmeno così espressivi come ricordava; oppure si sarebbe alzato e le avrebbe spaccato quel suo nasino perennemente all’insù, nemmeno fosse una regina. Tutto pur di toglierle dal volto quel ghigno odioso che lo stava mandando in bestia. Ma poi la vide socchiudere le labbra rosse e alzare le spalle –Sai? Sono americana, non cretina.- pronunciò con calma, strafottenza, prima di aprire la porta e sparirvi dietro.

GD, conficcato nel suo angolino, si leccò il labbro inferiore mentre tratteneva una risata sguaiata. Top rimase immobile a fissare la superficie di legno ora chiusa. Ginko sembrava la più seria anche se poté a scorgere un sorrisetto compiaciuto sul suo viso ora più rilassato –Perdonatemi, vado a vedere com’è la situazione. Manderò qualcuno a prendervi.- fece un breve inchino e si dileguò alla loro vista. Per cinque secondi. La videro infatti rientrare con il taccuino delle ordinazioni prima di fiondarsi verso lui e Ji Yong –Ahm, mi fareste un autografo? Mi chiamo Ginko, con la G!- si lanciarono un’occhiata stralunata prima di esaudire quel suo misero desiderio.

Quando la porta si chiuse e la musica ovattata fu l’unico loro sottofondo, GD si alzò in piedi, gironzolando per sgranchirsi le gambe -Beh, poteva andare peggio.-

-Non fiatare.-

-Devi ammettere che ha un bel caratterino.-

-Sarà la simpatia americana.- recuperò la giacca, studiando i danni.

-Hai intenzione di dirlo al signor Yoon? Insomma, non è colpa sua se Sakuragi è uscito direttamente da Slam Dunk per provarci con lei.-

Scosse la nuca mentre la propria risata rauca si spargeva nell’aria ora più leggera –Non stasera. Voglio solo andare a casa a farmi una doccia- due buttafuori aprirono la porta, invitandoli ad uscire dalla porta sul retro dove Tae li aspettava già con la macchina accesa –Ci penserò domani.-


 

Si sedette in macchina nel silenzio generale, sotto lo sguardo indecifrabile degli amici che cercavano di non scoppiare a ridere. Tae mise in moto e mentre le note di Alive riempivano l’abitacolo, Top si prese del tempo per tirare le somme su quella serata e dirsi che sarebbe bastato non mettere più piede al Tribeca per dimenticarsi di Lindsay Moore e la sua strafottenza…

La musica terminò e mentre la traccia cambiava, Ri tossicchiò -Eau de Coca Cola.- soffiò in un francese improvvisato, suscitando la loro ilarità.

Top sbatté la testa contro il finestrino. D’accordo, non poteva ammazzare la barista americana. Nel frattempo si accontentava di veder scorrere il sangue del suo maknae.

 



 

 

A Vip’s corner:

Ooooh capitolo 3 –lunghissimooooo- quasi interamente dedicato ai nostri amabili Big Bang ♥ L’inizio, a prima stesura, doveva essere dal POV di Lindsay ma mi sono detta “Cara, mica c’è solo lei in questa storia!”, quindi ho pensato bene di iniziare con GD e Top… O almeno quello che ne rimane -.-  Ji Yong me lo immagino un po’ come lo scavezzacollo del gruppo e anche come un Grillo parlante un po’ stronzo, capace di pungolare nei punti giusti con questo suo modo un po’ svagato… Ma non chiedetemi il perché, credo che sia solo io a vedere la realtà in maniera distorta D: E non so, il rapporto tra lui e Seung-Hyun me lo immagino così, una lunga corsa ad ostacoli dove GD si diverte a far venire il mal di testa al suo Top preferito.

Purtroppo al momento me li figuro così e non mi piace nemmeno chiedere se sono OOC oppure no perché… Beh, come vi sentireste se qualcuno venisse da voi a dirvi “Tesoro, lo sai che sei un tantino Out Of Character oggi?” xD Ma sono solo mie fisime :) Ovviamente, se a voi non dovessero garbare così come li dipingo potete comunque farmelo notare, tanto il tempo di migliorarsi lo si trova sempre ;)

So inoltre –ok, immagino- che magari vorreste vedere subito qualche inciucio romantico e pieno di zuccherosità, ma al momento credo che quei due si odino xD E diciamocelo, due che si odiano non possono svegliarsi da un momento all’altro e dirsi “Oh, ma io ti amo come non ho mai amato in vita mia!” é_è Ma tranquille, tutto è calcolato e quando meno se lo aspetteranno le cose cambieranno… Ma non subito U.U

 

Detto questo, passerei ai ringraziamenti doverosissimi: un infinito Thank you with all my heart a Malila2009, lil_monkey, Monster_vip, YB_Moon, xxarkha e Fran Hatake per aver così carinamente commentato ♥ Se mai passerete ancora di qua e voleste dirmi cosa ne pensate di questo parto, beh, mi rendereste molto felice *.* Non è che un minutino del vostro tempo *.*

Un grazie senza fine va anche a voi: glo91, Stupid_Liar, MonkeyCrys, xxarkha e _AlexeTK  per averla aggiunta fra le seguite, Myuzu fra le ricordate e ssilen & summerheartbeat fra le preferite ♫ Grazie, grazie e ancora grazie *.*

Alla prossima (I hope :3)

HeavenIsInYourEyes.

 

P.S. Se non lo avete già fatto, ascoltate la canzone Whatshername citata ad inizio capitolo. La trovo semplicemente stupenda ♥

 

 

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Capitolo 4
*** Vermillion ***


Capitolo 4

Vermillion

 

I can be an asshole of the grandest kind,

I can withhold like it’s going out of style,

I can be the moodiest baby

and you’ve never met anyone who’s as negative as I am sometimes”

Everything – Alanis Morisette

 

 

 

Sfigato…
 

Era uno sfigato. Ma di quelli belli grandi, eh. Di quelli che li vedi e non puoi fare a meno di lasciarti sfuggire un ghigno di derisione. E se non fosse stato lui il protagonista di quella situazione, probabilmente avrebbe riso di sé stesso.

E invece Top era lì serio serio, attendendo che il vecchio dietro la scrivania lo degnasse di un briciolo di attenzione. Osceno, si ritrovò a pensare mentre una smorfia si delineava sul viso olivastro, dipintasi nell’esatto istante in cui quello aveva sorriso al seno prosperoso della giovane cameriera ora dissoltasi. Represse uno sbuffo e un’imprecazione, giocherellando con i lacci della felpa nera. Era venuto al Tribeca spinto dal desiderio –d’accordo, animato dal proprio orgoglio piuttosto abbattuto- di mettere nei casini quella lurida straniera che gli aveva rovinato la serata e cosa scopriva?! Che il signor Yoon era in viaggio d’affari e aveva deciso di affidare la baracca al fratello. Un fratello adottato, probabilmente, visto che non c’entravano nulla l’uno con l’altro: occhi piccoli e pieni di perfidia il primo, a palla e colmi di stupidità il secondo. A dir la verità, tutto in quell’uomo un po’ grassoccio emanava idiozia… Dai suoi capelli con riporto, alla sua barbetta ispida e lunga, alla sua risata a intermittenza e la sua memoria a brevissimo termine… Si stropicciò il volto. Possibile che non gliene andasse nemmeno bene una?

-Scusi, può ripetere il motivo della sua visita?- fu quella la domanda che gli rivolse dopo mezz’ora abbondante di attesa. Se non fosse stato un ragazzo controllato, Seung-Hyun si sarebbe lasciato andare ad una sceneggiata isterica in stile SeungRi capriccioso, ma si limitò a massaggiarsi una tempia mentre tirava fuori il sorrisetto più affabile che avesse nel repertorio.

-Devo parlarle di una ragazza che lavora qui, Lindsay Moore. L’ha mandata a chiamare poco fa…-

-Oh, sì, Lindsay… Una ragazza adorabile, lei non trova?- gli aveva fatto l’occhiolino. Inquietante…. –Capisco che ne sia rimasto affascinato. È un tale peperino!- Doppiamente inquietante!

Storse il naso quando l’immagine di Lindsay Moore sfrecciò nella sua mente; decisamente non ne era affascinato. Disgustato, forse –Non ho il gusto dell’orrido- esalò caustico, massaggiandosi il cappello che nascondeva la chioma turchese –Senta, quella ragazza è—

-Figliolo, ma non ha caldo con la sciarpa e il cappello? E perché porta gli occhiali da sole in una discoteca?- seriamente convinto della demenza di quel vecchio, Top si ritrovò a stringere i braccioli della sedia con sempre più forza, cercando di incanalare un minimo di placidità. Quello aveva la straordinaria capacità di mandarlo in bestia!

-Non devo farmi riconoscere. Riguardo la Moore—

-Ma… E perché? E’ forse un ricercato?- a quel punto, comprese che la deficienza umana aveva un nome: Yoon qualcosa, visto che non ne aveva la più pallida idea. Ma era sicuro che se avesse cercato la parola sul vocabolario, la sua immagine sarebbe svettata enorme e con tanto di firma. E non era sconvolto per la sua totale incapacità di ficcarsi in quella sua zucca vuota che lui era Choi Seung-Huyn alias Top dei Big Bang, certo che no! Era solo sconvolto al pensiero che quel siparietto lo avessero svolto esattamente mezz’ora prima! Era assurdo, era un carosello di idiozie quel momento! –Sono in pericolo, per caso?- lo aveva detto con assoluta tranquillità, lasciandolo interdetto per un secondo. Era atterrito di fronte all’aura di indifferenza che quel cretino emanava. Avrebbe voluto dirgli che sì, se andava avanti di questo passo la sua vita si sarebbe conclusa quella sera stessa con una morte violenta, ma si limitò a sostenere il suo sguardo beota, scuotendo la nuca.

-Senta, al posto di parlare di me, potremmo parlare di Lindsay Moore?-

-Oh, certo, certo- si appoggiò sulla scrivania colma di documenti, si sporse e con fare cospiratorio abbassò il tono della voce –Allora, sono i suoi occhi da pantera o le movenze da giaguaro ad averla colpita?-

Un tic nervoso lo colpì all’occhio, la nausea passò a fargli un salutino, soffermandosi a stuzzicargli la gola mentre avvertiva lo stomaco fare le capriole. Cosa aveva appena blaterato quello psicopatico? Ma davvero si aspettava che uno del suo calibro si fosse preso la briga di tornare in quella bettola solo per fare i complimenti ad una tizia che, probabilmente, avrebbe risposto con un sonoro rutto alle sue galanterie? A parte che quel vecchio gli sapeva di perverso, e la risatina acuta fugò tutti i dubbi, si chiese perché mai proprio lui dovesse ritrovarsi invischiato in una conversazione senza capo né coda con un bavoso che, ora, stava decantando le doti non propriamente caratteriali della ragazza… Oh, e per essere sinceri, la Moore era più simile ad un suricata che ad una pantera… Resse con irritazione il suo sguardo curioso che poteva intravedere da dietro quei suoi occhiali a mezza luna assolutamente fuori moda, portando una mano sullo stomaco -La sua simpatia- grugnì, a quel punto decisamente scoglionato, alzandosi –Senta, passerò un altro gio--

Il demente parve rimbecillirsi ancora di più –Oh, ma non c’è fretta! Perché non resta qui? Tra poco daranno lo spettacolo “Capitano, mio capitano”!- un altro occhiolino. Un altro momento inquietante capace di fargli venire i brividi… E come imprigionato dalla sua euforia senza senso, si ritrovò a sedersi pesantemente sulla sedia.

Quella fu la prima volta, da quando aveva avuto il dispiacere di averci a che fare, che desiderò vedere comparire il viso velato di fastidiosa superbia della Moore. Giusto per mettere la parola fine a quel tremendo supplizio. E per vedere finalmente la sua disfatta. E avrebbe riso quando la frase “Lei è licenziata!” sarebbe riecheggiata nell’ufficio finemente decorato, avrebbe gustato l’espressione mortificata che si sarebbe dipinta sul suo volto e sarebbe andato a festeggiare con gli altri al bar.

Un sorrisetto compiaciuto gli increspò le labbra e in quell’esatto istante, come se le sue preghiere fossero state ascoltate, ecco che un leggero bussare interruppe lo sproloquiare di quell’uomo –Avanti!- trillò pimpante, come se un potenziale invitato stesse per unirsi alla loro psicotica seduta. E una sottospecie di sollievo scacciò il malumore: Lindsay Moore, in tutta la sua orrenda simpatia, aveva fatto la propria entrata in scena con la vitalità di un condannato a morte.

Finalmente poteva dire basta ai discorsi imbarazzanti con il vecchio…

Oh, Moore, ben arrivata- l’uomo le scoccò un’occhiata squilibrata, soffermandosi un po’ troppo sulla linea morbida del seno reso ancora più pronunciato dal bustino che la stringeva –E’ favolosa, una perla rara!- Una perla nera! -Non lo trova anche lei?-

O forse no…

Sentendosi chiamato in causa, il ragazzo abbassò gli occhiali da sole, soffermandosi solo in quel momento ad osservare la figura slanciata dell’americana che, chiusasi la porta alle spalle, se ne stava in piedi davanti ad essa come in attesa… Vestita da marinaretta. Una marinaretta da film porno, se doveva essere sincero. E, sempre per essere sinceri, faticò parecchio ad ammettere che quella ragazza non era poi così brutta come continuava a dipingerla…

-Oh, venga, si sieda!-

Ma c’era qualcosa in lei, qualcosa nel suo atteggiamento altezzoso e nei suoi modi fin troppo sfrontati da renderla insopportabile, addirittura brutta. Da fargliela odiare senza riserve e senza un perché apparente… Perché gli aveva solo lanciato della Coca Cola addosso e non gli aveva chiesto scusa e lo insultava in inglese, conscia che non avrebbe colto appieno le sue parole…
 

-E’ successo qualcosa?- Lin  indugiò.

-Oh, non si preoccupi. Coraggio, si sieda!-


E si sentì tremendamente stupido e infantile per essere piombato lì senza un motivo serio che potesse alimentare la sua vendetta. Il rumore dei tacchi della ragazza lo riportarono alla realtà. Lanciò un’occhiata al vecchio che, gongolante davanti alle sue gambe coperte da delle autoreggenti bianche, le faceva segno di raggiungerli. Che covo di gente assurda…

La Moore lo squadrò, biascicò qualcosa, si lisciò la cortissima gonna con delle stampe ad ancore dorate e si sedette sull’unica sedia libera –Sei stato tu a farmi chiamare?- domandò secca, spezzando il silenzio.

L’uomo sventolò l’indice -Moore, suvvia, dovrebbe essere più gentile con chi è venuto a farle dei complimenti!- per poco la mascella di Top non cadde a terra dall’incredulità. Quella discussione stava degenerando e l’entrata in scena di Lindsay non aveva fatto altro che peggiorare le cose! Probabilmente, il cervello grande quanto una noce di quel demente doveva essersi rinsecchito ancora di più nel ritrovarsela in ufficio mezza svestita, facendolo svalvolare –Coraggio, non sia timido!-

Si tolse gli occhiali da sole, stropicciandosi il viso stanco. Di sottecchi, si accorse che Lin lo stava ora guardando con espressione scettica. Diamine, mica si aspettava sul serio dei complimenti da parte sua! –Non farti strane idee. Preferirei sotterrarmi piuttosto che complimentarmi con te.-

La ragazza sbatté le palpebre, perplessa –Ma… Ci conosciamo?- no, decisamente non sapeva a chi conferire il premio di peggior demente dell’Universo. Top ricorse all’ultima spiaggia, sfilandosi la sciarpa e il cappellino, mettendo in mostra la chioma azzurrognola leggermente schiacciata. Fu così che vide il disgusto contrarle i lineamenti delicati –Ah… Tu- avvertì un Che palle appena sussurrato, ma non replicò. Tanto aveva la vittoria in tasca, vederla contorcersi per la sconfitta sarebbe stata una gioia ben più grande che mandarla a quel paese. Lasciò perdere anche il commento borbottante del rincoglionito, un -Ora capisco perché indossava il cappello; anche io mi vergognerei ad andare in giro conciato in quel modo.- nemmeno troppo bisbigliato, concentrandosi sulla nemesi che, impassibile, continuava a guardarsi le unghie smaltate di blu –Vuoi il bis di Coca Cola?- esalò atona, lanciandogli un’occhiata di sottecchi. Probabilmente non doveva essersi resa conto del pericolo incombente o magari quella ragazza era una specie di automa priva di qualsiasi emozione. Altrimenti come avrebbe potuto spiegare quella malsana impassibilità che continuava a farla sembrare una vuota bambola di pezza?

Aggrottò le sopracciglia scure nell’udire quella domanda che, sapeva, non meritava nemmeno una risposta ben ponderata. Avrebbe voluto mandarla a quel paese e basta, se solo fosse stato un cavernicolo. Ma lì, tra i tre, probabilmente era quello con più cervello per abbassarsi a tali livelli. Ma prima che potesse anche solo pensarle, le parole gli sfuggirono colme di ironia -In effetti, un complimento ce l’ho- le rivolse un’occhiata torva –Hai un’ottima mira- solo allora, quando vide un guizzo di apprensione nei suoi occhi nocciola leggermente allargati, si volse verso il capo –Sa, forse dovrebbe dire alla sua perla di non prendere a bevande in faccia i clienti.- esalò al limite della pazienza, ottenendo finalmente l’attenzione del babbeo.

Nel silenzio generale, la sconfitta di Lindsay risuonò stridente, in netto contrasto con la vaga sensazione di essere nel giustp. Con la netta impressione che, forse, avrebbe dovuto lasciar correre per una volta e non appellarsi al proprio orgoglio ferito…

 

-Non l’ha fatto a posta!- Daesung era il solito confetto.

-Sei un bambino, lo sai?- e GD lo stronzo senza peli sulla lingua.

-Oi, vi muovete a vestirvi? Tae ci aspetta in macchina!- e Ri il casinaro fuori luogo.

 

Le parole degli amici riecheggiarono prepotenti nella sua mente corrosa dalla cattiveria, ma proprio quando stava per fare marcia indietro, ecco che un pensiero opprimente e sfiancante, prese il comando di ogni sua lucidità: pur nella sua immensa inutilità, Lindsay Moore sembrava una calamità naturale pronta a portare nient’altro che guai, uno scompiglio che non voleva nella propria già frenetica vita. Quindi, era meglio estirpare ogni conoscenza superflua. A quel punto la vide allargare agli occhi e stringere le mani guantate di bianco sui braccioli della sedia. Probabilmente non si aspettava che avrebbe davvero spifferati tutto o, forse, non sapeva che conseguenze aspettarsi da quella confessione. Fatto stava che per un attimo gli parve spaventata… E il senso di colpa brillò, lucente e sfolgorante nei meandri della propria crudeltà;  la gioia arrivò presto però, impadronendosi di lui, sbaragliando tutto il resto.

Il vecchio tossicchiò -Prende a bevande in faccia i clienti?-

-Solo quelli seccanti.- sventolò una mano; la strafottenza si era impossessata nuovamente di lei. Che faccia da schiaffi!

-Quindi sarei seccante?-

Lin roteò gli occhi –Tu non dovevi nemmeno trovarti lì dietro!- Di nuovo con questa storia?!

-A parte il fatto che non dovresti lanciare Coca Cola in faccia alla gente- sbottò inviperito, trovando il suo punto di vista decisamente grottesco –Delle semplici scuse sarebbero state gradite!-

-Sei qui perché vuoi delle scuse?- le sue sopracciglia formarono un arco prima che un flebile –Patetico- si spargesse nell’aria ora pregna di tensione. E in tutto ciò, il signor Yoon cretino li fissava con gli occhi a palla fin troppo interessato. Non era mica la scena clue di un film, quella! –O vuoi i soldi per la giacca?-

-Come se avessi bisogno dei tuoi spiccioli.-

-Certo, la star qui non ha bisogno dei soldi di un’inutile cameriera.-

-Sull’inutile ti do ragione, mocciosa- la vide portare le braccia sotto il seno mentre volgeva il viso alla parete, apparentemente stufa di continuare quel triste siparietto. E, sinceramente, era stanco pure lui -Forse dovrebbe pensare a prendere delle misure drastiche.- propose infine, mettendosi anch’egli a braccia conserte.

-Forse dovresti farti i fatti tuoi.-

-E tu imparare un po’ di educazione.-

-Ragazzi, suvvia, non litigate! Si può risolvere tutto!- cinguettò l’idiota signor Yoon interrompendoli con un principio di isteria. Top lanciò un’occhiata feroce alla vicina e lei, per risposta, storse il naso e tornò a guardare l’uomo, aspettando silenziosa la sua punizione -Oh, beh…- lo vide massaggiarsi il mento, pensoso. Un ghigno gli spuntò sulle labbra… Finalmente, poteva dirsi vittorioso! –Mi scuso per il comportamento poco elegante della signorina, le prometto che non si ripeterà più. Ma avrà avuto i suoi buoni motivi per agire in maniera tanto deplorevole- Aspetta… Cosa…? -Sicuramente le ci vuole una punizione, signorina Moore- il sorrisetto malizioso sul volto rugoso fu il colpo di grazia. No, decisamente quell’uomo aveva qualche cosa che non andava. Doveva venire dal ramo marcio della famiglia Yoon –Quindi per stasera basta così, torni a casa. Non sia mai che rovini il mio spettacolo con qualche birra volante- Per stasera? Top arcuò un sopracciglio. Non era esattamente il discorso di licenziamento che si era immaginato –Ti do un giorno di punizione.-

-Un giorno?!- esalarono entrambi sorpresi. Top lasciò cadere il capo. Ma che razza di punizione era?! –Ma non doveva prendere seri provvedimenti?!- calcò sulla parola seri, guardandolo con sufficienza. Quell’uomo era proprio un demente…

-E’ quello che ho fatto- scosse la nuca –Figliolo, non spetta a me licenziare il personale. Se lo facessi, mio fratello licenzierebbe me! Io devo solo controllare che non vada a fuoco nulla!- e giù a ridere come il cretino che era; perché gli sembrava di esserne uscito sconfitto da quell’intera faccenda? –Ora, Moore, offra al nostro gentile cliente un bel bicchiere del nostro vino migliore e chiudiamo qui la faccenda!-

-Agli ordini, signore!- cinguettò alzandosi in piedi, portando una mano sulla fronte da brava marinaretta. Top imprecò sottovoce quando scorse il suo ghigno divertito, limitandosi a rimuginare seduto sulla scomoda sedia di pelle nera.

Un boato concitato catturò la loro attenzione; ovattata, la voce del vocalist arrivò sino all’ufficio, dando il via alla serata tanto acclamata dall’alienato; questo si alzò, si aggiustò la cravatta e passò una mano fra i pochi capelli rimastigli, sorridendo loro felice  -Ora, se non vi dispiace, vado a godermi il nostro spettacolo!- indugiò sul corpo della ragazza fasciato dal bustino bianco e si dileguò trillando un felice –Buona serata!- che gli fece cadere le braccia.

A mai più rivederci, vecchio idiota…

 

Realizzò parecchio tempo dopo, udendo le voci concitate dei clienti e il suono della musica giungere ammorbiditi, di essere rimasto solo con quella stupida americana che, dondolante sui piedi, sembrava volerlo deridere con la sola forza dello sguardo -Non ti è andata molto bene- pronunciò quella frase con controllo, un sorrisetto divertito a incresparle le labbra rosse –A me, invece, è toccata una serata di riposto- no, non un sorrisetto divertito… Era un vero e proprio ghigno di vittoria. Perché a giochi fatti, era stata lei a cavarsela. E lui con cosa era rimasto? Con un capriccio nemmeno soddisfatto interamente… -Allora, vuoi del Chardonnay o ti accontenti di una Beck’s?-

-Va al Diavolo, Moore.- si permise di sbottare con malagrazia, superandola alla stessa maniera.

Storse il naso, ricacciò in gola tutti gli insulti corrosivi che gli passarono per la mente e sbatté la porta dietro le spalle. Al diavolo il Tribeca, al diavolo il lurido vecchio e al diavolo la sua nemesi naturale!

 

Schivò qualche ragazza che, complici la sciarpa, il cappello e gli occhiali, non lo aveva riconosciuto e senza nemmeno guardare le ballerine sculettanti sui tavoli si gettò in mezzo alla strada, cercando con lo sguardo l’auto nera di GD. L’aria gelida della notte carezzò i suoi lineamenti contratti in una smorfia di ira, ira che aumentò notevolmente quando vide SeungRi e GD scambiarsi qualche frase prima di ridere come i due scemi che erano, appoggiati al mezzo parcheggiato dall’altro lato.

Attraversò la strada come un lampo. Il leader fu il primo a parlare -Com’è andata?-

-Nh- grugnì asciutto, vedendolo scuotere la nuca. Non si dilungò in ulteriori spiegazioni; era certo che GD fosse contento della sua sconfitta anche solo guardandolo in viso. Spintonò il maknae che continuava a ridersela e aprì la portiera, pronto a fiondarsi al bar per una bella bevuta. Doveva dimenticare –Beh? Non salite?-

-Un momento…- li vide osservare il marciapiede con fin troppo interesse. Seguì la linea del loro sguardo, inorridendo quando vide chi stavano esattamente guardando: la boriosa americana, ora vestita in maniera casta, frugava nella borsa con espressione arcigna. Ji Yong strombazzò, richiamando la sua svogliata attenzione. E quella, senza nemmeno sollevare il capo, si limitò a rifilargli un bel dito medio che, per ragioni a lui oscure, suscitò l’ilarità del leader.

A sorprenderlo però, in quella precisa circostanza, non fu quel bastardo di Ji Yong, bensì Ri -Aspettate qui!- ordinò il maknae attraversando la strada.

-Dove stai andando?- domandò caustico, senza ottenere risposta. E quando lo vide fermarsi a parlare con quello scarto umano della Moore, comprese che sì, al peggio c’era limite –E tu!- Ji Yong, braccia piegate sul tettuccio e labbra arricciate, lo degnò di uno sguardo –Perché non lo fermi?!-

GD lo scrutò e dopo avergli regalato un mezzo sorriso, assottigliò gli occhi –E perdermi tutto il divertimento?- lo fissò serafico e a quel punto comprese come ai suoi amici non importasse nulla della sua sanità mentale che faceva i bagagli quando quella megera si avvicinava troppo.

Vide SeungRi parlarle concitato e proprio quando la cameriera stava per allontanarsi, il ragazzo la prese per un polso, trascinandola verso l’auto. Rabbrividì… Ma che diavolo stava succedendo?

Il più piccolo sorrise –GD, Lin può unirsi a noi?-

Alt, momento, black out total… Che cosa aveva appena detto quel decerebrato del suo amico?! Chi diavolo doveva unirsi a loro? E perché aveva chiesto il permesso solo al leader? Insomma, lui che cos’era, invisibile?! Allargò gli occhi scuri, passando in rassegna il volto rilassato dell’amico e quello velato di sorpresa della ragazza. La vide arcuare un sopracciglio nell’udire quel nomignolo apparentemente così intimo, nemmeno fossero amici di lunga data. Auspicava che quella mentecatta dicesse no, così da lasciarlo in pace per l’intera serata. Ma… Beh, era uno sfigato, no?

-SeungRi— il suo lamento era risuonato cavernoso e stridente nella via.

Lin si divincolò dalla presa –Ma io non voglio unirmi a voi. Buon serata, eh!- diede loro le spalle, ricominciando a ravanare nella borsa. Forse non è poi tanto malvagia… -Non esco con gli sconosciuti.- aggiunse apatica, sbrodolando una seria di insulti alla tracolla che, a quanto pareva, le aveva mangiato l’mp3.

Top fu mentalmente grato all’asocialità della giovane, dando una pacca sulla spalla all’amico che, invece, sembrava essersi offeso per quel diniego secco sprovvisto di scusa plausibile –Avanti, raggiungiamo gli altri.-

Ri tossicchiò –Noi saremmo degli sconosciuti?- borbottò stralunato, guardandolo.

E lei, imperturbabile, alzò le spalle –Non so nemmeno i vostri nomi. Quindi sì, siete degli estranei.- appurò prima di alzare una mano in segno di saluto e rigettarsi in strada. Effettivamente, Top si ritrovò a constatare che si erano scontrati già un paio di volte, avevano respirato la stessa aria nello stesso locale ma mai si erano lasciati andare a convenevoli. Lui, del resto, la conosceva di vista ma solo perché quel soggetto aveva combinato più danni che piaceri e lei, per fortuna, non sembrava intenzionata ad approfittare della situazione per poter socializzare con dei personaggi noti come loro. E quindi sarebbe andata bene così, come dei perfetti estranei che hanno visto le proprie vite collidere per qualche stramba ragione e ora, da bravi, se ne tornavano a camminare sui propri passi cercando di non intralciarsi.

Ma GD, oh, lui non sembrava intenzionato a lasciarla perdere, per motivi che ancora sfuggivano alla sua brillante mente. Perché mentre quella stava per raggiungere il marciapiede, la sua voce celestiale si sparse nell’aria notturna, lasciandolo interdetto:

-Kwon Ji Yong- le fece un cenno con la testa quando tornò a fissarli, vigile –Piacere.-

Il maknae per poco non saltò –Io sono Lee Seung Hyun! Ma puoi chiamarmi SeungRi o Ri, come preferisci!- agitò un braccio.

La ragazza guardò per terra quasi volesse nascondere un sorriso spontaneo che le aveva dipinto le labbra; risollevò il capo dopo qualche secondo, inclinandolo appena –Lindsay Moore.- si accorse di essere fissato. Molto probabilmente, si aspettava una presentazione idiota anche da parte sua, ma l’orgoglio aveva deciso di prendere possesso di ogni sua facoltà e senza nemmeno dar corda a quella scriteriata, grugnì un secco –Seung-Hyun, poco piacere.- prima di ficcarsi in macchina ad imprecare nella solitudine. E intanto fuori il teatrino andava avanti anche senza di lui…

 

-Dai, ti divertirai!- insistette serio serio Ri, ma quella scosse la nuca.

-Ho detto di no.-

-Dai!-

-No.-

-Andiamo!-

-Cosa non ti è chiaro della parola no?-

-Non fare la preziosa! Su, su!- il maknae la prese per un braccio.

-Ri, caricala in macchina.- GD si sedette al posto di guida.

-Cosa?! No, non vengo!-

 

 

Così, seduto in macchina in direzione del bar, la domanda gli sorse spontanea e decise di condividerla con i presenti -Se non volevi venire… Perché diavolo sei salita?!- si ritrovò a domandare fissandola da oltre il sedile, serrando le labbra alla vista delle sue sopracciglia fini arcuate.

-Mi ci ha trascinata.- borbottò indicando Ri che, più canterino del solito, ignorava i due litiganti.

Top imprecò a mezza voce, conscio che l’educazione con quella camionista non sarebbe servita a nulla. E mentre vedeva le luci della città spiegarsi davanti agli occhi, il nervoso montava ad ogni risposta monosillabica della ragazza, sommersa da domande idiote da parte del più piccolo; non poté fare altro se non lasciarsi scivolare sul sedile e starsene per i fatti propri -Avresti dovuto fermarlo.- approfittò del volume alto della radio per colpevolizzare un Ji Yong  tranquillo e beato che correva per le strade della città imbevuta nella notte. Lo aveva visto lanciare un’occhiata allo specchietto per fissare la giovane e per un attimo gli era passato per la testa che al leader potesse interessare quello scarto umano della Moore, un flash capace di fargli accapponare la pelle… Ma poi il suo ghigno perfido era comparso e aveva capito che quello aveva solo trovato un nuovo passatempo: vederlo penare in una gara di sopravvivenza contro un serpente a sonagli.

GD, mani tamburellanti sul volante, lo guardò di sbieco –Te l’ho già detto- i suoi occhi si assottigliarono mentre appoggiava la schiena al sedile –Voglio divertirmi un po’.- serafico ed enigmatico come sempre, il leader si rinchiuse nel proprio silenzio, sfrecciando per le vie di Seoul nemmeno stesse gareggiando contro Vin Diesel.

Rimase in silenzio, indeciso se scendere dall’auto in movimento o buttare giù loro dall’auto in movimento. Fatto stava che le cose non sarebbero cambiate. Voleva andare a bere per dimenticare una scomoda presenza che aveva cominciato ad assillargli l’esistenza e la suddetta scomoda presenza sedeva sul sedile posteriore della sua auto. Per andare a bere con lui…

Sbatté la nuca contro il poggiatesta. Era il re degli sfigati, decisamente…

 

*******

 

La musica era bassa, coperta dal vociare animato dei clienti seduti intorno ai tavoli o a guardare la televisione accesa dal volume praticamente inudibile. Qualche ragazzina che tratteneva a stento urletti e gridolini si avvicinava tremante e idolatrante, di tanto in tanto, al loro tavolo. Al ventesimo –Mi faresti un autografo?!- la voglia di andarsene a casa bussò prepotente al suo cervello che, però, doveva essersi chiuso da qualche parte a guardare la tele. Perché era stanca, ma tuttavia non accennava ad alzarsi.

E come se non bastava, quell’idiota dai capelli blu era dirimpetto a lei e sembrava volerla corrodere con la sola forza dello sguardo…

Lin sbuffò -Posso tornare a casa?-

Taeyang posò una birra –la seconda della serata- davanti al suo naso, regalandole un sorriso affabile. Lo prese per un no. Serrò le labbra e dopo aver biascicato un grazie, si attaccò a bere, giusto per occupare il tempo. Chissà mai che una bella sbronza avrebbe potuto rendere quella folle serata un po’ più godibile!

-Andiamo, la serata è appena cominciata!- squittì Ri senza staccare le labbra dalla cannuccia del suo Mojito.

-Se vuole andarsene, che se ne vada!- soffiò Seung-Hyun con sgarbatezza, rigirandosi il cellulare tra le mani. Probabilmente doveva tenersi occupato, altrimenti l’avrebbe strangolata. Che poi, il desiderio era reciproco, eh. Si massaggiò i capelli corvini, chiedendosi come mai avesse avuto la sfortuna di incontrare quel perdente per tre settimane di fila. Insomma, era uno scherzo del destino! O forse qualcuno le voleva molto, molto male! Magari era un altro piano brillante di sua madre, chi poteva dirlo?

Perché Lindsay aveva smesso di credere in molte, troppe cose e cinica com’era, vedeva tutto velato di un grigio indissipabile. Credeva solamente che certe cose, prima o poi, tornavano nella sua vita, capovolgendola, peggiorandola. Raramente migliorandola. Come Bryan, il fidanzato idiota di sua madre, un cretino di appena trent’anni che stava con lei per i soldi. E tornava sempre con complimenti inappropriati, sguardi languidi e quel Lin un po’ viscido che la portava a rinchiudersi in camera. Tornavano anche i suoi ex, ma quelli non se ne andavano mai realmente. E tornavano le amiche che l’avevano abbandonata per i fidanzati nuovi di zecca o per compagnie migliori… E, new entry, tornava sempre anche quel cretino di un cantante coreano che non aveva niente di meglio da fare se non renderle la vita impossibile. Già le faceva schifo starsene in quel paese, figurarsi come gioiva al solo pensiero di poter mettere piede fuori casa e rischiare di incrociare il suo sguardo affilato e assassino!

-Scusalo, oggi si è svegliato con il piede sbagliato.- mormorò Tae placando gli animi, o almeno provandoci.

La ragazza alzò le spalle. Non gliene fregava niente degli sbalzi umorali di quel cretino. Lei voleva solo andarsene a casa e stare da sola! Roteò gli occhi quando vide la cinquantesima ragazzina avvicinarsi a loro per chiedere una foto ricordo –Ma è sempre così?-

-Praticamente… Sì!- gioì Dae, annuendo –Ma ormai ci siamo abituati.-

Annuì, concentrandosi sul liquido ambrato. Per una che desiderava risultare invisibile anche quando camminava sui marciapiedi, sarebbe stato un supplizio avere a che fare con gente assillante e isterica che ricercava la sua attenzione solo per una stretta di mano, un autografo, uno scatto assieme… Ma loro sembravano a loro agio in quel pub parecchio in periferia, distante dalla caotica città doveva sembravano doversi sempre nascondere. Per esempio, aveva notato solo in quel momento che non indossavano sciarpe, occhiali e cappelli –questi se li sarebbero potuti pure tenere date le acconciature stravaganti- e anche se la gente sembrava fare caso a loro, non li tormentavano. Era così diverso dall’affollato Tribeca…

-Che hai da fissare?- la voce profonda di Seung-Hyun la ridestò. Era velata di scortesia, quasi fosse un martirio dover sedere al suo stesso tavolo. A prescindere dal fatto che fosse un borioso idiota con dei capelli assolutamente osceni e la simpatia di una cartavetrata sulla schiena, quel ragazzo era quanto di più fastidioso potesse esistere sulla faccia della terra. E non perché si fosse presentato al lavoro rischiando di farla licenziare o perché rispondeva sempre con dosi di acido non richiesto… Semplicemente lo considerava un idiota.

Lin scoccò la lingua, stringendo le mani sui jeans pur di non alzare le dita che fremevano –Stavo pensando che hai dei capelli assurdi.- confessò serena, vedendolo storcere il naso.

-Ma ti sei guardata oggi allo specchio, prima di uscire? Simba chiede che shampoo usi.- il sarcasmo che fece ridere i suoi amici fu palpabile, ma Lin incassò il colpo in silenzio, continuando a trangugiare la sua birra fresca. Effettivamente i capelli erano stati più ingestibili del solito quella notte.

 

I minuti trascorsero inesorabili e prima che potesse accorgersene, si era ritrovata a venire sommersa da un mucchio di domande apparentemente idiote da parte degli unici tre ragazzi che sembravano davvero gradire la sua poco simpatica compagnia. Ma lì, in mezzo a quel nuvolo di persone curiose e una incazzosa, ce ne era una che per tutta la serata l’aveva guardata con disinteresse, raramente le aveva rivolto la parole e quasi mai si era preso la briga di interpellarla. L’unica che, per quanto strano potesse sembrare, sembrava crogiolarsi con piacere nella noia…

-Quindi cosa ti porta qui, America?- GD staccò le labbra dalla bottiglia, guardandola con sguardo penetrante.

Lin rimase zitta continuando a fissarsi le unghie mangiucchiate. Top si passò una mano sul viso –Sta parlando con te, sai?- e lei si ridestò. Lo guardò sbattendo le palpebre esalando un pacato –Ma parlava con me?- che fece scoppiare a ridere SeungRi, accartocciato sulla sedia. Top si morse la lingua e la guardò –E chi dovrebbe essere America tra di noi, scusa?-

Alzò le spalle –Che ne so. Voi vi date sempre soprannomi: GD, SOL, D-Lite, Tip

-Top.-

-E’ uguale.-

-No, non è uguale! E poi perché, tra tutti, hai sbagliato proprio il mio? Diamine, sei proprio straziante!-

Fece per lanciargli addosso una manciata di patatine, ma Daesung intervenne a placare gli animi, spingendo via il volto del ragazzo che, fumante come una teiera, tornò a guardare la televisione accesa con sguardo collerico -Stavamo dicendo… Cosa ti porta qui?- appoggiò il mento sul palmo aperto.

Lin scoccò un’occhiataccia al maknae –La sua parlantina instancabile.- sciorinò piatta, vedendolo portare indietro la testa mentre scoppiava a ridere.

-No, no, intendevo qui a Seoul!-

Guardò il soffitto -La sfortuna…?- sbuffò impercettibilmente al pensiero che, da quella banale domanda, ne sarebbero seguite altre migliaia che vedevano lei come protagonista –Sono venuta a trovare mio padre.-

-Oh, ma quindi tuo padre è coreano?- chiese Tae strabuzzando gli occhi.

Lin arcuò un sopracciglio. Il cognome Moore non è propriamente coreano, avrebbe voluto dirgli, ma quello era un tale tesoro di bontà che non se la sentiva di rispondergli sgarbata –No, è del Nevada.-

-E sei qui con tua madre?-

-No, lei è rimasta a New York.- Per fortuna!

-E tua madre sa che sei qui?-

Lin corrugò la fronte alla domanda seria seria di SeungRi; era visibilmente alticcio e l’occhiata scrutatrice che le stava rivolgendo ne era la prova palese. Mi ci ha sbattuta lei! –No, sono una fuggitiva.-

-Aha!- la indicò vittorioso –Lo sapevo! Quei tatuaggi dovevano pur dire qualcosa! Allora, Alcatraz o Azkaban?-

-Sì, Azkaban, in cella con Bella Lestrange.- gli fece notare Ji Yong annoiato, guancia sorretta dal palmo aperto, spaparanzato sulla sedia. Ri gonfiò le guance, indispettito dalle risate degli amici.

-Ti avrebbero cacciata anche da lì col carattere che ti ritrovi.- Top le scoccò un’occhiata malevola, sorseggiando il suo alcolico con molta, molta pazienza. Quello era un borioso idiota, lo aveva già detto? Nh, ribadire il concetto non faceva mai male. E infatti, ecco che le sue labbra cominciarono a muoversi senza che lei ne avesse realmente voglia.

-Sei proprio seccante, lo sai?- le era uscito con naturale indifferenza, come se lui fosse stato una mosca fastidiosa da scacciare, un esserino inutile. E lo vide tremare quando i suoi amici trattennero le risate. I suoi occhi si erano assottigliati, erano diventati più piccoli e iniettati di sangue; probabilmente stava decidendo, tra le tante, quale morte fosse più la più adeguata per farla soffrire. Si aspettava un insulto, un complimento cosparso di ironia… Ma non avvenne nulla. Si limitò a prendere con brutalità il proprio drink dopo essersi passato una mano sul volto, cominciando a berlo con rabbia. Lin cominciò ad avvertire il disagio entrarle sottopelle, bruciandole le ossa, i nervi, tutto… Perché aveva l’assoluta certezza che quella serata sarebbe stata molto più produttiva per tutti se lei fosse stata da un’altra parte, ma non lì con loro. Con gente che non conosceva e che sembrava appartenere ad un mondo troppo distante dal proprio.

Distolse lo sguardo, ritrovandosi a venir inquadrata dal cellulare del maknae –Che fai?!-

SeungRi sventolò il cellulare –Ti scatto una foto! Alla polizia potrà sempre tornare utile!- scherzò, regalandole un enorme sorriso. Avrebbe voluto rispondere con un bel medio alzato, ma si limitò a borbottare qualche insulto in inglese.

-Odio le foto. Vengo male.- biascicò la ragazza

Top ghignò -Non che nella realtà tu sia Katy Perry.-

-Disse Johnny Depp.-

-Mocciosa.-

-Idiota.-

-Quanto amore a questa tavola!- cinguettò Daesung con un sorrisetto carico di ironia, facendoli scoppiare a ridere. Top biascicò qualche imprecazione mangiucchiando la cannuccia del suo White Russian; Lindsay optò per la roteazione degli occhi corredata da un sonoro sbuffo -E dicci, hai fratelli?-

-Una sorella più piccola…- non si dilungò in spiegazioni futili. Lin sapeva infatti che la parola sorellastra avrebbe dato il via libera ad un mucchio di altre domande fastidiose che, quella sera, non voleva proprio sentirsi rivolgere. Non adorava parlare di sé, men che meno con ragazzi del mondo dello spettacolo che sembravano usciti da una rivista di acconciature futuristiche. Ma chi erano i loro parrucchieri?!

-Ed è carina?- cinguettò Ji Yong mostrandosi vagamente interessato, buttando la testa all’indietro.

-… Molto, molto più piccola.- si affrettò a mettere in chiaro, poco lusingata dello sguardo famelico che le aveva prima regalato.

-Niente carne fresca per il nostro leader- mormorò finto affranto Taeyang, facendolo ridere divertito –Come hai fatto a trovare lavoro al Tribeca? Insomma, quel posto è famoso per le dure selezioni del signor Yoon che non lasciano superstiti!- aggiunse sorpreso.

Lin sbatté le palpebre –Fortuna.- troncò lì qualsiasi discorso, pregando che capissero che la sua voglia di parlare era praticamente sotto zero. Per un attimo si sentì come quella cretina di Bella Swan alle prese con i compagni di classe durante la pausa pranzo, ma per fortuna la band decise di lasciarla perdere per un po’, cominciando di nuovo a ciarlare in coreano veloce e stretto. Si accorse di aver finito la seconda birra e le balenò in testa che protrarre ulteriormente la serata sarebbe stata una perdita di tempo. Recuperò la borsa a tracolla, infilandoci il cellulare -Si è fatto tardi. Devo andare.- non attese obiezioni o domande. Si alzò sotto i loro sguardi stralunati, quasi fosse una matta a piede libero.

-Ma è appena mezzanotte!- si oppose Daesung lanciando un’occhiata all’orologio da polso.

-Casa mia è lontana- ribatté pacata, recuperando l’mp3 dalla tasca davanti della borsa marrone scuro –Grazie della serata. È stato un piacere.-

-A mai più.- cinguettò Top rivolgendole un sorriso compiaciuto, beandosi della sua fuoriuscita di scena. Fu solo allora che lui la guardò per davvero, con quei suoi occhi che, per un istante, furono capaci di paralizzarla, lasciandole solo un enorme vuoto a livello dello stomaco. Era una sensazione sgradevole, di disagio, capace di mettere in allarme il suo istinto di protezione.

-Vuoi che ti accompagniamo?-

-No, non ce n’è bisogno.- vide Tae arricciare le labbra, senza però insistere. Lasciò alcune banconote sul tavolo lasciando perdere i lamenti di Taeyang che voleva offrire quella sera.

Alzò una mano in segno di saluto, avvertendo l’aria farsi più respirabile quando si fu avvicinata alla porta nemmeno troppo distante dal loro tavolo. Posò la mano sulla maniglia, ma la voce sonora di GD la fece bloccare -Ehi, America, tra due settimane daremo una festa per il nostro debutto!- giocherellava con il sottobicchiere; solo dopo qualche istante le lanciò un’occhiata –Ti va di venire?-

-Ma è una grande idea! Vieni anche tu!- aggiunse Daesung con allegria, sorridendole sincero.

Top sbarrò gli occhi -Perché deve venire anche lei?!- Stupida testa azzurra…

-Già perché devo venire anche io?-

-E’ per passare una serata in compagnia!- continuò Tae rigirando la cannuccia nel bicchiere.

C’era tanta gentilezza a quel tavolo –almeno, dalla parte destra-, tanta sincera voglia di averla tra i piedi… Eppure sentiva che qualcosa non andava e gli occhi allungati e colmi di risentimento della fata turchese erano un chiaro segnale di pericolo. Ma non aveva paura e nemmeno ne era turbata. Era infastidita più che altro -No. Credo che non verrò.- esalò asciutta, dando voce al primo pensiero che le era passato per la mente. Solo dopo aver visto i loro sguardi corrucciati –no, Top sembrava stranamente felice del suo diniego- si prese la briga di darsi una risposta ponderata: non aveva voglia di partecipare ad una festa dove non conosceva nessuno e in cui avrebbe rischiato la morte, tenendo conto che uno degli invitati avrebbe preferito metterla sotto una macchina piuttosto che averla tra i piedi. Oh, il sentimento era reciproco, certo, ma Lin era più per il quieto vivere che per la guerra. E, conoscendosi, si sarebbe ritrovata seduta in un angolo a vedere gli altri divertirsi. E poi odiava le serate piene di gente che strepitava.

SeungRi sporse il labbro inferiore, agitando le mani –Dai, andiamo, sarà divertente!-

-Come questa serata?- biascicò Top prima di tornare a giocherellare con il cellulare.

-Ho da fare- borbottò Lin dopo qualche istante. Le espressioni mortificate dei tre zuccherini però fecero scattare in lei qualcosa, come se almeno una scusa dovesse essere d’obbligo visto che l’avevano trattata coi guanti quella funesta notte –E poi non conosco nessuno.- aggiunse alzando le spalle, stringendosi nella felpa nera dei Nirvana.

-Conosci noi!- Tae le sorrise, come se fosse un’ovvietà quella appena enunciata. Lindsay titubò alle sue parole, incerta se accettare o meno. Li conosceva da a mala pena due ore scarse! Non era mica così ragazzina adolescente da credere davvero che quelli fossero amici suoi! Erano più delle presenze che, di tanto in tanto, gravitavano nel suo centro di rilassatezza e assoluta indifferenza al mondo esterno!

Ma le idee brillanti si sprecavano in quel gruppo, perché di fronte alla sua incertezza, Ri si ritrovò a sporgersi e fissarla con un sorrisetto -Puoi portare un’amica se ti va!- propose facendole l’occhiolino.

-Sempre se ne ha.- si ritrovò ad esalare il ragazzo dai capelli azzurri, ricevendo una gomitata da parte di Dae.

-Ti ho sentito Tip- pronunciò con assoluta calma, godendo delle sue imprecazioni a mezza voce. GD nel frattempo si era alzato e con pacatezza le aveva infilato nella borsa a tracolla un biglietto. -Se cambi idea, basta chiamare.- la superò, recandosi al bancone con le mani nelle tasche dietro dei pantaloni. Quella era decisamente fuori di testa… Li fissò uno ad uno, sospirando prima di aprire la porta e salutarli con un vago –Ci penserò su.-

 

Respirò a pieni polmoni prima di entrare in casa. Aprì la porta con un gesto secco senza nemmeno premurarsi di non far rumore; dal giardino aveva scorto le luci del salotto accese, probabilmente Mark e Chyoko erano ancora svegli. E infatti, eccoli lì, seduti sul divano a guardare un documentario. Fu la donna ad accorgersi della sua presenza –Oh, Lin, sei tornata presto!-

-Già.- tolse le cuffie.

-Non dovresti essere a lavoro?- roteò gli occhi quando udì il tono accusatorio del padre, limitandosi a sventolare una mano.

-Non c’era molto da fare e mi hanno mandata a casa a inizio serata.- cacciò le chiavi in borsa, pronta a rifugiarsi nella propria stanza.

-L’inizio serata è alle 9.00.- constatò suo padre assottigliando gli occhi. Li vide restare immobili, in attesa, quasi si aspettassero una chiacchierata cuore a cuore o una banale scusa che giustificasse il suo ritardo. Indugiò sotto l’enorme arco, grattandosi la punta del naso prima di mormorare un vago –Sono uscita con della gente- che li fece sussultare. Effettivamente, detta così sembrava quasi una gang da strada –Gente a posto.- aggiunse incerta, chiedendosi se suo padre avrebbe apprezzato tagli alla moicana e capelli dai più disparati colori.

Chyoko le sorrise radiosa -Oh, quindi ti sei fatta degli amici!-

-A quanto pare.- si dondolò sulle punte dei piedi, a disagio.

-E sono simpatici?- chiese Mark distogliendo lo sguardo dal conduttore immerso nell’afosa savana.

Alzò le spalle –No, proprio no.- e senza attendere oltre, gustandosi le loro espressioni sconcertate, si inerpicò per le scale, sbattendo la porta della camera. Gettò la borsa a tracolla sulla sedia della scrivania, scaraventò gli abiti smessi in giro e si lasciò cadere sul letto, sperando che il sonno venisse ad accoglierla il più in fretta possibile così da dimenticare quell’orrenda serata. Serata che sarebbe stata anche gradevole se un certo coglione non avesse fatto altro che punzecchiarla per tutto il tempo…

Sbuffando, prese l’mp3 girando la rotellina per far scorrere le canzoni. Ma poi, perché quel babbeo ce l’aveva così tanto con lei? Insomma, non che le importasse il pensiero di uno stramboide che se ne andava in giro coi capelli azzurri –azzurri!-, ma diventava estenuante ritrovarsi a dover controbattere alle sue parole colme di fastidio. E tutto perché gli aveva lanciato della Coca Cola addosso per errore. Cielo, che moccioso… Ok, lei non gli aveva porto le sue scuse, ma, beh, ormai era tardi per piangersi addosso…

I titoli slittavano con velocità davanti ai suoi occhi stanchi che lenti si chiusero, mentre la mano scivolava sulle lenzuola a fiori. Storse il naso nel constatare che quella notte nessuna canzone sembrava lenire le sue seccature.

Ecco, ora che ci pensava, Seung-Hyun le ricordava tanto Vermillion Pt. 1, la canzone più inascoltabile che avesse mai avuto il dispiacere di inserire nell’mp3 solo perché uno dei suoi ex aveva avuto la delicatezza di dedicargliela –tipo poco romantico, comunque-; la classica canzone che custodisci fedelmente ma, quando ti viene proposta, premi il tasto avanti. Così dura, ostica, quasi stridente alle orecchie… Eppure accattivante, in una maniera un po’ distorta. Come se dietro quella facciata un po’ difficile da sopportare, indigeribile, ci fosse qualcosa per cui valesse la pena, tanto da spingerla a superarla… A stringere i denti, sopportare e vedere oltre il velo.

Si passò una mano sul viso. Probabilmente era la seconda birra che cominciava a fare effetto.

Lasciò che fosse l’aggeggio a decidere una canzone per lei, stanca di cercarne una che la aggradasse. E prima che potesse accorgersene, le note di Vermillion Pt. 1 si sparsero nelle sue orecchie, facendole sorgere una smorfia di disappunto sul volto ovale. Sbuffò. Già… Alla fine, certe cose tornavano sempre a tormentarla.

 

 

 

 

A Vip’s corner:

Questi primi capitoli sono un vero e proprio schifo -.- E se siete rimaste deluse lo capisco :( E’ questo quarto come sempre di transizione, utilizzato più che altro per descrivere un po’ i caratteri di tutti, delinearli, cercando di non dare spazio solo a Top e Lindsay –e cercare di mettere in evidenza quello che è lo stato attuale del loro rapporto-. Spero di esserci riuscita (Impossibile…). So inoltre che risulterà noioso il fatto che al momento si incontrino sempre al Tribeca, ma è per cause di forza maggiore: non voglio che lei abiti nel loro stesso appartamento o diventi subito amica di qualcuno –si è capito che Lin non è un tipo socievole xD- anche perché la mia storia poggia su altre basi, quindi mi devo arrangiare in queste maniere un po’ tirate per i capelli. Vi prego di chiudere entrambi gli occhi e bendarvi, please ç__ç

Poi, no, non facciamoci infinocchiare dal fatto che GD e Ri l’abbiano invitata a bere. Sono solo incuriositi, tutto qua xD. E GD è fondamentalmente un bastardo che vuole solo divertirsi alle spalle di Top xD Comunque ho accennato ad una festa… E chissà mai che le cose si smuovano. Sempre che Lin ci vada, ovvio xD A proposito di Lindsay, il discorso finale sulla canzone non so nemmeno da dove mi sia uscito –forse ero ubriaca è_è-, ma ho cercato di voler dire qualcosa... Chissà se sono riuscita a trasmettere ciò che avevo in mente…

Bom, non ho nient’altro da aggiungere :) Passerei quindi ai ringraziamenti: ovviamente sono rinnovati a YB-Moon, ssilen, lil_monkey, Myuzu e Monster_Vip per aver commentato il precedente (grazie, grazie e ancora grazie! Non immaginate quanto mi rendiate felice *.*) e tutti quelli che hanno aggiunto Something fra le seguite e preferite (vi mando un sacco di baci, sappiatelo U.U). Ovviamente, ringrazio anche chi legge ma resta in silenzio :) Io invito sempre a lasciare un commentino se vi va, non fa mai male e richiede solo un briciolo del vostro tempo ;)

Alla prossima!

HeavenIsInYourEyes.

 

 

P.S. Se mai voleste ascoltare Vermillion degli Slipknot per davvero –se mai ve ne importasse, insomma-, vi consiglio di ascoltare Vermillion part 2. È semplicemente stupenda ♥

 

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Capitolo 5
*** Lonely girl ***


Capitolo 5

Lonely girl

 

And I swear you're just like a pill

Instead of makin' me better, you keep makin' me ill

You keep makin' me ill”

-Just like a pill -Pink-

 

 

Seung-Hyun spostò la sedia con irruenza, sedendocisi sopra a peso morto, lanciando occhiate assassine ai coinquilini che, pimpanti, lo salutavano calorosamente. Lui invece avrebbe voluto vederli agonizzanti sul pavimento, giusto per rallegrarsi e vedere uno sprazzo di luce in quella fosca mattinata.

-Qualcosa non va?- Tae si riparò dietro la scatola di cereali, terrorizzato di fronte al suo sguardo tagliente –Hai una faccia…-

-Non ho dormito.- ringhiò continuando a fissare la tazza vuota davanti a sé. Storse il naso quando vide svettare prepotente in mezzo a tante prelibatezze, l’enorme caraffa di latte che sembrava volersi versare autonomamente nella tazza blu con sopra scritto Smile!. Nh, come se ci fosse qualcosa per cui sorridere in quello schifo di giornata che, ne era certo, sarebbe peggiorata. Perché aveva un servizio fotografico per una rivista di moda, un’intervista riguardante il loro nuovo album e si era svegliato con una strana sensazione di disagio, fossilizzatasi in ogni fibra del proprio essere, indelebile. E come se non bastasse, la nausea continuava a passare di lì per rammentargli della sua presenza. Sembrava non volersene andare, la maledetta…

-Qualche incubo?- continuò l’amico, forse non consapevole a cosa stava andando incontro.

Per tutta risposta grugnì ancora, indicando l’abominevole oggetto davanti a sé –Perché c’è il latte? Sai che non mi piace il latte!-

-In casa non ci sei solo tu.- Daesung replicò paziente, scuotendo la nuca nell’udire i suoi brontolii nemmeno troppo sommessi. Top allungò una mano verso la serie di fette biscottate incolonnate su di un piattino e le riversò in quello con la faccia di un panda –paccottiglia che solo Dae poteva andare a comprare- che sembrava volergli trasmettere allegria. Lui avrebbe solo voluto sfracassarlo contro il muro. Si guardò attorno alla ricerca dell’oggetto delle sue brame, trovandolo fra le zampacce di un Tae canticchiante. Strappò la caraffa del caffè dalle sue mani e il ragazzo, corrucciato, si limitò a scoccargli un’occhiata torva senza però dar sfogo ai propri pensieri. Del resto, i migliori documentari sugli animali insegnavano che un Top incazzoso, ancora infetto dai postumi della sbornia e sul piede di guerra, era meglio lasciarlo vegetare nel proprio antro oscuro… Agguantò il burro e con la stessa furia con cui era entrato in cucina, cominciò a spalmarlo sulle fette biscottate.

Lo sguardo affilato si posò su un SeungRi mezzo addormentato che lo scrutava preoccupato –Se vai avanti di questo passo, dovremmo fare un funerale alle povere fette biscottate.- mormorò pensoso, infilandosi il cucchiaio in bocca quando vide gli occhi gonfi di Top sparare fulmini e saette.

-Guarda che è un coltello, non una sciabola.- aggiunse Tae accarezzandosi la cresta afflosciata.

Top guardò il soffitto –Al posto dei cereali, perché non vi fate una tazza di cazzi vostri?- i tre si fissarono allucinati, probabilmente sconvolti dal linguaggio colorito con cui si apprestava a continuare quella sciocca conversazione. Lo sguardo stanco vagò per la cucina, soffermandosi sulle facce addormentate dei compagni, rendendosi conto che alcuni capelli fucsia mancavano all’appello –Ji Yong dov’è?- il terrore lo avvolse al pensiero che quel demonio fosse rinchiuso in bagno a prepararsi.

-Alla YG. Voleva allenarsi un po’ sui nuovi balletti.- mangiucchiò Ri mentre portava un tovagliolo alle labbra. E Top tirò un sospiro di sollievo, lasciandosi scivolare sulla sedia di legno. Per qualche ora, poteva lasciar riposare il cervello. Perché aveva l’assoluta certezza che Ji Yong, nel vederlo pallido e assorto come un malato, lo avrebbe intrattenuto con una delle sue solite maratone di psicologia che tanto odiava, se solo si fosse trovato a bazzicare per quelle quattro mura. Perché quello stronzo era così: lo coglieva alla sprovvista solo quando era spossato. O ubriaco, non faceva alcuna differenza, bastava solo che la sua lucidità avesse preso le ferie. Inoltre, ad opprimere la sua mente annebbiata, l’inappellabile convinzione che, le sue domande inappropriate e piene di trabocchetti, avrebbero trovato il loro nucleo in un unico soggetto: Lindsay la vipera stronza Moore. Vipera stronza odiosa e asociale che la notte precedente, per motivi ancora oscuri o per semplice sfiga –e propendeva per quest’ultima-, aveva deciso di deliziarlo con la propria presenza in quello che, alla fine, sarebbe dovuto essere uno svago tra amici. Era bene precisare, eh, amici! E lei non lo era, non lo era affatto. Lei era l’anticristo dell’amicizia, ecco! Era solo una sciocca ragazzina con la puzza sotto il nasino all’insù, piombata improvvisamente nel suo cammino per testare i suoi nervi. Già, doveva essere così; probabilmente era il Karma che voleva appurare se la sua bontà e gentilezza fossero innate nella sua natura… Beh, se così fosse stato, di sicuro aveva fallito miseramente il test.

Che palle!, si ritrovò a pensare scuotendo con fronte corrugata la nuca coperta dal cappuccio della felpa rossa relegata a pigiama. Possibile che, anche mentre fissava la stupida caraffa con lo stupido latte, pensasse a quella nevrastenica di un’americana?! Dio, che strazio!

-Quando ci delizierai di un sorriso?- la voce ironica di Ri ebbe il potere di distoglierlo dalla propria paresi mentale. Solo allora un guizzo di lucidità fece capolino nella testa vorticante di insensati pensieri, fuggendo veloce come era arrivata, ma lasciando una scia di rabbia repressa dietro sé: era colpa sua… Se la vipera aveva appestato la sua auto, se aveva rovinato la sua serata, era solo e unicamente colpa del maknae che lo fissava con occhi sbarrati e labbra arricciate, inconsapevole del triste destino armato di scure che lo attendeva al varco.

Assottigliò gli occhi e dopo aver addentato una fetta biscottata, si ritrovò a sputacchiare un cavernoso –E’ tutta colpa tua.- che lo lasciò parecchio spaesato. Il piccolo cercò rifugio nei due amici più grandi che, probabilmente stufi della sua simpatia mattutina, si immersero a capofitto in cose più produttive: mangiare e leggere il giornale.

Ri si imbronciò –Sarebbe colpa mia… Cosa?-

Roteò gli occhi, spazientito di fronte alla sua incapacità di cogliere al volo certe sottigliezze -Se lei è venuta con noi!- esalò collerico prima di lanciarsi in una imitazione da premio Oscar –GD, Lin può unirsi a noi?- gettò il tovagliolo accartocciato addosso al suo volto ora velato di sorpresa e un sorrisetto scemo a rendere tutto più orribile –GD… E io chi ero? La fata turchina?!-

-Con quei capelli…- si intromise Tae appoggiando la fronte sul quotidiano aperto che fungeva da armatura.  Le risate in sottofondo non riuscirono a beargli i nervi ormai tesi, provocando solamente l’effetto opposto. Era infatti lì che stritolava il coltello dalla punta arrotondata, pronto a sgozzarli se non avessero smesso di trattarlo da giullare di corte. E Ri sarebbe stato il primo a perire…

Il ragazzino sbuffò, forte delle risate degli altri che non accennavano a placarsi –Oh, andiamo, sei ancora arrabbiato perché Lin è venuta con noi?-

Come unghie su una lavagna, il nomignolo Lin stridette nell’aria e vibrò nelle sue orecchie, facendogli scorrere migliaia di brividi che, dalla spina dorsale, si diramarono per tutte le terminazioni nervose. Cos’era quel nomignolo così intimo e assolutamente aberrante?! Un tic colpì l’occhio destro -Solo perché è venuta con noi?- sillabò caustico, indeciso se ammazzarlo ora o attendere una spiegazione plausibile. Dubitava però che da quel cretino sarebbe mai uscita una solida giustificazione.

Ma quando credette di aver ormai toccato il fondo del barile o meglio, che i suoi amici lo avessero raschiato con le loro unghie, e di aver sentito abbastanza stronzate in quell’assurda mattinata, ecco che Dae se ne uscì con un serafico -Oh, andiamo, non credi di stare esagerando?- che avrebbe dovuto sdrammatizzare la sua scenata isterica, ma che a ben guardare ebbe il potere di mandare in tilt il suo cervello ancora cigolante. Una sparata assolutamente inconcepibile, nemmeno pensabile! Perché lui non stava affatto esagerando, lui non esagerava mai! Erano loro ad essere completamente assuefatti dall’idiozia dilagante di quella svitata americana col sorriso spento e la simpatia di un granchio attaccato alle palle.

Gli occhi di Top si ridussero a due fessurine capaci di gettare fuoco, i denti stridettero e le mani sbriciolarono il toast –Io starei esagerando?- scandì ogni singola parola, mettendoci quanta più rabbia avesse in corpo, incapace di godere dei loro sguardi spauriti. Perché nulla avrebbe eliminato quel malumore che grondava da tutti i porti, radicatosi ormai nell’intimo e capace di sbaragliare tutta la positività che aveva difficilmente incanalato negli anni trascorsi. La mascella era talmente contratta che per un misero istante avvertì il dolore e sul volto pallido per la notte insonne, poterono leggere l’ira pulsante –Forse non ho sentito bene.-

-Non-non ho detto nulla.- farfugliò il ragazzo dirigendosi verso il lavabo, blaterando sulle stoviglie che necessitavano delle sue amorevoli cure. E Top si convinse una volta per tutte della completa imbecillità dei suoi coinquilini che, ad un palmo dal naso, non riuscivano a distinguere ciò che era bene e ciò che era male: ovviamente, il male personificato era Lindsay Moore.

Diamine, come potevano non riuscire a vedere oltre la sua apparente bellezza? Perché ormai aveva imparato a convivere con la vocina perversa del proprio cervello che, sofferente ai mesi di magra in fatto di donne, si era indotto a pensare che quella ragazza non fosse poi così orrenda come voleva dipingerla. C’era da dire che aveva un bel fisico, ma lo muoveva come un ubriaco appena uscito dal bar; e quegli occhi da cerbiatto così magnetici perdevano attrattiva per la loro vuotezza e inespressività, proprio come il suo volto, ovale e perennemente contratto in una smorfia di infelicità, malinconia o peggio, impassibilità, che dava a noia dopo appena pochi secondi di osservazione. E i capelli… Bah, erano una matassa informe senza alcun senso logico. Dio solo sapeva come facesse a mettersi le mani fra quei fili corvini senza che vi restassero incastrate. Ma sebbene nell’insieme non fosse uno scherzo di cattivo gusto della natura, c’era da tener conto che quella era solo una facciata. Una facciata ben costruita che nascondeva l’apoteosi della cretineria, un abominevole mostro che sputava acido e senza nemmeno sapere dove stesse di casa la simpatia. Una donna raccapricciante, in poche parole!

Nel silenzio della cucina, soffuso dalla televisione accesa che trasmetteva una degradante soap-opera che solo Taeyang si ostinava a seguire, si rese conto di apparire come l’isterico della situazione, un venticinquenne che, alle prese con una ragazzina maleducata e ingestibile, al posto di insegnarle con pacatezza il buongusto, si aggrappava al proprio orgoglio e si abbassava al suo infimo livello di protozoo camionistico. Lo sapeva, ne era consapevole. Ed era questo a mandarlo in bestia: la propria assoluta incapacità di gestire Lindsay Moore.

-A me lei piace…- quel sussurro pacato lo colpì in pieno viso, riportandolo coi le ciabatte per terra. Cosa aveva appena farneticato quel demente di un maknae?! –E non guardarmi così! Solo perché ti ha lanciato della Coca Cola addosso, non significa che sia antipatica!- Che cosa?. La gamba sotto il tavolo cominciò a tremare mentre il suo sguardo infuocato si posava sul volto imbronciato del più piccolo. Quel demente non capiva in che guai stava andando ad infilarsi –E poi, mia mamma dice sempre che dall’odio nasce l’amore. Lei odiava papà prima di sposarlo!- e a quella biblica vaccata, Top perse il controllo della propria pazienza che, come un funambolo inesperto, cadde nel vuoto. Se non fosse stato educato, avrebbe detto alla madre di Ri di andare a farsi controllare il cervello, perché bisognava essere dei cretini di dimensioni galattiche per partorire una stronzata del genere, inculcarla nel figlio e poi lasciare che tale soggetto la spargesse ai quattro venti spacciandola per perla di saggezza. Ma non lo fece, rimase in silenzio, limitandosi a rivolgergli l’espressione più astiosa che avesse nel repertorio, vedendolo aprire le braccia mentre esalava un confuso –Che c’è? Che ho fatto? Che ho detto di male?-

-SeungRi, tu-sei-morto.- tuonò sbattendo le mani sul tavolo, sollevandosi appena dalla sedia.

Gli amici captarono il pericolo imminente ma mentre Dae, spalle incurvate e riverso sul lavabo, continuava a pulire le stoviglie canticchiando in falsetto per la paura, Tae fu l’unico ad usare quel minimo di materia grigia rimastogli, pensando bene di abbandonare il campo…

-Allarme esplosione, allarme esplosione!- Taeyang si alzò dalla sedia come se scottasse, catturò quella scimmietta saltellante e dalla bocca larga di Ri e se lo trascinò fino in camera, blaterando di un’intervista che tra qualche ora avrebbero dovuto affrontare.

Si lasciò ricadere sulla sedia di legno, spizzicando le fette biscottate sbriciolate sul piatto. Lo sciabordio dell’acqua del rubinetto cessò, portando via con sé la quiete faticosamente ritrovata. Dae, appoggiato al lavabo, lo scrutava da sotto il ciuffo biondo platino come una madre alle prese con un figlio troppo ribelle.

-Il maknae parla troppo.- si difese senza nemmeno attendere un rimprovero. Era tipico di Dae non partecipare alla discussione per poi, privatamente, fare il cazziatone. E la cosa incredibile era che quel ragazzo non si arrabbiava mai, era di una placidità sfiancante, dotato di un controllo e un’ amorevolezza da far invidia alla mamma dell’anno. E non lo avrebbe mai ammesso, ma in quel momento gli fece piacere ritrovarsi da solo in cucina con lui.

Ma tutto ciò che fece D-Lite fu sospirare stanco e scuotere la nuca mentre si asciugava le mani sul panno da cucina –Ti ricordi quando alcune Vip dissero che, a primo impatto, mettevi loro soggezione?- Top annuì, nascondendo le labbra dietro il pugno –Eri così abbattuto che, dopo quel servizio, uscimmo di nascosto dall’appartamento per andare a comprare il gelato- un sorriso spuntò sul volto ora più rilassato di Seung-Hyun che, silenzioso, rimuginava su quanto gli era appena stato detto. Ok, messa così sembrava quasi un bambino capriccioso, una ragazzina incapace di accettare le critiche o i commenti negativi, ma il senso non era quello. Era che lui stesso si era sentito mortalmente vittima del proprio sguardo un po’ troppo tagliente, un po’ troppo affilato. Della sgradevole sensazione di venir additato a priori come il bastardo del quintetto solo perché aveva quel modo un po’ serio di starsene in pubblico –Ecco, perché non pensi a questo?- propose prima di sparire dietro la porta della propria camera, lasciandolo in balia delle proprie paturnie. E adesso cos’era quel discorso lasciato a metà? Cos’era quel rimprovero bonario capace di scuoterlo internamente più di quanto avesse dato a vedere? Sbuffò. Forse si erano tutti ammattiti, non c’era spiegazione plausibile che potesse fargli cambiare idea… O, forse, era lui non aveva voglia di guardare oltre, spaventato da ciò che avrebbe potuto affrontare. Magari ciò che avrebbe trovato non gli sarebbe piaciuto affatto…

 

Dae rientrò in cucina -Seung-Hyun, tra un’ora partiamo. Vai a cambiarti.-

 

Già, sì, era così… Non gli sarebbe piaciuto affatto.

 

********

 

L’occhio nocciola aperto e appannato fissava il terribile cellulare che, sul comodino, continuava a vibrare incessantemente. Fu un martirio di pochi secondi, quello che rapì Lindsay Moore dal mondo dei sogni, risbattendola nella triste quotidianità della propria vita. Ed era davvero triste, eh! Quasi da piangere, a dire il vero. Perché c’era la camera che era un vero e proprio campo di battaglia e aveva la sensazione che Chyoko sarebbe morta se solo avesse gettato un’occhiata curiosa in quella che, una volta, era una stanza immacolata; c’era il vociare concitato dei vicini che, in giardino, continuavano a ridere sguaiatamente; c’era la testa vorticante, accompagnata a braccetto da un’emicrania pulsante; c’era Minji che, in corridoio, continuava a cantare a squarciagola le canzoni dei cartoni animati…

 

Welcome to the Jungle

We got fun n' games

We got everything you want

Honey, we know the names

 

E c’era la suoneria che ricominciò a trillare imperterrita. Con la bocca premuta sul cuscino liberò quella aggraziata parolaccia che da minuti ormai era rimasta aggrappata alle sue tonsille, spandendosi nell’aria. Si puntellò sul braccio, guardò ad occhi socchiusi il display e, con un tonfo, si lasciò cadere di schiena sul morbido materasso dopo aver recuperato l’apparecchio. Mise a fuoco e con uno sbuffo, maledì chi aveva deciso di svegliarla da quel magnifico sonno ristoratore. Tossicchiò, cercando di apparire tranquilla mentre premeva la cornetta verde –Ciao, Ginko.-

Ci fu silenzio dall’altra parte prima che la voce stridula le martellasse il timpano con il suo –Ciao Lin!- che superava inumanamente la soglia dei Decibel consentita -Ti ho svegliata?- la sua vocina fu un soffio spaurito, come se temesse di venir mangiata attraverso la cornetta.

La ragazza gettò un’occhiata all’orologio da muro: le 11.15. Si passò una mano sugli occhi –Stavo per alzarmi- mentì, conscia che la ragazzina se avesse saputo la verità, sarebbe morta. O peggio, sarebbe caduta in brodo di scuse interminabile –Avevi bisogno di qualcosa?- sorpresa di quella improvvisa chiamata, la Moore optò per alzarsi dal letto, evitando di addormentarsi al telefono, e gironzolare per la stanza nel vano tentativo di acquistare un briciolo di lucidità.

-Oh, nulla di importante!- pigolò allegra. Ma perché diavolo chiami allora?! Si massaggiò una tempia prima di scuotere la nuca. Quell’uragano di entusiasmo a volte era davvero un’incognita. Si chiese se nell’androne del suo cervello le celluline grigie lavorassero oppure stessero dandosi battaglia a Mario Kart –Dovevo dirti una cosa. A proposito del signor Yoon…- la frase lasciata in sospeso fu il colpo di grazia. Che avesse scoperto della Coca Cola in faccia a quel coglione dai capelli azzurri? Già… Quel demente di un cantante coreano che, come una malsana droga, si era insinuato nelle crepe più profonde della sua mente, rendendola indisponente al solo ricordo del suo volto sempre imbronciato. Incredibile come un coglione tra tanti potesse tirare fuori il peggio di lei; da che ricordasse, nessun newyorkese era mai riuscito a penetrare nella sua mente per così tanto tempo e soprattutto in maniera tanto marcata e deleteria. Perché quel ragazzo aveva la sbalorditiva capacità di farsi odiare con poche parole, doveva dargliene atto.

-Sono licenziata?-

-Nh, cosa? Nonononono! Perché dovresti?-

-Per la Coca Cola.-

-Per cosa?-

-Ma sì, per quel tizio, Tip- la sentì mormorare un Eh? velato di confusione –O era Top? Boh.-

Silenzio, poi il suo commento serio serio -Stamattina sei piuttosto lenta. Sicura di non essere ubriaca?- la sua risatina la mise in tentazione di chiudere quella chiamata priva di alcun significato, ma prima che potesse anche solo avvicinare il pollice al tastino rosso, ecco che la ragazza riprese a parlare –Il signor Yoon vuole che ti dia alcuni vestiti per le serate a tema del Tribeca. Sai, alcune vengono spesso riproposte e dice di non voler spendere soldi per cose che abbiamo già in magazzino.- tralasciò il fatto che quell’uomo spendesse soldi per stronzate ben peggiori come lo stipendio del coreografo, un idiota che tramutava in realtà le proprie perversioni, visti i balletti da film porno che propinava ai clienti e si concentrò su ciò che la ragazza aveva appena detto. Ma perché quel locale non adottava una divisa normale come tutte le altre discoteche?

-Tutto qui?- sbrodolò seccata, avvertendo uno squittio dall’altra parte. Si morse la lingua, maledicendosi per la propria sgradevole impulsività –Scusa, stasera non ho dormito e sono piuttosto stanca.- ed ecco che Kamikaze partì in quarta con le scuse, come da copione. Tuttavia, Lin si stupì di non provare fastidio nel sentirsele rivolgere, come se per qualche strana ragione non potesse provare disturbo quando si trattava di quella nana saltellante. Ginko era talmente buona che volerle male significava commettere un peccato o qualcosa del genere.

-Oh, sai cosa ci vuole in questi casi?- c’era eccitazione nella sua voce ora più festosa –Una bella tazza di the!-

-Non era il caffé?-

Un Bleah! nemmeno lontanamente trattenuto giunse con disgusto –Il caffè rende i denti gialli e ti tiene sveglia la notte! Io ho smesso perché mi rendeva troppo esuberante!- probabilmente doveva essere ancora in circolo nel suo minuscolo corpo, si ritrovò a pensare con un sopracciglio arcuato, chiedendosi come fossero state capaci di passare da dei vestiti da bagasce –perché sapeva che sarebbero stati da bagasce- al caffè. Misteri della parlantina di Ginko. Sentì un mugugno di sottofondo, poi la sua voce arrivò velata di incertezza –Mmm, senti, molti vestiti li ho a casa mia… Ti andrebbe di venire qui per una tazza di the?-

-Alle 11.00?-

-Mia nonna dice che c’è sempre spazio per il the!-

-La mia diceva di stare attente che al mulino ci si infarina.- scosse la nuca al pensiero che le due donne fossero su binari completamente diversi di demenza, evitando accuratamente di fornire spiegazioni ad una Ginko che non aveva colto il messaggio implicito e malizioso di quella perla.

-Quindi vieni?- le sembrava che stesse trattenendo la frenesia, come se così potesse spaventarla. Ma davvero aveva la parvenza di un Pokemon selvatico?!

-Non vorrei disturbare.- tergiversò.

-Oh, nessun disturbo! Tanto sono sempre sola in casa!- la tonalità era la stessa, briosa e raggiante, ma Lin vi colse una nota di avvilimento, un tremore che svegliò il senso di colpa sopito nel sottoscala del proprio cuore. Perché quella ragazza, per quanto vivace e circondata di gente, per quanto illuminasse le stanze semibuie del Tribeca con il proprio sorriso smagliante, per quanto continuasse a ripeterle che la vita era forse la cosa più bella che avesse –che detta in mezzo alle birre e alla Vodka la faceva sembrare un’alcolizzata che tiene una conferenza-, per quanto si ostinasse a tirarle le guance pur di ricordarle che doveva sempre sorridere ai clienti, le dava l’impressione di essere sola. Sola e triste. Proprio come lei… -Allora, ti va di venire?-

Lin si massaggiò la folta nuca, giocherellando con la punta della lunga treccia laterale che terminava il proprio percorso alla vita sottile, pensando seriamente a cosa fare. Perché non aveva voglia di imbucarsi in casa di una semi sconosciuta che aveva il vizio di scoccarle un sonoro bacio sulla guancia quando la vedeva entrare dalla porta principale del locale, perché Chyoko aveva sicuramente messo qualcosa sul fuoco e le sembrava scortese dileguarsi senza mangiare nulla. Ma oltre a questo, c’era la netta impressione ormai divenuta una certezza, che andare a casa di Ginko significava dare il via a quella che, alla lunga, sarebbe potuta diventare un’amicizia. E Lin era un’asociale cronica, inabile nel gestire certe situazioni che richiedevano una buona dose di sincerità e rispetto. Assolutamente incapace di amare, fortemente decisa a non volersi lasciar amare, così l’aveva descritta sua madre in uno di quei suoi stupidi saggi di psicologia vertente sugli adolescenti.

E fu lì che avvertì qualcosa spezzarsi, come un desiderio represso di voler, almeno una volta, dimostrare il contrario. Per sentirsi meglio. Per far tacere Emily e le sue parole di ghiaccio. O quelle rassegnate di Mark. Per zittirli, semplicemente. Guardò la camera immersa nel caos, l’mp3 attaccato al caricatore, la tracolla che giaceva vicino alla porta e il proprio viso riflesso nello specchio, trovandosi più inguardabile del solito. E quel quesito che sottintendeva la sua accettazione, scappò alle proprie labbra senza aver bisogno di venir ponderato –Posso avere del caffè?-

Ginko saltò -Non tengo quel demonio nella mia credenza!- si ostinò –Però ho il the verde! Fa schifo uguale!-

Sorrise –Vada per il the verde.-

-Ah, grazie, grazie!- cinguettò Kamikaze –Passo a prenderti tra mezz’ora! Dammi l’indirizzo!- Lin portò i capelli all’indietro mentre una risata sfuggì al proprio controllo. Quella ragazza era peggio di un vulcano, non poteva combatterci contro. Era così diversa dalle pseudo amiche che aveva abbandonato senza alcun rimpianto a New York… Si guardò ancora allo specchio, un sorriso spontaneo sbocciò. Non le dispiaceva più così tanto ciò che vedeva.

 

***********

 

Gironzolava con noia per i corridoi della YG, salutando svogliatamente gli impiegati che bazzicavano in quelle zone. Una mano alzata, un gesto fluente e privo di allegria che li faceva desistere dall’anche solo pensare di cominciare una conversazione. Chiacchierare con loro rappresentava una futile quando dispendiosa perdita del suo preziosissimo tempo che avrebbe potuto impiegare in cose assai più appaganti. Come tormentare Ri, ripetendogli quanto dubbioso fosse sulla sua nuova fiamma, una ragazzina minuta conosciuta in un negozio di dischi. E vederlo crogiolarsi nell’angoscia che lei stesse con lui solo per la fama era un sublime piacere. Eh, beh, lui ci azzeccava sempre su queste cose… Comunque, se non si fosse capito, Ji Yong era parecchio giù di corda e sembrava che niente fosse capace di poterlo rallegrare…

-A stasera, Seung-Hyun!-

O, forse qualcuno che poteva fargli passare cinque minuti di gioia c’era.

Vide la segretaria del big boss chiudere la porta della sala registrazioni, rivolgendogli un enorme sorrisone prima di sparire dietro la porta che conduceva agli uffici. Il ragazzo mosse il capo in segno di saluto e,  rinvigorito dal solo udire quel meraviglioso nome, si diresse fino alla sala che, sapeva, conteneva il suo giocattolino. Un ghigno gli increspò le labbra quando posò la mano sulla maniglia, abbassandola, aprendo la porta…

 

FA-VO-LO-SO. Assolutamente fantastico!

 

Lì, vicino al computer accesso dalle cui casse usciva la musica di Eminem, in tutta la sua stupenda collera sedeva la sua cavia preferita, l’unico essere umano capace di divertirlo con la sua sola esistenza: Choi Seung-Hyun… Per di più visibilmente incazzato. Decisamente splendido.

Si assicurò che nessuno scocciatore potesse interrompere il suo teatrino, ma Top era la sola anima lì presente. Ottimo! Le danze potevano avere inizio. Il ragazzo sembrava non essersi accorto della sua entrata in scena e Ji Yong ne approfittò per studiare la scena, proprio come un leone si acquatta fra le piante nel tentativo di azzannare la preda, ignara della sua presenza. Non gli ci volle molto per comprendere come l’amico fosse su un altro pianeta e senza indugio, si premurò di farlo tornare tra loro -Oh, Hyun, cercavo proprio te.- lo richiamò mellifluo. Una scusa banale, un pretesto trovato per caso. Si avvicinò con passo cadenzato, l’angolo destro delle labbra guizzante all’insù e le mani nelle tasche posteriori degli scintillanti pantaloni rossi. Nella mente, un unico costante pensiero: assolutamente strabiliante la totale incapacità dell’amico di nascondere il proprio disappunto nel trovarselo tra i piedi. Perché Top era un libro aperto e… Ah, che scemo, Top era IL libro aperto per eccellenza, l’unico capace di trasmettere talmente tante emozioni da non stancarlo mai. Si fermò a qualche centimetro, prendendosi tutto il tempo del Mondo per studiare la sua figura incassata sulla sedia, chiaro segno di disagio incipiente.

Top fece scorrere il pollice sulla rotellina dell’Ipod, sbuffando un tediato -Che vuoi?- che era risuonato rauco e basso, quasi supplicante se solo ci avesse prestato veramente attenzione. Incredibile però come alle proprie orecchie quel Che vuoi?, fosse giunto cristallino e piacevolmente ascoltabile, quasi un invito ad accoglierlo a braccia aperte in una delle loro solite conversazioni. E il ghigno che gli deformò le labbra sottili, fu incontrollabile.

GD trattenne a stento la contentezza -Dimmelo tu- borbottò spelucchiandosi la maglietta bianca a stampe rosse; il rapper gli rifilò un’occhiata confusa. GD gonfiò le guance; uffa!, se però non arrivava alle soluzioni più elementari, il gioco sarebbe stato ingustabile! Magnanimo come non lo era mai stato, gli concesse l’input per quel gioco dell’oca pomeridiano -Sembri piuttosto incazzoso nelle ultime settimane.-

Vide le sopracciglia di Top formare un arco perfetto prima che la sorpresa venisse sopraffatta da un’espressione mortalmente tetra. Il più grande si sistemò sulla sedia girevole della scrivania guardandolo di sottecchi, posando il mento sul palmo aperto mentre tornava a guardare l’Ipod -Come se non lo sapessi.- bofonchiò stizzito, rinchiudendosi nel proprio mutismo.

Ah, quale gioia per i suoi occhi stanchi quel Seung-Hyun in versione uomo d’un pezzo che non doveva alcuna spiegazione! Era di una banalità sconcertante, eppure attraente. Insomma, per quanto a volte Top figurasse come l’idiota per eccellenza, non poteva non trovarlo smisuratamente spassoso!

Ji Yong si dondolò sulle punte, inclinando il capo -Sapere cosa?-

Seung-Hyun sbatté le palpebre, rivolgendosi a lui con sguardo allibito -Del perché sono incazzato!-

-Ah, quindi lo sei?- sporse il labbro inferiore, continuando a dondolarsi sulle punte nel tentativo di non scoppiare a ridergli in faccia. Eppure era un’impresa troppo ardua perfino per un tipo controllato come lui. Insomma, sul suo volto olivastro vi si potevano leggere le più disparate emozioni che il cuore gli si riempì di commozione. Solo Top poteva lasciar trapelare tutto ciò che provava senza bisogno di esprimersi a parole. Bastavano i suoi lineamenti contratti per descrivere il disagio, i suoi occhi allungati e taglienti per descrivere la collera… Bastava questo e poco altro per rendere GD l’uomo più felice sulla Terra.

-Lo hai appena detto tu!- lo indicò –Tu hai appena detto che sono incazzato!- un gesto secco, un chiaro segnale affinché desistesse dal continuare. Ma lui era un osso duro.

GD scosse la nuca –Ho solo detto che lo sembri.- puntualizzò con pignoleria e un pizzico di sdegno, vedendolo massaggiarsi le tempie. Perché se c’era una cosa che Ji Yong non sopportava, era che la gente attribuisse significati errati alle sue parole. Per esempio, dal suo logicissimo punto di vista, sembrare ed essere erano due linee parallele che mai si sarebbero incontrate: il primo caso avrebbe potuto significare che la sua attenta analisi andava revisionata, una pecca assolutamente disdicevole; nel secondo caso, invece, significava solo e unicamente: divertimento allo stato puro.

-Sembri trovare divertente questa situazione.- scagliò quelle parole con rinnovato rancore, deliziandolo con un’imprecazione a mezza voce. Una goduria per le orecchie.

-Allora, probabilmente è così.- confessò serafico, alzando le spalle.

-Sì, solo per te lo è.-

-E cosa c’è di male?- chiese fintamente curioso. Del resto, lui era conosciuto per non essere un chiaro esempio di crocerossino.

-Lascia perdere.- si arrese immediatamente, concentrandosi nuovamente sull’Ipod.

Oh, no che non lascio perdere Quindi te la passi così male?- evidenziò con un sorrisetto, continuando a scrutarlo con quei suoi occhi felini. Seung-Hyun portò le mani fra i capelli turchesi, probabilmente scosso dalla sua continua ostinazione –Sai? Dovresti parlarne. Magari ti farà bene!- trillò candido.

Top ci ponderò su, poi agitò le mani tornando a guardar scorrere i titoli -Nh, nulla che ti riguardi.-

GD sbuffò, imbronciandosi. Odiava quando tentavano di ostacolare in maniera tanto noiosa i suoi giochetti –Amico, siamo come fratelli! Ciò che riguarda te, è anche affar mio!- lo fissò ad occhi larghi, aspettandosi seriamente una confessione da parte sua. Perché, volente o nolente, Seung-Hyun finiva sempre col partecipare alle sue maratone. E con serietà ammirevole, per di più!

-Ji Yong, non è niente. Sono solo stanco- si massaggiò la fronte con il pollice e l’indice –Ultimamente non riesco a dormire bene.-

-Oh, sì, Tae mi ha accennato qualcosa- mormorò vago, vedendolo annuire –Ha parlato di incubi…-

-Che palle! Non erano incubi!-

-E di una caraffa del latte…-

-Quello stupido di Dae sa che odio il latte!-

-E della mamma di Ri, che parla di matrimoni tra chi si odia- silenzio, chiaro segnale di preparazione allo scossone definitivo -E di America.- gli rivolse un sorrisetto compiaciuto, stupendosi non poco di aver gettato la bomba con così tanta facilità. Perché il discorso era venuto da sé, senza costrizioni, senza che dovesse adottare uno dei suoi soliti metodi coercitivi –alias luuuunghe corse ad ostacoli con domande trabocchetto-. Con pura e genuina semplicità. E in quel preciso istante, nel pronunciare quel soprannome apparentemente insignificante, qualcosa di assolutamente estasiante avvenne: Seung-Hyun, se possibile, divenne ancora più incazzoso. Era incredibile come un semplice continente potesse fare tanto…

-Perché vi ostinate tutti a parlare di lei?- tuonò rauco, stringendo l’Ipod nella mano. Il disprezzo aveva corroso i suoi lineamenti e GD si maledisse per non aver portato con sé una macchina fotografica. Avrebbe potuto immortalare quel sublime momento di crisi mistica di Top e poi riguardare lo scatto nei momenti bui delle sue noiose giornate. Dovette però limitarsi a imprimere quell’immagine nella memoria, sperando che non svanisse mai.

-Ma noi non ne stiamo parlando- pensoso, si avvicinò al muro, appoggiandovisi contro –Ho solo detto che Tae mi ha detto qualcosa che riguarda lei e te.-

Lo vide storcere il naso –Me e lei… Dio, che brividi!- frusciò sfiancato, agitando le mani –Possiamo non parlare di quella? Ah, che strazio!- nascose le labbra dietro la sciarpa bianca a con tanti picche neri minuscoli, borbottando come una teiera –Senti, oggi non è proprio giornata.- tagliò corto, scoccandogli un’occhiata torva.

Ji Yong sospirò polemico –Con te non è mai giornata.-  

Renegade smise di ammorbargli le orecchie e il silenzio li avvolse, leggero. Solo la rotellina che veniva mossa dal pollice dell’amico creava un soffuso brusio di sottofondo, mischiato al rumore di tacchi di alcune impiegate che passavano nel corridoio. Fu solo dopo qualche minuto che l’amico lo fissò seccato, poggiando l’Ipod sulla scrivania –Si può sapere cosa vuoi?-

Gonfiò le guance –Sembra che tu non mi voglia con te.- dribblò la domanda, vedendolo roteare gli occhi per quel suo atteggiamento infantile.

-Cosa vuoi?- domandò ancora, esasperato –Se sei qui per me, sappi—

GD scosse l’indice –A dir la verità non sono venuto qui per te.- mormorò dopo qualche secondo, guardandolo con la coda dell’occhio.

-E allora che sei venuto a fare?-

Mi annoiavo! -Mmm, volevo darti una notizia.- replicò pacato, giocherellando con le catenelle appese alle tasche dei pantaloni. Top fissava il loro tintinnio ipnotico, scuotendo un poco la nuca prima di lasciarsi sopraffare dalla curiosità

-Che notizia?-

Il leader ghignò internamente, ormai al settimo cielo nel constatare che, qualsiasi cosa facesse o dicesse, Top era sempre alla ricerca estenuante di risposte alle sue allusioni. Perché se fosse stato saggio –più del solito, almeno- se la sarebbe data a gambe, avrebbe cercato qualche cosa da fare. Ma non sarebbe rimasto a parlare con lui. Nessuno sano di mente lo avrebbe fatto e solitamente, le persone davano forfait a nemmeno un terzo della gara; ma Seung-Hyun era una delizia ed era sempre un piacere scoprire che decideva di propria spontanea volontà di non abbandonare i giochi a metà percorso. O, magari, gli sembrava maleducato andarsene nel bel mezzo di una fitta conversazione. Ma l’importante era averlo lì, giusto per prolungare le proprie angherie psicologiche. GD arricciò le labbra -A dir la verità non è una buona notizia. Almeno, per me è orribile- mugugnò assorto, lasciandosi scivolare lungo la parete, crogiolandosi nella propria sofferenza. E, prendendosi del tempo per pensarci su davvero, quella non era affatto una buona notizia. Anzi, era da catalogarsi come catastrofe! Un disastro senza precedenti, ecco.

Sorrise appena. E pensare che, quando era entrato da quella porta con la semplice voglia di giocherellare un po’ con la sua mente, nemmeno aveva preso in considerazione l’idea di accennargli di questo piccolo sfacelo.

Top, di fianco a sé, fremette -Ma che notizia?!- strepitò sull’orlo di una crisi di nervi, probabilmente spazientito dalla sua lunga meditazione.

Ji Yong si risvegliò, sospirando -Oh, ma se te lo dico così che gusto c’è?- decise di lasciarlo sulle spine, godendo dell’espressione corrucciata che aveva adombrato il suo viso dai lineamenti marcati. Distese le gambe, recuperò il cellulare dalla tasca e lanciò un’occhiata al display: cinque messaggi gli stavano intasando la memoria e, senza nemmeno aver bisogno di aprirli, sapeva che si trattava di ragazze che richiedevano la sua sdolcinata attenzione. Mmm… Ora la domanda era: a chi rivolgere le proprie svagate attenzioni? Il rapper, nel mentre, aveva cominciato a muovere nervosamente una gamba prima di biascicare qualcosa sul fare domande e poi non spiattellare le risposte. GD si lasciò andare all’ennesimo gesto caritatevole –Posso darti un indizio però, se ti va.- lasciò in sospeso la frase, dando una sbirciata al primo messaggio. Era Haruko. Diamine, ma esisteva ancora?

Ci fu una pausa –Sentiamo…-

GD aprì il secondo messaggio. Asami… Asami… E questa mo’ chi era?! Cancellò il messaggio -C’entra la tua amica.-

Sbatté le palpebre -La mia amica?-

-Certo- sogghignò civettuolo –La new entry!- lo aveva detto con gioia, un entusiasmo che avrebbe dovuto contagiarlo ma, invece, portò solo un freddo polare capace di congelargli il sangue nelle vene. O almeno, avrebbe dovuto. Perché quando GD cancellò il messaggio di Kiko, l’espressione che si parò davanti ai suoi occhi fu talmente tanto deliziosa da rasentare un miracolo: gli occhi scuri di Seung-Hyun erano larghi e sbarrati, le labbra erano serrate e la fronte sembrava essere solcata da miliardi di dune di sabbia tanto era corrugata. SU-BLI-ME. Ma allora Top non era completamente rincoglionito quella mattina se, senza nemmeno fornirgli ulteriori indizi, era riuscito a scovare il, o meglio, la protagonista di quella loro conversazione!

-Non azzardarti a--

 –Lindsay Moore.- lo aveva solo soffiato, ma per l’amico doveva essere stato come una bufera di soffice neve. GD cancellò il quarto messaggio senza nemmeno prendersi la briga di vedere chi fosse il mittente. Come poteva perdere tempo nel leggere quelle frasette striminzite e per nulla accattivanti quando il secondo miracolo nell’arco di venti secondi si stava compiendo davanti ai suoi occhi ora colmi di gioia?

Top era immobile, una statua di cera dalle guance incavate, gli occhi talmente tanto assottigliati da parere due linee orizzontali, il fiato trattenuto. E tutto perché il nome Lindsay Moore era risuonato nella sala come se nulla fosse –Quella non è mia amica.- si guardò bene dal rivolgergli anche solo mezza occhiata, digrignando i denti nel sentirsi circondare dalla sua risata sciocca.

Lo ignorò - Ma non sei curioso di sapere qual è la notizia?-

-Non me ne frega più niente!- si impuntò come un bambino, mettendosi a braccia conserte.

-Ma avevi detto che ti interessava!- sbatté le mani sulle ginocchia. Ancora un po’ e crolla…

-Se riguarda quella stronza no, non me ne frega niente!- ripeté caustico, troncando ogni possibilità di conversazione.

Fu in quel preciso istante che GD optò per la psicologia inversa, conscio che l’amico avrebbe abboccato all’amo con tutta la brillantina per i capelli turchesi. Alzò allora le spalle, guardando il soffitto –Oh, peccato, perché sono sicuro che ti avrebbe reso felice.-

-La smetti con questi giochetti?!-

GD sobbalzò a quel gracchio poco elegante, mal celando divertimento –Quali giochetti?-

-Queste tue stronzate. Avanti, dimmi qual è la notizia e finiamola qui! Mi avete già rotto abbastanza le palle con quella megera.- aveva esalato tutto in apnea, senza prendere fiato, come se così facendo la risposta sarebbe potuta essere meno orrenda.

-Allora ti interessa.-

-Ma che cosa, dannazione?!-

Ti interessa sapere se America verrà alla festa oppure no?- si compiacque della propria maestosa capacità di saper tirare dal cilindro tutte queste belle penitenze per sottomettere i giocatori. E, come da previsione, la lieta novella fu per il più grande un vero e proprio giubilo, una di quelle cose che valeva la pena festeggiare, magari offrendo da bere agli amici. Come trovare un nuovo lavoro, come prendere la laurea, come dare il primo bacio alla ragazza che persisteva ad occupare i sogni più reconditi… Come se tutte le cattiverie potessero sparire con quella confessione.

-Non viene?- vide il suo volto illuminarsi.

-Ho detto se- sventolò il telefono –Mancano ancora cinque giorni. Potrebbe sempre cambiare idea.-

E come da copione, il ragazzo si gettò a capofitto in commenti non richiesti ma che permettevano al gioco di protrarsi -Meglio che non mostri la sua brutta faccia a casa nostra.- sentenziò inflessibile.

-Brutta faccia?- prese una pausa –I ragazzi la trovano piuttosto carina.-

Seung-Hyun era allibito, sdegnato -Assurdo… Come possono reputare carina quella sottospecie di protozoo con le proprietà lessicali di un camionista in coda da tre ore in autostrada, sotto il sole cocente e senza aria condizionata?- Delizioso, divino! Una crisi isterica coi fiocchi! -Va bene che Ri ha il gusto dell’orrido, ma questo supera i limiti della fantasia!- aveva alzato le mani al cielo, in maniera talmente tanto teatrale da suscitare la sua ilarità.

Quindi, tu la trovi brutta.-

Il tic prese a far tremare l’occhio destro -Non ho detto questo.-

-Hai detto brutta faccia- soppesò, annuendo -Quindi la trovi brutta.-

Si stropicciò il volto –E’ un modo di dire.- abbassò il capo. Secondo colpo di grazia.

-Quindi pensi che sia carina!-

-Ma di che Diavolo stiamo parlando?!- sbatté le mani sui braccioli, perso ormai in quel labirinto di domande insensate a cui non riusciva più dare un senso logico –Siete voi che la trovate guardabile! Io non ho detto nulla!- una smorfia di disgusto corrose i suoi lineamenti già induriti dalla tensione.

GD scoccò la lingua –Ho detto che i ragazzi la trovano carina, non io.-

Aprì le braccia -Parlare con te è impossibile.-

-Oh, così mi ferisci!-

-Fottiti.-

-Aha, dopo di te.- lo sentì imprecare, poi appoggiò la nuca contro il muro. Cancellato il quinto messaggio, nulla era rimasto su quel display. Beh, si era aspettato davvero un suo messaggio o una sua chiamata? La risposta era: sì. Lei avrebbe chiamato. E solo per dargli notizie positive. Ed era quello che, da una settimana a quella parte aveva continuato ad alimentare il suo malumore: la possibilità che Lindsay Moore decidesse di non partecipare alla festa. Perché si sarebbe annoiato, lo sapeva. Oh, per carità, la sua intenzione non era quella di scambiarci qualche parola di troppo e magari concludere la serata in branda con lei, certo che no! Ma vogliamo mettere il raro evento di assistere ad uno scontro all’ultimo sangue tra la mangusta e il serpente? Al solo pensiero, la speranza ricominciava a brillare!

Giunti a quel punto, GD poté ritenersi soddisfatto. Aveva spremuto il cervello dell’amico come un limone e, in questi casi, Seung-Hyun se ne restava a crogiolarsi in silenzio probabilmente a chiedersi cosa avesse detto in quelle loro discussioni. Ma per la prima volta, lo stupì -Sei esasperante, sai? Possibile che ogni dannata conversazione termini con quella deficiente? Che diavolo di incantesimo vi ha fatto, si può sapere?- pregne di disprezzo, le parole giunsero scandite e pesanti, come se fosse un affronto alla sua persona trovare simpatica una persona che non gli andasse a genio. E, occhi spalancati, sopracciglia arcuate e palese incredulità, Ji Yong si ritrovò in silenzio. Per la prima volta, fu incapace di replicare. Perché era una domanda banale che necessitava di una risposta altrettanto futile. Ma, per un istante, gli parve difficile. Perché Lindsay Moore doveva possedere qualcosa di assolutamente speciale se era riuscita a diventare un’incredibile incubo per un ragazzo coi piedi per terra come Seung-Hyun, capace di scuotere il suo mondo così tanto, arrivando a provare disprezzo e odio senza nemmeno averla conosciuta nella sua interezza.

Questa scoperta, rinnovò il suo desiderio di assistere allo scontro…

E prima che potesse anche solo rendersene conto, si ritrovò a riempire il silenzio con la propria voce assorta -Certe persone sono così, sai? Ti entrano dentro senza che tu possa nemmeno accorgertene, un’ossessione che prende forma piano. E quando te ne capaciti, è troppo tardi.- aveva parlato con sincerità, stupendosi di aver condiviso con qualcuno quell’esperienza di vita. Ma Top non era molto efferato nel cogliere le sottili sfumature e i vaghi consigli sparpagliati fra le sue parole cadenzate e lo sguardo colmo di confusione che gli regalò, gli diede ragione.

-Che vuoi dire?-

Una risata venne trattenuta e senza dilungarsi oltre, si mise in piedi –Niente di importante- portò le mani in tasca -Beh, sarò meglio che vada. Non fare tardi, stasera abbiamo una cena con il big boss.- gli rammentò tediato, trattenendo uno sbadiglio mentre zampettava verso l’uscita, sventolando la mano.

-GD…- lo richiamò con stanchezza; avvertì il suo sguardo sulla propria schiena, ma non si volse –Si può sapere cos’hai in mente?-

E quando lo fece, non poté più trattenersi… Era un sorriso dolce ma al contempo raccapricciante quello che gli aveva illuminato il volto, di quelli potenti che avevano la strabiliante capacità di far scorrere i brividi di terrore, di gelare il sangue nelle vene, di far sentire la gente come cavie da laboratorio –Non lo so- disse la prima cosa che gli passò per la mente, dando poi voce a quella che, alla fine, era la verità –Ma era da tempo che non mi divertivo così.-

 

Chiuse piano la porta, lasciando dietro sé un fugace cigolio, appoggiandovisi contro. Un sorriso di beatitudine comparve sul viso sottile, come sempre del resto quando terminava di giocare con il suo Top. Sembrava finalmente che, dopo tanti mesi di tedio, fosse arrivato un nuovo passatempo che, lo sapeva, non gli avrebbe portato altro che felicità. Una gioia smisurata, immensa!

Choi Seung-Hyun e Lindsay Moore…

Lanciò in aria il cellulare, lo recuperò e lo mise in tasca, staccandosi dalla superficie di legno, indirizzandosi verso la palestra.

Ghignò. Ci sarebbe stato da divertirsi.

Eccome se ce ne sarebbe stato.

 

*****

 

L’appartamentino di Ginko era… Stravagante. Quadri vintage, scacciapensieri e fiori adornavano il piccolo salotto color rosa pesca molto pallido, infondendole una gradevole sensazione di confortevolezza che, da tempo ormai, le mancava. Numerose foto riempivano le pareti color giallo canarino, tanto da far apparire il piccolo salotto un museo del passato della famiglia Fujii.

Posò sul basso tavolino davanti a sé la tazza di the verde ormai vuota. Ginko aveva ragione: faceva proprio schifo.

La padrona di casa, dissoltasi a metà chiacchierata sostenuta più che altro da lei, ricomparve con un saccone più grande e grosso di lei -Questi dovrebbero andarti!- mise in mostra alcuni vestiti oscenamente vistosi: ce n’era uno da Cappuccetto Rosso, un altro da Odaliska… Quello da suora sexy, poi, era qualcosa di assolutamente blasfemo –Era della serata Sia lodato il Signore! Quanti bei ricordi!-

-L’ospite d’onore era Ratzinger?- esalò stralunata, stiracchiando le labbra quando la vide piegare tutti gli abiti e porli in bustone enorme.

Il signor Yoon mi ha chiesto di custodirli in attesa della nuova cameriera- le rivolse un sorrisone enorme prima di adagiare il bustone ai suoi piedi. Lin si piegò, ravanando nella sacca. Aveva intravisto un vestitino da piratessa hard… Pregava di aver scorto male –Senti, posso farti una domanda?- e prima che potesse darle il permesso, quella era partita per la tangente –Come mai tutti quei tatuaggi? Insomma, sono davvero tanti!- si sporse per scrutare le braccia su cui svettavano indelebili le scritte e le immagini.

-Mi piacevano.- non si dilungò in confessioni private. Sapeva che, da lì, sarebbero state poste domande troppo personali.

-Ma li hai solo lì?-

-Nh, uno sul costato e un altro sulla schiena.-

-Oh, sono davvero belli! Peccato che costino troppo. Sai, il mio stipendio va via quasi tutto per l’affitto o la rata dell’università- dondolò i piedi –E poi mia madre mia ammazzerebbe se sapesse che me ne sono fatta uno!-

-Mia madre mi ha tolto la paghetta.- sentenziò lugubre, memore delle lunghe e ostiche litigate che erano conseguite ogni santa volta che scovava la pellicola trasparente avvolgerle la zona incriminata. Sorrise al ricordo del viso di Mark divenire pallido quando li vide per la prima volta. Quello fu il primo ed ultimo viaggio in macchina immerso nel silenzio. La risatina di Ginko accompagnò il suo alzarsi dal divano e recuperare la tracolla.

-Vuoi fermarti per pranzo?- chiese con occhioni enormi, lisciandosi i jeans scuri.

Scosse la nuca –Mio padre mi ha dato il coprifuoco.- ironizzò avvertendo nella mente il suo “Un’ora e a casa, sono stato chiaro? Chyoko non è la tua serva.”

-Oh, sarà per la prossima volta!- trillò al settimo cielo, speranzosa probabilmente che lei ripiombasse a casa sua, magari senza invito. Lin ci pensò su per davvero. Ammise che, quell’ora, non era stata poi così malvagia come aveva creduto per tutto il viaggio in macchina in cui Ginko non aveva fatto altro che parlare, coprendo la musica dell’autoradio –Vuoi un passaggio?-

-Nah, prenderò l’autobus. O andrò a piedi.-

-Come preferisci. Ma fai attenzione- cospiratoria, le puntò il dito contro –Il venditore di rose all’angolo della strada, non conosce il significato della parola no.- d’accordo, Ginko era una demente, non poteva farci nulla. Si limitò ad annuire mentre tirava fuori dalla tasca laterale della tracolla il suo Mp3, facendo cadere con esso un fogliettino stropicciato. Lo aprì, impallidendo quando lesse un numero di telefono. E tutti i ricordi chiusi a chiave negli angoli nascosti della propria mente, l’assalirono prepotenti, mettendole uno strano senso di disagio addosso. Perché quello strambo tizio dai capelli fucsia da un lato l’aveva invitata ad una festa, dicendole di confermare la sua partecipazione o meno, e i suoi amici erano stati tanto carini da volerla con loro che per un attimo era stata tentata di dire . Ma poi aveva incrociato lo sguardo tagliente di quel babbeo dalla chioma azzurra e aveva lasciato perdere. Che poi, se non fosse andata, mica avrebbe fatto loro un torto…

Si avvicinò alla porta, avvertendo lo sguardo di Ginko sulla propria schiena. Si voltò –Sentì, delle persone mi hanno invitata ad una festa.- non lo stava dicendo sul serio…

-Oh, degli amici?- trillò battendo le mani.

-All’incirca… Comunque, mi hanno invitata a questa festa ma non conosco nessuno- prese una pausa, sentendosi osservata –Mi hanno detto di portare un’amica e ho pensato che, se non hai niente da fare, potresti veni-- le parole le si spezzarono in gola quando vide l’espressione di Ginko mutare drasticamente: il viso sottile e allungato era ora tutto incavato, quasi smunto, gli occhi blu erano sbarrati ed enormi e la sua bocca era spalancata. Inutile dire che poté leggervi sorpresa e incredulità ma, beh, si era aspettata tali emozioni nel momento in cui avrebbe rivelato chi le aveva invitate, non nel bel mezzo del discorso. Si grattò la punta del naso lentigginoso mentre morsicchiava le labbra –Stai-stai be—

-Una festa e tu-tu vuoi po-portarci me?- la vide avvicinare le mani alla bocca melodrammaticamente e subito si pentì della sua scelta. Quel terremoto umano avrebbe sicuramente portato solo calamità e sventure, ne era certa. Kamikaze balzò dal cuscino che fungeva da sedia a lei in un nanosecondo, stringendola per la vita sottile in una morsa serrata –Oh, graziegraziegrazie! Come sei dolce, tenera, assoluta—

-Se non ti stacchi, ti lascio a casa.- minacciò con voce stridente e acuta, impreparata a tale gesto di affetto. Era abituata alle ragazze di New York che solitamente, a proposte del genere, si limitavano ad annuire mentre facevano un tiro di sigaretta oppure a belare un deliziato –Certo tesoro, no problema!- che le faceva venire l’orticaria.

La ragazzina si lasciò sfuggire un sospeso –Oh- prima di lasciarla andare e guardarla imbarazzata, trattenendo la gioia mentre portava le mani dietro la schiena –E dimmi, chi sono questi tuoi amici? Li hai conosciuti in giro?-

-Al Tribeca. Sono--

-Oh, ma allora li conoscerò sicuramente anche io!-

-Oh, eccome se li conosci. Sono—

-Aaaah, ma come hai fatto? Lavori lì da poche settimane e già sei invitata ad una festa!-

E senza mezze misure, vanificando la propria vocina che le ripeteva di andarci coi piedi leggeri perché una notizia del genere avrebbe sicuramente provocato la sua morte istantanea, impulsiva come solo lei sapeva essere, si ritrovò a spargere nell’aria un placido -Sono i Big Bang- che fece crollare il mondo sotto i loro piedi. La vide ammutolirsi di colpo, indietreggiare e guardarla vitrea –Li ho pronunciati male un’altra volta? Eppure ero sicura che—

-No, li hai pronunciati bene.- esalò con voce cavernosa, appoggiando una mano contro la parete. Ora muore…

-Quindi verrai?-

-E me lo chiedi?! Certo che vengo!- accettò saltellando sul posto, ripresasi dallo stato catatonico in cui era caduta. Strabiliante… Ci aveva messo poco a riprendersi –Ti ho già detto grazie?-

Sorrise annuendo e lasciandosi con la promessa di lasciarsi truccare in vista del lieto evento. 

 

Salì sul pullman, adocchiò un posto vuoto e si lascio cadere con stanchezza, mordendosi il labbro inferiore mentre stringeva il cellulare che, per via del sudore, rischiava di scivolarle nel corridoio centrale. Forse era una cattiva idea andare. Del resto, perché mai una band così famosa doveva prendersi la briga di invitare lei, antipatica cameriera del Tribeca? Buttò la testa all’indietro. Però ci sarebbe stata Ginko. Sì, Ginko era simpatica, gentile, avrebbe potuto chiacchierare con lei ed evitare sguardi indesiderati. O si sarebbe mimetizzata come solo lei sapeva fare. Sì, poteva andare…

Rigirò il bigliettino fra le dita affusolate, morsicò l’interno delle guance indecisa sul da farsi, nell’altra mano il cellulare rovente. Perfino i tasti sembravano bruciare ad ogni pigiata. E quando avvicinò l’apparecchio, si ritrovò a deglutire nell’udire la linea libera.

Appoggiò la guancia sul finestrino mentre vedeva gli enormi palazzi srotolarsi davanti ai propri occhi nocciola velati di spossatezza.


Tuu… Tuu… Tuu….


Strinse la mano libera intorno alla borsa a tracolla, stropicciando il bigliettino. Forse era meglio chiudere la conversazione, forse era meglio lasciar perdere tutto…


Tuu… Tuu… Tuu….

 

Pregò che non rispondesse, pregò di aver ricevuto il numero sbagliato…

-Ji Yong. Chi parla?-

 

Le cadde la testa in avanti, ricacciando quella sgarbata imprecazione che pendeva dalle labbra carnose. Perché aveva la sensazione di essersi appena infilata in un labirinto tortuoso e impraticabile?

 


 

A Vip’s corner:

Chiedo venia per l’infinità di questo obbrobrio, ma avrei dovuto dividerlo in due e siccome ho una scaletta da rispettare (sì, miracolosamente ho una scaletta xD) non mi andava. Perdonate inoltre la pallosità del capitolo (sì, ormai sto diventando ripetitiva xD) ma vi avverto subito che lo scossone arriverà nel prossimo –già praticamente pronto, va solo sistemato-, quindi non disperate :3 Chiedo scusa inoltre se dovesse risultare frettoloso e pieno di orrori grammaticali :(

Comunque nella sua pallosità non mi è affatto dispiaciuto l’evolversi degli eventi: ho cercato di far vedere che, sotto lo strato di stronzaggine, Lin non è poco così male, abbiamo visto un Top in piena crisi esistenziale e un GD che poi tanto scemo non è (ah, ho amato scrivere la scena dal POV di Ji Yong. Lo sto rendendo così perfido che mi diverto troppo a creare le sue parti ♥). E le sue parole non sono un caso… Cioè, lo descrivo stronzo, però cerco di dare un senso alle vaccate che dice xD

Che dire? So che non risulterà accattivante nemmeno questo, ma nella mia mente tutto deve avvenire per un perché e non mi piace forzare gli eventi per far sistemare tutto subito. C’è tempo per vedere l’amore e lo zucchero nei miei capitoli ;)

Passerei quindi a cose decisamente più importanti: ma ai ringraziamenti, mie care! Sono sempre dovuti e non mi stancherò mai di dimostrarvi il mio affetto per le vostre belle parole *.* Un grazie di cuore a xxarkha, lil_monkey, YB_Moon, MionGD, Myuzu, ssilen, hottina, summerheartbeat e luna_09 per aver commentato così carinamente *.* Mi fate sempre commuovere ç_ç Ditemi se il procedere della storia vi annoia o tiratemi addosso i pomodori se volete, sono pronta a tutto :D

Un grazie millissime anche a tutti quelli che hanno inserito la storia fra le seguite/preferite (il mio cuore lacrima di gioia ♫) e a tutti quelli che leggono ma restano in silenzio :) Posso procedere con la solita campagna pubblicitaria? xD E daiiii, lasciate un commentino se vi va, costa solo un minutino del vostro tempo *.*

 

Alla prossima!

HeavenIsInYourEyes.

 

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Capitolo 6
*** Beyond the wall ***


Capitolo 6

Beyond the wall

 

There's nothing I wouldn't do

To have just one more chance

To look into your eyes and see you looking back.

I'm sorry for blaming you for everything I just couldn't do

And I've hurt myself by hurting you”

-Hurt -Christina Aguilera-

 

 

Premette il tasto pausa dello stereo e portò il cellulare all’orecchio, rispondendo annoiato a quel numero sconosciuto che aveva osato interrompere i suoi allenamenti pomeridiani. Si sorprese di essere riuscito a sentire la suoneria nonostante il frastuono che rimbombava nella stanza vuota…

Sono Lindsay.- un’annunciazione tiepida e velata di incertezza, capace di far sbocciare un sorriso smagliante sul volto stanco e imperlato di sudore. Su cui, a ben vedere, si poteva leggere sorpresa.

E comprese che qualcuno, lassù, aveva fatto in modo che quella miracolosa chiamata non andasse persa. Un piccolo dono di Natale regalatogli con largo anticipo. Ghignò. La voce che udì dall’altro capo del telefono fu il suono più etereo che le proprie orecchie avessero mai avuto il piacere di udire. Perfino più melodioso delle splendide canzoni che componeva.

Sublime. Semplicemente sublime.

Ji Yong, rinchiuso nella palestra della YG per allenarsi sul balletto di Bad Boy, ammise di essere l’uomo più felice dell’intero globo, in quel momento. Prima il gioco dell’oca con Seung-Hyun, ora questa gioia inaspettata. Avrebbe il suo cuoricino retto a tutte queste emozioni?

-Oh, America, che piacere sentirti- mellifluo, mascherò l’entusiasmo con un tono di voce strascicato ma accattivante, evitando che quella potesse interpretare la sua venuta come un disturbo indesiderato. Perché lei era tutt’altro che indesiderata –Hai bisogno di qualcosa?- vago, cercò l’asciugamano, attendendo che lo degnasse di una spiegazione. Oh, non che lui fosse così cieco da non comprendere il motivo di quella deliziosa chiamata, ma tutto quel movimento lo aveva stancato e aveva assoluto bisogno che del sano divertimento rifocillasse le sue fiacche membra. E cosa ci sarebbe stato di meglio se non una bella chiacchierata con la nuova cavia in fase di studio?

Avvertì una pausa dall’altro parte, poi la sua voce giunse come una lieta novella –Chiamo per la festa.-

-Oh, la festa.- soppesò assorto, massaggiandosi il mento. Ah, avrebbe dovuto farsi la barba. Si infastidiva quando avvertiva tutta quella ruvidezza sotto i polpastrelli.

-Già, la festa- le parve leggermente scettica, ma non vi badò –Quella a cui mi hai invitata.- Delizioso, delizioso! Un’ovvia rimembranza fatta ad uno che non dimenticava mai nulla. A parte i nomi delle ragazze con cui usciva, ma quelle erano quisquilie se paragonate ad eventi di tale portata.

-Ma certo, dimmi pure.- la invitò con garbo a continuare, impaziente di sentire la conferma uscire dalle sue labbra.

-Dove si farà? Se mi dai l’indirizzo—

-Quindi verrai?- la bloccò con placidità, crogiolandosi nel suo mutismo. Una domanda banale da cui partire, questa era la regola, poi il gioco vero e proprio.

-Non era chiaro?-

-Nh, tu dici?-

-Se ti ho chiesto l’indirizzo, significa che vengo.- la cavia era gustosamente battagliera e un pizzico di sale avrebbe portato sapore alle sue continue domande. Che gusto ci sarebbe stato se non avesse avuto un po’ di mordente? Si chiese come Seung-Hyun potesse provare odio puro per una delizia del genere. Oh, che scemo. Lui non sapeva guardare oltre la facciata, questo era il problema. Si ostinava a rimanere ancorato alla superficie…

-Quindi vieni- la sentì mormorare un Che palle!, infarcito di seccatura che gli fece sfuggire un risolino spensierato –Verrai da sola?-

-Porto un’amica- storse il naso a quella celere risposta. Pregava che non fosse una timida cozzetta sempre aggrappata alle sottante dello scoglio Moore, altrimenti avrebbe visto vanificati i propri tentativi di far sì che la guerra America-Corea prendesse vita nel salotto di casa propria. Con disappunto evidente, esalò un tediato –Oh- che mise sull’attenti l’animale selvatico dall’altra parte. Perché la sentì vibrare un categorico –Se lei non viene, non vengo nemmeno io.- senza nemmeno accertarsi che effettivamente la sua accompagnatrice potesse avere l’onore di imbucarsi alla loro festa. Fu arrivati a quel punto che comprese il perché di tanto astio da parte del più grande. E GD non poté che adorare l’americana con tutto il proprio cuore accartocciato.

Sarebbe bastato un per aprire le porte del proprio paradiso personale. Un per allietare quella che, ne era certo, sarebbe risultata una festa noiosa senza la sua corrosiva presenza per un Seung-Hyun già con i nervi a fior di pelle. Ma proprio quando aprì le labbra, il solito meccanismo perverso scattò. Perché dargliela vinta così quando lei, per tutti quei giorni, lo aveva tenuto sulle spine? -Mmm… Devo vedere se anche gli altri sono d’accordo.- osservò pacato. Come se avrebbe chiesto il parere dei coinquilini, certo. Tanto quelli sembravano smaniare al pensiero che lei si unisse alle danze e Ji Yong non era così kamikaze da andare da Top a comunicargli che sì, il suo peggior incubo avrebbe preso parte alla festa. Perché quello sarebbe riuscito a dileguarsi con una scusa e, a quel punto, che senso avrebbe avuto accogliere Lin in casa? Optò per il silenzio. A Seung-Hyun, del resto, piacevano le sorprese.

-Sì o no?- irremovibile, gli stava implicitamente dando un ultimatum. Gli parve, mentre un sorrisetto furbo gli deformava le labbra ora guizzanti all’insù, che Lindsay stesse dirigendo i suoi giochi. Ma questo solo ad un occhio poco allenato. No, perché in realtà GD aveva calcolato tutto, aveva messo in conto l’impulsività della giovane, dandole la certezza di essere la padrona della situazione. Ma tra i due, in quel momento, era lui il burattinaio che muoveva i fili. Lindsay era solo il suo Pinocchio in gonnella.

Le emozioni sfuggirono al proprio controllo e prima che potesse darsi un contegno, la voce gli era uscita intrisa di raccapricciante euforia –Sei la benvenuta- avvertì una risata sguaiata arrampicarsi per la gola, ma la ricacciò fino allo stomaco, godendo intimamente al pensiero del miracolo che, di lì a soli cinque giorni, si sarebbe compiuto –Gli altri saranno felici di saperti dei nostri.-

-Immagino.-

A quel punto, non resistette più –Cosa c’è America. Hai paura del Top che morde?-

Un grugnito sgraziato provocò la sua ilarità. Quella ragazza era uno spasso –Quello è cattivo quanto un’ostrica a cui hanno rubato la perla- sciorinò altezzosa; già se la immaginava mentre studiava le dita affusolate che necessitavano di una cura di manicure –Comunque, se mi dai l’indirizzo mi organizzo.- la domanda di apertura dei giochi era stata riproposta e GD convenne con la propria mente geniale che il quiz poteva essere rimandato a sabato sera. Del resto, aveva cinque giorni per poter preparare nuovi schemi e quesiti che avrebbero stuzzicato il proprio divertimento sopito.

Chiuse la conversazione con un senso di dolcezza ad impastargli la bocca, mentre l’euforia alimentava la sua becera cattiveria che, in maniera contorta, continuava a spronare le persone a vedere oltre, a scoprire significati che lui, invece, coglieva nell’arco di uno sguardo, di un gesto, di una parola. Perché Lindsay e Top erano più affini di quanto avrebbe mai potuto immaginare, così complementari da respingersi in maniera tanto sfrontata, come se i loro inconsci avessero captato il loro essere fantasticamente uguali e trovassero qualsiasi mezzo che potesse evitare una loro unione. Ma GD non avrebbe permesso che la loro stupidità potesse intralciare il proprio passatempo.

-Ji Yong! Puoi venire di là? Dobbiamo mostrarti il nuovo taglio per il prossimo video!- la make-up artist fece capolino nella palestra silenziosa.

Le rivolse un’occhiata annoiata –Arrivo.-

La donna si trattenne, inclinando il capo –Sembri piuttosto felice- Nh, doveva farsi sparire quel ghigno o avrebbe destato sospetti -Ti hanno chiamato per quel servizio fotografico?!-

La fissò con sdegno. Come se un servizio fotografico potesse essere più divertente dei suoi giocattolini -Ancora meglio, ancora meglio.- cantilenò ficcando il cellulare in tasca dopo aver salvato il numero della ragazza sotto America.

America viene alla festa, pensò con eccitazione scalpitante, seguendo la donna senza ascoltare le sue parole al vento.

Sorrise beato. Cosa poteva esserci di più celestiale?

 

*****

 

Il giorno X era sfortunatamente giunto e Lindsay Moore, con aria da condannata a morte, si diresse verso l’ufficio del padre, pronta a dargli la lieta novella. Perché se glielo avesse comunicato con largo anticipo, avrebbe dovuto sorbirsi cinque giorni di domande e sciocche ramanzine. Così, almeno, poteva unificare il tutto risparmiando tempo. Bussò sullo stipite, attirando l’attenzione di Mark -Oi, stasera vado ad una festa.-

L’uomo alzò la nuca dalla pila di documenti che richiedevano la sua firma -Una festa… Da chi?-

Alzò le spalle -Da amici.-

-Potresti essere più precisa?-

-Quelli con cui sono uscita tempo fa.-

-Ah, beh, così mi è più chiaro.- si tolse gli occhiali cascanti sul naso, massaggiandosi il volto deformato dalla stanchezza. Da quella visuale privilegiata, a Lin parve che suo padre dimostrasse più dei suoi quarantacinque anni: la barba incolta castano chiaro su cui poteva intravedere alcune sfumature brizzolate, i capelli scuri ormai cosparsi di ciocche grigio pallido, il viso segnato dal tempo con le minuscole rughe ai lati degli occhi e quell’aura di malinconia che solo un anziano avrebbe potuto portare con sé, memore dei bei ricordi andati… Incredibile come il tempo trascorresse in maniera tanto inesorabile, rendendolo un perfetto estraneo ogni giorno che passava in quella villa immersa nella quiete.

-Non li conosci- si premurò di sottolineare, rigirandosi l’anello all’indice –Non preoccuparti del passaggio, mi da’ uno strappo Ginko.- il suo volto era una maschera di impassibilità, come se stesse metabolizzando le sue parole incolori. Attese paziente qualche secondo, giusto il tempo di fargli credere che fosse davvero interessata ad avere un suo riscontro positivo in merito. Ma il silenzio fu tutto ciò che ricevette e senza dilungarsi oltre, fece per scivolare fuori dall’ufficio.

Ma, quel sabato sera di metà settembre, Mark sembrò essere in vena di chiacchiere…

-Lindsay- per la prima volta, il proprio nome le parve il suono più brutto mai udito sulla faccia della terra –Resta. Dobbiamo parlare.-

E dal suo tono serio, comprese come non sarebbe stata una discussione sul tempo o lo shopping. Continuando a dargli le spalle, roteò gli occhi nocciola chiedendosi a qualche entità divina appellarsi, visto che tutte queste disgrazie incombevano su di lei che, tutto sommato, aveva deciso di crogiolarsi nel proprio cantuccio di solitudine. E perché così Mark non sarebbe riuscito a scorgere il suo disappunto; una discussione inutile elusa agilmente. Si volse, restando ferma con le braccia lungo i fianchi.

-Puoi sederti.-

-Sto bene qui- udì il suo sospiro pesante e pur di evitare ramanzine, decise di accontentarlo, lasciandosi scivolare sulla scomoda sedia in pelle –E’ successo qualcosa?-

-Deve succedere per forza qualcosa perché un padre possa parlare con sua figlia?- a quell’uscita intrisa di seccatura, la ragazza si auto indusse a trattenere una risata divertita. Quel discorso faceva acqua da tutte le parti, soprattutto perché Mark era stato meno padre di quanto avrebbe potuto esserlo Bryan. E questo, a ben guardare, era un vero e proprio insulto alla sua persona, perché Bryan era un coglione patentato, di quelli che probabilmente avevano la tessera fedeltà per il club dei rompipalle. A volte si chiedeva come Emily, algida psicologa poco incline al divertimento, potesse riuscire a stare con un decerebrato del genere. Scosse la nuca, concentrandosi sull’interlocutore che sembrava voler essere da qualsiasi altra parte fuorché in quella stanza.

-E allora cosa c’è?- una domanda logica, scagliata con irritazione.

-Emily lo sa che vai ad una festa?-

Il suo cervello doveva essere in panne, perché per un istante le era parso di aver udito una domanda scema. E i suoi sensori, da quando aveva avuto il dispiacere di conoscere testa azzurra, erano divenuti più sensibili a certe cretinerie. Continuando ad avvertire dei bip intermittenti nella propria scatola cranica in cui ora regnava il vuoto cosmico, la giovane si sistemò sulla sedia, regalando al padre in attesa uno sguardo allucinato.

-Stai scherzando, vero?- le sopracciglia folte dell’uomo compirono un arco perfetto prima che la testa palesasse la sua negazione con un leggero scuotimento –Perché mai dovrei avvertirla?-

-E’ giusto che sappia che vai ad una festa.-

-Ma se è dall’altra parte del Mondo?-

-Lindsay- fece una pausa, poi la guardò con apprensione -Non sei questo granché nel sceglierti le amicizie.-

Sconvolgente. Decisamente e pateticamente sconvolgente. Suo padre, il tanto amato padre che era fuggito da New York lasciandola in balia della Regina dei ghiacci, veniva a farle la paternale sulle sue scelte in campo di amicizie? Se la protagonista di quello squallido teatrino non fosse stata lei, avrebbe riso di gusto. Ma non fece nulla, rimanendo immobile come una bambola di porcellana in procinto di spaccarsi. E le crepe c’erano, le sentiva, le avvertiva fin sotto pelle… Eppure credeva di essere riuscita a riempirle tutte. O forse no… -Fumano?-

Hanno una piantagione di Marjuana in cantina.-

-Bevono?-

-Rhum o morire di sete.-

-Si drogano?-

-Cocaina come se piovesse.-

-Lindsay!-

-Cosa?- aprì le braccia –E’ una festa in casa, non un rave party.- proruppe canzonatoria, ignorando la sua espressione adombrata e vagamente irritata. Ma fu questioni di microsecondi, perché il compiacimento di chi aveva avuto la destrezza di vedere oltre l’apparenza, si dipinse sul suo viso ora inclinato. Lindsay si sentì come uno scoiattolo senza le noci nel periodo del letargo. Povera bestiola.

-O non vuoi parlare con Emily… E basta?- si grattò la punta del naso lentigginoso –L’ho sentita stamattina. Dice che non la chiami da un po’. E che sei sempre irraggiungibile, che non rispondi alle e-mail, alle sue chiamate- le sue colpe vennero elencate con minuzia, senza inceppamenti o tentennamenti, come se le avesse segnate su di un taccuino e ora stesse mettendo il segno di spunta –Ti costa tanto farti sentire?-

-Cinquanta centesimi al minuto.- si fissò le unghie. Nh, avrebbe dovuto rimettere lo smalto.

Mark poggiò gli occhiali rotondi da vista sui fascicoli aperti senza alcun garbo, stropicciandosi il viso intorpidito, biascicando una frase incomprensibile a cui nemmeno prestò attenzione –Parlare con te è sfiancante- confessò ormai al limite della pazienza e lei lo prese come un tacito invito ad alzare i tacchi e sparire dalla sua vista appannata –E anche parlare di te, lo è- la ragazza guardò il soffitto –Mi ha detto che ti sei rifiutata di sostenere l’esame per la Columbia University, ancora.- venne assalita da quell’ancora come se fosse un macigno enorme, ma Lin era ormai capace di sapersi riparare alle intemperie che i genitori facevano piovere come grandine.

-Avevo cose più importanti da fare.- sciorinò piatta, spelucchiandosi la maglietta.

-Più importanti come un nuovo tatuaggio? O taccheggiare in qualche negozio? O partecipare a qualche festa a base di Marjuana e cocaina?- il sarcasmo si sprecò nelle domande che le vennero rivolte con lentezza estenuante, anche qui, come se fossero state copiate su di un block-notes. E Lin, in tutta la sua enorme bontà e pazienza, non riuscì a comprendere come mai Mark si ostinasse a rivangare episodi ormai morti e sepolti che, con questo stupido viaggio, aveva cercato di gettarsi alle spalle. Incredibile l’audacia con cui il passato tornava a tormentarla, facendole apparire una poca di buono senza alcuno sbocco nella propria patetica vita. Perché era così che quei due la facevano sentire: patetica, infima, uno sbaglio… Con uno sbuffo trattenuto ricacciò il nervoso che aveva sopraffatto l’indifferenza e, imperturbabile, sorresse lo sguardo velato di sdegno dell’uomo –Lin, non sapeva nemmeno che lavorassi al Tribeca.-

La ragazza scosse la nuca –Avrebbe fatto differenza?- e vedendo l’esasperazione creare un’aura brillante intorno alla sua figura imponente, avrebbe voluto suggerirgli la risposta: no. No, per quel polaretto di Emily non sarebbe cambiato nulla, giacché il lavoro di cameriera o barista rientrava nella lista delle mansioni out per intraprendere una carriera lavorativa di successo. E questo lui, che si era allontanato dalle mura domestiche senza sorbirsi gli sbalzi d’umore di quella nevrastenica, non poteva saperlo. Confidava però nella sua intelligenza, così da non dover sprecare parole a vanvera.

-Se solo tu provassi a parlare, magari ne avrebbe fatta- mormorò accusatorio, probabilmente stufo dei suoi continui silenzi –Ed Emily ha ragione: non vorrai continuare a fare la barista a vita, vero?-

I delicati lineamenti si contrassero per la tensione -E se anche fosse?- esalò arcuando un sopracciglio.

-Non è come da bambina, come quando volevi fare l’acrobata in un circo itinerante.- le parve di cogliere un guizzo di dolcezza nei suoi occhi solcati dalla pesantezza, ma cacciò indietro il magone che la malinconia degli scomodi ricordi portava con sé, serrando le labbra pur di non lasciarsi sfuggire un sorriso intenerito. Durò poco però, perché il padre continuò a parlare -Insomma, non hai qualche aspirazione?-

Lin ci pensò su –Diventare la prima ballerina di Pitbull.-

Mark biascicò una sonora imprecazione, ormai giunto al limite della pazienza e Lin, compiaciuta dal fatto che la discussione fosse ormai agli sgoccioli, si preparò al vortice di parole che, sapeva, presto avrebbe distrutto quel misero brandello di civiltà che avevano deciso di adottare nel loro inesistente rapporto padre-figlia –Io non so più come dirtelo. Noi siamo solo preoccupati per te e per il tuo futuro- esalò –Pensi che ci faccia piacere sapere che non hai amici? Tua madre ha paura che tu possa restare sola; sa quanto tu desideri avere un ragazzo al tuo fianco- Io desidero cosa?! -O che—

-O che non sia capace di passare un test di ammissione?- vide le sue labbra sottili stiracchiarsi. Colpito e affondato -Ci sono cose peggiori nella vita.- cinguettò pratica, sventolando le mani prima di appoggiarsi meglio allo schienale.

-Hai perso più di un anno, te ne rendi conto?- lo vide stringere la penna fra le dita –Se ti fossi impegnata un po’ di più—

-Oh, ma io mi sono impegnata- annuì, poi alzò le spalle –Probabilmente sono solo scema.-

-Ricordo che sei uscita con la lode dal liceo.-

-Avrò esaurito le mie risorse- stava dando fondo a tutti i litri di sarcasmo che aveva in corpo pur di uscire indenne da quella faticosa discussione. Le sembrava di avere a che fare con sua madre e se Mark non avesse continuato ad accarezzarsi nervosamente la barba, probabilmente li avrebbe anche scambiati. Ma arrivati a quel punto, decise di troncare quello scambio di battute deleterio e che non faceva altro che aumentare la tensione già palpabile tra loro -Senti, non mi va di frequentare una stupida università.-

-Un’ottima università!- calcò su quell’ottima e per un breve istante le parve di vedere Emily in tutta la sua freddezza –E se fossi un po’ matura, capiresti che quello è il tuo futuro!-

-Il mio futuro?- soffiò gelida –Il futuro programmato da te e mamma! Siete stati voi a volere per me la Columbia University, non io!-

-E cosa avresti voluto?- già cosa avrebbe voluto?

-Ma non lo so! Io non—

-E allora pensaci, una buona volta! Santo cielo, non lo so è la tua risposta a tutto!- lo sguardo di fuoco del padre ebbe il potere di zittirla. E pensare che lei era solo venuta a dirgli che sarebbe andata ad una festa di cretini –Sei ormai cresciuta per i non lo so. Non sei più una bambina, Lindsay. Cresci un po’!- il suo respiro era pesante, un metronomo opprimente che scandiva il tempo che, lento, trascorreva in quella stanza ormai fuori dai confini dello spazio. Cercò il suo sguardo ora rivolto alla scrivania, lo cercò come la Lindsay dodicenne di molti anni prima. E poi lo vide… Pregno di risentimento, esasperazione, estraneità, capace di trapassarla da parte a parte senza aver bisogno di parole. E sarebbe bastato quello per farla sentire minuscola e patetica, davvero, ma Mark doveva aver comprato qualche libro di Emily, perché incurante della sua espressione che implorava di lasciarla andare una volta per tutte, di non insistere, aggiunse –Io so di non essere stato un buon padre, ma tu— abbassò lo sguardo, pronta a ricevere il colpo di grazia -Più volte mi sono detto quanto tu sia speciale, ma la verità è che sei quasi sempre stata una delusione.-

Una delusione… Lei era questo per lui, una delusione senza alcunché di speciale.

Solo questo.

Le parve di essere sospesa in aria, tra la pazzia e la realtà. E se la realtà era ciò che aveva di fronte, allora voleva lasciarsi cadere a picco in quel baratro dove non c’era nulla. E il nulla non le avrebbe fatto del male. Il disagio si impossessò di lei nel constatare che, alla fine, Mark non era poi così estraneo come credeva; somigliava sempre più ad Emily e una risata nervosa le sfuggì: sempre a puntare il dito, sempre a farsi i fatti suoi, sempre a rimproverarle cose che, magari, nemmeno aveva fatto. Solo per precauzione, perché prevenire è meglio che curare, come ripeteva sua madre continuando a guardare il tomo di psicoanalisi, lanciandole occhiate tediate da dietro gli occhiali squadrati. E Lin era ormai immune alle cattiverie della Perfida strega dell’Est, insensibile nel sentirsi infima e inetta, incapace di piangere nel constatare che l’odio e il gelo della madre altro non facevano se non alimentare il proprio di odio e gelo. Perché da quando Mark se ne era andato, nulla aveva fatto più male da spingerla a piangere. Almeno, non così male. E anche in quel frangente, con le mani strette sui braccioli, avrebbe dovuto replicare con un elegante alzata di sopracciglia, girare i tacchi e ciondolare fino alla propria camera. Ma non lo fece, non ne fu capace. Avvertì addirittura le lacrime premere contro gli occhi affinché potessero essere liberate. Tutto quello, faceva male…

-Oh, quindi sarei una delusione?- sussurrò con un mezzo sorriso a incresparle le labbra. Non c’era cattiveria, non c’era allegria. C’era solo tanto, tanto risentimento –Tu invece sei il padre dell’anno. Perché non mi insegni qualcosa che possa renderti felice? Potresti insegnarmi come si sparisce, in quello sei piuttosto bravo.- il pugno che Mark sbatté sulla superficie di legno non la spaventò; Emily era abituata a sbattere i voluminosi tomi dell’università che ogni tanto rispulciava quando era stanca della sua acredine.

-Lindsay--

-Avanti, per che cos’è?- sospirò stanca -E’ per la droga? O per le canne? O, no, aspetta, magari sono i ragazzi con cui esco che—

-Non giocare a questo gioco con me, Lindsay Cherilyn Moore- Addirittura il nome per intero? –Non trattarmi come l’ultimo arrivato!-

-E come dovrei trattarti? Dimmelo tu- lo guardò ferrea, ormai stanca di scappare da quel mucchio di pensieri che tante volte avrebbe voluto confidargli, ma mai aveva trovato il coraggio -L’ultima volta che ti ho trattato come un padre, sei salito su di un taxi.- vide i suoi occhi divenire lividi di rabbia, i lineamenti mascolini indurirsi nell’udire quelle parole sparate senza alcun tipo di delicatezza, riversando in esse tutta il rancore che covava da anni. Perché non bastavano le cartoline per Natale o Pasqua a renderlo un padre modello, non erano i giocattoli per il suo compleanno che lo miglioravano, non era niente di tutto quel ciarpame privo di amore, fatto solo per educazione o tradizione, a farle sentire calore umano.

Lindsay, giunta finalmente al traguardo di quella discussione, si sarebbe aspettata di ricevere un sonoro schiaffo sulla guancia, giusto per chiudere quella sua bocca che sapeva solo sparare acido e bile senza curarsi dei sentimenti di chi le stava di fronte. Ma Mark le scagliò contro una manciata di parole dure come sassi –Modera i termini, ragazzina.-

Lin abbassò il livello di ira, ripristinando la solita impassibilità che andava ora riprogrammata dopo tutti quei colpi al proprio orgoglio martoriato -E voi dovete cominciare a lasciarmi respirare- si passò una mano sul volto prima di guardare l’orologio appeso al muro: le 18.30 svettavano allarmanti come un timer –Ginko arriverà tra poco. Devo finire di preparare le ultime cose.- il rumore della sedia riecheggiò sordo, così come sordo fu il silenzio che gravò. Nella quiete ora ristabilitasi, procedette a passo funereo verso la porta chiusa, pregando che quell’impicciona di Minji non fosse accorsa ad origliare al primo strepito. Pose la mano sul pomello d’ottone, pronta a volatilizzarsi e andare a passare un’orrenda serata resa ancora più grottesca dalla grandine di esternazioni piovutegli contro. A porta socchiusa uno spiraglio di luce entrò, ricordandole la libertà. Finalmente, via da quelle mura soffocanti. Ma poi…

Ma poi ci fu un suono, che era caldo e familiare…

-Linnie—

-Linnie, vuoi la cioccolata?-

-Ti va di andare al parco, Linnie?-

-Diventi ogni giorno più bella, Linnie. Come la tua mamma!-

 

Assolutamente fantastico. Meravigliosamente perfetto…

 

-Tanti auguri, Linnie!-

-Ormai sei una donna, Linnie!-

-Linnie? Sveglia, è ora di andare a scuola!-

 

Che trasmetteva calore, che la faceva sentire in pace con sé stessa. Che la faceva sentire perfetta nelle sue imperfezioni, che le dava la gioia di volersi bene e voler bene. Che, una volta dimenticato, aveva lasciato solo tanto freddo.

 

-Il papà ti vuole bene, Linnie. Non dimenticarlo mai.-

 

Incurvò le spalle, evitando di voltarsi. Perché le sembrava di essere appena sbarcata in una scena pessima di un film di serie Z? -Cosa ci è successo?- Mark dava la colpa ad entrambi. Non a lei, al suo caratteraccio, alla sua poca predisposizione alla socialità. Anche a lui che, probabilmente, sapeva la risposta, ma voleva sentirla uscire dalle sue labbra…

Già… Cos’era successo?

-Papino, non puoi restare?-

-Papà deve andare.- uno sguardo appena oltre la spalla.

-E non puoi portarmi?-

Silenzio, la valigia che si chiudeva, i suoi passi veloci sul parquet –Farò tardi.-

-Non andartene! Portami con te!-

-C’è la mamma.-

-Non voglio la mamma. Voglio il mio papà!-

-Sei ormai grande per il papà, Lindsay!- Emily era ricurva sul tavolo della cucina -Cresci un po’!-

 

-C’è che te ne sei andato.- fu un soffio leggero, che sembrò venir gridato tanto era colmo di colpevolezza. Ma non fu la risposta in tutta la sua sincerità a far male, no. Fu il silenzio che ne conseguì a lasciarle un infinito vuoto apparentemente incolmabile, un nodo che dallo stomaco si trascinò fino alla gola, impedendole di respirare. Impedendole di ragionare a mente lucida. Non attese una risposta, non attese oltre. Si infilò nel corridoio, alle spalle la porta che sbatteva. Lasciandolo indietro, per la seconda volta.

Chiuse la porta della cameretta, scalciò gli abiti che giacevano alla rinfusa per terra pregando che il malumore svanisse. Ma quello si era fossilizzato in ogni parete del proprio corpo, corrodendole quel briciolo di positività che aveva faticosamente guadagnato in quei cinque giorni di training autogeno. Recuperò l’Mp3 e lo accese, incurante di quale canzone sarebbe capitata. Le cadde la testa in avanti, però, quando ricordò di aver lasciato a metà Hurt di Christina Aguilera

 

If I had just one more day, I would tell you how much that

I've missed you since you've been away

 

Sentì gli occhi gonfiarsi. Decisamente, quella era la canzone più triste che avesse mai tenuto nell’Mp3.

 

******


Sicura che sia qui?- Lin inclinò il capo, squadrando l’edificio color mattone col parcheggio pieno di auto.

Ginko si avventò su di lei -Stai mettendo in dubbio le mie doti di stalker?!- Cosa?! -Su, forza, andiamo!- esalò al limite dell’euforia, conficcando le unghie nel suo braccio e trascinandola per il cortiletto d’ingresso. La scapicollò per le scale incurante delle sue lamentele provocate dai malefici trampoli che le aveva costretto ad indossare e una volta giunte al piano, più eccitata ed euforica del solito, si spulciò la giacchetta nera. La musica le investì in pieno, nonostante risultasse più ovattata, e sotto le note di Rain over me –probabilmente Pitbull era diventato l’idolo coreano, visto che lo passavano anche per radio una volta sì e l’altra pure- Lindsay si ritrovò a sbuffare, tanto per rendere partecipe la collega della propria scarsa motivazione nel trovarsi lì, conciata come una campagnola deficiente.

Di fianco a sé, Kamikaze saltellava sul posto -Hai bevuto il caffè?-

-Oh, no, questa è tutta roba naturale!- sciorinò con uno sventolio della mano, strappandole un sorriso divertito. Il primo della giornata, a guardare bene. Gli occhi di Ginko –per quell’occasione speciale e indimenticabile, verde smeraldo- la scrutarono mentre l’indice laccato di rosso acceso si posava sul campanello –Senti, è da stasera che vorrei chiedertelo.-

-Chiedermi cosa?-

-Perché sei così triste- sincera e diretta, la ragazzina aveva socchiuso le palpebre –Più del solito.-

-Io non sono triste!-

-Oh, sì che lo sei!- le puntellò l’indice fra le sopracciglia –Queste sono sempre aggrottate, sembri una teppista da strada!- Una cosa?! –E cos’è questo broncio? Dovresti sorridere!- le tirò le guance, mettendo in mostra la fila di denti bianchi –Sei uno splendore quando sorridi!- la sua risata cristallina si propagò per l’anto buio quando Lindsay scacciò le sue manacce con gesti enfatici, continuando a chiedersi perché non avesse chiesto a qualche altro tizio di aggregarsi a lei per quella folle serata di insulsa allegria. E avrebbe voluto raccontarle delle belle parole del padre e di come, dopo anni di cicatrici ricucite malamente, si fosse ritrovata a soffrirne di nuove. Ma rimase zitta, decisa a non ammorbare con le proprie paturnie una ragazza che, per quanto buona, era in fin dei conti una sconosciuta -Se qualcosa non va, puoi parlarmene. So che chiacchiero tanto, ma non spiffererei nulla in giro!- aveva portato una manina alle labbra rosse, quasi tormentata di fronte alle sue sopracciglia arcuate. Rimase sorpresa di come quella che in apparenza sembrava una demente perennemente sulle nuvole, si fosse resa conto delle sue turbe senza che lei ne avesse anche solo accennato. Che si stesse rammollendo?

-Va tutto bene- mormorò con noia, vedendola serrare le labbra –Ma grazie- le rivolse uno sguardo un po’ più addolcito, meno duro e Ginko tornò la piattola elettrizzata di sempre. Ripremette il campanello, ma nessuno venne ad aprire. Sentì dei versi sommessi provenire al proprio fianco. Si premurò, nell’attesa che qualcuno si degnasse di arrivare, di accertarsi che l’amica non fosse ormai un cadavere –Ma che stai facendo?-

-Iperventilazione. È l’ansia- esalò cavernosa, torturando le manine sottili –Devo tenermi impegnata!- e senza chiederle il permesso o anche solo avere il tempo di realizzare la situazione, Lindsay si ritrovò a rischiare di veder sciolta la povera lunga treccia laterale che tanto aveva faticato a creare. Arricciò le labbra pitturate di rosso e, scacciando le manacce della Fujii con la propria, cominciò a pigiare il campanello dell’appartamento con quella libera, incurante della propria maleducazione. Tanto la musica era talmente alta che il pianerottolo sembrava un privé della discoteca, nessuno avrebbe mai fatto caso a quel sottofondo tintinnante. Fu così che, Lindsay Moore, venne trovata con le mani di una nana saltellante e iperattiva fra i capelli. Nana saltellante che, alla vista del personaggio che si parò davanti ai loro occhi, lasciò cadere le braccia lungo i fianchi palesando la propria meraviglia: Taeyang, in tutta la sua bontà e magnificenza, era corso in suo soccorso. Per poco Ginko non svenne fra le sue braccia; la vide portare le mani alle labbra e poi sventolarle, fissando entrambi allucinata –Lui-lui- tu sei— adagiò i polpastrelli sul volto del ragazzo, stropicciandolo tutto –OhMioDioSeiVero!-

Tae si divincolò con gentilezza, sorridendo loro nervoso –A quanto pare… Il mio ologramma deve essere ancora rotto, scusate- Lin guardò il soffitto mentre Ginko ridacchiava nervosa. Si accomodò all’ingresso quando lo vide farsi da parte e Kamikaze per poco non svenne quando si vide circondata da quelli che dovevano essere dei coreani famosi. E ciechi, dati i vestiti stravaganti. Schiuse le labbra carnose, pronta ad esternare il proprio scetticismo all’accompagnatrice, ma quella si era dileguata, sparendo nel marasma di gente. Solo Tae, al suo fianco, si premurò di starle vicina in quel momento di sconforto -La tua amica è—

-Psicolabile.-

-Volevo dire simpatica- degli urletti concitati li distrassero; Kamikaze stava dando prova di tutta la sua pazzia repressa. Lin avrebbe davvero tanto voluto scusarsi, ma tutto ciò che fece fu schiudere le labbra carnose e poi indicarla –Se hai un armadio, ce la chiudo dentro.-

Il ragazzo tirò indietro la testa e si lasciò sfuggire una risata, scuotendo poi la nuca –Tranquilla, vado io a sedarla. Magari GD si offrirà di farle fare il giro della casa- lanciò un’occhiata al leader impegnato a ciarlare con una tettona dai capelli rosa. Nh, dubitava si sarebbe schiodato da lì per una nana con la retromarcia –O magari glielo faccio fare io- esalò sconfitto, rendendosi conto che nessuno sembrava intenzionato ad averci a che fare. Lin si massaggiò la fronte, incapace di manifestare il proprio rammarico per quel ciclone sfuggito al suo controllo, ma il cantante sembrava non essere troppo infastidito –Senti, se vuoi mentre cerco di farla calmare, puoi andare a bere qualcosa. Trovi tutto di là,  gli altri sono sparpagliati in giro. Sentiti libera di gironzolare.- le rivolse un sorriso cordiale a cui lei replicò con un cenno del capo e un pollice in su, troppo a disagio di fronte a quella gentilezza assolutamente gratuita.

Rimasta sola, Lin si ritrovò in mezzo al salone d’entrata. Si guardò attorno, stringendo il laccio della borsetta che, dondolante, le carezzava le ginocchia. Studiò l’ambiente circostante, non sapendo se recarsi subito a bere qualcosa e dimenticarsi di tutti i problemi o semplicemente scappare da quella casa e gettarsi all’aria fresca della notte. Ad una più attenta osservazione della fauna che albergava l’ampio salotto, la giovane si ritrovò a sbuffare: i ragazzi lì presenti sembravano usciti da qualche rivista di moda con i loro abiti costosi e firmati, tutti truccati alla perfezione e con i capelli in ordine, l’aria snob e la classica scarsa cordialità di chi viveva agiatamente. Scrutò la propria canottiera nera di pizzo semplice e la lunga gonna bianca a campana che la faceva apparire una zingara in cerca di elemosina, abomini comprati al mercatino dell’usato in un negozietto di periferia di New York. E sono le cose più eleganti che possiedo. Alzò le spalle. Ma che gliene fregava a lei di come si vestivano quei boriosi del mondo dello spettacolo? E poi qualcuno conciato peggio di lei c’era, pensò osservando l’abbigliamento strampalato di GD: quella giacca con le piume nere era un pugno in entrambi gli occhi. Fu solo quando vide alcune ragazze adocchiarla e ridacchiare che si decise a levarsi dalle palle e raggiungere l’angolo delle bevande. Pregava che qualcosa di super alcolico spuntasse in mezzo a tutte quelle bibite gassate o naturali, ma la birra sembrava l’unica cosa che più si avvicinasse alla sua idea di alta gradazione. E come per miracolo, come abbagliata da una luce divina, spuntò la Vodka, lì, in mezzo alla Coca Cola e l’acqua minerale. Un sorrisetto comparve sul suo volto ovale truccato dalle manine sante della Fujii; allungò la mano ingioiellata, ma si rese conto che qualcuno aveva avuto la sua stessa idea. Probabilmente qualche altro invitato voleva sballarsi per quella notte… Solo allora si rese conto di chi aveva afferrato l’oggetto delle proprie brame…

-Ancora tu?!- esclamarono all’unisono. Che palle!, si disse quando scorse la sua chioma turchese alta e con un ciuffo leggermente cotonato che pendeva verso destra. Top strinse il bicchiere nella mano, roteando gli occhi azzurri, merito delle lenti a contatto, palesando la propria irritazione nel ritrovarsela fra i piedi. Lin si grattò il naso lentigginoso, ricacciando in gola una bella imprecazione farcita di insulti –Ah, ci sei anche tu?- e lo disse con tranquillità sfiancante, come se la sua presenza non la intaccasse.

Lo vide massaggiarsi una tempia –Io ci abito qui- si versò da bere e senza guardarla ulteriormente aggiunse –Stasera non devi ammazzare qualche cliente?-

-E’ il mio giorno libero- replicò asciutta, allungando una mano verso la bottiglia che quel demente si ostinava a tenere per sé –Tu, piuttosto, sicuro di non aver sbagliato festa? La convention in memoria di Elvis è nel palazzo di fronte.- mormorò con ironia, rovistando fra le altre bevande se magari ci fosse del rhum.

-E il cosplay del Gobbo di Notre Dame è al piano di sotto. Fai in tempo ad unirti alle loro danze gitane.- la sua voce era colma di affilato sarcasmo e la sua espressione derisoria era ora tutta rivolta al suo abito. Lin si prese la briga di studiarsi per un millesimo di secondo, poi inclinò il capo e regalò un’occhiata sorniona alla sua mise composta da pantaloni scuri –e fin qui nulla da dire, proprio nulla!- che tanto stonavano con quella giacchetta multicolore che pareva brillare di luce propria.

-Mia nonna rivuole le sue tendine per il bagno.- prese un bicchiere e senza curarsi delle sue sopracciglia arcuate, si versò da bere la Vodka. Oh, ora poteva dileguarsi dalla sua vista infastidita.

Un ghigno spuntò sulle sue labbra -Esmeralda è venuta a chiedere se le ridai la gonna.-

-Mi fate tenerezza, dico sul serio- si intromise un GD cinguettante che passava di lì, posando un braccio intorno al collo all’amico che, sbuffante come una teiera, sembrava voler ammazzare chiunque gli capitasse a tiro –America, ben arrivata. Pensavo non arrivassi più.-

-Era una speranza per tutti.- borbottò Top divincolandosi dalla presa, sparendo nel salone gremito di gente. Lin osservò la sua larga schiena sparire dietro l’enorme arco che divideva le due stanze e per un attimo le parve che l’aria fosse diventata più respirabile. Si ritrovò a pensare, con sorpresa, che qualcuno aveva un carattere perfino più schifoso del suo e per un attimo se ne compiacque. Ma il suo gongolare si concluse in fretta. Ji Yong, dall’altra parte del tavolo, la stava scrutando con fare troppo sornione, come uno scienziato che si appresta a studiare una cavia da laboratorio. Un pizzico di disagio si impossessò di lei che, apparentemente indifferente, si concentrò sul bicchiere mezzo pieno.

-Scusalo. Ultimamente è piuttosto nervoso.- si grattò la nuca mezza rasata, facendo l’occhiolino ad una ragazza con un corto vestitino azzurro che gli passò accanto.

-Come se me ne fregasse qualcosa- biascicò aspra, lanciando un’occhiata bieca al rapper che, adesso, se la stava ridendo alla grande con un gruppo di ragazzi. Incredibile come quel musone sembrasse tenere su una conversazione senza far imbestialire qualcuno –Piuttosto… Non doveva essere una festa informale?- domandò indicando il salone.

GD alzò le spalle –Infatti lo è.-

-Chi è il vostro stilista? Uno dei tre topolini ciechi?-

Ji Yong ghignò prima di prendere un lembo della gonna bianca fra le dita, giocherellandoci –Di certo non è Febo, se te lo stai chiedendo.-

Lindsay scacciò la sua manaccia, biasciando un’imprecazione mentre si apprestava a trincare. Di fianco a lei, Ji Yong la guardava con il volto inclinato e uno strano sorrisetto a deturpargli il volto -Che hai da guardare?- domandò brusca, aggrottando le sopracciglia. Si sentiva troppo osservata a va bene che lei era l’unica occidentale lì in mezzo, ma mica era un alieno!

-Stavo pensando che sei piuttosto interessante.- per poco la ragazza non si strozzò con il liquido insapore che, stranamente, le stava corrodendo la gola. Ma che cavolo diceva quel cretino coi capelli mezzi rasati e mezzi lunghi?!

Lo squadrò -Oh, mettiamo le cose in chiaro- agitò l’indice –Tu non mi piaci.- vide le sue labbra tremare prima che una risata fragorosa si infrangesse contro le sue povere orecchie. Sembrava divertirsi un mucchio quello squilibrato; lei avrebbe solo voluto bere per dimenticare.

-Diamine, Lindsay, sei uno spasso- c’era un’allegria raccapricciante in quella frase, la stessa aura inquietante che aveva colto nella loro conversazione telefonica. Perché in quell’aria svagata, c’era qualcosa di assolutamente strambo, capace di farla sentire una completa cretina. Non le piaceva stare da sola con quel tipo –Ti guardavo perché oggi sembri più triste del solito- Ancora con ‘sta storia?! Fremiti di raggelo le fecero venire la pelle d’oca quando si rese conto della fastidiosa vicinanza di quel mentecatto, ora ad un palmo dal suo orecchio -C’entra per caso il nostro Hyung preferito?- arcuò le sopracciglia, non comprendendo le sue parole zuccherose, che sembravano nascondere un morboso desiderio di farla uscire fuori dai gangheri. E ci stava riuscendo. Che Diavolo era uno Hyung?! Un Pokemon raro? Un Digimon evoluto? E quando seguì la linea del suo sguardo assottigliato, che si infranse su dei capelli talmente azzurri da apparire una boa in mezzo all’oceano, il disgusto le deformò i lineamenti delicati e che cominciavano a intorpidirsi per via della vodka. Quel gallinaceo con le piume doveva essersi ammattito per pensare che lei fosse giù di corda perché quel deficiente vestito da abatjour era simpatico come un Taipan australiano quando aveva a che fare con lei.

Pose il palmo aperto sul suo viso, incurante di sbavargli il trucco e lo spinse leggera con un gesto brusco –Mi fai venire i brividi.- sibilò, senza aggiungere alcunché. Che decidesse lui se i brividi erano dovuti alla sua vicinanza sgradita o al pensiero che quel decerebrato tinto dall’altra parte della stanza potesse essere il perno dei suoi sbalzi d’umore. Tanto, aveva il sentore che Ji Yong avrebbe dato il senso che voleva lui alle sue parole.

-Ciao GD!- una ragazza civettò un saluto accompagnato da una sensuale camminata ondeggiante. Il ragazzo replicò annoiato con un cenno del capo mentre Lin continuava a chiedersi cosa non funzionasse nel cervello di quel debosciato. Prima era felice, poi era la noia personificata. Avvertì il suo sogghigno potente metterla in allarme, ma dopo averle dato una piccola pacca sulla spalla, il ragazzo si allontanò con un gesto fluido, lasciandola sola, in balia dei propri opprimenti ricordi -America- si voltò, inclinando il capo all’indietro con espressione esasperata. GD aveva le mani in tasca, un sorriso divertito e gli occhi che brillavano –Continuate a farmi divertire, va bene?-

E lei non comprese appieno quella richiesta così stramba, la mente non si lambiccò in domande alla ricerca di una spiegazione logica e nemmeno lei provò a porsene. Perché c’era qualcosa di assolutamente atroce nei suoi sorrisetti appena accennati, nei suoi occhi taglienti ma privi di cattiveria, ricolmi solo di tanta noia che parevano illuminarsi quando vedeva lei e Seung-Hyun toccarsi a colpi di parole acide e cattive. C’era tanta stranezza che non riusciva a catalogare.

C’era ormai tanto, troppo che non riusciva più a comprendere.

Bevve un sorso di vodka, guardandosi attorno spaesata. Aveva bisogno di rhum.

 

*****

 

Orribile.

Così avrebbe potuto definire quella serata che, tutto sommato, era partita bene per poi procedere con fatica. E le ragioni c’erano, ed erano pure valide! Innanzitutto, quella che doveva essere una pacata festa tra amici si era tramutata in una bolgia infernale di gente scalpitante che, ogni tre per due, si sedeva al suo fianco gridando Fotoooooo! per poi sparaflasharlo senza nemmeno chiedergli il permesso. Secondo, una bionda dai capelli boccolosi, il vestito striminzito e la voce che odorava di rhum si era, per qualche ragione a lui sconosciuta, avvinghiata al suo braccio ora formicolante, premendo il suo prosperoso seno contro di lui, continuando a ripetergli quanto bello fosse e quanto avrebbero dovuto continuare questa loro discussione in camera. Terzo, quella psicopatica di una barista tatuata e simpatica come un Doberman aveva avuto la brillante idea di presentarsi in casa SUA senza nemmeno portare con sé il buon gusto, l’educazione e un abbigliamento che fosse quantomeno accettabile. Quarto punto non meno importante, l’idiota per eccellenza si era appena svaccato sulla poltrona laterale alla propria, pronto a dare inizio ad una delle sue solite conversazioni ad ostacoli. Glielo si leggeva sul viso ora illuminato da un ghigno.

-Chi è quella?- una domanda banale per principio e a seguire quelle più problematiche. Questa era la prassi.

-Non ne ho idea.- esalò seccato provando a divincolarsi dalla sua presa. Niente da fare; quella doveva essersi cosparsa di Attack.

-Ti annoi?- imbronciato, giocherellò con le extension fucsia. Grugnì in risposta, deciso questa volta a non partecipare ai suoi maledetti giochetti -Pensavo che la discussione con America ti avesse fatto tornare il buon umore!- trillò finto sorpreso, rivolgendogli poi uno sguardo languidamente inquietante –Non la trovi carina, questa sera?- Se Top fosse un quadro, quale sarebbe? Probabilmente l’Urlo di Munch: le guance incavate, gli occhi azzurri enormi e ripieni di incredulità e sommo terrore. Ma GD doveva essere ubriaco marcio per uscirsene con una cazzata di quelle spropositate dimensioni! Così, chiudendo entrambi gli occhi, sibilò un profondo –No.- che avrebbe dovuto farlo desistere dal continuare. Ma, beh, era di GD che stava parlando. Quello infatti alzò le spalle –Non capisco cosa non ti piace di lei.-

A parte che è una stronza senza precedenti?, si ritrovò a pensare caustico mentre scacciava la mano della ragazza che stava scendendo un po’ troppo oltre la cintura. Di motivi ne aveva a bizzeffe, se proprio doveva essere sincero: a partire dalla sua straordinaria capacità di rendere tutto un po’ peggiore, la sua innata abilità nel non rendersi simpatica, la sua predisposizione alla guerra per il puro gusto di pungolare, la sua mancanza di tatto o cortesia o educazione, la sua maestria nel farlo incazzare come una bestia con la forza di una sola parola. Il fatto che respirasse, semplicemente, lo mandava su tutte le furie. E il fatto che ai suoi amici piacesse una tipa del genere era un concetto che proprio non riusciva ad assimilare. Anzi, il fatto che stesse addirittura pensando a lei quando un sacco di belle ragazze gli facevano gli occhiolini e civettavano con lui era qualcosa di assolutamente snervante! Era come se quella megera fosse riuscita ad insinuarsi nella sua mente e, prepotente, tornasse in superficie per ricordargli quando inutile fosse la sua esistenza. Ma represse tutto quel fiume di cattiverie, limitandosi ad appoggiarsi meglio allo schienale della poltrona, pregando che l’amico ronzasse verso qualche ragazza sculettante -E io non capisco cosa ci troviate voi, in lei.-

-E’… Divertente.- sottolineò guardando un punto fisso davanti a sé, un sorriso appena abbozzato.

Top ringhiò verso la cozza aggrappata, poi a lui –Solo per te.-

-E questo è un male?- lo guardò attento, aspettandosi una frase strampalate delle sue. L’amico sospirò -Dico solo che una boccata d’aria fresca non fa mai male. E’ come vedere un uomo dal dentista che urla solo nell’avvertire il rumore del trapano- GD scoccò un’occhiata allucinata in direzione di una tappa dai capelli rossi che aveva appena cominciato a cantare al karaoke –E se solo guardassi tutto da un’altra prospettiva, ti accorgeresti di quanta bellezza c’è dietro il muro.- riportò l’attenzione su di lui. Allargò gli occhi nell’udire quella frase profonda e con un significato che andava oltre la propria capacità di analisi. La bellezza oltre il muro…

Riuscì a divincolarsi dalla sua morsa e senza nemmeno troppa galanteria la lasciò a lagnarsi sul divano, scosso dal disagio che quelle parole avevano portato con sé. Perché lo facevano sentire tremendamente sbagliato? GD scoccò la lingua –Dove vai?-

-A prendere una boccata d’aria!- alzò una mano in segno di saluto, cominciando a camminare senza una meta precisa. La serata era un vero schifo, ma questo lo aveva già detto. Si sarebbe divertito un mondo se un’isterica dia capelli biondi e la pelle troppo abbronzata non lo avesse tampinato per tutta la festa. E, ancora peggio, quella strega di Lindsay Moore stava contaminando tutte le stanze di casa con la sua sola sgradevole presenza.

-Ah, ci sei anche tu?-

Ma che diavolo di domanda era?! Come se i Big Bang dessero una festa per il loro debutto e poi, un membro, si volatilizzasse per una cena coi parenti! Era illogico, impensabile… Ma quella, probabilmente, ragionava a compartimenti stagni. I brividi scorsero lungo la schiena quando udì l’inconfondibile voce caramellata della bionda che, a quanto pareva, doveva essersi accorta della sua non presenza. Chissà perché, ma aveva la sensazione che fosse stato GD a dirgli dove trovarlo… Aprì la porta della camera di Dae, sperando di aver seminato quell’invasata dai capelli biondo ossigenato che non l’aveva fatto respirare per tutta la festa.

E quando alzò lo sguardo, pregò che fosse un orrendo miraggio…

Davanti a sé, sul davanzale con le gambe piegate e un bicchiere di plastica pieno, sedeva la sua nemesi naturale, l’unica ragazza capace di fargli detestare il genere femminile: Lindsay Moore… O almeno, doveva essere Lindsay. Il volto cosparso di fastidiosa arroganza era inconfondibile, ma c’era qualcosa di diverso nei suoi occhi puntati verso il panorama della caotica Seoul notturna, nel suo essere stranamente silenziosa nonostante si fosse accorta della sua entrata in scena. Era una Lindsay Moore che ebbe il potere di lasciarlo disorientato per un briciolo di secondo… Ma a lui, del motivo della sua stramba arrendevolezza, interessava qualcosa? Gli avrebbe cambiato la serata o avrebbe scombussolato la sua vita? Si rilassò nel rendersi conto che no, non gliene importava nulla.

Lin lo guardò con la solita irritazione a imbruttirle i lineamenti del viso –Che ci fai qui?-

Ma se è casa mia?! -Una bionda mi sta dando la caccia.- esalò vago, appoggiandosi contro la porta bianca. Fantastico, chiuso in gabbia con Lindsay la psicopatica; non sapeva se fosse stato meglio gettarsi fra le braccia di quella panterona là fuori o deliziarsi di una bella e sana litigata con l’impiastro davanti ai propri occhi. Optò per l’americana… Almeno quella non avrebbe attentato alla sua vita con qualche abbraccio improvviso.

-Hanno aperto la caccia ai cretini?- portò dietro l’orecchio una ciocca sfuggita alle forcine, rimuginando sul panorama. E purtuttavia travolto dalla sua ironia malvoluta, complice l’alcool che scorreva nelle vene e gli annebbiava la mente, si ritrovò a grugnire senza staccare gli occhi dalla sua figura esile. E dovette ammettere a sé stesso –con molta pazienza e molto, molto coraggio- che i suoi amici avevano ragione: Lindsay Moore era carina. Ma fu un pensiero fugace, passato in bicicletta di là solo per rammentargli quanto GD e i suoi triathlon psicologici andassero aboliti una volta per tutte. Perché mettevano in testa strane idee, elucubrazioni che non lo facevano dormire la notte, che davano luce a pensieri che da lucido mai avrebbe partorito. Che solo una volta aveva pensato, quando ancora non aveva avuto il piacere di conoscere il suo amabile carattere: la prima notte in cui la vide al Tribeca. Sensuale, ammagliante, ipnotica… E le parole di Ji Yong risorsero prepotenti…

 

-Certe persone sono così, sai? Ti entrano dentro senza che tu possa nemmeno accorgertene, un’ossessione che prende forma piano. E quando te ne capaciti, è troppo tardi-

 

Scansò quel pensiero scomodo comparso all’improvviso, dicendosi che quel suo bel faccino non poteva nascondere la sua vera natura: una stronza, cinica e con il cuore di ghiaccio, incapace di provare sentimenti se non rivolti unicamente a sé stessa. Non gli ci era voluto molto per redigere quell’analisi e no, sinceramente non aveva voglia di approfondire la conoscenza per vedere se in realtà, sotto quell’antipatia, si nascondesse una persona migliore. Perché al peggio non c’era mai fine ed era sicuro che la Moore non avesse niente di bello da offrirgli.

-La smetti di fissarmi?- la sua voce era stanca, priva di fastidio. Quasi assente, come lei.

Si ridestò, riprendendo facoltà di quei pochi neuroni attivi rimastigli -Fissarti sarebbe come assistere ad uno spettacolo dell’orrore ravvicinato.-

-E tu sei uguale ad un film trash.-

-La simpatia l’hai dimenticata a casa?- Insieme all’educazione, magari.

-Beh, visto che sei a casa tua, che ne dici di cercare il buongusto?- scoccò un’occhiata disgustata alla sua giacca –Cielo, quella giacca è proprio l’anti-moda.-

Rimase pietrificato –Ma si può sapere chi ti credi di essere?- la voce era rauca, pregna di fastidio pulsante –Piombi in casa mia e hai il coraggio di sindacare sul mio vestiario?- a quel punto, diede fondo alla propria pazienza già esauritasi con la maniaca bionda –Perché cazzo sei venuta qui, si può sapere?-

E si sarebbe aspettato di tutto, ma non un assorto e apatico –Non lo so.- che più di tutto il resto, più delle parole sferzanti, più dell’ironia non richiesta, ebbe il potere di nutrire il suo rancore evidente e assolutamente indomabile. Odiava la sua imperturbabilità, la sua completa estraniazione nonostante la si tirasse in ballo, il suo essere così magnetica in maniera tanto aberrante da far innalzare le proprie barriere. Il suo essere ingestibile.

E l’esemplare di Top agghindato a festa, esplose -Dio, quanto sei odiosa!-

 

Ora che ci pensava bene, fu il suo sibilo a dare il via al tutto, un carosello di assurdità che, al solo ripensarci, ancora gli faceva girare testa e palle. Perché quella frase appena scappatagli era intrisa di cattiveria pura ma non era poi tanto diversa da quelle che si erano scambiati nell’arco di quel mese di spiacevoli incontri, che si erano scaraventati contro in quei dieci minuti che parevano un’eternità tanto erano logoranti. Ma qualcosa doveva aver sortito l’effetto opposto perché con estenuante lentezza, la Moore aveva sollevato il capo, rivolgendogli un’espressione di autentica corrosione capace di farlo indietreggiare di un passo.

-Ah, odiosa, certo. Quindi sarei odiosa?- domandò indicandosi, lasciando ora penzolare una gamba.

Top alzò le spalle, nascondendo lo smarrimento –E sorda, aggiungerei. E inutile, anche.-

La vide scattare in piedi, come se il davanzale avesse cominciato a scottare, nei suoi occhi nocciola truccati di nero e bianco solo rabbia crescente –Certamente, io sarei inutile! Non fate altro che ripetermelo!- Fate? –E, probabilmente, è proprio perché sono inutile che è successo tutto questo!- Eh?! Ma di che diavolo sta blaterando? Qualcosa gli era sfuggito. Fu come se la conversazione si fosse spostata su altri lidi e lui, in qualche modo, si fosse ritrovato in mezzo all’uragano –Oh, tanto so che muori dalla voglia di dirlo, non negarlo. È perché sono inutile e odiosa che mia madre mi ha sbattuta qui, no? Del resto, è la giusta punizione per le persone incapaci come la sottoscritta!- aprì le braccia, il fiato corto e le gote imporporate.

Nella sua mente, un unico pensiero: qualcosa non va. Il filo conduttore del suo cervello grosso quanto un’arachide doveva essersi scollegato e avrebbe voluto farglielo notare con altrettanto furore e cattiveria, ma era talmente basito che solo un seccato –Tu non stai bene.- uscì dalle sue labbra arricciate.

Lindsay sbatté le mani ingioiellate sui fianchi prima di aprire le braccia in un gesto di esasperazione –Certo! Quindi ora sarei anche pazza?!- roteò gli occhi. Ma faceva a posta a travisare le sue parole? –E’ per i tatuaggi? O per il fatto che parlo poco? O perché non voglio un ragazzo fisso come tutte le altre?- sgranò gli occhi. Ma cosa c’entrava tutto questo con il fatto che non stesse bene di cervello? Perché saltava di pala in frasca senza dargli il tempo di ragionare su ciò che stava accadendo? -Vogliamo parlare di fidanzati? Parliamone!- Ma chi vuole parlarne?! –Cosa c’è di male nel frequentare tanti ragazzi?-

La guardò con un sopracciglio inarcuato, non comprendendo il perché di quel discorso. Cosa c’entrava il numero di persone che si portava a letto con il fatto che fosse antipatica come un frutto marcio? Che poi… Ma davvero qualcuno aveva lo stomaco di andare con quel carrarmato? Ripeteva, con fatica inumana, che fosse indubbiamente una ragazza passabile, ma la bellezza esteriore veniva corrosa da un carattere a dir poco da far schifo! -Ma cosa vuoi che ne sappia! Puoi farti tutto il mondo per quanto mi riguarda!-

Venne ignorato -Io non ho paura delle relazioni stabili. Mi fanno semplicemente schifo, voi mi fate schifo- lo indicò, agitando l’indice –Fate promesse che poi non mantenete, ci sommergete di frasi fatte che mi danno il voltastomaco e poi? Poi quando i problemi diventano troppo grandi, scappate, lasciandoci sole ad affrontare tutto!- si disse che quella non doveva passarsela bene con il genere maschile, ma anche lì, a lui che gliene fregava? -Continuate a ripetermi che sono fredda, scostante, mi fate sentire una nullità!-

A quel punto, pose la fatidica domanda -Ma sei ubriaca?- lanciò un’occhiata allarmata al bicchiere di rhum poggiato sul davanzale. A parte che quelle rare volte che l’aveva adocchiata l’aveva scorta fra gli alcolici sempre a tracannare, quando loro si ubriacavano erano divertenti, quella invece era entrata in modalità Berserk e sembrava non volersi fermare!

Lin era ormai giunta, nel suo peregrinare, vicino alla libreria ricolma di libri -E tu- lo guardò come se fosse la fonte principale dei suoi guai –Tu non hai fatto altro che rendermi la vita impossibile da quando ci sei piombato dentro. È per la storia della Coca Cola?!- fece per parlare, ma venne travolto ancora dal suo fiume di parole –Santo cielo, cresci un po’!-

E quando credette di aver già detto tutto, quando credette di essere abbastanza elegante e uomo dal prendersi la briga di non cadere in quella discussione ormai ai limiti dell’assurdo, quando avvertì la pazienza salutarlo con una manina sventolante, capì di essere giunto al limite –La Coca non è il problema, il problema sei tu!- non pensava che si sarebbe ritrovato a infarcire quella discussione esternando i propri pensieri, ma la bestia che aveva saldamente legato pur di non causare danni si era liberata –Mi dai sui nervi. Da quando ti ho vista, tu mi dai sui nervi.- una confessione a fiato corto. Lo stomaco fece una capriola, ma non vi badò.

Lin si accarezzò le braccia tatuate, mitigandosi in quello sprazzo di lucidità che l’aveva accolta –Anche tu, non immagini qaunto- soffiò appena, portando le mani sulla testa -Non sarei mai dovuta venire qui.-

E sarebbe andata bene così. Con lei che si arrendeva, si mortificava e magari se ne andava con un Che palle!, che tanto trovava volgare detto da lei, stridente come poche altre cose al Mondo. Ma non riuscì a trattenersi. Nemmeno ci provò -Sicuramente, sarebbe stata la prima cosa buona in tutta la tua vita.- letale, freddo, calcolato. Top era stato tutto quello quando aveva lasciato risuonare le proprie parole nella stanza silenziosa, cosparsa di palpabile nervosismo e disprezzo. Ma soprattutto, era stato sincero. Era stanco di ritrovarsela fra i piedi, stanco di dover sopportare le sue parole sferzanti, esasperato al pensiero di dover avvertire la bile raggiungere la gola per il semplice fatto che quella gli stesse rubando l’aria, stremato nel dover superare le gare idiote di GD o sopportare i punzecchiamenti degli altri. E tutto per causa sua. E non si stupì quando la vide arcuare le sopracciglia, era un gesto talmente usuale da apparire ormai banale e tediante. Come lei.

Ma qualcosa avvenne. Ed ebbe la capacità di sbaragliare ogni sua certezza.

 

Lin fremette. Vide qualcosa spezzarsi nei occhi glaciali, quasi spietati, una velatura di disprezzo che mai gli aveva rivolto. Che andava ben oltre i commenti infantili che si erano rivolti fino quella notte. Che andava oltre lui. Era livida di rabbia, talmente tanto astiosa da farlo temere per la propria incolumità. E prima che potesse anche solo pensare di uscirsene e trovare rifugio altrove –anche le braccia di quella svitata bionda sembravano più protettive- si ritrovò a venire colpito da un oggetto voltante non identificato. Più precisamente sulla fronte… Gettò lo sguardo stralunato a terra. Riverso sulla copertina bordeaux, un libro grande quanto un transatlantico giaceva vicino ai suoi mocassini nero lucido, appurò dopo qualche secondo. Il tonfo sordo echeggiò appena, prima di venire coperto dal respiro pesante della ragazza. Alzò lo sguardo incredulo, incrociando i suoi occhi contornati da ira e rancore, così enormi per tutto quel trucco, così vivi da lasciarlo spaesato. Così lucidi da far presagire il peggio…

-Che accidenti—

-La prima cosa buona nella mia vita?- rigirò la sua fredda risposta in domanda, come se non avesse creduto alle sue orecchie –Che cosa ne sapete?- sbatté le braccia sui fianchi -Sono stanca che siate voi a decidere della mia vita! Io voglio solo essere lasciata in pace, non me ne frega niente delle amiche che non ho, o del non avere un ragazzo e non me ne frega niente della Columbia University!- lo sproloqui riprese, anche se questa volta Top fu più concentrato nello schivare gli oggetti che gli venivano scagliati contro. Però udì la sua voce tremante che stonava con la Lindsay Moore impassibile e incolore che era abituato a sopportare –Voglio essere libera, accidenti! E non ho bisogno di nessuno per cavarmela, so badare a me stessa!- sollevò un altro tomo, lanciandolo con violenza contro di lui, colpendolo in pieno petto. Istintivamente, portò una mano sul viso quando la vide recuperare un altro volume, sollevandolo in aria. Avrebbe dovuto ricordare che la sua mira non era poi tanto scarsa, visti i trascorsi.

-Vuoi fermarti?!- il suo ringhio venne coperto dal tonfo di un altro libro che si accasciava al suolo. E poi un altro. Seguito da altri due che si infransero contro la porta e l’armadio dalle teche di vetro che tintinnarono –Sei completamente scema?!- tuonò esasperato, schivando appena in tempo il volumetto del Piccolo Principe. Fantastico… Cioè, Guerra e Pace era riuscito a schiantarsi contro la sua fronte mentre quel maledettissimo libricino lo aveva mancato?! Ma era proprio uno sfigato colossale, e che cazzo!

-Io non sono scema, hai capito? Non lo sono affatto! Solo perché non sono laureata, non significa che sia un’incapace, laurea non è sinonimo di qualità!- giusto, ma pazza lo restava comunque. Solo una sclerotica avrebbe preso a librate lui, Top dei Big Bang –ma anche un tizio a caso che passava di là-, in casa sua, senza nemmeno avere la decenza di smetterla –E anche se non sono famosa come voi o non firmo autografi o non so cantare bene, la mia vita non è meno dignitosa della vostra!- aveva aperto le braccia –Essere barista è dignitoso tanto quanto fare l’avvocato o il cantante!-

-Ma di che caz— si arricciò su sé stesso, riparandosi dall’ennesimo libro che aveva deciso di cadere in picchiata sulla chioma turchese. Solo quando riuscì a prenderne uno fra le mani e scaraventarlo per terra con forza inaudita, ebbe il potere di rapire la sua attenzione. Lin si acquattò vicino alla finestra, allontanandosi dall’armamentario –Adesso basta! Ma cosa vuoi che me ne freghi di te e della tua vita?- sbatté le mani sui fianchi, sconvolto. Era per tutti quegli assurdi motivi che lo stava bombardando di libri assassini? Ma poi lui, in tutto quello, che diamine c’entrava? Se quella era una complessata cronica non era mica un suo problema! –Sei soltanto una maledetta isterica! Una ragazzina odio--

 

Un rumore secco placò i loro animi fin troppo infuocati, troncò le sue parole ormai imbestialite e irrefrenabili. Dopo, il silenzio. Per terra, un bicchiere di plastica vuoto.

Il bicchiere pieno di rhum, agli albori sul davanzale, gli era stato lanciato contro –come tutta la mobilia di quella stanza-, colpendolo sulla nuca; il viso ora contratto in una smorfia di incredulità. Chiuse gli occhi azzurri quando avvertì il liquido scuro colare sulle guance, inasprirgli le labbra, scivolando sul mento e il collo, bagnandogli la costosa camicia. Ora-ha-veramente-esagerato. E la rabbia prese il sopravvento, o almeno ci provò. Perché quando alzò lo sguardo iracondo sulla causa dei suoi peggiori incubi, sulla causa delle sue costanti emicranie, sulla nemesi naturale che andava sconfitta una volta per tutte, pronto ad esternare l’immenso disprezzo che provava per la sua fastidiosa persona… Qualcosa si frantumò. Riuscì a sentirlo, quel filo invisibile che teneva salde tutte le sue certezze, spezzarsi con una vibrazione stridente che, per un istante, lo fece barcollare.

Perché Lindsay si era bloccata. Tutto di lei era fermo.

Era lì con gli occhi enormi e lucidi, immobile e spenta, come se fosse entrata solo in quel momento nella stanza ormai a soqquadro. E si guardava attorno spaesata, forse alla ricerca di qualche altro oggetto contundente da lanciargli contro o magari stanca per il troppo sforzo. Fatto stava che si era calmata e quando la vide portare le mani sul viso, stropicciandoselo, comprese che la guerra si era ormai conclusa. E lui aveva vinto, oh, sì che aveva vinto. E sarebbe bastato poco, pochissimo per farla crollare; la frase giusta e qualche sguardo tagliente avrebbero dato una mano. Ma le parole gli si incastrarono in gola, nessun suono venne sparso nell’aria. Anzi, un suono ci fu, ma non fu lui ad emetterlo: fu un singhiozzo appena accennato, mal trattenuto, poi sempre più forte, fino a che la stanza venne sommersa dal rumore di un pianto assolutamente straziante.

Che palle… Ti prego, che palle, non anche questo!

Lindsay aveva incurvato le spalle, le mani avevano stretto convulsamente i lembi sui fianchi della gonna da gitana. Stava piangendo a dirotto, come se il nervoso si fosse tramutato in calde lacrime che ora le rigavano il volto rosso. Era rovinata su sé stessa, rannicchiandosi mentre copriva il volto con entrambe le mani, incurante del suo mostrarsi così orribile davanti a lui. A lui che, statico, non riusciva a spiccicare parole di cattiveria. Fu solo capace di imprecare a mezza voce contro il mal di testa pulsante mentre le dita compivano movimenti circolari per lenire il dolore lancinante. Ma il suo frignare orrendo era solo un incentivo affinché l’emicrania aumentasse.

E se la sorpresa si fosse decisa ad abbandonare il suo corpo, magari sarebbe stato capace di infliggerle il colpo di grazia… Eppure… Eppure… Eppure c’era qualcosa di assolutamente sbagliato in quella scena, di assolutamente inspiegabile in ciò che la sua mente stava partorendo. Ingiusto. Gli sembrò ingiusto approfittare della sua crisi isterica, ovviamente rivolta a terzi, solo per vederla soffrire ulteriormente e quella scena di puerile pateticità non era assolutamente godibile. Non come se la era immaginata, almeno. Aveva sempre figurato sé stesso in piedi, spavaldo e vittorioso, mentre la vedeva farsi piccola, minuscola, supplicante di lasciarla andare, di non farle del male. E lui, dall’alto della propria vittoria, l’avrebbe schiacciata come il minuscolo insetto che era…

E allora perché non ti muovi?

Già, perché non si muoveva? Perché non approfittava di ciò che quel momento glorioso gli stava porgendo su un piatto di cristallo?

Forse era l’emicrania a parlare, doveva essere per forza quella. Era infatti certo che, se non fosse stato fisicamente sofferente, probabilmente avrebbe goduto nel vederla contorcersi come il vermiciattolo che era. Ma, beh, poteva sempre andare a fargliela pagare al Tribeca. A quanto pareva, il signor Yoon era tornato dal suo viaggio di affari…

Si tastò la giacca appiccicosa e un’altra imprecazione logorò l’aria –Cazzo! Che-palle!- tuonò asciutto, massaggiandosi una spalla prima di toglierla e gettarla sul divano, restando in maglietta –Era la mia preferita!- ma lei non si rispose, limitandosi a portare i capelli indietro, mostrando il volto paonazzo e sporco di trucco colato, inumidendosi le labbra mentre prendeva dei profondi respiri. Digrignò i denti e si avvicinò alla porta del bagno, pronto a ficcarcisi dentro con la speranza che lei si sarebbe dissolta. Sparisci di qui, volatilizzati, non mettere più piede in casa mia, non farti più vedere o è la volta buona che ti spedisco a New York a calci!, pensò iracondo, stringendo talmente tanto la mano sul pomello in ottone da far divenire le nocche bianche.

Ma in quel preciso istante…

In quel preciso istante, nell’esatto momento in cui fece ruotare la maniglia, attimo in cui la porta cigolò per un millesimo di secondo… La sua voce lo raggiunse con straordinaria delicatezza. Inaspettata. Fu un Seung-Hyun sospeso nell’aria, inabissato dai suoi rantoli e singhiozzi incessanti. Sospeso e che sembrò risuonare per quelle quattro mura, capace di far diradare l’astio che permeava inesorabile. Capace di irradiare dolce calore.

Represse il desiderio di strapparle le corde vocali e con lentezza si volse, portando istintivamente le mani davanti al volto, spaventato al pensiero che qualche altro oggetto potesse essere scagliato. Ma lei era ancora rannicchiata e non accennava a muoversi -Che diavolo vuoi?- esalò con voce profonda, lasciando trapelare tutta la propria vena omicida. E lei non rispose, ancora intenta a frenare il pianto.

Poi, l’imprevedibile avvenne…

 

-Scusa.-

 

Era stato un attimo, un battito di ciglia velate di lacrime, una parentesi di colore in mezzo al nero della loro discussione, della loro conoscenza… Una parola imprevedibile, capace di scuoterlo… Una bellezza che non credeva sarebbe mai potuta uscire da quelle labbra incatramate di volgarità. Una bellezza che non credeva potesse Lindsay Moore possedere.

 

-Scusami tanto. Scusa.-

 

Allargò gli occhi scuri, la rabbia sopraffatta da una strana sensazione di inadeguatezza. Tutte le cattiverie che pendevano dalla bocca dischiusa fecero dietro front nella gola secca, spingendosi fino ai meandri del proprio essere. Aprì la porta con un gesto secco e nel medesimo modo la richiuse, riavvertendo da dietro la superficie legnosa il suo pianto, anche se più contenuto questa volta.  Avvertì qualcosa a livello dello stomaco, una morsa che si chiudeva stringendoglielo, attorcigliandolo, facendo sfociare un calore che non riusciva a descrivere. Diede un pugno alla superficie di legno, imprecando contro sé stesso per la propria incapacità di averle risposto per le rime o averla trattata allo stesso modo. Perché gli stava rendendo l’esistenza un Inferno da quando era irrotta nella sua già caotica vita, si stava rendendo indisponente con i suoi modi da reginetta delle strade… Però aveva pianto… E gli aveva chiesto scusa fra i singhiozzi. Per la prima volta da quando avevano avuto il dispiacere di incontrarla, si stava rendendo quasi umana…

Fu il suo turno di stropicciarsi il viso, aprì il rubinetto e si lasciò travolgere dalla sensazione di frescura e liberazione che l’acqua fredda gli stava dando. Il suo scrosciare attutì i suoni provenienti dall’altra stanza. Posò le mani sul lavandino, stringendolo, e osservò la propria figura nello specchio, riscoprendo un Top più stanco, più cattivo… Più timoroso del mondo oltre quella porta. Gli occhi erano sottili e colmi di rancore ma i suoi lineamenti erano meno induriti. Gettò il capo in avanti prima di prendere un profondo respiro, passarsi le mani sul volto e recuperare un asciugamano.

 

Adesso sarebbe uscito e l’avrebbe cacciata fuori a calci gridandole quanto la sua sola presenza fosse deleteria, quanto il suo essere sempre presente stesse diventando claustrofobico. Sì, le avrebbe detto tutto questo e nemmeno le sue sciocche lacrime lo avrebbero fermato! Ma si accorse di dover rimandare i propri piani, a porte aperte…

Lindsay non c’era e con lei era sparito tutto il disordine: i libri erano adagiati in pila sul tavolo e i cuscini erano di nuovo sul divano come se non fossero mai stati spostati e il bicchiere era di nuovo sul davanzale. Solo la sua giacca era sparita; al suo posto, un bigliettino improvvisato che riportava una breve sequenza di lettere scritte male. La calligrafia della Moore era qualcosa di osceno, si ritrovò a pensare con stizza prima di comprendere cosa era effettivamente accaduto:

Porto la giacca in lavanderia. Te la restituisco appena pulita.

Lin.”

 

Si massaggiò il collo e un flebile –Cazzo…- gli sfuggì. Si lasciò cadere sul divano, la testa dolorante fra le mani, la nausea che adombrava tutti i sensi. Le parole enigmatiche di GD a turbinare nella mente sconvolta…

 

-E se solo guardassi tutto da un’altra prospettiva, ti accorgeresti di quanta bellezza c’è dietro il muro.-

 

Era quindi quella la bellezza? Un calore che si era propagato per tutto il corpo? L’imprevedibilità di quel momento? Il suo essere così strabiliantemente umana, per una volta? Aveva solo sbirciato oltre il muro e la bellezza che vi aveva scorto, non gli era dispiaciuta. Affatto. Si spaventò.

Se avesse oltrepassato il muro, dove sarebbe arrivato?

 

 

 

 

A Vip’s corner:

Il capitolo estremamente lungo –e che mi soddisfa parzialmente, mi sembra tutto troppo concentrato e veloce- è un regalo per voi che mi seguite e mi incoraggiate a continuare: purtroppo causa mole di lavoro e amici che richiedono la mia compagnia (se pacco ancora è la volta buona che mi legano al portapacchi -.-) non credo riuscirò ad aggiornare molto presto –almeno, non nella mia solita settimana, ecco- ma voi non dimenticatevi di me ç_ç

Passando al capitolo… Ma che catastrofico che è ò_ò Pieno di liti… Anche se l’ultima  direi che è un tantino diversa, no? Insomma, sembra lasciar intendere che può nascere del buono (che poi è scontato, ma va beh xD). Ah, e il fatto che le parole imprevedibili si sprechino quando hanno le mani sulle maniglie non era calcolato, è uscito così xD La lite con Mark non è messa lì solo per far innervosire Lin, e se da questa parvenza me ne dispiaccio. Ma volevo analizzare il suo rapporto con il padre, perché mancava qualcosa. Perché c’è un perché se lei è così. Chiedo scusa inoltre se GD è comparso poco e non è stato il solito perfido stronzo che tanto amiamo, ma direi che le sue poche parole sono state decisive a smuovere qualcosa, no? E la festa è molto scarna, lo so. Ma il punto focale del capitolo non era la festa in sé, bensì la piega che prende. Anche qui, mi dispiace se ho deluso le vostre aspettative :( 

Non mi dilungo oltre, lasciando la parola a voi che siete il mio incentivo a continuare la pubblicazione anche quando l’ispirazione manca *.*: un grazie infinito a lil_monkey, hottina, ssilen, e Myuzu e per aver commentato il precedente ♥ Un grazie è riduttivo, sappiatelo ♥ Se passaste ancora di qui e voleste rendermi partecipe dei vostri pensieri, sono più che ben accetti :)

E grazie di cuore anche a chi ha inserito la storia fra le seguite/preferite e quant’altro e legge ma resta in silenzio :) Se passaste ancora di qui –invito rivolto a tuuuutti- e voleste farmi sapere che ne pensate, le critiche sono sempre le benvenute ;)

Bacioni e alla prossima! (cercherò di non stare via a lungo, promesso!)

HeavenIsInYourEyes.

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Capitolo 7
*** The only one ***


Capitolo 7

The only one

 

Do you know what's worth fighting for?

When it's not worth dying for?

Does it take your breath away?

And you feel yourself suffocating?”

-21 Guns – Green Day-

 

 

Il paradiso terrestre era un appartamento nella caotica Seoul in cui vivevano cinque favolosi ragazzi e Ginko, ventitreenne dalle inesauribili energie, poteva vantarsi di averci posato le sue scarpe tacco dodici. Sarebbe potuta morire lì, in quel salotto dalle luci soffuse e i divanetti color panna che non le sarebbe importato nulla… Beh, questo prima che i Big Bang non si fossero degnati di fare una foto con lei, ovvio. Allora sì che sarebbe potuta perire con uno smagliante sorriso sulle labbra! E arrivata davanti alle porte del Paradiso, avrebbe messo una buona parola per Lindsay Moore, la ragazza che aveva permesso al suo sogno di realizzarsi. Insomma… Era nella casa dei Big Bang e non aveva nemmeno dovuto ricorrere all’entrata furtiva o le forcine per capelli per forzare la serratura! Aveva potuto rovistare fra i cassetti di Taeyang, curiosa di sapere se preferisse gli slip o i boxer, e nessuno l’avrebbe accusata di furto aggravato con scasso! Oh, quale giubilo!

Comunque, Ginko Fujii si era ritrovata così immersa in un nuvolo di Chanel N°5 e dopobarba al muschio che le stava infettando le narici del naso un po’ schiacciato. Davanti a sé, un nuvolo di celebrità appena uscite da una delle tante riviste di moda abbandonate sul tavolino del salotto; fra le mani, un microfono rovente mentre occupava la postazione adibita a Karaoke su cui, esattamente due minuti prima, Park Bom aveva dato il meglio di sé; nell’aria, la propria voce che non si avvicinava nemmeno di venti tonalità a quella della bella cantante -Ma che strazio!- avvertì un gracidio risuonare nell’aria, ma lei non vi badò. Del resto, il suo momento di totale trionfo stava ormai giungendo.

Le parole cominciarono a scorrere sullo schermo e lei, allargando il proprio sorriso, pigolò -Coraggio tutti assieme!- sventolò un braccio, ondeggiando sulle melodiose note di Yang Chen Gang -Wo ai ni, ai zhe ni, Jiu xiang lao shu ai da mi. Bu gu

-Oh, per carità, basta!- Dae aveva teatralmente portato le mani fra i capelli biondi, scompigliandoli, lasciando che un’avvenente morettina un po’ brilla continuasse ad accarezzargli la schiena, probabilmente per lenire il dolore. Ri, al suo fianco, lasciava ciondolare la nuca, visibilmente ubriaco.

Oh, che esagerati!, pensò svagata, continuando imperterrita nel proprio melodioso cinguettio

 

-Le galline stonate andrebbero rinchiuse nei pollai.-

Cinguettio che venne soffocato dall’arrivo del guastafeste di turno. Chi era questo cretino che osava mettere in dubbio le sue squisite doti canore?! Arricciò le labbra nel sentirsi rivolgere quel commento sgarbato, ma il fastidiò fu come una nuvola passeggera che lasciò spazio al sereno, mentre un’incommensurabile gioia che aveva il potere di irradiare tutto il salotto, si fece largo nella nebbia del suo cuore. Perché quando si volse, la perfezione che scorse fece scemare quel briciolo di isteria che l’aveva presa in contropiede: Kwon Ji Yong, in tutta la sua piumosa eleganza, le aveva strappato il microfono di mano prima di lanciarlo a CL che, cogliendolo come un invito, si precipitò verso la postazione, scansandola.

-Sarebbe meglio lasciar fare ai professionisti.- trillò la giovane facendole l’occhiolino, prima di concentrarsi sul libricino contenente tutte le canzoni.

Ma Ginko la ignorò, persa nei meandri del proprio cervello fritto e fumante. In mezzo ai detriti, un unico pensiero: come poteva tanta beltà essere incanalata in un unico uomo?

-Tu—boccheggiò, deglutì, strabuzzò gli occhi, ma ancora faticava a credere a ciò che qualche buon Dio le avevano piazzato sul proprio cammino.

Che c’è?- annoiato, arcuò le sopracciglia di fronte alla sua bocca spalancata –Finalmente la voce si è suicidata?-

E avrebbe dovuto sentirsi mortalmente offesa per quell’appunto sgraziato e carico di pungente ironia, prendere a schiaffi quel visetto d’angelo contratto in una smorfia di derisione crescente, strappare quelle extension dall’improponibile colore fucsia –anche se il fucsia era il suo colore preferito e su di lui erano una meraviglia per gli occhi- e perché no!, conservarle come fossero un portafortuna, magari appendendole allo specchietto dell’auto -del resto, convenne con la propria brillante genialità, le cornina rosso acceso era così demodé-; purtuttavia attraversata da quei pensieri, non si lasciò intimorire, rivolgendogli un sorriso beota.

Fu in uno dei suoi soliti trip mentali, in quel momento di ordinaria follia che le mani si allungarono verso il leader che, poco prima, aveva pensato bene di girare al largo da quella squinternata. I polpastrelli caldi, roventi sulla sua pelle fresca, si posarono delicati sulla fronte scoperta ora corrugata per l’incredulità, compiendo lenti movimenti in su e in giù -Mi sono sempre chiesta se la tua fronte è davvero così liscia o è solo il video di Fantastic Baby ad essere ritoccato- aveva sciorinato quelle parole come un fiume straripante, indifferente agli occhi ora spalancati del ragazzo che, se prima aveva scacciato le sue mani con malagrazia, ora se ne restava immobile come un ameba, braccia lungo i fianchi –Sembra il sederino di un bimbo!-

Ji Yong la guardò seriamente convinto che fosse pazza -Chi sei?-

Allungò la zampina ingioiellata verso le sue ciocche colorate, tirandogliele leggermente -Senti, posso staccarti una di queste?- si avvicinò con fare cospiratorio, mettendo una mano davanti alle labbruccia color ciliegia –Sai, ho un altarino con tutte le tue foto nel mio armadio!-

-Se non la smetti, chiamo la sicurezza- la ragazza lasciò cadere le mani –che casualmente finirono per sfiorare le sue deliziose labbra- portando i pugni sotto il mento cercando di non esplodere. Ji Yong era davanti a lei, in tutta la sua magnificenza. E lei lo aveva toccato! Non si sarebbe lavata più le mani! –Piuttosto… Chi ti ha fatta entrare?- aggrottò le sopracciglia, squadrandola.

Ginko, stretta nel proprio abitino bianco a fiorellini viola e lillà, si maledì per non aver infilato un paio di calzettoni nel proprio reggiseno, auspicando che la propria prima scarsa potesse almeno divenire una seconda abbondante. Gonfiò leggermente il petto, pregando che il gioco di luci creasse qualche strano effetto ottico che potesse farla apparire la Pamela Anderson della situazione, anche se dal suo sguardo deluso e annoiato capì di aver miseramente fallito la missione –Taeyang!-

Il ragazzo si massaggiò una tempia -Riformulo la domanda: chi ti ha invitata?- diretto e asciutto, il leader portò le mani nelle tasche dei pantaloni neri, lanciando di tanto in tanto qualche occhiata alla bella CL che, armoniosa, continuava ad intrattenere il pubblico ora in visibilio.

-Oh, sono venuta con Lin!- trillò al settimo cielo, alzandosi sulle punte per vedere se la ragazza fosse nei paraggi; di lei, purtroppo, nemmeno l’ombra. L’ultima volta l’aveva vista discutere al banco degli alcolici con Top, ma dubitava si stessero scambiando i complimenti sul vestiario.

Fu allora che GD allargò gli occhi, sogghignando –Quindi sei tu la cozza.-

Gonfiò le guance –Ostrica con perla, prego.- agitò l’indice, vedendolo abbozzare un sorrisetto inquietante che mai aveva scorto sul suo viso. E sì che lei aveva registrato tuuuuutte le interviste fatte dai Big Bang! Eh, però era proprio bello, accipicchia! E sarebbe rimasta tutta la notte a contemplarlo, a seguirlo e magari nascondersi in qualche anfratto per poterlo poi fotografare di soppiatto –possibilmente nudo- per dare un pizzico di pepe al suo scialbo altarino addobbato con le lucette di natale che gli conferivano un tocco un po’ kitsch. Sarebbe rimasta così per davvero…

Ma ci fu qualcosa che distrasse la sua contemplazione sognante, una sbavatura di trucco e di emozioni che collidevano fra loro, un uragano dalla lunga treccia corvina che rovinò quel momento magico. Un momento talmente pieno di colore, per quanto assolutamente spiazzante, che le fece dimenticare di Ji Yong, dei Big Bang, di tutto… Perché quell’adorabile ghiacciolo della Moore sembrava appena essere tornata da una corsa fianco a fianco con Usain Bolt tanto era sconvolta. E lei, che avrebbe dovuto essere adirata per quella rozza interruzione, per quella scena pietosa, per quel siparietto sgradevole che aveva fatto fare le valigie alla magia… Non riuscì a provare nulla se non preoccupazione –Che succede?- soffiò senza energie, guardando GD che, al suo fianco, aveva corrugato la fronte, palesando irritazione.

-Oh, quindi è già avvenuto...-

-Che cosa?!-

Il ragazzo alzò le spalle prima di scoccarle un’occhiata annoiata –Nulla che ti riguardi.- e senza nemmeno degnarla di uno sguardo, si allontanò verso altri lidi, lasciandola con la curiosità divorante tipica delle zabette di paese. Scosse la nuca e senza curarsi di quel troglodita si catapultò verso il ciclone americano -Che è successo?!-

-Voglio andare a casa.- esalò passandosi la mano libera sul volto; l’altra, stringeva un’abominevole giacca multicolore che sembrava gridare bruciatemi tanto sono orrenda.

-Subito!- la prese per un polso, tacchettando verso la giacca riversa sul divano in mezzo ad un mucchio di altri soprabiti. Raccattò quella che, tra tutte, risultava indistintamente comprata alle bancarelle dei mercatini, avvertendo dietro di sé la sofferente quanto lugubre presenza dell’amica.

-Tu puoi restare.-

-Non ti lascio andare a casa da sola!- agitò le mani, guardandola allucinata. Come se potesse davvero abbandonarla per quelle strade solitarie vestita da campagnola, il trucco sfatto e la sobrietà di un alcolizzato appena uscito dalla birreria nel giorno delle pinte gratuite.

Lin si stropicciò il volto, singhiozzando -Ma tu volevi stare con i Big Bang…- mormorò affranta, come se fosse davvero preoccupata per quell’uscita di scena plateale e in stile Cenerentola. E Ginko, in tutta la sua umanità, si ritrovò a guardare quattro dei cinque membri della band che le fissavano incuriositi e confusi, trovandoli più belli di quanto avrebbe mai potuto immaginare. E avrebbe davvero tanto, ma tanto voluto restare con loro ancora un po’, giusto per godersi quel momento che, sapeva, non sarebbe mai ricapitato… Un ‘occasione che piomba una sola volta nella vita…

Eppure, in quel marasma di emozioni altalenanti, si ritrovò a scuotere la nuca, sorriderle rincuorante e prenderla per mano, ripetendo un serafico –Non ti lascio andare a casa da sola.- perché più di GD e della sua pelle liscia, più del suo sogno di poter fare una foto con i Big Bang, più del desiderio di rubare i boxer di Taeyang dal suo cassetto, più di tutto questo… C’era Lin che continuava a guardarsi indietro, che stringeva convulsamente uno straccio e che non sembrava, per la prima volta da che la conosceva, immune a ciò che la circondava. Alle persone che le stavano attorno…

Porse un breve inchino agli ospiti e si trascinò dietro l’americana dal pianto imminente che, come suo solito, si ritrovò a sventolare una mano con svogliatezza. Era lieta di sapere che, nonostante i litri di alcool in corpo, quella non divenisse una gatta morta!

 

Le strinse il polso quando, ormai giunte all’automobile, avvertì i suoi singhiozzi farsi sempre più sommessi -Cos’è successo?- le passò i pollici sotto gli occhi, ricevendo una smorfia in cambio. Sospirò e, paziente, attese che la degnasse di una risposta. La vide accucciarsi sul sedile anteriore dell’auto e legarsi la cintura con un gesto secco mentre allungava l’indice verso la radio.

-Ho be-vu-to- scandì svagata, ridacchiando scioccamente mentre buttava la testa all’indietro –Il rhum è così buono!- trillò, cominciando ad agitare le dita come se fosse un maestro d’orchestra mentre la musicava cominciava a circondarle.

Ginko mise in moto e solo dopo aver appurato di essere riuscita a non schiantarsi contro qualche costosa auto parcheggiata, si lasciò trasportare in quella conversazione insensata. Sentendola canticchiare ad intermittenza, sospirò –Tuo padre non sarà contento di vederti così.- e lei non avrebbe voluto essere nei suoi panni, proprio no.

Lin emise un verso strozzato, uno squittio stridente che le fece allargare gli occhi per la sorpresa. Le sembrava così diversa dalla solita menefreghista, così… viva, così piena di colori, assolutamente bella in tutta la sua sciattezza da spingerla a chiedersi cosa l’avesse spinta a tutto ciò –Lui non è mai contento di vedermi- la sentì sussurrare con una risata mal trattenuta prima di sbottare un secco –Io non ci torno a casa!- passandosi una mano sul naso.

Schivò un malefico gatto che le aveva tagliato la strada -Come non torni a casa?!-

-No, io lo odio!-

-Chi odi?-

-Mark!- poi la sua voce si fece debole, quasi un sussurro –No.-

-Ma chi è Mark?!-

-Seung-Hyun!-

-Eh?! Ma non si chiama Mark!-

-No, però li odio!- masticò le parole, incespicando –Ma Seung-Hyun di meno- la vide portare la mani ingioiellate fra i capelli –Però lui mi disprezza.-

-Oh, andiamo, disprezzare è una parola troppo grande!- asserì convinta, cercando di rasserenarla.

Lin ridacchiò –Noo-o, lui mi disprezza, l’ho visto. Quando gli ho tirato Il signore degli anelli sul naso—

-Che cosa gli hai tirato addosso?!- la interruppe incredula, svoltando bruscamente alla rotonda. Ma di che diavolo stava blaterando? E perché aveva preso a signorate degli anelli il povero Top?!

-E Guerra e Pace, e Harry Potter e—

Ginko sventolò una mano -Ma perché?!-

Lin strabuzzò gli occhi nocciola prima di socchiuderli –Non-lo-so.- poi ridacchiò, appoggiando la guancia sul finestrino.

Quell’intricato vaneggiamento non stava portando ad altro che vicoli ciechi. E Ginko, pur nella sua immensa bontà, si arrese alla propria incapacità di poter sostenere quel mucchio di frasi biascicate che saltavano come scimmie sulle liane da un albero all’altro. Un lungo sospiro scappatole dalle labbra pitturate di ciliegia riempì l’abitacolo e la Fujii, recuperando il cellulare dell’americana, si premurò di mandare un messaggio a suo padre dopo aver abilmente frugato nella rubrica –Stasera dormi da me.- le mormorò pacata, scompigliandole i capelli corvini.

E avrebbe potuto affermare con certezza, Ginko, che quella serata piena di colpi di scena sarebbe potuta terminare in quella maniera un po’ bislacca ma che, all’apparenza, non aveva niente di memorabile. Ma a quanto sembrava, aveva mal valutato Lindsay e le sue doti tenute ben nascoste, perché prima di svoltare a destra, la vide togliersi i tacchi imprecando per il dolore ai talloni, poggiare i piedi smaltati di rosso sul sedile e circondar con le gracili braccia le ginocchia portate al petto, la nuca pesante su di esse mentre le spalle erano scosse da tremiti. E nella quiete, ci fu un suono caldo e gentile…

-Scusami anche tu.-

Un sorriso le sfuggì mentre tamburellava le dita sul volante –Non è nulla.-

Lindsay Moore non era la parsa mai tanto fragile come allora…

 

 

Anche la mattina seguente, in mezzo al macello di casa propria, Lin le dava l’impressione di non passarsela troppo bene: la treccia sfatta, il viso più pallido del normale che intaccava la sua delicata bellezza, lo sguardo assente e fisso sulla tazzina fumante di orrendo the verde… Era come assistere ad un tristissimo film muto in bianco e nero.

-Come va la nausea?- domandò accorta, ravanando nel barattolo contenente tutte le bustine di the dalle varietà altamente assortite.

-Schifo.- biascicò in risposta, storcendo il naso di fronte alla tazza rosa. Nonostante la disgustasse, continuava a bersi quell’intruglio malefico. Ancora non capiva se fosse solo pazza o se davvero la Moore avesse il gusto dell’orrido.

-Quella roba farebbe venire il vomito a chiunque.- commentò pensosa, imbronciandosi nel non trovare una bustina che soddisfacesse la propria voglia di dolciastro. Una smorfia le dipinse il volto sottile quando una bustina di the verde, camuffatasi in mezzo alle altre squisitezze, le capitò fra le mani.

-Allora perché le compri?-

-Piace a mia madre. Quando viene a trovarmi, ne beve almeno due tazze al giorno- sorrise vispamente prima di tronare alla sua ricerca, ricevendo un mugugno sommesso dall’altra parte del bancone –Tornando a noi… Ma perché gli hai tirato dei libri addosso?-

Lin agitò una mano –Ero ubriaca.-

Gin saltellò quando la bustina di the alla pesca si decise a farsi trovare, stringendola forte mentre guardava l’amica con severità –Niente più Chupito del pre-serata per te- vide le sue labbra guizzare all’insù per un millesimo di secondo, poi il volto si incupì di nuovo –Solo per quello?- si fece seria, spinta dal desiderio di comprendere il perché di quel gesto suicida. Perché era illogico che una persona sana di mente desse inizio ad una lotta a colpi di Guerra e Pace, così come era assolutamente inimmaginabile che, dall’altra parte del campo, vi fosse Top dei Big Bang. Sarebbe stato come assistere ad uno sconto fra un Gundam e Godzilla! E per quanto quei due si mal sopportassero, mai avrebbe pensato che un episodio del genere sarebbe potuto accadere.

Ma Lin sembrò leggerle nel pensiero, perché la sua voce risuonò colpevole, assorta, ma non fu capace di darle una risposta precisa –Ho esagerato questa volta.- si stropicciò il volto, reprimendo un sospiro pesante.

Non se la sentiva di criticare il suo atteggiamento scostante e freddo che, a ben vedere, non le portava altro che guai, anche perché la ragazza sembrava averne già patite abbastanza per quel giorno -Quindi cos’hai intenzione di fare?- inzuppò la bustina, crogiolandosi nella vista del liquido che si scuriva in cerchi traballanti.

Lin continuava a rigirare il cucchiaino con svogliatezza, rimanendo in fissa sull’oggetto che mai lite più funesta aveva portato –La porterò in lavanderia.- asserì apatica, un’imprecazione a seguire.

Un risolino le sfuggì –No, no, intendevo con Top!-

L’americana nascose le labbra dietro il palmo aperto -Non ci ho pensato- borbottò –A dir la verità, non ho granché voglia di vederlo.-

Soffiò sulla tazza -Vedrai che le cose si aggiusteranno.- asserì pacifica, cercando di infonderle un pizzico di positività.

E mentre cominciava a sorseggiare la bevanda, inebriandosi del sapore dolciastro che le aveva invaso la bocca, udì indistintamente le parole appena bisbigliate della ragazza –Come se ci fosse mai stato qualcosa da aggiustare- prima che quella si alzasse e posasse con delicatezza la tazza nel lavabo. Ginko abbassò lo sguardo, osservando le proprie ciabatte a forma di Puffo vanitoso. Era vero, tra quei due non correva buon sangue e sarebbe stato impossibile rimediare ad un errore commesso per salvaguardare un rapporto che, effettivamente, non esisteva. Però, forse, quella crepa che si era creata fra loro non sarebbe stata poi così negativa, no? Ad occhiata più approfondita, quello sarebbe potuto essere un nuovo inizio per la loro traballante conoscenza, che su basi nuove e civili, magari si sarebbe potuta solidificare. O, alla peggio, sarebbe sfumato nel dimenticatoio -Vado a prepararmi. Papà potrebbe darmi per dispersa.- la vide storcere il naso mentre una mano andava ad incastrarsi fra la zazzera scompigliata, zampettando sulle punte verso la camera da letto.

La padrona di casa la chiamò -Sai? Non dovresti sentirti in colpa- Lin si voltò, palesando la propria confusione e incertezza -Gli hai chiesto scusa, no?- e vedendo i suoi occhi ripieni di sincera gratitudine, il sorriso spezzato -proprio come cantava quella canzone dei Maroon 5 che lei trovava assolutamente malinconica-, e una strana gentilezza che prima di allora non era riuscita a cogliere, come se quel pianto avesse fatto scivolare via il rancore per lasciare spazio ad una autentica voglia di redimersi, Ginko si ritrovò a pensare a quanto ancora ci fosse da scoprire su Lindsay Moore.

Posò il the sul bancone e, inevitabilmente, lo sguardo cadde sulla giacca spiegazzata sul pouf rosa scuro proprio sotto la finestra. Ginko tossì  –Certo che quella giacca è proprio brutta, però.-
 

*****

 

-Mi ha sbattuto la porta in faccia!-

Un rantolo acuto e sdegnato risuonò per il corridoio, investendo deliziosamente le proprie orecchie abituatesi al silenzio di quel pomeriggio soleggiato e, almeno fino a cinque secondi prima, noioso da morire. Non ebbe nemmeno la necessità di alzare il capo dal foglio su cui stava buttando giù qualche frase per rendersi conto di chi aveva appena allietato la sua giornata uggiosa…

-Chi ti ha sbattuto la porta in faccia, Ri?-

-Seung-Hyun!-

Ed ecco accorrere in cucina con i piedi sciabattanti, un SeungRi in tutta la sua adorabile ingenuità e irruenza, pronto a manifestare la propria rabbia nei confronti di un Top piuttosto incazzoso, quella domenica. Era infatti dalla notte precedente che il loro adorato Hyung era entrato in modalità Berserk con chiunque gli fosse capitato a tiro e Ji Yong, in mezzo al frastuono della musica, in mezzo al vociare concitato e assolutamente privo di attrattiva degli invitati, nel bel mezzo di una discussione con una tappa insignificante rossa di capelli sulle sue presunte –quanto discutibili- doti canore, aveva compreso cosa, anzi, chi avesse risvegliato la bestia sopita: Lindsay Moore. Perché, come da copione, i due si erano probabilmente rivolti qualche parolina di troppo, inscenando una battaglia che, a suo dire, sarebbe potuta essere annoverata fra le scene cult del buon cinema.

Aveva storto il naso però quando aveva appurato di essersi perso tale sublime scontro, ma contava di potersi rifare. Perché ce ne sarebbero stati altri, ci scommetteva tutte le canzoni che aveva composto e lui sarebbe stato presente, applaudendo ai due protagonisti, lanciando loro fiori e incitandoli affinché potessero concedergli un bis. E se da un lato c’era il disappunto per aver scialacquato quell’occasione d’oro, LA lite per eccellenza, la madre di tutte le battaglie, l’incipit di quello che sarebbe stato il suo film preferito, dall’altra c’era la completa certezza che la bontà di SeungRi avrebbe sanato ogni ferita. Il suo strepito iniziale, per esempio, era paragonabile ad uno sciroppo alla fragola.

-E perché l’avrebbe fatto?- melassoso, lo scrutò con la coda degli occhi ora colmi di gioia.

Ri aprì le braccia, corrugando la fronte, come se non si capacitasse dell’ovvietà di quella domanda -Perché è incazzato!-

Sbatté le palpebre, inclinando il capo con curiosità -Lo è?-

Tentennò, la mano che andava a grattarsi la nuca –Beh, forse, credo… Lo sembra!-

-Oh, lo sembra- soppesò trattenendo una risata liberatoria, crogiolandosi alla vista del suo snervamento ora rivolto allo spazzolino blu che stava brandendo –Sicuro che non si sia appena svegliato? Anche tu sei sempre incazzato appena sveglio.- constatò portando l’indice alle labbra, guardando il soffitto con civettuola pensierosità.

Fu uno spettacolo l’espressione di titubanza che prese il sopravvento sulla rabbia del ragazzino, ora incespicante mentre tentava di replicare alle sue supposizioni, ma fu questione di attimi perché, rinvigorito da chissà quale rimembranza, deviando la sua accusa, eccolo balzare –No, che non si è appena alzato! Ha occupato il bagno per ore e quando gli ho detto “Buongiorno!” mi ha sbattuto la porta in faccia!- trillò inviperito, fumando come una teiera sul fuoco.

-Per ore… Magari non sta bene.-

Lo vide allargare gli occhi scuri prima un po’ assonnati, come se non avesse preso in considerazione quell’eventualità, ma subito il più piccolo scosse la nuca e agitò le mani –Nonono, quello è incazzato, te lo dico io! E’ da ieri sera che morde- GD ghignò, aprendo bene le orecchie affinché potessero cogliere la sfumatura di esilarante ingenuità che, sapeva, sarebbe trasparita dalle parole che ora il maknae avrebbe pronunciato –Credi che dovremmo indagare?- mugugnò incerto, rigirandosi lo spazzolino fra le mani.

E GD non poté non sentire il proprio cuore accartocciato fare qualche capriola per quel magnifico show che gli si stava presentando davanti agli occhi. Il maknae prendeva sempre tutto troppo sul serio che non poteva non lasciarsi andare ad uno dei suoi soliti giochetti ad ostacoli. Era come se Ri fosse nato per sottoporsi a quei tipi di quiz e, badare bene, non tutti erano portati. Tae, per esempio, era troppo buono per poter vedere del marcio nelle sue domande impertinenti, Dae appena ventilava aria di salto in lungo psicologico troncava la conversazione… Ma Top e SeungRi no, loro si ritrovavano incatramati in tutto quello senza, forse, rendersene nemmeno conto. Ed era una goduria vederli seduti ad arrovellarsi il cervello per tentare di spodestarlo e vederlo crollare. Peccato che GD, tra tutti, fosse l’unico in grado di guardare oltre la semplice apparenza e, quindi, districarsi bene in una conversazione dove bisognava andare in profondità, oltre la superficie grezza dell’essere –Indagare su cosa?- inclinò il capo, concedendogli un po’ di tempo per ponderare su di una risposta intelligente.

Ri si indispettì –Ma su Top! Su Top e il perché è così incazzato!-

-Oh, già, ne stavamo parlando.-

-Eh!-

-E cosa ti fa credere che sia successo qualcosa ieri sera?-

L’amico boccheggiò, insicuro –Beh, quando è uscito dalla camera di Dae, sembrava sconvolto! Come se avesse appena visto un Alien girare per casa!- agitò le mani, melodrammatico. Oh, com’era bravo il maknae! Sembrava tanto scemotto e invece era di una brillantezza geniale!

-Ma tu non dicevi che gli Alien sono carini?-

-Sì, ma non vorrei vederne girare uno in camera mia!- annuì vigoroso, per poi puntargli contro lo spazzolino –E comunque non stavamo parlando degli Alien!-

-Ma sì invece! Sei stato tu a dire ch—

-Non cambiare discorso!-

SU-PER-BO. Il gracidio che era scappato alle labbra sottili del compagno fu qualcosa di assolutamente idilliaco e, pur conscio di dover mantenere una certa serietà in quei frangenti, Ji Yong si ritrovò a buttare la testa all’indietro e riempire l’aria con la propria risata, sentendo su di sé lo sguardo furente del più piccolo. Peccato che se la stesse prendendo tanto a male; incredibile come Ri non si accorgesse di quanto divertente fosse. Il maknae era il classico ingenuotto un po’ sulle nuvole che cercava costantemente di non farsi infinocchiare ma, alla resa dei conti, si ritrovava rivoltato come un calzino, convinto comunque di averla fatta franca. O di esserne uscito vincitore, per usare la più appropriata terminologia. E GD glielo lasciava credere, perché l’espressione vittoriosa che gli dipingeva il volto era qualcosa di troppo sganasciante per potersela perdere.

-Mmm… Quindi Top sembrava sconvolto.- riportò il discorso sui giusti binari, spelucchiando un po’ della brioche che, calda, svettava al centro del piatto a forma di panda.

Il maknae, imbronciato, sembrò tornare tranquillo quando udì le sue parole colme di tedio –Non mi sembri molto turbato.-

-Forse, allora, non lo sono.- affermò con placida sicurezza, l’angolo destro delle labbra che guizzava all’insù mentre coglieva il fastidio indurire i suoi lineamenti.

-Invece dovresti! Top è tuo amico, dovresti essere più preoccupato!- lo accusò acidamente, portando le mani sui fianchi. Come se quell’atteggiamento da suocera petulante potesse far germogliare un seme di sensibilità nel suo cuoricino scaduto. Gli ricordava sua madre quando, da bambino, lo scovava a giocare con il fango e la sabbia, sporcando i vestiti buoni invece che studiare. Ah, i bei tempi andati in cui era un moccioso privo di cattiveria e sempre votato alle buone maniere. Anche se, a ben pensarci, quelle erano rimaste… Era la fiducia negli altri ad essersela data a gambe… Il maknae, invece, sembrava davvero sull’orlo di una crisi isterica per la sua totale incapacità di riuscire a cogliere il dolore che stava affliggendo l’esemplare di Top ora ringhiante in camera. Come se fosse cieco e sprovveduto… Ghignò. GD aveva previsto quella crisi mistica già da tempo immemore, più precisamente da quando una galeotta straniera aveva deciso di darsi alla pazza gioia sui tavoli appiccicosi del Tribeca, solo aveva deciso di tenere per sé quella premonizione. Altrimenti, che gusto ci sarebbe stato?

Sbatté le palpebre un paio di volte, calandosi nella parte dell’ingenuo della situazione -Ma per cosa?- lo provocò con finta confusione ad adombrare il volto sottile.

Ri roteò gli occhi, come se trovasse irritante il suo non comprendere. E lui sorrise nella incontrovertibile realtà delle cose: tutto stava andando esattamente secondo i suoi studiatissimi piani. E Ri era solo una delle tante pedine che veniva spostata a suo piacimento.

-Per la situazione di Top!- aprì le braccia, abbassando la voce pur di non farsi sentire –Che peggiora sempre più!-

-A me sembra che vada tutto a gonfie vele.- ammise con sincerità, trattenendosi dallo scoppiare a ridere quando vide i suoi occhi scuri divenire larghi come due palline da tennis. Ah, che visione celestiale quella del SeungRi inorridito!

-Ma non è assolutamente vero!- obiettò con tutta la forza che aveva in corpo, agitando i pugni. Come non provocarlo se continuava a stuzzicare la sua cattiveria con quegli atteggiamenti da santarellino che offriva da bere ai viandanti smarriti nel deserto? –Non va a gonfie vele! Non va!- perché lui era così, magnanimo e talmente buono di cuore da non poter non aiutare il prossimo. L’esatto opposto di lui, ora che ci faceva caso. E GD, deciso per una volta a non rivestire i panni dello stronzo di turno, si premurò di essere caritatevole e dare una leggera spinta alla mente dell’amico affinché compisse il passo verso il livello successivo. Ma, beh, tutto ciò sempre a modo proprio…

 

Fissò il piatto con noia tangibile -Sarebbe impensabile, già…- si ritrovò a mormorare nel silenzio che li aveva avvolti, il tono di voce così mite da far irrigidire il maknae - Come può andare a gonfie vele una nave che va sempre più a picco?- Ji Yong portò dietro l’orecchio una ciocca fucsia, sogghignando quando comprese a che punto fosse ormai l’opera. Perché la miccia era stata accesa, no? Il culmine del loro odio si era ormai concretizzato…

E solo un marinaio idiota non abbandonerebbe la nave che sta affondando, non trovi?

SeungRi annuì –Credo di sì.- lo guardava allibito, come se non comprendesse il significato recondito delle sue parole pacate.

 

Perché altrimenti non avrebbe potuto spiegare l’espressione livida di collera che aveva indurito i lineamenti dell’amico quando, uscente dalla stanza di Dae, aveva ringhiato a chiunque avesse chiesto delucidazioni sul rhum che gli colava dai capelli azzurrognoli; non avrebbe potuto spiegare il bernoccolo sulla fronte, non avrebbe potuto spiegare il suo costante imprecare contro tutte le ditte di alcolici e la Columbia University…

 

-Ma se questo marinaio non fosse un idiota?-

 

Non avrebbe potuto spiegare America che, deliziosamente scombussolata, stringeva la sua giacca sgargiante come una ladra in fuga, con la colpa tangibile sul viso sbavato di trucco

 

-Se avesse deciso di vedere quanto può essere profondo l’oceano?-

 

O l’espressione di assoluto disorientamento che aveva aleggiato intorno a Seung-Hyun per tutta la festa…

 

-E se scoprisse quanto può essere amabile tutto quello che vede al di là della mera superficie?- riportò lo sguardo, con lentezza sfiancante, sul maknae sgomento –Lo chiameresti ancora idiota?-

Come da previsioni, Ri si grattò la nuca, sbuffando un lagnoso –In che senso?- che lo riportò alla realtà. Ah, disdicevole, assolutamente! Lasciarsi andare a quelle confessioni così ardue e soprattutto colme di indizi che avrebbero segnato la linea del traguardo senza nemmeno lasciargli il tempo di divertirsi un po’! Stupido, stupido Ji Yong che si lasciava trascinare dalla voglia di torturare quel peluche di Ri!

Scosse la nuca –Leggi fra le righe, Ri.-

-Mi viene da pensare che tu voglia comprarti una barca.- confessò serio serio, facendolo scoppiare a ridere di gusto.

Senza concedergli una spiegazione, si alzò dal tavolo, segnando la fine di quel favoloso gioco dell’oca –Tra poco dobbiamo andare. Ci sono gli allenamenti tra un’ora.- che fece mettere il più piccolo sull’attenti.

-Vado a vedere se Top se la sente di venire!- e, leggiadro com’era venuto, scomparve alla sua vista assorta. Alla fine di ogni triathlon con la mente altrui, GD si prendeva del tempo per tirare le somme, chiedendosi se la cavia sarebbe stata idonea alla seconda seduta oppure no. E Ri, con suo sommo gaudio, aveva passato egregiamente tutti i test; lui li passava sempre con la lode. Perché Ji Yong aveva visto del potenziale in quel ragazzino petulante che si ostinava a non vedere le cose da un’altra prospettiva, pur mettendoci tutto sé stesso per scavalcare la piattosità della sua ristretta visione. Ah, che delizia le persone che si ostinavano a non guardare oltre tutto ciò che veniva detto o veniva fatto. La loro vita doveva essere talmente priva di spessore che gli angoli smussati della prospettiva, non venivano nemmeno presi in considerazione. Ed era un piacere vederli ancorati al loro grigiore, inconsapevoli che, dall’altra parte, c’era un mondo pieno di colori. Non seppe dirsi se dover essere triste per loro o compatirli, davvero.

Sorrise appena mentre recuperava la giacca dall’appendiabiti posto di fianco all’entrata. Lo sciabattio ripopolò la stanza. GD, sulla soglia, già con la giacca indosso, attendeva la venuta del maknae portatore di liete novelle. E tante, tante grasse risate –Viene?-

Indossò il cappellino -Dice di non stare bene- preoccupato, trattenne un enorme sospiro prima di aggiungere un incerto –Credi abbia l’influenza?-

In quel momento, godendo della preoccupazione palpabile che aleggiava intorno alla figura del maknae, Ji Yong non poté non lasciarsi sfuggire un serafico -Vedrai che gli passerà- solo per poter osservare i suoi occhi allargarsi, le sue labbra schiudersi e il volto contrarsi in una smorfia di tensione.

-Ma… E se peggiora?!-

GD abbassò gli occhiali da sole –Tranquillo- sorrise sornione –Il mal d’America non ha mai fatto male a nessuno.-

 

******

 

La pila di felpe, dal bordo del letto sfatto, la fissava minacciosa. E lei, con indomabile nervosismo che scorreva in ogni capillare del proprio esile corpo, sentiva il bisogno di calmarsi, ritrovare la pace che le permetteva di non sentirsi soggetta alle calamità che incombevano nella propria giovane vita. Sentiva l’urgenza impellente di innalzare le barriere che, da quella notte contornata dal suo pianto raccapricciante, erano crollate come castelli di carte sospinti dalla brezza leggera.

Lisciò la maglietta di Bambi e cominciò a piegare le abominevoli felpe con la speranza che almeno loro la smettessero di regalarle lo sguardo alla Seung-Hyun… Già, Seung-Hyun…

 

Erano trascorsi tre giorni da quella maledetta festa e ancora le vivide immagini di quella furiosa lite sembravano non voler abbandonare la sua mente turbinante di pensieri. Perché c’era il sentore che l’odio tra loro fosse indissipabile, la certezza che qualsiasi scontro avrebbe portato ad una guerra di dimensioni intergalattiche… La vaga sensazione di inadeguatezza che provava nel rendersi conto che, la prossima volta, non sarebbe stata in grado di sostenere il suo sguardo tagliente. Lei, Lindsay Moore, la ragazza che poco conto dava alle cattiverie altrui, che lasciava scivolare tutto come acqua sulla pelle, si sentiva l’essere più abietto che potesse gironzolare sulla superficie terrestre. E solo perché lo aveva preso a librate senza un motivo apparente. Nh, che poi, di motivi per prenderlo a librate -e non solo- ne aveva a bizzeffe: prima di tutto era un idiota di dimensioni bibliche, il peggiore che aveva mai avuto il dispiacere di conoscere; borioso, arrogante, intrattabile, sembrava sempre trovare un pretesto per attaccare briga con lei che, tutto sommato, cercava di starsene quanto più possibile nel proprio cantuccio, magari venendo dimenticata…

Bastava tutto questo?

 

Ed era antipatico come un calcolo renale, incapace di essere gentile, in particolar modo con lei che… Beh, nemmeno lei era stata una campionessa di buone maniere nei suoi confronti… La Coca Cola, i nomignoli e poi Guerra e Pace sulla fronte…

 

Bastava davvero tutto questo per renderlo odioso?

 

Solo perché era capitato lì per caso, per scappare da una bionda che gli dava la caccia, o per chiederle una birra…

 

Lui arrivava sempre per caso…

 

-Lin, è permesso?-

Un toc toc leggero accompagnato da un suono vellutato rapì la sua svagata attenzione; sulla soglia, Chyoko guardò dapprima lei con un sorriso gentile, poi si adombrò alla vista del campo di battaglia nella camera da letto.

-Adesso metto a posto- mormorò sventolando una mano, invitandola implicitamente ad entrare. La donna evitò di calpestare un paio di reggiseni vaganti e si accomodò nel mercatino ambulante, guardandola. Chyoko non piombava mai in camera sua, almeno, non per caso, perciò si stupì quando la vide scrutare l’ambiente e, con noncuranza, cominciare a raccogliere gli abiti smessi che occupavano la moquette. –Qualcosa non va?- le diede le spalle, continuando a sistemare.

-Oh, nulla, nulla- le parve incerta, stretta nel suo grembiule da cucina a fiori, nei suoi capelli neri legati in una crocchia, nella sua parlata lenta e vellutata, come se volesse farle sempre capire ciò che diceva nonostante le barriere linguistiche –Volevo solo parlare un po’, se ti va.-

Ma cos’è tutta questa voglia di parlare?! -Certo.- come un riccio stuzzicato dal predatore, Lindsay si preparò ad una conversazione ad ostacoli che non sapeva prevedere. Ne aveva abbastanza di uscire sconfitta da ogni chiacchierata con un adulto. Le ultime e gentili parole del padre avevano già causato abbastanza danni… Ah, tra parentesi, quei due si evitavano come la peste. Giusto per rendere nota la cosa.

-E’ da un po’ che me lo chiedo… Ti piace stare qui?-

Sentì trafficare dietro di sé; guardò oltre la spalla, scorgendo una Chyo più incline alla gentilezza rispetto agli orchi che ultimamente le capitavano a tiro –Non mi dispiace.- e si stupì di come quel commento, pronunciato più per infondergli un briciolo di piacere che altro, fosse in realtà la pura e semplice verità. Forse era dovuto al fatto che, tutto sommato, svegliarsi nel silenzio non era poi così malvagio se paragonato ai clacson delle auto di New York, Chyoko non era la perfida matrigna che aveva sempre idealizzato e Minji non era così rompipalle come quando aveva cinque anni. Perfino la gente sembrava non badare a lei e, questo, non poteva che giovare al suo impellente bisogno di starsene da sola quanto più possibile.

-Il pomeriggio non esci mai- storse il naso. Ora si mettevano anche a contare quante volte decideva di starsene all’aria aperta? Eppure non provò rabbia o, se quella c’era, non l’avvertì. Non c’era rimprovero nella sua voce pacata o delusione o colpa… Tutto ciò che riusciva a sentire era preoccupazione. Una preoccupazione che si diramò in sincera gioia –Ma sono contenta che tu abbia dormito da un’amica, domenica scorsa!-

-Già.- abbozzò un sorriso nel rendersi conto di quanto Ginko fosse buona, una mosca bianca in mezzo ad un mucchio di mosche nere e maligne.

Si mise in allarme quando venne contornata dal silenzio, quel silenzio un po’ teso che era portatore di infausti presagi e discorsi scomodi, da evitare… E, come se non fosse già abbastanza dover sopportare lo sguardo trafiggente del padre, si aggiunse Chyoko e la sua amorevole voglia di fare da ambasciatrice –Lin, tuo padre mi ha raccontato della vostra discussione- fece una pausa, scostò il ciuffo dagli occhi –Sicura di non volerne parlare?-

Ah, che scema! Avrebbe dovuto immaginarlo che la donna non era giunta per chiacchierare davanti ad una bella tazza di the –C’è altro da dire?- domandò arcuando un sopracciglio, seriamente sconvolta di fronte alla loro incapacità di comprendere che no, non aveva assolutamente voglia di perdersi in futili conversazioni. Perché Lindsay faceva schifo con le parole, ma davvero! Era un’inetta assurda e quelle rare volte in cui aveva implorato il loro aiuto, beh, quelle stronze le si erano rivoltate contro. No, decisamente, tra lei e le parole non c’era alcuna sintonia.

-Credo tu abbia bisogno di sfogarti.- propose pacata, spostando le felpe piegate nell’armadio.

-Già fatto.- replicò sincera, grattandosi la punta del naso mentre ripensava a tutti quei libri che cadevano sulla chioma turchese della nemesi naturale. E, a dispetto di ogni certezza, si ritrovò a dover sciogliere uno strano nodo che le aveva chiuso la gola, lo stomaco. Che cominciava a risvegliare il senso di colpa dormiente da anni, ormai. Perché tirargli addosso quei libri era stato sbagliato, nulla di più, nulla di meno. E per quanto, da ubriaca, avesse gongolato come una scema, per quanto la gioia avesse brillato un poco, per quanto si fosse detta ben gli stava!, per quanto si fosse continuata a ripetere giustizia è stata fatta!, ora non c’era felicità. Solo vuoto e la sensazione che un banalissimo scusami non avrebbe mai potuto lenire le ferite provocategli.

Chyoko le si avvicinò. C’era stanchezza nel suo viso segnato dal tempo, c’era un orgoglio che sembrava inscalfibile, un orgoglio diverso dal proprio che si era barricato dietro l’enorme muraglia eretta per non sentire dolore e una morbidezza nelle sue parole capace di distenderle i sensi tesi –Ora come stai?-

Già, ora come stava?

Era una domanda che si poneva da un po’ di tempo, forse anni, perché la verità era che non si sentiva. Semplicemente, non c’era nulla che la spingesse a pensare a quanto bene stesse. Con sé stessa o con gli altri aveva poca differenza. Purtuttavia attraversata da questi pensieri, ciò che le sfuggì fu un –Meglio.- carico di sincerità, come se per la prima volta avesse ammesso a sé stessa ciò che provava davvero. E lei stava meglio. Non bene, non male… Solo meglio. Ed era una bella sensazione.

La vide sorridere prima di volgere lo sguardo verso l’ordigno che causò la guerra America-Corea in casa Big Bang –Quella è tua?-

Una smorfia di disgusto le corrose i lineamenti delicati –Per carità! Non indosserei mai una cosa così orrenda!-

-Io la trovo simpatica!- cinguettò la donna prendendola fra le mani –Te l’ha regalata qualcuno?-

Veramente l’ho presa in prestito –No, devo restituirla ad una persona- la prese fra le mani, dondolandosi sulle punte -Ho fatto un mezzo casino- mormorò vaga, sospirando al suo annuire lento, come ad invitarla a continuare –Con un ragazzo.-

Chyo allargò gli occhi neri –Oh… Ed è carino?-

Fu una domanda sciocca che risuonò ancora più stupida perché pronunciata da Chyoko, ora in attesa seduta sul letto. E, nonostante la sua banalità, la risposta le parve così complessa da necessitare un ragionamento ben ponderato. Perché nonostante gli scontri, nonostante i battibecchi, nonostante il loro continuo lanciarsi occhiate infuocate, mai Lindsay si era soffermata qualche secondo in più a fissare davvero Seung-Hyun. Perché, detto sinceramente, per lei i coreani avevano un po’ tutti la stessa faccia, la stessa espressione un po’ da teppisti, la stessa vocetta acuta –anche se la sua era profonda-… Però… Però… Però c’era qualcosa di diverso in lui, qualcosa di accattivante, capace di fissarsi nella mente come un marchio indelebile. Come uno dei tanti tatuaggi che le solcava la pelle.

D’accordo. Se anche avesse ammesso che Choi Seung-Hyun fosse più che un semplice bello, sarebbe mutato qualcosa? Non lo sapeva e per quel giorno, non era intenzionata a pensarci. Era già abbastanza sconvolta da tutti quegli avvenimenti ricchi di colpi di scena che non sarebbe stata in grado di reggerne un altro. E sentiva che la pesantezza di questo, l’avrebbe schiacciata.

Non rispose alla sua domanda e gettò un’occhiata all’orologio appeso al muro, fiondandosi a prendere la tracolla quando scorse le ore 19.50 ticchettare minacciose.

-Esci di già?-

-Devo fare una cosa, poi andrò direttamente al Tribeca.- si mise alla disperata ricerca del sacro Mp3, guardando di sottecchi la donna che non accennava ad andarsene, anzi, continuava a fissarla scrutatori. Non aveva mai capito cosa ci avesse trovato Mark in quella donna minuta dalla capigliatura sempre perfetta, dal viso a cipolla e le rughe che le solcavano gli occhi color pece. Non aveva niente di sorprendente, niente che degno di nota o anche solo capace di attirare l’attenzione…

E poi lo vide, il suo sorriso colmo di dolcezza dipingerle le labbra. Rivolto a lei e a nessun’altro, capace di trasmettere un calore incontrollabile. A lei che faceva di tutto per rendersi insopportabile. Non resistette a lungo e scossa da tutta quella delicatezza che sapeva di non meritare, tornò alla propria infruttuosa ricerca -Ti spiace se continuo a mettere in ordine?-

Lin alzò le spalle –Se ti diverte.- si grattò il naso nell’udire la sua risatina leggera prima di superarla sventolando trionfante l’Mp3 in segno di saluto, stringendo con l’altro braccio l’orrenda giacca. E sarebbe andata bene così quella chiacchierata soft che le aveva disteso i nervi e lenito un po’ il dolore. Bastava così…

Fu sulla soglia, però, che comprese quanto alcune parole potessero scuotere il proprio minuscolo mondo di indifferenza con positività. Con dolce piacevolezza…

 

-Chiedigli scusa. Capirà.-

 

Incurvò appena le spalle e senza rispondere, si dileguò dal proprio piccolo santuario, infilandosi nella silenziosa via di casa poco trafficata. E fu accendendo l’Mp3, rimembrando quel consiglio non voluto, che si ritrovò a scuotere la nuca mentre un sorriso le increspava le labbra carnose.

Chyoko non era così malvagia, no davvero. E Lindsay Moore, all’età di ventidue anni, capì perché suo padre se ne fosse follemente innamorato.

 

*****

 

Choy Seung-Hyun lasciò vagare lo sguardo assonnato sulla caraffa del caffè vuota, le palpebre pesanti e semi chiuse. Storse il naso nel constatare che quei balordi dei suoi amici lo avevano abbandonato al proprio destino senza nemmeno lasciargli qualcosina di pronto da mangiare. Perché stava male, stava covando l’influenza e nessuno sembrava intenzionato a prendersi cura di lui -Morite.- borbottò caustico, appoggiandosi al lavabo mentre si massaggiava la testa.

L’appartamento era immerso nel silenzio, un toccasana per la sua emicrania pulsante che non accennava ad eclissarsi. Avvertiva il calore intorpidire i suoi sensi da bradipo e se qualcuno lo avesse scorto in quelle condizioni pietose, avrebbe potuto affermare che qualcosa non andava in quel Choi Seung-Hyun visibilmente sciupato, sfibrato da ogni energia. E tutto per colpa dei libri. Nh, e pensare che lui amava leggere! Ma era davvero solo quello? Certo che no, ma era talmente spossato che non aveva voglia di intrattenersi in conversazioni cuore a cuore con il proprio cervello.

Driiiin… Il rumore del campanello fu breve, quasi impercettibile e se non avesse sentito l’inconfondibile Toc Toc sulla porta, probabilmente avrebbe pensato di esserselo sognato…

-Chi è?- abbassò la maniglia, un occhio chiuso e l’altro a mettere a fuoco.

Così come doveva essere un orrendo incubo ciò che stava dietro la porta ora aperta: Lindsay Moore, mani in tasca, stretta nella felpa di Brontolo –che tra tutti i sette nani era il più odioso, proprio come lei-  e dondolante sui piedi, lo fissava con incertezza. La guardò torvo e lei, apatica, alzò una mano affusolata -Cia— non la lasciò terminare di parlare, limitandosi a sbatterle la porta in faccia. Dietro la superficie, la sua volgare imprecazione.

Diamine, che strazio! Ma perché diavolo non lo lasciava in pace?! Era per caso venuta per tirargli contro qualche altro oggetto contundente? O magari voleva legarlo ad una sedia e dargli fuoco? O forse aveva ancora litigato con la madre e voleva sfogarsi ancora con lui, utilizzandolo come punching-ball? Si massaggiò le tempie, serrando le labbra mentre attendeva che il mal di testa si placasse… Ma quella stronza della Moore si era attaccata al campanello, con somma gioia della sua emicrania pulsante. Eh no, adesso basta davvero…

Digrignò i denti e con collera rinnovata, riaprì la porta e le rivolse lo sguardo più iracondo che avesse nel repertorio, pregando che lo lasciasse in pace una volta per tutte. Ma si rese conto che quello davanti a sé non era il viso austero di Lindsay, no: era la sua adorata giacca colorata, pulita e che non odorava più di rhum. Strabuzzò gli occhi, seriamente sorpreso a quella celestiale visione, tuttavia quando da dietro l’indumento ricomparve il suo volto ovale, il dubbio si dipinse sui i propri lineamenti marcati. Tamburellò le dita sullo stipite, fissò la ragazza che non sembrava intenzionata a volergli solo lasciare la sua proprietà e sloggiare, ravanando nei cassetti della mente alla ricerca di una bella frase pregna di cattiveria che l’avrebbe fatta scappare. Ma enormi buchi neri si presentavano all’appello quando provava a parlare e quando il mal di testa tornò a fargli visita, la fece entrare, silenzioso e incapace di mandarla a quel paese. Le parole erano lì, eccome se erano lì!, ma non aveva voglia di litigare. Dubitava che, in quelle condizioni, ne sarebbe uscito vincitore.

Si diresse verso il frigo per prendere qualcosa da bere e poi fiondarsi alla ricerca di un’aspirina salvifica; dietro di sé, dall’altra parte del tavolo, Lindsay si guardava attorno con vivido interesse. Perché gli sembrava stranamente a disagio?

-Lasciala sul tavolo. Grazie e ciao- biascicò agguantando un bicchiere. Avvertì la tempia destra pulsare e mentre portava le dita a massaggiare la parte dolente, guardò oltre la spalla, ritrovandosi ad osservare la figura seria seria di Lindsay. Che palle! –Cosa c’è ancora?!- stridette corrosivo, gettandole l’occhiata più bieca che avesse a disposizione.

Sbuffò -Senti, io--

-Grazie… E ciao- ripeté asciutto, facendo sciò sciò con la mano, pregando che quella lo mandasse al ridente paese di Fanculandia e si dileguasse. Magari per sempre. Che si comportasse da stronza come suo solito, che la smettesse di guardarlo con contrizione… Che non fosse così diversa. Gettò il capo in avanti quando si rese conto che quella non accennava a scomparire –Si può sapere che vuoi, dannazione? Che cosa?! Un autografo?- la gola doleva ad ogni raffica di parole sentitamente astiose, che andavano ad infrangersi su di una Lindsay troppo mite.

-E che cosa me ne faccio?- domandò con un sopracciglio arcuato –Tanto, se anche provassi a venderlo, non ci guadagnerei granché.-

Si stropicciò il volto mentre la testa si rimpinzava della sua ironia perforante, ritrovandosi ad esalare un esasperato -Sei qui per litigare?- che avrebbe dovuto porre fine a quel giochetto. Perché aveva mal di testa, le gambe e gli occhi pesanti e sentiva che, qualsiasi cosa fosse successa, non avrebbe potute godersela appieno. Come la notte della festa, quando l’aveva vista contorcersi come il maledetto vermiciattolo che era e lui, in piedi davanti alla porta del bagno, troppo avvinghiato al proprio dolore fisico, non era riuscito a deriderla come avrebbe dovuto.

Lin sembrò non lasciarsi intimidire dal suo tono glaciale perché dopo aver guardato le proprie converse nere, scosse la nuca –Sono qui per la giacca.-

Roteò gli occhi scuri –Lo so, lo vedo. Ora sparisci.- intimò letale, infastidito dalla sua continua impertinenza perché, ancora una volta e sempre in casa sua, si comportava come se fosse la padrona del Mondo.

Lin morse il labbro inferiore –E poi volevo-beh-- puntò lo sguardo nocciola nel suo, sorpreso e sonnolento –Scusami.-
 

-Scusami tanto. Scusami.-

 

Crack.

Il filo che teneva salde tutte le proprie certezze, si sfilacciò ancora, divenendo ancora più fragile. E fu agghiacciante la velocità con cui il proprio corpo si irrigidì al suono di quella parolina insignificante. La dolcezza che vi trasparì gli procurò dei brividi sulle braccia, sulle gambe, che attraversarono ogni centimetro del suo corpo. O forse era la febbre a procurargli quel formicolio che gli stava intorpidendo i sensi assopiti.

La vide compiere un movimento fluido, un avvicinarsi deciso che mise in allarme tutte le barriere stranamente abbassatesi –Stammi lontana. Se ti avvicini di un passo, è la volta buona che ti uccido.- lo aveva esternato con durezza, imponendo il palmo aperto nella vana speranza che lei eseguisse il suo ordine. Ma quella aveva solo allungato l’arto e con amorevole cura, aveva adagiato la giacca piegata sul tavolo che fungeva da muraglia.

Perché una cosa tanto stupida, era riuscita ad infilarsi nelle crepe mai saldatesi del proprio essere? E, soprattutto, perché il proprio mondo si era completamente ribaltato nel sentirsi rivolgere quella scemenza da lei? Da lei che, la prima volta, nemmeno si era degnata di apparire anche solo lontanamente rammaricata per la propria maleducazione. A lei, che mai gli aveva chiesto scusa per i propri sbagli. Come se fosse perfetta…

-Ho davvero esagerato, questa volta- pacata e gentile, si torturò le mani –Scu--

Fece stridere i denti -Che cosa vuoi che me ne faccia delle tue stupide scuse? Dio, quanto non ti sopporto!- la interruppe bruscamente prima che quella sciocca frasetta potesse spargersi nell’aria ed intaccare ogni briciolo di sicurezza che gli era rimasta. Le sputò addosso tutto il veleno e l’acido che lo stavano lentamente divorando, auspicando che quella cominciasse a trattarlo con la solita indifferenza. Lin titubò e fece un mezzo passo indietro, senza però dargli le spalle. Perché cazzo non se ne va?

Lin sospirò –Mi dispiace. Sul serio.-

A quel punto, non capì più nulla. Perché la mente era circondata da una fitta nebbia che non gli permetteva di ragionare lucidamente e le guardie della sua emicrania continuavano a difenderla a spada tratta, impedendogli di annientarla. Ma in mezzo a quel delirio, nitido e chiaro, addirittura opprimente e abbagliante, c’era una solo quesito:

Poteva?

Poteva una minuscola parola cambiare il modo di vedere delle persone? Poteva un sussurro fra le lacrime distruggere con tanta facilità il muro di odio che si era innalzato in maniera tanto naturale? Poteva servire ad appianare quei mesi di mal sopportazione? Perché, dopo tutto quel tempo intervallato da liti e battutine acide, si era resa così fragile e disposta alla gentilezza? Perché per una volta si era curata di lui e non di sé stessa? Così, sarebbe stato più facile e avrebbe avuto un pretesto per mandarla definitivamente a calci a casa. Ma così… Così non gli lasciava altra scelta se non tacere.

-Non ti sopporto più.- soffiò secco, incurante delle conseguenze. L’ultima volta che le aveva dato dell’odiosa aveva ricevuto Guerra e Pace sulla fronte. La cucina aveva da offrirle solo coltelli affilati. Di male in peggio…

Lin stiracchiò le labbra, ma non ribatté.  Se ne stava lì, nel proprio rimuginare, continuando ad attorcigliare intorno al dito una ciocca dei lunghi capelli stretti in una coda laterale, fissando un punto indefinito davanti a sé.

E per la prima volta, non gli sembrò così male stare in quella stanza con lei. Senza litigare.

 

Solo, stare con lei…

 

Scosse la nuca, maledicendo l’emicrania pulsante che gli giocava brutti scherzi e continuava a tirare fuori dal cilindro cazzate a random pur di vederlo soffrire ulteriormente. Che fosse per puro e semplice orgoglio, Top detestava quella sciocca ragazzina piovuta da chissà dove e che sembrava sempre avere la risposta pronta, che sembrava voler sempre chiudere il discorso dando aria alla bocca intrisa di volgarità, che sembrava non curarsi di ciò e chi le stava attorno. Che se ne fregava di tutto. Quindi, a rigor di logica, non c’era nulla che potesse piacergli in quella stronza e avrebbe dovuto fare i salti di gioia nel vederla soccombere come l’altra volta. Eppure, non riusciva a trattarla in maniera tanto cattiva, non dopo aver scorto le sue lacrime, non dopo averla vista così fragile e spaesata, umana… Non dopo che il suo scusa pronunciato in maniera tanto sincera gli aveva scosso l’anima.

Si appoggiò al lavabo, passandosi una mano sulla fronte imperlata di sudore, allargando il colletto della larga felpa rossa con il cappuccio a coprirgli la nuca. Perché gli era venuta l’improvvisa voglia di vomitare?

-Non stai bene?-  quella pacatezza non richiesta, spaesante… Che dava calore -Hai la febbre?- si era avvicinata senza emettere suono e con un gesto fluido, naturale, aveva posato il palmo sulla sua fronte ora corrugata per la sorpresa –Sei caldo. Hai la—

Scansò l’arto con un bruschezza, digrignando i denti –Levati-dalle-palle.- le rifilò un’occhiata sprezzante, vedendola incassare il colpo con la sua proverbiale impassibilità. Imprecò a mezza voce e, superandola, si defilò in camera, speranzoso che quella non lo seguisse. Sarebbe stato un suon dolcissimo quello della porta di ingresso che sbatteva o, addirittura, sentirsi mandare al Diavolo. Per una volta avrebbe potuto anche accettare la rozzezza che impregnava quelle labbra rosse…

 

-Non me ne vado.-

 

ma lei continuava a restare, nonostante tutto.

La vide sulla soglia, le mani strette intorno alla tracolla; si buttò sul letto riordinato da Dae e, con fatica, si mise sotto le coperte leggere, portando una mano sulla fronte. Sentì i nervi distendersi, il nulla avvolgerlo e una strana sensazione di torpore prendere il sopravvento sulle sue membra stanche -Perché non vai via? Non devi lanciare i bicchieri contro i clienti? O dei libri?-

Silenzio. Poi, la sua voce morbida, un po’ seccata ma nemmeno troppo…

 

-Non ti lascio solo con la febbre.-

 

che era parsa come un sogno. Forse aveva davvero capito male o la febbre gli giocava brutti scherzi. E a quel punto, non rispose, preso in contropiede da tutta quella bontà gratuita e che sembrava volere un tornaconto.

L’ultima cosa che ricordò prima di cadere in un sonno profondo fu il rumore dei suoi passi leggeri che si spostavano in cucina, seguiti dalla porta della camera che si chiudeva con delicatezza… E una vocina, nel profondo, che continuava a ripetergli quanto Lindsay Moore non fosse poi così spiacevole come aveva continuato a ripetersi.

 

 

Aprì gli occhi con esasperante lentezza, la luce della camera accesa ad abbagliarlo. A qualche metro da lui, Dae lo fissava con velata preoccupazione, lasciandosi sfuggire un sospiro di sollievo quando lo sentì salutare raucamente -Stai un po’ meglio?- evitò la domanda, evitò di pensarci –A proposito, Lin è stata qui. Ci ha preparato il riso al curry, non è stata gentile?- domandò l’amico cominciando a mettere via alcune felpe gettate alla rinfusa sul pavimento. Eh?, fu tutto ciò che la sua mente riuscì a partorire. Cosa c’entrava l’americana rovina vite? Ah, già, c’era lei quando era barcollato fino al letto privo di forze –E’ andata via cinque minuti fa.- a quelle parole, lo sguardo cadde inevitabilmente sull’orologio da polso… Le 22.25… Ma quella pazza sclerotica non sarebbe dovuta essere a lavoro già da un’ora?! Quanto diavolo era rimasta a gironzolare fra le sue mura domestiche?! Doveva cambiare la tappezzeria!

-Ti sbagli. Lei lavora a quest’ora.- mugugnò incerto, quasi volesse appigliarsi alla propria innata cattiveria.

Daesung alzò le spalle –Ha detto che non poteva lasciarti solo. Non con la febbre, almeno.-

 

-Non ti lascio solo con la febbre.-

 

Allora non se lo era sognato… Quella parentesi di dolcezza beatificante non era stato frutto della sua fervida fantasia.

Si stropicciò il volto e, posando i piedi nudi sul pavimento gelido, si diresse in bagno a sciacquarsi il viso contratto in una strana smorfia di fastidio. Cosa diamine era successo? Cosa li aveva portati a quel punto di incertezza frastornante? Loro si odiavano, lei… Lei non c’entrava nulla con lui, con il suo ambiente. Con la sua vita

Strinse una mano a livello del petto, un calore bruciante a farlo tremare.

Ed era maleducata, sfrontata, insopportabile, una piaga di Corea da debellare! Che però aveva cercato di rimediare alla propria isteria, facendo forse più del necessario. Che gli aveva rivolto una semplice parolina che, in mezzo a tutti i complimenti sinceri e non, in mezzo alle risate, in mezzo ai flash dei fotografi, in mezzo alle belle frasi incolonnate nelle pagine delle riviste, era risultata straordinariamente diversa, inaspettata. Una parola che non poteva portare a sciocche incomprensioni e che se ne stava lì, ancorata al suo senso di colpa per non averla ringraziata come si deve per essersi presa la briga di aggiustare le cose, anche se non c’era nulla da sistemare. Perché tra loro non c’era mai stato nulla… Niente di niente…

 

-Mi dispiace. Sul serio.-

 

Perché nessuno era passato a trovarlo, nessuno dei suoi coinquilini lo aveva chiamato per sapere come stava perché tanto tra un’ora torniamo!, nessuno gli aveva lasciato qualcosa da mangiare, nessuno, nessuno si era accertato delle sue reali condizioni fisiche. A parte Lindsay…

 

-Non me ne vado.-

 

L’unica che lo avesse trattato bene, dopo tanto tempo, solo perché era Choi Seung-Hyun e non perché Top dei Big Bang… L’unica che si era comportata in maniera tanto bella senza volere nulla in cambio. L’unica che era rimasta…

 

 

L’unica, semplicemente…



 

 

A Vip’s corner:

Premettendo che sono miracolosamente riuscita a rispettare la scadenza di una settimana (va beh, ho sballato di un giorno) questo è un capitolo un po’ –tanto- sottotono, lo so. E che non è nemmeno paragonabile a quello precedente, so anche questo. Ma non vi dirò che si tratta di un capitolo di transizione, perché non lo è affatto, e direi che le parole di Top alla fine dimostrano quanto appena scritto. Insomma, si sta aprendo uno spiraglio per qualcosa che può andare oltre l’odio, no? Un passo del genere non può essere solo transizione. Cooomunque, come ripeterò fino  allo stremo, se siete rimaste deluse me ne dispiaccio, ma accetto qualsiasi vostra critica o consiglio, perciò mi affido al vostro giudizio ^^

Per il resto, a dir la verità non ho molto da dire ò_ò Ne ho approfittato per caratterizzare un poco Ginko (mi sono divertita a vedere le cose dal suo roseo punto di vista xD) e Chyoko, visto che non voglio siano solo macchiette di contorno… Spero non siano due odiose xD GD –è sempre un parto sfornare le sue metafore che poi non so quanto decenti siano- lo amo sempre di più (sì, mi piace quando fa uscire il suo lato perfido xD) e il modo in cui tratta SeungRi… Ah, tranquille, non farà sempre la figura del sempliciotto il nostro adorabile maknae ;) Top è un deficiente e Lin lo segue a ruota, ma li amo ♥ Ammetto che il POV di Top è forse il mio preferito. Ho cercato di lasciar trasparire un po’ di zuccherosità, concedetemelo dopo tutti i capitoli di liti xD

 

Detto ciò, passo alla mia parte preferita: i ringraziamenti!!!

A Fran Hatake, hottina, Myuzu, lil_monkey, luna_09, YB_Moon, ssilen e SonoShawolsEVip mando un abbraccione stritolatore enorme e un grazie infinito come l’Universo per aver così carinamente commentato il precedente capitolo ♥ Voi non immaginate nemmeno quanto mi rendiate felice ♥ Un sincerissimo grazie di cuore va anche a chi ha inserito la storia fra le seguite/preferite. Voi mi volete far commuovere ç_ç Ovviamente, ringrazio anche chi continua a leggere ma resta in silenzio, invitando tutti, ma tutti tutti, a lasciare un segno del loro passaggio sempre se ne hanno tempo e voglia :) Leggere cosa ne pensa la gente delle proprie idee fra sempre piacere :)

Bom, basta così davvero! Alla prossima!

HeavenIsInYourEyes.

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Capitolo 8
*** Qualcosa è cambiato ***


Capitolo 8

Qualcosa è cambiato

 

She sees the mirror of herself

And image she wants to sell to anyone willing to buy

He

Lacks the courage in his mind, Like a child left behind

Like a pet left in the rain “

-Extraordinary girl –Green Day-

 

 

 

Choi Seung-Hyun odiava i momenti che precedevano le partenze. Anzi, ad essere più precisi, odiava le partenze in generale. Sempre tutti in agitazione, le valigie da fare, i vestiti da scegliere, le ore sfiancanti in aereo...

-Qualcuno ha visto il mio spazzolino?!-

E le urla esagitate di Ri che riempivano tutte le stanze del loro appartamento. Ma il piccolo di casa non poteva essere un po’ più silenzioso invece di farsi esplodere le coronarie?! Che poi, fosse stato solo lui… No, ad armonizzare quello splendido siparietto, ci si mettevano gli altri coinquilini.

-Perché non chiedi al cervello che hai rinchiuso in valigia?-

-GD, sei la solita testa di ca—

-Oh, com’è vispo il nostro maknae, oggi!- Taeyang pose il palmo della mano sul più piccolo, evitando che le sue espressioni colorite si spargessero nell’aria. Dalla camera di Ji Yong, la sua risata perforante arrivò come un martello pneumatico a fargli vibrare le cellule grigie. Buttò il capo in avanti, esasperato, premendo sul “+” dell’Ipod affinché la musica assordante potesse inondargli le orecchie. Fantastico… Il volume massimo era già stato raggiunto da almeno venti tacche e ancora le urla strazianti di Ri riuscivano a superare il muro del suono e dei suoi auricolari. Infilò senza delicatezza alcuna una maglietta nella valigia e con passo funereo andò a chiudere la porta della propria camera, pregando che qualcuno sedasse quell’indemoniato che ora aveva cominciato a brandire una spazzola per capelli mentre saltellava nel corridoio con i pantaloni calati e la maglietta storta.

Si beò della pace che aveva appena occupato la propria disordinata camera da letto, lasciandosi trasportare dalle note di Snoop Dog che districavano i suoi nervi tesi. Gettò un’occhiata svogliata e assonnata alla lista delle cianfrusaglie da portare a Singapore –gentilmente scritta da quel santo uomo di Taeyang-, biascicando un’imprecazione flebile quando si rese conto di essere solo al punto due di trenta. Che poi… Ma che diamine se ne faceva di un set di dopobarba? Scosse la nuca, concentrandosi su quella maledetta lista che andava fatta affievolire nel minor tempo possibile -Che palle.- borbottò caustico mentre infilava alla rinfusa un paio di magliette, giusto per depennare anche il punto quattro e cinque. E quando sollevò la felpa di Snoopy, gettandola sulla pila di vestiti giacenti a terra pronti per essere messi in lavatrice, si ritrovò ad osservare la giacca multicolore amorevolmente piegata, stropicciandosi il volto pur di scacciare l’immagine di quell’impiastro della Moore dalla mente. Era diventata una specie di chiodo fisso, quella maledetta megera, e ogni scusa era buona per far capolino fra i suoi pensieri –o nella sua vita, ormai non faceva differenza- rivelandosi per quella che era: una spina nel fianco che nemmeno delle cazzo di pinzette avrebbero potuto togliere. E quella che una volta era la sua giacca preferita –adesso declassata ad abito da donare ai poveri- doveva essere sicuramente un segno della perfidia del destino che, in quei mesi, si stava facendo beffe di lui e della sua pazienza ormai esauritasi. Ed era un monito affinché non dimenticasse che Lindsay Moore, nonostante tutti i difetti che la rendevano la personcina odiosa che era, qualche cosa di buono da offrire al prossimo ce l’aveva anche lei.

Si ritrovò a stringerla fra le mani, un sorriso spontaneo quanto non richiesto a increspargli le labbra prima che la rabbia divorasse quel buono che si era venuto a creare dopo la sua visita, continuando a ripetergli come una mantra che quella era solo una meschina, un’ipocrita che voleva accalappiarsi la star di turno, prima che i dubbi tornassero ad assalirlo, facendogli esplodere la testa: perché, se dapprima Top si era ritrovato a dover fare i conti con la sua inspiegabile sottomissione, scaturita da quei suoi mi dispiace farfugliati fra la lacrime, ora si ritrovava a dover affrontare il parassita della dolcezza che sembrava aver scelto Lindsay Moore come corpo ospitante. Perché non aveva altre parole per descrivere il suo comportamento di qualche sera prima, se non con un banalissimo dolce: il suo preoccuparsi per la sua salute schifosamente a pezzi, il suo costante ribadire seppure nella sua vaghezza che sarebbe rimasta accanto a lui solo per accertarsi che non sarebbe morto lì, sul letto sfatto, il suo preparare del riso al curry immangiabile senza che nulla le fosse stato chiesto. Il suo essere semplicemente rimasta quando tutti, perfino chi gli era più caro, avevano deciso di squagliarsela. Ed era pur vero che avevano avuto i loro impegni da rispettare, impegni improrogabili come interviste e scatti fotografici che, con buona pace, avevano deciso di fargli saltare per quella settimana di malattia ed era anche disposto a comprendere il loro fuggi fuggi o il non essersi fatti sentire nemmeno con un messaggio, davvero, ci avrebbe provato! Però…

-Seung-Hyun, è permesso?-

Però anche lei aveva un lavoro. E aveva rischiato di saltarlo, per lui. Non per un suo amico o una persona cara. Solo e unicamente per lui che, a ben guardare, altro non era che uno sconosciuto simpatico come un cobra quando si trattava di lei.

-Ehi, mi senti?!-

Quindi, tutte le sue buone intenzioni di capire i suoi amici andavano a farsi benedire se pensava che proprio la sua nemesi, aveva compiuto un gesto tanto bello solo per non abbandonarlo febbricitante e in un bagno di sudore.

Senza chiedere nulla in cambio…

Delle dita tamburellarono sulla propria spalla, facendolo sobbalzare –Ma sei scemo?! Mi hai spaventato!-

Dae, per tutta risposta, alzò le braccia al cielo –E tu non dovresti ascoltare la musica così alta nelle orecchie, lo sai?- gli levò un auricolare, rivolgendogli poi un sorriso affabile mentre adagiava con delicatezza una montagna di vestiti -Ti ho portato le magliette pulite.-

Annuì, lasciò cadere con malagrazia la giacca sul letto e dopo aver udito l’ennesimo urlo del maknae, poggiò gli indici sulle tempie -Gli avete dato ancora lo zucchero?- borbottò seccato mentre andava alla ricerca disperata del maglione Army.

Dae rise –Sai che quando si parte per un concerto è sempre eccitato.- ma che razza di giustificazione era?!

-Beh, sedatelo!- gettò dei boxer sul pavimento –E’ dalle cinque che fa casino!-

-Oh, qui qualcuno è piuttosto nervoso!- scrutatorio, gli girò intorno, lasciandosi poi scivolare sulla sedia girevole del computer per una volta non sormontata dagli abiti smessi della sera precedente. Dai suoi piedi dondolanti, il sorriso incitante alla chiacchierata cuore a cuore della giornata e lo sguardo luminoso, Top comprese che non sarebbe stata una breve discussione vertente sull’euforia di Ri. E qualcosa gli diceva, da come continuava a fissare la maledetta giacca che orribili ricordi faceva sorgere, che presto si sarebbe arrivati ad un argomento scomodissimo, di quelli che danno l’orticaria e ti mettono nelle condizioni di dover davvero pensare ad una risposta ponderata, perché altrimenti tutte le parole a vuoto sarebbero state fraintese. E pur nel sollievo di rendersi conto che D-Lite, a dispetto di GD, era decisamente più mamma chioccia quando si apprestava a rivoltargli il cervello come un calzino, c’era da considerare che quello aveva la brutta abitudine di infarcire il tutto con troppo zucchero, vedendo l’amore anche in un campo arso dalle fiamme del disprezzo –Andiamo, cosa c’è che non va?-

-C’è che partiamo tra tre ore e la mia valigia è ancora vuota.- buttò la prima cosa che gli gravitò per la testa, sperando che se la bevesse.

-Avresti dovuto prepararla ieri sera, come abbiamo fatto Tae ed io- con fare da maestrina, cantilenò quel motivetto con un pizzico di divertimento, come se godesse nel vederlo in difficoltà ad uno schioppo di dita dalla partenza –Ma… E’ solo questo?- si accertò poi, socchiudendo gli occhi.

No che non era solo quello, ovvio. Ma non aveva voglia di parlare, non aveva voglia di darsi delle risposte o cercarne nel proprio cuore, perciò si limitò ad uno stanco –Sono solo in ansia per il concerto.- che avrebbe dovuto farlo desistere dal continuare su quell’andazzo; avrebbe solo potuto dargli una pacca sulla spalla, rincuorarlo per la buona uscita dell’unico show a Singapore per il loro tour e poi dileguarsi, lasciando colare i suoi pensieri fuori dalla mente.

Ma Dae, a quanto parve, non provò nemmeno a crederci perché, con invidiabile noncuranza, si limitò a stringere la giacca multicolore fra le mani sottili, arricciando le labbra –O magari sei giù perché Lindsay non è venuta a salutarti?-

Eh?... Che cosa?...

Il solito tic prese pieno possesso del suo occhio destro, ora traballante e rivolto minacciosamente al ragazzo che, sorriso beota ad illuminargli il volto, lo fissava con confusione –Che motivo stupido per essere tristi!-

-Se c’entra la persona che ci piace, la tristezza dive—

-Non azzardarti a dire altro. Mi fai venire i brividi- pose il palmo aperto di fronte al suo volto, interrompendo quel vaneggiamento che gli avrebbe solo fatto venire la nausea prima ancora che l’aereo fosse decollato –E poi, perché mai sarebbe dovuta venire? Lindsay non è mia amica!- già, non lo era, non lo era affatto! Su quel punto era categorico, non si transigeva. Quella dannata non sarebbe mai rientrata nella lista dei suoi amici, perché lui mai si sarebbe premurato di fare qualcosa per lei o anche solo concedergli un po’ di attenzione. Sì, insomma, lui non si sarebbe comportato come lei, ecco… Come lei… Portò una mano sulla fronte, sperando che la confusione smettesse di albergare il suo cuore.

-Oh, che passo avanti- dall’alto della sua immensa stupidità, Top lo fissò stralunato –Noto con piacere che ora la chiami col suo nome- ed era comparso un sorriso dolce e sincero, di quelli che riuscivano sempre a farlo sentire una merda per il suo atteggiamento ostile e poco propenso alla gentilezza quando si trattava di toccare i suoi nervi scoperti. E in quel momento, rendendosi conto di quanto salutare fosse avere una persona solare come Daesung al proprio fianco, quando la crisi mistica aveva ormai raggiunto picchi elevati, comprese come poco abile nel nascondere il proprio disagio fosse. Era palpabile, lo si poteva tagliare con uno stuzzicadenti e il suo amico sembrava essere lì solo per spronarlo a dare una ribaltata allo stato di confusione di cui era vittima da un po’ di tempo –Deduco che quindi le cose vanno bene tra voi, no?-

A meraviglia, certo! Top poté finalmente comprendere come tutto fosse contro lui e la sua sanità mentale. A quanto pareva, gli amici avevano infatti deciso di farlo ammattire con quelle domande senza senso e che venivano scagliate così, come more che cadono dai cespugli -Certo che no.- replicò asciutto, vedendolo arricciare le labbra.

Dae si accarezzò il ciuffo biondo –Beh, ma è venuta qui quando stavi male e—

-E’ stato solo un caso- tagliò corto –Doveva solo ridarmi la giacca.- spiegò vago, massaggiandosi una spalla indolenzita. Ora che ci pensava, non aveva raccontato nulla dello spiacevole quanto assurdo episodio che aveva segnato per sempre la sua visione delle cose; l’unico che sembrava aver captato qualcosa era stato Ji Yong, ma quello aveva il radar per le disgrazie altrui.

-Perché ce l’aveva lei?- si allontanò, irrigidendosi sulla sedia –Che cosa avete fatto in camera mia?!- aveva teatralmente portato le mani sulle guance, fissandolo sconvolto e amareggiato con le labbra socchiuse e gli occhi ridotti a due puntini minuscoli; lui, d’altro canto, non capì il significato di quel gracchio frastornante –La mia pura e immacolata camera… E’ ancora vergine, non lo sai?!-

Solo allora capì. E i brividi di raccapriccio uniti allo stomaco rivoltante si mescolarono, facendo sorgere sul suo viso la più orrida smorfia di disgusto che mai avesse deciso di mostrare. Ma che Diavolo andava a pensare quel demente?! Lui e Lindsay Moore… Sul suo letto, in atteggiamenti intimi e poco casti… Oh-Mio-Dio! –Ma che cazzo ti salta in mente?!- strepitò come se una tarantola fosse appena comparsa da sotto le lenzuola stropicciate -Non mi sognerei mai di portarmi una ragazza nel tuo letto, men che meno se quella ragazza è la Moore!- sottolineò quel commento con quanta più enfasi possedesse, ancora in preda alle convulsioni per la sua stronzata colossale. Cose che nemmeno la mente scema di SeungRi avrebbe potuto partorire…

-Quindi non avete fatto nulla?- scosse la nuca nascosta dal cappuccio della felpa blu –Nemmeno un bacio?- grugnì –Nemmeno una palpatina leggera leggera?- cacciò il dentifricio in borsa -E allora perché è uscita piangendo dalla mia stanza?- lo vide giocherellare con un lembo della giacca per poi sollevare lo sguardo colmo di vittoria su di lui, ora confuso e in trappola. Che altra stronzata avrebbe esalato, ora? –Ho capito! Lei si è dichiarata e tu le hai detto che non ti interessa!- No, non hai capito proprio niente! –Oppure, voi due avete inscenato tutte queste liti solo per nascondere a noi la verità: che state assieme da un bel po’, ma lei è in realtà innamorata di me e—

-Smettila di guardare le telenovela con Tae, ti fanno male, sul serio!- si ritrovò a ridere di fronte alla fantasia del compagno che, nonostante l’interruzione, si era ritrovato a ghignare con lui.

-Quindi?- prese una pausa –Cos’è successo alla festa?-

Già, che era successo? La verità era che nemmeno lui aveva una risposta a quella domanda che, ormai assillante, continuava a venir riproposta ogni santissimo giorno dal cilindro dei quesiti ancora senza soluzione. Un attimo prima era stata l’emblema dell’indifferenza, la regina dell’ironia e della supponenza, la solita Lindsay Moore che aveva imparato ad odiare come se fosse la cosa più naturale del Mondo e il minuto dopo lo aveva preso a librate in faccia concludendo il tutto con il tiro al rhum, centrandolo in pieno volto -Non lo so- mormorò genuino, assorto e contemplando la giacca sgargiante –Non lo so davvero.- e senza freno alcuno, senza che l’amico avesse provato a ficcanasare, Seung-Hyun si era ritrovato a raccontargli della discussione senza né capo né cosa, dei libri volanti che cadevano in picchiata sulla sua testa, del suo sguardo spento e delle sue parole pesanti come macigni che, però, andavano oltre lui, oltre ciò che lui rappresentava per lei. Che andavano ben oltre quello che era il loro non rapporto… E infine, come togliendosi un enorme peso sulla coscienza, gli raccontò del suo pianto isterico e delle sue scuse che, più di tutto il resto, lo avevano sconvolto.

Dae era rimasto in silenzio per tutto il tempo, analizzando ogni sua frase come un chirurgo con il bisturi in sala operatoria. Solo quando il silenzio li avvolse nuovamente, l’amico si lasciò andare ad un sospiro leggero, mostrandogli la giacca –Però, beh, è stata carina nonostante tutto, non trovi?-

Si massaggiò il collo, incapace di rispondere. Aveva il terrore che, dandogli ragione, nuove sensazioni avrebbero preso il sopravvento su quelle che, faticosamente, stava cercando di gestire -E’ stata solo educata.- mormorò poco dopo sotto il suo sguardo attento. Del resto, non poteva considerare straordinaria questa sua dote, no? L’educazione era qualcosa che veniva inculcata ai bambini sin dalla tenera età. Non c’era niente di strabiliante in tutto questo. Eppure… Eppure qualcosa gli diceva che anche in questo caso, l’educazione non c’azzeccava nulla.

-Ha lavato la tua giacca e poi te l’ha restituita senza chiederti i soldi per la lavanderia, poi è stata qui quando hai avuto la febbre, ti ha preparato il riso… Questa non è solo educazione.- rimarcò con decisione, convinto che quel gesto fosse dettato da più del semplice galateo, scuotendo la nuca con vigore per avvalorare la propria tesi.

-E allora che cos’è?- seccato, aprì le braccia, esternando il proprio disappunto nei confronti di quella discussione che sembrava voler mettere lui e il suo orgoglio alla gogna.

-Si chiama gentilezza- accentuò quell’ultima parolina con forza, come se fosse imbecille –E non è qualcosa che può darti l’educazione. O lo sei o non lo sei- fu una perla di saggezza sbattutagli in faccia con troppa sicurezza, capace di sbaragliare in un microsecondo ogni sua certezza. Voleva forse fargli credere che Lindsay Moore, la stronza stregaccia del Tribeca, fosse in realtà un tenero agnellino sotto mentite spoglie? Ma davvero si aspettava che credesse ad una scemenza del genere? Attivando l’espressione Are you fucking kiddin’ me?, decise di starsene in silenzio –Comunque, le hai detto grazie?- Dae lo fissò con severità, come se dalla sua risposta dipendessero le sorti della sua giovane vita. Perché quella pacata conversazione si era tramutata in un terzo grado?!

Seung-Hyun si guardò intorno, per una volta speranzoso che quel palloso di Ji Yong facesse irruzione nella sua stanza senza curarsi della sua privacy; sicuramente quel bastardato era appollaiato dietro la porta ad origliare con un bicchiere e se la stava ridendo alla grande, trovandolo in difficoltà. Purtroppo, comunque, nessuno venne ad interromperli e con sommo dispiacere, si ritrovò a confessare un biascicato –Certo che no.- che, sapeva, avrebbe portato Dae sull’orlo di una crisi isterica: ed eccolo lì, infatti, bocca spalancata, occhi scuri sgranati ed espressione da madre che ha appena colto in flagrante il proprio figlioletto con una canna fra le mani e il fumo ad appestare la stanza -Come sarebbe a dire che non le hai detto grazie?!- pigolò strabuzzando gli occhi.

Top alzò le spalle -Perché avrei dovuto, scusa?- roteò gli occhi di fronte alla sua espressione scioccata -E’ stato un suo dovere ripulirla!- aprì le braccia, diede sfogo a quello che sarebbe dovuto essere il suo pensiero principale ma che, alla lunga, si era smarrito nei meandri della sua mente ora arrovellata affinché non si accanisse sul ricordo della limpida dolcezza dell’americana guastafeste.

Dae scosse la nuca, sconsolato –Sei lo Hyung tra noi, ma a volte ti comporti come il maknae della situazione.- lo aveva sbuffato con amarezza, come se il suo mito fosse crollato davanti ai suoi occhi ora rivolti al pavimento. E Top, avvertendo l’orgoglio ripristinare tutte le barriere cadute a picco, si ritrovò ad arricciarsi nel proprio silenzio, l’arma migliore da utilizzare con i suoi coinquilini quando sembravano divenire gli oracoli della verità. E lui, seguendo il proprio logicissimo punto di vista, perché mai avrebbe dovuto ringraziarla? Perché non c’era nulla di sbagliato nel suo atteggiamento, nulla! Era lei ad essere sbagliata, era lei che non commetteva mai nulla di buono, era lei che aveva combinato solo casini e, per una santa volta, aveva deciso di assumersi le proprie responsabilità…
 

Ma avrebbe potuto non farlo.

 

E questo, più di tutto, lo lasciò interdetto e alquanto spaesato: la totale ed assoluta consapevolezza che Lindsay Moore avrebbe potuto non dimostrarsi così matura, magari anche vendendo la sua giacca su Ebay per guadagnare qualche spicciolo. In qualsiasi caso la mettesse, chi usciva vincitore da quell’assurda sceneggiata era lei, non di certo lui che, ancora ancorato al proprio ego sgonfiatosi, non voleva cedere di fronte alla triste realtà che gli si era parata davanti.

-Daeeeesuuuung! Dove sono i miei occhiali?-

-Ce li hai in faccia, Ri.-

-Ma tu che vuoi?! Tae, dì a Ji Yong di non intromettersi!- Ri aprì la porta di Top con un gesto secco, agitando un pugno nei confronti del leader che svolazzava per i corridoi infondendo il proprio perfido amore –Dae, hai visto i miei occhiali? E non quelli da vista, quelli da sole!- marcò urlando al corridoio, avvertendo la risata sguaiata di GD propagarsi intorno a loro.

Top sogghignò, grato alla foga del maknae che, per una volta, si era rivelata proficua per lui e il suo mal di testa –Adesso arrivo- bofonchiò D-Lite sventolando le mani mentre il più piccolo saltellava in giro, apparentemente soddisfatto –Finisci di preparare. Tra due ore si parte- lo ammonì dandogli una pacca sulla spalla, infilando le mani nelle tasche della tuta –E metti un po’ a posto- borbottò sconsolato, storcendo il naso alla vista dei boxer che pendevano disordinati dall’anta aperta del comò -Certo, mamma.- lo canzonò ironico, facendogli un cenno della mano per invitarlo a sloggiare. Fu solo quando recuperò il proprio Ipod, pronto a lasciarsi ottenebrare dalle parole dei suoi adorati rapper, che Dae pose la fatidica domanda, il classico quesito che più di tutti gli altri rimaneva impresso, scavando un enorme cratere nel cervello pur di cercare una risposta plausibile -Tu non hai paura, vero?-

Top lasciò cadere il capo, sconsolato nell’udire ancora la sua voce colma di curiosità. Ma non poteva andarsene e basta?! Richiamò a sé la pace dei sensi e, solo dopo aver scaricato la tensione sulla maglietta conficcata in valigia, si decise a guardarlo in volto –Paura di cosa?-

-Che lei potrebbe non dispiacerti così tanto come ti ostini a credere.- e lo aveva detto con naturalezza, come se fosse l’unica possibilità in mezzo al mucchio. E, purtuttavia voglioso di ridergli in faccia, di dar libero sfogo alla propria ilarità, non ci riuscì. Perché, forse, ma proprio forse eh, l’amico non aveva poi tutti i torti. Ma fu un pensiero fugace, di quelli appena appena percettibili, capaci però di lasciare il segno…
 

Proprio come Lin…

 

Non rispose. Non cercò nemmeno la domanda. Sapeva solo che, ogni volta che lo sguardo cadeva su quella giacca multicolore, l’inaspettata dolcezza di Lindsay cominciava a fargli scorrere migliaia di brividi, mentre una vocina dal profondo continuava a bisbigliargli quanto interessante lei fosse: tutte le cose che gli aveva urlato, tutti i problemi che sembravano affliggerla… Tutto, continuava a dargli il sentore che Lindsay Morre non fosse una semplice stronza che si nascondeva dietro una corazza di bastardaggine. C’era qualcosa capace di stuzzicarlo, di accattivante. E più guardava quella giacca, più la voglia di scoprire cosa fosse lo mandava in tilt…

-Promettimi che, una volta tornati, le dirai grazie, ok?- attese il rumore sordo della porta, poi il silenzio della stanza. Prese la giacca e la ficcò in valigia sotto un mucchio di felpe, soffocando quella miriade di sensazioni piacevoli da contorcergli lo stomaco che lo avevano assaltato. Chiuse la valigia e si ci lasciò cadere sopra, prendendosi la nuca fra le mani mentre sbuffava sonoramente.

Choi Seung-Hyun odiava le partenze. Ma, questa volta, la cosa più tremenda sarebbe stato il ritorno e ciò che avrebbe dovuto affrontare.

 

*****

 

Le note di Monster riempivano il piccolo bagno dell’appartamenti di Ginko, ora intenta a truccare una riluttante Lindsay che, ad ogni sferzata di pennello per ombretti, tentava di sgusciare dalla sua presa –Abbiamo finito?-

-Tesoro, ce n’è di lavoro da fare!- trillò l’amica con sincerità.

-Mi stai dando del cesso?- aprì l’occhio, fissandola scettica. Ginko buttò la testa all’indietro e scoppiò a ridere, agitando poi le manine.

-Oh, ma figurati! Il trucco serve solo a valorizzare la tua bellezza!- le diede una buffetto sulla nuca prima di tornare a impiastricciarle il volto -Sei troppo pallida. Mai pensato ad una lampada?-

-Criticata da Casper, accidenti.- abbozzò un sorriso nell’avvertire la sua risatina leggera, storcendo il naso quando si premurò di passarle la matita sotto la palpebra superiore. Sbatté le palpebre quando, finalmente, la barista si decise a darle un po’ di tregua mentre si fiondava ad alzare il volume dello stereo appoggiato sul davanzale, circondato da un sacco di piante. Ora che ci faceva caso, il bagno di Ginko richiamava il set del film di Tarzan tanti fiori c’erano.

-Oooh, amo questa canzone!- cinguettò la miniatura cominciando a canticchiare stonatamente con quanta più passione avesse. Lindsay si rammaricò con le proprie orecchie per quel tremendo spettacolo e si concentrò sulle note che uscivano dagli altoparlanti, storcendo il naso nel rendersi conto che si trattava di una sonata coreana. Che palle!, pensò seccata, attivando il proprio traduttore on-mind cosicché potesse cercare di captare il significato recondito di tutti quei versi che si sparpagliavano nell’aria con troppa velocità. L’unica frase che riuscì a cogliere, poiché cantata in inglese, fu un amaro I love you, baby I'm not a monster che, detto sinceramente, non l’aiutava a dare un senso a tutta quella melodia, visto che molte parole le aveva perse per strada. Ci rinunciò, anche perché Ginko era tornata all’attacco armata di pennello per le sfumature –Allora, qual è la tua canzone preferita del loro ultimo album?-

La ragazza allontanò il viso, socchiudendo gli occhi –Ma l’album di chi?-

Ginko agitò il pennello verso lo stereo –Ma come di chi?! Dei Big Bang!- un sorrisone enorme incurvò le sue labbra ore guizzanti all’insù e Lin ebbe il sentore che, se mai le avesse detto di non aver mai ascoltato una loro canzone, si sarebbe ritrovata a dover chiamare l’ambulanza causa attacco di cuore –Perché tu ascolti i Big Bang, vero?-

-No.- cavernosa, non provò nemmeno a fingere. Mica che poi partiva in quarta con discorsi alla Quindi, quale canzone ti piace di più?, o ancora Quale membro della band sceglieresti per una notte di passione?, e altre amenità del genere che aveva abbandonato con la scomparsa dei Backstreet Boys dal grande schermo.

-Oh, ma sono tuoi amici e non ascolti nemmeno una loro canzone?!- seriamente offesa per quel suo, a quanto sembrava, riprovevole affronto, Ginko tornò ad occuparsi dell’occhio destro che ancora non era stato torturato.

-Amici è una parola grossa.-

-Ma ti hanno invitata alla festa!-

-Ciò non ci rende amici.-

-E allora cosa siete?-

-Non lo so. Per GD credo di essere una cavia da laboratorio e per gli altri l’alieno della situazione- fece una pausa, poi alzò le spalle –Ah, già, e per Seung-Hyun sono una stronza.-

Ginko strabuzzò gli occhi mentre studiava il proprio lavoro, poi inclinò il capo lasciando fuoriuscire tutto il proprio dispiacere –Non ti ha perdonata, vero?-

Lin la fissò seria seria, chiedendosi il perché di tutta quella sofferenza assolutamente non richiesta e futile. A parte che non gliene fregava niente se quell’idiota la perdonava o meno, ciò non toglieva che lei con Seung-Hyun voleva averci il meno a che fare possibile. Perché si era dimostrato un idiota dalle dimensione colossali e perfino quando lei, spinta dal senso di colpa straripante, aveva deciso di rendersi un po’ più gentile nei suoi confronti, si era ritrovata ad avere a che fare con la sua sgarbatezza, il suo rancore indomabile. E lo capiva. Più ci pensava, più comprendeva il suo essere restio al perdono. Quindi, con assoluta noncuranza, si premurò di esalare un pratico –Non è che me ne freghi qualcosa.- che avrebbe dovuto far cadere lì il discorso, ma che in realtà servì solo a far perdere Ginko in un brodo di giuggiole.

-Come non ti ha perdonata?! Insomma, gli hai restituito la sua giacca pulita—

-E ho vegliato su di lui con la febbre- si lasciò sfuggire pensierosa, pentendosi subito dopo di averglielo confessato. Perché l’espressione di pura incredulità che aveva raggrinzito i suoi lineamenti allungati, era un chiaro segnale di stronzate imminenti –No, lascia perd--

-Aha, ma questo è amore!- la indicò saltando sul posto, facendole rabbrividire dal terrore. Ma adesso che cos’era quella vaccata colossale?! –OddioMioRaccontamiTutto! Voglio i dettagli!- portò i pugni sotto al mento, avvicinando il volto al suo per studiare ogni sua micro espressione.

Lin la spinse via, carezzandosi le braccia tatuate –Ma sei scema? Non è successo niente!-

Arricciò le labbra –Non me la bevo!-

Assurdo. Quel discorso stava diventando assurdo. Come avessero fatto a passare dal pallore della sua pelle al fatto che lei provasse qualcosa per quel demente non riuscì mai a capirlo, ma di una cosa era certa: Ginko non aveva tutte le rotelle a posto.

-Senti, quello che c’è tra noi non è amore- a quel “quello che c’è tra noi” il disgusto deformò i suoi lineamenti –Santo cielo, che schi—

-E allora perché sei rimasta con lui?- portò le mani sui fianchi, un ghignetto a incresparle le labbra pitturare di rosso. E Lin, di fronte alla realtà sbattutagli in faccia con tanta semplicità, si ritrovò ad arrovellarsi il cervello in cerca di una risposta plausibile che potesse non solo andare bene alla Fujii, ma anche a sé stessa. Perché aveva vegliato su di lui? Perché non lo aveva abbandonato al suo destino? Erano domande che solo dopo aver messo piede fuori dall’appartamentino, salutata dagli altri membri rincasati, si era posta con confusione ad aleggiarle intorno…

Perché glielo dovevi…

Ed era sicura che quella fosse la sacrosanta verità, inscalfibile e inattaccabile. Era perfetta, senza sbavatura alcuna, senza nulla che potesse portare a fraintendimenti…

Perché lui era da solo, senza nessuno…

Però al pensiero di lasciarlo solo, febbricitante e magari con il rischio di passare a miglior vita, aveva avvertito una morsa dolorosa allo stomaco che, implacabile, aveva trasmesso ulteriori fitte lancinanti al cuore, facendole provare le vertigini. E lo aveva visto in tutta la sua fragilità fisica, incapace di risponderle per le rime, incapace di mandarla a casa a calci per tutte le cattiverie commesse alla festa. Per il suo, semplicemente, essersi resa odiosa senza riserva alcuna. E lui, pur nella sua costante sgarbatezza, si era dimostrato più accettabile…

Perché, in fondo, voi due non siete poi tanto diversi…

Si era dimostrato esattamente come lei. Solo, senza nessuno a proteggerlo dalle disgrazie che incombevano sul loro cammino. E si era sentita in dovere di aiutarlo, di stargli accanto, come se volesse fargli comprendere che, almeno per quelle poche ore, qualcuno per lui c’era. Ed era questo forse davvero un sintomo dell’amore, come Ginko aveva osato proferire? Non lo sapeva, ma ne dubitava. Non bisognava necessariamente amare qualcuno per poterlo aiutare, no?

Scacciò quegli sciocchi pensieri con un scrollo delle spalle, replicando al suo volto ora cosparso di vittoria con un irritato –Te l’ho detto. Aveva la febbre e non me la sentivo di lasciarlo solo.- che, a quanto pareva, sembrò bastare alla ragazzina. Sapeva bene che Ginko non era poi così cretina da non sapere che sotto ci fosse qualcosa di ben più pesante, ma la verità era che nemmeno lei riusciva a comprendere le reali cause del suo essersi dimostrata così dolce con qualcuno che, fino a tre giorni prima, aveva trovato fastidioso.

La padrona di casa tornò a completare la sua opera d’arte, continuando a canticchiare senza aver pietà delle sue povere orecchie martoriate –Sai? Ho chiesto al singor Yoon due giorni di ferie, ma non me li ha dati.- imbronciata, recuperò la trousse degli trucchi, ravanando al suo interno con uggiosità.

-Dovevi andare a trovare i tuoi?- velatamente curiosa, cercò di interessarsi un po’ di più della vita di Kamikaze.

La giovane per poco non lasciò cadere il suo forziere -Scherzi?!- saltò sul posto, agitando le mani –Dovevo andare a vedere il concerto dei Big Bang a Singapore!-

Quella doveva rivedere le sue priorità -Ah, sono a Singapore?-

-Certo! E io ora potevo essere lì, ad ammirarli in tutta la loro bellezza!- mormorò sognante, esalando poi un cospiratorio –Lo sai che GD ha la pelle liscissima?-

-Fantastico. Fatti consigliare delle buone creme, eh- alzò il pollice mentre la lasciava blaterare su quanto Ji Yong fosse spettacolare a pochi centimetri da lei –peccato che fosse un bastardo-, quanto le mutande di Taeyang fossero uno spettacolo da mozzare il fiato in gola –avevano due concezioni diverse di spettacolo che toglie il fiato- e quanto Ri fosse coccoloso come un peluche –nh, forse su quello poteva darle ragione-. E mentre lei continuava a ciarlare, la melodia che ora si propagò per la stanza ebbe il potere di catturare la sua svagata attenzione. Era un sound accattivante, un po’ malinconico e nostalgico, capace di paralizzarla per qualche istante. Era così diversa dalle altre tracce appena passate, come se in questa vi fosse una sofferenza palpabile e che traspariva da ogni parola.

E in quel preciso istante, sotto le note coreane che stava cercando di seguire disperatamente, doveva avere l’espressione più stupida dell’Universo perché Ginko aveva alzato il volume e le aveva rivolto un curioso -Ti piace questa canzone?- riportandola alla brusca realtà.

Scosse la nuca -Mai sentita.-

Ginko gettò i pennellini nel Beauty-case  –E allora cos’è quella faccia stupita?!- Lin alzò le spalle, tornando ad ascoltare la voce baritonale del cantante capace di trasportarla lontana da quella realtà noiosa e piena di problemi, riportandola alla prima notte al Tribeca quando, sul tavolo, si era ritrovata costretta a danzare sulle note elettroniche di Fantastic Baby, inebriandosi di quella voce così profonda da scuoterla –Non trovi che la voce di Seung-Hyun sia favolosa?- la guardò allucinata. Ah, quindi il baritono del gruppo era il molesto demente dalla chioma azzurra? Sublime, certo. Alcune cose, si disse, sarebbe stato meglio non venirle mai a sapere. Perché era illogico che una cosa tanto bella potesse appartenere a quel cretino, che una cosa capace di farla distrarre e star bene potesse provenire da quello che, alla fine, la faceva sentire una completa inetta –La prossima volta ti farò vedere il video. È girato a Brooklyn, sai?- ma lei non lo sapeva, ovvio che no.

Ormai non sapeva più niente…

 

 (I’m singing my blues)

Used to the blue tears, blue sorrow

(I’m singing my blues)

The love that i have sent away with the floating clouds, oh oh


 

-Beh, allora?- Ginko la fissava impaziente, le mani sui fianchi e lo sguardo attento.

Lindsay si studiò allo specchio, ancora scosse dai pensieri malati che la sua mente continuava a propinarle –Sembro una prostituta.-

Ginko le diede una manata sulla schiena, sporgendo il labbro inferiore –Intendevo la canzone!- spense lo stereo e la spinse fuori dal bagno, zampettando verso la porta di ingresso dove giaceva la borsa e i tacchi -Come ti sembra?- si piegò sulla poltrona, recuperando la giacca. Il tintinnio delle chiavi la richiamò a rapporto e senza nemmeno prendersi la briga di guardarsi un’ultima volta allo specchio, seguì l’amica fuori dall’appartamentino, lasciandosi alle spalle quella melodia accattivamene che ancora le ronzava in testa, lasciandosi indietro il pensiero fugace quanto improvviso che la voce di Top fosse un suono talmente bello capace di ipnotizzarla.

Lasciandosi alle spalle il proprio commento che, in quel momento, non seppe a chi rivolgere. Se al maledetto testa azzura, se alla canzone che avrebbe dovuto assolutamente inserire nella sua playlist o al trucco che la rendeva una bagascia di periferia. Non lo sapeva con certezza e, scendendo le scale, si ritrovò a spandere il proprio mormorio con quanta più naturalezza avesse nel corpo ancora attraversato dai brividi. Poteva una canzone vagamente ascoltata, divenire la sua preferita?

Deglutì –Niente male, davvero.-

 

*****

 

Sono pazzo.

Era un demente, un coglione, il peggiore dei cretini. Il più grande pirla della storia mondiale!

Seung-Hyun ne era straconvinto e nulla sarebbe riuscito a distoglierlo da quel chiodo fisso: altrimenti, come si poteva descrivere un Top piuttosto ansioso che andava al Tribeca nella speranza che un’americana dalla simpatia pari a zero fosse lì? E non che gli interessasse vederla, ci mancherebbe!, ma da quando Dae aveva avuto la brillante idea di parlargli e rivolgergli ammonimenti non graditi o richiesti, si era ritrovato a trascorrere quella settimana a Singapore con un tarlo pedante: se non fosse andato a ringraziarla, il Karma lo avrebbe severamente punito.

Torna indietro, torna indietro dannazione!

Ma ormai, il suo viso si era già imbattuto nella frescura della notte e lo sguardo vagava alla ricerca della propria auto. Dietro di sé, le lamentele dei compagni che non capivano il perché di questa sua fuga improvvisa senza nemmeno essersi preso la briga di svuotare la valigia. Solo, si era fatto una doccia veloce e, senza nemmeno renderli partecipe dei suoi schizzi improvvisi, si era fiondato per le scale mentre Dae, che probabilmente aveva compreso tutto, gli urlava un incoraggiante quando inquietante –Stendila, Hyung!-

Si aggiustò il cappellino e sistemò meglio la sciarpa intorno alla bocca, portando le mani in tasca mentre si addentrava nel parcheggio alla disperata ricerca della macchina perduta. E poi, come se già non bastasse quella maledetta vocina che gli diceva di non comportarsi da animale come suo solito, ci si metteva lui, l’impiastro per eccellenza, l’unico che avesse la straordinaria capacità di rendere tutto ancora più nero…

 

-Vai da qualche parte?-

 

Kwon Ji Yong, onnipresente nelle sue scampagnate all’insegna del suicidio. Rabbrividì al suo di quella voce cristallina, avvertendo la pelle d’oca da sotto la giacca. Volse il busto, incrociando lo sguardo indagatore di GD che, seduto sul cofano della sua Bentley bianca, le chiavi che rigiravano e tintinnavano fra le sue dita sottili, sembrava lo stesse attendendo da chissà quante ere.

-Non sono affari tuoi.- borbottò in risposta, rannicchiandosi nella giacca per trovare un po’ di calore. Il vento sferzava quella notte e se solo il senso di colpa non fosse divenuto così martellante, sarebbe tornato in casa senza nemmeno porsi problemi. Ma come si diceva? Via il dente, via il dolore… E Lindsay era un maledetto dente del giudizio che andava estratto senza alcuna pietà. Dopo di quello, solo pace e serenità.

-Uh, come siamo nervosi!-

-E tu sei il solito ficcanaso.- lo riprese seccato, dandogli le spalle mentre si dirigeva verso la propria auto nera, sperando che quello non lo seguisse. E, per una volta, lui non lo seguì per davvero, almeno, non con i piedi. Bastava il suo sguardo ad essere più insopportabile delle suole delle sue converse sul terriccio del parcheggio.

-Mi stavo chiedendo—

-Non me ne fraga niente!- alzò una mano, zittendolo.

-Perché mai, appena tornati da Singapore, il nostro Hyung se ne esce furtivamente da casa? E poi, tutto mi è stato più chiaro- sorrise placido, come se avesse appena vinto ad un premio della lotteria –Sei proprio un tenerone, lo sai?-

A quel punzecchiamento volontario, gli rifilò un bel dito medio alzato, imprecando a mezza voce quando udì la sua risata sguaiata. A quanto pareva, quel babbeo di Ji Yong sembrava divertirsi un mondo. Peccato che lui, invece, fosse incazzato nero. Con passo di marcia si diresse verso di lui, rivolgendogli lo sguardo più assassino che avesse a disposizione, vedendo il suo labbro destro guizzare all’insù –Ji Yong, non ti intromettere.-

-E chi si vuole intromettere?- imbronciato, pose il palmo aperto sul suo petto e lo spinse all’indietro, poggiando i piedi al suolo –Voglio solo supportarti.-

-Bene, ecco, supportami dal divano di casa- sbatté le braccia lungo i fianchi –Ma supportarmi in cosa, poi?-

GD portò l’indice sul mento, guardando il cielo scarsamente stellato che quella infelice notte aveva da offrire loro –Ma, beh, supportarti nel tuo rapporto con America, no?- cinguettò incredulo, come se non si capacitasse delle sue scarse doti analitiche.

Si massaggiò le tempie, esasperato e disgustato –Senti, non ho idea di quali filmati tu ti sia fatto, ma sappi che sei fuori strada!-

-Quindi non stai andando da lei?- inclinò il capo, ora decisamente più irritato. Tipico di Ji Yong prendersela perché una persona decideva di non sottostare ai suoi giochetti.

-Non sono affari tuoi- ripeté incerto, evitando di guardarlo in volto. Perché una volta gli sarebbe venuto spontaneo dire al leader cosa stesse macchinando in quella notte buia di fine inizio ottobre, ma erano ormai successe troppe cose che avevano intaccato il loro spirito, troppe cose che li avevano allontanati. Troppe cose che avevano reso GD uno stronzo senza precedenti, incapace di provare empatia nei confronti degli altri. E lui, che lo conosceva da anni, si sentiva così impotente, ma così inutile che l’unico modo per stargli davvero accanto gli sembrava il suo buttarsi a capofitto nelle sue conversazione a volte insensate e a volte così chiarificanti da fargli paura. Così, vedendolo calciare alcuni ciottoli sul terreno con aria pensosa, si ritrovò a mormorare un seccato –E se anche fosse? Cosa te ne importerebbe?- che fu capace di fargli spuntare di nuovo il sorriso. Un sorriso raccapricciante, certo, ma pur sempre un barlume di gioia su quel volto perennemente circondato da noia.

-Ma a me importa della tua situazione!- Certo, come no… -E poi, non lo trovi fantastico il miracolo della natura?- accarezzò il cofano con i polpastrelli, dirigendosi verso la portiera del guidatore, guardandolo con quella sua strana quanto mistica dolcezza che aveva sempre il potere di lasciarlo con l’amaro in bocca –Ciò che prima disprezzavamo incomincia a prendere davvero forma e con le sue sfumature ci accorgiamo di quanto in realtà sia amabile. E basta così poco per dare via a questo lento passaggio, tu non trovi, Hyung?-

Top deglutì, incapace di replicare a quella teoria appena mormorata. Si limitò a storcere il naso mentre si dirigeva verso la Bentley e si appiattiva sul sedile del passeggero, infilando la cintura con un gesto secco -Una volta eri più simpatico.- sottolineò con sincera seccatura, vedendo il suo ghigno delinearsi con talmente tanta naturalezza che, per un istante, si chiese se davvero GD non fosse in realtà stato sempre un infido stronzo capace di camuffare tutto con abile maestria.

-E tu rispondevi sempre alle domande.- borbottò offeso, uscendo dal parcheggio con abile maestria. Rimasero in silenzio e quando questo divenne opprimente, Top allungò la mano, lasciando che le loro canzoni si spargessero per l’abitacolo.

-Come si cambia, eh?- ironizzò appoggiando la guancia al finestrino, mentre osservava i palazzi srotolarsi davanti ai suoi occhiali da sole. Incredibile come ogni viaggio in macchina per arrivare il Tribeca gli sembrasse infinito.

GD guardò lo specchietto -Non credo di essere cambiato poi molto dall’anno sco—

-Non dire cazzate!- lo interruppe brusco, innervosito dalla sua totale mancanza di autoanalisi. Non ci voleva un genio per comprendere che qualcosa era mutato in lui e Top, che lo conosceva da tempo, non era così cieco da non vedere le turbe che gli demolivano il cervello e il carattere di giorno in giorno. Ma era troppo debole per sbattergli in faccia la cruda realtà, troppo inabile nel districarsi nei discorsi che si ritrovavano ad intraprendere. Perché GD aveva l’assoluta abilità di ergere un muro davanti a sé invalicabile e che metteva gli altri nella posizione di dover subire i suoi giochi psicologici. C’era chi si difendeva con i pugni, chi con le parole… E Ji Yong, in questo, era un maestro indemolibile.

-Oh, e sentiamo- GD svoltò a destra senza delicatezza alcuna; probabilmente voleva fargliela pagare andando a sbattere contro un palo –Da quando sarei cambiato?-

-Lo sai benissimo, Ji Yong.- concluse con esasperazione, stropicciandosi il volto mentre vedeva l’insegna del locale luccicare di fronte a loro.

L’amico, apparentemente non toccato dalle sue recriminazioni vaghe, accostò al marciapiedi, guardandolo di striscio –Beh, non scendi?- gettò il capo in avanti e dopo aver richiamato a sé tutta la buona volontà, poggiò i piedi sul marciapiede, deglutendo alla vista della coda che attendeva il proprio turno all’entrata –Seung-Hyun…- la voce assorta dell’amico lo richiamò e lui, tergiversando, si disse che avrebbe preferito giocare a mosca cieca tra i labirinti della mente con lui piuttosto che andare a dire grazie alla Vedova Nera lì dentro –Non mi deludere, eh?- un ghigno a deformargli il volto, lo sguardo stranamente vivido e acceso…

E il batticuore per quello che stava accadendo, tutto ormai oltre la sua portata.

 

******

 

In mezzo alle frasi sferzanti e colleriche che sua madre le aveva sempre gentilmente propinato, ce n’era stata una, colma di strana garbatezza, che più di tutte le era rimasta impressa: sei fai del bene, le cose si sistemeranno. Il fatto che gliel’avesse rivolta dopo che era stata pescata in mezzo ad una rissa scoppiata in un locale nella periferia di New York, era solo un dettaglio di poco conto.

Ma il punto non era questo. Il punto era che in quel preciso istante, proprio mentre se ne stava in mezzo alla sala cercando di scansare un moscone fastidioso che continuava a ripeterle di andare sottocoperta per farle scoprire le bellezze dei sette mari, proprio mentre aveva deciso di utilizzare lo straccio per i tavoli come frusta, proprio allora si rese conto di quanto la frase di Emily non fosse poi tanto sbagliata. Perché sopra le scale che si gettavano sulla pista da ballo, come nelle peggiori commedie per teenager zeppo di vaccate romantiche che mandavano in fumo il cervello delle adolescenti, se ne stava Choi Seung-Hyun, imbacuccato come suo solito, apparentemente deciso a far scoppiare l’ennesima battaglia a colpi di ironia e gelo. Dovette però ricredersi, perché quel –Ciao.- basso e profondo accompagnato da una mano alzata, non sembrava il presagio di una guerra apocalittica.

Lo vide guardarsi attorno, probabilmente con la speranza che nessuno lo riconoscesse –Che ci fai qui?- zampettò verso di lui dopo aver scansato la marmaglia, fermandosi a qualche scalino di distanza. Adesso che Diavolo era quel velo di imbarazzo che non le permetteva di essere la solita sfrontata? E perché anche lui sembrava a disagio? No, no, qui doveva ristabilire il muro dell’odio che sembrava essersi sgretolato, mettendoli ora davvero faccia a faccia.

Eppure, mentre lo vedeva portare le mani in tasca senza degnarla di una risposta, non riuscì a lanciargli contro parole cattive, almeno, non come le aveva ripetute dentro sé -Com’è andato il concerto?- vide le sue sopracciglia formare un arco perfetto e prima che potesse dare aria alla bocca, lo precedette –Ginko sa tutte le date dei vostri tour. Non fare domande, grazie.-

Lo sentì mormorare un velato –Inquietante…- seguito da un pacato –E’ andato bene- che pose fine a tutte le squallide domande di rito –E tu?-

Sbatté le palpebre –Io cosa?-

-Come va?-

Decisamente incredula, si ritrovò a boccheggiare un biascicato –Come al solito.- che lo fece annuire. Grazie al cielo, Top non sembrava uno di quei ragazzi che si addentrava in lunghe conversazioni se ad una banale domanda non gli si dava una risposta precisa. Così, ancora immersi nel loro silenzio bombardato dalla musica assordante del locale, Lindsay si chiese cosa Diavolo lo avesse spinto a raggiungerla fino a lì dopo almeno due settimane di non incontro. E cosa avesse spinto lei, avendolo scorto su per le scale, a raggiungerlo come se non avesse aspettato altro per tutto quel tempo. Perché così non era e andava specificato. A parte nei discorsi con la Fujii, intenzionata a quanto sembrava a farle comprendere come in realtà loro fossero anime gemelle, Lindsay non aveva perso più di dieci secondi pensando a lui. Semplicemente, era una persona come tante che avevano avuto l’onore di gravitare nella sua tediante vita. Non diverso, quello no.

-Da cosa saresti vestita?- la sua voce profonda la riportò coi piedi sul pavimento appiccicoso. Solo in quel momento si accorse di quanto davvero bassa fosse. Prima, concentrata com’era sul replicare ai suoi insulti, non aveva badato granché al timbro della sua voce. Scosse la nuca, scacciando i pensieri malsani.

-Piratessa hard di un vascello- sciorinò spiccia prendendo fra le dita ingioiellate la gonna a pieghe di pizzo blu scuro –Che sei venuto a fare?- sgarbata, lo stava ora scrutando con diffidenza. Oh, così andava meglio! E, quindi, come da copione lui avrebbe risposto nella stessa identica maniera, con la stessa identica irritazione che li avrebbe portati a mandarsi a quel paese. Per la prima volta voleva sentirsi rivolgere un bell’insulto da quel demente…

Beh, che aspetti?

Ma c’era qualcosa di diverso e l’insulto non arrivò mai. Arrivò il suo coreano talmente sussurrato da essere incomprensibile e il suo alzare le spalle che la lasciò interdetta. Ma che diavolo gli stava prendendo?! Fece per richiedergli, forse in maniera ancora più maleducata, perché mai fosse piombato lì imprevedibilmente, ma la sfiga era dalla sua quella notte…

Liiiin, ricorda la procedura!- belò un cameriere che passava di lì.

Si stropicciò il volto velato di imbarazzo al pensiero di ciò che stava per fare e, sotto il suo sguardo, agitò il gomito –Aaaar, corpo di mille balene! Cosa ti porta in questo inferno, marinaio?- si grattò la punta del naso e poi si massaggiò il mento mentre si guardava attorno alla ricerca di un buco in cui sotterrarsi. Perché quel demente del coreografo, oltre a farle vestire da sceme, le costringeva anche ad immedesimarsi nl ruolo della serata?!

E poi, imprevedibile come la sua venuta, ci fu la sua risata, anticipata dalle labbra tremolanti. E fu un suono nuovo, rauco, capace di farla rilassare come mai prima di allora davanti a lui. A Top che rideva di lei senza contegno, ma che non riuscì a farla indispettire come avrebbe voluto.

Quando ride, però, non è così brutto…

E si stupì dei propri fugaci pensieri. Storse il naso, irritata con il proprio inconscio che doveva essere ubriaco e posò le mani sui fianchi -Che ridi? Anche tu eri vestito da scemo nel vostro video.- borbottò seriamente offesa, ripensando al video di Fantastic Baby che, una sera, era passato sui teleschermi del Tribeca. Nh, e lei che si era sempre posta problemi per la sua inettitudine nel seguire le mode; Top le faceva concorrenza su quel fronte, battendola.

Lo vide inclinare il capo -Guardi i miei video?- c’era sorpresa nella sua voce baritonale e, ci scommetteva tutti quei miseri soldi nel portafogli, che quell’idiota avesse addirittura sgranato gli occhi da dietro gli occhiali da sole.

-Mio…- lo scimmiottò prima che un ghigno si delineasse sulle labbra carnose e color ciliegia -Credevo che vi chiamaste Big Bang, non Top e gli altri quattro.-

Lo vide abbozzare un sorriso prima di sventolare una mano, come se quella correzione fosse stata superflua. Fu incredibile vedere che, per la prima volta da quando si conoscevano, la sua ironia non sembrava essere la miccia per una delle loro solite liti. Perfino lui sembrava meno propenso all’incazzatura, meno bisbetico o permaloso. Più digeribile, ecco…  –Ciò non toglie che tu guardi i nostri video- portò le mani nelle tasche dei jeans –E sentiamo… Chi ti è sembrato il migliore?-

Questa volta fu il suo turno di sgranare gli occhi esageratamente truccati –Come, prego?-

-Chi ti è sembrato il—

-Ma che razza di domanda è?!- lo interruppe brusca, alzando le braccia al cielo prima di dargli le spalle e tornare al proprio lavoro. Forse era meglio quando litigavano, almeno non veniva tartassata di quesiti stupidi partoriti dalla sua demenza interstellare.

-E’ una domanda legittima!- diamine, la stava davvero seguendo per sentire la sua risposta?!

-No, non lo è. È una domanda stupida, se proprio vuoi saperlo!- lo guardò oltre la spalla, sperando che la calca lo costringesse a restare indietro. Ma, con sua somma sfortuna, le sua spalle larghe sembravano sortire l’effetto inverso visto che era ancora incollato alla sua gonna a pieghe.

-Un idol non può sapere cosa pensa una fan del loro video?- arcuò un sopracciglio a quella sparata che lasciava trapelare tutta la modestia incarnata in quel ragazzo che, ora, la scrutava dall’alto del suo metro e ottanta. Non aveva mai fatto caso al fatto che fosse un bonsai al suo confronto e nemmeno i tacchi degli stivali neri sembravano farla apparire più alta di quanto non fosse. E fu decisamente sollevante riuscire a pulire un tavolo senza che qualche ape assassina puntasse al suo didietro per forza di cose in bella vista; a quanto sembrava, la sua mole sembrava fungere bene da antiparassitario. Avrebbe dovuto assumerlo come spaventapasseri… -E ora che hai da ridere?- domandò scorbutico, piegando il volto.

Lin si coprì le labbra maledicendosi per la propria stupidità, poi tornò a fare i conti con lui e le sue stupide domande –Io non sono una vostra fan!- puntualizzò con decisione, vedendolo arricciare le labbra in disappunto.

-Non lo sei?-

-Certo che no!-

-Ma hai visto i nostri video.-

-Per caso, non per farmi una cultura su di voi- lo spostò con un gesto secco e andò dall’altra parte del tavolo, continuando a pulire –Beh, sei ancora qui?- già, ma che ci faceva lì, poi? Non aveva risposto alla sua domanda, dribblando agilmente il discorso sul suo vestito da bagascia. Ciò non toglieva che la sua presenza lì continuava ad essere assurda per non dire inimmaginabile. E oltretutto… Perché proprio lui? Insomma, avrebbe anche potuto far finta di comprendere le motivazioni che avrebbero spinto Ri o Dae o anche Tae a raggiungerla fino al Tribeca visto che l’avevano sempre trattata con gentilezza; nel mucchio avrebbe potuto buttarci anche GD, ma quello aveva il brutto vizio di studiarla manco fosse un topolino da laboratorio, quindi la sua assenza era cosa ben gradita. Quindi… Perché proprio lui? Che fosse una trappola e lei ci stesse cascando con la benda e gli stivali?

Ma il ragazzo, ancora una volta, si premurò di riportarla alla realtà, questa volta ritornando il solito cretino che tanto aveva imparato a conoscere -Paura di rispondere?- un ghignò deformò le sue labbra e Lindsay, punta sul vivo, si ritrovò a storcere il naso.

E Lin, che non era esattamente una cretina in fatto di ragazzi, aveva riconosciuto quell’atteggiamento da pavone gongolante che prendeva alla sprovvista tutti i maschietti che, per motivi ignoti o anche solo per frasi mal interpretate, si ritrovavano a gonfiare il petto sotto l’influsso del loro ego risvegliatosi dopo essere stato stuzzicato. La sua era una smania di sapere invogliata solo e unicamente dal proprio ego. A lui non importava certo cosa pensasse davvero del video o chi di loro fosse veramente il migliore ai suoi occhi. Era solo la sua vanità a parlare…

-Cosa?- arcuò un sopracciglio.

-Hai paura di ammettere la verità?- si passò una mano sul cappello e Lindsay, sentendo rinnovare il desiderio di pungolarlo per il semplice piacere di vederlo girare i tacchi con l’umore sotto la suola delle sue scarpe da ginnastica, si ritrovò a pensare davvero a chi dei cinque fosse il migliore. E quando la sua mente gli giocò il brutto scherzo di urlarle che sì, Seung-Hyun era decisamente quello più sensuale tra loro, si ritrovò a fare i conti con la propria incertezza, il nodo alla gola che bloccava ogni briciolo di ironia rimastale in corpo e la completa sensazione di star perdendo il controllo dei propri pensieri…

Così, senza pensarci, esalò un placido -SeungRi.- che fece nuovamente calare il silenzio tra loro. E fu uno spettacolo vederlo abbassare gli occhiali da sole per palesare la propria incredulità, le labbra spalancate e l’espressione da playboy mancato che veniva appena rifiutato dalla biondina di turno. E lei, abbassando il capo, tornando a pulire, ghignò.

-Come il maknae?!-

Alzò la nuca, i capelli mossi a coprirle il volto -Il macche?-

-Lascia perdere… Come fai a trovare lui più bello?-

-Non ho detto che lo trovo più bello, dico solo che sembra il migliore- alzò le spalle, poi ghignò –Pensavi che la mia scelta saresti stato tu?- e si sarebbe aspettata di tutto, davvero. Un medio alzato, un vaffanculo a mezza voce seguito da altre gentili imprecazioni, il suo andarsene gridando quanto avesse bisogno di uno psichiatra. Ma ancora una volta, ebbe il potere di stupirla. Perché incassò il colpo con ambiguo silenzio, guardandosi attorno alla ricerca di una via di fuga. E Lin si sentì in dovere di far cessare quell’assurdo siparietto che li stava mettendo alla berlina –Tu sembravi Napoleone Bonaparte, non ti avrei mai scelto!- aggiunse apatica vedendolo agitare le mani.

-Ma non è vero!-

-O uno dei fantasmi che vivono nei quadri di Hogwarts, è uguale.-

-Vuoi smetterla con le stronzate?- lo vide roteare gli occhi. 

-Se hai cominciato tu?- borbottò acida, guardandosi attorno prima di mormorare uno scalpitante –Senti, ho molto da fare. Hai bisogno di qualcosa?-

Sbuffando, fece scivolare sulla superficie appiccicosa alcune banconote senza degnarla di una spiegazione. Sembravano due Yakuza che stavano per concludere un affare importante.

Li osservò a lungo prima di scrutarlo -Che me ne faccio?-

Sventolò una mano -Sei uno strazio! Non puoi prenderli e dire grazie?-

Li sventolò –Ma io non li voglio! Non so nemmeno per cosa sono!-

-Che pedante che sei, Lindsay!- Lindsay?! –Sono per la giacca, contenta?!- LINDSAY?!

Scosse la nuca, scacciando la sensazione di piacevolezza che aveva provato nel sentire il proprio nome pronunciato da quella voce così profonda, poi ripose i soldi sul tavolo, spingendoli verso di lui che, probabilmente, non se ne sarebbe andato fino alla sua resa –Non l’ho fatto per i soldi.-

-E allora perché?- la domanda era stata scagliata con spossatezza, come se dalla risposta che ne sarebbe conseguita, tutti i suoi scossoni interiori sarebbero potuti cessare.

E per la prima volta da che si trovava con lui, avvertì l’impellente bisogno di prendere una boccata d’aria, di non averci nulla a che fare e soprattutto, di non dover rispondere alle sue logiche domande. Perché sapeva che quella domanda andava vista con maggiore profondità e che non si riferiva alla semplice giacca, bensì a tutto ciò che aveva contornato quel gesto. E lei aveva paura a mostrarsi così umana… Non era una sprovveduta e non era nemmeno un’ingenua. Qualcosa dopo la lite era cambiato e, per quanto si sforzasse di non pensarci, dovette ammettere a sé stessa che non litigare con Top non era poi così male -Non c’è un perché- si massaggiò il collo, lasciando poi scivolare la mano fra i lunghi capelli corvini resi ancora più ricci per l’occasione –Ho sbagliato e ho rimediato, no? Non l’ho fatto per te- mormorò alla fine, avvertendo il suo sguardo perforante su di sé. Già, lo aveva fatto solo per zittire il proprio senso di colpa, solo per far tacere quel maledetto coreano che continuava a ripeterle quanto stronza fosse, solo per quello… Perché, allora, quel pensiero strideva così tanto con i suoi gesti fin troppo dolci? –Ma grazie comunque.-

E lo vide allargare gli occhi scuri, come se ancora una volta non si aspettasse quell’atto di garbatezza, perché dopo aver annuito e avvicinatole nuovamente i soldi, le diede le spalle, alzando una mano e regalandole un deciso –Prego.- che troncò lì quella loro assurda conversazione. E l’aria tornò respirabile per quanto l’odore di alcool misto a sudore le continuasse a dare il voltastomaco. Top aveva lasciato dietro di sé una montagna di interrogativi a cui lei non riusciva a dare risposta e la sensazione che qualcosa di ancora peggio dei libri che volavano in testa potesse arrivare. Ma più si sforzava, più la testa doleva. Cosa poteva esserci di peggiore dell’odio che, a quanto pareva, si stava dissipando?

E purtuttavia attraversata da tutto quel miscuglio di emozioni che stavano facendo crollare la barriere faticosamente risollevate, si ritrovò a raccogliere le banconote con infinita lentezza, lasciando che un sorriso spontaneo spuntasse sul volto ora più rilassato.

-A proposito- alzò lo sguardo confuso, trovando davanti a sé un Seung-Hyun rivestito di incertezza –La prossima volta metti meno curry nel riso, altrimenti non riuscirò a mangiarlo.- trovando davanti a sé uno spiraglio di miglioramento. Annuì, vedendolo andare via mentre un sorriso appena accennato e incontrollabile prendeva il sopravvento sulle labbra incurvate verso il basso.

 

Qualcosa era cambiato, non poteva più negare l’evidenza...


 

Dopotutto, non è così male...


 

E a Lin non dispiaceva, proprio no.

 

 


 

A Vip’s corner:

Che capitolo sudato e OhMioDioMaQuantoDannazioneE’Lungo?! D: Scusate, le vacanze mi fanno male, ho talmente tanto tempo libero che scrivo senza nemmeno rendermene conto -.- Piccolo appuntino: credo che questo titolo (preso da un film, non è opera mia xD) sarà l’unico italiano. Perché? Beh, perché è palese, qualcosa è cambiato e credo che sia stato ampliamente mostrato xD

Capitolo pieno di pensieri, niente di avvincente xD Mi spiace, ma devo prima assestare le cose, poi si parlerà di coccolosità –si, voglio arrivare alle parti coccolose U.U- perché non temete, ce ne sarà tanta… Va beh, il giusto :3 Vediamolo come un capitolo di imbuto, che è necessario. Quei due dovevano incontrarsi ma per farlo, ci è servito la spinta dei nostri adorati Big Bang. E perdonatemi se i pensieri dei due riguardo il loro rapporto sono confusi ma, beh, loro stessi loro sono in primis quindi credo sia normale qualche contraddizione o più semplicemente che qualcosa non venga colto subito. Ma, beh, le cose vanno migliorando ed è un bene, no? Inoltre, la parte tra GD e Top è moooolto importante per quanto corta. Perché? Beh, rileggete le parole di Top nei riguardi del nostro amato e tutto vi sarà chiaro ♥

Infine, nell’attesa che mi lanciate i pomodori per l’orrido capitolo, voglio condividere con voi il mio immenso genio: giusto per dare un minimo di veridicità alla storia, mi sono informata sulle date dei tour (io ho seri problemi a ricordarmi le date e credo che quelle trovate siano pure cannate, ma va beh) e quella di Singapore è fissata per il 28 settembre. Così, da brava intellettualoide, sono andata a cercare su Youtube il concerto, giusto per vedere com’erano vestiti o che taglio di capelli avessero, arrabbiandomi perché ancora non c’era alcun video! E poi, l’illuminazione… Siamo solo al 17 di agosto -.- Sì, ora potete darmi dell’idiota xD

Passerei ai ringraziamenti, visto che vi ho tediato già abbastanza ;) : a luna_09, hottina, MionGD, lil_monkey, Fran Hatake, YB_Moon, Myuzu, Yuna_and_Tidus e xxarkha va il mio amore smisurato per aver lasciato tanti commenti assolutamente da lasciarmi così *O* Senza di voi la mia creatività ne risentirebbe, sappiatelo U.U Se passaste ancora di qui lanciatemi pure tutti gli oggetti contundenti che volete :’D Ringrazio anche chi ha aggiunto Something fra le seguite/preferite e chi legge ma resta in silenzio. Thank you all!!! ♥

Alla prossima (si spera con un capitolo migliore),

HeavenIsInYourEyes.

 

P.S. La canzone che piace a Lin è Blue (Capitan Ovvio MODE:ON), e lo stralcio di canzone riportato è in inglese perché il Romanized Korean mi sapeva tanto di fuffa ò_ò Mi dava l’idea di portoghese… Va beh, in inglese è bella lo stesso ♥


 

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Capitolo 9
*** Erase and Rewind ***


Capitolo 9

Erase and Rewind

 

Yellow diamonds in the light

And we're standing side by side

As your shadow crosses mine

We found love in a hopeless place”

-We found love -Rihanna-

 


 

 

-No, aspetta- Ginko puntellò l’indice sulla fronte, l’espressione tirata e contratta di chi sta davvero pensando a qualcosa di assolutamente geniale. E la Fujii, pur nella sua totale incapacità di comprendere il genere maschile, si era ritrova a trovare palese che qualcosa in ciò che le era appena stato confidato non andasse –Ho capito bene?-

Lin lasciò perdere la vetrina davanti a sé -Il mio coreano fa così schifo?- domandò sarcastica, arcuando un sopracciglio.

Ginko sbuffò di fronte all’ironia della ragazza, ma non riuscì a prendersela a male. Aveva ormai compreso come l’americana tentasse di nascondere tutto ciò che pensava o provava dietro la sferzante ironia che, all’inizio, le aveva dato sui nervi –Sono solo stupita, tutto qua!- agitò le mani mentre Lin, scettica, tornava a camminare fra la calca.

Ginko sospirò sognante mentre l’affiancava in quella giornata all’insegna dello shopping, stringendo il sacchetto con alcuni abitini scontati appena comprati –Ah, i sintomi dell’amore. È bello vedere che non cambiano mai!- cinguettò guardando il cielo, lasciando che l’ennesimo sospiro si spargesse nell’aria satura di gas di scarico.

E Lin, massaggiandosi una tempia, borbottò -Oddio, mi ha solo chiamata per nome!- che la fece apparire seriamente seccata per quella sua intromissione o psicanalisi degli avvenimenti; comunque, ciò non toglieva che le cose andavano portate a galla, altrimenti quei due beoti avrebbero continuato a sguazzare in quella situazione statica che non li avrebbe portati da nessuna parte. E lei fangherlizzava per la coppia TopxLindsay, ormai era più forte di lei.

-Non si chiama per nome qualcuno che si odia!-

-Tu hai letto troppi Harmony- le rinfacciò con disgusto. Ginko storse il naso; effettivamente la sua libreria era piena di quella paccottiglia, ma solo perché sua sorella si ostinava a regalargliene ogni santissimo compleanno. E lei li aveva sfogliati una volta sola, sia ben chiaro –Comunque, davvero, non vedo cosa ci trovi di così eclatante in tutto ciò.-

E Ginko, a quell’affermazione sbottata, aveva spalancato gli occhi scuri dietro le enormi lenti squadrate e aveva cominciato ad agitare le mani, quasi si stesse trattenendo a fatica dal rivolgerle una risposta ben dettagliata. Perché forse Lindsay era cieca o incapace di cogliere i segnali che l’amore stava lanciando e l’americana, nelle vesti di una Pollicina un po’ troppo superficiale, non sembrava intenzionata a raccoglierli; ma Ginko aveva l’occhio lungo per queste cose e avrebbe voluto starnazzare tutto il proprio disappunto per la sua continua mancanza di riflessione su tutte le belle cose che le stavano capitando quando Top era ad un tiro di schioppo da lei. Come il suo essersi precipitato al Tribeca solo per darle i soldi della lavanderia, il suo essersi fermato un po’ più a lungo a sostenere una conversazione sciocca senza degenerare nella loro solita futile lite. Come il suo pronunciare il suo nome quando, tempo addietro, si sarebbe limitato ad un supponente cretina o idiota.

E nella sua visione rosea delle cose, non era dannatamente bello vedere che le situazioni apparentemente inguaribili, perfino quelle peggiori che ti spingono a vedere tutto nero e buio, potevano trasformarsi in qualcosa di assolutamente piacevole? Ma vedendo il profilo delicato di Lindsay, il suo volto cosparso di noia e impassibilità tangibile, si disse che forse lei e la ragazza avevano due visioni completamente differenti dell’amore e di tutte le sue sfumature.

Tenne però tutti quei pensieri per sé, decisa a sbandierargli in faccia in un secondo momento, quando anche lei sarebbe stata pronta ad accogliere l’amore a braccia spalancate. Così, lasciando che il vento carezzasse i suoi capelli rossi lunghi fino alle spalle, esalò un incerto -Ma quindi… Ecco, cioè, quindi ti piace Seung-Hyun.- che fece irrigidire la straniera ora trattenutasi dall’imprecare in pubblico.

-Non mi piace Seung-Hyun- Lin buttò la testa all’indietro, esasperata –Per la ventesima volta.-

Ginko, al suo fianco, dopo aver scansato un paio di bambini che avevano rischiato di infrangersi contro le sue gambe, la squadrò con reticenza –Ma hai detto che lo trovi carino!- e nella fantavolosa mente della Fujii, quello era già un sintomo dell’amore incipiente che avrebbe, presto, preso pieno possesso di tutte le emozioni scombussolate dell’americana. E voi direte che in tutto ciò non c’era niente di grandioso, no? Perché carino poteva anche essere il cane del vicino, quel ragazzo dall’aspetto un po’ banale che ti faceva il filo mentre pulivi i bicchieri al bancone o quell’abito esposto in vetrina nella stagione dei saldi… Ma il fatto che Lindsay Moore, l’asociale Lin che aveva sempre glissato sull’argomento con espressione disgustata, aveva ammesso di trovare carino il ragazzo che fino a qualche tempo prima riteneva odioso e orrendo, era un episodio degno di nota, il classico avvenimento più unico che raro. Quindi sì, per Ginko quell’affermazione era più una di una semplice esternazione a cuore aperto. Nascondeva qualcosa e lei, ottimo Cupido della situazione, avrebbe scavato a fondo fino a trovare la verità.

Lin la fissò accigliata –Ho solo detto che è stato gentile.-

-Ma hai detto che quando sorride non è brutto!-

La vide schiudere le labbra mentre gli occhi si assottigliavano –Lasciamo perdere.- borbottò amareggiata, mettendo le mani in tasca e sfrecciando sul marciapiede con fin troppa velocità, rischiando di lasciarla indietro. Era sempre uno spettacolo vedere Lindsay chiudersi a riccio quando si trattavano argomenti che andavano troppo sul personale e, soprattutto, che richiedevano una capacità di analisi che non poteva limitarsi a quattro parole biascicate in croce.

Per fortuna che la Fujii era una personcina paziente e disposta a sopportare i suoi mutismi cronici –Quindi adesso che hai intenzione di fare?-

-Assolutamente niente- biascicò apatica, massaggiandosi la testa coperta dal cappellino di lana con le orecchiette –Non penso che abbiamo altri debiti in sospeso.-

-Debiti… Cosa siete, due Yakuza?!- gracchiò, indispettita da quell’atteggiamento indifferente. Ah, qui urgeva una lezione di dolcezza, visto che Lindsay sembrava esserne priva. Nh, che poi, anche qui, si ritrovò a constatare che Lin sapeva essere dolce quando voleva e sempre a modo proprio. La verità era che più di una volta si era ritrovata ad avere a che fare con la sua bontà apparentemente nascosta ed era stra convinta che, se solo si fosse esposta un po’ di più, a quest’ora un mucchio di gente avrebbe voluto avere a che fare con lei –E se dovessi rincontrarlo?-

Udì il suo sbuffo pesante ma nonostante l’irritazione, Lindsay continuava a darle corda –Lo saluterò, contenta?- ed ecco che Lin, brandì le sue armi migliori: il sarcasmo e il silenzio. Perché dopo quella risposta acida e che non invogliava alla conversazione, si era nuovamente rinchiusa a riccio, evitando accuratamente di reggere il suo sguardo inquisitore.

E Ginko, pur nella sua enorme bontà, pur nella sua perenne positività, si ritrovò a tirare un lunghissimo sospiro di rassegnazione. Se Lindsay si ostinava a mantenere quell’atteggiamento schivo e assolutamente detestabile, come avrebbero potuto sistemarsi le cose tra loro? Anzi, come avrebbero addirittura potuto iniziare? Perché questo non era una cosa di poco conto, proprio no: quei due non avevano ancora superato la linea del via, erano ancora fermi alle pedane e se nessuno dei due decideva a dare lo sprint iniziale, probabilmente sarebbero rimasti a vorticare in quella situazione di stallo senza uscirne più. E questo, più di tutto, la metteva in allarme: perché Lindsay era stata molto enigmatica nel rivelarle molte cose e mai si era esposta più del necessario; altresì, di Top non sapeva proprio nulla visto che non aveva mai avuto l’onore di parlarci. E i dubbi l’assalirono… E se avesse sbagliato diagnosi? Se davvero quei due non fossero fatti l’uno per l’altra? Ma poi la guardò, a lungo, e si disse che ciò non poteva essere nemmeno pensabile. Perché due persone che riescono a valicare il muro dell’odio senza alcun bisogno di aiuti esterni, forse erano davvero fatti per stare assieme, no?

E qui, il dubbio per eccellenza: Lindsay Moore, la misteriosa ragazza americana che non aveva mai spifferato nulla della propria vita, aveva voglia di imbastire una relazione con qualcuno? Che non doveva essere necessariamente una star famosa, poteva anche essere il lattaio o il benzinaio. Così, dopo aver goduto di quel silenzio che le aveva attorniate, Ginko tornò ad interessarsi della sua vita sentimentale -Hai avuto tanti ragazzi prima di Seung-Hyun?- di fronte al suo sguardo corrosivo, sventolò una mano –Scherzavo, scherzavo!- nh, di certo, quelle non erano le parole migliori per aiutarla ad uscire dal suo guscio di diffidenza, convenne con la propria brillante mente. Ma anche i geni ogni tanto commettevano qualche strafalcione, no?

-Cosa intendi per ragazzi?-

Corrugò la fronte –Fidanzati! Che altro?-

Lin parve pensarci su mentre guardava il cielo scarsamente illuminato –Ragazzi: tanti. Fidanzati: nemmeno uno.-

Ginko per poco non rovinò nei suoi stessi piedi. Ma che risposta è?! Perché si ostinava ad essere così telegrafica? Insomma, avrebbe potuto districarsi un po’ di più in quegli interessantissimi discorsi, no?! No, no, lei si limitava a replicare a monosillabi, sfruttando il gran dono della sintesi che qualche buon Dio le aveva gentilmente donatogli. Ammise a sé stessa che chiacchierare con l’amica era decisamente sfiancante, a volte.

Si massaggiò il mento -E quanto duravano?-

Alzò le spalle –A volte anche una sola notte- a quella risposta detta con tanta naturalezza, allargò gli occhi scuri dalla sorpresa. Perché Ginko era sempre stata convinta che le relazioni di una notte e via fossero ciò che di più squallido potesse esistere, quelle cose che corrodevano l’orgoglio prettamente femminile che le spingeva a rendersi meno vulnerabili di quanto in realtà non fossero. E invece, gente come Lin sembrava fregarsene o più semplicemente, godere di quei piaceri che, se non avevano almeno una durata nel tempo, lei scartava a priori –Beh, cos’è quella faccia?- sgarbata, storse il naso prima di mugugnare qualcosa in inglese. Ma Ginko non vi badò, troppo concentrata a far sì che il proprio volto riacquistasse un po’ di rilassatezza.

Non l’avrei mai detto…

E in quel momento, vedendola camminare con assoluta svagatezza, si rese conto di quanto fossero completamente diverse lei e Lindsay:  lei vagava negli intricati labirinti dell’amore alla disperata ricerca di una storia che potesse fornirle quel senso di completezza che, purtroppo, ancora le mancava; perché aveva un lavoro, una famiglia adorabile e a breve si sarebbe laureata per diventare infermiera. Eppure, sentiva che qualcosa non era a posto e nel tassello dei suoi sentimenti mancava giustappunto quello che, a suo dire, era forse più importante, l’enorme rotella che permetteva al Mondo di girare e alle persone di sopravvivere. Ginko aveva avuto la costante quanto logorante sensazione che qualcosa mancasse, che ciò che aveva non fosse tutto, ecco. Mancava un uomo che potesse rendere un po’ più bello ciò che aveva, qualcuno capace di camminare fianco a fianco con lei in quella tortuosa strada che era la vita. Aiutandola, magari.

Lindsay, d’altro canto, sembrava viaggiare su binari completamente diversi dai suoi. Sfuggevole nei rapporti con i ragazzi, incurante di potersi ritrovare a trascorrere la propria esistenza senza qualcuno affianco, come se bastassero le sue forze per poter procedere e mantenere la retta via, come se fosse spaventata all’idea di doversi appoggiare a qualcuno. Come se l’amore, in tutte le sue forme e sfumature, le facesse paura.

E a quella rivelazione, i suoi occhi scuri si scontrarono con l’espressione mortalmente seria di Lin –Quindi non ti sei mai innamorata?- che si sistemò meglio nella giacca a vento, grattandosi la punta del naso mentre mordeva l’interno delle guance. Il disagio era palpabile ma Ginko non avrebbe desistito, non quella volta. C’era troppo da conoscere, troppo da sapere e sentiva che se avesse dichiarato la resa, Lindsay non avrebbe più permesso un’intromissione di quel genere nel proprio cuore.

Eppure, per quanto fosse visibilmente contraria a quelle domande personali, la ragazza continuava a concederle delle risposte. Brevi, certo, ma era pur sempre un non tirarsi indietro in quelli che, molto probabilmente, per lei erano discorsi scomodi da evitare –No, non credo.-

-Come non credi?!- sconvolta, la fissò.

-Ma che ne so se ero innamorata oppure no?!- scattò l’altra aprendo le braccia, rischiando di dare una manata ad un anziano che passava di là.

-Beh, ma si capisce!-

-Oh, e sentiamo, da cosa?-

-Ma da tutto, da tutto!- agitò le mani, coinvolta con tutte le sue zeppe nel discorso –Il cuore che batte fortissimo, il fiato che ti manca in gola e nonostante tu provi a respirare e non ci riesci ti dici che morire lì non è male, perché un suo sorriso vale più di mille baci o abbracci, più di una vita assieme. E le vertigini, il tuo gironzolare per casa per prepararti chiedendoti se preferisce che i tuoi capelli siano sciolti o legati, il tuo sentirti adeguata con te stessa e gli altri solo se lui è con te- prese fiato, vedendo il suo volto pensoso, velato di incertezza. Poi la sentì ridacchiare. Una risatina leggera, ma non derisoria. Perché Lindsay non la prendeva in giro, mai. Rispettava sempre le sue opinioni e se era in disaccordo, rispondeva con la sua solita faccia da schiaffi. Ma mai con cattiveria –Io, sì, io credo che l’amore sia che tu ti fai tutte queste domande e ti fai sommergere da tutti questi problemi, poi lui ti bacia e ti dice di non preoccuparti, perché c’è lui con te anche se solo per cinque minuti e, beh, tutte queste domande scompaiono.-

Lin annuì, probabilmente soppesando la sua frase farfugliata ma in cui aveva messo tutta la sincerità che possedesse. Perché Ginko credeva che l’amore fosse dietro ogni angolo e non bisognava per forza restare assieme a lungo per comprendere che l’amore aveva bussato alla tua porta. Poteva anche durare un battito di ciglia, ma se i problemi scomparivano dalla faccia della terra solo con un suo sguardo, beh, non era forse amore quello?

La vicinanza di Lindsay le stava mettendo più dubbi che certezza e mentre ponderava su tutto questo, arrivò la sua voce seria seria, come se davvero avesse ragionato su ciò che le era stato appena blaterato contro -Io credo che sia vero amore quando cancelli tutti i numeri dei tuoi ex dalla rubrica del cellulare, quando ti stai frequentando con uno- fu un frase lunga e articolata che la lasciò interdetta, soprattutto perché era una visione delle cose davvero assurda. Doveva essersela passata male con i ragazzi, di questo ne era convinta! La vide grattarsi la nuca –Io ho ancora il numero della mia prima volta salvato sotto il nome Stronzo.-

A quel punto, si lasciò andare ad una risata cristallina, di quelle che gettava fuori di gusto, che non poteva trattenere dentro sé. Lin abbozzò un sorriso, senza prenderla a male per la sua euforia momentanea scaturita da quella sua bislacca perla. Ginko posò una mano sulla stomaco e dall’alto della propria bassezza, le rivolse un sorriso colmo di dolcezza –Mia madre dice sempre che l’amore è il motore di tutto.-

-Che scemenza!- impulsiva come suo solito, borbottò quella frase senza curarsi delle conseguenze. La sentì imprecare, ma Ginko non vi badò.

Sai? La vita è già brutta di suo. Senza l’amore, sarebbe ancora peggio, no?- mani in tasca, aveva alzato le spalle e per la prima volta, vide sgusciare negli occhi nocciola ora larghi di Lin un vago senso di colpa, come se si fosse resa conto solo allora della sua continua sgarbatezza.

La sentì mugugnare qualcosa, poi ci fu uno sbuffo pesante e infine, una delle confessioni che le concedeva di rado ma che sapevano sempre stupirla –Credo che l’amore non sia il mio forte. O ci sei portato o non ci sei portato.-

Ginko scosse la nuca –Tutti sono portati per amare!-

-Forse, quelli come te- borbottò sincera, alzando le spalle mentre tornava a spintonare i passanti pur di farsi largo nella calca. Ginko arricciò le labbra. Cosa voleva dire con quelle come lei? Era vero, a volte era un po’ troppo ingenua e si lasciava andare a fantasticherie romantiche quando si ritrovava a che fare con i ragazzi. Ma, beh, non era sempre meglio questa sua visione sognante delle cose che vivere con cinismo di fronte alle bellezze che la vita donava loro? Incassò il colpo in silenzio, stringendosi nel cappotto a scacchi bianchi e neri, restando in silenzio. Avvertì le dita affusolate di Lin sulla spalla, poi la sua espressione tirata -Scusami- bofonchiò aggiustandosi il cappellino di lana, volgendo il viso imporporato da un’altra parte prima che un sorriso sincero sbocciasse su quelle labbra carnose perennemente incurvate –Credo di dover ancora lavorare molto sulla mia gentilezza.-

Ginko scoppiò a ridere e senza preoccupazione alcuna, si aggrappò alle sue spalle con un abbraccio, continuando a camminare per le caotiche vie notturne di Seoul incurante degli sguardi allucinati dei passanti. Neppure Lindsay sembrò far caso alle occhiate, così come non le parve seccata per quel gesto fin troppo intimo o zuccheroso. Decisamente, aveva fatto passi da giganti –Tranquilla- la lasciò andare –Stai andando alla grande!-

 

*****

 

Sdraiato sul letto, sfruttando l’assenza pedante di quell’esagitato di un maknae, GD fissava il soffitto con aria assorta; sul petto che si alzava e abbassava ritmicamente e con regolarità, il quaderno degli appunti su cui era solito annotare tutte le frasi che gli balzavano alla mente e che, la maggior parte delle volte, componevano verso che andavano inseriti in qualche canzone.

Ma l’ispirazione faticosamente riguadagnata gli era sfuggita dalle dita sottili, come le farfalle che da piccolo non era mai riuscito a catturare e non provò nemmeno ad inseguirla, troppo adirato con ciò che stava oltre la porta della propria camera per poter anche solo buttare giù qualche riga…

-Oi, ti ho detto di no. Non insistere Ri!-

 

Anzi, sarebbe stato più corretto dire chi stava oltre quella porta. Perché la voce baritonale di Seung-Hyun aveva fatto tendere i suoi nervi come corde di violino e più avvertiva la sua essenza a pochi metri dalla propria, più il desiderio di fuggire lontano si impossessava di lui.

-Che strazio.- lasciò scivolare la penna sulle lenzuola blu, stropicciandosi il volto quando si rese conto che nessuna frase, a parte un mucchio di parolacce, sembrava voler uscire dal cilindro della sua mente creativa. E tutto per colpa di quel maledetto Hyung che per una volta aveva deciso di ribellarsi al burattinaio, vomitandogli contro parole che avrebbe fatto meglio a tenere per sé, parole che a lungo avevano taciuto, tirando in ballo argomenti che avevano deciso tacitamente di seppellire in un’enorme buca chiusa con cemento armato. Perché per la prima volta da che aveva cominciato a disputare le gare psicologiche con Top, si era ritrovato a venire lui stesso messo sotto microscopio e preso in contropiede, si era dimostrato più vulnerabile di quanto avrebbe voluto essere. La rabbia che corrodeva i suoi lineamenti sottili, la sua incapacità di replicare con vaghezza e ambiguità, la sua inettitudine nel farlo desistere dal dire ciò che pensava e, soprattutto, dal fargli tirare fuori certi delicati argomenti che non voleva rivisitare, erano tutte cose che aveva imparato a nascondere dietro una spessa facciata di cinismo e menefreghismo che, in un battito di ciglia, si era dissolto come neve al sole.

E questo non andava bene, affatto.

 

- Come si cambia, eh?-

-Non credo di essere cambiato poi molto dall’anno scorso…-

-Non dire cazzate!-

-Oh, e sentiamo… Da quando sarei cambiato?-

-Lo sai benissimo, Ji Yong.-

 

Scacciò i pensieri scomodi con una mano, imprecando a mezza voce.

Gliene dava atto, le cose non erano più come un tempo. I momenti delle risate, dei divertimenti da bambini o da adolescenti che non capiscono come girano le cose fuori dalla loro campana di vetro erano ormai terminati. E tutto perché, spinto dalla cieca fiducia che riponeva nel prossimo, aveva detto senza badare alle conseguenze. E lui, anzi, loro, la sua famiglia, tutte le persone che avevano giurato di stargli accanto ma che alla fine lo avevano abbandonato senza motivi apparenti, dopo gli sguardi colmi di risentimento, dopo le parole al vento appena sussurrate per non scalfirlo ma che in realtà si erano annidate fin sotto pelle, dopo tutti i gesti vuoti o le accuse, credevano ancora che avrebbe accolto le gioie della vita con un bel sorriso sul volto?

Beh, si sbagliavano di grosso. Non c’era nulla che non andasse in lui, erano loro che non volevano abbracciare il suo punto di vista nato dall’ovvietà delle cose. Semplicemente, era cresciuto. Semplicemente, aveva smesso di fidarsi degli altri. In fondo, che male c’era nel comprendere che un’esistenza di solitudine era più beatificante del trascorrere la vita intera con gente falsa ed ipocrita?

Il Toc Toc leggero della porta lo distrasse e senza nemmeno guardare la superficie di legno, biascicò un avanti intriso di noia, sperando che il disturbatore sloggiasse. Ma la porta cigolò, con suo sommo dispiacere… -GD, puoi venire di là un secondo? Non lo reggiamo più.- Tae si era affacciato con espressione mortalmente sciupata, apparendo un fantasma in procinto di ammazzarsi una seconda volta, se solo ne avesse avuto l’occasione. E udendo gli starnazzi del maknae provenienti dalla cucina, comprese che la fonte della stanchezza dell’amico doveva essere proprio quella rana saltellante e dalla bocca larga.

Si puntellò sui gomiti, facendogli un cenno col capo –Che succede? Gli avete mangiato ancora il budino con il suo nome sulla confezione?- sì, Ri aveva il brutto vizio di apporre il proprio nome su tutto ciò che gli apparteneva. E lui, per fargli comprendere come in una comunità bisognasse sempre essere pronti a condividere e donare al prossimo, si era premurato di finirgli tutte le scatolette di budino al cioccolato che aveva comprato con i propri risparmi. Ah, che libidine la sua espressione affranta e i lamenti che risuonarono come musica per le sue orecchie. Quasi quasi scoppiava a ridere se solo ripensava ai lacrimoni che gli avevano inumidito gli occhietti!

-A parte che sei stato tu- sottolineò con fastidio, scuotendo poi la nuca –Comunque no, c’entra la festa di stasera.-

Si grattò la fronte con le nocche –Che problema c’è?-

-Ri vorrebbe andare alla festa, sai, quella a cui siamo stati invitati da quell’agenzia di modelli per cui abbiamo posato tempo fa- annuì, ricordando vagamente, anche se l’unica cosa che fiorì fra i suoi pensieri fu una splendida maggiorata che gli faceva scivolare il numero di telefono nella tasca dei pantaloni prima di scoccargli un bacio sulla guancia –Ma Top non vuole.-

Si rabbuiò nell’accorgersi che i propri coinquilini si lasciavano affliggere da problemi stupidi e che non avrebbe nemmeno necessitato di un dispendio di energie così elevato, ma tralasciò il proprio fastidio e rivolse la fatidica domanda –Perché?- senza nemmeno ponderare sulla risposta che avrebbe potuto ricevere. Perché Seung-Hyun era di una prevedibilità disarmante e, sicuramente, la sua scusa sarebbe stata un rauco Sono stanco!, seguito dal gettonatissimo Eh, ma che palle! Domani dobbiamo svegliarci presto!, che sarebbe stato accolto con un’alzata di spalle e la lagna del piccolo di casa.

Tae guardò dietro di sé, quasi volesse accertarsi che lo Hyung incazzoso non fosse nei paraggi, poi abbassò la voce –Una parola: Tribeca.-

E la noia si dissolse.

Svanì, completamente. Lasciando spazio ad una gioia smisurata, ad un calore che fece battere di nuovo il suo cuore raggrinzito e che cominciò a dolere perché troppo piccolo per contenere tutta quella bellezza. Un ghignò gli deformò le labbra dapprima incurvate  perfino Tae corrugò la fronte nel vedere quel cambio repentino di atteggiamento. Ma GD non se ne preoccupò e, anzi, spostando il quaderno, si preparò a lasciarsi immergere nel siparietto che come location aveva la cucina di casa. Nella mente, un’unica operazione matematica e che gli faceva scorrere i brividi di piacere se solo ci pensava: Tribeca = Lindsay Moore.  Un’equazione talmente tanto banale da rifocillarlo, sul serio! Così, investito da tutta quella festosità, portò i piedi a terra e zampettò con Tae sul palcoscenico dove si stavano esibendo un Dae stremato e che tracannava acqua senza sosta e Top che, a braccia conserte, fissava un Ri indispettito seduto sulla sedia.

Ah, quale delizia per i suoi occhi stanchi e che vedevano solo grigio! Perché le loro espressioni stanche erano puro giubilo in quel pomeriggio di pensieri pedanti e che andavano estirpati da ogni fibra del proprio essere. E finalmente, tornò a vedere i colori che la breve chiacchierata con Top aveva fatto colare via.

-Allora, dov’è il problema?- domandò pratico, fingendo una severità che in realtà non possedeva. Perché vederli litigare era semplicemente sublime e mai avrebbe rovinato tutto con la propria maturità da leader. Finché non si trattava di lavoro, poteva lasciare che le cose prendessero il loro corso anche nella maniera più brutale possibile.

Ri si premurò di renderlo partecipe della situazione, indicando Top –Eccolo, il tuo problema!- beh, sul tuo doveva dargli pienamente ragione, convenne con sé stesso, limitandosi però a scoccare un’occhiata tediata allo Hyung di casa che, dal loro ritorno dal Tribeca, non gli aveva rivolto la parola se non per convenevoli o cause di forza maggiore –E’ il solito guastafeste!-

-Ri, modera i toni.- lo ammonì Taeyang con decisione, ricevendo uno sguardo allucinato e delle braccia aperte.

-Sei proprio irritante, lo sai?- sottolineò Seung-Hyun mettendosi a braccia conserte.

-Da che pulpito- sussurrò GD mentre l’angolo delle labbra guizzava all’insù. Mise da parte la voglia che aveva di ridere di fronte alla sua espressione arcigna e tornò a guardare i presenti, fingendo di non aver compresso appieno il dramma che li affliggeva –E perché è un guastafeste, Ri?-

Boccheggiò, agitandosi ulteriormente –Io voglio andare alla festa!- trillò lamentoso, come se gli dovessero concedere almeno quel desiderio. Ah, che errore madornale viziare il piccolo di casa solo per sopportare i suoi costanti capricci.

-E non possiamo andarci senza Seung-Hyun?- propose Dae con fare da mamma chioccia comprensiva, rivestendo le vesti di ambasciatore pronto a far cessare quell’incidente diplomatico.

Ri si imbronciò –Ma senza di lui non è la stessa cosa.- e fu una confessione così colme di bambinesca dolcezza, così dannatamente sincera che Ji Yong dovette passare le mani sul viso pur di non scoppiare a ridere sguaiatamente. E se solo non avesse reputato assurda quella sua confessione così genuina, probabilmente avrebbe lasciato che le crepe del proprio cuore si ricucissero. Ma non avvertì nulla se non il gelo artico che albergava nel suo organo ormai incline alla durezza.

Top venne squadrato da capo a piedi dai coinquilini e dopo aver massaggiato il collo con disagio visibile, sbuffò un lamentoso -Ma io sono stanco!- che, come da copione, venne accolto con mugugni di dissenso generali.

Tae e Dae si lanciarono un’occhiata esasperata, incapaci di trovare un punto di incontro. E GD, stanco di vedere che la situazione non si smuoveva, decise di concedere loro il classico Jolly che, solitamente, veniva sfruttato nei casi di estrema disperazione. Ma quel silenzio teso che li stava avvolgendo, non era forse uno di quei momenti critici?

-Ah, la paura- la sua voce risuonò pacata, scagliata come pallottole in pieno petto –E’ proprio una brutta bestia, tu non trovi, Seung-Hyun?- e fu incredibile riuscire a godere delle loro espressioni sospese, confuse, come se non comprendessero appieno le sue parole. Perfino Top sembrò estraneo a tutto quello, come se riuscisse ad arrivare alla soluzione senza l’aiuto del pubblico.

Ma SeungRi, oh, il suo adorato maknae capace di rendergli migliore anche la giornata più nera, si premurò di fare le sue veci, borbottando un infastidito -Tu hai paura di vedere la tua bella.- che fece mozzare il fiato in gola dei tre ragazzi immobili. E GD non poté che amarlo, in quel momento. Di un amore viscerale e senza limiti. Perché il suo maknae era di una sincerità ammirevole e con la propria ingenuità dilagante, andava sempre a toccare i tasti giusti.

E fu uno spasso vedere il volto di Top contrarsi in una smorfia di timore, come se fosse stato colto in flagrante. E no, Ji Yong non si stupì della mancanza di disgusto a corroderei suoi lineamenti marcati; del resto, la fase dell’avversione era già passata da tempo –Non è la mia bella.- borbottò giocherellando con i lacci della felpa blu scuro.

Ah, quale grave errore aveva commesso il loro Hyung adorato.  

-Quindi hai paura.- e lui, che aveva deciso di non partecipare a quel teatrino, ma lasciare che fossero gli altri burattini ad agire per lui, si era ritrovato a parteciparvi. Non poté farci nulla, fu più forte di lui. Perché lasciare che fossero solo gli altri a divertirsi?

Top sbuffò –Certo che no.-

-Ma prima non lo hai negato.-

-L’ho fatto ora!-

-Oh, ma se te lo facciamo notare noi, non vale più.- spiegò oscillando l’indice, beandosi della sua imprecazione a mezza voce che fece sobbalzare gli altri. Poveri, un po’ li capiva; del resto, non erano abituati a vedere l’esemplare di Top sulla difensiva che si ritrovava a fare i conti con il proprio inconscio scalpitante.

-Quindi non vuoi vedere Lin?- domandò Tae inclinando il capo, palesando la propria confusione. Decisamente, il suo amico doveva darsi una svegliata quando si trattavi di rapporti tra maschi e femmine, altrimenti sarebbe sempre rimasto chilometri indietro nell’autostrada dell’amore!

E Top esplose, portando le mani nella tascona della felpa -Non me ne frega niente di Lindsay!- berciò il diretto interessato, cominciando ad apparire come un cane rabbioso. E GD lo trovò semplicemente stupendo: il suo voler cercare di nascondere a tutti i costi una cosa palese, ma talmente tanto palese che perfino dei neon lampeggianti sarebbero risultati superflui, era assolutamente superbo.

Perché ti ostini a negare l’evidenza?, avrebbe voluto scagliargli contro, ma convenne con la propria brillante genialità che quel pensiero andava taciuto. Erano in quattro contro uno in quel gioco al massacro e se la sua cavia si stancava subito, quella notte non sarebbe stata in grado di offrirgli simpatici spettacolini che avrebbero riempito di felicità le sue fiacche membra.

Ma Dae non sembrava voler mollare -Oh, non è tenero? Adesso la chiama anche col suo nome!- gli pizzicò le guance, lasciandole non appena il Top incazzoso cominciò a ringhiare.

Fece scorrere lo sguardo indemoniato su tutti i presenti, poi si staccò dal muro -Va bene, ci andiamo! Basta che la smettete di rompere le palle!- alzò le braccia al cielo –E comunque non me ne frega niente di lei, sia chiaro!- la sua voce profonda che si sparse nell’aria, la porta che sbatteva, le urla di gioia di Ri e la rabbia che si diramò, scemando lentamente. Incredibile come bastasse ribaltare le carte in tavola, riportando in cima la piedistallo, per farlo sentire meglio. Non migliore di loro, semplicemente per farlo stare bene.

Tae si alzò, lisciando i pantaloni della tuta –Vado a chiamare il manager, allora.- e scomparendo in camera, li abbandonò al loro destino.

 GD comprese come la sua presenza forse ormai inutile in mezzo ai due ragazzi, ma SeungRi ebbe il potere, come sempre, di costringerlo a restare –Forse ho esagerato.-

-Sai che Top è suscettibile quando si parla di Lindsay.- osservò Dae scuotendo la nuca, facendo annuire il più piccolo.

Ri sospirò, grattandosi i corti capelli neri –Non capisco perché.-

-Superare il muro delle apparenze richiede uno sforzo inimmaginabile- concesse loro quella fugace soluzione, inclinando il viso mentre si rendeva conto di aver ottenuto la loro completa attenzione –La ferita è ancora fresca, si deve rimarginare.- e poi Top faceva schifo nelle cose fisiche e che richiedevano una coordinazione braccia-gambe non indifferente.

-Forse non dovremmo intrometterci.- mormorò Ri con un pizzico di paura. Oh, troppo tardi mio caro, troppo tardi…

-Un giorno ci ringrazierà- replicò annoiato, spulciando la canotta bianca –Piuttosto, si può invitare qualche amica questa sera?- non che avesse qualcuna in particolare da chiamare, ma la sua rubrica era piuttosto fornita e il cellulare era caldo tanti messaggi aveva ricevuto nell’arco della mattinata.

Dae inclinò il capo –Una delle tue solite amichette?- come se non sapesse la risposta. GD fece un cenno con il capo, senza però fornirgli alcun tipo di risposta. A che pro sottolineare l’ovvio?

-Oh, allora invito qualcuna anche io!- che tenero il piccolo di casa; cercava di minimizzare la sua relazione con quella sanguisuga che, se avesse ancora vagato a piede libero, gli avrebbe svuotato il portafogli.

E GD, seguendo il proprio logicissimo punto di vista, si ritrovò a fissarlo con quanta più gentilezza possedesse –Non credi sia l’ora di lasciarla?-

Il maknae sbatté le palpebre, quel suo solito adorabile tic che saltava fuori quando veniva preso in contropiede –E perché dovrei?- gonfiò le guance, mettendosi a braccia conserte.

-Perché Aimi è interessata solo ai tuoi soldi.- duro, dritto al sodo, senza preoccuparsi di spezzargli il cuore. I piccoli andavano educati alla dura legge della vita sin da piccini, altrimenti come avrebbero fatto a camminare da soli per quel Mondo cosparso di cattiveria e perfidia? E Ri era ancora salvabile data la giovane età e la sua ingenuità; GD, a proprie spese, aveva imparato che non tutte le donne che promettono amore sono poi così affidabili come vogliono far credere. Ma, orami, era troppo tardi…

-Si chiama Ai!- trillò SeungRi  agitando le mani, aggrottando le sopracciglia mentre una deliziosa imbronciatura contornava i suoi lineamenti non ancora marcati –E lei non è interessata ai miei soldi! Non solo a quelli, ecco!-

-No, certo che no—

-GD.- lo riprese Dae senza guardarlo in volto, calcando sul suo soprannome con quanta più severità avesse.

Ma lui lo ignorò -Però ti cerca solo quando ha bisogno di fare shopping, quando deve fare benzina o quando deve fare la spesa e devi sempre offrire tu, quando uscite- le orecchie del più piccolo divennero rosse e Dae nascose gli occhi con una mano, tamburellando le dita dell’altra sul lavabo –Io lo dico per il tuo bene, Ri- cinguettò placido, rivolgendogli un raccapricciante sorriso intriso di malsana dolcezza –Apri gli occhi.-

-Sei proprio un cretino, lo sai?- ah, che goduria quel maknae così sfrontato che credeva di avere la situazione sotto controllo. Chissà che sublime guerra sarebbe esplosa quando tutti si sarebbero accorti che era lui a tirare i fili di quella trama ingarbugliata che era la loro esistenza?

-Almeno io non mi faccio fregare- mormorò con pacatezza, stringendo le mani sul bordo del bancone –Non mi faccio fregare più.- aggiunse assorto, ridestandosi solo quando il rumore secco della sedia che si spostava riempì l’aria ora tesa e apparentemente infrangibile. Soffiò col naso mentre scuoteva la nuca per ricacciare indietro la strana sensazione di colpevolezza che lo aveva avvolto, riacquistando la propria proverbiale noncuranza quando si rese conto di come il maknae fosse fuggito con un diavolo per capello, borbottando frasi sconnesse.

Volse lo sguardo alla propria destra -Dovresti dare un po’ di tregua a Ri- Dae in versione mamma chioccia approfittò dell’assenza dei coinquilini per spargere le proprie amorevoli cure. Peccato che lui non ne volesse –A lui Ai piace sul serio.-

-Il maknae è troppo ingenuo per accorgersi che quella è una sanguisuga- replicò con tedio, spulciando la canottiera piena di pelucchi -Deve imparare ad aprire gli occhi.-

-Se non commette errori, come può imparare la lezione?- una domanda che racchiudeva quesiti che andavano ben oltre la relazione tra il piccolo di casa e una squinzia inutile quanto deleteria. Comprese, di essere arrivato al fatidico quanto scomodo argomento che Seung-Hyun aveva riportato a galla. Ma questa volta era preparato, sul serio.

-E tu l’hai imparata, vero?- lo guardò di sottecchi.

Dae annuì -Diciamo che faccio più attenzione. Cosa che dovresti fare anche tu.-

Scoccò la lingua -Ho tutto sotto controllo. O non ti fidi?-

-Oh, io mi fido di voi, sempre- non colse falsità nella sua voce pacata –Sei tu quello diffidente- e GD, conscio che quella era la pura e semplice verità, non si premurò di ribattere, incanalando le energie per potergli infliggere il colpo di grazia quando sarebbe stato più opportuno. Con un gesto del bacino si staccò dal bancone di marmo, pronto a rinchiudersi nel proprio santuario, ma la nota di velata preoccupazione che aveva intaccato la severità di Daesung lo trattenne al centro della saletta -Dovresti trovarti una ragazza, sai?- lo scrutò da sotto il ciuffo platino, come se stesse studiando la sua prossima mossa.

Ghignò -Tranquillo, stasera viene anche Kazuko- sventolò il cellulare –E domani sera esco con Shige.- chi aveva bisogno di una ragazza quando aveva un harem a sua disposizione? Nh, come se poi una ragazza potesse aiutarlo o anche solo riempire quell’enorme vuoto che oramai era diventato parte integrante del proprio essere. Il freddo, il gelo, la solitudine… Nessuna o neppure loro, avrebbero potuto far dissolvere tutto ciò.

Dae gli rivolse un’occhiata perforante, come se quei nomi avessero stuzzicato la bestia dormiente che giaceva in lui -Non intendo una di quelle, lo sai- borbottò seccato –Intendo una che si prenda cura di te e che sappia farti stare bene.-  

Ji Yong per poco non si strozzò con la risata fragorosa che, dai polmoni, volle prepotente spargersi nella cucina. Perché quella frase era la solita perla che sua madre aveva continuato a regalargli con apprensione, seriamente preoccupata per le sue sorti. Poi, da quel giorno, semplicemente aveva smesso di  porgergliela, anzi, aveva smesso di rivolgergli la parola. E lui aveva imparato a convivere con la sensazione di squallore che si provava nel ritrovarsi da solo ad affrontare una situazione più grande di sé. Un sorriso amaro si impossessò della piegatura delle sue labbra e senza perdersi in ulteriori, contorti pensieri, rivolse all’amico il tono di voce più cantilenante che possedesse  –Dae, sembri mia madre.- commentò pacato, vedendolo scuotere la nuca.

-Beh, tua madre ha ragione- esalò mettendosi a braccia conserte –Credo che una ragazza sia ciò che ti manca in questo mom--

-Vuoi farmi la predica, ora?- lo interruppe con noia, una nota di seccatura a rovinargli la voce decisamente poco controllata; perché diavolo avevano cominciato ad intromettersi di nuovo nella sua vita? –Non è affar tuo con chi decido di trascorrere le mie notti, sono stato chiaro?-

E lui avrebbe potuto semplicemente andarsene, dargli le spalle e lasciarlo sbollire. Lasciandolo solo, ancora. Senza alcuna difesa, senza aiutarlo ad uscirne, senza dannarsi per le sue condizioni…

-Lo so, non lo è- un sospiro leggero, la sua voce colma di decisione –Ma sono preoccupato per te.-

E invece era restato.

E GD, in balia della sua amorevolezza, si ritrovò ad incassare il colpo con silenzio, maledicendosi per la sua strana incapacità di replicare con raffinatezza e magari mandarlo al Diavolo –Non devi. Non sono più un bambino.- volse il capo, nascondendo il fastidio che aveva corroso la sua aria di impassibilità.

-Però ti comporti come tale.- la frecciatina di Dae venne scagliata con precisione e il leader la accolse con vivido interesse. Sfidare l’unico che possedesse un istinto materno fra loro cinque, era qualcosa di assolutamente titanico ma si divertiva, e questo era un punto a suo favore

-A quanto pare, non tutti reagiamo alle disgrazie come te.- alzò le spalle, rivolgendogli un ghigno perforante che avrebbe dovuto farlo allontanare. Ma Dae rimase immobile sulla soglia, come se non fosse intenzionato a gettare per primo le armi. GD incassò il suo restare con un silenzio pesante. Decisamente, quella era una delle cose non era stato capace di prevedere. La discussione stava prendendo una piega che non gli piaceva e che sembrava rivoltarglisi contro. Proprio come quella notte con Top, dove si era dimostrato più abile e propenso al dialogo di quanto non lo fosse mai stato.

-Credo tu abbia solo bisogno di una mano.- mormorò serio, come se volesse fargli comprendere che lui ci sarebbe sempre stato per lui. Peccato che fosse arrivato tardi…

GD sventolò una mano –No, grazie. Ci penserà il tempo a sistemare ogni cosa.- predicò con benevolenza, guardando il soffitto color panna.

-Non per tutti è così- sospirò -Ji Yong, guardami- ma non lo fece, non esaudì nemmeno quella banale richiesta –Noi non siamo adulti come vogliamo credere. E se riusciamo ad andare avanti, è perché insieme riusciamo a superare i nostri sbagli- fece una pausa, lui incurvò le spalle –Non allontanarti ancora di più da noi, ti prego.-  

E a labbra dischiuse, avvertendo il tremore prendere possesso di ogni suo arto, GD si ritrovò a guardarlo con stanchezza, apparendo più sciupato di quanto non fosse mai stato. Più incline alla comprensione e all’accettazione –Dae, io-- il cellulare vibrò, interrompendolo. Non guardò nemmeno il numero sul display –Kazuko, che piacere sentirti- la solita frase di rito, la solita melassa che le faceva cadere ai propri piedi –Vuoi andare a cena prima di passare al Tribeca?- guardò Dae che scuoteva la nuca e un senso di sfida prese il sopravvento –Per me va bene. Passo tra due ore, d’accordo?-

Perché non aveva bisogno di loro, non aveva bisogno di nessuno. L’amore e l’amicizia che loro sapevano donargli senza riserve, l’amore che le donne dicevano di potergli dare senza volere nulla in cambio, la sensazione di sicurezza che da tempo mancava, la dolcezza che solo la sua famiglia poteva infondergli… Tutte quelle cose, erano scemenze che ormai non servivano più. E che, a ben guardare, forse non erano mai servite.

Chiuse la conversazione e D-Lite lo fissò con rassegnazione -Deduco che ci vedremo lì.-

-Voi cominciate pure senza di me.- sparse quella frase nell’aria, andandosene da quella stanzetta ancora pregna del loro nervosismo e delle loro questioni in sospeso. Chiuse la porta e si lasciò cadere sulle lenzuola spiegacciate, stropicciandosi il viso. Prese la nuca fra le mani, riordinando i pensieri scomposti che si accavallavano nella sua mente e quando lo sguardo cadde in picchiata sul quaderno degli appunti aperto, le parole che vi lesse furono come un pugno in pieno stomaco…

 

I need you baby I’m not a monster, You know me so don’t leave like this

If even you throw me away, I will die

I’m not a monster

I think I’m sick, I think I’m sick, I think I’m sick, I think I’m sick.

 

Lo chiuse con un gesto secco. Ormai, non era nemmeno più certo di poter uscire da quel vortice di pazzia in cui era entrato. E forse era così, forse era davvero malato.

E forse, nessuno poteva aiutarlo ad uscirne.

 

*****

 

All’ennesimo flash della macchina fotografica, Top diede forfait, continuando a grugnire in direzione dei presenti che gli rivolgevano la parola, perfino alle cameriere che chiedevano le ordinazioni o qualche autografo di ritrovava ad avere a che fare con il proprio self-control per non chiedere loro di volatilizzarsi alla sua vista.

Perché stanco e soprattutto, si trovava sotto le luci blu soffuse del Tribeca contro la propria volontà. E tutto perché Ri era un maledetto fratellino troppo grazioso a cui non si poteva dire di no, anche perché sopportare le sue lagne richiedeva una pazienza che forse solo quei due santoni di Taeyang e Daesung possedevano. E lui, le sue scorte, le aveva esaurite da tempo, più precisamente da quando una ragazzina straniera aveva deciso di stanziarsi un po’ troppo nella sua mente sempre arrovellata di pensieri…

 

E’ proprio una brutta bestia la paura, tu non trovi, Seung-Hyun?-

 

Assurdo. Ma che blaterava quell’idiota di GD?! Lui non aveva mica paura! Certo che no! Lui era capacissimo di giostrare a proprio piacimenti le innumerevoli sensazioni che quell’uragano di prepotenza portava con sé. Impensabile, addirittura sciocco… Lui che aveva paura di incrociare una persona che, tutto sommato, non aveva nulla di così speciale da poterlo mettere in soggezione? Era come tutte quelle con cui aveva avuto a che fare…

Solo meno espansiva.

Che avrebbe cercato la sua approvazione solo perché famoso…


 

Eppure era sempre schiva e costante.

 

Che sarebbe divenuta un ricordo una volta smesso di capitare ovunque lei fosse…


 

Però non gli sarebbe dispiaciuto rivederla…

 

-Come va, vi state divertendo?-


 

E come se non fosse già abbastanza sfigato per ritrovarsi schiacciato tra due modelle troppo appiccicose, ecco che Lindsay Moore comparve davanti a loro con un vassoio sotto il braccio, vestita da Wonder Woman e con un’indifferenza tale da renderla insopportabile. Ma, a dir la verità, non avvertì rabbia. Solo uno strano senso di imbarazzo per essersi soffermato troppo a guardare la sua figura decisamente provocante e averla addirittura trovata attraente.

Le due modelle, probabilmente sentendosi minacciate dall’arrivo di una ragazzina decisamente più bassa di loro e con almeno due taglie in meno di seno, si aggrapparono al suo braccio e tutto ciò che riuscì a fare, in preda ai fumi della tequila e avvertendo il loro petto premergli contro, fu di allentare il nodo della camicia abbottonata fino al collo, deglutendo a fatica.

-Un Mojito, grazie.- trillò la moretta al proprio fianco, sbattendo le lunghe ciglia finte.

Lin si aggiustò la coroncina dorato con la stella rossa al centro, mormorando un sarcastico –Lo prendo per un sì.- che gli strappò un sorriso divertito. Era sorprendente come non riuscisse a farsi demolire dall’indifferenza degli altri. Lui invece, abituato ad un mondo in cui la ricerca della perfezione era tutto, soggetto sempre a critiche, si era ritrovato a fare i conti con il consenso degli altri, diventandone quasi succube.

-Qual è il tema della serata?- arcuò un sopracciglio, adocchiando una cameriera vestita da Thundra che, sensuale, ondeggiava fra i clienti. Perfino le ballerine sui tavoli e i cubi erano vestite da supereroine.

Lin recuperò alcuni bicchieri vuoti –Le eroine dei fumetti. A quanto pare il coreografo è rimasto affascinato da una convention sulla Marvel.- borbottò pensosa, scompigliandosi la folta chioma corvina che le arrivava alla vita.

-Beh, almeno è originale.- perché continuava a portare avanti il discorso? Forse avrebbe dovuto troncarla lì, sarebbe stato meglio… Ma le parole continuavano ad uscire, implacabili.

Storse il naso –Se la perversione è originale, allora sì, lo è— le parole le si spezzarono in gola quando il maknae, arrivato di soppiatto, l’abbraccio per la vita. Fu decisamente divertente vedere la sua espressione allibita e il suo volerlo fucilare con la sola forza dello sguardo per i bicchieri che stavano rovinosamente cadendo a terra –Che stai facendo?-

-Liiiiiin, posso chiamarti Lin?-

-Come se non lo avessi mai fatto?- scansò le sue mani, invano.

-Come sei bella stasera!- la vide annuire senza prenderlo sul serio, piegandosi alla ricerca dei bicchieri caduti –Liiin, passi la serata con noi?- e poi, l’apoteosi dell’assurdo –Top sarebbe contento! Vero, Top?-

Fu una sequenza di immagini improponibili, atte solo a rendere tutto un po’ peggiore di quanto già non fosse: perché le due modelle si erano staccate e lo avevano guardato con irritazione e sorpresa, perché Ri continuava a far ciondolare la testa come un idiota e Lin aveva dischiuso le labbra, lasciando trasparire l’incertezza che l’aveva avvolta –Non posso, devo lavorare.- sciorinò veloce, tastando per terra con fare seccato.

Top abbassò la nuca e poggiano le ginocchia sul suolo appiccicoso, le allungò un bicchiere di plastica –Ti do una mano.-

-Non ce n’è bisogno.- bofonchiò apatica, portando indietro i lunghi capelli.

E solo allora si soffermò davvero a guardarla, solo allora si rese conto di quanto non l’avesse mai osservata con attenzione, troppo preso a descriverla come il mostro che, ormai aveva capito, non era. Si rese conto di quanto grandi fossero i suoi occhi truccati di nero, quante lentiggini minuscole solcassero il suo naso all’insù. Di quanto fosse graziosa nonostante i lineamenti contratti in una smorfia di fastidio. E il cuore, improvvisamente, smise di battere per poi riprendere con velocità crescente. -Nh, come ti pare- scontroso, si ributtò sulla poltrona, lasciando che le due modelle lo coccolassero, ancora sconvolto da quei pensieri così fugaci eppure opprimenti che gli avevano offuscato la vista e adombrato la ragione. Oh, ma pure ste qui, la smettevano di rompergli le palle?! –E comunque non mi interessa se resti qui.- si morse la lingua, vedendola arcuare le sopracciglia. Maledetto orgoglio che parlava al posto suo!

Ed era comunque vero, non sarebbe stato contento di averla fra i piedi, ma era pur vero non gli sarebbe nemmeno dispiaciuto. Sì, ecco non sarebbe poi stato così male… Ma dal suo alzarsi in piedi e volgere il busto, capì di aver sbagliato tutto.

-Sai cosa me ne frega- ribatté impassibile, sollevando una mano in segno di saluto –Buona continuazione.-


 

Ri scansò una modella e si gettò sulla poltrona, asciugandosi la fronte con il dorso della mano –Pensavo ti avrebbe fatto piacere se lei—

-Dovete smetterla di intromettervi nella mia vita.- non ci fu rabbia nella sua voce, solo spossatezza. E il senso di colpa che cominciava a fargli venire la nausea.

Strabuzzò gli occhi, giocherellando con il bicchiere –Scusa- sventolò una mano, continuando ad evitare lo sguardo della biondina ferma alla balaustra che, ad intervalli regolari, lo fissava, quasi volesse controllare che lui fosse ancora lì –Ma davvero non la volevi qui, con noi?-

Lo guardò di sbieco, poi appoggiò la testa pesante sul divanetto –No.- senza dilungarsi troppo sulle ragioni che avrebbero potuto spiegare la sua malsana voglia di averla tra loro. Perché, infondo, sarebbe stata meno fastidiosa di quelle cozze abbarbicate al suo braccio o alla sua cintura, sarebbe stata meno irritante di Ri e la sua bocca larga. Sarebbe stata piacevole, nella sua silenziosa e accattivante maniera…

E quando la scorse, in mezzo al nuvolo di gente, stiracchiando le labbra quando qualche ragazzo si avvicinava a lei ad un palmo dal suo viso sempre velato di impassibilità e fastidio, si ritrovò a fremere sul divano, come se scottasse, come se volesse raggiungerla e trascinarla lì da loro. E dubitava che fosse la presenza della biondina di cui sopra, ora sedutasi al suo fianco, a far scaturire in lui quei tremiti non catalogabili.

-Sai? Se lei ti sta simpatica, dovresti andare a parlarci. O almeno a scusarti. Sei stati cafone, eh!- lo guardò allucinato. Era ubriaco, non c’erano altre logiche spiegazioni. E la sua postura stravaccata, il suo buttare la testa all’indietro sul bordo del divano mentre una mano massaggiava la fronte e l’altra stringeva la bottiglia fresca di birra non lasciavano adito a dubbi: Ri era sbronzo, pertanto gli rifilava consigli sconclusionati. Ma che avevano qualcosa di logico, nella loro assurdità.

-Che scemenza.- borbottò apatico, rigirandosi fra le mani il sottobicchiere a forma di rombo.

-Ma tanto qui ti annoi.-

-Già.-

-Oh, e perché ti annoi?- le sue sopracciglia formarono un arco perfetto quando si ritrovò spalmato contro la modella bionda della scollatura vertiginosa. Possibile che ad ogni sacrosanta festa, qualcuno si aggrappasse al suo braccia nemmeno fossero Koala appesi ad un albero di Eucalipto?!

-Perché non mi diverto.- si compiacque con la propria mente per la propria capacità espositiva degna di un demente, massaggiandosi le tempie pur di riordinare i pensieri. Dov’era GD quando aveva bisogno di un olimpiade di logica pur di trovare una soluzione ai suoi perché?!

-Se vuoi, possiamo divertirci assieme- udì la sua voce vellutata soffiare nel suo orecchio sinistro come una cantilena ipnotica, da cui stare alla larga. E nelle sue viscere, la convinzione che si sarebbe perfino annoiato con quella sventola. Perché era sicuro, tanto da spaventarlo, che si sarebbe divertito di più a punzecchiarsi con la Moore che restare lì a chiacchierare scialbamente con quella biondina che di godibile aveva solo l’aspetto. Lindsay, invece, aveva da offrirgli la sua ironia sferzante che li portava sempre incalzare un discorso e per quanto alla fine ne uscisse seccato, a conti fatti si ritrovava a dirsi quanto piacevole fosse stato parlare con lei. Come la chiacchierata su chi fosse il migliore della band. Una cazzata, eppure era uscito con il sorriso sulle labbra da quel locale che, ultimamente, lo lasciava più incazzoso che altro… -Se vuoi possiamo andarcene da qui- avvertì la sua mano olivastra fra i capelli turchesi, la sgradevole sensazione di essere squadrato da tutti, la strana sensazione di non voler essere adocchiato da lei in atteggiamenti così ambigui –C’è un motel a pochi minuti di strada.- le sue dita che scivolavano in lente carezze circolari sulla camicia rossa a scacchi, sulla cintura. E la propria mano che, brusca, lo aiutava a divincolarsi da quella presa delicata.

Perché quella biondina avvenente non era ciò che voleva. Non era lei che voleva avere al proprio fianco per quelle tre ore di noia assoluta. Si stropicciò il volto, ripetendosi che era la tequila in circolo che continuava a suscitare in lui pensieri malsani e assurdi sull’americana che serviva i clienti.

-Oi, non stai bene?- la voce preoccupata di Tae fu un suono leggero e appena udibile in mezzo al frastuono. E le urla esagitate delle modelle sedute con loro al tavolo dei Vip non aiutava.

-Hyuuuung, posso finire la tua tequila?- lo starnazzare di Ri era quanto di più sgradevole vi fosse in mezzo a quel casino. Ma glielo concesse, era sbronzo da far schifo.

-Se ti interessa, l’ho vista al bancone del bar.- e la voce pacata di Dae lo fece sobbalzare dallo spavento. Perché lui era terrorizzato dalla marea di pensieri fuorvianti che stavano nascendo in lui e che vertevano solo e unicamente su di un soggetto che non voleva proprio saperne di levarsi dalla propria mente ora ottenebrata dalla nebbia.

E senza pensarci, senza rispondere alle domande degli amici che gli chiedevano dovesse stesse andando, senza badare al sorriso beota di Ri che probabilmente avrebbe messo in giro strane voci, lasciando scivolare le mani della giovane modella che sembrava davvero interessata a lui, si ritrovò a immettersi nella calca, a sgomitare, a ricevere gli insulti della clientela che, ubriaca, nemmeno si rendeva conto di chi gli stava passando accanto…

 

-Lindsay, al tavolo due vogliono altre birre! Le porti tu?-

-Ma se hanno ancora i bicchieri pieni?!- la sua voce strascicata, il suo coreano con quel particolare accento inglese e la sua espressione di pura incredulità quando si ritrovarono l’uno di fronte all’altro. Il suo essere così appariscente nonostante la sua costante intenzione di apparire invisibile. Il suo essere, semplicemente, interessante. Più di quanto avrebbe immaginato.

 

E solo per arrivare a lei…

 

-Scusami- si fermò, pregando che nessuna Vip interrompesse quel momento –Scusami per prima, non—

-Non importa.- strinse il vassoio contro il petto.

Portò le mani in tasca, mordendosi le labbra -Quindi, come va?-

-Potrebbe andare peggio.-

Già, poteva andare peggio. Se lo era detto tante di quelle volte che alla fine aveva cominciato a crederci pure lui. Ma poi vide il suo sorriso incerto, il suo sguardo largo e velato di sorpresa e il suo scappare verso il tavolo da pulire. Rivolgendogli comunque la parola, senza lasciarlo indietro. Aspettandolo, comunque. E la seguì, senza pensarci, lasciando in disparte le paranoie…

 

E la serata, imprevedibilmente, gli parve migliore.

 

****

 

Quando Seung-Hyun le si era avvicinato con passo veloce, quasi scalpitante, come se stesse scappando da qualcuno o addirittura dalla propria ombra, Lin cercò di trattenere lo stupore che un po’ troppo spesso stava prendendo possesso delle proprie contrazioni facciali. È qui per il bere, ripeté a sé stessa, prodigandosi a pulire il tavolo due su cui, a quanto pareva, degli elefanti avevano deciso di fare baldoria tanto era conciato da far pena.

Ma quando lui si fermò, vestito di titubanza ed espressione enigmatica, rivolgendole delle scuse sincere per la sua irruenza di qualche minuto prima e un pacato –Ehi, come va?- beh, allora non poté più fingere disinteresse. E no, non poté nemmeno trattenere lo stupore che le fece allargare gli occhi nocciola.

Si grattò la punta del naso lentigginoso, posando una mano sullo stomaco che aveva cominciato a contorcersi; il terzo chupito della serata cominciava a fare effetto -Potrebbe andare peggio- bofonchiò scazzata, regalando al tavolo l’espressione più truce che avesse nel repertorio. Irrimediabilmente, lo sguardo vagò oltre la sua spalla, scontrandosi con il tavolo della zona vip occupato dai quattro restanti membri della band -Come mai non sei con gli altri?-

Top alzò le spalle prima di gettare un’occhiata ai suoi amici, tornando poi a fissare lei -Mi annoiavo.- e Lin, pur nella sua immensa stupidità femminile, si soffermò a studiare le bellezze appoggiate alla balaustra, intente a ballare senza freno alcuno. Lo guardò con espressione decisamente scettica. Come poteva annoiarsi con tutto quel ben di Dio laggiù? Insomma, Lin non era mai stata solita criticare l’aspetto delle altre donne, non gliene fregava niente se una aveva il seno più grosso del suo o il naso più piccolo o capelli più morbidi o setosi. Ma adesso che Seung-Hyun era lì, con lei, al posto di starsene con quella maggiorata dagli occhi suadenti che gli era rimasta abbarbicata al braccio da inizio serata, beh… Le domande cominciava a porgersele. E non era sicura di volere le risposte.

-Ti annoierai anche qui.- non provò nemmeno a trattenerlo, non le interessava. Anzi, in un certo senso, desiderava averlo il più lontano possibile, spaventata da tutto quel miscuglio di emozioni che si amalgamavano tra loro quando le gravitava a pochi metri di distanza. Ma Top rimase lì dov’era, davanti a lei, come se volesse creare una barriera tra il suo mondo di semplice cameriera di una discoteca super affollata e il proprio, fatto di festini, tour e modelle pronte a concedersi senza inibizioni.

Lo vide far ciondolare la nuca, come se ci stesse davvero pensando su, ma il suo alzare le spalle le fece comprendere che non le avrebbe dato corda –Almeno tu non parli di botox o dell’ultima fidanzata di George Clooney.-

Inaspettato, un sorriso fiorì sulle sue labbra carnose, seriamente divertita di fronte al suo atteggiamento scostante per quell’universo di cui lui, a ben vedere, faceva parte –Oh, ha una nuova fidanzata?- lo vide abbozzare un sorriso.

Si scambiarono qualche parola di convenienza, giusto per non lasciare che il silenzio prendesse pieno potere della loro pseudo conversazione e lei, continuando il proprio lavoro, cercava di trovare un perché alla sua presenza lì. Fino a qualche attimo prima l’aveva praticamente cacciata via come una mosca fastidiosa, ora si ritrovava a seguirla per tutto il locale, fermandosi davanti a lei che, ancora confusa, si era riparata dietro il bancone.

-Scusalo per prima- indicò il piccolo dei Big Bang, svolazzante su di un cubo, con il pollice –E’ ubriaco, non sa quel che dice.-

Alzò le spalle –Sono abituata agli sbronzi- lo vide sorridere –E poi, lascialo divertire. Finché non mi sporca il pavimento, può fare ciò che vuole.-

-Ha insistito tanto per venire qui.- ammise pensoso, come se stesse cercando di mandare avanti quella loro scialba conversazione. E lei, nonostante tutto, si ritrovò a dargli corda. Perché non era così male trascorrere qualche minuto con lui senza lanciarsi addosso oggetti contundenti o frasi sferzanti.

-Tu non volevi?- pulì il bancone sporco –Sarete stanchi. La vita delle star è faticosa- ironica, si massaggiò la fronte, attendendo una sua risposta piccata e offesa. Ma non avvenne nulla di ciò che aveva messo in conto, niente di niente. Solo il suo strascicato –Non c’entra questo.- che la mise in allarme, come se volesse dirle che sotto c’era qualcos’altro. E quando lo vide stiracchiare le labbra e alzare le spalle, si ritrovò a chiedere aiuto alla propria diffidenza –Senti, se non prendi niente, è inutile che resti qui.- alzò le spalle, senza nemmeno scusarsi della propria maleducazione. Il fatto era che quella frasetta pronunciata per allontanarlo, magari con la solita sgarbatezza che li avrebbe riportati alle origini del loro rapporto, era stata mormorata senza cattiveria alcuna, ma con ovvietà. Come un barista che vede un signore seduto al tavolo e, per prassi, chiede l’ordinazione, invitandolo gentilmente a sloggiare se non vuole consumare alcunché.

E lui, che continuava a starsene in piedi vicino al bancone apparentemente non colpito dai suoi toni difensivi, fece ciò che mai si sarebbe aspettata: si guardò attorno, poi occupò la sedia libera davanti a sé e con un cenno indico la fila di bottiglie dietro le sua spalle strette –Cosa c’è di buono?-

Decisamente, tutto quello era assurdo…

-Quello che preferisci.-

-Niente rhum e Coca Cola, poi fai come vuoi- scorse una sbavatura di rancore nella sua voce indecisa, ma strinse le labbra e si trattenne dal ridere. Gli porse una birra, non essendo capace di preparare poi chissà quali stratosferiche bevande –per quello l’avevano reclusa a pulisci tavoli- e rimase in silenzio, osservando la folla di gente che continuava a dimenarsi –Non si arrabbieranno se resti qui, vero?- la sua preoccupazione fece scattare un fiotto di calore che dal petto si propagò alle sue guance, ora imporporate. Ringraziò le luci soffuse del locale che nascondevano la sua strana fragilità.

-Dirò loro che sono in pausa.- lo vide annuire, poi il silenzio calò di nuovo tra loro. E sarebbe potuta andare benissimo così. La loro chiacchierata l’avevano avuta, no? Il loro incontro assolutamente futile c’era stato. Perché non limitarsi a salutarsi e far sì che le loro strade, una volta per tutte, si dividessero divenendo parallele, così da non potersi mai più incrociare?

Ma come un fulmine a ciel sereno, giunse la sua voce -Hai sistemato le cose, poi?-

Corrugò la fronte –Con chi?-

-Con tua madre.-

Alt, stop, time out… Cosa?!

Doveva essere entrata in un mondo parallelo, non c’era alcun dubbio. In realtà la porta del Tribeca l’aveva catapultata in un mondo alla rovescia in cui lei era una pimpante ventiduenne alle prese con un ragazzo che fino ad una settimana prima la odiava, ma che ora sembrava davvero interessato a lei e alla sua vita. E mentre si arrovellava per dare un senso a quello strambo siparietto, l’ansia cominciò a prendere il sopravvento: da quando era qui, nessuno si era mai interessato a lei, nessuno aveva mai posto domande così personali. Nessuno, nemmeno Ginko, aveva mai osato tanto. Perché lei non amava parlare, anzi, lo odiava con tutto sé stessa!, e i suoi sguardi arcigni erano un incentivo a troncare la conversazione sul nascere. Ma a quella domanda così personale e posta con fin troppa curiosità e gentilezza, come se davvero fosse interessato a sapere come stava procedendo la sua caotica situazione familiare, non riuscì a regalargli uno sguardo seccato. Ci provò, davvero, ma tutto ciò che riuscì a fare fu portare dietro l’orecchio una ciocca di capelli e guardare il bancone con vivida attenzione –Non sono affari tuoi.- si autocompiacque del  proprio restare sulla difensiva, cercando di mantenere le distanze.

Top storse il naso –Certo che lo sono!-

Allucinante… Ma che ne era stato del Seung-Hyun menefreghista che la ignorava per semplice sport? –Ma anche no!- pose le mani sui fianchi, riacquistando la propria supponenza. Così, da brava…

Si indicò il viso ora contratto in una smorfia di fastidio -Visto che per colpa sua mi hai tirato Guerra e Pace sul naso, credo di meritarmi una risposta!- e lo aveva sciorinato con assoluta serietà, come se davvero si aspettasse una risposta articolata sulla sua vita.

E Lin, incapace anche solo di esternare i proprio problemi agli estranei, soprattutto se avevano i capelli azzurri e fino ad un attimo prima l’avrebbero voluto sotterrare viva, borbottò un sincero -Era Harry Potter.- che avrebbe dovuto spingerlo ad allontanarsi. Sì, perché il suo intento era mandarlo via, ovunque ma lontano da lei. Perché? Perché insultarlo le veniva facile, avrebbe osato dire con fin troppa naturalezza, ma se lui si comportava in maniera tanto amichevole, allora l’ironia la abbandonava e perfino la sua faccia tosta faceva i bagagli, salutandola con la manina sventolante. E sentiva che abbassare le difese con lui, non avrebbe portato altro che guai per i suoi nervi altalenanti.

Top agitò la mano con un gesto secco –Quel che è!- e non sembrava intenzionata a volerla lasciare andare -Hai detto che tua madre ti ha sbattuta qui.-

Corrugò la fronte –L’ho detto?- lo vide annuire mentre stiracchiava le labbra –Oh, beh, nh.-

-Allora?-

Lin, paralizzata, lo fissò con scetticismo, conscia che avrebbe potuto benissimo non degnarlo di una risposta. Perché non erano affari suoi, si era già sbattuta abbastanza per rimediare ai proprio sbagli e quindi no, non gli doveva nessuna benedetta risposta. Ed era seriamente convinta di ciò, davvero!, il suo cervello si ostinava a ribadirle quanta ragione avesse, talmente tanta che avrebbe potuto distribuirla come caramelle agli orfanotrofi. Quindi sarebbe stata zitta, rinnovando la propria voglia di non comunicare…

Ma poi, udì la propria voce che risuonò assorta, sincera, imprevista –Non la sento da un po’- lo vide inclinare il capo e allargare gli occhi scuri –Ma è meglio così, davvero.- portò dietro una l’orecchio una ciocca di capelli corvini sfuggiti all’alta coda di cavallo, palesando il proprio disagio.

-E’ orribile.- lo aveva esternato con una sincerità disarmante, lasciandola spiazzata per parecchi secondi. E poi realizzò che ad averla lasciata davvero spiazzata, fu l’espressione di mortificazione che aveva contratto i suoi lineamenti marcati, come se fosse davvero dispiaciuto per quella situazione. E Lin sentì il cuore mancare un battito, come se tanta gentilezza non potesse essere contenuta nel suo minuscolo cuoricino.

-Non così tanto come sembra- ripensò alle litigate, alle porte che sbattevano, alle parole colme di gelo capaci di insinuarsi sotto pelle e le sue recriminazioni, scagliate come aghi che pungevano e iniettavano un veleno per cui non esisteva alcun antidoto. E sorrise un poco, Lindsay, sorrise di sincera serenità –La libertà è una cosa grandiosa, non trovi?- e le parve ridicolo porgere quella perla ad un ragazzo che non sapeva nemmeno dove stava di casa la libertà, che se voleva uscire per portarle dei soldi per la lavanderia doveva imbacuccarsi nemmeno si trovassero in Antartide. Ma non chiese scusa e nemmeno rettificò. Era ciò che pensava e se lo sarebbe fatto andare bene –E tua madre, la senti spesso?-

Annuì mentre un sorriso luminoso gli increspava le labbra –Ci sentiamo praticamente tutti i giorni!-

-Sono contenta per te.- lasciò cadere lo sguardo sul bancone, avvertendo il disagio propagarsi nel suo gracile corpo. Perché Emily era un argomento tabù, ma la stramba certezza che parlarne con lui non sarebbe stato così spiacevole come credeva, la lasciò interdetta per qualche istante. Giusto il tempo di vederlo alzarsi, giusto il tempo di vedere gli altri camerieri squadrarla per la sua immobilità. Giusto il tempo di rendersi conto che, una notte come quella, non sarebbe mai più ricapitata…

-Hyung! Le foto con le modelle!- Ri si sbracciò dalla balaustra lasciando che il cocktail si spargesse in giro.

-Meglio che vada o quello si ammazza.- mormorò il ragazzo guardando dietro sé, lasciandole alcune banconote sul bancone bagnato.

Lin storse il naso –Picchialo- lo vide arcuare le sopracciglia –Dopo toccherà a me pulire i suoi disastri.- con un cenno del viso indicò la figurina del maknae che continuava a versare la bevanda per terra, come se già il pavimento non fosse estremamente lercio.

Top gettò la testa in avanti a rise divertito, annuendo –Lo farò con piacere- si grattò la nuca turchese, volgendo il busto come se si stesse preparando a lasciarla sola ai suoi lavori -Comunque, è stato bello non litigare con te- e a quella frase sincera, Lin si ritrovò a coprire la bocca con la mano ingioiellata, incapace di trattenere le proprie labbra tremolanti, di non lasciarsi sfuggire una risata divertita. E imbarazzata, sotto il suo sguardo stralunato, si piegò leggermente, nascondendo il volto dietro i lunghi capelli mossi –Beh, che hai da ridere?!-

Sventolò una mano –No, scusa, è che— prese fiato –Anche a me ha fatto piacere non litigare con te.- ripeté pacata, mordendosi l’interno delle guance mentre lo vedeva scuotere la nuca divertito. E senza degnarla di un saluto a voce, limitandosi ad alzare la mano ricoperta di anelli che nemmeno nei peggiori negozietti di New York avrebbe scovato, Top se ne andò, lasciandola in balia di tutte quelle sensazioni che avevano cominciato a scalpitare nel suo cuore accartocciato. Facendolo battere, appena, ma poteva sentirlo…

 

-Dimenticavo…-

 

Alzò lo sguardo, infrangendosi contro la figura rigida e vagamente imbarazzata di Top. Lo studiò a lungo, non capendo cosa ci facesse ancora lì quando i suoi amici gli facevano segno di raggiungerlo. La sua mano si allungò verso di lei che, sorpresa, la squadrò come se fosse l’arto viscido di un alieno –Che ne dici di ricominciare da capo?-

Inclinò il capo –Eh?- Ma che cazzo gli prende?!

Sbuffò, roteò gli occhi al cielo –Senti, so di essermi comportato da stronzo- appunto –Ma nemmeno tu sei un mostro di simpatia—

-Bel modo di ricominciare da capo.-

-Oh, sei insopportabile!- agitò l’arto -Vuoi stringere questa mano, per favore? È già abbastanza imbarazzante così- Lin abbassò lo sguardo, lasciando che una risatina breve e divertita sfuggisse al suo controllo e dopo aver scosso la nuca, strinse la sua mano. Era molto più grande di quanto avrebbe mai potuto immaginare se paragonata alla propria. E lo vide sorridere, sincero -Choi Senung-Hyun, piacere.-

Lin sospirò, consapevole dei guai a cui avrebbe incorso d’ora in avanti –Lindsay Moore, piacere mio.-


 

E, per la prima volta, tutte le domande e i problemi scomparvero sul serio.


 

 


 


 

A Vip’s corner:

Premettendo che un aggiornamento così veloce non lo vedrete mai più (a meno che domani non mi presentino la lettera di licenziamento ò_ò) è con piacere che vi lascio il capitolo 9 pieno, come sempre, di pensieri. Ohohoh e ammetto, per una volta, che questo capitolo me piaz parecchio. Perché? Perché finalmente abbiamo scoperto qualcosa di più sui nostri adorati protagonisti e perché, FINALMENTE, la storia sta prendendo la giusta piega. Posso dirmelo da sola? Amo Lin e Top, li adoro ♥ Dopo questo piccolo sfogo da scrittrice in presa alle crisi di onnipotenza, torno coi piedi per terra, ovviamente attendendo i vostri giudizi che sono sempre ben graditi, sia in positivo che in negativo :)

Per Ji Yong… Care, sappiate che la scena dal suo POV è tutta per voi, che mi avete sommerso di domande a cui purtroppo non ho potuto rispondere. E lo so, è imperdonabile da parte mia non aver praticamente svelato nulla nemmeno qui, ma almeno adesso avete scorto un po’ di pensieri del nostro amato che non sono necessariamente da stronzo ;) Aaaah, lo amo ♥ Sì, pure lui ♫ E da brava stronza (mi odio) vi lascio con questo interrogativo: dov’è finito Ji Yong? xD

Che altro? Ah, sì, qui tutti odiano l’amore é_è Che catastrofica la vostra Heaven. Spero inoltre che Lin non vi stia apparendo troppo diversa dall’inizio. Che poi è così, ma penso che tutti i personaggi debbano evolvere e non possono restare ancorati al passato. Perciò, anche lei ogni tanto ha i suoi momenti di non scazzo ;)

Non mi dilungo oltre, care, passando ai miei adoratissimi ringraziamenti: Fran Hatake, hottina, MionGD, lil_monkey, Myuzu, Yuna_and_Tidus, luna_09 e YB_Moon mando come al solito un’infinita di amore per aver così carinamente commentato. Non ho davvero parole per ringraziarvi del supporto che continuate a darmi. Sappiate che lo apprezzo, sul serio ç_ç

Ringrazio anche chi ha inserito Something fra le seguite/preferite, ringraziando e invitando come sempre chi legge in silenzio a lasciare pure un segno del suo passaggio ^^.

Bacioni e alla prossima! (Ah, sì, perdonate eventuali orrori grammaticali!)

HeavenIsInYourEyes.

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Capitolo 10
*** Holding your hand ***


Capitolo 10

Holding your hand

 

 “ And I miss you when you're not around

I'm getting ready to leave the ground.

 

Oh you look so beautiful tonight

In the city of blinding lights”

-City of blinding lights, U2-

 


 


 

 

-Vai già via?-

 

GD guardò oltre la spalla, osservando con occhi sottili la ragazza seduta sul letto matrimoniale che, puntellatasi sulla mano sinistra, con l’altra teneva strette al seno le lenzuola bianche; come se ci fosse qualcosa da coprire che lui non avesse già visto… –C’è una festa. Te ne sei dimenticata?- tornò a dedicarsi ai lacci delle All Star con stampe a fumetti che richiedevano quel briciolo di lucidità che gli era rimasta in corpo. Ah, madornale errore da parte sua mischiare quel vino delizioso del ristorante più in di Seoul con rhum e pera al bar proprio di fianco al motel in cui aveva deciso di trascorrere qualche ora di sollazzo…

Il fruscio delle lenzuola, poi la sua voce bofonchiante -Ma io non voglio andarci.-

Un sollazzo che stava per trasformarsi in un gioco al massacro. GD buttò la testa in avanti, ancora frastornato dalla sbronza che non accennava a passare. Come se non bastasse, poi, ci si metteva quella ragazzina petulante che non sembrava intenzionata a lasciarlo andare.

Ma com’è che si chiama, sta qui? –Ma avevi detto che ti sarebbe piaciuto venire.- utilizzò il tono più dispiaciuto che possedesse nel repertorio, imbarcandosi poi con lo sguardo nella ricerca della maglietta svolazzata chissà in quale angolo polveroso di quella camera al quarto piano di un motel in periferia.

-E a me avevi detto che avremmo passato tutta la notte assieme.- stizzita, passò una mano fra i capelli scompigliati mentre si allungava a recuperare la pochette, lasciandosi mostrare in tutta la sua nudità. E GD, contemplando quel corpo sinuoso che aveva stretto per tutto il tempo, non provò nient’altro che noia, il solito tedio che tornava a fargli visita accompagnato dalla consueta vocetta che, cantilenante, ripeteva uno svagato Non è questo granché. Incredibile come l’alcool, a lui, suscitasse l’effetto opposto: quella ragazza dai lunghi capelli color miele, gli occhi resi enormi dalle lenti a contatto azzurre e le labbra ora arricciate, non gli pareva poi così tanto bella come aveva creduto prima che il rhum cominciasse a prendere possesso delle sue facoltà mentali. E se durante il sesso aveva creduto di avere una bomba sexy fra le mani, beh, ora non ne era più così convinto. Trattenne uno sbuffo, portando dietro l’orecchio le lunghe ciocche giallo fluorescente che pendevano dal lato destro della nuca –L’ho detto?- ed era serio, questa volta, maledettamente indeciso se credere di aver pronunciato una stronzata tanto colossale o se la stronzata di cui sopra fosse frutto di qualche fantasia allucinogena della giovane che, ora, litigava con l’accendino.

Ridacchiò al suo Vaffanculo! sgarbato, poggiando i gomiti sulle ginocchia, la mano che andava a reggere il mento: dove diavolo era finita la maglietta bianca? –Sì, che lo hai detto! Hai promesso che avremmo passato la notte assieme!-

Lusingato dal desiderio apparentemente insaziabile della giovane anonima che sembrava voler avere tutto per sé il suo corpo da adone, dovette prendere atto che, come da regole vigenti tra sé, il proprio cuore e il piccolo G-Dragon, non poteva soddisfare questo suo capriccio che stava andando per le lunghe. E che era in ritardo. E che Dae e Tae lo stavano bombardando di SMS e chiamate a vuoto.  Alzò le spalle, cercando di trattenere l’ironia scalciante che premeva sulle sue labbra sottili pur di uscire all’aria aperta -E non è quello che faremo?- buttò la testa all’indietro, osservandola al contrario –E poi siamo solo noi uomini che pensiamo sempre al sesso, eh?- vide i suoi occhi divenire due fessurine e le sopracciglia aggrottarsi così tanto che, ne era certo, le stavano facendo un male cane. Ma lui si limitò a sghignazzare, beandosi dell’imbarazzo che per un millesimo di secondo l’aveva zittita.

E fu in quel preciso istante, con l’odore di fumo che gli pizzicava gli occhi gonfi e le narici delicate, che la classica domanda che si poneva solo dopo una sana nottata in preda alla passione più viscerale, prendeva forma nella sua mente annebbiata: perché tutte volevano sempre qualcosa in più da lui? Ed era una domanda legittima, eh! Insomma, già il semplice fatto di poter sedere allo stesso tavolo con lui avrebbe dovuto portarle al settimo cielo, così come la sua volenterosa dedizione a cospargerle di frasi fatte spacciate per reali complimenti –e lui si ritrovava a provare pena per i loro ridacchi sommessi e imbarazzati- sarebbe dovuta essere apprezzata; se poi si aggiungeva la sua benevolenza nello scegliere il loro nome fra i centinaia che albergavano la rubrica del cellulare, beh, già questo non era abbastanza? Possibile che dopo aver goduto del suo corpo, necessitassero di ulteriori attenzioni? E lui, pur nella sua immensa capacità analitica, pur nella sua brillante genialità, non riusciva proprio a dare risposta a questa domanda che di banale non aveva nulla.

-Sei proprio impossibile- si lasciò sfuggire alterata, picchiettando due dita sulla sua spalla. GD si volse a fissarla, incrociando le sue vistose occhiaie –Ne vuoi una?- sventolò il pacchetto di Marlboro rosse. Conscio che l’accettazione di quella garbatezza avrebbe solo allungato il brodo di cazzate in cui stavano sguazzando allegramente, GD tornò a guardare davanti a sé, continuando a chiedersi dove fosse finita la malefica maglietta.

Scosse la nuca –Non mi va.- e non gli andava davvero. L’ultima volta che aveva accettato una sigaretta, non gli era andata granché bene e, sinceramente, non aveva voglia di essere di nuovo invischiato in una storia più grande di lui. Come avrebbe potuto sopportare un altro evento di tale portata, se le cicatrici della prima battaglia erano ancora aperte e fresche, logorate dagli sguardi accusatori di chi gli stava attorno che, invece, avrebbe solo dovuto credergli e supportarlo?

Scacciò quel pensiero con una strizzata degli occhi, pregando altresì che il mal di testa incipiente si placasse in quel momento. Ma quando avvertì lo stomaco contorcersi per il mix di vino e rum, si disse fortunato a non essere ancora crollato a terra in un lago di bile. Un profumo nauseante di mandorle investì in pieno le sue narici sensibilissime, provocando il terzo scossone al suo stomaco della serata di bagordi, e prima che potesse anche solo captare aria di pericolo imminente, due braccia sottili lo avvolsero per le spalle mentre un bacio delicato veniva posato sulla sua spalla. Arcuò le sopracciglia, infastidito da tutta quella libertà che quella sconosciuta si stava prendendo; e non perché lui fosse una celebrità e lei una conosciuta in palestra o al supermercato, no. Semplicemente, lui aveva bisogni dei suoi spazzi per poter respirare e quella stanza era diventata troppo piccola affinché ciò potesse avvenire -Una volta fumavi sempre dopo che facevamo l’amore.-

Una volta accettavo tutto da tutti, avrebbe voluto rispondere, limitandosi però a sventolare una mano invitandola al silenzio mentre l’irritazione cominciava ad annebbiare la sua calma ancora vigile. E avrebbe voluto controbattere con un sincero Anche tu una volta…, descrivendo minuziosamente ciò che in lei era cambiato dall’ultima occasione che avevano avuto il piacere di incontrarsi ma, beh, non ricordava assolutamente nulla di quella tipa né dei loro trascorsi appuntamenti. E poi, come se le sue celluline grigie avessero colto solo ritardo il messaggio che quella frase aveva voluto spedirgli, si ritrovò a dover trattenere le risate, ricacciandole in gola, assaporando la sgradevolezza della vodka mista a rum e vino: perché tra tutte le cazzate appena dette, tra tutte le stronzate partorite da inizio serata –come il suo salire in macchina e pronunciare a fior di labbra un colpevolizzante Non ti fai mai sentire-, ce ne fu una che scatenò la sua implacabile ilarità e che andò a stuzzicare la cattiveria sopita: dopo che facevamo l’amore. Perché lui non faceva mai l’amore, mai! E badare bene, questa non era una sottigliezza, c’era una marcata differenza tra il sesso -puro e semplice sfogo dei propri istinti- e l’amore -e no, quello che loro avevano appena consumato, era solo una passione svanita con i loro gemiti, sfumata nell’esatto istante in cui, a piacere raggiunto, si era adagiato al suo fianco scansando le sue braccia che avevano cercato di avvolgerlo per la vita-.

Perché Ji Yong era fatto così. Si prendeva ciò che loro avevano da offrirgli senza nemmeno chiedersi cosa volessero in cambio, che poi si riduceva ad un’unica questione: l’amore. Sembrava che l’universo femminile con cui lui aveva il piacere di giocare, ruotasse intorno a quell’unico perno che, logoro, non sembrava comunque volersi sfaldare. Ed era assolutamente divertente osservare come quelle si alterassero quando, a fine serata, le riportava a casa senza regalare loro il bacio della buona notte, senza lasciarsi alle spalle un sognante Ti chiamo io appena posso, senza concedere il bis della loro avventura di qualche ora. Ma ancora più strabiliante, era la loro straordinaria capacità di assumere la stessa espressione sdegnata, delineata dai lineamenti contratti in una smorfia di pura collera sul volto sciupato per l’alcool e il sonno interrotto, quando le chiamava con il nome sbagliato. E poco importava che fossero straniere o coreane, alte o basse, di colore e dall’incarnato della luna, tutte reagivano alla stessa, identica e deliziosa maniera: lo mandavano al diavolo –qualcuna osava un po’ di più, concedendogli una sberla sulla guancia-, sbattevano la portiera dell’auto pregna delle loro piacevoli imprecazioni che altro non facevano se non beargli le orecchie e lo lasciavano solo, con la nuca appoggiata contro il sedile e la sua risata divertita a corrodergli la gola, avvertendo la solitudine ritornare prepotente a fargli compagnia.

Perché l’amore era quello spingersi oltre le soglie della comprensione, dei propri limiti e tutto solo per sentirsi pienamente completi con quella che, apparentemente, sarebbe stata l’unica capace di far sparire davvero tutti i problemi che lo circondavano…

 

-Quando presenterai una bella ragazza a tua madre?-

-Mamma, non ne ho il tempo.-

Un sorriso leggero –O in realtà non vuoi presentarmela?-

Arrossì, nascose le labbra dietro la sciarpa –Non c’è nessuna…-

 

Perché quando sparivano dalla sua vista, lasciavano dietro sé solo un enorme vuoto, incolmabile, un nero in cui lui ormai aveva deciso di lasciarsi annegare senza nemmeno cercare un appiglio e dubitava che una sventola come quella dietro di sé potesse essere così speciale da aiutarlo a tornare in vita…


 

-Oi, ti ho dedicato una canzone.- sventolò il foglio.

Il suo sorriso sornione –Bastava un “ti amo”.-

Arrossì imbarazzato. Si grattò la nuca.

Lei gli sfiorò la punta del naso con le labbra -Ti amo anche io, lo sai?-

 

E in quella camera sommersa dal rumore esterno della caotica Seoul notturna, sentiva che le rogne erano ancora lì, a premere come macigni sul suo cuore ora chiusosi a riccio. Ma, ancora peggio, i ricordi erano tornati a bussare alle soglie della sua mente…

 

-Perciò è un addio?-

Annuì con la nuca, nascondendo il volto dietro i lunghi capelli neri.

Seguì la scia della gocce sul vetro del locale –Nemmeno tu mi credi?-

Il volto incassato nelle spalle –Non lo so, non so più niente.-

Nascose gli occhi sotto il capello, avvertendoli pizzicare.

Il suo singhiozzo sommesso, poi la fine –Non credo di amarti come prima.-

 

I suoi polpastrelli che scorrevano sull’addome piatto, segno che non voleva lasciarlo andare senza averle almeno concesso il secondo round, lo ridestarono. E sarebbe potuto restare lì, dimentico della festa a cui ormai sarebbe giunto tardi, ma non era solito concedersi una seconda volta alla donna di turno, così come non era abituato a svegliarsi con una ragazza al proprio fianco. Decisamente, se si fosse ritrovato investito dai raggi dell’alba al fianco di qualcuno, probabilmente significava che le ali dell’amore avevano deciso di trasportarlo con loro o, più semplicemente, che la sbronza presa fosse stata una delle più epocali che avesse mai avuto. Ma non volle pensarci, non con lei che gli aveva appena slacciato la cintura faticosamente cercata.

-Oh, ecco la maglietta- si alzò con noncuranza, riallacciandosi la cintura mentre si piegava verso l’indumento stropicciato che si era nascosto vicino al cuscino della poltrona posta di fianco alla porta -Allora, vieni o no?- lisciò la maglietta bianca, portando le mani sui fianchi mentre cercava la giacca nera del completo. E quando la vide scuotere la nuca, un moto di sollievo distese tutti i suoi nervi tesi –Come ti pare.- sbuffò, godendo del suo mordersi il labbro inferiore per il senso di colpa.

La vide titubare, rivestita di incertezza mentre spegneva la sigaretta nel posacenere posto sul comodino -A te farebbe piacere?- uno sbuffo misto a risata scappò al suo controllo e GD, maledicendo l’alcool che non gli dava tregua, evitò accuratamente di replicare ad una domanda tanto idiota. Aveva bisogno davvero di esprimere a parole quella che era la situazione attuale, doveva per forza cimentarsi in una peripezia tanto scialba? Era palese che non gli sarebbe dispiaciuto ma che nemmeno gli avrebbe fatto piacere. Semplicemente, non gliene fregava niente. Ma quella, sembrò non capire l’antifona perché dopo aver sospirato, lo guardò scongiurante -Resta qui.- fu un bisbiglio ovattato, reso ancora più ridicolo dallo sguardo ripieno di amore disilluso che gli stava rivolgendo con quanto più sentimentalismo avesse.

E a quel punto, baciato dall’immane bontà che aveva deciso di non farlo passare per lo stronzo della situazione, Ji Yong comprese come fossero ormai giunti al limite della loro chiacchierata inutile quanto delucidante. Ma sapeva che avrebbe dovuto portare lui quel discorso ad una conclusione. Si avvicinò a lei, mani in tasca e sguardo svagato, un leggero sorriso a monito del suo menefreghismo in quella patetica scenetta da film di serie Z mentre si chinava sulle sue labbra, soffiando un sincero –Sono in ritardo. Devo andare- che la fece rattristare ancora di più. Le portò dietro l’orecchio una ciocca di capelli –Magari la prossima volta, d’accordo, Kazumi?-

Come da copione, la ragazza si rabbuiò. Già visto… -Mi chiamo Kazuko- soffiò velenosa, continuando a fissargli le labbra –Hai continuato a ripeterlo mentre facevamo l’amore.-

GD allargò gli occhi, sorprendendosi con sé stesso per non essersi ricordato un nome tanto banale. Il sorriso, se poi possibile, si allargò ancora di più mentre la sua ultima frase andava a stuzzicare la bastardaggine che continuava ad urlare prepotente affinché desse il colpo di grazia a quella ragazzina. E prima che potesse ventilare l’idea di spifferare tutto sulla soglia, così da sfuggire alle sue grida funeste, le parole si sparsero nell’aria con genuinità, come se fosse sempre state lì –Ti svelo un segreto: era solo sesso.-

Lo schiaffo risuonò secco nell’aria colma di tensione e che odorava ancora dei loro gemiti sopitisi da parecchi minuti,  mischiandosi al fiato corto della ragazza che, in quel gesto così ormai abituale per lui, doveva aver incanalato tutto il proprio disprezzo. GD si allontanò, massaggiandosi la guancia dolente con i polpastrelli, un sogghignò a deformargli le labbra sottili –Resterà il segno della mano.- mormorò placido, ridacchiando nell’udire la sua imprecazione tremante.

STU-PEN-DO.

Fu semplicemente stupendo lo sguardo colmo di ira che gli riversò contro mentre il fiato diveniva pesante. La sua mano ancora a mezz’aria, l’altra stretta intorno al petto per coprirsi, e gli occhi talmente lucidi e gonfi che avrebbero lasciato presagire un pianto da cuore appena spezzato. Perché lo aveva sentito chiaramente il crack del suo cuoricino che cadeva in mille pezzi quando aveva mormorato, con noia, il nome sbagliato. E non aveva provato altro che felicità, solo pura estasi nel vederla ora muoversi veloce e seccata fra le lenzuola nella disperata ricerca dei vestiti persi chissà dove -Sei solo uno stronzo.-

Ghignò, questa volta consapevole e d’accordo con lei –Lo so- recuperò la giacca di paillettes nere, indossandola con quanta più lentezza possedesse pur di godere ancora della sua rabbia che non faceva altro che alimentare il proprio divertimento. Perché se tutte le donne con cui aveva a che fare erano di una noia mortale in quanto a parole, gesti e comportamenti, quel loro modo di struggersi per aver appena compreso di essere state solo l’avvenuta di una notte, era una scena talmente tanto idilliaca che non poteva proprio farne a meno. Così si appoggiò al muro rivestito da carta da parati scrostata e bianco tenue, osservando ogni sua movenza nervosa e il suo tremore –Vuoi un passaggio a casa?-

Alzò il medio –Fottiti.-

Oh, che sublime visione quella della martire che si apprestava a raccogliere i cocci del proprio amore ormai a pezzi. La guardò di striscio… Come aveva potuto trascorrere la serata al fianco di tanta banalità?

Non seppe rispondersi e nemmeno ci provò. Sentiva solo l’impellente bisogno di aria, di sonno, e di gettarsi alle spalle quella stanza troppo minuscola per lui. Troppo stretta per contenere tutti i suoi ricordi –Beh, allora, buona serata.-

-Vai al Diavolo!-

Chiuse la porta dietro sé, avvertendo il rumore del posacenere che si infrangeva contro la superficie di legno. Vi si appoggiò contro, portando una mano alle labbra mentre la risata a lungo trattenuta sfuggì al suo controllo, librandosi nel corridoio buio e lungo del motel. Il cellulare vibrò di nuovo e con sguardo annoiato, cercò di mettere a fuoco il nome del rompipalle: Choi Seung-Hyun. Fantastico… Possibile che solo con la forza di uno squillo fossero capaci di punzecchiare il senso di colpa?

Premette il tasto verde e con voce funerea e biascicante esalò un pratico –Arrivo.- senza nemmeno attendere una risposta.


 

Il problema fu che al Tribeca non ci arrivò mai. O per essere più precisi, ci arrivò, sbandando di tanto in tanto nella corsia e rischiando di sfracellarsi contro qualche auto, ma si fermò nel retro del locale, proprio seduto tra i cassonetti dell’immondizia, nel vano tentativo di riprendersi prima di posare la converse nel locale. Perché la nausea aveva cominciato a premere contro la bocca dello stomaco e la vodka, il rum e perfino il vino avevano deciso di organizzare un rave party nel suo organismo ora decisamente debilitato. E sapeva, sapeva benissimo che lo Hyung non avrebbe fatto altro che rimproverarlo se lo avesse trovato in queste condizioni, Tae avrebbe solo sospirato ad intervalli regolari di trenta secondi, Dae lo avrebbe guardato con sguardo da mamma incazzosa e Ri lo avrebbe abbracciato pregandolo di restare nel mondo dei vivi. Un quadretto decisamente aberrante, convenne con quel poco di lucidità che gli era rimasta in corpo.

E come se non bastasse, al saporaccio del mix di alcolici, si aggiunse un odore nauseabondo di spazzatura misto e fiore di loto, qualcosa di assolutamente disgustoso…

-Oi, scusa! Non ti avevo visto!-

Che per di più aveva una vocetta stridula e vagamente familiare. Velata di una strana preoccupazione che non riuscì a definire. Con sforzo sovrumano, GD aprì un occhio, continuando a premere il palmo della mano contro la bocca, evitando così scene imbarazzanti.

-Chi sei?- domandò frastornato, la testa appoggiata contro il muro di mattoni e lo sguardo vacuo mentre cercava di mettere a fuoco quella stramboide che non accennava a girare i suoi tacchi dieci.

-Chi sei tu!- No, ti prego, non rendere tutto più difficile…

-Ma te l’ho chiesto prima io.- sbuffò seccato, massaggiandosi la fronte con il pollice e l’indice.

Un velato –Oh, già…- si sparse nell’aria e a quel punto, comprese di avere a che fare con una demente -Sono Psylocke!-

Psy… Cosa?!

Strabuzzò gli occhi, sfruttando quel briciolo di raziocinio che era passato di lì per studiare l’evolversi della situazione e finalmente, mise a fuoco la fonte della sua emicrania pulsante: era una ragazzina bassa, ma davvero bassa eh, e minuta, vestita con un costumino intero viola scuro di latex a collo alto con un foulard lungo e bordeaux legato in vita. In poche parole, aveva a che fare con una prostituta o una appena uscita da un ritrovo per Nerd appassionati della Marvel, ma poco gli importava. A lui importava solo vomitare o dormire…

-Oi, sicuro di stare bene?-

E possibilmente, che quella tappa chiudesse la bocca.

Avvertì la sua mano ingioiellata sulla fronte corrugata, ma non la scacciò, non ne ebbe la forza –Sei pallido- constatò scioccamente, il tono di voce stranamente preoccupato. E mentre lei studiava il suo volto smunto e cadaverico, Ji Yong si chiese come mai una perfetta estranea dovesse accertarsi delle sue sanità fisiche e mentali quando avrebbe potuto abbandonarlo al suo destino in mezzo all’immondizia che, se Ri fosse stato lì, avrebbe di sicuro detto che se lo sarebbe meritato. Ma poi, come in un incubo che prende vita, udì il suo gracidio acuto capace di perforargli i timpani e il cervello mentre i suoi pollici continuavano a compiere movimenti circolari sulle guance ora tirate e rosse –Ma tu-tu-tu—

No, ti prego, non una fan, ti prego…

GD chiuse gli occhi, preparandosi al peggio –Tu sei— emise un urletto, lasciando finalmente andare il volto martoriato, cominciando a saltellare sul posto –Pensavo non arrivassi più!- aveva pronunciato il tutto con tono da oltretomba, talmente tanto cavernoso che per un attimo si chiese se non fosse Top vestito da succinta supereroina quella davanti a sé. Ma da che ricordasse, lo Hyung aveva corti capelli azzurri, non lunghi capelli rosso fuoco.

-Tadan!- canticchiò aprendo le braccia, tornando poi a massaggiare lo stomaco –G-Dragon per servirla- ridacchiò di fronte allo sguardo allucinato della tappetta divenuta viola –Sai? Dovresti respirare.- sussurrò suadente, anche se dal tono biascicante sembrava più un maniaco all’angolo della strada che un playboy incallito.

-Perché non sei con gli altri?- squittì dopo aver scosso la nuca, portando le mani dietro la schiena mentre si piegava con il busto verso di lui.

GD storse il naso quando percepì l’odore di loto proveniente dai suoi capelli mossi, ma al posto di spingerle il volto lontano, così da poter respirare, si ritrovò a giocherellare con una ciocca boccolosa di quella matassa morbida –Sembra un gatto.-

-Gli altri sanno che sei qui?- c’era una strana dolcezza in quella voce ora bassa, come se volesse che nessuno si accorgesse di loro. Come se volesse tenerlo per sé…

Fece dondolare l’indice mentre arricciava le labbra –No-o.-

-Beh, allora andiamo da lo— tirò il foulard bordeaux per attirare la sua attenzione ora rivolta alla porta secondaria, ma qualcosa andò storto nel suo gesto delicato, perché un altro squittio uscì dalle sue labbra e uno strano scalpiccio fece ridestare la lucidità momentaneamente sopitasi… E prima che potesse rendersene conto, Psylocke era seduta a cavalcioni su di lui. E sarebbe stato afrodisiaco vedere la linea dei suoi occhi contornati di viola e nero allargarsi a dismisura, vedere il suo incarnato pallido imporporarsi per quella posizione sensuale che avevano assunto con naturalezza, vedere le sue labbra color ciliegia serrarsi per l’imbarazzo…

-Puoi alzarti? O chiudere le gambe, è uguale.-

Ma era ubriaco, e la sua mente aveva cominciato a ragionare a compartimenti stagni. Inoltre il suo buon gusto continuava a ripetergli che possederla tra i cassonetti dell’immondizia non era esattamente una prova d’alta classe. La ragazzina premette le mani sulle sue spalle e con un gesto veloce si rimise in piedi, sistemandosi meglio il costumino mentre biascicava qualcosa di assolutamente incomprensibile. E fu eternamente grato alla vergogna che l’aveva fatta ammutolire, beandosi di quel dolce silenzio che li aveva circondati; un silenzio che fu breve, spezzato dalla sua vocetta tremante –Ahm, dovresti andare dagli altri. Ti-ti staranno aspettando.-

-Forse dovrei- Ma non mi va… Sbuffò sonoramente. Posò le mani sul terriccio e dandosi una leggera spinta, continuando a restare appoggiato contro il muro, cercò di mettersi in piedi, ma quando la testa cominciò a vorticare e fargli vedere il mondo al contrario, si lasciò scivolare contro la ruvida parete di mattoni, sghignazzando come un cretino –Anzi no, resto qui.- cinguettò facendo ciondolare la nuca mentre udiva le note di Rain over me proveniente dalla sala da ballo.

Psylocke si mise a braccia conserte, mugugnando un incerto –Sei ubriaco?- in cui poté scorgere un pizzico di disapprovazione. Oh, quale gioia perdere una fan nella stessa sera in cui aveva cancellato il numero di un’amante dalla rubrica telefonica.

E dopo aver morso la lingua, alla ricerca vana di una scusa plausibile, si ritrovò a gesticolare con il pollice e l’indice –Un pochino.- esalò prima di scoppiare a ridere e stropicciarsi il volto ora contatto in una smorfia di fastidio. Beh, che è quella faccia?, avrebbe voluto chiedere, sentendo il nervoso scorrere in ogni vena e capillare quando la vide roteare gli occhi e arricciare le labbra a forma di cuore. E prima che potesse anche solo provare a trattenerla, quella si allontanò, lasciando dietro di sé il rumore dei tacchi sui ciottoli, la porta che sbatteva e il nauseante profumo di loto.

-E’ sempre la stessa storia.- soffiò apatico, chiudendo gli occhi mentre posava la nuca contro la parete, le gambe distese e le mani giunte sul ventre gorgogliante. Perché certe cose si ripetevano sempre, nella solita maniera irritante e logorante. Gli sguardi di biasimo, le parole taciute e il loro dargli le spalle senza nemmeno attendere una spiegazione. Lasciandolo solo, come un reietto della società. E non si stupì quando la vide andarsene, perché le fan sono fan quando fai belle canzoni, quando posi per riviste, quando fai dei nuovi video, quando ti mostri impeccabile ad ogni rivista… Ma le sfumature, quelle loro non le coglievano. Li idealizzavano e quando veniva sbattuta in loro in faccia la cruda realtà, cosparsa dalle loro innumerevoli imperfezioni, la magia svaniva. E tutti lo lasciavano solo…

Questo dovrebbe darti un po’ di sollievo.-

Ma qualcuno tornava.

Aprì un occhio, incapace di mascherare la sorpresa, avvertendo qualcosa di umido sulla fronte ora solcata da piccole rughe tanto era corrugata. La tappa dai capelli rossi gli aveva posato il foulard bordeaux del costume sulla fronte e glielo aveva legato a mo’ di bandana. Si ritrovò ad appiattirsi contro la parete, sopraffatto da quel gesto di assoluta amorevolezza che solo sua madre, da piccino, gli aveva rivolto.

-Va un po’ meglio?-

Annuì -Ma chi sei?-

Sbuffò appena -Dai, possibile che non ti ricordi di me?- 

Ridacchiò –Io non ricordo il nome di quelle che mi porto a letto- serafico, appoggiò la nuca contro il muro, lasciando che la testa girasse –Mi spiace, ma siete un po’ tutte uguali.-

La sua vocetta acuta gli perforò la testa –Ma noi non siamo andati a letto assieme! Me ne ricorderei!- agitò le mani, lo sguardo ripieno di amarezza -Se fosse successo, avrei tappezzato il mio santuario con le foto di noi due abbracciati!-


 

Tirò le sue ciocche colorate -Senti, posso staccarti una di queste?-

Represse l’istinto di staccarle la mano a morsi.

Sai, ho un altarino con tutte le tue foto nel mio armadio!

 

E come un flash, ricordò tutto: il karaoke, il suo ostinarsi a cantare nonostante la voce sgraziata, il suo continuare a stropicciargli il viso con le sue zampacce esponendo tutto ciò che le passava per l’anticamera del cervello.

-Oh, no, non tu.- biascicò rassegnato.

E lei partì per la tangente –OhMioDio G-Dragon si ricorda di me!- l’ennesimo urletto della nottata –Ma è fantasti—

-Non urlare!- si tappò le orecchie –Senti, che ne dici di lasciarmi qui? Tu vai a salvare il Mondo mentre io resto--

Un calcio al terreno lo fece bloccare -Ma non puoi stare qui fuori!- quella continuava a starnazzare incessantemente, lui voleva solo vomitarle sugli stivali lunghi fino a metà coscia –Conciato così, ti scambieranno per immondizia!-

Sventolò le mani -Lasciami morire.-

-Pazzo!- gracidò in preda ad una crisi isterica. Ma lui, ormai, era già bello che pronto a infilarsi nel proprio mondo. Udì uno sbuffo leggero, lo scalpiccio dei ciottoli, come se qualcuno si stesse muovendo sul terreno, e due mani che lo aiutarono a reggersi in piedi –Andiamo, ti porto dentro.-

E prima che potesse rendersene conto, si ritrovò sollevato da terra, trascinato chissà dove. E, a dir la verità, non gliene fregava poi granché. Per quanto lo riguardava, potevano anche chiuderlo in uno stanzino, gettare la chiave e poi venirlo a svegliare l’indomani. Possibilmente con una pastiglia contro il mal di testa, grazie –Dove stiamo andando?- portò una mano alla bocca dello stomaco, avvertendo l’impellente bisogno di rigurgitare.

-Stai buono- mormorò con pacatezza, la fatica percepibile ad ogni suo respiro mentre si faceva forza nel sorreggerlo; provò a darle una mano, ma le gambe erano diventate due cubetti di burro che si stavano fondendo al sole. Decise di lasciarsi trascinare, pregando che la meta fosse ormai a pochi centimetri. Non seppe quanto tempo impiegò, anzi, giurò di aver sonnecchiato per almeno metà del tragitto, ma quando udì la sua vocetta colma di gioia trillare un euforico –Siamo arrivati, finalmente!- si disse che mai suono più bello fosse giunto alle sue orecchie ronzanti per il frastuono proveniente dalle sale adiacenti. Si lasciò adagiare su di un divanetto pieno di giacche e borse, poi chiuse gli occhi per cercare rifugio da tutto quel frastuono –Oi, tu resta qui, eh. Io vado a chiamare gli--

-Non andare dagli altri!- non credeva di aver stretto il suo polso sottile con così tanta energia, ma quando udì il suo squittio, allentò la presa –Non voglio vederli, non in queste condizioni- mormorò scioccamente, passandosi una mano sul volto quando si rese conto della cazzata appena detta –No, niente, lascia perdere.- ma la ragazzina non aveva ascoltato nulla del suo strambo blateramento, perché quando ebbe finito di parlare, quella aveva appena cominciato una concitata discussione al cellulare rosa da cui pendevano troppi gingilli di dubbio gusto –Liiiiin, non ci crederai mai, sono con G-Dragon!- chiuse gli occhi al suo starnazzamento perforante. Ma perché le fan erano tutte così rumorose?

-Oi, America!- biascicò alzando la mano libera, ridendo al pensiero che Seung-Hyun, in quel momento, se si fosse trovato con lei avrebbe smadonnato per quella sua interruzione. Era così tenero quando aveva a che fare con una ragazza; diventava un pezzo di pane che si nascondeva dietro l’aria da duro e puro capace di risolvere ogni impervio pericolo. E invece era solo un ragazzo incapace di cogliere ogni più piccola tonalità di ciò che lo circondava, ritrovandosi a vagare nella viscosità del proprio orgoglio che non gli permetteva di esporsi. Se fosse stato lucido lo avrebbe preso per il culo, ma aveva il vago sentore che sarebbe stato lui a farsi beffe delle sue condizioni. E proprio quando credette di aver dato fondo a tutta la propria scemenza, ecco che le parole uscirono veloci e implacabili mentre le strappava il cellulare di mano -Ji Yong a comando stellare, Ji Yong a comando stellare! Mi riceve—

Ginko scacciò le sue mani -Vi prego, correte!-

-Ho un serpente nello stivale!-

-Hai sbagliato personaggio!- il click del cellulare, poi di nuovo il silenzio –Adesso arrivano.- mormorò delicata, il pollice che carezzava la mano che continuava a stringerle con apprensione, quasi avesse paura di restare da solo in quel camerino troppo piccolo per contenere le sue paure e la sua pazzia dilagante. E per la prima volta da che le cose avevano cominciato a sfuggirgli di mano, preso in contropiede dalla garbatezza di quell’esserino saltellante e privo di nota, con la strana convinzione che non tutte le persone buone fossero scomparse, si ritrovò a mormorare uno strascicato –Come hai detto che ti chiami?- che la fece voltare in tutta la sua confusione. Pose una mano davanti agli occhi stanchi, abbagliato da tutta quella luce.

Le sue labbra si aprirono in un sorriso -Ginko Fujii.-

-Ginko Fujii…- si limitò a ripetere, massaggiando il mento sbarbato. Non le avrebbe detto grazie, nulla di tutto questo. Far finta di ricordarsi il suo nome sarebbe stato già un bel gesto da parte sua…

 

-Oi, come stai?!-

Volse il volto verso l’entrata, infrangendosi contro la figura di un Top affannato e vagamente preoccupato. Provò a cercare tracce di rabbia, ma non ne trovò. Uff, se però non si incazzava, era ovvio che il senso di colpa avrebbe pestato i piedini, dannazione!

-Oh, Hyung!- alzò la mano libera in segno di saluto –Wonder Woman, ci sei anche tu?-

-Questo è flippato.- borbottò Lin chiudendosi la porta alle spalle.

GD storse il naso –Nah, sono solo ubriaco!- lo sbuffo pesante di Seung-Hyun lo costrinse a continuare -Ti giuro, questa volta è stato solo rum—

-Ji Yo—

-Con un po’ di vodka, forse—

-Oi, Ji—

-E va bene, va bene, come sei pesante!- Top grugnì, esasperato –Ammetto che c’era anche il vinello- e poi, mentre la sua risata leggera si spense, d’improvviso, avvertì le sue unghie conficcarsi nella pelle sottile del palmo di Ginko mentre la mano libera andava a stropicciarsi il volto contratto in una smorfia di velata sofferenza -Però questa volta non l’ho presa.- che fu un sussurro, un suono intriso di implorazione affinché lo credessero. Lui stesso si stupì della propria fragilità in quel momento di assoluto estraniamento. Perché non sopportava i loro sguardi compassionevoli, il loro cercare di non sembrare turbati quando era palese che avrebbero voluto essere da un’altra parte. Ma non avrebbe sopportato un altro giramento di spalle, non avrebbe retto…

-Sarà meglio andare- la voce cavernosa di Top sembrò lontana, ma si rese conto di quanto lui fosse in realtà vicino –Tae ci aspetta in macchina.- aggiunse pacato, aiutando Ginko a liberarsi da quella morsa.

E poi, mentre avvertiva le sue braccia circondargli il petto per poterlo sollevare, mentre si aggrappava a lui per non cadere a terra, mentre la sua risata sciocca si spargeva nell’aria, un pensiero opprimente e costante gli sfuggì –Mi credi che non c’entra?- e lo aveva mormorato con esasperazione, guardandolo negli occhi –Questa volta non ho preso la Marjuana, non— si passò una mano sul volto, stropicciandolo.

Lin aprì la porta -Dategli acqua e limone, e buttatelo sotto l’acqua gelata.-

-Com’è che sei così esperta?!- lo squittio della nana salterina gli perforò i timpani. Strinse gli occhi con forza per non perdere i sensi, anche se i suoi piedi cominciavano a strisciare sul pavimento appiccicoso mentre veniva trascinato da un Top troppo silenzioso.

-Il decalogo del bravo ubriaco insegna: mischiare non è mai una buona cosa.-

-Ma la smetti con questi Comandamenti sulle sbronze?!-

E chiuse gli occhi, ormai incapace di distinguere le ombre attorno a sé. Però c’era quel dolce profumo di loto e la voce di Top che non sembrava così arrabbiato. E, chissà perché, non riuscì a lasciarsi indietro la dolcezza che quella notte lo aveva investito…


 

C’era luce quando i suoi occhi si aprirono, infrangendosi contro il soffitto color panna su cui svettavano alcune ombre allungate e mescolate tra loro; per un fugace istante gli parve di essere tornato bambino, quando sua madre si sedeva al bordo del letto e cercava di creare le classiche ombre cinesi, anche se alla fine non le uscivano granché bene. Però lui rideva, sempre. E lei lo abbracciava, ogni pretesto era sempre buono per abbracciarlo.

Era stato…

Storse il naso quando una fitta alla testa lo costrinse a strizzare gli occhi e nel portare una mano allo stomaco  –che probabilmente al posto di digerire tutti quei litri di alcool, stava disputando una partita di Hockey- si rese conto che qualcosa lo stava stringendo alla vita. Anzi, ad onor del vero, qualcuno… Così come qualcuno aveva deciso di usare le sue gambe come cuscino mentre qualcun altro si era premurato di far loro da cuscino. E se non fosse stato appena poco lucido, probabilmente avrebbe pensato che quello spettacolo assurdamente infantile ma capace di scaldargli il cuore, fosse solo frutto della sua immaginazione: perché quel SeungRi che lo aveva stretto per la vita, parlottando nel sonno e ridendo come il demente che era, non era un’allucinazione. E poi c’era Taeyang che, con naturalezza invidiabile, riusciva a sonnecchiare sulle sue gambe sottili, appoggiate sulle cosce di un Daesung che, braccia conserte e testa ciondolante, poggiava contro la parete dalla carta da parati a righe bianche e azzurre.

Si sollevò appena, quel tanto che bastava per osservare con maggiore attenzione il quadretto bislacco senza però distruggerlo. Perché c’era tanta amorevolezza nel loro silenzio, tanta amicizia nel loro stargli accanto… Tanto calore da bruciare ogni fibra del suo essere. E quel calore improvviso divenne gelo quando si rese conto che lo Hyung di casa mancava all’appello…

 

-Ben svegliato.-

 

Riscoprendosi piacevolmente sorpreso nel ritrovarselo a pochi passi da sé, più precisamente seduto sul pouf nero proprio sotto la finestra dalle tapparelle abbassate, intento a sfogliare un libro –Credo che il nostro maknae voglia diventare un magnate- sventolò il piccolo tomo, rivolgendogli un breve sorrisetto –Ha solo libri su come fare soldi o dove investire i propri capitali.- e se il rhum non avesse deciso di raschiargli la gola con la propria vivida presenza, probabilmente avrebbe riso con lui. Senza cattiveria, di gusto. Ma non fece nulla se non guardarlo con un occhio chiuso e l’altro mezzo aperto, mettendo a fuoco la situazione in cui gravava.

-Ma che ore sono?-

-Le sei, credo. Non lo so- si stropicciò gli occhi gonfi –Stai un po’ meglio?-

Scosse la nuca, continuando a tenere la mano sul ventre che faceva le capriole –Ho esagerato, questa volta- lo guardò di sottecchi e solo quando appurò di avere la sua attenzione, seguitò -Oi, ieri dicevo sul serio- deglutì, storcendo il naso quando avvertì l’amaro del rhum ripercorrere tutta la gola –Non ho preso l’erba.-

Il silenzio li avvolse per qualche istante, giusto il tempo di sentire un paio di macchine sfrecciare nella loro via, poi ci fu il sospiro di Top -Lo so- c’era sincerità nella sua voce profonda, come un padre che veglia sul figlio che ha commesso qualche grave cazzata. Perché ubriacarsi fino a perdere i sensi durante una festa comunque di lavoro, era da catalogarsi come grave cazzata, no? –L’ho sempre saputo, sai?- con un cenno del capo, indicò gli amici –E anche loro, sempre. Non abbiamo mai messo in dubbio la tua parola.-

Si inumidì le labbra, chiedendosi cosa Diavolo fosse quel senso di nostalgia che si era impossessato di tutte le sue emozioni. Da quanto non chiacchierava in maniera così fraterna con Top? Da quanto non si trovava così bene con loro? Eppure… Eppure c’era un tarlo fastidioso, qualcosa che continuava a premere contro la sua bontà affinché restasse relegata nell’angolo più buio del suo cuore -Però siete scomparsi.-

-Avevamo paura- poggiò la testa contro il muro, togliendosi gli occhiali mentre massaggiava le palpebre –Prima te, poi l’incidente di Dae. Ci è piovuto tutto addosso in così poco tempo che non sapevamo come comportarci- rise appena –Ti ricordi quando, durante le prove per il concerto di Se7ven, Tae si era fatto male e noi tre eravamo rimasti immobili, spaventati?-

GD scoccò la lingua –Quanto mi sono incazzato! Sembravate arrivati lì per caso!-

Seung-Hyun rise –Già. Beh, ecco, credo che la situazione per noi fosse più o meno quella- tornò serio, fissando un punto indefinito –Credo che sia così quando due solidi pilastri crollano, no?-

GD guardò il soffitto -Credo che tutto sia sfuggito al mio controllo.- mormorò sincero, massaggiandosi la fronte con le nocche. La testa pulsava, lo stomaco faceva le capriole e il cuore premeva. Se non fosse stato troppo concentrato a non vomitare sul letto, probabilmente avrebbe lasciato uscire le lacrime che, prepotenti, premevano per essere liberate. Ma non avrebbe pianto, ormai non piangeva più. Perché piangere era da deboli, rendeva gli occhi gonfi e rossi e non aiutava a migliorare le cose. Di certo, in quella stato, non lo avrebbe aiutato a scacciare la nausea.

-Si sistemerà tutto.-

L’angolo destro delle labbra guizzò all’insù –E se non dovesse?-

-Ci saremo noi a prenderti a calci fino a che non rinsavirai- e lì, dopo tanto tempo, scoppiò a ridere seriamente divertito, portando una mano sulla bocca per contenersi. Il maknae mugugnò un versaccio nel sonno, come infastidito dal loro chiacchiericcio –Mi fa pena, sul serio. Ha bevuto tutta la notte.-

-Il cucciolo segue sempre le orme del capo branco.- gli scompigliò i capelli, ridendo quando lo sentì fare le fusa. Ah, il suo adorato maknae. No, non lo avrebbe cambiato con nessun tesoro al mondo.

Avvertì le pagine del libro che venivano girate, poi la voce seria seria di Top -Forse dovresti ringraziarla, sai?-

-Chi?- lo guardò di sbieco, un sogghigno sul volto sottile e pallido –La tua amata?-

Top roteò gli occhi –Ma se non ha fatto niente?-

-Oh, quindi concordi che è la tua amata?-

-Cos-? No!- non riuscì a comprendere se era uno scherzo ottico dovuto alla fioca luce che lo illuminava o se per davvero le sue gote avessero assunto una tinta purpurea, ma si beò della sua espressione imbarazzata che, da tanto ormai, non vedeva su quei lineamenti marcati. Decisamente, la venuta di Lindsay Moore era stata una manna dal cielo. Che fossero lodati tutti gli dei, nessuno escluso! Avvertì il suo sospiro pesante –Certo che anche da sbronzo sei proprio un rompipalle.-

-Dici così, ma lo so che in realtà mi ami.-

L’imprecazione di Top aleggiò per la stanza, leggera e appena sussurrata, cosicché solo lui potesse avvertirla -No, intendevo l’altra cameriera, quella che si è portata anche alla festa- Top fece schioccare le dita –Quella coi capelli rossi. Come si chia—

-Ginko Fujii.-

E quando il silenzio calò tra loro, la sorpresa prese il sopravvento su suoi lineamenti delicati, sul proprio corpo attraversato tra strani brividi, come se il solo pronunciare quel nome potesse procurare miliardi di scariche elettriche. E ricordò la dolcezza, l’amorevolezza non richiesta. Ma non superflua, quello no -La conosci?- e sembrava stupito anche Seung-Hyun, ormai consapevole della sua filosofia secondo la quale il nome delle ragazze che ci si portava a letto non era poi così fondamentale. Tanto, una volta salutatele fuori dalla stanza del motel, diventavano le anonime anime che avevano solo sostato sotto le sue coperte e il suo corpo, non di certo papabili fidanzate. Convenne con sé stesso e con la propria brillante mente ancora forse un po’ ciucca, che forse il suo nome gli era rimasto impresso solo perché effettivamente quella nana pedante non era mai andata a letto con lui.

-Certo che no.-

Top mugugnò qualcosa, poi chiuse il libro –Beh, comunque dovresti ringraziarla.-

-Forse dovrei- si massaggiò la fronte liscia, avvertendo la rabbia sopirsi per quella notte –Ah, mi scoppia la testa.-

-Che ne dici di dormire?-

-E non mi racconti della tua serata con America?-

Top gli regalò un’espressione di pura seccatura che ai suoi occhi gonfi fu semplicemente stupenda –Ma che cos’è? Uno sleepover?-

-Non urlarlo. Se ti sente SeungRi è capace di proporcelo sul serio.-

E a proposito di SeungRi, il maknae piagnucolò nel sonno riguardo lui che doveva restare sempre con loro e amenità del genere. E di un cosciotto di tacchino. O forse era pollo? Fatto stava che si era fatto più stretto, appoggiando la guancia sul suo petto; davanti a sé, Tae grugnì quando Ri, con la sua solita delicatezza da caterpillar nei movimenti, aveva per sbaglio dato un calcio alla sua testa ora appoggiata sulle caviglie. Ma quale razza di essere umano poteva dormire in quella scomodissima posizione?!

Avrebbe tanto voluto scuotere la nuca, ma la testa pulsava, quindi si limitò a sospirare pesantemente mentre si lasciava avvolgere dal buio, dopo aver udito il clack della abatjour che veniva spenta da un Top ora relegato a dormire sul pavimento. Che poi, visto l’andazzo, un giaciglio sul letto glielo si poteva pure trovare, eh. Chiuse gli occhi, avvertendo i sensi distendersi, pregando che non si svegliasse con il torcicollo…

Poi il flash di un cellulare.

E una risata rauca che lo fece imprecare a mezza voce –Questa andrà sul sito ufficiale delle Vip. Potremmo chiamarla: “Il leader e i suoi discepoli”!- e Ji Yong, in quel momento, sentì di odiare l’ameba che continuava a ridere rotolandosi per terra.

-Sei proprio uno stronzo, Seung-Hyun.-

 

*****

 

-Ripetimi cosa ti ha detto. Nei minimi dettagli.-

-Che vestita da Wonder Woman ero il suo sogno erotico.-

Ginko agitò le mani mentre si voltava verso di lei, camminando all’indietro sul marciapiede –Non quello! Quell’altra cosa!- starnazzò in preda ad una crisi isterica, allargando a dismisura gli occhi blu, per quell’ occasione di bagordi –Cosa ti ha detto Ji Yong?-

Lin roteò gli occhi mentre un sonoro Che palle!, da cui trasudava tutta il suo scazzo, cominciò a vagare nella notturna aria di Seoul. Perché stavano attraversando il centro da ben dieci minuti e quella schizzata di Kamikaze aveva continuato a tartassarla su quell’unica, striminzita frasetta che GD le aveva rivolto al telefono –Ha detto che gli avrebbe fatto enormemente piacere invitarti a cena per ringraziarti della cortesia dell’altra sera.- e per poco non morì in mezzo alla strada. E detto sinceramente, vista la sua euforia che la stava innervosendo, probabilmente l’avrebbe lasciata agonizzante senza nemmeno curarsi delle sue condizioni.

-OhMioDio! È come un sogno che si realizza! Ginko + GD! G&G! Vedi? Siamo fatti l’uno per l’altra—

-Ma il suo nome è Ji—

-E le mie compagne di università che sminuivano il mio diario!-

Lin si fermò, le mani nella tasca dei jeans skinny grigio fumo e le sopracciglia arcuate -Tu hai un diario?-

-Certo! È a fiori e ha il lucchetto!- la prese sotto braccio, trascinandola con sé per la piazzetta gremita di gente troppo festosa per i suoi gusti da orso polare –Tutti dovrebbero tenere un diario!- per un attimo le parve di vedere Emily che, durante lo spargimento di qualche cazzata random, aveva saggiamente proposto di tenere un diario segreto per annotare tutti i suoi pensieri, cosicché la rabbia repressa potesse scemare. E lei il diario lo aveva comprato e ci aveva addirittura scritto sopra! Peccato che fosse pieno di tabelline su cui venivano riportate le proprie vittorie e sconfitte nelle risse da pub o negli spogliatoi con le cheerleaders –Vuoi farmi credere che non lo hai mai avuto?- bofonchiò con occhi sottili.

Lin alzò le spalle –Quelli che scrivono un diario si sentono soli- esalò con sincera praticità, vedendola allargare gli occhi per l’incredulità –Scusa, scusa, ho letto questa cazzata in uno dei libri di mia madre.- non le avrebbe detto che lo pensava davvero.

-Ancora non posso crederci- Ginko saltellò sul posto –GD che vuole cenare con me!- la guardò con occhi enormi e Lindsay, accecata da tutta quella speranza, non poté non restare zitta, limitandosi a sorriderle un poco. Poi, la sua reticenza -E tu cosa ci fai qui?- la guardò malefica, come se stesse usurpando il suo territorio. Ma poi, colta probabilmente da un improvviso attacco di schizofrenia, la parte buona e docile di Ginko riemerse –Oh, ho capito, è un appuntamento a quattro!- sventolò le manine coperte dai guanti con le sembianze da panda davanti alla boccuccia ora spalancata e Lin aveva seriamente pensato di fare marcia indietro, lasciandola andare in solitudine incontro al proprio destino.

-A dir la verità ci sarà tutta la banda.-

-Aaah, una cena con i Big Bang!-

-Che culo, eh?- biascicò in inglese stretto, vedendola annuire gioiosa. Non aveva capito nulla… Continuò a camminare, sgomitando in mezzo alla folla veloce, continuando a sorbirsi i vaneggiamenti di Kamikaze sul fisico tonico del leader della band. Intanto Lin si chiedeva se avrebbero servito birra, giusto per affogare le cazzate nell’alcool…

-Però tu fai in fretta a metterti con Seung-Hyun, che poi facciamo le uscite a quattro—

E a proposito di cazzate, questa era pure bella enorme.

-La smetti con le stronzate?-

La ignorò -Ho sempre desiderato andare al mare con qualche coppietta, ma le mie storie finivano sempre prima del periodo estivo—

-Non ci sarà nessuna scampagnata al mare, visto che non ci sarà nessuna coppia.-

-Oh, ma magari tu preferisci la montagna?- si passò una mano sul viso, ricevendo un pizzicotto –Non sbavare il trucco!- la vice zampettare verso un localino a pochi metri da loro, giungendo poi le mani prima di indicarle l’insegna con un sorriso enorme –Siamo arrivate! Siamo arrivate!- Ginko era talmente tanto felice che la sua allegria avrebbe perfino potuta contagiarla se non fossero ormai giunte alle porte dell’Inferno, che aveva la parvenza di un ristorante tipico coreano. Storse il naso –Credi che a GD piaceranno i miei capelli?-

Osservò la sua coda laterale –Probabile.-

La vide annuire mentre posava la mano guantata sulla maniglia. Poi, come spaventata, tornò a guardarla prima di aprire –Ma-ma sei sicura che lui abbia detto davvero quelle cose?- e Lin si sentì  a disagio sotto il suo sguardo speranzoso ed enorme. La verità era che vedendola così felice, ma così felice da spargere cuoricini gonfi di amore per tutta Seoul, Lin non se la sentì di dirle come stavano realmente le cose. Perché le parole di GD erano state fedelmente riportate, senza alcuna finzione o sbavatura, ma dubitava che il leader di quel gruppo di scimmie ammaestrate avesse composto un pensiero così lungo, articolato e non intervallato da cazzate. Perché? Perché il genio doveva aver avuto la brillantissima idea di azionare il vivavoce e, in sottofondo, aveva distintamente udito la voce di Tae che borbottava un esasperato Ti ho detto che questa frase qui non puoi modificarla! Ho scritto cena, non motel!, mentre SeungRi , agitato come suo solito, aveva continuato a diffondere la propria vocetta con sgradevolezza, ripetendo a manetta un tedioso quanto perforante Ma è Lin? Liiiin, vieni anche tuuuu!. E come se non bastasse, ci si era messo quel santone di Daesung con un serafico Ri, lo sai che poi lo Hyung si arrabbia se chiami così il suo amore. E Dulcis In fundo, la voce cavernosa di Top che aveva allegramente mandato al Diavolo loro e lei che nemmeno aveva fiatato per tutta la durata della conversazione, lasciandosi sommergere dal mucchio di stronzate che piovevano come sassi.

-Alla lettera.- replicò con un sorrisetto, vedendola tirare un sospiro di sollievo mentre tornava a guardare la porta.

-Ed eccoci qua- inspirò a fondo, portando le mani sotto il mento –Il Paradiso ci attende oltre quella porta, con cinque, stupendi angeli lussuriosi che— Lin aprì la porta, troncando il fiume di scemenze che continuava ad uscire imperterrito dalle sue labbra color ciliegia, lasciando che il campanello posto sopra la porta tintinnasse per qualche secondo –Oh, Lin, hai sentito?!- si aggrappò al suo braccio –E’ l’arpa che annuncia l’inizio del sogno!-

-Hai finito con le stronzate?- domandò stanca, cercando di divincolarsi alla sua salda presa. Il locale era sommerso dal fumo della carne alla griglia, come se una densa nube avesse deciso di galleggiare proprio a livello dei loro occhi ora socchiusi che continuavano a muoversi nella disperata ricerca della gang. Poteva sempre sfruttare quella nebbia propizia e dileguarsi. Tanto, chi si sarebbe accorto della sua assenza? Ma c’era Ginko che continuava a tenerle stretta la mano, convulsamente, come se tutta la tensione fosse espressa con la sua isteria incontenibile. E non la sentì di abbandonarla, non ci riuscì. Da stronza qual’era, non sarebbe stata la prima volta che lasciava qualche ragazza della comitiva a cavarsela da sola con il proprio appuntamento al buio, ma sentiva che Ginko, che aveva saputo apprezzarla senza mai porgerle qualche critica, non si meritava un gesto simile. Così ricambiò la stretta, vedendola stiracchiare un sorriso prima di tornare a guardarsi intorno.

Si alzò sulle punte, cercando di vedere i cinque tizi che, dalle probabile acconciature e vestiti assurdi, sarebbero stati riconoscibili anche al buio. Ma prima che potesse muovere un passo, un paio di mani si posarono possessive sui fianchi stretti, facendola irrigidire -Oh, Lin! Che bello averti tra noi!- quel maledetto di Ri aveva approfittato della nebbia, ci scommetteva quei miseri spiccioli che aveva portato con sé!

-Lasciami- cavernosa, gli regalò lo sguardo più truce che avesse nel repertorio, ma quello non accennava a mollare la presa. Così, riluttante, picchiettò il palmo aperto sulla sua spalla, avvertendo il calore imporporare le sue guance nel mentre che tutti gli occhi dei presenti in sala si posavano su di loro. Lo spintonò, chiedendosi perché continuasse a sorridere così gioioso di fronte alla sua sgarbatezza e prima che potesse ripensare anche solo lontanamente di stringerla ancora a sé, Lin indicò con il pollice una Ginko silenziosa e immobile –Questa è Ginko. Fate conoscenza, da bravi.-

I due fecero un breve inchino. E da lì, un fiume di parole che non accennò a diminuire nemmeno quando le scortò al tavolo dove, gli altri quattro, chiacchieravano pacatamente. E come se non bastasse, da brava scema, non aveva messo in conto lui, una presenza divenuta scomoda per motivi che andavano ben oltre l’odio ormai diramatosi: Choi Seung-Hyun. Seung-Hyun che adesso le aveva appena sorriso mentre mormorava un cordiale –Ben arrivate.- che la fece avvampare. E ringraziò il fumo della carne che appestava l’aria e il suo volto imporporato. Mo’ che cazzo c’è?

Si sedette al suo fianco, concedendo a Ginko l’onore di stringersi tra un GD scazzato e un Ri euforico che continuava a dominare la conversazione. Così, lasciando che gli altri si concentrassero sulla salvatrice del loro leader, Lin se ne rimase invisibile, godendosi la serata. Rigirò fra le mani il nemico per eccellenza, le bacchette, osservando il vassoio posto al centro del tavolo che sembrava deridere lei e la sua inettitudine nell’utilizzare quegli affari. Approfittò della distrazione dei presenti, tutti concentrati a tartassare di domande la balbettante Kamikaze e allungò una mano, provando a recuperare un pezzetto di carne. Che scivolò sulla tovaglia. Eh, ma non è possibile! -Che palle!- sbottò a quel punto, guardandosi intorno alla disperata ricerca di un cameriere che avrebbe eletto a sua divinità personale: voleva una forchetta, e la voleva in quell’istante preciso.

-Qualcosa non va?- volse il volto alla propria destra, incrociando il volto velato di confusione di Seung-Hyun. Poi, come se avesse colto la sua imbranataggine, si ritrovò a inumidirsi le labbra prima di coprirle con una mano, ridendo come il cretino che era.

-Idiota- borbottò caustica, volgendo il viso imbarazzato -Perché non usate le forchette? Sono così comode.-

Alzò le spalle –Non è così difficile- le prese fra le mani, muovendole con naturalezza mentre con invidiabile facilità andava a recuperare un pezzo di carne alla griglia, immergendolo nella salsa piccante posata al suo fianco –Prova tu.-

Venti tentativi più tardi, venti risate soffocate con la mano, Lin sbatté i malefici legnetti sulla tovaglia, mormorando un seccato –Io mangio con le mani.- che non fece altro che aumentare il suo eccesso di risa. Ed esattamente come la prima volta che aveva avuto il piacere di non vedere i suoi lineamenti marcati contratti dalla rabbia, si ritrovò ad ammettere con sé stessa che Seung-Hyun non era affatto male. Il taglio degli occhi affilati gli conferivano un’aria un po’ burbera, accentuata soprattutto dalla mascolinità del suo viso, decisamente più marcato rispetto a quello dei suoi compagni, ma c’era gentilezza nei suoi modi un po’ sgarbatamente impacciati, c’era vivacità dietro tutta quella serietà che sembrava essere più una facciata che la realtà vera e propria. E sommersa da quelle considerazione, investita dalla consapevolezza di trovare Top dei Big Bang decisamente bello, Lin si grattò la punta del naso mentre puntava lo sguardo sul vassoio da debellare.

-Guarda, è facile- come se non bastassero i suoi pensieri, ci si mise anche la bizzarra realtà a farla sentire a disagio -Devi tenerle così- Lin volse il capo in direzione della sua voce cavernosa. Ecco che il maestro Seung-Hyun si dilettava nell’arte del come tenere le bacchette sembrando comunque fine ed elegante –Altrimenti ti cadrà tutto.- aveva preso la mano fra le sue, stringendola appena, un contatto leggero, delicato, superfluo a dirla tutta. Ma lei rimase a fissare le loro mani intrecciate mentre lui continuava a spiegarle come andassero messe le dita e mosse le bacchette. Ma per quanto fosse a pochi centimetri da sé, non riuscì a cogliere nulla. C’era solo tanto calore, un buon profumo e un piacere indescrivibile che aveva stuzzicato il suo cuore accartocciato, facendolo battere un poco. Deglutì. Poteva andarle peggio?

-Oh, non li trovate assolutamente adorabili?-

La risposta era un secco sì, poteva.

-Uno spettacolo.- cinguettò GD dando man forte a Dae che, sospirante, li guardava con il capo inclinato. Lin alzò il medio mentre Top lasciava andare la sua mano.

-Guarda che al vostro matrimonio, dovrai usare le bacchette- arricciò le labbra, inclinò il capo e socchiuse gli occhi di fronte alla serietà di Taeyang –Top è per i matrimoni tradizionali.- e le risate si sprecarono, così come si sprecarono le imprecazioni da parte del diretto interessato che, offeso, si era messo a braccia conserte e aveva nascosto il volto dietro la mano.

Lin scosse la nuca. Pensava che almeno lui si sarebbe salvato dalla demenza generale, ma probabilmente vivere sotto lo stesso tetto di quei mentecatti aveva gravemente nuociuto alla sua salute –Come se volessi sposarmi- lo indicò col pollice –Con lui, poi.-

Il ragazzo storse il naso –Nessuno sano di mente si sposerebbe mai con te!-

-E io non intendo sposarmi con uno che ha più gioielli di me.-

-E io non voglio stare con una che dice più parolacce di me.-

-Quindi tu saresti la donna della situazione, Hyung?- domandò Ri interrompendo il loro siparietto, facendoli sbuffare.

Lin si appiattì contro la sedia -Il matrimonio è un’istituzione che le persone hanno inventato per risolvere in coppia quei problemi che, da soli, avrebbero risolto in un battibaleno.-

Ginko per poco non morì sul tavolo a quella sua osservazione esalata con tanta impassibilità –Il matrimonio è l’unione di due persone che si amano!-

-Bombarola qui ha ragione.-

-Kamikaze! È Ka-mi-ka-zeeee!-

GD le tappò la bocca con una mano e lei sorrise beota, mettendosi a cuccia –America, vuoi farmi credere che non credi in quel sacro vincolo che tutti—

-Ma se non ci credi nemmeno tu?- obiettò Dae facendolo sghignazzare.

-Ma non mi devo sposare io, con Top.-

-Qui nessuno si deve sposare con me.- puntualizzò il diretto interessato spiluccando del pane, decisamente a disagio per essere divenuto il loro argomento di conversazione. Lin guardò il soffitto. Come erano potuti giungere a quel punto?

-Io non voglio sposarmi.- borbottò caustica, disgustata al solo pensiero.

-Va che non è una cosa così brutta.- sottolineò Ginko giocherellando con la punta della coda.

Lin le scoccò un’occhiata scettica -Quando i tuoi sono divorziati, non è che sposarti sia così allettante.- e se lo era fatto sfuggire. Aveva capito di aver gettato la bomba quando i commensali si erano ammutoliti, rivolgendolo subito dopo sguardi pregni di dispiacere e sofferenza. Tutte cose che lei odiava ed era per questo che aveva taciuto quel minuscolo particolare. Ma di fronte a quei discorsi strampalati, in mezzo a tutto quell’apprezzamento per l’amore come se fosse un sentimento meraviglioso, qualcosa in lei era scattato. E aveva spifferato tutto.

-Oh, e da quanto?- mormorò Dae pacato.

Alzò le spalle –Da un bel po’.-

-Oh, ecco perché odi l’amore.- se poi ci si metteva Ginko con i suoi lacrimoni agli occhi…

-Oh, quindi odi l’amore?- lo sguardo di GD si era fatto interessato, troppo. Se ne stava lì, appoggiato contro la sedia e un sorrisetto a deformargli le labbra sottili, come se avesse preso gusto nel torturarla ancora un po’.

Lin roteò gli occhi –Non odio l’amore. È solo una perdita di tempo.- sentì i loro sguardi curiosi su di sé, la loro voglia di sapere opprimerla affinché esponesse il proprio punto di vista. L’impellente necessità di alzarsi da quel tavolo la raggiunse prepotente, ma ci fu qualcosa, anzi, qualcuno che la sorprese…

-Che strazio! Avete deciso cosa mangiare?-

Qualcuno che sembrava essersi accorto del suo stato d’animo altalenante. E la stava aiutando, seppure in maniera un po’ malandata. Seung-Hyun li aveva interrotti scocciato, aprendo il menù davanti a sé, coprendo il volto su cui aleggiava una strana espressione di smarrimento che Lin non riuscì a catalogare. Ma gli fu grata, enormemente.

Il maknae cominciò a lamentarsi per quella conversazione troncata, ma quando Ginko proferì un serafico –Cosa prendo? Cosa prendo?- rivolto a sé stessa, ecco che quello si perse in un brodo di giuggiole.

Lin aprì il menù, lasciando scorrere lo sguardo sulle portate. Lo guardò di sottecchi –Grazie.-

E lui annuì. Solo quello. Poi le rivolse uno sguardo adombrato, come se fosse in difficoltà. E giunsero le sue parole sincere, sussurrate e destabilizzanti…

 –Mi dispiace.-


 

****


 

Lanciò l’ennesima nocciolina che gli cadde dal sacchettino bianco a strisce rosse, continuando ad osservare la figurina slanciata davanti a sé che, stretta tra Dae e Tae, sembrava aver riacquistato un briciolo di serenità. E mentre udiva il suo sonoro Io non ci salgo su quella roba!, con sottofondo le risate dei due amici, Top convenne con sé che una Lindsay Moore incazzosa o sulle sue, era decisamente meglio di una Lindsay Moore a disagio, un esemplare capace di stuzzicare il suo senso di protezione che, da tempo, non si risvegliava quando aveva a che fare con una ragazza. E più il tempo scorreva, più si chiedeva perché mai avvertisse il bisogno di sostenerla quando sembrava in difficoltà, non trovando risposta alcuna. C’era però che le sue parole erano risuonate traballanti e incerte pur nella loro ruvidità, i suoi gesti si erano fatti nervosi e il suo sguardo spaesato era stato il colpo di grazia.

Con suo sommo piacere, e questa volta lo manifestò con un sonoro sospiro di sollievo, GD venne ad interrompere il flusso dei suoi pensieri con la sua voce cantilenante…

-Dovremmo dedicare una canzone al sedere di Lindsay.-

O, forse era meglio quando continuava a prendersi beffe di quei due beoti di SeungRi e Ginko ora impegnati a cantare insieme come due ubriaconi appena usciti dall’osteria. Guardò il cielo reso luminoso dagli innumerevoli lampioni che incorniciavano il viale alberato che li avrebbero portati al Luna Park, e sbottò un asciutto -Non le stavo guardando il sedere!- cacciò in gola una bella imprecazione, chiedendosi perché quel cretino non fosse con la sua salvatrice invece di stare lì a rompergli le palle.

GD alzò le spalle, camminando svagato al suo fianco –E chi ha insinuato nulla? La mia era solo una proposta- cinguettò fintamente sconvolto dalla sua seccatura, inclinando poi il capo –O qualcuno qui ha la coda di paglia?- grugnì, guardandolo di sottecchi quando udì la sua voce stranamente seria –Te ne rendi conto che non sarà facile, vero?-

Arcuò le sopracciglia –Che cosa?-

Ji Yong risse appena mentre portava le mani in tasca, scuotendo la nuca –Te ne accorgerai presto.- e lo lasciò lì, da solo, a crogiolarsi nelle proprie paranoie. E adesso che cos’era quel consiglio strampalato che lo avrebbe reso ancora più confuso?

-Dio, che strazio!- sbottò rauco, gettando il sacchetto di noccioline nel cestino.

-Qualcosa non va?-

No, non lei, non ora…

-GD è uno stronzo- esalò corrosivo mentre lo vedeva scappare da un Dae che voleva costringerlo a fare una fotto tutti assieme con quello che doveva essere un clone mal riuscito di Micky Mouse; Lin al suo fianco ridacchiò, mormorando un –Come darti torto?- che lo fece sorridere. E mentre la vedeva scalciare un sassolino, stretta nella giacca rosa pallido, Top si ritrovò con la malsana sensazione di voler imbastire una conversazione, senza però aver nulla da dire. Perché non era facile parlare con lei e bisognava dosare le parole, altrimenti sarebbe fuggita. E per qualche strana ragione che ancora gli sfuggiva, a lui sarebbe piaciuto averla affianco sé. Come quella notte al Tribeca. E prima che potesse rendersene conto, aveva cominciato a parlare –Riguardo a prima, scusali- la vide aggrottare le sopracciglia –Sono solo curiosi, tutto qua.-

Lin alzò le spalle –E’ normale, no? Come quando cambi scuola e tutti vogliono saperne di più- analizzò pacata, guardando il cielo scuro –Solo, non sono brava a parlare.- aggiunse poco dopo, riprendendo a camminare, seguendo i compagnia in chissà quale cretineria.

-L’ho notato.- convenne con lei con una punta di sarcasmo che, però, non la fece adombrare.

Lin si grattò la nuca corvina –Ci sto lavorando- lasciò scorrere la mano in quei lunghissimi fili scuri, facendolo smarrire di fronte a quel gesto banale e che tante, moltissime volte gli aveva riproposto. Distolse lo sguardo –Ma credo che sia un difetto di famiglia.-

Annuì, stringendosi nelle spalle. Dentro sé, il desiderio di saperne di più su di lei, di godere ancora della sua voce vellutata. Tanto, ormai… –Senti, come mai tuo padre non è rimasto a New York?-

Lin allargò gli occhi, probabilmente presa in contropiede con quel quesito troppo personale. Ma non scappò, si prese solo del tempo, poi alzò le spalle -Per lavoro- fece ciondolare la nuca –Almeno, credo- la guardò con un sopracciglio arcuato, non capacitandosi della sua scarsa propensione al dialogo. Vide gli occhi di Lin guizzare su di lui prima che sospirasse pesantemente –Mamma e lui hanno divorziato e il giorno dopo ha preso e se ne è andato.-

Guardò il cielo –Non ti sei mai chiesta il perché?-

Lin si grattò la punta del naso e dopo quelle che gli parvero ere, scosse la nuca –Sapere perché se ne andato non lo avrebbe riportato indietro.-

-Con lui vai d’accordo?- Almeno con lui, sarebbe stato più corretto dire, ma non aveva voglia di litigare. Non dopo aver scoperto quanto piacevole potesse essere scambiare quattro parole in croce con lei senza dover ricorrere all’ironia pungente, ora rinchiusa in gabbia. E cosa ancora più piacevole e allo stesso tempo spaesante, era poter scorgere il disagio contrarre ogni suo più minuscolo lineamento, facendole perdere quell’aria da bambola di ceramica che a lungo andare avrebbe finito con stancare.

Lin si strinse nelle spalle –Non ci parliamo.-

Allargò gli occhi –Come non vi parlate?!-

Sventolò una mano –Non è così terribile- sospirò -Noi non siamo granché bravi con le parole.-

E quando lei si volse, le labbra socchiuse e gli occhi velati di incertezza, Top smise di camminare, indicandola con un cenno del capo -E tu? Come mai sei qui?- questa volta la guardò nei suoi grandi occhi nocciola, stupendosi di quante emozioni potesse vedervi scorrere. Sembrava quasi che tutte quelle sfumature non scrutabili sui suoi lineamenti delicati sempre così rilassati, fossero ora ben visibili dietro la grandezza dei suoi occhi ora sgranati per la sorpresa, come se non si aspettasse una domanda del genere. E nel cogliere la sua titubanza, nel vederla guardarsi in giro alla ricerca disperata degli altri, come se così potesse sfuggire al terzo grado che gli stava proponendo, Top avvertì l’ansia pervaderlo. Perché improvvisamente la paura di vederla scappare lontana si era impossessata di lui? –Non sei costretta a dirmelo, eh.- il suo tono era scocciato, mostrando un’irritazione che in realtà non possedeva. O almeno, non nei suoi confronti. Perché era adirato con sé stesso, in quel preciso istante in cui lei sembrò rilassarsi, e con il proprio malsano desiderio di scoprire qualcosa in più su di lei. Come se si ostinasse a voler scovare qualcosa che avrebbe potuto renderla meno interessante ai suoi occhi…

-Mia madre non mi sopportava più.-

E comprese che qualsiasi cosa avrebbe potuto esalare, sarebbe sempre apparsa straordinariamente accattivante. I suoi gesti nervosi e ridondanti, come il suo grattarsi il naso o giocherellare con la punta della treccia quando si trovava a disagio, il suo continuo dondolarsi sulle punte, il suo semplicemente deviare discorso con poche e semplici parole. Tutto, di lei, si stava rivelando interessante.

E sarebbe rimasto con lei a lungo, sul serio. Con lei che ora lo guardava con un mezzo sorriso quasi volesse dirgli di farsi bastare quella sua uscita poco chiarificatrice, con lei che tutto sommato si stava rivelando più godibile di come appariva. Con lei che, a ben guardare, era forse l’unica che sarebbe rimasta a chiacchierare per ore con lui senza infarcire i discorsi di complimenti sul suo aspetto, sulla sua voce, sulle sue magnifiche doti di ballerino quando in realtà faceva pure pena. Trattandolo come Choi Seung-Hyun, solo quello.

E si ritrovò a sorridere al pensiero che, quella bella sensazione così a lungo mancata, ora fosse ripiombata prepotentemente a rendere tutto un po’ più colorato. E tutto grazie a lei.

-Non fatico a crederlo.- esternò divertito, vedendola storcere il naso mentre un sorriso sbocciava su quelle labbra perennemente incurvate. E avrebbe voluto confessarle che, quando sorrideva, diventava decisamente più carina. Ma il Pokemon Lindsay sarebbe fuggito senza nemmeno fargli prima prendere la Pokeball dallo zaino. E, cosa più importante, lui non era ragazzina delle superiori che stava andando a prendere il gelato con il fidanzatino di turno.

Un urlo attirò la loro attenzione. Raggiunsero i loro compagni.

E poi… L’assurdo…

 

-Ah, le montagne russe!- la voce di Ri si sparse euforica per tutto il parco di divertimenti; Tae salutò nervosamente tutti quelli che si voltarono a guardarli –Voglio salirci!-

-Speriamo che si stacchi il vagone al giro della morte.- cinguettò il leader mentre continuava a fissare il treno che, proprio in quel momento, stava girando su sé stesso prima di riprendere la propria corsa.

E sarebbe stato spassoso ridere di Ri e della stupida espressione di sconvolgimento che gli aveva fatto allargare gli occhi e spalancare la bocca, come se quella frase ironica trillata dal capo lo avesse colpito nel profondo. Ma beh, lo sarebbe stato se Ginko non avesse mostrato la stessa identica espressione e per di più nello stesso esatto momento. Era a dir poco raccapricciante il fatto che se la intendessero praticamente in tutto…

-Adesso esplode.- mormorò Lin stropicciandosi il volto con una mano.

-Inquietante…- mormorò Tae avvicinando il volto a quello di Dae.

-Non è che li hanno scambiati alla nascita?- domandò con un filo di voce quest’ultimo, ricevendo un ghigno da parte di Ji Yong che, incurante della loro immobilità, continuava a fissare la montagna russa con disinteresse.

Ri si riprese dal suo stato catatonico solo dopo che alcuni ragazzi, uscendo dalla giostra, lo spintonarono per errore -Sei proprio uno str—

-Tu non hai paura, vero?- Ginko, mani dietro la schiena, lo guardò con aria di sfida. E, dopo parecchi mesi di imperturbabilità, fu spassoso vedere il volto di GD incavarsi così tanto da apparire quello di uno scheletro, come se il suo orgoglio fosse appena stato bruciato. Le sue labbra serrate, gli occhi ridotti a due fessero e il suo scoccare la lingua mentre sollevava il mento.

-Ti faccio vedere io chi ha paura, ragazzina.- le passò a fianco con aria assassina, sguardo sottile e che sprizzava orgoglio, come se volesse dimostrarle che il grande Kwon Ji Yong non si faceva certo mettere i piedi in testa da delle stupide rotaie. Ginko sogghignò e zampettò dietro di lui, continuando a canticchiare stonatamente, quasi volesse rendergli quel breve tragitto un lungo viaggio all’Inferno.

Ri sospirò, guardandoli entusiasta –Il mio sogno si sta avverando!- Tae e Dae arcuarono le sopracciglia –Potrò finalmente guardare una ragazza più grande e dirle: hai paura, baby? Ci sono qui io a proteggerti.- saltò e dopo aver rivolto loro uno sguardo ammiccante, trotterellò verso il leader che continuava a muovere nervosamente una gamba mentre se ne stava fermo in coda. Ginko lo stava facendo ammattire, probabilmente…

-Cioè- Tae indicò i tre con espressione allucinata –Al maknae piace Kamikaze?-

Dae scosse la nuca –Tae, è solo una cotta. Tutti i bambini ne hanno una per la compagna di classe più grande.- fece segno loro di seguirli. Top scosse la nuca mentre si apprestava a mettersi in coda, accorgendosi però di come un paio di tacco cinque fossero silenziosi e non scalpitanti: Lindsay Moore, rivestita di incertezza, sembrava una statua di cera.

-Tu non vieni?- Lin guardo la montagna russa con disappunto, poi scosse la nuca –Non ti piacciono?-

-Ho appena mangiato lo zucchero filato.- si strinse nelle spalle.

-E’ già passata un’ora.-

La vide allargare gli occhi –Non ci voglio salire- sbottò rossa in viso, come se l’avesse punta sul vivo. E quell’immagine, giurò, non sarebbe più scomparsa dalla sua mente: le sue guance gonfie e rosse per l’imbarazzo, gli occhi affilati come lame rivolti alla giostra da cui provenivano solo urla e il suo dondolarsi sui piedi mentre le mani si infilavano nelle tasche dei jeans aderenti… E proprio quando credette che Lin non sarebbe mai riuscita a stupirlo ulteriormente, ecco che pronunciò la fatidica frase –Ho paura- che lo fece scoppiare a ridere senza ritegno alcuno –Che c’è?-

-No, niente, scusa. Solo che-- e piegato sulle ginocchia, con una mano sullo stomaco e nel vano tentativo di riprendere aria, lasciò che almeno qualcuno dei suoi folli pensieri la raggiungesse –E’ bello vedere che anche tu sei umana.- e le aveva sorriso sincero, ritrovandosi invischiato nella sua incredulità, nel suo trasparente disagio mentre nascondeva le labbra dietro la sciarpa rosa. Mugugnò qualcosa di indecifrabile e con passo funereo lo affiancò, continuando a guardare le mattonelle. E i colpi di scena sarebbero potuti finire lì, davvero, a lui andava bene così. Ma proprio quando raggiunsero la passerella che li avrebbe portati al vagone, il ragazzo dei biglietti scosse la nuca, aprendo un braccio come barriera –I posti sono pieni, andrete nel turno dopo.- e indicò il tabellone che, in rosso, lampeggiava un enorme zero.

Ginko si agitò -Oh, ma no, facciamo andare qualcun altro e noi restiamo con lo— GD le cinse le spalle con entrambe le braccia, tappò la sua boccuccia che, probabilmente, doveva essere spalancata tanto grandi erano ora gli occhi blu velati di incredulità. Ji Yong sapeva come zittire quell’invasata…

-Se la caveranno- le soffiò nell’orecchio, probabilmente con la speranza che ci lasciasse le penne. Poi, con sorriso raccapricciante, regalò loro uno sguardo colmo di incontenibile felicità –Tanto c’è il nostro Top a proteggerla, no?- mollò la presa e Kamikaze riacquistò un po’ di colore, anche se la sua docilità non faceva presagire che stesse poi così bene. Sembrava in procinto di vomitare lì, sulle scarpe del bigliettaio, prima ancora di essere salita sul vagone.

-Potreste andare avanti? La coda sta aumentando.- borbottò il ragazzo sistemandosi meglio il capellino della divisa. Vedendo che la ragazzina non accennava a muoversi, Lin le fece segno con la mano di andare –Tranquilla, sto con lui- dopo qualche istante di titubanza e sotto lo sguardo scocciato del ragazzino, Ginko regalò loro un enorme sorriso prima di lasciarsi trascinare da un Ji Yong più famelico del solito che aveva appena circondato le strette spalle della giovane prima di invitarla a sedersi al suo fianco. Probabilmente voleva fargliela pagare per la sparata di qualche minuto prima e il leader, per difendere il proprio orgoglio ferito e agonizzante, stava dando sfogo alla propria bastardaggine -Spero non le faccia nulla.-

-Non è il suo tipo.- si ritrovò a mormorare con naturalezza, ben conscio dei gusti dell’ amico. E la Fujii si distaccava troppo da quelli che erano i suoi canoni.

Lin scoccò la lingua –Io parlavo di slacciarle la cintura di sicurezza mentre il treno è in movimento- effettivamente, non aveva preso in considerazione quell’eventualità. Eppure… Eppure si disse che non sarebbe mai giunto a quei livelli per il semplice motivo che Ji Yong sembrava divertirsi davvero, quella notte. Era più rilassato, meno incline alla stronzaggine e perfino con lui era stato talmente tanto magnanimo da lasciarlo perdere per tutto quel tempo. I cardini delle rotaie cominciarono a girare e, sollevando lo sguardo, si accorse di Ginko e Ri che li stavano salutando con fin troppa foga. Ora cadono… Guardò di sottecchi Lin, aspettando che il giro di giostra terminasse, ora rivestita della propria paura che la faceva apparire una bambina che sta per andare a vedere un film dell’orrore. Strinse i pugni nelle tasche, reprimendo il desiderio di carezzarle una spalla per confortarla -Senti, ti scoccia andare da solo?-

Le sue sopracciglia formarono un arco perfetto –Cosa?!-

Lin si morse il labbro inferiore –Non mi va, non— portò dietro le orecchie alcune ciocche di capelli –E se si stacca il vagone mentre siamo in curva?-

Scosse la nuca, esasperato –Paranoica.-

-Non hai mai visto Final Destination?!- e prima che potesse dirle che no, non aveva avuto il piacere di vedere un documentario in cui facevano vedere incidenti sulle montagne russe, la fila cominciò a spingerli, facendo loro oltrepassare la sbarra metallica girevole –Oi, io voglio andare via.-

-Vuoi smetterla?- la guardò con esasperazione mentre raggiungeva il sedile davanti. La vide dondolarsi sulle punte mentre si guardava attorno alla ricerca dell’uscita, le mani in tasca e i capelli che continuavano a finirle davanti al volto contratto in una smorfia di terrore. E a quella visione genuinamente adorabile, si ritrovò a guardare per terra –Non ti accadrà niente- lo scalpiccio degli altri ragazzi che si mettevano ai loro posti, le loro risate a fargli da scudo in un eventuale rifiuto e il suo guardarla intensamente, quasi volesse costringerla a non andarsene. E il suo sguardo magnetico, sospeso –Ti fidi?-

E se Lin fosse rimasta per la vergogna di scappare davanti a gente che non vedeva l’ora di godersi un giro di giostra, per lo sguardo esasperato del ragazzo dei biglietti che li fissava con autentico fastidio o perché davvero lei si fidava di lui, Top non lo seppe mai. Ma ora era seduta al suo fianco, lo sguardo torvo e l’imbronciatura pendente sul viso delicato mentre le sbarre di protezione si abbassavano. E quando lei cercò la sua mano nell’udire i cardini delle rotaie muoversi, si disse che la risposta non era poi così importante.

-Se muoio, sarà solo colpa tua.-

-Ri ha scoperto la giostra.- puntualizzò serafico, massaggiandole l’arto con il pollice. Si beò di quella situazione che, sentiva, non sarebbe ricapitata mai più.

Lin buttò un’occhiata di sotto –E’ troppo alto, è troppo alto- lo guardò, agitando le loro mani intrecciate –Mollami! Voglio scendere!-

-Ma se siamo già sulla salita?!- la vide allargare gli occhi prima che tornasse a sbattere la nuca contro il sedile. Senza rendersene conto, si ritrovò nuovamente a guardare davanti a sé in quella che doveva essere la ferrovia rettilinea prima della vertiginosa discesa –Ma quanto ci met—

-Seung-Hyun- la sua voce era tremante, quasi eterea, come se fosse già andata nell’aldilà e il suo volto pallido ne era un chiaro sintomo –Se mai ne usciremo vivi— catastrofica… Sorrise mentre annuiva, stringendole la mano per farle sentire la sua presenza –Ricordami di affogare Ri. E GD.-

La guardò confuso –Ma Ji Yong non ha fatto nulla!-

Si, ma è uno stronz— la discesa, finalmente, arrivò in tutta la sua bruschezza e soprattutto, imprevedibile. Le parole di Lindsay si spezzarono quando si ritrovarono a gettarsi in picchiata per la lunga discesa perpendicolare, mischiandosi alle urla degli altri, alle loro. E fu così che tra un paio di giri della morte, sali e scendi inaspettati e il flash della macchina fotografica proprio all’ultima curva –a cui lei regalò un bel medio alzato- i due si ritrovarono a terra senza fiato e con i sudori freddi. Beh, più Lindsay che lui. Lin tremò appena mentre si aggrappava al suo braccio –Solo cinque minuti, scusa.- passandosi una mano sul volto cadaverico.

-Fa niente.- mugugnò aiutandola ad uscire dalla giostra, raggiungendo gli altri sempre in quella posizione che, sapeva, avrebbe scatenato la loro fervida immaginazione. Perché, insomma, non c’era nulla di male nell’averle stretto la mano mentre era spaurita e mezza morta, no? E non c’era nulla di male nel sorreggerla mentre le gambe erano diventate come gelatina, no? No, nulla di male! Peccato che, a destare sospetti, fosse la loro vicinanza post-giro.

-Galeotte furono le montagne russe.- Dae indicò con eccitazione le loro mani intrecciate e Top, soffocando un’imprecazione sotto la sciarpa rossa, la lasciò andare. Lin, ancora frastornata, si lasciò cadere sulla panchina, stropicciandosi il viso contratto ancora in una smorfia di tensione. Tae le porse amorevolmente una bottiglietta d’acqua mentre Ginko continuava a strapazzarla, come una madre che riabbraccia il proprio figlio dopo averlo smarrito per le corsie dei supermercati –Stai bene? Come va? Oh, non avrei dovuto lasciarti da sola!-

-Io odio le montagne russe.- fu tutto ciò che soffiò, lasciando cadere la testa in avanti mentre i lunghi capelli le facevano da cornice. Ri e GD comparvero in quel momento di crisi –Ha vomitato?- domandò il leader scostandole i capelli. Nell’aria, le minacce di morte dell’americana, le loro risate e le parole confortevoli della Fujii. Un botto catturò la loro attenzione ora rivolta al cadavere scoglionato.

-Oh, ma ci sono anche i fuochi!- Ri balzò in piedi, indicando la riva opposta del fiume da cui venivano sparati i botti che avevano cominciato ad illuminare il cielo –Unni, andiamo a vederli da vicino!- il suo ordine venne accolto con gioia dalla ragazzina che, dopo aver scoccato un sonoro bacio sulla tempia di una disgustata e frastornata Lindsay, seguì il maknae nella sua folle corsa.

-Mi fanno tenerezza, sul serio.- mormorò Dae con sguardo sognante, sorridendo nel vederli perdersi nella folla.

Tae sospirò, continuando a guardare i bagliori nel cielo -Io li seguo, o ci toccherà richiamarli all’altoparlante.-

-Dovresti lasciare loro un po’ di aria, lo sai?- cinguettò GD con fare sornione, come se avesse appena scovato una nuova, interessantissima preda succulenta che sarebbe entrata di diritto nella cerchia delle sue cavie preferite. Tae lo fucilò con lo sguardo mentre la sua risata leggera si spargeva nell’aria, sventolò le mani coperte dai guanti senza dita –D’accordo, andiamo a cercare i nostri bambini, tesoro.-

-Sei proprio un idiota- esalò Tae con un mezzo sorriso, appoggiato da un Daesung decisamente d’accordo –Voi non venite?- mani nelle tasche del giubbotto, rivolse loro uno sguardo interrogativo mentre gettava la testa all’indietro.

-No, io resto qua.- mormorò Lin ancora con la testa fra le mani.

-Tu, Top?- chiese Dae con gentilezza, rivolgendogli un sorriso fin troppo dolce e strano se utilizzato in quel contesto. Ma che diavolo prendeva a quei deficienti dei suoi amici?!

-Resto qui.-

Ma se Tae e Dae erano solo arrivati al limite dell’assurdo, il peggiore fu GD che, con noncuranza invidiabile, si limitò ad esalare un melassoso –Abbi cura di lei. So che lo farai.- che gli fece scorrere i brividi. E il tutto detto mentre reclinava il capo e gli faceva un occhiolino. Un occhiolino, perdiana! Top si irrigidì: che cazzo di segnale era mai quello?! Era un invito a seguirli o a farsela su quella panchina? In entrambi i casi, lui non avrebbe mosso un muscolo: punto primo, cercare Ri e la sua nuova amichetta in mezzo a quel mucchio di gente era come cercare un particolare spillo fra mille spilli; punto secondo, lui non voleva farsi Lindsay Moore su di una panchina! No, cioè, non voleva farsela e basta, ecco.

Sbuffò sonoramente in quella che doveva essere un’esternazione della propria battaglia interiore, ma che dalla giovane venne probabilmente colto come segnale di disappunto nei suoi riguardi -Puoi andare con loro, se ti va- biascicò, i lunghi capelli a coprirle il viso –Non sei costretto a rest—

-Ho detto che resto qui.-

Ho detto che resto con te…

Nell’udire i propri pensieri premere contro le labbra serrate affinché potessero raggiungerla come bombe suicide, deglutì, sentendo la gola dolere ad ogni parola simile ad un graffio lacerante. E si adombrò nel constatare che quelle stronzate appena pensate non erano frutto dell’adrenalina non ancora scemata. Lasciò vagare lo sguardo, concentrandosi su tutto ciò che non fosse lei ed effettivamente, qualcosa di interessante c’era: la sua mano destra. Era rossa, il palmo ricoperto da minuscoli graffietti che bruciavano ad ogni passata di polpastrelli sudati.

-Scusami- Lin indicò con un cenno del capo l’arto –Ho stretto troppo forte.- e scorgendo il suo sorriso appena accennato, il suo sguardo velato di rammarico, si ritrovò a scuotere la nuca.

-Passerà.- e sarebbe passato tutto, anche quel suo continuo dirsi che era davvero piacevole starle affianco. Sarebbe passata anche lei, come tutte, semplicemente.


 

Il rumore dei botti in sottofondo, il vociare della gente e gli urletti dei bambini ad ogni botto faceva loro da sottofondo, beandosi di quel mutismo che li aveva avvolti e che, sapeva, non aveva bisogno di essere riempito. Perché con Lindsay poteva stare in silenzio e non avrebbe dovuto trovare una risposta ai suoi Perché non parli? o Qualcosa non va? semplicemente perché lei non gli avrebbe mai posto domande del genere.

La guardò di sottecchi. Da quanto tempo non si trovava così bene con qualcuno che non fossero i membri dei Big Bang o della sua famiglia?-

 

Lin strinse un lembo del suo giaccone -Oh, guarda là…-

 

Da quando non desiderava restare con qualcuno solo per godere ancora un po’ di quella marea di sensazioni piacevoli capaci di scaldargli il cuore? Da quando non perdeva un battito quando una ragazza posava lo sguardo su di lui?

 

I suoi occhi enormi lo fissavano –Hai visto quanto è grande la luna?-

 

Seguì la linea del suo sguardo, scontrandosi con la luna che, enorme, illuminava il fiume tremolante, sospinto dalla brezza leggera che stava scompigliando loro i capelli. E mentre il gioco di luci e colori continuava a dipingere il cielo notturno di Seoul, Top si ritrovò a stringersi nel cappotto rosso, continuando a deglutire per dare refrigerio alla gola ormai divenuta secca, le labbra aride come se avesse bisogno di acqua. Come se avesse bisogno di aria…

-Che spettacolo…-

 

E ci fu un suono, rauco e profondo, proveniente dalle proprie labbra dischiuse. Imprevedibile alle proprie orecchie e al proprio cuore. Tenuto nascosto nelle cavità del proprio essere e ora liberato con assoluta naturalezza…


 

-Non la trovi bella?- e, irrimediabilmente, lo sguardo cadde sul suo profilo delicato e velato di gioia.

Mai quanto te…


 

Deglutì -Bellissima.-

 

 

 

 

A Vip’s corner:

Nel mio file Word erano ben 14 (14!!!) pagine di POV GD… Poi non dite che la vostra Heaven non vi vuole bene ♥

Premesso ciò… Nh, questo capitolo non mi piace proprio, mi spiace. Non è uscito come volevo io e a livello di scrittura e pensieri mi sembra ben sotto i capitoli precedenti. E questa volta è davvero troppo lungo e io, oltre alla paura di annoiarvi e farvi chiudere la pagina, ho la sensazione che si perdano passaggi importanti. Ma non potevo proprio dividerlo… Vi chiedo quindi di perdonarmi ma tra il caldo, le nottate insonni e il lavoro, questo è il meglio che sono riuscita a fare. Spero solo di tornare un po’ carica altrimenti, se questi sono i risultati, chiudo la mia vita di scrittrice -.-

Tralasciamo il mio sclero, care, e passiamo alle cose importanti… C’erano cose importanti in questo capitolo in cui non succede un beneamato nulla? Beh, dai, qualcosina sì…

Tipo che qualcosina sul vostro amato Ji Yong ve l’ho detta, no? E adesso sapete, anche se un po’ confusamente, che cosa lo ha fatto diventare stronzo o almeno da che cosa tutto è cominciato (certo, mancano ancora il quando, il come e il perché, ma abbiate fede, tutto verrà detto) e quindi ora potete tirarmi i pomodori. Ve lo avevo detto che era scontato :P Ed è stato bello scrivere la scena dove dormono tutti assieme; Top finalmente si è vendicato per tutte le angherie :’) Sono orgogliosa di lui U.U

Aaaaw, ho adorato scrivere la scena del Luna Park –d’accordo, solo la parte finale-; finalmente ho potuto usare un po’ di dolcezza ♥ Non vedevo l’ora di arrivare a questi momenti :P E finalmente le cose tra questi due si smuovono, ma per il momento non me la sento di parlare di amore… Diciamo che stanno facendo i conti con le loro paranoie.

Poi che altro? Ah, sì. SeungRi ti amo. Bom, basta così ♫

Passerei ai ringraziamenti, anche se alla fine ripeto le stesse cose. Ma voi sappiate che davvero, davvero, se continuo a pubblicare è perché mi date tanto sostegno: a YB_Moon, hottina, lil_monky, Fran Hatake, MionGD, Yuna_and_Tidus, ssilen e Myuzu, va tutto il mio amore immenso per le vostre recensioni. Aaaaah, ma come farei senza la vostra gentilezza? ç_ç

Grazie infinite anche a chi ha aggiunto Something fra le seguite/ricordate/preferite e chi continua a leggere ma resta in silenzio. Vi apprezzo tutti tutti, nessuno escluso ;)

Bacioni (e perdonate eventuali sviste e lo squallore del capitolo in sé) e alla prossima!

HeavenIsInYourEyes.

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Capitolo 11
*** But in your arms I’d rather stay ***


Capitolo 11

But in your arms I’d rather stay 

 

 

Give me a long kiss goodnight

and everything will be alright

Tell me that I won't feel a thing

So give me Novacaine

-Navacaine, Green Day-

 

 

La pioggia scrosciava da ormai un’ora abbondante, picchiettando insistente sui vetri dell’enorme finestra che dava sul cortile, immerso nel grigiore di quel giovedì di fine settembre. Un grigiore che sembrava ben descrivere la situazione di totale assurdità ora costretta ad affrontare.

Come se di cose assurde non ce ne fossero già abbastanza…

Perché c’era lei, ferma e immobile sotto l’enorme arco che divideva la cucina dal salotto, che fissava una tavola apparecchiata per due in maniera del tutto casuale e alla buona, una smorfia di autentica e disgustata sorpresa a corroderle i lineamenti dapprima rilassati. A pochi metri, oltre il bancone di ceramica, Mark le dava le spalle, impegnato a cucinare chissà quale altro immangiabile cibo coreano. E il suo istinto di sopravvivenza, che quello spettacolino continuava a stimolare, si mise sull’attenti quando scorse sul tavolino di ciliegio, invitante e inaspettata, una bottiglia di birra che svettava in mezzo a quella che si preannunciava una serata all’insegna della guerra.

Questo è un orrendo incubo…

Ma poi, Mark si voltò, un sorriso spuntato in mezzo alla barba incolta –Bentornata Lin.- e lei constatò che quella era solo la realtà. Raccapricciante, certo, ma pur sempre la realtà. E volente o nolente, avrebbe dovuto averci che fare. Anche perché, ormai, era stanca di dover sempre scappare da quelli che erano discorsi scomodi e difficili. O da lui. Doveva tirare fuori un po’ della grinta che usava per allontanare tutta la popolazione maschile del globo terrestre e affrontare l’abominevole belva che si ergeva davanti a sé. Si, poteva farcela…

-Chyoko?- la borsa a tracolla venne relegata in un angolo polveroso della cucina; l’odore delle uova le fece venire l’acquolina.

-Dai parenti- e lo stomaco si chiuse in una stretta morsa che le aveva tolto l’appetito -E’ da un po’ che non siamo soli, io e te.-

O forse non poteva. Le labbra si stiracchiarono di fronte al sorriso incerto del padre che, con la forchetta, cominciò a mescolare le uova con la pancetta nella padella. Assottigliò gli occhi nocciola e si assicurò che nessuna Candid Camera fosse appesa agli angoli della cucina; appurato ciò, si arrese allo scempio davanti a sé: Mark ai fornelli, birra, Chyoko e Minji via dai parenti… Gli ingredienti per un mostruoso film del terrore c’erano tutti. Mancava solo Emily a riempire quel quadretto degli orrori che era ora la cucina, opprimendoli con il gelo che un suo solo sguardo riusciva a creare.

-E’ una minaccia?- lasciò librare il proprio pensiero nell’aria profumata intorno a loro. Perché tarpare le ali dell’ironia che continuava ad infettarle le vene?

Mark agitò il cucchiaio di legno –Puoi far finta di essere simpatica, per una volta?-

-Nel corso di recitazione avevo l’insufficienza- lo vide scuotere la nuca, ma era certa che sul suo volto si fosse appena delineato un sorrisetto divertito –Ma ci proverò- mani in tasca, zampettò nella fossa del leone, raggiungendo il tavolo; prese fra le mani la bottiglia di birra fredda, lasciandosi sfuggire un serio -Non credere di potermi corrompere con una birra- con un gesto secco la volse verso sé, scrutandone l’etichetta –Men che meno se analcolica.- concluse con entrambe le sopracciglia arcuate.

E’ già qualcosa, però…

-Uguale a tua madre.- borbottò seccato; era forse l’insulto più brutto che le avessero mai rivolto, si ritrovò a ponderare mentre avvertiva i brividi scorrerle nelle vene. E non era di certo per via di quel liquido ambrato che ora stava scivolando nella sua gola secca.

-Così mi offendi.- mormorò apatica, vedendo le sue spalle tremare prima che una risata rauca riempisse l’aria, diramando la tensione che l’aveva inizialmente accolta a braccia aperte. E nonostante la continua sensazione di trovarsi in trappola, il perenne ricordo della loro furiosa litigata che aveva lasciato cicatrici dalla lenta guarigione, Lin si ritrovò a bearsi di quel suono spontaneo che le era mancato quando, da bambina, non lo aveva più udito riecheggiare per le stanze dell’appartamento.

-Beh, o quella o l’acqua.- le indicò con un cenno della nuca, tornando a concentrarsi sulle pentole.

E Lin alzò le spalle –Va bene così.-

Non è così male, dopo tutto…

Guardò la sua larga schiena, un sorrisetto a incresparle le labbra. Ricordava ancora che suo padre, da piccola, aveva sempre avuto il brutto vizio di portarla in spalletta quando si aggiravano per i marciapiedi affollati di una Ney York immersa negli strombazzamenti dei clacson o del vociare fastidioso della gente sempre in movimento. E c’era lei, tenera seienne dalla predisposizione a smarrirsi nei meandri di quella marea in costante movimento, lasciando la presa della sua mano grande che sempre era stata la sua ancora di salvezza. E allora lui la prendeva in spalletta, mormorandole un divertito –Scommetto che lo fai apposta.- che la faceva sempre ridacchiare. Ma Lindsay non glielo avrebbe mai confessato, sarebbe stato un segreto che avrebbe gelosamente custodito nel cuore che, da quando aveva posato piede sul suolo coreano, sembrava sempre più allettato all’idea di tornare a pulsare. Lei stessa si stupì della propria mano ingioiellata che si posava sul petto, avvertendo un calore improvviso propagarsi per tutto il corpo.

Il tintinnio dei piatti posati in tavola la ridestò. E l’espressione spaesata venne sostituita da un velo di puro scetticismo quando lo sguardo si imbatté in quello che, a primo acchito, non aveva la parvenza di cibo commestibile: quella specie di Flubber giallo non somigliava nemmeno di traverso ad una frittata e l’insalata che le faceva da contorno era tutto fuorché invitante.

Oscillò l’indice laccato di blu elettrico –Che ne hai fatto delle uova?-

Mark aggrottò le sopracciglia, limitandosi ad un asciutto –Accontentati e mangia- che, però, aveva qualcosa di diverso dalle solite frasi striminzite che, dopo la litigata, le aveva rifilato più per mantenere la quiete che per altro. Poté cogliere del divertimento nelle sue labbra leggermente piegate all’insù, nel tono di voce un po’ traballante, come se di lì a poco sarebbe scoppiato a ridere, nei suoi occhi socchiusi. Si massaggiò il collo, seriamente indecisa se chiamare la neuro di fronte a quel cambio repentino di atteggiamento o più semplicemente lasciar scorrere gli eventi. Del resto, solo perché lei aveva l’infantile capacità di serbare rancore, non significava che Mark avesse deciso di mettere una pietra sopra la loro discussione, magari cercando di andare avanti –E comunque c’è anche l’hamburger- e infatti lo scorse, l’unico alimento che sembrava mangiabile in mezzo a quella robaccia. D’accordo, voleva corromperla, non c’era altra spiegazione -Quando Chyo non c’è, mi concedo una sana cena all’americana- spiegò lanciandole il ketchup che, ovviamente, non prese nemmeno se avesse avuto due retini da pesca al posto delle mani –Che pessima presa.- sottolineò con enfasi il padre, facendole storcere il nasino.

-Ehi, a pallavolo mi escludevano sempre.- ed era vero, eh! Era stata eletta panchinara della classe all’unanimità. Perfino lei si era votata a favore! Anche se, beh, non è che Lin avesse partecipato attivamente alle lezioni con dedizione, trascorrendo quelle due ore di noia totale infrattata nel cortile sul retro della scuola fumando con qualche compagna di classe più grande che aveva sempre avuto una sigaretta da offrirle. O con qualche ragazzo desideroso di strapparla un bacio…

Quanto avevi in fisica?-

-Mah, una C solo perché me la cavavo in atletica- recuperò la bottiglietta da terra –Però in pigrizia ho avuto il massimo dei voti.- e lo sentì ridere di gusto mentre si sedeva a tavola, venendo imitata. Si arrese di fronte ai fatti: suo padre era un idiota borderline e lei una cretina capace solo di alimentare la ruggine che ricopriva il suo senso di perdono. Bene, d’accordo, appurato ciò poteva anche mangiare in santa pace crogiolandosi nel proprio mutismo, sperando che l’uomo non sparasse una delle sue solite cazzate che avrebbero scatenato una guerra di dimensioni apocalittiche.

-Emily sarà stata contenta.-

Alzò le spalle –Diceva che ginnastica è una scemenza: Meglio avere un ottimo voto in letteratura che una A a pallavolo.- scimmiottò la voce severa della madre, facendolo quasi strozzare con le zucchine.

-E’ la stessa cosa che mi disse quando ci incontrammo a scuola- Lin sollevò lo sguardo dal piatto, rapita da quel ricordo di gioventù che raramente le concedeva -Ero il capitano della squadra di basket e quando la invitai per una birra, finiti gli allenamenti, mi rispose: Domani c’è un compito. Preferisco prendere un buon voto in matematica che segnare un home run con te.-

Lin corrugò la fronte di fronte alle scarse doti conoscitive che sua madre aveva in fatto di sport –Ma non ha senso.-

-Con Emily molte cose non avevano senso- borbottò carezzandosi la barba, sorridendo subito dopo –Era per questo che mi piaceva stare con lei.- la ragazza si appiattì contro lo schienale, incerta su come prendere quel racconto che mostrava una Emily stronza esattamente come ora e suo padre, forse all’epoca più innamorato di quanto non lo fosse mai stato. E, da anni, avrebbe voluto chiedergli se mai gli fosse balenata l’idea di tornare assieme alla perfida strega dell’Est, ma quando scorgeva la fede al dito o contemplava la foto posta sul camino in salotto che li ritraeva durante il matrimonio, prepotente l’immagine della dolce Chyoko piombava nella sua mente, smorzando il suo coraggio. Forse, si disse, per certe cose era meglio non fare o porsi domande. Lo scorrere del tempo, tanto, aveva già sistemato tutto.

Trascorsero il resto della cena in silenzio, ristabilendo i livelli di civiltà che dopo la lite avevano completamente abbandonando, restaurando perfino quel loro silenzio particolare mai pesante o che andava necessariamente riempito. Si stupì di come, nonostante gli anni di lontananza, lei somigliasse sempre più a quello sconosciuto di Mark; un padre di cui, a ben vedere, non sapeva nulla…

Non ti sei mai chiesta il perché?-

 

E, incontenibili, le parole sorprese di Seung-Hyun tornarono in superficie. Rovinandole l’appetito, il buon proposito di fare i bagagli insieme alla propria ignoranza e fingersi disinteressata a quegli anni di vuoto che li avevano tenuti separati. Scalfendo quel briciolo di sollievo che era riuscita a guadagnare in quella mezzora di civiltà. Un sollievo che, a dispetto di ogni previsione, continuò però ad aleggiare attorno a lei, come se la voce profonda del ragazzo fosse una rasserenante cantilena capace di smorzare la rabbia crescente. Sorrise un poco. Incredibile come, da due estranei che avrebbero preferito corrodersi nell’acido piuttosto che trascorrere trenta secondi ad un metro di distanza, si fossero ritrovati a chiacchierare con quanta più naturalezza possedessero. E lei si era sentita perduta nella propria capacità di riuscire a comunicare senza sforzo alcuno, come se con lui fosse facile. E lo era, del resto.

Con lui tutto sembra un po’ più facile… 

 -Sai? Chyoko è contenta- sollevò la nuca, lo sguardo ancora perso nei meandri dei propri pensieri scalpitanti –Credeva non ti saresti ambientata. Invece ti sei fatta degli amici.- c’era sollievo nella sua voce, quasi avesse temuto di trovarsi la polizia attaccata al campanello di casa ad ogni ora del giorno e della notte. Per un istante, di fronte a quel barlume di gioia immotivato, si sentì come la Lindsay di sei anni che tornava dal primo giorno di scuola, dicendogli di aver fatto amicizia con l’amichetta sua compagna di banco. Mentre la portava al parco giochi passando per il centro, comprandole le caldarroste all’angolo della strada per poi rincasare e vedere Emily che rivolgeva loro un fioco sorriso stanco prima di rituffarsi sui fornelli.

-Più o meno.- puntualizzò incolore, facendo ciondolare la nuca per far sfumare l’ennesimo nostalgico ricordo che aveva deciso di fare una capatina nella sua mente turbinante di pensieri scomodi. Perché non è che quegli stramboidi con cui si era ritrovata a trascorrere qualche sera assieme potessero essere definiti amici, no? Insomma, gli amici erano quelle persone capaci di captare aria di problemi a miglia e miglia di distanza, capaci scorgere la sofferenza solo con uno sguardo e allora la lasciavano in pace, perché la sua anima non aveva voglia di mostrarsi in tutta la sua bellezza, quel giorno...

-Beh, sono contento.-

 

O erano quelli che la invitavano a dormire a casa loro perché distrutta dalle lacrime, che le stringevano la mano sulle montagne russe quando aveva paura, che le insegnavano ad usare le bacchette pur di non lasciarla morire di fame, che l’abbracciavano nonostante la sua scarsa inclinazione ad accettare o rivolgere questo tipo di attenzioni, magari roteando gli occhi o sbuffando sonoramente…

 

-Il Signor Yoon mi ha sempre parlato bene di quella ragazza, Fujii.-

 

Perché un abbraccio non era un gesto futile, non lo era mai stato per lei. Bisognava possedere una buona dose di delicatezza per stringere a sé qualcuno, incrinando le barriere che fungevano da riparo, ritrovandosi scoperta e priva di protezioni. E da che ricordasse, lei non aveva mai abbracciato nessuno. Sua madre, suo padre, i suoi parenti. Si era sempre limitata a qualche bacio sfuggevole, quale carezza soppesata, dovuta, mai spontanea. Ma non un abbraccio. E questo, i ragazzi che aveva frequentato, non lo avevano mai accettato, e nemmeno avevano provato a comprendere la sua visione delle cose, anche perché non li aveva mai resi partecipi dei propri contorti pensieri.

Fredda, cinica, stronzaSi era sentita appellare in talmente tanti modi, quando scappava alle loro morse fin troppo calorose, che ormai non ci aveva prestato più attenzione. Perché fuori dal letto non aveva voglia di sentire i battiti accelerati del proprio cuore –o i loro-, non voleva che il proprio respiro carezzasse il loro collo –e non voleva sentire il loro-, non voleva provare i brividi, al bando le vertigini. Non voleva sentirsi sorretta, giacché bastava sé stessa per reggersi in piedi in tutta quella durezza che la circondava…

 

-E Chyoko mi ha detto che hai conosciuto un ragazzo.-

 

C’era un’intimità tale in quei due corpi che si sfioravano che Lindsay, pur nella sua apatia, poteva sentire ciò che l’altra persona aveva da comunicarle, poteva percepire il calore solo sentendosi ricambiare in quella morsa che non faceva male, ma che quando veniva sciolta, lasciava un vuoto che andava colmato…

 

-E’ qualcuno che ti piace?- Mark picchiettò la forchetta sul piatto.

 

-Come?- si ridestò, richiamata da quel tintinnio.

-Ho detto se ti piace qualche ragazzo.-

E a quel punto, Lin strinse le mani sul bordo della sedia, richiamando tutto il proprio self control per non alzarsi e chiudersi in camera, o aprire la finestra per far uscire quell’enorme cazzata che, a quanto pareva, per lui sembrava di vitale importanza. O ridergli in faccia, solo quello.

-Ma che domanda è?- a parte il fatto che quella chiacchierata faceva tanto scolarette intente e gossippare, non è che fosse così scema da andare seriamente a confidarsi con quello che, fino all’altro giorno, nemmeno aveva considerato un padre.

E lei doveva aver assunto l’espressione più sgomenta dell’intero Universo perché, dopo una lunga pausa farcita dal loro scrutarsi attentamente, Mark storse il naso -Oh, non fare quella faccia!- Lin arcuò un sopracciglio, scettica di fronte al suo interessamento –Devo assicurarmi che nessun poco di buono ti faccia soffrire.-

Modalità padre di famiglia: ON.

Sventolò entrambe le mani, l’apatia a farle da padrona –Oh, ma è già successo, è tardi- lo vide accarezzarsi la barba, quasi si fosse impantanato nella propria paternità smontata con una semplice constatazione; Lin guardò il soffitto, chiedendosi come fossero potuti finire a ciarlare di stronzate di tale portata, aggiungendo un serafico –Papà, non ti devi preoccupare. So cavarmela.- che sembrò farsi bastare, perché dopo aver mugugnato qualcosa, tornò a concentrarsi sul proprio piatto.

La lasciò sola a crogiolarsi nel labirinto della propria mente che sembrava fatto di mura intercambiabili, ritrovandosi a ripercorrere le stesse identiche strade. E perfino quella domanda così banale e assurda perché sfuggita alle sue labbra, continuava a trotterellarle affianco, pedante e opprimente. Tenendole compagnia in quello che sembrava un girotondo sfiancante.

Perché piacere era una parola troppo grande per poter essere pronunciata in maniera tanto superficiale, necessitava di una risposta ben ponderata. Una risposta che non era sicura di voler sapere, spaventata al pensiero che le cose potessero sfuggirle di mano e cambiare. E Lindsay Moore non era mai stata capace di non soccombere sotto il peso dei cambiamenti. E come se non bastasse, a far capolino nella sua mente c’era sempre quel viso, quell’espressione tagliente ma che sembrava ammorbidirsi se solo incrociava il suo sguardo…

 

-Non ti accadrà niente… Ti fidi?-

 

Quel ragazzo che, inaspettatamente, aveva scombussolato il suo mondo interiore costellato di noia.

Perché era da un po’ di tempo che si ritrovava a pensare a quanto quel cretino di Seung-Hyun non fosse poi così sgradevole né alla vista né al proprio animo. Anzi, era di una piacevolezza quasi sconvolgente, di quelle che riuscivano a lasciarla spiazzata senza possibilità di rifugiarsi dietro le alte mura che aveva deciso di ergere con chiunque rappresentasse una minaccia alla propria staticità sentimentale. Una pillola amara da mandare giù ma che, alla fine, faceva solo bene. A tutto.

Perché tutto sembrava un po’ migliore quando si sforzava di scambiare quattro chiacchiere con lei, quando provava ad esserle amico, quando l’aiutava se in difficoltà, in maniera sgarbata certo, ma sempre con quel pizzico di delicatezza a cui non era mai stata abituata. Ed era strano come, inspiegabilmente, lui riuscisse sempre a comprenderla in tutte le sue svariate e mal digeribili sfaccettature.

Ma bastava questo a farglielo piacere? Poteva Lindsay parlare di piacere se pensava a Choi Seung-Hyun? Poteva classificare tutti i battiti persi, tutti gli sguardi magnetici, tutte le parole spezzate o tutto il calore che la pervadeva come sintomi di un sentimento incipiente troppo grande da contenere e troppo impegnativo anche solo da nominare?

Sorrise amara. No. Probabilmente si sbagliava, doveva essere per forza così. Perché tra tutte le proprie certezze crollate come tessere del domino, solo una continuava a svettare alta in quel campo sterminato dall’insensibilità: l’amore non era il suo forte.

-Quindi non c’è nessuno?- suo padre richiamò per l’ennesima volta la sua svagata attenzione, magari chiedendosi se non si fosse fumata qualcosa, data la sua accentuata incapacità a conversare.

-No.- replicò asciutta, evitando anche solo per sbaglio di pensarci sul serio.

Mark annuì, come se avesse compreso quanto quell’argomento fosse out, indicando il suo piatto mezzo pieno -Sei a posto?-

Lin annuì, spingendolo lontano, guardando le gocce di pioggia che, sul vetro, disegnavano delle scie scorrevoli. Incredibile come quel grigiore fosse divenuto più colorato ora che con suo padre sembravano essersi appianate le cose, in maniera silenziosa e senza bisogno di dirsi alcunché. E mentre lo vedeva darle le spalle, impegnato a pulire il tavolo, la ragazza si ritrovò a dar voce ad uno dei molti quesiti che, da quando se ne era andato, le erano svolazzati in testa -Non ti manca New York?-

Lo vide irrigidirsi, le spalle incurvate. Perché dal suo punto di vista, la Corea e New York erano due calamite capaci solo di respingersi, così diverse come il giorno e la notte che nessuno sano di mente avrebbe mai deciso di abbandonare la libertà e la frivolezza dell’occidente per approdare in un mondo fatto di regole troppo rigide e con una lingua talmente tanto ostica che, a volte, si ritrovava ad annuire senza avere la più pallida idea di cosa le venisse detto.

E Mark, che avrebbe potuto limitarsi ad un semplice o un no, doveva aver ricevuto probabilmente una botta in testa per lasciarsi sfuggire un serafico –Ora che sei qui, non più.- che ebbe il potere di farla avvampare come una scema. Perché tutta quella dolcezza che non le aveva mai dimostrato, veniva ora palesata con tanta noncuranza? Perché la loro furiosa litigata sembrava un ricordo lontano, sbiadito come i suoi dipinti di acquerelli delle elementari? E perché le era venuta la malsana voglia di abbracciarlo improvvisamente?! Forse avrebbe dovuto sforzarsi di conoscerlo un po’ meglio o, almeno, lasciargli una chance per dimostrarle che, in fondo, non era un padre così pessimo come lei amava dipingerlo.

La voce di suo padre la distrasse da quella delicata operazione –Linnie, ascolta- ancora con quel nomignolo sciocco? –So che ora non capisci ma credimi, ci sono tante, troppe cose che dovrei spiegarti, solo non è così facile.- lo vide nascondere la bocca dietro il palmo mentre l’altra andava a tamburellare le dita sulla superficie di legno.

-Tranquillo, a parole faccio schifo anche io.- sventolò una mano, smorzando quell’aria satura di amorevole imbarazzo che li aveva avvolti.

Lo vide abbozzare un sorriso mentre scuoteva la nuca –Comunque, per tutto- lo vide rivolgerle un sorriso colmo di amore che lei non riuscì a sopportare. Debole, tornò a guardare il giardino ormai immerso nel buio –Mi dispiace- a quel punto sorrise anche lei, dicendosi che davvero facevano schifo a parole –Ma credimi, io-noi vogliamo solo il bene per te e—

-Lo so.- quel discorso si stava facendo troppo pesante.

Si massaggiò la testa –E non è vero che sei sempre stata una delusione- e allora lo guardò davvero, perdendosi nei suoi occhi nocciola contornati da minuscole rughette, la mente in subbuglio all’affannosa ricerca di qualche frase pregna di ironia che avrebbe potuto spezzare quel momento idilliaco. Ma il suo sarcasmo doveva aver fatto i bagagli, perché ora Lin se ne restava immobile e pensosa, in attesa che Mark terminasse quel brodo di miele che, a dispetto di ogni previsione, non le stava facendo venire l’orticaria -Certo, a volte mi chiedevo da chi avessi preso: le risse, i festini, le notti trascorse chissà dove—

-Ero sempre a casa di qualcuno.- mugugnò seccata, chiedendosi come facesse ad essere a conoscenza di dettagli che mai gli aveva confidato durante le loro brevissime conversazioni mensili via Skype.

Suo padre sorrise –Ma alla fine non è così importante- la guardò di nuovo –Vai bene così come sei.-

E lei non rispose, non ce n’era bisogno. Bastavano i gesti, no? Come il proprio annuire lento accompagnato da un sorriso sincero di gratitudine, il suo passarle accanto e scompigliarle i capelli come quando era bambina e il suo Ti voglio bene appena sussurrato che le parve la cosa più bella mai udita fino ad allora, prima di sentire le sue dita scivolare e scomparire, come lui.

Si grattò la punta del naso e con un gesto veloce, si alzò, decisa a chiudersi nella propria stanza prima di andare al Tribeca. L’intro di Californication dei Red Hot si mescolò ai suoi pensieri vorticanti, strappandola dalle grinfie della mente che non voleva saperne di starsene buona e calma come suo solito, troppo presa a far nascere in lei scomode preoccupazioni e futili ansie, intensificate dalla sgradevole sensazione che quella conversazione un po’ troppo intima aveva portato con sé.

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Lindsay sbuffò, preparandosi psicologicamente alla triste eventualità di dover fare i conti con un SMS chilometrico di Ginko in cui, sicuramente, la ragazza avrebbe decantato per la millesima volta le innate qualità di Ji Yong, additandola come blasfema per la sua cecità di fronte a tale splendore; il tutto condito da faccine idiote. Ma si ritrovò ad allargare gli occhi nocciola e leggere il mandante almeno dieci volte prima di rendersi conto che sì, il creatore di quel messaggio era proprio GD lo stronzo…

Il 4 è il compleanno del tuo Top. Porta il tuo sorriso e quella schizzoide della Fujii. Per il regalo non fa nulla, basti tu ♥ ”

Lo aveva già detto che era uno stronzo?

E poi non era il suo Top. Che palle!, e cos’era quel Basti tu seguito da un cuore ripugnante?! Doveva per caso venire nuda avvolta da un nastro rosso con tanto di fiocchetto sui capelli? Evitò di polemizzare, che quello si infiammava se gli si dava troppa corda. Si limitò ad un Ok molto blando seguito dalla richiesta di maggiori illuminazioni come luogo e ora del ritrovo, così, tanto per gradire. E mentre attendeva una risposta, si grattò la punta del naso. Nemmeno sapeva fosse il suo compleanno, quel 4 novembre, e lei non gli aveva comprato un regalo.

 

E mentre saliva le scale rigirandosi l‘anello al dito per far scemare l’ansia appena ripiombata a fasciarla come una vellutata e invisibile coperta, Lindsay si chiese il perché di quella sensazione molesta. Era solo un compleanno, una stupida festa in cui sperava sarebbe corso alcool a fiumi che l’avrebbe costretta su di un divano con una bacinella affianco per tutta la nottata; in cui si sarebbero scambiati un fugace saluto; poi lui si sarebbe perso fra la marea di invitati di certo più meritevoli di attenzioni mentre lei sarebbe rimasta in un angolo, ignorandosi come a i bei tempi andati. E l’ordine delle cose sarebbe stato ristabilito.

E allora perché sentì lo stomaco chiudersi a quell’eventualità?

 

-E’ bello vedere che anche tu sei umana-

 

Si rintanò in camera, la mente colma di pensieri. Ma uno solo a turbarla…

 

-Non ti accadrà niente- il suo sguardo basso, la sua mano tesa -Ti fidi?-

 

Che lui fosse l’unico tra i tanti, semplicemente.

 

****

Ri era un ingenuo.

Almeno, così continuavano a descriverlo i suoi amici, i suoi parenti, i suoi superiori. Ed era talmente abituato a sentirselo ripetere che, ormai, aveva cominciato lui stesso a crederci; e se prima si sentiva tremendamente mortificato per questo suo lato che veniva spesso deriso, beh, ora non gli importava poi granché.

-Quindi?-

-Quindi cosa?-

-Beh, ti piace?-

Top roteò gli occhi mentre passava il dito sul sensore all’entrata del palazzo della YG –Certo che no- sbuffò –Esattamente come cinque minuti prima- il rumore delle porte che scorsero vennero lodate da un Top apparentemente seccato che, mani in tasca, camminava con passo funereo verso l’ascensore –Ma gli altri?- si guardò attorno.

Ri alzò le spalle –Sono già tutti di sopra.- spiegò veloce, attenendosi al copione che Tae aveva saggiamente deciso di fargli imparare a memoria. Anche perché GD lo aveva minacciato di morte, e lui era troppo giovane e coccoloso per perire. Cosa avrebbero fatto le sue fan se avessero saputo della sua dipartita?! Già immaginava la lunga fila di donzelle piangenti al suo funerale!

Ripetimi perché siamo venuti qui.- la voce cavernosa di Top lo ridestò. Il ragazzo indossava gli occhiali da sole, ma Ri era certo che sotto le lenti scure vi fossero un paio di occhi ora sottili e taglienti come lame di coltelli. Perché l’amico era stanco dopo aver trascorso l’intera giornata sul set fotografico di una rivista giapponese e, se non fosse stato per una scusa ben congegnata, probabilmente non si sarebbe nemmeno premurato di indossare degli abiti puliti e uscire di casa.

Nel panico, Ri si ritrovò a farfugliare –Il CEO vuole vederci. Ha indetto una riunione straordinaria. Sai, per il tour in Giappone e cose così.- agitò le mani davanti a sé, implorandolo con la sola forza dello sguardo sfuggevole di non porre altre domande.

E Top, effettivamente, se ne guardò bene dal continuare a tartassarlo, limitandosi ad uno scettico –E cose così, certo.- che lo fece sbuffare.

-Sì, cose così!- lo spintonò appena –Tanto adesso ti dirà tutto.- volse il volto, reprimendo un ghignetto. Nemmeno ti immagini cosa ti aspetta… Peccato che il ghigno che avrebbe dovuto solo deformare le sue labbra sottili fosse in realtà armonizzato da una risatina raccapricciante che fece arcuare un sopracciglio dell’amico. Ah, dannazione! GD sarebbe stato deluso delle sue doti recitative così scarse! Ma poi, e che cavolo!, perché facevano fare i lavori sporchi sempre a lui?! Insomma, lui non era portato per scorrazzare un festeggiato a sorpresa in giro per Seoul! E se lo avesse scoperto? Se avesse posto la domanda sbagliata e lui avesse risposto in maniera troppo ambigua, così da far venire tutto a galla?! Respira Ri, respira…

 -Qualcosa non va?-

E messo alle strette, Ri si ritrovò a barcamenarsi  in quel mucchio di quesiti che aveva posto ma che non avevano ottenuto una delucidazione…

-Certo che qualcosa non va!- trillò sbarrando gli occhi, agitando l’indice –Non mi hai detto perché non ti piace!- oh, bene, la conversazione andava riportata al livello originario. Si fermarono di fronte all’ascensore e lui, con un sorrisetto a dipingergli il volto, cominciò a premere con insistenza il pulsante.

Top tolse gli occhiali da sole, deliziandolo del suo sguardo torvo –Non c’è un motivo, eh- scacciò la sua mano, infastidito da tutta la sua incontenibile euforia –Una ragazza può piacerti o non piacerti. E comunque l’ascensore ha capito che lo stai chiamando! Dagli il tempo di arrivare!-

Ri strabuzzò gli occhi in uno di quei suoi soliti tic che prendevano il sopravvento quando si ritrovava ad intraprendere un discorso serio e che richiedeva tutta la sua concentrazione. Insomma, il suo Hyung era chiaramente attratto dall’americana musona, ma il perché continuasse a negare l’evidenza, era rimasto un mistero. Arricciò le labbra –Ma a te Lin piace.-

Le porte si aprirono e un tintinnio li invitò ad entrare –Ho detto di no.-

-Ma se hai detto che è bellissima!- premette il tasto del quinto piano, appoggiandosi alla parete di metallo mentre le porte si richiudevano, attendendo un microsecondo prima che l’aggeggio infernale cominciasse a salire.

E dall’espressione di fastidio che continuava a dipingergli il volto, quello per Top doveva rappresentare il viaggio più lungo che avesse mai fatto –Dovresti smetterla si stare con Ji Yong.- fu tutto ciò che gli concesse dopo essersi stropicciato il volto.

E il sorriso di Ri si ampliò a dismisura quando l’ascensore si fermò, un po’ perché a breve avrebbe portato a termine la sua delicatissima missione, un po’ perché finalmente avrebbe potuto tracannare un po’ di Tequila. E perché, nella sua immensa ingenuità, Ri sembrava aver ben compreso cosa stesse accadendo al suo adorato Hyung, ora fermo nell’androne del quinto piano.

-Dove dobbiamo andare?-

-Sala riunioni!- urlò con le mani a megafono; il segnale del loro arrivo era stato lanciato.

Top lo guardò allucinato –Sei già ubriaco?-

Ri lo spintonò mentre continuava a ripetere –E’ tardi, è tardi!- scoppiando a ridere quando l’indelicata imprecazione di Top si sparse nell’aria –E comunque ho ragione io- gli si parò davanti, frenandolo dal procedere verso la stanza –A te lei piace. O magari la ami e--

Ri, sei proprio un ingenuo- Top sospirò pesantemente prima di scompigliargli i capelli e passargli accanto, mormorando un assorto che lo lasciò immobile per una frazione di secondo. Perché forse lo era davvero, ormai non provava più a fugare ogni dubbio. Ma se anche lo fosse stato, cosa ci sarebbe stato di male? Scrollò le spalle, cosicché il fastidio potesse scivolargli di dosso. E mentre si apprestava a muovere un passo, pronto a trotterellargli al fianco, il maknae udì un Ri  baritonale che sembrava preannunciare un momento di totale incertezza, quasi di smarrimento –L’attrazione non diventa per forza amore, dovresti saperlo.- e ci fu il suo sorriso paterno.

Il ragazzo si grattò la nuca, soppesando le sue parole, rimanendo in silenzio mentre si lasciava oscurare dalla sua larga schiena. Forse Seung-Hyun aveva ragione, era un ingenuo che vedeva sbocciare l’amore anche dove non ve n’era neppure un minuscolo semino ed era per questa sua peculiarità che, spesso, si era ritrovato a leccarsi numerose ferite. Gonfiò le guance. Forse avrebbe dovuto smetterla di viaggiare con la fantasia, forse doveva crescere…

 

-Sicuro che sia qui? C’è troppo silenzio.-

Alzò le spalle –Mi hanno detto di portati qui.-

-Portarmi?- arcuò un sopracciglio.

Gracchiò –Portarci, portarci!-

Annuì, la mano sulla maniglia che si abbassava.

 

Però… Però… Però c’era qualcosa che continuava a mantenere viva la fiamma della sua ingenuità…

 

Fu quando la porta della sala riunioni all’ultimo piano si aprì e lui spintonò un Top ancora sconvolto da quel Sorpresa! che si era levato alto ed euforico, che lo aveva fatto bloccare proprio sull’uscio, quando tutti gli invitati si precipitarono ad attorniarlo, sballottolandolo di qua e di là, che Ri si rese conto di come, dopo tutto, vi fosse un fondo di verità nelle sue parole ingenue.

 

Perché nonostante tutto quel casino, Top si era accorto di lei.

Di lei che se ne stava in un cantuccio con una Ginko abbarbicata al suo braccio gracile; così poco appariscente in mezzo a quel mucchio di capelli cotonati, colorati, acconciati in maniera bizzarra, così poco notabile vestita di un paio di jeans e una semplice maglietta a stampe nere che lasciava scoperte le spalle tatuate; così immobile da non fingere nemmeno di voler essere scorta.

Ma lui era riuscito a vederla. Come se fosse entrato in quella sala solo per lei.

 

Gli parve di essere di troppo, in mezzo a quel mucchio di gente che si era gettata sulle cibarie e sul bere, come se quei due possedessero un magnetismo tale da respingere tutto ciò che li circondava. E c’era una strana dolcezza nei loro saluti scarni e vagamente accennati, c’era elettricità nei loro sguardi sospesi. C’era pura e semplice bellezza nel loro essere così vicini.

E probabilmente, nemmeno si rendevano conto di quanta attrazione emanassero.

Ri, quindi, si ritrovò a sorridere come un deficiente sotto lo sguardo di un Ji Yong annoiato e che cercava di scappare a tutti i costi da una Ginko che, cellulare alla mano, voleva essere immortalata in una foto con lui.

 

Perché forse sì, forse lui era un ingenuo e un sempliciotto che vedeva l’amore dappertutto…

 

Lin si grattò la punta del naso mentre alzava una mano affusolata.

Top le andò in contro.

Sospirò -Non ti ho preso nulla, scusa.- passò una mano nella lunga coda laterale.

Scrollò le spalle, un sorriso di velata dolcezza –Va bene così. Sul serio.-

 

Ma gli altri erano completamenti ciechi.
 

****
 

Ciondolando per i corridoi della YG, GD aveva deciso di fare un regalino al proprio cervello, salvandolo da quella gabbia di matti che ormai considerava la sua famiglia. Nh, no beh, a dir la verità era fuggito da quella nana salterina che aveva preso la brutta abitudine di volerlo immortalare in qualche stupida foto ricordo –che sarebbe andata ad aggiungersi a quel suo ridicolo altarino nell’armadio-. Per questo maledì Taeyang con quanta più dolcezza possedesse in corpo, perché se quello non lo avesse costretto ad invitarla a cena, la gnoma da giardino a quest’ora sarebbe al Tribeca a lavorare. E invece era lì, con lui… Ad appestargli la serata. E non che ci fosse nulla di male nel suo essere così Seungriosa, per carità, anzi, era quasi un piacere per le sue coronarie; neppure i suoi sorrisi era un peccato, tutt’altro. Solo, il suo istinto di sopravvivenza da mesi sopitosi, era ritornato a bussare alle porte del suo cervello e gli aveva suggerito di starle il più lontano possibile. E lui, gli dava sempre ascolto.

Represse uno sbadiglio. Che no-ia.

E proprio quando pensava che sarebbe morto sofferente e agonizzante per tutto quel tedio, ci fu quel suono pieno di meraviglioso scazzo, un turpiloquio godibilissimo alle sue orecchie…

 

-Che palle!-

 

L’annunciazione del più fantastico spettacolo che avrebbe mai potuto godersi quel 4 novembre…

 

-Ma dove cazzo sono finita?!

 

E poi la vide, in tutta la sua impassibilità, capitata davanti al suo sguardo stanco con imprevedibilità, quella stessa imprevedibilità con cui era piombata nella loro vita: Lindsay Moore. E dietro il palmo aperto, coprì un ghigno alla Cheshire, preparandosi ad un delizioso gioco a premi che avrebbe portato tanta, tanta luminosità in quella nottata che si preannunciava all’insegna della noia. E non perché il compleanno del suo Hyung preferito fosse una bazzecola di poco conto, assolutamente no! Ma se nella sala dei festeggiamenti mancava la chicca, l’unica che sembrava sempre portare un po’ di scompiglio nella loro abitudinaria esistenza, che gusto c’era a starsene seduto a mangiare tartine?

-Oh, America, buona sera.-

E non poté non trattenersi dal sorridere di pura estasi vedendola storcere il naso alla sua sola vista.

-Ji Yong.- alzò la mano affusolata libera, poi tornò a camminare come se non esistesse, sorseggiando il bicchiere in cui sicuramente c’era qualche superalcolico.

Oh, se la sua piccola cavia credeva di potersene andare con quel salutino smilzo si sbagliava di grosso. Gli passò di fianco, lo sguardo rivolto al corridoio che probabilmente le pareva uguale a tutti gli altri e Ji Yong, con un gesto fluido, si rimise sulla giusta carreggiata, affiancandola -Quanta fretta America- le cinse le spalle con un braccio, deliziandosi della sua imprecazione a mezza voce contornata dalla roteazione degli occhi; quale sublime felicità fu poi il suo scansarsi con stizza, come se il suo braccio fosse il viscido tentacolo di un polipo –Che ci fai al terzo piano?-

Lin arcuò un sopracciglio, senza perdere la solita verve di distacco che tanto, tanto adorava –Mi sono persa- si guardò attorno –Ma come fate a non perdervi?-

Alzò le spalle –Abitudine- portò le mani in tasca –Perché sei qui? Non dovresti essere dal tuo Oppa?- l’espressione di pura confusione che si dipinse sul viso ovale della ragazza fu semplicemente splendida, da immortalare! Ah, peccato non essersi portato dietro quella mosca di Ginko; avrebbe potuto chiederle di fargli da fotografa privata.

La sentì mugugnare qualcosa in inglese stretto, poi il suo farfugliamento –Te l’ho detto, mi sono persa.-

GD fece oscillare l’indice –E’ una mia impressione, o stai evitando la domanda?- ghignò, ridacchiando al suo sonoro sbuffo che, sapeva, era solo il sintomo di un godibilissimo triathlon psicologico da cui sarebbe uscito rifocillato. Perché era da un po’ che non torturava i suoi amichetti, spinto dal senso di rimorso per la bontà che avevano avuto nei suoi confronti dopo quella notte di ebrezza al Tribeca. Aveva bisogno di divertirsi un po’ con qualcuno e la cavia Moore sembrava fare al caso suo.

E quando lei si volse, l’espressione più placida che potesse esserci sulla faccia della terra, GD comprese cosa lo attirasse spasmodicamente di Lindsay Moore…

-Che diavolo è un Oppa?-

Il suo essere così spudoratamente sé stessa.

E, badare bene, non era una quisquiglia di poco conto. Essere sé stessi era forse l’unica incapacità che affliggeva il genere umano, nessuno escluso. In un mondo in cui le apparenze contavano più dell’aspetto interiore, Ji Yong era ormai abituato ad avere a che fare con gente che si riparava dietro enormi facciate di buonismo, pronta a rinfacciare errori commessi apparentemente insolvibili.

E poi c’erano le eccezioni. Quelle che non si preoccupavano di mostrarsi in tutta la loro bruttezza interiore, che se ne fregavano dei giudizi di chi li circondava. Che avevano la strabiliante capacità di rendersi interessanti senza fare nulla, come Lindsay Moore… Sorrise un poco. In quell’istante, capì come mai Top non avesse deciso di lasciarla perdere tempo orsono. Sempre inconsciamente eh, che quello era lento per certe cose.

Sghignazzò di fronte alla sua scarsa conoscenza di terminologia coreana che, decisamente, l’avrebbe fatta apparire meno rozza se solo si fosse impegnata a memorizzarla, ma accantonò quel pensiero. Del resto, in tutta la sua grettezza, Lindsay sapeva rendersi divertente –Oh, capirai presto.- beandolo di un sonoro grugnito per quella spiegazione mancata.

E poi chi era lui per offrirle la verità su di un vassoio di platino? Il burattinaio si limitava a muovere i fili come più lo aggradava; i gesti, le parole e la comprensione spettava ai burattini e loro soltanto. E lui, a parte concedere qualche spintarella affinché le situazioni non rimanessero statiche, non si permetteva di risolvere i quiz o fugare tutti i loro dubbi. Altrimenti, il loro rapporto non si sarebbe mai evoluto e neppure loro.

-Non dovresti essere alla festa?- domandò Lin fissandolo di sottecchi –Ginko e Ri si sentiranno persi se non potranno romperti le palle.- un altro sorso di quello che, dall’odore, sembrava whisky.

Ghignò –E il tuo Top sarà già morto senza te.-

La straniera roteò gli occhi, biascicando un secco –Non è il mio Top.- che lo fece sorprendere un poco. Nessuna smorfia di disgusto, nessun sguardo arcigno, nulla che potesse far presagire un ritorno alle origini. Solo il classico, enorme fastidio in conseguenza ad un punzecchiamento infantile. Si esaltò con questa scoperta, reprimendo l’istinto di stringerla a sé per la contentezza. Che si sopportassero era ormai appurato, non ci voleva un’intelligenza superiore per comprenderlo; perfino quel tontolone di Ri si era accorto del miglioramento! Necessitavano però passare al livello successivo, quello che li avrebbe portati alla piena consapevolezza di essere attratti l’uno dall’altra.

E come un Jolly richiesto a metà partita, vagante e assolutamente perfetto, passò di lì il seme della discordia…

-Oh, Ji Yong!-

Park Bom.

 

Per GD il suono di quella voce un po’ bambinesca fu come una manna dal cielo, la lieta novella che avrebbe mosso i meccanismi dei sentimenti di quei due cretini, probabilmente inceppatisi durante la fase di mera conoscenza.

-Unni, che gioia trovarti qui- con un sorriso sghembo, salutò la giovane con un cenno del capo, controllando con impazienza che quella scema di Lin non rimanesse indietro. Doveva assolutamente stargli al fianco in quel momento di scoperta, doveva! –Che ci fai in giro?-

-Probabilmente si è persa pure lei.- sentì il mormorio scanzonato di Lin, probabilmente brilla, visto che faceva ciondolare la testa a ritmo di Fire proveniente dagli schermi al plasma appesi al muro.

Park Bom li fissò a lungo, sbattendo le ciglia lunghissime che la facevano apparire una delle tante bambole di porcellana che sua sorella aveva sempre collezionato da quando era bambina. E stretta in quel vestitino a pois bianchi e neri su sfondo rosa pallido, davvero sembrava appena uscita da un manga –No, no, sono venuta a prendere i testi delle canzoni!- sventolò i fogli, facendo tintinnare i numerosi braccialetti.

-E’ iniziato il karaoke?- domandò Ji Yong fingendosi interessato; la cantante annuì.

-Ecco, da bravo, vai a sgolarti con lei invece di rompermi le palle.- si intromise Lindsay in tutta la sua sgarbatezza, facendolo ghignare di gusto.

La cantante strabuzzò gli occhi, come se si fosse accorta solo ora della tatuata che, scazzata, continuava a fissare il video musicale; con uno squittio richiamò la sua attenzione, si inchinò facendo sì che la lunga coda di cavallo ricadesse in avanti –Che maleducata! Sono Park Bom!- le rivolse un sorriso.

-Lindsay Moore.- alzò una mano, svogliata.

Inclinò il capo per studiarla –Sei la ragazza di Ji Yong?-

GD arcuò un sopracciglio di fronte alla sparata intergalattica dell’amica, fissandola come se avesse appena detto chissà quale eresia. Come se lui avesse una ragazza. Lui aveva tante ragazze, nessun’amica in particolare. E poi, se anche si fosse così ammattito da intraprendere una relazione seria con qualcuna, di sicuro non l’avrebbe presentata agli in maniera tanto sciocca. Così, mentre le sopracciglia fini formavano un arco perfetto, esprimendo il suo pieno scetticismo, si ritrovò a mormorare un sincero –Certo che--

-Che schifo.- interrotto dal galantissimo commento di Lin, ora impegnata a controllare che l’alcool non fosse già terminato.

-Non credere di essere questo granché- puntualizzò con placidità, vedendola alzare le spalle –E poi le ribelli piacciono a Seung-Hyun, non a me.-

E come da copione, le due pantere si immobilizzarono: sul lato destro del ring c’era una Bom attonita di fronte a quella rivelazione, preda chissà di quale lungometraggio che vedeva come protagonista il suo dongsaeng e la tatuata sbucata dal nulla; sul lato sinistro, una straniera scazzata e che continuava a giocare con la punta della lunga cosa laterale che terminava alla vita, apparentemente infastidita da quell’insinuazione.

 

Se vi chiederete perché mai, tra tutte le 2NE1 presenti alla festa, lei fosse la sua prediletta in quel preciso istante della sua giovane vita, la risposta era presto data: rossa di capelli e fisionomia da cartone animato, Park Bom aveva rappresentato l’oggetto dei desideri del suo adorato Hyung per almeno un annetto. Poi si arreso all’evidenza: lei era come una sorellona da prendere in giro, un membro talmente stretto di quella loro enorme famiglia che mai qualcosa di anche solo lontanamente amoroso sarebbe potuto nascere. Guardò la new entry, apparentemente disinteressata alla bellezza che svettava davanti a sé in tutta la sua sinuosità: Lindsay Moore non lo sapeva.

Ciò, convenne con la propria brillante mente, era la carta vincente che avrebbe permesso ai due piccoli topolini sotto osservazione di potersi finalmente rincorrere in quell’enorme ruota che era l’amore.

Fu però la cantante a prendere in mano le redini del discorso –Quindi tu sei la ragazza di Top?!- portò una mano sotto il mento –Sei davvero carina, lo sai?- un sorriso sbocciò sul suo volto –Aaaaw, avrebbe potuto presentarcela prima, però.-

-Non sono la sua ragazza.- troncò ogni tipo di vaneggiamento, Lindsay, scuotendo la nuca di fronte alla sua espressione stupita.

-Non ancora.-

-Tu smettila.-

-Ma se vi siete anche presi per mano?- la cavia andava stuzzicata per bene; le parole giuste, i gesti giusti e tutto sarebbe andato secondo il suo piano geniale.

-Ma sulle montagne russe, e che palle!-

-Oh, è vero, non significa nulla!- l’intromissione di Bom arrivò con un pizzico di comprensione nei confronti della ragazza straniera; probabilmente, spinta dal senso di solidarietà femminile, la ragazza aveva avuto la brillante idea di supportare le tesi di Lin, non conscia di star solo alimentando la fiaccola che annunciava l’apertura della più bella Olimpiade psicologica di tutti i tempi –Prendeva sempre per mano anche me quando andavamo al Luna Park!-

Oh, sommo gaudio! Mai parole furono più rinfrescanti in quel corridoio ora silenzioso.

Fu delizioso analizzare la flebilissima contrazione di tensione che contorse i lineamenti delicati della Moore –Ecco, vedi.- mormorò subito dopo, uno strano sorriso a incresparle le labbra.

-Ji Yong, lasciale un po’ di tregua lo spintonò un poco, poi batté le mani -So che tra poco comincerete il tour in Giappone!-

Il ragazzo lanciò un’occhiata fugace ad un’assorta Lindsay, poi rivolse alla Unni un sorriso di pura gioia –Aha, partiremo tra due settimane- un’altra occhiata alla cavia –Probabilmente daremo una festa prima di partire, così potrai salutare Top per bene.- e il colpo di grazia, che Lin incassò con magistrale noncuranza.

Bom sbuffò prima di spintonarlo di nuovo –Smettila con le cazzate!- lo rimproverò bonariamente, prima di rivolgere di nuovo la sua attenzione su una Lindsay pensosa che, con deliziosissimo scazzo, continuava a sanare la sua curiosità con i monosillabi.

E GD si beò di quella splendida vista, rinvigorito dal fatto che molte perle fossero piovute sulla nuca corvina dell’americana con naturalezza, come se perfino il destino avesse deciso di spronarli ad andare avanti. Perché adesso la Moore, che probabilmente non si era resa conto di essere attratta dal suo Hyung adorato, ora si ritrovava a fare i conti con la loro imminente partenza e una possibile rivale in campo affettivo. Ah, che spettacolo!

Bom ridacchiò e dopo essersi presa dell’altro tempo per squadrarla ancora, le rivolse un breve inchino –E’ stato un piacere conoscerti, ma ora devo scappare. CL mi ammazza se non vado subito a cantare con lei!- poi li superò con uno sfarfallio della mano –Alla prossima! E tu vacci piano con le ragazze, intesi?- gli fece un occhiolino prima di fiondarsi verso l’ascensore.

 

E così erano rimasti ancora loro due, in bilico sui fili del discorso che avevano imbastito prima di venire interrotti. E forse, si disse, quello che all’apparenza era stato un break dai suoi giochetti ad ostacoli, si era rivelato più propizio di quanto avrebbe mai potuto credere.

Perché Lin, avvicinatasi al tavolo da biliardo, ora lo guardava con un velo di curiosità negli enormi occhi sfumati di nero, pronta ad esprimere uno dei suoi soliti pensieri –Dovresti smetterla.-

-Con cosa?- arricciò le labbra, camminando lento mentre la raggiungeva.

-Di fare insinuazioni.- sempre criptica la sua adorabile cavia, un punto a suo favore.

-Oh, ma io non insinuo nulla.-

-Le ribelli piacciono a Seung-Hyun.- lo scimmiottò malamente, suscitando la sua ilarità sopitasi per tutta la serata. E GD sfruttò questo suo eccesso di risa per andare avanti con il suo giochino, desideroso di stimolare la mente offuscata dall’alcool di Lindsay. Di una Lindsay che sembrava aver captato aria di problemi…

-Oh, America, scusami- si mise a mani giunte, gli occhi ancora socchiusi per le troppe risate –Ma io non stavo parlando di te.-

La vide sollevare lo sguardo confuso, le mani appoggiate sul bordo del tavolo e il bicchiere a pochi centimetri –E di chi?-

-Park Bom.- fu un soffio che li circondò pesantemente, uno schiaffo in pieno viso dell’orgoglio della giovane ragazza che, ora, aveva annuito con sorpresa, quasi si sentisse in imbarazzo per aver frainteso le sue parole. Se solo avesse saputo quanto lui la stesse prendendo in giro… La faceva più furba, decisamente.

-Beh, è molto bella.- commentò atona, prendendo la palla bianca fra le mani affusolate.

MA-GNI-FI-CO. Superbo, decisamente.

-Già, molto- cinguettò annuendo –Nessuna potrebbe mai competere con lei.-

-Mhmh.-

-Top non ha occhi che per lei. Non lo ammette, ma credo abbia un debole per Bom- Lin bevve un altro sorso, poi posò il bicchiere sul bordo -Penso si circondi di ragazze per farla ingelosire.- il suo sorriso enigmatico.

-Buon per lui.- si avvicinò alle stecche appese al muro e ne prese una.

-Però, sai, se due persone si piacciono davvero, superano tutti gli ostacoli, no?- GD fissò la sua schiena stretta, lasciò scivolare i polpastrelli sul bordo del tavolo e si allontanò verso l’ascensore.

Lin alzò le spalle –Boh, credo di sì.- c’era apatia nella sua voce. Forse non aveva più voglia di chiacchierare con lui.

Il seme della discordia era stato piantato, del resto…

 

Udì un tonfo secco, come di pietre che si scontrano fra loro; Lin, disinteressata a quel discorso, aveva cominciato a giocare a biliardo contro sé stessa –Non sono brava in queste cose.- mormorò assorta.

-Lo so.- replicò paziente, l’angolo destro delle labbra che guizzò all’insù di fronte al suo sguardo sorpreso.

 

E Ji Yong doveva solo attendere che desse i suoi frutti.

 

Guardò oltre la spalla quando vide le porte dell’ascensore aprirsi -Tu non vieni?-

Lin puntò la pallina rossa ferma all’angolo –Gioco un po’.- fu tutto ciò che gli concesse prima di tirare nuovamente. E quando la vide chinarsi sul tavolo da biliardo, GD comprese di essere ormai giunto al secondo atto. Mancava solamente il protagonista e tutto sarebbe andato secondo i piani.

E se la sua America non andava da Top, sarebbero stato lui a raggiungerla…

 

Entrò nella sala riunioni attorniato dalla potente voce di CL intenta a cantare Back to Black di Amy Winehoue al karaoke sotto gli incitamenti dei presenti. E quando scorse lo sguardo di Top fisso sulla porta, si rese conto di come la sua venuta avesse fatto crollare ogni sua aspettativa… Che si aspettasse di vedere entrare trionfalmente la sua adorata Lin? Si avvicinò melassoso, mani nelle tasche dei jeans -Dove sei stato?- gli domandò rigirandosi la birra fra le mani, lo sguardo vagante.

-In giro- inclinò il capo, un sorrisetto sul volto –Con Lin- cinguettò subito dopo, vedendolo allargare un pelo gli occhi scuri, per poi annuire subito dopo. Ah, che scemo. Cos’era quello sguardo seccato nel sentirsi rivolgere una frase del genere? Lui non gli avrebbe mai strappato dalle grinfie il suo tenero giocattolino, no no –Si trova nella sala relax- gli rubò la bottiglia di birra, approfittando del suo smarrimento momentaneo –A quanto pare, le piace il tavolo da biliardo.- un sorriso malizioso, il leggero rossore che imporporò le guance del festeggiato. E la sua imprecazione appena sussurrata, che sembrò venir gridata tanto era sublime.

-Buon per lei.-

Sporse il labbro inferiore –Ah. Quindi non la stavi cercando?-

Seung-Hyun gli scoccò un’occhiata torva –Perché dovrei?! C’è tanta gente qui!- aprì le braccia in un gesto esasperato e troppo teatrale. Il fatto che entrambi fossero brilli rendeva tutto più semplice, sul serio.

GD arcuò entrambe le sopracciglia, studiando la fauna attorno a sé; ma davvero lo reputava così scemo? Come se tra quei soggetti potesse esserci qualcuno con cui valesse la pena trascorrere anche solo cinque minuti. A parte Ri, ovvio. O Ginko, che poi era la sua versione al femminile. Si ritrovò a sorridere mellifluo; avrebbe torturato un po’ il suo adorato Hyung, poi si sarebbe dedicato completamente ai due cretini separati alla nascita persi in chissà quale conversazione d’alti livelli –Andiamo, come se non me ne fossi accorto.- mormorò assorto, fissandolo come se fosse il pirla del villaggio.

Top, esasperato, storse il naso –Accorto di cosa?-

-Che senza di lei ti annoi.- e lo aveva visto incassare il colpo in silenzio, lo sguardo attonito e sgomento mentre si grattava la chioma azzurra, guardando il terreno tirato a lucido per quella sera. E Ji Yong comprese quanto ancora ci fosse da lavorare con quell’idiota di uno Hyung. Qui le questioni era due: o Top era un demente senza precedenti destinato a restare solo per il resto dei suoi giorni se non si decideva a staccarsi dallo scoglio della staticità oppure era semplicemente ignaro del fatto che qualcosa fosse cambiato…

 

-Non posso andarmene.- bisbigliò guardandosi attorno.

 

O forse se ne era accorto. Ma aveva paura…

E GD si ritrovò a fissarlo quasi sconvolto per quella piega inaspettata che aveva preso la situazione; increscioso da parte propria essersi perso l’arrivo della consapevolezza del suo Top adorato. Perché il turbamento che aleggiava intorno a Seung-Hyun era un chiaro segnale della comprensione che stava giungendo, una comprensione che andava assimilata, metabolizzata e poi palesata. E allora lì sì, che si sarebbe divertito da matti.

E decise di non infierire, per il suo compleanno, lasciando che fosse l’illuminazione divina a dargli il colpo di grazia…

Ti copro io.-

Ringraziandolo tacitamente per non averlo mai abbandonato durante il suo tortuoso cammino. Un regalo di compleanno in completo GD style.

Top sorrise prima di superarlo, lasciando dietro di sé la scia di insicurezza che lo aveva bloccato in quella saletta troppo a lungo.

-Non deludermi.- mormorò a sé stesso quando udì la porta chiudersi. Inclinò il capo nello scorgere i suoi due animaletti che canticchiavano il repertorio del karaoke mentre sceglievano, probabilmente, che canzone duettare. E GD voleva bene alle proprie orecchie, perciò si premurò di far sì che la tappa salterina non sfiorasse il microfono nemmeno per sbaglio.

Si avvicinò con placidità, beandosi delle sopracciglia aggrottate di Ri e del sorriso sognante di Ginko –Disturbo?- mormorò guardandoli zuccheroso, strappando loro i fogli di mano.

E le lagne di Ri si sprecarono. Così come i rimproveri di Ginko non tardarono ad arrivare. Lui si sedette sulla poltrona, ignorandoli mentre un sorriso sereno spuntava sul volto allungato.

Decisamente, quella festa stava diventando interessante.

 

****

 

Immobile e pensoso, restava appoggiato alla fredda parete metallica dell’ascensore a fissare i numeri dei piani che si illuminavano ogni volta che venivano raggiunti. La mente era sgombra dai pensieri funesti, complice l’alcool ingurgitato da inizio serata, ma stuzzicata in continuazione da un unico ed opprimente quesito: perché non era rimasto alla festa?

E non era una cosa da poco, eh! Insomma, due piani sopra di lui c’era gente che aveva fatto i salti mortali per preparargli quella festa a sorpresa, che si era prodigata per rendere tutto perfetto, che lo aveva trattato con i guanti in quella notte dedicata a lui… E lui dov’era? In un ascensore in direzione del terzo piano. E solo per raggiungere l’unica ragazza che mai avrebbe pensato di inseguire.

Sbatté la testa contro il muro quando udì il tintinnio che segnalava il suo arrivo. Che Diavolo aveva combinato quella ragazza per riuscire ad insinuarsi come una droga nella sua mente? Per di più una che aveva la delicatezza di uno scaricatore di porto! Cioè, andava contro tutti quelli che erano sempre stati i suoi pensieri sulla ragazza ideale, dannazione! Dolce, sensibile, elegante, fine, educata… Cose di cui Lin, probabilmente, nemmeno conosceva il significato o la loro mera esistenza.

Ma a te Lin piace.-

 

Storse il naso mentre si incamminava verso la sala relax; probabilmente il demone di SeungRi doveva essersi impossessato del suo corpo per fargli partorire certe stronzate di dimensioni bibliche. Perché per quanto potesse essere attirato dall’alone di mistero e malinconia che sembrava perennemente circondare quella ragazza, ciò non significava che fosse pronto ad imbastire una relazione amorosa con lei. No, proprio no.

Però, lei non ti è indifferente…

Zittì la tequila con un gesto secco della mano mentre apriva la porta, ritrovandosela davanti in tutta la sua impassibilità.

Eh, ma cazzo!

Fu questo il primo pensiero che passò nella mente dell’esemplare di Top quando, aperta la porta della sala relax, si ritrovò ad osservare in tutta la sua magnificenza il sedere di una Lindsay che, piegata sul tavolo da biliardo, stava cercando di mandare la palla 7 nella buca d’angolo. E sarebbe rimasto volentieri a godersi quello spettacolino delizioso, ma la tequila e la birra in corpo continuavano a proporre immagini di dubbio gusto nella sua mente. Prese un profondo respiro, cercando di mantenere un minimo di controllo.

Però ha un bel-No, basta, che palle!

-Palla sette in buca centrale.-

Tossì, giusto per attirare la sua attenzione. Giusto per zittire il proprio cervello che continuava a propinargli commenti non proprio pudichi sull’americana -Parli da sola?-

Lin si volse, i lunghi capelli neri ad incorniciarle il volto ovale velato di spavento –Sto giocando- agitò la stecca –Non deconcentrarmi.- biascicò assottigliando gli occhi, come se volesse mettere a fuoco. Allargò gli occhi scuri quando vide la palla sette colpire la cinque che, sbattendo il bordo, andò in buca, seguita a ruota dall’altra.

-Dove hai imparato a giocare?- si avvicinò, studiando la situazione. Mancavano poche bilie da mandare in buca, tra cui la palla 8.

-Uno con cui uscivo mi ha insegnato a giocare- replicò apatica mentre inclinava il capo e si reggeva sulla stecca di legno, ammirando il proprio lavoro –Lui adorava il biliardo.-
 

A quanto pare, le piace il tavolo da biliardo.-


Le parole di Ji Yong giunsero prepotenti nella sua mente ottenebrata dall’alcool e ancora in preda agli spasmi per la visione di poco prima. Adesso ci si metteva pure quel coglione del suo amico a mettergli in testa strane idee.

-Non stai bene?- si stropicciò il viso alla sua domanda, sventolando una mano –Che ci fai qui?- chiese poco dopo, piegandosi sul tavolo per cercare la prossima mossa.

-Ti do fastidio?- sbottò seccato, infastidito dalla sua completa indifferenza nel ritrovarselo lì fra i piedi. Possibile che solo lui volesse stare un po’ in sua compagnia? Coglione… Sembrava una cacchio di ragazzina adorante che voleva trascorrere cinque minuti in più con il compagno di classe tanto amato. E Lin non era una campagna di classe e men che meno l’amava! Forse, forse, ne era solo vagamente attratto. Ma nulla di più.

Lin scosse la nuca –Pensavo saresti rimasto con gli altri invitati- portò alle labbra il bicchiere –Vuoi giocare?-

-No, faccio schifo.- borbottò agitando le mani, restandosene fermo vicino al bordo a guardarla. E sarebbe potuto andarsene via, a dir la verità, perché dubitava che Lindsay volesse chiacchierare con lui, tanto era immersa nel suo mondo fatto di whisky, buche e palle da biliardo. Eppure non riusciva a muovere un passo, come se le suole delle converse fossero appiccicate al pavimento; perfino l’ascensore gli sembrava troppo lontano. Perché c’era fluidità nei suoi movimenti spontanei e lui si incantava nel vederla arricciare le labbra mentre ponderava su quale biglia eliminare, mentre si aggirava intorno al tavolo come un leone famelico che puntava la preda. Ed il sorrisetto appena accennato che sbocciava senza forzature quando faceva un punto, era uno spettacolo capace di mozzargli il fiato in gola.

Perché aveva visto raramente Lindsay sorridere; rare, rarissime volte. Ma in quei pochi momenti, aveva avvertito la strabiliante sensazione che tutto stesse andando bene, che perfino i problemi potessero passare in secondo piano per una manciata di secondi.

E quando la guardò, rivestita di una bellezza che solo da poco si era accorto lei possedesse, capì…

 

-Non è così difficile.- un altro punto, un altro sorriso.

 

Voleva restare con lei, solo questo. Anche se solo per cinque minuti.

Top portò le mani in tasca –Perché non sei su? Ti annoi?-

-Un po’- la vide allargare gli occhi nocciola e poi scuotere la nuca –Scusa, non—

Rise della sua impulsività -Tranquilla, mi annoiavo anche io.- Ma ora non più…

Ed era davvero così. Era bastata una sua parola per rendere tutto un po’ migliore. Non avrebbe detto magico, quella era vaccata troppo grande da mandare giù. Ma migliore… Quello sì. O meno noioso, ecco. Meno noioso poteva andare.

E se qualche mese prima sarebbe rimasto disgustato all’idea di restare chiuso con lei in una saletta, raccapricciato dai propri balordi pensieri, esternando tutto lo schifo che aveva in corpo, ora semplicemente se ne rimase in silenzio continuando a ripetersi che, in fondo, Lin non era poi così male. E non lo era affatto. Chiacchierare con lei era addirittura divertente, sotto certi punti di vista. Perché riuscivano a imbastire discussioni senza senso che, però, si rivelavano più interessanti delle mille discussioni vertenti sulla musica o gli album che avrebbe potuto sorbirsi a qualche cena o con qualche fan estasiata.

Con lei no, invece. Era convinto che avrebbero potuto parlare della pace nel mondo e Lin se ne sarebbe uscita con qualche sparata sarcastica che sarebbe riuscita a strappargli più di una risata. Ed erano sensazioni che gli scaldavano il cuore, da troppo tempo esposto al freddo delle sue giornate monotone.

-E vuoi perderti Ginko al karaoke?- esalò ironica, grattandosi la fronte.

-Mi sono fatto un regalo di compleanno.- replicò con la stessa verve, strappandole un sorriso divertito che nascose dietro il bicchiere ormai quasi vuoto.

Lin era calma quando parlava con lui, di una placidità disarmante, diversa da quella raccapricciante di Ji Yong. Dietro i suoi silenzi non c’erano parole nascoste –anche perché aveva il brutto vizio di dire tutto ciò che pensava-, dietro le sue parole a volte cosparse di sincera delicatezza non c’erano mai doppi fini –perché per lei non contava che lui fosse ricco o famoso-. Tutto, con lei, andava oltre la sua fama. Nessun gesto impulsivo, nessuno sguardo adorante, nessun’espressione ridicola pendente sul volto ovale. Da troppo tempo ormai non parlava con qualcuna che non fosse un membro dello staff o qualche collega -o sua madre- e gli era mancata l’indescrivibile sensazione di incertezza nel ritrovarsi a fare i conti con una ragazza sconosciuta che sembrava disinteressata a lui e alla sua vita movimentata. Che, semplicemente, lo trattava come un comune essere umano. Perché prima di posare piede in Corea, nemmeno aveva sentito parlare di lui.

-Nh, palla 12 in buca d’angolo.- Lin si ripiegò, questa volta davanti a lui, ridestandolo dai suoi sconclusionati pensieri. Da quella posizione privilegiata, poté scorgere la linea morbida del seno, lasciata scoperta dalla larga maglietta bianca. E, di colpo, si ricordò della prima volta che aveva posato lo sguardo su di lei, quando l’aveva vista ballare sul bancone del bar del Tribeca. Aveva emanato una sensualità tale da ipnotizzarlo, evidenziata dal costumino che aveva messo in risalto le sue forme così accentuate e morbide che, ammise almeno a sé stesso, non riuscivano più a lasciarlo indifferente. Era pur sempre un uomo!

Intravide il bordino di pizzo del reggiseno e deglutì al pensiero che, se solo si fosse piegata un po’ di più, probabilmente avrebbe potuto vedere ogni lembo di quella pelle che sembrava liscia, carezzevole. E che avrebbe voluto sfiorare, assaporare.

Spostò lo sguardo lucido sul volto ora concentrato. Ed era bella, diamine, solo quello. Il viso ovale circondato da quella marea di fili neri in cui avrebbe voluto affondare le mani, le labbra carnose e rosse risaltate dal rossetto, gli occhi enormi e dal taglio occidentale di quel color nocciola capace di fargli perdere il controllo…

-Ho una terza scarsa, non è questo granché.- il rumore della stecca che colpiva la bilia bianca si mischiò alle sue parole pronunciate con fin troppa naturalezza, come se fosse abituata a quel genere di sguardi da parte dei ragazzi. La brusca realtà fu come un pugno in pieno stomaco. E, beh, non aveva scusanti. Si stava comportando come un abbordatore da bar, non ce n’era.

Fantastico, Seung-Hyun, sei il perfetto maniaco, complimenti!

Colto in flagrante, si grattò la chioma azzurra. Probabilmente era solo la vodka in corpo a parlare per il suo cervello, non c’erano altre spiegazioni -Non stavo guardando quello.- la vide rialzarsi e calò il sipario su quella dolce tentazione.

Lin guardò il soffitto ma non replicò, anche se non sembrava seccata da ciò che era appena accaduto. Possibile che lei reagisse sempre con così tanta nonchalance mentre lui faticava come una bestia a vigilare su quel briciolo di autocontrollo che la tequila e la birra ancora non avevano invitato a sloggiare? E più il tempo passava, più si accorgeva di quanto ormai fosse assolutamente incatramato in quell’unico, costante pensiero che le parole di Ji Yong avevano stimolato: lui avrebbe voluto stringerla a sé. Possibilmente nuda.

Quindi, Seung-Hyun? Vuoi fartela sul tavolo da biliardo?

Magari nella sala di registrazione…

-E ti basterebbe davvero una volta sola?-

 

E la cosa più sconvolgente, in tutto quel marasma di cazzate perverse che la sua mente continuava a produrre senza filtri, era la vaga sensazione che non l’avrebbe lasciata andare. Che assaporarla una sola volta sarebbe stata troppo poco per saziare quello strano desiderio che aveva di lei e che era nato in maniera talmente tanto lenta e imprevedibile, da essersi ormai radicato nel profondo del proprio essere.

Perché era maledettamente convinto che se l’avesse sfiorata una volta, non avrebbe più potuto farne a meno.

Ma proprio quando credeva di essere ormai giunto al limite della propria sanità mentale, ci si mise pure la Moore con quei suoi discorsi strampalati e sempre enigmatici che richiedevano una buona dose di lucidità per essere interpretati. Lucidità che lui non possedeva, non in quel momento…

 

-Guarda che non funzionerà.-

 

E fu come venire investiti da una doccia gelida. Che avesse colto il desiderio nei suoi occhi annebbiati? Non è che aveva sbavato? Portò una mano sulle labbra ma era tutto in ordine. Lin lo guardò sospesa, poi sorrise un poco. Solo in quel momento gli parve lontana. Irraggiungibile. E non quell’irraggiungibile in stile nerd sfigato che fa il filo alla capo cheerleader della scuola, no. Era più un rendersi conto che Lindsay non lo avrebbe nemmeno ritenuto meritevole di una sola notte di sesso.

Perché lui avrebbe voluto godere del suo corpo gracile stretto al proprio. Ma lei?

E fu incredibile ritrovarsi a fissarla con fin troppo spaesamento, come un dodicenne che vedeva illusa la possibilità di entrare nello stanzino con la compagna di classe carina in quello stupido gioco, 7 minuti in Paradiso o qualcosa del genere. La cosa che però più lo lascio meravigliato, fu la propria capacità di riuscire a farfugliare un incerto -Non funzionerà… Cosa?-  quando credeva di aver perso ormai tutte le parole.

Lin inclinò il capo, continuando ad osservare le palline mescolatesi dopo il suo colpo a vuoto –Usare me per far ingelosire la ragazza che ti piace.-

Il suo cervello si spense. Black out totale… Alt, time out… Eh?! E poi… L’apoteosi dell’inspiegabile…

-Non riuscirai a farla ingelosire.-

Ma di che cacchio parla?

-Ma chi?-

Lin scoccò la lingua –La ragazza che ti piace.- ripeté convinta.

-La ragazza che mi piace?- si massaggiò la fronte con l’indice e il pollice -Ma di che cavolo parli?-

Lin fece scoccare le dita mentre, pensosa, fissava il soffitto –Ma sì, Parko Bum?-

Chi?! Ah…

-Park Bom.-

-Eh.-

E nonostante tutto l’autocontrollo appena richiamato a sé, la propria voce risuonò rauca e gracchiante nella saletta il cui unico sottofondo era la loro Forever with you -Che cacchio vai dicendo?!- e lo aveva domandato con forse troppa irruenza perché Lin era sobbalzata e con lei la pallina bianca, ora finita in buca. Gli rivolse un’occhiataccia e borbottò un secco –Non farlo più.- prima di andare a recuperare la bilia. Respirò a pieni polmoni, guardandola di sottecchi. Come cavolo le potevano venire in mente stronzate del genere? E soprattutto… Come faceva a sapere di Bom? Nessuno gliel’aveva presentata! Si stropiccio il volto quando si rese conto della triste realtà: probabilmente quell’uccellino di GD aveva cinguettato come suo solito –E comunque non mi piace. Non più, da tanto— si morse la lingua per precauzione, evitando di esalare confessioni azzardate che avrebbero potuto incrinare quel misero rapporto tra loro instauratosi.

Lin lo guardò per qualche istante, poi mormorò un –Sono fatti tuoi, comunque.- prima di riprendere il gioco. E lui lo ammise a sé stesso: aveva avuto una cotta per Park Bom. Ma era stata una cosa passeggera, come le folate di vento estive che, sotto l’arsura, donano un po’ di refrigerio prima di lasciarti cuocere sull’asfalto. Non era mai stato un chiodo fisso, non era mai stato preso dalla voglia di prenderla e farla propria mentre danzava nella sala prove, niente di tutto ciò! Con Lindsay invece era tutto più viscerale, più fisico. Cioè, quando si era fermato a chiacchierare con Bom vicino al buffet, complice la doppia tequila prima scolatosi, non aveva avuto il desiderio impellente di buttarla fra le patatine e le tartine, proprio no!

E poi arrivava nella sala relax, scorgeva il reggiseno di pizzo della Moore e la bramosia di possederla sul tavolo da biliardo aveva preso il sopravvento. Oh, al diavolo, ecco! Era la maledetta tequila che gli faceva sbrodolare tutte quelle stronzate.

Ma nel silenzio appena ricreatosi, Top si sentì in dovere di far chiarezza su quella questione strampalata -E poi non ti userei per farla ingelosire!- perché sentiva che un passo falso avrebbe potuto rovinate tutto. Che cosa, però, ancora non riusciva a capirlo.

-Lo so- un sorriso appena accennato, una parentesi di bellezza su quel volto sempre impassibile –Sei un bravo ragazzo- no, non lo era. Perché lei era lì, apparentemente convinta di avere a che fare con un santo. Lui invece voleva solo sbattersela sul tavolo da biliardo. Sono proprio una testa di cazzo… -E comunque, non sarebbe la prima volta. Ci sono già abituata.-

-A cosa?-

-A venir utilizzata come rimpiazzo. O sfogo, scegli te.- fissò arcigna la biglia verde che non voleva sapere di andare in buca.

-E non lo trovi degradante?- si morse la lingua, continuando a fissare il tavolo pur di non scorgere l’offesa nei suoi occhi nocciola.

Ma quando Lin mormorò un serafico -No- allora sì, che la guardò in viso. E c’era placidità sui suoi lineamenti delicati, come se il suo commento non l’avesse minimamente sfiorata –E’ solo sesso. Che male c’è?-

Già, che male c’è?

Oh, smettila di rompere le palle!

 

-E se poi ti lasci prendere?- no, seriamente, perché le dava corda?

Lin lo fissò a labbra arricciate, troppo seria per quell’argomento stupido –Impossibile. I legami sono stupidi- replicò categorica, rigirandosi fra le mani ingioiellate il bicchiere ormai vuoto. Ci fu poi il suo sospiro leggero, accompagnato da una confessione che mai si sarebbe aspettato –Si basano su promesse che non vengono mai mantenute.-

-Se ci si impegna, non è difficile.- la guardò a lungo, studiò la sua espressione inscalfibile, chiedendosi perché si ostinasse a volerle far cambiare idea.

Lin tornò a guardare il tavolo dopo quella che parve un’infinità -Probabilmente, sono banale- socchiuse gli occhi mentre puntava la palla# 8, sorridendo appena quando finì in buca dopo aver rimbalzato sul bordo –Almeno, mia madre continua a ripetermelo. È per questo che non riesco a tenermi un ragazzo. Anche se non me ne frega poi molto- non c’era tristezza o rabbia nella sua voce modulata, come se stesse parlando di una sconosciuta. Quell’atteggiamento distaccato, quel suo continuo esporre i propri pensieri senza amarezza o incertezza, tutto faceva presupporre che, al di sotto, vi fosse di più. E quando la vide portare dietro le spalle la lunga coda corvina dopo aver mormorato un noncurante –O forse non sono portata per le storie serie.- e regalargli un sorriso appena accennato, capace di scuotere quel Paradiso di certezze tirato su così faticosamente, Top comprese come ormai fosse assuefatto da lei.

 E avrebbe voluto cercare delle spiegazioni ai battiti accelerati del cuore quando lei gli si era fatta così vicina per posare la stecca da biliardo, alle vertigini che lo avevano costretto a poggiare entrambe le mani sul bordo del tavolo, alle labbra secche e la gola arida e alla costante domanda: cos’ha lei che un’altra no?…

 

-Ho finito. Torniamo dagli altri-

 

Ma per quella notte, non aveva voglia di cercare delle risposte ai suoi perché. E non voleva lasciarsela sfuggire, nemmeno quello…

 

Aprì le labbra, incapace ormai di trattenere le parole che continuavano a risalire in gola nonostante i vani tentativi di cacciarle indietro. Fu un –Lindsay- pronunciato con naturalezza, che risuonò deciso nella saletta silenziosa e che fu in grado di distoglierla dai suoi pensieri…

-Che c’è?-

E si ritrovò a perdersi nei meandri dei suoi occhi nocciola ora larghi per la curiosità, nella confusione che aleggiava intorno a lei.

Vuoi fare sesso con me nella studio di registrazione?


 

-Vuoi vedere lo studio di registrazione?- che fosse dannato il suo cervello maledetto!

Lin parve pensarci su, lo sguardo rivolto al soffitto –Va bene.- e un sorriso luminoso che sbaragliò tutti i dubbi.

 

E a lui sembrò che quello fosse il miglior regalo della sua vita.

 

*****
 

Sedevano nella sala di registrazione da parecchio, cercando di non vaneggiare nonostante il whisky continuasse a sospingerla leggera. Di sicuro passerà, si era detta mentre se ne stava sdraiata sul divanetto in pelle nera. La discussione del momento: il tour in Giappone. 

-E quanto starete via?-

-Due mesi, più o meno.- soppesò lui stravaccato sulla sedia girevole, la testa reclinata.

Lin annuì, lasciandosi trasportare dalle note dei Red Hot che continuavano a riempire la saletta dalle luci soffuse. Gli aveva prestato il proprio Mp3, decisa a non ascoltare la sua musica rap che l’avrebbe solo stimolata a vomitare sulle sue costose scarpe da ginnastica, e adesso se ne stava lì, sdraiata sul divano intenta a portare avanti una qualsiasi conversazione.

-Bello.- fu tutto ciò che riuscì ad esprimere, incapace di aprire il proprio vocabolario mentale. La verità era che la notizia di Ji Yong sulla loro imminente partenza, l’aveva scombussolata più della probabile relazione tra Top e quella Bom. Perché la lontananza, quella l’avrebbe avvertita. Non bisognava amare qualcuno o essere amici di lunga data per sentirne la mancanza. C’era che con lui riusciva a parlare e per quanto si ostinasse a convincersi che non rappresentasse nulla se non una presenza vagante nella sua monotona vita, fu costretta ad ammettere che così non era.

-Mi sembrano troppi.- aveva constatato con svogliatezza, come se fosse una brusca interruzione per qualcosa di più importante ma che lei non riuscì a cogliere.

-Due mesi passano in fretta- mormorò Lin mettendosi seduta –Per me è stato così- ed era vero. Più si guardava indietro, più credeva di essere lì in Corea da una vita. E se inizialmente aveva sempre fissato la valigia con nostalgia, desiderosa di prendere il primo aereo disponibile, ora l’aveva chiusa nell’armadio. E non pensava più a New York, non così spesso –Ma che ore sono?-

E quando credette che tutto sarebbe andato bene, quando udì il suo pacato –Tardi. Gli altri ci daranno per dispersi.- seguito dalla sua risata rauca, Lin si ritrovò a stringere le mani sulla maglietta bianca a stampe nere, continuando a chiedersi perché non mettesse fine a quella chiacchierata che si era protratta fin troppo. Chiedendosi perché la sensazione che, uscita da quella porta, tutto sarebbe tornato come prima, la spaventasse così tanto. E la certezza che senza di lui si sarebbe annoiata a morte per quei due mesi, prese il sopravvento, facendole mancare l’aria.

E’ soltanto Seung-Hyun…

 

-Sei preoccupata per qualcosa?- Top la imitò, anche se con pacatezza -Hai lo stesso sguardo di quando mi hai preso a librate.-

Si sentì messa a nudo di fronte alla sua incredibile capacità di cogliere ogni sua sfaccettatura. Lei che aveva sempre adottato l’impassibilità per non venir compresa, ora si ritrovava a dover fare i conti con quello strano coreano che aveva la straordinaria capacità di captare ogni suo più piccolo pensiero. Ed era una bella sensazione, nuova, di quelle che creavano strane fitte al cuore, al ventre. Che facevano scorrere i brividi…

Con uno scatto si alzò in piedi, venendo fissata come un alieno. Lo guardò ad occhi larghi -Fa caldo.- fu tutto ciò che disse, sventolandosi una mano sul volto. E comprese che non era l’alcool il problema. Il problema era lui e la sua presenza. Non più scomoda, non più deleteria… Solo, le metteva in testa pensieri strani. Perché nessun ragazzo era mai riuscito a divenire una così deliziosa ossessione tanto da spaventarla, tanto da far crollare ogni barriera…

-Sei sicura di stare bene?- fece qualche passo verso di lei.

No, non ti avvicinare…

-Se hai bisogno di qualcosa, torniamo dagli al—

-No!- lasciò cadere le mani lungo i fianchi –No, sto bene qui.- e stava bene davvero. Nella sua paura che qualcosa di ingestibile potesse accadere, lei stava bene. E lui, rivestito di incertezza, era ancora più bello ai suoi occhi annebbiati dall’alcool e da tutte quelle paranoie che la stavano soffocando. E Lin non sapeva cosa le stesse accadendo, cosa le fosse preso al pensiero di non averlo più tra i piedi. Solo, era in attesa che qualcosa accadesse, tra loro, trascinati da quell’elettricità palpabile che aveva avvertito anche in sala relax…

E se anche, noi…

solo avrebbe voluto sentire il sapore del suo respiro…

Tanto, ci lasceremo indietro tutto, no?

 

E fu un attimo, sospeso sulle note di Californication. Perfetto nella sua imprevedibilità.

 

Circondò il suo collo con le bracci gracili, chiudendo gli occhi mentre poggiava le labbra sulla sua spalla, lasciandosi solleticare dalle fibre del maglione Army, beandosi del suo buon profumo mentre chiudeva gli occhi. Si fece trasportare dalla gradevole sensazione di estraniamento che, il whisky, stava compiendo. E Lin non seppe spiegarsi il perché di quel gesto inconsulto, nemmeno che segnale stesse attendendo affinché potesse scostarsi da lui, magari inventando qualche scusa…

 

-Sei ubriaca.- l’imbarazzo della sua voce che sapeva di Tequila.

-Anche tu.- il proprio sussurro ovattato.

 

Forse stava aspettando le sue mani sulla vita sottile che ora la stringevano con delicatezza, la sua voce profonda sussurrata all’orecchio destro…

 

-Solo cinque minuti.- chiese flebile.

La testa girava, le vertigini la costrinsero a stringerlo di più.

-Quanto tempo vuoi.- la sua dolcezza che scaldava il gelo del suo cuore.

 

La speranza fievole che qualcosa di inaspettato potesse accadere…

 

-Lindsay?-

La bellezza del proprio nome pronunciato da lui, che risuonò rauco…


 

-Per quanto possa valere—

Le sue labbra sull’orecchio, un sussurro che le fece scorrere i brividi.

-Tu non sei banale.-

 

E stare stretta a lui così, semplicemente.

 

 


 

A Vip’s corner:

E io pensavo che questo capitolo sarebbe stato pessimo. Ed effettivamente lo è ò_ò Scusatemi tanto se sembro sempre così pessimista, è che proprio non mi sta piacendo il mio modo di scrivere ultimamente, I don’t know why… Forse è che ho talmente tante cose da dire che alla fine tutto risulta confusionario. E sono stata seriamente indecisa se pubblicarlo o meno, ma la questione era: o così o niente. Ho optato per il o così, perché la vostra Heaven vi vuole bene e deve portare avanti la storia. Anche se mi sembra tutto troppo veloce ç_ç
 

Però il finale mi piace ♥ E cosa succederà nello studio di registrazione? :D

By the way, non è che abbia molto da dire é.è Il POV di Ri è proprio corto, ma direi che è abbastanza significativo per far vedere che piega hanno preso le cose. GD è il solito adorabile stronzo, invece ♫ Che mette zizzania solo per i suoi scopi. E perché vuole bene a quei due testoni, in fondo.

E Lin E Top… Aaaaw, finalmente questi idioti si stanno dando una mossa *-* Il POV finale di Lindsay è molto veloce, me ne spiaccio, ma ho preferito focalizzarmi sulle sue paturnie, non su quello che si sono detti :( E poi è brilla, non riuscivo a farle dire un pensiero logico -.-

A proposito di questo, ho cambiato il rating in arancione, tanto perché non si è mai troppo cauti visto anche la piega che han preso i pensieri di Top :/

Passo quindi ai miei beloved ringraziamenti: Fran Hatake, MionGD, Myuzu, hottina, lil_monky, Yuna_and_Tidus, e YB_Moon vi adoro, non ho altre parole se non per descrivervi il mio grazie immenso *-* Spero che questo capitolo non vi abbia deluse :(

Un grazie di cuore anche a chi ha aggiunto Something fra le seguite/ricordate/preferite e chi legge in silenzio :) Vi adoro lo stesso, sappiatelo ♥

Alla prossima (ignorate eventuali e possibili errori, please)!

HeavenIsInYourEyes.

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Capitolo 12
*** What would happen if we kissed? ***


Capitolo 12

What would happen if we kissed?

 

He holds me in his big arms

Drunk and I am seeing stars

This is all I think of

-Video Games, Lana del Rey-

 



 

Kwon Ji Yong fissava svogliato il mucchio di alcolici che svettavano sul tavolino posto davanti all’enorme finestra che dava su di una Seoul notturna immersa nel silenzio. Un silenzio in cui avrebbe voluto immergersi, invece di starsene chiuso in quella stanza ad ascoltare i suoi amici dilettarsi al karaoke. Si guardò attorno: Dae e Dara si erano appena sfidati sulle note di Bring me to life, una battaglia che stava vedendo il maknae in vantaggio visto che la ragazza, ubriaca, non riusciva ad andare a tempo e la maggior parte delle volte emetteva risolini acuti. Più in là, tutti gli altri commensali che chiacchieravano, incitavano i due o si intrattenevano in gare di bevute. E lui sarebbe voluto davvero fuggire da quel manicomio, respirare a pieni polmoni e salvare il proprio cervello che, ormai giunto allo stremo della sopportazione, lo aveva obbligato a gettarsi sul rum.

Ma qualcosa glielo impediva, un pensiero costante ed opprimente: che in quel palazzo, qualcosa di imperdibile sarebbe presto accaduto.

Guardò l’orologio da polso che segnava le 3.00; il suo Hyung doveva ormai aver portato a termine la missione che gli avrebbe fatto guadagnare un sacco di punti esperienza e lui non sarebbe potuto mancare quando il suo piccolo burattino gli sarebbe corso incontro velato di incertezza, ormai riscopertosi attratto da quel Boss di livello 100 che era la Moore. Confidava nel fatto che la Limit Break Tequila avesse sortito gli effetti sperati, anche se con quel babbeo non si poteva mai dire. Si riscoprì però piuttosto sollevato nel constatare che America sembrava essere meno ottusa per queste cose, come se avesse effettuato parecchi allenamenti prima di scendere in campo. Probabilmente, per lei Top altri non era che un Caterpie a livello 3.

E quindi Ji Yong se ne stava lì, indeciso se spiarli da dietro il muro o lasciare che il corso degli eventi prendessero la loro piega senza una sua interferenza, magari con qualche svolta improvvisa che avrebbe reso tutto più interessante. Nel frattempo, convenne con la propria genialità, era meglio dimenticare l’orrore a cui era sottoposto. Ed era pure bello abominevole da mandar giù, visto che il suo manager, che stava al canto come lui stava ad un crocerossino, aveva avuto la strepitosa idea di essere il prossimo a sgolarsi sotto le note di I will always love you.

Rabbrividì, mentre un sonoro –Che due palle.- venne sepolto sotto le acclamazioni illogiche dei presenti. Ma proprio quando cedette al senso di noia che lo aveva pervaso, nell’esatto istante in cui aveva creduto che niente avrebbe potuto distogliere l’attenzione dal costante pensiero delle sue due cavie alle prese con la loro missione, ecco che una vocetta acuta sfiorò le sue orecchie, come una luce capace di squarciare le tenebre del grigiore in cui era piombato…

-Ahm, Ji Yong—

E quando guardò oltre la spalla, l’istinto primordiale di dare il via ad uno dei suoi soliti giochetti, prese il sopravvento. Perché inaspettata e rivestita di timido imbarazzo, era giunta una vittima mai presa in considerazione tanto gli era parsa banale ma che, dati i risvolti, si sarebbe sicuramente rivelata più interessante di quanto avrebbe mai potuto immaginare.

Le sorrise dolcemente –Fujii, qualcosa non va?- invogliandola a restare. Del resto, come insegnavano i migliori documentari, le prede più paurose andavano adescate con dolcezza e non appena si fosse fidata di lui, l’avrebbe stuzzicata a proprio piacimento.

La vide portare una mano sulle labbra color ciliegia, lo sguardo che vagava per la stanza affollata –Ti disturbo?-

-A dir la verità, sì- mormorò sporgendo il labbro inferiore, reprimendo un risolino al suo squittio mortificato –Vodka o rum?- la fissò, osservando le pieghe della sua fronte corrugata.

-Sto bene così.- sventolò una mano, un ampio sorriso a illuminarle il volto allungato.

Ji Yong scosse la nuca –Non era per te. Era per me.-

Ginko arricciò le labbra –Allora cosa me lo chiedi a fare?!- sbuffò sonoramente, portando le mani sui fianchi mentre un piede sbatacchiava ritmicamente sul pavimento. Oh, si era già innervosita? Ma così non avrebbe retto nemmeno al primo ostacolo! Sospirò. Doveva portare pazienza, del resto, quello era il primo test a cui veniva sottoposta –Comunque la vodka.- commentò caustica, rivolgendo uno sguardo di puro disgusto al liquido scuro che colava nel bicchiere.

Ji Yong la guardò di sottecchi, stimolato dalla voglia di torturarla un poco, quel tanto che bastava per sentirsi di nuovo in forze. O fino a che Top non si fosse ripresentato nella sala riunioni con sguardo collerico seguito da una Lindsay incazzosa; allora sì che lì avrebbe lasciato perdere quella nana saltellante, deciso ad intervenire per salvare il proprio divertimento –Oh, e perché non il rum?-

Una domanda banale –Perché quella roba lì è amara!- una risposta altrettanto mediocre, detta con un’ovvietà che gli scaldò il cuore. Era delizioso accorgersi che le persone, alla fine, si riducevano ad essere l’una uguale all’altra; come se non lo sapesse che il rum fosse amaro.

-Un po’ come la vita, non trovi?- le rivolse un sorrisetto di incoraggiamento, mostrandosi desideroso di essere reso partecipe dei suoi pensieri. E la Fujii, ammise con sé stesso, era davvero un portento nel lasciarsi trasportare con fin troppo entusiasmo in discorsi idioti e senza senso. Proprio come il suo dolce Ri, del resto.

Ed eccoli lì, i suoi occhi scuri e larghi per il disappunto –Cosa dici?! Non è assolutamente vero!- fu strabiliante vedere come si scaldasse con poco. Se andava avanti di questo passo, se la sarebbe mangiata in un sol boccone –Ti sei perfino tatuato Dolce Vita! Vorrà pur dir qualcosa!-

Certo, che era un pirla. E poi, quello era stato prima di rendersi conto che la vita da star non era così idilliaca come aveva sempre pensato. Lo scandalo della Marijuana sembrava aver fatto volatilizzare i milioni di amici che avevano sempre decantato eterno sostegno. Sorrise amaramente, rivolgendole uno sguardo di sottecchi mentre quella fumava come una teiera, seriamente contrariata per quella sua uscita detta così, per dare inizio ai giochi. Ma non l’avrebbe disillusa. Per qualche strana ragione, il fatto che lei lo considerasse una specie di Dio greco non faceva che aumentare la sua smisurata voglia di trattenerla un po’ di più con sé. Del resto, una fan era molto più malleabile.

Si rigirò fra le mani sottili il bicchierino e dopo aver mandato giù il rum, la fissò appena –Ma tu non eri con Ri?-

La ragazza annuì –Oh, sì, ma la sua ragazza l’ha chiamato!- trillò.

-Ma non l’ha ancora lasciata?- sbuffò stanco, massaggiandosi la fronte con il pollice e l’indice. Quel ragazzo era proprio un idiota se si ostinava a voler restare con quella sanguisuga, davvero! E poi era lui, che se glielo faceva notare, passava per lo stronzo della situazione. Comunque, in quel marasma di pensieri, doveva aver assunto un’espressione davvero scema perché quando meno se lo aspettò, il proprio viso venne placcato dalle dita magre della ragazzina, ora intente a stropicciarglielo –Dovresti smetterla di aggrottare le sopracciglia, lo sai? Sei troppo giovane per questo- e avrebbe potuto scacciare le sue mani con un gesto secco, palesando una tranquillità invidiabile. Ma c’era qualcosa che non andava in tutto quello, e non erano i suoi polpastrelli che continuavano a modellargli il viso manco fosse una statua di creta –E poi, se sorridessi, saresti molto più carino.- o le sue parole pressoché inutili.

Era lei, a non andare. Lei e il suo agire in maniera così scioccamente imprevedibile, uscendosene con quelle frasi strampalate che avrebbero dovuto farlo ridere di gusto tanto suonavano stupide; eppure, pronunciate da lei assumevano altri tonalità, capaci di spezzare la disarmonia di quel momento. Aveva una passione così incontenibile quando si barcamenava in qualche discussione, un fuoco così vivido quando difendeva il proprio roseo punto di vista, che proprio non ce la fece a deriderla. Anzi, si ritrovò a fissarla con fastidio. Perché quella sciocca ragazzina aveva la stramba capacità di lasciarlo senza parole per più di dieci secondi?

-Leva quelle mani- soffiò apatico, udendo il suo brodo di scuse –Che vuoi?- domandò subito dopo, tornando a fissare la finestra di fronte a sé.

Ed eccola lì, la domanda che molte gioie avrebbe portato alle sue stanche membra…

Hai visto Lin?-

Un suono talmente godibile che non poté non lasciarsi strappare un dolce, raccapricciante sorriso di beatitudine. La guardò di sottecchi, ignara del trip mentale che avrebbe presto affrontato gratuitamente e senza che fosse stato lui a cercarla. Perché a rendere tutto più meraviglioso era proprio il fatto che fosse stata lei, inaspettata, a cercare la sua consulenza.

-Era nella sala relax.- vago, continuò a rimestare tra gli alcolici, fingendo un interesse che in realtà era rivolto esclusivamente a lei. Non doveva farglielo notare, però, o il suo cervello sarebbe andato in tilt per il troppo eccitamento.

Oh, allora la raggiungo.-

-Io non lo farei, se fossi in te- Ginko se ne stava andando, lasciando dietro sé il profumo dolce di loto, quello stesso profumo che lo aveva accompagnato per tutta l’ubriacatura al Tribeca tempo addietro, scatenando in lui uno strano moto di colpevolezza che non riusciva a catalogare e soprattutto a trattenere; ma ora aveva voltato il busto, regalandogli un’espressione così confusa da poter essere definita uno spettacolo. E non ebbe bisogno di sentirsi rivolgere alcuna domanda, perché i suoi occhi socchiusi parlavano per lei. Approfittò del suo miracoloso silenzio, aggiungendo un incurante –Era con Top.- che avrebbe portato solo tanto gaudio.

E fu così.

Perché i suoi occhi erano ora sgranati dalla sorpresa -ma poté scorgervi chiaramente una felicità irrefrenabile-, il suo volto si contrasse quasi si stesse trattenendo dal non gridare e le labbra color ciliegia erano ora nascoste dietro le mani ingioiellate mentre strani squittii fuoriuscivano da quell’esserino. Si chiese se stesse per morire o se qualche rotella della sua materia grigia fosse semplicemente rotolata altrove, ma poi un euforico –OhMioDio lo sapevo! Lo sapevo! Quei due si piacciono!- mal celò un insieme di urletti estasiati che gli fecero comprendere come Ginko fosse assolutamente strabiliante.

Perché bisognava esserlo per palesare così tanto trasporto per una situazione che non la toccava nemmeno di striscio. E lui, spinto dal proprio senso del dovere –e dal genuino desiderio di far contorcere il suo cervello in machiavelliche elucubrazioni- non poteva lasciarle credere che le cose fossero così semplici. Perché, beh, lo erano, ma gli ostacoli da superare erano così impervi che dubitava quei due fossero giunti alla piena consapevolezza di essere attratti l’uno all’altra. E se anche ci fossero arrivati, la loro idiozia li avrebbe frenati –quella di Top, poi, era un asso nell’insinuare più dubbi che speranza-. Comunque, Ji Yong comprese quanto le sue fantasie andassero frenate sul nascere così, reprimendo un sogghigno che avrebbe rovinato tutto, la fissò con quanta più placidità possedesse –Non credo sarà così facile.- beandosi della suo cambio repentino di atteggiamento.

Mani sui fianchi, inclinò il capo, il tono di voce severo –E perché no?-

E a quel punto, non poté più trattenersi. La bomba andava sganciata.

 

Ricordava che c’era stato il suo contemplarla a lungo, compiaciuto del suo fiato spezzato o del suo biascicare frasi insensate; il suo avvicinarsi con lentezza estenuante, sporgendosi quel tanto che bastava per scostarle una ciocca di capelli dal viso e portarla dietro all’orecchio con naturalezza, avvertendola tremare sotto quel tocco leggero; e aveva avvicinato il proprio volto al suo, incavato e dallo sguardo fisso al suolo per l’imbarazzo. Ricordava tutto di quel momento di sospensione, reso ancora più estasiante dalle sue parole sibilline sussurratele all’orecchio –Perché le ho detto che a Top piace Park Bom.-

E ricordò il suo sublime urlo isterico -Tu… COSA?!-

Meraviglioso!

Lo scansò, il fiato corto e la mascella che toccava terra dall’incredulità. E nell’osservare il pallore della Fujii, appoggiatasi al tavolino degli alcolici nemmeno avesse appena scoperto che lui fosse dell’altra sponda, si rese conto di quanto cieco fosse stato per tutto quel tempo. Quella ragazza era più sorprendetene di quanto avrebbe mai potuto immaginare; deprecabile da parte propria averla catalogata come esperimento fallito o cavia priva di attrattive.

-Qualcosa non va?-

-Certo! Tu non vai! Per niente!-

SPLEN-DI-DO-O.

Una crisi isterica degna del miglior Top ai suoi primi battibecchi con America, decisamente! Oh, e lui che credeva che tali sceneggiate non sarebbero più ricomparse a diramare la monotonia delle sue giornate.

GD si allontanò, senza nemmeno premurarsi di cancellare ogni traccia di divertimento sul proprio volto -Non credi di stare esagerando?- le aveva chiesto con un ampio sorriso, facendola fremere. Non riuscì a comprendere se per la rabbia o per l’imbarazzo, ma dal modo in cui strinse i pugni, propese per la prima.

-Qui l’unico che esagera, sei tu!- lo accusò puntandogli l’indice contro, sventolandolo. Oh, l’avrebbe abbracciata se non fosse stato ben conscio che l’avrebbe portata a morte certa, sul serio. Era di un’adorabilità sconvolgente.

Si guardò attorno –Non sono io quello che sta urlando.-

-Io— agitò le mani davanti al viso paonazzo, abbassando di numerosi decibel la sua voce stridula –Io non sto urlando!- mormorò cavernosa, assottigliando gli occhi verdi; ma l’altra volta non erano blu?! Mah, poteri delle lenti a contatto. Distolse l’attenzione dalle sue pupille che sembravano volergli scagliare contro un’infinità di saette assassine e si concentrò sull’apparente shock. O almeno ci provò, ma non ridere di fronte a tutto quel visibile trasporto fu un’impresa ardua e per una volta si concesse il privilegio di lasciarsi seriamente andare –Che-che hai da ridere?!- offesa, si mise a braccia conserte, aggrottando le sopracciglia ad ali di gabbiano.

Cercò di darsi un contegno -Sei una sagoma, Ginko.-

-E tu uno scemo.-

-Oh, andiamo, so che puoi fare di meglio.-

Scosse la nuca –Perché le hai detto che a Top piace Bom?!- la vide osservare la nemesi con sguardo furente –per quanto quella tappa, stretta in un abitino viola pallido, potesse apparire minacciosa- nemmeno fosse stata lei a venir presa in giro.

GD alzò le spalle –Perché mi annoiavo.- esternò serafico, deciso ora più che mai a vedere dove sarebbe finito in quel delizioso triathlon. E lei sembrava gareggiare così bene che proprio non se la sentì di interrompere sul più bello. Insomma, non era corretto nei suoi e nei propri confronti.

-Spero tu stia scherzando!- borbottò caustica, gli occhi enormi e dilatati, il viso contorto in una smorfia di puro ribrezzo. Dov’era un fotografo quando serviva?

-Cos’è quella faccia?- chiese pacato, interessato al suo sbalordimento -Sembri sconvolta.-

-E lo sono!- sbatté le braccia sui fianchi.

-E perché mai?-

Perché hai mentito!- e lo aveva detto con serietà ammirevole, di quelle che andavano solamente rispettate e prese ad esempio. Di quelle che gli facevano pensare a quanto fosse fortunato ad aver intorno a sé gente come Ginko o come Ri, che continuavano a  vomitargli contro la loro costernazione, quando avrebbero potuto concludere il tutto con un asciutto Sei uno stronzo! che tanto lo aggradava e girare i tacchi.

Lo trovi così terribile?-

Lo fissò allucinata –Certo! Certo che è terribile!-

-Oh, tu dici?- spilucchiò la maglietta rossa, ingenuo di fronte al suo punto di vista.

Gonfiò le guance –Non lo dico io. Lo dicono in tanti!-

-Io non lo dico- la sentì biascicare qualche obiezione incerta a cui lui nemmeno prestò attenzione, alimentando la sua incredulità con un serio –E poi, una bugia a fin di bene non ha mai fatto male.- che la destabilizzò per un istante. Giusto il tempo di ricollegare i cavi disconnessi del suo cervello, giusto il tempo di assimilare quella che, in fondo, era una verità sacrosanta.

Ma il suo squittio gli fece comprendere come la Fujii fosse di tutt’altra opinione -No! No, no e no!- agitò i pugni, fissandolo incattivita –Le bugie in amore non fanno mai bene! Si parte dalle cose piccole e poi si arriva a nascondere le cose peggiori!- si inumidì le labbra, poi lo guardò con vittoria –Come il tradimento!-

E GD per poco non si strozzò con la propria risata ora conficcatasi in gola, che continuava a corrodere tutta la parete mentre tentava di tornare indietro. Possibile che quella ragazzina petulante avesse una visione così ristretta delle cose? Diamine, queste esternazioni alla Ri se le sarebbe aspettate… Beh, se le sarebbe aspettate solo dal suo maknae preferito, ecco. E quando riposò lo sguardo su di lei, fattasi forte della propria intraprendenza nell’aver sciorinato quella cazzata micidiale, GD si sentì in dovere –ancora- di dover fugare ogni becera fantasia che aleggiava in quella mente ingarbugliata di pensieri soffici e vaporosi –Il tradimento non è la cosa peggiore nella coppia.-

Ginko sbatté un tacco dodici sul pavimento -Certo che lo è!-

-Come sei limitata.- represse uno sbadiglio.

La ragazza assunse un tono saccente che stonava con la sua figurina mingherlina e velata di fastidiosa zuccherosità -Oh, e sentiamo: quale sarebbe la cosa peggiore in una coppia?!- e attese, a braccia conserte e occhi larghi.

GD la scrutò, indeciso se condividere la verità con lei o semplicemente lasciarla affogare nelle proprie convinzioni. Eppure, quella sua sicurezza gli stava dando sui nervi, come se quella cavia appena sottoposta ad esame avesse rizzato un po’ troppo i peli per i suoi gusti. Era ora di ristabilire i ruoli di quella conversazione; lui era il burattinaio, lei la sua marionetta. Fu per questo che, con tedio, esalò un incolore –La fine dell’amore.- che sembrò perfino far sfumare la sua rabbia. E con lei, si allontanò anche la supponenza.

Ginko ora lo guardava senza aver nulla da dire, probabilmente impegnata a controbattere alla sua reale visione delle cose. GD, d’altro canto, era troppo impegnato a non lasciarsi sopraffare dai ricordi dolorosi e che credeva di aver seppellito per poterle dedicare altro prezioso tempo. Del resto, convenne con sé, sembrava aver imparato la lezione della nottata e per ora poteva bastare... Fino a che la cavia non decise di proprio iniziativa di rovinare i suoi piani, dimostrandosi più sciocca di quanto in realtà già fosse. L’aveva infatti vista voltarsi mugugnando qualcosa di indecifrabile, senza nemmeno lasciargli il piacere di qualche epiteto poco lusinghiero –Dove vai?-

-Da Lin!- il suo gracchio orecchiabile, la sua espressione torva di indescrivibile bellezza –Non voglio che soffra per colpa tua!- nh, avrebbe dovuto preoccuparsi più per CaterTop che del boss finale Mooretwo.

Scoccò la lingua, camuffando la gioia con un tono di voce laconico –Credo tu stia esagerando.-

-E tu sei uno scemo!- Ancora?! E a quel punto, l’istinto prese il sopravvento. La bloccò per il polso esile, avvertendo un tacchettio sinistro che avrebbe fatto presagire la sua rovinosa caduta a terra; per sua fortuna non avvenne, almeno potevano evitare scene imbarazzanti. E ora Ginko era lì, ad un palmo dal suo naso, l’espressione più spaventata che avesse mai visto sul volto di una ragazza –Mi stai facendo ma— l’indice e il medio andarono a posarsi con fluidità sulle sue labbra color ciliegia, carezzandole un poco. Non seppe nemmeno lui il perché di quel gesto così intimo; era stato dettato da un miscuglio di sensazioni che andavano oltre il suo averlo appellato in maniera così delicata e bambinesca, che andava ben oltre il suo aver cercato di pestargli troppo i piedi. Forse, concepì in un momento di lucidità, stava solo cercando di salvaguardare i suoi due animaletti e visto che le parole con Ginko sembravano vane, tanto valeva prenderla di petto.

Tutto, pur di zittirla.

-Tu resterai qui- le sorrise in maniera raccapricciante, nessuna dolcezza nel suo sguardo assottigliato e perforante -Perché se due si piacciono, non ci sono bugie che tengano. E tu non vorrai rovinare tutto, vero?- lasciò scivolare le dita in quel gesto sensuale e spontaneo, lasciandola a bocca aperta prima di spingerla leggermente. Poi, pesanti come macigni, seguirono quelle parole pregne di sincerità che nemmeno credeva avrebbe davvero pronunciato –Ma so che non lo farai. Tu sei troppo buona.- allentò la presa, lei si divincolò.

La fine dei giochi si poteva segnare. E ancora una volta, ne era uscito vincitore.

-Ginkooo, vieni a cantare con me?- la voce di Ri giunse distante, come se in quella stanza ci fossero solo lui e lei, ora rivestita di indescrivibile incertezza mentre si massaggiava il polso.

E quando credette che se ne sarebbe andata via senza fiatare, ecco che la sua voce pregna di disillusione lo colpì in pieno volto -E tu sei la persona più triste che abbia mai incontrato.-

Portò le mani in tasca, alzò il mento mentre scrutava il suo volto imbronciato e gli occhi verdi lucidi, trattenendosi dall’esternare la propria incredulità di fronte a quel commento così sincero da infilarsi sotto pelle, da riaprire vecchie ferite che credeva sanate. Ma che cazzo voleva saperne lei, di lui? Come si permetteva di giudicarlo senza nemmeno conoscerlo sul serio? Come aveva fatto, semplicemente, a rendersi conto di tutto?

E non fiatò, lasciandosela sfuggire prima ancora che potesse chiudere quel discorso dicendo la propria, segnandosi sul serio vincitore indiscusso di quella gara…

-Oi, allora, sei pronta?- Ri si avvicinò a le sorrise ampiamente.

Ginko ricambiò, la rabbia svanita –Sì! Facciamo tremare i vetri!-

Le urla disperate di Tae e Dae si levarono per la sala, a quella notizia.

Eppure, per un istante, quando aveva visto la mano di Ri stringersi intorno al suo polso sottile, gli era parso di aver udito una musichetta familiare, mentre la sua vocina interiore pronunciava serafica una sola ed unica frase: Game Over.

 

****

 

Il tempo si era fermato.

Tutto in quella sala era sospeso. Seung-Hyun era sospeso in quella scia di pesca che emanavano i capelli di Lin che gli carezzavano la guancia, erano sospesi i loro respiri regolari, il suo cuore che aveva martellato nel petto fino a fargli male. Ed erano sospesi loro due, in quell’abbraccio inaspettato che gli aveva fatto perdere più di un battito.

Nell’aria c’era ancora l’eco del suo delicato –Tu non sei banale.- che gli aveva corroso la gola, fino a spandersi con velocità immane, prima che potesse anche solo pensare di trattenersi. Ma non ce l’aveva fatta. Non con lei che si era fatta più vicina, facendogli perdere il battito ad ogni secondo che passava. E, davvero, la dinamica dell’incidente che lunghe palpitazioni al suo cuore portò, non la ricordava granché bene e se solo ci pensava, la testa cominciava a pulsare. Però ricordava il cuore che si era fermato per un microsecondo, per poi riprendere a battere a velocità crescente e quasi perforante, ricordava i brividi di piacere che lo avevano scosso senza alcun preavviso e il suo stringerla a sé scansando tutti i pensieri. E mentre si guardava attorno, nella vana ricerca di distrazioni, si chiese il perché di quel suo bizzarro vacillamento. Soggiogata da una fragilità che non le aveva riconosciuto, Lin si era rivolta a lui con sguardo talmente vivido, talmente passionale che nemmeno lui aveva potuto evitare quel succedersi veloci di eventi che ancora lo lasciavano sconvolto.

Ma a lui, il motivo di quel gesto, importava davvero?

Non è così importante…

 

Un No secco gravitò nella sua mente confusa quando avvertì il suo respiro caldo sul collo, procurandogli fitte di piacere che lo fecero fremere sotto le sue dita delicate fra i capelli turchesi. Deglutì e la strinse a sé, evitando di lasciarsi sfuggire gemiti che avrebbero potuto interrompere quel momento che nemmeno nelle sue recenti fantasie più sfrenate avrebbe immaginato così beatificante. Quasi magico, se proprio avesse dovuto azzardare qualche stronzata romantica. Peccato che, in mezzo a quella parentesi sdolcinata, dovesse per forza esserci il suo cervello che continuava a propinargli strane idee su di una Lindsay troppo nuda e troppo gemente.

Strinse gli occhi, la testa che esplodeva nel mare dei suoi pensieri vorticanti e assolutamente da maniaco. E se lui era lì, stoico e deciso a non muovere un dito pur di non dar vita a conseguenza ben peggiori di quelle che osava immaginare, Lindsay sembrava la tranquillità fatta a persona; quella se la canticchiava, fuori tempo e biascicante, continuando a bearlo della sua voce vellutata proprio nel suo orecchi destro, quasi volesse torturarlo senza tregua. Perché lei non se ne rendeva conto, ma il suono della sua voce reso un po’ roco dalla tonalità bassa, lo stava facendo impazzire, stava mandando a farsi benedire quel briciolo di lucidità che, gentilmente, continuava a vegliare su di lui. La voglia matta di sentire il proprio nome pronunciato dalle sue labbra carnose stava diventando un pensiero fisso e opprimente e Dio solo sapeva quanto stesse faticando a far sì che le sue mani, dalla vita, non scendessero fino al sedere ben fasciato nei suoi jeans aderenti.

Le note di basso di Californication si mescolavano ai loro respiri ora rallentati, quasi temessero di spezzare quell’incanto di follia che li aveva avvolti; mai sottofondo fu più sublime per la sua anima. Seung-Hyun era infatti convinto che una loro canzone sarebbe potuta partire in quel momento, ma non avrebbe mai raggiunto il livello di perfezione che un solo mugugno di Lin riusciva a creare.

-Non mi dispiace questa canzone.- aveva mormorato lei poco dopo, forse per spezzare quel silenzio che li aveva avvolti, che non era nemmeno teso o da riempire. Semplicemente, era troppo lungo e lasciava presagire gesti che non avrebbero saputo interpretare nemmeno da sobri.

-Lo so. Hai messo cinque stelline sull’Mp3.- tenendola stretta a sé, non poteva osservare il suo viso, ma si permise di immaginare che un fugace quanto luminoso sorriso fosse comparso. E ora che ci pensava, giusto per ingannare l’attesa ed evitare di commettere irreparabili cazzate, si era ricordato di tutte quelle poche canzoni nel suo Mp3 che avevano avuto l’onore di avere di fianco a sé il punteggio massimo. Californication, Vermillion Part I & II, Otherside… Tutte con quel sound accattivante e basso, di quelli che mai sarebbe riuscito a dimenticare neppure se ci avesse provato con tutto sé stesso. Delle melodie così sensuali che si nascondevano nei meandri più invisibili della sua mente, restando lì, immobili, incapaci di lasciarlo solo.

Esattamente come lei.

Che lo aveva rapito con la sua armonia di movimenti leggeri, persa sulle note della loro Fantastic Baby; che pur nella sua impassibilità, si era dimostrata migliore di tante persone che avevano gravitato nella sua orbita; che, per quanto sfrontata, altezzosa e indigeribile, si era permessa di entrargli fin sotto pelle e restarci, a volte indesiderata, ora necessaria.

 

Brendan’s Death Song riempì la stanza dopo qualche secondo di silenzio. Represse uno sbuffo –Ami così tanto i Red Hot?- domandò con un pizzico di scazzo a colorire le sue parole.

-Amo solo Anthony Kiedis.-

E chi cazzo è?

-Ma lui non sa nemmeno che esisto.-

Un rivale in meno. No, aspetta…

Sconcertato dai propri pensieri non proprio nitidi, restò in fissa sul muro per una manciata di minuti, valutando la situazione in cui versava -certo però che se la tequila continuava a vaneggiare Potere della lucidità! A me!, ovvio che non ne sarebbe più uscito-: c’era lei, molle fra le sue braccia, che canticchiava senza sosta e biascicante, sbagliando tutte le parole e inventando strofe a caso. E poi c’era lui, che avrebbe voluto zittirla a suon di baci, con la speranza che il loro abbraccio si spostasse dalla scrivania su cui era malamente appoggiato, all divano in pelle nera davanti a loro.

E quando Lin cantò l’ennesimo Like I said you know I'm almost dead, you know I'm almost gone, si chiese se lei davvero non si rendesse conto di quanto lui stesse davvero per morire sotto il suo respiro soffiato nel suo orecchio. E no, non era sicuro che l’aldilà fosse migliore di quella minuscola stanza, stretto a lei.

-Sei stonata.- la punzecchiò, pregando che quella lenta tortura cessasse. Non era certo di poter ancora mantenere la presa sulla vita e non scendere più in basso.

Lin gli rifilò uno scazzato –Bryan diceva che ero un usignolo.- che lo fece grugnire.

E mo’ chi è sto qua? –I complimenti dei parenti non valgono.-

-Era il primo ragazzo che ho frequentato- rimbrottò annoiata, quasi le costasse quella confessione –O era il terzo? Nh, va beh.-

Va beh cosa?!

-Come fai a non ricordatelo?!-

-Nh, non lo so- ed era sorpreso da questa sua esternazione, davvero! Come si ci poteva dimenticare di una cosa del genere? Lui si ricordava perfettamente del suo primo bacio e la ragazza a cui lo aveva regalato –il tutto davanti a sua madre; decisamente, da ragazzino era proprio un coglione-; o della prima ragazza che aveva amato sul serio, o di quella con cui aveva esplorato i piaceri del sesso senza vergognarsi, per una volta, del suo fisico, o quella che aveva lasciato indietro per la fama –che poi era sempre la stessa, a pensarci bene-. Si rabbuiò a quei pensieri che da un po’ di tempo non tornavano a tenergli compagnia, ma salvifica giunse Lindsay, continuando ad esporre i propri punti di vista -Non posso ricordarmi di tutti quelli con cui sono uscita.-

Arcuò un sopracciglio, chiedendosi quanto fosse lunga la lista di amanti della ragazza, ma evitò di chiederglielo. E poi, l’aveva mai avuta una storia che si potesse definire seria? E no, le avventure di un mese non contavano…
 

-Uno con cui uscivo mi ha insegnato a giocare.-

-Era il primo ragazzo che ho frequentato.-

 

Perché, lo aveva notato da un po’, lei non diceva mai fidanzati o ragazzi. Lei diceva sempre Quello che frequentavo, quello con cui sono uscita… Si chiese quali superpoteri bisognasse possedere per diventare gli unici di Lindsay Moore. Più lei gli concedeva qualche sfumatura di sé più si rendeva meno nitida, quasi contorta, una nebulosa di cose da scoprire che non sapeva se sarebbe riuscito nell’intento. Perché avrebbe voluto tartassarla di domande come ad esempio cosa si nascondesse dietro il suo trovarsi lì a Soul -visto che le risposte vaghe che gli aveva concesso non avevano mai sanato la sua curiosità- o perché non andasse d’accordo con i suoi genitori, o come trascorreva le giornate nella sua ex città, quale fosse il significato di tutti quei tatuaggi, se aveva qualche amica che le mancava. O se aveva qualcuno che le mancava. O se davvero non avrebbe mai cambiato idea nei confronti dell’amore…
 

Non odio l’amore. È solo una perdita di tempo.-

-I legami sono stupidi. Si basano su promesse che non vengono mai mantenute.-

 

Avvertì l’aria spezzarsi in gola, mentre il cuore cominciava a battere disperatamente al pensiero della domanda kamikaze che, a breve, le avrebbe posto -Hai lasciato qualcuno a New York?- e non era ora sicuro di voler conoscere la risposta.

-Aha- corrugò la fronte, stranamente infastidito dalla sua affermazione –Tom, Billy, Joel, Benji, David, Paul, John, Sam, Dean, Wil—

-Avevi un harem?- sopraffatto da quella strana gelosia zampillante, si ritrovò a guardare altrove, combattendo contro la voglia prorompente di zittirla con un bacio, quasi a dimostrarle che d’ora in avanti ci avrebbe pensato lui a lei.

Sì, a fartela. E poi?

Grazie, tequila, per essere ancora qui…


La sua mano fra i capelli divenne una tremenda tortura alla razionalità agonizzante –Te l’ho detto, non sono fatta per le storie serie- mormorò al suo orecchio, improvvisamente seria nella sua ebrezza. Poi ci fu un sussurro assorto ed incerto -Ad Emily non è mai piaciuta questa cosa.- udì la sua voce farsi flebile, un deglutire incessante, come se volesse soffocare una sofferenza appena sbocciata.

Corrugò la fronte –Chi è Emily?!- che Lin avesse intrapreso una relazione lesbo clandestina nei suoi folleggiamenti di New York? E non ne avrebbe dubitato, eh, visto che quella sembrava essere passata di letto in letto senza alcuna remora. E questa sua caratteristica, che avrebbe dovuto farlo desistere dall’anche solo pensare a lei in qualsiasi maniera, anzi, dal solo pensare a lei, stava assumendo connotazioni fin troppo accattivanti.

-Mia madre- Lin grugnì –Non le sono mai piaciuti i tipi con cui uscivo. Un giorno si è lamentata perché le mie amiche era già fidanzate e io no, così le ho presentato uno con cui uscivo- ridacchiò -Disse che aveva troppi tatuaggi e che doveva tagliarsi la cresta. Non le ho più presentato nessuno- concluse incolore, giocherellando con un lembo del suo maglione. Dal tono di voce annoiato, comprese quanta fatica le costasse parlare di sua madre, così evitò accuratamente di porle altre domande, con la speranza che sarebbe stata lei e a renderlo partecipe di altri aneddoti sulla sua vita. Di nuovo il silenzio li avvolse e lui, fermo e immobile, continuava a combattere con sé stesso per non commettere qualche cazzata. Del resto, lei se ne stava invitante fra le sue mani; se anche avesse provato a gustarne un po’, che male ci sarebbe stato? E fu un miracolo ciò che avvenne proprio quando stava per far scivolare la presa, ormai allo sbando in quel vortice di emozioni che non poteva più tenere a bada –Sai? Tu mi stavi proprio sulle palle.- e le mani si strinsero ancora sulla sua vita, una smorfia a dipingergli il volto.

Ah, beh, grazie!

Sospirò. Se Lin non avesse esalato quella confessione non richiesta, probabilmente ora le starebbe palpando il sedere. Già. Però quelle parole continuavano a martellarlo e più i secondi trascorrevano inesorabili, più si domandava come avrebbe dovuto prendere quel commento detto con serenità.

-Anche tu, eh.- replicò con stizza, cercando di reprimere quel sorrisetto spontaneo che tentò di sbocciare quando udì la sua risata fioca.

-Lo so- la voce di Lin si era fatta un po’ più squillante, vagamente divertita mentre continuava a tenere il mento posato sulla sua spalla, le dita che giocherellavano con le sue ciocche azzurrognole –Ma non è così male.-

Che cosa non è era così male? Il fatto che qualche mese prima si sarebbero dati fuoco a vicenda? O il fatto che ora se lo stessero confidando come due scolarette che fanno gossip sul figo della scuola? Senza nemmeno rendersene conto, il suo ponderato –Cosa?- si mescolò alle note di Novemeber Rain, ricreando quel momento di totale sospensione in cui, davvero, non serviva parola alcuna. Perché bastava lei e il suo respiro a farlo sentire davvero in pace.

Ma Lin sembrava desiderosa di farlo ammattire –Stare con te.-

Oh, cazzo…

Ed era un Oh cazzo di quelli davvero amareggiati, di quelli che si lasciava sfuggire solo nelle condizioni più buie e critiche. Perché quella era una confessione; in qualsiasi prospettiva la guardasse –anche se da ubriaco non era così facile- tale restava e più perdeva tempo a pensare a cosa fare, più avvertiva un nodo di terrore stringergli la gola. In fondo, le parole c’erano, erano lì, pizzicavano le sue labbra serrate pur di potersi mostrare in tutto il loro amorevole suicidio, ma c’era qualcosa che lo bloccava. Come se quello non fosse il momento giusto.

Come se quello, semplicemente, fosse tutto troppo perfetto per essere vero.
 

E allora, perché hai paura?


Parlare con te non è difficile- avvertì leggerezza sulla propria spalla e quando volse il viso, giusto per rendersi conto di cosa si fosse messa in testa quella sclerotica della Moore, comprese di essere in trappola: c’era il suo volto ovale e velato di serietà ad un palmo dal suo naso ancora inebriato del suo shampoo alla pesca, c’erano i suoi occhi resi enormi dal trucco nero sfumato che continuavano a guardarlo con vividezza, lucidi e penetranti. E c’erano le sue labbra, dischiuse ed invitanti, che lo fecero deglutire parecchie volte prima di rendersi di conto di quale tentazione rappresentassero per i suoi nervi tesi -Seung-Hyun…- aveva pronunciato il suo nome con tono incerto; diamine, se andava avanti di questo passo, non avrebbe più resistito.

-Nh?- evitò di porre domande, non aveva più le facoltà per poterlo fare. E poi era troppo impegnato a tarpare le ali della follia che volevano lasciar librare per l’aria frasi kamikaze come Mentre tu sussurri il mio nome senza mai smettere, io posso slacciarti i pantaloni? che lo avrebbero fatto passare per uno dei tanti appostatori da vicoli bui.

La vide stropicciarsi il volto, a disagio in mezzo a quel mucchio di parole che non volevano saperne di venire fuori e che stavano rendendo tutto più atroce per lui che, mani sui fianchi, proprio non voleva saperne di lasciarsela scappare; e comprese che tutto ciò che gli aveva appena detto, era forse stata la scintilla che aveva permesso alla lucidità di ritrovare la strada di casa. Così Lin alzò le spalle, scosse la nuca mentre tornava a mostrargli un volto segnato dall’angoscia e dall’ebrezza, bella nel suo apparire così fragile in quella discussione che, in quelle condizioni, sarebbe dovuta essere semplice e intervallata dalle loro sciocche risate.

Ma lei non è semplice...

E non era nemmeno sciocca e non lo sarebbe stata nemmeno dopo aver bevuto venti bottiglie di rum. No, lei lo avrebbe preso solo a librate in testa e avrebbe pianto mormorandogli le sue scuse sincere. O lo avrebbe guardato a lungo, circondandosi di quel silenzio in cui lui aveva imparato a convivere, trovandolo quasi sollevante. Come in quel preciso istante.
 

E tu? Tu cosa faresti?


Lui invece, ubriaco da far schifo, l’avrebbe stretta a sé con più forza, l’avrebbe adagiata sul divano e avrebbe goduto delle sue espressioni passionali, avrebbe perso il controllo nell’udire i suoi gemiti e avrebbe scoperto quanto piacevole sarebbe stato posare le labbra su ogni lembo di quella pelle candida come la neve, rabbrividendo mentre il suo corpo caldo avrebbe aderito perfettamente al proprio.
 

E poi?

 

Già. E poi?

Dopo che il turbinio della passione fosse scomparso, in attesa che i loro respiri tornassero regolari, che i loro gemiti spezzati divenissero un vago ricordo; dopo che l’ubriacatura avrebbe lasciato solo un gran mal di testa, gesti impacciati, sguardi sfuggevoli e parole vuote, becere; dopo che si fossero resi conto di chi avevano stretto, di chi avevano pronunciato il nome infinite volte… Dopo tutto questo, cosa sarebbe successo?

E si spaventò, incapace di darsi una risposta. Anche se a dir la verità, quella c’era, ma non aveva la forza per poterne sopportare il peso. Perché temeva che dopo un gesto di tale portata, per quanto dettato dalla loro impulsività mescolata all’ubriacatura, quel rapporto vagamente civile che avevano instaurato sarebbe potuto scomparire troppo in fretta. E lui si sarebbe annoiato, di nuovo.

La sbronza passò, portando con sé un vago senso di nausea che cercò di eliminare stropicciandosi il volto. Fu lei però ad interrompere quella dolce tortura, nella stessa identica inaspettata maniera con cui gli aveva gettato le braccia al collo, facendosi distante. Non lontana, quello no. Lontana sarebbe stata se fosse uscita dalla stanza sbattendo la porta o addirittura si fosse chiusa a chiave nella stanza del microfono; distante, invece, era una Lin che se ne con le mani sui fianchi e che si guardava attorno con sguardo vacuo e lucido –Scusa, non so cosa mi sia preso.- atona, di nuovo, impassibile come suo solito.

Si grattò la nuca, un flebile –Figurati- che scappò al suo controllo, cercando di alleviare un po’ del suo disagio, così da non farla scappare spaventata. La realtà, a dirla tutta, non era così grandiosa se lei sembrava quasi scioccata per ciò che era accaduto, si ritrovò a pensare mentre cercava di rimettere insieme i pezzi di quel puzzle incasinato che era diventata la loro discussione. E pensare che fino a qualche istante prima tutto era proseguito senza sbavature, senza incertezze, come se il calore di quell’abbraccio bastasse ad entrambi. Ma vedendola così spaesata, non riuscì a trattenersi -Non mi tirerai addosso qualche cd, vero?- obiettò fissandola con le sopracciglia arcuate, vedendola allargare gli occhi nocciola dalla sorpresa. E poi le vide, le sue labbra tremolanti, le spalle traballanti, fino a che non si piegò un poco per lasciarsi andare ad una risata liberatoria, come se il nervoso che l’aveva avvolta potesse diramarsi solo in quella maniera.

E la trovò bella come non mai, avvolta di una luce che emanava calore, costringendolo ad allentare il colletto della camicia troppo stretto.

Lin si asciugò le lacrime agli occhi, rovinando il trucco -Se sono vostri, sì.-

-Ma smettila! Non ci hai nemmeno sentiti!-

Arcuò un sopracciglio –Dimentichi che esco con Ginko.-

Ah, già, la nana schizzata che si ammutoliva quando parlava con loro. Doveva essere davvero speciale se era riuscita a farsi amica quel polaretto della Moore, convenne mentre la vedeva rovistare fra i cd posti sulla scrivania. Avrebbe dovuto dirle di non mettere nulla in disordine, ma loro erano già fin troppo incasinati per permettersi di pensare ad un mucchio di cianfrusaglie sparse sul tavolo. Così, deciso a non ripiombare nel loro silenzio, continuò –E ti piace qualche canzone?-

-Una.-

-Grazie, eh.-

-Non fare la star depressa, ora- ironizzò scoccando un’occhiata al cd, tornando poi a studiarlo –Comunque intendevo, una in particolare.- si premurò di aggiungere, quasi volesse fargli un piacere. Che comunque il danno era già stato fatto, ma almeno poteva andare avanti.

-E quale?-

Lin sventolò il loro album Alive -Blue.-

La guardò con tanto d’occhi -Ma è così triste- sciorinò seccato. Poi la guardò, e per qualche strana ragione si disse che quella melodia nostalgica ben si adattava a Lindsay –Sai che parla della fine di una storia, vero?-

Lei alzò le spalle, rigirandosi fra le mani il libricino contenente i loro testi –Non mi sono mai piaciuti i lieto fine- quella frase lo mise in allarme, ma era troppo brillo per pensarci sul serio –A me piaceva Pocahontas.-

Fantastico, veramente fantastico.

Si massaggiò le tempie -E tutte quelle cazzate sul principe azzurro e palle varie?-

-Appunto, cazzate- sottolineò con supponenza, sventolando una mano –E poi quei due si amano lo stesso, anche se distanti- nh, sì, beh, è vero… -Ma poi lei va in America, incontra un altro e lascia l’amore della sua vita- un breve sorriso comparve sulle sue labbra carnose –L’amore non è mai per sempre.- sussurrò alla fine, rimmergendosi nella sua lettura.

E lui non seppe come prendere quelle sue parole, non lo sapeva proprio. Sapeva che c’era lei, ancorata alle proprie convinzioni su tutto ciò che era l’amore in generale e le sue sfaccettature; e poi c’era lui, spinto dallo strano desiderio di dimostrarle che non era sempre così, che in qualche modo ce la si poteva pure cavare se si era in due. E avrebbe voluto dirglielo, avrebbe voluto farle comprendere quanto si sbagliasse…
 

-Liiiin, dove sei?!-

-Non urlare.-

-Io urlo quanto voglio! Liiiiin!-


Ma gli idioti arrivavano sempre in coppia, come gli aveva ripetuto spesso sua madre.


-Liiiiiiin!- l’ennesimo urlo agghiacciante li fece trasalire; la vocetta stridula della Fujii per poco non fece vibrare le vetrate.

-Oh, guarda, non ci sono.- il cinguettio di GD. Probabilmente, la copertura era saltata.

-Cos’è questo tono di sorpresa?! Tirali fuori!-

-Mi hai preso per un illusionista?-

Un sonoro –Che palle!- si levò nella stanza e lui, nonostante la brusca interruzione, non poté non scoppiare a ridere, lanciando un’occhiata divertita ad una Lindsay scazzata. E pensare che si stava divertendo a parlare con lei di cartoni Disney

Tre, due, uno…

La porta si aprì: Ginko fumava di rabbia, GD ghignava come un idiota –Tana per Top e Lin.- sussurrò mellifluo, ricevendo una manata da parte della ragazza salterina, ora catapultatasi verso l’amica.

-Mi sono così spaventata! Non c’eri più!- l’abbracciò per la vita, studiando il suo trucco colato –Hai pianto?! Ti ha fatto piangere?- lo guardò minaccioso, agitando un pugno.

Top arcuò un sopracciglio –Sì, dal ridere.- sbottò seccato, vedendo l’americana roteare gli occhi.

-Non è successo nulla.- la rabbonì l’amica, rivolgendole un breve sorriso prima di farla annuire, anche se quella continuava a guardarlo come il fosse la reincarnazione del male. Fu così che, dopo uno scambio di battute assurdo alla Oh, la stanza di registrazione! Posso registrare la mia voce?!, No., tra Ginko e GD, quelle due si volatilizzarono alla sua vista, perché giù c’era il karaoke che richiedeva la loro presenza. Va beh, chi capiva quella nana era un genio.

 

Ricordava ancora il sorriso svagato che Lindsay Moore gli aveva regalato appena prima di venir trascinata via da una Ginko rumorosa. E lui era rimasto lì a contemplarla.

-Ho provato a trattenerla, ma quella è una schizzata- GD si grattò il mento prima di svaccarsi sulla sedia girevole e fissare pensoso il monitor dello schermo; gli parve più adombrato del solito, ma non aveva voglia di indagare sulle sue paturnie. Chissà in che cacchio di giochi l’avrebbe infilato, conoscendolo -Allora?-

-Allora cosa?- Ji Yong indicò il divano con sguardo malizioso, perdendo quel barlume di sorriso al suo noncurante –Non è successo nulla.-

La delusione si impossessò dell’impassibilità del leader –Che occasione sprecata.- sbottò mogio, poggiando le mani sulla scrivania, dando le spalle all’enorme vetrata della stanza di registrazione. Ma lui non vi badò. Andava bene così, davvero; forse era stato meglio concludere con una chiacchierata senza senso che con un bacio che avrebbe dato il là a troppi equivoci, no? Se lo ripeté a lungo, evitando accuratamente di lasciarsi studiare dagli occhi famelici dell’amico…

 

Amico che, a fine serata, quando erano intenti a riordinare l’ufficio delle riunioni, si premurò di renderlo partecipe della propria scoperta –Oh, America è proprio sbadata- sventolò l’Mp3 bianco, uno strano ghigno a dipingergli il volto –E’ un motivo per rivederla, no?- e malgrado tutti i pensieri negativi, malgrado la vocina che gli diceva di farsi passare quell’assurda sbandata per lei, si ritrovò ad annuire con lentezza, il cuore che faceva le capriole, lo stomaco che si chiudeva per quel barlume di felicità che sembrava aver portato con sé un briciolo di ottimismo. Ma Ji Yong non era uno sprovveduto e dopo quel pizzico di felicità che gli aveva rilassato i lineamenti, si ritrovò a guardarlo con serietà crescente -Hyung, fidati- fece girare la rotellina dell’Mp3, lo sguardo concentrato sullo schermo –Peggio di così non può andare.-

E sorrise amaro, il cuore fermo da quando se ne era andata. No, decisamente, peggio di così non sarebbe potuto andare.
 

*******

 

Quando pioveva, Ginko si riempiva di mille pensieri tristi, brutti, scomodi. Solo di pensieri.

Seduta in quel bar anonimo della caotica Seoul, entrata più per sopravvivenza che per reale desiderio di scoprire posti nuovi, fissava la marea di ombrelli che coloravano il grigiore di quella uggiosa giornata di novembre, mentre le gocce sul vetro creavano strani viaggi ipnotici che avrebbero rischiato di farla immergere ulteriormente nelle proprie paturne.

E pensare che lei era sempre positiva, sempre! Ma da quel quattro novembre, qualcosa era cambiato. Impercettibilmente, a dire il vero, una crepa che non aveva tenuto da conto e che, quando si era tramutata in voragine, non aveva più potuto ignorare. E quindi se ne stava lì, pensosa e assorta in quel caffè scialbo mentre una musichetta coreana tipica da bar si mescolava al chiacchiericcio dei presenti. Decisamente, quel posto non avrebbe lenito le sue afflizioni.

-Che tempo del cazzo.-

Ma c’era Lin, per fortuna, che sembrava rendere tutto un po’ più luminoso con la sua proverbiale sfacciataggine. Perché le sue amiche –o quelle che aveva sempre considerato tali- si sarebbero lasciate andare a qualche sono sbuffo, seguito da un piagnucolante Oh, che brutto tempo!, per poi tornare a parlare di unghie, smalti, trucchi, ragazzi. Ma non Lin. No, lei se ne stava seduta con il palmo a coprirle la mano, lo sguardo perso oltre il vetro, lasciando che il silenzio seguisse la sua sparata poco elegante.

-Non ti piace la pioggia?- domandò pacata, rigirandosi la tazza da the fra le dita smaltate di verde opaco. La ragazza scosse la nuca e lei aggiunse un paziente –Neanche a me- che, sapeva, non avrebbe dato il via a sciocche discussioni. E ciò non significò affatto un bene, perché più il silenzio le avvolgeva, più sentiva l’urgenza di riempirlo pur di far cessare tutta la marmaglia di pensieri che la stavano adombrando, pensieri vertenti su quell’enigma coi piedi che era Kwon Ji Yong.

Sbuffò sonoramente. Non avrebbe mai creduto che parlare con il suo adorato GD si sarebbe rivelato così ostico. Nelle interviste –tutte le interviste, nessuna esclusa- sembrava così affabile, dava le risposte giuste senza girarci troppo attorno. Insomma, sembrava piacevole conversare con lui. E poi si ritrovava a dover interpretare i suoi silenzi ambigui, i suoi sguardo penetranti e le sue frasi a metà. Per di più si divertiva come un matto a prenderla in giro, quell’idiota!

L’ennesimo sbuffo catturò l’attenzione dell’amica –Ce l’hai ancora con Ji Yong?-

-Certo che ce l’ho con lui!- agitò le mani –E’ stato davvero cattivo a dire quelle cose!- si sporse, abbassando la voce –Non avrebbe dovuto dirti che a Top piace Bom. A lui non piace!- Beh, non è solo per questo… C’era da dire che l’arrabbiatura partiva dal fatto che, con quella discussione, si fosse accorta di quanto poco conoscesse quel ragazzo che l’aveva ingannata con la sua apparenza.

-Lo so- sospirò Lin, come se fosse stanca di quella tiritera. Beh, ma che poteva farci, Ginko? Lei era preoccupata per la sua vita sentimentale! E se Lin smettesse di voler vedere Seung-Hyun per quel motivo fasullo?! –E comunque, se anche fosse, non sono affari miei.- ma la sua voce incolore la riportò coi piedi per terra.

Storse il naso –Ma a te piace.-

-No, sei tu che lo pensi.-

La mascella per poco non le cadde sul tavolo –Ma lo hai abbracciato!- la vide sgranare gli occhi nocciola prima di appiattirsi sulla sedia, nascondendosi dietro le sue braccia conserte. Sospirò, questa volta più tranquilla –Se non ti piace, perché lo hai fatto?-

Lin scosse la nuca -Non lo so- guardò la porta d’ingresso, richiamata dal tintinnio del campanellino –Lui ha detto che sarebbe stato via due mesi, e io non ho capito più nulla.-

A quella rivelazione sconcertante, Ginko allargò gli occhi scuri –Vedi che lo ami?! Ne senti già la mancanza!-

-E che palle! Ti ho detto di no!-

-Ma hai appena detto—

-Perché deve sempre c’entrare l’amore?!- ora poté vederli, i suoi occhi nocciola vividi come non mai, velati di quello strano disagio che sembrava accompagnarla dalla festa di Top –Con lui va tutto oltre. Con lui riesco a parlare- Lin morse le labbra –Se tutto va bene così, perché rovinare le cose con quelle cazzate romantiche?-

-Cazzate romantiche?!- gli occhi per poco non rotolarono sul tavolo, tanto era spalancati. Ma da che mondo veniva, lei? Cazzate romantiche un corno! L’amore era il motore di tutto e nemmeno quel balordo di GD avrebbe smontato questa convinzione!

Due persone possono essere attratte fisicamente e basta- Lin rigirò il cucchiaino nel cappuccino –Niente amore, niente paranoie; solo due persone che stanno bene assieme. Non ti è mai capitato?-

Ginko arricciò le labbra, stringendosi nel maglione color pervinca. Ovvio che non le fosse mai capitato. Lei, del resto, aveva sempre e solo baciato ragazzi che le piacevano e non era mai andata oltre se non con quelli che erano stati a tutti gli effetti suoi fidanzati. Lin, invece, sembrava godersi appieno quei sentimenti senza preoccuparsi delle conseguenze, senza catalogare tutto. Uff!, questi due la stavano mandano in confusione!

-No.- sbottò asciutta, palesando la propria irritazione per quell’atteggiamento.

Ma Lin non se la prese –Non è per tutti.- non se la prendeva mai. E dal modo in cui le aveva posto quella risposta, non riuscì a prendersela nemmeno lei. Perché era un dato di fatto, era scontato che lei non sarebbe mai riuscita ad andare con qualcuno per il semplice gusto di farlo. Lei amava incondizionatamente, lei doveva lasciarsi trasportare dalle farfalle nello stomaco, dai cuoricini che svolazzavano…
 

-Tu sei troppo buona.-


Dal fatto che il cuore battesse sempre più veloce ad ogni sguardo, ad ogni gesto. Solo per lui.

E così, decide di sfogarsi -Ha detto che sono troppo buona.-

-Chi?- Lin girò svogliata il cucchiaino nella tazza.

-Ji Yong. Dice che sono troppo buona.-

Alzò le spalle –Lui è uno stronzo, quindi.-

Ginko ridacchiò, incapace di prendersela con l’amica per quell’insulto sincero rivolto al suo idolo –E se avesse ragione?- tornò seria, arricciando le labbra mentre la vedeva roteare gli occhi.

-Tanto meglio per te- si appoggiò allo schienale, il viso rivolto alla pioggia che non voleva saperne di cessare. Proprio come i suoi pensieri pesanti –Essere buoni è una bella cosa. E non è facile.- che divennero un po’ più leggeri quando Lin le rivolse un sorriso appena abbozzato prima tornare a guardare con noia i passanti.

-Nh, si, beh, forse.-

-Già, forse. Però ti fai troppi problemi.- sospirò prima di alzarsi e dirigersi alla cassa, sventolando la mano quando si mise a starnazzare per dividere il conto. Avrebbe offerto Lin, come sempre. Sembrava che quella ragazza non sapesse dire un banale Grazie come tutti gli essere umani dotati di parola.

Sbuffò mentre tornava a seguire l’inevitabile scorrere delle gocce sul vetro, avvertendo quella sensazione di gravezza sfumare, il cuore ora più leggero e i pensieri meno spaventosi. Perché lei era buona, non poteva farci nulla; probabilmente sarebbe divenuta la nuova Maria Teresa di Calcutta e nessuno avrebbe potuto impedirlo! Nemmeno un Ji Yong che si era riscoperta a trovare più umano di quanto lei avesse mai potuto immaginare; il fatto poi che quel suo lato la intimorisse, rendeva tutto più complicato. E avrebbe voluto parlarne con Lin, sul serio! Magari sentirsi sbattere in faccia la cruda realtà –ovvero che era meglio lasciar perdere qualsiasi fantasia su di lui- le avrebbe aperto gli occhi!

La guardò. Lin in amore faceva più schifo di lei; che consigli avrebbe potuto darle se nemmeno lei comprendeva ciò che le stava accadendo intorno?

-Stai ancora pensando a lui?- Lin si risedette, squadrandola con un sopracciglio arcuato; provò a rubarle lo scontrino, ma quella fu più veloce ad accartocciarlo e infilarselo nella scollatura del maglione.

Ginko gonfiò le guance per il disappunto un po’ perché le aveva ancora impedito di smezzare la merenda e un po’ perché aveva captato appieno il flusso dei suoi pensieri senza nemmeno porle qualche domanda –E se i ragazzi mi evitassero perché sono troppo buona? E se mi ritrovassi da sola con venti gatti miagolanti e che mi mordono le orecchie o il naso mentre dormo? E se venissi utilizzata solo come amante e il mio sogno di sposarmi e avere figli venisse meno?!-

-Ma tanto meglio per te.- ironizzò l’altra, ricevendo in cambio un’occhiata bieca. Che poi, furbona, andava a confidare i propri romantici segreti ad una che preferiva il sesso occasionale che una storia duratura?

-No, no che non è meglio per me!- sbuffò contrita, guardandola contrariata quando la vide trattenere una risata –Che c’è?!-

Lin sventolò una mano –Quando ti ci abitui, non è così male- e poi, assorta come mai prima di allora l’aveva scorta, la ragazza guardò il tavolo quasi volesse sfuggire al suo sguardo –E ti dici che la solitudine è meglio se paragonata ad una vita di sofferenze.-

Ginko si stropicciò il volto, seriamente stressata sotto tutto il peso di quelle parole convinte che continuava a rivolgerle; probabilmente, Lin non avrebbe mai cambiato idea e forse nemmeno Top ci sarebbe riuscito –Quindi che intenzioni hai?-

L’amica strabuzzò gli occhi –Per cosa?-

-Con Top!- strepitò, affamata di sapere la sua prossima mossa.

-Niente.-

-Come niente?!- sbatté le mani sul tavolo –Sai, dovresti considerarti fortunata! Lui non è un tipo molto espansivo.-

-Lo conosci bene.- arcuò un sopracciglio.

Ginko scosse la nuca –Nelle interviste sembra sempre allegro, ma in alcuni video che ho visto, sembra quasi indifferente alle attenzione delle fan.-

-Sarà stanco a volte di tutta questa notorietà- sbrodolò la straniera assorta. Ma poi alzò le spalle –Comunque non lo so- nascose la bocca dietro il palmo aperto –Ho dimenticato l’Mp3 agli studi. Ji Yong mi ha detto di passare da loro domani- la guardò –Vuoi venire?-

Ginko allargò gli occhi, scuotendo la nuca con vigore. Non aveva voglia di vederlo, non così presto. Doveva prima fare chiarezza con sé stessa e metabolizzare tutto ciò che le aveva propinato –Fai attenzione, eh.-

-Sì, mamma- la voce di Lin giunse velata di sarcasmo e divertimento e perfino Ginko si ritrovò a ridacchiare scioccamente, prima di udire il suo secondo –Tu sei troppo paranoica- che le fece storcere il naso. Ripuntò lo sguardo all'esterno -Certo che non vuole proprio smettere- Lin le rivolse il barlume di un sorriso –Ti va un altro the?-

E lei annuì, restando ancora sola con i propri pensieri scomodi e opprimenti. Guardò fuori, sballottata dalle parole che l’amica aveva lasciato dietro sé con la sua lontananza. Sì, beh, forse era un po’ tanto paranoica e si faceva problemi assurdi per nulla.

E comunque, tu sei troppo paranoica.-

Sì, lo sapeva.

Ma fuori continuava a piovere.
 

******

 

Lin non si era mai posta molti problemi, in fatto di ragazzi. Se uno le piaceva, glielo faceva capire, ci usciva per un po’ e quando la passione svaniva, c’era sempre qualcun altro disponibile. Che fosse un ex o una new entry, poco importava. Bastava saziare i propri appetiti e tutto passava in secondo piano.

E quando si rifiutava di usare qualche ragazzo come coperta, perché nessuno valeva la pena, quando si metteva alla ricerca dei vestiti e replicava con uno sventolio delle mani al loro Non sbattere la porta quando esci, non restava nulla. Niente imbarazzo, niente sguardi complici o di intesa, nulla di nulla. E così, rincontrarli, non era difficile. I soliti gesti, le solite parole… Fino a quel momento, almeno.

Bussò alla porta dell’appartamento dei Big Bang con uno strano senso di nausea a chiuderle la bocca dello stomaco, un disagio indissipabile che si era posato sulle spalle e non voleva saperne di andare via. E pensare che aveva camminato sotto la pioggia pur di lasciarselo indietro, ma quello stronzo si era ripresentato più forte e opprimente di prima.

-Che palle.- sbuffò all’ennesimo Toc toc, nessuno che ancora si era presentato alla porta.

-Puoi aspettare un attimo o-- fu come se il tempo si fosse fermato nell’esatto istante in cui il suo sguardo sorpreso si era posato su di un Top mezzo assonnato e dall’aria sconvolta. Si schiarì la gola, gli occhi socchiusi –Che ci fai qui?-

-Ciao non si usa più?- il sarcasmo si sprecò nella sua domanda, seguita da un arricciamento di labbra.

-Nh, credevo fossi GD.-

-Vi salutate così?- lo sentì grugnire –Disturbo?-

-Stavo dormendo.- bofonchiò stropicciandosi gli occhi; si accorse solo allora delle innumerevoli felpe che coprivano il suo corpo, delle occhiaie vistose, del viso più pallido del solito e dei capelli schiacciati.

Lin si morse il labbro inferiore -Cercavo Ji Yong.- si alzò sulle punte e guardò oltre la sua spalla; dato il silenzio, sembrava esserci solo lui in casa.

Top arcuò un sopracciglio –Guarda che non c’è.-

-Come non c’è?-

-E’ alla YG con gli altri.-

-Ma mi ha detto di passare a quest’ora, che sarebbe stato in casa- sventolò il cellulare, reprimendo la voglia di mandargli un semplice e liberatorio Stronzo <3 via Sms. Scrutò il volto cosparso di sonnolenza del ragazzo, ignorando la sua imprecazione a mezza voce, poi continuò –Ho lasciato l’Mp3 agli studi.- e sperava che non dovesse dilungarsi in ulteriori distrazioni.

-Sì, ma non c’è.- certo che da appena sveglio è proprio un genio, eh…

Lin sbuffò, contrariata per aver fatto quel tragitto inutile –Nh, va beh, tornerò un altro giorno- gli diede le spalle, evitando che il suo sguardo perforante e socchiuso continuasse a farla sentire in colpa –Scusa se ti ho svegliato.- e prima che potesse mettere un piede sul gradino, quando le dita  erano già ferme sul corrimano, udì la sua voce rauca e velata di gentilezza, come se fosse appena uscito dalla fase connecting people.

-Te lo prendo io- si grattò la nuca e le sue labbra si aprirono in quello che doveva essere un sorriso –Entra.- e si fece da parte, guardandola intensamente, come se davvero non volesse lasciarla andare via. E lei avrebbe potuto dirgli che andava bene così, che sarebbe passata un’altra volta e, già che c’era, poteva uccidere GD per conto suo.

Ma irrefrenabili, udì i propri passi risuonare nell’anti salone, la strana sensazione di inquietudine che si impossessò di lei quando gli passò accanto e infine la portava che sbatteva. E adesso che era in trappola, si chiedeva se davvero valesse la pena perdere la vita per uno stupido aggeggio che a volte nemmeno funzionava bene.

-Senti, se vuoi dormire, tor—

-Siediti e sta’ buona- la rimproverò mentre si stringeva nelle felpe –Torno subito. Te evita di scappare, eh.- che diavolo era, un cane randagio?! Qualcosa non andava e lo capì dai suoi movimenti bruschi, dal suo essere così seccato solo per la sua presenza a quanto pareva indesiderata. E mentre osservava i suoi capelli azzurri un po’ schiacciati, mentre lo vedeva scomparire dietro la porta che dava alle camere da letto, si ritrovò a chiedersi il perché di quell’atteggiamento così avverso. Forse aveva solo sonno, si disse. O forse, stava reagendo all’abbraccio che lei gli aveva offerto senza chiedere nulla in cambio. Magari pensava che lei volesse qualcosa in più, quel qualcosa che aveva visto sfumare per paura di strane ripercussioni. Perché lei aveva colto qualcosa nel suo sguardo, una passione che non le aveva mai rivolto. E aveva seriamente temuto di ritrovarsi a cavalcioni su di lui sulla sedia. O sul divano.

Così, fece limitatamente ciò che le aveva chiesto: non scappò, ma nemmeno si sedette. Sedersi, avrebbe significato che lei voleva stare in quell’appartamento per qualche tempo in più e dato che, ultimamente, in sua presenza commetteva più cazzate che genialate, era meglio prendere ciò che le spettava e filare a casa. Quando lo vide ricomparire, lo vide roteare gli occhi dietro le enormi lenti degli occhiali da vista appena indossati, come se fosse seccato per il suo averla trovata in piedi; nella mano destra il suo amato Mp3 –che sperava non fosse stato malmesso da quel balordo di Ji Yong- e sotto il suo braccio un asciugamano.

Quando si vide lanciare addosso il panno, lo fissò con un sopracciglio arcuato –Che dovrei farci?-

-Hai i capelli fradici. Rischi di prenderti qualcosa.- si stupì di quel gesto così gentile, inaspettato, che lasciava trasparire una dolcezza a cui lei non era mai stata abituata e che, da quando avevano iniziato quello strano rapporto di conoscenza, stava cominciando a farla stare bene.

Lin scosse la nuca, posandolo sul tavolo –Tanto vado subito.-

Top indicò la finestra del salotto con un cenno del capo –Fuori sta diluviando.-

E proprio mentre stava per rispondergli sgarbata che no, non sarebbe rimasta, ecco che il suo stomaco la tradì, gorgheggiando rumorosamente nemmeno fosse stato un terremoto. Portò le mani allo stomaco, guardando sconsolata il soffitto.

E adesso sarebbero partite le prese in giro, i punzecchiamenti o qualcosa che avrebbe accesso l’ironia ora relegata in un angolo, apparentemente desiderosa di non essere scagliata contro Seung-Hyun. E invece non avvenne nulla di ciò che aveva pensato. Perché il ragazzo la stava ora fissando con sorpresa, l’aura di irritazione completamente eclissatasi, ma nessuna parola colma di sarcasmo le venne scagliata contro; ci fu la sua risata rauca e profonda, capace di farla ammutolire. Si sentì tremendamente stupida nel constatare che la sua bellezza era qualcosa di sconvolgente, particolare, che non sarebbe riuscita a trovare nemmeno nella China Town della sua New York. Perché lui aveva un fascino particolare, un carisma capace di seppellire tutti i suoi difetti e più si ritrovava a guardarlo, più riscopriva attratta da tutto quel miscuglio di beltà.

Si ritrovò a palesare il proprio disgusto nel rendersi conto che, per un istante, Ginko doveva essersi impossessata del suo cervello, poi lo guardò seccata –Beh, io vado.- ma quello continuava a ridersela come uno scemo.

Ringraziò mentalmente il proprio stomaco gorgheggiante. Almeno, non si stava più comportando da idiota. Anzi, le parve tornato il Seung-Hyun di sempre o almeno, quello con cui era piacevole trascorrere del tempo –Perché non ti fermi a cena?- domandò con un sorrisetto sul volto, ora decisamente più sereno.

Lin si guardò le converse fradice, incerta –Non vorrei disturbare.- e quando lo vide grattarsi la chioma color menta, pregò che la mandasse via, che le dicesse che sì, che in fin dei conti era un disturbo per la sua tranquillità. Perché in quel modo sarebbe stato facile mandarlo a quel paese, sarebbe stato facile soffocare quella vocina maledetta che continuava a ricordarle quanto piacevole fosse stato stare stretta fra le sue braccia, carezzata dai suoi tocchi delicati.

-Tanto sono solo.- ma il suo borbottio, vanificò tutti i suoi buoni propositi.

 

Come un uragano improvviso, la chiacchierata con Ginko passò di là, spazzando via ogni briciolo di certezza che continuava a farla sentire a proprio agio. Fu allora che lo guardò davvero, rendendosi conto per la prima volta di chi aveva di fronte a sé: un ragazzo talmente tanto famoso che doveva andarsene in giro con occhiali da sole, cappello e sciarpa anche d’estate, un ragazzo con due vistose occhiaie e infiacchito per il troppo lavoro. Ma che continuava a fissarla, quasi volesse paralizzarla con la sola forza del suo sguardo perforante.

Lin scosse la nuca –Sei stanco.-

-Non più del solito.-

Perché non la lasciava andare via e basta? Ancora una volta, si ritrovavano sospesi in quelle situazioni assurde in cui sembravano voler stare assieme, in cui sembravano trattenersi con qualche scusa stupida. E le belle sensazioni che aveva avvertito stando fra le sue braccia, tornarono a galla, facendole mancare il fiato.

Scosse la nuca -Scusa se ti ho fatto perdere tempo.- la mano era già sul pomello, pronta a girarlo e dietro la porta, la libertà, l’aria respirabile…

-Tanto lo avrei usato peggio.-

Ma si rese conto che solo con lui poteva farlo sul serio.

 

Lasciò scivolare la mano, accantonò i pensieri scomodi mentre zittiva la vocina che continuava a suggerirle di andarsene da quella casa, che doveva andare via da lui, e guardandolo a lungo, esalò un serio -Cucino io.- che lo fece immobilizzare.

Top la fissò con le sopracciglia aggrottate e l’espressione arcigna –L’ultima volta mi hai avvelenato con il curry.-

Roteò gli occhi –Errore di dosaggio- lasciò cadere la borsa a tracolla, tolse la felpa dei Puffi e prese l’asciugamano, cominciando a tamponarsi i capelli –Prometto che non ti ucciderò.- borbottò alla fine, udendo la sua risata divertita mentre recuperava tutto il necessario.

 

Così, serena e distaccata dai miliardi di pensieri che l’avevano accompagnata fino a casa sua, Lin si ritrovò a girare il mestolo negli spaghetti di soia con svogliatezza, già stufa di essersi presa quell’impegno. Ma quando lanciò un’occhiata al ragazzo e lo ritrovò stravaccato sul divano con aria stanca, si disse che almeno una volta nella vita una buona azione poteva compierla. E non si stava male, no davvero. Lui non la tartassava di domande, non veniva a controllare il suo lavoro e, soprattutto, non l’aveva guardata in alcun modo strano. Probabilmente, anche per lui era stato troppo presto rincontrarsi senza preavviso alcuno da sobri.

Poi, ad interrompere il flusso dei suoi pensieri, ci fu la sua voce. Baritonale, melodiosa, come se stesse cantando… Si voltò e vide gli occhi di Seung-Hyun farsi enormi; solo quando guardò la televisione accesa, si rese conto di cosa stavano trasmettendo: una pubblicità in cui recitavano i Big Bang -Ma siete voi?!-

-No, dei sosia- sbottò sarcastico, imprecando contro il telecomando che aveva deciso di nascondersi –Ma dove cazzo si è infilato?- lanciò in aria i cuscini, poi si volse verso di lei con aria minacciosa –Puoi spegnerla?-

Per tutta risposta, Lin gli regalò un sorrisetto zuccheroso prima di pararsi vicino alla televisione e alzare il volume, premurandosi di proteggere con una mano il pulsante di accensione, cosicché potesse godersi quello spettacolino. Ma il sorriso vacillò, fino a scomparire del tutto. Volse il busto, lo sguardo ormai scivolato sul Top cercatore che stava miseramente fallendo la missione. Non lo aveva mai considerato sotto un’ottica che andasse oltre il suo essere un ragazzo coreano con più fan di quanti ne avesse avuti lei alle superiori, soprattutto grazie alle voci non troppo lusinghiere che giravano sul suo conto, ma che i ragazzi sembravano gradire.

Perché solo quando lo ebbe visto in quello spot pubblicitario, si rese conto di avere a che fare con una celebrità in quel della Corea. Un ragazzo con più soldi di lei, con ammiratrici urlanti che facevano la fila per andare a vedere i suoi concerti, che aveva alle spalle un sacco di Cd, che probabilmente partecipava ad un sacco di cene di gala, che trascorreva le giornate sui set fotografici, nello studio di registrazione e che, di sicuro, al di fuori di lei aveva a che fare con gente importante -Cos’è quella faccia?- la fissò di soppiatto tra un cuscino volante e un’imprecazione –Sembra tu non ci abbia mai visto in tv!-

-Ed è così.- ribatté incolore, acquattandosi davanti all’enorme televisione. Anche perché, ai tempi, aveva già le palle sature per tutti gli incontri/scontri che era stata costretta a subire; figurarsi se si sarebbe messa a digitare il suo nome su Youtube! Tenne quel commento per sé, però, decisa a non inscenare una futile discussione quando, in quel silenzio, si stava così bene.

Con lui si sta sempre bene…

-Qualche video?-

-No.-

-Interviste?-

-Nemmeno.- rimbrottò spazientita, non capacitandosi del tono di voce assorto che le era appena sfuggito. Eppure non poté controllarsi, non di fronte alla sua palese bellezza. Ed era pur vero che in quello spot era truccato, sbarbato e impomatato come un degno divo di Hollywood, ovvio che fosse così figo. Guardò oltre la spalla, scorgendo il suo profilo contratto in una smorfia di fastidio; un sorriso di amarezza le increspò le labbra nascoste dai lunghi capelli. No, perfino in tuta, con gli occhiali alla Steve di Otto sotto un tetto e i capelli azzurri non ingellati era di una bellezza sconcertante.

Top sbatté le braccia lungo i fianchi –Come fan fai schifo.- esalò inviperito, probabilmente contro il telecomando che aveva deciso di giocare a nascondino con i suoi nervi tesi. Distolse lo sguardo, tornando a contemplare la sua figura oltre lo schermo. Le parve distante, pur nella sua piacevole vicinanza e solo quando udì un mugugno di vittoria, si riscosse. E poi, come un sogno che sfuma al suono della sveglia, scomparve anche il suo volto per lasciar spazio ad una soap opera coreana. Si diede della pirla; che diamine erano quei pensieri da bimbaminchia in calore?!

Solo quando lo vide esultare con il telecomando fra le mani, tornò a degnarlo di attenzione –Non sono una vostra fan.- nel vuoto di parole che li attorniò, solo la voce dell’attrice coreana…

 

-Meglio così, davvero.-

 

E il suo sorriso velato di dolcezza, quell’inaspettata dolcezza che lei non riusciva a sopportare.

 

Lin si dondolò sulle punte e quando lo vide concentrarsi sul telecomando, ne approfittò per andare ai fornelli, lasciando dietro di sé un sospiro di sollievo per tutto ciò che, fino a quel momento, non era ancora avvenuto. E fu sorprendente vedere come le venisse naturale riempire quel silenzio attorno a loro, come se le parole fossero sempre state lì, pronte a librarsi solo in sua presenza -Non vi vergognate a fare queste cose?- domandò seria seria, inclinando il capo mentre lo vedeva fare zapping con scazzo.

-Stai dicendo che siamo ridicoli?- arcuò un sopracciglio e lei, di fronte al suo orgoglio appena pizzicato, si ritrovò a guardare il soffitto.

-Mi chiedo solo come facciate a rivedervi- fissò la pentola –Io mi vergogno anche a vedere i filmini di famiglia.- confessò serena, ritrovandosi a mordersi la lingua nell’istante in cui udì la sua breve e rauca risata. Possibile che con Seung-Hyun si lasciasse sempre andare a stupide ammissioni che la facevano sembrare una cretina?

-Effettivamente, non sei fotogenica.- rimbrottò con un pizzico di derisione; continuò a dargli le spalle, ma era certa che un ghigno da gran bastardo si fosse delineato sulle sue labbra.

-Ancora con questa storia?- girò con forza gli spaghetti, riversandovi tutta l’irritazione.

-Vogliamo ricordare la foto delle montagne russe?-

Allargò gli occhi –Quale foto?!-

-Quella del Luna Park- lei lo fissò allucinata  -Ji Yong ne ha comprata una copia.-

Stronzo2 -Non c’entra nulla. Avevo paura.-

-L’ho notato. Le tue urla si saranno sentite fino a Brooklyn- fissò il palmo su cui gli aveva lasciato i segni delle unghie conficcatesi per lenire il suo terrore -Saresti un ottimo soprano, sai?- per concludere quel brodo di vaccate, gli rifilò un medio, lasciandosi strappare un sorriso spontaneo quando udì la sua risata spargersi nella cucina. E così, fra una presa in giro e un Che palle!, random, utilizzato come intercalare, nel suo ostinarsi ad insegnarle ad utilizzare le bacchette nonostante avesse reclamato per una forchetta mentre sedevano a mangiare gli spaghetti di soia, Lin si accorse di come Seung-Hyun fosse davvero diverso rispetto al mucchio di ragazzi che aveva frequentato, baciato o stretto nelle notti di bagordi newyorkesi. Probabilmente anche lui aveva fantasticato su di lei, glielo aveva letto negli occhi quella sera, durante la partita di biliardo, così come anche lei, ultimamente, si ritrovava a pensarci un po’ troppo spesso. Ma c’era qualcosa di diverso in lui… C’era una sorta di squisita delicatezza che lo spingeva a comportarsi con un’educazione a cui lei non era abituata, una galanteria nei suoi gesti mai eccessivi che le scaldavano il cuore, che quando si trattava di maschi si rifugiava chissà dove, il mentecatto.

A riprova di ciò, l’abbraccio nella sala relax: avrebbe potuto baciarla, avrebbe potuto approfittare della sua ubriacatura, avrebbe potuto fare tante cose. Ma non le aveva fatte. Si era limitato a sciogliere l’abbraccio e le aveva parlato, nonostante tutto non l’aveva fatta andare via, quasi volesse farle capire che quel gesto non avrebbe portato a fraintendimenti.

E Lin aveva avvertito gli occhi pizzicare, il cuore esplodere per quella inusuale dolcezza. Lo vide allargare gli occhi –Non è male.-

-E’ troppo salato.- sbottò caustica, maledicendo le proprie, scarse doti culinarie. Aveva preso da Mark, in quello, memore del Flubber frittata.

-A me piace.- e le rivolse un sorriso sincero prima di tornare a mangiare con le sue bacchette, lasciandola con la sua forchetta –conquistata dopo una sanguinosa battaglia- e con la gradevole sensazione che quella fosse stata la miglior conversazione che avessero mai sostenuto.


Fu solo dopo una mezzora che indossò la felpa dei Puffi, pronta a fiondarsi per le gelide strade di una Seoul sommersa dalla pioggia di novembre. Era la prima volta, da quando lavorava al Tribeca, che preferiva starsene in casa piuttosto che annoiarsi con i suoi colleghi. Ginko a parte, ovvio.

-Sicura di non voler restare?-

-Meglio che mi incammini- scosse la nuca –Devo andare a lavorare.-

Lui guardò l’orologio –Manca ancora un sacco.

Strinse le dita affusolate intorno al laccio della borsa a tracolla, alzandosi sulle punte in quel suo tic nervoso per l’indecisione –Non so se—

-Ah! Aspetta qui!- ancora una volta, lo vide scomparire dietro la porta della sua camera, ritornandosene indietro con un videogioco fra le mani –Perché non ti fermi un po’?-

-Cos’è? Vuoi giocare a Super Mario?- ma che diavolo gli stava prendendo?

-Sì- sbottò grattandosi la chioma, quasi volesse far sopperire il nervoso che lo aveva preso in contropiede. E Lin, nella sua scarsa dote di analisi, si ritrovò a chiedersi perché si ostinasse a volerlo far contento mentre con gli altri si sarebbe limitata ad un No secco prima di sloggiare. E una risposta probabilmente non sarebbe riuscita mai a trovarla, non con lui attorno almeno. Ma mentre lo vedeva titubare, in attesa, si disse che probabilmente lui si sarebbe davvero annoiato da solo in casa e che, forse, non era abituato ad avere ospiti o comunque qualcuno che non fossero i suoi coinquilini -Sono fermo alla Foresta dell’illusione.-

Guardò l’orologio, soggiogata da quel pensiero che stava stuzzicando il suo senso di colpa dormiente. Ma quando lui le sorrise un poco, si rese conto di come non fosse tutto frutto della propria immaginazione e che, forse, non era l’unica a desiderare cinque minuti in più in sua compagnia. E si sorprese di come non volesse del sesso, non volesse nemmeno qualche cazzata romantica che avrebbe di sicuro rovinato quel loro rapporto in perenne bilico.

Solo parlare…
 

-Io faccio Mario.- gettò la tracolla per terra, strappandogli il gioco dalle mani.

-Ma io non voglio essere Luigi!-


E giocare a Super Mario
 

-Non fare il bambino.-

-E tu sei una rompipalle, lo sai?-

Lin si ritrovò a ridere, seguita a ruota dal ragazzo.

E stare con lui, solo quello.

 

****

-Illuditi finché vuoi.- urlò Lin con fare saccente, dal salotto.

Top si sporse dal frigorifero -Non mi sto illudendo.-

-Credi davvero che lei ami Mario?- Lin imprecò contro una tartaruga vagante –La principessa è una stronza.-

-No, il fungo lo è!- si sedette al suo fianco, incrociando le gambe mentre adagiava due lattine di birra davanti a loro, riprendendo in mano il joystick.

-Ma se continua a nascondersi di castello in castello?-

-E’ Bowser che l’ha rapita. E il fungo sta ai suoi piani- ancora non comprese come fossero potuti finire ad imbastire una discussione su Super Mario, ma non gli dispiacque, del resto parlare con lei non gli dispiaceva da un bel po’ di tempo. A dir la verità, non gli dispiacevano più un sacco di cose di lei, a partire da quello che aveva considerato un caratteraccio indigeribile. Ok, era sempre una stronza con le emozioni di un frigorifero, ma era piacevole lasciarsi avvolgere da quegli sprazzi di dolcezza che raramente gli riservava. Ed era bella, nulla di più. Più guardava il suo profilo concentrato, più si chiedeva come potesse non essersene accorto prima. Probabilmente era tutta colpa dell’odio che lo aveva accecato, non c’era altra spiegazione –Oi, prendi il fiore.- consigliò indicando il televisore.

Per tutta risposta, quella prese la piuma. La guardò con espressione arcigna mentre lei se ne usciva con un serafico -La piuma è meglio-

-Ma col fiore spari!-

-Ma con la piuma puoi librarti in aria! Sai che comodità?- sciorinò spiccia, cominciando a planare sui nemici con aria di sfida. Poi, mentre lui se ne stava lì a rimuginare su quanto il loro gioco di squadra facesse schifo, Lin sbuffò nel vedere Mario gettarsi in un burrone –Tocca a te- bevve un sorso di birra e premette Start, canticchiando la musichetta di sottofondo. Di sottecchi, vide Lin portare le ginocchia al petto, concentrata sullo schermo –Tra poco partirete.-

Avvertì un peso al cuore e non era dovuto al fatto che Luigi stesse per venir divorato da una pianta carnivora; c’era che il suo tono di voce era uscito pensoso, assorto e per un attimo nei suoi occhi nocciola vi aveva scorto lo stesso spaesamento della notte nella sala di registrazione –Mhmh.-

-Non sei agitato?-

-Un po’- alzò le spalle –Ma è normale.- non voleva parlare della sua partenza con lei, non voleva affatto. Sembrava quasi dovessero dirsi addio quella notte stessa.

-Immagino di sì- lo guardò seria –Fate attenzione. Ginko potrebbe venire a sentirvi, mica che ve la ritrovate negli spogliatoi.-

Rise alla sua sparata, immaginandosi quella tappa che saltava da una parte all’altra insieme a Ri mentre Tae e Dae cercavano di fermarli, il tutto sotto lo sguardo annoiato di GD. Sospirò quando passò al livello successivo -Sei mai stata in Giappone?-

Lin scosse la nuca –Non mi sono mai allontanata da New York- storse il naso –Pensa, sono qui da mesi e non ho mai visitato Seoul.-

E mentre la vedeva sospirare per aver portato a termine il livello, un pensiero balordo quanto assurdo navigò nella sua mente: avrebbe voluto dirle qualcosa in stile Ti porto io in qualche bel posto!, o ancora Perché quando torno dal Giappone, non ce ne andiamo da qualche parte?, ma era una mossa troppo azzardata ed era certo che, se mai qualche stronzata del genere si fosse propagata nell’aria, avrebbe potuto dire addio a Lindsay. E i motivi era davvero svariati, ma tra tutti ce n’erano un paio che continuavano a martellare insistenti: 1) non erano fidanzati o nemmeno etichettabili come amici e solo ad una di quelle sparate, lei avrebbe potuto ridergli in faccia; 2) non sapeva nemmeno se, tornato dal tour, avrebbe avuto l’occasione di rivederla. E questo, più di tutto, frenò il fiume di parole che stava straripando dal suo cervello ora in allarme.

A fine gennaio sarebbe rincasato, sarebbe andato al Tribeca e la lieta novella che lei non lavorava più lì gli sarebbe piovuta addosso come una doccia gelida…
 

-Oi, guarda che Yoshi è scappato.-

 

E avrebbe chiesto a GD di contattarla, giusto per sapere che fine avesse fatto, ma lei avrebbe risposto dicendo loro che se n’era tornata in America, di lasciarla dormire perché lì, a New York, erano già le 3.00 del mattino…
 

-Ma che ca-La tartaruga ti è venuta addosso!-

 

Oppure l’avrebbe incrociata per le vie di Seoul aggrappata al braccio di qualche sconosciuto mentre rideva, scherzava, parlava, lo baciava. E tutti quei gesti che avrebbe voluto vedersi rivolgere sarebbe stati donati a qualcun altro. Qualcuno che non era lui…
 

-Perdi almeno dopo aver preso il continuo, che ne dici?-

 

E sentì la paura pervadere ogni fibra del suo corpo sormontato da brividi leggeri quando avvertì le mani di Lin sulle proprie, mentre cercava di strappargli il joystick di mano e salvare la sua incresciosa partita. E si ritrovò a guardare il suo profilo delicato, la sua espressione concentrata mentre la lingua andava ad inumidire il labbro superiore, poi quello inferiore. E fu come se lava incandescente fosse corsa nel suo corpo, rapito da quel gesto talmente naturale, per lei, che nemmeno si rendeva conto di quanto stesse risultando sensuale ai suoi occhi.
 

La musichetta del Game over anticipò il suo sonoro sbuffo.

-Abbiamo perso.-

-Chissenefrega.-

 

Non credeva di averlo pronunciato ad alta voce, ma quando Lin si volse a fissarlo con sorpresa, si rese conto che così non fu. E doveva averle rifilato un’espressione davvero seria perché, nervosamente, la giovane aveva portato una ciocca di capelli dietro l’orecchio, continuando a non interrompere quel silenzio assorto che li aveva circondati.

La fissò a lungo, la contemplò così tanto da sentire il cuore accartocciarsi di un doloroso piacere. C’era la stessa, identica, palpabile attrazione che li aveva sospinti durante il suo compleanno e perfino gli occhi nocciola di Lin leggermente sgranati avevano assunto una vividezza capace di fargli perdere il controllo. E ancora la folle idea di spalmarla sul divano prese pieno possesso di ogni sua cellula grigia, costringendolo a deglutire mentre teneva a bada le proprie mani che fremevano per carezzare la sua pelle morbida.

 

La sola cosa diversa da quella notte, era il loro essere sobri e ben consci di ciò a cui sarebbero andati incontro. E non si stupì del proprio avvicinarsi lento al suo viso, non si stupì nemmeno del suo tenere lo sguardo fisso, intimorito al pensiero che un’occhiata mancata avrebbe potuto spezzare quel momento di strano incanto. Ma quando la mano affusolata di Lin si posò sul suo torace e strinse la felpa nera, allora sì che si stupì. E comprese: lei lo desiderava tanto quanto lui. Se per solo sesso o un bacio rubato non gli importava granché, non in quel momento. Voleva solo stringerla a sé e baciarla fino a farle mancare il fiato. Fino a spegnere il cervello e fare bye bye alla razionalità.

 

-Hyuuung! Siamo tornati!-

 

Guardò la porta d’entrata mentre Lin si allontanò e tornò a guardare lo schermo, accarezzandosi i capelli umidi. Gli parve spaventata, se per il bacio mancato o per l’arrivo improvviso degli altri che avrebbero potuto coglierli con le mani sotto i vestiti, non lo avrebbe mai saputo.

Sono un coglione…

-Oh, Lin, ci sei anche tu?- Dae fece capolino, un sorriso luminoso sul volto –Che piacere vederti!-

La ragazza gli rivolse un sorriso abbozzato prima di venir travolta da quell’uragano di Ri –Liiiiin, cosa ci fai qui? Vi siete fidanzati? Eh? EH?-

-Non dovevi comprargli le caramelle.- si intromise Tae, rimproverano bonariamente un Daesung sospirante.

Top imprecò mentre spegneva la console, avvertendo le fusa di Ri mentre continuava a stringere a sé una Lindsay sconvolta e allucinata. Tae venne in suo aiuto, rivolgendole un sorriso rammaricato mentre portava quel gattaccio a mangiare. La ragazza si sistemò e si alzò, seguita a ruota da lui che continuava a stringere i laccio della felpa per far scemare il nervoso. Diamine, c’era andato così vicino!

-Oh, Lin, sabato prossimo o quello dopo ancora daremo una festa per il nostro tour- Dae si sporse dal frigorifero -Tu ci sarai?-

Ri per poco non squittì di fronte al suo silenzio e se Tae non fosse venuto a raccattarlo, probabilmente le avrebbe strappato i lunghi capelli in attesa di un suo .

-Non lo so, forse lavoro- si lisciò la maglietta mentre andava a recuperare la felpa e la borsa a tracolla. Di fronte a quella risposta vaga e che lasciava aperte troppe possibilità, Seung-Hyun si ritrovò diviso tra il suo desiderio di volerla vedere ancora prima di due mesi di lontananza e la speranza che lei rifiutasse l’invito –Può venire anche Ginko?- chiese poco dopo, quasi la sua scelta dipendesse dalla risposta che le avrebbero dato.

Fu Ri ad intromettersi –Certo che può! Lei deve venire!- trillò esaltato, guardandola con occhioni enormi.

Lin lo fissò, poi sospirò mentre sollevava la borsa da terra –Magari faremo un salto dopo il Tribeca.- guardò l’orologio appeso al muro e si direzionò verso la porta, lanciandogli un’ultima, profonda occhiata che non riuscì a decifrare.

-Potremmo venire a ballare e poi tornare qui a casa.- propose pratico Tae appoggiandosi al lavabo.

Lin alzò le spalle, annuendo –Come preferite.-

 

E a quel punto, Seung-Hyun si convinse di una cosa: i saluti, erano forse la parte peggiore di una serata con lei. E non perché lui li odiasse o che altro, no, semplicemente restare sull’uscio della porta a fissare una Lindsay rivestita di apatia non era uno spettacolo esaltante. Avrebbe preferito un fugace Ciao prima di tornare a giocare a Super Mario, con lei che si defila senza troppe remore, senza farsi troppe domande.

Tutto di loro era sospeso, come se stessero studiando la prossima mossa. E Top, che già non sapeva come barcamenarsi in quel banale saluto, si chiese come avrebbe reagito al loro futuro addio -Grazie per l’Mp3.- stiracchiò le labbra mentre lo agitava, cominciando poi a slacciare le cuffie.

Al suo secco Che palle!, sospirò –Vuoi una mano?-

-Sono ingarbugliate.- sbuffò incolore. Sospirò e avvicinò le dita alle sue, sfiorandole appena mentre cercava di aiutarla a risolvere quel problema.

E tutto sarebbe potuto concludersi così, il loro imbarazzo era già abbastanza tangibile e insopportabile -E tre, due, uno…- ma, beh, aveva degli amici coglioni e gli amici coglioni sono famosi per rendere tutto ancora più tremendo. Fu proprio in quell’istante che udirono la loro voce, con loro due fermi con le mani intente a districare i nodi, ora immobilizzati sotto l’uscio con sottofondo uno strano coretto proveniente dall’interno dell’appartamentino…

 

Lei ti piace, tanto tanto da morir

Forse tu le piaci ma lei non sa come dirlo

Ma non servono le parole sai

allora baciala…

 

Lin allargò gli occhi nocciola fissandolo allucinata e Top, trattenendosi dal prendere quelle cuffie e strozzarci i suoi amici, si limitò a ricacciare in gola l’imprecazione più collerica che mai sarebbe potuta uscire dalle sue labbra. Quando si voltò, gettando un’occhiata al salone d’ingresso, uno spettacolo raccapricciante che non sarebbe più riuscito a togliersi dalla mente: Ri e Dae, spazzole e forchette in mano, si stavano dilettando in quella sonata al chiaro di luna davvero patetica…

 

Sciala la la la la la Il ragazzo è troppo timido

Coraggio baciala

Sciala la la la la la

Non lo fa, ma che peccato, se insiste lui la perderà

 

Top si stropicciò il volto per la vergogna di vivere sotto lo stesso tetto di quei due dementi; peccato non poter dare la colpa a GD, visto che non era presente, perché quella sembrava proprio una sua trovata balorda per metterlo ancora più in difficoltà. Lin invece, apparentemente noncurante di quel tristissimo siparietto, canticchiava con loro -Oh, dai, pure tu?-

-Che c’è? Mi piace la Sirenetta.- si giustificò alzando le spalle.

Lui roteò gli occhi e, sempre sotto quel mare di cazzate, la vide rivolgere un breve sorriso alle cuffie ora slegate –Sicura di non volere un passaggio?-

Ti prego no, dì di no…

-Torno a piedi, grazie.-

Represse un sospiro di sollievo. Non sarebbe riuscito a controllarsi con lei chiuso in macchina –Fai attenzione.- le mormorò pacato

-Dovresti farne tu.- con un cenno del capo, indicò i due che si ostinavano a cantare inesorabili e purtuttavia infastidito, si ritrovò a sorriderle grato per non aver fatto commenti su tutto quello che era accaduto.

E la vide scendere le scale, quasi eterea, come se fosse un sogno, chiedendosi se davvero avesse rischiaro di sfiorare le sue labbra o fosse stato frutto della sua immaginazione. Le carezzò, sbuffando impercettibilmente. Chissà se sarebbe venuta alla festa o sarebbe scappata da lui…
 

-Aaaw, nemmeno un bacetto?!- scattarono i due, dispiaciuti.

 

Ma ora aveva cose più importanti a cui pensare –Al mio tre siete morti…- sbatté la porta alle proprie spalle –Tre!- le urla di Ri e Dae si sparsero nell’aria mentre Tae sorseggiava serafico una tazza di the davanti ad un film.

 

 Il maknaecidio poteva avere inizio.

 



 

 

A Vip’s corner:

Mie adorate, scusate il ritardo, ma la vostra Heaven ha avuto seri problemi a scrivere questo capitolo. Non sapevo proprio come farlo procedere, ogni cosa che scrivevo mi sembrava troppo veloce -e comunque non mi soddisfa appieno-. Poi ieri sera, mentre la salita del Blue Tornado stava per finire –sì, la vostra Heaven è andata a suicidarsi sulle montagne russe di Gardaland-, ha avuto l’illuminazione su come andare avanti –poi il vuoto, visto che ha cominciato a starnazzare e ha visto passare davanti a sé le immagini della propria vita- ♥ Ma è sopravvissuta a quell’Inferno e… Ta-daaan! Ecco a voi il capitolo 12 *-*

Per chi si aspettava qualcosa di meno casto e puro… Spiacenti, ma c’è un tempo per tutto *Heaven guarda la sua scaletta e sospira* i vestiti che volano in giro dovranno attendere il loro turno. Però vi ho messo un bel po’ di scene zuccherose, quindi direi che mi sono fatta perdonare, no? NO? No, non credo. Siete autorizzate a lasciarmi un bel SEI UNA STRONZA!!!!!!! e altri deliziosi insulti come inizio recensione (se mai me ne lascerete *-*), vi capirò é.è

Riguardo a Ji Yong… Sfatiamo subito un mito. Non ama Ginko. E nemmeno le piace. Crede sia solo un’altra cavia con cui divertirsi xD e Ginko fa tanto Emis Killa nel suo POV… Ascoltare a ripetizione Parole di ghiaccio nuoce alla mia sanità mentale D: Ah, già, quando parla di Top e le sue fan… No, ecco, so che lui le adora; ma di recente ho visto un video in cui non le saluta, le ignora bellamente e, leggendo i commenti sotto adirati delle VIPs, mi sono permessa di sfruttare questa cosa :)

 

E ora… Ringraziamenti!: il mio amore smisurato va a voi, MionGD, kushieda R, SonoShawolsEVip, YB_Moon, Yuna_and_Tidus, Myuzu, lil_monky, hottina,  ssilen e Fran Hatake che mi avete fatto raggiungere la soglia delle 10 recensioni per quel capitolo 11 che non mi soddisfaceva *-* Grazie, grazie, grazie infinite! Siete state gentilissime a dirmi cosa ne pensate, sul serio ♥ E poi siete sempre così carine che davvero, non ho mai parole per dirvi quanto vi apprezzi!

Ringrazio anche chi aggiunge Something alle preferite/seguite e chi continua a leggere in silenzio ^^ Io invito sempre a lasciare commenti perché rendono felici un’autrice, ma il vostro silenzio è apprezzato smisuratamente ♥

Ah, sì, dimenticavo. Voi tre: Fran_Hatake, Myuzu & Yuna_and_Tidus, si proprio voi tre… Mi volete uccidere mettendomi fra gli autori preferiti?! Se volete la mia morte per coccolosità ditelo, che cerco un ombrello da tutta questa pioggia meravigliosa di cuoricini *-* Se non si fosse capito, era un immenso grazie alla vostra bontà ♥

Ora vi saluto (vi prego di scusare eventuali errori), alla prossima!

HeavenIsInYourEyes.

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Capitolo 13
*** In my room… You can go, you can stay ***


Capitolo 13

In my room… You can go, you can stay

 

"When you were here before, Couldn't look you in the eye

You're just like an angel, Your skin makes me cry

You float like a feather In a beautiful world

And I wish I was special

You're so fuckin' special"

-Creep, Radiohead-

 

 

 

Lindsay Moore era sempre stata sicura di alcune piccole cose, dei pilastri fondamentali se così li si poteva chiamare, le classiche certezze che continuavano a infonderle la cieca sicurezza che il suo modo di vedere il mondo non fosse poi tanto distorto, come Emily continuava a ripeterle ad intervalli regolari.

Ad esempio, che suo padre e sua madre non sarebbero mai tornati assieme, ma nemmeno in un universo parallelo; che lei non sarebbe mai diventata un chirurgo, giacché soffriva di Parkinson precoce e la vista del sangue la rendeva pallida come un cencio; che tutti gli ex tornavano prima o poi, essenzialmente per una notte di evasione con sesso aggiunto, raramente per ribadirle che lei sarebbe caduta ai loro piedi –anche qui, cosa che nemmeno in tremila universi paralleli.-

Ma… Ma… C’era il classico MA che la costringeva a fermarsi per un istante, di quelli che la spingevano a chiedersi se, forse, non fosse stata l’ora di guardare le cose da un’altra prospettiva visto che, da un po’ di tempo, le cose non stavano procedendo come da sue previsioni, come da sue certezze: che i maschi, dopotutto, non fossero poi tutti uguali…

-Ben svegliata, Lin.- la dolcezza di Chyoko la riportò coi piedi per terra, salvandola per una volta dalle traballanti sicurezze che sembravano pendere su di un perenne filo.

Lin ricambiò con una mano alzata mentre reprimeva uno sbadiglio, il naso pizzicato dall’odore di riso al curry che aveva impregnato la cucina.

Anche quella, si disse Lindsay, era una di quelle certezze che non sarebbero mai vacillate: il fatto che Chyo continuasse a prepararle da mangiare pur sapendo quanto lei fosse pigra –e quanto lei non si svegliasse mai prima di pranzo- e nonostante tutto, le faceva sempre trovare una tazza colorata con qualche faccina proprio al suo posto, con una caraffa di latte e dei cereali. Uno spettacolo che quella mattina, come tante altre, le infuse un calore che dal cuore si propagò al resto del corpo, e che le fece spuntare un sorriso di gratitudine sul volto più pallido del solito.

-Papà?-

-Lavoro- sospirò mentre squadrava una maglietta di Minji –Nemmeno di sabato può starsene buono- dopo aver piegato la maglia, si aggiustò una forcina fra i capelli e tornò a guardarla, incuriosita –E’ andato tutto bene al Tribeca?-

-Come al solito.- troncò mentre versava i cereali nella tazza dalla faccina addormentata che ben sembrava descrivere il suo stato attuale; ma se Emily sarebbe stata pronta a rimproverarla per il suo essere poco ciarliera –e ciò non si riferiva alla sola mattina, ma riguardava tutto l’arco della giornata-, Chyoko non dava peso a tutto questo, facendosi bastare quelle poche e striminzite parole che le rivolgeva, come se sapesse cogliere il loro significato profondo. Come Ginko, del resto, che decideva di riempire il loro silenzio con la propria voce ma che si ammutoliva se solo lei apriva bocca, dimentica che magari stava dando libero sfogo ad un pensiero davvero importante. E come Seung-Hyun…

-Com’è andata a finire con quel ragazzo, poi?- la voce di Chyoko la distrasse, per sua fortuna, facendo disperdere anche quella fitta che dallo stomaco si era diretta al cuore, straziandolo in una morsa di dolce piacere che mai aveva provato.

-Quale ragazzo?-

Oh, lo sai quale ragazzo…

-Oh, andiamo, sai di chi sto parlando!- civettuola, sventolò una mano.

Alzò il viso, perplessa di fronte a quella donna che sembrava sempre captare il flusso dei suoi pensieri sconnessi e che se ne stava sorridente a piegare le magliette, scrutandola di tanto in tanto per accertarsi che non si fosse volatilizzata.

Lin si grattò la punta del naso, chiedendosi se quella davanti a sé non fosse Ginko. Ma Chyo riprese a canticchiare bene, così comprese di non avere a che fare con la sua amica mascherata –Nh, va.-

Chyo annuì –Va?-

-Sì, insomma, va bene.- Ci siamo quasi baciati, avrebbe voluto aggiungere, ma decise di tenerselo per sé, come uno di quei segreti che si sarebbe portata fino alla tomba in un mutismo che non sarebbe mai stato scalfibile. Aveva il vago sentore, anzi, la certezza assoluta che se ne avesse parlato ad alta voce, quel pensiero non se ne sarebbe mai più andato. E già lo stronzo continuava a starsene lì, conficcato nei labirinti della sua mente spuntando fuori di tanto in tanto, ricordandole quanto fosse stata seccata e vagamente dispiaciuta per l’interruzione che, a posteriori, l’aveva fatta sentire in un pessimo harmony.

-Va bene… Bene?- aggiunse sibillina, come se dietro quel bene fin troppo calcato dovesse nascondersi chissà quale lacerante confessione. E Lin non fu affatto disturbata dal suo voler a tutti i costi venire a conoscenza di chissà quali romantici particolari, non ci riuscì dato il sorriso gioviale che le stava rivolgendo. Fu piuttosto disturbata dal fatto che quella sua stupida vocina interiore, si ostinasse a ribadirle che le cose sarebbero andate meglio se lui fosse rimasto quei due mesi a Seoul, invece che sparirsene in Giappone.

In mezzo alle sue fan urlanti, in mezzo a chissà quali avvenenti celebrità, in mezzo ai festini, in mezzo a tutto ciò che non la riguardava, giacché Lindsay era una comune ragazza lontana dai riflettori. E se una volta tornato non l’avesse cercata? E se mentre lui era lì, lei avesse letto di un suo flirt con qualcuna? E se quei due mesi fossero in realtà un segnale della divina provvidenza affinché rinsavisse e si dimenticassero l’uno dell’altra? Fu la prima volta che Lin, nella cucina di casa propria sotto lo sguardo attento di Chyo, si ritrovò soggiogata da un senso di solitudine per nulla piacevole, sfibrata al pensiero di venir dimenticata da un ragazzo…

Sospirò -Va meglio.- ma lo disse con sospensione, quasi volesse concludere con qualcos’altro. Perché la frase che aveva gravitato nel suo cervello era stato un sincero Va meglio che con tutti gli altri, ma la paura aveva sommerso le parole che, intimorite, erano fuggite chissà dove. E allora che si facesse andar bene quel meglio incompleto, che tanto nemmeno lei sarebbe riuscita a spiegarsi.

-Oh, sono contenta! Mi eri sembrata così dispiaciuta per ciò che era successo- corrugò la fronte, Lin, indispettita dal fatto di essersi esposta così troppo –Te l’ho detto che delle scuse risolvono sempre tutto.- un sorriso complice, una perla di saggezza con cui lei aveva già fatto i conti e che, a ben vedere, aveva davvero un fondo di verità.

Approfittò dello squillo del cellulare per defilarsi da quel discorso, storcendo il naso quando si accorse che il nome di Ji Yong svettava luminoso. Le chiedeva se sarebbe stata dei loro alla festa e quando si rese conto che quel sabato avrebbe lavorato, uno strano senso di vuoto indefinito si impossessò di lei.

Bye Bye Seung-Hyun…

Mangiucchiò qualche cereale, annuendo lenta per darle ragione, decisa a non raccontare nemmeno mezza cosa su ciò che era accaduto tra loro dopo il suo pianto disperato. Così, dopo aver mandato giù quel latte stranamente amaro, si limitò ad un assorto –Lo so.- che Chyo si fece bastare, ancora, scuotendo la nuca con pazienza. E ce ne voleva davvero tanta con lei, ammise a sé stessa mentre cercava di reprimere un sorriso spontaneo che voleva a tutti i costi sbocciare.

-Ma… Quindi, ora?-

Ora cosa?

-In che senso?-

Ora cosa succedeva?

-Lui è solo un amico?

Lo è davvero? È un amico?

-E’ un conoscente.-

-Solo?- aggrottò le sopracciglia, quasi non credesse alle sue parole. E la verità era che nemmeno lei sapeva più a cosa credere… Ed ecco qui, uno dei tanti pilastri fondamentali che cominciava a sgretolarsi davanti i suoi occhi nocciola: che Seung-Hyun non fosse come tutti gli altri, solo un po’ diverso.

Perché non si era mai spinto oltre, perché quando qualcosa di importante accadeva poi si comportava da scemo che si faceva troppi problemi –mentre gli altri non se ne erano mai fatti-, perché la trattava con rispetto e delicatezza, perché nonostante tutto non se l’era ancora portata a letto. Ora che ci faceva caso, non le aveva nemmeno chiesto il numero di cellulare. Quindi, forse, era davvero solo un conoscente…

Ma vi siete quasi baciati…
 

E allora forse era un amico con le idee confuse. Ma era pur sempre diverso dagli altri, no?

Un ragazzo capace di sopportarla, nonostante tutto, capace di farla parlare, capace di avere pazienza e sopportazione con lei che, alla fine, si dimostrava la solita stronza senza cuore. Ma lui aveva capito che c’era qualcosa dietro e, silenzioso, cercava di tirare fuori il meglio di lei…

Perché lui, a differenza degli altri, salvava tutto di lei: i suoi silenzi che parlavano per lei, i suoi sguardi corrucciati che erano molto più dolci di quando avrebbe mai dato a vedere, i suoi bronci che nascondevano i sorrisi, i suoi scazzi che coprivano il divertimento, il suo essere semplicemente sé stessa. Lui, come mai nessun ragazzo si era preso la briga di fare, era andato oltre la sua apparenza, gettandosi in quell’abisso di complicatezza che nemmeno lei riusciva a sgarbugliare e aveva salvato tutto, considerando tutto importante…

Ma che Seung-Hyun fosse effettivamente diverso dal mucchio di stronzi con cui aveva avuto a che fare, Lindsay non fece in tempo a capirlo.

Non ne ebbe il tempo materiale perché lo sguardo cadde inavvertitamente sul lato destro del bancone, dove una busta svettava immacolata fra le begonie di Chyoko. Non in mezzo alle pubblicità sul microonde, non sul comodino all’ingresso, non sul tavolo del salotto fra le bollette; fra le begonie, dove lei avrebbe potuto vederla visto che erano proprio a pochi centimetri dal suo posto –Che cos’è?-

Chyo lasciò perdere il cesto dei panni e si dedicò a saziare la sua curiosità zampillante, celata da uno sguardo annoiato –Oh, già, Mark ha detto di darti questa- e la voce colma di preoccupazione della donna non aiutava certo a farla stare tranquilla. E così, come un lampo che squarcia la notte nel buio, come una brutta notizia capace di rendere peggiore quella che si stava rivelando una giornata senza turbe, giunse la sua voce, sospirante e poco incline alla dolcezza –Te la manda tua madre.-

Aveva pensato che una voragine si sarebbe aperta sotto i suoi piedi, a quella infausta notizia che sembrava il presagio di cataclismi futuri che avrebbe segnato drasticamente la sua vita, ma quando lanciò uno sguardo al pavimento si rese conto che nulla era accaduto. Solo il suo cervello aveva fatto le bizze per farle assimilare quell’idea. E quando Chyoko gliela porse, con garbo e un pizzico di timore, Lin non si pose alcuna domanda, visto che da sua madre non sapeva mai cosa aspettarsi.

Quella donna aveva la straordinaria quanto seccante capacità di riuscire a sorprenderla in maniera negativa ogni qualvolta ne avesse l’occasione. Così, quando prese la busta fra le dita sottili per studiarla, si rese conto di quanto leggera fosse al tatto, e di quanto pesante sembrasse per via del contenuto nascosto. Passò i polpastrelli sul francobollo che ritraeva il ponte di Brooklyn, sulla scrittura curvilinea e ordinata di Emily che sembrava volerle rinfacciare il suo essere così disordinata in tutto, dal tenere a posto la propria camera da letto al non riuscire a gestire la propria vita. Che sembrava volerle dire, semplicemente, più di quanto avrebbe mai potuto dirle a parole.

-Ma se la bruciassimo nel camino?- Chyo rise un poco, poi si contenne con uno sguardo severo; Lin indicò col capo la finestrona, scorgendo una Minji vestita di rosa che zampettava nel cortile ammantato di bianco –E’ un inverno freddo.-

-Tuo padre brucerebbe me, nel camino- borbottò sconsolata, grattandosi la fronte nel constatare che quella camicia non voleva saperne di essere piegata –Non la apri?-

Lin la girò, scorgendo solo allora un post-it a fiori, uguale a quello che Chyo le aveva fatto trovare il suo primo giorno a Seoul –e che lei continuava a conservare in un angolo remoto del cassetto della scrivania-, su cui riuscì a scorgere la scrittura frettolosa e grassoccia di Mark…
 

Promettimi che ci penserai.

 

Allora scosse la nuca, conscia che dentro quella busta si nascondeva qualcosa di talmente tanto pesante che, per il momento, non se la sentiva di affrontarlo. Tenendola sempre stretta fra le dita, lanciò uno sguardo verso Minji che ora era scivolata –Da quanto è la fuori.-

-Da stamattina- Chyo la guardò con amorevolezza –Minji adora la neve. Vorrebbe che nevicasse tutto l’anno!- storse il naso –Così mi sono piazzata qui. Non vorrei che mi diventasse un pupazzo di neve.- rise scioccamente a quell’eventualità e Lin, nascondendo le labbra dietro il palmo, si lasciò beare da tutta quella dolcezza che sembrò dipanare l’aura di tensione che quella lettera dall’America aveva portato con sé.

Guardò la bimba, riscoprendosi meravigliata nel rivedersi in lei quando, a otto anni, si ritrovava a vagare per il cortile della sua vecchia casa in Corea giocando con la neve, scivolando, facendo pupazzi di neve con suo padre mentre Emily, dal portico avvolta nella vestaglia pesante e con una tazza fumante in mano, li guardava con cipiglio severo scalfito da un sorriso divertito –Piace anche a me.- mormorò dal nulla, assorta.

Chyo sorrise –Aha. Mark me lo ricorda sempre quando nevica- la guardò entusiasta –Perché non vai a giocare con lei?-

Lin arcuò le sopracciglia –Non sono più una bambina.- Beh, più o meno…

Chyo le scoccò un’occhiataccia –Oh, non devi per forza avere dieci anni per giocare con la neve!- sventolò una mano –E poi ne hai di tempo per crescere, no?- e le indicò la busta bianca, come se avesse colto la sua angoscia interiore. Lin sospirò un paio di volte, mangiò la colazione in religioso silenzio, guardò di sottecchi il cellulare e una Chyo ora indaffarata con il cesto dei panni.

E sospirò ancora, sentendosi più scema del solito.

 

Lanciò il messaggio a Ji Yong e senza nemmeno attendere la suoneria di basso di Californication, si arrotolò la sciarpa intorno al collo, insaccandosi nella giacca mentre procedeva a passo lento sotto il portico di casa, osservando quella miniatura di Minji sbuffare in direzione del pupazzo di neve…

-Oi, come va?-

La bambina trasalì, poi la guardò da sotto il cappellino di lana –Male- mugugnò –Non riesco a fare la testa.-

-Già, la testa è sempre la parte peggiore- Minji annuì vigorosa, poi si riacquattò sul manto bianco, gonfiando le guance –Vuoi una mano?-

La bambina allargò gli occhi neri, inclinando il capo quasi non credesse alle proprie orecchie. E c’era da dire che nemmeno Lin aveva creduto al proprio tono di voce che si era sparso nell’aria sferzante di metà novembre, ma ora che si era convinta di averlo effettivamente pronunciato, non poteva tirarsi indietro –Se ti va.- mangiucchiò incerta, spiluccando un po’ di nevischio mentre Lin si contorceva dal freddo.

Guardò la villetta, beandosi del calore che le dava la sua sola vista; un calore che andava via via scemando se pensava che, ad attenderla, un mucchio di parole gelide la attendevano nero su bianco…

 

-Non ho niente di meglio da fare.-

-Papà dice che non fai mai niente.-

-Se, se…- si inginocchiò, nascondendo le labbra dietro la sciarpa nera con motivi che richiamavano i quattro semi delle carte da gioco.

 

E l’avrebbe letta quella lettera, davvero. Per una volta avrebbe mantenuto la promessa. E, qualunque cosa ci fosse scritta sopra, ci avrebbe pensato sul serio, si sarebbe chiusa in camera e avrebbe ponderato a lungo, quasi fosse stata una questione di vita o di morte…

 

Tu pensa al corpo. Io faccio la testa.-

-Va bene!- trillò la bimba prima di canticchiare. Qualche secondo appena, poi si lasciò andare a confidenze imbarazzanti, tipo che un bimbo della sua classe le aveva tirato i codini e allora sì che era scoppiato l’amore.

 

Ma non in quel momento…

 

Sorrise dietro la sciarpa –E lui ti piace?-

-No! I maschi sono stupidi!-

-Già. Sono tutti uguali.- Ma alcuni un po’ meno di altri…

-Mamma dice che ho ancora tanto tempo per pensare ai maschi. Papà dice che devo aspettare fino al mio matrimonio!- Lin trattenne una risata di fronte all’idiozia del padre, ma se lo tenne per sé. Chissà se anche su di lei si poneva tanti problemi –E anche tu.-

-Anche io cosa?-

Il sorriso tremante per il freddo di Minji si aprì, le gote rosse, i capelli umidi –Papà dice che anche tu devi aspettare fino al matrimonio.-

Lin allargò gli occhi nocciola, restando in silenzio di fronte a quella confessione che mai le era stata rivolta. E pur nella sua incredulità, si ritrovò a sorridere. A sorridere di cuore, nonostante la sciarpa lo nascondesse al resto del Mondo.

 

No, non in quel momento…

 

Minji saltò -Oh, hai fatto la testa!-

-Ah, sì, già.-

Minji morse il labbro inferiore –Mi fai vedere come si fa?-

Annuì, sedendosi al suo fianco. La lettera poteva aspettare, la promessa poteva aspettare, il messaggio di Ji Yong poteva aspettare.

 

In quel momento, di crescere, non le importava granché.

 

******

 

A meno di una settimana dalla festa di pre partenza, un’infausta notizia, capace di far crollare il suo umore già grigio in un baratro di sconforto, gli venne recapitata con un SMS. Un SMS scialbo, a dirla tutta, di quelli striminziti che lo portava a chiedersi perché mai certa gentaglia fosse munita di un cellulare se poi lo usava per scrivere blasfemie come:

Non potrò esserci alla festa. Lavoro.

Lin.

 

E Kwon Ji Yong aveva imprecato ad alta voce, ma una di quelle imprecazioni belle potenti, eh! Di quelle facevano tremare i muri del loro palazzo o quelli della YG; perfino i suoi coinquilini erano sobbalzati di fronte a tale sfoggio di incazzatura così poco Made In GD che, come da copione, quel buon samaritano di Dae si era precipitato in salotto con un asciugamano avvolto in vita e uno sui capelli; sul volto cosparso di minuscole goccioline e qualche rimasuglio di bagnoschiuma, l’espressione più stupida che avesse mai potuto rivolgergli.

GD mise da parte l’incazzatura, già alla ricerca di un piano ben congegnato che avrebbe fatto cadere quella cavia tatuata nella propria rete, e si concentrò sulla figura appena comparsa in tutta la sua mezza nudità: Daesung, sguardo allarmato e tipico di una madre che assiste alla fase isterica del proprio figlio, lo stava ora fissando in attesa, col fiato in gola:

-E’ successo qualcosa?-

-Dovrei chiederlo io a te- lo squadrò, cercando di trattenersi dal ridergli in faccia –Stai andando a cena con Moira Orfei?- esalò sarcastico, soffocando l’ennesima risata quando vide Daesung aprire le labbra senza però ribattere, quasi fosse mortalmente offeso dalla sua sparata.

-Idiota!- biascicò prima di dargli le spalle e trotterellare via. GD si passò una mano sul volto, tornando poi a guardare con scazzo l’Iphone.

Prese un respiro profondo, analizzando la situazione con lucidità. Nh, era ovvio che questo avvenimento mandava in fumo tutti i suoi progetti; una Lindsay che partecipava alla festa avrebbe portato solo tanto scompiglio in quella noiosa nottata e sarebbe stato divertente vedere come Top si sarebbe barcamenato in ultimo scontro con lei. Perché quello sarebbe stato l’ultimo, no? Poi due mesi di lontananza e chi si era visto, si era visto. Però se la sua adorabile cavia Moore lo avvisava che non avrebbe partecipato, a cosa erano valsi i suoi sforzi in tutti quei mesi? Ricacciò in gola l’ennesima imprecazione e si massaggiò la fronte, ormai deluso dalle aspettative che riponeva in quel party.

E quando ormai credette di dover sottomettersi al senso di apatia che quell’oltraggiosa notizia gli aveva arrecato, vide comparire nella cucina disordinata l’esemplare di Top selvatico che, apparentemente ignaro di ciò che era appena accaduto, gli rivolse un breve sorriso in segno di saluto prima di fiondarsi verso il frigorifero, canticchiando con quella sua voce rauca che ora faceva da sottofondo ai propri pensieri. Un sottofondo talmente tanto beatificante, che la voglia di divertimento si risvegliò in lui con uno sbadiglio sonoro, quasi volesse avvisarlo che i tempi di magra erano terminati; perché se il suo arrivo era stato accolto con indifferenza assoluta, Ji Yong si rese conto di quale occasione d’oro fosse la venuta inaspettata dell’amico.

E non poteva lasciarsela scappare…

Represse un ghigno e non appena lo vide deconcentrarsi dalla sua incresciosa ricerca dell’acqua, richiamò la sua attenzione con un pigro e mellifluo -Oh, Hyung, cercavo proprio te.- prima di sistemarsi meglio sul divano, giocherellando con l’Iphone.

Top strabuzzò gli occhi sotto gli enormi occhiali da vista –Dal divano?-

GD alzò le spalle –Stavo per cercarti, ma poi sei arrivato tu- gli rivolse uno sbatacchio di ciglia fini e quasi inesistenti –E’ proprio amore, il nostro.-

Lo vide scuotere la nuca mentre una risata breve fuoriusciva dalle sue labbra –A proposito di amore… Una ragazza ti ha dato buca?- arcuò un sopracciglio di fronte a quel quesito sciocco –Ti ho sentito smadonnare fino in camera mia.-

E Ji Yong per poco non gli tirò contro l’Iphone, sdegnato di fronte a tale asserzione. Ma davvero si aspettava che qualcuna rinunciasse ad una sana scopata con lui? E cosa ancora più importante: davvero si aspettava che le sue imprecazioni venissero condivise con il resto del mondo solo perché qualcuna gli aveva dato buca? Ed era vero, Lindsay Moore gli aveva dato buca, ma queste erano questioni che andavano al di là del mero sesso; qui si stava parlando del suo divertimento e di quanto sarebbe stata noiosa la festa senza la sua silenziosa presenza. Perché lei, con quei suoi silenzi, senza far rumore, senza nemmeno impegnarsi un po’, era riuscita a scuotere l’universo di quel demente che ora lo fissava incuriosito. E di conseguenza, aveva scosso il suo di mondo, che ora sembrava più vario e colorato, visto che da quando era apparsa i suoi giochetti psicologici si erano triplicati.

-Oh, beh, a dir la verità non ha dato buca solo a me- mormorò pensoso, vedendolo aggrottare le sopracciglia –Ha dato buca a tutti.-

-Cos’è? E’ saltato un menage a trois?- chiese serio serio, come se si aspettasse una cosa del genere da parte sua. GD scosse la nuca, invitandolo silenziosamente a continuare –Mi chiedo proprio come farai, ora.- esalò ironico, nascondendo il sorriso dietro la bottiglia d’acqua.

E Ji Yong sorrise a sua volta, di quei sorrisi dolciastri che regalava solo quando stava per dare il via ad una sana maratona fra i labirinti della loro mente. Perché lo Hyung gli offriva ottimi spunti di conversazione senza nemmeno rendersene conto! Così, rinnovato da quell’attimo di gioia, guardò i calzini colorati dell’amico, quasi non volesse fargli scorgere quel ghigno alla Stregatto che si era delineato sulle labbra -Mi chiedo come farai tu, invece.-

-A fare cosa?-

-Due mesi sono tanti, dopotutto.-

-Beh, sì, ma tra il lavoro e tutti il resto, passeranno in fretta- Ji Yong lo scrutò, chiedendosi se in quel tutto il resto fosse anche contemplata Lindsay –Ma poi, che c’entro io?- lo fissò confuso, aggrottando le sopracciglia.

GD fece ciondolare la nuca, indeciso se torturarlo un po’ o più semplicemente essere diretto e conciso; optò per la seconda, conscio che la batosta sarebbe stata dura da mandar giù. Così, placido come un lago di montagna, il leader lo scrutò e con infinita pazienza mormorò un sofferente -America non verrà alla festa.- che fece crollare il silenzio intorno a loro.

Ji Yong giurò di un aver udito un tonfo sordo, ma quando tornò a guardarlo, si sorprese nel ritrovarselo in piedi e senza alcuna smorfia di sofferenza cosparsa sul volto. La cosa che più di tutte lo stupì infatti, fu la strana espressione di amarezza mista a sollievo che aleggiò sul viso di Top, quasi fosse rincuorato da quella triste novella.

 –Forse è meglio così.- aveva sussurrato rigirandosi la bottiglia fra le mani, assorto e immerso in chissà quali sciocche elucubrazioni. E Ji Yong si sentì smarrito, per un millesimo di secondo, incapace di incalzarlo a dovere. E Ji Yong non si lasciava mai destabilizzare. Mai. A parte quando Ri si dimostrava più intelligente e meno ingenuo di quanto dava a vedere, ma erano avvenimenti più unici che rari, di quelli che lo spingevano ad affacciarsi alla finestra per accertarsi che l’Apocalisse non fosse esplosa su Seoul. E ora ci si metteva il suo amabile Hyung con quel suo Forse è meglio così che dava adito a troppi dubbi.

E ora che gli prende? Si è rotto?!

Qualcosa non andava e lo capì dal nervosismo mal celato che continuava a fargli torturare quella innocente bottiglietta mezza vuota. Un brivido di collera si impossessò dei suoi occhi, ora ridotti a due fessure. Cos’era successo in sua assenza?

E poi, inatteso, un grido si levò per la casa, anticipando la venuta dell’ennesimo trastullo in quel pomeriggio di noia…

-Ri, smettila di urlare!- provò a rabbonirlo Tae, facendo capolino dalla propria camera da letto con lo sguardo angosciato di chi è alle prese con un’emicrania coi fiocchi.

E la collera svanì.

Il diretto interessato, per tutta risposta, si precipitò come una piaga d’Egitto in salotto, guardando i due Hyung con sguardo allucinato –Ho sentito bene?- gli occhi fuori dalle orbite furono un vero spettacolo, Ji Yong non riuscì a distogliere lo sguardo di fronte a tanta bellezza –Lin non verrà alla festa?!-

L’espressione di Seung-Hyun fu uno spasso, sul serio. Così stoico nel cercare di mascherare il disappunto per quell’intrusione isterica e avrebbe potuto trarlo in inganno, se non fosse stato per il tic all’occhio destro mentre scrutava un Ri affannato –A quanto pare.-

Ri portò le mani sul volto, stropicciandolo –Ma è terribile! E’ una sciagura!-

Non dirlo a me…

GD ne approfittò per scatenare una guerra di dimensioni galattiche, annoiato e inferocito di fronte a tutti quegli sviluppi a lui ignoti -Oh, lo Hyung e il maknae rivali in amore- cinguettò, lasciando vagare lo sguardo divertito sul volto contratto in una smorfia mal celata di fastidio di Top e quello ora scettico di Ri, come se non avesse compreso appieno la sua frecciatina; sospirò quando si rese conto di dover dilungarsi in un’ulteriore quanto ovvia spiegazione –Da quando ti piace America, Ri?-

Fu splendido vedere il più piccolo farfugliare qualche scusa al più grande come se avesse ferito i suoi sentimenti, per poi gracchiare –Ma cosa dici! A me non piace Lin!- portò le mani avanti, fissando Top con espressione mortificata –Oh, Hyung, non fraintendermi. Lei è una strafiga, ma te la lascio! Siete così carini assieme!-

Ji Yong si lasciò sfuggire una risata pregna di gusto, ma si zittì di colpo quando vide lo sguardo saettante di Top smorzare la sua ilarità; il ghigno non scomparve, però, rimase sempre lì a monito della sua presa per il culo –Allora dov’è il problema?-

Ri squittì –C’è che se non viene Lin, non viene nemmeno Ginko!- e a quella sparata detta con passione, come se davvero al ragazzino importasse di quella nana isterica e petulante, Ji Yong si ritrovò a dover fare i conti con uno strano moto di fastidio che aveva mandato in tilt tutte le celluline grigie del proprio cervello, ora in fase di ricalcolo percorso ad ostacoli. Perché non aveva messo in conto quell’eventualità, anzi, ben due eventualità: 1) che quella gnoma dai capelli rossi potesse non presentarsi alla festa in mancanza di una fida alleata –non che a lui fregasse qualcosa di quella, anzi, se non si presentava tanto meglio per il suo volto che aveva il vizio di stropicciare-; 2) che a Ri potesse seriamente interessare quella demente. Cielo, quei due assieme erano uno spettacolo raccapricciante, una coppia da cui trasudava scemenza ed ingenuità a vagonate, cosa che nemmeno nei peggiori film horror avrebbe mai potuto vedere. E per quanto insieme fossero divertenti nella loro stupidità, per qualche strana ragione si sentì più sollevato al pensiero che, forse, non avrebbero potuto trascorrere la serata l’uno affianco all’altra. Insomma, doveva pur salvaguardare il proprio cervello, eh.

Fu la voce baritonale di Top a ridestarlo, salvifico nel suo approfittare di spostare l’attenzione sul piccolo di casa –E Ai?-

Ri biascicò un incerto –Ma cosa c’entra lei?- per poi mettersi a braccia conserte, quasi volesse difendersi da quella domanda che dava il là a troppi quesiti e situazioni irrisolte –Ginko è solo un’amica- portò le mani nelle tasche della tuta –E poi, è da un po’ di tempo che con Ai non vado d’accordo.-

-Alleluia!- si lasciò sfuggire GD di fronte a quella notizia piovuta così, come una bomba ad orologeria. Mise da parte la goduria nel vedere l’espressione allibita del ragazzo e tornò a concentrarsi sullo scontro tra le due cavie che, a dispetto di ogni sua previsione, stavano portando avanti i giochi in assoluta autonomia, senza bisogno dei suoi interventi. Era delizioso, infatti, vedere come cercassero di passarsi la patata bollente pur di non dover essere psicanalizzati.

Top, poi, sembrava essere dotato di un’abilità fuori dalla norma quando si trattava di non essere l’oggetto principale della discussione –Mi dispiace.- mormorò scompigliandosi i capelli turchesi e neri ai lati, in quel suo tipico gesto di disagio crescente.

Ma Ri fu ancora più sorprendente, perché con una semplicità da far invidia a lui, maestro indiscusso di questi quiz psicologici, si ritrovò a guardare il più grande con sguardo affranto mentre sollevava le spalle –Mi dispiace di più per te.- e lo aveva detto con sincerità, con quel trasporto capace di deliziare il suo cuore straziato.

E Ji Yong, orgoglioso del suo piccolo maknae, guardò Top ora intento a barcamenarsi in quella situazione a suo sfavore -Per cosa?!-

-Ma perché Lin non viene!-

Un delizioso E che due coglioni! sfuggì alle sue labbra -E allora?! Mica devo passare la serata con lei!-

-Ma ti sarebbe piaciuto!-

-Ma non è vero!- Top si agitò –La serata l’avrei passata con Se7en, visto che non lo vedo da mesi!-

Cazzata. Non ci credi nemmeno tu…

-E non pensi a Lin? Non la vedrai per due mesi!-

-E dovrebbe fregarmene perché…?-

-Perché lei ti piace. Tanto.-

 

STUPENDO.

Non aveva altre parole per descrivere quel meraviglioso spettacolo della natura che si era appena manifestato davanti ai suoi occhi un po’ increduli e un po’ ricolmi di infinita gioia. Perché le due cavie avevano portato avanti il discorso con una naturalezza spaventosa e per tutto il corso della discussione, aveva avvertito la pelle d’oca far capolino sulle braccia che ora circondavano le gambe piegate verso il petto, in quella classica posizione che adottava quando guardava un film gradevole.

Commosso, guardò i due litiganti: sul lato sinistro aveva un Ri dispiaciuto e mortalmente serio che sembrava aver centrato il punto dell’intera faccenda, toccando un nervo scoperto e mettendo alla berlina quelli che erano i sentimenti di un Top –lato destro del ring- che, tramortito da quella semplice esternazione, ora lo fissava con sospensione, quasi si stesse arrovellando per cercare di ribattere in maniera vincente. E Ji Yong comprese che qualcosa di grosso era accaduto. E gli era stato taciuto. Avrebbe fatto i conti con la sua cavia ingrata più in là, ora non aveva tempo di indagare. Ma la vendetta sarebbe stata spietata, poteva contarci. Per il momento, si compiacque dell’espressione mortalmente ansiosa che era comparsa sul volto dell’amico.

Voleva proprio vedere come se ne tirava fuori Seung-Hyun, visto che aveva sparato un combo di cazzate che avevano stuzzicato la sua ilarità; ringraziava il cielo di avere un cervello capace di fargli presente quali fossero le sue priorità e queste, attualmente, vertevano sul lasciarli discutere animatamente.

Dopo quella che gli parve un’infinità, Top reagì –Smettila con questa storia.-

Ri si impuntò –No, che non la smetto! Il tuo amore per lei è come un insegna al neon di Las Vegas!- un punto a favore del maknae, anche se in fatto di similitudini doveva ancora migliorare.

Top rise nervoso –Addirittura? Quante volte devo dirtelo, Ri! L’attrazione non è sempre amor—

-Quindi ne sei attratto- se lo era lasciato sfuggire, maledizione a lui!, solo che non era riuscito a trattenersi di fronte alla sua confessione così plateale –Allora Ri ha ragione.-

-Cos?-No!- lo guardò adombrato, messo alle strette ora da entrambi i versanti.

-Oh, sì che ho ragione! Te l’ho detto, si vede!- il più piccolo saltellò al suo –E sentiamo, da cosa si vedrebbe?- che tanto scompiglio avrebbe portato, perché in uno slancio di bontà che solo lui possedeva in contesti come quelli, proferì con ovvietà –Ma dal modo in cui la guardi, stupido.- che spezzò il fiato in gola del più grande.

Ji Yong storse il naso; dov’erano i pop corn quando certi spettacolini lo allietavano? –E in che modo la guarderei?- esasperato, Top fissò il soffitto.

GD spelucchiò la propria larga felpa, attendendo con impazienza la mazzata finale che il tenero SeungRi avrebbe scagliato con noncuranza –Come se fosse la cosa più bella che ti fosse mai capitata fra le mani.- e quando ciò avvenne, Ji Yong non poté non sollevare lo sguardo, rischiando di perdersi la reazione dello sconfitto Hyung ora muto. C’era angoscia sul suo volto, come se quel pensiero detto ad alta voce avesse continuato a tormentarlo per troppo tempo e anche se adesso era stato esternato, sembrò non allievare il suo cruccio.

-Che scemenza- esalò massaggiandosi il collo, guardandoli uno ad uno prima di scuotere la nuca e sbuffare –Ma chissenefrega di Lindsay! Tanto meglio se non si fa vedere!-

-Ma voi—

-Oh, vai a Diavolo, Ri!- lo superò con sgarbatezza, eclissandosi -Non me frega niente! E smettetela di impicciarvi!- tuonò ancora, alzando le mani al cielo prima di scomparire alla loro vista, lasciando dietro sé una scia di malumore palpabile e beatificante.

Beh, beatificante per lui, perché quando udirono la porta della sua camera sbattere, classico segno dell’incazzatura crescente dello Hyung a piede libero, Ji Yong contò fino a tre prima di vedere un Ri fin troppo sconvolto che fissava a bocca spalancata lui e il corridoio –Cosa c’è, Ri?- si premurò di chiedere, giusto per portare avanti quel teatrino capace di saziare la sua sete di divertimento.

E come da copione, il piccolo cascò nella sua rete con tutta la sua proverbiale ingenuità. Ma prima di rispondere alla sua domanda sciocca –perché Ji Yong sapeva cosa stava accadendo al piccolo maknae- il ragazzino rese ancora tutto più melodrammatico lasciandosi cadere a peso morto sulla poltrona davanti a lui, traendo una serie di respiri quasi volesse richiamare a sé la pace dei sensi –Ha detto delle cose orribili.- borbottò con voce cavernosa, fissandolo allucinato.

GD si aprì in un luminoso sorriso –Lo so. C’ero.-

-E perché non gli hai detto nulla?!-

Scrollò le spalle –Perché così è più divertente.-

-Oh, sei tremendo!- puntualizzò come suo solito, gonfiando le guance mentre continuava a mugugnare frasi a lui incomprensibili –Sembra quasi che non te importi nulla!-

-Del fatto che ti abbia mandato al Diavolo?- domandò serafico, vedendo i suoi occhi allargarsi a dismisura.

-Non quello! Quell’altra cosa!- sbatté le mani sulle ginocchia, palesando la propria indignazione –Del fatto che a lui di Lin non interessi nulla!-

Sospirò di compiacimento di fronte alla piega che aveva preso il discorso, guardandolo con quanta più amorevolezza potesse. Era uno spasso vedere come Ri si adoperasse per far capire al suo amato Hyung quanto fosse attratto dall’americana, quando in realtà lui stesso stava combattendo contro sé stesso proprio per quella consapevolezza appena nata in fondo al suo cuore. E no, non avrebbe disilluso SeungRi, vanificando così ogni sforzo compiuto fino a quel momento.

-E tu gli credi?-

-Certo che no!- si infervorò, divenendo rosso –A lui piace, io ne sono sicuro! E anche tu lo hai capito! Tu lo sapevi che quei due si sarebbero piaciuti!- Ji Yong lo fissò con orgoglio straripante, portando entrambe le mani davanti al volto per stropicciarselo, eliminando così ogni barlume di gioia che avrebbe potuto rovinare quel momento di assoluta perfezione. Si congratulò con sé stesso per essere stato capace di far aprire gli occhi a quel sempliciotto e, beh, gli diede una pacca mentale sulla spalla per dimostrargli il proprio affetto –Pensa, l’altro giorno si sono quasi baciati!-

E Ji Yong allargò gli occhi dallo stupore. Ecco, cosa era accaduto di così catastrofico e altresì meraviglioso da indurre il loro Hyung in una delle più epiche crisi mistiche che avrebbe mai potuto affrontare. Un gesto inconsulto era stato compiuto da entrambe le parti e ora, quell’idiota, non sapeva come affrontare quel mostriciattolo della Moore che probabilmente nemmeno si stava ponendo tutti questi dubbi amletici. Per un istante gli fece tenerezza, talmente tanta che sarebbe voluto correre in camera sua e abbracciarlo; ma non lo fece, no. Rimase immobile a fissare uno sgomento Ri che aveva appena trovato quello che era il tassello mancante al suo puzzle e lo fissò a lungo, beandosi della sua espressione mogia. Si chiese come fosse a conoscenza di tale avvenimento mentre lui ne era stato messo all’oscuro, ma optò per un bel giro nei meandri della sua mente, evitando di mostrarsi così interessato –Oh, quasi baciati?-

-Sì, quasi! Io c’ero, io li ho visti! E anche Dae e Tae c’erano!-

-Stavate giocando al gioco della bottiglia?- arcuò entrambe le sopracciglia, trattenendo un risolino di fronte al suo sbuffo con roteamento degli occhi.

-No, noi eravamo dietro la porta!-

-Oh, ora mi è tutto chiaro- annuì –Li stavate spiando, giusto?-

-Non li stavamo spiando! E’ successo per caso!- si giustificò imbarazzato, per poi riprendere con più trasporto –E comunque non c’entra questo! C’entra che si sono quasi baciati!-

-E quindi?-

-Quindi vuol dire che si vogliono bene!-

L’angolo sinistro delle labbra guizzò all’insù di fronte a cotanta ingenuità –Anche io mi porto a letto un mucchio di ragazze, ma non voglio loro bene.- a dirla tutta, non gliene fregava proprio un cazzo. Ma non avrebbe spifferato al maknae la dura realtà; già si stava perdendo in quel minuscolo bicchiere d’acqua ormai vuoto, figurarsi se lo gettava in un lago profondo.

-Beh, perché sei tu.-

-Aha, e come sarei?- si allungò, sussurrando un noncurante –Puoi dirlo che sono uno stronzo, eh.-

Fu estasiante vedere Ri farfugliare qualcosa mentre diveniva rosso –Ma no, ma che dici?-

Ji Yong si appiattì sul divano, fissando la propria cavia ora incerta se continuare nei suoi giochetti o sloggiare, facendolo ricadere in quello stato di noia che, per il momento, non si era ancora ripresentato. E fu in quel loro silenzio che il leader si ritrovò a fare i conti con la propria bontà, palesando al più piccolo quella che era la realtà delle cose, alleviando la sua sofferenza –Comunque, puoi stare tranquillo- lo vide sollevare il capo –Quei due non si abbandonerebbero nemmeno se avessero appena fatto sesso sul tavolo della cucina.-

Ed era proprio quello, il punto. Quei due avrebbero potuto commettere la peggiore cazzata della loro vita e non avrebbero smesso di cercarsi, di trovarsi. E poteva un quasi bacio rovinare tutto ciò che avevano faticosamente costruito, di fronte a cotale verità? No. No, non poteva. La loro paura era solo scaturita dalla sciocca incertezza che, un gesto del genere, avrebbe solo reso cristallini quelli che erano i loro sentimenti. E se Lin era ostica su questo punto di vista, professando una vita alla Down with love, dall’altra parte c’era un Top che si trovava a fare i conti con quella profetessa, ignaro di come avrebbe potuto reagire ad un suo ipotetico amore. Ed era questo, il vero divertimento. Vedere come ne sarebbero usciti, vedere come si sarebbero incontrati per poi allontanarsi e ritrovarsi, giacché non sarebbero mai riusciti a stare l’uno senza l’altra.

-E chi te lo dice?- chiese Ri con impazienza.

-Ma te, no?- lo vide strabuzzare gli occhi –Non hai detto tu che lei è la cosa più bella che gli fosse mai capitata fra le mani?- un Oh si levò nella stanza e Ji yong ne approfittò per continuare –Per quanto Seung-Hyun sia ottuso e il re degli idioti, non sarà così scemo da farsi sfuggire l’unica che lo fa star bene, non credi?-

Ri annuì, per poi sbuffare un pelo –Sì, ma se lei non viene, come faranno a trovarsi?- scacciò quel moto di dolcezza che si era impossessato di lui nel vederlo così affranto di fronte a quell’eventualità. Sciocco, ingenuo Ri…

-Oh, quindi lei non verrà, già.-

-Eh, te l’ha detto lei, no?-

-Aha- rigirò il cellulare fra le mani –Ma lei non verrà alla festa.- puntualizzò a labbra arricciate, guardandolo con attesa, spronandolo a trovare la soluzione che, nella propria mente, era già stata progettata.

E fu una gioia immensa vedere Ri balzare sul posto e agitare l’indice mentre le sue parole, colme di genuina felicità, si spargevano nell’aria –Potremmo invitarla una di queste sere!-

Oh, ma che bravo il mio maknae!

-Non vedo perché no.-

-E le diciamo di portare anche Ginko!-

Nh, anche lei? –Va beh, se ti fa piacere.-

Grugnì di fronte al suo ampio sorriso ora allargatosi a dismisura mentre continuava a trillare che avrebbe mandato un messaggio alla Fujii dicendole di aiutarlo nell’ardua impresa di portare con sé l’esemplare incazzoso di Moore. E lo lasciò andare via, ormai rifocillato dopo quella divertentissima corsa ad ostacoli con la loro mente.

Ma nel profondo, uno stato di inquietudine che non riuscì a classificare. Che Ginko Fujii fosse effettivamente meno scema di quanto dava a vedere, che fosse più fastidiosa di quanto avesse mai pensato, lo aveva ormai capito.

Ma che sotto si nascondesse qualcosa di più complicato da gestire, a quello nemmeno ci pensò.

 

*******

Non aveva senso.

Il suo essere lì non aveva alcun senso. Più si guardava attorno, più si chiedeva cosa ci facesse in quella stanza di un karaoke, quando avrebbe potuto essere a casa a dormire data la giornata pesante appena trascorsa, simile a tante altre giornate pesanti ormai gettate dietro le spalle.

-Spiegami ancora che ci facciamo qui.- guardò GD di sbieco, ora accovacciato sulla poltrona mentre sfogliava scazzato il libro delle canzoni.

Il ragazzo ricambiò l’occhiata –Festa di addio.-

-Partiamo tra una settimana- puntualizzò asciutto, osservando un Ri che non riusciva ad andare a tempo con le parole che scorrevano sullo schermo, tanto era brillo –E vi avevo chiesto di non farlo avvicinare alla birra.- si massaggiò una tempia quando udì la sua risata scema.

-Già. Ma America non ci sarà. Perciò abbiamo organizzato questa serata.- glissò sull’argomento maknae; tipico di GD andare a toccare i soli tasti dolenti.

Ah, già.

Ed ecco spiegato il motivo della sua presenza a quella cazzata colossale. Premettendo che lui non aveva programmato un bel niente, anzi a dirla tutta era stato avvisato all’ultimo di questo epocale avvenimento, ma beh, ecco, se lui si era messo l’anima in pace e si era detto quasi contento di quella scemenza, il motivo era solo e unicamente uno: Lindsay Moore. Che a ben guardare, non era nemmeno tra loro. Si corrucciò al pensiero di esserne rimasto addirittura deluso quando, varcata la soglia di quel postaccio per recarsi alla reception, solo quella tappetta di Ginko si era mostrata loro. E si era guardato in giro con la vana speranza che comparisse da un momento all’altro, che magari sbucasse da dietro la colonna o anche dal bagno.

Magari nuda… Con un nastro che dice “Buon viaggio!”

 

Gettò la testa all’indietro, scontrandosi con lo schienale della poltrona rossa. Forse quella era la giusta punizione per il suo aver tentato di farla propria… Si stropicciò il volto. Perché ostinarsi a prendersi in giro? Lin non sarebbe stata mai di nessuno. Non sua, certamente. Mai. Fu questo, più di tutto, a paralizzare il suo cuore per un attimo; il pensiero che più il tempo trascorresse, più lui si ritrovasse incatramato in un sentimento a senso unico che non doveva essere necessariamente amore, come ostinava a ripetersi.

-E non c’è nemmeno ora.- cercò di dirlo con quanta più indifferenza potesse, ma il ghigno che si dipanò sul viso di GD gli fece comprendere di aver fallito miseramente la missione.

-Qualcuno qui sta soffrendo.-

-Sì, i miei occhi. Ho sonno- sbuffò sonoramente di fronte al suo annuire poco convinto -Avrei preferito stare a casa a dormire.-

Magari con lei…

Strabuzzò gli occhi di fronte all’idiozia cronica del proprio cervello.

Cervello che stridette di lacerante dolore quando la voce stridula di Ginko si propagò per la saletta dalla tappezzeria bordeaux e dalle luci soffuse di quel piccolo karaoke in culandia. Solo perché così non avrebbero dovuto vestirsi da saccheggiatori di banche per una sera. La sua ultima sera con l’unica ragazza che mancava all’appello…

Forse è meglio così…

E Ji Yong, fra le parole sferzanti che aveva appena lanciato a Ginko, fra le parole colme di sarcasmo che aveva scagliato contro un Ri nelle vesti di avvocato difensore delle voci stonate, gliene concesse qualcuna che non era poi tanto limpida, ma che si fossilizzò come un tarlo fastidioso nell’anticamera del cervello –Due mesi sono tanti, sono lunghi. E lo sai.-

E allora sì, che avvertì la mancanza. Quel senso di vuoto e solitudine che aveva sempre bramato, ma che adesso andava solo colmato. E che per qualche strana ragione, solo lei sembrava riuscire a riempire con i suoi silenzi, i suoi sguardi, i suoi sorrisi appena accennati. Il suo semplicemente essere lì, con lui. Buttò giù un sorso di birra, lasciandosi ammorbare dalla voce stridula di una Ginko che, sotto gli incitamenti di un maknae alticcio, continuava imperterrita a cannare le note nonostante le lamentele dei presenti.

-Chissenefrega.- mormorò più a sé stesso che al compagno, cercando di marchiare indelebilmente quel concetto nella propria anima e nel proprio cuore. Perché se andava avanti di questo passo, avrebbe sicuramente commesso una cazzata ben peggiore che strapparle un bacio con sottofondo la musica di Super Mario nel castello del boss di turno. Ricacciò indietro la voglia di malmenare le due piattole che si erano messe a cantare in coppia, fissando alla propria sinistra.

-Aha, certo, chissenefrea… Ma guardare la porta non la farà comparire magicamente.- aveva mormorato GD massaggiandosi una tempia. Sorrise un poco nel constatare come quel ragazzo riuscisse a cogliere ogni sua sfumatura di pensiero solo guardandolo. E per quanto odiasse i suoi trabocchetti psicologici, spesso si ritrovava a dirsi che senza di lui non avrebbe capito niente della propria vita.

-Magari non viene.- aveva ribattuto con pacatezza, una strana sensazione di benefico sollievo che andava a mescolarsi con il dispiacere di non poterla vedere. La cieca sensazione di poter andarsene in Giappone senza alcun rimpianto, senza chiedersi se l’avrebbe aspettato o se dopo il suo ritorno si sarebbero addirittura rivisti, cominciava a farsi largo in Seung-Hyun, ora combattuto tra il desiderio e il respingimento.

-Magari tu hai solo paura- esalò Ji Yong con semplicità, come se avesse colto appieno il flusso dei suoi pensieri contorti e annebbiati da quella poca birra che aveva ingurgitato –E ti fai troppi problemi.-

In quel momento invidiò Ji Yong e la sua strabiliante capacità di portarsi a letto un mucchio di ragazze senza porsi alcun tipo di problema, senza farsi domande alla E il giorno dopo?. Perché lui queste cose se le chiedeva in continuazione. Come quando l’aveva vista scendere le scale, avvertendo ancora la sua stretta calda sulla felpa, il suo respiro sulle proprie labbra senza riuscire però a sfiorarle, a sentirne il sapore, e si era chiesto che cosa sarebbe accaduto dopo. L’avrebbe guardato ancora? Gli avrebbe sorriso in quel suo modo unico e raro di cui ormai non riusciva più a fare a meno? Semplicemente, avrebbe continuato a fidarsi di lui? Magari lo aveva scambiato per uno dei tanti che se la voleva portare in branda quando lui, per l’appunto, voleva spalmarsela sì sul letto, ma l’avrebbe voluta tenere poi con sé per tutta la notte, senza vedere la sua schiena scarsamente illuminata mentre si apprestava a cercare le mutande volate via chissà dove.

Era questa, la differenza: Seung-Hyun non si sarebbe accontentato di una notte. Ad occhio e croce non sapeva nemmeno quantificare quante gliene sarebbero bastate, ma per il momento mise a tacere quella tremenda vocina che continuava a mormorare un serafico Non ti basterebbe nemmeno una vita intera, scacciando i pensieri perversi che avevano ripreso forma nella mente offuscata da mille turbe.

Forse è per questo che non arriva…

Portò le mani alla nuca, avvertendo il mal di testa bussare al suo cervello per fargli un salutino. E quel pacato Toc Toc che udì nonostante il sottofondo di Baby one more time, non provenne dall’androne della propria mente, no. Era più reale. E fece brillare la speranza che giaceva in un cantuccio buio del proprio cuore.

Lo scricchiolio della porta che si apriva accompagnò verso l’uscita i suoi ricordi, ora crollati a picco in quella marea di pensieri che gli avevano tenuto compagnia per tutta la serata, ma che adesso sembravano non più necessari...

-Ciao.- la testa corvina di Lin fece capolino.

Perché lei era arrivata.

Inaspettata, bella come solo lei sapeva essere nonostante i capelli arruffati sotto il basco alla francese, nonostante quel cappotto che la faceva sembrare una rapper di strada, nonostante il trucco appena accennato, nonostante il naso e le gote rosse per il freddo…

-Scusate il ritardo. Fuori ha ripreso a nevicare.-

E non si chiese più quale fosse il senso della propria presenza lì, giacché lei bastava come motivazione.

-Oh, Lin!- Ginko lanciò il microfono a Daesung e corse a stritolarla, mentre la nuova arrivata continuava a guardare il soffitto con la speranza che la lasciasse andare. Quando poi venne placcata anche da un Ri vagante, Tae e Dae non poterono più trattenersi dallo scoppiare a ridere, continuando a rotolare per terra quando quella lanciava un’imprecazione così, magari sperando che quei due non la tormentassero più.

E mentre si godeva quello spettacolo, fattosi forza del suo essere stato completamente ignorato, Seung-Hyun si rilassò sulla poltrona, deciso a non ripiombare in quello stato di tremendo disagio che gli aveva rovinato metà nottata; metà nottata che sembrò essersi gettata in un pozzo nero dimenticato, da quando lei aveva portato con sé la primavera in quella notte di un gelido novembre. Lin venne catturata da quel casinaro di Ri e fatta sedere tra Dae e Tae, ora intenti a decidere una canzone per lei nonostante si stesse sgolando per ripetere che no, lei avrebbe solo ascoltato, che non aveva voglia di cantare. E lui, piuttosto che farsi scorgere, se ne era rimasto lì seduto con il palmo aperto e coprirgli le labbra, immobile a fissare quel quadretto di dementi in cui lei spiccava per la sua proverbiale indifferenza.

Ma bastò poco, davvero poco per far crollare quel suo stato d’animo di sicurezza che aveva funto da barriera. Lin aveva voltato il capo dopo quella che gli era parsa un’infinità e i loro sguardi si erano incrociati immediatamente, senza far finta di cercarsi, come se si fossero aspettati per tutto quel tempo.

E la fiducia svanì, perdendosi nella viscosità della propria inquietudine mentre lo lasciava in balia delle emozioni che avevano preso il sopravvento sul suo stato d’animo altalenante. E perfino il cuore aveva perso un paio di battiti quando l’aveva vista così serena, come se non si vedessero da mesi, un’espressione di ghiaccio che fu scalfita da un sorriso leggero ma capace di scaldarlo, di far vacillare ogni sua certezza. Ma, convenne con sé, ormai era quello l’effetto che un suo sorriso abbozzato aveva su di lui, di che si stupiva ancora?

-Ciao.- aveva mormorato, inclinando un pelo il capo.

Preso alla sprovvista, convintissimo di venir ignorato bellamente per il resto della serata, al suo saluto caloroso era seguito un attimo di smarrimento, facendogli sorgere il dubbio che in quella stanza fossero rimasti solo loro due. Ma Tae cantava a squarciagola, Ji Yong e Ri bisticciavano su Ai mentre Dae chiamava al telefono la reception per farsi portare altra birra e Ginko continuava ad elencare le canzoni del repertorio. E si sentì sollevato al pensiero che con loro intorno non avrebbe tentato di strapparle di dosso la felpa di Micky Mouse.

-Sei in ritardo.- e lo aveva detto con scontrosità, in quella maniera burbera che ai tempi aveva dato il via a numerose lotte e che gli era uscito spontaneo, incontrollabile. Quasi volesse allontanarla da sé per tutti quei motivi che lo avevano fatto entrare in paranoia. Tamburellò le dita sul ginocchio, mordendosi la lingua per quella mancanza di tatto che, a ben vedere, nemmeno si meritava.

-Fuori c’è la tempesta.- ribatté scazzata, quasi non fosse colpa sua.

Si stropicciò gli occhi, palesando la propria stanchezza –Saresti dovuta partire prima.-

Lin si limitò ad arcuare un sopracciglio mentre Ginko, dietro di lei, gli rivolse un’espressione torva, quasi volesse ucciderlo –Mio padre aveva da fare.-

-Non sei venuta in macchina?- domandò Dae mentre metteva giù la cornetta.

La ragazza lo fissò inorridita –Io non guido. Odio quelle scatole assassine di metallo.-

-Vuoi farmi credere che non hai mai preso in mano la macchina?!- sbigottito, SeungRi lasciò perdere per un attimo il bavero di un seccato Ji Yong, concentrandosi su di lei.

-Ho guidato qualche volta. Ma non mi piace- portò dietro l’orecchio una lunga ciocca di capelli mossi sfuggita alla coda laterale –Credo di non esserci granché portata.- osservò con asciuttezza, facendo segno a D-Lite di versarle ancora da bere nonostante il bicchiere fosse riempito a metà.

Tae, ormai sfiancato dalla cantata, cadde a peso morto sul divanetto, regalandole un ampio sorriso –Sembri non essere portata per molte cose.- sottolineò divertito, forse memore delle loro brevi chiacchierate in cui lei si era esposta un po’ troppo. E, davvero, tutto sarebbe andato bene così; del resto, dopo la sua sparata sgarbata, lei sembrava aver ripreso ad ignorarlo, lasciandolo colare nella propria scemenza.

Ma c’era Ji Yong in quella sala, con i suoi occhietti ora attenti e vispi, nemmeno fosse stato stuzzicato il suo amor proprio. E Top avvertì una miriade di brividi freddi scorrere lungo la spina dorsale. Perché la posizione da maestro dei giochi era quello ora assunta: si era sporto, i gomiti sulle ginocchia e la testa sorretta dalle mani, guardandola come se l’avesse vista entrare or ora, con quel suo solito sorriso mellifluo e raccapricciante –Ma tanto il nostro Seung-Hyun ti insegnerà tutto, no?- e lo aveva detto con felicità straripante, quasi lusingato dallo sguardo infuocato che gli aveva appena gettato.

Ma che cazzo dice sto coglione?!

Lin corrugò la fronte -Cos—

Jy Yong inclinò il capo, pronto a concederle una spiegazione. Ma salvifico giunse il loro maknae di fiducia -Cantiamo! Che ne dite di cantare? Samo qui per questo!- Ri saltò in piedi, agitandosi come suo solito –Ginko! Cominciamo noi!- la prese per mano mentre quella continuava a perdersi in brodo di giuggiole sul fatto che si vergognasse.

-Ma se ci hai rotto i timpani fino ad adesso?!- gracchiarono Dae e Tae disperati, coprendosi il volto con i cuscini.

E Seung-Hyun, nel marasma generale, non poté non rivolgere ai due scimpanzé danzati un sorriso colmo di gratitudine; sorriso che si tramutò in un ghigno quando vide GD imbronciarsi e appiattirsi contro il divano, come un bimbo a cui hanno interrotto i giochi. Purtuttavia rifocillato dal fiasco del leader, il ragazzo continuava ad essere ottenebrato da quella sorta di disagio che sembrava essersi incollata ad ogni fibra del suo essere. Il suono della sua voce vellutato era un continuo trascinarlo in Paradiso, la sua sola presenza era un colpo all’anima. E il proprio cuore, che batteva incessantemente, non gli permetteva di comportarsi normalmente. Ma Lindsay doveva essersene accorta, perché per tutta la durata della festa al karaoke non aveva fatto altro che chiedergli cosa non andasse. E quando lui aveva risposto con scazzo –Sono stanco, lasciami perdere.- lei si era accucciata sul divano, impassibile.

Il bello di Lin, fu che lo lasciò perdere per davvero… Fino a quando non si rese conto che gli altri si erano volatilizzati, persi chissà dove, e solo Lin era rimata a fargli compagnia con la sua solita noia; decise ad alzarsi in piedi, recuperare la giacca e la sciarpa, con una lentezza di movimenti che non aveva mai avuto. Perché c’era lo sguardo di Lin su di sé e tutto gli sembrava un po’ più difficile –Vai già via?-

-Ho sonno. Sono stanco.-

-E allora che sei venuto a fare?- curiosa, lo fissò a capo inclinato.

Sono venuto per vedere te, cretina…

-Non avevo voglia di stare in casa.-

-Oh, beh, allora— giocherellò con la punta della coda –Ti posso accompagnare?-

Puoi fare tutto quello che vuoi…

-Se ti va.-

No, il vero cretino sono io…

 

E quindi eccolo lì, in direzione casa, seduto al volante della propria macchina con una Lin che continuava a fissare il finestrino. E che di tanto in tanto cambiava canzone alla radio. E che di tanto in tanto gli rivolgeva qualche parola sparsa al vento a cui lui replicava con monosillabi. E se il viaggio in macchina era stato una tortura, scandito dal suo cercare di tenere le mani saldate al volante e non commettere pazzie come sbandare al bordo della strada, slacciare la cintura e saltarle addosso, il rientro a casa era stato ancora peggiore…

Fino a casa, però, lungo tutto il tragitto in cui Seung-Hyun si disse che il peggio doveva ancora venire. Perché se già era stata una tortura sorbirsi per tre ore consecutive la voce da corvo sgozzato di Ginko, se già era stata una sfida indicibile quella di non dare ascolto alla birra e al proprio cervello, sentiva che non avrebbe retto ad uno scontro con Lindsay, non in quella notte di palpabile confusione. Così, ciondolante nel cortile di casa in direzione del proprio appartamentino per ripararsi dal gelo, Seung-Hyun, immerso nei propri pensieri, si ritrovò costretto ad aspettare, tremante e scoglionato, una Lindsay Moore più lenta di un bradipo.

-Ti vuoi muovere?- sbottò alla sua camminata svagata.

Ma Lin sembrò rallentare di più –Non mettermi fretta.- Mi prende per il culo?!

-Fa freddo!- berciò sbattendo i denti sotto la sciarpa nera, stringendosi sempre più nel cappotto rosso.

-Entra, allora- ribatté asciutta -Nessuno ti ha chiesto di aspettarmi.-

Già, nessuno glielo aveva chiesto. Ma per qualche strana ragione non riusciva ad andarsene sapendola sola in quel gelo invernale che gli entrava fin dentro le ossa. La verità era che Top, ad una più attenta osservazione, avrebbe tanto voluto che le cose tra loro migliorassero, davvero! Voleva davvero godersi quella notte di festa per potersi imprimere nella memoria l’immagine sensuale di una Lindsay che nemmeno sapeva di alimentare giorno e notte, ore e secondi, ogni sua più sciocca fantasia. E più lei si faceva vicina, più avvertiva l’urgenza di stringerla a sé, di scaldarsi col suo corpo, di poter assaggiare le sue labbra carnose, così da potersene andare senza rimpianti, senza dirsi E se…?

Strinse i pugni in tasca, grugnendo -Nh- se andava avanti di questo passo, gli E se li avrebbe pure potuti buttare nell’immondizia –Sei lenta! Muoviti!-

Per tutta risposta, lei si fermo. E non è che rallentò il passo, cosa che avrebbe potuto fargli montare il nervoso che già continuava a blaterare con il suo cervello, no; Lin si era proprio fermata. Immobile, distante nei suoi pochi passi che li distanziavano, quasi sfibrata dal suo atteggiamento scostante. E allora il nervoso svanì, lasciando spazio ad un senso di vuoto che lo fece tremare.

Però, però… La sua voce arrivò tenue, mescolandosi all’ululare del vento, quasi eterea, senza rabbia –Seung-Hyun- solo tanta, tanta straripante dolcezza che lui non riuscì a sopportare, capace di fargli sgranare gli occhi scuri, che gli fece spezzare il fiato in gola –Non è successo niente- che fece precipitare il suo cuore a livello dello stomaco mentre lo strato di cemento che lo aveva rivestito veniva distrutto dai battiti sempre più accelerati –Lo so che non sei come gli altri.-

E Top andò in tilt.

Tutti i suoi muscoli e i nervi si tesero, il cuore fremette e la gola si seccò, incapace di far scivolare fuori tutte le infinite parole che avrebbe voluto rivolgerle. Perché era convinta di avere a che fare con il tipico ragazzo che non si faceva attraversare da pensieri scabrosi su di lei o che, per una volta, non vedeva in lei un mero oggetto sessuale; lui, invece, continuava a guardare ogni superficie piana con il desiderio crescente di sbattercela sopra e avventarsi sul suo corpo per poterlo esplorare. Quindi no, non era poi diverso dalla moltitudine di ragazzi che lei aveva frequentato. Era solo un po’ più incapace nel farle comprendere quanto anche lui desiderasse infilarsi nei suoi pantaloni.

Se ne restò imbambolato, nella vana speranza che lei non aggiungesse nulla alla sua osservazione detta probabilmente per fargli passare quel momento di cretinaggine acuta. D’altro canto, sentiva sempre la vocetta della speranza ricordargli amorevole che, comunque, qualcosa tra loro due voleva che accadesse…

E quel qualcosa avvenne, a pensarci bene. Fu un miracolo, a dirla tutta.

Non seppe spiegarsi esattamente cosa o come fosse successo, fatto stava che Lin lo aveva superato con pacatezza, quasi inorgoglita dalla frase ad effetto che gli aveva rivolto e mentre si apprestava ad allontanarsi, scivolò rovinosamente a terra, un tonfo sordo a cui seguì un’imprecazione collerica rivolta alla stupida neve eccheppalle!.

E di fronte a quello spettacolo che mise in allarme in suo solito istinto di protezione nei suoi riguardi, avrebbe voluto chiederle se andasse tutto bene, sarebbe dovuto accorrere ad aiutarla ad alzarsi, magari prendendola in giro per la sua spettacolare caduta. Ma tutto ciò che udì fu solo la propria risata rauca che si sparse intorno a loro mentre si piegava sulle ginocchia, in preda alle convulsioni, incapace di controllarsi.

-Che. Palle!- la sentì prorompere mentre si metteva in piedi, volgendo il viso oltre la spalla per rivolgergli un minaccioso –Che cazzo ti ridi?!- che avrebbe dovuto farlo ammutolire, ma che non fece altro che suscitare le sue eccessive risate; il suo volto cosparso di neve era una vista indimenticabile, sembrava un pupazzo di neve mal riuscito con quei suoi lunghi capelli impregnati di minuscole goccioline –Smettila di ridere, cretino.- tagliò corto, pulendosi alla bene e meglio.

E non la ascoltò, beandosi della bella sensazione di placidità che stava sconvolgendo il suo corpo. Perché si rese conto che erano rimasti da soli, ma quell’aria palpabile di tensione si era volatilizzata con la sua impacciataggine. Avrebbe voluto ringraziare lei e la sua strabiliante capacità di riportare tutto a posto senza fare alcunché, ma quando volse il viso per esternare la propria gratitudine, si ritrovò a venir colpito da quella che, constatò qualche secondo più tardi, era una palla di neve.

Strabuzzò gli occhi per la sorpresa –Ma che caz--

Impari a ridere, idiota!- grugnì lei prima di dargli le spalle, apparentemente offesa dal suo prenderla per il culo. E qualcosa scattò in lui. Un desiderio irrefrenabile di trattenerla con sé qualche istante in più, spingendo un po’ più in là il loro rientro in casa…

Due mesi sono tanti, sono lunghi. E lo sai.-

 

Spingendo un po’ più in là la loro inevitabile separazione.

Così si piegò, raccolse un po’ di neve e centrò perfettamente la sua schiena stretta -Ma sei sce— le sue parole si sbriciolarono in una serie di sputacchi quando un’altra bomba di neve cadde in picchiata sul suo volto –Ma la vuoi smettere?!- tuonò inferocita, i pugni stretti.

-Hai iniziato tu!- le rinfacciò bambinescamente, facendola sbuffare.

-Tu hai riso per primo!- sottolineò con la stessa enfasi, stranamente accaldata per quella discussione. L’aveva vista così accesa solo quando gli aveva scagliato contro dei libri –ringraziò che la neve fosse soffice- ma adesso non faceva paura. Era posseduta da una collera che, a ben vedere, andava oltre il suo aver innescato una guerra a colpi di palle di neve e terra; era qualcosa che nasceva dalla tensione accumulatasi tra loro in quelle ore forzate nello stare l’uno di fianco all’altra, che aveva qualcosa di diverso dalla prima. C’era una sorta di divertimento nei suoi occhi luminosi, c’era un pizzico di felicità nelle sue labbra un po’ piegate all’insù; perfino la sua voce era meno vibrante di come la ricordava in quelle circostanze.

Era diversa, solo quello. E semplicemente stupenda.

I pensieri si interruppero quando rischiò di venir preso in pieno, visto che quella aveva avuto l’idea di colpirlo a sua volta lanciandogli contro un po’ di neve che, abilmente, riuscì a schivare. Cosa che lei non riuscì a fare nel turno successivo -Ti facevo più agile.- la derise con un ghigno sul volto.

Lin alzò il medio mentre si piegava a terra –E tu meno idiota!-

-Che isterica. Un po’ di neve non ha mai fatto male a nessuno!- e proprio quando stava per farla soccombere, si ritrovò travolto da ben due palle di neve scagliate con velocità nel medesimo istante –Ma sei impazzita?!-

-Adesso chi è l’isterico?-

-Brutta— le servì pan per focaccia, provando a colpirla di nuovo, ma quella continuava a lanciarsi dietro le auto nemmeno fosse un membro della SWAT. E lei, di rimando, gliene scagliava contro tanta altra, incurante delle sue imprecazioni –Vuoi smetterla?-

-Ma smettila tu!-

A vederli così, insultandosi e colpendosi, non davano la parvenza di due ventenni che si vogliono bene, proprio no. Ma in quel momento, importava qualcosa? Importava darsi un’etichetta solo per sentirsi più al sicuro? Sapere che Lin avrebbe ricambiato anche solo di un centesimo quell’attrazione che lui provava per lei, avrebbe cambiato le cose tra loro? La risposta era un banalissimo sì, le avrebbe cambiate. Ma non in quel frangente.

Non con lei che veniva colpita, cadeva, si rialzava, tentava di colpirlo e ricadeva, imprecando sonoramente.

Non con lui che rideva raucamente e di gusto, appoggiandosi di tanto in tanto al cofano di qualche auto per poter riprendere fiato. E ogni volta che si voltava, cercava il suo volto contratto in una smorfia di fastidio ma su cui, a ben vedere, poteva scorgere quello che non più aveva la parvenza di un sorriso… Lo era davvero, luminoso e radioso come non gliene aveva mai rivolti.

-Ora stai bene, giusto?- e la sua dolcezza non richiesta e nemmeno aspettata, come se avesse architettato tutto per farlo sentire a suo agio con lei, come se Lindsay avesse compreso perfettamente cosa lo turbasse. E immancabilmente, si era sentito più leggero. Più al sicuro dalle proprie fobie, più protetto dalla sua comprensione.

Si strinse nel cappotto scuro, vedendola soffiarsi le mani non guantate e rossastre mentre attendeva che la raggiungesse. E lui si prese del tempo per godersi quella notte di metà novembre, quell’ultima notte che avrebbe trascorso con lei, imprimendosi nella memoria la sua immagine infreddolita e così sensuale da scaldarlo come nemmeno venti maglioni addosso.

E mentre la consapevolezza che lei avrebbe alimentato i suoi sogni per quei due lunghissimi mesi si faceva largo in lui, radicandosi negli anfratti più bui delle sua anima, le sorrise.

Grato e sincero –Mai stato meglio.-

 

******

 

Lindsay Moore amava la neve.

Non c'era un motivo preciso che la portasse ad adorare una cosa tanto insignificante, semplicemente la vedeva cadere dal cielo, in maniera delicata e lenta, e lei non riusciva a nascondere il sorriso che fioriva spontaneo sulle labbra carnose, l'eccitazione al pensiero di poter correre sull'erba coperta, vedere le proprie impronte perdersi e mischiarsi con chi le stava accanto, alzare lo sguardo verso il cielo e venire accarezzata dai fiocchi gelati, riuscendo però ad avvertire un calore che partiva dallo sterno e si propagava per tutto il corpo.

Un calore che poche cose le suscitavano...

 

-Ma sicura di volere ‘sto schifo?-

-Tanto è come il caffè.-

Si volse allucinato –Eresia! Il caffè è buonissimo! Il the verde, no!-

 

E poche persone.

Si strinse nella larga felpa gentilmente offertale dal ragazzo quando, entrata in casa, si era ritrovata a grondare per tutta la neve che le era stata scagliata contro, inebriata dal profumo di Seung-Hyun che stuzzicava il suo fine nasino.

-Senti, versami il the e piantala lì.- sbottò esasperata, sentendolo mugugnare per la sua maleducazione.

La casa era immersa nel silenzio, scalfito solo dal bollire dell’acqua e dal turbinio del vento che faceva presagire l’ennesima nevicata coi controcazzi. Ma, almeno in quel momento, seduta al tavolo dei Big Bang a studiare la larga schiena del ragazzo, non le importò

Del resto, tante cose non importavano più da quando c’era lui e se questo pensiero, all’inizio, l’aveva stranita un poco, ora sentiva che non c’era nulla di male nello smarrirsi per qualche istante. Che, dopotutto, quella luminosità che colorava il suo mondo cosparso di grigiore non era un peccato capitale.

-Metti un bel po’ di zucchero. Chissà mai che ti addolcisci.- ironico, le passò la tazza di acqua fumante, spingendo verso di lei la caraffa dello zucchero e del the.

-Certo, perché tu sei un pancake- replicò con lo stesso tono, sbuffando di fronte al suo roteamento degli occhi mentre, aggiustandosi gli occhiali dalle enormi lenti, si sedeva dirimpetto a lei. Le parve che tutte quelle scatole di biscotti, patatine e schifezzuole varie, fossero state messe in quel punto preciso a mo’ di barriera, una sorta di Grande Muraglia di brioche che, sperava, non sarebbero divenute armi improprie –E comunque non mi piace lo zucchero.-

Arcuò un sopracciglio –Bevi il the verde senza zucchero?- scosse la nuca –Ci credo che sei così amara.-

Amara… Una parola che si era sentita rivolgere tante, ma tante di quelle volte, che ormai non ci faceva più caso. Eppure, pronunciata dalle sue labbra che ora sfioravano il bordo della tazza da caffè, assumeva una connotazione completamente diversa. Che questo suo lato, in fondo, fosse uno dei tanti motivi che le permetteva di riuscire a mantenere un minimo di distanza, di far sì che quel muro di diffidenza che aveva erto a fatica, mattone dopo mattone, potesse non venir distrutto. E per la prima volta, non assunse le dolci note di un complimento, giacché lei lo aveva sempre preso in tale maniera…

-Però scalda. È questo l’importante, no?- si era sentita mormorare prima di berne un po’, tornando a guardare la finestra del salotto che dava su di una Seoul immersa nella neve in quello strano silenzio che non le dispiaceva affatto. Lo stesso silenzio che, ora, li aveva avvolti.

-A volte non basta.- aveva risposto con puntiglio, quel suo solito tono rauco che non permetteva replica alcuna.

Ma Lin non era brava a rispettare i desideri altrui –Beh, bisogna farselo bastare.- e non avrebbe mai immaginato che da quello scambio di battuta assurdo e pressoché inutile, che aveva funto da imbuto in quel loro cercare di trarsi via dalla noia, si sarebbero ritrovati a discutere animatamente su quello che, a ben guardare, era un altro stupido discorso che non avrebbe portato a niente, ma che sembrò stare a cuore al padrone di casa…

-Ma non basta un: “Ehi tu”?- domandò pigra.

-No- la troncò lapidario, fissandola arcigna –Noi non siamo volgari come voi.-

Perché come ormai accadeva spesso quando stava in sua compagnia –e senza più sorprendersi, a dire il vero- Lin si ritrovò immersa in una discussione sciocca, di quelle loro solite che partivano dal nulla e si concludevano con niente, ma che per qualche strano motivo sentiva le sarebbero mancate in quei due mesi.

Sbuffò –Volgari… Noi siamo meno complicati.-

-Cosa c’è di così complicato in un Oppa, me lo spieghi?- le parve piuttosto infervorato per quel suo ostinarsi a non comprendere. E la verità era che non capiva, sul serio! Tutti quei nomignoli, quelle onorificenze.

-Non è complicato- Mi hai preso per scema?! –Dico solo che è inutile.-

Roteò gli occhi mentre le lanciava un pacco di biscotti –l’ennesimo, a dire il vero- poi si rigettò a capofitto nella discussione –Inutile un paio di palle. Per noi sono importanti, è la nostra cultura!-

-Vuoi farmi credere che i samurai si davano tutti ‘sti nomignoli?- domandò seria seria, scrutando la sua reazione che, dallo sbigottito, passò all’esasperato.

-I samurai sono in Giappone! Cosa c’entra con noi?!-

-Sì, ma loro non si sarebbero mai chiamati Opplà

-Oppa.- stridette con forza.

-O Bunny

-Unni.-

-O nonna.-

-E comunque si dice Noona.-

-Eh, va beh, quella roba lì- non fece caso al suo viso contratto in una smorfia di puro disgusto, divenuto ora pallido per la sua uscita scazzata –Da noi basta un bro o un sis. Mica ce la meniamo per le lunghe.-

-E’. Diverso- scandì con forza, facendole pesare quelle lunghe pause che si era preso tra una parola e l’altra –Tu non immagini nemmeno quante cose si nascondano dietro un Oppa.-

Così Lin, che aveva preso appunti sulla propria lavagna mentale del significato di quella, a suo dire, sciocca parola, bevve l’ultimo sorso di the prima di rivolgersi a lui -Quindi da oggi dovrei chiamarti Oppa?- e lo aveva detto con la solita voce monocorde che sempre le avevano rimproverato, quella tonalità incolore che avrebbe dovuto farlo incazzare parecchio visto che stava praticamente deridendo quella che, a ben vedere, sembrava una cosa a cui teneva parecchio.

Ma quando alzò il volto, confusa di fronte a quel silenzio per nulla pesante che aveva seguito le sue parole innocenti, si ritrovò di fronte ad uno spettacolo a cui non aveva mai assistito –e che, a pensarci bene, non pensava avrebbe mai assistito-: Seung-Hyun, mollemente appoggiato sulla sedia, la guardava con occhi spalancati dietro le enormi lenti da vista, visibilmente scioccato da quel suo commento detto con infinita noncuranza -N-Non sei costretta. Non— si schiarì la voce prima di guardare il soffitto con una smorfia –Fai come ti pare.- aggiunse infine.

E ora che ho detto?!

Lin mugugnò –Oppa Seung-Hyun- storse il naso –Sembra il nome di un maniaco.-

-Ma la vuoi smettere?!-

 

Tanto era presa dalle chiacchiere che nemmeno si accorse della tempesta di bufera che imperversava fuori da quelle quattro mura, così come si accorse solo dopo parecchio tempo, guardandosi attorno, di trovarsi sola in casa con Seung-Hyun. Incredibile come nessun pensiero perverso avesse preso il sopravvento, come se parlare bastasse.

E non era un accontentarsi. A lei bastava davvero…

-Fuori sta peggiorando.- borbottò lui sbucando fra i suoi pensieri, facendo tintinnare le tazze che posò nel lavabo. Lin si alzò e zampettò con la punta dei piedi scalzi fino alla finestra, accorgendosi solo in quel momento dello spettacolo che le si stava presentando davanti agli occhi: una tempesta di neve coi controcazzi stava ammantando l’intera città, desolata.

-E’ meglio se torno a casa.- borbottò tamburellando le dita sul davanzale.

La voce dura del ragazzo la richiamò –Sei impazzita?! Io non ti porto a casa con questo tempaccio!-

-Ma se ci sono solo quattro fiocchi?!-

-La tormenta è solo un sogno, certo.-

Sbuffò –Allora aspetto Ginko- allora si volse verso di lui, un miliardo di punti di domanda che danzavano davanti a lei -Ma… E gli altri?-

-Saranno per strada.- si grattò la chioma turchese, passandosi poi una mano sui lati rasati e corvini.

Guardò di nuovo fuori, sollevata dalle sue parole.

Ma quando la suoneria di Californication e quella sconosciuta di Top trillarono in contemporanea, comprese. E doveva averlo compreso anche lui, perché dandole le spalle, continuando a pigiare sui tasti, aveva mormorato un –Vado a prenderti delle coperte. Puoi dormire con la mia tuta. Se vuoi chiamare tuo padre, il telefono è di là.- prima di scomparire.

Lasciandola sola con la propria incertezza, con un messaggio di Ginko che rasentava il ridicolo tanto era infarcito di raccomandazioni, con il vento che ululava e che la faceva tremare. Sospirò, tornando a guardare fuori.

 

Gli altri non sarebbero mai tornati a casa…


-Vuoi uno o due cuscini?-

-Uno.-


E lei si riscoprì innamorata della neve un po’ di più.

 

*****

 

Ginko Fujii, abbandonata sul divanetto rosso di quella stanzetta che sapeva di birra, di risate e di canti ora melodiosi –visto che Tae e Dae avevano preso pieno possesso della baracca, fissava la finestra da cui poteva scorgere la neve che fioccava incessantemente, giacché aveva smesso ormai da tempo di dedicarlo al ragazzo che, beato, troneggiava nella poltrona davanti a lei.

Da barriera, il basso tavolino. Come catapulte, le noccioline e le patatine. Come armi improprie, patatine, bicchieri e bottiglie di birra vuote. E davvero, avrebbe tanto volute scagliarle contro alla suddetta personcina che, ora, la ignorava bellamente, ma non poteva; Ri si era appisolato sulle sue cosce e non se la sentiva di svegliarlo.

Dopo alcuni, infiniti istanti scanditi dalle note di Helena dei My Chemical Romance, Ginko esplose con voce tetra –Spiegami perché non siamo con loro.- e non ebbe bisogno di specificare chi fossero loro, visto che il sorriso di GD aveva ampliamento dimostrato quanto lui avesse compreso.

-Loro chi?- di un’innocenza disarmante, GD alzò il capo e le rivolse lo sguardo più genuino che avesse nel repertorio.

No, ok, mi prende in giro!

-Lo sai di chi sto parlando!-

Indicò Tae e Dae al karaoke –Intendi loro? Fujii, direi che ci hai ammorbato abbastanza con la tua vo—

-Non sto parlando di loro!- scattò agitando i pugni, cercando di restarsene il più immobile possibile pur di non svegliare Ri –E non sto parlando nemmeno della mia melodiosa voce- dribblò da quell’argomento; ne avrebbe avuto di tempo per dimostrargli quanto fosse lui a non cogliere le sue straordinarie doti canore –Parlo di Lin e Top.- arrivò al sodo, assottigliando gli occhi nel tentativo di spaventarlo.

Per tutta risposta quella sbatté una mano sulla fronte –Ah, già. Sono loro, loro. Come ho fatto a non pensarci prima?-

-Eh!-

-Perché c’è una tempesta di neve.-

-Ma potevamo partire prima!-

Ji Yong la fissò a lungo, un guizzo di soddisfazione nei suoi occhi famelici che non riuscì a catalogare ma che, come al solito, la fecero sentire smarrita per qualche tempo; fino a che lui non li distolse dai suoi, allora si sentì più serena –Fujii, Fujii, Fujii, quando capirai?- si sporse un poco, la voce più bassa e sostenuta –Non intrometterti tra loro.-

La ragazza aprì la boccuccia, decisa a ribattere di fronte alla sua severità sgradita. Intromettersi in cosa, perdiana? Lei voleva solo trascorrere la notte con Top e Lin, con tutti loro! E magari evitare che quella combinasse qualche cazzata di dubbio gusto come ucciderlo a colpi di palle di neve, per esempio. No, no, mica che poi lo riprendeva a librate e poi scoppiava a piangere e lei non ci sarebbe stata. E se succedeva e Lin aveva bisogno e non l’avesse trovata? A chi si sarebbe appoggiata?

-Perché, tu non ti intrometti?-

La fissò serio –Tu dici?-

Agitò le mani –Organizzi feste per farli incontrare—

-E’ stato Ri ad invitarvi, mica io.-

-Dici bugie per farli litigare—

-Nah, è solo per far aprire loro gli occhi.-

-E lo chiami non intromettersi?!- avendolo ignorato per tutto il tempo, avendo marciato come un mietitrebbia per tutta la durata delle sue motivazioni, Ginko si mise a braccia conserte, in attesa che Ji Yong le desse una scusa plausibile. Che lui gliele avesse già date, poco importava; a lei non bastavano, non quando si trattava di quel puzzle con le gambe che era Lindsay.

Lindsay che, mentre si riscopriva a fissare con fin troppa costanza il volto di Ji Yong, stuzzicò l’invidia sopente in lei. Perché lei era riuscita a conquistarsi l’attenzione di un membro dei Big Bang –che lei venerava, era sempre bene rammentarlo- senza fare alcunché; lei, invece, si ritrovava a fissare il leader che più di una volta aveva alimentato le sue fantasie, che entrava nei suoi sogni senza chiederle il permesso con la certezza che mai, lui, l’avrebbe guardata con fame di desiderio.

Proprio come allora, che la scrutava con noia, quasi fosse un peso starsene chiuso in quella stanza a parlare con lei –Le mie sono solo delle spinte amichevoli. Il resto, lo faccio fare a loro- Ah, ma che erano, delle bestie da laboratorio?! Indispettita, si appiattì sul divanetto e tornò a fissare ombrosa la finestra –Ma tanto, quei due non combineranno nulla.- aveva esalato infine, proprio nel momento in cui aveva creduto che non le avrebbe rivolto più la parola.

E a dire il vero, pensava che non gliel’avrebbe rivolta per tutta la serata. O per sempre.

Perché l’ultima volta che si erano visti, lei gli aveva dato della persona triste e per quanto ne fosse seriamente convinta, le era sempre stato insegnato che c’erano cose che andavano dette e cose che andavano taciute. E di fronte allo sguardo che lui le aveva rivolto, austero ma intaccato da una sorta di rabbia repressa, Ginko si era sentita morire. Ed era fuggita con Ri pur di non doverlo più guardare.

Così, sotto l’ululare del vento, mangiucchiando le mille paranoie che continuavano a vertere su Top e Lin, Ginko si ritrovò a sbuffare verso sé stessa, ma ad alta voce, catturando la sua attenzione svagata, scuotendo un Ri addormentato –Comunque, cioè, scusami per l’altra volta.- e aveva nascosto le labbra dietro il palmo aperto, mugugnando senza sosta.

E il volto di Ji Yong le era parso più bello di come lo avesse sempre trovato, più umano, ecco. I suoi occhi leggermente sgranati e in cui si perse, le sue labbra dischiuse  e il suo massaggiarsi il collo con lentezza –Non me ne faccio niente, tanto.-

E lei aveva ridacchiato –Lo so, ma mi andava di dirtelo.- confessò più serena, rendendosi conto di quanto fosse un po’ più semplice parlare con lui se non affrontavano certi discorsi.

Il loro silenzio li riavvolse e Ginko fissò a labbra arricciate il viso dormiente di Ri, divertita di fronte alla sua bambinaggine che lo aveva portato ad ubriacarsi e poi addormentarsi come un cretino sulle sue gambe. Se solo GD fosse stato semplice come Ri, lei non avrebbe avuto tutti questi problemi a comprenderlo; anche se fosse stato un po’ più simile a Top non avrebbe avuto problemi, visto che il ragazzo dalla voce baritonale e suadente era un libro aperto peggio di lei.

Canticchiò quando la suoneria del suo cellulare vibrò, ridestandola. Sorrise di fronte al messaggio striminzito di Lin in cui diceva che, visto che il lupo era a piede libero in un karaoke e non per casa, forse era lei quella che doveva starsene al riparo. Adorava il suo modo maldestro di dimostrarsi preoccupata, era più forte di lei.

 

Fu allora che vide la mano tesa di Ji Yong, che stringeva il libro dei canti, agitandolo un poco.

-Che vuoi?-

-Dopo ti sfido- allargò gli occhi –Scegli la canzone che ti pare.-

Perse un battito di fronte al suo sguardo puntato da un’altra parte, di fronte al suo scazzo tangibile, di fronte al suo grazie così impacciato e non pronunciato.

Il suo volto si aprì in un sorriso luminoso…

-Quale posso fare?-

Il suo ghigno -Tanto le sbagli tutte.-

-Perfido!-

 

E la semplicità, per la prima volta, le parve noiosa.

 

 

******


 

Se ne stava seduta sul divano letto senza sonno, abbracciando le proprie gambe mentre giocherellava con le punte dei capelli.

Seung-Hyun le aveva dato la buona notte già da parecchio tempo, ma nonostante ciò, la luce della sua camera, che intravide dallo spiraglio, continuava a restare accesa. Forse non voleva averla tra i piedi, si era ritrovata a pensare mentre lo seguiva per recuperare le coperte, forse era scocciato per la sua intrusione in casa mentre lo aiutava ad aprire il divano letto. Forse, forse, forse… Troppi forse che le davano pensiero e non la faceva stare bene.

Ma lui le aveva sorriso, prima di allontanarsi, le aveva addirittura sfiorato la spalla prima di sussurrarle una buona notte che la fece sciogliere, l’aveva carezzata con lo sguardo prima di chiudersi la porta alle spalle. Prima di lasciarla al freddo, senza che nemmeno potesse immaginarlo.

Si maledì per il suo essere divenuta la Ginko Fujii della situazione. Lo scricchiolio di una porta catturò la sua attenzione e solo quando volse il viso in direzione del rumore, si accorse di come la luce della camera di Seung-Hyun aveva investito il salotto, illuminando le sue gambe coperte dalla lunga tuta.

-E’ comodo il letto?-

Arcuò il sopracciglio –Non lo so. Non riesco a dormire.-

-Nemmeno io- si massaggiò il collo -Non c’è niente in tv?-

-Solo dei porno- lo vide arrossire mentre si grattava la nuca turchese; probabilmente non era abituato alla sfrontatezza di una ragazza –E comunque, non ho voglia di vedere la tele.-

E sarebbe potuto andarsene, lasciarla sola ad annoiarsi. E invece si era fatto più vicino, il pollice rivolto verso le stanze adiacenti alla cucina –Ho dei libri, in camera- si massaggiò il collo, ancora –Vuoi prenderne uno?-

-Non hai paura che te lo tiri addosso?- domandò ironica.

-Cretina.- mormorò lui apparentemente seccato, anche se quel sorriso fugace che gli aveva increspato le labbra sembrava dire tutto il contrario.

Lin scostò le coperte. Rabbrividì quando i piedi nudi si posarono sulle piastrelle gelide e zampettando in punta di piedi, lo seguì per pochi passi, lasciandosi condurre in camera sua. Ora che ci pensava, era la prima volta che entrava in camera di un ragazzo con l’intenzione di non fare nulla, ma niente di niente. O almeno, nulla che non prevedesse baci, palpeggiamenti e vestiti che svolazzavano in giro.

Perché Seung-Hyun non era come gli altri, ormai ne era certa, e glielo aveva confidato senza alcun tipo di remora. Lei avrebbe preso un libro, lui le avrebbe detto di non spiegazzare le pagine e si sarebbero ridetti una buona notte particolare, condita dai loro punzecchiamenti quotidiani. Lui non l’avrebbe trattenuta, no di certo. Ma lei… Lei voleva stare lì, senza mettere più fuori un piede?

Lin non ebbe il tempo di ragionarci sul serio, perché la porta che si chiudeva la fece sobbalzare e il suo spirito di osservazione prese il sopravvento: la stanza di Seung-Hyun era anonima. Si era aspettata qualcosa di più eclatante da un rapper stravagante come lui, ma a dispetto di ogni immaginazione, quella sembrava la camera di un comune venticinquenne. Qualche poster appeso, una scrivania con portatile e un mucchio di tomi voluminosi al fianco, vestiti impilati sulla sedia girevole –uno di quegli spettacoli che avrebbero fatto inorridire Chyoko- e una varietà di pupazzi ammucchiati in un angolo con ordine e amorevolezza che ebbero il potere di suscitare la sua ilarità.

-Che ti ridi, scema?- aveva sbottato lui con voce roca, dandole un buffetto sulla testa mentre le passava al fianco.

Lin recuperò un coniglietto di peluche, sventolandolo –Nemmeno mia sorella ha tanti pupazzi.-

-Sono delle mie fan.- spiegò sbrigativo, quasi infastidito dal suo tono di voce derisorio. Ah, sì, le fan. A volte dimenticava con chi aveva a che fare.

-Com’è essere preso a pupazzate?- cinguettò squadrandoli, puntellandosi sui piedi mentre portava le mani dietro la schiena, lasciando vagare lo sguardo. Sempre senza incrociare la sua figura, conscia che non avrebbe resistito al pensiero di vederlo scomparire per due mesi. E quel pensiero, più del suo trovarsi sola con lui, la perplesse. Incredibile come si stesse facendo un sacco di paranoie per uno semi-sconosciuto che di lì a poco sarebbe planato in un altro paese con cui addirittura non era successo niente! Proprio da lei, che a New York aveva lasciato senza rimpianto alcuno un mucchio di ragazzi che ancora si ostinavano a richiedere la sua compagnia notturna.

-Meglio che venire presi a librate.- la sua voce colma di ironia e profonda la ridestò, facendole scorrere un brivido lungo la spina dorsale.

-Che pesante che sei.-

-O a palle di neve.-

-Idiota.- recuperò uno dei voluminosi tomi sulla scrivania, sfogliandolo. Con raccapriccio, si accorse delle lettere minuscole che solcavano le pagine leggermente ingiallite e tutte con quei geroglifici che a volte le davano davvero da pensare. Perché il suo coreano era accettabile, ma molte volte si ritrovava ad ascoltare la gente senza realmente comprenderla. Grazie al titolo e all’immagine di copertina, comprese che si trattava di un libro sul cinema. O qualcosa del genere…

-E’ dell’università.- piovve terapeutica la sua osservazione, giusto per non farla più brancolare nel buio.

Lo sventolò -Vai all’università?-

-Andavo- calciò la pila di vestiti dal letto, spostandola nell’angolo della stanza –Mi sono laureato questo febbraio- lei annuì, speranzosa che il discorso terminasse con la sua spiccia spiegazione –Te invece?- abbassò il capo di fronte alla sfiga madornale che sembrava sempre tenderle la mano.

-Io cosa?- avvertì il disagio pervaderla quando comprese di essere divenuto l’oggetto principale della discussione e per quanto parlare con lui le venisse facile, c’erano argomenti che non era sicura di voler affrontare…

-Non andavi all’università, a New York?-

Come l’università, per citarne uno.

Arricciò le labbra, Lindsay, al ricordo di tutti gli avvenimenti legati alla Columbia University che tante liti aveva scatenato, che tante parole aveva fatto volare al vento. Che, a ben vedere, l’aveva portata a contaminare l’aria coreana con la propria simpatia. E quando posò lo sguardo su di lui, in attesa di un risposta, un pensiero varcò la soglia del suo cervello

Non è stato tutto un male…

Tornò a leggere la copertina, più per evitare di guardarlo negli occhi che per reale interesse, e avvertendo lo sguardo curioso sulla propria figura, si apprestò a riempire il silenzio che li aveva avvolti -Non mi hanno presa- e prima che potesse accorgersene, si ritrovò ad esalare quella confessione che non aveva mai confidato a nessuno –Ho risposto a caso alle domande del test.-

Un tonfo sordo la scosse. Era stato il suo –CHE COSA?!- sinceramente incredulo mentre si buttava sul letto, lasciandole uno spazietto affinché potesse sedersi. Ma lei rimase in piedi. Non si avvicinò, non quando c’era in ballo un discorso che la riguradava.

-Mi avevano costretta ad iscrivermi e io non avevo voglia di fare medicina. Mi è sembrata una buona vendetta.-

-Ma- Ma è stupido!-

Lei sorrise un poco –Non sarebbe la prima volta che faccio qualcosa di stupido.- osservò piatta, rammentando le cazzate commesse che, sommate alle tante altre cazzate, avevano costretto Emily a spedirla con un biglietto di sola andata a Seoul.

E la famosa domanda che spesso le era stata rivolta, ricomparve sulla scena, brillante -E’ per questo che tua madre ti ha mandata qua?- ma meno spaventosa di come l’aveva sempre raffigurata.

Perché sentiva che Seung-Hyun non l’avrebbe mai giudicata. Si sarebbe limitato a dirle che trovava stupida la cosa, non lei. E poi l’avrebbe guardata con curiosità, non con puntiglioso fastidio. Ma era comunque un discorso troppo pesante e non aveva voglia di affrontarlo quella notte.

-E’ uno dei tanti motivi.- lo guardò, leggendo chiaramente il suo desiderio di sapere cosa ci fosse dietro il suo arrivo improvviso in quel di Seoul. Si sedette sul bordo del letto, vedendolo ritrarre le gambe per permetterle di stare comoda e mentre si appoggiava contro il muro, udì la sua voce roca.

-C’entrano i ragazzi? O il lavoro?- lo guardò con tanto d’occhi e lui si indicò la fronte -Ricordo tutto di quella sfuriata.- le aveva detto con disappunto, fissando con raccapezzo i libri che stava sfogliando da qualche minuto. Nh, ora che ci pensava, a parte uno scusa fra i singhiozzi, non è che si fosse fatta perdonare per quel suo atteggiamento così poco educato.

-Giuro che non te lo lancio contro.- aveva bisbigliato divertita, pregando che il discorso si smorzasse lì.

Ma Seung-Hyun prese una lunga pausa prima di continuare -Eri così… Diversa.- mormorò assorto, un barlume di sorriso ad illuminargli il volto.

E avrebbe potuto dirgli una cazzata qualunque, pur di sbolognarsi di torno quella discussione troppo intima. Ma sentì il suo sguardo sul proprio profilo e prima che potesse tarpare le ali alla propria parlantina, la confessione era ormai stata concessa –Ho litigato con mio padre, prima della festa.-

E fu meno tremendo di quanto credette. Dirgli la verità, non fu poi così tanto terribile. La terra non era crollata, la gola non si era corrosa per tutte quelle parole che aveva sprecato e nemmeno il suo cervello si premurò di rinfacciarle quanto fosse ampiamente idiota. Del resto, da quando aveva cominciato quel rapporto in perenne bilico, il suo cervello non si faceva più sentire come prima.

Ma a dispetto di tutte le proprie paranoie, che comunque si erano presentate giusto per ricordarle quanto esporsi troppo non fosse una buona mossa, Seung-Hyun si limitò ad esalare un sentito –Mi dispiace.- che le fece alzare le spalle, deglutendo pur di sciogliere quello strano nodo che le aveva bloccato il respiro.

-Perché non mi hai uccisa? Chiunque lo avrebbe fatto- lo vide storcere il naso e lei, sempre senza riuscire a frenarsi, continuò –Una volta ho dato una sberla ad uno con cui uscivo. Ricordo di essere tornata a casa con un occhio nero. E lui con il labbro spezzato.-

La guardò allucinato, poi alzò le spalle -Avrei voluto mandarti a casa a calci. Sul serio, credo di non aver mai odiato qualcuno così tanto- un sorriso sbocciò sulle labbra, memore delle loro lunghe e futili bisticciate; ma venne raggiunta dalla sua voce assorta e il sorriso si perse nei meandri delle proprie incertezze –Ma non lo so. Non ci sono riuscito.-

E Lin si fece bastare quel concetto sospeso, quasi avesse voluto fargli comprendere come lei avesse compreso. Che lui aveva una sorta di delicatezza capace di andare oltre le sue isterie e che sapeva fargli portar pazienza anche quando meritava di essere strozzata.

Che lui fosse, semplicemente, capace di starle affianco.

 

Purtuttavia attraversata da quella miriade di pensieri, si era ritrovata a sistemarsi meglio sul letto, continuando a sfogliare il libro sotto il suo sguardo ora più rilassato, con la sua voce rauca che si spargeva nell’aria solo per correggerle quelle parole troppo difficili da pronunciare. Dopo qualche tempo, avvertì i sensi distendersi per la stanchezza e quando si accorse di essere quasi finita sdraiata su di lui, Lin comprese come fosse meglio sloggiare, che il disagio era già abbastanza palpabile.

Ma lui si era alzato, uscendosene dalla camera senza dirle alcunché e lei si era sentita scivolare sul letto morbido, dando le spalle alla porta chiusa. E quando si accorse di come il buio l’aveva avvolta, comprese che le avrebbe ceduto la propria stanza, andandosene lui sul divano. Squisitamente dolce come solo lui sapeva essere.

Ma ci fu qualcosa che fece crollare le sue certezze, di nuovo...

La porta si riaprì e si chiuse con lentezza, senza sbattere.

Avvertì uno scricchiolio, poi il materasso che affondava, l’inconfondibile rumore delle molle che si assestavano, come quello che lasciava dietro il proprio corpo quando si metteva alla ricerca degli abiti smessi, pronta a lasciare qualche ragazzo al gelo delle coperte. O pronta ad essere lasciata al gelo delle coperte.

Ma che Choi Seung-Hyun non fosse come gli altri non ebbe il tempo di ripeterselo, perché dopo quel rumore così familiare, arrivò un gesto nuovo, inaspettato e che non pensava le avrebbe infuso così tanto calore. Che a New York l’avrebbe fatta fuggire…

Nel buio della stanza un braccio le circondò la vita, in maniera delicata, non invadente e sopraffatta dalle miriadi di belle emozioni che stavano premendo per uscire, si ritrovò a mormorare -E’ meglio che vada.- dando ascolto a quella vocina che continuava a ripeterle di scappare, di non restare fra quelle lenzuola.
 

-Se vuoi, puoi andare…-
 

Ma non la ascoltò.

Perché si stava bene nel calore di un suo braccio, riparata dal freddo dell’inverno e dalle proprie fobie ora meno stridenti; si stava bene cullata dal suo respiro, mentre perfino il vento che ululava diveniva un suono insignificante. Lei stava bene, come non aveva creduto sarebbe mai potuta stare con un ragazzo.

 

E giunse la sua voce, rauca e pacata, di una dolcezza infinità che le fece perdere qualche battito…

-O puoi restare-

Che le parve quasi un sogno tanto era distante. Eppure lui era così vicino…

Non mi dai fastidio.-

E così diverso.

 

Chiuse gli occhi, sospirò. Fuori c’era una tormenta di neve. Ma la vera bufera, era quella dei suoi sentimenti ingarbugliati nella propria anima e alle proprie paure. Tanto, c’erano due mesi di vuoto di fronte a lei, poteva resistere per una notte.

-Guarda che do i calci mentre dormo.-

-Sono abituato ai libri, grazie.-
 

E lei sarebbe rimasta. Tanto, andava bene ad entrambi.

 

 

 

 

A Vip’s corner:

Non è che io abbia chissà quale giustificazione per farmi perdonare del ritardo (anche se va beh, non sono passati mesi ma solo due settimane). Semplicemente, sono stata piuttosto scettica su come dovevano procedere le cose a questo punto e mi sono detta che se voglio che le cose avvengano come lo desidero io, amen ai capitoli lunghi e pieni di nulla come questo, con la speranza che apprezziate lo sforzo di tirare fuori qualcosa di vagamente decente :/ E per farmi perdonare ve ne ho postato uno bello lunghetto –che faccia pena è un dettaglio-.

Però vi ho piazzato una scena pseudo Ginko/GD… Vale almeno un cincinnino per farmi perdonare? *-*

Mi sento quasi in colpa a postare questa cosa, ma ormai l’ho scritta e la pubblico, che bisogna andare avanti con questi testoni. Testoni che, dai, alla fine qualcosa l’hanno fatta *-* Più o meno… E con dialoghi confusi e veloci… Ma tranquille, tra poco partono, quindi qualcosa dovrà succedere, no? *Heaven che tenta di nascondere il titolo del prossimo capitolo già abbozzato, che è uno spoiler*  Ah, sì… E fingiamo che a Seoul nevichi a novembre, concedetemi questa licenza poetica, su ♫

Passiamo ai ringraziamiti, visto che non ho molto da dirvi e spero siate voi a dirmi cosa pensate di questo capitolo. Mando il mio amore smisurato a Fran Hatake, Myuzu, lil_monkey, hottina, ssilen, kushieda R, Yuna_and_Tidus, MionGD, YB_Moon, Fabiola_TOP e mel_GD per aver lasciato un commentino ai precedenti capitoli ♥ Mi sento un mostro a postarvi ste schifezze mentre voi mi date tanta gioia -.-

Ringrazio come sempre e infinitamente anche chi sceglie di leggere in silenzio e chi ha messo Something fra le seguite/ricordate/preferite. E voi tre, hottina, ssilen e mel_GD che mi volete ammazzare mettendomi fra le autrici preferite. Sapete che via adoro? No? Sapevatelo U.U


 

Bacioni e alla prossima (si spera con un bel capitolo D:)

HeavenIsInYourEyes.

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Capitolo 14
*** Blow me one last kiss ***


*A chi mi sopporta nonostante le mie insicurezze da scrittrice mancata, a voi che mi sostenete e mi fate sempre sapere cosa pensate della mia storia, a chi legge in silenzio o a chi si limita a dare una sbirciatina, dedico questo capitolo. Perché avete penato per arrivare fino a questo minuscolo passo, e in fondo ve lo meritate un ringraziamento un po’ diverso.*

 

 


 


 

Capitolo 14

Blow me one last kiss

 

So we search the sky, For any flashing signs

We've gone too far beyond the border

It's just you and I

And if this is the end, It's the best place I've ever been

It feels so good to just get lost sometimes”

-Only the horses, Scissor Sisters-

 

 
 

 

Immobile e seduto stava, su quel letto dalle coperte sgualcite, fissando il muro davanti a sé, perso in mille e contorti pensieri che vertevano su tutto e su niente, nel vano tentativo di acchiapparli e dar loro un senso.

Ma come poteva dar loro un senso qualsiasi, se dall’altra parte della stanza, un’americana stramboide che aveva stravolto la sua vita monotona e farcita delle solite cose, stava mettendo a soqquadro pure la sua cucina, oltre alla sua anima inquieta? E dal frastuono di stoviglie sbatacchianti che lo facevano sobbalzare ad intervalli regolari di cinque, dieci secondi, in base alla frequenza con cui i suoi Echeduepalle!, si spargevano serafici nell’aria, comprese come una Lindsay Moore appena sveglia, non fosse poi così diversa da una Lindsay Moore che andava a lavorare o usciva con loro.

Ma ai suoi occhi stanchi, probabilmente sarebbe stata una nuova scoperta ogni giorno che passava…

Irrimediabilmente, come accadeva da qualche minuto, lo sguardo cadde sulla porzione di letto vuota, gelida al contatto con i suoi polpastrelli che continuavano a lisciarne il materasso, quasi potesse trattenere su ogni fibra delle proprie dita l’essenza di Lindsay sopra di esso rimasta.

E si sentiva un cretino colossale a comportarsi in maniera così adolescenziale tanto da stropicciarsi il volto continuando a smadonnare contro la propria capacità di reazione pari a zero. Il fatto era che dormire con lei era stato un errore madornale, i classici sbagli che mai più andrebbero rifatti nella vita e che puntualmente si ricommettevano per il puro gusto di farsi del male e perché no?, segregare in sé quelle belle sensazioni che solo loro sapevano portare.

Perché non pago di dover vigilare sul proprio autocontrollo che molto spesso aveva deciso di battere in ritirata -un po’ per la stanchezza, un po’ perché quella miniatura fra le proprie braccia era quanto di più delizioso gli fosse mai capitato di stringere-, si ci era messo anche quel turbinio di emozioni incontrollabili che lo avevano tenuto sveglio per parecchie ore. Ore che aveva speso a contare i battiti accelerati del proprio cuore in tumulto, arrendendosi nel constatare come non riuscisse a stare al loro passo. E allora aveva cercato di contare le sue minuscole lentiggini, ma il buio della stanza non lo aveva aiutato.

Con l’inesorabile scorrere del tempo, scandito dall’ululato del vento e dal soffice cadere della neve, si era lasciato trascinare dalla stanchezza, lasciando dietro di sé ogni timore superfluo. Come abbracciarla e chiedersi se la stesse infastidendo, solleticarla con il proprio respiro e domandarsi se non lo volesse ammazzare, darle qualche calcio sul ginocchio senza farlo apposta e rischiare il linciaggio…

Ma aveva chiuso gli occhi. E aveva sospirato.

La verità era che Seung-Hyun aveva dormito con pochissime donne.

Due o tre, forse. Tutte rigorosamente sue fidanzate, per di più. E non perché ci fosse qualcosa di assolutamente squallido nel condividere il letto con qualcuna che non fosse legata a lui in qualche strana maniera, niente di tutto ciò. Semplicemente, dal suo logicissimo punto di vista, svegliarsi l’indomani abbracciato a qualcuna che lo avrebbe chiamato Amore o che lui avrebbe chiamato Fidanzata, era molto più facile.

Questo perché sfiorarle il fianco, ad esempio, non sarebbe stato un gesto equivocabile; così come non sarebbe stato equivocabile cercare di sfiorarle le labbra mentre avvertiva il suo respiro caldo e regolare sul collo, così come non sarebbe stato equivocabile cedere alla passione più sfrenata solo per dimostrarle il suo affetto. Come era capitato spesso con la sua ex, di cui ancora serbava il dolce ricordo dei suoi baci mattutini, del suo circondargli la vita con un braccio mentre dormiva a pancia in giù, del suo stuzzicarlo amorevolmente per poi finire col fare l’amore.

C’era stata tanta semplicità, all’epoca, che mai si era posto alcun tipo di problema. C’erano state poche donne nella sua giovane vita, immensamente semplici nel loro volergli bene, che non credeva potessero esistere esseri più intricati, che andassero oltre la sua semplicistica visione delle cose.

Ma Lindsay Moore non era affatto una donna semplice, per nulla. Non lo erano le sue scarse parole mai buttate al vento, non lo erano i suoi gesti impulsivi ma che si rivelavano maledettamente perfetti, non lo era il suo carattere, ingestibile ma ormai apprezzabile. E non lo era nemmeno quel loro particolare rapporto fatto di azioni silenziose che sembravano voler parlare al posto loro, giacché con le parole non erano poi così bravi come volevano dare a vedere. Lui poi, con lei, sembrava un ritardato. E lei era criptica, ma lo aveva appena detto no, che lei era tutto fuorché leggibile e facilmente interpretabile.

Ma la peculiarità di Lindsay, e questo glielo riconosceva con gratitudine, era la sua straordinaria capacità di rendere tutto più facile, pur nella sua complicatezza. E con tutto, intendeva tutto.

E lo aveva notato quel freddo mattino di fine novembre, quando svegliandosi, stretti nel torpore di quell’abbraccio che di erotico non aveva assolutamente nulla, specchiandosi negli occhi assonnati, non c’era stato nessun velo di imbarazzo. Come se svegliarsi in quella posizione, in quella situazione, in quella maniera fosse la cosa più naturale del Mondo. Lei aveva stropicciato gli occhi, si era raggomitolata nelle coperte e aveva sussurrato un flebile –‘ngiorno.- a cui lui aveva replicato con un sonoro grugnito.

Quindi sì, tutto come al solito. O quasi.

Perché ok, della vergogna nemmeno l’ombra, ma qualcosa aveva veleggiato tra loro: la completa quanto desolante consapevolezza che la mattina era ormai giunta e che poche ore mancavano alla separazione…

Un leggero bussare fece sgusciare via i suoi pensieri in quel torbido lago che era ormai la sua mente. Volse lo sguardo, il sollievo cominciò a spandersi intorno a lui, sopperendo quel senso di vuoto che gli aveva fatto nascere un nodo in gola.

-Oi, sei sveglio?-

Fasciata dalla sua felpa nera della Fubu, appoggiata allo stipite della porta ora spalancata, Lin apparve in tutta la sua sciattezza mattutina, rivolgendogli uno sguardo mezzo chiuso dal sonno. Ma ad una più attenta osservazione –o meglio, dopo essersi infilato gli occhiali-, notò come un sorriso fioco eppure sconvolgente le illuminasse il volto, facendo passare in secondo piano la sua apparenza arruffata.

Il leggero trucco della serata precedente era ormai un lontano ricordo, a monito di esso solo una lieve sbavatura di matita sotto gli occhi nocciola; i capelli scompigliati ricadevano disordinati fino al bacino, nemmeno quei fili corvini fossero una punizione divina. Ma, diamine, nonostante tutto la trovava sensuale, dotata di una forte carica erotica che lo fece pentire di non averle strappato una notte di sesso come regalo di addio.

Per poi chiedergliene un’altra infinità…

Si sentì intimorito al pensiero che avrebbe voluto svegliarsi e godere di quell’immagine per tanto altro tempo ancora –e che svegliarsi in una stanza d’albergo con un Daesung dormiente non era esattamente ciò che avrebbe definito sexy e sconvolgente-, così come non gli parve il caso di lasciar dilagare la propria perversione, così decise di affrontare la dura realtà; per qualche verso, era sicuro che sarebbe stata meno tremenda dei suoi scioccanti e idioti pensieri –Ovvio che sì, con tutto il casino che hai fatto.- borbottò dopo qualche istante, memore delle stoviglie sbatacchianti.

Lin gli rivolse un medio come segno della sua amorevolezza mattutina, che un sorriso riuscì a strapparglielo, per poi esalare un roco –Beh, tu di notte russi.- che per poco non gli fece cadere le palle. E va beh, la mandibola, ma quella era già cascata per la vergogna.

-Ma non è vero!- sbatté le braccia sui fianchi, cercando di risultare minaccioso.

-Già, non è vero- alzò le spalle –Però tiri i calci.-

-Neanche tu sei una mummia quando dormi, eh.- si massaggiò la spalla, quasi volesse mostrarsi indolenzito a causa del suo agitarsi nel sonno; non le avrebbe detto che il suo corpo era stata la coperta migliore che avesse mai avuto, non era così kamikaze. Indugiò sulla sua figurina infreddolita, indeciso se rimettersi a dormire o chiederle cosa avesse combinato in cucina, dato il rumore molesto che non gli aveva permesso di riposarsi.

-Te lo avevo detto.- puntualizzò con tono saccente, come se fosse colpa sua che al posto delle gambe quella aveva due lanciacalci.

-Non è una giustificazione!-

-Allora potevi dormire sul divano.-

Con espressione alla Are you fuckin’ kidding me, Top posò i piedi a terra, scrutandola da sotto le enormi lenti da vista –Ma è camera mia, questa!-

-Ma sei arrivato per ultimo- sottolineò passandosi una mano fra i capelli già voluminosi, guardandolo poi con serietà straripante –Potevi sempre mandarmi via, il divano-letto era comodo.-

E Top capitolò.

Ma capitolò per davvero. Della serie arrendersi al primo ostacolo. Perché la sua frase era stata una constatazione ovvia, ma stridente proprio perché tale. Avrebbe potuto mandarla via, certo, ma non aveva voluto.

Conscio di apparire come un coglione, si limitò a biascicare qualche frase sconnessa in coreano stretto cosicché la giovane potesse non comprenderlo. E infatti eccola lì, sopracciglia aggrottate e sguardo scettico rivolto alla sua figura seduta sul bordo del letto, quasi stesse cercando di acciuffare il flusso dei suoi pensieri contorti.

La voce di Lin lo scosse, un pelo, quel tanto che bastava per osservare la sua figura con svagata attenzione, imprimendo nell’immaginario ogni più minuscolo particolare della sua apparenza; se non poteva averla, se non poteva sperare che lei lo aspettasse… Avrebbe portato in tournée il suo ricordo, capace di scombussolarlo interiormente come un terremoto di vita –Ha chiamato Ginko. Arriveranno tra un po’- con il pollice, indicò la cucina oltre le proprie strette spalle –E di là c’è qualcosa da mangiare- annuì, per un attimo scombussolato al pensiero nostalgico di sua madre che piombava nella stanza buia per svegliarlo con amorevolezza, mormorandogli all’orecchio le stesse, identiche parole. Con più pacatezza, con meno noia… Ma in qualche modo, simili nel loro lambirlo –Dove sono le bustine?- gli chiese quando si alzò in piedi, lisciandosi i pantaloni grigi della tuta.

Corrugò la fronte –Le bustine di cosa?-

-Di the.-

Annusò l’aria, lasciandosi beare dal buon profumo di caffè che sembrava avvolgerlo nella sua aromatica scia invisibile –Ma c’è il caffè. Tu non bevi il caffè?-

Lin alzò le spalle -Ho voglia di the.-

-E allora cosa lo hai preparato a fare?-

 

Fu un attimo, un istante sospeso in quella mattinata nevosa. Un attimo scandito dal suo volgere il busto, dall’arcuarsi delle sue sopracciglia scure, dal suo prendere il cellulare per osservare i quattro messaggi ricevuti e le tre chiamate non risposte. Capace di scombussolare anni di quotidianità…

E’ per te, no?-

Di riscoprirsi smarrito in tutta quella gentilezza.

 

La guardò a lungo, gli occhi larghi per la sorpresa. Gli aveva preparato il caffè.

E non era una quisquiglia di poco conto, non nel loro appartamento.

Da quanto non entrava in cucina e qualcuno gli preparava la colazione? Da quanto non si ritrovava a fissare la bellezza delicata di una donna appena sveglia? Da quanto non sentiva il cuore contorcersi in una morsa di piacere nel ritrovarsi di fronte un simile spettacolo di pura bellezza? 

Da tanto, troppo tempo.

Da quando avevano cominciato a convivere, agli antipodi della formazione della band, Seung-Hyun si era trovato a fare i conti con coinquilini egoisti che non si premuravano nemmeno di tirar fuori dalla lavastoviglie la sua tazza preferita, figurarsi se si cimentavano nell’ardua preparazione del suo amato caffè. Noi non lo beviamo, dicevano, preparatelo da solo, esalavano scazzati, glissando su altri lidi. O su altre telenovele di dubbio gusto.

E quindi no, non si sarebbe dovuto stupire se entrando in cucina avesse visto il tavolo apparecchiato per uno, con la sua tazza ancora in lavastoviglie e la caffettiera ancora a sgocciolare nel lavandino. No, sarebbe stata la sua consueta e ormai indifferente abitudine che gli avrebbe aperto quella giornata monotona.

Ma quando avanzò in cucina, qualcosa di diverso lo turbò non poco, un tassello fuori posto, se così lo si voleva chiamare: che quella quotidianità, per una volta, fosse stata scalfita da un gesto banale e privo di significato ma che ai suoi occhi, era parso bello nella sua diversità tanto da fargli mancare un battito. E poi un altro ancora. Il tempo di rendersi conto che con Lindsay, nulla era banale e scontato: perché le tazze sul tavolo erano due, l’aroma di caffè che gli impregnava le narici non proveniva dalla palazzina di fronte e la moka era sul fuoco, fumante e calda. Tutta questa traumatica diversità avrebbe dovuto spaventarlo o almeno farlo correre ai ripari… Ma un fiotto di calore prese a spandersi nel suo corpo e un mezzo sorriso spuntò sul volto, incapace di controllarsi.

-Almeno non abbiamo debiti.- mormorò grattandosi il naso lentigginoso.

C’era tanta bellezza, in tutto quel cambiamento. C’era così tanta bellezza nella sua impacciata gratitudine, che quasi sentì il cuore esplodergli nel petto e se non avesse portato una mano alla sua altezza, probabilmente si sarebbe ritrovato con un enorme cratere nella gabbia toracica.

-Non avresti dovuto.- replicò con lo stesso tono incerto, massaggiandosi il collo mentre si chiedeva come mai questi minuscoli gesti potessero sortire tanto potere. Ma una spiegazione, non l’avrebbe mai trovata; non riusciva nemmeno a spiegarsi come avesse potuto riscoprirsi attratto da una persona che andava ben oltre il suo ideale di donna.

Un sorriso abbozzato spuntò, come il primo fiore di ciliegio che apre la stagione primaverile –Non c’è di che.-

Sbuffò interiormente nel constatare che Lin sapeva sempre vedere il buono in ogni sua cazzata, senza rinfacciargli nulla, perdonandolo. Sospirò mentre lo sguardo si spostava sull’ambiente circostante, fossilizzandosi sul tavolo. O meglio, su quello che una volta era stato un tavolo…

Perché effettivamente c’era qualcosa da mangiare. Peccato che quel qualcosa, non fosse esattamente e solo qualcosa. Era tanto, troppo… Un arsenale di cibo aveva invaso la cucina già incasinata dalla sera precedente e mentre lui la fissava con sbigottimento, farcito da una puntina di irritazione –perché aveva il vago sentore che quel macello lo avrebbe pulito lui, da bravo pirla che era-, quella malefica americana se ne stava al suo fianco sollevandosi sulle punte dei piedi, le mani dietro la schiena e l’aria di chi ha compiuto un’enorme ed epica impresa. Si schiarì la voce mentre compiva un paio di passi, lasciando alle spalle la camera da letto -Cos’è tutta quella roba?- l’indice oscillò in direzione del campo di battaglia. Le brioche ai lati in direzione d’attacco, acquattati nelle trincee c’erano dei biscotti alla crema mentre alcuni biscotti al miele giacevano riversi sulla superficie di mogano, fra le cartacce abbandonate.

Lin alzò le spalle –La nostra colazione.-

A quel nostra, un brivido scorse lungo la spina dorsale, andando a recuperare il suo cuore in caduta libera. Il modo naturale con cui l’aveva pronunciato, quasi non ci fosse sotto nulla –ed era così, d’altronde-, lo aveva fatto sentire bene. Ma non bene e basta, bene in maniera pacifica, come se il karma stesse brindando alla sua salute. Era come essere legati da un filo invisibile, come se una qualche sorta di legame si fosse instaurato tra loro. Lin gli scivolò affianco, lasciando dietro sé la sua intramontabile scia di pesca che per tutta la notte lo aveva cullato, e lui ne approfittò per osservare il suo sedere. E il tavolo, ovvio –Hai invitato un esercito a mangiare?-

Lin, occhi socchiusi, seguì la linea del suo sguardo –Ho fame.- fu tutto ciò che gli concesse dopo una fugace analisi della situazione.

Top si avvicinò a tutto quel ciarpame, andando in soccorso di tutta quella bontà che, sicuramente, aveva trovato nella dispensa di Taeyang –Diventerai un bue.- non si morse la lingua dopo quel commento sgraziato, conscio che lei non se la sarebbe presa. Ormai, non se la prendeva più per la sua indisponenza demenziale. Lin avrebbe scavalcato quel suo muro di incertezza iniziale che fungeva da barriera e avrebbe cercato di andargli incontro, visto che lui era così scemo da inciampare nei propri passi.

-E chissenefrega. Il cibo è uno dei due piaceri della vita.-

Beh, sì, nh…

-E l’altro?- non fece in tempo a darsi dell’ingenuo per quella sciocca domanda che la voce di Lin arrivò cristallina a dargli la mazzata finale.

-Il sesso.-

Ah, già…

Ecco, la semplicità di cui parlava prima. Il suo essere così spontanea in discorsi che lui a malapena affrontava con gli amici. Il suo uscirsene con invidiabile naturalezza con frasi e parole che le altre non gli avrebbero rivolto con tale serenità. Anzi, le altre sarebbero rimaste a fissarlo imbambolate perdendosi in civettuoli commenti come Oh, come sei bello appena sveglio! e amenità del tipo Il tuo alito sa di rose di campo!, il tutto condito da occhi sbrilluccicanti e cuoricini vaganti e assassini.

Lei gli aveva solo rifilato un medio alzato.

Si grattò la nuca e nascose il rossore gironzolando come un animale in cattività, evitando di incrociare il suo sguardo paralizzante -Ma dove la metti tutta sta roba?- commentò a bassa voce, scrutandola di sottecchi. Ricordava ancora di essere riuscito a farla aderire a sé con una stretta leggera, intimorito al pensiero di sentirla spezzarsi sotto le proprie braccia. Ma Lin, come un ramo verde, non si era spezzata. Anzi, ne era uscita più integra di lui che, ancora scombussolato dalle emozioni che solo lei era riuscita a risvegliare, ora fissava la tavola imbandita con le mani in tasca e la faccia di chi ha appena realizzato di essere a dieta ferrea.

Vide una mano bianca di Lin allungarsi sul tavolo e agguantare un biscotto a forma di orsetto, portandolo alle labbra con noncuranza sotto il suo sguardo seccato. Sul viso, il suo solito velo di impassibilità, scalfito da un vago accenno di curiosità -Non mangi?- scosse la nuca e Lin corrugò la fronte –Dovresti mangiare. Sei magro.-

MAGRO?!

-Magro?!- scattò fissandola allucinata, le sopracciglia che formavano un arco perfetto e la bocca semiaperta mentre la vedeva alzare le spalle.

-Non ti metterai a fare la star che conta le calorie- esalò ironica, rovistando fra le cartacce. Le parve un topolino fra i rifiuti, ma evitò di dirglielo, limitandosi ad osservare le sue sopracciglia arcuate –Ma tu mangi abbastanza?-

-Certo che mangio!-

-Non si direbbe. Sei magro- ripeté pensosa, facendo scivolare verso di lui una confezione di brioche alla marmellata che, alla sua sola vista, gli stava dando la nausea. La allontanò con due dita, posando una mano sullo stomaco mentre una smorfia di disgusto gli corrodeva i lineamenti del volto –Siediti. Il caffè è quasi pronto. E mangia un po’.-

E lo aveva sentito, lo strappo.

Quello strappo che si provava nell’anima, quando un terremoto di dolcezza invadeva quelle poche certezze che continuavano a svettare alte e indomabili, ma che si logoravano a furia di rimaneggiarle troppo spesso. E che lui, da ormai anni, non aveva più avvertito. Perché era cresciuto, ovvio, e perché da quando Top dei Big Bang aveva fatto la sua comparsa sul mondo della notorietà, non c’era stato più nessuno ad offrirgliene un po’. Perché era cresciuto e aveva deciso di lasciarsi tutto alle spalle, che della dolcezza non se ne faceva nulla.

Non se ne era mai fatto nulla….

 

Le coperte che si scostavano -E’ ora di alzarsi, tesoro.-

La luce del mondo che lo invadeva -Ho sonno.-

Un sorriso -Dai, mamma ti prepara la colazione.- la sua luce, che lo invadeva.

 

Si era quasi dimenticato di cosa significasse avere qualcuno che si prendeva cura di lui. Perché pur nella sua selvaticità, Lin si stava rivelando di una delicatezza disarmante, dotata di un amore materno che si era visto strapparsi con il suo debutto. No. Che aveva permesso gli venisse strappato. Un amorevolezza che nemmeno i sorriso dolciastri e mattutini di Tae e Dae riuscivano a sortire.

Perché era grande, solo e sapeva badare a sé stesso. Non ne aveva avuto più bisogno…
 

-E dovresti dormire. Hai due occhiaie spaventose.-

Non ne aveva bisogno…
 

-Ma tu dormi abbastanza?-
 

Ma quell’amorevolezza, voleva avvertirla ancora. Voleva sprofondarci senza più riserve. Voleva immergercisi a picco e vedere quanto potesse restare in profondità senza esplodere per la miriade di sentimenti contrastanti che gli opprimevano il petto…
 

-Sei pallido. Non ti fa bene.-
 

Pe vedere quanto tempo avrebbe trascorso senza bruciare al cospetto della sua luce rovente…
 

-Hai mangiato?-

 

-Hai mangiato?-

Pose gli occhiali sulla scrivania, si massaggiò una tempia -Sì, mamma.-

Un sospirò oltre la cornetta –Sicuro? Nell’intervista di ieri, mi sembravi così sciupato.-

Sorrise, ringraziando di non essere scorto –Sì, mamma. Possibile che tu me lo chieda sempre?-

La sua risata dolce –Cuore mio, ricorda, la frase d’amore, l’unica, è: hai mangiato?-

-Che scemenza!-

Il suo sospiro –Un giorno mi darai ragione.-

La propria risata rauca -Non penso proprio…-

 

Si contrasse in una smorfia di angoscia, di sfinimento, lasciandosi cadere sulla sedia del tavolo.

Le dolci parole di sua madre riecheggiarono prepotenti nell’androne del suo cervello, ora in completo blackout. E nascose un sorriso di derisione per sé stesso dietro il palmo aperto della mano, grato che Lin gli avesse dato le spalle per preoccuparsi della colazione.

E mentre fissava la sua stretta schiena su cui a lungo aveva posato lo sguardo quella notte, ripensò a quanto avesse reputato sciocche e infelicemente tristi le frasi che sua madre gli rivolgeva con passione, credendoci forse un po’ di più di quanto avrebbe dovuto. Perché nella sua logicissima visione delle cose e del mondo, Hai mangiato?, non era la frase d’amore più appropriata da rivolgere a qualcuno. Ti sei lavato?, quella era una frase densa di amore, per quanto stramba e poco galante. Sì, era così. Perché lavarsi avrebbe significato non vedere l’ora di abbracciare il mondo, gettandosi alle spalle quel peso di sofferenza e depressione che solo le quattro mura domestiche avrebbero scorto e sanato. Lavarsi significava essere pronti a ricominciare, ecco.

Mangiare, invece, era un’azione insita nell’uomo; anche nelle giornate più nere, bisognava cercare di sopravvivere almeno fisicamente. Quindi, in breve, Seung-Hyun aveva sempre creduto che quella frase fosse una minchiata pazzesca. Ovviamente non lo aveva mai detto a sua madre, consapevole che il suo sorriso luminoso avrebbe smesso di irradiare la cucina di fronte al suo scetticismo. Così si era sempre ritrovato ad annuire mentre beveva il caffè, spiluccando qualche biscotto per tenere la bocca impegnata. Ma mentre la vedeva gironzolare per la stanza, avvolta nel suo grembiule blu a pois bianchi, canticchiando canzoncine che non orecchiava da quando era entrato nella fase della pubertà, Seung-Hyun non aveva smesso di ribadirsi questo concetto: che l’amore, non c’entrava nulla con il cibo.

E non sarebbe stata una tavola apparecchiata per due a fargli adottare una nuova prospettiva…

-Hai mangiato?-

-Cosa?- si ridestò, sgranando appena gli occhi quando scorse una Lin che si era fatta vicina, troppo, e mani sulle ginocchia piegate lo scrutava da quelli che, a ben vedere, saranno stati sì e no una decina di centimetri. La guardò con un misto di inquietudine e confusione, lo sguardo non più puntato sulle malefiche merendine ma su di lei che giocherellava con un lembo della felpa nera.

Roteò gli occhi –Ho chiesto se hai mangiato qualcosa- con il pollice e l’indice tirò il colletto delle tre felpe, allentandoli, cercando di far passare l’aria in gola pur di non morire sul colpo. Ma nessun suono sfuggì alle sue labbra e, apparendo più ritardato di quanto già non fosse, scosse la nuca –Non ti piace nulla?- Lin si rialzò, concedendogli un attimo di tregua, e indicò le leccornie sparse sul tavolo, facendo gorgheggiare il suo stomaco.

Solo quando il torpore e l’ansia scemarono, si premurò di partecipare alla conversazione -Sì, ma non posso.-

-Non puoi?-

Scrollò le spalle –Sono a dieta.-

A quella rivelazione seguì un minuto di silenzio, quel tipico loro silenzio in cui si fissavano, si studiavano, dando un senso a ciò che era appena stato detto.

Fu Lin la prima a districarsi da quel mutismo che li aveva circondati -Non capisco il senso della tua dieta.- fu tutto ciò che gli concesse con un piccolo sbuffo, riservando la propria massima attenzione ad un biscotto al cioccolato ed uno alla crema.

-Non deve avere tutto un senso, eh.- sbottò con malagrazia, mettendosi a braccia conserte. Si sentiva come quando, a cinque anni, sua madre gli metteva sotto il naso le verdure lesse e lui, nonostante le lagne e le lamentele, era costretto ad osservare la sua schiena piegata verso il lavabo, con sottofondo la sua voce che gli ribadiva quanto le verdure facessero bene. Uno spettacolo che ogni tanto ricapitava nella sua mente, facendo schiudere un sorriso di malinconia.

-Stai bene così. E’ inutile.- la sua pacatezza lo riportò alla realtà.

-E’ per lavoro.-

-Oh, già, il lavoro.- si grattò la nuca, alzando poi le spalle prima di allungargli una scatola di biscotti al miele, lasciandogliela lì come se fosse un Chocobo da catturare. Sorrise un poco nel constatare che lei, nonostante tutto, non si arrendeva alla prima banalità. E l’imbarazzo che non si era presentato, non provò nemmeno a bussare alla loro porta. Lei era sempre la solita troglodita e lui il solito pirla che ci metteva almeno qualche minuto di troppo per ingranare la marcia e rendersi quantomeno accettabile ai suoi occhi; quegli occhi enormi che ora lo scrutavano con severa maternità. Addentò un biscotto e poi un altro ancora, fino a quando lei si stancò e si mise a versare il caffè e il the nella tazze rubate dall’arsenale di Ri.

Il loro tintinnio sovrastò il frusciare delle cartacce e quando vide Lin sedersi con scazzo davanti a lui, rigirando pigramente il cucchiaino nella tazza sorridente, si accorse di come chiacchierare con lei di prima mattina non fosse poi così pesante. Faticoso, certo, giacché la bocca impastata e il cervello in panne non lo aiutavano a sembrare meno ritardato del solito, ma non pesante. Fu così che, immerso in quel cullante silenzio, osservando la finestra, riuscì a spiccicare un insensato –La bufera ieri è stata tremenda.-

Consapevole che Lin avrebbe risposto -Ha lasciato giù parecchia neve- con voce rauca, schiarendosela con un paio di tossicchiate. Così come, puntualmente, Lindsay se ne sarebbe uscita fuori con un altro vaneggiante -Non la trovi bellissima?- indicandogli il cielo grigio con l’indice laccato di blu. E lui, a pensarci bene, non è che adorasse la neve. Sin da bambino, si era sempre sentito un minuscolo puntino colorato in mezzo a tutto quel candore talmente tanto bianco che aveva rischiato di smarrirsi parecchie volte. E se non fosse stata per quell’anima pia di sua madre, probabilmente a quest’ora sarebbe divenuto un pupazzo di neve.

Ma, beh, ecco… L’altra sera, seguendo le impronte frettolose e sparse di Lindsay, tutto quel bianco non aveva sortito alcun effetto negativo. Forse perché, in due, quel candore non faceva poi così paura. E nemmeno smarrirsi sembrava così terrificante, non con lei al proprio fianco.

-Ora stai bene, giusto?-

No, per una volta era stato piacevole perdersi…

Con un mezzo sorriso, esalò –Non è malaccio.- che sembrò indispettirla, come se fosse irritata dal suo scarso trasporto. E no, non l’avrebbe spaventata dicendole che lei aveva sopperito quell’abominevole sensazione di abbandono che da anni lo trafiggeva da parte a parte. Già quella sciocca constatazione lo stava facendo tremare di paura, figurarsi come avrebbe reagito la regina dell’anti-amore!

-Chissà se c’è ancora.- la sentì mormorare meditabonda mentre spizzicava una brioche alla marmellata, la tazza di the fumante fra le mani.

-Cosa?- mai che Lin si sforzasse di dirgli le cose subito, eh.

-La pista di pattinaggio.-

-La pista di pattinaggio?-

-Sì, la pista di pattinaggio- si ostinò a ripetere, seccata forse dal suo tono un po’ sbigottito –Quella vicina al parco. Quella all’aperto- la vide soffiare sul bordo, un sorriso appena accennato a pitturarle il viso –Mia madre mi ci portava sempre, da piccola.-

Arricciò le labbra mentre guardava il soffitto, distogliendo così lo sguardo da tutta quell’armoniosità che gli stava straziando il cuore, assorto -C’è ancora. Magari— si bloccò, tornando a fissarla da sotto le enormi lenti.

Magari… Cosa?

Ce l’avrebbe portata lui? L’avrebbe scortata fino a lì una volta tornato dal suo tour? Le avrebbe chiesto un appuntamento con meta una stupida pista di ghiaccio all’aperto? Quella, di sicuro, lo avrebbe sfregiato con le lame dei pattini…

Sei proprio un cretino…

-Magari?- lo incalzò Lin.

Sorrise un poco, alzando le spalle –Magari potresti andare con Ginko.-

La vide annuire dopo un leggero ciondolamento del capo -Già, con Ginko- mugugnò lei addentando una fetta biscottata, facendo ripiombare il silenzio sonnacchioso che li aveva trovati avvinghiati in un abbraccio. E proprio quando credette che la colazione si sarebbe svolta in siffatta maniera, magari intervallata da quelle loro solite chiacchierate un po’ inutili che non lasciava trasparire nulla del loro vero essere, Seung-Hyun si ritrovò travolto da una domanda scema, così come tutte quelle che Lin gli rivolgeva dal nulla –Tua madre com’è?- ma che ebbe la strabiliante capacità di paralizzarlo.

-Cosa?-

Lin alzò le spalle –Non ne parli mai.-

-Nemmeno tu della tua!-

Storse il naso –La mia è una stronza, lo sai- per poco non si strozzò col caffè; si prese del tempo per salvarsi, poi la guardò allucinato –Andiamo, com’è?-

Non c’era modo per scampare a quella domanda, vero? Non è che non volesse parlarne. La verità era che non aveva granché da dire. Perché le voleva bene, da morire; perché quando le telefonava, bastava dire Sono io e lei sospirava di sollievo, salutandolo con quella sua dolcezza materna che gli riempiva sempre il petto; perché per lui sarebbe sempre rimasta la mamma e lui il suo cuore; perché non sarebbe riuscito ad esprimere a parole l’affetto che li legava, percepibile nonostante la distanza. E così, uno scialbo –E’ buona- gli sfuggì, seguito da un altrettanto banale –Andiamo d’accordo, ci sentiamo spesso- adesso un po’ meno -A dir la verità, non la sento da un po’.-

-Come mai?- non c’era curiosità nella sua voce strascicata, ma continuava a fissarlo, segno che voleva sentirlo ancora parlare.

Top si grattò la nuca turchese –Sono sempre preso con il lavoro. Non ho molto tempo. E quando ce l’ho, sono troppo stanco- guardò i cerchi nella tazzona del caffè, perdendovi lo sguardo colmo di colpevolezza –Le avevo promesso che sarei passato a trovarla, prima di partire.- lasciò la frase in sospeso, indeciso se palesare la cruda verità o lasciarle cogliere ciò che più le aggradava.

Ma quando il rumore del cucchiaino che girava cessò, Top udì la voce pacata di Lin –Vedrai che capirà. Le madri perdonano sempre i propri figli. Più o meno- ma lei aveva capito. Senza bisogno di addentrarsi in futili particolari, lei aveva colto appieno il fulcro pulsante del suo senso di colpa e lo aveva colpito con quella sua insolita dolcezza che sempre lo lasciava in muto silenzio –Però dovresti chiamarla.-

-Te l’ho detto, non ho mai tempo.-

Lin lo scrutò accigliata, poi aprì un braccio che circondò la stanza –Non stai facendo nulla, ora.-

Colpito e affondato.

Come dirle che non voleva perdere nemmeno un centesimo di secondo in sua compagnia? Che quei minuti assieme si stavano rivelando la cosa migliore che gli fosse mai capitata dopo la sua elezione come quarto membro dei Big Bang? Che più il tempo passava, più avrebbe voluto mandare indietro le lancette dell’orologio che, indolente, avvicinava la loro separazione?

-Sto mangiando.- recuperò un biscotto, infilandoselo in bocca.

-Dovresti chiamarla.- ribadì secca, con quel suo solito puntiglio intransigente di chi non ammette repliche. Di chi, per qualche strana ragione, voleva evitare di essere toccato in primis da quel discorso scomodo.

-Parli proprio tu?- la vide sollevare lo sguardo con indolenza, quasi fosse stata seriamente colpita dalle sue parole taglienti –No, niente.-

Ma a dispetto delle sue paranoie ora saldatesi nelle cavità del suo cervello che continuava a dargli dell’emerito coglione, Lindsay non se la prese, non scappò e nemmeno gli corrose il viso con il the bollente. Si limitò a poggiare il mento sul palmo della mano, continuando a far roteare il cucchiaino in un movimento ipnotico -Io la chiamo, non spesso, a volte. Ma finiamo col litigare. Così stacco il cellulare, che se mi cerca non ci sono- giocherellò con una cartaccia, un barlume di sorriso a dipingerle il volto –Pensavo che la distanza avrebbe sistemato qualcosa. Ma non è che sia servito.-

Si rese conto, per la prima volta, di come loro non avessero mai parlato. Parlato sul serio, intendeva. Le classiche, corpose chiacchierate che ci si scambiava per svelare particolare, aneddoti oscuri ai più. Che servivano per stabilire un legame in tacito accordo -Ma tu vuoi sistemarle?- e forse fu per questo che le porse quella domanda, ma quando lei tornò a guardarlo con contrizione, ogni rammarico svanì. Se ciò significava conoscerla di più, allora ogni errore diventava d’obbligo.

-Non lo so- soffiò pensosa, stringendosi nelle spalle –Lei-Noi siamo cambiate da quando papà se n’è andato- portò dietro l’orecchio una ciocca di capelli, mettendo in mostra i piercing che lo attorniavano -Se tutto ciò che era importante se ne va, il resto diventa superfluo, no?- gli rivolse un sorriso fugace prima di rigettarsi sulla tazza di the.

E, come era accaduto rarissime volte, si stupì della sua umanità. Del suo essere fragile ma senza esporsi in maniera eccessiva, del suo renderlo partecipe della propria vita solo a sprazzi, che scoprirsi avrebbe significato mettersi alla berlina. E magari avvicinarsi, che forse già così era troppo.

Vide le labbra carnose appoggiarsi al bordo della tazza rosa, le palpebre abbassarsi, mentre le sue parole si perdevano nell’aria.

Quell’immagine, più di tutto, ebbe il potere di sconvolgerlo.

E poco importava che i capelli di Lin sembrassero una matassa disordinata e informe, poco importava che il suo volto fosse più pallido del solito, poco importava che la sua larga tuta della Fubu mascherasse le sue forme, facendola apparire più una casalinga disperata che una ventenne nel fiore degli anni, poco importava che il suo umore apparisse già nero. Davvero, tutto questo non aveva alcuna importanza.

Non ora…

Ne aveva solo Lindsay. Il resto, poteva andare a farsi benedire.

E quando Seung-Hyun ebbe la percezione che la sua mente stesse degenerando, sull’orlo del delirio, comprese di essere ormai alle prese con un sentimento troppo grande da gestire, che era fuori dalla sua portata. Che se ad un tratto si era riscoperto desideroso di essere il suo tutto ciò che è importante, forse una linea sottile era stata oltrepassata senza nemmeno rendersene conto.

E fu forse per quella sciocca quanto improvvisa constatazione che si ritrovò a fissare il suo viso ora rivolto alla porta, un vociare concitato che proveniva dalle scale…

-Hanno liberato gli gnu?-
 

I suoi occhi grandi e profondi, che lo guardavano con malcelata gentilezza, mai fanatismo…

-Ah, no, è Ri che corre…-
 

Le sue labbra, che avrebbe voluto assaporare in tutta la loro carnosità, per vedere se erano davvero così invitanti come continuava a ripetersi nelle notti insonni…

-Che palle. Sono troppo rumorosi.-
 

Per perdersi, e ritrovarsi solo quando sarebbe stato lontano da lei. Dalla sua voce. Dalla sua inaspettata dolcezza. Dall’affetto che provava nei suoi confronti…

-Oi, non stai bene?-
 

E non riuscì a trattenersi, non ce la fece…

-Lin…- che tanto non l’avrebbe rivista, si sarebbe scordato di quanto preziosa fosse divenuta per lui, e lei lo avrebbe scartato dalla propria vita prima ancora che lui potesse farlo con lei.

Ma aveva alzato lo sguardo, aveva incrociato i suoi occhi nocciola ora attenti e puntati nei suoi, non più sulla porta –Cosa?-

E non era stato più capace di frenarsi –Tu mi manch— le parole si persero, mescolandosi al suo grugnito di stizza. Una carta appallottolata gli era stata scagliata contro e ora, ad incarico terminato, rotolava paciosa sul tavolo colmo di sue compari accartocciate. Il mandante di quell’oggetto volante, una Lindsay dallo sguardo vitreo e la mano alzata.

Ma che caz—

-Toglitela.-

Corrugò la fronte nel venir travolto dalla sua pazzia improvvisa. E da un’altra cartina –Togliermi cosa?!-

-Quella faccia!- agitò le mani mentre si alzava per posare la tazza nel lavabo.

La imitò, fissandola allucinato –Quale faccia?!-

-Quella che hai addosso!- avvicinò le dita sulla sua fronte corrugata e Top avvertì i suoi polpastrelli bruciare al contatto con le dune naturali che si erano formate, chiaro segno della sua perplessità –Sembri un cane bastonato! Queste dovrebbero stare giù.- gli modellò le sopracciglia, vanificando il suo tentativo di esporsi almeno un poco.

Scacciò la sua mano –Ma la smetti?! Mi fai male!-

-Oh, come sei delic— lo guardò arcigna quando si ritrovò a venir colpita da una scarica di cartacce. Ricambiandolo con la stessa moneta. Una volta, due, fino a quando non si ritrovò a ridere come un deficiente. E lei con lui, seppur nella sua solita maniera più contenuta… E si dimenticò della sofferenza, della partenza, di quanto il suo mondo sembrasse un posto inospitale se solo lei avesse varcato quella soglia e lo avesse abbandonato –Sei un idiota!- sbottò lei dopo avergli lanciato contro una brioche alla crema.

Ma non fece in tempo a colpirla, che la porta di casa si aprì; i suoi amici erano tornati -Possibile che voi due vi prendiate sempre… A qualcosa?!- si lagnò Ginko agitando le manine, schivando abilmente un paio di pallottole di carta che, dispettose, andarono a colpire in pieno un Ri insonnolito sulla porta.

-Oh, e noi che speravamo di trovarvi nudi sul pavimento.- l’inconfondibile voce di Ji Yong, mal celante delusione, lo fece imprecare interiormente. Gli rivolse un’occhiataccia ma tacque, limitandosi a venir travolto dall’isteria di Dae che aveva cominciato a blaterare sul disordine con cui erano stati accolti.

-Ah, io non pulisco questo macello.- si intromise Tae reprimendo uno sbadiglio mentre Daesung continuava la sua sceneggiata melodrammatica. La vide farsi lontana, si fece un po’ più lontano…

 

E il tempo dei saluti giunse come una condanna a morte.

Ginko se ne stava imbronciata di fianco alla porta mentre un SeungRi mezzo addormentato lasciava ciondolare la testa; Ri che si svegliò immediatamente quando la Fujii, con voce impastata e coprendo lo sbadiglio con una mano ingioiellata, esalò uno stanco –Beh, allora noi andiamo.- prima di venire sommersa da un brodo di giuggiole farneticanti alla No, dai restate ancora qui!.

-Mio padre mi ammazza.- fu tutto ciò che borbottò Lindsay, facendo così cadere ogni infantile lagna.

E gli abbracci si sprecarono, gli sbuffi di Lindsay anche, le quasi lacrime della Fujii poi rischiarono di inscenare un allagamento in cucina. E non fu tremendo vedere Dae o Tae stringere Lin a sé con delicatezza, dandole una pacca sulla schiena; non fu tremendo vedere Ji Yong e lei scambiarsi un amorevole dito medio alzato in segno di affetto e non fu tremendo vedere Ri stritolarsela nemmeno stessero partendo per la guerra, no.

Fu tremendo rendersi conto che il suo turno era già arrivato. Che l’addio, era ormai reale. E che l’ultima immagine che avrebbe serbato di lei, sarebbe stata la sua figura in piedi sull’uscio che lo fissava con un sorriso leggero, senza nemmeno rendersi conto di quanta vita gli avrebbe strappato una volta posate le converse oltre la porta.

E quando Dae gli diede una pacca sulla spalla per infondergli coraggio, sentì di non poterci riuscire. Il cuore batteva all’impazzata, la gola era secca ed era sicuro che, se l’avesse stretta fra le braccia, non l’avrebbe più lasciata andare. Ma Lin, stretta nella sua giacca nera, gli aveva sorriso appena –In bocca al lupo per il tour.-

-Grazie.-

-Tutto qua?!- squittì con voce tombale la Fujii da dietro le spalle di Lin, saltellando per farsi vedere.

La guardò seccato, maledicendo sé stesso per la propria scarsa loquacità. Il fatto era che avrebbe voluto dirle un mucchio di cose, ma il suo tempo era ormai scaduto. E lei era già oltre la soglia, distante e irraggiungibile.

Ma salvifica come sempre, giunse Lin, rivestita di quella sua particolare dolcezza che ancora una volta ebbe il potere di farlo sentire in pace con sé stesso…

-E mangia. E dormi.-

E che lo fece riscoprire un po’ più smarrito.

Le rivolse un sorriso sincero prima di vedere le sue spalle e i capelli coperti dalla sciarpa di lana. Era ingiusto... Se ne riscopriva attratto e la vedeva andare fuori da casa propria senza averle detto alcunché. E tra pochissimi giorni sarebbe partito per due mesi in Giappone. 

GD gli aveva circondato le spalle con un braccio, sbucando fra i suoi pensieri –Vedrai che nulla cambierà- corrugò la fronte mentre vedeva la porta chiudersi e con lei, ogni sorta di felicità –Ormai sei cotto a puntino.- un ghigno, un’altra pacca al suo orgoglio calpestato e poi la solitudine… E da quelle poche cose che gli aveva lasciato in ricordo. Il suo profumo di pesca. Le sue dita affusolate fra i capelli. Il sapore del suo respiro. La sua nuca corvina sul petto. No, lei gli aveva lasciato qualcosa che non era visibile ma che per qualche strana ragione, il suo cuore riusciva a percepire, continuando a battere.

E non sapeva se esserne felice o semplicemente terrorizzato.

Sgusciò dalla presa dell’amico senza replicare alla sua ovvietà, passò vicino al tavolo e recuperò una merendina. Il rumore della carta aperta seguì lo starnazzare dei suoi amici che gli chiedevano di mettere a posto quel campo di battaglia sul tavolo; quello della porta di camera che sbatteva, chiaro segno che voleva essere lasciato solo; quello delle molle che si assestarono dopo essersi buttato a peso morto sul letto, un braccio dietro la nuca e l’altro poggiato sullo stomaco.

 

-Se tutto ciò che era importante se ne va,

il resto diventa superfluo, no?-

 

Prima ancora che potesse rendersene conto, con sottofondo gli schiamazzi degli altri, Seung-Hyun si era ritrovato ad avvicinare il cellulare all’orecchio dopo aver premuto il tasto numero 1 per le chiamate rapide. E un sorriso di malinconia spuntò quando la voce squillante di sua sorella, resa un po’ elettronica dal nastro della segreteria, si propagò nel suo orecchio.

E avrebbe potuto chiudere, che tanto nessuno sarebbe corso a rispondergli. Ma quando udì il classico Bip, sentì la propria voce baritonale spargersi per la stanza immersa nel buio –Ciao mamma, sono io. Nulla di importante, volevo solo dirti che sto bene- che mi manchi -che sarei voluto passare a trovarti prima di partire, ma non ho avuto tempo- che mi mancate tutti –Ah, sì, e che ho mangiato…-

 

-Ricorda, la frase d’amore, l’unica è: hai mangiato?-

 

Sorrise nella sua confusione, passandosi una mano sugli occhi, lasciandola scivolare fra i capelli mentre la voce si incrinava –E per dirti che avevi ragione tu e che mi sbagliavo io. Quindi scusa.-

 

*****

 

-Non la apri?-

-Non mi va.-

-Magari è una cosa bella.-

-Da parte di Emily?- arcuò un sopracciglio scuro.

Ginko gonfiò le guance –Se non la apri, non lo saprai mai- fissò la busta bianca posta al centro del tavolo, un post-it a fiorellini che spiccava con calligrafia grassoccia e disordinata, con un inquietante quanto spronante Promettimi che ci penserai –Forse dovresti aprirla.

-Sì, forse.-

-Già.-

-Forse tra un po’.-

-Ora!-

-Ora non mi va. Mi va del the- il rumore secco della sedia che si scostò, interruppe quel loro siparietto fatto di frasi troncate e colme di tensione, nemmeno quella minuscola bustarella fosse un pacco bomba pronto ad esplodere –Tu ne vuoi?-

E Ginko annuì, appiattendosi contro lo schienale dell’alta sedia dirimpetta al bancone dell’ampia cucina di casa Moore. Lo sguardo pesante indugiò sulla stretta schiena di Lindsay, quasi volesse perforarla con la propria minacciosità da cocker spagnolo, ma quella continuava a ravanare in giro senza lasciarsi scalfire. Anche se mancava poco, glielo aveva letto nello sguardo sfibrato con cui l’aveva accolta in casa, nei suoi gesti secchi mentre la rivoltava, quasi sperasse che il mittente cambiasse magicamente. Ma le scritte curvilinee e perfette non erano sfumate, indelebili sul candore di quella busta che alla sola vista sembrava pesare più di un macigno.

Si chiese che effetto le facesse sorreggere tutto quel peso con le sue magre dita affusolate, ma non ebbe il tempo di chiederglielo, giacché le sue imprecazioni sbottanti la circondarono con inaspettato calore –Oh ma che palle! Perché si nascondono sempre?- e un sorriso spuntò. Era bello vedere che, nonostante le difficoltà, l’amica continuasse a restare la solita sboccata ragazza che aveva imparato ad apprezzare.

-Cosa?-

-Le bustine del the.-

-Ah.-

Scrollò di dosso la frustrazione che il nervosismo di Lin aveva portato con sé, lasciando vagare lo sguardo lungo le pareti adornate da quadri e foto di famiglia in cui la ragazza non figurava. Storse il naso. Se era anche lei una Moore, perché non c’era nemmeno un suo scatto? Sua madre, a casa, aveva riempito una stanza intera con la foto di lei e le sue sorelle e fratelli.

E proprio quando stava per porle quella sciocca domanda, ovvero perché nessuna foto la ritrasse, vide le spalle di Lin incurvarsi, presagio che qualcosa di serio sarebbe avvenuto di lì a breve. Perché le spalle di Lindsay non si curvavano, mai. Tranne quando piangeva perché aveva preso a librate un Top selvatico; quando diceva di odiare suo padre, ma non troppo; quando le doveva chiedere scusa –Senti, per l’altra sera… Scusa se ti ho lasciata sola.- proprio come allora.

E Ginko, emotiva come mai nessun’altra, sentì come se gli occhi le si sarebbero riempiti di lacrime non tanto perché commossa dalla sua impacciata dolcezza che stava riempiendo l’aria di tenerezza, ma perché Lin sembrava volerle dire che, se se n’era andata, era stato solo e soltanto per trascorrere un po’ di tempo in compagnia di quel caro ragazzo che era Seung-Hyun. Certo, questo dal suo roseo punto di vista. E quando realizzò ciò, la passione scemò; chissà che passava nella mente contorta dell’amica.

-Non preoccuparti, mi sono divertita lo stesso!-

Storse la bocca –Ma c’era Ji Yong.-

Ginko inclinò il capo, così come tutto del suo viso si inclinò in un’espressione truce –Guarda che non è un mostro!-

-Ma è uno stronzo.- sottolineò pratica, lasciandola un attimo in bilico. Effettivamente, convenne silenziosamente con l’amica, era piuttosto intrattabile e ben lontano dall’idealizzazione che si era creata nella sua fantasia galoppante.

Ma verso la fine della serata, poco prima di crollare addormentata sul divano, si era comportato in maniera quasi gentile, quasi accorta. E le sue paturnie, lo ricordava bene, erano sparite completamente. E allora anche l’assenza di Lin non si era più fatta sentire, relegandosi in un angolo buio della stanzetta, così come il suo sentirsi mortificata nei suoi confronti era stato un ricordo ormai lontano. Quindi, beh… Ji Yong era inversamente gentile, ecco.

-Però ha cantato con me- si passò una mano fra i capelli rossi, guardando sognante la neve che cadeva –E ho vinto due volte su tre!-

Lin posò lo zucchero in tavola –Ti ha lasciato vincere.-

Storse il naso; anche con lei avrebbe dovuto discutere sulle sue doti canore che sembrava non cogliere. Ma prese la palla al balzo, Ginko –Allora non è così stronzo- e la vide incassare il colpo con un grugnito secco prima di tornare a controllare il pentolino dell’acqua –E poi c’era anche Ri, con me.-

Lin annuì, posando una manciata di bustine rinvenute chissà dove sul bancone bianco –Ah, già- la fissò di sottecchi –Cosa c’è tra te e SeungRi?-

Se avesse avuto del the in bocca, probabilmente glielo avrebbe sputato contro per la domanda inaspettata proprio perché pronunciata da Lindsay, ma giacché la sua bocca era vuota, si limitò a boccheggiare un paio di volte prima di agitare le mani –N-Niente! E’ solo un quasi amico!-

-Quasi?-

-Beh, certo!- ed era così! Ginko non aveva molte persone che avrebbe potuto definire amici, ma non credeva che SeungRi rientrasse in questa lista. Insomma, probabilmente dopo il tour in Giappone, nemmeno si sarebbe ricordato di lei. Non fu incredibile ritrovarsi serena nonostante quella constatazione veritiera, che se lui si fosse scordato di lei, sarebbe stato il normale scorrere degli eventi. Le cose sarebbero dovute finire così, punto –Ma perché questa domanda?!-

-Perché Ji Yong è uno stronzo. Lascialo perdere.-

Incredibile fu riscoprirsi affranta al pensiero che Ji Yong, potesse, anzi no, si sarebbe sicuramente scordato di lei, della sua intonatissima voce e del suo impiastricciargli il volto con le manine sottili.

-Ancora?- borbottò sconsolata, conscia che non sarebbe mai riuscita a farle cambiare idea. E il fatto era che si sentiva mortalmente scema al pensiero di essere invaghita di un ragazzo che era sempre ad uno schiocco dalle sue dita, ma che puntualmente si lasciava sfuggire. Ecco, si sentiva come un adolescente innamorata della classica popstar che sognava pure di notte. Peccato che lei lo sognasse davvero e ci avesse avuto a che fare, con la differenza che lui non la calcolava di striscio. Così, dopo un lungo sospiro, decise di autoflagellarsi pubblicamente e lasciare che le risate derisorie scrosciassero su di lei –E poi, Ji Yong un po’ mi piace. Credo.- le lasciò il beneficio del dubbio, come se così potesse migliorare la propria posizione di fangirl.

Ma Lin non rise, non la guardò in nessun modo strano. Forse un po’ scettica perché il soggetto era lo stronzo, ma non si permise di deriderla. Semplicemente, versò l’acqua bollente nelle tazze e le passò una busta di the alla pesca mentre rovistava fra le altre alla ricerca del the verde –Magari è una cotta passeggera.-

-E che importanza ha? Tanto lui non mi nota- sbatté le mani sul bancone, richiamando la sua attenzione -Hai presente il video di Lene Marlyn, quello ambientato nel Far West?-

-Vagamente.- Lin continuò a rimestare fra le bustine.

-Ma sì, quello con i bambini!- agitò le mani –Il pistolero affascinante è il classico figancello biondo che da grande diventerà il capo della squadra di football, che è innamorato della morettina dai lunghi boccoli e le labbra rosse che sarà la papabile cheerleader del liceo. E poi c’è lei, la sfigata che nessuno si fila. Vestita da cactus.-

Lindsay corrugò la fronte –Da cactus?-

-Sì, da cactus!- si dimenò -Ecco, io sono il cactus!-

-Tu sei il cactus.- ripeté perplessa, sorseggiando un po’ di the.

Annuì ripetutamente, un velo di tristezza negli occhi che le stava rendendo lucida la vista -Lui- lui non guarderebbe mai un cactus come me! Guarderà di sicuro la cheerleader!- e la guardò con aspettativa, quasi volesse sentirsi rivolgere un bell’insulto per poter uscire da quel vortice di cazzate.

Ma Lin alzò le spalle -Esci con SeungRi, allora.- fu il suo laconico consiglio.

-Ma lui è fidanzato!- guance incassate e sopracciglia arcuate, Ginko dondolò i piedi, fissandola. Possibile che quella se ne saltasse fuori con certe genialate e pretendesse che la gente non ci rimanesse secca? Insomma, non erano tutte come lei! Ginko non si sarebbe mai permessa di portare via l’uomo di un’altra, non era nella sua natura! E la domanda, nella sua testolina arruffata, sorse spontanea: ma Lin, quante volte era stata amante, invece che amata?

-Mica sono sposati.- sventolò una mano, studiando la neve che cadeva lenta dal cielo.

-Sei tremenda- sospirò sgomenta, sbattendo i pugni sui fianchi per la sua mancanza di aiuto –E poi ne parli come se ci fossi abituata.-

-A cosa?-

-A fare l’amante!-

Lin alzò lo sguardo, semi nascosto dal ciuffo ribelle che le era cascato sul volto –Oh, quello. Beh, molto spesso lo ero.-

Per poco la mandibola della Fujii non cadde a terra con un tonfo sordo e se ciò non avvenne, fu solo perché riuscì a formulare una squillante domanda a velocità della luce –Come lo eri?!-

-E’ più facile- soppesò pacata, giocherellando con il cucchiaino –Ti cercano solo per una notte, poi spariscono. Sono meno esigenti.- sciorinò quella spiegazione con nonchalance, come se non sapesse che lei avrebbe squittito.

Cosa che fece, a dir la verità, ma Lin non vi badò –E se te ne innamori?-

-Ma non è mai accaduto.-

-E se succedesse?!-

-Tanto ci lasceremmo molto prima. Non sono fatta per stare con qualcuno per troppo tempo- soffiò massaggiandosi il collo –Legarsi è faticoso.-

-Ma con Top ti legheresti.-

La vide alzare il capo, lo sguardo sgomento –Certo che no.-

Annuì in silenzio, lasciandole un po’ di tregua. Tregua che durò appena due secondi, visto che come una molla si sporse sul bacone di marmo, acquattandosi vicino alle begonie -Oh, andiamo, me lo dici cos’è successo l’altra sera?-

Lin roteò gli occhi –Abbiamo solo dormito.-

-Solo?- imbronciata per la mancanza di dettagli piccanti, la scrutò –Nemmeno un bacetto, niente di niente?-

Lin allargò gli occhi nocciola, lasciando perdere la lettera per un momento, allontanandola –No, aspetta, qualcosa c’è stato- fiocamente, le aveva rivolto quella frase con pensosità, quasi si fosse lasciata sfuggire un particolare succulento –Gli ho dato un calcio sul ginocchio.-

Ginko sbatté la fronte sulla superficie liscia, facendo vibrare le due tazze da the semivuote –Non scherzare!-

-Non sto scherzando, gliel’ho dato davvero.-

La fissò imbronciata per la sua ennesima mancanza di trasporto quando si trattava di racconti romantici. Ma mente la vedeva accarezzare con i polpastrelli i francobolli che ritraevano il ponte di Brooklyn, Ginko bevve un sorso di the, schiarendosi poi la gola -Non stai scappando, vero?- la fissò con serietà, Ginko, cercando qualche indizio sul suo volto velato di confusione che potesse darle ragione, che potesse permetterle di mettere Lin alle strette.

Perché era certa che Lin stesse soffocando quella matassa di sentimenti ingarbugliati che ormai la legavano al rapper, ma era troppo spaventata dall’amore e i suoi dintorni per poterci anche solo pensare sul serio. Perciò Ginko, la cupida della situazione, doveva intervenire se voleva che quei due si dichiarassero amore eterno davanti ad un mucchio di fiori d’arancio. Che poi, conoscendo Lin, se la immaginava di borchie vestita ad un rave di tatuatori a cavallo di una moto rombante mentre Top le trotterellava al fianco con indosso il chiodo di pelle.

Lin interruppe il filo illogico dei suoi pensieri fin troppo sconclusionati -Scappare da cosa?- c’era noia nel suo tono di voce, ma comprese che era tutta rivolta ad un biscotto che si era liquefatto nel liquido scuro.

Ginko la fissò con passione -Ma dall’amore che Top prova per te!- e lei ci credeva, ci credeva davvero che Top fosse innamorato di Lindsay. Perché glielo si poteva leggere sul volto, era così chiaro e limpido che ancora si chiedeva come potesse Lindsay far finta di nulla. E poi, come un fulmine in pieno ciel sereno, comprese. Se anche lei avesse colto qualche sfaccettatura di quel sentimento a lei sconosciuto, probabilmente avrebbe fatto finta di nulla, avrebbe lasciato che perisse nell’aridità della sua freddezza.

L’ospite si rabbuiò un istante, ma le parole di Lin le fecero riacquistare un po’ di colore -No, lui vuole solo portarmi a letto.- perché di fronte a tale cruda diagnosi, Ginko non poteva tacere, non poteva!

-Non è vero! Lo hai detto tu che lui non è come gli altri!- si ostinò a ripetere, vedendola roteare gli occhi per quell’argomento che, ormai, l’aveva fatta diventare la protagonista indiscussa dello show.

-Sì, ma non c’entra.-

-Come non c’entra?!-

Una vibrazione attirò la loro attenzione -Oh, ti squilla il cellulare.-

-Non cambiare discorso!-

-Non sto cambiando discorso. Squilla davvero.- le indicò il cellulare posato al bordo del tavolo che continuava a trillare. Ginko la fissò ad occhi socchiusi, sbuffò e si avvicinò all’aggeggio infernale che aveva fatto crollare il suo sogno di riuscire a strapparle una confessione d’amore in piena soap opera style. Minaccioso, il numero del signor Yoon svettò lampeggiante. Eh, maledizione, non poteva non rispondere!

Lo prese in mano e lo agitò, rivolgendole uno sguardo di fuoco come a dirle che il discorso non si sarebbe concluso qui. E infatti, fu decisa a lasciarle qualcosa su cui meditare -Mia madre dice sempre che la Terra è rotonda- Ginko zampettò fino all’arco che divideva la cucina dal salotto, volgendo il busto per poter spargere quella perla di saggezza; Lin strabuzzò gli occhi –Prima o poi ti ritroverai a rincorrerlo e lo raggiungerai.-

Lin arcuò un sopracciglio -E’ in momenti come questi, che ti chiedi perché la Terra non sia quadrata.-

-Lin--

-O un rombo.-

-Ehi--

-O un rettangolo.-

-Se pessima!- si imbronciò, prima di ingobbirsi e sparire dalla stanza.

 

Che tanto lei avrebbe sempre trovato il modo di smorzare il suo trasporto, di sbatterle la cruda realtà in faccia e di farle aprire gli occhi. E lei come al solito si lasciava trasportare dalle sue parole strascicate…

-Oh, e comunque…- 

Che però avevano assunto un colorito strano, quasi rassicurante…

-Alla fine del video, il pistolero e il cactus si fidanzano.-

E un sorriso sbocciò prima di premere la cornetta verde.

 

*****

 

La festa di pre-partenza era stata un fiasco colossale.

Per lui ovviamente. Che gli altri si fossero divertiti era un fattore superfluo, considerato che il suo tasso di divertimento quella sera aveva raggiunto i minimi storici. E le considerazione che si apprestava a memorizzare sulla lavagna della propria cattiveria, non erano bazzecole di poco conto come qualche cialtrone avrebbe potuto pensare, no, erano decisamente più gravi di quanto aveva lasciato intravedere in quella notte di euforia.

Punto uno: gli invitati.

Seduto sul divano con algido distacco, Ji Yong aveva osservato la fauna circostante alla ricerca di qualche esemplare che potesse placare la sua dose quotidiana di noia, riscoprendosi angosciosamente circondato da burattini malconci e dismessi. O inutilizzabili, il che era anche peggio. Perché qualche persona sana di mente avrebbe mai provato a giocare con una bambola crepata? Dov’era la bellezza di una marionetta dai fili recisi e dalle gambe spezzate? Dove stava il divertimento in un giocattolo consumato? I giochi inutilizzabili, invece, erano differenti. Erano lì, a lasciarsi scorgere in tutta la loro luminosa magnificenza, a portata di mano, ma essendo di proprietà di qualcun altro, divenivano inavvicinabili. Il tipico oggetto del desiderio che ci si ritrovava a bramare con fin troppa acquolina.

E quella sera, il premio per il miglior gioco inutilizzabile era andato al suo caro maknae SeungRi che aveva deciso di trascorrere l’intera serata con quella creatura abominevole che era la sua fidanzata. Sempre appesa al suo braccio, sempre a rincorrere la sua sottana. E lui lo aveva guardato imbronciato, chiedendosi se fosse una buona idea gettare il seme della discordia fra quei due quando, tanta gente, intasava il suo salotto.

E allora aveva cercato il punto due: Top. Ma quello se l’era filata chissà dove con Se7en perché non si vedevano da molto, troppo tempo.

E ciò lo ricollegava al punto tre: la schizzata dai capelli rossi.

Quella piattola della Fujii non si era presentata!

E badare bene, questa non era stata la causa scatenante della sua noia. L’ultima cosa che voleva era pensare che quella schizoide fosse così importante da rappresentare qualsiasi cosa nella sua vita. Che fosse piacevole o no, non aveva importanza. Lei non ne aveva.

Ma il punto non era questo. Il punto era che quella tappa della Fujii, l’unica a quel punto considerabile vagamente interessante per la sua peculiarità nel cadere con tutti i tacchi dodici nei suoi salti ad ostacoli psicologici, giacché Ri e Top erano inutilizzabili, non si era fatta viva. E non è che lui ci tenesse a salutarla prima di andarsene via per due mesi, decisamente non gliene importava una mazza. Del resto, non era tipo da prendersi la briga di mandare un ultimo bacio alle ragazze che gravitavano nella sua vita –ed erano davvero tante-, quindi lei non faceva differenza alcuna.

Lei non era più importante di qualcun’altra. Ma non lo era neppure di meno.

Il fatto era che, forse, non sarebbe stato poi così tanto male passare la serata seduto sul divano dirimpetto a lei cercando di farle comprendere quanto poco orecchiabile fosse la sua voce. O quanto avvilente fosse la sua ristrettezza mentale. O quanto fosse cosa buona e giusta mettere i bastoni fra le ruote della gabbia di quelle due amorevoli cavie che erano Top e Lin, giacché da soli sarebbero morti riversi sui loro trucioli.

Sì… Passare la serata, con sottofondo le canzoni del karaoke, seduto sul divano a circondarsi di gente di cui non gliene fregava nulla, continuando a torturare la sua mente svagata, criticando tutto ciò che per lei era la sacrosanta verità, non sarebbe stato così terribile come ostinava a ripetersi.

Sarebbe stato divertente. In maniera diversa dalla concezione che lui dava a quella misera parola. Ma la serata avrebbe guadagnato punti sulla scala dello sfacelo.

Ma ciò che era stato, era stato. E quello che si apprestava ad affrontare quell’incresciosa notte che li separava dalla partenza per il Giappone, era così fantastico, ma così fantastico, che la festa pareva uno scomodo ricordo ormai seppellito in un angolo della mente.

Perché di là, nella camera da letto che dava sulla cucina, nell’intento di preparare una valigia in cui nessun indumento sembrava voler abitare, l’esemplare di Top imprecante aveva catturato la sua distratta attenzione, strappandola da quella serata fatta di monotonia infarcita da isterismo dilagante.

Tipico dei suoi amici cadere in preda all’ansia quando si trattava degli ultimi preparativi.

Ma a Ji Yong, ora appoggiato allo stipite della porta, non importava granché delle urla sguaiate di Ri che non trovava i calzini, non gli interessava di un Daesung che continuava a raccogliere suddetti calzini per lanciarli contro il legittimo proprietario; perfino Tae e la sua mania di stirare per sgranchire i nervi tesi passava in secondo piano di fronte a tale, idilliaco spettacolo: di Top che smadonnava contro le felpe che scappavano dalla valigia, che girava per la stanza come un leone in gabbia. Che appariva più tormentato di quanto avrebbe mai potuto fantasticare. E sì che lui, di pensieri sulla loro partenza, ne aveva fatti parecchi. Aveva immaginato fiumi di lacrime, rammarichi al vento e sospiri pesanti. Ma tutto quello che si stava svolgendo al suo cospetto era tutta un’altra storia. Più interessante di quanto aveva previsto.

Una vera goduria per i suoi occhietti stanchi.

-Avresti dovuto prepararla ieri, la valigia- una frase pacata per renderlo partecipe della propria venuta, per istigare la sua già pulsante irritazione

Distratto dal mettere a soqquadro la stanza disordinata, il padrone della camera gli rivolse un’espressione torva –Non è aria, Ji Yong.-

-Oh, già- annuì –Saranno i calzini di Ri.- bisbigliò lanciando un’occhiata furtiva al corridoio, beandosi del vociare concitato proveniente dalle stanze adiacenti. Lampi d’ira saettavano da una parete all’altra.

E quella stessa ira gli venne scagliata contro con voce rauca e profonda –Ma chissenefrega dei calzini di Ri!-

-Qualcuno ha parlato dei miei calzini?! Li avete vi— Ji Yong interruppe lo sproloquiare del maknae chiudendosi dietro le spalle la porta, lasciando fuori da quella camera il nervosismo e i piagnistei del piccolo di casa.

-Sembri piuttosto nervoso- commentò flebilmente, guardando il pavimento nel vano tentativo di reprimere un ghigno soddisfatto –Dopotutto, i calzini di Ri non sono così importanti.-

-Già.-

-Del resto, ci sono cose ben più importanti- lo vide annuire svogliato, segno che non gli stava prestando la dovuto attenzione; e GD decise di andare dritto al punto della questione –Come la valigia, i biglietti da cercare, America…- si guardò attorno, lasciando in sospeso le proprie insinuanti parole, godendo del suo bloccarsi con un maglione a mezz’aria -E’ un vero peccato, non trovi?- GD schivò il maglione volante, strisciando lungo la parete –Come il tempo passi veloce, intendo.-

-Come ti pare.-

-Fino all’altro ieri, nemmeno ci pensavi- portò le mani in tasca –Ora vorresti avere cinque minuti in più per poterla salutare.-

E lo vide spezzarsi.

Tutto, nella sua figura rigida e immobile, lasciava trasparire quanto quella banale quanto inespugnabile constatazione lo stesse lacerando dentro.

-Ma figurati.- grugnì con la stessa verve di pochi istanti prima, con la tessa espressione di menefreghismo sul volto. Con una falsità così spiccata da poter essere letta in ogni più minuscolo gesto che stava compiendo. Il suo stringere convulsamente le mani intorno a quella felpa blu ormai divenuta uno straccio, il suo ficcarla in valigia con meno bruschezza, il suo distogliere lo sguardo per mascherargli quanto avesse ragione.

Quanto avesse compreso cosa navigasse nella sua testolina azzurra.

Ma, convenne con la propria brillante mente, non poteva lasciare che le cose si disfacessero in siffatta maniera. Del resto, quelle due bestioline avevano penato tanto per raggiungere una tregua, avevano faticato così a lungo per dimostrarsi vicendevolmente attratti, respingendosi come due poli uguali che non sanno di doversi voltare per potersi ricongiungere. O che non volevano compiere questo passo, troppo spaventati da loro stessi e da ciò che stava accadendo loro intorno.

Ma Ji Yong era ormai consapevole di quanto scema fosse la coscienza di Top e di quanto cretino fosse il cuore della Moore, quindi urgeva un suo tempestivo intervento. Quantomeno per sbrogliare quella situazione di stallo in cui erano piombati. E che lo stava facendo annoiare…

-Quindi non ti importa di non averla salutata?-

-Ma l’ho salutata!- la cavia si ribellò, scaraventandogli contro una ciabatta che prontamente schivò. Così come prontamente andò a pungolare la sua incertezza.

-I grazie non valgono- obiettò con distacco, memore di quel triste siparietto sulla porta che gli aveva strappato un singulto di amarezza –E poi, che ne sarà di lei in questi due mesi?-

-Potrebbe andarsene.- replicò con indifferenza, quasi volesse fargli cogliere un sollievo che, ad una più attenta osservazione, non si era affatto propagato sulla sua figura che gli dava le spalle. Scemo di un Top, come se bastasse mostrargli le sue spalle larghe per farlo desistere dal continuare quello squisito scambio di battute!

-E se restasse?-

Casualmente raccolse la felpa della Fubu che aveva avvolto il corpo della ragazza, l’unico indumento piegato con cura in mezzo a quel campo di battaglia dove numerosi boxer avevano perso la vita mentre alcune camicie giacevano agonizzanti. Come se avesse deciso di mantenere intatto quel minuscolo angolo di paradiso che Lin, in maniera lenta e inconscia, era riuscita a ritagliarsi nel suo cuore. Se la rigirò fra le mani, un sorriso alla Stregatto sul volto mentre sempre con casualità, gliela lanciava addosso.

E più di tutte le sue imprecazioni, più di tutti i gesti secchi, fu quella semplice presa che gli strappò un sorriso di vittoria, conscio di aver ormai raggiunto la linea del traguardo. Perché la rabbia era scemata, nello stringere il morbido tessuto, la pace sembrava essere ripiombata in camera Choi e l’incertezza aveva ceduto il trono del comando alla visibile sensazione che di lì a poco qualcosa di epico sarebbe accaduto.

E quel qualcosa, avvenne molto prima di quanto avrebbe pensato -Sono un coglione.- lo sentì mormorare prima di inforcare gli occhiali da sole, il cappello di lana e il giaccone pesante.

E prima che potesse rendere conto al proprio cervello di quanto, ancora una volta, avessero svolto egregiamente il loro lavoro, Top si dileguò alla sua vista. Sfibrato, certo, stanco, per l’appunto, ma con uno strano alone di aspettativa che da un po’ di tempo mancava all’appello.

E il sorriso si ampliò quando avvertì le loro spalle cozzare, quando al suo –Dove stai andando? E’ tardi.-, un ringhiante –A prendere una boccata d’aria! Qui non si respira!- seguì in risposta, addolcendo la sua malsana voglia di divertimento.

E la porta d’entrata che sbatteva fu un suono melodioso per le sue orecchie. Ancor più melodioso dei gracchianti urletti di Ri che continuava a dimenarsi per casa alla ricerca di un paio di calzini blu.

-GD! Hai visto i miei calzini blu?!-

-Li hai ai piedi, Ri.- cinguettò con noncuranza lanciando una breve occhiata al pavimento, scorgendo indistintamente le sue dita tamburellare sulla superficie fredda.

Il ragazzino gonfiò le guance –Non questi! Quegli altri!- agitò le mani, seriamente indispettito dal suo non sapere dove fossero quel paio di introvabili calzettoni.

E GD, nella sua immensa bontà, si limitò ad esalare un serafico –Basterà seguire l’odore.- che lo fece squittire per l’irritazione.

Ah, che piacere, decisamente. Tutte le partenze sarebbero dovute essere così, sarebbe partito più rilassato, non c’era alcun dubbio!

-Cretino!- sbottò dopo qualche secondo, mettendosi a braccia conserte. Solo distogliendo lo sguardo, volgendo il volto alla propria destra, il maknae si rese conto di chi mancava in camera Choi, ancora illuminata e immersa nel caos più totale –Ma… E lo Hyung? Dov’è andato?!-

E lui lo guardò con placidità, beandosi della sua espressione scioccata e allucinata. Un sorriso colmo di dolcezza raccapricciante, questa volta certo che le sue aspettative non sarebbero state deluse, spuntò.

Ampliandosi –Al Tribeca.-

 

******

La trovò fra i rifiuti.

No, non stava scherzando, quando arrivò al Tribeca, correndo come un matto alla porta che dava sul retro, se la ritrovò fra i sacchi di immondizia. Vestita da infermiera sexy, d’accordo, con quelle autoreggenti bianche che lo fecero restare imbambolato per un secondo di troppo.

E se lei non avesse sussultato, se lei non si fosse accorta della sua immobilità, se non avesse borbottato un sorpreso -Che ci fai qui?- lui avrebbe deciso di prendere e andarsene. Che di scemenze ne aveva già combinate abbastanza, che non voleva essere ricordato come un maniaco perverso. Che tanto, il suo spingere un po’ più in là quella notte, non avrebbe cambiato la loro reale posizione…

-Dovresti essere a dormire. Domani devi svegliarti presto.- mormorò guardandosi attorno, intimorita al pensiero che potessero essere scorti.

-Da quando sei diventata mia madre?- storse il naso mentre si stringeva nel giaccone. E mentre la vedeva aggrottare le sopracciglia per il suo commento sfibrato e irritato, Seung-Hyun si ritrovò a biascicare quella che, alla fine, era una delle tante verità –Ho l’ansia.-

-Per l’aereo?-

-Per il concerto. A casa non riuscivo a respirare, non— ma che non era la principale.

La verità, che custodiva gelosamente nel cuore ora galoppante, era che le parole sibilline di Ji Yong, come sempre, aveva avuto uno strano effetto sulla sua anima quietata e che aveva deciso di lasciarlo in pace. Dandogli del cretino per il suo modo scarno di salutarla, certo, ma decisa a non rigirare il dito in quella piaga lacerante che gli aveva squarciato il petto.

E la sua assenza, l’aveva avvertita dopo nemmeno due secondi. E allora no, non avrebbe sopportato due mesi lontani, non con lei che continuava a ronzare nei suoi pensieri.

Lin titubò, alzandosi ritmicamente sulle punte dei tacchi mentre lanciava un’occhiata al locale che cominciava a svuotarsi. E lui, solo in quel momento conscio di essere piombato al suo posto di lavoro senza alcun preavviso e chiedendole mutamente di stare un po’ assieme senza un motivo apparente, comprese di essere di troppo –Nh, sarà meglio andare a casa. Avrai da fa—

-Stacco tra venti, trenta minuti- fu un interruzione incerta, colorita dalle sue guance in po’ imporporate e lo sguardo puntato sul terriccio –Ti annoia aspettarmi?-

E Top, nella sua immensa stupidità, nella sua immensa romanticheria da cantante pop, si ritrovò a ricacciare in gola quella frase troppo sdolcinata e che lo avrebbe troppo esposto. E con un sorriso appena abbozzato, la lasciò tornare dentro con un sereno –Ti aspetto fuori.-

Ti aspetterei tutto il tempo che vuoi.

-Aha.-

-Poi andiamo alla pista di pattinaggio.- si era sentito pronunciare con pacatezza, scrutando da dietro le lenti scure il suo volto ora cosparso di godibilissima sorpresa.

-La pista di pattinaggio.- soppesò giocherellando con le pieghe della gonna bianca a strisce rosse.

-Ti va di andarci?-

E non sapeva nemmeno spiegarsi il perché di quella domanda, a dirla tutta. C’era da dire che lui odiava pattinare, o per essere più precisi, odiava tutto ciò che richiedeva una buona dose di coordinazione, quindi se lei avesse risposto no, le sue gambe avrebbero sentitamente ringraziato. Ma per un breve istante, quando lei lo aveva guardato sorpresa, scrutando oltre la sua spalla per osservare la sala illuminata da cui proveniva la musica ovattata, aveva pregato che dalle sue labbra carnose uscisse un secco , di quelli che non ammettevano repliche.

Voleva stare da solo con lei, lo desiderava davvero. E tutta quella marea di gente era solo un disturbo, i suoi amici che continuavano ad intromettersi nelle loro fugaci discussioni erano una futile interferenza…

-Beh…-

E avevano solo quella notte, per loro. Poi due mesi di vuoto, di noia, di assenza…

-Nh…-

Era la loro classica ultima, unica opportunità nella vita. E se lei avesse detto no, probabilmente Seung-Hyun avrebbe messo a tacere la vocetta che continuava ad intimargli di non lasciarsela sfuggire, che con lei tutto sarebbe stato un po’ più semplice giacché da quando era piombata nella sua vita, tutto sembrava essere davvero divenuto facile da gestire…

-Sì, va bene.-

Un sorriso. Un semplice, banalissimo sorriso che non era poi così diverso da quello che le fan gli rivolgevano, da quello che le segretarie della YG gli regalavano ogni giorno, che era identico a quello della fornaia sotto casa sua. Eppure… Eppure emanava un bagliore tale da farlo tremare, da far vacillare quel briciolo di lucidità che aveva trattenuto a sé con quanta più energia possedesse. Solo per non commettere qualche cazzata, solo perché era giusto così. Solo per paura di scoprirsi più attratto da lei di quanto già non fosse.

E quindi sarebbe potuto morire lì, che tanto sarebbe stato felice. Ma la morte, probabilmente, aveva deciso di vederlo perire su di un lastrone di ghiaccio che sembrava intenzionato a spezzarsi da un momento all’altro…

 

Seung-Hyun si chinò verso i pattini, fissandoli con sguardo assassino da dietro le lenti scure.

-Oi, hai finito?- la scocciatura di Lin non fece altro che alimentare il suo nervosismo palpabile. Se non si fosse ammazzato su quei cosi, avrebbe di sicuro ucciso lei, se lo sentiva. Ma la rabbia e il disappunto, ben scorgibili sul volto contratto in una smorfia di fastidio, si tramutarono in imbarazzo quando si rese conto di quanto Lin fosse vicina –Vuoi una mano?- e di quanto fosse dolce.

Lei non immaginava nemmeno che razza di terremoto scatenasse nel suo animo con una sua sola frase, un suo solo sguardo, un suo solo misero gesto.

-Faccio da solo- borbottò ripiegandosi, allacciando i malefici pattini e alzandosi in piedi, ricadendo pesantemente sulla panca di legno quando si sbilanciò troppo. Quella trattenne una risata sciocca, nascondendo le labbra dietro la sciarpa nera a pois rossi –Che diavolo ti ridi?!-

Per risposta, roteò gli occhi prima di infilarsi nella pista e attendere la sua traballante venuta -Non è così difficile- mugugnò –Non ti piace pattinare?-

-No- secco, si tuffò in pista. Nel vero senso della parola, eh. Alla sua risata cristallina, non poté più trattenersi –Ma che cazzo ti ridi?!-

Lin si voltò con leggiadria, come se non avesse delle trappole assassine ai piedi –Non avevi detto di saper pattinare, in macchina?- si mise a braccia conserte, il capo inclinato e uno sguardo di sfida capace di fargli montare il nervoso. Top vide delle ragazzine squadrarlo e, mettendo da parte per un momento la rabbia nei confronti dell’americana, alzò il colletto del cappotto, nascondendo meglio il viso e sistemando il cappello. Maledetti capelli azzurri! Ma che gli era saltato in mente? Così l’avrebbero riconosciuto anche in autostrada al buio! –Ehi, riesci ad alzarti?- Lin si era piegata sulle ginocchia, questa volta guardandolo seriamente.

Storse il naso, indicando con un cenno le due statue di cera a pochi metri –Se mi scoprono, è finita.- masticò con seccatura, indispettito dall’eventualità di dover troncare quella loro amorevole uscita per colpa della propria notorietà.

-Oh- fu tutto ciò che borbottò, prima di alzare le spalle e sparare un serafico –Se preferisci, puoi tornare dagli altri. Io vado a casa a piedi, più tardi.- era forse una delle frasi più lunghe ed articolate che gli avesse mai rivolto da quando si conoscevano e sarebbe dovuto essere stupito di venire a conoscenza che Lin sapeva mettere in croce più di due monosillabi seguiti da un finissimo e onnipresente Che palle!. E invece no. No, tutto ciò che provò fu uno strano senso di vuoto a livello dello stomaco, una sorta di amarezza che aveva fatto dipingere sul proprio volto una smorfia di disappunto che lei sembrò cogliere, anche se non fiatò.

Tentò di alzarsi, poggiando le mani sulla lastra di ghiaccio –Non ti lascio tornare da sola.-

-So badare a me stessa.-

Sì, lo so. Purtroppo.

Sbuffò –E poi non voglio tornare dagli altri- Lin roteò un paio di volte, apparentemente disinteressata al suo monologo –Preferisco stare con te- e poi i suoi occhi nocciola sgranati mentre si fermava di colpo, le braccia lungo i fianchi e l’espressione scettica semi nascosta dalla sciarpa nera che le copriva le labbra -Già dovrò passare due mesi con loro!- aggiunse scocciato, pregando che le sue parole campate per aria sorbissero l’effetto sperato: non far sorgere dubbi in quella sua testolina piena di contorti pensieri.

-Due mesi passano in fretta.- mormorò lei apatica, lo stesso tono di voce che gli aveva rivolto nella sala registrazioni.

Traballò un poco e solo quando riuscì a rimanere immobile, la fissò –Sono tanti.-

E lei lo guardò con un sorrisetto di sfida  -Sembra quasi che tu debba sentire la mia mancanza.- con la sua solita sagace ironia che non le permetteva di non essere presa sul serio. Mentre lui, ormai, la prendeva eccome sul serio.

Ed era così, gli sarebbe mancata. Ma non glielo avrebbe detto. Così come non le avrebbe detto quanto deliziosa l’avesse trovata con indosso la sua felpa, o che quella felpa continuava ad annusarla solo per assaporare il suo profumo di pesca, di quanto la trovasse splendida mentre volteggiava sinuosa sulla pista di pattinaggio. Di quanto ormai la desiderasse fin dal profondo delle proprie viscere.

-Figurati.- provò a rialzarsi e ce la fece, miracolosamente. Si mosse un poco, cercando di raggiungerla in quei pochi passi che a lui sembravano chilometri. Si sentì come un bimbo incapace di camminare che cercava di raggiungere la madre, incespicando nei propri passi. Ma Lin non era a braccia tese, non lo incitava.

Restava nel suo assorto silenzio, lasciando che si avvicinasse solo perché lei era lì. Viva e vera.

Ma qualcosa andò storto nel suo mettere un piede avanti al momento sbagliato.

Ecco che il millesimo tonfo della serata stava per arrivare, ormai il suo sedere si era preparato psicologicamente ad un nuovo incontro con la pista ghiacciata. Ma non avvertì dolore e nemmeno il rumore della sua caduta galleggiò nell’aria; solo quell’inebriante profumo di pesca che aveva imparato a riconoscere si schiantò contro di lui mentre qualcosa, o meglio qualcuno, fungeva da sostegno: Lin gli aveva preso le mani prima che potesse ribaltarsi rovinosamente e quando l’aveva fissata con gratitudine, un infreddolito –Ti ho preso.- giunse alle sue orecchie, amorevole e dolce. Si sentì spaesato per un leggero istante mentre si lasciava trascinare con lentezza, ammaliato dalla sua naturalezza nonostante fossero così vicini. Lui era tutto un fremito.

Sorrise un poco –Non capisco come tu riesca a stare su quei cosi.-

-E’ facile. Però devi stare dritto, altrimenti ti sbilanci troppo- con pacatezza, lo aiutò a non starsene ingobbito e gli sembrò perfino di essere diventato più bravo! Certo, lei continuava a trascinarselo dietro, lanciando di tanto in tanto occhiate oltre la spalla per essere sicura di non sfracellarsi contro qualcuno; lui avrebbe solo voluto capitombolare ancora per poterla spalmare su di sé –Se torni distrutto, sono morta.- la sentì mormorare atona, strappandogli una risata rauca.

-Nh, anche da sano sembro un tronco di legno.- si prese per il culo da solo, tanto le umiliazioni quella sera si sprecavano.

-Non ti piace stare sul palco?-

-Non mi piace ballare- si fissò i piedi, attento a non inciampare –Ti decidi a vedere qualche nostro video?!- oh, insomma, non era nemmeno curiosa di vederli in azione? Che poi, ma davvero quella schizoide della Fujii –che sembrava venerarli tanto che avrebbe venduto pure sua nonna pur di andare ad un loro concerto- non le avesse mostrato niente di niente? Ma a fugare ogni dubbio, arrivò la sua voce asciutta.

-No.-

-Ma perché no?!-

-Vi vedo già dal vivo abbastanza, non sono così scema da andarvi a cercare su Youtube- avrebbe dovuto offendersi mortalmente per quella frase sciorinata con secchezza e sincerità, come se davvero fosse stufa di avere a che fare con loro. Ma non ci riuscì. Forse era per il fatto che aveva visto il suo volto illuminarsi quando gliel’aveva pronunciata, o che i suoi occhi erano brillati mentre si socchiudevano ma per qualche strana ragione, sembrava quasi che quello fosse il suo modo contorto di dirgli che con loro non stava poi così male –Vedi che non è difficile?-

Nh, per te, forse…

Pattini bene.-

Annuì –Ho imparato da piccola- scansarono una coppietta e continuarono con lentezza a percorrere la pista. Si sentiva un cretino, ma se si guardava attorno poteva scorgere altri sventurati nelle sue stesse, misere condizioni -Mamma mi portava spesso qui. Era l’unica volta che mi teneva per mano.-

Vide il suo volto rabbuiarsi di colpo mentre uno strano silenzio li avvolgeva, quasi opprimente. E come ormai accadeva spesso, spinto dall’impellente bisogno di farle comprendere che lui era lì presente, esalò un pacato –Tutto ok?- che la fece ridestare. La fissò a lungo, imprimendo nella memoria le sue iridi nocciola che non avrebbe rivisto per due mesi, i lineamenti delicati del volto incorniciato da quella marea di capelli corvini che sporgevano dal basco francese, in cui avrebbe voluto affondare le mani. E avrebbe ricordato le sue labbra dischiuse per la sorpresa e la forza che aveva utilizzato per non sigillarle con le proprie –Cos’è? Nostalgia di casa?-

Lin mugugnò qualcosa, poi tornò a guardare i pattini, la voce ovattata dalla sciarpa –Certo che no.-

Corrugò la fronte –Ma non ne senti la mancanza?- lui dopo appena una settimana lontano dalla Corea, non vedeva l’ora di tornarci.

Ma Lin, ormai lo sapeva, sembrava sempre pronta a sorprenderlo con le sue risposte sincere e che si discostavano dal suo modo di vedere le cose –Ormai non più, da un po’.- e lei nemmeno si rendeva conto di quanto lo stesse scombussolando con quel suo tono di voce basso e suadente, assorto. Così come non si rendeva conto di quanto lui stesse faticando per trattenersi dal commettere qualche cazzata.

Ma ci fu qualcosa che fece sfumare tutto. Quella stessa elettricità che continuava ad intrappolarli da ormai parecchio tempo.

 

C’era che Lin aveva perso quel mezzo sorriso che le increspava le labbra e ora lo guardava con serietà, quasi fosse in attesa di un gesto da parte sua; c’era che i suoi occhi si muovevano veloci sul suo viso ma indugiavano troppo a lungo sulla sua bocca; c’era che aveva trattenuto il fiato per tutto quel gioco di sguardi e quando aveva avvertito un brivido di piacere scorrergli lungo la spina dorsale mentre lei si inumidiva le labbra con sensualità disarmante, comprese di essere giunto al limite della propria resistenza…

Appoggiò la fronte sulla sua, scorgendo un guizzo di timore nei suoi occhi ora larghi per la vicinanza e senza distogliere lo sguardo, rimase a contemplarla, il fiato spezzato in gola mentre abbassava il capo. E il desiderio esplose quando la vide dischiudere le labbra prima che le palpebre si abbassassero. E lo sentiva, il suo respiro, sentiva chiaramente il cuore salirgli in gola mentre la consistenza delle sue labbra sarebbe divenuta reale. Per pochi millimetri…

-Ma quello è Top!-

C’era che le fan lo avevano beccato e quel momento di pura estasi, era trotterellato altrove.

Lin, occhi larghi, si era fatta distanza, indicandogli i ciuffi di capelli turchesi che svettavano dal cappello di lana. E prima che potesse anche solo immaginare di uscire dalla pista assassina, ecco che venne travolto da un nuvolo di ragazze esaltate che lo circondarono.

E il suo respiro fu un sogno lontano, i suoi occhi intimoriti pure. Ma il cuore, quello continuava a battere furiosamente…          

 

 

Dopo tipo cinquanta autografi, foto e imprecazioni soffocate, Seung-Hyun strisciò, o meglio, scivolò e poi strisciò, fino all’uscita, guardando furente la panca di legno. Che bruciasse pure quella maledetta, che bruciasse tutto quel maledetto palaghiaccio all’aperto, che tanto la gente ci si sfracellava su quella lastra!

-Non pattini più?- udì la sua voce atona, il rumore dei pattini che stridevano sul ghiaccio. E per tutta risposta, si lasciò cadere sulla panca, togliendosi un pattino e lanciandolo a terra con malagrazia. Era davvero stanco di tutte quelle interruzioni…

-Che due palle!- sbottò nervoso, imprecando quel tanto che bastava per farle comprendere come fosse seccato da tutta quella situazione.

-E’ normale per te, no?-

Un paio di coglioni!

-Vorrei essere lasciato in pace, ogni tanto.-

Lin lo fissò, stringendosi nel cappotto rosa scuro –Scusa. Non saremmo dovuti venire qui.-

Alzò le spalle, si scompigliò i capelli turchesi senza nemmeno coprirli col cappello, che tanto il danno era stato fatto. E poi la gente era diminuita –Ma io volevo venirci.-

Con te…

Ed era andato tutto così bene, ma così bene, che per la prima volta si maledì di essere famoso e riconoscibile ai più. Si era chinato per baciarla e per un istante si era sentito un ragazzo come tanti, alle prese con un sentimento enorme che sembrava voler uscire a tutti i costi dal cuore. Ma la notorietà, la realtà della sua vita, lo aveva riportato coi piedi per terra, strappandolo da quel vortice di piacevole smarrimento in cui era piombato…

Lin si sedette al suo fianco, le mani in tasca e lo sguardo rivolto alla pista ormai semivuota. E la guardò, imprimendo il suo delicato profilo nella mente.

 

Ma poteva perdersi un’ultima volta, no?

 

-Sono i capelli blu.- mormorò assorta poco dopo, la voce ovattata dalla sciarpa.

Seung-Hyun sbuffò -Diavolo, vuoi toglierti quella sciarpa una buona volta? Non capisco nulla!-

Lindsay roteò gli occhi prima di lasciar cadere un poco la sciarpa col il pollice e l’indice, quel tanto che bastava per far intravedere le labbra carnose –Ho detto che sono i cap--

La neve fioccava, il freddo cresceva.

Seung-Hyun si sporse…

 

Fu un istante, inaspettato.

Il tempo di vedere i suoi occhi nocciola sgranarsi.

E di assaporare il suo respiro spezzato.

 

La stava baciando.

*****

 

Il cuore di Lindsay non aveva mai fatto rumore.

Era assurdo da dirsi, ma non lo aveva mai fatto. Per quanto il suo organo fosse presente nel suo esile corpo da ventiduenne, altrimenti sarebbe stata un involucro vuoto e senza vita, Lin non lo aveva mai sentito battere.

Non con i ragazzi, con loro mai.

Ricordava che il primo ragazzino che aveva baciato ad una festa di amichetti, in un impeto di follia o di scemenza compulsiva, le aveva sussurrato quasi estasiato –Mi batte forte il cuore.-; lei avrebbe solo voluto dirgli che la sua lingua viscida era stata un vero schifo, ma il punto di questo triste racconto non era tanto questo aneddoto, quanto il fatto che quelle sciocche paroline l’avevano spaventata.

Perché lei, nel baciarlo, non aveva sentito nulla. Ma niente di niente. Né una pulsazione, né un tonfo sordo. Niente di niente. E pensare che su quel demente ci aveva pure fantasticato per un po’, visto che assomigliava al suo, ai tempi, adorato Nick Carter.

E non è che con gli altri la situazione fosse poi mutata, eh. Niente di niente.

Ma poi era arrivato Seung-Hyun, che si era chinato.

E c’era stata una scossa. Leggera e improvvisa. Una fitta di dolore che si era propagata per tutto il corpo, mandando in completo blackout il suo cervello infreddolito.

E lo aveva sentito, quel battito perso quando aveva posato le sue labbra sulle proprie, quel battito mancato quando aveva spostato le mani sulla sua vita stretta, quel battito rapito quando aveva inclinato il capo per poterla assaporare di più. Come si poteva perdere qualcosa che non aveva mai avuto? Quel battito che sembrava non esserci mai stato, lui, nemmeno si rendeva conto di averglielo strappato in maniera talmente tanto indelebile come nessuno mai.

E si ritrasse, Lindsay, di poco. Quel tanto che bastava per barricarsi dietro un sottile strato d’aria che lui aveva avuto il coraggio di dissipare, per assaporare il suo respiro freddo, sentire le sue labbra dischiuse a pochi millimetri dalle proprie…

-Seung-Hyun, è tar--

-Chissenefrega.-

E la sua rauca interruzione, colma di desiderio, capace di farla disorientare.

 

Deglutendo, si rese conto di essere troppo vicina, troppo stretta a lui… Troppo esposta a tutte quelle sensazioni che stavano scavalcando le sue barriere traballanti. Perché la malsana voglia di appoggiare la nuca sulla sua spalla si era impossessata di lei, la stramba idea di chiedergli una notte di passione la stava facendo tremare di terrore… E la completa certezza che anche lui la pensasse come lei, capendolo solo guardandolo nei suoi occhi affilati e magnetici, la fece indietreggiare.

Di poco.

Poi le sue mani la fermarono per la vita e capì di essere in una meravigliosa quanto sconvolgente trappola.

Erano fermi, su di una panca di legno gelida, occhi negli occhi e sguardo serio, a studiarsi, a capire chi avrebbe compiuto la prima mossa e soprattutto, quale sarebbe stata quella mossa.  

Avvertì la sua mano carezzarle la spina dorsale, solleticarle il collo e risalire fra i suoi capelli corvini, spingendola con lentezza verso sé. I suoi occhi scuri erano enormi da quella distanza, poteva scorgere le ciglia finissime e quasi inesistenti, poteva lasciarsi accarezzare dal suo sospiro regolare. Come se quella fosse la cosa più naturale del mondo, come se fosse la cosa più giusta per loro due.

Come se fossero nati per quel momento.

E non capì più nulla, Lindsay, ancora alla ricerca di un perché in tutto quello. Solo, aveva posato le mani affusolate sul suo collo, lasciando scorrere le dita fra i capelli color menta. E aveva detto addio alla lucidità. Lo aveva guardato per pochi secondi, tre, quattro, forse cinque. Il tempo di darsi della cretina, di accantonare i dubbi esistenziali. E di baciarlo.

Per potersi smarrire, ancora.

Per sentire come il proprio cuore non potesse reggere al peso di quella situazione.

Erano due ragazzi che si baciavano sotto i fiocchi di neve vicino ad una pista, circondati dai pochi superstiti delle loro cadute, al gelo che si infilava nelle ossa. Solo quello. Ed era la cosa più bella che le fosse capitata da quando aveva messo piede sul suolo coreano. Perché lui non era come i ragazzi che aveva baciato: sempre a muovere le mani, a tentare di infilarle la lingua in gola nemmeno fossero degli aspirapolveri, sempre accecati dalla passione che faceva perdere loro il controllo.

C’era gentilezza nelle sue labbra che non credeva potessero essere così carnose al tatto, c’era pacatezza nel suo allontanarsi appena per poi riposarsi con delicatezza estenuante. C’era una dolcezza che la stava riempiendo di calore bruciante, rovente mentre la punta della lingua carezzò la propria.

Seung-Hyun la fece aderire a sé e continuò a premere le labbra in quella carezza capace di far scorrere mille brividi, ma non era stato invadente.

Lui non lo è mai stato…

Quel suo fossilizzarsi nei suoi pensieri, infilarsi negli anfratti più bui della mente senza nemmeno bussare alle porte del suo cervello, il suo entrarle dentro come se fosse una droga… Lo aveva fatto, inconsciamente e con lentezza, ma mai con indiscrezione. Sempre con gentilezza, delicatezza e, soprattutto, una buona dose di pazienza.

E a quel punto, inclinando il capo, posando delicata le mani guantate sul suo viso, si lasciò andare. Completamente.

 

Che tanto di tempo per potersi dare della cretina ne aveva bizzeffe…

 

Allacciò la cintura, fissò la strada che si srotolava davanti agli occhi –Seung-Hy—

-E’ stato solo un bacio.- la sua interruzione brusca, le sue dita tamburellanti sul volante.

Il proprio cuore che precipitò

 

Che di tempo per considerarlo come tutti gli altri, ne aveva a iosa…

 

Una risata le scappò –Seung-Hyun, casa mia è dall’altra parte-

Lo sentì imprecare fra i sorrisi.

E il pensiero rimase: Va bene così…

 

Che di tempo, per accantonarlo, ne aveva quanto ne voleva…

 

Il clack inconfondibile della cintura -Fai buon viaggio.-

-Aha.-

-E salutami gli altri.-

-Certo.-

L’attesa di un bacio che non arrivò -E buon tour.-

E il suo sorriso sincero –Grazie.-

 

Ma ne sarebbe servito un po’ di più, giacché non era come gli altri…

 

Perché tanto lui sarebbe andato in Giappone per due mesi, lei avrebbe continuato la propria vita. Semplicemente, avrebbero dimenticato quell’episodio.

Così come lui, sicuramente, si sarebbe scordato di lei.

Già… Ma lei?

Portò le mani sulle labbra, un velato e poco elegante –Cazzo.- a riempire l’aria notturna della sera.

E lo vide andar via, mentre se ne stava sui gradini all’entrata, mentre sentiva che qualcosa non andava in tutto quello. Mentre si chiedeva come avesse potuto permettersi di strapparle il cuore proprio quando aveva iniziato a sentirlo battere.

 

E scioccamente…

-Sono una cogliona.-

avrebbe voluto un suo ultimo bacio.

 

 

 

 

A Vip’s corner:

Come sempre, nessuna giustificazione per il mio ritardo. Ho seriamente fatto fatica a scrivere questo quattordicesimo capitolo, un po’ perché hanno raggiunto un passo importante per quanto piccolo, un po’ perché sono fondamentalmente scema e se le scene non vengono scritte come dico io, mi blocco -.- Ma quando parole come leccornie ti escono fuori senza nemmeno averci pensato, significa che l’ispirazione è tornata. Perciò eccomi qui.

Sono stata combattuta se pubblicarlo così o no. Il finale –va beh, tutto il capitolo- mi sembrava un po’ vago e troppo veloce, ma ho preferito fossilizzarmi su alcuni punti, come sul bacio (ALLELUJA!) che sul rientro a casa *schiva i coltelli e altri oggetti contundenti per la frase di Top* e ammetto che, nel complesso, questo capitolo mi soddisfa ♥ Nel caso, apporterò qualche modifica a posteriori ma verrete avvisate :)

Vi chiedo inoltre di perdonarmi per due cose: la lunghezza mortale del capitolo, il fatto che non ci sia stata nemmeno una scena Ginko/GD xD -direi però che i loro pensieri portano da qualche parte, no? ;)- e la frase di Top… Soprattutto la frase di Top :/ A mia discolpa dico solo: abbiate fede nella vostra Heaven che ha tutto sotto controllo ♫

Per la citazione L’unica frase d’amore è: hai mangiato?,... No, purtroppo non è mia D: E’ di Elsa Morante, pertanto tutti i diritti sono suoi. Ma mi piaceva, perciò mi sono presa il permesso di utilizzarla :)
 

Ora passo ai miei adorati ringraziamenti (siete autorizzate ad insultarmi ad inizio recensione, se mai me ne lascerete una): mel_GD, Myuzu, YB_Moon, Fran Hatake, MionGD, hottina, Yuna_and_Tidus e Fabiola_TOP per aver recensito il precedente capitolo. Ma quando vi amo su una scala da uno a TOP? ♥

Ringrazio con un infinito bacio MionGD e lil_monkey per avermi messo fra gli autori preferiti *-* Vi adoro, lo sapete vero??? (Anche se resto dell'idea che voi vogliate ammazzarmi con tutta questa gentilezza xD). I miei ringraziamenti vanno anche a chi legge in silenzio (sì, amo anche voi) e chi ha inserito Something fra le seguite/preferite/ricordate. Thank you all!
 

Alla prossima! (perdonate la frettolosità ed eventuali errori o sbalzi temporali),

HeavenIsInYourEyes.

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Capitolo 15
*** Fly away from here ***


Capitolo 15

Fly away from here

 

 

You're in my mind, all of the time

I know that's not enough

If the sky can crack, there must be some way back

For love and only love”

-Electrical storm, U2-

 

 
 

 

 

Ebbe la parvenza di vivere in un film.

Di quelli in bianco e nero che tanto adorava, dove i protagonisti, in linguaggio muto, riuscivano a strappargli più di una risata solo con i loro gesti, le loro movenze. E come ogni buon film che si rispetti, doveva esserci una frase d’apertura che desse il via allo svolgersi delle vicende, accattivante ed effetto, che catturasse la sua attenzione svagata e in perenne bilico sul filo della noia incipiente.

E così, spalmato sul sedile di prima classe di un aereo che li stava portando in Giappone, riuscì a trovarla senza aver nemmeno bisogno di un bravo sceneggiatore. E lampeggiava a caratteri cubitali, luminosa e afrodisiaca, mentre ad occhi socchiusi scrutava la fauna di gente famosa che lo attorniava:
 

L’importante non è la meta, ma godersi il viaggio.

 

E Kwon Ji Yong, cinto da attori dalle indubbie capacità recitative quando si trattava dei drammi della vita adolescenziale e non, se lo stava davvero godendo.

E la goduria non si concretizzava con il bicchiere di vino che , sul tavolino, continuava  richiamarlo tentatore, o dalle hostess sensuali che lo lambivano con un dolce sorriso e occhiolini furtivi. No, no. Come poteva provare appagamento al cospetto di tanta futilità quando, nel suo stesso abitacolo, i protagonisti si stavano cimentando in quella che era la scena clou di quel meraviglioso spettacolo?

-Ri, smettila di grugnire.- Tae si massaggiò una tempia, chiaramente indeciso se tirare le noccioline addosso al maknae fastidioso oppure mangiarle. Optò per la seconda scelta, anche perché CL aveva saggiamente proferito –Tae, sai bene che è vietato dare da mangiare agli animali.- lanciando un’occhiata stanca ad un Ri mugugnante.

-No, che non la smetto- borbottò la scimmietta –Io voglio sapere cos’è successo ieri sera!- strepitò guardando in cagnesco lo Hyung seduto composto di fianco al finestrino, isolato dal resto del mondo grazie alle cuffie nelle orecchie. E Ji Yong non poté non rivolgere all’epicentro di quel fulgido momento di pura ilarità uno sguardo di pura estasi, impaziente di vedere la bomba esplodere in quel marasma di idiozia.

La scena era ben spianata davanti ai suoi occhi ripieni di aspettativa: c’era un Seung-Hyun piuttosto taciturno che, assorto, continuava a fissare il finestrino quasi stesse attendendo il momento più propizio per gettarsi di sotto senza paracadute, magari mettendo fine alla sua capacità di commettere cazzate random una dietro l’altra. E non se lo stava inventando di sana pianta, no no, a spifferarlo era stato proprio lo Hyung che, rincasato a tarda ora, si era forse dimostrato più sincero di quanto avrebbe mai potuto immaginare.

E di quella breve, quanto significativa sequenza di immagini, GD avrebbe ricordato pochi, pochissimi dettagli che avrebbero continuato a stuzzicare il suo divertimento qualora si fosse appisolato: un Daesung in vestaglia che gironzolava nervoso lanciando occhiate infuocate alle lancette dell’orologio appeso al muro; un Taejang che continuava a preparare the su the, cercando invano di calmare il suo adorato consorte e un Ri imbronciato che sopperiva l’ansia con la sua solita isteria dilagante, corrodendogli le orecchie.

Ma più di tutta quella bellezza che lui si godeva in religioso e mistico silenzio, avrebbe ricordato lo scricchiolio della porta di casa che si apriva, la luce che invadeva il loro angusto antro incrostato di noia e tensione per uno Hyung disperso nel cuore della notte, suddetto Hyung che si palesava a loro con sorpresa nell’essere stato accolto da tutta la ciurma e poi il suo sospiro pesante, chiaro segno di sfacelo…

 

-Oi, che fate in pie--

La voce collerica di Dae che sbottava –Si può sapere dove sei stato?! Domani mattina dobbiamo svegliarci all’alba e la tua valigia non è ancora fa—

E la sua voce, sospesa, incrinata…

-Ho sbagliato tutto.-

 

Uno spettro che ancora girovagava fra loro.

 

GD portò una mano alle labbra, reprimendo quel ghigno che avrebbe fatto trasparire come lui sapesse, come lui fosse a conoscenza di quel pesante segreto che Top non aveva rivelato a nessuno se non a lui, in un momento di delirante sfogo adolescenziale che gli aveva concesso intimamente nel calore della sua camera da letto; un segreto che sembrava volersi portare dietro fino alla fine del suo viaggio in Giappone. Anzi, no, a giudicare dallo sguardo di puro scazzo che aveva lanciato al maknae, probabilmente lo avrebbe rinchiuso nel proprio cuore per il resto dei suoi giorni.

-Non è successo niente.- cavernoso, Top tolse le cuffie con un gesto secco e si appiattì sul sedile.

E quindi si sarebbe potuto concludere così quello scialbo scambio di battute che non aveva sortito alcun effetto sulla propria noia zampillante. Perché, beh… Il viaggio era lungo, e Ji Yong non aveva intenzione di passarlo a contare quante ore mancassero all’atterraggio, così come non aveva voglia di sorbirsi Dara che, frenetica, continuava a blaterare di quel figo al bar dell’aeroporto.

-Oh, non si dicono le bugie, Top.- fece oscillare l’indice, arricciando le labbra quando lo vide aggrottare le sopracciglia e sparargli uno sguardo colmo di disappunto.

-Parla e sei morto.-

-Ma allora tu sai qualcosa!- Dae, apparentemente preso a litigare con il dvd che non voleva saperne di partire, saettò verso loro. La mamma della sceneggiata, onnipresente in goni buon film che si rispetti, fece la propria comparsa armata di sguardo allucinato in loro direzione e curiosità che trasudava da tutti i pori.

-Non è success ni--

-Se hai un problema, dovresti parlarne con noi- Daesung gli posò una mano sulla spalla –Noi possiamo consigliarti in questo momento di sconforto.-

Top imprecò a mezza voce prima di scacciare la sua mano con un’alzata di spalle, rifiondandosi nel proprio mutismo.

-Lin non c’era al Tribeca?- provò a farlo sbottonare Tae, sempre con quella sua pacatezza da buon padre di famiglia che accorre ad aiutare la gentil consorte alle prese con la turbolenza del figlio un po’ ribelle.

-Perché dovrebbe centrare quella?- si mise a braccia conserte; Ji Yong si inebriò della sua mancanza di autocontrollo quando si parlava di America.

Dae guardò apprensivo un Tae conficcato sul sedile –L’ha chiamata quella?-

-Ma allora è grave!-

-Cos’è successo?!- domandarono in coro, sporgendosi.

Seung-Hyun roteò gli occhi, ma prima che potesse zittirli con una manciata di epiteti poco galanti, la voce squillante di Ri si levò sul palcoscenico, attirando l’attenzione del pubblico distratto –Ve lo dico io cos’è successo!- si erse sul sedile, brandendo una minacciosa forchetta di plastica; Ji Yong si congratulò interiormente con la destrezza del piccolo di casa che, abilmente, era riuscito ad accalappiarsi le lodi della gente ora in attesa della lieta novella, come un profeta che elargisce consigli e massime ai propri profeti –Lindsay si è dichiarata e tu gli hai detto di no!-

Acqua…

Seung-Hyun scosse la nuca, un sorriso ricolmo di amarezza che si delineava sulle labbra contratte. Oh, ma se non controllava la propria mimica, si sarebbe fatto sgamare subito! Ah, ma del resto era per questo che lo adorava; era così scemo che si faceva beccare subito e ciò significava che la fiamma che alimentava il suo divertimento non si sarebbe mai spenta.

-Non penso sia questo.- mormorò Dae massaggiandosi il mento.

Tae si grattò la nuca -Allora lei ti ha chiesto di passare la serata insieme e tu lei hai detto no?-

Oceano, oceano profondo!

-Le hai sporcato il vestito?- propose Minzy con occhi socchiusi. Povera, ingenua Minzy. Come se America si lasciasse scalfire da tali banalità. E poi, era solitamente lei a sporcare gli abiti altrui.

-Non ci sarai mica andato a letto per poi dirle che è stato un errore!- la voce di CL, colma di contrarietà, arrivò acuta e perforante, facendo vacillare per un istante l’impassibilità di Top.

Fuochino…

-Certo che non ci sono andato a letto, figurati!- sbottò inviperito, per poi cadere nella loro trappola –Ci siamo solo baci— le parole si persero nell’aria, ritornando indietro; il silenzio calò mentre Ji Yong fece librare una risatina leggera, applaudendo nella propria anima. Era tutto così dannatamente stupendo che un po' gli dispiacque che i critici si fosse persi in sconclusionati commenti che poco ci azzeccavano con la realtà dei fatti.

-E allora dov’è il problema?!- si infervorò il maknae che non era riuscito a cogliere il perché della sua angoscia –Lei ti piace!-

-Ma chi è questa ragazza?- si intromise quel bonaccione di Se7en capitato lì per caso.

-Oh, Bom l’ha vista!- Dara la indicò –Ha detto che è carina!- poi fissò Ji Yong –Ma non era la tua ragazza?-

-Non ruberei mai il pane di bocca al mio Hyung adorato.- civettò il leader ricevendo un sonoro Stronzo in segno di amorevole risposta.

-Mh, va beh- Se7en alzò le spalle, poi gli rivolse un sorrisone –Se ti piace e l’hai baciata, dovresti esserne felice, no?-

Ji Yong osservò attentamente la scena, studiando nei minimi dettagli il corpo di Seung-Hyun che si lasciava andare all’afflizione, alla consapevolezza di essere ormai alle strette. E che non rispose, ben conscio che la felicità se ne era andata con la sua cretineria.

Ma poi, il suo verso strozzato scappò al suo controllo -Io—

-Oh, mio— una voce fuori campo interruppe la star del momento, accattivandosi l’attenzione degli spettatori. A parlare era stata santa Park Bom da Seoul che giunta con la sua intromissione, forse spinta da quello strano senso di solidarietà femminile che scattava quando si rendevano conto di essere state prese per il culo, lo fissò a lungo. Poi aveva inclinato il capo, lo sguardo socchiuso e labbra arricciate prima di esalare un pratico quanto perfetto –Non le hai detto che è stato solo un bacio, vero?-

Fuoco! Braciere! Qualcuno chiami i pompieri!

Silenzio in platea.

Sul palco, gli attori erano stati sostituiti da perfette statue di cera. Il protagonista era riverso al centro della scena, implorando con il proprio silenzio che quello strazio cessasse, guardando il regista. E Ji Yong non avrebbe pronunciato la magica parolina Stop, no. Perché la scena madre si stava compiendo ed era talmente favolosa che non sarebbe stato così pirla da spegnere le telecamere.

E le sue parole mai giunte, il suo tagliare ogni contatto visivo, valsero più un .

Fu idilliaco vedere come la sorpresa si dipanasse su ogni volto, fu sensazionale udire il cuore di Top sbriciolarsi in tanti minuscoli pezzettini e, cosa ancora più fantastica, fu il delizioso sottofondo di quel disco mai noioso che era Ri, ora preso da un rintronante –Tu-tu-tu— che lo fece gongolare di gioia.

Cielo, avrebbero dovuto dargli l’Oscar alla regia. Insomma, quale regista riusciva a creare una scena di tale fulgido splendore senza nemmeno alzare un dito? Lui aveva solo gettato un sassolino della discordia, il resto lo aveva fatto quelle che erano le marionette più in gamba dell’intero Universo! Ji Yong , lanciando un’occhiata molto vaga alla star, poteva ancora sentire il cuore esplodere dalla gioia nel solo osservare le sue sopracciglia scure aggrottate tanto da far male, le labbra incurvate in una smorfia di depressione cronica, l’aleggiante certezza che la sua permanenza in quel covo di cacciatori di gossip sarebbe diventata un vero Inferno.

E fu ancora più idilliaco, rendersi conto che i giochi erano appena cominciati, per il suo amabile Hyung preferito, ora in balia dei cazziatoni dei presenti.

Ma ogni film con la F maiuscola aveva il suo giudice, colui che scendeva sulla terra per giudicare i vivi e i Top agonizzanti. E tale onore spettava al maknae: l’angelo dell’Apocalisse, alias SeungRi, sedeva con il mento appoggiato al sedile, nel vano tentativo di cruciare con la sola forza dello sguardo il povero martire dalla folta capigliatura turchese che, bocca coperta dal palmo aperto della mano, sedeva pigramente sull’ampio sedile apparentemente perso in chissà quali profondi pensieri.

E Kwon Ji Yong, spettatore di tale epico avvenimento, mal celava il proprio interesse dietro una rivista coreana di moda, falsamente coinvolto dalla burrascosa love-story che sembrava tenere sulle spine milioni e milioni di coreani affamati di gossip: Shin Soo Choo aveva tradito la moglie con la babysitter?

Cose da non dormirci la notte; domande legittime, certo. Così come fu legittima la domanda che un Tae piuttosto sgomento gli rivolse a bassa voce -Cosa credi che abbia da dire a sua discolpa?-

-Che lui aveva le mani in tasca e ha fatto tutto la babysitter.-

Tae strabuzzò gli occhi –La babysi-Non sto parlando di loro!- tamburellò un dito sulla copertina del magazine, facendo poi strani gesti con la nuca per indicare il cretino seduto qualche sedile più in là.

Ji Yong sollevò appena il capo, quel tanto che bastava per fargli credere che non avesse compreso quale fosse l’oggetto principale della loro conversazione, poi alzò le spalle –Probabilmente, che anche lui aveva le mani in tasca.-

-Ji Yong!- lo rimproverò con tono esasperato, poggiando la guancia sul pugno mentre si lasciava scivolare sul sedile.

Aprì le labbra, pronto a soggiogare quel cucciolone di Tae con la propria visione delle cose, ma quel disco incantato di Ri continuava a girare; andava fermato o avrebbe gravemente nuociuto alla sua salute mentale -Date una botta in testa al maknae, si è impallato.- GD, stravaccato sul sedile dell’aereo, continuava a leggere l’intervista con apparente tranquillità, come se l’avvenimento tanto sconvolgente che aveva mandato in tilt il cervello dell’amico fosse una quisquiglia.

-Ri, respira.- Tae gli diede una pacca sulla spalla, mentre quello boccheggiava rivolto ad un Seung-Hyun accartocciato sul sedile.

E poi, lo stupendo delirio…

-Tu sei un idiota!- gracchiò divincolandosi dalla presa salda di Taeyang, saltando come una scimmia impazzita.

-Porta più rispetto per gli Hyung.- lo ammonì Dae in un sussurro accompagnato da una gomitata, ricevendo un’occhiata bieca da parte del diretto interessato che, senza badare alla maleducazione del ragazzino, tornò a farsi i fatti propri. Per un istante, sommerso dagli insulti generali, Top gli fece pena. Ma fu in istante, breve e fugace.

GD non poté più trattenersi e, platealmente, lasciò che la propria risata argentea si spandesse nell’aria.

-Ri, non sono fatti tuoi.- tuonò Top

-E tu resti un idiota!- incontrollabile, il ragazzino gli puntò il dito contro -Tu la ami—

-Oh, non ti sembra di affrettare le cose?- il profeta Se7en parlò. Ma venne ignorato.

-Io non amo nessuno.- Top gettò la testa all’indietro, esasperato.

-La baci appassionatamente—

-Ma non l’ho mai detto!- puntualizzò Top aprendo le braccia.

-Chissà come deve essere un Top che bacia appassionatamente.- bofonchiò Dara massaggiandosi il mento.

CL le diede un buffetto in testa –Non è un animale, eh.-

Bom si lasciò sfuggire una breve risata –Il seguito, sui prossimi schermi!-

Top imprecò. I presenti lo fissarono allucinati. E GD chiese alla hostess dei popcorn, che la storia si faceva interessante.

Ri intanto continuava con i suoi vaneggiamenti -E poi le dici che è stato solo un bacio?!-

-Ma è stato solo un bacio!- trillarono tutti meno GD che, ancora in preda allo scoppio di risa, continuava a chiedersi dove fosse una telecamera per filmare quel momento idilliaco. Adocchiò una Minzy nascosta dietro uno PSY mezzo assonnato, che tentava di riprendere quella scena con la propria videocamera. Si sarebbe fatto passare il video pirata sottobanco, così nelle notti insonni e prive di ispirazione, avrebbe saputo come divertirsi.

E avrebbe rimandato indietro in un punto preciso, quell’unico, meraviglioso istante in cui aveva visto il cuore di Top spezzarsi in tanti, minuscoli pezzettini che stavano venendo calpestati da quell’ovvietà ormai nota a tutti: che quello, non era stato solo una bacio.

Poi, giusto per asciugare qualche lacrimuccia che sapeva sarebbe scappata al suo controllo, avrebbe mandato avanti fino ai primi piani delle comparse, deliziose figurine che rendevano più variopinta quell’uggiosa giornata di fine novembre: perché c’era il solito SeungRi che aveva preso a cuore la situazione dell’amico, c’erano i soliti Dae e Tae che cercavano di fare da intermediari con la loro consueta quanto noiosa pacatezza, c’erano i personaggi secondari che, ignari dei retroscena, facevano commenti blandi e scialbi, i classici critici d’arte che confondevano un Picasso per un Monet. E ultimo ma non meno importante, il protagonista indiscusso di quel film successo d’incassi e che, lo sapeva, sarebbe stato annoverato fra i cento film del cuore di GD che avrebbe ricordato più volentieri: Choi Seung-Hyun.

-Tu non hai mai baciato qualcuna, pentendoti?- esalò ad un tratto Top, mani sul viso e voce ripiena di serietà.

-Ma perché dovresti pentirti!- agitò i pugni –Lei ti piace e tu l’hai trattata come se fosse una delle tante ragazze che GD si porta a letto!-

Arcuò le sopracciglia, il leader, sentendosi tirato in causa. No, decisamente il maknae aveva bisogno di un corso accelerato di metafore, perché continuava a propinargliene di tremende.

-Tu non sai niente.- e non ci fu cattiveria nel bisbiglio di Top, non ci fu rabbia pulsante. Solo stanchezza, colpevolezza. E tanto desiderio di poter tornare indietro nel tempo e cambiare tutto.

GD approfittò dello sbandamento istantaneo del maknae e guardò lo Hyung con compassione, trattenendo nella propria bocca quella sacrosanta verità che sembrava sfuggire ai più: Seung-Hyun non era come lui e Lin non era come una delle tante ragazze che lui si portava a letto.

Erano diversi e complementari.

Top non riusciva a dividere il divertimento dal trasporto, non era capace di non dimostrarsi attento nei suoi riguardi, non era in grado di soffocare quel malefico sentimento che stava corrodendo ogni fibra del suo corpo. Perché Ji Yong, seduto alla sua scrivania in veste di psicologo, lo aveva udito quel pianto che non era uscito, lo aveva udito quel senso di colpa che continuava a premere sul suo sterno. Così come aveva udito un inconfondibile –Avrei voluto che la notte non finisse mai.- prima del suo stropicciarsi il volto e troncare ogni conversazione che vertesse su Lin.

E lui aveva accettato il suo silenzio. Come amico. Come un fratello che aveva ormai chiare le cose.

Se non era attrazione questa, Ji Yong si sarebbe per sempre ritirato in meditazione, che forse non era così perspicace nel suo lavoro.

La voce dell’hostess che pregava i passeggeri di allacciare le cinture di sicurezza per prepararsi all’atterraggio, segnò la fine del primo tempo di quel meraviglioso spettacolo, costringendolo a posare i popcorn.

SeungRi aprì le labbra, ma un gracchio gli scappò quando si ritrovò a venire trascinato a terra; Ji Yong lo aveva strattonato per un braccio, allacciandogli la cintura per evitare che il pilota in persona venisse a sequestralo per gettarlo poi dall’aereo ad alta quota.

-Lasciagli un po’ di tregua- si stupì nell’udirsi dire una roba del genere, ma ogni volta che lo sguardo cadeva sull’immagine spaesata di Seung-Hyun, la volontà di torturalo un poco veniva meno. Del resto, gli avvenimenti avevano preso una piega davvero inaspettata –non per lui, ovvio-, ma sentiva che, essendo il tutto ancora fresco, non sarebbe mai riuscito a fargli comprendere cosa diavolo fosse successo al suo equilibrio mentale –Ha bisogno di tempo.-

-Ha bisogno di un calcio- sbuffò –Chissà come l’ha presa Lin.-

-Meglio di te sicuramente.-

SeungRi lo guardò accigliato, ma non replicò alla sua ironia, limitandosi ad un ripetitivo -Quello è un idi—

-Sì, lo abbiamo capito. Anche il pilota lo sa- si beò del suo squittio imbarazzato prima di mangiucchiare delle flebile scuse –Lasciagli un po’ di tregua.- ripeté poco dopo, osservando svogliatamente il suo trafficare con lo zaino.

-A lui Lin piace.- mugugnò imbronciato, guardandolo di sottecchi quasi fosse alla ricerca della sua approvazione.

Approvazione che giunse dopo qualche secondo di pausa, scandita dal suo poggiare la guancia sul palmo aperto e lasciare che le labbra guizzassero impercettibilmente all’insù, con una dolcezza che di raccapricciante non aveva nulla –Sai? Mia madre diceva sempre: E’ meglio dire una bugia al momento giusto, che la verità al momento sbagliato.-

SeungRi corrugò la fronte –E cosa vuol dire?-

-Che non è ancora pronto.-

-Pronto… Ma che cos’è un tacchino al forno?!-

Ji Yong lo guardò di sottecchi, poi gli circondò le spalle con un braccio, catturando la sua completa attenzione –Fidati- con un cenno del capo, indicò Top che faceva ciondolare il capo con indolenza mentre Dae sbuffava di disapprovazione, lo sguardo perso chissà dove –Se non fosse cotto, non sarebbe in quello stato.-

 

******

 

Era un gelido mercoledì pomeriggio di un dicembre giunto con fin troppa velocità e per Ginko, ciò significava solo una cosa: Natale era alle porte e i regali da fare erano ancora sperduti in chissà quali negozi di una Seoul ormai in fermento.

Proprio come lei.

Sì, perché la iperattiva Ginko adorava il Natale, l’atmosfera di gioia e magia che trascinava con sé, quel senso di euforia che la pervadeva al pensiero che, sotto il minuscolo albero argentato nel suo salotto, quello sul basso tavolino, un nuvolo di pacchetti e pacchettini avrebbero fatto compagnia al mucchio di riviste che soggiornavano sulla liscia superficie di mogano 365 giorni all’anno.

E così, sorriso che andava da guancia a guancia, stretta nel suo cappotto color prugna, la ragazzina schivò un paio di coppiette, e si voltò verso l’unica persona lì presente, anzi no, probabilmente l’unica persona al mondo che sembrava intenzionata a non lasciarsi abbindolare dall’aria di festa che ogni lucetta appesa fuori dai negozi emanava:

-Liiiin! Sei lenta!- portò le mani guantate vicino alle labbra screpolate, a mo’ di megafono.

L’americana dribblò una bambina coi codini e la raggiunse con apatia, così come monocolore fu il suo –Non mettermi fretta- che ebbe il potere di farla imbronciare –I regali non scappano, eh.-

Roteò gli occhi –Sì, ma poi mi lasciano i peggiori!- attese di averla al proprio fianco, poi trotterellò di nuovo –E se ti regalassi… Che so!, un bagnoschiuma?-

-Cosa ci sarebbe di male?-

-Magari penseresti che io penso che tu puzzi!- lo aveva esclamato con velocità e in coreano talmente stretto da averla vista aggrottare le sopracciglia prima di giocherellare con il ciuffo che sfuggiva al basco alla francese.

-Quindi non vuoi un bagnoschiuma?- annuì –Pensa, era quello che volevo regalarti.-

-Oh! Davvero me ne vuoi regalare uno? Che carina!- batté le mani –Però non alla cannella. Li odio quelli alla cannella- perse il sorriso, qualche istante dopo –Quindi mi vuoi dire che devo lavarmi?-

Si massaggiò la fronte -Ginko, non ti regalo un bagnoschiuma.-

-Oh, e cosa mi regali?!-

-Ma non dovrebbe essere un segreto?-

-Oh, i regali non sono mai vere sorprese- soppesò seria seria, guardandola poi con giovialità –Le uniche vere sorprese me le ha sempre fatte Babbo Natale!-

Una ventata di vento gelido sferzò sui loro visi, e Ginko non comprese se la smorfia che aveva deturpato le labbra di Lin era dovuta al freddo o a ciò che aveva appena detto -Credi ancora a Babbo Natale?- ciglia sbatacchianti, Lin la guardò seriamente scettica e Gin, presa in contropiede, boccheggiò un paio di volte pregando che un rossore troppo vivace non intaccasse il suo colorito al chiaro di Luna. Ma Lin non tornò sull’argomento, perché forse aveva capito o forse no, fatto stava che aveva ripreso a camminare con quel suo passo un po’ svagato che la contraddistingueva.

Ma che aveva qualcosa che non andava.

Tutto, in Lindsay Moore, sembrava non andare.

Assorta, stranamente pensosa. Velata di un’apatia che non le apparteneva, che non assomigliava all’impassibilità che l’aveva fatta finire sul bancone appiccicoso del Tribeca. Già, perché da quando aveva avuto la fortuna di gravitare nella sua orbita –e sì, per Ginko quell’incontro un po’ strano e pieno di equivoci era stato un toccasana-, aveva imparato a convivere con i suoi continui silenzi, con le sue parole brusche, con il suo vivere in maniera scostante tutto ciò che capitava sul suo cammino.

Ma vedendo la sua schiena leggermente ricurva, il suo flebile –Si gela, oggi.- Ginko capì che qualcosa era accaduto e che forse Lindsay non sarebbe riuscita a sopportane il gravante peso.

Così, nella sua immensa incapacità di cominciare la conversazione con un limpido Mi dici cosa c’è che non va?, Kamikaze si ritrovò a portare le mani in tasca e richiamarla con voce intrisa di vergogna  -Lin, io credo ancora a Babbo Natale, già- la vide voltarsi con occhi spalancati e sguardo allucinato –Ora mi dici il tuo segreto?-

-Non c’è niente.-

Ma Ginko ci credeva, ci credeva davvero. Proprio come credeva che, tra la notte del 24 e 25 dicembre, Babbo Natale le avrebbe lasciato sotto l’alberello un dono infiocchettato.

Ci credeva davvero che qualcosa l’aveva intaccata. Tutto traspariva cristallinamente: lo poteva vedere dai suoi occhi puntati vuotamente al marciapiede ricoperto di scivoloso nevischio, dalle sue sopracciglia aggrottate, dal suo nascondere le parole mangiucchianti dietro una sciarpa di lana blu scuro che ben si intonava alla carnagione fin troppo pallida.

-Ginko- la chiamò piano, girando l’angolo che immetteva in una via stracolma di negozi e passanti, quasi volesse disperdersi pur di non affrontare un discorso troppo pesante –Ho visto Seung-Hyun, prima che partisse.- e che pesante, lo sembrava davvero.

Le spalle di Lin si erano incurvate, di qualche millimetro, ma lei lo aveva notato perfettamente. Così, ad occhi scuri larghi nascosti dalle spesse lenti degli occhiali da vista, Ginko trattenne a stento l’eccitamento, incalzandola con voce soffocata –Lo hai visto?!-

-Sì- ripeté svogliata –Siamo andati alla pista di pattinaggio.-

-E perché non mi hai detto niente?!-

-Non mi sembrava importante.-

No, alt, time out… Lin usciva con Top e non lo reputava importante?! Quella ragazza doveva rivedere le sue priorità, decisamente. Ma non glielo disse, giacché i succulenti dettagli erano la sua di priorità, ora –E…?-

-E cosa?-

-E cos’è successo?-

Lin alzò le spalle –Ma niente. Abbiamo pattinato.-

Macchisenefrega!

-E lui continuava a cadere. È proprio imbranato.-

Non che Top brilli per capacità di movimento…

-Poi delle fan lo hanno scoperto. E niente, ho pattinato.-

Sei su una pista di pattinaggio, cosa volevi fare, andare in slittino?!

-Tutto qua.-

-Come Tutto qua?!- saltò sgomenta, delusa da quello scarno racconto –Non può essere stato un semplice tutto qua!-

Oh, ma andiamo! E dov’erano finite le campane a festa, la musica romantica di sottofondo, gli uccellini che cinguettavano…

-Ah, sì, va beh. Ci siamo baciati.-

e il proprio cervello ora in tilt? Ecco, sì, dov’era finito quest’ultimo?

Represse un urlo di pura gioia e sorpresa, tappandosi la boccuccia con le entrambe le mani guantate prima di agitarle –Vi siete baciati?!- e Lin le fece tenerezza; bastarono le sue guance imporporate a farla gongolare come un tacchino. Gin le stritolò un braccio, affamata di dettagli –E com’è?!-

-Non hai mai baciato?-

Scoccò la lingua –Com’è baciare Top! Insomma, non è una cosa che capita tutti i giorni!- si morse il labbro inferiore –Lui è un Idol!-

-L’ho notato- la ragazza parve pensarci su, ma un blando –Normale.- fece sgonfiare il suo entusiasmo. Ma accipicchia! Possibile che nemmeno in un contesto del genere fosse un po’ su di giri?! Diamine, se lei avesse baciato GD a quest’ora sarebbe corsa a sbandierarlo a quelle perfide e meschine compagne di classe che non avevano perso tempo ad umiliare lei e suoi sogni ripetutamente! Nh, ben, no. No, probabilmente sarebbe morta sul colpo, giacché il suo cuoricino non avrebbe retto.

-Tutto qui?-

-Non aspettarti descrizioni. Non abbiamo tredici anni- sbottò in risposta, divincolandosi dalla sua salda presa. Ginko le cacciò fuori la lingua, mugugnando di fronte al suo menefreghismo. Ma tempo due secondi e uno sbuffo fece di nuovo volare il suo entusiasmo –Però bacia bene.-

-Aw, che invidia!- borbottò guardando il cielo grigio da cui qualche fiocco cominciava a cadere. E quel pensiero scappatole senza nemmeno pensarci, si insinuò nelle pieghe del suo cervello ora in tilt, diramandosi come un veleno amaro fino al cuore, sostando nella trachea. La guardò di sottecchi, chiedendosi per la prima volta che una ragazza apatica come lei avesse potuto accalappiare un personaggio del calibro di Top, che aveva sempre decantato qualità e doti di un’ipotetica donna che gli sarebbe piaciuta, quando Lin ben si discostava da tutto ciò. Ma poi, un sorriso sbocciò. E avvertì una dolcezza che andava oltre i pensieri maligni che la sua mente le sbrodolava contro, che andava oltre la cattiveria che non riusciva a contaminarla. Che superò quel baratro oscuro che le stava corrodendo l’animo, emanando un bagliore di pura gioia che la fece stare bene, giacché la felicità della sua amica andava oltre tutto quel veleno –Sono contenta per te, sul serio.-

-Per cosa?- grugnì l’altra, confusa.

Ginko gonfiò le guance –Ma perché gli piaci!- trillò variopinta –Tu piaci a Top!-

E lei ci credeva, ci credeva davvero che a Top piacesse Lin.

E mentre lei continuava a perdersi nei meandri dei propri vaneggiamenti, Lin la riportò bruscamente sulla retta via con un serafico –Ma non credo proprio.- corredato da un’alzata di spalle.

E lei socchiuse gli occhi scuri –Osi negare l’apparenza?-

-E’ stato lui a dirmelo. Più o meno- vitrea e contratta in una smorfia all’Urlo di Munch, Kamikaze le rifilò un’occhiata stralunata e a cui non seguì alcuna parola, poiché quelle dell’amica arrivarono ben prima a rifilarle il colpo di grazia –E’ stato solo un bacio, ha detto. Poi se n’è andato.-

 

Bum. Morta, stecchita. Ginko era riversa sul selciato, o almeno, tutte le sue certezze che sin d’allora l’aveva spinta a fangherlizzare sulla coppia TopxLin lo erano, come tessere di un domino -Lui-lui-lui—

-Ginko, respira.-

No, che non respirava! –Lui è un idiota!- la sua voce superò la soglia dei decibel, ma poco le importò. No, in quel momento le interessava capire perché quell’idiota dal cervello ridotto a stuzzichini avesse commesso un atto così ignobile.

Perché lei ci credeva, ci credeva davvero nella TopxLin.

Ma a quanto pare, c’era ancora qualche miscredente in giro –Ha ragione lui. E’ solo un bacio- Lin alzò le spalle –Lascia il tempo che trova.-

-Un bacio non è mai solo un bacio!- squittì melodrammatica, agitando le manine affusolate –Non lo è!-

-Per lui sì.-

-E anche per te?-

-Non è poi diverso dagli altri, eh- Lin si grattò la nuca coperta dal basco francese –A sedici anni, baciavo un sacco di ragazzi senza dare spiegazioni. O senza pormene. Con lui non è stato poi così diverso.-

E Ginko ci credeva, ci credeva davvero che un bacio non era solo un bacio.

Che con quel gesto si potevano dire più cose che le semplici parole non avrebbero detto, si potevano toccare corde dell’animo che le banali frasette da cioccolatini non avrebbero mai sfiorato nemmeno di sfuggita.

C’era tanto, talmente tanto dietro un bacio che per un attimo sentì l’impellente bisogno di stringerla a sé a magari asciugare un po’ del suo dolore…

-Credevo che gli piacessi. Che ti amasse.-

Che era già diventato un po’ suo…

-L’amore è come Babbo Natale: non esiste.-

Che fece più male di quanto avrebbe mai potuto pensare.

 

Ginko si mosse, lisciandole la spalla in una silenziosa carezza, pregando che Lin non avesse bisogno di parola alcuna per quel giorno, perché non riusciva proprio a trovarne. Perché Ginko ci credeva, ci credeva davvero che sarebbero state insieme in quei due mesi di sconforto. E forse anche oltre…

Ma fu un attimo, il tempo di accorgersi che Lin non la stava seguendo. E Ginko, ne era sicura, non avrebbe più dimenticato quell’immagine di rara staticità, quel classico momento calamitante che volente o nolente sarebbe rimasto impresso nella sua memoria svagata.

La neve che fioccava, il chiacchiericcio dei passanti, gli strombazzamenti dei clacson e le macchina che intasavano le strade. Tutto nella norma, in quei suoi ventitré anni di vita. Fatta eccezione per la ragazza che ora la fissava, in attesa.

-Qualcosa non va?-

E Ginko non lo capì subito, o non ci fece caso. Ma avrebbe dovuto comprendere che qualcosa in lei non andava e che, trattandosi di Lin, un bacio non sarebbe stato l’unico suo pensiero.

Ma, beh, Lin era ferma, traballante in tutta quella staticità che l’aveva avvolta…

-Ho aperto la lettera, l’altra sera.-

E che a lei, aveva fatto perdere le parole.

-Mia madre vuole che torni a New York.-

 

E Ginko no, per un attimo non credette più a nulla.

 

******

 

Condanna a morte: 16 gennaio.

Quel messaggio misterioso e pendente sul suo capo svettava in rosso e a carattere cubitali sull’agenda di seung-Hyun, giusto per ricordarsi che un’intervista imbarazzante avrebbe avuto luogo in quell’infausto giorno che era sì lontano, ma che probabilmente sarebbe giunto con estenuante lentezza.

Del resto, da quando era lì in Giappone, tutto sembrava andare alla moviola. O forse era solo il suo cervello a farlo sembrare più rincoglionito del solito. E no, gli sguardi biechi e melodrammatici dei suoi amici, non aiutavano di certo. Già. Perché da quando avevano scoperto del suo bacio con Lindsay, conclusosi in maniera pessima e squallida, i suoi compagni non avevano smesso di rammentargli quanto ampiamente pirla fosse stato. O quanto colpevole dovesse sentirsi.

E ciò non si riferiva al solo bacio, no.

Pioveva? Colpa sua. Si rompeva una luce sul palco? Era stato lui a manometterla, come se non avesse nient’altro da fare. Ai, troppo delusa dal fatto di non ricevere le adeguate attenzioni, aveva lasciato SeungRi, ora a soffocare i dispiaceri su chili e chili di gelato? Ma certo, era colpa sua. Per motivi a lui ignoti, eh, ma era stato il maknae a guardarlo sull’orlo delle lacrime urlandoglielo contro. E lui aveva alzato le spalle, che della sua isteria non sapeva che farsene.

E tra parentesi, Ri aveva broccolato per tutta la loro ultima intervista con la presentatrice, quindi stava benissimo. No, così per dire, eh.

Comunque, Top si era ritrovato ad essere considerato l’elemento di sfiga del quintetto, venendo additato come Choi il ladro di baci Seung-Hyun e un delizioso quanto fantasioso Il Top dei dementi. Carini, decisamente.

Lanciò uno sguardo seccato alla telenovela che stavano trasmettendo, indeciso se creare una corda con il mucchio di magliette sparse alla rinfusa sul letto e magari strozzarsi o attendere che qualche ammiratrice invasata lo ammazzasse. Da vera star. Come John Lennon, magari mentre firmava un autografo fuori da quell’hotel di cui ancora non aveva memorizzato il nome. Gli avrebbe stretto la mano, gli avrebbe detto –Seung-Hyun kun, lei sta per entrare nella storia!- e poi gli avrebbe inferto quattro colpi di pistola. E poi si sarebbe scoperto che era stato Ri il mandante e che lui era una povera vittima, reo di aver abbandonato Lindsay Moore sui freddi gradini di casa propria dopo averla baciata.

Sì, beh. Peccato che lei, senza nemmeno rendersene conto, senza nemmeno dire o fare nulla, solo concedendogli quel misero desiderio di poter assaporare le sue labbra a lungo bramate, gli aveva strappato il cuore. E se lo era tenuto.

Stai delirando, te ne rendi conto?

 

Un bussare leggero alla porta lo ridestò. Volse il volto, prendendosi del tempo per chiedersi se davvero volesse essere disturbato o se era meglio improvvisare un paio di russi e fingersi dormiente sotto le coperte.

Ma il bussare continuava, quasi fosse un conto alla rovescia per la sua pazienza già in precario equilibrio da quando quel viaggio era cominciato. Un filo che, a dir la verità, si era già spezzato da molto tempo, senza che lui potesse avvertirne prima la mancanza.

E che due maroni!

All’ennesimo picchiettio roteò gli occhi. No, non avrebbe aperto. E se fosse stato quello psicopatico di Ji Yong? Non era in vena per una maratona psicologica, decisamente. O magari era Ri che, armato di coltello da macellaio, decideva di mettere la parola fine alla sua scemenza. O alla sua vita, che era poi votata alla scemenza acuta. O magari erano Tae e Dae che, nelle vesti di genitori provetti, decidevano di fargli una sonora ramanzina per il suo oltraggioso quanto stupido comportamento nei confronti dell’amore della sua vita –cit. SeungRi, giusto per restare in tema di cretineria.-.

No, no, non avrebbe aperto. Va bene che era piuttosto coglione, ma alla propria vita ci teneva! Tornò a guardare l’agenda, allungando meglio le gambe sulla scrivania, circondando con il pennarello rosso l’intervista che avrebbe tenuto l’indomani –Sono nudo.- sbottò apatico, facendo così cessare quel frastuono che gli stava facendo rimbalzare il cervello.

Ma una voce divertita pur nel suo scetticismo, per poco non lo fece ribaltare –Tu nudo? Ma non dire balle!-

-Se7en?!- si avvicinò alla porta, sopracciglia arcuate ed espressione di terrore a dipingergli il volto contratto in una smorfia; smorfia che si dipanò in tutta la sua atrocità quando si rese conto di come quello sembrasse in procinto di stanziarsi vita natural durante nella sua stanza. E il pigiama ne era un concreto segno -Che ci fai qui?-

-Sono venuto a controllare che non ti stessi suicidando.-

Top si grattò la punta del naso, chiedendosi se davvero fosse così prevedibile o se fosse solo lui, con la sua verve da condannato a morte, con la spruzzatina del suo acquattarsi nella propria camera d’albergo armato di pillole per il mal di testa, a dare la parvenza di un suicida.

-Tanto Ri verrebbe ad ammazzarmi prima- sbottò irritato, vedendolo ridacchiare –Allora, che c’è?-

-Ti ho portato da mangiare.- sollevò una busta, un breve sorriso ad increspargli le labbra.

-Non ho fame.-

Senza nemmeno avere il tempo di divenire una barriera umana, Dong Wook lo aveva già superato, facendosi largo nella sua camera che era già stata messa a soqquadro, quasi quell’ammasso disordinato di abiti sparpagliati volesse testimoniare il suo disagio interiore e mentale.

No, ma almeno chiedere permesso…

-Permesso- strabuzzò gli occhi, Top, grattandosi la nuca mentre si chiedeva se qualche microchip non fosse stato infilato nel suo cranio, cosicché quel ragazzo potesse captare ogni suo pensiero fluttuante –Noto che non sei diventato più ordinato, dall’ultima volta.- così come si chiese quale diamine di incantesimo silenzioso usasse su di lui per farlo sentire a proprio agio in un battibaleno.

Già. Perché Choi Dong Wook con i suoi modi gentili e mai invadenti, con la sua pazienza, sapeva sempre farlo stare bene. Anche quando il mondo sembrava aprirsi in una voragine sotto i suoi piedi, anche quando credeva che ogni disgrazia lo perseguitasse, anche quando capiva di essersi lasciato sfuggire ciò che stava diventando importante, lui c’era. Senza giudicarlo, con amicizia. Con quel suo sorriso caloroso di cui, decisamente, aveva bisogno.

E infatti lo vide, quel sorriso, quando tornò a guardarlo in volto al chiudersi pacato della porta –Non ci vediamo da un po’.-

-Ci siamo visti in aereo. E alla nostra festa- spostò alcuni vestiti smessi, facendoli passare dal letto al pavimento –E al meeting, e a cena, e sul palco per le prove e—

-No, intendevo da soli.- bloccò il suo fiume di parole con un risolino leggero, accomodandosi su quelle lenzuola sgualcite di un improponibile blu a pois gialli. Con quelle, di sicuro, non ci si sarebbe strozzato; quel colore smorto poco si intonava alla sua carnagione olivastra.

-Oh, amore, quanto mi sei mancato!- civettò ironico, vedendolo gettare la testa all’indietro mentre la sua risata sovrastava il volume ormai basso della telenovela. Seung-Hyun posò il telecomando sulla scrivania, poi si sedette sulla sedia girevole con pesantezza, un sorriso leggero ricomparso sul volto marcato –Perché non sei con gli altri?-

Se7en gli passò il sacchetto che, dall’odore, sembrava contenere ramen, poi alzò le spalle –Ormai parlano solo di te. Stai diventando piuttosto noioso!- scherzò gioviale, storcendo il naso quando lo vide posare con malagrazia il sacchetto sulla superficie cosparsa di libri di Daesung -Ormai sei oggetto di grandi discussioni, in mensa- fu così che iniziò, con un po’ di ironia mescolata a divertimento, il tutto condito da un’espressione pacifica tipica di quegli ambasciatori che non portano pena, ma sono solo messaggeri di infauste novelle –Perfino le truccatrici ne stavano parlando.-

-Mai che la gente si faccia i fattacci propri, eh?- borbottò caustico, massaggiandosi la fronte corrugata per il troppo stress. Che poi, le truccatrici insieme alle parrucchiere erano la razza peggiore! Sempre lì a confabulare, spettegolare, renderlo partecipe di aneddoti sulle vite altrui che, forse, nemmeno i diretti interessati sapevano di aver vissuto. E lui, che se ne era sempre guardato bene dal divenire il loro oggetto di gossip, doveva fare ora i conti con la loro lingua biforcuta. Tutto a causa di Ri e dei suoi rimproveri berciati a destra e a manca… Era in momenti come questi che desiderava mettere fine alla sua giovane vita da star –E poi è già passata più di una settimana! Basta!-

-Un Top invaghito non è spettacolo che si vede tutti i giorni- Se7en lo studiò un poco, lasciando scivolare le mani sul tessuto ruvido e allungando la schiena, aggiunse -Vuoi parlarmi di lei?- e Seung-Hyun comprese che sarebbe stata una lunga, lunghissima chiacchierata cuore a cuore di cui avrebbe fatto volentieri a meno.

Perché la posa era proprio quella! La posa da Se7en in versione psicologo dei poveri che cercava di cavare qualche ragno fuori dal suo cervello in liquefazione, si era presentata ai suoi occhi ora ripieni di desiderio di fuga. Si stropicciò il volto -Proprio no.-

Il cantante gli rivolse uno sguardo finto deluso, scuotendo la nuca –Credevo fossimo amici, Seung-Hyun!- melodrammatico, portò una mano sulla fronte, ridacchiando di fronte al suo guardare fisso il soffitto color panna –Insomma, sono l’unico che non sapeva nulla!-

Top storse il naso –E adesso lo sai- fece girare un poco la sedia, guardandolo scocciato –E poi parli proprio tu? Fidanzato da anni e lo hai tenuto nascosto a tutti!- lo accusò neppure troppo sottilmente, vedendolo incassare il colpo con un’alzata di spalle e un serafico sorriso di chi non si è lasciato intaccare.

-Ma non a te- fu la sua pratica quando destabilizzante risposta. E Top, rendendosi conto di come si fosse messo in trappola con le proprie mani, si ritrovò ad imprecare fra i denti, puntando il proprio sguardo su quell’invitante sacchetto –Allora, me ne parli sì o no?-

E avrebbe voluto dirgli un secco ed esaustivo No, ma quando lo vide poggiare i gomiti sulle ginocchia e fissarlo in attesa, con quel velo di sincera curiosità senza alcuna sfaccettatura di recondita cattiveria, Seung-Hyun si lasciò andare ad un sonoro sbuffo prima di alzare le spalle –Non c’è nulla da dire.-

L’amico scoccò la lingua –Oh, andiamo, non fare il moccioso!- lo rimproverò irritato, anche se visibilmente divertito dal suo atteggiamento ostile –Allora, dove l’hai conosciuta?-

In un locale. Ballava mezza nuda sui tavoli.

-In giro.-

-Ed è simpatica?-

A modo suo…

-No, decisamente.-

-E’ bella?- socchiuse gli occhi, chiaramente spazientito dalle sue risposte striminzite.

-Sì. Molto- si bloccò, mordendosi la lingua per quella confessione che fece fischiare l’amico. Ah, Top idiota! Si era lasciato fregare da quel pensiero che, serafico, era scappato alla sua presa e si era gettato a capofitto nell’aria. E ora come affrontava un famelico Se7en che non sembrava soddisfatto da questa sua misera dichiarazione? Che poi, a ben vedere, non era questo chissà che segreto… Trovava bella anche la postina, ma mica ci voleva andare insieme –Ma poi non ti annoiava parlare di me?-

Sventolò una mano –Nah, era una scusa per venire da te.-

-Ah.-

Si sporse, apparendo un’amichetta confabulante –Allora, com’è?- e il suo sorriso per invogliarlo a parlare, attendendo pazientemente una risposta che tardava ad arrivare, perché nella sua mente era ancora offuscata.

Com’è, Lindsay Moore?

Deglutì.

Di dirgli E’ uguale a tutte le altre non gli passò nemmeno per la mente. Tra tutte le frasi che avrebbe potuto utilizzare per descrivere in brevità Lindsay Moore, quella non comparve nemmeno di sfuggita.

Perché non lo era, non lo era mai stata sin dall’inizio. Odiosa fino al midollo, indigeribile come mai nessuna donna lo era stata e ora così indispensabile come nessuna mai prima di allora.

-Lei è—

 

Sai? Sono americana, non cretina.-

-Allora, vuoi del Chardonnay o ti accontenti di una Beck’s?-

-La convention in memoria di Elvis è nel palazzo di fronte.-

-Mia nonna rivuole le sue tendine per il bagno.-

 

Scorbutica, stronza, supponente…

-Sì, insomma—

-Scusami tanto. Scusa.-

-Non me ne vado. Non ti lascio solo con la febbre.-

Parlare con te non è difficile-

-Scusa se ti ho fatto perdere tempo.-

-Ora stai bene, giusto?-

 

-E mangia. E dormi.-

 

Dolce nella sua bruschezza, luminosa nella sua apatia, delicata nella sua sgarbatezza…

-Lindsay è, beh, nh—

 

-Seung-Hyun…-

 

-Lindsay è diversa.- se lo era sentito sussurrare con trasporto, come se quella fosse l’unica parola fra il mucchio che potesse descriverla appieno, racchiudendo tutte le sfaccettature che la facevano essere la bella persona che era. E alzò le spalle, Seung-Hyun, aprendo le braccia, dicendogli silenziosamente che non aveva altro da aggiungere. Che non c’era altro da aggiungere.

E Se7en, dopo un primo momento di sbigottimento, gli aveva sorriso fraterno, inclinando il capo –Diversa- ripeté assorto, prima di lasciarsi andare ad una risatina leggera –Era da tanto che non ti vedevo così, sai?-

-Così come?- frastornato dal suo essere così vago, quella notte, il rapper lo fissò stralunato, seriamente incapace di seguire il filo del suo discorso.

E attese qualche secondo, quel tanto che bastava per rendersi conto che Se7en aveva già capito tutto senza nemmeno sapere i retroscena e tutto quello che li aveva accumunati -Così preso per qualcuna.-

-Figurati- si maledisse per la propria incertezza che continuava a farlo sembrare una ragazzina alle prese con la prima cottarella. Ma cazzo, tra Se7en, GD e Ri era circondato da gente che sembrava sempre voler mettere in bilico le sue certezze. Certezze che, a bene vedere, non c’erano nemmeno più –Nh, forse un po’.- ammise flebile, portando le mani fra i capelli neri laterali, per poi scompigliarsi quelli turchesi in cima.

E non fu così tremendo accorgersi di essere ormai preso da lei. Fu tremendo accorgersi di essere preso da lei quando ormai, probabilmente, a Lin nulla sarebbe più importato di lui. Perché baciarla e poi abbandonarla con un misero saluto era stato un comportamento degno di tutti quei ragazzi che l’avevano usata come amante, come sfogo, come rimpiazzo, che l’avevano trattata come la chiamata d’emergenza quando la notte faceva troppo freddo per stare da soli…

 

-Lo so che non sei come gli altri.-

 

Perché si era sbagliata e aveva incassato il colpo con un gentile In bocca al lupo per il tour.

Doveva aver assunto un’espressione tremebonda, perché Se7en cambiò tono di voce, assumendo un tono di incredulità prima di porre la fatidica domanda a cui nessuno sembrava aver trovato una risposta –E allora perché le hai detto che è stato solo un bacio?- e che lui, dopo averla pronunciata nell’abitacolo che sapeva di pesca, avrebbe voluto rimangiarsi.

Il tamburellio delle proprie dita sul volante risuonava sordamente nel suo cervello ora in completo blackout, il suo sguardo nocciola velato di timore rivolto alla strada che si spianava sotto di loro, quel muro di spessa aria tesa che era tornato a farli barricare dietro le loro paure…

-Seung-Hyun…-

E il proprio nome, un mormorio preceduto da un breve sospiro, sfuggito a quelle labbra che a lungo aveva assaporato e che aveva bramato anche dopo essersi allontanati da quelle panche, nonostante il cuore pulsante di febbrile terrore. Un campanello d’allarme che risuonò stridente contro le pareti della propria gabbia toracica e prima ancora che potesse trattenersi, quella frase era stata pronunciata. Bruscamente, forse, stupidamente, anche.

Ferire, prima di essere ferito.

Lasciare cicatrici, piuttosto che averne.

Era questo che aveva imparato dopo tutte le cantonate prese una volta divenuto famoso. Che le persone non sono come appaiono, che la semplice bellezza non è sinonimo di ottime qualità. E che anche il frutto più acerbo può essere gustoso al palato. Sua mamma gli aveva spesso ricordato, durante le loro passeggiate per tornare a casa al rientro da scuola, quando era ancora un bozzolo di ciccia, che le apparenze non dovevano divenire il fulcro delle sue prospettive e che spesso la gente veniva ingannata dalla facciata…

 

-Perché piangi?- la sua mano che stringeva la propria, piccola e paffuta.

-Nh, dicono che sono grasso.- mugugnò.

-E allora? Per me sei bello così. Cuore mio…-

Il suo sguardo lucido rivolto al suo viso raggiante.

Il suo sorriso dolce e caloroso.

-Il fiore che sboccia in ritardo, è il più raro e più bello di tutti.-

 

 

-Hai mangiato? Non capisco il senso della tua dieta.-

-Sei magro. Stai bene così.-

 

Un tuffo al cuore lo fece sobbalzare.

Perché si ostinava a sommergere i suoi ricordi? Perché continuava ad occupare insistentemente i suoi pensieri?

-Allora?- lo incalzò l’amico, pacato.

E a quel punto, realizzò. E non fu nemmeno sorpreso da tutto ciò, giacché il suo inconscio lo aveva fatto reagire d’istinto. Tornò a guardare Dong Wook con espressione più rilassata, un sorriso amaro a increspargli le labbra -Era spaventata. L’ho baciata e lei sembrava voler scappare- udì la propria voce spargersi in un sussurro talmente basso da mescolarsi al volume quasi inesistente della stupida telenovela. L’amico sbatté la palpebre –E poi l’ho solo preceduta, tutto qua.-

-Preceduta?-

 

Non odio l’amore. È solo una perdita di tempo.-

-I legami sono stupidi. Si basano su promesse che non vengono mai mantenute.-

L’amore non è mai per sempre.-

 

Si strinse nelle spalle –Conoscendola, mi avrebbe detto le stesse parole.-

Ed era pur vero che Lin non era scappata. Ma tutto, tutto, lasciava trasparire quanto quella situazione stesse diventando ingestibile per lei. Quel velo di smarrimento negli occhi troppo larghi, le sopracciglia troppo aggrottate, le labbra troppo dischiuse, il suo tremolio troppo vistoso che andava oltre il freddo pungente della neve che li stava ricoprendo.

Troppo. Tutto era stato troppo.

E la sua paura, aveva finito col contagiarlo. E allora niente allungarle una mano mentre si dirigevano alla macchina, nessuna frase per cercare di dissipare quell’alone di imbarazzo che li aveva avvolti e stretti, ingarbugliandoli, niente sguardi di sottecchi o sorrisi fugaci che sarebbero valsi più delle loro sciocche confessioni, niente bacio mentre si allacciavano le cinture, niente bacio fermi ai semafori rossi.

Niente che avrebbe potuto prolungare quell’agonia lacerante che gli stava stritolando l’anima.

-Oh- si lasciò sfuggire l’amico, grattandosi la nuca castana rossiccia –Quindi ora che hai intenzione di fare?-

Tolse dal sacchetto il contenitore di plastica, scrutandolo –Niente. La dimenticherò. Come ho fatto con tutte.-

-E sei sicuro di riuscirci?-

-Non lo so- aprì il coperchio, inspirando quel buon odore di ramen che fece gorgogliare il suo stomaco –Due mesi sono lunghi. Se non la vedo, me ne dimenticherò.-

Sì, l’avrebbe dimenticata. Doveva riuscirsi.

Dong Wook scosse la nuca, ma non obiettò. Non gli disse nulla, contemplandolo nel suo osservare gli spaghetti di soia immersi nel brodo. Passò qualche minuto, si lisciò i pantaloni della tuta e si alzò, pronto ad andarsene –Spero tu ci riesca, allora.-

Ma come avrebbe potuto se tutto…

-Guarda che se non mangi si fredda- Se7en gli diede una pacca sulla spalla prima di aprire la porta e scrutarlo apprensivo -E poi dormi, che hai due occhiaie spaventose.-

-Ma tu dormi abbastanza?-

-E dovresti dormire. Hai due occhiaie spaventose.-

 

Tutto…

-Hai mangiato?-

 

Gli ricordava lei?

 

******

 

Lin chiudeva tutto nei cassetti.

Piccoli o grandi che fossero, non aveva importanza. Bastava che fossero capienti, così da poter contenere tutti quegli scomodi ricordi che affliggevano sempre la sua mente. E che fossero a

chiusura ermetica, così da non riemergere mai più, che portavano solo dolore, quei maledetti.

Come la foto di sua madre e suo padre nel giorno del loro matrimonio, che aveva chiuso in una giornata piovosa e grigia.

Come la foto del suo primo ragazzo, quella del secondo e del terzo, fino a che di foto non ne aveva più scattate, perché nessuno di loro era mai valso la pena. O un rullino intero. O una memory card da 4 Giga.

Aveva chiuso le foto di classe che la ritraeva con compagni serpenti, che si accoltellavano alle spalle per avere buoni voti, un branco a cui lei si era sempre tenuta a debita distanza.

Aveva chiuso perfino la foto segnaletica che la polizia le aveva fatto quella ormai lontana notte in caserma, seppellendo il motivo che l’aveva costretta in una cella insieme ad alcune amiche e quello che, all’epoca, era stata la migliore notte di tutta la sua giovane vita.

Ma ora, di fronte alla quella porta di legno, tutto ciò non aveva più importanza -Avanti!- una voce annoiata seguì il suo tocco deciso sulla porta, talmente deciso che a malapena aveva sovrastato il rumore proveniente dalla sala da ballo. Si sistemò la gonna a gialla, corta e ampia di Biancaneve; ravvivò i capelli mossi e sciolti appuntando il cerchietto rosso con un fiocco e infine aprì, che tanto il suo aspetto non l’avrebbe minimamente salvata da quella chiacchierata scomoda, ma necessaria -Oh, signina Moore. Cosa la porta qui?- la voce del signor Yoon risuonò velata di sospetto nel piccolo studio immerso nel rumore della musica classica.

Già, perché mentre nella pista da ballo si scatenavano sulle note di Pound the alarm –beh, questo almeno dieci minuti prima-, il signor Yoon aveva la malsana idea di mettere sempre musica classica. Ricordava di essere stata accolta dal Requiem di Mozart e, beh, non è che fosse stata così tanto invogliata a conversare con lui. Ma a dispetto di ogni previsione, il signor Yoon le aveva rivolto un sorriso fugace che sembrava volerla mettere a suo agio, o almeno farle togliere dal volto quell’espressione di agonia che le si era dipinta. Perfino il suo -Si accomodi, Moore.- era risultato cordiale nonostante gli occhietti da serpente la scrutassero nemmeno fosse un topolino in trappola.

E Lin era riuscita a compiere un minuscolo passo che aveva richiesto un immane sforzo, si era seduta mentre i baritoni cantavano, aveva circondato il ventre con le braccia mentre i contralti incalzavano e si era barricata dietro le acute voci dei soprani al suo –E’ successo qualcosa?- che l’aveva costretta a chiedersi perché mai fosse lì.

-Ma va- sventolò una mano, rammentando subito dopo i dieci comandamenti di Ginko quando si trattava del signor Yoon –E mi scusi per il disturbo.-

-Andrebbe detto prima, lo sa?- la ragazza si grattò la punta del naso, lambita dal suo commento che mal celava divertimento e che, per qualche strana ragione, aveva fatto scemare un po’ della sua ansia –Allora, cosa la porta qui?-

-Vorrei una settimana di ferie.-

-Una settimana di ferie?-

-Sì. Se possibile.-

-L’erba voglio non cresce nemmeno nel giardino del re.- tornò a guardare i propri documenti, ignorandola.

E Lin si arrese -Nh, avrei bisogno di una settimana di ferie. Sarebbe così gentile da concedermela?- accartocciò il foglietto che stringeva nella mano destra, gongolando per la propria abilità nel non infarcire quella frase articolata con qualche insulto –Per favore.-

Lo vide alzare il capo con indolenza, lentezza estenuante, quasi volesse punirla per tutti quei casini al locale che ancora non aveva commesso –Una settimana?- ora che aveva catturato la sua attenzione, Lin avrebbe dovuto sentirsi più tranquilla, o almeno convinta che quello le avrebbe concesso la grazia senza dilungarsi in futili commedie. Ma aveva posato il pennino nel calamaio, aveva abbassato il volume della radio posta sulla scrivania sommersa di fogli in pile ordinate e l’aveva osservata –Per cosa?- e Lin aveva capito che non sarebbe mai più uscita da quell’ufficio.

-Devo tornare a New York.-

Lo aveva detto, lo aveva confessato. E inavvertitamente, quelle parole avevano spintonato il suo cuore in bilico su di un filo, elevato su di un enorme baratro di cui non poteva vederne la fine. Ah, no, perdono. Il cuore le era stato portato via da un pirla vestito con un giaccone rosso e improponibili capelli turchesi che ora, sicuramente, stava dimenandosi su qualche palco in quel del Giappone.

-New York?-

Scosse la nuca, scacciando dai propri pensieri quel maledetto coreano –Sì. Da mia madre.-

-Spero non sia nulla di grave. Emily sta bene?-

E chi l’ammazza quella specie Bahamut?! –Aha. Solo, vuole che torni a casa. Per un po’- si contorse le dita ingioiellate, agitandole un poco quando aggiunse –Dobbiamo parlare dell’università.-

Quella frase risuonò stridente pronunciata da lei, così seria e strana che quasi non si addiceva ad una ragazza dalle braccia tatuate e che aveva preso ad accarezzarle con fin troppo disagio. Perché la stanza le parve minuscola, il signor Yoon un mostro e l’America sempre più vicina e sconosciuta.

E prima che potesse chiuderlo, da uno dei tanti cassettini era scappato un ricordo. Malsano, che la faceva sentire inadeguata. Sì, perché nel cassetto della scrivania, nell’appartamento a New York, aveva lasciato la lettera della Columbia University che, su carta prestampata, aveva annunciato la sua bocciatura per entrare alla facoltà di medicina. E con lei, aveva chiuso le parole sferzanti e pregne di delusione che Emily le aveva scaraventato contro con rabbia repressa, forse sfinita da anni di liti ed episodi spiacevoli.

Perché nonostante i mesi fossero trascorsi, l’inizio della fine continuava a rimanere vivido nella sua mente.

La linea dei suoi lineamenti contratti in una smorfia di collera erano ancora ben scorgibili se solo rammentava quel lontano 12 settembre, le sue mani tremanti sulla lettera di ammissione sgualcita e stropicciata, raccolta da un sacco della spazzatura in cui non avrebbe mai dovuto mettere le mani continuavano a scuotere i suoi pensieri, il suo sguardo di ghiaccio che ebbe il potere di paralizzarla sull’uscio di casa.

Nonostante gli squilli delle amiche che le mettevano fretta, nonostante i messaggi dei ragazzi che richiedevano la sua compagnia. Nonostante, a lei, di quell’università e di ciò che per Emily rappresentava non gliene fregasse nulla.

Nonostante tutto, la delusione che aveva letto sul volto della madre era forse stato l’emblema di quanto lei, alla fine, fosse una pessima figlia ai suoi occhi.

La voce stupita del capo la catapultò nella realtà -Vuoi andare all’università?-

Lin risollevò il capo dopo aver sistemato il bustino azzurro -No, cioè… Non—


 

-Sei cresciuta per i Non lo so!-


 

-Non ci ho ancora pensato bene.-

Ed era così, Lindsay non ci aveva affatto pensato.

E nemmeno quando aveva letto i saluti distaccati di Emily, ci aveva pensato su. Così come non ci aveva pensato quando le aveva rinfacciato di averla fatta crescere nella bambagia mentre lei, figlia degenere, aveva preso a frequentare brutte compagnie. Lasciandosi corrodere dall’egoismo, il cinismo, chiudendo fuori dal proprio mondo la bontà. E quindi no, non ci aveva pensato…

 

Perché non ci riprovi?

Sei ancora in tempo.

 

Fino a quella frase. Che era risuonata vagamente intrisa di gentilezza, di un’aspettativa che da tanto tempo non le aveva letto negli occhi, che se n’era andata con il trolley di Mark che scivolava sul parquet prima che la porta sbattesse. A allora aveva cominciato a pensarci, che tanto questa sua decisione non avrebbe influito sulla sua vita.

E poi, un ragazzo che l’aveva stretta a sé in una tempestosa nottata innevata, le aveva detto che era stato stupido sbagliare un test di ammissione per ripicca. E lei aveva cominciato a credere che forse, per dimostrare a sua madre che un po’ di intelligenza ce l’aveva anche lei e che no, non si era volatilizzata con le sue urla per sopperire il dolore dell’ago che le lasciava segni indelebili sulla pelle pallida, fare un test di ammissione e vedere come andava, non sarebbe stato poi così male.

Per dimostrarsi meno inutile di quanto non si fosse mai sentita come in tutti quegli anni.

-Oh, Mark sarà contento.-

Lo è…

I suoi occhi che si allargavano, il suo sorriso che si ampliava e il suo abbraccio, ricolmo di un calore che a lungo aveva voluto percepire e che per tutti quegli anni le era stato negato. E che aveva ricambiato, timidamente e forse un po’ impacciatamente, per poi cedere il posto ad una Minji gelosa che le rinfacciava un acuto –Sei cresciuta per gli abbracci!-.

-Non ho ancora deciso.-

Il signor Yoon si lisciò i baffi, sorridendole un poco –Oh, in qualsiasi caso, sono sicuro che sarà orgoglioso- la guardò serio -Suo padre mi parlava spesso di lei, sa? E’ la sua gioia più grande. Insieme a Minji, ovvio.- precisò con pacatezza, facendole imporporare le guance.

-Quindi, posso andare?- interruppe quel senso di dolcezza che si era impossessato di ogni sua fibra muscolare, rilassandosi quando lo vide annuire.

Certo, certo, può prendere quella settimana- agitò una mano –Ora vada. I clienti stanno attendendo.-

E Lin annuì, ringraziandolo con un breve inchino prima di uscire. Lenta e indolore, quella chiacchierata che le aveva tolto energie preziose era terminata. E lei si sentì più leggera. Si appoggiò alla porta di legno nella sua lenta chiusura. La testa vorticante si posò con delicatezza mentre lo sguardo era puntato dritto contro il muro, spento e vacuo.

-Quindi te ne vai?- la voce incrinata di Ginko fu un buon motivo per tornare alla realtà. Una realtà scomoda, fatta di sguardi colmi di dolore e parole taciute, quelle miriadi di parole che non le aveva rivolto come suo solito, evitandola, ignorandola da quando si erano incrociate in camerino. Anzi, no. Da quando le aveva detto di aver aperto la busta e di averne accettato il contenuto con tutta la pesantezza che comportava.

-E’ solo per una settimana, Ginko.- giocherellò con il ciuffo corvino, districandosi dal suo sguardo sgomento.

-Una settimana è molto tempo.- mormorò quella lisciandosi le pieghe del vestito striminzito azzurrognolo di Alice nel paese delle meraviglie osé.

No, due mesi lo sono…

Tramortita da quel pensiero opprimente che non la lasciava perdere, Lin le rivolse un’occhiata stanca, incapace di sostenere quella discussione così banale ma che, per certi versi, le pareva troppo complicata. Perché Ginko era emotiva e si stava mostrando in tutta la sua sofferenza, evento a cui lei non era mai stata abituata. Insomma, quando aveva detto che si sarebbe trasferita a Seoul, nessuna delle sue tanto decantatesi amiche aveva versato una lacrima per lei.

E ad un’occhiata più attenta, fu come se Ginko ne stesse versando un mare, anche se il trucco era ancora intatto -Passerà in fretta.-

-E se non tornassi?- aggiunse veloce, quasi quel pensiero la stesse opprimendo da chissà quanto tempo.

-Ma figurati. New York è una prigione.-

-E allora perché ci vai?-

-Per tanti motivi.-

E poi, la sua voce incassata -E’ per Top?-

-No.- lo disse con velocità, senza nemmeno pensarci.

E’ solo un ragazzo…

Pazzesco… Lei che faceva qualcosa a causa di un ragazzo? Ma nemmeno in un milione di anni. La guardò corrucciata, quasi delusa da quella domanda che ebbe il potere di scatenare un terremoto nel suo cuore e fra i suoi ricordi. Mescolandosi. Mettendo a soqquadro tutto ciò che aveva accantonato come sciocco…

 

Sai? Sono coreano, non cretino.-

Seung-Hyun, poco piacere.-

-Esmeralda è venuta a chiedere se le ridai la gonna.-

 

-Dio, quanto sei odiosa!-

 

La sua negatività, il suo egocentrismo, il suo essere così fastidioso…

 

Non ti accadrà niente.. Ti fidi?-

-Quanto tempo vuoi.-

-Per quanto possa valere… Tu non sei banale-

-Tanto il mio tempo lo avrei usato peggio.-

 

-Se vuoi puoi andare… O puoi restare. Non mi dai fastidio.-

 

Le sue parole, i suoi gesti dolci e non richiesti…

 

-E’ stato solo un bacio.-

 

Peccato non avesse una sua foto. Lo avrebbe chiuso volentieri in un cassetto. Sorrise amara.

Forse, era vero, certe cose o persone non si potevano chiudere in cassetti per poi gettarsi alle spalle la chiave.

-Dobbiamo tornare a lavoro.- udì la propria voce, secca e scazzata.

Si aspettò di camminare a testa alta per quel lugubre corridoio che l’aveva sempre intimorita, superando una Ginko accartocciata di dolore che evitò il suo sguardo e che le mormorò un flebile –Mi mancherai, lo sai?- che la fece tremare.

Ciò che non si aspettò e che non previse, fu il suo fermarsi, il suo lento ruotare il busto per incrociare la sua figurina abbacchiata e richiamarla, piano. Attendendo che Ginko alzasse lo sguardo velato di curiosità, ma con quel guizzo di sofferenza che non le avrebbe permesso di andarsene via con il cuore in pace.

E sapeva che il suo –Ti porterò un souvenir.- non avrebbe allievato quel peso, giacché troppe cose erano successe.

Ma il suo sorriso ampio e felice, quello sì che poteva allievare un po’. Un poco. Quel tanto che bastava per sentirsi bene.

 

Perché era vero…

 

-Che?-

-Ti porterò un souvenir. Da New York. Per quando torno.-

 

Alcune persone se ne andavano…


 

 

-E’ stato solo un bacio…-

 

Ginko si illuminò -Mi scatti qualche foto del set di Blue?! O Bad Boy! Sì, ecco, fai un documentario! E poi quando torni lo vediamo assieme!- le saltellò incontro, stritolandola in una morsa che fu capace di sbaragliare ogni traccia di dolore.

-Una calamita non va bene?-

-Perfida!-

 

Ma altre rimanevano. E solo questo, bastava.

 

 


 

 

 

A Vip’s corner:

Capitolo un po’ tanto noioso rispetto agli standard e in cui non accade una beneamata mazzetta. Ma serviva. I capitoli imbuto a mio parere servono sempre per poter poi dare lo slancio a ciò che accadrà. Posso solo dirvi, per tirarvi su il morale (?), che se i miei calcoli sono corretti (ma in matematica aveva la sufficienza regalata…) di capitoli così ne posterò forse solo un altro o due, che mi annoio pure io a tenere quei due cretini lontani ♥

Peeeeerò, almeno sappiamo cosa c’è nella lettera. E che Lin vuole tornare in America per l’università. Cosa vi sta combinando la vostra Heaven?! Tranquille e pazientate, che tutto verrà a galla ^^

Passando a Top: oh, ma quanto lo sto rendendo scemo? ò.ò Cioè… Credo sia l’unico maschio che si pone problemi esistenziali così profondi xD Lo amo, non ci posso fare nulla ♥ No, seriously, so che può sembrare campata per aria la spiegazione del E’ stato solo un bacio (la verità è che se non si capisce ho fallito come scrittrice mancata -.-), ma credo che non sia poi così falsa. Cioè… Io mi sono messa nei suoi panni e ne ho ricavato sta roba qui che-ok, taccio che ho già rovinato la mia posizione D: Del resto lui è un Idol talmente oberato di lavoro che dubito andrebbe con la prima sgallettata che incontra ç_ç

E per se7en… Bah, nel senso… So che sono amici, ma non so se arriverebbero a parlare dei fatti loro così intimamente. Concedetemi una delle mie solite licenze poetiche, vi va? ♥ E poi non volevo fosse Ji Yong il solito il fargli comprendere come gira il mondo.

Scrivendo il capitolo mi sono resa conto di come tutti siano un po’ cresciuti. Non c’entra niente ma volevo dirvelo ♫ No, cioè… Ho amato scrivere i POV di Top e Lin. Sono così cambiati nel loro ripercorrere ciò che li lega che un po’ mi sono congratulata con me stessa perché le cose stanno prendendo la piega che volevo e come la volevo. Spero apprezziate gli sforzi fin qui compiuti, my dears.

Va beh, passerei ai ringraziamenti che sto delirando xD: il mio amore smisurato va a Fran Hatake, MionGD, Shinushio, Myuzu, YB_Moon, kassy382, ssilen, hottina, Yuna_and_Tidus e lil_monkey per tutto l’amore che mi hanno lasciato nel precedente capitolo. Con l’augurio che passerete ancora, vi mando un sacco di baci ♥

Ringrazio kassy382 per avermi messa fra gli autori preferiti (e ora sono sicura che state tramando per la mia morte con tanta bontà, me lo sento ç_ç).

I miei ringraziamenti vanno anche a chi legge in silenzio e chi ha inserito Something fra le seguite/preferite/ricordate

Alla prossima (perdonate errore vari ed eventuali)!

HeavenIsInYourEyes.

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Capitolo 16
*** Total eclipse of the heart ***


Capitolo 16

Total eclipse of the heart

 

 

And the more you talk the less I fear

No matter what you say, we're still on the same hemisphere

And there's comfort in just knowing that

Wherever I go a part of me is staying here

 with you.”

-Nobody til' you, Lindsay Lohan-

 

 

 

 

Quando Lindsay Moore entrò in cucina, subito si rese conto di come le cose fossero diverse. Nessuna Chyoko che le dava le spalle, intenta a preparare chissà quali prelibatezze coreane, nessun sorriso dolce e gentile nell’esatto istante in cui si sarebbe accorta della sua sonnolenta presenza; nessuna Minji che, piccola nana da giardino, le stringeva le gambe per augurarle una buona giornata. E, soprattutto, nessun Mark dietro un enorme quotidiano dai caratteri quasi illeggibili che le rivolgeva un Ben svegliata ironico, data l’ora tarda, ma pur sempre velato di una squisita dolcezza che Lin aveva imparato ad accettare.

Una dolcezza che, in quella piccola stanza del suo appartamento di New York, sembrava non essere la benvenuta.

Perché qualcuno c’era, e stava leggendo un quotidiano…

-Era ora che ti svegliassi.-

Ma nelle sue parole taglienti, non c’era alcuna gentilezza.

Fu quella la prima visione che Lindsay ebbe di sua madre quando, il giorno dopo l’arrivo in America, si ritrovò a fare la propria entrata in scena con il volto stravolto dal poco sonno, i capelli arruffati e un pallore che sembrava intaccare la sua delicata bellezza.

-Ho fatto tardi.- Lin non fece nulla per nascondere l’ovvietà che traspariva dal suo tono di voce un po’ roco, mentre si guardava attorno nel vano tentativo di poter scorgere un bancone bianco su cui, ogni benedetta mattina, svettava luminosa e invitante una tazza col sorriso un po’ sghembo e assonnato e una scatola di cereali al miele.

La dolcezza che Chyoko riponeva in quel muto Buongiorno, venne surclassata dal gelo che l’irritazione incipiente di sua madre continuava a zampillare, come se il male in terra fosse approdato con lei sul suolo americano ad aereo atterrato. Un gelo che si manifestò concretamente con la presenza, sul lungo tavolo rettangolare, di una sola tazzina da caffè e un piatto con tre fette biscottate, tutte rigorosamente poste di fianco al suo cellulare che continuava a vibrare.

Un sorriso amaro e incontrollabile spuntò sul suo volto ovale mentre, stropicciandolo, andava a sedersi dall’altra parte, come se in quel modo potesse ripararsi dalla discussione che, sapeva, presto sarebbe sorta. Perché Emily era così. Partiva con un’accusa o un commento intriso di biasimo e glielo scagliava addosso, come un dardo avvelenato che corrodeva ogni briciolo di bontà che il suo minuscolo cuore e il gracile corpo erano riusciti ad incanalare, trattenere. Che l’avevano resa un po’ migliore della ventiduenne cretina che metteva i piedi sul cruscotto della macchina del padre solo per infastidirlo.

Un gesto che non si era permessa di fare con sua madre, anche perché ad accoglierla a braccia aperte, al suo arrivo, c’era stato un taxi giallo guidato da un burbero autista che, per tutto il viaggio, non aveva fatto altro che litigare al telefono con il capo.

-Sei pregata di fare più piano, quando rincasi tardi.- tagliente come la lama di un coltello affilato, la voce cristallina di Emily si infranse contro Lin che, svogliatamente, giocherellava con la punta della treccia corvina sfatta.

-Colpa dei tacchi.-

-Toglili sulle scale- troncò sua madre, tornando a sorseggiare quel poco di caffè che era rimasto nella tazza. Era da tanto che quel tono di rimprovero non le veniva rivolto con così tanto distacco. Perché tutto, nella figura di Emily, dava l’idea di distacco: il suo continuare a rivolgerle la parole tenendo lo sguardo puntato sul giornale, le parole sferzanti che rotolavano sul tavolo per poi rimbalzarle contro, cercando di sbaragliare le enormi barriere che aveva erto quando, rincasata dopo interminabili ore di aereo, sua madre l’aveva accolta con asciutto Avresti dovuto dirmi che stavi per arrivare. E quando posò lo sguardò stanco sul volto di porcellana della madre che nonostante i suoi quarantatré anni, sembrava non essere stata intaccata dallo scorrere inesorabile del tempo, si rese conto di come fosse abile nel farla sentire una perfetta estranea in casa propria. E quando Lin credette che tutto si sarebbe concluso in siffatta, desolante maniera, la voce di Emily tornò a vibrare nella stanza -Sarebbe stato meglio se fossi rimasta a casa, ieri sera- una pagina di giornale che venne voltata, mascherò la sua vena di irritazione –Sei appena tornata.-

Sarebbe stato carino se tu fossi venuta a prendermi all’aeroporto, eppure…

-Shirley voleva vedermi.- sciorinò spiccia, posando una mano sulla guancia, guardando la finestra da cui filtrava fin troppa luce in quella giornata di metà dicembre.

Emily storse il naso –Lo sai che quella ragazza non mi piace.-

-Sì, lo so.-

Per un attimo fu tentata di confessarle che a Seoul era stata capace di circondarsi di gente che, per qualche strano motivo che ancora le sfuggiva, le voleva bene davvero. Ma per davvero, eh. Avrebbe voluto parlare di quelle amicizie che nascevano in un locale dove le cameriere si vestivano da bagasce, di quelle amicizie che nascevano di fronte ad un’amara tazza di the verde, che sbocciavano in un locale di periferia poco frequentato e che si solidificavano dopo una festa finita in lacrime e con libri volanti come spettacolo pirotecnico.

Che partivano col piede sbagliato…

 

Seung-Hyun, poco piacere.-

La Coca non è il problema, il problema sei tu!-

Mi dai sui nervi. Da quando ti ho vista, tu mi dai sui nervi.-

 

Che procedevano pure peggio…

-Non sarei mai dovuta venire qui.-

 -Sicuramente, sarebbe stata la prima cosa buona in tutta la tua vita.-

 

Che poi, con manovra brusca, cambiavano strada, e cominciavano a camminare sui binari giusti…

-Comunque, è stato bello non litigare con te-

 
 

Che ne dici di ricominciare da capo?-

 
 

E che diventavano quasi una droga, creando una dipendenza che mai avrebbe pensato di poter provare, non con un ragazzo. E sorrise della propria stupidità, Lindsay, conscia che in una settimana non sarebbe mai stata capace di sopprimere tutte quelle benefiche sensazioni che quell’idiota dai capelli improponibili era riuscito a donarle inaspettatamente. E che no, non erano traballate nemmeno dopo il suo lasciarla su quei freddi gradini. Per due mesi, forse per sempre.

E quindi sì, Lin avrebbe voluto dirle tutte queste cose, magari zittendola, cosicché su quel volto contratto in una perenne smorfia di supponenza potesse aleggiare il barlume dello stupore, rinfacciandole implicitamente le miriadi di volte in cui, con sguardo vitreo, si era permessa di additarla come adolescente problematica ed egoista, incapace di instaurare dei rapporti sani. Dimostrandole che, forse, oltre la sua facciata di ribellione si nascondeva un po’ di buono, uno spiraglio di bontà che non l’avrebbe portata sulla cattiva strada.

Ma Emily alzò lo sguardo, questa volta guardandola per davvero, e tutte le parole le si smarrirono in gola, come sempre –Dovresti cambiare compagnia- esordì di nuovo, incalzando quel discorso che già cominciava a farla sentire rinchiusa in una gabbia di cattiveria –O circondarti di gente più consona. Le tue amicizie sono molto discutibili.-

So anche questo…

E allora si appiattì sullo schienale, Lin, che tanto non sarebbe mai stata capace di farle cambiare idea, di insinuarsi nella sua mente da perfetta psicologa e dissipare la concezione che aveva di lei. Ma prima che potesse trattenersi o anche solo mordersi la lingua, le parole uscirono in un soffio –Anche tu- le sopracciglia scure di Emily si arcuarono in un arco perfetto mentre negli occhi nocciola, lesse lampi e fulmini –Dov’è Bryan?-

Si guardò attorno. Strano che, quel coglione, non fosse ad appestare la loro casa andandosene in giro in boxer e camicia sbottonata. Una visione che in più contesti le aveva fatto venire il voltastomaco. E si sarebbe aspettata una risposta arguta, intrisa di veleno, seguita da una ramanzina sul suo tono di voce troppo sfacciato, sui suoi modi troppo bruschi e che non si addicevano ad una ragazza del suo rango. Sì, visto che nulla era mutato in quei mesi di lontananza, Lin non si aspettava nulla di diverso.

Ma, beh, qualcosa di diverso effettivamente ci fu.

Ci fu che gli occhi di Emily traballarono per un misero istante, una frazione di millesimo di secondi tanto che Lin, se non avesse tenuto lo sguardo saldato al suo, probabilmente nemmeno se ne sarebbe accorta; ci fu che le mani si strinsero intorno al giornale, che produsse un rumore sordo di accartocciamento, come se quell’azione la stesse compiendo perfino il suo cuore. Ci fu che, per la seconda volta da che un uomo era entrato a far parte della loro vita, sua madre le parve spaesata. Un’immagine raccapricciante e che la fece pentire di aver posto quella domanda sciocca.

-E’ a lavoro. Sai che è sempre impegnato- dubitava fortemente che quel demente fosse impegnato nella sua prestigiosa azienda, ma non glielo fece notare. Così come non le fece notare che, nella mensola in bagno, non aveva visto il suo dopobarba dall’odore orribile, sul tavolo in salotto non aveva visto le sue inutili riviste di auto e motori, sull’attaccapanni all’entrata non aveva visto la sua tremenda giacca di pelle. Non le fece notare che, la sua assenza, per quanto fosse meglio della sua presenza deleteria, si avvertiva in ogni angolo di quell’appartamento. Un po’ perché vedere sua madre avvolta di incertezza era uno spettacolo aberrante, un po’ perché aveva il timore di affrontare un discorso che con lei non era intenzionata ad imbastire. Così, si fece bastare quella risposta scialba, conscia che alla fin fine di quel pirla non le fregava poi granché. Ma proprio quando stava per alzarsi e rintanarsi in camera, ecco che la voce di sua madre tornò a farsi largo fra i suoi pensieri scomodi –Ad ogni modo, noi due dobbiamo parlare.-

-Non lo stavamo già facendo?-

Emily le scoccò un’occhiata torva e tornò a guardare il giornale –Parlare di cose serie. Come il tuo futuro, ad esempio- Lin deglutì, riparandosi dietro un roteamento di occhi che avrebbe dovuto farle comprendere quanto poco quell’argomento l’aggradasse –O dell’università.-

-Cosa c’è da dire, ancora?- ribatté scazzata, la guancia appoggiata sul palmo aperto.

Emily posò sul tavolo il giornale, chiaro segno che la discussione avrebbe ora preso una piega decisamente più seria, e la guardò con mani giunte sul tavolo –Mi sono presa la briga di fare un giro delle migliori università nella zona.-

-Oh, tutto questo disturbo mi commuove.- la interruppe con ironia, allargando gli occhi nocciola per palesare uno stupore che, in realtà, non provava.

Emily alzò il mento, ignorandola –Resto dell’idea che la Columbia University sia la scelta più giusta- per te! –Purtroppo, i tour sono già terminati, dato il periodo. Ma un mio caro amico insegna alla facoltà di psicologia, per questo ti ha concesso di fare un tour privato per—

-L’ho già fatto due anni fa. Dubito che l’architettura sia migliorata.- la interruppe annoiata, decisamente infastidita da questo suo pianificarle l’esistenza. Che strazio, era lì da un giorno appena e già la loro convivenza stava rasentando un Inferno dantesco.

Emily, dall’alto della propria severità, le scoccò un’occhiata visibilmente iraconda mentre esalava quelle poche, gelide parole –Tu ci andrai, che ti piaccia o no. Si terrà dopo domani, vedi di non dimenticartelo e soprattutto- i suoi capelli mossi e scuri ondeggiarono quando spostò leggermente il capo –Vedi di non farmi fare brutte figure come tuo solito, intese?-

E lei non lo avrebbe dimenticato, certo. Ma sicché era ormai stanca di sopportare tutta quell’acredine gratuita, scaturita dalla banalità di essere rincasata alle quattro del mattino con la destrezza di un ninja ubriaco, Lin si premurò di rammentare a sua madre un piccolo, insignificante dettaglio che forse le era sfuggito –Non ho ancora deciso se iscrivermi o no.- e che, qualsiasi fosse stata la scelta, non sarebbe dipesa da lei.

Lindsay non avrebbe più fatto nulla per lei.

Perché se si trovava ora rinchiusa in quella casa attorniata dai rumori di una città in costante movimento, lontana da un calore familiare che si faceva sentire in maniera opprimente, distante da tutto ciò che non credeva avrebbe avvertito come mancanza per sentirsi in pace con sé stessa, era solo ed esclusivamente per sé stessa. Per dimostrare che, in fondo, valeva anche lei qualcosina, che solo perché nella propria giovane vita aveva combinato più disastri che buone azioni, non per questo non sarebbe stata capace di costruirsi un futuro…

-Hai sbagliato il test?! Ma è stupido!-

Per rimediare a quella che, alla resa dei conti, si era rivelata un’inettitudine degna della persona immatura che era. Sbatté le palpebre, nel vano tentativo di scacciare quella voce baritonale che continuava ad adombrare la sua mente come un disco incantato. Possibile che non volesse saperne di sloggiare?

Emily alzò il mento, in quel suo classico gesto istintivo quando si ritrovava a dover affrontare una Lindsay scalpitante e che sembrava intenzionata a ribattere ad ogni sua minima stoccata. Ma a dispetto di tutte le altre innumerevoli discussioni, la donna alzò impercettibilmente lo sguardo, l’aria di chi ha tutto sotto controllo a far traballare le sue labbra in un sorrisetto un po’ troppo sfrontato per i suoi standard -Tanto hai tempo fino a marzo- e quelle parole, che risuonarono come un conto alla rovescia. Il rumore secco della sedia che si spostò la fece rilassare, segno cristallino che la discussione si era compiuta e che, per qualche ora, avrebbe potuto respirare. La donna si spostò, recuperò qualche opuscolo dal mobiletto dove teneva le bollette e gliele adagiò sotto il naso lentigginoso, studiandola con algido distacco.

E mentre Lin li prendeva fra le dita affusolate, si rammentò di una scena simile avvenuta tanto, tanto tempo fa.

Lei era seduta a capotavola con il labbro sanguinante e un sopracciglio spezzato, dopo essere uscita da una rissa nello spogliatoio con la capo cheerleader durante il ballo di fine anno. E tutto perché qualche brillantone del suo ora ex, tale Jordan capo squadra di football, aveva messo in giro la voce che se lo era portata a letto. In quel caso preciso, sulla panca dello spogliatoio. Il vestito azzurro di sua madre sgualcito e strappato in più punti, la lunga treccia corvina sfatta e i ciuffi scomposti che le incorniciavano il volto dal trucco ormai colato, l’aveva fatta apparire una bambola dei film d’orrore, crepata e che meditava vendetta.

Ricordava le lancette dell’orologio che scalfivano quel silenzio greve che la stava opprimendo, lo sciabattio pesante delle pantofole della madre che scalpicciavano sul parquet di mogano scuro, la cassetta del pronto soccorso che veniva posata con un tonfo sordo sul tavolo, e il suo sguardo distante, quasi non la riconoscesse. Quasi volesse vederla scomparire su quella sedia.

E le aveva dato le spalle, Emily, lasciandola sola a medicarsi tutte quelle ferite che non facevano poi così tanto male; non quanto l’ultimo sguardo pregno di delusione che le aveva rivolto prima di chiudersi la porta della propria camera alle spalle.

-Qui troverai tutto- li puntellò con l’indice su cui, notò, non svettò l’enorme brillante che Bryan le aveva regalato durante il loro quinto anniversario di fidanzamento –Sono cambiate molte cose, dall’ultima volta.- aggiunse gongolante, nemmeno dovesse iscriversi lei ad una stupida facoltà.

-Ci penserò.- borbottò continuando a scrutare gli opuscoli, avvertendoli bruciare sotto i polpastrelli.

E dopo una pausa che le parve interminabile, Emily inclinò il capo, esalando una domanda che a primo acchito le parve davvero stupida e, solo più tardi, avrebbe realizzato quanto in realtà non lo fosse –E ora mi spieghi cosa ci fai qui?- e non c’era rabbia nella sua voce, solo consapevolezza che, il suo trovarsi lì, non era dipeso da una voglia di cambiamento improvvisa. Che qualcosa era accaduto, qualcosa che l’aveva spinta a pensare sul serio alla propria vita e che, ancora una volta, la fuga le era sembrata la soluzione migliore.

E avrebbe voluto rivolgerle un secco Non sono affari tuoi che tante, troppe volte le aveva gettato contro come pietre. Ma l’arma migliore da usare in quei casi, quando i ricordi si facevano pressanti, era il silenzio. E Lin aveva ormai raggiunto il livello master per questa tecnica di combattimento. Tuttavia si alzò e con tono strascicato, ribatté con un blando –Avevo bisogno di cambiare aria. Ed è una cosa mia.- che fece smorzare la tensione intorno a loro e che Emily accettò con un sopracciglio arcuato.

Allacciò meglio la vestaglia di raso blu -Qualunque cosa sia, ne è valsa la pena.-

 
 

-E allora perché ci vai?-

-Per tanti motivi.-

 -E’ per Top?-

-No.-

 

Ne è valsa la pena…

Ma quella mattina non era una notte di fine maggio, il suo pigiama non era un elegante vestito strappato, il suo volto pallido non aveva rimasugli di trucco e le sue parole, non erano così taglienti come lo sarebbero state a diciotto anni –Se lo dici tu.- mormorò sventolandoli, superandola, andandosi a rintanare nella propria tana adornata da poste di Axl Rose e altri amori che, sapeva, grazie al cielo non si sarebbero mai realizzati.

Ed Emily, avvertendo la porta chiudersi con strana delicatezza, si chiese cosa diamine avesse spinto Lindsay ad accettare la propria resa dopo estenuanti lotte in cui aveva decantato la propria liberta, desiderosa di non trascorrere la propria giovinezza dietro i banchi di scuola.

Che qualcosa l’avesse turbata, era ormai certo.

Che quel qualcosa fosse però qualcuno, non lo realizzò.

 

*****

 

Si passò una mano sulla fronte imperlata di sudore prima di lanciare un’ultima occhiata alle fan urlanti oltre le balaustre, rivolgendo alla platea il migliore sorriso che avesse nel repertorio…

-Noi due dobbiamo parlare.-

Sorriso che divenne un chiaro segno di disagio quando GD gli sfilò di fianco in tutta la sua leggiadria, alzando una mano alle sue ammiratrici ora stramazzanti al suolo, sommerse da un nuvolo di cuoricini raccapriccianti.

Top, stretto nelle sue due felpe, si ritrovò a camminare con passo incerto e stanco dietro un Daesung ancora eccitato da tutta l’adrenalina in corpo; un’adrenalina che solitamente si impossessava di lui nei camerini, quando pochi minuti mancavano alla loro entrata in scena, ma che questa volta non era passata a fargli un salutino, costringendolo a salire sul palco con la determinazione di un condannato a morte.

E quando si fece strada nel proprio camerino, l’immagine di un leader stravaccato sul trono del comando, alias la sedia posta davanti all’enorme specchio, gli si parò innanzi, costringendolo a deglutire e a chiedersi se fosse meglio lasciare la porta socchiusa, così da poter scappare in caso di pericolo o chiuderla, e far sì che la sua lenta e dolorosa morte si consumasse una volta per tutte. Perché Ri non era poi passato a salutarlo armato di coltello e mannaia, nessuna parola riguardo il suo abominevole comportamento nei confronti di Lin era stata più sprecata, segno che la gente aveva perso interesse sulle sue cazzate. Ma lo sguardo di fuoco che GD gli stava rivolgendo, era un chiaro segnale che qualcosa non andava…

-Hai fatto schifo, oggi.-

E che non era intenzionato a lasciar correre, non quella volta.

Perché su Ji Yong avrebbe potuto dire qualsiasi cosa: che era uno stronzo, un doppiogiochista, un egoista, uno spaccacuori e pure un rompipalle senza precedenti. Ma sul fatto che fosse un leader nato, carismatico e che sapeva ben dividere la vita di tutti i giorni da quella lavorativa, su quello non avrebbe potuto ribattere.

Ed era proprio quello, lo sguardo che ora gli stava rivolgendo. Quello di un capo che aveva visto compiersi davanti ai propri occhi lo sfacelo di un lavoro durato mesi, che aveva strappato loro energie, sudore e fatica. E che lui, nel giro di un paio di balletti e sulle note di un repertorio che, quella notte, sembrava essere stato cancellato dalla lavagna della sua memoria, era riuscito a mandare in fumo. E non aveva giustificazioni, Top, mentre sentiva la porta chiudersi con secchezza e si dirigeva verso la poltrona vuota, prolungando quell’attimo di agonia lacerante –Ho sbagliato un paio di passi.- ma qualcosa andava pur detto.

-Non ne hai azzeccato mezzo.-

-E ho dimenticato una o due strofe.-

-Hai cannato quasi tutte le parole.-

Roteò gli occhi –Sono stanco. Lo sai.-

-Siamo tutti stanchi, Hyung- lo rimproverò con noia, stropicciandosi il volto imperlato di sudore mentre si piegava a recuperare l’asciugamano scivolato dalle spalle –Ma non facciamo giravolte improvvise.-

Pur nel suo fastidio, Top riuscì a cogliere il suo bizzarro modo di farlo sentire meno in colpa, un comportamento che Ji Yong gli riservava solo nelle vesti di leader, che si poteva cogliere nel suo sguardo fiammeggiante, lo stesso che regalava loro quando usciva dalla camera e confessava di aver composto una nuova canzone, lo stesso sorriso sghembo che gli donava quando si muoveva impacciatamente nella sala prove, cimentandosi in una delle loro solite e fin troppo movimentate coreografie. Lo stesso che, per qualche strana ragione, lo portò ad esalare quella confidenza a lungo taciuta in quelle settimane ormai trascorse e che lo stava portando sull’orlo di un precipizio.

-Non riesco a concentrarmi, ultimamente- le parole uscirono flebili, amare nel loro recondito significato –Ho la testa altrove.- e sapeva che non aveva bisogno di dire altro. Perché il sospiro che ne seguì bastò per dirgli che il motivo era uno e uno soltanto, il suo portare le mani ingioiellate fra i capelli turchesi sudati e un po’ appiattiti era un chiaro segno che quel motivo era ancora lì, girovagante e sollazzante fra i suoi pensieri contorti.

E Ji Yong, il suo caro amico Ji Yong che non si faceva fregare da parole vaghe e mezze confessioni, lo guardò con sguardo ora un po’ più morbido, mani in tasca e testa inclinata –Smettila di pensare ad America- Top rischiò di strozzarsi con l’acqua della bottiglietta; non pensava che il suo rinfacciarglielo sarebbe arrivato così velocemente –Almeno mentre lavori. Durante la giornata, fai come ti pare.-

-Grazie, eh.-

GD lo pungolò, l’espressione ora meno collerica e decisamente più da psicologo dei poveri –Ammetto che è piuttosto divertente, vedere Ri che continuava a rimproverarti di essere un cretino- Top roteò gli occhi –O Bom che scuote la testa mentre ti da’ dell’insensibile- imprecò a mezza voce –O Dae che ti chiede di non lasciare le mutande in bella vista sulla scrivania.- arrossì a quel commento che non c’entrava nulla con gli altri appena elencanti e gli scagliò contro una giacca borchiata, sperando che quegli spuntoni potesse sgonfiare il suo divertimento.

Ma Ji Yong ridacchiò e lui si costrinse ad assumere quell’atteggiamento un po’ burbero che usava come difesa quando l’amico partiva all’attacco –Una volta ci si divertiva giocando a carte.-

-Effettivamente, è da un po’ che non gioco a Scopa.- con faccia alla If you know what I mean, Ji Yong si lasciò sfuggire quel serafico aneddoto e Top sentì di aver ormai raggiunto il limite della serietà che avrebbe potuto utilizzare in una discussione con quel decerebrato. Ma quando avvertì il silenzio avvolgerli, sentì che se non avesse parlato, probabilmente alla fine di quei due mesi il big boss avrebbe deciso che i Big Bang, da quintetto, sarebbero evoluti a quartetto –Non è così facile, eh.-

-Giocare a Scopa?- arcuò un sopracciglio, GD –Oh, è piuttosto semplice, a dire il vero. Prendi l’Asso di bastoni e—

-Non parlo di quello!- troncò il suo vaneggiamento, ricevendo un sorrisino pacifico in cambio –Sai bene che parlo di lei!-

-In realtà stavamo parlando di carte.-

-Sì, ma prima stavamo parlando di lei!- sottolineò con stizza, sbattendo i pugni sulle ginocchia. Diamine, ma perché quell’idiota doveva essere così sconclusionato?

-Non chiamarla per nome, non ti aiuterà a dimenticarla.- e la sua osservazione, giunta inaspettata e obiettiva, gli fece comprendere come lì dentro, l’unico idiota, fosse lui. Si rifugiava dietro a queste sottigliezze, come se appellarla come lei o quella potesse far venire meno l’attrazione che covava nei suoi confronti. Un’attrazione che si era amplificata da quando aveva assaporato le sue labbra carnose e rosse. Un’attrazione che lo stava facendo impazzire lentamente, continuando a riproporgli la sua figura snella in qualsiasi maledetta situazione.

La notte, poi, era un supplizio. Svegliarsi e ritrovarsela seduta alla scrivania chiedendogli se gradisse un po’ di caffè; affacciarsi alla finestra e scorgerla seduta sul davanzale del palazzo dirimpetto a loro, con le gambe a penzoloni mentre gli ribadiva di tornare a dormire, che le sue occhiaie stavano diventando due enormi pozzi neri. Addormentarsi, e ritrovarsela in tutta la sua bellezza fra i propri pensieri, rammentandogli quando poco carino fosse stato abbandonarla.

Si massaggiò il collo, sospirando –Sai? Ha detto che Blue è la sua canzone preferita.-

-America è una personcina proprio allegra.-

Lo ignorò –E quando l’abbiamo cantata, mi è sembrato di vederla lì, fra il pubblico- mi è sembrato di essere ancora fra le sue braccia, avrebbe voluto dirgli, ricacciando però indietro quella confessione che avrebbe solo stuzzicato il malsano divertimento di GD –E poi c’è stata Fantastic Baby e, beh, lei era sempre lì- sul tavolo del Tribeca, (s)vestita da poliziotta. Sorrise amaro –Pensavo che baciandola, mi sarei accorto di quanto banale fosse- ma lei non lo è mai stata –Ma mi sbagliavo. Allora ho pensato che in questi due mesi, sarei riuscito a dimenticarla…- non terminò mai quella frase, lasciandola in sospeso nell’aria umida di quello stanzino neppure troppo grande. Ma tanto sapeva che Ji Yong avrebbe compreso la triste realtà delle cose, e fu così.

Perché si sistemò sulla sedia girevole e guardò il soffitto con sguardo vuoto –Quando una ti piace, non ce n’è.-

E Top avvertì una scossa di terrore in fondo al cuore, una fitta dolorosa che si diramò in ogni anfratto nascosto e non del suo corpo, spossato da quelle due ore e passa di concerto. Una paura che venne punzecchiata quando si rese conto che GD, tempo addietro, aveva già captato la gravità della faccenda…

 

-Certe persone sono così, sai?

Ti entrano dentro senza che tu possa nemmeno accorgertene,

un’ossessione che prende forma piano.

E quando te ne capaciti, è troppo tardi-

 

Ma come può piacermi?- esalò sconvolto, soggiogato da tutte le emozioni che stavano tornando a rammentargli quanto mai nessuna, prima di Lindsay, fosse riuscita a farlo sentire un ragazzo come tanti nonostante la fama che lo costringeva a girare per le vie come un maniaco –Insomma, è Lindsay!-

-E allora?-

-Sì, beh, lei è volgare!-

-Certo.-

-Sì, insomma, impreca sempre. E tu sai quanto non mi piacciano le donne che imprecano- agitò l’indice –Che poi, non è nemmeno definibile come donna. Non è elegante, non è educata, è infantile.- annuì vigoroso, battendo il cinque alla propria logicità.

Ma Ji Yong continuava a guardare il soffitto, esalando poche e semplice parole -Già il fatto che tu stia cercando delle scuse, significa che ormai ci sei dentro.- Top si pietrificò, ancora tramortito da quella constatazione. Perché era vero, lui stesso aveva confessato a Se7en di essere abbastanza preso dalla Moore, ma tra l’essere preso e il piacere, c’era una sostanziale differenza. Ma cose tipo un oceano di mezzo!

-Ma perché?- strinse i denti –Perché proprio lei?-

Ed era una domanda che si era posto da quando si era reso conto che, oltre ad essere bella fisicamente, anche caratterialmente non era poi così detestabile. Che la sua dolcezza rara era un toccasana, che la sua impulsività era un antidolorifico al suo essere trattato da star notte e giorno, che la sua gentilezza impacciata, era forse un chiaro esempio di quanto le apparenze ingannassero.

Fu allora che il leader riposò lo sguardo assorto su di lui -Non puoi spiegarti certe cose, accadono e basta- un sorriso breve gli sfuggì, nostalgico e su cui pendevano fin troppi ricordi –Ricordi Kim Ji Na? Era uguale a tutte le altre, non aveva un suo stile. Ma me ne ero completamente innamorato.-

Top sorrise. E chi se la dimenticava quella? Strano ma vero, quella ragazzina dai modi sempre vivaci e dalla smisurata bontà, era riuscita a far breccia nel cuore del suo amico con una semplicità disarmante e forse, nessun’altra, sarebbe mai riuscita in un’impresa di tale, epica portata. Ma il sorriso si tramutò in una smorfia di disagio quando si rese conto che, dopo l’incidente con la Marijuana, GD aveva ricevuto il ben servito nonostante il loro decantarsi amore a destra e a manca.
 

-L’amore non è mai per sempre.-

Maledetta, mai che lo lasciasse in pace, eh…

-L’hai più sentita?- domandò celere, scacciando dalla mente la voce vellutata della ragazza che, già di notte, si ostinava a dominare i suoi sogni.

-Nah.- sventolò entrambe le mani prima di ricominciare a girare con la sedia, canticchiando le note di Love Dust.

Attese qualche istante, poi gli propose la fatidica domanda -Nh, credi che sia stato un colpo di fulmine?-

Ji Yong smise di girare –Cosa?-

-Ma sì. Un colpo di fulmi--

-Non crederai a quelle stronzate.- e la sua non era risuonata come una domanda, anzi, a giudicare dal suo sguardo tagliente, quella doveva essere proprio un’accusa.

Storse il naso –Certo che no. Sai come la penso su queste cose- si prese però il tempo per ponderarci su seriamente, lasciandosi andare ad un sospiro –Ma, e se mi fosse sempre sbagliato?-

GD, sguardo sottile e assorto, tornò a guardare davanti a sé –Il colpo di fulmine non esiste. È una cazzata che la gente ha inventato per descrivere il desiderio irrefrenabile di fare sesso con qualcuno appena conosciuto- lo guardò allucinato, un mezzo sorriso a increspargli le labbra. La visione delle cose di GD era sempre talmente tanto lineare che a volte Top cominciava a credere che quello avesse davvero una risposta per tutto –Quando vedi la fan carina di turno, quella per cui non riesci a distogliere lo sguardo mentre sei sul palco e che inviteresti in camerino ma non per sentirla parlare; quella ragazza un po’ trasandata che incroci al supermercato e ti verrebbe voglia di seguirla per chiederle il latte, dicendole che ti sei dimenticato di comprarlo; quella ballerina accattivante che ammicca per tutta la serata e vorresti portatela nei bagni. Questo, è il colpo di fulmine.-

-Quello si chiama sesso occasionale.- intervenne stranito,

-E non è la stessa cosa?- alzò le spalle –L’amore è un processo lento e graduale, non un mero istinto sessuale- lo guardò con spossatezza, come se non volesse concedergli la risposta precisa –Il colpo di fulmine è l’ebrezza di un momento, e quando passa non resta nulla.-

Top gettò la testa all’indietro –Quindi non è un colpo di fulmine.-

-No.-

-Quindi è più grave.-

-Ti sono vicino in questo momento di sconforto.-

-Oh, ma fottiti.- la sua risata cristallina si sparse nell’aria ora decisamene più leggera, mentre Top ringraziò mentalmente chiunque fosse colui che, in quel momento, bussò alla porta. Per cinque minuti, almeno, poteva smettere di pensare a lei.

-Oh, eccovi qui!- Dae fece capolino, rivolgendo loro uno sguardo materno –Stiamo andando a festeggiare. Voi siete dei nostri?- puntò lo sguardo sul capo –Ri ha detto che vuole andare per bancarelle.-

GD scoccò un’occhiata annoiata al più piccolo -Vuole comprare un souvenir alla Fujii?-

-A quanto pare.- Dae annuì, incerto.

-Oh mamma… Non dirmi che gli piace…- Top rabbrividì. Quei due insieme sarebbero stati uno Tsunami vagante.

-Ma che ne so.- sbottò il capo con scazzo.

Top ghignò, inclinando il capo –Non sarai mica geloso.-

Ji Yong scoccò la lingua prima di dargli una manata sul volto, alzandosi –Per carità. Non farmi venire i brividi.- lasciandoli così da soli.

Dae si scostò dalla porta, poi lo guardò -Tu vieni, Hyung?-

-Mi cambio un attimo e vi raggiungo- ma quando si alzò, quando diede le spalle alla porta, si rese conto di come Dae fosse ancora lì in piedi, attento ad ogni suo più piccolo gesto. E quando guardò oltre la spalla, guardandolo confusamente, Top fermò la svestizione –Qualcosa non va?-

Il maknae si ridestò, scuotendo la nuca, rivolgendogli un sorriso amorevole –Sai che se qualcosa non va, puoi parlarne con noi, vero?-

-L’ultima volta avete aizzato conto di me l’intero aereo.- gli fece notare sarcastico, ricevendo un sospiro in cambio. Perfino il pilota con il microfono, quando augurò una buona permanenza in Giappone, si era premurato di ribadirgli quando ampiamente idiota fosse.

-Eravamo sconvolti!- si giustificò pacato, convinto di essere dalla parte del giusto. Top storse il naso, chiedendosi cosa Diavolo stesse cercando di dirgli –Ma… L’hai più sentita?-

-Certo che no.- recuperò una maglietta pulita e la indossò, continuando a dargli le spalle.

-E non ti manca?-

Ogni secondo…

-Non così tanto.-

E come una manna dal cielo, le parole di Dae giunsero intrise di delicatezza, anticipate da un sospiro pesante di chi ha ormai compreso cosa sta succedendo –Dovresti pensarla in maniera diversa, sai?- il sorriso si ampliò –Siete nello stesso emisfero. Non siete poi così lontani, non ti pare?- si irrigidì a quelle parole, la felpa a mezz’aria e lo sguardo perso lungo il muro di mattoni. Provò a deglutire, ma un nodo maledetto si era attorcigliato nella gola, impedendogli di respirare o parlare –Quando sei pronto, raggiungici.-

E sparì.

Dopo quella perla di verità, dopo avergli sbattuto in faccia quanto lui fosse riuscito a comprendere cosa diamine lo stesse lentamente torturando, Daesung era scomparso. Quel suo cameo aveva lasciato più tracce di quante ne avrebbe mai potute lasciare Ji Yong con i suoi maledetti giochetti psicologici.

 

E così, cullato da quelle parole, seguendoli tutto imbacuccato per le vie colme di bancarelle, attenti a non farsi riconoscere dai passanti, godendosi una nottata di libertà che non sapeva quando avrebbe potuto riavere, Seung-Hyun si ritrovò a sorridere dietro la sciarpa blu.

Guardò il cielo notturno fiocamente riempito di stelle da dietro le lenti scure degli occhiali…

 

-Cosa le prendo? Cosa le prendo?!-

-Un diario segreto.-

-Smettila Ji! Non ha cinque anni!-

-Ah no? Mi sembrava.-

Ri balzò, per poco non gli caddero gli occhiali da sole –Tae, digli di smetterla!-

-Bambini, basta litigare.-

 

Per un attimo, l’idea di trovarsi sotto lo stesso cielo, fece battere più forte il suo cuore…

 

-Ora stai bene, giusto?-

 

E Lindsay non gli parve più così lontana.

 

*****

 

Appoggiata alla fredda parete metallica dell’ascensore, Lin guardò la propria immagine riflessa nello specchio.

I capelli arruffati e corvini che le incorniciavano il volto pallido, assonnato, velato da un trucco ormai sbiadito e che la faceva sembrare una bambola di porcellana fredda e crepata. Dietro il rossetto sbavato, una rabbia che aveva abbandonato nel letto di Jason, quella mattina; dietro il mascara colato, un’ebrezza che aveva lasciato sotto le lenzuola di Seth, quel pomeriggio. Dietro l’ombretto sfumato, un sonno che aveva chiuso nella macchina di Peter, cinque minuti prima.

Dietro di sé, mentre usciva dalle porte ora aperte, una scia di pesca che aveva impregnato i loro vestiti lanciati per aria, mescolatosi al profumo virile di quelle braccia che l’avevano stretta con possessione e bramosia, per poi lasciarsela sfuggire con un ultimo gemito, con un sorridente Sai di sesso e con un falso Non immagini nemmeno quanto tu mi sia mancata a cui lei aveva ribattuto con un silenzio pesante, di quelli che li avevano costretti a prendersela pur di udire un suono qualsiasi uscire dalle sue labbra carnose ora gonfie per i troppi baci.

Ma per la prima volta, ferma sullo zerbino dell’appartamento 51, nell’androne del quattordicesimo piano, Lindsay si rese conto di come anche lei avesse avvertito la mancanza di qualcosa; qualcosa che però, non erano stati loro. Perché quando era stata a Seoul, di Jason, Seth e tantomeno Peter il ricordo non era riaffiorato, quasi fossero state anime di passaggio nella sua vita, macchie di sporco sui vestiti che, con un lavaggio a freddo e un buon detersivo, se ne andavano via.

Perché i ragazzi erano questo per Lindsay: macchie.

Macchie di gelato al cioccolato, per essere più precisi. Buono, certo, gustoso non appena lo si assaggiava e di cui, ad un certo punto, non si poteva più fare a meno. E a volte restavano lì, piccole gocce sul tessuto della maglietta buona, a monito del loro essere riusciti ad assaporarla anche se solo per una volta. Nemmeno fosse un trofeo da vincere nell’ultimo gioco della Playstation 3. E così le macchie si illudevano di poter soggiornare nella sua vita un po’ di più, fino a che non incontravano l’ammoniaca, il detersivo o qualche rimedio della nonna che sapeva bene come eliminarle.

E sparivano. Veloci come erano arrivate, se ne andavano, finendo nel dimenticatoio.

Per poi ritornare, collidendo nuovamente con la sua vita avvolta di grigiore, magari mentre stava sorseggiando un Mojito con le amiche, magari mentre stava ballando senza alcun pensiero in una pista da ballo affollata. Magari mentre si stava ripetendo come un mantra che quell’idiota dai capelli turchesi era uguale, identico a tutti gli altri.

E così approfittava del momento, cercando sulle loro labbra le sue, fredde e che sapevano di neve, cercando nei loro gemiti le sue parole spezzate, cercando sui loro corpi nudi un calore che lui era riuscito a donarle senza fatica alcuna, nonostante un cappotto pesante l’avesse avvolta in una crisalide. Alla ricerca disperata di tutte quelle emozioni che l’avevano presa alla sprovvista e che, nonostante l’abbandono sui freddi gradini di una villa avvolta nel silenzio notturno, non erano fuggite verso la libertà. Nidificandosi negli anfratti più oscuri della sua anima da bambola di pezza, saldandosi a fuoco come marchi indelebili.

Come un tatuaggio sulle pelle.

Seung-Hyun, in quel momento, era tutto ciò.

Una presenza indelebile, un pensiero fisso e pressante, una figura da cercare in tutti quei ragazzi che, quella settimana, avevano avuto il piacere di possedere il suo corpo. E che non era riuscita a trovare. Mai. E sì che di letti, in quella settimana ormai quasi giunta al termine, ne aveva girati un bel po’.

Si stropicciò il volto mentre infilava la chiave nella toppa, pronta ad essere inghiottita dall’Inferno oscuro che l’attendeva al varco. Perché nel buio del corridoio, uno spiraglio di fioca luce illuminò le punte dei suoi piedi scalzi, e comprese come Emily fosse ancora sveglia. Girò la chiave, aprì la porta e varcò la soglia in punta di piedi, bloccandosi immediatamente al suono di quella voce chiara, cristallina, dall’accento gallese e che, da anni ormai, non aveva più fatto visita nelle loro mura domestiche...

 

I don't know what to do and I'm always in the dark

We're living in a powder keg and giving off sparks

I really need you tonight

Forever's gonna start tonight

 

Parole che credeva seppellite nel profondo del cuore da dodicenne che Lindsay aveva abbandonato, per lasciare spazio ad uno accartocciato e che non pulsava come avrebbe dovuto. Che si sgretolava, ad ogni rumore di molle che si assestavano sotto pesi diversi, in notti diverse.

Non accese la luce, ma chiuse la porta con delicatezza, quasi avesse il timore di essere appena approdata in uno scomodo quanto deleterio ricordo. Perché le pareti erano di un bianco più candido, meno opaco; i quadri erano aumentati ma era lo stesso orribili; quella era una notte di metà dicembre dei suoi ventidue anni, non un giorno qualsiasi di un mese qualsiasi dei suoi dodici anni.

Eppure, era tutto uguale nella sua diversità.

Lindsay seguì quella scia malinconica e sofferente che trasudava da ogni parola gridata a squarciagola dal mangiadischi, e che ad ogni passo assumeva tonalità sempre più nitide, fino a che non giunse in salotto, scontrandosi con quell’immagine bizzarra che credeva ormai seppellita nei meandri più sotterranei della propria mente, così da non doverla rivedere mai più. Un’immagine che, a distanza di anni, ebbe il potere di farla sentire smarrita…

 

Once upon a time I was falling in love, but now I'm only falling apart

There's nothing I can do, a total eclipse of the heart.

 

Assorta e sospesa, Emily sedeva sulla poltrona di velluto rosso posta di fianco ad una finestra dalle tendine color panna chiuse e che strisciavano a terra; sul grembo, un voluminoso tomo di psicologia dalle pagine ingiallite; sopra di esso, gli occhiali sottili dalla montatura nera adagiati con cura e sul comodino, un bicchiere di vino rosso pieno per metà, ma pulito, quasi non ne avesse bevuta nemmeno una goccia. Se Lin non avesse guardato per un istante il proprio abbigliamento, avrebbe giurato di essere tornata indietro nel tempo. In un periodo indefinito in cui, sua madre, con capelli decisamente meno bianchi e meno rughe ad intaccarle il volto, sedeva nella stessa posizione. E proprio come quella volta, era strana, velata di una sofferenza che non le aveva visto dai tempi della porta di casa che sbatteva, segno che erano state lasciate sole in quell’appartamento troppo grande.

E quando Emily alzò lo sguardo, Lin vi riconobbe la stessa rabbia mista a delusione di tanto tempo prima; quel drappo di dolore che aveva intaccato i suoi lineamenti delicati e sempre tesi e che, per ragioni troppo gradi da poter sopportare, avevano scalfito indelebilmente anche la sua anima.

-Ciao.- la salutò piano, alzando la mano che reggeva le scarpe col tacco che Emily studiò per un secondo in più, prima di tornare a guardare il mangiadischi fermatosi, ripremendo play per lasciare che la melodia di pochi secondi prima, riprendesse a volteggiare intorno a loro. E se fosse stata la Lindsay di tanto tempo addietro, le avrebbe chiesto scorbuticamente di spegnere quella lagna, che le stava rintronando il cervello.

Ma Lin non era più la bambina coi codini lunghi e mossi che la guardava con rabbia repressa per aver costretto Mark a fare i bagagli. No. Era una ventiduenne dai lunghi capelli mossi e imbrinati dalla neve che aveva cominciato a cadere dal cielo quando aveva percorso con lentezza il vialetto di casa, che mostrò i numerosi tatuaggi quando fece scivolare il cappotto sulle braccia, posandolo sulla sedia, e che al posto di chiudersi in camera sbattendo la porta, si ritrovò a fissarla in attesa, quasi avesse bisogno del suo permesso per poter fare tutto ciò.

Un permesso che, però, non arrivò. No, di Emily udì solo uno stanco –Sei già a casa?- a cui seguì un passarsi la mano sul volto, l’altra che andava a stringere il bicchiere di vino. Lin inclinò il capo, osservando la sua mano bianca che lo stringeva con forza, per poi posare lo sguardo nell’esatto punto del muro ora riverniciato in cui, anni addietro, la donna vi aveva scagliato il calice. Era stata una delle rarissime volte in cui l’aveva vista perdere le staffe. Ora che ci pensava, era stato da quel lontano 22 luglio che non aveva più pronunciato la domanda Papà quando torna?.

Lin gettò un’occhiata all’orologio da muro, scorgendo come fosse a malapena l’una del mattino, decisamente inusuale da lei rincasare così presto. Ma alzò le spalle, decisa a non essere scontrosa per una volta che la madre non aveva farcito le proprie parole con della superba ironia -Mi annoiavo.- mormorò facendo qualche passo in avanti, ancora sommersa dalla sensazione opprimente di nostalgia che Bonnie Tyler si ostinava a scagliarle contro con quanta più energia avesse…

 

Turnaround, Every now and then I get a little bit terrified but then I see the look in your eyes

Turnaround bright eyes, Every now and then I fall apart

 

Total eclipse of the heart…

Emily aveva continuato a mettere quella canzone ogni santissimo giorno da quando papà se ne era andato. E lei, dodicenne resasi conto che le vite fiabesche dei suoi adorati film Disney poco avevano a che fare con la cruda realtà che l’avvolgeva, aveva cominciato a credere che ogni persona che perdeva il proprio amore per strada, si ritrovava a sedere su di una poltrona con un voluminoso tomo fra le mani, un bicchiere di vino nemmeno cominciato sul comodino con la abatjour accesa e lo sguardo smarrito nel vuoto.

Fino a che non si era rintanata nella propria stanza, che già era troppo straziante udire la porta dello studio sbattere, in quel rumore così simile a quello che Mark  si era lasciato dietro le spalle…

 

-Continuare ad ascoltarla, non lo farà tornare indietro.-

-Quando crescerai, forse capirai.-

 

Fino a che non si era rintanata dietro le cuffie dell’Mp3, perché solo Axl Rose sembrava riuscire a farla sentire un po’ più vicina al mondo di suo padre…

 

-Quella musica ti rovinerà.-

-Sempre meglio di Bonnie Tyler.-

 

Fino a quando l’amore non veniva ritrovato...

 

-Lindsay, questo è Bryan.-

Un sorriso sghembo, un volto delicato e un po’ troppo giovane.

-Ci frequentiamo da qualche tempo.-

 

E il silenzio era tornato a far da padrone in quell’appartamentino divenuto troppo grande per loro due. Un silenzio che era diventato quasi nauseante, così come nauseante era quel bamboccio dalla parlantina sciolta e fluente. Meglio la voce di Bonnie Tyler che quella sciocca a melensa di quel coglione, si disse mentre entrava un po’ di più in quel minuscolo mondo, terrorizzata all’idea di entrare davvero a farne parte.

Forse fu per questo che sussurrò un incerto –Qualcosa non va? Deve girarti proprio male se ascolti la Tyler.- conscia che sua madre avrebbe reagito con stizza e l’avrebbe mandata via, allontanandola un po’ di più, aumentando la distanza che le aveva ormai rese due pianeti su orbite separate.

Ma sua madre non reagì, non fiatò. Si limitò a fissare il muro, tenendola lì con sé.

E no, Lindsay non aveva mai capito perché sua madre si fosse ostinata ad ascoltare quelle parole come una droga, quasi non potesse respirare senza quella ballata rock che infestava ogni sala di casa…

-Bryan vuole una pausa.-

Ma in quel preciso istante, comprese.
 

-E’ stato solo un bacio.-

 

Sua madre non era poi così diversa da lei. La differenza era che Emily si nascondeva dietro una canzone malinconica e straziante, Lin si riparava sotto le lenzuola di qualcun altro. Nei baci di qualcun altro. Dietro un mucchio di bugie soffiate sulle loro labbra pur di soffocare quei sentimenti che non riusciva a catalogare.

Dietro quell’enorme e logorante bugia: che Seung-Hyun non ne valeva pena.

-Mi ha chiesto di sposarlo. Dopo otto anni me l’ha chiesto e io gli ho detto no- si stropicciò il volto –Ho sbagliato tutto.-

-Quello è un coglione- lo soffiò senza pensarci, venendo guardata con sguardo attonito per quella scarsa galanteria –Tanto di guadagnato.-

-Un giorno ti innamorerai e forse capirai.- non c’era stata rabbia nel suo rinfacciarla la sua scarsa dimestichezza nei rapporti umani, così come non c’era biasimo nel rinfacciarle che, a ventidue anni, non aveva ancora scoperto le bellezze e le gioie che tale sentimento portava con sé. Trascinandosi però tanta sofferenza, fobie mai provate prima e una dipendenza che lei non voleva avvertire…

E mentre recuperò la giacca, mentre zampettò in cucina per prendere un po’ d’acqua che stranamente la gola le era divenuta secca, un pensiero maligno gravitò nella sua mente…

Io non voglio finire come voi due…

Che era un po’ come dire, che non si sarebbe mai innamorata.

Non avrebbe retto ad un altro trolley che sbatacchiava per terra, non avrebbe retto ad un’altra porta che sbatteva, non avrebbe sopportato di stare seduta su di una poltrona con Bonnie Tyler che le cantava quando ormai il loro amore fosse arrivato al capolinea.

Lei non era abbastanza forte per reggere tutte queste cose.

Fu allora che rientrò in salotto, guardandola assorta prima di mormorare un incolore -Vado a letto.- sconfitta da quella breve ma sfiancante discussione.

Emily arcuò un sopracciglio, sorpresa, poi sventolò una mano –Ah, beh, meglio così. Domani devi svegliarti presto per--

-Lo so, il tour- giocherellò con la bottiglietta d’acqua e lasciandosi scivolare di dosso l’occhiata estenuante della madre zampettò verso la propria stanza. E Lin, nemmeno lei seppe spiegarsi il perché di quel momento di follia improvvisa, si ritrovò a guardarla con quella che ad un’attenta occhiata sarebbe potuta essere apprensione, ma che nella sua superficialità era più simile ad una smorfia di noia –Sai? Dovresti bere del the verde, se sei giù. Funziona.-

Osservò i suoi occhi nocciola allargarsi e la fronte corrugarsi mentre le labbra serrate andavano a nascondersi dietro il bicchiere di vino. Represse uno sbuffo e si rintanò in camera, che per quella sera ne aveva avuto abbastanza. E ne aveva avuto abbastanza anche di quella gallese che continuava a far riemergere ricordi dolorosi.

Gettò tutto per terra, dando un calcio ad alcuni vestiti vaganti giacenti sul pavimento. Era la conversazione migliore che avessero mai avuto in tutti quegli anni. E aveva fatto pure schifo, tanto era stata blanda e striminzita, ma Lin si rese conto di come fosse centomila volte meglio chiudersi la porta alle spalle con delicatezza udendo la musica farsi sempre più ovattata, senza urla che si rincorrevano nel corridoio.

Si buttò sul letto mentre si metteva alla ricerca del suo salvatore, l’Mp3, pur di non doversi sorbire ancora quell’angoscia proveniente dal salotto. Ma le note di Californication rapirono la sua svagata attenzione e quando sul display scorse il nome luminoso di Ginko, un briciolo di colore tornò a dipingere quella stanza immersa nel grigiore.

 

-Come va?-

 

Poche, semplici parole. Quel messaggio di Ginko racchiudeva più dolcezza di quanto tutti i suoi pseudo amici le avessero dimostrato in quella settimana ormai giunta al termine.

E quando si stropicciò le labbra per scacciare il sapore di tabacco che quelle di Peter le avevano lasciato, Lin si ritrovò a guardare la porta della propria stanza. Oltre la quale c’era un mondo ostile che non l’aveva fatta sentire tranquilla nemmeno per un istante. Ma che per un breve, insignificante momento, le era parso così affine al proprio da meritare un briciolo di comprensione.

Quella stessa comprensione che, all’epoca, non le aveva riservato.

E quando avvertì l’odore del the scivolare nella sua stanza, le note di Bonnie Tyler spezzarsi nell’aria per lasciar spazio al silenzio, e lo sciabattio di sua madre procedere a tonfi leggeri, lasciando dietro di sé un pacato ed incerto –Buona notte, Lindsay.- sorrise.

E pigiò poche, semplici parole.
 

-Non male.-

 

 

 


 


 

 

A Vip’s corner:

Secondo capitolo imbuto, me spias. Il prossimo sarà l’ultimo, promesso :)

So che è corto rispetto agli standard, e pure parecchio noioso, ma non me la sentivo di farlo lungo più del necessario. E so che può risultare spiacevole che vi siano stati i soli POV di Lin e Top, ma sono i protagonisti di questa storia e se lo meritavano un capitolo tutto per loro.

Non voglio straziarvi con lunghe note, solo alcune precisazioni: quello che Top prova per Lindsay non è amore. Ci tengo a specificarlo perché non vorrei aver fatto passare un messaggio sbagliato nella sua chiacchierata con GD. A lui Lin piace, lo ha capito. Ma dal piacere all’amore c’è una differenza abissale, o almeno io la vedo così. E anche per Lin non è amore. Io personalmente non credo che sia così facile parlare d’amore (per quanto a volte questa parola venga usata superficialmente) e forse è per questo che qui sembrano tutti psicopatici -.-

Riguardo Kim Ji Na… Ho letto su un sito che dopo la loro rottura, G-Dragon ha scritto This Love, uscita molto prima dell’incidente della Marijuana. Non so nemmeno se sia vero che la sua ex si chiami così, ma ciò conta è che ho stravolto un po’ le cose perché mi serviva, e perché non è poi così fondamentale quale canzone le ha dedicato. Tutto questo per chiedervi di chiudere entrambi gli occhi ^^

Io la chiuderei qua che le cose importanti le ho dette (no, ma doveva essere breve eh, come no). Siete autorizzate a smentirmi o farmi notare eventuali pecche, che di sicuro in questo capitolo popperanno fuori come funghi D:

Passiamo ora ai ringraziamenti, che ve li meritate: hottina, Fran_Hatake, YB_Moon, Myuzu, lil_monkey, MionGD, krassy32, e Yuna_and_Tidus, grazie infinite per aver commentato il capitolo precedente *-* Vi lovvo *bimbanminchia Mode:ON* No, sul serio, non ho parole per dirvi quanto mi rendiate felice :)

Ringrazio infinitamente chi ha aggiunto Something fra le seguite/preferite/ricordate e chi legge in silenzio ♥ Siete sempre gentilissimi :)

Alla prossima!

HeavenIsInYourEyes.

 

P.S.: Ah, sì, ringraziamo Bonnie Tyler e la sua Eclipse of the heart; senza di lei questo capitolo sarebbe vegetato forever nel mio pc ♥. I love this song

 

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Capitolo 17
*** She danced on tables ***


A Vip’s corner (1):

*Buondì! Vi chiederete cosa mai stia combinando la vostra Heaven per rompervi le palle già prima delle note finali. Beh, il perché è presto spiegato: causa forze maggiori, mi ritrovo costretta ad interrompere la fic per-Naaaaah, non siete così fortunate. Mi spiace, ma non vi libererete tanto facilmente di me :P

Volevo solamente ritagliarmi un piccolo (piccolo? Cosa mai vorrà dire cotale blasfemia? xD) spazietto per esporre alcuni punti della mia storia che io reputavo chiari, o almeno, davo per scontato lo sarebbero stati, ma forse mi sbagliavo. Perché me ne esco dal nulla con queste riflessioni? Perché una lettrice gentilissima ha avuto la pazienza di scrivermi, in un mex privato, una bellissima recensione in cui mi ha confidato di aver trovato delle pecche nel capitolo precedente -pur continuando ad apprezzare la storia-. O per meglio dire, le cose che l’hanno lasciata perplessa arrivati a questo punto. Non starò a scrivere cosa mi è stato esposto, vi limiterò a dire la mia visione delle cose sperando che implicitamente se ne colga il contesto. Se vi state chiedendo perché faccia ciò sappiate che no, non lo faccio perché voglio la vostra compassione o sbeffeggiarmi di lei, non è mia intenzione. Lo faccio perché se si sono fraintesi gli atteggiamenti dei protagonisti, significa che forse non sono stata brava nell’esprimerne i pensieri. O i miei, che poi sono i loro. E se così fosse, mi dispiacerebbe. Perché io scrivo, voi leggete, ed è giusto che tutto vi arrivi in maniera cristallina.

Quindi, se volete sorbirvi un papiro di spiegazioni, continuate a leggere. Se non vi va, procedete pure e godetevi il capitolo 17. In entrambi i casi, spero che un occhio lo butterete; possono aiutarvi a comprendere perché scrivo certe cose, perché i miei personaggi reagiscono in determinate maniere. E perché, arrivati al diciassettesimo capitolo, Seung-Hyun e Lin non si sono ancora detti un misero Ti voglio bene:

-Lin e i ragazzi: Lin è una ragazza facile/disinibita? Sì. Ne ho mai fatto mistero? No. Ho lasciato vari indizi più o meno velati riguardo ciò, le ho messo in bocca parole che fanno ben comprendere come lei vivesse la vita sentimentale con i ragazzi quando stava a New York. Quindi, a seguito del concretizzare quelle che erano solo parole o aneddoti, elencando i ragazzi con cui è stata nel suo soggiorno settimanale a NY, l’ho sporcata? Sì. Era mia intenzione farlo? Assolutamente sì. Quando ho creato la storia, ho voluto dar luce ad una ragazza che non fosse perfetta e che fosse immatura dal punto di vista sentimentale, che vive la propria sessualità in maniera molto libera. E’ vero, Lin nel sesso, nei baci agli ex, cerca di trovare quelle sensazioni nuove che Seung-Hyun le ha dato perché lei ne è attratta, ma proprio per questo suo atteggiamento non si può parlare di amore (di questo punto parleremo poi). Può piacere o non piacere il fatto che Lin sia un po’ (tanto) libertina, ma la storia si basa sui gusti di un’autrice che preferisce vedere (sì, anche nella realtà) una ragazza che ammette candidamente di essere così invece di nascondersi dietro una candidezza fasulla. E Lin non manca di rispetto a sé stessa se va a letto con tanti per il semplice motivo che a lei, il sesso, piace. Il rispetto viene a mancare nel momento in cui le faccio fare qualcosa controvoglia.

-Lin e il suo cambiamento: mi sembra palese che sia cambiata dal primo capitolo, su questo non ci piove. La cosa che mi preme specificare però, e davvero, ci tengo, è che non è stato solo Top a dare il via al cambiamento; intorno a lei ci sono una Ginko che si dimostra una buona amica, una Chyoko che si dimostra più madre di Emily e un Mark che cerca di essere un buon padre. Sono tutti i personaggi che, nel bene o nel male la influenzano e influenzano le sue scelte. Mi spiace che si venga a pensare che solo un ragazzo possa tanto (anche perché credo di aver dimostrato quanto Lin sia abbastanza capace di cavarsela da sola), perché sto cercando di dare una psicologia ben distinta a tutti e per quanto Chyo e Mark compaiano poco, non sono solo macchie di contorno. Vedete il cambiamento come una torta: Top è la fetta più grande, le fettine sono gli altri e per quanto piccole, sono buone lo stesso ;)

Ciò mi ricollega ad un’altra questione: Lin e l’università. È vero, quando Lin pensa al perché è tornata a casa, ripensa a Top che le dice E’ stato stupido sbagliare il test, ma non è la causa principale. È uno dei tanti fattori scatenanti, quello che agisce dall’inconscio, unito al suo voler cercare di far comprendere ad Emily e Mark che è padrona delle sue scelte. Vuole la sua rivalsa, con o senza Top fra i piedi. Perciò vola a NY e chi si è visto si è visto, che tanto lui è sul palco a sbagliare i passi :P

-I due punti iniziali mi servono per parlare di quello che, forse, è il tasto dolente di tutto: l’amore. Partiamo da un presupposto: io, HeavenIsInYourEyes (potrei dirvi il mio nome ma non ve ne fareste niente :P), ventiduenne che sta dietro il PC e scrive Something about you, non so cosa sia l’amore, ma ne parlo (bel controsenso, eh?). Come faccio a parlare di una cosa che non ho mai provato? Semplice: parlo di un amore che mi piacerebbe vedere o addirittura vivere, scrivo di quella che secondo me è una “bella” (termine da prendere con le tenaglie) storia d’amore. Perché sono circondata da gente che decanta amore eterno e si lascia dopo un mese; amici che dicono di amarsi, fanno progetti e mentre si tengono per mano sotto il tavolo, il/la fidanzato/a accarezza la coscia dell’amante; amici o gente che dice Ti amo come se avessero appena detto l’ora e poi, ehi, soffocavano e si sono lasciati. E non bisogna essere veterani in questo campo per capire quanto tutto ciò non sia amore e quanto un Ti amo venga detto con superficialità. E, almeno nella mia storia, voglio che l’amore non sia superficiale. Per questo tutto va a rilento (oltre ad un mio gusto personale nel vedere tutti i passaggi ben delineati). Perché reputo più romantico (sempre io, Heaven) una Lin che decide di giocare a Super Mario con Top rispetto ad un suo inaspettato Ti voglio bene; reputo più romantico un Seung-Hyun che le confessa quanto lei non sia banale piuttosto che un Credo di essermi innamorato di te. Sono gusti, sono opinabili, ma sono miei e quindi scrivo di tutto questo, così come scrivo di tutto quello di cui sopra che mi ha influenzata, con la speranza che possa piacere :) Una Lin che passa di letto in letto (perché decide di farlo) quando Top non c’è, non è innamorata; una Lin che nonostante tutti i dubbi prende in mano la propria vita non è innamorata. Se lo fosse stata, avrebbe vegetato in Corea per due mesi per poi andare da Top a chiedergli come si fosse permesso di baciarla e poi andarsene come se n’è andato. Lei ci pensa, si fa la sua buona dose di paranoie, ma perché si è ritrovata a fare i conti con un ragazzo di cui è attratta, che le è diventato amico, si è dimostrato in un modo e poi ha stravolto il suo punto di vista. Nella vita reale, credo che chiunque si sentirebbe un tantino frastornato. Così come credo che si frequenti qualcuno solo perché all'inizio ci si piace, non perché si è innamorati. Ed è pur vero che Top è parecchio cotto, sarei scema a dire il contrario. Ma tra l’essere cotto e l’essere innamorati direi che ci passa un mare. E per quanto si pensino, non sono ancora dipendenti l’uno dall’altro. Io sto cercando, per quanto opera di fantasia, di dare un minimo di veridicità ai loro sentimenti: Lin è una ragazza spaventata dall’amore, circondatasi da ragazzi che ne hanno assecondato la sua visione distorta (lei non vuole finire come i genitori, lo ha ammesso) e che si ritrova ad affrontare un ragazzo che le sta facendo provare nuove sensazioni (e che dopo sedici capitoli, che in tempo sono mesi, non l’ha ancora portata in branda); Top è un idol che si ritrova a pensare ad un’estranea che, pur sapendo la sua condizione sociale, l’ha trattato come un idiota e, non dico per la prima volta, ma dopo tanto, come un comune ragazzo, rendendosi unica in mezzo al branco. Direi che è normale che si sentano frenati, no? ;)

Tutto questo per dire che, certi passaggi a me chiari e che davo per scontato lo sarebbero stati anche per voi, hanno sollevato questioni interessanti e che mi hanno fatto comprendere come molte cose magari scritte siano scivolate via. Quindi ho preferito spiegare (con la mia solita logorrea) quanto sopra. Non è un modo per dirvi Se non vi piace, non leggete; è un modo per dirvi: se volete leggete, ditemi la vostra anche se non vi piace, ma è giusto che sappiate che la storia si basa su queste premesse e che per me non è un Ti amo che fa la differenza in una storia d’amore. E spero di non aver deluso nessuno se mi sono permessa di spiegare tutto questo.

Quindi, carissima Appler_Girl, ti ringrazio infinitamente per avermi scritto, ma dal profondo del mio cuore accartocciato. Perché il confronto che ne è nato mi è piaciuto un sacco e perché ricevere delle critiche costruttive con al tua pacatezza e analisi fa sempre bene. Spero di non essere risultata dura o infastidita o supponente. Tendo ad essere distaccata quando scrivo (ma pure nella realtà D:) ma non fraintendetemi, non sono affatto arrabbiata e, anzi, sono davvero felice che tutto ciò sia poppato fuori ♥

Concludo dicendo, per chiunque si sia soffermato a leggere sta’ roba, che se vuole dirmi la sua può tranquillamente farlo a patto che si parli solo dei punti sollevati, non sul perché/su chi li ha sollevati. Le critiche erano rivolte a me perché ha ammesso di tenere molto alla storia e si è sentita in dovere di dirmele, le ho accettate e ho ringraziato. Questo basta :)

Ah sì, per concludere. Un amico una volta mi disse che un buon regista non spiega mai la trama di un suo film, altrimenti non è questo granché nel suo lavoro. Io non so se è vero, ma se anche lo fosse, ora mi sento in pace con me stessa :)

 

Buona lettura *

 


 


 

 

 

Capitolo 17

She danced on tables


 

That last kiss I'll cherish until we meet again

 And time makes It harder, I wish I could remember

 But I keep Your memory

 You visit me in my sleep

 My darling, Who knew

-Who knew, Pink-


 


 


 


 

Era tornato a casa.

Dopo due lunghi ed estenuanti mesi, era tornato in Corea, nel proprio appartamento. Un sorriso intorpidito spuntò sul volto mentre faceva scroccare le ossa del collo, udendo gli altri barricarsi nelle proprie camere per riposarsi.

Chiuse il mondo fuori dalla stanza, spegnendo la luce, lasciando che sola quella dell’abatjour colorasse il muro con la sua ombra slanciata. Fu allora che si fermò, lanciando un’occhiata un po’ più attenta all’ambiente circonstante, la giacca a mezz’aria e la certezza che qualcosa non andava. Come se ci fosse un tassello fuori posto, smarrito, senza il quale quell’incasinato puzzle che era ultimamente la sua esistenza, non sarebbe mai stato completato.

Eppure, non se ne preoccupò. La diversità, da un po’, non lo spaventava più di tanto.

Lasciò cadere il borsone ai propri piedi, accarezzò uno dei pupazzi che svettava dalla pigna di gadget a cui ne avrebbe presto aggiunti altri, fino a che lo sguardo non cadde dritto davanti a sé, su quell’esatto punto che, più di tutto, gli diede da pensare: il letto appoggiato contro la parete destra, le coperte sfatte e sommerso di abiti smessi. Si avvicinò, scostando il ciarpame con un sonoro sbuffo e qualche bella imprecazione, giusto per distendere i nervi.

Storse il naso e corrugò la fronte; eppure ricordava di aver messo in ordine, prima di chiudere la propria camera per due lunghi mesi.

Scrollò le spalle; magari era solo la stanchezza dovuta al lungo viaggio che lo stava riducendo ai livelli di uno psicotico…

-Bentornato, Seung-Hyun…-

O, forse, psicopatico lo era diventato davvero.

 

Chiuse gli occhi, assaporò la benefica sensazione che il proprio nome, risuonato con voce vellutata, gli procurò, e solo dopo aver udito il cuore rallentare volse il busto, pregando di non essersi illuso come suo solito.

 

Lindsay era di fronte a lui.

Snella, gracile nella sua imperturbabilità, rivestita di una delicata bellezza che non venne minimamente intaccata dai capelli ribelli o dal trucco sbiadito che le impiastricciava il volto pallido, velato di sottile malizia.

Un nodo di parole si attorcigliò in gola, spezzandogli il fiato.

A quella deliziosa visione, si chiese cosa diamine ci facesse lì, nella sua stanza, con le mani dietro la schiena e il suo ritmico dondolarsi sulle punte. Ma ad un’occhiata più attenta, questo quesito sfumò nel baratro della libidine che lo aveva dolcemente lambito, portandolo a domandarsi come potesse una ragazza emanare una così elevata carica erotica con indosso una maglietta dei Metallica. Larga il doppio e che le arrivava a metà coscia. Che non sottolineava le sue forme. No, cioè, dei Metallica…

-Lindsay…- fu tutto ciò che riuscì a mormorare, frastornato nel ritrovarsela lì, nella propria stanza, cinque minuti dopo essere rincasato. Era forse stato quello stronzo di Ji Yong a preparare tale, ben congegnato scherzo alla sua regale persona? No, perché sembrava tanto una cosa in suo stile.

La classica scena alla “Noi due dobbiamo parlare” si stava manifestando davanti a sé e lui non aveva alcunché da dirle. E Top sapeva bene come quel momento sarebbe prima o poi dovuto giungere, che doveva farsi perdonare per il suo essersi comportato da cretino. Ma Lin non sembrava minimamente scheggiata da ciò che era accaduto e anzi, forse, tra i due l’unico ad essere agitato, era lui.

Deglutì all’udire della porta che si chiudeva con un rumore secco, la chiave che girò nella toppa. E quando lei si volse nuovamente, costringendolo a lasciar perdere per un attimo la linea morbida del suo sedere fasciato dalla maglietta, si rese conto di essere in una sconvolgente quanto meravigliosa trappola. Una trappola fatta di ricordi, di parole che racchiudevano più del loro banale significato e di sentimenti che aveva cercato di reprimere con tutto sé stesso –Ti stavo aspettando.- ma che ritornavano a galla con  un solo mormorio.

E solo allora la osservò davvero, rapito dalla sua immagine così prorompente da rendere il resto una mera futilità. I suoi occhi nocciola enormi e dal taglio occidentale brillavano nel semibuio della stanza, le sue linee delicate vennero disegnate dalla scarsa luce dell’abatjour che tracciò la sua figura anche sul muro, in un’ombra che desiderò restasse per sempre impressa non solo sulla parete della camera, ma anche della sua mente.

Si sedette sul bordo del letto, incapace di reggere tutto quel miscuglio di emozioni che, insieme, furono capaci di togliere ogni residuo di energia. Avrebbe solo voluto chiudere gli occhi e risvegliarsi da quel sogno dolce amaro, dello stesso sapore che le sue labbra gli avevano lasciato in una fredda nottata di novembre, a monito di ciò che li aveva legati seppure per qualche breve frazione di attimo.

-Da tanto, desideravo vederti.-

Lo zampettio leggero di Lin rimbombò pesantemente nella sua mente pesante e prima che potesse dar libero sfogo ai propri, turbinanti pensieri, si ritrovò ad osservare la sua lenta movenza, un avvicinarsi scandito da una fluidità che mai le aveva visto. E, deglutendo, si rese conto di quanto fosse ormai vicina. E non aveva dovuto alzare lo sguardo, per accorgersene. Gli era bastato inspirare profondamente per riprendere fiato, e subito il suo buon odore di pesca lo aveva prepotentemente assalito.

-Tu no?-

Fissò le sue punte dei piedi laccate di rosso, frastornato da quella sequenze di immagini e domande che lo fecero sentire in bilico sul filo della ragione. Perché quella Lindsay che emanava sensualità da ogni poro e dalle labbra socchiuse, rosse ed invitanti, poco aveva a che fare con l’immagine che aveva custodito dentro sé della ragazzina scazzata e dall’imprecazione facile. Tramortito di fronte a quell’impercettibile ma desolante cambiamento, Seung-Hyun si stropicciò il volto, pregando che qualche insulto gli venisse indirizzato. O avrebbe voluto sentirsi rivolgere le sue solite domande, un “Hai mangiato?”, pronunciato con materna dolcezza, un “Hai dormito?”, detto con severità. Avrebbe voluto sentirsi rivolgere tutto quello solo per riuscire a trovare in quella Lindsay così diversa, quella che aveva lasciato indietro. Che gli avrebbe ricordato quanto cretino fosse ad aver mangiato poco e dormito ancora meno, che gli avrebbe rammentato quanto tutto, tra loro, fosse salvabile nonostante il suo cercare di rovinare quel poco che avevano costruito, per la troppa paura che l’attrazione stava inesorabilmente trascinando con sé.

-Perché?- la propria voce risuonò rauca e bassa, in un mormorio che ben manifestava il suo timore.

Avvertì i suoi polpastrelli scottanti sulle guance e che lo costrinsero a sollevare il volto per poterla guardare finalmente in viso. Passando prima dalla scollatura generosa che venne messa in bella vista e che gli procurò una scarica di brividi che lo costrinsero a sistemarsi meglio sul letto.

Pessima, pessima mossa.

Perché Lin aveva accolto questo suo movimento come un invito a farsi più vicina e prima che potesse alzarsi, gli fu a cavalcioni. E allora addio a quello straccio di razionalità che aveva stretto a sé nel vano tentativo di non comportarsi da animale e benvenuta, pazzia.

-Perché mi sei mancato, Seung-Hyun.- Lin prese le sue mani strette sulle lenzuola e le portò sulle proprie cosce, bianche e lisce, accompagnandolo in una lenta carezza che ebbe il potere di procurargli scariche di piacere che dalla linea dorsale si diramarono per tutto il corpo.

Soffocò un gemito quando avvertì i loro bacini collidere e a quel punto, comprese.

Si volevano entrambi nella stessa, viscerale e passionale maniera. Probabilmente, anzi, sicuramente se l’avesse posseduta una volta per tutte, magari si sarebbe finalmente accertato di quanto quella sciocca attrazione fosse solo una richiesta del suo bassoventre a digiuno da mesi.

-E io?- un sussurro sulle labbra, che sapevano di neve –Io ti sono mancata?-

Lo sguardo carezzò con sfibrante lentezza le sue braccia tatuate, la linea morbida del collo candido, indugiando su ogni centimetro del suo volto così vicino da fargli perdere un battito, sulle sue lentiggini, sul trucco colato che la fece apparire una bambola di porcellana crepata. Posò le mani sulla schiena stretta e la fece aderire meglio a sé, dichiarando la propria resa, preceduta da un sospiro. Avrebbe accettato la sua concessione, avrebbe accettato tutto, a patto che, una volta sdraiato al suo fianco con respiro irregolare, gli avesse restituito con gli interessi quel barlume di lucidità che si era permessa di strappargli.

-Non immagini nemmeno quanto.- sussurrò sulla sua spalla, assaporando quel profumo di pesca che aveva lasciato sulla propria felpa della Fubu, ma che aveva qualcosa di diverso, quasi fosse stato intaccato da un altro odore a lui sconosciuto. Più virile, che non le apparteneva.

Ma non gli importò, giacché lei era lì, per lui.

Sfiorò i suoi fianchi stretti, fece scorrere le dita sul tessuto della sua maglietta nera e quando avvertì la sua pelle fresca sotto le proprie dita, sentì l’attrazione bruciare, premendo sul suo petto affinché potesse consumarsi una volta per tutte. Ma Lin si mosse un poco e quando gli parve in procinto di scomparire, il ragazzo saldò la presa, avvertendo la sua risata leggera spandersi nell’aria –Non me ne vado.- mormorò pacata, sfiorando con le dita il suo collo e portando le braccia dietro esso.

E, ancora un volta, si ritrovò a sorridere di fronte alla sua impercettibile dolcezza, quel suo modo così nascosto di fargli capire come riuscisse a captare ogni suo pensiero, rendendolo più bello, meno lacerante. Perché, nonostante tutto, lei restava fra le sue braccia, nei suoi ricordi e non sembrava intenzionata ad andarsene.

Una spinta di bacino e gettò la testa all’indietro, il fiato completamente spezzatosi in gola, ogni pensiero libratosi lontano. Mentre lei si faceva sempre più vicina. Mentre le sue parole, lo colpirono come uno schiaffo intriso di biasimo –Per me non è stato solo un bacio- sgranò gli occhi, la strinse a sé pur di farle comprendere la sua incertezza –Per te, sì?-

Studiò i suoi occhi colmi di logorante malinconia, accentuata dal mascara colato. E quando vi riconobbe la paura, quella stessa paura che gli aveva rivolto prima di baciarla sotto la neve, si ritrovò a scuotere la testa –No. Non lo è mai stato.- per infonderle un po’ di coraggio, per farle cambiare idea su di sé. Per farle comprendere che, se fosse tornato indietro, le avrebbe detto qualcosa del tipo “Quando torno, ti porterò a vedere Seoul” che suonava decisamente meglio di un implicito “Ho avuto quel che volevo. Ci si vede tra due mesi”.

Ma lei non replicò, limitandosi a sorridere prima di concedergli uno sguardo languido da sotto le ciglia nere. E Top, lasciò cadere ogni barriera. Si prese il permesso di baciarla, di stringere i capelli arruffati sotto le proprie dita, di farla gemere mentre l’altra mano si intrufolava sotto la maglietta. Dio, quanto aveva desiderato poter assaporare ogni centimetro della sua pelle diafana.

-Seung-Hyun…- il proprio nome, etereo e magnifico, pronunciato da quelle labbra carnose. Fece per sfiorarle con le proprie un’altra volta, ma lei glielo impedì, concedendogli solo una misera porzione di collo. Lin vibrò sotto i suoi tocchi delicati, permettendo che la sua mano vagasse sul suo ventre piatto, per raggiungere l’elastico delle mutandine di pizzo nero. La vide mordersi il labbro inferiore, concedendogli mutamente di procedere oltre. E lui rabbrividì, al pensiero di poterla avere tutta per sé.

E quando Lin mosse ancora il bacino, inebriandolo con l’ennesima scarica elettrica che lo fece smarrire per un misero istante, si disse che poteva pure tenersela la sua razionalità, che il suo –Seung-Hyun…- sussurrato contro l’orecchio era forse il suono più dolce che lo avesse sfiorato in tutti quei mesi lontano da casa. Deglutì quando le dita cominciarono la loro lenta discesa, vedendola schiudere le labbra per poter respirare. Chiuse gli occhi, gustando quel momento che aveva bramato da tempo. Mancava così poco, per poterla avere…

-Ah, ma che disastro!-

-Cosa?-

-Ho messo a posto ieri, dannazione!-

 

-Dae?!-

Ritrasse la mano, guardandola con spavento. Lin ridacchiò e lo coprì con la cascata di capelli neri che strinse sotto le proprie dita, quasi volesse ripararlo dalle intemperie di quel mondo che non c’entrava con loro. Quasi volesse proteggerlo, con quel suo modo un po’ impacciato ma che sapeva trasmettergli calore.

-Lin…-

Le sue labbra carnose contro l’orecchio –Seung-Hyun, è tardi…-

-Ma ancora dormi?-

-Non puoi restare?-

Lei rise un poco, annunciando la fine di tutto.

 

-Forse dovresti svegliarti ora, non credi?-

 

 

-Oi, forse dovresti svegliarti.-

Cosa?

-Il sole brilla! Alzati e splendi!-

Aprì un occhio, un po’ per mettere a fuoco, un po’ per osservare più attentamente chi fosse quel maledetto che aveva osato invadere il suo mondo con: a) la propria voce, candida e melassosa come nemmeno una torta Saker; b) con la luce che filtrava dall’enorme finestra, causa tendine spostate.

E quando volse il volto assonnato alla propria destra, comprese come quel bagliore accecante non provenisse da un Giappone ormai illuminato dai raggi del sole, bensì dallo sfolgorante sorriso a trentadue denti che quel dannato di un Daesung gli stava regalando.

Sbuffò sonoramente mentre, pancia in giù, tornò a far sprofondare il volto sul morbido cuscino, facendogli ben intendere come non avesse intenzione di alzarsi da quel torpore. Un torpore che, si rese amaramente conto, altro non era stato che un bellissimo sogno –Sono le due, Hyung. Non vorrai dormire tutto il giorno, vero?- il lapidario rimprovero di Dae piovve come una manciata di sassi, costringendolo a guardare in faccia quell’orrenda realtà. Solo allora, aprendo gli occhi gonfi, si accorse di un piccolo, quanto visibile particolare… E fanculo, ecco. Maledetti sogni che gli facevano perdere il controllo. E maledetta pure quella ragazzina, che lo stava facendo sembrare un adolescente con gli ormoni impazziti che organizzavano rave party ad ogni minuto.

Allontanò la mano dall’elastico dei pantaloni della felpa, ringraziando tutti i santi di non essere andato troppo in avanscoperta, che venir beccato con le mani sul pacco –o nel sacco, nella fase Connecting people non gli sovvenivano i modi di dire- non era esattamente un bel modo di cominciare la giornata. Con un Daesung in stile perpetua, poi, che gironzolava per la stanza con fare da mamma severa e dal rimprovero facile.

-Che palle- mormorò asciutto, schiarendosi la gola mentre si accasciava con la schiena sul letto, stropicciandosi il volto su cui ancora poteva avvertire i polpastrelli di Lin, nemmeno gli avesse lasciato profonde cicatrici –Si può sapere che ci fai qui?- domandò scorbutico, guardando il soffitto color panna.

Dae arricciò le labbra –Sono venuto a svegliarti. Tra tre ore dobbiamo andare, ricordi?-annuì, ricordando vagamente di un’intervista radiofonica che avrebbe dovuto quella sera. E a proposito di interviste, lo sguardo cadde malamente sul calendario appeso alla parete di fronte, ricordandogli che il 16 gennaio si stava inesorabilmente avvicinarlo. Ma non poteva volare avanti nel tempo? Oppure, non potevano cancellare l’intervista? O ancora, cancellare direttamente il numero sedici dal calendario? –Oh, Hyung, quando ti deciderai a mettere un po’ in ordine?-

Avrebbe voluto chiedergli se si riferisse ai vestiti sparsi in giro ai suoi pensieri sconnessi. Gettò una rapida occhiata alla stanza sommersa nel caos come nemmeno la Zona Contaminata della Capitale * e comprese che no, Dae non doveva aver intercettato lo stato di inquietudine che lo aveva accolto quella mattina.

-Sì, poi, dopo- e visto che solo quel coccolone di Dae sembrava l’unica presenza umana gironzolante per la propria stanza, Seung-Hyun si lasciò andare a confessioni imbarazzanti, che tanto sapeva che con lui non avrebbe corso il rischio di incappare in scene al limite dell’illogico –Nh, stavo facendo un bel sogno.-

Mangiucchiò le parole impastate dal sonno, sollevandosi su di un gomito per poterlo guardare meglio…

-Quindi stavi sognando America?-

E si lasciò ricadere con un tonfo sordo, che quella voce melliflua aveva sgonfiato ogni suo desiderio di sorridere alla vita. Contò fino a tre, con l’intenzione di voltarsi alla propria sinistra e trucidare, con la sola forza del suo sguardo tagliente, l’intruso. Ma non si volse, Seung-Hyun, chiedendosi ancora cosa ci facesse quel pirla nel suo antro oscuro.

Rassomigliante ad una stella marina vegetante sulla sabbia piuttosto che ad un sonnolento venticinquenne, Seung-Hyun capì che quel sogno altro non era stato che un presagio dell’orrenda giornata che lo aspettava al varco –Ci ho preso?- un varco segnato da una poltrona in tessuto ruvido rosso, con abbarbicato sopra un Ji Yong sghignazzante e dallo sguardo derisorio di chi ha compreso la dinamica delle cose. Conoscendolo, era stato sicuramente in grado di cogliere ogni sfaccettatura del suo libidinoso sogno e ora si godeva il suo imbarazzo. Grazie ai Kami non lo aveva colto in flagrante che lì, le prese per il culo, si sarebbero sicuramente sprecate.

Seung-Hyun grugnì, senza dargli alcuna conferma, che tanto quello capiva ciò che più gli aggradava. Ma quello stronzo rise, e allora comprese di essere un maledettissimo libro aperto, per lui.

Che risveglio di merda!

Dae, invece, sembrava il classico ingenuo estraniato dall’universo -Oh, andiamo, Ji!- rivolse un’occhiata materna ad un tremebondo Top –Hyung, hai sognato Lindsay?-

-Nh.-

-Che tenero!- civettò Dae, che forse non gli avrebbe rivolto quel complimento se solo fosse stato a conoscenza di cosa aveva effettivamente elucubrato.

-Scommetto che anche America era tenera.-

-Non sono affari vostri.- scostò le coperte, posò i piedi scalzi sul pavimento mentre brividi di freddo si intrappolavano nelle sue ossa, nonostante fosse avvolto da ben tre felpone. Dae si corrucciò, lanciando un’occhiataccia a Ji Yong, facendogli comprendere che se continuava a restarsene lì, lui non avrebbe fiatato.

Il leader, per tutta risposta, sbadigliò –Oh, andiamo, me lo dici cos’hai sognato?- sporse il labbro -Perché a lui sì e a me no?-

Perché tu sei uno stronzo.

Sventolò una mano -Vado a farmi una doccia.-

-E’ meglio se te la fai fredda.- sogghignò l’amico, lanciandogli contro un asciugamano mentre si accasciava sul letto, rotolandosi dalle risate. Lui invece sbatté la porta, allontanando la sua maledetta risata che continuava a rintronargli il cervello. E nemmeno i rimproveri di Daesung erano lenitivi alla sua rabbia.

Che idiota di un leader…

Quel decerebrato se ne era rimasto per tutto il tempo seduto sulla poltrona senza fiatare, senza farsi scorgere! E aveva deciso di dargli il colpo di grazia con la sua raccapricciante candidezza, cosa di cui avrebbe fatto volentieri a meno quel giorno. Grugnì quando uscì dalla doccia, così come grugnì quando si rivestì, pronto ad affacciarsi a quella lugubre giornata e grugnì anche quando ricomparve in camera, ritrovandosi ad osservare un Ji Yong che faceva zapping sul televisore e un Daesung che sbuffava alla vista delle felpe sgualcite.

-Ti si sono calmati i bollenti spiriti, Hyung?- melassoso, sbatté le ciglia sottilissime, lanciando un rapido alla sua figura ingobbita.

Guardò Dae che, canticchiante e nei panni di una Biancaneve dalla pelle un po’ troppo olivastra, continuava a mettere in ordine il suo disastro. L’occhiata più fulminante si adagiò però su GD che, con un sorriso a fargli traballare le labbra sottili, sembrava in estenuante attesa di qualche sua sparata, così da poterla prendere al volo segnare punto con una schiacciata perfetta.

Ma Top emise uno scazzato -Vado a mangiare qualcosa.- ignorando la sua domanda pregna di sarcasmo e che andava a punzecchiare la sua perversione ora mogia in un angolo. Ah, maledizione! Non era la prima volta che la sognava in quelle vesti, era un uomo e i suoi bei pensieri sconci sulla Moore li aveva avuti da molto prima di quel loro unico e reale contatto fisico. Solitamente, la scena si svolgeva nella sua macchina, o sul tavolo da biliardo, o in sala di registrazione. Sì, proprio tutti quei posti in cui serbava il ricordo straziante di lei. Ma mai si era addentrato così oltre. Solitamente al suo Mi faccio prima io la doccia, o tu? O vuoi che la facciamo assieme?, si svegliava, incapace di reggere il peso di quell’eventualità.

Era la prima volta che Lin osava tanto, in una sua fantasia.

Buttò in avanti il capo con indolenza, avvertendo dei passi dietro di sé che gli procurarono solo tanto nervoso. E la voce che si aggiunse a loro, gli fece perdere quel briciolo di pazienza che aveva faticosamente riguadagnato in quei lunghi mesi –Ti faccio compagnia, Top.-

-Gira a largo, Ji.-

Sentì scoccare la sua lingua -Qualcuno si è svegliato con la mano sbagliata nei pantaloni.-

Fanculo…

-O era con la luna storta?-

Lo ignorò -Si può sapere che vuoi?-

-Mangiare con il mio Hyung preferito.-

Sì, mangiare quel briciolo di autocontrollo che si trascinava dietro Dio solo sapeva con quale forza. Sbuffò, incapace di rispondere a quel cretino che continuava a trotterellargli al fianco e che, da quando gli aveva aperto gli occhi sulla sua attrazione per la Moore, sembrava essere diventato la sua ombra, quasi volesse carpire più informazioni di quelle che gli aveva concesso. La verità, però, era che nemmeno lui aveva più qualcosa da dire. Aveva esaurito tutte le risposte ai suoi perché e quando ne poppavano fuori di nuovi, li rinchiudeva nella propria mente, pregando che svanissero.

Lo guardò di sottecchi, studiando il suo profilo delicato –Sarebbe meglio se tu andassi a prepararti.- Basta che ti levi dalle palle…

Lo vide scuotere la nuca dopo aver fatto finta di pensarci su. Sicuramente, se Ji Yong continuava a stare attaccato alla sua felpa, significava che qualcosa di grosso bolliva in pentola. Infatti, tempo nemmeno due secondi, e l’infausta domanda venne posta –Allora, com’è la Moore nuda?-

E Top morì. Nel corridoio di un albergo che ricordava il set di Shining, tanto era orribile. Chi aveva scelto quel posto doveva essere un nemico del buongusto, convenne con sé quando adocchiò l’ascensore. L’unica nota positiva? Le 2NE1 erano state relegate al piano sotto al loro, quindi niente urla o casino fino a notte fonda gli aveva ammorbato le orecchie. Chiusa quella triste parentesi, che era stato solo un cameo per poter seriamente pensare a come ammazzare il capo del gruppo, Top gli scoccò un’occhiata torva –Non era nuda.-

-Vedo che ciò ti rende molto frustrato.- ecco, l’aveva detto lui che tanto quello capiva quel cazzo che voleva.

-Tu mi rendi frustrato.-

-Oh, fidati, nudo non sono questo granché.-

Guardò il soffitto, chiedendosi perché quell’ascensore sembrava farsi sempre più lontano quando ci si avvicinava –Ti ho detto che non era nuda!- Dalla vita in su, almeno… Arrossì al ricordo delle sue gambe bianche e scoperte, delle sue cosce candide che aveva avuto il piacere di avvertire sotto i polpastrelli bollenti. No, decisamente, quell’immagine pregna di sensualità era forse valsa più del suo corpo nudo.

-Allora è vero- GD gli rivolse un sorriso sornione –Hai sognato Lindsay.-

Seung-Hyun, sei ufficialmente un coglione.

Si morse la lingua, evitando di esalare un’imprecazione che avrebbe fatto tremare le pareti dell’albergo. Possibile che lui riuscisse a cogliere tutte le sue turbe? Diamine, era davvero irritante, tutto ciò. Avrebbe voluto custodire gelosamente quel bel sogno per sé, ma se l’amico ne coglieva ogni più piccola sfaccettatura, tanto valeva rassegnarsi e gettarlo nel dimenticatoio.

Si strinse nella felpa, ancora scombussolato dal calore che le braccia illusorie di Lin avevano prodotto su di lui. Si stupì del fatto che Ji Yong non avesse infierito nel silenzio che era conseguito alla sua constatazione, conscio che il suo ammutolirsi era, in fin dei conti, un dargli ragione su tutta la linea. Così approfitto di quel momento di serietà da parte dell’amico, domandando un incerto –Secondo te, cosa vuol dire?-

GD arcuò un sopracciglio –Non crederai mica all’interpretazione dei sogni.-

-Intendo- si morse l’interno delle guance –E’ la prima volta che la sogno così.-

-Vuoi dire nuda?-

-E’ che palle! Ti ho detto che non era nuda!- si mise a braccia conserte, pentendosi di avergli chiesto consiglio –Mi ha solo parlato- lo vide farsi attento –Ha detto che gli sono mancato, che mi ha aspettato e scemenze varie- deglutì, avvertendo il senso di colpa premere sullo sterno –E che per lei non è stato solo un bacio.- alzò le spalle, che altro da dire non c’era.

Ji Yong annuì, arricciò le labbra e solo dopo essersi fermato davanti all’ascensore, annunciò il proprio Vangelo -Allora, vuol dire solo una cosa…- la frase del leader aleggiò sospesa nell’aria, sfibrandolo visibilmente ad ogni secondo che passava. Lo guardò arcigno, intimandogli mutamente di continuare –Che te la vuoi portare a letto.-

-Ji Yong.- lo rimproverò stancamente. Come se non lo sapesse da sé che voleva spalmarsela fra le lenzuola.

-E come li spieghi i sogni erotici su di lei?- domandò annoiato, giocherellando con i lacci della felpa, guardando svagato il pavimento.

Seung-Hyun si scompigliò i capelli ancora umidi –Non che me la voglio portare a letto.-

-Le bugie portano all’Inferno, Hyung- un sorriso di sfida deformò le labbra del leader –E anche i sogni erotici.-

E Seung-Hyun capitolò con un sospiro e uno scossone del capo –No, cioè, non solo quello- guardò l’ascensore divenire sempre più vicino, segno che la propria liberta stava per avvolgerlo –Forse voglio solo rivederla.- aggiunse sconsolato, richiudendosi in un mutismo che, sapeva, sarebbe stato presto scalfito da Ji Yong. Ma l’amico gli lasciò del tempo per pensare a ciò che aveva appena detto, all’eventualità che davvero lui e Lin potessero ricontrarsi. Cosa sarebbe successo? Lo ammetteva, aveva spesso immaginato un loro incontro fatto di abbracci che sapeva non ci sarebbero stati, parole pregne di significato che non gli sarebbero state rivolte e sguardi colmi di imbarazzo che non si sarebbero scambiati, giacché lei non lo avrebbe sicuramente guardato; perché aveva il timore che lei gli sarebbe sfuggita dalle mani, rendendosi ancora una volta irraggiungibile. E, diamine, aveva faticato solo per poterle rivolgere civilmente la parola che proprio non se la sentiva di riaffrontare quell’insormontabile salita.

A lenire tutti i suoi dubbi, giunse la voce assorta di Ji Yong, stranamente poco incline alle prese per il culo -Forse ti senti in colpa.-

Sì, beh, nh, forse…

-E cosa dovrei fare?- con indolenza, premette il pulsante dell’ascensore.

-Prendere del sonnifero.-

-Sono serio!- sbottò in direzione della sua voce strascicata, quasi si stesse burlando della sua patetica situazione. Cosa di cui si sarebbe preso per il culo da solo se non si fosse risvegliato in una bagno di sudore con due dei suoi amici a girovagare per la camera.

Ji Yong guardò il soffitto, scoccando la lingua, quasi fosse scocciato dal suo non cogliere sottigliezze a lui banali  –Andarle a chiedere scusa, quando torni- annuì. Quella era decisamente una saggia decisione –Oppure fartela e toglierti il pensiero.-

Ecco, quella era decisamente una cosa da non prendere nemmeno in considerazione. Ci mancava solo che aggravasse la sua posizione –Qualcosa che non implichi il vederla, magari- suggerì, avvertendo strani rumori provenire dalla tromba dell’ascensore –O il violentarla.-

Ji Yong rise un poco alla sua decisione, mormorandogli un velato –Come se potessi stare lontano da lei- che cercò di fasi scivolare di dosso, incapace di riuscirci davvero –Potresti sempre scusarti nella prossima intervista.-

-Sì, così poi andranno a linciarla sotto casa. Ma figurati.-

-Non devi fare il suo nome, eh- lo guardò con tedio e un pizzico di delusione, quasi fosse increscioso da parte sua non essere giunto a tale, semplice conclusione –Ti basterà scusarti e dirle che non è stato solo un bacio. Così non dovrai dirglielo di persona.-

-Facciamo che dirò solo: Scusa per averti baciata.-

-Ma così che gusto c’è?- borbottò l’amico ad occhi socchiusi, posandogli una mano sulla spalla. Seung-Hyun si divincolò, mettendo in mostra un’espressione burbera ora rivolta al pulsante dell’ascensore ridivenuto grigio. Ji Yong se ne accorse e dopo averlo ripremuto, tornò a guardarlo –Dubito che il problema del tuo nervoso sia solo lei, vero?-

Lo guardò ad occhi sgranati, spaventato al pensiero che riuscisse davvero a leggergli nel pensiero. Perché era effettivamente così: al sogno maledetto, si era aggiunta l’angoscia che quel sedici gennaio fosse ormai alle porte, pendendo sul suo capo come una ghigliottina.

Seung-Hyun gonfiò le guance –Posso non venire al Go-Show?- lo guardò con occhi brillanti e tremuli, facendo leva sul suo senso paterno di leader; ma quello stronzo gli risolve un ghigno e uno sguardo luminoso, segno che non sarebbe caduto nella sua rete -L’ultima volta hanno mostrato una foto delle mie mutande con le paperelle- rammentò con imbarazzo e il classico tic nervoso all’occhio destro –Mi chiedo ancora chi l’abbia passata alla redazione.- aggiunse lugubre, riponendo il proprio astio in uno sguardo che convogliò sulle porte dell’ascensore che tardavano ad aprirsi.

Un verso strozzato provenne al suo fianco e di sottecchi, si ritrovò ad osservare un GD accartocciato che tratteneva le risate –Già, chissà chi è stato. Certe infamie andrebbero punite.-

Tanto so che sei stato tu, stronzo2.

-Posso fingermi malato e non partecipare?-

-Il CEO ti licenzia se non porti lì il tuo culo.- di fronte a cotanta finezza, uno sbuffo misto a risata gli venne strappato senza che potesse trattenerlo a sé. Quel cretino riusciva sempre a tirarlo un po’ su, anche quando tutto sembrava un po’ più brutto. E sì, anche quando i maledetti ascensori non volevano saperne di aprire le porte.

-Speriamo non accada nulla.-

-Le morti per ascensore difettoso sono improbabili.-

-Non intendevo questo- si stropicciò il volto –Parlavo dell’intervista.-

-E del fatto che tu non voglia andarci.-

-Eh.-

-Guarda il lato positivo- Ji Yong indicò con un cenno del capo le porte di metallo che si aprivano –Se lei ti stesse guardando e sentisse le tue scuse, sarebbe un problema in meno, non credi?-

Certo, se lei lo guardasse…

Sembra tu non ci abbia mai visto in tv!-

-Ed è così.-

Come fan fai schifo.-


 

La sua voce tornò a fargli visita, il suo scazzo tornò a permeare nella sua mente e nonostante tutto, sorrise malinconico.

 

-Vi vedo già dal vivo abbastanza, non sono così scema da andarvi a cercare su Youtube.-

 

E se lo fece sfuggire –Lei non ci guarda.-

-Come?-

-A lei non importa nulla. Lei non ci guarda.-

Scivolò di fianco all’amico, posizionandosi davanti alla fotocellula per far sì che Ji Yong, ora immobile, potesse seguirlo. Che idiota… Aveva fissato la sua condanna a morte e nemmeno se ne era reso conto. Perché dal casuale –In che senso?- che GD pronunciò qualche istante dopo non percepì alcuna nota di divertimento, solo una leggera confusione.

E quindi lui si era ritrovato a continuare quel tira e molla di aneddoti che trasudavano banalità –Dice che non le va, quindi non guarda le nostre interviste- entrò dentro, arcuando un sopracciglio di fronte alla lentezza dell’amico. Lentezza che, avrebbe dovuto immaginarlo, non avrebbe portato a nulla di buono. Perché si appoggiò alla fredda parete di metallo prima di premere il piano terra, le mani dietro la schiena e lo sguardo rivolto alla fioca luce del soffitto, guardando poi l’amico immobile oltre l’uscio –Beh, non vieni?-

Il rumore metallico delle porte che si apprestavano a chiudersi, lo costrinse a guardarlo con la fronte corrugata. Ma Ji Yong non si mosse, si limitò a scuotere la nuca prima di sollevare il capo con lentezza, rendendolo partecipe di un’espressione inquietantemente rilassata…

-No. Mi sono ricordato di una cosa. Bye bye.-

E il sorriso raccapricciante ma al contempo dolce che gli rivolse prima di vederlo scomparire dietro le porte dell’ascensore, avvertendo i cardini trasportarlo sempre più giù, gli fecero comprendere che il fondo del baratro in cui stava precipitando, non era ancora arrivato.

 

******

-Lei non ci guarda.-

Poteva una misera, sciocca frase, racchiudere tanta bellezza?

Kwon Ji Yong, in quella fredda mattina di un gennaio ormai inoltrato, iniziata con assoluta noia, si disse che sì, poteva eccome. Soprattutto se a pronunciarla era stato uno Hyung dall’aria abbacchiata, reduce da un sogno a luci rosse con un’americana che gli aveva fuso il cervello e che si stava dimostrando più divertente di quanto avrebbe mai potuto immaginare. Perché era convinto che mai e poi mai, dopo la loro chiacchierata cuore a cuore, Top lo avrebbe reso partecipe dei suoi pensieri che avevano come epicentro Lindsay, che di cose da dire ne erano state esalate fin troppo.

Ma poi, la madre di tutte le notizie. La lieta novella che avrebbe rallegrato la sua giornata…

-A lei non importa nulla. Lei non ci guarda.-

 

La dolcissima consapevolezza che un nuovo gioco stava per avere inizio.

Perché l’espressione che Seung-Hyun gli aveva rivolto era stato di idillio puro, marchiata a fuoco nella sua mente in arrovellamento per cercare di rendere tutto ciò ancora più interessante. E, oh, lui sarebbe riuscito in siffatta, epica impresa. Perché da quando quei due beoti erano lontani si era parecchio annoiato e stuzzicare una Dara alle prese con la sua nuova fiamma non era così estasiante come pungolare Top e le sue perversioni; pizzicare un Ri single non era così beatificante come quando una sanguisuga di cui non ricordava il nome gli stava alle calcagna. Perché era stanco, annoiato e quei due mesi di lontananza stavano gravando sulla sua sanità mentale. Non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma tutto quel tempo lontano dall’idiozia di Top che si risvegliava quando la Moore orbitava nella sua atmosfera, stava cominciando a fargli provare nostalgia di casa.

E aveva bisogno di nuovi stimoli, di qualcosa che potesse saziare il suo appetito.

E quando incrociò Ri per i corridoi, la lampadina si accese. Eureka! Si morse il labbro inferiore, un bagliore di genialità a solleticare il suo cervello e con un balzo, fu subito dal suo maknae di fiducia che, ignaro della sua prossima mossa, gli rivolse un sorriso ampio –Ciao, Ji!-

-Stavo cercando proprio te, Ri.- mormorò il suo nome con lentezza, rapendo la sua svagata attenzione, tutta riversa sull’Iphone bianco.

Il maknae inviò un messaggio, poi si concentrò su di lui con espressione interrogativa –E’ successo qualcosa?-

-Non ancora- ghignò –Non ancora, ma accadrà- portò le mani in tasca, guardandosi attorno per prendersi un po’ di tempo prima di sganciare la bomba, dando così il via al proprio geniale piano –E mi servi tu.-

-Ti servo io?- corrugò la fronte, diffidente –Sia chiaro: io non porto più in giro i festeggiati a sorpresa!- si impuntò, agitando un delizioso indice davanti al suo naso. Oh, quale meravigliosa visione gli si stava parando davanti agli occhi: un Ri sulla difensiva prima ancora che si fosse prestato ai suoi giochi cervellotici. Le sue cavie gli stavano donando molte gioie, in quel giorno funesto.

Ignorò il suo sproloquio, concedendogli un altro assaggino del suo pregevolissimo piano –E ho bisogno della Fujii.- e con quella frase mormorata con pacatezza, comprese di aver sganciato la vera bomba. Se ne sorprese, a dir la verità. Credeva che Ri avrebbe assunto l’espressione alla Mamma ho perso l’aereo solo dopo aver scoperto i suoi loschi progetti e invece se ne stava lì, bocca spalancata e mani sulle guance, nel bel mezzo della discussione. Ribadiva il suo amore per lui, non poteva farci nulla.

Un vistoso rossore gli aveva colorato le guance e Ji Yong capì di averlo portato sui binari sbagliati –Oi, oi, oi, io non sono da giochi a tre. Io non le faccio quelle cose!- volse il volto di lato, nascondendo un’espressione di vergogna che lo fece sghignazzare e anche un po’ intenerire. Ma solo un poco, giusto il tempo di rendersi conto che non poteva perdere tempo a prenderlo in giro, che qui ne andava della vita sentimentale del loro Hyung e del proprio divertimento.

-Non farmi venire i brividi- sventolò una mano –Figurati se sceglierei voi per una cosa del genere- poi, gli scoccò un’occhiata amorevole –Te la lascio tutta per te, visto che ti piace tanto.-

Ri sgranò gli occhi, biascicando frasi sconclusionate che lui nemmeno captò, tanto era preso dal crogiolarsi nella meraviglia del suo solo balbettio –E cosa vuoi da lei?-

-Da lei niente. Voglio solo il suo numero.- gli passò l’Iphone, dicendogli implicitamente che avrebbe dovuto sottostare ai suoi giochetti senza fiatare.

Ma poi, le sua domanda colma di scetticismo, lo colpì in pieno petto -Perché vuoi il suo numero?-

-Tu lascia fare al tuo Hyung. Il resto, verrà da sé- avrebbe voluto svelargli il suo geniale piano con noncuranza mentre allungava una mano per prendere il cellulare, ma sentiva che prima tutti i tasselli andavano messi al loro posto; solo allora, gli avrebbe mostrato quel bellissimo e raffinatissimo puzzle che, per ora, custodiva gelosamente nel proprio cervello. Ma mentre SeungRi pigiò con un leggero cruccio sui tasti dell’Iphone nella rubrica, ci fu un guizzo di fastidio che il più piccolo cercò di mascherare chinando il capo ma che a lui, sommo conoscitore del linguaggio del corpo, non sfuggì affatto. Così, quando con nonchalance e una punta di impazienza esalò un asciutto –Cos’è quello sguardo?- GD si aspettò il suo lagnoso Non è niente.

Quello che non si aspettò, fu il suo replicare con estenuante serietà un infastidito –Nh, non mi va che tu abbia il suo numero.- che lo fece ridere. Ma ridere di gusto, eh. Di quelle belle risate potenti che lo costringevano ad accasciarsi sul muro con una mano allo stomaco per riprendersi.

Si asciugò le lacrime di fronte al suo cipiglio irritato –Oh, il maknae è innamorato.- appurò deliziato dal suo sbattere freneticamente le palpebre quando lo si prendeva in contropiede.

Ri, però, a dispetto di ogni sua previsione o anche solo certezza, si limitò a scuotere la nuca prima di tornare a comporre il numero sul cellulare –Non voglio che finisca come con le altre.-

GD, a questo punto, comprese come Ri stesse nascondendo più di quanto avrebbe dovuto. Guardò la cavia insolente con un lampo di severità negli occhi scuri ed affilati, richiamando a sé l’impassibilità che lo contraddistingueva da quella massa di idioti che si lasciavano trasportare dai sentimenti con fin troppa facilità e, spalla appoggiata al muro e mani in tasca, lo guardò –Quali, altre?-

-Lo sai quali.-

-Aha, proprio no.-

-Ci credo che non te ne ricordi. Tu non ricordi mai quelle che ti porti a letto!- saltò Ri guardandolo minaccioso, brandendo i due telefoni con troppa foga.

GD si grattò la punta del naso –Ma non sono andato a letto con la Fujii. Quindi non è come le altre.- scacciò dal cuore quello strano senso di calore che lo aveva pervaso nel pronunciare quella frase senza scopo alcuno e tornò ad inebriarsi dell’isteria dilagante dello sfidante.

-Beh, e non devi andarci!- ordinò perentorio, puntandogli contro il dito.

-Quindi sei geloso.-

-No!-

-E perciò la ami.-

-No, certo che no! Ma non voglio che finisca come le altre!-

-Ma le altre chi, si può sapere?- ah, oh sommo gaudio! L’espressione arcigna del maknae era quanto di più idilliaco potesse mai mostrarsi davanti ai suoi occhi ora ripieni di affetto, capace di illuminare quella giornata all’insegna del grigiore.

Un grigiore che divenne ancora più colorato quando Ri si mise ad elencare le innumerevoli sventole che avevano avuto l’onore di stendersi sotto le sue coperte e il suo corpo –Maiko, Sumie, Yutsuko- fino a che, dalle sue labbra tirate, un flebile –Nana.- fuoriuscì intriso di amarezza e delusione.

E GD si sentì mancare, per un istante, incapace di reggere il peso che quel nome portava con sé. Un peso che credeva di aver lasciato scivolare dalle proprie strette spalle ma che, a ben vedere, se ne stava ancora appollaiato su di esse. Guardò il muro, ringraziandolo per il suo essere lì a sorreggerlo e senza guardare l’amico, replicò con un indifferente -Ormai è andata.- che, da copione, avrebbe dovuto far cessare ogni lamentela, ogni futile discorso.

Ma Ri sembrava intenzionato a voler improvvisare.

-Sì, beh, sì. Ma lei mi piaceva- premette invio sull’IPhone prima di porgerglielo con una delicatezza che ben si discostava dal suo sguardo perforante -Io voglio vederla ancora, quando torneremo a Seoul- strane fiamme di aspettativa brillavano nei suoi occhi –Voglio andare al Tribeca dopo aver svuotato la valigia. Voglio andare da Ginko e darle il souvenir- arricciò le labbra mentre guardava le punte delle scarpe –Se te la porti a letto, poi scompare come le altre. Ma lei è simpatica.-

Diversamente simpatica, forse…

Avvertì le sue dita sulle sopracciglia che venivano torturate dalla sua indelicatezza –Che fai?-

-Togliti quello sguardo- gli sorrise prima di portare le mani dietro la schiena –Sai che non ce l’ho più con te, no?- gli lanciò uno sguardo sincero prima di dargli le spalle. E in mezzo a tutta quella bontà che avrebbe potuto risparmiargli, sentì che una misera concessione gliela poteva concedere…

-E’ per aiutare Top, Ri- per non avere più debiti da saldare –Non è per me.- guardandolo con serietà, nella speranza che non facesse domande.

Ma Ri, ormai, stava uscendo dai suoi canoni, costringendolo a dover fare un backup dei suoi dati e ripristinare il sistema, che di questo passo sarebbe perito sotto la sua idiozia –Aiutare Top Hyung?- mormorò confuso, aggrottando le sopracciglia –E chi aiuta te?-

Il suo sussurro rimase a fargli compagnia per qualche tempo, anche dopo che la sua schiena fu diventata un piccolo puntino. Nessuna risposta aleggiava invece nell’aria, chiaro segnale che non gliel’aveva concessa. Perché lui non aveva bisogno di essere aiutato, stava bene così. E il loro stargli vicini, bastava più di centomila ragazze che gli facevano la corte.

Una cameriera lo salutò cordialmente, passando di là, riportandolo con le ciabatte sul parquet blu scuro, facendogli un occhiolino che lui prese al volo e gettò dietro le proprie spalle, conscio che misero gesto non valeva nulla in confronto alla chiamata che sarebbe giunta. Sorrise appena nella stramba quanto disdicevole sensazione di essere appena stato battuto al proprio gioco. Da Ri… Sconvolgente, decisamente. Ma, beh, anche i grandi geni perdevano. E poi era una partita su mille.

Si passò una mano sul volto, stropicciandolo e scrollandosi di dosso quell’espressione tremebonda che lo aveva assalito. Scrollandosi di dosso quella voglia pazza di premere sul tasto invio quando si sarebbe presentata la scritta Cancellare Ginko Fujii dalla rubrica?

Che significava cancellarla anche dalla propria vita, sotto una certa angolatura, come aveva fatto con le altre che, inevitabilmente, erano finite nel cestino della memoria del suo Iphone…

-Tu… Tu… Tu…-

Ma a lui, del resto, cosa gli importava di tale eventualità? Era una ragazza, come tante. Una fan, ne più né meno. Che se la tenesse Ri, quella psicolabile che costruiva gli altarini in suo onore e glielo confidava con bambinesca allegria…

-Tu… Tu… Tu…-

E dopo quella chiamata, l’avrebbe davvero cancellata, che la sua utilità sarebbe stata solo quella. Del resto, della sua gentilezza, della sua isteria nevrotica che la rendeva un po’ più simpatica delle altre, non se ne faceva niente. Di lei, non se ne faceva niente…

Eppure c’era l’attesa snervante di udire la sua voce da cornacchia…

-Pronto?-

E quando la udì, si dimenticò per un istante del motivo per cui l’aveva chiamata.

 

******

 

Il telefono rovente fra le mani, cercando di capire se si trovasse in un sogno o in una splendida realtà…

-Oi, Fujii, sono io…-

L’orecchio bollente mentre si beava delle dolci parole di Ji Yong che si mescolavano nel suo cervello ora rintronato, quasi la portinaia di quel largo androne non riuscisse a mettere un po’ in ordine lo sfacelo che vi albergava.

E Ginko, pur cercando di trattenersi dal comportarsi da fangirl isterica, si ritrovò a sdraiarsi sul futon ancora adagiato a terra nonostante il sole del pomeriggio filtrasse da un po’ dalle piccole finestrelle, le gambe che si muovevano frenetiche per aria, e il suo squittio a riprova del fatto che, di fronte a tali melodiosi suoni, il suo cervello partisse per la tangente -OhMio- Ji Yong! OssantoCielo sto parlando al telefono con Ji Yong!- udì un respiro profondo e una minaccia in stile Se non la smetti, chiudo., che la costrinse a darsi un certo contegno –Qual buon vento ti po—

-Sì, sì, senti- grugnì in disapprovazione per essere stata bruscamente interrotta. Ma proprio mentre stava accarezzandosi le pieghe che la sua fronte corrugata aveva assunto, con labbra arricciate e sguardo furibondo rivolto al poster del ragazzo che svettava nella parete dietro sé, Ginko udì una frase capace di farle scorrere migliaia di brividi –Ho bisogno di te.- e che, nel profondo, fecero scattare un campanellino d’allarme.

-Sono tutta tua!- fu un’esaltazione durata un battito di ciglia, seguita dal suo mettersi seduta con velocità –Cioè, tutta orecchie! Sono tutta orecchie!-

Si coprì il volto con la manina ingioiellata, pastrugnandolo. Possibile che si comportasse sempre da perfetta cretina quando quel figo pazzesco si faceva vivo? E a questo rimprovero nei propri confronti, seguì un logicissimo dubbio che ancora non si era minimamente posto: perché Diavolo l’aveva chiamata? Chi diamine gli aveva dato il suo numero?

Domande lecite, certo, ma che finirono nella spazzatura quando udì nuovamente la sua voce strascicata, capace di trascinarla in un universo parallelo fatto di zucchero filato e tanti Ji Yong pronti a soddisfare qualsiasi sua richiesta -Devi aiutarmi con America.-

E che le ridussero il suo cuore in minuscole scaglie di vetro. Il ragazzo continuava a parlare, udiva benissimo la sua voce, ma per qualche strana ragione, il suo cervello non sembrava intenzionato ad assimilare il tutto. Nella mente confusa, un solo quesito, scalpitante e doloroso: cosa voleva, Kwon Ji Yong, da Lindsay?

Avvertì la gelosia premere contro il petto, mentre le lacrime premevano sui suoi occhi divenuti lucidi. E proprio come da bambina, si ritrovò ad arricciare le labbra nel vano tentativo di frenarle, giocherellano con un lembo delle coperte a fiori.

-Ah.- la sua voce uscì a scoppio ritardato, forse un po’ più secco di quanto avrebbe voluto.

A questo, seguì un secondo di silenzio, poi la voce divertita di Ji tornò a farle compagnia -Non in quel senso.-

-In che senso, scusa?-

-Lo sai benissimo di che senso parlo.-

-Beh, sì, nh, scordatelo!- si ritrovò a mormorare con stizza, avvertendo un peso a livello del cuore che raramente aveva provato. Di quelli che, da bambina saltellante all’asilo, l’avevano presa in contropiede quando si era ritrovata ad osservare il bambino che le piaceva mano nella mano con quella che, fino al giorno prima, era stata la sua migliore amichetta di giochi –Non ti aiuto.- decretò perentoria, circondando le ginocchia piegate con un braccio, appoggiandovi sopra il mento.

Volse il volto verso lo specchio posto sul muro, scorgendo la propria immagine; diamine, sembrava un’adolescente cretina e alle prese con il figo della scuola che le chiedeva di farlo fidanzare con la migliore amica! Cioè, e lei che credeva di aver passato quel periodo odioso della sua giovane vita… Ma a quanto pareva, era destino che i fighi le chiedessero una mano con le migliori amiche, le classiche belle ragazze che venivano guardate per la loro sinuosità innata. Lei invece era una barista dai corti capelli rossi che si aggirava fra i tavoli come un’ape impazzita e che, di sicuro, riscuoteva meno successo in campo maschile rispetto ad una Lindsay Moore. Per farla breve, si rese conto di come lei fosse una specie di casalinga disperata mentre Lin svettava in un calendario di Playboy nello studio del marito, ecco.

-Oh, mio— udì un verso strozzato provenire dall’altro capo del telefono, poi la sua risata gioviale, un suono così cristallino da sbaragliare per un istante la sua rabbia. Diamine, era decisamente uno spettacolo quel ragazzo; peccato non poterlo vedere in quel momento.

Si ridestò, un asciutto –Che c’è da ridere?!- pronunciato con sgarbo, mentre attendeva in desolante silenzio la sua condanna a morte.

-Fujii, mettiamo le cose in chiaro- GD sembrò riprendersi e con tono strascicato, aggiunse –Non me ne frega niente della Moore. La lascio a Top.-

-E allora cosa vuoi da lei?- si grattò la punta del naso schiacciato, non capendo nulla di ciò che stava accadendo. E non era perché la sua voce la trasportava lontano, almeno, non in quel frangente. Lei ce la stava mettendo tutta per capirlo, ma proprio non voleva rendersi più trasparente quel maledetto.

-Voglio che guardi il Go-Show. E qui entri in gioco tu.-

Ma questo è scemo…

-Il Go-Show?- storse il naso –E io cosa c’entro?!-

Un sospiro pesante giunse in risposta, poi la sua voce annoiata –Devi farglielo vedere. A quanto pare, lei non ci guarda. Ho bisogno che lei ci veda.-

Ma che razza di richiesta era?!

-Non vi guarda?-

-Già.-

-Ma perché deve guardarvi?- corrugò la fronte, il mal di testa cominciava a farsi sentire –E poi quand’è?-

-Il sedici.-

-Lavoriamo. Forse.-

-E’ giovedì. Voi non lavorate, giovedì.- staccò il telefono dall’orecchio e lo fissò con gli occhi ridotti a due puntini. Inquietante… Sapeva il calendario dei loro turni a memoria! Volse il volto al proprio calendario su cui, in rosso, svettavano le date di tutti i loro concerti e interviste. Sì, beh, anche lei non scherzava in quanto a stalkeraggio.

Sospirò -Sì, ma, perché?- solo allora si rese conto di quanto tutto quello non andasse, di quanto nella voce di Ji Yong ci fosse troppo trasporto –Che intenzioni hai?-

-Nulla di male.-

-Non vorrai mica-- si bloccò agitando una mano –Non farmi soffrire Lin! Ci ha già pensato il tuo amico!-

-Oh, Top le ha spezzato il cuore?- la sua voce le arrivò sarcastica, come un pugno sul volto –E io che credevo che quella non lo avesse nemmeno.-

-N-no, beh- portò le dita alle labbra; Lin era l’anti-sofferenza in persona, probabilmente il gesto di Top era paragonabile ad una tirata di capelli tra bambini dell’asilo che, impacciatamente, si dimostravano affetto –Non è che sta soffrendo. Cioè, non lo so.- Non sembra, ecco…

Perché, effettivamente, Lindsay non le dava l’idea di una che se la stesse passando così male. In quei mesi, l’unica volta che aveva nominato Top era stato per dirle che era uscita una canzone carina che si intitolava Top of the world. Nh, ok, rettificava, lui non c’entrava granché…

-Credimi, Fujii- la sua voce giunse civettante la portò col sedere sul futon –Dopo tutto questo, le cose cambieranno.- e dal modo in cui l’aveva pronunciato, sembrava quasi in procinto di chiudere la conversazione.

E Ginko, che si sentì quasi cullata in un sogno al pensiero di poter conversare con lui in maniera così normale, si ritrovò a domandargli un pacato –Ma lì, a voi, come sta andando?- a cui seguì silenzio, un silenzio che non riuscì a decifrare. Ma lui non aveva chiuso, perché poteva udire ancora suoni ovattati provenire dall’altra parte.

-Bene. Non male, ecco.-

Ginko sorrise di fronte alla sua risposta, segno che non le avrebbe chiuso il telefono in faccia. Rifocillata da ciò, si mise a gambe incrociate e continuò –E i concerti? Vanno bene?-

-Sì, certo.-

-E com’è il Giappone?-

-Ma cos’è, un terzo grado?-

Ridacchiò di fronte al suo scetticismo –Si chiama conversazione civile, Ji Yong! Non ne hai mai avuta una?-

Silenzio, poi il suo biascicante –No, da un po’- che le fece stringere il cuore in una morsa. A volte si dimenticava che dietro il suo essere leader si nascondeva un comune di ragazzo dalla capacità comunicativa dell’Enigmista di Batman. Comunque, Ginko schiuse le labbra, pronta a lasciarlo andare che le pareva un Pokemon stanco di starsene chiuso nella sua sfera, ma quando meno se lo aspettò, la voce di GD decisamente più pacata, tornò a bearle l’orecchio –E a te?-

-Ahm, sì, t-tutto bene.- biascicò incerta, coprendosi il volto rosso con una mano. Ah, proprio non ci sapeva fare con i ragazzi.

-Ri sarà contento- Perché, tu no?! –Credo che passeremo a trovarvi, tornati a casa. Certo, sempre che Seung-Hyun non decida di uccidersi.-

Rise a quell’eventualità. Poi si corrucciò, che solo le brutte persone ridono delle disgrazie altrui. Ad ogni modo, Ginko si fece bastare quello striminzito scambio di battute, già al settimo cielo per il semplice fatto che GD si fosse interessato alla sua salute fisica, giacché quella mentale era andata a farsi benedire –Senti, ma per l’intervista- tornò sull’argomento chiave –Sicuro che non succederà niente?-

-E chi lo sa?- storse il naso –Ma fidati. Un giorno, ci ringrazieranno- corrugò la fronte e aggrottò le sopracciglia, conscia di non aver capito niente di niente –Beh, ora devo andare.-

-B-buon lavoro, eh!- sollevò un braccio in aria –Fighting! Mi raccomando!-

Udì la sua risata svagata -Fujji- la chiamò piano e a lei parve che stesse sorridendo –Conto su di te.- poi il silenzio.

Si lasciò cadere sul futon, le braccia aperte e lo sguardo perso sul soffitto. Un sorriso spuntò. Non sapeva che diamine sarebbe successo quel sedici gennaio, ma per un istante non le importò. A GD non interessava Lindsay e questa certezza la rincuorò un poco.

Sghignazzò mentre stringeva il cuscino…

-Alla fine del video, il pistolero e il cactus si fidanzano.-

Il cactus stava avendo la meglio.

 

 

*****
 

 

Un buon odore di the alla pesca l’avvolse, mischiandosi a quello di the verde proveniente dalla sua tazza. La tv accesa le faceva da sottofondo mentre una Seoul in pieno movimento, fuori dalla finestra, la fece sentire nuovamente a casa.

-Ahia! Il mio mignolo!- e Ginko, con la sua solita bambinesca giovialità, l’aiutava a lasciarsi alle spalle NY e una Emily decisamente meno riconoscibile delle altre volte. Lasciarla sulla soglia di casa era stato quasi difficile, anche se non impossibile. Ma quando aveva udito il chiudersi della porta alle spalle prima di uno sfiancato Il taxi ti aspetta. Fai in fretta., beh, allora scendere le scale del palazzo non era poi stato così tremendo.

Scosse il capo quando vide Ginko saltellare su di un piede mentre enormi lacrimoni scendevano sulle sue guance. La barista l’aveva invitata a casa perché Ehi, mi devi raccontare tutto quello che hai fatto!, cosa che ovviamente le aveva fatto venire l’orticaria. Ma grazie al cielo, l’amica l’aveva fatta parlare poco o niente come suo solito, quindi per il momento, le domande scomode erano state evitate.

Guardò il salotto immerso nel buio.

Le parve di essere tornata mocciosa, quando andava a casa dell’amichetta di turno per i classici Sleepover che, all’età di tredici anni, aveva deciso di abbandonare che proprio di parlare di ragazzi non aveva voglia.

E ora, all’età di ventidue anni suonati, si ritrovava seduta a gambe incrociate su di un cuscino bordeaux, dietro un basso tavolino su cui svettavano sacchetti di patatine, ciotole colme di biscotti, bottiglie di Coca Cola e pile di cartacce, già con indosso la felpa dei Rolling Stones rubata a uno che aveva frequentato, che fungeva da pigiama. Alle dieci di sera. Quando il mondo là fuori si stava svegliando…

-OhMamma è tardi! È tardi! Ora inizia!-

Con l’immagine raccapricciante di una Ginko in fermento che, bigodini in testa e zampettante sui talloni per non rovinare lo smalto sulle unghie e ancora con il mignolo urlante per lo scontro ravvicinato con un comodino bastardo, si tuffò in picchiata di fianco a lei.

-Spiegami ancora cosa ci faccio qui.- sbottò mentre quella faceva zapping, il volto interamente concentrato nella ricerca del canale giusto.

-Sei qui per vedere la tele e dormire!- trillò seria, quasi non avesse colto l’ironia della sua voce.

Lin morsicò l’interno delle guance mentre andava a massaggiare le tempie –Lo so. Ma non dovremmo guardare un film?-

Ginko le rivolse uno sguardo allucinato, nemmeno avesse detto una blasfemia –Con i Big Bang in tele?!- agitò il telecomando –Blasfema!- Appunto.

-Ma non mi va di vederli.-

-Casa mia, programmi miei- sciorinò spiccia, facendola sonoramente sbuffare mentre guardava il soffitto –Oh, eccoli!- trillò felice, battendo le mani prima di indicare la tele –Ma quanto è figo GD?!-

E Lin, mezzo sorriso sul volto, tornò a guardare la tele. E, forse, sarebbe stato meglio se non lo avesse fatto.

 

-Oh, mamma— l’intervistatrice si avvicinò –Certo che si proprio bello dal vivo, Top!-

 

L’immagine di Seung-Hyun la destabilizzò per un istante, lasciandola con la tazza di the a mezz’aria e l’espressione di pura confusione sul viso. Assottigliò gli occhi prima di esalare un incerto –Oh, no- che venne captato da Ginko come chissà quale criptico messaggio d’amore. Perché aveva sventolato le mani mentre tratteneva il respiro, attendendo un seguito che tardava ad arrivare –Si è fatto moro.-

Ginko la guardò corrucciata –Non ti piace?-

-Nh, ora come potrò prenderlo per il culo?- il tonfo sordo della fronte di Ginko che sbatté sul tavolo, non la fermò dal procedere con la propria, logica spiegazione –Non prendi per il culo un che ha i capelli del tuo stesso colore.-

-Non dovevi prenderlo in giro nemmeno prima!-

-Ma aveva i capelli turchesi- Ginko le fece la linguaccia, decantando le innate qualità del ragazzo che, subito dopo, vennero sommerse dalla miriadi di difetti che era riuscita a tirare fuori dal cilindro di cazzate senza che lei nemmeno avesse proferito parola. E un po’ si sentì intenerita dal senso di protezione che le parole veloci di Ginko le stavano donando. Come due bambine di cinque anni che insultano il bambino carino che ha rifiutato una loro avance -Però non gli stanno male, così.- mormorò assorta, lo sguardo rivolto alla tele. E perso completamente sul suo primo piano del rapper.

Erano passati due mesi, eppure le parve un’infinità di tempo dacché i suoi occhi avevano avuto il piacere di posarsi sulla mascolinità del suo viso, accentuata ora dai capelli di un colore nero chiaro che gli conferivano un’aria più matura, meno adolescenziale di quel menta che, ammise a sé stessa, le sarebbe mancato. Gli occhi scuri taglienti si scontrarono per una frazione di secondo con la telecamera e a lei parve di venir perforata da parte a parte, riconoscendovi quello stesso sguardo che le aveva lanciato prima di lasciarla uscire dalla sua macchina.

-Non ti è mancato?- la voce assorta di Ginko, viso rivolto alla tele, un barlume di sorriso ogni volta che la telecamera inquadrava JiYongLoStronzo, la riportò col sedere sul cuscino.

-Nah.-

-Come Nah?!-

Indicò con il pollice la finestra dietro sé –Seoul è tappezzata di sue foto.- come poteva mancarle qualcuno che, per cause avverse, continuava a tener viva la propria presenza? Che poi, non è che da quei cartelloni pubblicitari spiccasse la sua essenza eh, non era così psicopatica, ma in qualche modo era come averlo sempre alle calcagna. Inquietante, ora che ci pensava.

-Ma non è la stessa cosa!- berciò l’altra, mugugnando quanto poco romantica fosse –Però sono vestiti bene.-

-Il loro sarto chi è: il Joker di Batman?-

-Perfida! Sono solo eccentrici, tutto qua!-

-Sì, certo.- no, dai, quelle giacche sgargianti erano un pugno per i suoi occhi pesanti e stanchi.

Lin, alla fine, decise di ammutolirsi e crogiolarsi nella noia, che tanto quella psicopatica di Ginko continuava a zittirla con gesti secchi, arrivando anche a darle manate sul braccio pur di udire la sola voce dei suoi amati aleggiare nell’aria.

E Lin, in tutta quella matassa di idiozia, si chiese cosa diamine ci facesse nella gabbia di una fangirl in preda ad una crisi di astinenza da Big Bang. Perché quella Ginko che si dimenava come una forsennata la stava parecchio spaventando, quando cantava le canzoni in sottofondo sembrava una psicolabile fuggita dal manicomio e quegli urletti striduli che lanciava quando Ji Yong si esprimeva in tutta la sua cretineria, le stavano perforando le orecchie. Oltre che al cervello, eh.

 

-Oh, quindi nessuno di voi ha la ragazza?-

Un coro di –No.- si levò tra le fila dei Big Bang.

 

Ginko esultò a quella notizia. Lin imprecò. Ma che palle! Queste interviste erano tutte uguali.

Ma ci fu un momento, più o meno a metà intervista, in cui l’atmosfera nello studio cambiò e, volente o nolente, lei stessa si ritrovò ad ascoltare partecipe il mucchio di assurdità che l’intervistatrice andava sparando…

 

-Hyung, non si dicono le bugie.- e la voce di Ji Yong, melliflua e delusa, che sovrastò il chiacchiericcio in sala.

-Ji Yong!- starnazzò Dae, perforandolo con lo sguardo mezzo chiuso.

-Ma che vai dicendo?!- Seung-Hyun lo fissò arcigno –Non c’è nessuna!-

 

L’intervistatrice prese la palla al balzo; non paga di aver torturato un povero Taeyang riverso sulla sedia per la sua situazione cronica da single, volse lo sguardo colmo di curiosità in direzione di un Seung-Hyun conficcato sulla sedia, come se avesse captato il pericolo imminente.

 

-Oh, quindi Top- si sporse dalla scrivania dietro la quale era seduta, insieme ad altri comici. -C’è qualcuna che ti piace?- gli occhi scuri di Seung-Hyun si  allargarono, segno che un tasto dolente era appena stato premuto.

 

Ma davvero quella si aspettava una risposta da parte sua? Come se un idol andasse a spifferare i fatti propri con nonchalance. Nessuno sano di mente avrebbe mai dato voce ad una domanda così stupida…


 

-Certo che c’è!-


 

Ah, già, dimenticava che c’era Ri, lì in mezzo.

A quell’intervento urlato mentre balzava sulla poltrona rossa, ricevendo l’occhiata bieca di un Top che, oltre lo schermo, le sembrava un Pikachu nelle mani del Team Rocket, Ginko squittì –Sta parlando di te!-

-Ma per favore.-

-Oh, non essere cieca!-

-Disse Ray Charles.-

-Questa era pessima- agitò l’indice –E poi lo sai benissimo che sta parlando di te!-

-Ma non lo odiavi?- arcuò un sopracciglio.

Ginko balbettò, poi sventolò le mani –Tu non capisci niente!-

Lin per tutta risposta guardò il soffitto, pregando che un'astronave aliena decidesse di passare là e trascinarla via, magari dicendole Il nostro pianeta ha bisogno di te!, ma gli alieni erano come l’amore: non esistevano. E mentre lasciava che Ginko insultasse un Seung-Hyun visibilmente desideroso di andarsene, Lin appiattì la schiena contro il divano. Come disilludere la sua amica spiegandole che, in quei due mesi, il ragazzo aveva sicuramente avuto tante ragazze proprio come lei aveva avuto un mucchio di prestanti giovani? La guardò di sottecchi; no, non glielo avrebbe confessato. Sarebbe morta sul colpo.

-OhMioDioJiYongMaQuantoSeiBello? Oh, respira Ginko, respira!- sempre che lo sguardo suadente di Ji Yong oltre lo schermo non l’avesse accoppata prima, ovvio –Tu non lo trovi stupendo?!- un paio di occhi brillanti la abbagliarono e Lin, che ci teneva alla propria sanità mentale, si alzò in piedi.

-Sì, come un Picasso.-

-Tu hai il gusto dell’orrido!- rimbrottò asciutta, lasciando che un sospiro trasognato si spargesse nella stanza scarsamente illuminata. Lin scosse la nuca, divertita dalla sua isteria dilagante quando si trattava di quel debosciato. Ginko le sembrò Minji, mentre la scrutava appoggiata alla dispensa, la tazza nuovamente riempita di the caldo fra le mani gelide. Ricordava ancora che, appena rincasata da New York, la bambina le si era aggrappata alle gambe e, trascinandola a vedere la Bella e la Bestia in salotto, le aveva raccontato di un certo Kim Jin che le aveva sollevato la gonna della divisa. Bah…

 

SeungRi dice che qualcuna ti sta facendo perdere la testa!- la commentatrice gli lanciò un’occhiata curiosa mentre il pubblico si lasciava andare a grida di sconforto
 
 

Lindsay sbuffò al suono di -Lui vede solo Lindsay!- cavallo di battaglia della Fujii.
 

-Non c’è nessuna.- si limitò a biascicare il ragazzo, deglutendo mentre la giornalista scuoteva la nuca.

-Solitamente reciti meglio- gli strappò una risata –Andiamo, chi è la fortunata? Puoi non dirci il nome, ma almeno un indizio puoi darcelo!-

Seung-Hyun sembrava a disagio, stringeva le labbra e cercava di sfuggire allo sguardo incuriosito e attento dell’intervistatrice. Dopo qualche secondo e qualche pacca sulla spalla da parte di un divertito GD, il ragazzo si decise a parlare –E’ solo un’amica.-

-Allora c’è qualcuna!- saltò l’uomo di fianco a lei mentre le urla di sconforto aumentavano.

 

Lin rivolse un’occhiata esasperata quando vide Ginko trinciarla con la forza del proprio sguardo nascosto dalle lenti spesse degli occhiali.
 

-Sì, ma è un’amica. Niente di più.-

La donna lo ignorò -Oh, e dove l’hai conosciuta?-

-In giro.-

-In giro?-

 

Lin buttò la testa all’indietro, lo sguardo rivolto al soffitto con sottofondo il chiacchiericcio del pubblico, i gracidii di Ginko e i propri pensieri, turbinanti. Chissà che sembianze aveva questa fantomatica ragazza che stava rendendo Seung-Hyun carne da macello. Probabilmente era una strafiga in stile Park Bom, la classica bambolina fragile che rapiva il cuore dei malcapitati; o magari era una ragazza dell’alta società che ben si accostava ai suoi modi fini e gentili. O magari era una matura donna d’affari che lo aveva scelto come valvola di sfogo per sfuggire ad un matrimonio che non l’appagava più come quando aveva vent’anni e credeva che nella sua vita contasse solo quello.
 

-Non è nessuna di importante.-

-Non dire che non è importante!- lo rimproverò Dae. -Ci hai detto tu che ti piace!-

Si voltò, allucinato -Ma vi siete messi d’accordo?!-
 

Qualsiasi fosse stata, doveva essere davvero speciale per essere riuscita ad accalappiarsi le attenzioni di un idol del suo calibro. Di sicuro, il loro incontro non sarebbe sicuramente avvenuto con lanci di Coca Cola in un locale dove le ballerine indossavano abiti di dubbio gusto; probabilmente aveva partecipato a qualche festa di gala e ne era rimasto fulminato. Sorrise. Un problema in meno le stava facendo Ciao ciao con la manina: se Seung-Hyun si trovava una brava ragazza, non avrebbero mai dovuto parlare del loro bacio.

 

-Oh, quindi ti piace!- la donna sventolò una mano, interrompendo un Seung-Hyun che farfugliò un arrendevole Sì, ma--, prima di sporgersi ancora –E dove l'hai conosciuta?!-

-Ma l’ho detto. L’ho conosciuta in giro.-
 

Magari si sarebbe presentato al Tribeca con il braccio sulla vita di questa ragazza, presentandogliela con un ampio sorriso colmo di felicità. Lei gli avrebbe solamente detto di aver sopperito la propria attrazione per lui nel letto di un mucchio di ragazzi, a NY. Anzi, no, non glielo avrebbe detto. Sarebbe parsa una scema che lo aveva pensato notte e giorno quando, a ben vedere, lui era stato un pensiero fra tanti. Solo un pensiero, né più né meno.


 

-E non puoi dirci dove?- insistette la donna, alimentando la curiosità delle fan.

Top si ammutolì, scuotendo la nuca.


 

Quindi, tutto si sarebbe dovuto concludere in siffatta maniera. Che calasse il sipario sul suo volto mascolino, che le telecamere si spostassero su altri membri del gruppo. Che calasse il sipario su loro due, che erano stati un bruttissimo film di serie Z, senza alcunché di interessante da raccontare, non più …

 

-Lei ballava sui tavoli!-

 

O, forse, di cose da dire ce n’erano ancora, visto che Ri aveva appena dato il via alla scena madre.

Crack!

Qualcosa doveva essersi spezzato nel suo cervello, qualche filo conduttore che le permettesse di pensare e ragionare…

-Ah, la mia tazza!-

O forse era la tazza di Ginko che le era scappata dalle mani.

Ma che cazzo…?

-Lin, non stai bene?- la ragazzina la guardò preoccupata, poi si lasciò catturare dalle urla in sala.

 

Dae agitò l’indice –E lanciava Coca Cola.-

-E i libri.- soggiunse Tae, giusto per uscire dal coma in cui era caduto.

La voce di Ji Yong, divertita -Non c’è nulla di più romantico che ricevere Guerra e Pace sul naso.-

-Era Harry Potter!- berciò Seung-Hyun, coprendosi poi il volto con le mani mentre i ragazzi sorridevano estasiati.


 

L’urlo di stupore e prolungato di Ginko le perforò il cervello. Le parole di SeungRi, Dae e Tae le squarciarono il petto. E quelle di Ji Yong servirono solo a darle il colpo di grazia. E lo sguardo di sconforto che Top lanciò alla telecamera prima che calasse il sipario, le fece perdere un battito di troppo.

-Ma sei tu! Lin sei tu! Gli piaci! OhMioDio gli piaci!- Ginko saltò -Tu piaci a Top! Non è fantastico?!-

-Cazzo, no.- si lasciò sfuggire amara, stropicciandosi il volto.


 

E lei che credeva che il sipario sarebbe calato anche su loro due.

 

 

 

 

A Vip’s corner (la vendetta):

First pseudo sex scene badly written (ma veramente badly) … Dribblata agilmente ♥

Non mi dilungo sul sogno di Seung-Hyun. Fa schifo, punto. Ora andiamo avanti :D

Ooooh, ultimo capitolo imbuto… Complete! Ho cercato di renderlo il meno noioso possibile, spero di esserci riuscita. E parlando di questo capitolo… Sono commossa, sapete? Cioè, questa frase: -Lei ballava sui tavoli!-, è stata la prima in assoluto che ho abbozzato quando ho cominciato a scrivere questa long. Sapevo che doveva dirla SeungRi, che doveva dirla in un’intervista e che dall’altra parte un’anonima doveva riceverla. E sapevo che doveva dare il vero via a tutto.

Quindi, in breve, ringraziamo il nostro maknae. Senza di lui, Something non sarebbe mai nata

A tal proposito, l’intervista ho preferito scriverla con un font diverso perché altrimenti veniva fuori un macello. Non che così sia migliore, ma spero di aver reso l’idea :)

Non mi dilungo oltre che già l’inizio è stato bello pesante xD Spero solo di non avervi disilluse o peggio, fatto venire in testa strane idee :/ Vi lascio però con una bella notizia (no, non riesco a focalizzarmi su di un punto solo -.-): la lontananza è finita e al prossimo si rincontrano ♥ Magari non ve ne frega niente, ma a me rende felice il pensiero che questo branco di scemi si riveda *-*

Vi lascio ai miei ringraziamenti, segno che questa torturante logorrea sta per concludersi: a Fran_Hatake, Myuzu, hottina, Mion_GD, YB_Moon, Appler_Girl, lallinachan e Yuna_and_Tidus va il mio amore smisurato ♥ You make my days, sappiatelo ♥ Perché potreste leggere e poi premere sulla X rossa. Invece mi dite sempre cosa ne pensate *-*

Ringrazio di cuore chi ha inserito la storia fra le seguite/ricordate/preferite e chi legge in silenzio; mi rendete felici anche solo aprendo la pagina del capitolo ♥

Alla prossima (perdonate eventuali orrori grammaticali e lo schifo di capitolo ^^)!

Heaven.
 

P.S.: *Zona Contaminata della Capitale: OhMioDio ho citato Fallout 3! Che gioco pazzesco ♥ (Sì, la vostra Heaven gioca con gli spara-spara D:)

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Capitolo 18
*** I will break your heart ***


Capitolo 18

I will break your heart

 

I’ve been biding my days

 You see, evidently it pays

 I've been a friend with unbiased views

 Then secretly lust after you”

-Secretly, Skunk Anansie-

 

 

 

Era chiuso in camera sua da ore; anzi, magari erano addirittura cambiate le stagioni o gli alieni avevano invaso Seoul radendola al suolo, chi avrebbe potuto dirlo? Ad essere sinceri, comunque, non è che in quel momento a Choi Sung-Hyun, probabilmente costretto a rivestire i panni di un Will Smith coreano in un improbabile Io sono Leggenda, importasse poi granché della sua patria natia e degli alieni che la conquistavano. O degli zombie che l’avevano ridotta ad un cumulo di macerie e cervella spappolate.

A dir la verità, non gliene fregava un cacchio di niente di tutto.

Perché se ne stava lì sul letto a fissare il soffitto nella stanza buia, il cappuccio della tuta nera sollevato e l’Mp3 accesso, anche se la musica non riusciva ad ascoltarla, apparendo come un rapper che ha appena scontato anni di galera per furto d’auto. Era troppo teso, troppo preso da un turbinio di pensieri scomodi che continuavano ad arrovellargli il cervello, a mandarlo in confusione…

 

-Lei ballava sui tavoli!- la bocca larga di Ri.

E lanciava Coca Cola.- l’intromissione di Dae.

-E i libri.- la scemenza fulminante di Tae.

-Non c’è nulla di più romantico che ricevere Guerra e Pace sul naso.- la bastardaggine di GD.

 

E poi, la propria abissale coglionaggine…

-Era Harry Potter!-

 

Diamine, ma si poteva essere più coglioni? Se solo gli tornava in mente la spiacevole intervista, sarebbe corso a massacrare di botte Seungri e la sua boccaccia larga. Per non parlare di GD che, da come se l’era sghignazzata per tutto il tempo, probabilmente era l’artefice di quel drammatico teatrino.

Che amici del cazzo…

L’unica speranza che gli rimaneva, giacché non confidava più nel genere umano, era che Lin non avesse guardato l’intervista.

-Hyung, sei vivo?- la voce di GD sovrastò il silenzio delle cuffie, mentre il sistema random sceglieva un’altra canzone deprimente da propinargli -Oi, hai intenzione di piantare le radici o ci degni della tua presenza?- ironico, GD interruppe il flusso dei suoi pensieri. Sventolò una mano, facendogli segno di andarsene, ma dalla luce fioca che continuava ad alluminare la stanza, comprese che l’amico era ancora sulla soglia.

-Lasciami morire.-

-Addirittura?- la sua risata cristallina fu un vero e proprio calcio nelle palle, ma evitò di tirargli contro la tazza di caffè ormai vuota che gli aveva tenuto compagnia per tutto quel tempo.

-O potete morire voi.- a quel punto, udì la porta chiudersi con gentilezza mentre la luce della stanza invadeva il suo mondo nero petrolio. Gli sembrava di essere appena precipitato in un baratro senza fine; una fine che probabilmente avrebbe visto solo con la macabra scoperta che Lindsay aveva guardato il Go-Show e che no, di lui non gliene fregava un’emerita cippa.

Così, immerso in quel silenzio che sembrava inscalfibile, Seung-Hyun attese la propria condanna, anche se quel boia di GD sembrava intenzionato a non lasciarlo passare a miglior vita tanto presto. Anzi, quando sollevò lo sguardo, puntandolo sul suo volto adombrato, gli parve addirittura rammaricato. Ma forse era solo un’allucinazione dovuta alla mancanza di cibo nel corpo, dato che da un po’ mangiava come avrebbe dovuto. Si lasciò nuovamente ricadere sul letto morbido, dando libero sfogo ai propri perché –Che ci fai qui?- nessuna risposta –Non ho voglia di parlare.-

-Per me ti fai troppi problemi.- ancora una volta, con sua somma disgrazia, Ji Yong aveva compreso appieno la causa principale del suo malumore e senza dilungarsi in futili spiegazioni, gli aveva concesso il proprio punto di vista.

Top scoccò la lingua mentre toglieva le cuffie –Certo. Ricordami di sputtanarti in diretta nazionale, la prossima volta.-

GD ghignò –Sputtanare… Non è da te usare certe espressioni colorite- avvertì un tonfo sordo e poi la risata leggera dell’amico; il cuscino appena scagliatogli contro non doveva aver colpito il bersaglio –Ehi, comunque io ero serio. Ti fai troppi problemi. Magari America non ha nemmeno visto l’intervista- considerò con tedio, buttandosi sulla poltrona colma di vestiti sgualciti. Si stropicciò gli occhi e si mise seduto –Lo hai detto tu, no? Lei non ci guarda.-

Già, era vero, lei non guardava le loro interviste. Ma c’era pur sempre quel temibile 1% di probabilità che lo avesse fatto, e allora tanti cari saluti alla loro pseudo amicizia. O, beh, quella che era parsa tale per un po’ di tempo.

Sospirò –E se ci avesse visti?-

-Meglio per te- meglio per me un paio di palle! –Non dovrai confessarle nulla.-

-Come se quello fosse il problema.-

-E allora cosa c’è?- domandò annoiato, massaggiandosi la fronte con due dita.

Seung-Hyun si mise a sedere, seriamente scombussolato dal roseo punto di vista di Ji Yong che non capiva la gravità della situazione in cui versava. Ma che voleva saperne, lui? A lui bastava scoccare le dita e subito le tipe correvano a frotte, senza che dovesse barcamenarsi in confessioni scomode e che lo avrebbero messo alla berlina. Lui, invece, si ritrovava a dover fare i conti con una specie di Rei Ayanami dai capelli lunghi neri che, probabilmente, gli avrebbe chiuso per sempre le porte in faccia. E non perché Lindsay fosse una qualche sorta di timorata che OhMioDioGliPiaccioEAdessoCosaFaccio?, no; semplicemente, ora sarebbe stata spinta a credere che lui, da lei, volesse più di una semplice palpatina sotto le lenzuola. Che poi era vero. Ma, ecco, avrebbe preferito dirglielo dopo essersi scusato per il bacio, non durante uno stupido gioco al massacro circondato da scimmioni insensibili.

-C’è che ho rovinato tutto- mormorò assorto, sincero, convinto del proprio logico ragionamento. Ma la risata di Ji Yong fu come un pugno in pieno petto. Top, raschiato dalla derisione della sua voce cristallina che stava permeando ogni anfratto della stanza, lo guardò di sbieco –Che hai da ridere?!-

-Cielo, Hyung, sei davvero spassoso- occhi lucidi e luminosi, un sorriso di pura gioia che andava da parte a parte, Ji Yong modulò la voce –Come puoi aver rovinato tutto se ancora non c’è stato niente?-

Si immobilizzò, incredulo di fronte alle parole di Ji Yong scaraventategli contro come pietre, che ebbero il potere di mandare in completo tilt il suo cervello, intenzionato a non partorire un pensiero logico. O qualche frase sferzante da rivolgergli.

Perché pur nella sua sgarbatezza, Ji Yong aveva dannatamente ragione: non c’era stato nulla tra loro, quindi lui non aveva rovinato niente con quella sua implicita dichiarazione. Ma un tarlo opprimente restava, rosicchiando quel poco di lucidità che gli era rimasta e senza voltarsi, si limitò ad obiettare alla sua constatazione, quasi volesse restare ancorato a quel poco che gli era rimasto –C’è stato un bacio.- quel poco che era riuscito a strapparle.

-Ma hai detto che è stato solo un bacio- calcò su quel solo, quasi volesse punzecchiare il suo senso di colpa che tornò a fargli visita –Sicuramente, non ti avrà preso sul serio- la voce di Ji Yong si fece più cupa, mentre fissava gli abiti smessi a terra –Come può averti preso sul serio, se tu per primo non gliene hai lasciato il tempo?-

Mangiucchiò le sue parole, mandandole giù come pillole amare –Quindi per lei non è significato nulla.-

Alzò le spalle –Forse sì, forse no.-

Lo guardò accigliato; a volte era talmente criptico che avrebbe voluto spaccargli il cranio e leggere cosa ci fosse scritto sulla lavagna della sua mente –E come faccio a capirlo?- lui voleva solo uscirne, voleva tornare a respirare.

-Vai da lei e le parli.-

Azzardò un lancio di cuscino, ma optò per uno scazzato -Come se fosse facile.- allungando le gambe sulle lenzuola spiegazzate.

-Ma è facile- constatò con pacatezza l’amico, recuperando una bandana bianca e nera, giocherellandoci -Tu non immagini nemmeno quanto ti abbiamo reso la vita più facile.-

-No, non è facile, non lo è affatto!- si appiattì contro lo schienale del letto, guardò il soffitto e si mise a braccia conserte –E’ solo—

-Spaventoso- avrebbe dovuto smetterla di stupirsi delle capacità analitiche di GD; avrebbe potuto rispondergli con un banale Difficile, giusto per prenderlo per il culo e farlo crogiolare ancora di più nel proprio nervosismo, invece aveva colto benissimo il suo stato d’animo e senza remora alcuna, lo aveva proferito con assoluta tranquillità, quasi fosse ovvio –E’ così, quando ti piace qualcuna- si fece attento, stranito dalla placidità con cui Ji Yong era entrato in camera, apparentemente non intenzionato a torturarlo psicologicamente –Tutto ti sembra spaventoso, se riguarda lei, insormontabile. Parlare con lei diventa un gioco a premi e se azzecchi la parola giusta, allora hai diritto ad un bacio, al suo corpo, anche solo alla sua risata- aggrottò le sopracciglia –E prima che tu possa rilassarti, ti rendi conto che la vera difficoltà comincia quando ci sei dentro, non all’inizio.-

Gli lanciò un’occhiata confusa –A me l’inizio non sembra semplice.- buttò lì con incertezza, cercando di non fargli comprendere quanto poco avesse carpito del suo discorso. Quello non stava bene.

Ji Yong roteò gli occhi –Tu non sei più all’inizio, Hyung- lo guardò con serietà, l’angolo destro delle labbra guizzò all’insù –Tu sei già nel centro del ciclone- si alzò in piedi, lisciandosi i pantaloni della tuta –Niente dichiarazioni imbarazzanti, niente confessioni scomode- rise un poco –Pensa a quanto poco lavoro hai da fare, ora- Top posò i piedi a terra, lasciando che il freddo del pavimento ibernasse ogni sua paturnia, ogni briciolo di timore che si era incrostato al suo cuore che, piano piano, stava ritornando a pulsare. Se fosse stato come GD, a quest'ora avrebbe avuto meno problemi. A volte invidiava questa sua naturalezza -Ti prego, ora alzati e vieni di là a mangiare- indicò la cucina con il pollice –C’è il maknae che sta tentando il suicidio con il ramen.-

La sua voce ricolma di tedio gli strappò una risata rauca che da tempo non udiva, facendogli addirittura bruciare la gola –Ji Yong- lo chiamò, pacato –Grazie.-

-Di cosa?- corrugò la fronte, guardandolo dall’alto della propria indifferenza.

-Per non avermi preso a calci questi due mesi.-

Sorrise un poco –Oh, fidati, sei stato piuttosto divertente.-

E tu sei il solito stronzo.

Gli rivolse un’occhiata rassegnata, cercando poi con lo sguardo le ciabatte sommerse in chissà quale ammasso di vestiti. Ricerca che divenne infruttuosa quando la testa di Ji Yong fece di nuovo capolino nella sua stanza, un ghigno diabolico a creare due tremende fossette sulle guance –A proposito, dimenticavo la cosa più importante- il sorriso si ampliò e lui capì di essere giunto al capolinea –Domani sera andiamo al Tribeca. Fatti bello, mi raccomando.-

-Ma non potevi dirmelo prima?!-

-E perdermi la tua espressione di sconforto?- gli scaraventò contro il cuscino, in preda ad un raptus di nervosismo che andò a fargli traballare l’occhio destro e prima che potesse anche solo pensare di inseguirlo per tutto l’appartamento, le parole di Ji Yong lo tennero con il sedere ben piantato sul letto –Preparati, Top- e si fossilizzarono nella sua mente –I giochi incominciano ora.-

 

****
 

Assurdo.

Totalmente e completamente assurdo.

Doveva essere finita in una pessima scena di qualche Harmony orribile, di quelli che si relegano nel fondo della libreria per non essere mai più riaperti, tanto fanno schifo. Perché quando si era ritrovata a casa di Ginko, con sguardo scazzato rivolto alla tele, le era parso di assistere ad un B-Movie tremendo, ma di quelli che proprio ti veniva voglia di prendere il dvd e buttarlo dal finestrino con l’auto in corsa.

E l’apoteosi del non-sense era scaturita da un belare assordante di un branco di idioti vestiti da Michael Jackson.

Ma più delle loro parole paralizzanti, più del loro sbatterle in faccia quanto poco avesse capito di Choi Seung-Hyun, furono le parole di una Ginko a festa a risuonare come uno schiaffo ben assestato al suo vacillante credo, in grado di farle comprendere come quel teatrino malmesso e nauseabondo altro non era stata che una parentesi da dimenticare della sua vita. Una parentesi tonda, ad essere più precisi, che solitamente covavano al loro interno cose che si davano per scontato. Perché lei, in quel marasma confusionario, aveva dato per scontato che Top avesse finalmente trovato una brava ragazza che fosse in grado di stargli affianco.

-Lei ballava sui tavoli!-


 

Ma che quella ragazza fosse effettivamente lei, non ci aveva nemmeno lontanamente pensato.

-Qualcosa non va?- la voce di Chyoko la riportò con le pantofole per terra, facendo scivolare di dosso l’ansia che l’aveva pervasa da quando aveva scoperto di essere il sogno proibito di una star.

-Sono solo stanca.- rigirò il cucchiaio nella tazza di cereali che le aveva amorevolmente fatto trovare sul bancone della cucina. Si sentì una scema a pensare una squisitezza del genere, ma per un istante il latte di casa Moore le parve più dolce di quello newyorkese di Emily.

Chyo storse il naso, creando minuscole rughette che lo circondarono; Lin ingoiò il boccone, conscia che una lunga chiacchierata cuore a cuore sarebbe presto cominciata –Non è successo nulla, vero?- fece scorrere il dito sul libro di ricette, quasi volesse risultare distante in quella conversazione –Da quando sei tornata, sembri parecchio giù.- ma poi le mostrò un paio di occhi scuri contornati da leggere occhiaie, timorosi e vividi, e comprese quanto davvero fosse preoccupata per la sua sciocca uggiosità.

Ti è mai capitato di essere sommersa da milioni di problemi in un colpo solo?, avrebbe voluto domandarle, speranzosa che al suo quesito fosse seguita una spiegazione logica e che potesse aiutarla ad uscire dal tunnel di cazzate che la propria mente continuava a far poppare fuori. Ma Lin era ben consapevole che, tale domanda, avrebbe portato a scomode questioni lasciate in sospeso e che lei, sobbarcata da tutte quelle strane emozioni che non la facevano respirare, proprio non voleva affrontare. Così la guardò, un barlume di sorriso sul volto pallido e dal trucco della sera prima colato, e mormorò un incolore –Non è successo nulla.- che per una frazione di secondo portò con sé il silenzio.

Ma fu solo un’altra, sciocca parentesi per riprendere fiato –C’entra l’università?-

Lin arricciò le labbra –Figurati.- quello era proprio il minore dei mali. Aveva fatto la sua inutile visita privata alla Columbia University braccata da uno sfigatello con bretelle e occhiali da nerd e una volta terminata quella tortura, aveva consegnato tutti i moduli in segreteria. Ora non le restava che attendere, ma decisamente, non è che gliene fregasse poi più di tanto in quella fredda mattinata di fine gennaio. Ci avrebbe pensato quando le grida isteriche di Emily l’avrebbero raggiunta perché, ehi, non era stata ammessa alla prima sessione di esami.

-C’entra Emily?-

Per una volta, no.

Lin strabuzzò gli occhi, scuotendo poi la nuca, sorpresa da tale miracoloso evento. Per una volta, Emily era passata in secondo piano. Nella mente volteggiava ancora l’immagine destabilizzante di sua madre rivestita di puro granito, fredda nella sua proverbiale impassibilità, scalfita da un amore che stava scomparendo lentamente. E fu strano, per Lindsay, ritrovarsi a pensare che forse quel coglione di Bryan qualche cosa di buono l’aveva fatta, con la sua inutile entrata in scena. Perché, era vero, era arrivato senza preavviso a rendere la sua vita schifosa un cincinnino peggio, ma almeno le porte avevano smesso di sbattere e Bonnie Tyler non aveva più ammorbato le pareti di casa. Fino a quel giovedì sera.

A quel punto, come ogni donna nelle vesti di madre dell’anno che si rispetti, Chyoko pose la fatidica domanda, quella che viene sempre pronunciata perché solitamente, sì, è un problema –C’entra qualche ragazzo?- ma che per lei suonò come nuova, pesante.

Da che ricordasse, nessuno le aveva mai chiesto una cretinata del genere, giacché si era sempre dato per scontato che un ragazzo non potesse mai intaccare la sua vita di libertà e cinismo. Decisa a non legarsi, quale uomo sarebbe stato capace di lasciare graffi così profondi da alimentare i suoi pensieri sconnessi?

Eppure qualcuno c’era stato. Che era buono, gentile, che aveva ottenuto quello che voleva e se n’era andato. E che l’aveva sorpresa, senza fare nulla, dacché i suoi amici scemi avevano fatto esplodere la miccia. Ribaltando ogni sua convinzione. Aveva pensato che tutto si sarebbe concluso così, come con gli altri. Un bacio e parole sparatele contro, quasi a voler eliminare ciò che era successo, e poi ognuno per la propria strada. Lei avrebbe continuato a servire i tavoli di un locale con coreografie al limite di un film porno; lui avrebbe fatto svenire miliardi di ragazzine esultanti senza nemmeno doversi spogliare, lasciando che la sensualità trasparisse dalla sua voce cavernosa e dai suoi occhi affilati come lame. Lui avrebbe trovato una ragazza dai modi eleganti ed educati, capace di dargli una famiglia; lei avrebbe continuato a saziarsi con i mille e più ragazzi che ancora le scrivevano qualche messaggio.

Sarebbe stato tutto perfetto. Se non che…

-Pensavo di non interessargli- il che era cosa buona e giusta, convenne con sé mentre udiva la propria voce sovrastare il telegiornale del mattino –Poi ho scoperto di piacergli.-

Non l’avesse mai detto.

Chyoko, probabilmente assalita da Ginkoite acuta, si ritrovò a lasciar perdere la ricetta e fissarla con entusiasmo straripante –Oh cielo, Lin! Ma è fantastico!-

Fantastico un paio di palle!

-E’ terribile, invece.- arcuò un sopracciglio, frastornata da questa gioia immotivata.

-Oh, suvvia, non essere tragica!- tragica? –Avanti! Di chi si tratta?- Tragica?!

Lei non era tragica, non lo era affatto! Lei era solo incapace di gestire tale eventualità, ovvero che Seung-Hyun provasse anche solo un briciolo di attrazione nei suoi confronti. Perché, a differenza degli altri, lui non sarebbe riuscito a dividere il mero sesso dal livello successivo, ovvero notti condite di dolcezza e romanticismo stomachevole. E prima che potesse anche solo decidere di sterzare bruscamente, si sarebbe ritrovata a venir sommersa da una dichiarazione d’amore in pieno stile manga rosa che avrebbe rovinato tutto.

Coprì un sorriso spontaneo dietro il palmo aperto; ancora non era successo nulla e già pensava a ciò che si sarebbe potuto logorare. Quel ragazzo la stava facendo ammattire, decisamente.

-E’ un amico.- Forse…

-E tu cosa gli hai detto?- Lin strabuzzò gli occhi –Quando ha detto che gli piaci, intendo.-

-Oh, non me l’ha detto- sventolò una mano –Sono stati i suoi amici.-

Chyoko parve perdere un poco del suo entusiasmo, arricciando le labbra –Lin, sai che le voci di corridoio non sono mai affida—

-E’ una storia lunga.- la interruppe brusca, tornando a concentrarsi sugli anellini di miele immersi nel latte.

Chyo annuì e continuò con quel carosello di idiozie –E cosa farai quando lo vedrai?-

-Non lo so- alzò le spalle –Ora non c’è.-

-Non c’è?-

-E’ via, da un bel po’. Per lavoro. Torna tra poco.- portò il cucchiaio alle labbra.

Chyoko sorrise amorevole –Deve esserti mancato molto, vero?- e lei per poco non si strozzò con i cereali.

Diamine, ma cos’erano queste domande stupide e kamikaze? No, che non gli era mancato, affatto! Ribadiva, bastava voltarsi per vedere la sua foto a grandezza spropositata seguirla come nemmeno il Grande Fratello; era come avere uno stalker alle calcagna! Non può mancarti uno stalker!

-Ma no- si grattò il naso lentigginoso –Non credo.-

-Quindi non ti è mancato?-

-Credo di no. Forse sì- fece scorrere le dita fra i capelli -Non lo so.-

Chyo soppesò le sue parole, ma trattenne dentro sé qualsiasi tipo di commento. La lasciò vegetare nel proprio silenzio, spasmodica nel tentativo di scacciare l’immagine di quel pirla dai capelli non più azzurri dalla mente. Ma quando credette che la donna si sarebbe rifugiata dietro il libro di ricette, la sua voce giunse pacata, rassicurante…

-Già il fatto che tu ci stia pensando, significa che ti è mancato.-

E che non dava nulla per scontato.

Lindsay deglutì, aggrottando le sopracciglia di fronte a questa constatazione che metteva alla berlina il suo stato d’animo inquieto. E doveva sembrare davvero sconvolta, perché per tutta la durata della colazione, Chyo non l’aveva disturbata con altre sciocche domande. Perché non ce n’erano altre da porgere, perché tutto ciò che bisognava sapere su lei e Seung-Hyun era già stato detto.

-Oh, Lin, dopodomani potresti andare a prendere Minji a scuola?- la donna ravanò nella dispensa –Ho un’assemblea a lavoro.-

-Sì, sì, certo.- si alzò in piedi, depose la tazza nel lavabo e le diede le spalle, pronta a lasciare quella cucina divenuta troppo affollata di pensieri.

-E un’ultima cosa- si fermò, lo sguardo esasperato rivolto al soffitto -Potresti non scappare, se dovesse venire a cercarti?- si irrigidì, conscia chi fosse il soggetto principale di quella richiesta –Sai? L’amore e ciò che lo circonda, non è sempre una brutta cosa.-

Lin sorrise appena.

Se lo avevi sempre messo tra parentesi, allora sì che lo era.

 

****

 

-Spiegamelo- la sua voce risuonò incrinata nel casino generale –Spiegami perché sono qui, in questo postaccio- si guardò scazzato in giro, appoggiato alla balaustra della zona vip –Quando potrei essere a dormire a casa, spiegamelo!-

GD, per tutta risposta, si limitò ad un’alzata di spalle, irradiando la sala immersa nella musica con un sorriso raccapricciante –Perché Ri vuole vedere la Fujii- lanciò un’occhiata fulminante al maknae saltellante che, mano sulla fronte, cercava quell’ape impazzita –E tu devi parlare con America.-

-Direi che ho già detto abbastanza, non ti pare?- berciò infantilmente, trattenendo un’imprecazione a mezze labbra quando quel coglione scoppiò a ridere.

-Se vuoi, le diciamo noi qualcosa- lo fulminò con lo sguardo –Ci riesce piuttosto bene.-

-Vai al Diavolo.-

-Essere così nervoso non ti aiuterà- Ji Yong si guardò attorno corrucciato, quasi infastidito dal fatto che Lindsay non fosse ancora piombata da loro –E poi, ricorda: magari lei non ci ha visti.-

Ma c’è stato un bacio, si lagnò internamente, seriamente sconfitto dal fatto che nessuno prendesse più in considerazione quel minuscolo ma delicatissimo dettaglio. Forse era questo il problema. Forse stava dando troppo peso ad una quisquiglia.

-OhMio— una vocetta stridula catturò la sua attenzione completamente persa nel bicchiere di Mojito che pregava lo aiutasse a perdere i sensi; quando volse il busto, una Ginko vestita in maniera indecente si parò di fronte ai suoi occhi scuri –Ciao ragazzi!- trotterellò loro incontro, venendo sommersa dall’abbraccio tentacolare di un Ri fin troppo contento.

Oh.Cristo.Santo.

Ed era un OhCristoSanto coi controcazzi, di quelli che avrebbe voluto gridare a gran voce pur di liberare l’ansia che albergava in lui. Perché se la Fujii era vestita da amichevole prostituta di provincia, significava che anche la Moore si aggirava per il locale con indosso una mise che lasciava poco o nulla all’immaginazione. E visto che aveva tastato con mano che la propria fantasia galoppava pure troppo, proprio non se la sentiva di osservarla in tutta la sua sensualità.

Abbassò il capo. Già immaginava i titoli dei giornali: “Star al culmine della carriera, viene arrestata per aver dato una palpatina di troppo a succinta cameriera. Il giovane si difende: Non ero armato, ero solo contento di vederla!”

DioSanto. Sarebbe morto nel proprio squallore.

-Da cosa saresti vestita?- GD la squadrò una frazione di troppo e il sorriso famelico che si dipinse sul volto non piacque per nulla a Seung-Hyun. E a dir la verità non piacque nemmeno a Ri che divenne una specie di barriera umana saltellante.

Ginko saltellò, guardando oltre la spalla del giovane –Da Rosaspina!- trillò gioiosa, lisciandosi le pieghe dell’abito azzurro striminzito –Oggi è la serata delle Fiabe!-

Fantastico. Se lei era vestita da BellaAddormentataNelLettoDiQualchePappone, chissà che mise avrebbe mostrato la Moore.

-Oh, hai sentito Hyung?- GD gli appoggiò il gomito sulla spalla –Questa è la serata perfetta per risvegliare la bella principessa con un bel bacio- lo trucidò con la forza dello sguardo, ma quello continuò a sorreggerlo –Oh, ma tu glielo hai già dato. Che sfi—

-Fottiti.-

-Ehi, Top- si volse verso la nana, stranito dal suo chiamarlo così amichevolmente; da che ricordasse, non si erano mai rivolti la parola. Ginko socchiuse le palpebre, poi mosse ritmicamente l’indice e il medio dagli occhi a lui –Ti tengo d’occhio, ladro di baci.-  

Top arcuò un sopracciglio, chiedendosi perché mai Lin avesse fatto comunella con un bambina di cinque anni. Ma a quanto pareva, nessuno sembrava intenzionato a lasciarlo perdere perché dopo i vari ed inutili convenevoli a cui lui non prestò attenzione, sopraggiunse Dae con la sua scemenza cronica –E Lin? Stasera non lavora?-

Ginko scosse la nuca –Oh, no no! E’ qui in giro!- con un cenno del capo indicò la pista –C’è molto da fare!-

Perfetto, questa era un’ottima notizia! Se c’era un sacco di gente, Lin sarebbe stata impegnata; una Lindsay impegnata, significava che non poteva stare con loro; il risultato era che avrebbe potuto godersi la serata e magari defilarsi alla prima buona occasione. Sì, un’equazione degna di un genio! E pensare che in matematica faceva schifo!

-Oh, eccola lì!- Tae indicò un punto della sala, un angolo semi illuminato zeppo di tavoli.

Neppure il tempo di rilassarsi, beatificato dal proprio lampo di genio, che subito Ji Yong lo riportò coi piedi per terra, gustandosi quella tremenda realtà che era un Tribeca affollato e pieno di gente anonima. Avvertì il suo braccio esile intorno alle spalle, le sue labbra contro l’orecchio e poi la sua voce –Ora sorridi, Hyung. Si aprono le danze.- melliflua, divertita, presagio di chissà quale funesta scena madre.

Lo guardò ad occhi socchiusi, incapace di comprendere appieno le sue parole. Poi, la voce di Ginko giunse perforante e stridula, portatrice di ansia palpabile e che lo costrinse a tracannare quel Mojito come un viandante che trova la propria oasi nel deserto del Gobi ad agosto…

-Liiin!- strillò la Fujii mettendo le mani a mo’ di megafono, sbracciandosi quando la vide voltarsi –Vieni qui!-

Un’oasi di desiderabile bellezza, che prosciugò ogni pensiero.

 

E quando la scorse, il fiato si spezzò nei polmoni, lasciando che doloranti fitte intorpidissero il cuore che batteva all'impazzata.

Lindsay Moore era lì, a pochi metri da lui, bella come l’aveva lasciata e come se l’era immaginata per quei due lunghi mesi, se non di più. E lui, ventiseienne ormai in procinto di esplodere dall’ansia, si ritrovò a fare i conti con tutti quei sintomi che lo avevano spinto a comprendere quanto a lui piacesse, nella sua completa ed imperfetta interezza: l’espressione annoiata sul volto pallido mentre le faceva segno che arrivava, le braccia tatuate che la facevano sembrare una galeotta in fuga, quando in realtà serbava tanta dolcezza nei suoi modi sgarbati, il suo sguardo perennemente puntato contro il pavimento, la sua camminata svagata, il suo ignorare i marpioni che la fermavano…

-Non la trovi fantastica?- mormorò GD rivolgendogli un sorriso sghembo.

La sua strabiliante capacità di riuscire a farsi scorgere senza fare alcunché, come se fosse intrinseco nella sua natura farsi trovare fra milioni di persone.

-Nh.-

Come aveva potuto pensare di dimenticarla, per tutto quel tempo?

GD appoggiò il gomito sulla sua spalla, soffiando nel suo orecchio un malizioso –Se fai questa faccia, non avrà bisogno dell’intervista per capire che ti piace.-

Top si ridestò e dopo avergli scoccato un’occhiataccia, seguita da un’imprecazione a mezza voce nell’udire la sua risata fastidiosa, tornò ad osservare la ragazza che stava portando delle bevande ad un tavolo. Come se fosse stato facile! Cioè, lei girava fra i tavoli con quella mise sexy e lui doveva pure contenersi? Nemmeno un santo sarebbe riuscito a resistere di fronte a tale, peccaminosa delizia! E lui, per quanto d’animo puro e sensibile, almeno più di Ji Yong, non poteva non lasciarsi andare come la maggior parte della fauna maschile lì presente. Fauna che avrebbe voluto sterminare con un bel mitragliatore a canne rotanti, ma solo per sopperire l’ansia eh, sì sì.

-Cosa sta facendo?- Ginko inclinò il capo, le braccia a mezz’aria e l’espressione confusa a dipingerle il volto ben truccato.

-Un ragazzo al bancone ci sta provando con lei- Tae, improvvisatosi telecronista, li rese partecipi della scena -Gli ha buttato una birra in testa.-

-Io avrei preferito una Pina Colada- pesanti sospiri si levarono e tutti gli sguardi si posarono su di un serafico Daesung –Che c’è?! È più profumata!-

-Lo Hyung invece preferisce la Coca Cola.-

-Fottiti, GD.-

-Perché così teso?- il suo sorriso sghembo si ampliò –Stai solo per incontrare la ragazza dei tuoi sogni.- cinguettò malefico, ridendo della sua tremebonda situazione. Perché nessuno lì dentro si sforzava di comprendere quanto a disagio si sentisse? Lui nemmeno ci sarebbe voluto andare al Tribeca! Era stanco, aveva avuto una giornataccia e come se non bastasse, dopo le cazziate del coreografo che proprio non voleva saperne di capire che lui e la danza avevano chiesto il divorzio, doveva pure fare i conti con Lindsay Moore.

E comprese che più del rivederla, più del rompere il ghiaccio, ciò che lo spaventava maggiormente era il trovarsi faccia a faccia con lei…

Non sono pronto…


 

-Oi, Lin! Vieni qui!- Ginko saltellò.

Top si nascose dietro il bicchiere.

Non voglio vederla…

-

Scusate il ritar— la sua voce vellutata, che lo carezzò.

-Liiiin! Che bello vederti!- Ri le corse incontro, stritolandola.

Dae e Tae lo placcarono, invano.

GD gli diede una pacca sulla spalla –Sei pronto?-

E’ troppo presto…


 

-Ri, staccati.- Tae lo tirò per la vita.

-Ri, così la soffochi!- Dae lo prese per i capelli.

GD prese tutti per il culo, che tanto sapeva fare solo quello.

O troppo tardi, comprese poi.

 

Chiuse gli occhi e respirò a fondo, recuperando la forza per poterla affrontare. Volse il busto, il bicchiere in bilico nella sua presa non troppo salda, l’altra mano che stringeva la balaustra di freddo metallo, la forza completamente eclissatasi. E le parole, pietrificatesi insieme a lui.

-Ciao, ragazzi.-

Sulla cima delle scale del tavolo vip, stretta in un vestito da Cappuccetto Rosso porno, se ne stava Lindsay Moore.

A ripensarci, non trovava ancora le parole per descrivere la miriade di sensazioni che lo avevano invaso quando aveva adocchiato la sua esile figura. Ma il ricordo, quello lo serbava gelosamente in un cassetto della propria mente, riprendendolo in mano ogni tanto, solo per ricordarsi che anche lui si era sentito, dopo tanto, un comune ragazzo alle prese con la quotidianità e con ciò che essa comportava.

Lindsay Moore si lisciò il bustino bianco con fiocchi neri, rischiando di mettere in mostra il generoso davanzale che quel vestito aderente continuava a mettere in risalto. E Seung-Hyun commesse il madornale errore di distogliere lo sguardo dalla linea morbida del seno, giusto per non strozzarsi con il cocktail, e posarlo sulle lunghe gambe bianche lasciate alla berlina da una gonna di tulle rossa troppo corta.

Oh.Cristo.Santo2

-America, dovresti fare attenzione al lupo cattivo.-

-Chissà mai che il cacciatore gli spari.- soffiò lei lugubre, regalando uno sguardo omicida ad un GD fin troppo ilare. Che idiota di un leader. Fu solo in quel mentre che Lin si accorse di lui, anonima figura stretta in una giacca viola scuro e che sembrava voler scomparire da tutto quel caos.

E quando incrociò il suo sguardo nocciola, sentì la terra aprirsi sotto i piedi. C’era paura, nel suo mutismo improvviso, c’era timore nei suoi occhi sfuggevoli. C’era tutto ciò che aveva previsto e che, dal vivo, fece più male che in una mera immaginazione.

-Ehi.- alzò una mano con estenuante lentezza, timoroso che lei potesse scoccargli un’occhiata altera e poi scomparire, lasciandolo con l’amara sensazione di aver davvero rovinato tutto.

Ma lei non scappò –Ben tornato.- ma nemmeno sembrò così contenta di vederlo.

Abbassò il capo mentre un sorriso colmo di amarezza gli increspava le labbra. Ma davvero si era aspettato baci e abbracci da Lindsay Moore? Davvero si era aspettato sorrisi di sincera gioia nel ritrovarsi faccia a faccia o domande banali che avrebbero portato ad una riconciliazione?

Ad onor del vero, sì, ci aveva pensato, alimentato dalla sciocca speranza che lei non sarebbe mutata in quel periodo. Una speranza che sfumò quando lei gli rivolse un breve sorriso che trasudava incertezza e quello sguardo ripieno di timore, gli fece passare nell’anticamera del cervello l’idea che lei sapesse tutto. Che avesse colto appieno il miscuglio di sentimenti che provava quando gli gravitava a così poca distanza.

Che lei, ormai, gli piaceva.

-Come va?- le parole erano fuori controllo, uscivano senza che lui riuscisse a trattenerle.

Lin alzò le spalle scoperte –Va.-

Morse l’interno delle guance mentre cercava la prossima domanda da porle, nemmeno stessero partecipando ad un gioco a quiz. Ma Lin sembrava essere in procinto di svignarsela, visto che quegli altri cretini avevano avuto la malsana idea di lasciarli soli. In fase di analisi. No beef suonava nella stanza, facendo loro da sottofondo in quel momento di sospensione da cui nessuno dei due sembrava voler uscire. Un momento in cui si prese del tempo per rendersi conto di quanto Lin, pur nella sua proverbiale impassibilità, sembrasse diversa, quasi logorata nel ritrovarsi faccia a faccia.

E quando fu lì lì per mormorarle un misero –Ti trovo bene.-, le parole vennero meno. O per meglio dire, giunsero, rimbombanti e antecedute da una musica da piano fin troppo familiare, fino a che la propria voce, baritonale, non spopolò nella sala da ballo, costringendolo a corrugare la fronte…

 

It’s been a while since we’ve met

Your face looks good

You got prettier, you were always beautiful in my eyes

 

Quando quelle note lo sommersero come una gelida doccia non richiesta, inizialmente Top credette di essere divenuto ventriloquo, giacché Lin lo fissava stralunata senza che, però, le proprie labbra si fossero anche solo minimamente schiuse. Solo dopo che il suo cervello si fu connesso alla rete Lan con maggior segnale, Top comprese la gravità della faccenda: No beef era stata sostituita dalla loro Monster.

Oh.Cristo.Santo4

-Ma che caz— il capo di Seung-Hyun cadde in avanti, nascondendo alla ragazza un’espressione imbarazzata tipica di quelle persone che, non paghe di una figura di merda in diretta nazionale, si ritrovano costrette ad affrontarne un’altra a distanza di pochi giorni –Ri è un idiota, scusalo.- decise di non nominare il nome di Ji Yong invano che poi le imprecazioni di Lin si sarebbero sprecate.

Ma a quel punto, avvenne ciò che più aveva temuto. L’unica scena plausibile che sarebbe potuta accadere ad un loro possibile incontro, ma che sperava fosse solo frutto delle sue paure -Non è Ri, non stavolta- Lin si mosse, pronta ad abbandonarlo –E’ solo il nostro Dj che ha cattivo gusto in fatto di musica- per un istante, la sua distanza riuscì a pietrificarlo più delle sue parole taglienti –Ora scusami, devo lavorare.- e lo superò per davvero, lasciandolo lì come un cretino che ci ha appena provato e per tutta risposta ha ottenuto il suo bel due di picche.

E a quel punto, Choi Seung-Hyun non ci vide più.

E non è che non ci vide più per la faccenda del due di picche, non era così megalomane da credere che essendo un idol che riempiva le pagine dei giornali, allora lei gli si sarebbe dovuta prostrare ai piedi. O mostrargli la generosa scollatura. No, niente di tutto quello. E non lo pensò –perché con qualcuna, in passato, di questi ragionamenti da protozoo li aveva avuti-, per il semplice fatto che Lin non era come quelle. Perché lei mai lo aveva trattato con i guanti dopo aver saputo chi fosse e cosa facesse, mai gli aveva sbavato dietro, mai si era dimostrata anche solo minimamente affascinata al suo mondo fatto di uvetta passa, cerimonie di gala, interviste e servizi fotografici. Mai.

E allora a cos’era dovuta quella rabbia accecante che lo aveva spinto ad inseguirla fra la folla, rischiando il linciaggio delle fan per scostarsi alla loro presa con parole vuote e ricolme di velenosa collera? E cos’era quella paura che gli stava corrodendo l’anima al solo pensiero che Lin potesse voltarsi e dirgli A me, di te, non è mai importato nulla., che sembrava cancellare anche quel poco di amicizia che avevano faticosamente costruito? Perché più dell’attrazione, più del volerle dire Oh, ma che tette grandi che hai!, o Ma che belle mutandine di pizzo che abbiamo qui!, e magari sentirsi rispondere E' per fare sesso meglio, c’era la certezza assoluta che un’amicizia così cristallina da un esponente del sesso femminile che non faceva parte del mondo dello spettacolo, non sarebbe mai più riuscita a trovarla…

 

-Non torni dagli altri?- Lin gli rivolse un’occhiata stranita, poi continuò a camminare.

 

E per un attimo, odiò la sua posizione di cantante famoso…


 

-Liiin! Vai a prendere delle birre?-

La ragazza alzò una mano e annuì -Oi, perché mi segui?-

 

E odiò il casino che, questa sua posizione, aveva trascinato dietro di sé.

-Seung-Hyun, si può sapere cosa--

-Mi stai evitando.- e non seppe nemmeno lui come riuscì a dirglielo, ma dagli occhi sgranati e l’espressione incredula che gli aveva appena regalato, comprese di essere sulla giusta strada.

-Che?- la musica assordante coprì la sua domanda, ma lui non aveva altre parole a disposizione nel proprio repertorio.

-Mi stai evitando.- borbottò ancora stando al suo passo, cercando con tutta la forza che aveva di fissare solo la sua schiena stretta. Anche se la forma del suo sedere, modellata dalla corta gonna a campana, era piuttosto invitante, doveva ammetterlo. Sollevò il capo appena in tempo, quel tanto che bastava per non essere scorto dagli occhi sfuggenti di Lindsay ora rivolti a lui.

-Non ti sto evitando- fu tutto ciò che gli concesse, aprendo la porta che dal corridoio sembrava portare ad un set di un film d’orrore, richiamando alla mente il fabbricato abbandonato di Hostel. Rabbrividì un attimo, se ne fregò del cartello che a caratteri cubitali diceva Privato e la seguì, lasciandosi il rumore ovattato della sala alle proprie spalle –Che ci fai qui?- Lin lo fissò bieca, indicandogli la porta con un cenno del capo –Non hai letto il carte—

-Noi due dobbiamo parlare!- brusco, la interruppe, arrossendo come uno scolaretto per quella frase idiota appena pronunciata. Diamine, sembrava un fidanzato geloso nel centro della lite più furibonda che avesse mai avuto con la proprio ragazza. O peggio…

-Non sei mio padre, eh.-

Un padre che sta per torturare psicologicamente la figlia con sensi di colpa e parole di biasimo.

-Seriamente, Seung-Hyun, mi causerai problemi.- sbottò alla fine, portando le mani sui fianchi mentre inclinava il capo, il cappuccio rosso a farla apparire una bambina capricciosa.

Lui richiamò a sé il proprio controllo per non zamparle addosso, giacché in quella posizione sembrava tentarlo a commettere qualche azione libidinosa, e ripeté quell’unica frase che il suo cervello riusciva a partorire –Perché mi stai evitando?- che di sicuro, sarebbe stato un tormentone, se mai avesse scritto una canzone.

Udì il suo sonoro -Che palle- ah, quanto gli era mancato!, mentre si stropicciava la fronte con l’indice e il pollice, poi giunse la sua frase intrisa di fastidio -Solo perché sei famoso, il mondo non gira intorno a te!- agitò le mani, dandogli le spalle mentre riprendeva a camminare e apriva la porta della dispensa, infilandocisi dentro –Senti, già che ci sei, puoi tenere aperto, per favore? Ci metterò un paio di minuti.-

-Perché?-

-L’ultima volta Ginko è rimasta chiusa dentro. A quanto pare la maniglia è difettosa, ma il signor Yoon non vuole cambiare la porta e—

-No, non quello!- si passò le mani sul viso, conscio che una Lin in trappola era perfino più estenuante di una Lin criptica o erotica –Andiamo, perché mi ignori?-

Lindsay spostò una cassa di birra, sbuffando sonoramente –Ancora con questa storia?- la sentì imprecare, l’attenzione completamente rivolta alla cassa che non voleva saperne di uscirsene da sotto lo scaffale –E che due palle!-

Al suo ennesimo improperio non rivolto alla sua regal persona, Seung-Hyun non ci vide più per la seconda volta. Sbuffò, lasciò perdere quella cacchio di porta da casolare abbandonato e si piegò al suo fianco, perdendo l’equilibrio quando il suo buon profumo di pesca si insinuò nelle narici –Lascia, faccio io.- mormorò dopo qualche istante, sfiorando accidentalmente le sue mani.

-Guarda che ci riesco.- lo scansò con una spinta leggera, incenerendolo con lo sguardo.

-Aha, infatti è ancora lì dentro.-

-A quanto pare il grande Top dei Big Bang la rende timida.- sbottò alla fine, riuscendo a tirarla fuori dopo qualche minuto, scandito da parolacce volanti a caso.

E Top, pur nella sua disperazione, si ritrovò a ridere. Ma a ridere come il cretino che era. Perché per un attimo, l’ironia sferzante di Lin gli aveva scaldato il cuore. Sembrava essere tornata la ragazzina sfrontata che sapeva sempre come tirargli su il morale, anche se in maniera brusca, che si riparava dietro battutine dette al punto giusto e con talmente tanta naturalezza da lenire la sua sofferenza.

Ma Lin non rise. Nemmeno uno straccio di sorriso che avrebbe potuto fargli capire come tutto fosse stato accantonato. Si limitò a guardare oltre la sua spalla, scoccare la lingua, e poi rivolgergli un’occhiata sfiancata –Sei proprio un cretino.- strabuzzò gli occhi per l’epiteto poco galante detto con così tanta irritazione, poi seguì la linea del suo sguardo: la porta si era chiusa. E pensare che tra la sua risata e la musica da disco che continuava a raggiungerli prepotente, nemmeno si era accorto dello sbattere della porta che avrebbe annunciato la loro morte o la sua, giacché Lin sembrava alla ricerca di qualche oggetto contundente. Probabilmente gli avrebbe lanciato contro tutto l’armamentario lì presente: birre, lattine, rhum, vodka, whisky… Aveva segnato la propria condanna a morte con la propria idiozia.

Storse il naso; magari era stato quel coglione di un leader a chiuderli dentro e adesso se ne stava lì, appollaiato con un bicchiere per origliare la loro conversazione -Scusa.- mormorò massaggiandosi il collo mentre Lin gli sfilava affianco, cominciando a picchiettare sulla porta.

-Se dovessero dare degli Emmy Awards per l’idiozia, di sicuro batteresti ogni record.- i pugni di Lin continuavano ad infrangersi sulla superficie di legno, rimbombandogli nel cervello assieme al suo sarcasmo perforante. Diamine, sembrava di essere tornati ai tempi della Coca Cola usata come arma impropria o peggio!, la litigata furiosa in camera di Daesung.

-Ehi, ti ho chiesto scusa.- aprì le braccia, guardandola con lampi negli occhi.

-Non è con le tue scuse che usciremo, sai?- per tutta risposta, lei continuò con la sua ironia andante, che tanto serviva solo a renderla più inavvicinabile di quanto già non fosse. E mentre la vedeva accanirsi contro la porta stringendo la maniglia, spingendola, si rese conto di quanto vicina fosse pur nella sua freddezza: avrebbe potuto allungare le braccia e la sua vita stretta sarebbe stata carezzata dalle sue dita, avrebbe potuto stringerla a sé e magari bearsi del calore del suo corpo. Con conseguente calcio nelle palle, ovvio, ma era disposto a pagare tale prezzo pur di avvertirla -Invece di startene lì, potresti darmi una mano.- il suo scazzò lo avvolse, riportandolo alla cruda quanto desolante realtà.

Dopo aver sospirato pesantemente, recuperò il cellulare dalla tasca –Provo a sentire gli altri- ma come i classici Z-Movie, figurarsi se la tecnologia era dalla loro in quel momento di angoscia -Non prende- sbottò –E adesso?-

-Moriremo.-

-Lin— sconsolato, si appoggiò alla parete dirimpetto a quella cui si era appiccicata la ragazza, evitando così sceneggiate al limite dell’assurdo che nemmeno in un pessimo film avrebbero trasmesso.

Ok, calma Seung-Hyun, sei solo chiuso in una stanza con Lindsay…

Mezza nuda, ricorda!

Grazie, Mojito, non l’avevo notato…

E doveva aver assunto un’espressione spaventosamente angosciata, perché dal nulla, Lin se ne uscì fuori con un pacato -Tranquillo- le mani che giocherellavano con i lunghi capelli scuri arricciati –Presto i clienti vorranno della birra. Qualcuno arriverà- qualche tintinnio catturò la sua attenzione e quando sollevò lo sguardo, la mano affusolata di Lin che reggeva una lattina di Beck’s era a pochi centimetri dal proprio volto, velato di sorpresa –Almeno ci distraiamo.-

Top annuì e cominciò a bere, rinfrancato da quel suo cercare di rilassarlo con posatezza, lasciandogli uno spiraglio di speranza che tutto potesse tornare sui binari giusti. Ma i minuti trascorsero inesorabili e quando tornò a guardare l’ora sul cellulare, si accorse che una mezz’ora abbondante era ormai scorsa; una mezz’ora che gli era parsa senza fine dato che nessuno dei due aveva anche solo cercato di spezzare quel silenzio molesto che aleggiava sui loro capi. Per un attimo fu tentato di chiederle l’onore di potersela fare sulle casse di birra, concedendosi un ultimo piacere carnale prima di cadere in picchiata all’Inferno e senza nemmeno passare dal via.

Ma fu un pensiero fugace, complice l’alcool che stava sciando nelle sue vene, che svanì con la sua voce incolore –Così hai cambiato colore di capelli- commentò svagata –Stai bene.-.

E Seung-Hyun capì che presto si sarebbero tirati addosso le lattine, le bottiglie e forse pure le casse di birra. Perché tutte le frasi che cominciavano con un Così…, annunciavano la catastrofe, erano l’incipit delle peggiori liti di tutto il globo terrestre. Ma tutte eh, nessuna esclusa!

Così oggi non c’era scuola, eh?, gli aveva detto spesso sua madre quando lo aveva beccato con le mani sul joystick, chiaro segno che era venuta a sapere che sì, il fantomatico sciopero se lo era solo inventato; Così quella è solo una fan, eh?, gli avevano spesso urlato contro le sue fiamme quando scovavano una foto su internet di una Vip abbarbicata al suo braccio che, nel suo blog personale, lo ringraziavano per la magnifica nottata trascorsa assieme dove probabilmente lui era ubriaco perché proprio se ne era dimenticato; Così America non ti piace, eh?, inizio di una nuova maratona psicologica made in GD… Che ok, non si concludeva con alcun litigo, ma con un bel mal di testa.

-Anche tu stai bene- non indugiò troppo sulla sua figura, anche se il suo cervello era ormai spappolato da tale, sublime visione, mentre le immagini così vivide del suo sogno hot tornavano a far capolino fra i suoi ricordi. Attese qualche secondo, convinto che la ragazza gli avrebbe chiesto come erano andati i suoi concerti, i suoi due mesi di agonia… Ma dalle sue labbra non uscì alcun suono, continuando a stare incollate alla lattina di birra, ora sua nemica giurata. Sospirò grattandosi la nuca e tornò a guardarla –Come sono andati questi due mesi?- che era un po’ come dirle Insultami pure, basta che dici qualcosa.

-Bene.- eh, lei era proprio d’aiuto.

-Cos’hai fatto di bello?- diamine, si sentiva un coglione al cospetto della figa della scuola.

-Niente di che- la vide alzare le spalle –Sono tornata a New York per una settimana.- a quel punto, si dimenticò di tutto; della porta chiusa, dell’aria che cominciava a divenire irrespirabile per la tensione, del suo essere così sfuggevole. Nella sua mente, solo la certezza che Lin per un breve periodo di tempo se n’era andata, facendogli correre il rischio di non rivederla mai più. Perché avrebbe potuto non fare più ritorno, ma era un sollievo vedere che ciò non era accaduto. Ma un altro tarlo si insinuò nella mente arrovellata di pensieri: e se avesse trovato qualche ragazzo lì, nella sua terra? Forse era per questo che era così schiva. Forse qualcuno era riuscito nell’ardua impresa di schiavizzare il suo cuore libertino e ora non voleva saperne di un cretino che tornava indietro rivendicando diritto su di un misero bacio solo perché gli amici lo avevano messo alla berlina davanti a milioni di spettatori. Sempre che lei avesse visto, ovvio. Quella era ancora un’incognita.

E nemmeno lui credette al proprio tono di voce, quando udì un flebile –A New York?- che ben descriveva lo stato di angoscia in cui era precipitato.

-Avevo una settimana di ferie.- fu tutto ciò che gli concesse, rigirandosi la lattina fra le mani ingioiellate.

Si inumidì le labbra, frastornato dal fatto che Lindsay non si lasciasse andare ad aneddoti del suo soggiorno presso NY, come se davanti a loro vi fosse una spessa barriera d’aria che non permetteva la comunicazione. Che sembrava farli ritornare indietro nel tempo, quando lui era un rapper cazzone e lei una straniera maleducata. Quando ancora, trovarsi chiusi in uno sgabuzzino, avrebbe rappresentato l’Inferno, non un Paradiso intoccabile.

Ma lui sapeva che stare lì dentro avrebbe nuociuto gravemente alla sua sanità mentale, perché dopo qualche istante si ritrovò a pronunciare la frase più stupida che avrebbe mai potuto dirle, cosicché la sua idiozia raggiungesse i massimi storici –Così sei tornata a casa.- diamine, ancora quel Così

-Già.-

-E ti sei divertita?-

-No, proprio no.-

-Con tua madre?- domandò accorto, intimorito dai suoi monosillabi.

-E’ andata- alzò le spalle. No, proprio non gliela stava rendendo facile quella maledetta chiacchierata! –E’ la solita strega.- e lui sapeva che tutto sarebbe precipitato.


 

Che una sciocca e banale domanda avrebbe dato il via ad una sequela di gesti che lo avrebbero portato al pentimento…

-E hai trovato qualcuno?- guardò il soffitto, celando l’interesse dietro una scorza di duro menefreghismo.

-Qualcuno?-

Che l’avrebbero fatta allontanare ancora di più…

-Sì, insomma… Qualche bravo ragazzo.- tornò a sorseggiare la Beck’s, in attesa che Lin gli desse il colpo di grazia con la propria voce vellutata che tardava a colpirlo.

-Ho trovato molti bravi ragazzi.- un sorriso malizioso spuntò sulle sue labbra carnose e rosse e Seung-Hyun sentì il proprio stomaco stringersi in una morsa, costringendolo ad allentare il colletto della maglietta pur di non soffocare. Cosa aveva capito da quella breve quanto inutile e desolante conversazione? Che lui l’aveva pensata notte e giorno come un coglione, logorato dai sensi di un colpa per averla abbandonata al suo destino; Lindsay, invece, mentre lui se ne stava a sbagliare le canzoni durante un concerto, si era divertita con chissà quanti ragazzi. E non fu questo a mandarlo in bestia, giacché non c’era nulla tra loro e lei poteva fare ciò che voleva della sua vita , ma l’ormai appurata certezza che lei non lo avesse pensato neanche per un istante, lo fece sentire una nullità.

Dopo tanto, con una ragazza, sentì di aver miseramente fallito.

-Buon per te.-

-Seung-Hyun—il suo sospiro pesante, le mani che stropicciavano il volto. L'inizio dell'inevitabile declino.
 

Che una sciocca e banale domanda, che tutti quei Così, avrebbero portato al punto di rottura…

-Ti ho visto al Go-Show-

Erano solo il preludio…

-Non penso sia una buona idea.-

 

Della chiacchierata più difficile della sua vita da ventiseienne.


 

*******


 

Sedeva sul trono che dava sulla pista da ballo, lontano dagli schiamazzi, attorniato da una noia inossidabile che lo aveva appena costretto a sbadigliare. Quell’accozzaglia di tedio che si dimenava come posseduta, non suscitò il suo benché minimo interesse. E non lo suscitò nemmeno quella sventola di una cameriera dai lunghi capelli biondi che, piegatasi a prendere il suo cocktail, gli concesse di poter indugiare qualche secondo in più sulla sua generosa scollatura. Davvero, davvero molto generosa.

Ma se vi state chiedendo perché mai Ji Yong non si lasciasse sfiorare da tale, fascinoso gaudio, il motivo era uno ed uno soltanto. Che aveva corti capelli rossi, lenti a contatto verdi e un vestito da Bella addormentata che, per un breve istante, avrebbe voluto risvegliare in mille modi che non passavano necessariamente dal bacio…

-Oi, Ji Yong, posso disturbarti?-

E che, lo sapeva, avrebbe portato solo tanta gioia.

-Fujii, che piacere vederti- la squadrò da capo a piedi, beandosi del rossore che le aveva imporporato le guance –Noto che sei in gran forma.-

La ragazza brillò, divenendo una specie di palla stroboscopica vivente –OhMio- Davvero?! Effettivamente mi sono messa a dieta e— si bloccò di fronte al suo sorriso alla Cheshire, quasi avesse compreso come a lui, della sua dieta, poco importasse –Ahm, grazie- farfugliò -Gli altri dove sono?-

-In giro- le fece segno di sedersi sulla poltrona davanti alla sua, permeandosi di quell’alone di vergogna che l’aveva accompagnata per tutto il tempo e che la fece sedere con un tonfo sordo. Sublime! Se tutte le ragazze fossero state come Ginko, si sarebbe decisamente divertito di più –Tu non eri con Ri?-

-Per un po’. Poi sono tornata a lavoro.-

-Quindi stai lavorando?-

Corrugò la fronte –Beh, sì.-

-Quindi non sei in pausa?-

-No.-

-E allora non dovresti stare seduta. Rischi di finire nei guai.- fintamente preoccupato, si guardò attorno, come se volesse scorgere da qualche parte il Signor Yoon appollaiato su qualche balaustra.

Ginko Fujji allora si alzò, come se la poltrona fosse andata a fuoco, e squittì –Ma sei stato tu a dirmi di sedermi!-

-Ma io pensavo fossi in pausa- la vide gonfiare le guance e a malapena riuscì a trattenere una risata di puro divertimento –Cielo, Ginko, sei una sagoma.-

-E tu non sei affatto cambiato in questi due mesi.- mormorò macabra, guardando la folla che si dimenava.

Ji Yong rilassò i lineamenti del volto, si sporse e la guardò con espressione dispiaciuta, sporgendo il labbro inferiore mentre un sofferente –Oh, ne sembri quasi dispiaciuta- si spargeva nell’aria satura di tensione –Forse non ti piaccio più?- una tensione che svanì quando un rossore improvviso si impossessò delle guance di Ginko.

La ragazza cominciò a balbettare –Fi-Figurati! Non mi piaci mica!-

-Certo.-

-Non sei mica questo granché!-

-Già.-

-Ci sono centinaia di ragazzi più belli di te!-

-Aha. Come Ri?- giocherello con una fetta di limone, pazientando prima di osservare gli effetti che quella sua constatazione avrebbe causato. E quando alzò lo sguardo, si disse che aspettare ne era valsa assolutamente la pena.

C’era una Ginko pietrificata, una statua di cera dalle delicate fattezze, che ora lo scrutava tra l’arcigno e il basito, incapace di lasciare che la propria, stridula voce, gli perforasse i timpani. Mise da parte quel senso di sfida che si era impossessato di lui quando si era infaustamente reso conto che, molto probabilmente, la nana trovava il maknae decisamente più carino di lui e mise a tacere l’ego ormai sgonfiatosi, che avrebbe rischiato di vanificare ogni suo gioco.

Perché non c’era niente di peggio di un ego che reclamava vendetta, quando si trattava di giocare con la mente altrui. Avrebbe rischiato di venir accecato dall’irritazione, finendo col perdere miseramente. E non poteva, non poteva assolutamente permetterselo. Non con quella sciocca ragazzina che sembrava uscire sempre da ranghi.

-Siete due bellezze diverse.- borbottò lei, pizzicando le pieghe dell’ampia e corta gonna azzurra.

GD fissò le sue mani affusolate, poi tornò a scrutarla in volto, scuotendo la nuca di fronte alla sua capacità di salvarsi con così poche e semplici parole, quasi banali nel loro reale significato –Come te e America.-

La vide corrucciarsi prima che un sorriso amaro si dipanasse sul volto, contraendolo in una smorfia di sofferenza che per un attimo lo lasciò perplesso. Era abituato ad avere a che fare con donne dalle indubbie doti di cacciatrici, consce della bellezza delle altre che gravitavano nella loro orbita, quasi si reputassero tutte un gradino sopra. Oppure c’erano i tipi come Lindsay, talmente tanto sicure di loro che accantonavano la bellezza per passare ad armi ben peggiori, come le parole e i gesti inconsulti. Ma Ginko… Ginko si estraniava da quel mondo di sensualità innata. Lei era incapace di gestire le proprie emozioni, inabile nel riuscire a nascondere ciò che provava, rendendosi un libro aperto, di quelli sempre incalzanti e mai noiosi. Incapace di reggere il confronto con l’universo femminile che l’attorniava e che sembrava sempre un passo avanti a lei.

E Ji Yong sorrise.

Ginko Fujii nemmeno si rendeva conto di quanto spettacolare fosse tutto ciò, per lui.

-Lin è più carina- ah, la sua voce intrisa di mal celata invidia nonostante l’amicizia delle due, puro miele per le sue orecchie –A proposito, l’hai vista?-

E a quel punto, comprese che il vero gioco cominciava solo ora. Con una domanda scialba che avrebbe necessitato di una risposta dalle stesse connotazioni ma che, se sfruttata bene, poteva portargli tanto, molto divertimento.

E sorrise, Kwon Ji Yong, deciso a non lasciarsi sfuggire tale prelibatezza -America?- si alzò, avvicinandosi a lei con aria svagata, ammirando quello spettacolo di tensione che la sua sola vicinanza riusciva a procurarle, beandolo -Cappuccetto Rosso è nella tana del lupo.- lo disse con tono cantilenante, nel suo orecchio dopo aver scostato una ciocca sbarazzina, trovando ilare la metafora appena utilizzata che poi ben combaciava con la realtà.

E Ginko ci mise un po’ a carpirne il reale significato, ma quando ciò avvenne, fu uno spettacolo di rara bellezza: le sue sopracciglia che si arcuarono in un arco perfetto, i suoi occhi verdi che si allargarono per lo stupore, le guance che si incavarono e la labbra che formarono una O perfetta, palesando la propria incredulità. Avrebbe voluto dire al tizio che scattava le foto di immortalare quell’espressione di genuina delizia, ma i muscoli facciali della nana si tesero, e allora addio beltà.

Ma andava bene così, sul serio. Perché nei suoi occhi c’erano lampi di astio represso e nelle sue mani ora sventolanti, c’era tutto il nervoso che aveva trattenuto quando se li era trovati davanti al naso schiacciato –Lei… COSA?! Ma no, no!- si volse di scatto –Devo salvarla!-

Prontamente, la prese per i polsi, costringendola  a sedersi con un gracidio che gli deliziò le orecchie ammorbate dalla musica assordante da discoteca –Tu resti qui.-

-Ma Lin è da sola con Top!- cercò di divincolarsi, ma la sua forza da coccinella non servì allo scopo.

GD ghignò –E dov’è il problema?-

Ed eccola ancora là, quell’espressione di puro idillio –Ma come Dov’è il problema?! Lui l’ha fatta soffrire!-

-A me sembrava in gran forma- ammise con una punta di malizia –E anche Top non sembrava troppo dispiaciuto.-

-Idiota!- lo appellò infuriata –l’ultima volta che sono rimasti da soli, l’ha tratta malissimo!-

-Che esagerata.-

-L’ha baciata e poi le ha detto che non è significato nulla!-

-Le ha detto che è stato solo un bacio- sottolineò con ovvietà, annoiato dalla sua incapacità di analisi –Quindi qualcosa è stato.-

Ginko strinse le mani sui braccioli della poltrona, le labbra arricciate e le sopracciglia corrugate, segno che non la pensava in siffatta maniera. Ed eccola infatti lì, a bearlo con le proprie esternazioni, così cariche di trasporto che per un attimo avrebbe voluto stringerla a sé dalla gioia –Sì, ma non mi fido.-

Oh, magnifico!

-Fujii, avete visto l’intervista?- annuì vigorosa –Direi che ho detto tutto.-

La sua mascella cadde a terra –No, non hai detto niente! Che razza di spiegazione è?!- GD coprì le labbra con il palmo aperto, gustandosi la sua isteria –Se a Top piace, perché se ne è andato così?!-

-E se a Lin non piace, perché l’ha baciato?- Ginko agitò l’indice, poi serrò le labbra; si stravaccò sul divano, deliziato dalle gioie che quella nana gli stava infondendo senza nemmeno rendersene conto –Fujii, quei due sono paralizzati dalle loro paure. Sono talmente spaventati da non capire quanto ormai siano desiderosi l’uno dell’altra- guardò le ballerine dimenarsi sui cubi –E ora che lo sanno, devono solo aiutarsi a vicenda- Ginko corrugò la fronte –Quando qualcuno è il tuo tipo, puoi scappare quanto vuoi, ma alla fine ci si ritrova a rincorrerlo.-

-A rincorrerlo- mormorò assorta, le dita fini sulle labbra serrate. GD la studiò qualche istante di troppo, avvertendo la birra pizzicare i neuroni nel tentativo di fargli partorire idee malate come Però non è male quando se ne sta zitta e assorta e amenità di questo genere –Ma, beh, parli per esperienza personale?- la vide sporgersi, la curiosità dipinta sul volto.

Ma che diamine di domanda era? E soprattutto, perché il soggetto di quella conversazione era diventato lui?! Quella era una psicopatica…

-No.-

-Oh, dai, a me puoi dirlo… Chi è il tuo tipo?- prese block-notes e penna, sorridendogli incoraggiante.

-Metti via quei cosi.- ordinò perentorio, minacciandola con la sola forza dello sguardo.

-Atletica o cuolpesa?-

-Fujii—

-Elegante e raffinata o rozza e volgare?-

-Cosa?!-

-Solae e briosa o darkettona con manie suicide?-

-Non sei tu.- si bloccò, paralizzato dalla propria voce che non credeva sarebbe uscita per davvero. E non perché non volesse vederla lagnarsi davanti a sé, decisamente non era quello. Ma perché sapeva che lo sguardo colmo di confusione di Ginko sarebbe stato un sonoro schiaffo in faccia e quando, infatti, lo cercò, si ritrovò sommerso da un mare di lacrime che non scesero, che le resero gli occhi lucidi.

-Oh, ma, beh, lo so- chiuse gli occhi e gli mostrò un ampio sorriso a trentadue denti –So benissimo che non sono il tuo tipo- sventolò le mani –Ero solo curiosa perché, beh, sei sempre così triste, ma tu aiuti Top e Lin, sempre- Triste? –E mi chiedevo chi potesse aiutarti, tutto qua.-

 

E chi aiuta te?-

 

Dio, tra lei e Ri non riusciva a capire chi fosse il peggiore, quando si trattava di mandargli in pappa il suo prezioso cervello.

-Beh, ora vado- si alzò, aggiustandosi le autoreggenti bianche –E’ stato bello chiacchierare con te!- fece un breve inchino -Se vedi Lin, dille che i clienti vogliono le birre.-

Straordinaria. Aveva appena visto frantumarsi i suoi sogni d’amore e nonostante tutto, continuava a sorridergli raggiante. Le altre lo avrebbero preso a schiaffi in faccia. Anche se, beh, quel suo sorriso era un po’ come un pugno in pieno volto. E preso da un impeto di follia, di lucidità che stuzzicò la sua bontà sopente, si ritrovò a chiamarla piano, quasi volesse non essere udito.

Ma lei si volse, un sorriso incoraggiante dietro un tremolio mal trattenuto –Tu sei buona, troppo-la vide farsi seria -Non perdere il tuo tempo con me.- e poi il suo sorriso dolce, che equivaleva ad un tacito assenso.

E gli parve di aver buttato via un giocattolo appena comprato.

 

-Se una cosa ti piace, non è mai una perdita di tempo.- la sua voce decisa, poi nulla.

 

Gli parve di aver rovinato qualcosa senza aver cominciato nulla.


 

*****


 

La resa dei conti avvenne alle 01.35 di una domenica sera qualunque, dove il freddo di uno stanzino sotterraneo si infilava nelle ossa, insieme al gelo della bellezza artica che gli stava di fronte. Dove il cuore aveva fatto Crack, ma debolmente pulsava ancora.

Eppure c’era qualcosa che stonava, in tutto ciò. C’era qualcosa che stonava nella freddezza di Lindsay, nel suo porre delle distanze pur di non lasciarsi invischiare, nel suo andare dritta al sodo pur di non lasciargli speranza alcuna. Come se da quell’intervista, lei fosse riuscita a cogliere ogni più minuscola sfaccettatura dei suoi sentimenti ingarbugliati e che nemmeno lui riusciva a catalogare.

-Non pensi?- deglutì a vuoto, in bilico sull’orlo della disperazione per quella speranza appena troncata. Che senso aveva fingere?

-No.- replicò incolore prima di bere un altro sorso.

Si stropicciò il viso, conscio che nessuna parola sarebbe valsa con lei. E forse fu per questo che, staccatosi dagli scaffali, si ritrovò a pronunciarle un deciso –Io credo che dovremmo conoscerci meglio.- incurante dei suoi rifiuti e della completa certezza che, una volta uscito di lì, qualcuno avrebbe dovuto raccattare i cocci del suo cuore in frantumi.

-Non credo.-

E poi, la chicca tra le cazzate, la ciliegina sulla sua scemenza straripante -Ma ci siamo baciati!-

Cazzo, sembro una ragazzina!

-Io bacio un sacco di ragazzi- sorrise appena, quasi derisoria per quella sua sparata –Ciò non significa che voglia conoscerli meglio.-

Blackout totale… Seung-Hyun smise di parlare e pure di respirare, tornando ad appoggiarsi allo scaffale che funse da sostegno, giacché le parole di Lin avevano tranciato quel briciolo di equilibrio che fino ad allora aveva stretto a sé.

Perché?

Nessun’altra domanda resse il confronto con questa, fossilizzandosi nella propria mente per una manciata di minuti scanditi dalle note ovattate di RIP, sbaragliando tutte le altre. Che poi, e che cazzo, era stata con così tanti ragazzi… Perché cacchio non poteva stare anche con lui? Non le stava mica chiedendo di sposarsi seduta stante, tantomeno le aveva fatto una melensa dichiarazione d’amore. Strinse i pugni.

Perché gli altri sì e io no?

A quel punto della propria giovane esistenza, Seung-Hyun comprese come certe domande andassero tenute ben nascoste nel proprio cervello e non esalate ad alta voce in un raptus improvviso di scemenza fulminante, perché la voce di Lin giunse ruvida, come cartavetrata sulla pelle -Perché tu non sei come gli altri- la guardò stralunato, mordendosi la lingua per la propria incapacità di trattenere le parole dentro sé -Tu non sei portato per le storie di solo sesso.-

-Potrei sorprenderti.- no, d’accordo, che diamine era quell’aria da figo che aveva assunto? Abbassò il sopracciglio arcuato, eliminò ogni barlume di sorriso sghembo e si schiarì la voce, che quella appena utilizzata l’aveva fatto sembrare un James Bond dei poveri.

Quando meno se lo aspettò, Lin tornò al contrattacco, questa volta meno decisa ma con quel pizzico di disinteresse che continuava a lasciarlo dall’altra parte della barricata –Non vai bene per me- abbassò il capo, guardandosi le punte delle scarpe rosse a pois neri e lui rimase zitto, il colpo incassato con magistrale silenzio mentre il suo respiro antecedeva delle parole che non credeva avrebbero mai potuto scatenare così tanta rabbia –E io non vado bene per te.-

Ma chi se ne frega!

-Non vai bene per me?- ripeté con tremore, stropicciandosi il volto prima di vibrare davanti a lei -Chi sei tu per decidere chi va bene per me?!- le aveva scagliato contro tutta la collera che giaceva sopente in sé, con la gentile partecipazione del nervosismo accumulato in quei due mesi di lontananza. Si era aspettato forse un po’ troppo dal loro incontro, una sequela di abbracci che non c’erano stati, sguardi languidi che non si erano presentati e parole di bentornato che non erano risuonate così dolci come le aveva immaginate –Perché?-

E la consapevolezza che tutto ciò fosse dovuto al loro essersi lasciati in sospeso in quella ormai lontana notte di fine novembre, non stava aiutando a sbollire l’astio che continuava a farlo scuotere. Perché al cospetto di una Lindsay che sospirava stanca, ne avrebbe di gran lunga preferita una che gli avrebbe scagliato contro la sua proverbiale ironia, che salvava tutto di loro.

E a dir la verità, dopo quel periodo di tempo che gli parve un’era, qualcosa Lindsay gliela scagliò. E no, non era una bottiglia di liquore e nemmeno una Heineken vagante. No, era una frase, sottile e lacerante…

-Perché- inclinò appena il capo, lo sguardo rivolto ad un punto indefinito della sua giacca –Potrei spezzarti il cuore.-

E che si insinuò nelle viscere malandate del suo corpo.

Non me ne frega davvero niente…

E quando vide il suo mezzo sorriso, quasi a volergli dare il colpo di grazia dopo quella frase sibillina e che per un attimo lo aveva messo sulla difensiva, sentì qualcosa scattare. Una molla, per essere più precisi, una sorta di impulsività che non pensava di possedere e che gli fece pronunciare un secco –E forse io spezzerò il tuo.- che sembrò rimetterlo sui binari giusti in quella conversazione che lo stava sopprimendo.

Perché Lin aveva perso il sorriso, disorientata dalla sua affermazione esalata con serietà; e lui alzò le spalle, che tanto non aveva nient’altro da dirle. Voleva solo chiuderla lì, magari per sempre. Ma Lin sembrava intenzionata a voler continuare a trovare pecche in una loro possibile relazione o qualcosa che anche solo vagamente ci assomigliasse e infatti, quando si ritrovò a fissare il soffitto nella vana speranza che qualcuno giungesse a salvarli, Lin lo riportò coi piedi sul suolo appiccicoso dello scantinato –Dovresti trovare una brava ragazza- che era simile ad un Restiamo amici ma se non vuoi per me va bene –Io non lo sono.-

-Sei meglio di molte altre.- mormorò sospeso, esternandole ogni briciolo di verità che covava nel cuore. E avrebbe voluto confessarle che, sicuramente, non avrebbe trovato nessun’altra che si avvicinasse a lei in quanto a genuinità, ma se lo risparmiò, che tanto lei non avrebbe cambiato idea e lui si sentiva già abbastanza coglione.

Il suo due di picche, del resto, lo aveva già ricevuto venti battute indietro. Anzi, no, lo aveva ricevuto quando i loro occhi si erano incontrati e quelli di lei, enormi e luminosi, si erano rabbuiati di colpo, emanando solo timore.

Restò in silenzio, godendosi per un ultimo istante la benefica sensazione che l’essenza di Lin riusciva ad infondergli, volgendo il viso in direzione della porta chiusa. Posò la testa contro lo scaffale, avvertendo un flebile –Cazzo, no- che lo costrinse a voltarsi, a rendersi conto di quanto fragile fosse inspiegabilmente diventata la ragazza…

Non doveva andare così-

Di quanto ancora ci fosse da dire, tra loro…
 

-Io impreco, insulto, non sono educata, non chiedo scusa, non sono fedele, non sono—

-Non me ne frega niente!- la propria voce risultò scoccante, talmente tanto che per un attimo anche le bottiglie sembrarono tintinnare –Non me ne frega niente.- ripeté con voce un po’ più bassa, rauca.

 

Di quanto, il limite della sua pazienza, fosse ormai stato valicato…

 

Si allontanò dallo scaffale, stupendosi di riuscire a reggersi sulle proprie gambe.

-Seung-Hyun--

Richiamato dal modo in cui pronunciava il suo nome, capace di fargli scorrere miliardi di brividi.

-Tu mi piaci, Lin-

I suoi occhi enormi, larghi, così scuri da potervisi perdere, animati da una luce di paura che gli strinsero il cuore, che gli spezzarono il fiato in gola ma che non lo fecero indietreggiare.

-Da un po’-

Il suo respiro trattenuto, la sua paura che collise con la propria.

-E non posso farci nulla.-

 

Di quanto bastasse lei, e null’altro.


 

******

Vicino.

Seung-Hyun era troppo vicino.

E non intendeva solo fisicamente, perché quel termine spaziava in una moltitudine di significati tra i più disparati. No, vicina era un persona che la invitava a casa sua a dormire per vedere una stupida intervista su dei cantati idioti; vicina era una persona che l’aveva accolta con una tazza di latte e cereali mentre le chiedeva come andasse con i ragazzi. Vicino era lui, che era venuto al Tribeca dopo due mesi, nonostante la stanchezza fosse ben leggibile sul viso mascolino, solo per vederla.

Per salutarla, ricevendo in cambio una freddezza non meritata. Per parlare, ricevendo il suo sarcasmo pungente ma che non lo aveva scalfito. Per dirle che gli piaceva e che avrebbe voluto conoscerla, ricevendo in cambio la sua paura.

-Mi hai detto che era solo un bacio.- si aggrappava a quelle piccole cose che li tenevano distanti.

-Non lo è mai stato.- perché lui cercava di avvicinarsi così tanto?

L’odore della sua colonia era così forte da pizzicarle il naso, avrebbe potuto avvertire la consistenza del suo corpo se solo le mani non avessero continuato ad accarezzarle le braccia tatuate. E il suo viso, a così pochi centimetri, era uno spettacolo abbagliante che la costrinse ad abbassare il proprio. A cercare qualche altro pretesto per farlo andare via.

-Io mi stanco facilmente.- deglutì, tornando a guardarlo negli occhi.

-Non mi importa.-

Era come se tutte le sue certezze fossero venute meno, come se le parole che gli aveva propinato pochi minuti prima, mine vaganti pronte ad esplodere nel caso si fosse ostinato a vedere del buono in loro due, non fossero detonate come avrebbero dovuto. No, in verità lui le aveva dribblate con un’agilità che non si sarebbe mai aspettata e che l’aveva lasciata pietrificata. Proprio come in quel momento.

-Non vado bene.-

Le sorrise un poco –Non mi importa.- e lei comprese come un sorriso su di un cartellone pubblicitario, non avesse lo stesso effetto se visto dal vivo.

Avvertì le sue mani sulle guance e fu come se il cuore le fosse stato restituito. Perché lo stava sentendo battere forte nel petto, pulsante e doloroso. Come quella gelida e lontana notte di fine novembre, alla pista di pattinaggio. Coma mai più, dopo la sua macchina che si allontanava nel cuore della notte.

E in un momento di follia incipiente avrebbe potuto sbatterlo a terra e mettercisi a cavalcioni sopra che, tanto, nessuno dei due avrebbe avuto da ridire. Anzi, forse per lui sarebbe pure stato un delizioso regalo di bentornato. Ma quando guardò i suoi occhi per un momento, giusto il tempo di rendersi conto che la sua vicinanza non era una chimera, si accorse di quanto lui fosse davvero buono. E rimase terrorizzata, da tutta questa bontà. Perché i tipi come Seung-Hyun erano riconoscibilissimi: le chiedevano un’avventura e poi se ne uscivano fuori con parole troppo pesanti, costringendola a fuggire.

E, davvero, non voleva che con lui accadesse. Perché per una volta aveva trovato qualcuno che la trattava con rispetto, non come una bambolina con cui divertirsi e perché sapeva che quell’unica notte che gli avrebbe concesso, sarebbero divenute tante, troppe e poi forse non ne avrebbero più fatto a meno.

E lei non era portata per queste cose. E nemmeno le voleva.

Lo sentì muoversi, ma non lo allontanò. Ormai non aveva nemmeno più la forza di respingerlo, tanto quello tornava indietro come uno stupido boomerang. Uno stupido boomerang con mani che si posavano sulle sue guance rosse e con un paio di occhi taglienti capaci di paralizzarla…

-Mi sei mancata.-

Che tornava indietro, facendo capitolare ogni sua certezza.

Fu un sussurro profondo, capace di toccare le corde del suo animo impassibile e poco accorto a ciò che la circondava. C’era così tanta diversità in quel Mi sei mancata, che per un attimo fu costretta ad aggrapparsi alla sua giacca, sopraffatta da quel calore improvviso e bruciante che l’aveva avvolta. E che la stava rendendo gli occhi lucidi, pizzicanti.

Era una frase talmente tanto banale che avrebbe dovuto spingerlo via e chiedergli direttamente se volesse farlo sulle casse di birra o si accontentava di spalmarla sul muro. Ma non ce la fece, non ne ebbe il coraggio. Perché più la guardava con dolcezza, più Lin si rendeva conto di come il suo intento non fosse spogliarla. Magari, beh, anche, ma non era il motivo principale che lo aveva spinto a cercarla. Era come se a lui fosse mancata davvero, come se l’avesse pensata notte e giorno. Era qualcosa che andava oltre i Mi sei mancata… Casa mia o casa tua?, che i suoi amanti le avevano rivolto quando era tornata a casa.

Era completamente diverso.

-Tu no. Per niente.- la voce le uscì tremante.

La sua risata rauca la fece fremere –Lo so.-

Lo vide inclinare il capo e Lin comprese che le avrebbe strappato quel briciolo di lucidità che la teneva saldamente ancorata a terra. E forse le avrebbe rubato un altro bacio, già che c’erano. Un altro bacio che lei avrebbe ricambiato perché, in fin dei conti, la situazione era già peggiorata.

Lin chiuse gli occhi, avvertendo il suo respiro.

Ma le sue labbra, quelle non le assaporò.

Con lentezza, Senung-Hyun aveva cambiato traiettoria e le aveva posate sulla fronte, un gesto talmente tanto delicato e inaspettato da costringerla a sgranare gli occhi e chiedersi se quello non fosse un’allucinazione a seguito della Beck’s ormai finita.

 

-Quindi non ti è mancato?-

-Credo di sì. Non lo so.-

-Già il fatto che tu ci stia pensando, significa che ti è mancato.-

 

Lin deglutì, ricacciando indietro quel nuvolo di parole belligeranti che avrebbero creato più caos di quanto già non ce ne fosse e poi lei, che con le parole faceva proprio schifo, chissà che cacchio avrebbe combinato. Sapeva solo che avrebbe voluto dirgli che per qualche strana ragione anche lei aveva avvertito la sua mancanza, una mancanza che non era riuscita a sopperire sotto nessun lenzuolo, dentro nessun abbraccio. Una mancanza che lui aveva compensato con il suo incerto Ehi.

Una mancanza che aveva rifiutato e che ora la stava sommergendo.
 

-E potresti non scappare, se dovesse venire a cercarti?-

 

A quel punto, perse il controllo.

Portò la nuca all’indietro, costringendolo ad interrompere quel dolce contatto e prima che potesse anche solo pentirsi di ciò che stava per compiere, Lin si alzò sulle punte, lo guardò per due o tre interminabili secondi e schiuse le labbra, assaporando il suo respiro regolare che le carezzava il volto. Solo quando vide le sue palpebre chiudersi, sigillò le sue labbra con le proprie in una lenta carezza, leggera.

Seung-Hyun non rispose subito al bacio, ma poco le importò; finché non l’avesse allontanata, lei avrebbe continuato a risucchiare dentro sé quel calore strappatole e a lungo cercato. Ma quando Seung-Hyun posò una mano intorno alla sua vita esile e l’altra fra i suoi capelli corvini, facendo scivolare il cappuccio rosso, stringendola a sé con bramosia, Lin non capì più nulla.

C’era urgenza nella richiesta muta di poterla gustare più di quanto lei gli stesse concedendo, condita da una delicatezza che nessun’altro le aveva rivolto in quei frangenti; c’era un desiderio che si manifestò con il suo far scorrere la mano sulla sua schiena mentre l’altra si perdeva fra i suoi lunghi capelli corvini, tirandoglieli piano, che si accentuò quando Lin schiuse le labbra e gli permise di assaporarla.

Lindsay fece scorrere le dita sul suo collo, lasciando che vagassero incontrollate fra i suoi capelli neri, sentendolo fremere sotto i propri tocchi delicati. E lui la assecondava in tutto, senza eccedere con le carezze, senza infilare le mani nelle sue mutande con la velocità di Flash Gordon, concedendole solo qualche sporadico bacio sul collo giusto per torturarla un po’.

Per farle comprendere che un milione di lenzuola che avvolgevano milioni di corpi diversi, non valevano un suo semplice bacio, in quel momento…

 

-Mi piaci. E non posso farci nulla.-

 

Che lui, forse, valeva un po’ di più.

 

-Lindsay! Sei qui?-

-Ma dove si è cacciata?-

-Liiin! I clienti vogliono la birra!-

Le voci delle altre cameriere la costrinsero ad allontanarsi, divincolandosi da quel rifugio che erano le sue braccia protettive e che per un istante l’avevano isolata dalle sue fobie e dal mondo esterno a quello stanzino.

Si lasciò riavvolgere dal freddo mentre tornava a respirare a pieni polmoni, vedendolo stropicciarsi il volto prima di passarsi le mani fra i capelli, costringendola a guardare il soffitto pur di ripararsi dalla bellezza di quello spettacolo. Lei, invece, sembrava il remake fatto male della Bambola assassina.

-Sono qui- alzò la voce, almeno di quel poco che ne restava, avvertendo lo sguardo di Seung-Hyun ancora posato sul proprio volto. Sentì i loro tacchettii farsi più vicini e posando la schiena contro lo scaffale, le chiamò –La porta si è chiusa.-

-Sai che non devi chiuderti dentro!- la rimproverò una di loro, costringendola a roteare gli occhi.

-Non è colpa mia.- bofonchiò stanca, restando incatenata allo sguardo enigmatico che il ragazzo le stava rivolgendo. Schiuse le labbra quando avvertì le ragazze tentare di aprire e prima che potessero beccarla con le mani in luoghi non illuminati dalla luce, si premurò di lasciarlo lì, nella stessa, desolante solitudine con cui lui l’aveva abbandonata…

 

-Lindsay.-

Ma lui la chiamò, piano, accorto, e lei non riuscì a congelarlo con il proprio rancore. E si fece più vicino, ancora, depositandogli l’ennesimo bacio sulla fronte che trasmise un calore bruciante…

-Devo andare.- sussurrò sotto i suoi tocchi, sentendosi una Cenerentola un po’ rincoglionita.

Le sue mani grandi sulla sua vita stretta, delicate e non invadenti…

-Ora lo sai, te l’ho detto-

E la sua voce soffiata nel proprio orecchio, che la fece deglutire…

-Mi piaci davvero.-

 

-Oh, finalmente! I clienti sono—

-Aaaah Ma c’è Top!-

-OhMio- Ma è Top!- le ragazze entrarono e lei sgattaiolò fuori dopo aver recuperato la cassa delle birre, tornando a respirare –Mi faresti un autografo?!-

E Lindsay scappò.

Fuggì, lontano dal suo sguardo e dagli schiamazzi delle colleghe che gli chiedevano un autografo e una foto e che, probabilmente, l’avrebbero linciata quando si sarebbero accorte che, per tutta la sua assenza, era stata chiusa in uno scantinato con Choi Seung-Hyun.
 

Sai? L’amore e ciò che lo circonda, non è sempre una brutta cosa.-


No, decisamente, Lindsay non era portata per queste cose.

 

******

 

Non se l’era immaginata esattamente in quel modo la sua chiacchierata tête-à-tête con il leader dei Big Bang.

Nella sua mente da fangirl, Ginko credeva che un ipotetico incontro sarebbe avvenuto fra i flash dei paparazzi, con lei che entrava nel loro camerino con mossa elegante abbracciata dagli sguardi ricolmi di invidia delle ragazze presenti e quelli straripanti di desiderio della fauna maschile. E Ji Yong, sommerso dalla sua accecante beltà, le andava incontro con aria svagata, chiedendole se voleva fuggire a bordo della sua Bentley per tipo una vita intera. Che era un periodo ragionevolmente lungo perché potesse goderselo appieno.

Ma in quel momento, chiusa nel camerino alla disperata ricerca del mascara che le era colato per quelle poche lacrime verste nel privato, al riparo dalle richieste dei clienti e dagli ordini dei colleghi, Ginko si rese conto di quanto una fantasia potesse fare più male della realtà stessa.

Perché i flash dei fotografi altro non erano che le luci ad intermittenza blu del locale, perché la sua movenza era stata l’anti-eleganza, una sequenza di passi incerti mentre il Paradiso si faceva più vicino, un Paradiso che a malapena l’aveva salutata quando si era presentata alle sue porte; perché non l’aveva guardata in nessun maledettissimo modo, osservandola di sfuggita prima di dedicarsi completamente a quelle maggiorate delle sue colleghe o alle ballerine sui cubi…

-Non perdere il tuo tempo con me.-

 

Perché quello, non era nemmeno lontanamente simile ad un Fuggiamo assieme per una vita intera.

Era più rassomigliante ad un Io e te non staremo mai insieme. E mai, era un periodo di tempo ben definito, che era poi uguale ad un Per una vita intera, ma la pesantezza del suo significato era decisamente più lacerante. Si stropicciò gli occhi i pugni chiusi, trattenendo un singhiozzo.

Le sue parole erano state come un arcolaio velenoso e acuminato. E mentre tirava su con il naso, si chiese perché mai, essendo stata punta dalla sua acredine, non fosse morta. Restare in vita con il cuore a pezzi e l’anima maciullata non era decisamente un granché. Anzi, no, era proprio un bello schifo.

Un Toc Toc leggero la costrinse ad asciugarsi gli occhi con velocità, mandando in malora il trucco che le era costato ben due ore del suo prezioso tempo e quando si guardò allo specchio, accertandosi di non sembrare una pazza sclerotica, la Ginko affranta che vi scorse non le piacque affatto: la matita sbavata, il fondotinta ormai sparito… Forse era per questo che GD l’aveva nemmeno troppo sottilmente rifiutata. Era orribile!

-Ginko, sei qui?-

-Ri?!- balzò sul posto, passandosi velocemente un batuffolo di cotone sotto gli occhi rossi.

-Non stai bene?-

-No! Cioè, sì, ah, aspetta!- prese un profondo respiro, sfoderò un bel sorriso e con passo da rana si avvicinò alla porta, aprendola –Ehi! Che ci fai qui?-

Lui le rivolse un sorriso enorme e mentre lo faceva entrare, si chiese perché il suo volto luminoso non le riempisse il cuore come un sonoro sbuffo di Ji Yong –Stiamo per andare, volevo salutarti!- il ragazzo si guardò attorno, studiando l’arsenale di trucchi riversi sulla scrivania. Puntò poi lo sguardo su di lei, il sorriso ora traballante mentre le scrutava il volto con parsimonia –Hai pianto?-

-Mh, cosa?- sventolò le mani –No, ma che dici? Sono solo stanca!- agitò l’indice –E anche tu lo sei. Hai due occhiaie spaventose!- rimase a debita distanza, evitando di stropicciargli il viso sciupato, quasi volesse serbare sui polpastrelli l’essenza della pelle liscia di Ji Yong.

-Io ho sempre le occhiaie.-

-Beh, sì, ma stasera sono proprio vistose- si sentì soffocare sotto il suo sguardo fin troppo serio, condito dal suo socchiudere gli occhi per capire cosa la stesse rendendo così frenetica e circondata di grigiore. Gli sgusciò a fianco, fiondandosi alla scrivania –Sai cosa ci vuole in questi casi? Del correttore!- ravanò fra tutte le cianfrusaglie, distraendosi dai pensieri funesti ed evitando accuratamente il suo sguardo perforante.

Ma giunse il suo sospiro e allora tornò a guardarlo -Non ti piace il regalo?-

-Cos- No!- scosse la nuca -Non è questo!-

 

-Non sei il mio tipo.-

 

-Tu non c’entri.-

-Oh, meglio così!- la sua allegria riuscì a contagiarla per un battito di ciglia, poi si ritrovò ad arricciare le labbra per non piangere davanti a lui –C’entra Lin?-

-Ma va, figurati!-

-Ma dov’è? Volevo salutare anche lei.-

-Con Top.- Almeno lei…

-C’entrano i colleghi?-

-Non c’entra nessuno, R--

-C’entra GD?-

Morse il labbro inferiore e scosse la nuca, incapace di proferire parola. Dire un No ad alta voce sarebbe stato come darla vinta a quel mentecatto seduto a parlare con chissà quale sventola. E dire significava rendersi conto di quanto scema fosse stata a vivere in un’illusione, mandando in fumo quella che era sempre stata una sua filosofia di vita: che l’amore può nascere in ogni dove.

Ri grazie al cielo non la incalzò ulteriormente, limitandosi a biascicare qualcosa che lei non colse e che le permise di tornare a respirare. Beh, almeno finché non tornò all’attacco –Non è che c’entra—

-SeungRi, sto bene, davvero!- con voce stridula, lo interruppe brandendo un rossetto, rivolgendogli poi delle scuse biascicate prima di avvertire le guance bruciare –Sono solo stanca.-

-Dovresti riposarti- mormorò lui pacato, per nulla scalfito dalla sua isteria dilagante -Forse dovresti prenderti un po’ di ferie.-

-Magari dovrei andare lontano.- continuava a trafficare tra i trucchi, pur di non dover sostenere la tenerezza del suo sguardo.

-Forse dovresti distrarti.-

-Forse ho solo bisogno di dormire.-

Forse dovremmo uscire assieme.-

-Sì, forse dovre— con sguardo allucinato, si voltò verso il giovane -Che cosa?!-

-Io e te.-

-Che cosa?!-

-Dovremmo provare ad uscire assieme, così ti distrarresti un po’.-

OhMioDio…

Davvero SeungRi, cantante dei Big Bang, vip di cui aveva appeso in camera almeno un triliardo di foto, le aveva appena chiesto un appuntamento?! A lei?! La Bella addormentata nel bosco dal trucco sbavato e la faccia di una moglie che ha appena scoperto il marito a letto con la segretaria?! Doveva essere appena entrata in mondo parallelo, non c’era altra spiegazione.

Ma quando fu tentata di darsi un pizzicotto per appurare che quello fosse effettivamente un sogno allucinogeno, le parole del ragazzo piovvero in caduta libera, costringendola a ripararsi dietro un silenzio inquieto -So di non essere Ji Yong- lo vide guardarsi le scarpe, un sorriso amaro a fargli traballare le labbra solitamente rivolte all’insù –Ma neanche io sono così male.-

Per un attimo provò un moto di tenerezza nei suoi confronti che la spinse ad abbracciarlo pur di levargli dal volto quell’espressione di sofferenza che poco gli si addiceva. Ma i suoi piedi erano ben ancorati al suolo appiccicoso, così si limitò a guardarlo da lontano, rivolgendogli un sorriso di sincera gratitudine per il suo aver compreso ed essere stato così accorto da non infierire. Era come se quel discorso lo avesse già affrontato ma ancora non vi fosse abituato.

E lei, che di lasciarlo solo in quel momento non se la sentiva, visto che lui era stato così carino da sorreggerla, si ritrovò a balbettare un incerto –D-devo pensarci.- dandosi poi della cretina per aver quasi rifiutato quell’occasione più unica che rara.

-Sul serio ci penserai?- il ragazzo per poco non saltò dall’entusiasmo, strappandole un sorriso divertito.

-Certo, perché non dovrei?-

-Perché ti piace GD.- lo esalò con calma ed ovvietà, come se questo suo punto debole fosse coglibile; ma non la derise e nemmeno si lasciò andare ad avvilenti ramanzine o consigli sul perché dovesse lasciarlo perdere.

La bellezza di Ri, fu lasciarle tutto il tempo di cui aveva bisogno per leccare via le ferite, senza aggravare la situazione.

-Non mi piace- mormorò afflitta –Non così tanto, ecco.-

-Meglio così- la guardò con un sorriso ampio, gli occhi luminosi e sottili prima di darle le spalle e volatilizzarsi alla sua vista. Per poi ritornare, sempre inaspettato -Oh, Noona- lo guardò appena –Sei bella anche con il mascara colato.- e allora lo guardò per davvero, ritrovandosi ad osservare il nulla, visto che la sua figura era scheggiata via.

Si lasciò cadere sulla poltrona con sopra le giacche dei dipendenti, incapace di reggere a tutte le emozioni che l’avevano assalita in un solo colpo nell’arco di una sola nottata. Combattuta tra il dover dire per sempre addio all’unico ragazzo che avesse popolato le sue più irrequiete fantasie e assecondare le richieste di un panda dal cuore troppo grande per essere vero, Ginko si riscoprì seriamente incapace di dire o fare qualcosa di sensato.

Senza più energie. Senza più alcuna forza di combattere. Stanca e sola.

-Oh, eccoti. Il signor Yoon ti sta cercando.-

Sorrise. No, non più sola.

Ginko volse il capo: una Lin rivestita di incertezza, dal trucco sbavato e le mani che si aprivano e chiudevano convulsamente, la stava guardando allucinata sulla soglia, il cappuccio ormai semi sfatto che lasciava intravedere una matassa di capelli corvini simili ad gomitolo.

Le regalò un’occhiata confusa, poi minacciosa, giacché il trucco su cui aveva impiegato ore e ore del suo prezioso tempo era andato ad amichette di Ji Yong.

-Che cosa--

Ma poi giunse la sua voce, veloce come una mitragliatrice –Ho baciato Seung-Hyun.-

E lei, pur nell’immensa gioia che provava per quella novità piovuta dal cielo, si limitò a replicare con un assorto –SeungRi mi ha chiesto di uscire.- dicendosi che per una volta voleva essere lei quella festeggiata, quella a cui capitavano miracoli inimmaginabili.

E non è che si aspettasse un minimo di trasporto da quel polaretto della Moore, eh, chiariamoci. Ma, di certo, non si aspettò che l’amica esalasse quel pensiero che già da un po’ le gravitava per la testa –Oh, beh, è una bella cosa-

Rendendolo talmente vero da farle male…

 

-So di non essere Ji Yong, ma neanche io sono così male.-

 

--Non perdere il tuo tempo con me.-

 

Ma allora, non dovresti essere un po’ più felice?-


 


 

 

 

A Vip’s corner:

Scusate il capitolo infinitamente lungo ed orribile e pure pesante. Sto attraversando un periodo un po’ tanto cosìcosì4 e non è che ci stia granché con la testa, quindi sta cosa non è uscita come volevo ma la pubblico lo stesso perché più la rileggevo, più trovavo errori. E allora tanto vale levarsela dalle balle, altrimenti non ne esco più.

Passiamo alla storia, che è decisamente più importante della mia vita privata: quanto mi erano mancati i vestiti da zoccole del Tribeca Lin e Top assieme? ♥ Spero che non risulti tutto troppo veloce o sconclusionato D: Ho cercato di rendere al meglio i loro pensieri, ma non credo di esserci granché riuscita :/ Però ho dato uno scossone all’ormai appurato triangolo Ri/Ginko/GD ♫… Anche qui, mi spiace se tutto sembra troppo veloce o campato per aria. Cercherò di rifarmi con il prossimo.

I dialoghi di tutti i POV fanno un po’ tanto pena, ma ammetto che questa volta sono stati davvero difficili da scrivere. Dovevano sembrare un minimo reali. Un macello. Spero apprezziate lo sforzo, ma sentitevi liberissime di dirmi se non vi piace la piega che ha preso la storia, se la velocità con cui si sono svolte le cose non vi ha garbato. Tanto accetto tutto ;)

E poi? Ah, sì. Un giorno riuscirò a mettere ad introduzione capitolo una canzone dei Big Bang, ci riuscirò! In questo doveva essere Monster, poi sono arrivati gli Skun Anansie (io vi propongo di ascoltare Secretly, anche solo la prima strofa, per darvi l’idea dell’atmosfera che c’è tra Top e Lin; di sicuro riuscirà a descrivervela meglio delle mie parole -.- E poi cioè… I violini all’inizio. E l’assolo di chitarra… No, cioè… Dio, quanto la amo ♥)

 

E ora, thank you all my dears!: il mio amore nonché un grazie enorme quanto l’infinito di Leopardi va a Yuna_and_Tidus, hottina, lil_monkey, MionGD, Myuzu, kassy382, lallinachan, YB_Moon, Fran_Hatake e Appler_Girl. Voi nemmeno immaginate quanto mi siano state di supporto le vostre parole, e non intendo solo nello scrivere. Boh, mi sembrava di essere circondata da affetto. Va beh, la smetto che così sdolcinata mi faccio schifo xD Ad ogni modo… Grazie, ma sul serio ♥ E scusate se corro a rispondere solo ora alle vostre recensioni, ma davvero, non era in forma per trasmettervi il mio affetto. E ho preferito aspettare, perdonatemi.

Un grazie enorme va anche a chi ha aggiunto Something fra le seguite/ricordate/preferite e chi legge in silenzio ♥

Alla prossima (Con un capitolo migliore e magari meno orrori grammaticali)!

Heaven.

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Capitolo 19
*** Leave out all the rest ***


Capitolo 19

Leave out all the rest

 

You say you wanted more, what are you waiting for?

I'm not running from you

Look in my eyes, you're killing me, killing me

All I wanted was you”

-The kill, 30 seconds to Mars-

 


 

 

 

Top dei Big Bang non era mai stato rifiutato.

Dacché ricordasse, da quando la sua vita da star era cominciata, mai si era imbattuto in ragazze o donne che avessero rifiutato la sua compagnia anche se solo per una notte. Non che potesse parlare di storie durature, dato che le sue sporadiche uscite in quegli anni si erano ridotte ad una cena e un appuntamento sotto le lenzuola, ma nessuna aveva mai declinato tutto questo.

Quasi tutto gli fosse dovuto, Top non si era mai posto il problema che affliggeva tutto il genere umano, in particolare gli adolescenti e tutti quei ragazzi che si ritrovavano a fare i conti con un sentimento che andava crescendo piano piano: che ad una confessione, seguitava un probabile rifiuto.

Le classiche amenità del tipo Mi piaci ma restiamo amici, o ancora Non credo tu sia il tipo che fa per me, e tutte quelle frasi che graffiavano l’orgoglio e lo costringevano a sgonfiarsi, che portavano a chiedersi Cosa c’è, in me, che non va? e che comportavano la perdita dell’autostima, armata di cappio e sedia, pronta ad impiccarsi, non lo avevano più sfiorato.

Top, tutto quello, non sapeva nemmeno dove stesse di casa.

L’amaro in bocca per un bacio negato, il petto bruciante per un secco No ad un suo Sei libera stasera?, l’incertezza di non essere poi questo gran bel ragazzo che tutte decantavano, l’angoscia nel dover affrontare ogni santo giorno lo sguardo rammaricato degli amici, la lacerante sensazione di smarrimento che tutto ciò implicava, che lo costringeva a restarsene chiuso in camera con le luci spente, la musica a palla nelle orecchie e il cuore che continuava a pulsare veleno e fitte di dolore che bruciavano sugli occhi. Che lo rendevano fragile, debole, più umano di quanto avrebbe mai potuto immaginare.

La straziante sensazione, che un pezzetto del suo mondo fosse effettivamente crollato.

Perché era bello, Top, di una bellezza davvero sconvolgente, così gli dicevano; perché aveva una voce baritonale e profonda che raramente si scordava, che le portava all’estasi, mormoravano fra le lenzuola, perché i suoi rochi gemiti nel cuore della notte erano forse il suono più dolce che le avesse sfiorate nell’arco di una vita intera; perché era elegante e raffinato, di un’educazione che raramente si poteva trovare in qualcuno della sua età.

Perché era Top, e solo questo sembrava bastare.
 

-Solo perché sei famoso, il mondo non gira intorno a te!-


Ma non a lei. A lei non importava, lei aveva sempre guardato oltre.

E Choi Seung-Hyun, per tutto questo, portava ancora le ferite. Ed era una sensazione che da tempo non provava e che, detto sinceramente, non credeva si sarebbe più ripresentata. Invece era lì, cinguettante e vellutata, con lunghi e mossi capelli neri e occhi da cerbiatto di un nocciola indimenticabile, corrodendogli l’anima ogni secondo che passava. Rammentandogli quanto poco, il suo status sociale, potesse contare in circostanze del genere.

Era lì che lo opprimeva, quel lacerante senso di vuoto che faceva sprofondare il cuore in un baratro di nera angoscia, quell’indelebile e graffiante sensazione di bruttezza che scalfiva la sua autostima in perenne bilico, quel magone che continuava a soffocare il suo respiro ad ogni ricordo scomodo, ad ogni parola di Lin che ancora gironzolava nella mente offuscata dalla sofferenza.

Si sedette sulla panca dei pesi, un asciugamano posato sul capo a coprirgli il volto, incapace però di nascondere il grigiore del mondo intorno a lui. Alcune gocce solcarono il volto contratto in una smorfia di rassegnazione, scendendo lente fino al mento, infrangendosi sulla moquette grigia della palestra. Per un misero istante credette di essere scoppiato a piangere senza nemmeno aver fatto rumore, ma si rese conto che per quanto le lacrime premessero per uscire, i suoi occhi gonfi si ostinavano a non versarne nemmeno una.

E non ne aveva versata mezza nemmeno quando era sfrecciato davanti ai suoi amici, lasciando in quello sgabuzzino le voci starnazzanti delle cameriere che gli chiedevano, dopo tipo secoli, cosa ci facesse lì con Lindsay; sfuggendo alla musica pressante da discoteca e i gracchi isterici dei fan; alle domande di Dae che, preoccupate, continuavano ad infrangersi sulla sua schiena incurvata. Non ne aveva versate neppure quando si era seduto sul sedile dell’auto chiedendo loro di portarlo a casa, che tanto tutto era stato bello che rovinato e che no, non era poi stato così facile come gli avevano spesso ribadito. E nemmeno quando GD si era installato in camera sua, studiando ogni suo movimento, accucciandosi al bordo del letto vegliando su di lui in maniera un po’ macabra ma tuttavia presente e salvifica, si era sentito in vena di piangere. Così come non aveva pianto quando Tae gli aveva porto un’enorme tazza di caffè senza che gliel’avesse chiesta, quando Dae aveva messo a posto la stanza in religioso silenzio, quando SungRi, pur euforico per motivi a lui ignoti, lo aveva stretto in un abbraccio stritolatore senza proferire parola.

Lui, per lei, non aveva pianto.

Perché era una ragazza, una comune ragazza che aveva rifiutato le sue avances e che non lo aveva guardato in volto prima di voltargli le spalle. Una ragazza che, al suo cospetto, si era comportata come una qualsiasi ventenne, incurante della sua fama…
 

Il suo cercare di fermarla -Lindsay.-

Il suo sussurro incrinato -Devo andare.-

-Ora lo sai, te l’ho detto- il suo trattenerla un po’ più a lungo -Mi piaci davvero.-

E la sua inevitabile fuga.

 

Incurante che lui, di fronte a lei, si sentisse come un qualsiasi ragazzo di vent’anni.

Ricordava ancora che, da bambino, usava rinchiudersi in camera per sfuggire alla vergogna di una dichiarazione andata male, a cui seguitavano le parole ripiene di amorevolezza di sua madre di cui, però, voleva fare a meno. Perché era imbarazzante tornare a casa con le guance paffute rosse per la corsa e ricoperte di lacrime, così come era imbarazzante venir consolato perché le ragazze non coglievano la sua vera bellezza, così come era patetico sentirsi inadeguati solo perché la bella della scuola aveva criticato la sua mole non proprio da peso piuma.

Tutto quello, Seung-Hyun, credeva di esserselo lasciato alle spalle.

Si stropicciò il volto mentre udiva un chiacchiericcio fastidioso provenire dall’esterno della sala; storse il naso al pensiero che qualche rompipalle sarebbe potuto giungere a far svanire quella cappa di solitudine che lo aveva avvolto. Una solitudine che da tanto non aveva sentito l’urgenza di stringerlo forte a sé…
 

-Cuore mio, apri la porta.-

-Non mi va.- alzare il volume della musica per tenerla fuori.

Ma udire lo stesso la sua dolcezza –Sai di essere bello così come sei, vero?-

Gli occhi che si riempivano di pianto…

-Non dubitarne, mai.-

E le lacrime, che uscivano per davvero.

 

Fino a che Lin non era piombata nella sua vita da star. E la monotonia del suo lavoro era stata scalfita, sgretolandosi nel giro di qualche mese, abbattendo quel muro di solitudine con una Coca Cola, qualche libro, parole sferzanti e una diversità che gli aveva aperto gli occhi.

E lei, senza sforzo alcuno e forse senza nemmeno volerlo, era divenuta la sua normalità.

Perché, davvero, tutte quelle piccole cose che lo avevano allontanato dalla sua antica quotidianità erano tornate indietro, piano e spontanee, quasi fosse giunto il momento della sua rinascita. I discorsi che vertevano su tutto e niente ma mai su di lui, sul suo aspetto, le sue doti canore o il suo lavoro. Il suo trattarlo con distacco, senza rendersi quantomeno gradevole se non quando le circostanze lo richiedevano…

 

Non l’ho fatto per i soldi.-

-E allora perché?-

-Non c’è un perché- si massaggiò il collo –Ho sbagliato e ho rimediato, no? Non l’ho fatto per te-

E il suo sorriso, acerbo e luminoso –Ma grazie comunque.-

 

Il suo rispondergli sgarbata perché era ingestibile e chissenefrega se lui guadagnava il quadruplo di lei o riempiva le riviste di un giornale o i tabelloni pubblicitari…

 

Ma c’è il caffè. Tu non bevi il caffè?-

Lin alzò le spalle -Ho voglia di the.-

-E allora cosa lo hai preparato a fare?-

E’ per te, no?-

 

La colazione appena fatta in cucina, l’aroma di caffè, quel senso di familiare dolcezza che era venuto a mancare e che lei aveva riportato indietro senza chiedergli il permesso…
 

-Io faccio Mario.-

-Ma io non voglio essere Luigi!-


Il poter giocare alla playstation con sottofondo le sue naturali imprecazioni, la costante sensazione che lei vedesse un ventiseienne come tanti, tra i tanti, e non un conto in banca con più di tre zeri…
 

-Seung-Hyun, scusa. Non so cosa mi sia preso.-

-Seung-Hyun, non è successo niente.-

-Seung-Hyun, è tardi.-

Seung-Hyun, casa mia è dall’altra parte-

 

-Seung-Hyun, non penso sia una buona idea.-

 

Il suo chiamarlo sempre, sempre, Seung-Hyun. Mai Top. Mai.

E c’era una bella differenza tra le due cose, eh. Top era l’immagine che vendeva di sé, un nome che gli era stato dato da Se7en in persona perché avrebbe fatto grandi cose e sarebbe stato migliore di tanti; era quel ragazzo un po’ freddo e scostante che in talune situazioni tirava fuori il lato scemo di sé, divenendo il Bingu per eccellenza; quello che si vestiva in maniera sgargiante e vistosa, quello che saliva su di un palco irradiando le fan con la propria luce, quello che era nato dalle ceneri di Tempo. Quello che otteneva tutto con un solo sguardo.

Seung-Hyun, invece, era l’insieme di tutto ciò che rappresentava. Era quello che imprecava, che rispondeva sgarbato, che amava il caffè, che si chiudeva in camera quando le cose non andavano e i problemi divenivano troppo grandi per poter essere affrontati; quello che la portava al palaghiaccio e si comportava da ragazzo nevrastenico, che correva come un dannato al Tribeca solo per vederla un’ultima volta e che ritornava sul luogo del misfatto per ribadire che sì, provava qualcosa per lei. Era lui, in tutta la sua imperfezione. E che non otteneva niente nemmeno se ci provava con tutto sé stesso, accantonando i dubbi.

E Lindsay aveva sempre accettato tutto, di lui. Ma ora non più. E questo, più di tutto, stava contribuendo a far crescere in maniera smisurata la delusione. Una delusione che aveva radici profonde e che lo riportavano indietro nel tempo, facendo riemergere ricordi dolorosi e che credeva di aver seppellito.

 

-Eccoti qui!- alzò lo sguardo semi nascosto dall’asciugamano pendente sul capo, un alone di confusione ad intorpidire i lineamenti madidi di sudore –Ti ho cercato per tutta la YG.- un sorriso si dipanò su quel volto delicato e a lui sembrò di vedere un po’ di luce alla fine di quel tunnel.

-Dong Wook.- lo salutò appena, tornando a fissare l’interessantissima moquette.

Il ragazzo trascinò con sé un silenzio sospeso, inciso dalla leggerezza con cui la porta era stata chiusa; di quelli in cui si aspetta che qualcuno cominci a chiacchierare per spezzarlo, di quelli che lui, in quel momento, avrebbe volentieri evitato. Perché aveva la testa altrove ed era in procinto di scaraventare uno dei tanti pesi colorati contro gli specchi che decoravano le pareti, con la speranza che il nervoso si degnasse di abbandonare il suo corpo. O magari li avrebbe lanciati contro quella specie di Omino Michelin che aveva fatto la propria entrata scena, così avrebbe abbandonato quella sala.

Avvertì un lembo dell’asciugamano sollevarsi e quando alzò il capo, lo sguardo scrutatore dello Hyung invase il suo campo visivo –Pensavo saresti stato più felice di vedermi- si lagnò con un sospiro, assumendo quel tipico atteggiamento da fidanzatina che, vedendolo rincasare da un lungo tour, si sentiva trattata freddamente –Insomma, non ci vediamo per un bel po’ e tutto quello che sai dirmi è Dong Wook?!- lo imitò malamente, strappandogli una breve e roca risata.

-Siamo stati insieme per due mesi.- sottolineò facendogli il gesto con le dita, come a volergli dire che era stato un periodo di tempo pure troppo lungo.

Se7en portò le mani sulle guance –Sono stati i mesi più belli della mia vita, Seung-Hyun- migliaia di cuoricini raccapriccianti lo colpirono in pieno volto, ora abbandonato dal maledetto asciugamano che si era rifugiato per terra, ma tuttavia non riuscì a guardarlo con fastidio. Insomma, quello aveva portato con sé una tale ventata d’aria fresca che proprio non se la sentiva di cacciarlo fuori –Andiamo, me lo dici subito che ti è successo o ti devo offrire una cena?- mormorò poco tornando serio, inclinando il capo, le mani infilate nei pantaloni e lo sguardo preoccupato tipico di un fratello maggiore che ha beccato l’adorato fratellino a guardare film porno.

Top osservò alcune ciocche dei suoi cappelli rossicci fuoriuscire dal cappello nero, poi tornò a fissare davanti a sé –Perché dovrebbe essere successo qualcosa?- in questi casi, l’unica arma vincente era la calma e la pazienza; se anche una sola di queste avesse vacillato, Dong Wook avrebbe colto il suo malumore e si sarebbe prodigato a far chiarezza in lui. Ma non voleva l’aiuto di nessuno in quel momento. Sentiva che doveva raschiare il fondo di quel maledetto baratro oscuro prima di poter risalire e venir illuminato dall’accecante luce del sole.

Ma Se7en non era uno sprovveduto, non si faceva abbattere da dei saluti senza convenevoli e quell’aria di pesante angoscia che sovrastava la sua figura, e infatti eccolo lì, ad esalare poche ed efficaci parole -Perché ti rintani sempre qui quando qualcosa non va- Top si lasciò sfuggire un sorriso amaro, conscio di non essere poi così bravo a nascondere le cose all’amico. Ricordava di quando, appena entrato alla YG, subito si era trovato in difficoltà con quella stronza della danza, venendo più e più volte rimproverato dal coreografo. Perché era negato, perché la sua memoria vacillava quando si trattava di imparare che no, la giravolta non andava bene al terzo tempo. E allora si nascondeva in palestra, accucciandosi in un angolo mentre lasciava che il magone passasse e che fuori dalla stanza, tutto sembrasse meno terribile –Quindi? Lee Jaewook ti ha ancora detto che sembri un tronco di legno?-

-No.- Ha detto che sua nonna morta balla con più ritmo.

Eppure, non erano i cazziatoni di quella giornata ad aver stuzzicato il suo senso di solitudine, che lo avevano spinto ad evitare di incrociare gli sguardi amareggiati dei compagni e a sbattersi dietro le spalle la porta della sala prove, percorrere a passo funereo i corridoi del palazzo e crogiolarsi lì, dove non pensava qualcuno sarebbe effettivamente accorso in suoi aiuto. Perché da quella famosa notte al Tribeca, nessuno aveva più toccato il tasto Lindsay; perfino Ji Yong se ne era guardato bene, dichiarando la resa con uno stranamente delicato Quando vuoi parlare, dai un pugno a Ri, così caccia un urlo ed io arrivo…

-Ji Yong vuole ancora che facciate un ritiro dedicato alla danza?-

-Perché pensi che la danza sia il mio unico problema?!-

-Perché fai schifo.-

-Sono migliorato, eh.-

Soppesò le sue parole, facendo ciondolare la nuca –Sì, ma non abbastanza.-

-E comunque, no.-

No, era qualcosa di più scontato e che, a dir la verità, raramente lo aveva ridotto ad un simil straccio. Che scavava nelle pieghe del suo animo, tirando fuori la cattiveria a lungo sopita, quel senso di delusione misto a vergogna che continuavano a premere sulla bocca dello stomaco, sul cuore, sulle labbra. Era qualcosa che era sparito…

-Hai litigato con gli altri?-

-No.-

-Il CEO ti ha mandato un messaggio di rimprovero?-

-Figurati.-

Che non gli era più ricapitato, da quando era entrato nei Big Bang.

-C’entra la tua amica?- gli occhi castani si sgranarono –Lindsay, mi pare.-

E che aveva un nome capace di fargli perdere più di un battito e spezzargli il respiro, ora fossilizzatosi nella trachea, creando un nodo di parole che si rincorrevano fra loro. Lo fissò allucinato, chiedendosi come fosse possibile che, alla fine, tutti arrivassero a quella soluzione. Ed era snervante, tutto ciò, perché prima che lei arrivasse con il suo sciocco vestito da poliziotta e il suo caratteraccio, lui mai si era sentito così inutile.

Storse il naso e si grattò la nuca umida, scuotendola con vigore -Lei non c’entra.-

Il sorriso pendente sulle labbra dello Hyung gli fece comprendere come non lo avesse preso sul serio -Fai schifo anche a mentire- e il proprio cuore, pendente sul filo di una crisi isterica, cominciò a pulsare sempre più forte, tanto da far male. Se7en si schiarì la gola, apparentemente intenerito dal suo comportamento da moccioso scassapalle –Un uccellino mi ha detto che qualcuno, qui, si è dichiarato platealmente. Forse è questo il problema?-

Seung-Hyun gettò la nuca all’indietro, ricacciando in gola uno smadonnamento coi controcazzi.

Oh, ma dai… Pure Dong Wook ci si metteva? E che palle, no sul serio, che palle! Da quando quella stupida intervista aveva fatto il giro del globo terrestre, tutti alla YG si erano presi la briga di rammentargli quanto carino e dolce fosse stato il suo cercare di mantenere un minimo di privacy sulla loro love story. Che poi… Love story non è che ben descrivesse quel rapporto altalenante che aveva instaurato con la Moore, eh. La loro era più una relazione tra sociopatici, ecco.

-Che sparino all’uccellino.- mormorò caustico, sorseggiando un po’ di acqua pur di tenere impegnata la bocca, stranamente desiderosa di decorare la palestra con epiteti poco galanti a chiunque le capitasse a tiro.

-Credevo amassi gli animali.-

Lo ignorò  –E poi lo so che hai visto l’intervista. Quindi taglia corto e dimmi che vuoi.- sgarbato come mai era stato con il suo Hyung, Top si ritrovò a fare i conti con una strana sensazione di nervosismo che continuava a strisciare come cartavetrata sul proprio cuore, raschiandolo.

-Volevo accertarmi che non commettessi cazzate.- replicò con tono assorto, quasi stesse ponderando sull’abbandonarlo al proprio destino oppure restare e vedere quando profonda fosse la tana in cui il suo cervello scemo si era rintanato, circondato da birre e gelato al cioccolato. Beh, almeno in quel momento di depressione, lui aveva saggiamente deciso di buttarsi sul tapis roulant, così i suoi chili e le calorie continuavano a lodarlo per non essere precipitato nello sconforto più totale.

-E perché dovrei?-

-Perché ci sono passato anche io- gli sorrise dolcemente, con quella sua strabiliante capacità di farlo sentire un po’ più sereno nonostante vedesse tutto nero e senza vie d’uscita –E so quanto può essere terribile vedere la propria privacy venire a mancare.-

Seung-Hyun abbassò il capo con indolenza, sottolineando quanto ciò che era appena stato detto non corrispondesse poi così tanto alla verità. Era vero, la sua privacy dopo l’intervista aveva fatto i bagagli ed era partita per le Maldive dicendogli Forse un giorno tornerò!, il tutto corredato da una lacrimuccia e un fazzolettino bianco svolazzante, ma in cuor proprio sapeva benissimo che quello era il male minore.

Perché la propria privacy non sarebbe stata intaccata, giacché colei che avrebbe avuto l’onore di rovinargliela, aveva deciso di respingerlo. Con occhi enormi e velati di paura, con un bacio colmo di angoscia e passione e con le proprie, inscalfibili certezze.

-Non è questo- mormorò cercando di calibrare la stizza –E poi era diverso. Tu e Han-Byul eravate già fidanzati.-

-Ci eravamo lasciati.-

-Ma vi amavate!- a quel puntò lo guardò con rabbia, commettendo il primo, madornale errore di tutta quella conversazione. Perché alle sue parole colleriche era seguito un silenzio assorto, che l’amico stava sfruttando per misurare quanto appena confessato e scoprire cosa effettivamente non andasse. Top imprecò fra i denti mentre tornava a guardare per terra, le dita che si torturavano e la vaga sensazione di essersi appena infilato in un labirinto di questioni troppo ingestibili –Vi amate, è diverso.- ripeté più tranquillo, sperando che il discorso cadesse lì.

Ma Dong Wook sospirò e Seung-Hyun riabbassò il capo, che tanto nulla sarebbe caduto –E allora dov’è il problema?- l’amico inclinò il capo –Se non vi amate, è più facile da gestire.-

Il rapper lo guardò con malcelato disappunto -Non devi per forza amare qualcuno per doverci uscire assieme, eh.- osservò indispettito, nemmeno fosse una peculiarità dei soli fidanzati quella di potersi frequentare. Per un istante gli diede tremendamente fastidio l’idea di venir psicanalizzato da uno che aveva la fortuna di poter decantare anni di fidanzamento. Perché Dong Wook non avrebbe mai capito cosa si provava a venir rifiutati solo perché non si è in grado di mascherare il proprio crescente desiderio.

-Appunto, se non c’è l’amore di mezzo, tutto diventa più faci--

-No, cazzo, non è più facile!- scattò in piedi, le braccia aperte e la bottiglietta ora rotolante ai suoi piedi. La gola bruciava per le parole che gliel’avevano raschiata, ma Dong Wook non indietreggiò, limitandosi a fissarlo con confusione –Cristo, a me lei piace! Chissenefrega se non la amo ma cazzo, mi piace!- con fiato corto e sguardo infuocato, Seung-Hyun capì solo vedendo la sua aura di incredulità avvolgerlo quanto in là si fosse spinto, andando addirittura oltre quelle che erano le etichette della buona educazione, andando oltre ciò che era sempre stato ai loro occhi.

Divenendo un po’ più reale.

Si inumidì le labbra secche e portò le mani fra i capelli mentre gli dava le spalle, deciso a non guadare lo spettacolo di un Dong Wook seccato che prendeva la propria, fraterna bontà e se ne andava, abbandonandolo al proprio crudele destino. Incurvò le spalle quando avvertì un tonfo secco, segno che l’amico stava preparando la propria scomparsa. Aveva immaginato la porta che sbatteva, una frase in stile “No, senti, ma vaffanculo! Uno viene ad aiutarti e bla bla bla” e amenità del genere, il tutto condito dal proprio malumore che sarebbe andato aggravandosi.

Ma il rumore della porta che sbatteva venne sostituito dal suo sedersi pesantemente sulla panca dei pesi, il Vaffanculo nevrastenico venne rimpiazzato da un sospiro colmo di pazienza e il proprio malumore si acquattò, infrattandosi in un minuscolo angolino del proprio animo tormentato.

E quando Top volse lo sguardo stanco per incrociare il suo, addolcito e rassicurante, comprese che non se ne sarebbe andato. Che la sua giacca adagiata sopra lo zaino, sotto la panca, significavano che la chiacchierata sarebbe stata ancora lunga e che poco importava se avrebbero finito con l’uccidersi. Lui, da lì, non se ne sarebbe andato.

-L’ho detto io che eri preso.-

-Avrei preferito che ti sbagliassi.- mormorò in un soffio, chiedendosi perché non fosse come Ji Yong, in questi casi. Perché il leader, in siffatte situazioni, si rifugiava nella propria camera intimando loro di non disturbarlo, che si sarebbe fatto vivo quando ne avrebbe avvertito l’urgenza; il terzo giorno secondo le scritture, se ne usciva fuori con la barba incolta, vistose occhiaie ad intaccare il volto pallido e un quaderno colmo di appunti che, puntualmente, veniva sbattuto sul tavolo. E con voce profetica annunciava Abbiamo una nuova canzone, e loro capivano che era uscito dal tunnel della disperazione. Lui, invece, si comportava da sclerotico mestruato.

-Che è successo?-

-Ma niente.-

-A me non sembra un niente.- puntualizzò con un pizzico di fastidio, arricciando le labbra di fronte al suo incessante vibrare.

Seung-Hyun sospirò –Niente di importante, solo- si grattò la nuca, avvertendo i nervi tendersi al pensiero di ciò che stava per pronunciare –Credo di aver rovinato tutto. Sul serio, questa volta.-

E Se7en capitolò. Ma capitolò per davvero, eh! Eccolo infatti lì, a stropicciarsi il volto mentre mugugnava frasi sconnesse che non riusciva a cogliere e che gli fecero comprendere come quella situazione, stesse rendendo pazzo anche lui. Gli parve uno psicologo in procinto di dire al proprio paziente un delizioso Senta, si impicchi e facciamola finita.

-Dimmi che non hai combinato qualche cazzata delle tue.- lo rimproverò asciutto, guardando tra le fessure delle dita, quasi temesse di scorgere la verità sul suo volto.

Top stiracchiò le labbra –Troppo tardi.- cercò di apparire calmo e controllato, anche se l’espressione rassegnata dell’amico non lo stava di certo aiutando.

Dong Wook portò le mani fra i capelli, facendo cadere il cappello nero, prima di esalare un affranto –Che hai combinato?- ma lui non fiatò, rinchiudendosi in un ostile silenzio –Ti prego, non dirmi che sei andato da lei.-

-Mi ci hanno trascinato gli altri! Io non volevo andarci!- si lagnò  in propria difesa, peggiorando la propria già patetica situazione.

-Ti prego, non dirmi che l’hai baciata un’altra volta.-

-E’ stata lei, questa volta.- arrossì come uno scolaretto mentre ripensava alla delicatezza con cui Lindsay aveva posato le labbra sulle proprie, e che lui aveva assaporato pur di strapparle di dosso la paura e l’ansia per tutte le parole che erano state pronunciate con fin troppo trasporto.

-Non le hai detto che è stato solo un bacio, vero?- assottigliò gli occhi, incapace di credere che una seconda stronzata del genere potesse essere commessa. Ed effettivamente, ciò non era avvenuto.

-Nah.-

No, è peggio. Molto peggio.

Il viso dell’amico brillò, nemmeno gli avesse confessato di essersi fidanzato ufficialmente con lei e il suo volto mascolino doveva aver assunto un’espressione che ben descriveva tale pensiero, perché di colpo si era rabbuiato, guardandolo ad occhi socchiusi –E allora perché sei così giù?- sbuffò –Dovresti essere contento, no? La ragazza che ti piace ti ha baciato.- un sorriso leggero gli increspò le labbra, quasi volesse trasmettergli un briciolo di serenità.

Ma Top distolse lo sguardo, questa volta incapace di reggere a tutta quella gioia inaspettata.

Che senso aveva festeggiare se tanto quello era stato l’ultimo bacio? A che pro toccare il cielo con un dito se, d’ora in avanti, il cielo sarebbe stato maledettamente grigio? A che pro cercare i suoi occhi nocciola se tutto ciò che vedeva erano gli stessi, velati di terrore? Perché il suo sguardo continuava a tormentarlo, non era un’esagerazione. Poteva ancora scorgerli, poteva ancora carpirne la loro essenza di puro smarrimento. E allora la consistenza delle sue labbra passava in secondo piano, il suo leggero tremolio che lui aveva cercato di far cessare nel proprio abbraccio svaniva, le sue mani che si muovevano delicate fra i propri capelli scuri facevano solamente un male atroce.

Lei, faceva male. Le sue parole erano strazianti. Lacerandolo dall’interno, corrodendo quel poco di speranza a cui si era vanamente aggrappato. E che aveva agonizzato al suo Non penso sia una buona idea. Diamine, se ancora ci pensava, avvertiva la rabbia montargli al cervello.

Prima di vederla scappare con le birre fra le mani, come una ladra. Prima di rendersi conto che quel minuscolo stanzino era divenuto tremendamente stretto, freddo. Prima di rendersi conto che quel suo muto addio, faceva decisamente più male di uno schiaffo o un calcio nelle palle.

E allora, comprese. Comprese ciò che fino a quel momento gli era sfuggito. O per meglio dire, colse ciò che si era rifiutato di accettare, reputandolo impossibile e privo di logica…

-Ma io non le piaccio.-

E che ora risuonò nella stanza, colmo di palpabile certezza.

Fu un sussurro capace di riportare indietro i ricordi molesti, in grado di contorcere il cuore in una morsa straziante mentre avvertiva gli occhi bruciare. Diamine, ma che cazzo gli stava succedendo? Si sentiva un pirla alle prese con il primo due di picche. E sì che di ragazze, all’epoca dei suoi giorni grassocci, ce n’erano state. Ma, come dire, era stato diverso. Lì non aveva avuto modo di poterle assaggiare e allora no, non poteva sentire la mancanza di qualcosa che non aveva mai realmente avuto. Ma quando aveva assaporato il piacere dopo ere, quando si era reso conto che bastava poco per sentirsi bene, ecco, quando aveva perduto quel poco, allora non poteva non lasciarsi sopprimere da quel senso di sconfitta che, ghignante, gli rammentava quanto incapace fosse.

Era talmente incapace che non valeva nemmeno per una sola notte di sesso.

Dong Wook, dopo un primo attimo di titubanza di fronte a tale osservazione, si sistemò sulla panca, riprendendo le redini del discorso -Come fai a dirlo? Magari lei—

-E’ scappata- lo interruppe bruscamente, le mani che stringevano la tuta –Le ho detto che mi piace e lei è scappata- e si fermò, incapace di continuare, sentendosi tremendamente patetico per soffrire in maniera così esposta. Avrebbe voluto raccontargli la scena nei minimi dettagli, ma si sentiva un coglione di dimensioni bibliche e soprattutto, voleva serbare gelosamente dentro sé quello sprazzo di gioia che lei gli aveva concesso, riparandolo nel proprio abbraccio. Una gioia che, a ben vedere, continuava a strappargli quel briciolo di lucidità che gli era rimasta. Una risata priva di allegria sfuggì al suo controllo, ormai sottomesso alle emozioni che vorticavano in lui –Impensabile, eh?- ironizzò indicandosi, scuotendo la nuca.

Se7en deglutì, poi la sua voce pregna di serietà giunse come un pugno in pieno petto -Solo perché siamo famosi, non significa che tutto ci sia dovuto.-

E Seung-Hyun, di fronte a tale verità, non poté non sorridere con consapevolezza, replicando con uno stanco –Me ne sono accorto.-

Grazie a lei…, avrebbe voluto aggiungere, ma decise di custodire questa snervante verità per sé, conscio che tale confessione avrebbe portato ad ulteriori discorsi che non aveva voglia di affrontare.

Se7en gli rivolse un’occhiata dispiaciuta, accentuata dalle labbra fini stiracchiate e dalle dita che tamburellavano sulle cosce -Forse è meglio così, non credi?- c’era delicatezza nella sua voce appena sparsasi nell’aria, quasi non volesse rendere tutto più orribile –Almeno, te la fai passare.-

-Farmela passare.- ripeté poco convinto, massaggiandosi il collo. Il problema era: sarebbe mai passata? E soprattutto, quanto ci avrebbe messo? Accidenti, lui non era più abituato alla pesantezza di tutto questo.

Il sospiro di Se7en catturò la sua attenzione –Meglio ora che dopo- poi, il suo mormorio –Se sei troppo preso, poi diventa un casino lasciar perdere tutto.-

Sorrise mesto al pensiero che tanto, in quel casino, lui non ci sarebbe mai entrato. E comunque, anche avesse deciso di lasciarsi lambire da quel marasma di nuove sensazioni, Lin probabilmente lo avrebbe frenato prima, rammentandogli quanto tutto dovesse sostare nella linea dell’avventura. Che il passo successivo era da evitare, era da bombardare ed eliminare definitivamente. Che le sfaccettature dell’amore, erano il male sulla faccia della terra…
 

-Tu non sei portato per le storie di solo sesso.-


Incredibile come la ragazza avesse colto la sua incapacità di dividere i sentimenti dal mero divertimento senza nemmeno conoscerlo a fondo, quasi avesse tastato con mano la bontà che lui aveva cominciato a donarle senza un motivo apparente, solo perché avevano cominciato a rispettarsi a vicenda.

-Forse hai ragione- mormorò incerto –In fondo, è solo una ragazza.-

Solo un po’ diversa.

-Vedrai che ne troverai un’altra.-

-Già.-

-Del resto non eravate assieme.-

-In effetti.-

-Alla fine, era solo una cotta.-

Sorrise un poco –Già. Solo una cotta.-

Dong Wook non rispose, non disse null’altro. Forse aveva capito o forse si era fatto bastare i suoi monosillabici assensi. Fatto stava che si rintanarono nei propri pensieri. Perché tutto andava bene così. Perché la delusione per un piacere non corrisposto non durava che un attimo, il tempo di un battito di ciglia…

-Che vuoi che sia?-

Il tempo del proprio autoconvincimento. E di un sospiro pesante che non proveniva dalle proprie labbra…

-Passerà…-

Ma tu vuoi che passi?

Sorrise un poco.

Seung-Hyun, del resto, non era mai stato bravo a mentire.

 

*******

 

Ginko Fujii non sapeva fare tante, molte cose.

Per esempio non sapeva usare la lavatrice, riducendosi a lavare tutto a mano pur di non macchiare le magliette bianche; non sapeva resistere ad un bel pianto di fronte ad un film romantico; la geografia non sarebbe mai stata il suo mestiere visto che a malapena sapeva quale fosse la capitale della sua terra natia; non sapeva recitare e infatti, nelle rappresentazioni teatrali scolastiche, si era sempre ridotta a divenire l’albero della situazione; non era brava a lasciare messaggi in segreteria e nemmeno a creare il messaggio per la propria segreteria.

Ma in quel momento di crisi mistica della sua giovane vita, tutto quello non importava. Diveniva insignificante di fronte all’ardua impresa che si stava apprestando ad affrontare. Quella che, sapeva, avrebbe cambiato per sempre il ciclo della propria vita. E forse pure la rotazione del suo minuscolo mondo.

In quel preciso istante, Ginko doveva fare i conti con la propria incapacità di rifiutare i ragazzi.

Stringeva il cellulare rovente fra le manine ingioiellate, al riparo dalle intemperie di quella notte di inizio febbraio, chiusa nel camerino del Tribeca mentre si godeva i propri quindici minuti di pausa. Pausa che presto sarebbe giunta al termine con un nulla di fatto, perché più fissava lo schermo luminoso, più avvertiva una strana vocina mormorarle un fastidioso Stai sbagliando tutto, te ne pentirai!

Scosse la nuca e si inumidì le labbra -Coraggio, Ginko, puoi farcela!-

Strinse i pugni e li agitò mentre scrutava la sezione in cui era piombata, con quel Nuovo messaggio che svettava luccicante e vagamente minaccioso. I pollici cominciarono a pigiare con velocità frenetica e solo quando sentì di aver completato la propria opera, guardò con soddisfazione quelle poche parole che era finalmente riuscita a digitare, un vago senso di orgoglio ad intorpidirle i sensi…

 

Ri, ci ho pensato a lungo.

E’ meglio se restiamo amici. Ah, beh, ma come stai?

 

-Il come stai va messo prima! Prima!- gracchiò a sé stessa, lasciandosi scivolare sulla poltrona piena di giacche e vestiti mentre premeva su Canc. Come voleva che stesse dopo una cosa del genere? Di sicuro non le avrebbe risposto Alla grande!, oppure Mai parole furono più gradite!. Probabilmente sarebbe morto sul colpo e la polizia sarebbe venuta ad arrestarla per aver ucciso una star!

Si stropicciò il volto, sbuffando sonoramente alla propria scemenza che ora se la ghignava, la maledetta.

Un disastro. Un completo e totale disastro.

Ecco spiegato il motivo per cui Ginko non era portata per la sottile arte del Dire di no ad un ragazzo senza ferire i suoi sentimenti; una peculiarità che sin da bambina le era mancata e che la spingeva a chiedersi perché gli sventurati che venivano rifiutati dalle sue amiche, continuassero a correre loro dietro mentre lei, dopo messaggi del genere, si ritrovava sola e senza che il cellulare vibrasse.

Era ingiusto tutto ciò, eh!

-Così non va!- per l’ennesima volta, guance gonfie e broncio infantile, si arrovellò alla ricerca di una frase che avrebbe potuto evitare di far esplodere il cuore del povero SeungRi. Magari il Boom sarebbe stato così potente che tutto il mondo sarebbe perito sotto la sua potenza e allora lei avrebbe potuto evitare certe scomode situazioni che no, proprio non sapeva gestire.

Perché non sapeva dire no. E, soprattutto, non aveva il coraggio di ferire qualcuno.

Aveva provato sulla propria pelle cosa significasse essere rifiutati, la ferita era talmente tanto profonda, bruciante e nuova, che il solo pensiero di procurarne una del genere a qualcun altro le faceva venire il magone. Se quel qualcuno poi era Ri, la situazione si faceva decisamente più complicata. Con che coraggio avrebbe potuto dire no a SeungRi? A lui che era entrato in quello stesso camerino portando un pizzico di gioia di fronte al suo tetro malumore, che l’aveva consolata in maniera bizzarra e senza manifestare il suo dispiacere, solo riversandole contro una preoccupazione che si intravedeva dai suoi sorrisi e le sue parole.

Ricoprendola di una bontà che GD le aveva rinfacciato, quasi fosse una colpa…

-Tu sei troppo buona-


E che la rendeva inferiore alle altre, che la sminuiva, che la faceva sentire inadeguata al suo luminoso cospetto…

-Non perdere il tuo tempo con me.-


Che le faceva pensare di essere davvero un’insignificante ragazzina che aveva perso tempo a fantasticare su di lui. Come una bambina un po’ troppo cresciuta per potersi permettere di appendere poster nella propria camera, di andare ai suoi concerti o di avvicinarsi quel tanto che bastava per realizzare una fetta del proprio sogno…

-Non sei il mio tipo.-

Un sogno che lui aveva infranto con poche ed efficaci parole.

Dovresti smetterla di pensare a lui…

 

-Dovresti smetterla di pensare a lui!-

Corrugò la fronte, sollevandosi sui gomiti mentre udiva la voce della propria mente divenire vivida e reale; solo dopo una porta che si apriva sbattendo e un rumore di tacchi che si muovevano frenetici, comprese come a parlare fosse stata una delle sue colleghe. Che seguiva una Lindsay avvolta da uno spesso strato di proverbiale scazzo.

-Ma a chi?- Lin guardò fra i trucchi sul tavolo.

-Lo sai di chi sto parlando!- l’altra si sistemò meglio i capelli, guardandosi allo specchio.

-No, proprio no.-

-Vuoi che ti rinfreschi la memoria?- mani sui fianchi, Ritsuko la guardò astiosa -E’ più famoso di te, ha i capelli neri e fa il cantante.-

-Anthony Kiedis è stato qui e nessuno me l’ha detto?- l’ironia della Moore si sparse nell’aria e Ginko, acquattata, non poté non ridacchiare scioccamente.

-Top! Sto parlando di Top!-

-Oh, lui- si grattò il naso lentigginoso –Ma va.-

Lindsay Moore, in versione cosciotto di maiale, era stata braccata da una delle cameriere che, la sera del misfatto, l’aveva colta fra le braccia di Top. Con la camicia mezza fuori dai pantaloni e i capelli neri arruffati. Con lo sguardo incazzoso di chi si è appena visto portare via un succulento pezzo di carne. E poi c’era lei, dal trucco sbavato e il seno premuto contro quello del ragazzo. Con l’aria di due amanti che, colti in flagrante, si dividevano nella maniera più indolore possibile: lei fuggiva, lui restava nel loro santuario…
 

-Ma va un paio di palle! Eravate vicinissimi!-

-Lo sgabuzzino è un metro per un metro.-


Ma di una cosa, Ginko Fujii era sicura: quella loro separazione, era stata tutt’altro che indolore.

Perché mentre la accompagnava a casa, aveva scorto sul suo volto l’onta di una colpa non meritata, scaturita dall’aver ceduto alla passione in un momento di debolezza o di voglia improvvisa, di quelle che facevano commettere pazzie e non erano granché spiegabili a parole; aveva colto il tremolio delle sue mani mentre si tastava nervosamente i capelli e aveva udito indistintamente le crepe del suo animo spezzatosi di fronte all’eventualità di aver frantumato il cuore dell’unico che, tra tutti, non si meritava le sue paure. E aveva visto il suo sorriso velato di stanchezza prima di augurarle la buona notte, lasciando dietro sé la scia di un sentimento troppo spaventoso che aveva deciso di rifiutare. Ancora…
 

-Sei impossibile, lo sai?-

-E tu sei pesante.-


Purtuttavia attraversata da questo ricordo, Ginko si disse che Lindsay non sembrava più così fragile e, anzi, sembrava aver reagito bene alle conseguenze di quell’evento epico. E così si mise seduta, guardando quel siparietto.

-Beh, quindi?- si gettò alla ricerca della matita.

-Quindi cosa?- la guardò di sottecchi.

-Cosa ci facevi nello sgabuzzino con Top?-

-Stavamo giocando a nascondino.-

-Sii seria per una volta.- sbottò Ritsuko mentre passava la matita sotto gli occhi.

-Ma è vero- sciorinò la Moore con pacatezza –E se non ci aveste interrotti, avremmo di sicuro vinto la partita.-

Sorrise di fronte alla sua capacità di svignarsela da certi discorsi. Lei sarebbe morta sotto i loro occhi vitrei e minacciosi. Ma l’altra non sorrise. Anzi, si limitò a sbattere la matita sul tavolo, guardandola in cagnesco –Non capisco proprio cosa ci trovino tutti in te.- aveva esalato con fastidio, squadrandola da capo a piedi.

Lin aveva alzato le spalle, un sorriso ad incresparle le labbra –Me lo chiedo anche io.-

-E’ tutto inutile.- aveva sbottato Ritsuko prima di dar loro le spalle e allontanarsi, lasciandole a colare nel loro brodo di incertezze.

Ginko arricciò le labbra, infastidita dall’atteggiamento della ragazza. D’accordo che adorava Top esattamente quando lei adorava GD, e ben capiva l’irritazione che comportava una scena come quella che le si era parata davanti agli occhi, ma il senso di solidarietà veniva meno se pensava che, l’artefice di quella scena, era stata la sua Lindsay.

Così le sorrise raggiante quando si accorse di essere stata scoperta fra tutto quel ciarpame –Tutto bene?-

-Meglio di lei, sicuramente.- borbottò sedendosi davanti allo specchio.

-Dovresti capirla, le piace Top!-

-Provo pena per lei, sul serio- Ginko assottigliò gli occhi a quella sparata, chiedendosi il perché di tutta quella cattiveria -Allora?- e poi udì la sua domanda, chiaro segno che la conversazione sarebbe ora vertente su di lei.

E si sentì avvampare, Ginko, perché da quando si conoscevano raramente si era preoccupata di sé stessa. Forse perché era sempre stata accecata dalla felicità e allora non c’era molto da dire; perfino quelle poche cose interessanti che le accadevano risultavano banali se pensava che, magari, il giorno prima Lin aveva trascorso la serata con Top.

Come se tutto, della sua vita, fosse insignificante.

Così, a disagio, Ginko si preparò a divenire la protagonista della scena  -Allora cosa?- strinse i pugni sulle cosce mentre studiava una Lindsay intenta a far scemare il nervosismo acconciandosi i lunghi capelli.

-Quando uscirai con SeungRi?-

Migliaia di sfumature di rosso dipinsero il volto della Fujii che, boccheggiante, rimase priva di parole di fronte all’audacia dell’amica. Da quando si dimostrava così interessata alla sua vita privata e sentimentale?! Decisamente, il mondo stava crollando -Non-Non ci esco mica!-

-Ah no?- la guardò di sottecchi –Credevo ti piacesse.- alzò le spalle.

La mascella di Ginko andò a trovare il pavimento appiccicoso –Ma da quando?!-

-Hai la camera tappezzata di sue foto.-

-Se per questo ho anche quelle di Top nell’armadio, ma non significa mica che— si bloccò, notando il suo sguardo scioccato –Se vuoi te le regalo tutte tutte.- portò le mani avanti, regalandole un sorriso imbarazzato.

Lin sventolò una mano -Tienitele pure.-

E lei comprese come l’argomento Top fosse assolutamente da evitare. Perché aveva letto una strana luce di fastidio nei suoi occhi, quasi temesse di esporsi troppo dopo tutto quel marasma che era accaduto. Quasi stesse combattendo contro sé stessa pur di non cedere alle proprie paure e scoprire che, forse, non tutto ciò che l’aveva sempre spaventata sarebbe poi stato così terribile.

-Comunque non l’ho sentito- mormorò qualche istante dopo, lanciando un’occhiata all’orologio che stava per segnare la fine della sua pausa –Ho provato a scrivergli, ma non ci riesco.-

-Basta dirgli che vuoi uscire con lui.-

Come se fosse facile, certo! Mica erano tutte come lei, eh! –Ma io non voglio uscirci!-

-No?

-Sì, cioè, no!- portò le mani fra i capelli rossicci, storcendo il naso –Non lo so. Ho paura che sia sbagliato.-

-Uscire con lui?-

-Eh.-

-E perché?-

-Ma come perché?!- gracchiò –E’ SeungRi! Insomma, lui è-Nh, insomma, è—

-Non è Ji Yong, lo so- la interruppe l’altra con pacatezza, aggiungendo un basso -Grazie a Dio- che lei colse e che le fece roteare gli occhi. E Ginko si lasciò sopraffare dal peso che quella constatazione portava con sé, perché nonostante il suo allontanarla, nonostante il suo rendersi inavvicinabile, lei continuava a credere che lui fosse perfetto. Nella sua sgarbatezza, nelle sue macabre torture psicologiche, nei suoi modi grezzi di aiutare gli altri, lui in realtà valeva la pena. E la perdita di tempo per lui non sarebbe mai potuta essere definita tale. Giunse un sospiro e lei tornò a guardarla -Ginko, non sempre riusciamo ad ottenere ciò che vogliamo- aggrottò le sopracciglia scure –Ma a volte, bisogna accontentarsi.-

-Accontentarsi- ripeté mogia, guardandola poi con una punta di fastidio –Ma io non voglio accontentarmi. Sembra che Ri sia un rimpiazzo!-

-E non lo sarà- la sua risposta giunse veloce –Ji Yong non è mai stato il tuo ragazzo. E’ solo una fantasia.- sentiva che quella frase avrebbe necessitato di una spiegazione, come se fosse incompleta. Era vero, GD non era stato il suo ragazzo, con sommo dispiacere, ovvio!, ma ciò non significava mica che lei non potesse sentirsi un po’ colpevole nel dimenticarlo trovando piacere fra le braccia di un altro.

Era pur vero che, la sua, era sempre stata un’immaginazione. Dacché aveva conosciuto i Big Bang, GD era sempre stato il suo preferito; così bello seppur con tratti femminei, così carismatico, un leader nato. Tutto ciò trasudava nelle interviste e lei si era sempre lasciata beare da questa fantasia che prendeva spazio nella sua mente con lentezza. Una fantasia che, ad una più attenta osservazione, non era stata minimamente intaccata nemmeno quando lo aveva conosciuto. Era come se la sua immaginazione avesse plasmato il suo fangherlizzante credo, rendendolo solamente un po’ più sfaccettato. E le era piaciuto in tutta la sua imperfezione. Perché era strano, quasi psicolabile, decisamente ingestibile e a tratti mal sopportabile. Ma era divertente, a suo modo contorto, e gentile anche se raramente.

Era come se una vocina le avesse continuato a dire: ne vale la pena. E, diamine, lei questa pena l’avrebbe davvero voluta provare.

Poi arrivava Ri che… Beh, Ri era Ri! Era dolce, simpatico, alla mano, parlare con lui non era sfiancante, non aveva bisogno di pensare a cosa dire per rendersi più interessante perché lui sorrideva ad ogni sua parola. Era come se tutto ciò che diceva, lui lo ascoltasse per davvero. Come se davvero gli importasse delle cavolate che il suo cervello partoriva senza sosta.

Era più umano, ecco. Ma non per questo meno bello.

Sbuffò di confusione mentre, melodrammatica, portava le mani al cielo -Perché ci piacciono sempre gli stronzi?- Lin non rispose, continuando a giocherellare con le punte dei lunghi capelli -Mi sento così stupida.- mormorò infine, guardandola seriamente.

-Non lo sei. Sono loro che ci fanno sentire così.- replicò Lin dopo aver alzato le spalle, quasi fosse la cosa più naturale del mondo.

-Ma non Ri.- si ritrovò a mormorare con incertezza, torturandosi le mani.

-No.-

-E nemmeno Seung-Hyun.- la vide allargare gli occhi nocciola, scorgendo un lampo di sorpresa attraversarli, questa volta contornati da una pesante aura di angoscia che sembrava non essersi dissolta nonostante il loro evitare l’argomento.

-No, nemmeno lui. Ma a volte- la vide sorride un poco, colpevole, mentre si alzava in piedi –Siamo anche noi ragazze che li facciamo sentire stupidi- Ginko la guardò con rammarico, le labbra piegate all’ingiù e la certezza di non sapere, per una volta, come migliorare il suo umore. Ma forse, a quel punto, solo lei poteva uscire fuori dal tunnel in cui si era infilata. Del resto, se non riusciva a salvare sé stessa, quante possibilità aveva di aiutare lei? -Ginko- la sua voce risuonò pacata, velata di inusuale pazienza e quando sollevò con indolenza il capo, si accorse di quanto vicina fosse Lindsay, seppure velata di indifferenza –E’ solo un ragazzo. Il mondo non sta finendo- sventolò una mano mentre zampettava verso l’uscita –Dai una possibilità a Ri.-

Le sorrise un poco, decisamente più sollevata dopo quella fugace chiacchierata. Si alzò in piedi, battendo le mani mentre la chiamava a gran voce -Oh, Lin!- la vide voltarsi, un velo di curiosità sul volto impassibile –Dagli una possibilità anche tu- la vide irrigidirsi e Ginko continuò –Mia madre dice sempre che è inutile lasciarsi scappare le cose che ci fanno star bene. E’ stupido precluderci la felicità, no?-

Mano sulla maniglia e sguardo sospeso, Lin non rispose e nemmeno disse quanto le idee di sua madre fossero stupide, non quella sera. Semplicemente, assimilò le sue parole e quasi avesse colto il loro significato, se ne andò con un serafico -Dovresti ascoltarla anche tu.- che lasciò dietro sé meno confusione e più semplicità.

E allora mandargli un messaggio con su scritto Ti va di vederci quando sei libero?, le parve meno terrificante di un catastrofico Restiamo amici; perfino il senso di colpa non si presentò, giacché nulla era ancora accaduto tra lei e GD o con Ri. Che restare fossilizzate in un sentimento che non sarebbe mai evoluto, l’avrebbe portata sull’orlo della disperazione e che, a questo punto, poteva gestire il proprio tempo come meglio credeva. Che tanto nessuno si sarebbe fatto del male. E che lui non lo avrebbe comunque voluto.

E anche quando il cellulare aveva cominciato a vibrare, poco prima che scappasse a servire i tavoli, l’ansia non l’aveva rivestita e nemmeno era passata a trovarla, quasi tutto quello fosse la cosa più naturale del mondo. Che compiere una scelta, non avrebbe portato per forza a degli sbagli.
 

-So di non essere Ji Yong, ma neanche io sono così male.-

-Ma a volte, bisogna accontentarsi.-

 

-Non sei il mio tipo.-

 

Era vero, il mondo non stava finendo, non per lui…

 

Non vedo l’ora, Noona! o(^^)o

 

E bastava così poco, per vederlo di nuovo brillare.

 

*********


-Linnie! Guarda qui?-

Il volto luminoso di Minji si infranse sul proprio, velato di impassibilità e un pizzico di fastidio dovuto a quella fredda e uggiosa giornata di febbraio. La pioggia scrosciava, infrangendosi sulle strade trafficate, sommergendo i suoi pensieri contorti e sfuggevoli, che continuavano a scapparle dalle dita anche quando credeva di averli acciuffati.

-Ti sporchi i— l’ennesima pozzanghera fece la conoscenza di sua sorella –Vestiti.- con indolenza, il capo cadde in avanti mentre le mani dapprima sventolanti, andarono ad infilarsi nelle calde tasche della giacca.

-Hai visto come sono brava?- e Minji sorrideva, di un sorriso talmente allegro da irradiare la via chiassosa, rendendo perfino un po’ più piacevole il suo sostare sotto la capannina della fermata dell’autobus, perché quel maledetto di un tempo aveva pensato bene di gettarle contro uno tsunami proprio quando le era toccato andare a raccattare la sorellina a scuola. E lei, che proprio l’auto non voleva nemmeno guardarla negli enormi fari, si era ritrovata a dover correre come una disperata sotto quell’unico riparo, in attesa di un pullman che, probabilmente, stava arrivando dalla Luna tanto era in ritardo.

-Puoi stare un po’ ferma?-

-Ma è divertente!- le sorrise ampiamente –Con mamma non posso farlo!-

E Lin scosse la nuca, piano. E le sorrise un poco, quasi fosse grata del suo essere così euforica, capace di distrarla da una sequela di pensieri che proprio non volevano smetterla di darle il tormento. Pensieri che non necessitavano di approfondite analisi per comprendere che vertevano su di un pirla dai capelli neri, lo sguardo tagliente e che lei pensava non avrebbe più rivisto. E che compariva ai suoi occhi con imbarazzo, inaspettato. Assolutamente destabilizzante.
 

-Credo che dovremmo conoscerci meglio.-


Quello doveva essersi preso qualche strana radiazione lì, in Giappone.

Tornarsene indietro e uscirsene fuori con certe dichiarazioni, esalate con una passionalità che nessuno le aveva mai riservato in quei contesti, una passionalità che le aveva riversato anche quando aveva ricambiato il suo bacio, dettato da un momento di scemenza fulminante. Una passionalità che aveva fatto incrostare il suo cuore di terrore e che, alla prima occasione, le aveva gridato a gran voce di andarsene, di scappare al riparo, che stare chiusa in quello stanzino non avrebbe portato altro che guai. Perché nessuno le aveva mai detto di volerla conoscere, perché la conoscenza implicava un interesse che andava al di là del mero sesso. Era più coinvolgente, ecco. E lei non ci era abituata.

E se solo Lin ripensava al perché di quel suo gesto impulsivo, quel bacio febbricitante, proprio non riusciva a darsene pace e nemmeno una risposta, a dirla tutta. C’era che lei, la sua mancanza, l’aveva avvertita inconsciamente per quei due mesi e quando lui era ripiombato a sommergerla di parole troppo pesanti, si era sentita invadere da quel senso di abbandono che dapprima l’aveva solo sfiorata, spandendosi, investendo anche lui. E Lin aveva deciso di starsene zitta, perché se avesse parlato avrebbe peggiorato solo la situazione già sormontata da uno spesso strato di angoscia che lei, con le proprie fobie, stava solo contribuendo ad alimentare…
 

-Mi sei mancata.-

E che quello, per lei, era l’unico modo per dirgli quanto le fosse mancato.

Il suo sorriso, la sua risata roca, la sua strabiliante capacità di riuscire a farla sentire talmente a proprio agio da strapparle di bocca qualche parola in più. Anzi, no, non strappargliela… Lui riusciva a farla parlare, che era diverso.

Perché se c’era una cosa che i ragazzi avevano sempre amato ripeterle, era che a lei le parole andavano tirate fuori di bocca con le pinze, altrimenti non parlava e allora la conversazione veniva portata avanti solo da loro e allora che noia che era, del resto, mica volevano solo scoparsela! Eccerto, mica volevano solo quello, da lei. Peccato che l’avessero abbordata con quel preciso intento e se poi si lasciavano un po’ troppo prendere, allora non era colpa sua. E così si ammutoliva, Lindsay, diceva sempre meno parole, evitava il contatto fisico perché preferiva sentirli ciarlare, così non le avrebbero chiesto di spogliarsi e di infilarsi sotto le lenzuola. E allora capiva che la loro frequentazione era arrivata ad un punto morto. E se ne andava, Lindsay, sotto i loro insulti pregni di dolore, lasciandosi indietro un’altrettanta dose di cinismo e sarcasmo che fungeva da riparo; sotto i loro sguardi iracondi a cui lei reagiva con magistrale indifferenza. Sotto il rumore della porta che sbatteva o di un Tu Tu Tu oltre la cornetta.

Ed era sempre stato così. Sempre.

Dagli una possibilità anche tu.

Mia madre dice sempre che è inutile lasciarsi scappare le cose che ci fanno star bene.

E’ stupido precluderci la felicità, no?-

 

Fino a che Seung-Hyun non era tornato, sbaragliando ogni sua certezza.

Perché le parole erano volate, schiantandosi su entrambi i fronti come bombe pronte ad esplodere, ma nessuno dei due aveva osato mancarsi di rispetto. Lei aveva solo cercato, per una volta, di salvaguardare il cuore di qualcuno, arrivando addirittura a spendere qualche parola in più pur di non tenerlo legato a sé; lui invece aveva insistito. Testardo, senza perdersi d’animo e con una passione che l’aveva travolta e quando si era resa conto che quello stanzino era diventato troppo piccolo, che le sue paure la stava schiacciando, allora si era smarrita sulle sue labbra, che tanto peggio di così non poteva andare. E quindi il contatto fisico era stato l’unico modo per non arrivare ad un punto morto, per poter vedere se oltre la barricata ci sarebbe stato un nuvolo di vie pronte da essere percorse.

E quando si era resa conto che così era stato, allora basta. La paura aveva preso il sopravvento, lui le era parso un mostro pronto a metterla in gabbia e il suo sguardo, diamine, il suo sguardo era stato di un’amarezza tale che per un istante avrebbe voluto chiedergli di uscirsene per primo, che mentre camminava non riusciva a sopportarlo sulla propria schiena, perforante e lacerante. E la porta che sbatteva era stata sostituita da un suono pieno di dolcezza, un sussurro che le aveva fatto perdere un battito…
 

-Ora lo sai, te l’ho detto.

Mi piaci davvero.-


E che lei aveva visto come l’inizio della catastrofe.

Minji saltellò nell’ennesima pozzanghera, sorridendo divertita quando si macchiò la lunga gonna della divisa. Lin la guardò di sottecchi, invidiando per un breve istante la facilità che l’avvolgeva, il suo accontentarsi di così poco per riuscire a trovare un minimo di positività in quella uggiosa giornata di febbraio che a lei sembrava solamente uno sciocco pretesto per farsi le pippe mentali. La semplicità che, all’epoca dei suoi dodici anni, aveva visto sfumare come acquerelli su di un foglio.

Scosse la nuca, accorgendosi che Minji, ora ferma con i piedi che pucciavano in una pozzanghera, la fissava incuriosita -Linnie-

-Non chiamarmi Linnie.-

-Linnie- sì, va beh –Perché non hai ancora il fidanzato?-

E Lin morì. Ad una fermata del bus. In un giorno di merda. A volte se ne usciva fuori con queste domande alla Ginko che le mettevano i brividi. Ma ancora più spaventoso era che Minji aveva solo dieci anni; al posto di parlare di fidanzati, avrebbe dovuto raccontarle di come si era divertita a rotolarsi nel fango a scuola, quel giorno.

-Perché non mi interessa.- sciorinò sbrigativa, sporgendosi un poco per vedere se il maledetto bus si degnava di giungere.

-Oh, ma sei così bella!- ma che associazione di idee era mai quella?! Non è che essere belle significava essere propense all’essere subito incastrate, eh! E poi, lei, di tutto quello non aveva bisogno. Che se ne faceva di un ragazzo da presentare ai genitori? A che le serviva qualcuno che la coccolasse o le dicesse frasi smielate? Tanto avrebbero finito con l’annoiarsi. Con conseguenti porte che sbattevano…
 

-Perché potrei spezzarti il cuore.-

-E io forse spezzerò il tuo.-


E cuori che si frantumavano. Quelli, poi, facevano un rumore insopportabile.

Si strinse nel giaccone, avvertendo il freddo incanalarsi nelle vene, dolendole le ossa -Un giorno crescerai e capirai.- le aveva risposto con noia, conscia che Minji non si sarebbe addentrata ulteriormente nelle sue elucubrazioni mentali.

-Ma non c’è nessuno che ti piace?- aveva domandato facendo una giravolta un po’ malandata. No, decisamente Minji non era ballerina provetta.

Lin studiò il suo impermeabile che richiamava un panda, con quelle enormi orecchie sul cappuccio ora abbassatosi. Ma di studiare le sue parole, a quello nemmeno ci pensò. Perché se anche avesse detto che qualcuno c’era, che qualcuno che avrebbe volentieri spogliato effettivamente esisteva, le cose sarebbero cambiate?

-Forse…-

Sarebbero davvero cambiate?

-Non lo so.-

-Come non lo sai?-

Perché il pensiero di saperlo suo, la spaventava da morire? Del resto, era un ragazzo. Bastava concedersi un po’ e lui sarebbe stato felice, lei pure. Cosa c’era di così spaventoso in qualcosa che lei aveva sempre accettato?

-E’ complicato.- borbottò in risposta, rannicchiandosi un po’ di più per ripararsi al gelo che quel discorso stava portando. Lanciò un’occhiata bieca alla bambina; per essere una mocciosa di dieci anni, se ne usciva fuori con discorsi troppo difficili da reggere.

E infatti, come volevasi dimostrare, Minji si era fermata, guardandola ora con sguardo interrogativo –Perché è complicato? Se un bambino ti piace, allora glielo dici e tutto passa- sì, e poi l’avrebbero arrestata per pedofilia. Oh, andiamo! E stava pure lì ad ascoltarla?! Ma quando cazzo arrivava quel maledetto pullman?! –E poi se non ti piace più lo lasci- Minji aveva una visione decisamente semplicistica delle relazioni. E forse pure un po’ contorta –Anche papà ha lasciato la tua mamma perché non si piacevano più, no?-

 

La pesantezza di quel discorso -Mamma e lui hanno divorziato e il giorno dopo ha preso e se ne è andato.-

Non ti sei mai chiesta il perché?-

E la facilità di riuscire ad esporsi, con lui

Sapere perché se ne andato non lo avrebbe riportato indietro.-

 

E Lin la guardò ad occhi sbarrati.

Lo spettro dei suoi ricordi più dolorosi tornarono a farle visita, costringendola a deglutire più volte pur di non soffocare, spingendola a farsi tutte quelle domande che da piccola non avevano avuto risposta e che ora, da grande, aveva accantonato come Casi Irrisolti. Un velo di rabbia aveva reso lucidi i suoi occhi, una sfumatura di collera a dipingerle i lineamenti contratti e tremanti. Ma non vibrò, Lin, di fronte a tale semplicità non riuscì a fare nulla. Si limitò a mormorare un lugubre –Non sono affari tuoi.- che fece più male a sé stessa che alla bimba, ora intenta a chiamare un gatto indeciso se attraversare o meno la strada. Ed ebbe la sensazione di star sprofondando, che se non si fosse mossa da lì, probabilmente sarebbe crollata a piangere senza un apparente motivo e con la vaga sensazione di essere ormai sull’orlo di un baratro senza fine…

-Mi dispiace.-

-Per quanto possa valere… Tu non sei banale.-

 

-Puoi restare… Non mi dai fastidio.-

 

-Mi sei mancata.-

-Sei meglio di molte altre.-

-Mi piaci davvero.-

 

E subito la sua dolcezza tornò ad avvolgerla, a lambirla, riportando un po’ di luce. Come se riuscisse a lenire un po’ dei suoi dolori. Che lui, senza nemmeno rendersene conto, la faceva stare bene. E se per un po’ avesse abusato di questa sua bontà, solo per stare meglio, che male ci sarebbe stato? Bastava lasciarsi a tempo debito, bastava non lasciarsi andare…

-Tu non sei portato per le storie di solo sesso.-

-Potrei sorprenderti.-

Bastava crederci, perché no?

E a quel punto, non seppe nemmeno lei cosa le stesse prendendo, fatto stava che si alzò e a passo lento si avvicinò a Minji. Si accucciò davanti a lei, studiando il suo visino imbronciato per qualche secondo. Si tolse la sciarpa e la avvolse intorno al suo piccolo collo, coprendole le labbra che stavano cominciando ad assumere un preoccupante colorito viola.

Fu in quell’istante che si sentì una completa imbecille –Ti va di andare a casa di amici?- che, ovviamente, sparava cazzate random giusto per gradire.

-A casa di amici?- Minji inclinò il capo –Mamma e papà non vogliono che vado a casa degli sconosciuti.- puntualizzò annuendo.

Lin roteò gli occhi –Non sono sconosciuti. Sono miei amici.-

-Ma io non li conosco.-

-Sì ma— oddio, questa mocciosa somigliava tremendamente a suo padre quando ci si metteva. Da grande sarebbe divenuta una scassa palle di prima categoria. Sospirò mentre abbassava il capo con indolenza e senza ribattere, le sollevò il cappuccio dell’impermeabile con le orecchie e gli occhi a forma di panda, alzandosi in piedi.

Le diede le spalle e mentre si incamminava sotto la pioggia, sgusciando dalla tettoia della fermata del bus, udì la sua voce stridula e incrinata –Do-dove vai?-

-Dai miei amici- volse il busto, vedendola sporgere il labbro inferiore per essere stata lasciata da sola; guardò il cielo plumbeo e allungò una mano –Muoviti. Non ti prendo in braccio, sia chiaro.-


Il suo sorriso illuminò il grigiore della giornata e per un attimo si dimenticò del suo essere talmente tanto spontanea da riportarla indietro nel tempo, senza cattiveria, con quell’ingenuità da bambina che lei aveva perduto e che sperava non succedesse a Minji…

Le tirò la manica -Linnie?-

-Nh?-

-Sta arrivando l’autobus.-

-Chissene.-


Tanto, non l’avrebbe portata dove stava andando.

 

*******

 

Choi Seung-Hyun stava meglio. Non bene, ma meglio.

Da quando aveva parlato con Se7en, sembrava quasi che la sua vita fosse giunta ad un bivio: crogiolarsi nella disperazione più totale o uscirne fuori come tutti, anche se con un po’ di fatica in più. E lui, unendosi alle risate degli amici per la cazzata appena pronunciata da Ri, si disse che voleva uscirne. Che era abbastanza cresciuto per piangersi addosso e che, prima o poi, avrebbe trovato qualcuno per cui valesse davvero la pena piangere.

Fu solo quando scese dall’auto, sotto le risate di un Tae e un Dae che continuavano a prendere per il culo il piccolo di casa, Seung-Hyun sentì ulteriori brividi infilarsi nel corpo malandato, paralizzandolo con la portiera semiaperta e il corpo esposto alla pioggia che scrosciava. E non furono semplici brividi di freddo, perché questi non si era intrufolati sotto i vestiti, no, avevano radici ben più profonde, partivano dal cuore e si diramavano per tutto il corpo, mandando in tilt il suo cervello…

-Oh, ma— Dae si bloccò.

-Liiiin! Ciao!- il maknae si sbracciò correndole incontro.

C’era che lì, inaspettata, se ne stava Lindsay Moore. Con una bambina nascosta dietro le sue gambe. E lui non aveva capito più niente, ma niente di niente. Avrebbe solo voluto ritornarsene in macchina e scappare al confine più vicino oppure avrebbe voluto chiedere a Tae di tornare al sedile di guida e investirlo, così da mettere fine ai suoi tristi giorni…

- Liiin! Che bello vederti!-

-Ti stacchi?-

 

-E’ la resa dei conti, Hyung.- soffiò GD, ora sghignazzante di fronte all’immagine di una Lindsay impegnata a scrollarsi di dosso il maknae.

-Uccidimi.-

-Tanto ci penserà lei.-

-Sei uno stro--

-Hyung! Ji! Correte qui!- Tae aveva sollevato un braccio, richiamandoli da sotto la tettoia.

-Oh, ma certo che corriamo!- aveva cinguettato il leader con somma gioia, guardandolo con raccapricciante dolcezza prima di trascinarlo per un polso. Che.Bastardo.

E Choi Seung-Hyun morì davvero all’età di ventisei anni.

No, d’accordo, ma ci andò vicino. Perché credeva che quella figura esile non avrebbe mai più girovagato davanti i suoi occhi velati di incredulità e terrore, così come credeva che non sarebbe più stato capace di poterla scorgere immersa in così tanta naturalezza, tra i suoi amici, quasi facesse già parte della sua chiassosa famiglia. Una naturalezza che non venne scalfita nemmeno quando i loro sguardi si incrociarono, restando sospesi in quell’aria satura di tensione, umida…
 

-Ben tornato, Seung-Hyun.-


E pur nella sua dolcezza improvvisa, provò disappunto nei suoi riguardi.

Lui si stava impegnando così diligentemente a dimenticarla, aveva perfino eliminato dall’Iphone tutte le canzoni dei Red Hot che gli ricordavano lei e la sua voce vellutata un po’ stonata; si era immerso talmente tanto nel lavoro che la sera, rincasando esausto, non aveva il tempo di pensare a lei, alle sue labbra, a ciò che aveva rovinato e a ciò che non ci sarebbe mai più stato.

E senza preavviso alcuno, come un miracolo improvviso, Lindsay Moore ricompariva nella sua vita rendendo vani tutti i suoi sacrifici, rammentandogli quanto indelebile lei ormai fosse e quanto, con semplicità, fosse capace di scavargli sotto pelle senza sforzarsi.

-Che ci fai qui?- sgarbato, le rivolse un’occhiata fugace prima di infilarsi sotto la tettoia, riparandosi tra un Tae e un Dae che, dapprima incuriositi dalla bimba silenziosa, ora si stavano premurando di pizzicargli la schiena, continuando a rivolgere amorevoli sorrisi alle due.

-Pioveva e non avevamo dove andare.- esalò lei pratica, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

-Guarda che non è un albergo, eh.- rimbrottò.

-Avevamo freddo.- sollevò la manina della bimba che, tremante, li fissava un po’ spaurita. Forse era un Ri saltellante e che continuava a dirle Ciao bella bimba! Chi sei?, a terrorizzarla o magari erano le loro facce da teppisti ad incuterle timore.

-Potevi tornartene a casa.-

Lin roteò gli occhi –Sei proprio un rompico—

-Ma Lin! Non è vero, noi siamo contenti di vederti!- Dae diede una pacca sulla spalla della ragazza, frenando il suo turpiloquio.

GD ghignò –Estasiati- rivolse poi un’occhiata interessata alla bimba –E’ tua figlia, America?- la ragazza strabuzzò gli occhi –Oh, tranquilla, al nostro Hyung piacciono i bambini.-

-E’ mia sorella, idiota- sbottò senza grazia la giovane –Minji, saluta.- la spintonò un poco, facendola uscire finalmente uscire dal suo nascondiglio. E quando quella, vestita alla panda si limitò ad esalare un flebile –Ciao.- sollevando una manina, i suoi amici, GD a parte, si persero in brodo di giuggiole.

L’apoteosi della demenza.

-Oh, ciao Minji!- Dae si acquattò –Aspettate da tanto?-

-Un’or—

-Cinque minuti.- Lin le tappò la bocca, sorridendogli svagata.

E Seung-Hyun avvertì un dolce calore invadere il suo corpo ora appoggiato al muro della palazzina. Che fosse lì per lui? Magari era davvero lì perché l’acquazzone l’aveva presa alla sprovvista e aveva bisogno di un riparo. Magari lei, ecco, sì, magari lei era lì solo per sé stessa…

-Volete un passaggio per tornare a casa?- propose Tae sorridendo cordiale.

Ma la bimba scosse la nuca -Linnie ha detto che doveva parlare con un amico.-

-Minji—

-Oh, Linnie, sei adorabile.- cinguettò Ji Yong mentre poggiava il gomito sulla sua spalla, ricevendo un medio per risposta.

O forse era davvero lì per lui.

E allora la guardò, scontrandosi con la sua figura velata di incertezza. Incertezza che divenne quasi opprimente quando gli amici sfilarono davanti a lui, tenendo per mano la piccola Moore, dicendole che le avrebbero fatto fare merenda. Dicendogli mutamente che aveva campo libero, che poteva finalmente chiudere lì quella faccenda. Che la sua ultima opportunità di tenerla con sé o dimenticarla era finalmente giunta.

Udì la porta d’ingresso chiudersi, il loro silenzio attutito dalla pioggia, poi la propria voce cavernosa e velata di fastidio si sparse nell’aria –Dovevi portarla a casa. Non puoi lasciare una bimba fuori, al freddo.- si morse la lingua. Rimproverarla non l’avrebbe certo trattenuta.

Ma Lin non si lasciò scalfire –Tanto quella si diverte a saltare nelle pozzanghere.- la guardò con le sopracciglia aggrottate, non cogliendo appieno il significato delle sue parole.

-Saresti dovuta andare a casa.- ripeté piano, guardando davanti a sé.

-Casa mia è lontana. La tua è più vicina.-

-Potevi andartene in qualche bar.-

E quando credette che la ragazza si sarebbe stancata della sua scemenza, quando la vide staccarsi dal muro per scendere di un gradino, segno che si sarebbe per sempre volatilizzata alla sua vita, la sua disarmante sicurezza piombò addosso a lui -Ma volevo vederti- facendolo tremare.

Scorse alcune ciocche appiccicate alla sua fronte e la tentazione di spostarle fu molta, troppa… Strinse la mano nella tasca dei pantaloni, concentrandosi su tutto ciò che non riguardasse le sue labbra –E perché mai?-

La vide tentennare mentre si dondolava sulle punte, come se fosse capitata lì per caso e non per una ragione precisa. Per un breve istante, quando si rese conto che meno di due passi li dividevano, si ritrovò a venir sommerso da uno strato di delusione e amarezza, gli stessi sentimenti che da bambino erano passati a trovarlo quando, battuto bowser, si rendeva conto che la sua principessa era in un altro castello.

Sorrise amaro.

Era tremendo avere a portata di mano il Paradiso e non poterlo sfiorare.

O, per dirla in breve, era come avere un Rayquaza a livello 70 e non poterlo utilizzare perché, ehi furbone!, hai saltato le ultime palestre e se non hai l’ultima medaglia allora ciccia, che tanto alla Lega non ci vai. E lui ci era andato, in quel momento si sentiva come se stesse per combattere contro Lance. Con un Pidgey a livello 100… Sconfitto da Bora di Articuno dopo nemmeno un secondo dall’inizio del combattimento. Peccato che quella fosse la vita reale e allora no, non potevi schiacciare reset e magari andare alla Lega con Pokemon più forti.

-Dovevo parlarti.-

Ecco, Articuno era pronto a scagliare Bora. E lui non aveva più pozioni per ripararsi dalle sue parole gelide, non aveva più bacche da utilizzare per lenire le ferite che lei gli avrebbe sicuramente procurato. Non era pronto ad affrontarla. Non lo era…

-Credevo ci fossimo detti tutto.- mormorò piano, decisamente convinto che la sua fuga fosse stata una rossa croce sopra il loro altalenante rapporto. Ma testa appoggiata al muro, mani nascoste nel giaccone e sguardo vitreo di chi è davvero pronto a ricevere il colpo di grazia, Seung-Hyun non si sarebbe mai aspettato che uno spiraglio di luce potesse oltrepassare quella cappa di nero petrolio che li aveva avvolti…

-Se vuoi, puoi conoscermi meglio.-

O che il suo cuore potesse tornare a battere, tanto da fargli male.

Fu allora che la guardò, accorgendosi di quanto vera fosse, di quanto la sua figurina le fosse mancata, di quanto bastasse poco per mandare in fumo la sua decisione di metterla da parte.

-Che-che cosa?- perché metterla da parte, significava solo farsi del male un po’ di più.

-Oh, tanto hai capito, non farmelo ripetere- la vide stringersi nel cappotto mentre guardava di lato -Io- Io non prendo per mano. E non voglio nomignoli. E non mi piacciono le chiamate chilometriche o le improvvisate a lavoro o a casa- e si ritrovò a sorridere come un ebete coglione, lasciandosi sommergere dalle sue parole veloci e di un coreano un po’ impacciato, quasi le avesse a lungo pensate nella mente e ora gliele stesse elencando nemmeno fosse una lista della spesa –Odio le scenate di gelosia, non voglio sentirmi dire “Chi ti ha chiamato? Con chi stai messaggiando? E’ un tuo ex quello?”-

-Hai ex coreani?- la interruppe allibito, ancora frastornato dalla valanga di cose da non fare che gli erano state lanciate contro senza preavviso alcuno. E intanto la lavagna del suo cervello prendeva appunti, visto che ormai si segnava qualsiasi cosa lei dicesse.

-No, ma non si sa mai- borbottò lei grattandosi la punta del naso, scuotendo poi la nuca -E niente smancerie, non voglio che mi dedichi alcuna canzone, niente dichiarazioni d’amo--

-Frena, frena, chiaro!- la vide riprendere fiato mentre le guance si tingevano di rosso –Niente cavolate romantiche, ok.- strinse i pugni nelle larghe tasche, reprimendo il desiderio di ballare sotto la pioggia.

Lei annuì, dondolandosi sui piedi –O così o niente.-

A quel punto, Top si rese conto del miracolo: Lindsay Moore voleva lui. Dopo tutti i baci rubati e le parole di respingimento, Lindsay Moore aveva scelto lui. Allargò gli occhi mentre le rivolgeva uno sguardo frastornato, incredulo che quella delizia a pochi passi da lui fosse finalmente sua.

Si schiarì la voce, finita giù in cantina per lo sbigottimento –Quindi tu- Tu vuoi stare con me.-

-No, non stare assieme- agitò le mani –Vederci e quelle cose lì.-

-E non è la stessa cosa?- allibito, la fissò.

Gli scoccò un’occhiata –Stare con te significa essere fidanzati; vederci che siamo liberi.-

-Che siamo liberi…- soppesò le sue parole, non comprendendo il loro significato.

-Io non sono tua- mormorò lei con placidità –E tu non sei mio- le rivolse un’occhiata incerta, sopraffatto da tutto ciò che gli stava capitando e in così poco tempo; sentiva che avrebbe dovuto essere al settimo cielo per tutto questo, ma una vocina malefica continuava a ripetergli di fare attenzione, che si sarebbe cacciato in un gioco più grande di lui. Il sospiro di Lin catturò la sua attenzione -Io non sono fatta per le storie se—

-Lo so- la interruppe veloce, scacciando per un istante la sua coscienza, ora relegata a fare la pulizia dei ricordi scomodi. Voleva solo un pizzico di gioia, in quel momento, sentiva di meritarsela. E calibrò la speranza, pregando che non potesse scorgerla nel suo tono di voce rauco e pacato –Com’è che era?: L’amore è una perdita di tempo- vide la labbra di Lin guizzare all’insù e per un attimo ebbe l’impressione di essere sulla strada giusta –E poi, non potrei nemmeno io. Sai, questioni contrattuali e scemenze varie.-

Che era una cazzata puramente buttata lì per non farle cambiare idea. Perché se il CEO avesse saputo che si stava frequentando con una, gli avrebbe gentilmente detto di non lasciarsi influenzare o distrarre perché lo avrebbe preso a calci in culo fino all’uscita dell’YG e subito dopo gli avrebbe detto Quando me la farai conoscere? Ma dimmelo con largo preavviso eh, che organizziamo una cena tutti assieme! Deve integrarsi nella nostra famiglia!, e non stava scherzando. Una vaccata del genere l’aveva propinata anche a GD un sacco di tempo prima. Beh, prima che diventasse un coglione senza cuore, ecco.

Corrugò la fronte, aggrottò le sopracciglia, si morse il labbro inferiore, continuando a cercare un senso logico in tutto quello…

-Beh?-

-Cosa?-

-Sembri spaventato.-

E fu allora che gli parve difficile.

Uscire con lei, poterla sfiorare senza doverle chiedere il permesso o preoccuparsi di darle fastidio, poter sentire vibrare il cellulare e sorridere come uno scemo alla vista del suo nome, provare l’ebrezza di dire Ri, dannazione, esci dal bagno che devo uscire con Lin e sono in ritardo!… Tutto bello, certo. Ma difficile. Perché se in una loro ipotetica frequentazione c’erano i pro, beh, i contro si susseguivano senza indugio. E lei glieli aveva sbattuti in faccia con eccellente noncuranza.

Il dover sottostare alle sue regole anti-romanticismo, il dover calibrare le parole, cercare di non lasciarsi sopraffare dal nuvolo di emozioni che collidevano fra loro quando la vedeva e che avrebbe voluto manifestare senza freni, giacché non trovava nulla di sbagliato nel ripeterle più volte quando lei fosse ormai divenuta importante nella sua vita. Cercare di non lasciarsi coinvolgere troppo…
 

-Tu non sei come gli altri.

Tu non sei portato per le storie di solo sesso.-


Avrebbe potuto farcela?

-Potrei sorprenderti.-


Ne sarebbe stato capace?

E Lin captò il flusso dei suoi pensieri, come suo solito -Hai detto che avresti potuto sorprendermi- scrollò le spalle, la voce bassa e velata di sfida –Allora, sorprendimi.-

E Seung-Hyun comprese che in quel gioco al massacro, ci si era infilato con le proprie mani. E non poteva tirarsi indietro ora, no? Ma trovava stupido frequentare una persona senza potersi lasciar andare. Con Lindsay avrebbe dovuto fare attenzione ad ogni parola pronunciata, ogni gesto fatto. Se fosse trasparito qualcosa di più del semplice divertimento, lei sarebbe fuggita senza troppe remore. E lui voleva? Voleva tutto ciò?

-Niente obblighi?-

Ma c’era qualcosa in lei… Qualcosa che costrinse la sua vocina interiore a cantilenare un incessante quanto opprimente Devi dire sì, o te ne pentirai! mentre la sua coscienza esalava uno sfibrato Sei un coglione. Arrangiati. Perché a parte la sua bellezza, a parte la sua gentilezza nascosta dietro una scorza di duro menefreghismo, a parte tutto questo, Lin aveva la straordinaria capacità di farlo sentire normale. Una normalità che aveva a lungo ricercato nelle chiamate sporadiche con gli amici di lunga data, che aveva ricercato nelle promesse fatte ai vecchi compagni di scorrazzate in giro e mai mantenute. Una normalità che lei aveva portato con la propria naturalezza.

-Oi, Seung-Hyun, ci sei?-

E lui non voleva perderla. Cazzo, non voleva affatto! Quando gli sarebbe ricapitato di venire nuovamente chiamato Seung-Hyun? Diamine, Seung-Hyun! Non Tempo, Tabi, Bingu, Top… Solo Seung-Hyun, un nome che aveva da anni nascosto dietro molti soprannomi e che ora risuonava assolutamente perfetto se pronunciato dalle sue labbra. Quando avrebbe avuto ancora la fortuna di venir trattato come un comune ventiseienne?

-Vedrai che ne troverai un’altra.-

-Già.-

Quando, semplicemente, ne avrebbe incontrata un’altra come lei?

E quando la vide voltarsi, tutte le domande si volatilizzarono, lasciando nel suo cuore il malsano desiderio di poterla tenere con sé un po’ di più, che doveva godersela appieno finché lei gli avrebbe concesso un po’ di sé, fino a che la fortuna non avesse deciso di voltargli le spalle…

Niente obblighi.-

Anche se questo significava uscirne a pezzi.

Lin allora lo guardò, i lineamenti che sfumavano dalla sorpresa alla confusione, quasi si fosse aspettata un secco No da parte sua. E fu forse per questo che la sentì mormorare un destabilizzato –Come?- che lo fece  sorridere scioccamente. Era decisamente gradevole vederla così smarrita.

-Ho detto niente obblighi- alzò le spalle –A me sta bene.-

L’espressione sul suo viso non mutò, ma fu come se gli avesse appena rivolto un sorriso luminoso -Oh, beh, allora, ok…- la vide grattarsi la punta del naso lentigginoso. C’era uno strato spesso di imbarazzo che li divideva, come due amanti che si riscoprono a svegliarsi abbracciati senza neppure ricordarsi di aver trascorso la nottata assieme –Beh, ora sarà meglio andare. Devo portare Minji a casa.-

Annuì –Tanto anche io devo prepararmi. Cene con i colleghi e cose così.-

L’aveva vista annuire e avvicinarsi alla porta, la mano affusolata sulla maniglia e per un breve istante, si disse che le parole non bastarono, che la sua voce non bastava. Che voleva di più, anche solo uno sguardo, ma lo voleva. Che non potevano lasciarsi con un Beh, allora ok.

E lei doveva essersene accorta, perché lo aveva guardato con sospensione, incapace di aprire quella porta. E lui ne approfittò, azzerando la distanza tra loro, sentendosi invadere da un miscuglio di emozioni. L’abbracciò. Con forza, sentendola traballare fra le proprie braccia mentre riacquistava l’equilibrio, un sorriso che andava da guancia a guancia per la facilità con cui, per una volta, era riuscito a sfiorarla. Ed era così bello potersi inebriare del suo profumo di pesca senza doverlo fare da lontano, era così bello poter avvertire il suo esile corpo contro il proprio senza timore che lei gli rifilasse una ginocchiata nelle palle. Era tutto così tremendamente bello che per un attimo si disse che sì, tutti quei mesi di attesa, agonia e torture psicologiche, ne erano valsi la pena.

-Seung-Hyun, devo andare.-

Che lei, ne valeva la pena.

Ho aspettato così tanto, avrebbe voluto confessarle in un raptus di pazzia, ma tutto ciò che riuscì a mormorale fu un sospeso –Tanto sta diluviando. Non vai a casa a piedi.-

-Ma se ha smesso?!-

Ah, già… Il sole è tornato.

-Vuoi un passaggio?-

-No.-

-E allora resta un po’.-

Quando poi avvertì le sue mani affusolate sulla propria schiena, capì che davvero le sue parole erano state la pura realtà, che questa Lindsay stretta a lui non era una mera chimera, una delle sue stupide allucinazioni da quattro soldi.

Fece scivolare una mano fra i suoi capelli corvini, stringendoli sotto le dita mentre il naso di Lin gli carezzava il collo con lentezza, sfiorandolo con le labbra carnose che, schiuse, percorrevano la loro estenuante salita. E mentre si ubriacava del suo buon profumo, della sua delicatezza inaspettata, Seung-Hyun si prese il permesso di osservarla. Per dirsi quanto magnifica fosse senza veli di paure ad attorniarla, come se fosse sollevata dalle mancate richieste. Le scostò i capelli dalla fronte, depositandovi un bacio.

E poi, ci fu quello sguardo.

Diamine, il suo sguardo nell’istante prima di baciarlo fu un colpo all’anima, di quelli belli potenti che lo fecero fremere sotto le sue dita che si posarono fra i capelli scuri e umidi per la pioggia, di quelli che lo costringevano a deglutire e stringere le labbra, assaporando il suo respiro sospeso a pochi centimetri dall’inevitabile cattura. Di quelli che diedero uno scossone al suo cuore, facendolo palpitare incessantemente, e che gli fecero capire perché se ne fosse follemente invaghito.

E quando la baciò, si dimenticò di tutto il resto. Ma che lei avesse un sapore diverso, di quello non se ne sarebbe mai dimenticato.

Lin, fra le sue braccia, dopo quel loro strambo accordo, aveva assunto un sapore nuovo, particolare e stuzzicante. La gradevole sensazione di poterla sfiorare con maggior trasporto, le beatificante sensazione di poter lasciare i propri problemi al di fuori del loro proteggersi nelle braccia dell’altro. Quel velo di paura e timore che li aveva sempre ricoperti, stava finalmente sfumando e tutto, tutto, gli sembrava meno difficile. Almeno fino a che lei continuava a lambirlo con la propria delicatezza, almeno fino a che lui continuava a trasmetterle il piacere che provava per lei.

C’era più consapevolezza, c’era la certezza che, una volta uscita da lì, Lin non sarebbe scappata. Non subito, almeno.

-Quando- si fermò, il tempo di sfiorarle ancora le labbra, poi continuò –Quando possiamo, sì, beh, insomma—

Lin allontanò il viso, le sopracciglia arcuate perfettamente e l’espressione incredula –Vuoi già fare sesso?- ma che cazzo?! -Ma c’è una bambina di sopra e i tuoi amici idioti o vuoi farlo in macch—

-Non intendevo questo!- sventolò le mani, imbarazzato dalla pacatezza con cui esponeva certi argomenti; doveva ancora abituarsi alla sua impulsività –Uscire insieme, ecco. E cose così, insomma.- si massaggiò il collo.

Lin mormorò un sorpreso –Oh, quello.- e lui la guardò con rassegnazione.

-Dio, Lin, ma con che cavernicoli sei uscita?-

Alzò le spalle, per niente toccata dalle sue parole -Te l’ho detto che tu non sei come gli altri- sentì le dita di Lin sfiorargli il collo prima che si divincolasse dal suo abbraccio, avvicinandosi per davvero alla porta. Faticò come un dannato per non fermarla e continuare a baciarla, ma ne andava della sua posizione da duro che voleva solo divertirsi –Comunque, quando vuoi chiamami. O ti chiamo io. E’ uguale.-

Oddio, ma perché lei faceva tutto così facile? Davvero solo lui, tra loro, era felice di quel misero traguardo?

No, ma congratulazioni, Seung-Hyun!

Erano appena passati cinque minuti e già voleva dare forfait. Questa volta udì davvero il rumore del pomello che veniva girato e prima che la porta potesse scricchiolare, udì la propria voce, decisa –Domani sera sono libero.-

Lin lo guardò stupita, ritornando indifferente mentre si massaggiava il collo –Ho il Tribeca- e lui si sentì un coglione che ha sbagliato tutto sin dall’inizio. Ma poi vide il suo sorriso, o quello che ci assomigliava e sentì il cuore divenire un po’ più leggero mentre la sua voce lo raggiungeva –Ma inizio alle 21.00. Ti va?-

E lui le rivolse un sorriso enorme che lei si fece bastare prima di entrare davvero in casa. Percorse le scale con passo leggiadro, godendo la vista del suo sedere che, OhFinalmente, avrebbe un giorno potuto toccare, beandosi del silenzio per nulla pesante che li aveva avvolti. E quando aprì la porta di casa, non gli parve così tremendo incrociare gli sguardi curiosi degli amici. Lì, intorno al tavolo della cucina, li fissarono un poco, poi tornarono a concentrarsi su Minji che stava leggendo un libro.

-Se Kim Jin ha due mele e Shin Na gliene prende una, quante mele resteranno a Kim Jin?-

-Tre.-

-Ji Yong, non dire cazzate.-

-Lindsay!- il rimprovero di un Tae rassegnato che sbatté la testa contro il tavolo lo ridestò un poco.

-Linnie, cosa sono le cazzate?-

-Non chiamarmi Linnie.- le diede un buffetto sulla nuca ma la bimba ridacchiò e tornò a leggere il libro.

-Linnie, non si insegnano le parolacce ai bambini.- GD sghignazzò e la ragazza roteò gli occhi mentre raccattava le cose della sorellina. Lui rimase invece in disparte, osservando quello sprazzo di vita familiare normale che gli era decisamente mancato.

-Minji, andiamo.-

-Linnie, non baci il tuo ragazzo?-

-Cosa?!- saltò quella, trascinandola via da quel branco di idiota -Chi ti ha detto una ca—

-Lin!- Dae e Tae la perforarono con la forza del loro rimprovero, scrutandola minacciosi.

La ragazza gonfiò le guance, roteò gli occhi, poi tornò a fissare la bambina –Chi te l’ha detto?-

-Lui ha detto che è il tuo ragazzo, ora.- indicò un Ji Yong dal sorriso sbarazzino che salutava allegramente.

-Ji Yong.- Seung-Hyun si stropicciò il volto, privo di forze nel rimproverarlo.

Lin gli sistemò la sciarpa intorno al collo, poi le sollevò il cappuccio –Cosa ti ha detto Chyoko? Non si parla con gli sconosciuti.-

La bimba arricciò le labbra -Ma hai detto che sono tuoi amici.-

-Lui no.-

-America, così mi ferisci!-

-Speriamo sia una ferita mortale.- sciorinò lei, imprecando fra i denti quando la risata sguaiata dell’amico si sollevo nell’aria. Ah, che pirla di un leader. La bimba fece un piccolo inchino, compensando la scarsa educazione di una Lindsay che rivolse loro un saluto veloce e privo di allegria, concedendogli però uno sguardo un po’ più lungo e che gli aveva trasmesso un calore bruciante.

Era quello, lo sguardo che gli mancava da un po’. Di due persone che si salutano con la consapevolezza di potersi rivedere. E le sorrise, salutandola piano.

La porta si chiuse, la guardò per qualche istante, quasi a rendersi conto che davvero l’indomani sarebbe uscito con Lindsay. Si trattenne dal gridare ma solo perché, una volta giratosi, si ritrovò uno spettacolo di raro abominio: i suoi amici, fatta eccezione per quel mentecatto di GD, lo fissavano con occhi sbrilluccicosi appollaiati sul tavolo, cosa che nemmeno in una pessima scena di un telefilm per ragazzine sceme.

-Che c’è?- domandò intimorito dai sorrisi dolciastri che gli stavano rivolgendo.

-Ma… Quindi?- il primo a parlare fu Daesung, fremente.

-Quindi… Cosa?-

-Beh, sì, insomma- Tae sventolò le mani, quasi volesse invogliarlo a parlare –Com’è andata?-

-Bene.- oddio, bene era riduttivo. Alla grande!, sarebbe stato il commento giusto o E’ stato il giorno più bello della mia vita, alla pari di quando mi hanno accettato fra i Big Bang!, ma sentiva che la gioia di quel momento andava calibrata.

-Oh, tutto qui?- Dae sporse il labbro.

-Cosa dovrei dirvi, scusa?-

-Siete assieme o no?- intervenne Ri, frenetico come suo solito.

E lui, pur nel casino in cui si era ficcato, si ritrovò a sorridergli sereno -No. Ma ci siamo baciati.-

Seung Ri sbatté le palpebre, chiuse l’anta del frigo e si gettò verso il coinquilino –Come?! Io ero rimasto che lei ti aveva detto di no e— Top gli rivolse un’occhiata torva –E’ un gran passo avanti Hyung, complimenti.- agitò il pugnetto.

-Usciamo domani.- annunciò con scazzo, dando loro il contentino.

-Alleluya!- trillarono gioiosi, perdendosi in un brodo di cazzate che per un attimo lo fecero stare davvero bene, in pace con sé stesso. Gli altri si volatilizzarono e a quel punto, rimase in gara l’osso duro, il GD dalla parole taciuta e che lo fissava con cipiglio divertito. Appoggiato contro il frigorifero, lo guardò con un sorrisetto sghembo, quei classici suoi sorrisi che gli rivolgeva quando una nuova maratona aveva inizio.

E Top, nella sua incredibile scemenza, si ritrovò a domandargli un asciutto –Che c’è?- quando avrebbe potuto limitarsi a starsene in silenzio e fare dietro front in camera, stringendo ancora con sé quel briciolo di felicità che gli avevano lasciato le parole di Lin.

-Vedo che sei felice.-

-Non dovrei?- insomma, aveva penato per arrivare a quel minuscolo passo. No, non lo avrebbe fatto incazzare, non ci sarebbe riuscito.

-Sei adorabile quando stai sulla difensiva, lo sai?- si staccò, giocherellando con la bottiglietta d’acqua -Io ti consiglio di andarci piano. In fondo, la vera salita comincia adesso.-

Aggrottò le sopracciglia -Cosa—

-Ricorda- uno sguardo colmo di gioia, la sua mano sulla spalla -La parte più difficile comincia ora.-

 

-Hai detto che avresti potuto sorprendermi. Allora, sorprendimi.-

La propria indecisione.

-Niente obblighi?-

E la propria resa.

Niente obblighi.-

 

E fu come ripiombare all’Inferno senza nemmeno aver sfiorato il Paradiso.

 

 

 

 

A Vip’s corner:

Questo capitolo è uno sfacelo, chiedo scusa.

Nella mia mente le cose dovevano esattamente accadere in tale maniera, ma quando poi ho messo le idee su Word, mi sembrava tutto troppo veloce e sconclusionato. Mi spiace se i pensieri dei personaggi non si coglieranno, ma spero apprezziate lo sforzo. Nel caso ditemi pure se non vi piace qualcosa, tanto le critiche vengono sempre accettate :)

E poi… Perdono! Chiedo immenso perdono a tutte le fan di quel debosciato di Ji Yong: oggi niente POV GD, ma capitemi, il fatto che Ri esca con Ginko è un bello scossone e necessita di un’analisi che non potevo permettermi in questo capitolo. Questo mi serviva per assestare le cose tra Top e Lin (assestamento penoso, ma va beh); mi rifarò con il prossimo, però ;)

Passando alle cose felici: Yeaaaaaaah *Heaven stappa la bottiglia di birra* Top e Lin si frequenteranno yeaaaaaaah! Dopo tipo 19 capitoli ma OhMioDio era ora! Mi spiace se ho deluso le vostre aspettative e vi è sembrato davvero, ma davvero scialbo rispetto ai precedenti. Purtroppo non mi soddisfa, non posso farci nulla, ma mi serviva qualcosa di leggero.

Poooi… Personalmente, le cose difficili iniziano adesso, almeno per me :/ Insomma, voi non avete idea di quanto sia tentata di cedere alle smancerie, ma poi mi rendo conto che stiamo parlando di Top e Lin e allora niente -.- Spero di non rendere tutto banale da qui in avanti ç_ç Voi fatemelo notare se dovessi sbandare su questa strada D:

Ora passerei ai ringraziamenti, sentitissimi come sempre: hottina, MionGD Ahrya, kassy382, Appler_Girl, Fran_Hatake, YB_Moon, Myuzu, Toppina, ssilen, Yuna_and_Tidus e jo Gates… Aaaaw, non ho nemmeno parole per descrivere la contentezza nel leggere i vostri commenti ♥ So che è banale, riduttivo e quant’altro ma davvero, grazie. Ma grazie di tutto cuore ♥ Perché continuate a seguirmi e, davvero, mi sommergete di complimenti che a volte non penso nemmeno di meritare. E quindi sì, di nuovo, grazie ♥

E grazie infinite anche a chi legge in silenzio e chi ha aggiunto la storia fra le preferite/ricordate/seguite. Love you all

Bacioni e alla prossima (sì, sempre con la speranza di un capitolo migliore. E meno errori)!

HeavenIsInYourEyes.

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Capitolo 20
*** First date ***


Capitolo 20

First date

 

 

Is it cool if I hold your hand?

Is it wrong if I think it's lame to dance?

Do you like my stupid hair?

Would you guess that I didn't know what to wear?

I'm too scared of what you think

You make me nervous so I really can't eat”

-First date, Blink 182-

 

 


 

Lindsay Moore ricordava molto vagamente la prima volta in cui era uscita con un ragazzo, come se quell’episodio fosse stata una spiacevole parentesi della sua giovane vita, caratterizzata da un Benjamin troppo euforico per averla lì, seduta sul sedile del passeggero con una minigonna che nemmeno credeva di avere nell’armadio, in procinto di recarsi ad una festa di cui rammentava poco o niente. Anzi, quasi nulla. A parte che si era attaccata al tavolino degli alcolici. E che aveva perso di vista il suo cavaliere. Avvistato fra le braccia d una ninfa maggiorata e dai lunghi boccoli biondi. E che poi lei ne aveva trovato un altro, di principe coglione, con più tatuaggi e decisamente più simpatico.

Ma se c’era una cosa che Lin aveva serbato dentro sé, era la straordinaria sensazione di rilassatezza che l’aveva accompagnata per tutto il tragitto da casa propria alla stazione degli autobus, dove la scintillante BMW di Ben l’attendeva come nemmeno una carrozza scortata da topini. Nessun senso di nausea mentre zampettava con scazzo in bagno, acconciandosi i capelli alla bene e meglio. Nessun senso di isterismo quando si era accorta che appena una mezz’ora mancava al loro incontro e lei era ancora lì, sul letto a fumare, con indosso una canottiera degli Slipknot e degli slip. E scegliere i vestiti non era poi stato così difficile, a dir la verità; aveva raccattato le prime cose che aveva trovato con la speranza che non fossero sporche e se le era messe indosso, volando in picchiata verso la porta d’ingresso per sfuggire all’ira funesta di una Emily già sul piede di guerra per quel messaggio in segreteria lasciato da un preside stanco e rabbioso, che le intimava di fare qualcosa affinché il carattere di sua figlia potesse essere corretto. Nh, come se ci fosse qualcosa da correggere, nemmeno fosse un bug di qualche gioco.

E quindi sì, per Lin era stato un giorno come un altro, uno sprazzo di vita quotidiana scandito dal suo incontro con questo ragazzo dal sorriso traballante e la parlantina veloce, che la sfiorava appena e che faceva di tutto per metterla a suo agio senza rendersi conto che lì, in quell’auto, l’unico ad essere agitato era lui. E non è che tutto ciò fosse dovuto al fatto che lui fosse banale, nono; questa sua mancanza di agitazione si era poi protratta nei secoli dei secoli anche con gli altri bontemponi che avevano avuto il piacere di soggiornare fra le sue lenzuola.

Perché erano solo ragazzi e non valevano nemmeno un cent delle sue paranoie.

E Lindsay Moore, al centro di una camera in quel della Corea, simile ad un campo di battaglia in cui alcune felpe erano perite dentro la trincea, se ne stava sempre in slip e canottiera cercando qualcosa che non fosse troppo pacchiano ma nemmeno troppo elegante, ritrovandosi a fare i conti con quel miscuglio di sensazioni che, all’epoca, non l’avevano nemmeno scalfita di striscio, nemmeno avevano pensato di presentarsi per ricordarle che in fondo era umana e forse qualcosa avrebbe dovuto provarla. Ma che ora erano lì, a fissarla con occhietti piccoli e malefici. E la sua coscienza, pizzicata da tutto questo, aveva pensato bene di farsi sentire, anche se con un filo di voce. Solo per dirle che non poteva contaminare con il proprio cinismo ogni anima che decideva di sostare nella sua vita qualche secondo in più…
 

-Niente obblighi?-

La sua incertezza, che lei aveva assaporato come un rifiuto…

-Niente obblighi.-

E il suo sorriso, scintillante e destabilizzante.

 

Solo per dirle che entrambi, alla fine, si sarebbe fatti un male atroce.

E allora le ferite non sarebbero state sanabili e avrebbe fatto i conti con la propria fragilità, incapace di uscirne fuori. Ma per il momento, Lin si limitava a coprire le sue parole maligne con i Red Hot a palla, a coprire le vecchie cicatrici con una felpa dei Puffi e lasciare che lo scorrere del tempo la facesse avvicinare sempre più all’ora X.

Solo quando le lancette atterrarono su quel 18:00 luminoso, producendo una stridula musichetta poco orecchiabile, Lin si rese conto di dover cominciare ad incamminarsi se voleva giungere con un minimo di puntualità sul luogo del misfatto. Che poi, conoscendo Seung-Hyun, le avrebbe sicuramente rinfacciato il suo essere arrivata in ritardo e allora no, la serata si sarebbe conclusa con una portiera che sbatteva e un sonoro MioDio che errore del cazzo che ho commesso.

Una frase che, a dir la verità, le era già stata rivolta in diverse occasioni. Fu buffo pensare che, pur nel cambio di scenografia e di attori, queste scene da tremebondo melodramma venissero ripresentate ai i suoi occhi nocciola più e più volte, quasi il copione fosse lo stesso. E poco importava, allora, se ad urlargliele era stato un Tom dentro l’auto o un Sam nella propria camera o un Peter ubriaco ad una festa a base di fumo e alcool. Tutto questo era superfluo, giacché la sensazione di patimento per le loro povere anime era sempre la stessa. E quelle loro parole, si infrangevano sulla porta che sbatteva o sulla schiena stretta, sempre dritta, mai piegata. Quasi non facessero male.

Sorrise amara mentre scendeva per le scale. Era quasi sicura che una frase del genere, pronunciata da uno come Seung-Hyun, sarebbe risuonata lacerante e indelebile. Ma forse era solo l’ansia a parlare per lei; un’ansia che aveva barba ispida, enormi occhiali da vista e una camicia di flanella abominevole. E Lindsay Moore, sotto l’arco che dava alla cucina, comprese di essere giunta al capolinea. Perché il vero ostacolo, in quel preciso istante non era Seung-Hyun…

-Oh, buongiorno Linnie!-

Era Mark, il padrone di casa Moore che, tazza di caffè in mano e quotidiano aperto, se ne stava beato e pacioso dietro il bancone della cucina, quasi volesse monitorare l’uscita di casa con i suoi occhi vigili e attenti.

E Lin si riscoprì stranamente nervosa al pensiero di dover spifferare a suo padre che sì, quella sera sarebbe uscita e sempre sì, ad attenderla ci sarebbe stato un ragazzo e non quella vespa impazzita della Fujii. Perché per lei, tutto questo, era nuovo.

Ricordava ancora i racconti di Shirley, cosparsi di aneddoti su di un padre padrone che aveva montato storie su storie prima di permetterle di andare ad una festa, di uscire con un ragazzo, di poter fare qualsiasi cosa. E lei, seduta nella sua camera rosa shocking decorata da mille e più peluche, sbevazzando una fresca birra sdraiata sul suo letto mentre le note di Sweet child O’ mine le offuscavano la mente, si era ritrovata più e più volte a guardarla con un mezzo sorriso a deformarle le labbra mentre dentro sé, uno strano sentimento di invidia si faceva largo, addentrandosi negli angoli più bui del suo animo.

Perché per lei non c’era stato nessun Chi ti ha dato il permesso di uscire? oppure Dimmi nome, indirizzo e che lavoro fa quello con cui stai uscendo. Solo dei distaccati Non fare tardi, domani c’è scuola e Dannazione, Lindsay, quando ti deciderai a trovare qualcuno che non campi facendo il tatuatore?!

E allora lei, sedicenne tropo magra per risultare anche solo vagamente gradevole alla vista ma in qualche modo accattivante per quella sua verve un po’ distaccata e altezzosa, avrebbe davvero voluto udire la voce di Mark rimbombare per i corridoi dell’appartamentino in domande come Dove vai? Chi è quello? Sicura che non abbia troppi piercing?

Per sentirsi un po’ normale, per venir sommersa da quell’affetto che le sue amiche avrebbero voluto debellare mentre lei, nelle occhiate bieche di Emily, non aveva mai trovato…

 

-Tu sì che sei fortunata, Lin!-

-Se lo dici tu.-

Shirley imprecò per la cenere finita sul pavimento –Cristo, mio padre è un tale rompicoglioni!-

-Già.-

-E il tuo? Ti ha detto qualcosa quando l’hai chiamato?-

-Non lo sento da due mesi.- e non faceva male, non così tanto…

-Oh, beh— un lampo di imbarazzo, poi un sorriso furbo –Allora, ci vieni stasera alla festa?-

Nulla faceva più male… -Tanto, non ho niente di meglio da fare.-

 

E quindi eccola lì, nel mezzo del cammino dei suoi ventidue anni, ad affrontare un padre imbranato nel comportarsi da tale, ma che sapeva sempre donarle un briciolo di amorevolezza…

-Come siamo belle oggi! Vai a fare un giro?-

Per farla sentire protetta, al sicuro.

Si strinse nella spalle, storcendo il naso al suono di quello sdolcinato nomignolo che poco aveva a che fare con lei e che continuava a far riemergere scomodi ricordi a cui non credeva di essere ancora così legata, e ai suoi complimenti rivolse un ciondolamento del capo che lo fece sbuffare -Va’ che esco.- buttò lì senza dilungarsi in futili spiegazioni, sulla soglia della cucina, già pronta ad allontanarsi.

-Con la tua amica?-

Si fermò, le spalle incurvate e la sensazione che quel mentecatto sapesse pure troppo –Aha, certo.- perché quel Con la tua amica? era risuonato un po’ troppo sarcastico e perfino guardingo, quasi si aspettasse una nota di cedimento nel suo tono di voce scazzato.

E infatti, nel giro di pochi millisecondi, il rumore della tazza che andava ad incontrare il bancone di marmo la costrinse a fermarsi e a fare i conti con la sua sete di curiosità –Da quando la Fujii ha i capelli corti ed è un uomo?-

Con nonchalance, Lin inclinò il capo –Hai corretto il caffè con della grappa?-

-Linnie, sono serio.- tolse gli occhiali e si stropicciò il volto. E Lin tirò fuori l’artiglieria, conscia che un’interminabile discussione sarebbe nata. Perché quando Mark si toglieva gli occhiali, poteva voler dire solamente che era in vena di chiacchiere e, solitamente, chi ne usciva sfiancata e con le palle vorticanti era lei, non di certo lui.

-Non capisco di cosa tu stia parlando.- ecco, così, essere vaghe andava bene.

Ma Mark andò dritto al punto, probabilmente deciso a non perdersi nei meandri di discorsi troppo cervellotici –Oh, sai benissimo di cosa sto parlando- mormorò con un mezzo sorriso mentre lo sguardo scorreva sul giornale -Minji mi ha detto…-

Oh.Porco.Cazzo…

-Che oggi esci con un ragazzo-

Cazzo.Cazzissimo.

-Il tuo fidanzato, per la precisione.-

Cazzisimiss— No, eh?!

 

E la mascella di Lin toccò il pavimento. Così come la sua voglia di uscire andò sotto la suola delle scarpe da ginnastica mentre l’istinto di sopravvivenza saliva sulla cima della sua già scarsa pazienza. E l’istinto di sopravvivenza le diceva che lì, in quella villa, qualcuno doveva perire se voleva continuare a vivere la propria esistenza nella quiete. Quel qualcuno aveva dodici anni, si rotolava nelle pozzanghere e aveva il brutto vizio di svegliarla quando aveva gli incubi, infilandosi nel suo letto mentre posava i piedini gelati sulle sue gambe.

E mentre lo fissava incredula, l’unico pensiero sensato che passò nella sua mente in tilt fu un secco: Minji non arriverà mai a dare il suo primo bacio. Anzi, non arriverà a stasera.

-Io-Io co-- ma che andava farneticando quella mocciosa?! Una smorfia di disgusto alterò i delicati lineamenti –Che schifo, ma no!- sventolò le mani laccate di rosso e arricciò le labbra, nemmeno quel funesto pensiero fosse stato acre come un limone.

Suo padre corrugò la fronte –Come che schifo?-

-Cielo, non è il mio ragazzo!- agitò le mani –E poi Minji spara cazzate.-

E allora, la tazza venne deposta. Per la seconda volta. E Lin capì di aver appena pronunciato una delle molteplici parole bandite da casa Moore perché rozze e inneggianti alla trasgressione –Cos’hai detto?-

-Balle. Minji dice balle- borbottò in risposta –Come fai a credere ad una che dice di aver visto la Bella e la Bestia ballare nel giardino di casa?-

-Lin—

-O gli alieni a scuola.-

-Linnie—

-O un fantasma sotto il let—

-Lindsay Cherilin Moore- Ahi, nome per intero. Allarme rosso! Allarme rosso! –Minji ha solo molta fantasia, ma non credo dica bugie.-

-Riguardo gli alieni?-

-Riguardo te e il tuo ragazzo.-

Roteò gli occhi, visibilmente irritata da quella discussione senza senso –Ancora con questa storia?- lasciò cadere le braccia lungo i fianchi –Non è il mio ragazzo. E’ solo un mio amico.- Che ogni tanto mi faccio, ma va beh…

Convenne con sé che quel pensiero andava taciuto, pena l’ira funesta del qui presente Mark Moore ora intento a soppesare le sue parole striminzite e che andavano a troncare la sua idilliaca visione delle cose. Perché giurava di aver visto un guizzo di gioia nel constatare che lei, forse, aveva deciso di aprire le porte all’amore e Lin non era così kamikaze da andargli a dire che Seung-Hyun sarebbe diventato uno dei tanti con cui avrebbe fatto sesso. Anche perché, probabilmente, Mark sarebbe andato sotto casa sua armato di Kalashnikov.

-Un amico.-

-Già.-

-Non si esce solo con un amico.-

Le sopracciglia si arcuarono perfettamente, concretizzando il suo scetticismo –Il Medioevo è finito da secoli, eh- ironizzò –Anche se nemmeno in quell’epoca portavano camice così brutte.-

Mark le rifilò un’occhiata assassina –E’ un regalo di Chyo.-

Lin ciondolò il capo –Questo non cambia le cose.-

-E non cambia nemmeno il discorso. Allora, è solo un amico?- ed eccolo lì, Mark, pronto a tornare col piede di guerra su di un campo di battaglia ormai arso al suolo in cui solo i cadaveri dei soldati giacevano esanimi. Ma davvero si aspettava che si lasciasse sfuggire chissà quale plateale spiegazione? Che poi, sul serio, non c’era granché da dire. Erano solo due ragazzi che si erano riscoperti attratti l’uno dall’altra e avevano deciso di provare ad uscire assieme, cosa che non si avvicinava nemmeno lontanamente ad un terribile Mettiamoci assieme e domani cena in famiglia!

-Ovvio che lo è.-

Suo padre sospirò, il tono di chi sta per elargire una perla di saggezza che andava ben custodita -Ai miei tempi si usciva con qualcuno per instaurare un rapporto serio. Non con un amico.-

-Ai tuoi tempi avevano appena scoperto il fuoco- e si usava una clava per abbordare le ragazze, ma questo se lo tenne per sé, che già la vena pulsante sulla tempia dell’uomo era un chiaro input di collera incipiente –Senti, è solo uno con cui esco, non c’è niente tra noi.-

-Ma almeno ti piace?-

Roteò gli occhi –Se non mi piacesse, non ci uscirei nemmeno- lo sentì borbottare qualcosa e quando captò un aberrante Giuro che se fa soffrire la mia bimba, vado sotto casa sua e gli farò rimpiangere di essere nato uomo, Lin aggiunse uno scazzato –E comunque non è nulla di serio. Né per me, né per lui.- un po’ per sbrogliarsi da quel discorso, un po’ perché tutto ciò era talmente nuovo da risultare ingestibile…

-Niente obblighi.-

E perché, in fin dei conti, era la pura verità.

-Posso andare ora?- si sentì come una bambina sotto accusa, quasi fosse stata rimproverata per aver mangiato dei biscotti senza che nemmeno si fosse avvicinata al barattolo sopra la dispensa. E per un attimo comprese il perché delle scenate isteriche di Shirley, anche se per qualche strana ragione, non riusciva a dare del rompicoglioni a suo padre. C’era qualcosa di stranamente buffo nel suo cercare di metterla in guardia da Seung-Hyun, così come c’era qualcosa di divertente nel vederlo preoccuparsi impacciatamente per lei. E mentre attendeva il suo consenso, Lin si ritrovò a guardarsi le converse pur di celargli un sorriso di serenità che, da tanto, aveva smesso di sfoggiare.

Ma quando credette che il suo sonoro sbuffo fosse stato un muto Sì, sei libera, Lin dovette fare i conti con la triste realtà delle cose: che Mark non voleva farla ancora andare via e che dietro quelle sciocche domande, si nascondeva il quesito più importante e che, detto sinceramente, lei nemmeno aveva preso in considerazione…

-Hai sentito Emily?-

E che la fece scoglionare come mai prima di allora. Perché sapeva che sarebbero finiti col discutere, sapeva che quello era solo un pretesto per darle contro e tirare fuori dal cilindro le mille e più cazzate che aveva combinato a New York.

Ma Lin non aveva ancora imparato a tacere in siffatte situazioni, così sbottò un caustico -Non le dirò che esco con uno.- che appesantì l’aria intorno a loro. Le sue parole stridettero con forza nelle pareti del cervello, come se con quell’uno potesse davvero declassare Seung-Hyun e il suo essere un gradino sopra gli altri suoi corteggiatori. Ma solo di un gradino eh, che la scalinata per arrivare al suo cuore era lunga, tortuosa e piena di trabocchetti. Probabilmente si sarebbe stancato prima ancora di essere arrivato in cima. O magari si sarebbe stancata lei, rispendendolo giù insieme a tutti gli altri. Alzò le spalle che di tempo per pensare a tutto questo ce n’era.

Mark scosse la nuca -Non per quello- le parve indeciso se continuare o meno, ma le sue parole finalmente giunsero -Per la Columbia.- e lei si ritrovò a pensare all’università, argomento che nella scala delle sue priorità non aveva nemmeno l’onore di starsene nella top 5.

Con il cuore più leggero e sempre più disposta a seppellire l’ascia di guerra, Lin sventolò le mani ingioiellate -Ma sì, c’è tempo.-

-Il tempo è denaro!- la rimproverò con un indice traballante –Dovresti preoccuparti! Ne va del tuo futuro, te ne rendi conto?-

Perché ogni volta che devo uscire tiri fuori questi argomenti?, avrebbe voluto domandargli, giusto per peggiorare la situazione in cui vegetava, ma l’unica cosa che riuscì a mormorargli fu un disilluso –Non capisco perché ti preoccupi così tanto.-

E lui, per tutta risposta, si limitò ad uno sfibrato –Perché sei la mia Linnie. E vederti crescere non è così bello, sai?- ma intriso di dolcezza, di calda e avvolgente dolcezza che la fece sussultare. E poi, come colpo di grazia, ci fu quel sorriso colmo di amorevolezza paterna che mai si sarebbe sognata di ricevere in quel frangente.

Così, sopraffatta da tutto quello, Lin si rinchiuse nel proprio guscio –Non sono mica una bambina. Preoccupati di Minji, piuttosto, che quella è furba.-

-Ah, ma lo so! ha preso tutto dal tuo vecchio.-

Dio.Mio. –Che fortunella.- ironizzò dandogli le spalle, sventolando una mano pur di allontanarsi da quella cappa di famigliarità a cui non era abituata e che non la stava facendo sentire a proprio agio. Che poi, suo padre sembrava davvero sbarellato a volte. Prima faceva l’uomo tutto d’un pezzo poi se ne saltava fuori con certe frasi alla O.C. capaci di darle il voltastomaco.

E quindi eccola lì, Lindsay Moore, mano sul pomello pronta a respirare un po’ di libertà.

-Linnie?-

Rabbrividì al suono di quel nomignolo, ancora non abituata a sentirsi chiamare così. E quando volse il busto, l’immagine più raccapricciante che avrebbe mai potuto scorgere, si parò davanti ai suoi occhi: suo padre, braccia spalancate, la guardava con dolcezza, un sorriso beota pendente sul volto.

Ma che ca—

-Hai una paresi?-

-Coraggio, Linnie- la chiamò ancora –Abbraccia il tuo vecchio.-

Si è rincoglionito…

Arcuò un sopracciglio -Hai bevuto?-

-Dovrei volerti abbracciare solo perché ubriaco?!- domandò esasperato, abbassando le braccia.

-E quando se no?-

-Oh, diamine Linnie- sbuffò -Dovresti imparare ad accettare l’amore nella tua vita, sai?-

-Nah, fa già abbastanza schifo così.- sciorinò sventolando le mani. E lui se ne restava ancora lì, apparendo come una specie di spaventapasseri un po’ autoritario ma dal cuore buono.

Ma Lin, dondolante sulle punte e incerta su come comportarsi, continuava a restarsene sulla soglia, conscia di essere ormai in stra ritardo. Ma in quel momento non le importò molto di Seung-Hyun e del suo probabile rimprovero, così come non le importava di doversela fare di corsa fino al centro rischiando di arrivare con il trucco colato e i capelli elettrici. No. Le importava solo di quell’uomo davanti a sé che ancora faticava a comprendere, ma che per qualche strana ragione riusciva a farsi capire. Ma lei non glielo avrebbe fatto notare, così come non lo avrebbe abbracciato…
 

-Sei troppo pessimista, come tua madre.-

-Così mi ferisci.-

-Mi dici almeno chi è questo ragazzo?-

-No.-

-Dove abita?-

-In giro.-

-E quanti anni ha?-

-Un po’.-

-Come si chiama?-

-Ciao, sono in ritardo.-
 

E non gli avrebbe raccontato vita, morte e miracoli di Seung-Hyun…
 

-Lascia almeno che ti accompagni.- prese le chiavi dal comodino in corridoio, facendole tintinnare.

Lui non avrebbe accettato un suo no e forse non l’avrebbe nemmeno ascoltata –Se proprio ti va.- ma avrebbe solo riso della sua scontrosità e le avrebbe accarezzato i capelli mentre usciva di casa salutando una Chyoko e una Minji che disegnavano in salotto.

-Non devo insegnarti nulla, vero?-

-Per carità.-

-Bene… Però quando arriviamo, mi indichi chi è?-

-No.-

 

Ma essere un padre un po’ migliore, quello sì, glielo avrebbe lasciato fare senza fiatare.

 

********

 

Non ce la faceva più…

-Ti dico che questa felpa non sta bene con quei jeans!-

Non ce la faceva davvero più…

-E io ti dico che quella maglietta stona con quelle scarpe!- sbottò Tae armeggiando con la scarpiera.

-Perché? I capelli vanno bene? Vogliamo parlare dei capelli?!- Dae per poco non si strappò i propri, strappando perfino a lui uno sbuffo di contrarietà.

-Quello è il problema minore!-

Il problema minore?!

-Tu cosa dici, Hyung?!- gracchiarono Tae e Dae voltandosi iracondi verso di lui, placido e scazzato sul bordo del letto.

-Io dico che dovreste uscire dalla mia camera- Daesung e Taeyang, vestiti a mezz’aria e sguardo da cuccioli bastonati, lo fissarono frastornarti –Ora.-

-Ma Hyung! Noi vogliamo solo aiutarti!- intervenne Dae gettando i vestiti sul letto, utilizzando l’arma migliore che avesse a disposizione: un sorriso da mamma confabulatrice e occhi sbrilluccicanti.

Seung-Hyun roteò i propri, di occhi, colmi di scazzo e vena omicida, chiedendosi perché mai quella mattina, tornato da lavoro, avesse dovuto imbattersi in due maknae troppo presi dagli affari suoi che gli gironzolavano per la camera. E in tutto questo carosello di scemenza, si sarebbe aspettato un GD appollaiato sulla poltrona che dava loro precise istruzioni, ma di quel microcefalo nemmeno l’ombra. Probabilmente era con qualcuna delle sue amichette. E si stava sicuramente divertendo più di lui che si ostinava a starsene in tuta come un placido barbone.

-Ce la posso fare da solo, eh.- sbottò in risposta, costringendolo ad andarsene in un angolino umido e oscuro della stanza. Peccato che il suo palpabile nervosismo ben lasciasse intendere come, alla fine, non fosse poi così convinto di potercela fare senza un sostegno. Perché poco tempo lo distanziava dalla sua imminente uscita con Lindsay e lui se ne stava ancora lì con le mani in tasca e la voglia di farsi venire la febbre. Per poi chiamarla e dirle che non se ne sarebbe fatto nulla, che non voleva contaminarla. Che, forse, era meglio non cominciarla nemmeno quella pseudo frequentazione, che tanto era un gioco al massacro e lui non era sicuro di essere pronto a farsi del male.

-Sei sicuro?- la voce paterna di Tae lo fece ridestare –Sei pallido. Sembra che tu voglia vomitare da un momento all’altro.-

Scoccò la lingua e gli rivolse un’occhiataccia che lo fece ammutolire –Mi fate venire voi due da vomitare- sbottò caustico, avvertendo i loro gracidii di disperazione per quell’insulto sgarbato –Sono in ritardo e gli unici vestiti puliti che avevo li avete gettati sul pavimento!- indicò il ciarpame lì presente, la voce greve e l’espressione iraconda.

Dae intervenne dall’Oltretomba –A dir la verità camera tua era già così, eh.-

-E poi è colpa tua se sei in ritardo- soggiunse Tae in difesa della ferita consorte –Sei stato sotto la doccia per un’ora!-

Scandalizzato dal fatto che quei due cerebrolesi avessero cronometrato il tempo di durata della sua doccia post-allenamento, Seung-Hyun lasciò da parte l’espressione allibita per lasciar spazio a quella dell’esasperazione, con la vana speranza che quei due si defilassero. Vana perché Tae e Dae avevano ripreso ad urlarsi contro come avrebbe dovuto portare i capelli e cosa avrebbe dovuto indossare.

E per un misero istante, ma proprio in quell’attimo di scemenza dovuto ad uno scollegamento del cervello con la ragione, Seung-Hyun si ritrovò a sorridere di fronte alla loro intromissione bonaria e senza doppi fini, quasi la loro missione della giornata fosse farlo divenire impeccabile al cospetto di Lindsay. E sorrise, mentre raccoglieva delle felpe, sorrise mentre Dae picchiava ripetutamente sul braccio un Tae fin troppo autoritario e sorrise quando si rese conto che da tempo non li vedeva così contenti per qualcosa che non fosse un’intervista o un nuovo video.

-Allora, ricordati di aprirle la portiera.-

-E di offrirle l’aperitivo.-

-E di comprarle dei fiori.-

-E di--

-Oh, state rompendo i coglio—

-Profumo! Ti ci vuole del profumo!- lo interruppe Dae, frenetico, cominciando a dimenarsi in giro come un’ape impazzita mentre Tae sbuffava sonoramente.

Seung-Hyun si stropicciò il volto, rimangiandosi tutti quei pensieri scemi che gli erano poppati in mente in un momento di pazzia, probabilmente quando un tenero orsetto del cuore si era impossessato del suo animo da ventiseienne in procinto di dare una svolta alla propria vita sentimentale.

E in tutto quel marasma di magliette che volavano lui continuava a chiedersi perché mai avesse deciso di confessare ai suoi amici del suo appuntamento con Lindsay.

Dio, appuntamento. Con Lindsay.

Era talmente inverosimile che se solo ci pensava, piacevoli brividi cominciavano a diramarsi per tutto il corpo, facendogli tremare addirittura le labbra che, inevitabilmente, andavano ad aprirsi in un luminoso quanto beota sorriso. Per quanto restasse dell’idea che tutto ciò non avrebbe portato a nulla di buono se non a cuori spezzati e lacrime soffocate, Seung-Hyun continuava ad avvertire una vocetta dentro sé che si ostinava a dirgli quando tutto ciò ne valesse la pena, quando uno dei più grandi ostacoli fosse già stato valicato. E allora uno sprazzo di discesa si presentava ora ai suoi occhi, invitandolo dolcemente a concedersi a quella miniatura che aveva decisamente sconvolto la realtà delle sue giornate.

E allora le voci chiassose dei compagni diventavano un ricordo lontano al pensiero che, a breve, avrebbe potuto godere della sua, vellutata e scoglionata; il vestirsi non rappresentava più un problema al pensiero che, la sua dama, sarebbe stata Lindsay e lei non lo avrebbe giudicato, non senza quel briciolo di ironia che gli faceva cogliere come, in realtà, fosse il suo bizzarro modo di dirgli che sì, lo accettava anche nella sua stravaganza, nel suo essere un po’ fuori dagli schemi. Lontano dai suoi standard…
 

-Se vuoi, puoi conoscermi meglio.-

Accettandolo lo stesso.

E Seung-Hyun si lasciò sopraffare da tutta quella benefica felicità, che nemmeno si era accorto di come Tae e Dae avessero smesso di punzecchiarsi, ammutolitisi di fronte all’arrivo dell’Ape Regina che, in perlustrazione, sembrava alla ricerca di una falla in tutto quel carosello di assurdità…

-Troppa felicità non ti farà bene, Hyung.-

Trovandolo, da abile osservatore quale era.

Seung-Hyun gettò il capo in avanti, avvertendo una cappa di esasperazione sollevarsi sopra le loro teste mentre sentiva i passi di quel mentecatto farsi sempre più vicino. Volse il busto, incrociando lo sguardo curioso e luminoso di Ji Yong rivolto al pavimento in disordine, guardando commosso i due maknae che, silenziosi, avevano preso a guardarsi in cagnesco mentre stringevano il ventesimo vestito che, ovviamente, sarebbe poi stato scartato.

-Vedo che sei tornato presto.- Che culo, aggiungerei…

Mani in tasca e sorriso sghembo, Ji Yong zampettò in camera, le movenze di un felino che sta studiando la prossima preda da squartare –Se vai avanti di questo passo, scoppierai.-

-Chissà che rimaniate coinvolti nell’esplosione.- cinguettò serafico mentre raccattava una felpa a caso, che tanto nulla sembrava fare al caso suo.

-Mi sembri agitato, Hyung.- constatò Ji Yong studiandolo con capo inclinato.

Ovvio che si agitava, se un maledetto psicopatico lo fissava come se fosse stato un topo da laboratorio! Lo trucidò con la potenza del proprio sguardo assottigliato, poi lasciò perdere la sua cretineria e si gettò alla ricerca del vestito perduto, trovandolo fra le mani di un Taeyang in fase di mugugnamento cronico.

-Lui non è agitato!- corse in sua difesa Dae, rivolgendogli un sorriso caramelloso. Tanto non è che così si faceva perdonare, eh.

-Oh, non lo è?- mormorò il leader, arricciando le labbra e corrugando la fronte –Quindi la felpa al contrario è solo una nuova tendenza?- osservò con un sorriso dolciastro, portando una mano sulle labbra –Tu sì che hai senso dello stile, Hyung!-

-Ji Yong! Non infierire!-

Non infierire?!

-Non è colpa sua se è nervoso perché tra poco vedrà Lindsay!- sottolineò Dae corrucciato.

Eh?! Nervoso?!

-E perché non esce da un sacco con qualcuna!-

-Dovremmo essergli vicini in questo momento di sconfo—

-Statemi vicini andandovene fuori dalle palle, che ne dite?- voce tombale e sguardo tagliente, Seung-Hyun nemmeno prestò attenzione ai loro squittì di disperazione mentre lo abbandonavano al proprio destino lasciando dietro loro un implorante Non ci uccidere, Hyung!, seguito da uno scettico E comunque quella felpa cozza con quelle scarpe! e la porta che sbatteva.

E Seung-Hyun, che pensava di essersi liberato degli agenti molesti nell’atmosfera della propria camera, dovette fare i conti con un pacioso leader che, ridacchiante, se ne stava spaparanzato sul letto sfatto in preda alle convulsioni.

-Smettila di ridere. Sembri una maledetta iena.-

-Le iene alla fine del film uccidono Scar, non ricordi?-

-Io ricordo che morirono per il troppo ridere.-

-Mi spiace, ma non mi piace Chi ha incastrato Roger Rabbit- sollevò le spalle –Ad ogni modo, non dovresti essere così nervoso. Altrimenti America si spaventerà e ti lascerà subito.-

-Sei una merda a far rilassare la gente, lo sai?- sbottò caustico mentre aggiustava la felpa, mettendo in mostra la maglietta che nemmeno ricordava di aver indossato, tanto era preso a smadonnare contro i suoi coinquilini.

Ed ecco che i consigli non richiesti di Ji tornarono a farsi sentire, giusto perché non era già smaronato di suo -Sicuro di voler mettere quella maglietta?- Top decise finalmente di guardarlo, questa volta però con aria perplessa, quasi non comprendesse cosa ci fosse di sbagliato in quella banale maglietta colorata.

Top se la tirò, guardandola –Cos’ha che non va?-

-A parte il fatto che è l’essenza dell’anti-moda?- trillò l’amico sbattendo le palpebre, facendolo grugnire –Hai dimenticato cosa ne ha fatto America della tua giacca sgargiante?- per tutta risposta, il rapper se la sfilò di dosso, lasciando cadere sul pavimento l’ennesima maglia che non avrebbe avuto l’onore di aderire al suo petto –Mh, quindi non sei nervoso, proprio no.- concluse l’amico con un sorriso smagliante, tornando a crogiolarsi sul suo letto mentre lui, a petto nudo, stava ponderano sull’andare in giro in tale maniera. Tanto, chi avrebbe avuto da ridire? Le sue fan magari sarebbero state contente di scorgere finalmente i suoi addominali; forse la polizia un po’ meno di dover prendere in considerazione l’idea di arrestarlo per atti osceni in luogo pubblico. Ma magari perfino Lindsay sarebbe stato contenta. Anzi, conoscendola, di sicuro i vestiti sarebbero stati l’ultimo dei loro problemi visto che, probabilmente, sarebbero volati nell’auto prima ancora che potessero dirsi Ciao.

OhDio, sto sbarellando…

-Non farti saltare le coronarie. Dubito farete sesso nella tua macchina. Non stasera, almeno- Ji Yong catturò il flusso dei suoi pensieri mentre rovistava fra i suoi vestiti, lanciandogli poi contro una banale felpa blu che lui agguantò con sorpresa e un misto di timore. Quello psicopatico doveva smettere di leggergli nel pensiero. Stava cominciando a fargli paura! –Ad ogni modo… Quindi?-

-Quindi cosa?- gli rivolse un sorriso per aver raccattato quell’unico vestito decente in mezzo a tutto quel ciarpame.

-Hai già deciso cosa fare quando la vedrai?- domandò annoiato, studiando ogni suo movimento. E Top si fermò, testa ancora infilata dentro la felpa e pancia scoperta mentre cercava di dare un senso a quanto gli era stato appena comunicato. Beh, ecco, già. Che cazzo doveva fare una volta che se la sarebbe ritrovata davanti? Insomma, va bene, avrebbe cominciato con un banale Ciao, giusto per dimostrarsi ancora dotato di parola, ma dopo? Avrebbe dovuto sommergerla di complimenti? Avrebbe dovuto chiederle dove le sarebbe piaciuto andare? Avrebbe dovuto fare tutte quelle cose che, ora, non gli sembravano più così belle, semplici e romantiche? E l’ansia tornò a pervaderlo mentre faceva sgusciare fuori dalla felpa la nuca scompigliata, guardandolo con espressione assente.

-Non ne ho idea. Non ci ho pensato.-

-Oh, ma questo è male.- ponderò l’amico, senza però dargli alcun consiglio. No, ma cioè, ma quanto era stronzo?! Prima se ne usciva fuori con perle non richieste e quando invece avrebbe dovuto gettargliene contro una moltitudine, ecco che si barricava dietro una scorza di menefreghismo.

Trattenne per sé una bella imprecazione e sbuffò –Beh, e dimmi, che cosa dovrei fare, di grazia?-

-E che ne so. E’ la tua bella, mica la mia- Ma che cazzo ci parlo a fare? –Comunque, beh, dovresti salutarla. E poi baciarla. Sì, ecco- inclinò il capo -La bacerai o no?-

Ma se non sapeva nemmeno se salutarla con un banale Ehi o chiederle di abbassare direttamente il sedile e slacciarsi i pantaloni, come poteva pretendere che avesse già deciso se baciarla o meno?! -Ma non lo so!-

GD serrò le labbra e respirò, producendo un suono talmente lugubre da farlo bloccare –Di male in peggio- Top palesò la propria confusione –Molto, molto peggio.-

-E perché?-

-Perché se la baciassi potrebbe pensare che non vedevi l’ora di frequentarla solo per questo.-

-Allora non la bacerò.- recuperò il portafogli e sfilò verso l’uscita della camera, abbandonando l’idea di avere una conversazione civile e sana con quel demente che ora gli trotterellava dietro.

-Ma se non la baci potrebbe pensare che tu non ne sia attratto- Ji Yong gli rivolse un bel sorriso mentre gli circondava le spalle tese con un braccio –Senti, dille di calare le braghe e poi dacci dentro, ok?-

-Fanculo.-

Si avvicinò alla porta con il chiaro intento di abbandonare quella gabbia di matti che si ostinava a chiamare famiglia e quando udì il pomello girare e la porta scricchiolare, si rese conto che il rullino di una macchina fotografica andava riavvolgendosi, costringendolo a bloccarsi sulla soglia con l’espressione più desolante che avesse nel repertorio: lì, a pochi passi, svettavano un Dae coi lacrimoni, un Tae che riavvolgeva il rullino di una macchinetta usa e getta e un Ji Yong che gli faceva segno di… Beh, era Ji Yong, che si aprissero le porte dell’immaginazione.

Ma che cazzo era quel quadretto familiare imbarazzante che gli si era parato sotto il naso ora arricciato?!

-Il mio ometto sta crescendo!- Dae gli si avventò al collo.

Tae lo guardò con orgoglio mentre sventolava la macchina –Hyung, fermo in posa!-

-Oi, avete mica visto il libro che stavo leggendo?- oh, Ri e la sua proverbiale scemenza. Puntuale e salvifica. Se non fosse stato troppo impegnato a scrollarsi Dae di dosso, lo avrebbe abbracciato.

-Sarà fra i giornaletti porno.-

-Io non leggo i porno!-

-Certo, e lo Hyung qui non è nervoso di uscire con America.-

-Infatti non sono nervoso!-

-E allora perché tremi?-

-Tu staccati!-

-Oh, Hyung—

-Che.Vuoi?!- regalò al leader uno sguardo assassino, ma quello non si fece intimidire.

GD ghignò –Sei in ritardo. Di ben dieci minuti- e allora scattò, gettando Daesung per terra senza troppi convenevoli; fu una saetta che si precipitò per le scale con la vaga sensazione di aver sfiorato la morte un paio di volte, rischiando di scapicollarsi come il cretino che era.

Cazzo. Cazzo. Cazzissimo!

-E non fare tardi!- Daesung si sporse dalla balaustra.

-E riempila di complimenti!- urlò Tae con le mani a mo’ di megafono.

-E ricorda che molti reggiseni, oggi, hanno il gancio davanti, non dietro!-

-Fanculo, Ji Yong!-

 

Molti smadonnamenti più tardi, molte rotonde tagliate e molti pedoni quasi investiti, Seung-Hyun riuscì a volare in picchiata al luogo dell’appuntamento con… Beh, venti minuti di ritardo. Fantastico, veramente grandioso. Prima le raccomandava la massima puntualità, poi si faceva attendere come un principe un po’ cazzone.

Si guardò attorno, ma di Lin nemmeno l’ombra. E subito l’angoscia che credeva di aver sfogato alzando medi a caso su gente a caso che gli aveva strombazzato contro i clacson, tornò a fargli visita, battendogli una mano pesante sulle spalle incurvate mentre, piegato sulle ginocchia, riprendeva un po’ di fiato. Che Lindsay se ne fosse andata? Magari si era stancata di aspettarlo e aveva deciso di lasciarlo lì, da bravo pirla qual era. O magari qualcuno l’aveva abbordata e lei c’era stata. Nh, decisamente, quest’ultima opzione era la più credibile…

Un paio di dita tamburellarono sulla sua spalla –Sei in ritardo.- e senza nemmeno aver bisogno di voltarsi, subito comprese chi fosse il possessore di quella voce vellutata. E non riuscì a trattenere un sorriso di sollievo quando se la ritrovò davanti, con le labbra arricciate e l’aria di chi si è già stancata di stare in giro.

-Mi aspetti da tanto?- fece un breve inchino, a cui lei rispose con le sopracciglia arcuate. Cioè, di male in peggio… Qualsiasi cosa facesse sembrava un coglione!

-Sono appena arrivata.-

-Allora sei in ritardo anche tu!-

-Noi donne dobbiamo farci aspettare.- osservò lei con sufficienza mentre portava le mani in tasca, precludendogli ogni possibilità di venir sfiorato. Che stesse implicitamente chiedendogli di dover fare lui il primo passo?

Beh, non è che poi, a dir la verità, Seung-Hyun avesse avuto chissà quanto tempo per pensarci, perché prima che potesse rendersene conto, senza neppure farci caso, si era ritrovato a camminare al suo fianco senza alcuna meta precisa. Continuando a rimbrottare ad ogni sua sparata poco galante, senza avere la minima tentazione di prenderla per la vita o per le spalle o per mano o sottobraccio. E non perché lei fosse meno deliziosa del solito, anzi, continuava a riempire le sue fantasie galoppanti anche se vestita come una rapper fuggita di galera; semplicemente, sentiva che in quel momento andava bene così. Che avrebbe avuto poi l’occasione di dirle quanto bella fosse quel giorno o magari lei, dallo sguardo compiaciuto che le aveva rivolto lo aveva già compreso. E che lei, semplicemente con la sua sola presenza, lo stava mettendo a proprio agio come nessuna mai prima di allora.

Perché camminare al suo fianco, avendola vicina seppur separati da un sottilissimo ed invisibile strato d’aria, gli parve già abbastanza. Gli parve già un piccolo miracolo il poterla avere di fianco a sé, che senso aveva rovinare tutto con le proprie paure?

-Ti piace la mia maglietta?- ma quando uno era coglione, era coglione…

-E’ solo una maglietta.- e quando una era stronza, era stronza…

Quindi, tutto nella norma. Nessuna parola strana o fuori luogo, nessun gesto kamikaze o che avrebbe potuto farlo pentire. Solo lui e Lin che, da bravi pirla qual erano, procedevano a suon di parole ironiche e sferzanti.

-Perché eri in ritardo?- silenzio dall’altra parte –Allora?-

-Un attimo, ci devo pensare.-

-Ma come ci devi pensare?!-

-Beh, ci sono stati un po’ di impedimenti- borbottò lei, guardando il cielo plumbeo –Ma non illuderti: non ero indecisa su cosa mettere.-

-Beh, nh—

-Contavo sul fatto che ti vestissi peggio di me.-

-Oh, ma smettila!- la spinse leggermente –Non mi vesto mica così male.-

-Giacca multicolore.- fu tutto ciò che disse con tono lugubre. E lui sentì ancora la fronte e il naso dolere.

-Non ho solo quella!- berciò seccato.

E senza rendersene conto, troppo preso a battibeccare con lei, si era ritrovato davanti alle porte del bar in cui avrebbe voluto portarla, in quella via silenziosa e scarsamente trafficata, ammirando quel cartello su cui svettava un delizioso “Apertura ore 19.30”.

Fantastico. Veramente fantastico.

E ora come la trascorrevano quell’ora di nulla facenza?

-Wow, un bar chiuso. Non ne avevo mai visti. Grazie per la visita.-

-Ma la smetti? Non pensavo fosse chiuso.- sbottò in risposta, reprimendo un enorme smadonnamento contro la propria superficialità. Ora, sicuramente, Lin si sarebbe messa a colpirlo con la sua solita proverbiale ironia, rivolgendogli occhiate bieche corredate da sbuffi.

Invece ci fu silenzio, un silenzio che lo costrinse a guardarla, ma a guardarla sul serio, questa volta. E pur nella sua semplicità, pur nel suo essere così uguale a tutti gli altri giorni, c’era qualcosa di diverso. Qualcosa che non riuscì a catalogare, ma che lo spinse a soffermarsi sul suo volto corrucciato un po’ troppo a lungo. Quel tanto che bastava per osservare le sue ciglia lunghe e nere, tanto da rendere i suoi occhi nocciola enormi; il suo naso all’insù che le conferiva un’aria da damigella un po’ snob che non accettava ordini da nessuno; quel tanto che bastava per guardare le sue labbra rosse ora arricciate e desiderarle, inumidendosi le proprie mentre scacciava tutti i pensieri poco casti che la sua mente gli stava propinando.

Cervello, ti ricordo che il sesso in un luogo pubblico è reato.

-Che palle.- sbottò Lin poco dopo, facendo sfumare ogni pensiero perverso. Se parlava da scaricatrice di porto, però, gli faceva passare la fantasia, eccheccazo!

-Niente parolacce.-

-Come scusa?- fronte corrugata, lo fissò come se fosse un alieno.

-Ho detto niente parolacce- le rivolse un sorriso sornione –Tu hai le tue regole, io ho le mie.-

Lin scoccò la lingua –Che regola del cazzo.-

Anche le tue lo sono!, avrebbe voluto rispondergli in un impeto di follia, conscio che così facendo l’avrebbe costretta ad allontanarsi. Perché lei non lo aveva costretto a sottostare al suo gioco, gli aveva concesso la possibilità di rifiutarla, perdendola forse per sempre. E lui aveva detto sì, perché preferiva cento giorni di brividi e normalità rispetto ad una vita di rimpianti per non averla nemmeno assaggiata. Così la guardò serio, tornando poi a fissare il bar –Niente parolacce.- ripeté calmo, sorridendo un poco quando la sentì mugugnare di assenso.

-Quindi? Che si fa?- portò le mani in tasca e si volse verso la strada -Andiamo da qualche altra parte?- propose con apatia.

Seung-Hyun si massaggio il collo –Qui non è molto frequentato.- fu tutto ciò che le disse, conscio che lei avrebbe captato il motivo della sua reticenza ad allontanarsi.

Ed infatti, il suo leggero –Allora, restiamo.- gli beò le orecchie, lasciandolo per un attimo in stand-by. A contemplarla, di nuovo. E a quel punto, comprese che la lucidità era ormai sulla soglia, pronta ad uscire dall’androne del suo cervello –Che facciamo intan— e che baciarla per primo, non era poi un’onta così disonorevole.

Premette piano le proprie labbra sulle sue, allontanandosi dopo qualche secondo per poter scorgere la sua espressione di pura estasi. O beh, qualcosa che potesse vagamente richiamare l’estasi. Perché quella lo fissava contrariata, con gli occhi assottigliati.

-Avevo detto niente smancerie in pubblico.-

Inclinò il capo –Avevi detto solo niente smancerie. Il in pubblico non era contemplato.-

Lin guardò il cielo –Beh, era sottinte- la baciò ancora –Oi, sei sordo?- allontanò il viso, guardandolo con sorpresa e un misto di fastidio, quasi non si aspettasse questo suo ignorarla in maniera tanto sfrontata.

Una risata gli sfuggì, avvertendo un grugnito fuoriuscire dalle sue labbra carnose a pochi millimetri dalle proprie –Non c’è nessuno- alzò le spalle –La via è deserta.- aggiunse guardandosi attorno.

La vide studiare la strada isolata su cui alcune gocce di pioggia cominciavano a posarsi delicatamente, per poi fissare la tettoia del bar che li avrebbe certamente riparati dalle intemperie. Seung-Hyun avrebbe desiderato che lo avesse protetto anche dalla moltitudine di emozioni che in quel preciso istante lo stavano facendo tremare, ma Lin si sporse un poco dopo avergli sorriso e lo aveva baciato piano, lenta, delicata come solo lei sapeva essere.

E allora no, del resto non gli era importato più granché…

Portò una mano fra i suoi capelli, stringendoli. E la voce di Ji Yong si dileguò, rendendo decisamente meno raccapricciante quel momento che era suo e suo soltanto.

-Sicuro di non voler andare da qualche altra parte?- mormorò sul suo viso, continuando a non mollare la presa.

-Va bene così.- come poteva allontanarsi con tale delizia fra le mani? Delizia che, alla sua risposta appena sussurrata, si era alzata sulle punte, lasciandosi stringere decisamente un po’ di più. Senza reticenze, senza lamentarsi. Concedendosi dopo una lotta breve ma sfiancante.

E a Seung-Hyun, andava davvero bene così…
 

-Solo perché non c’è gente, eh.- gli sfiorò le labbra.

E lui sorrise prima di inclinare il viso –Lo so.-
 

Per il momento, aveva trovato come impiegare quell’ora.

 

********

 

Lindsay odiava la pioggia.  La disprezzava, ad essere sinceri. I capelli le si appiccicavano addosso, le goccioline scendevano dal collo alla schiena, al seno, rendendo i vestiti una scomoda seconda pelle. Il freddo le stava entrando nelle ossa, cominciando a farle venire la pelle d’oca.

Seung-Hyun, braccia conserte per riscaldarsi, la guardò da sotto gli occhiali da sole –Sicura di stare bene?- lei annuì, stringendo le labbra per non battere i denti. Il ragazzo scosse la testa, si staccò dal muro e provò a togliersi la giacca, pronto a  compiere un gesto di galanteria.

Lin agitò le mani –Oi, che intenzioni hai?-

-Hai freddo, ti presto la mia giacca.-

L’americana gonfiò le guance e agitò l’indice davanti al suo naso –Avevo detto niente cazzate romantiche.-

-E io avevo detto niente parolacce!- le diede una leggera spinta –E comunque si chiama cavalleria. Ma dove sei cresciuta, in una stalla?!-

No, non in una stalla. Ma quando crescevi circondata da caproni che preferivano espressioni colorite come Se vuoi puoi usare il mio corpo come coperta, beh, non è che fosse poi così navigata di fronte a tale sfoggio di gentilezza.

Lo sentì mugugnare di dissenso mentre tornava a farsi i fatti propri e Lin, naso storto e scoglionamento incipiente, aveva cominciato ad osservare i minuscoli rivoli d’acqua che avevano scorrevano fra le mattonelle della strada ormai deserta. E pensare che fino a che le labbra di Seung-Hyun non si erano allontanate dalle sue, Lin non si era nemmeno accorta dell’acquazzone che li aveva sommersi. Anzi, nemmeno si era resa conto di come il fastidio che la pioggia le procurava, non fosse passato di là.

Fino a che lui non si era appoggiato alla parete e allora l’aveva vista, l’irritazione, smagliante e luminosa, pronta a trascinare dietro sé una valigia colma di ricordi scomodi e lugubri.

E non erano bazzecole, quei ricordi sgualciti che mai avrebbe voluto rindossare.

Suo padre, ad esempio, aveva avuto la notizia del trasferimento per New York in una piovosa giornata di fine primavera; il suo gatto Signor Gatto si era perso in una giornata di pioggia e non aveva mai più fatto ritorno; sua madre aveva chiesto il divorzio in una mattina non ben definita di inizio ottobre e scrosciava ininterrottamente da ore. Anche quando suo padre se ne andò in Corea pioveva; ricordava di aver percorso il vialetto di casa inseguendo la sua macchina, incespicando nei propri piedi e ruzzolando nella maggior parte delle pozzanghere. Fino a che una delle tante vie di New York non lo aveva inghiottito, fino a che quel taxi giallo non si era mescolato a tanti altri taxi gialli.

Il suo viso pallido si adombrò mentre avvertiva gli occhi pizzicare -Che palle!- sbottò Lin guardando la tettoia, ricevendo un pizzicotto sul braccio da Seung-hyun –Sì, sì, niente parolacce. Perdono.- sventolò una mano, mugugnando le proprie imprecazioni fra le labbra cosicché potesse non comprenderla.

-A che stai pensando?- le domandò accorto, come se avesse compreso la gravità dei suoi confusi pensieri.

Lin alzò le spalle –Quando ho perso il mio gatto pioveva. Da allora non mi piace granché. Intendo la pioggia eh, quelle bestiole pelose mi fanno tenerezza.- gli disse il primo pensiero che passò di là. Di certo, raccontargli del triste episodio del Signor Gatto sarebbe stato meno sfiancante che spifferargli di come si fosse sentita morire quando suo padre se n’era andato. Udì un verso strozzato di fianco a sé; probabilmente il ragazzo stava cercando di non scoppiare a riderle in faccia per la sua analisi sconclusionata.

-Avevi un gatto?-

Annuì –Sì, era arancione a chiazze bianche. Si chiamava Signor Gatto e—

-Signor Gatto?!- vide le sue labbra tremare prima di scoppiare a ridere in una fragorosa risata che le fece storcere il naso. Lo vide alzare gli occhiali da sole per cercare di asciugarsi le lacrime e tra una risata e una presa di fiato le biascicava delle scuse –Che nome assurdo!-

-Disse il ragazzo che si fa chiamare Top.- mormorò caustica, credendo di suscitare la sua irritazione. In realtà quello doveva non averla sentita, perché continuava a ridersela alla grande. Lin sbuffò, lasciando che la labbra guizzassero all’insù con spontaneità.

Però quando ride, tutto sembra più sopportabile…

Si strinse nelle spalle, avvertendo un pizzico di disagio chiuderle la bocca dello stomaco.

-Il nostro primo appuntamento e piove- le lanciò un’occhiata divertita di sottecchi dopo che l’euforia cessò –Magari è un segnale?-

Lin arcuò un sopracciglio, guardandolo fissa negli occhi –Più che appuntamento, lo chiamerei incontro clandestino- gli diede un buffetto sul braccio –E non dire più primo appuntamento. Mi fai venire i brividi!-

Top non riuscì a trattenere una risata rauca, appoggiandosi meglio contro il muro –D’accordo, lo chiamerò appuntamento e basta.-

-Si, va beh, come ti pare.-

-Il nostro primo appuntamento.-

-Ma la smetti?!-
 

E poi la pioggia la odiava perché dava il via ad inutili e spiacevoli conversazioni…
 

-Se cambiassimo programmi?-  lo vide storcere il naso verso il cielo grigio –Potremmo rimandare a stasera.- c’era una nota di seccatura nella sua voce profonda, ma Lin non vi badò. O almeno ci provò… Perché a quella proposta, aveva sentito lo stomaco contorcersi?

-Tribeca- fu tutto ciò che replicò, stringendosi meglio nella felpa del One Up –Possiamo lasciar perdere oggi e vederci un altro gio—

-No!- Lin si voltò con occhi sbarrati a quella brusca interruzione, inclinando il capo mentre lo vedeva serrare le labbra in una smorfia di incertezza –No, cioè, sono impegnato questa settimana. Oggi era l’unico giorno libero.- si grattò la chioma azzurrognola.

-E allora aspettiamo che passi il diluvio universale- alzò le braccia al cielo –Se dovesse passare una porta, potremmo sempre usarla come zattera e andare in qualche bar.-

-La tua simpatia rallegra questa giornata nera.- sbottò il ragazzo dandole una manata sulla testa.

-Almeno provo a vederci del buono.-

Il rapper le passò un braccio intorno alla vita, portandola verso di sé con un gesto fluido e sensuale -Già solo stare con te rende tutto un po’ migliore.- le mormorò all’orecchio con voce civettuola, facendole scorrere i brividi lungo la schiena. Sì, brividi di terrore…

-Il mio cuore rachitico sta ricominciando a battere, grazie.- biascicò ironica facendolo scoppiare a ridere. Lin provò a contenersi ma non resistette e l’ennesimo sorriso della giornata si perse in un bacio che gli concesse senza troppi perché, sfruttando il silenzio di quella via non trafficata. Si ritrovò a pensare a quanto bello fosse quando non aveva l’espressione da Yakuza, ma fu un pensiero fugace, una breve e insulsa parentesi romantica che si concesse quando avvertì le sue labbra sfiorarle la fronte prima di tornare a riappoggiarsi alla parete.

-Non credevo saresti mai venuta da me- mormorò lui assorto, ridestandola –Eri così spaventata che—

-Non ero spaventata- lo interruppe brusca. Avvertì la sua imprecazione e un trillante –Seung-Hyun, non si dicono le parolacce- le sfuggì senza controllo alcuno, rendendo decisamente meno pesante quel discorso che aveva imbastito senza motivo apparente. Forse perché pioveva. O, forse, perché davvero tutto quello non aveva senso alcuno –Credevo avresti detto no. Non mi sembri portato per queste cose.- esplicò senza delicatezza alcuna, ricevendo una sberla sulla nuca.

-Guarda che non voglio una storia seria.-

-No?-

-No, al momento non ne sento il bisogno-  e l’aveva guardata con strana dolcezza, come un uomo innamorato guarda la propria amata fermi ai semafori, seduti al bar. Con rapimento, con trasporto… Troppo… E Lin si era sentita per un attimo perduta, incapace di rispondergli acida o con qualsiasi altra battuta che potesse far cambiare loro discorso. Era spaventata al pensiero che qualche dichiarazione fuori luogo sarebbe potuta saltar fuori da un momento all’altro e lui doveva averlo capito, perché dopo averle puntellato l’indice sulla fronte aggiunse –Sono talmente sommerso di lavoro, non troverei il tempo per gestire una storia seria.-

-Va beh, quando ne sentirai il bisogno, dimmelo.- che era un po’ come dirgli che non avrebbero mai avuto un futuro assieme, che lei non sarebbe di certo stata lì ad accorrere in suo aiuto. Che per lei, lui, era uno dei tanti tra i tanti. Solo un po’ più fortunato, visto che poteva stringerla a sé senza problema alcuno.

-Certo- mormorò lui con un mezzo sorriso, continuando a guardare la strada. Lin si strinse nelle spalle, inumidendosi le labbra secche mentre sbirciava l’orologio del ragazzo. Pochi minuti mancavano all’apertura del bar, ma dubitava che il proprietario sarebbe arrivato in tempo, con quello Tsunami. La voce pacata di Seung-Hyun tornò ad armonizzare i suoi pensieri, sbaragliandoli come tessere di un domino -Quando hai detto che a New York hai incontrato tanti ragazzi- il sarcasmo si sprecò nella sua voce roca, ma Lin era troppo concentrata a guardare il suo profilo serio per rendersene conto –Era vero?-

Lin tornò a guardare davanti a sé –Ovvio.- non aggiunse nient’altro, stretta in quella cappa di serietà che l’aveva avvolta, continuando ad imprecare interiormente contro la pioggia che, a ben vedere, aveva rovinato il loro incontro. Perché si era aspettata di tutto, da quella cosa che vagamente somigliava ad un appuntamento, ma mai si sarebbe aspettata una chiacchierata così scialba eppure in qualche modo spaventosa. Sembrava quasi che quel suo Ovvio avesse gettato le basi per la fine, quando nulla era nemmeno cominciato.

Ma Seung-Hyun le sorrise prima di stringerla a sé con dolcezza, baciandole ancora la fronte, come se silenziosamente volesse dirle che a lui non importava un cazzo di quello che aveva combinato a New York, consapevole che sarebbe divenuto uno di quei tanti ragazzi.

E per un attimo fu tentata di dirgli di smetterla lì, che non voleva sbrandellargli il cuore…
 

-Seung-Hyun…-

-Nh?-
 

Che non si meritava la sua cattiveria o la sua incapacità di amare…
 

-Credo che—

-Qualcosa non va?-
 

Ma un basso omino si avvicinò a loro…

-Stavate aspettando da tanto?-

E il coraggio andò via, perdendosi insieme ai rivoli d’acqua.

-N—

-Sì.- sbottò lei, mentre Seung-Hyun andava a tapparle la bocca con la mano, rivolgendo un sorriso tremolante all’uomo.

Uomo che arcuò le sopracciglia quando scrutò il ragazzo -Perché porta gli occhiali da sole? Non si sente bene?- domandò con preoccupazione.

-Ecco, io--

E’ cieco.-

-Ehi—

-Oh, povero caro- l’uomo fece l’occhiolino alla ragazza –Oggi per voi offre la casa! Il premio per essere i primi clienti.- Lin gli sorrise mentre udiva il tintinnio del campanellino. Tempo due secondi e l’ira di Seung-Hyun si abbatté sulla sua nuca corvina.

-Sei una stron--

-Aha, niente parolacce.- portò le mani in tasca vedendolo scuotere la nuca con esasperazione mentre borbottava chissà cosa in coreano.

Lo vide sbuffare, poi la sua attenzione si fece seria ed interamente rivolta a lei –Cosa dovevi dirmi, prima?-

Alzò le spalle –Nulla di che.-

-Oh, beh, allora- si grattò la nuca corvina prima di scoccarle un bacio sulle labbra –Quando vuoi, beh, sì, insomma, lo sai che—

-Sì, lo so.- gli sorrise un poco.

 

Lindsay aveva sempre odiato la pioggia… Ma, forse… Forse

Top le sorrise luminoso prima regalarle un bacio appena soffiato, scomparendo poi dietro la porta dal campanello tintinnante. E lei sorrise, in direzione della strada.

Decisamente, poteva conviverci…

 

************

 

Kwon Ji Yong pose l’Iphone sul tavolo, scoccando l’ennesima occhiata torva in direzione dell’orologio appeso al muro.

Lo Hyung sarebbe dovuto rincasare già da dieci minuti e lui, rinvigorito dal siparietto che aveva avuto luogo poche ore prima, non vedeva l’ora di ritrovarselo davanti ai propri occhi stanchi e sormontati da vistose occhiaie solo per divertirsi ancora un po’. Solo per ricordarsi perché aveva speso così tanto tempo ed energia per far sì che quei due impiastri si decidessero una volta per tutte ad uscire assieme. E magari capire che erano effettivamente fatti l’uno per l’altra, seppure nella loro stramba e contorta maniera.

Perché Ji Yong aveva già messo in conto la possibilità di ritrovarsi a divenir personaggio secondario di quella buffa scena in cui, un nervoso Hyung, dava fondo a tutto il proprio arsenale di vestiti senza però trovare quello più adatto, incapace di comprendere che ad una come Lindsay poco importasse cosa avrebbe potuto indossare, giacché la fase dell’accettazione era già stata superata con la consegna dell’oggetto incriminato –alia un’orrida giacca cangiante- che una funesta diatriba creò fra i due topolini ciechi.

E aveva messo in conto anche il nervosismo palpabile che avrebbe impregnato ogni singolo muro del loro appartamentino da troppo tempo immerso nella noia, che da troppo tempo non diveniva il set di siffatte situazioni. Perché gli altri tre beoti avevano da tempo accantonato il genere femminile, a quanto sembrava, e lui aveva smesso di esaltarsi o anche solo provare un briciolo di euforia quando si apprestava ad incontrare qualcuna.

I battiti accelerati del cuore, lo scetticismo di fronte a quell’abito piuttosto che quell’altro, la sensazione di completo disagio che lo faceva estraniare dal mondo mentre continuava a chiedersi come dovesse comportarsi di fronte a lei che, probabilmente, nemmeno si rendeva conto di essere l’essere più bello che mai avesse varcato la soglia della sua esistenza. Tutto questo, lui, nemmeno ricordava che sapore avesse, che colore avesse, che miriadi di sensazioni comportassero.

E aveva avuto l’onore, quel giorno, di rivederle in un Seung-Hyun dal tremolio visibile e dal sorriso traballante, che pur nel suo fastidio sembrava essere in procinto di scoppiare, tanto la gioia era troppa.

-Oh, sei qui?- Dae lo ridestò, entrando in cucina come un ninja –Pensavo uscissi con Rei.- buttò lì vago mentre lo sguardo si infrangeva sul cestino della frutta.

Ji Yong represse un sorriso di raccapricciante gaudio –Ho di meglio da fare, stasera.-

E come se avesse captato il fulcro dei suoi pensieri, Dae si volse con espressione atterrita, agitando un indice troppo ballerino –Non far ammattire Seung-Hyun, sono stato chiaro?! E’ un giorno importante questo, non rovinarglielo!-

Sghignazzò di fronte all’atteggiamento materno che Daesung assumeva quando si trattava di loro. Ricordava che, all’epoca, era stato solito riversare quella spropositata dolcezza anche su di lui, lasciandolo uscire di casa con la sensazione che, se anche fosse stata una serata da dimenticare, lui avrebbe sempre avuto qualche parola buona da poter usare.

-Non voglio mica rovinarglielo- mormorò nella stanza dalla luce soffusa, guardando di nuovo in trepidante attesa quell’orologio che sembrava far scorrere lentamente il tempo –Voglio solo condividere la sua felicità.-

-No, tu vuoi succhiargliela via tutta, che è diverso- borbottò caustico, strappandogli una leggera risata; udì il suo sbuffo pesante, poi il tono di voce assorto con un pizzico di malinconia –Ma non ti manca un po’ tutto questo?-

Lo guardò ad occhi socchiusi, avvertendo un leggero fastidio far largo nel suo essere –Che cosa?-

Agitò le mani –Ma sì, quelle cose lì che provi quando esci con qualcuna che ti piace!- si morse il labbro inferiore, pensieroso –Il nervosismo, le palpitazione, le campane a festa, gli uccellini che cinguettano, le—

-Quelle cose le provano le donne.-

-Mi stai dando della donna?-

-Stai facendo tutto tu, lo sai?-

-Ji Yong, dai, sono serio!- sbottò lasciandosi cadere sulla sedia, segno che non l’avrebbe lasciato solo molto presto; sorrise di malcelato divertimento al pensiero che davvero sembrassero una madre iperprotettiva alle prese con un figlio che aveva deciso di mettere da parte tutto ciò che gli altri trovavano quasi vitale, reputandolo inutile –Ricordo che anche tu eri come lui, all’inizio.-

-Oh, ma appunto, all’inizio- osservò giocherellando con l’Iphone –Poi tutto diventa così banale e ripetitivo che incominci a chiederti se davvero ne valga la pena- soffiò fuori poche parole, che portarono il silenzio –Che te ne fai dell’ansia di un primo appuntamento?-

Dae soppesò le sue parole, ma a dispetto di ogni sua previsione, quello sorrise allegro –Beh, rende tutto un po’ più vero, no?-

-Più vero, certo.- mormorò senza aver null’altro da replicare, decisamente intimorito al pensiero che pure quello potesse cominciare ad uscire dagli schemi che si era prefissato…

-Oh, eccovi qui!-

Proprio come Ri, ora mezzo euforico sulla soglia.

Da un po’ di tempo a quella parte, il loro maknae di fiducia sembrava essere più assente del solito. Mangiava poco, dormiva ancora meno, sembrava galleggiare su di una nuvola rosa che buttava caramello ovunque andasse. Si era fatto talmente distante per ragioni a lui oscuro che perfino ogni punzecchiamento, creato con il mero scopo di divertirsi un poco, faceva cilecca. Era come se una novità a lui taciuta avesse erto enormi barriere che gli impedivano di scalfire la su gioia immotivata.

E mentre lo fissava, tentennante e indeciso se parlare o meno, Ji Yong si disse che quella giornata era troppo idilliaca per far sì che il maknae non potesse rallegrarlo con chissà quale perla delle sue. Già immaginava la scena: un Seung-Hyun che rincasava frastornato per tutte le emozioni e non solo che la Moore gli aveva concesso e lui che, da bravo paladino dell’amore, continuava a portare avanti la propria crociata affinché continuasse imperterrito in quel gioco appena cominciato, imbrigliandosi ancora più in quel viscoso sentimento che lo legava all’algida americana. E lui, nell’angolo, avrebbe riso dei propri burattini.

Ma interiormente, si sarebbe congratulato con loro e con la loro strabiliante capacità di riuscire a dimenarsi con così tanta dimestichezza in tali sceneggiate senza che lui dovesse muovere un dito. O i fili.

Erano cresciuti così tanto che quasi quasi sarebbe corso a stringerli fra le proprie braccia.

-Oh, ci cercavi?- domandò Dae curioso, inclinando il capo.

Ji lo guardò con amorevolezza, assaporando l’aria di ansia che permeava dal corpo del più piccolo. Piccolo che, dopo aver guardato il cellulare e aver sorriso sotto i baffi, rivolse loro uno sguardo luminoso -Ho un annuncio da fare!- esalò profetico, nemmeno fosse stato un santone pronto ed elargire la perla della giornata.

E Ji Yong sorrise di cuore.

Quella frase portava con sé un mucchio di possibilità, tutte varie e tutte deliziose, ne era certo. Perché Ho un annuncio da fare era qualcosa di pesante, se solo ci pensava bene. A quella banale esternazione seguiva sempre qualche confessione imbarazzante, qualche confidenza incauta, raramente qualche idilliaca osservazione. E Ji Yong, già in trepidante attesa di uno Hyung che tardava a rincasare, lo fissò con malcelata stizza per il suo essersi interrotto bruscamente.

-Di cosa si tratta?- domandò annoiato, inumidendosi le labbra mentre reprimeva un sorriso.

-Oh, beh, di me!-

-Su questo non avevamo dubbi.- lo bloccò con divertimento, godendo della sua espressione imbronciata.

Dae agitò l’indice –Lo fai finire di parlare?- poi guardò Ri con materno affetto –Allora?-

SeungRi prese un profondo respiro, ma nulla giunse loro. L’unica cosa che arrivò e che Ji Yong avrebbe probabilmente serbato dentro sé come un ricordo scomodo, forse il peggiore di tutti quelli che si erano accavallati nel suo cuore, uno sgabuzzino troppo piccolo per poterli contenere tutti, era lo sguardo di colpevolezza misto a vittoria che gli aveva lanciato poco prima che la sua annunciazione si spargesse nell’aria…

-Esco con una ragazza…-

Poco prima che il divertimento venisse stimolato da uno strano strato di ansia che aveva azionato i campanellini d’allarme del suo cervello in costante elaborazione dati…

-Con Ginko.-

E che aveva sgonfiato la sua felicità, rendendola un vago ricordo.

Kwon Ji Yong, al tramonto di quello che aveva reputato il miglior giorno della sua giovane vita, si era ritrovato a fare i conti con una strana sensazione di fastidio misto ad incredulità che lo aveva zittito, facendolo apparire inerme e destabilizzato di fronte all’euforia implacabile di un Ri che ora li fissava con occhi larghi e sorriso ampio, continuando a ripetere Allora?Allora?NonMiDiteNiente?Allora?!

E mentre assottigliava gli occhi, mentre attendeva che fosse Dae a colmare quel silenzio con la propria stupidità, si chiese perché mai dovesse sentirsi così in alto mare a quella confessione: insomma, Ri e Ginko sarebbero stati divertenti da vedere assieme, sarebbe stato tremendamente beatificante assistere all’unione di due moscerini danzanti che nemmeno si rendevano conto di apparire terrificanti nella loro scemenza, l’uno di fianco all’altro.

Era come se Ri gli avesse appena strappato dalle mani un giocattolo nuovo di zecca senza chiedergli il permesso, sporcandolo con le proprie dita e contagiandolo con la propria allegria immotivata e a volte fastidiosa…

-Non sei tu il mio tipo.-

Rendendola più distante di quanto non lo avesse già fatto lui.

E Ji Yong, nella propria grande capacità di analisi, aveva pensato che quella non avrebbe desistito, che Ginko avrebbe continuato ad allietare le sue serate con la sua ingenuità, giusto perché sembrava non rendersi conto di quanto lui fosse effettivamente lontano da ogni sua immaginazione. Giusto perché quelle come lei, le conosceva troppo bene. Si invaghivano di una bella faccia, si invaghivano della facciata e poco importava se oltre vi era solo un desolato campo di battaglia dove non c’era spazio alcuno per l’amore e affini. E poi davano forfait, che non ne valeva la pena, che prima di quel muro ci sarebbe stato sicuramente qualcuno pronto ad accogliere il loro smisurato affetto…
 

-Se una cosa ti piace, non è mai una perdita di tempo.-

Ma non lei.

Per qualche strana ragione, aveva pensato che lei sarebbe rimasta perché, nonostante avesse ben scorto cosa vi fosse oltre il filo spinato di quell’alta muraglia, non si era lasciata intimorire e anzi, vi era entrata armata di bontà e desiderio di aiutare non richiesto, ma divenuto quasi beatificante per le sue membra stanche.
 

-E quando è successo?- Dae si ridestò, incerto.

-Oh, qualche giorno fa. Le ho chiesto di uscire quando siamo andati al Tribeca!-

-Oh.-

-Sì, insomma, quando Top Hyung si è infrattato con Lin!-

-Ah.-


E capì.

Capì che quel fastidio era dovuto alla consapevolezza che quei due avevano agito alle sue spalle, fuoriuscendo dagli schemi che lui aveva prestabilito. Erano andati oltre le sue aspettative e l’unico che aveva portato a quel magro finale era stato lui e la sua, per una volta impulsiva e non ponderata, bontà.

Che lei non si meritava il suo dolore, il suo male. Non si meritava di venir abbandonata in un nuvolo di lenzuola candide sporcate di un sesso che, alla fine, era solo quello. Che non era farcito da amore e sentimenti troppo ingestibili, un nuvolo di lenzuola che sarebbero servite sole a ripararla da un mondo esterno a cui, forse, lei non era abituata. E lui non era quello giusto per proteggerla da ogni avversità.

Perché Ginko era buona, lui no. Lei sorrideva alla vita, lui aveva smesso perfino di salutarla. Entrambi aiutavano chi stava loro a cuore, ma per motivi diversi: Ginko amava veder brillare gli altri di felicità, lui amava vedere la propria felicità brillare.

Come potevano due mondi completamente diversi pensare anche solo di divenire un tutt’uno?

-Beh, mh, e siete già usciti?-

Ri scosse la nuca con vigore –Oh, no! Però ha accettato! Ci vediamo non appena siamo liberi, una di queste sere.-

Ji Yong si ritrovò a trattenere una risata derisoria di fronte a quell’euforia straripante, desideroso di non lasciarsi travolgere. E avrebbe voluto stuzzicarlo con la sua cattiveria, ma per qualche strana ragione, Dae riuscì a cogliere il suo scazzo e intervenne con placidità –Oh, beh, siamo contenti per te- lo fulminò –Vero, Ji Yong?-

Il leader alzò il mento e lo scrutò con sufficienza, poi posò lo sguardo su di un Ri che, stranamente, riusciva a sostenerlo senza imbarazzo o colpevolezza –Entusiasti- mormorò con un sorriso –Davvero entusiasti.-

Ri fece per aprire le labbra ma la porta scricchiolò e tutti si volsero a guardare lo Hyung di ritorno, i capelli scompigliati e fradici e l’espressione più scema che esistesse sul globo terrestre. E non provò gioia, GD, di fronte a quell’immagine che a lungo aveva aspettato, ancora frastornato da quella notizia piovuta troppo improvvisamente per poterlo far reagire con le dovute intenzioni.

-Beh, che avete da guardare?- Top si fermò sulla soglia, apparendo come un topolino colto con il riso in bocca.

-Hai l’aria di un ladro.-

-Hyung, sembri uno che ha appena rapinato una banca.- soggiunse Ri per dar man forte a Daesung.

-O uno che ha appena fatto sesso.- mormorò Ji sventolando le dita, ridacchiando di fronte all’imprecazione sonora di un Top che aveva perso ogni briciolo di gioia.

-Che ci fate ancora svegli?-

-Sono le 21.30, Hyung.- sottolineò Dae con amarezza, quasi indispettito dal suo essere divenuto così scontroso.

-Ah, già- serrò le labbra –Beh?-

-Beh dovremmo dirlo noi- mormorò Ri arricciando le labbra –Allora, com’è andata?-

-Bene.-

-Solo bene?- lo bloccò Dae, imbronciato.

-Bene è una buona cosa.-

-Sì, ma— Ri balzò –OhMioDio è Ginko! Mi sta chiamando! Che faccio?!-

-Rispondi?- domandò retorico Daesung mentre sfilava al suo fianco, apparentemente deluso di non aver ricavato nessuna piccante informazione dal più grande.

Ri fremette e quando meno se lo aspettarono, la sua voce gracchiante si levò per la casa mentre andava a rifugiarsi in camera come una ragazzina che deve sparlare con l’amichetta sul figo della scuola che è tornato single.

-Ginko?- domandò il ragazzo ancora fermo e impalato –Quella Ginko? Ho capito bene?!- Ji annuì, alzando poi le spalle –Siamo fottuti. Il Mondo è giunto al termine.-

-Siamo tutti sconvolti- mormorò assorto, assottigliando gli occhi di fronte alla busta che teneva in mano –Quella cos’è? Ci sono le mutande di America dentro?-

Top imprecò mentre lo adagiava sul tavolo con malagrazia –E’ del gelato, cretino.

-Gelato?-

Annuì -E’ per te- gli rivolse un breve sorriso -Perché se non mi avessi aiutato, oggi non sarei uscito con Lin- vide un sorriso di abominevole dolcezza dipingergli il volto, quell’orribile dolcezza che lui aveva reputato una cazzata immane ma che sullo Hyung, faceva un altro effetto –E perché credo tu ne abbia bisogno.- allungò la scatola.

Bisogno…

-Bisogno?-

-Sembri uno a cui hanno sparato il cane.-

-Ma non dire cazzate.-

-Qualcuna ti ha dato buca?-

-Figurati.-

-Qualcuna ti ha detto di amarti?-

-Per carità.-

-C’entra la Fujii e il fatto che esca con Ri?-

Osservò il suo sorriso di vittoria, quasi fosse convinto di averci preso. Ji Yong, d’altra parte, sentì solamente sirene d’allarme e il classico cronista che urlava Colpito e affondato! –Vedo che sei in vena di stronzate, oggi.-

-Sono solo felice.-

-Buon per te- aprì la vaschetta, sorridendo un poco di fronte a quella montagna di cioccolata che lo richiamava tentatrice –Allora, che avete fatto?-

-Ma sì, le solite cose.-

-Non te la caverai così, lo sai?-

-Lo so- si grattò la nuca prima di morare un pacato -Credo che però anche tu mi debba spiegare un paio di cose.-

-Non c’è nulla da dire- gli lanciò un cucchiaio, mentre infilava il proprio nel cioccolato –Non c’è proprio nulla da dire.-

 

Solo, era orribile vedere gli altri che si divertivano con i propri giocattoli.

 

 

 

 

A Vip’s corner:

*Heaven selvatica appare con indosso una tuta della Confraternita d’Acciaio* So che volete ammazzarmi per il mio ritardo, ma non ho giustificazioni serie. Ho attraversato un periodo di fangherlizzamento acuto per un’altra band che mi ha portato a perdere tempo su stralci di altre fanfy (che non è ancora passato D:), ma visto che non è passato nemmeno l’amore per i BB, eccomi qui :) Poi? Ah, beh, il lavoro, la maledetta vita sociale (che, visti i fatti recentissimissimi vorrei non avere -.-) e la capacità di tirare fuori un capitolo quantomeno decente. Ci sarò riuscita? Non ne ho idea. Ho deciso che non dirò più Non mi piace! Mi fa schifo e bla bla bla, lascio giudicare a voi, che so che tanto mi direte quello che pensate anche se non vi aggrada ^^

Passando a questo sudatissimo capitolo 20 *OhMyGod già il 20?!*:  il testo di First Date mi ricorda troppo Top D: Cioè… Is it wrong if I think it's lame to dance? à Non ce n’è, è lui :’) Ringraziamo i Blink (♥♫♥) per questa perla. L’appuntamento direi che è stato moooolto toccata e fuga, ma ho preferito soffermarmi su altri aspetti che sulla scena dell’appuntamento in sé. Spero apprezziate lo stesso lo sforzo :)

Poi… Godetevi il vostro Ji Yong in tutta la sua confusione ♥ Scrivere il suo POV è stato particolarmente difficile, ma spero di essere stata all’altezza dei capitoli precedenti :/ E so che non si capisce molto, ma questo perché ho dovuto rimaneggiarlo centinaia di volte prima di capire che sì, doveva essere contorto ma non troppo e che sì, non potevo farlo bisticciare con Ri per Ginko perché, alla fine, tra quei due non c’è mai stato nulla.

Detto questo, passerei alle note dolenti. Non so se riuscirò ad aggiornare con la solita frequenza, mi spiace, ci proverò ma non ve ne dò la certezza. Il mio lavoro, per pochi mesi all’anno, mi tiene inchiodata sulla sedia causa Capodanno Cinese imminente e mole di lavoro quadruplicata. E quando torno a casa, l’idea di scrivere al computer mi fa esplodere gli occhi. Così come il pensiero di dover utilizzare il mio sabato/domenica pomeriggio per scrivere non mi aggrada più come un tempo, nel senso che a volte voglio ritagliarmi quel misero spazio per fare altro. Quanto durerà questo periodo? Non so catalogarlo, ci sono troppe variabili. Ma almeno fino a febbraio/marzo, penso di sì. Ad ogni modo non scompaio, tranquille, ma non vi prometto l’aggiornamento settimanale ;) Se poi ci sarà, meglio per voi ♥

Passo ora ai ringraziamenti sempre sentitissimi e che, davvero, illuminano le mie giornate *-*: Yuna_and_Tidus, MionGD, hottina, lallinachan, Appler_Girl, YB_Moon, Myuzu, ssilen, kassy382, Clare_Love e lil_monkey… Vi amo. Non ce n’è. Siete talmente gentili che il mio cuore accartocciato si commuove quando vedo i vostri nomi nelle pagine delle recensioni *-* Grazie, grazie infinite <3

Un enorme grazie va anche a chi ha aggiunto la storia fra le seguite/ricordate/preferite e chi legge in silenzio. Vi amo tutti <3 E se vi faceste sentire… Vi amerei uguale lo stesso ♥

Alla prossima! (Perdonate eventuali errori ed orrori ♫)

Heaven.

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Capitolo 21
*** You're not like the others ***


Capitolo 21

You’re not like the others

 

 

Sometimes love is not enough

when the road gets tough, I don’t know why.”

-Born to dye, Lana Del Rey-

 

 

 

-Tutto qui?- la voce pregna di delusione di Ginko si sparse nella cucina di casa Moore. All’odore di biscotti al cioccolato che veleggiava nell’aria e che carezzava delicatamente le sue narici, si unì quello del the alla pesca che la Fujii sorseggiava avidamente, così come assaporava avidamente ogni parola pronunciata scazzosamente da Lindsay.

Per l’appunto, Lindsay si ritrovò a roteare gli occhi prima di chiedersi perché mai, quella funesta domenica sera, avesse deciso di trascorrerla in compagnia della schizzoide dai capelli rossi. Pochi giorni dopo l’uscita con Seung-Hyun. Con Ginko. Era decisamente stata una mossa azzardata nonché stupida quella della bella americana, anche perché avrebbe dovuto sapere che l’amica l’avrebbe tartassata fino allo sfinimento pur di cavare qualche parolina striminzita dalle sue labbra sigillate. Ma i suoi genitori non c’erano e Ginko, al suo striminzito Stasera sono sola, ci aveva messo esattamente cinque minuti a farsi trovare di fronte casa sua armata di biscotti, bustine del the e frasi sparpagliate che l’avevano fatta sorridere.

Così, giusto per riempire quel silenzio costellato da sbuffi su sbuffi della coreana, Lindsay si lasciò andare ad un annoiato –Cosa ti aspettavi?- che, sapeva, sarebbe stata la scintilla che avrebbe fatto esplodere la fervida immaginazione di Ginko.

E infatti, i segni di tale abominevole avvenimento c’erano tutti: le sopracciglia arcuate, la bocca che formava una O perfetta, le gote incavate e gli occhi larghi, quasi Lindsay avesse appena insultato Ji Yong e il suo nuovo taglio di capelli. Cosa che aveva fatto, eh, ma quella era un’altra triste storia avvenuta un’ora e mezza prima. Ginko tamburellò le unghie lunghe sulla tazza, emettendo tintinnanti rumori che Lindsay captò come incipit di un bel cazziatone. E quando Ginko si schiarì la voce, comprese di non poter più fuggire –Tu esci con Top dei Big Bang e mi chiedi anche che cosa mi aspetto?!- brandì un biscotto –Tu non immagini nemmeno cosa mi sono aspettata!-

Lin sventolò una mano –E non mi interessa neppu—

-Tipo lui che ti apre la portiera, che ti dice quanto sei bella, che ti mette la giacca sulle spalle, che dice quanto abbia aspettato e desiderato di essere al tuo fianco- un raccapricciante sospiro sognante sfuggì alle sue labbra fini mentre gli occhi andavano a guardare il soffitto –Insomma, una scena da film romantico!-

-Da film d’orrore. Intendevi film d’orrore, vero?-

-Oh, Lin, insomma! Ma perché rigetti tutto ciò che è romantico?- l’entusiasmo dell’amica si sgonfiò mentre mogia andava a pucciare un biscotto nel the –Insomma, senza tutto questo, che appuntamento è?-

Lin girò svogliatamente il cucchiaino, chiedendosi perché si arrivasse sempre a questi discorsi che lei, proprio, non reggeva. Ma nemmeno se ci provava riusciva a sostenere una conversazione di questo genere. Perché per lei il romanticismo adottato da un uomo, era solo un metodo come un altro per infilarsi nei suoi pantaloni; evitò accuratamente di esporle tale pensiero, che quella poi diventava paranoica e cominciava ad elencarle gli esorcisti migliori del paese così, solo perché probabilmente Satana aveva occupato il suo gracile corpo e ora la stava rendendo una ragazzina acida e cinica. Ad ogni modo, in tutto quel marasma di scemenze, c’era pure qualcosa di vagamente divertente: tipo che Seung-Hyun, alcune delle cazzate sopra elencate, aveva anche avuto il coraggio di provare a farle. La giacca sulle spalle, ad esempio, o il suo tentare impacciatamente di farle qualche complimento mentre erano seduti davanti ad una cioccolata calda; e il modo in cui lei aveva troncato sul nascere quelle stupidaggini, il modo in cui lui aveva reagito, con un po’ di ironia e divertimento, avevano reso tutto davvero… Normale. Non perfetto, non bello, non fantastico… Semplicemente normale. E la normalità, per una come Lindsay Moore, era decisamente qualcosa di nuovo e sempre stupefacente.

Fu forse per questo che mentre rigirava la tazzina fra le mani, un sorriso spontaneo sbocciò sulle labbra rosse e prima che potesse rendersene conto, un serafico –E’ un bell’appuntamento.- si sparse nell’aria, andando dritto dritto a colpire il senso di colpa di un’impulsiva Ginko.

Perché aveva sgranato gli occhi scuri dietro le spesse lenti, aveva scosso la nuca e agitato le mani mentre farfugliava un imbarazzato –No, no, non intendevo offenderti! Devi credermi!-

-E poi lui ci ha provato, ad essere romantico intendo.- mormorò sotto i suoi balbettii, vedendola sorridere scioccamente mentre il suo incarnato pallido riprendeva un po’ di colore. Perché Lin non aveva bisogno di dilungarsi in futili Non fa niente, per farla tacere; Ginko era talmente in gamba che riusciva a cogliere le sue parole non dette.

-E com’è andata?-

Alzò le spalle –Gli dicevo che queste scemenze romantiche non mi interessano.-

La mascella di Ginko cadde in picchiata sul bancone di marmo –Spero vivamente che tu non abbia usato queste parole!-

Lin scoccò le dita –Ah, già- il sorriso compiaciuto di Ginko si allargò –Gli ho detto cazzate romantiche, scusa.- per poi precipitare in un abisso di grigiore oltretombesco.

-Lindsay!-

La ragazza allargò le braccia di fronte a quel rimprovero stridulo –Che c’è? Quelle cose non mi mettono a mio agio. Mi fanno senso.- spiegò vagamente e male, storcendo il naso al pensiero che Seung-Hyun sarebbe mai potuto divenire un tremendo principe azzurro. E pensare che lei, da bambina, aveva sempre pensato che il suo principe azzurro, a bordo di un bianco destriero, avrebbe cavalcato fino all’appartamentino di New York, avrebbe sgominato i taxi gialli che riempivano l’aria dei loro malefici calcson strombazzanti, avrebbe percorso la lunga gradinata che portava alla torre più alta e lì, armato di amore e spavalderia, avrebbe sconfitto la Perfida strega dell’Est e pure dell’Ovest, alias Emily, per poi portare lei, undicenne dai lunghi codini scuri e apparecchio per i denti, fuori da quell’Inferno.

Ma l’undicenne dai codini lunghi scuri era cresciuta e si era resa conto che nessun principe azzurro avrebbe mai percorso quattordici piani di un palazzo a piedi, e se l’ascensore era guasto avrebbe perfino inventato una balla per non presentarsi; non avrebbe mai sconfitto la perfida Emily e nemmeno ci avrebbe provato, che i panni sporchi si lavano a casa propria e quella donna era troppo maligna per uscirne indenni. Che bastava andare ad una festa per sentirsi libere, che bastava un messaggio che diceva Stasera hai da fare?, per poter evadere da quella prigionia…

 

Shirley tirò su con il naso –Mi ha lasciata! Per quella cretina di Pam!-

Lindsay alzò il volume dello stereo; Emily odiava i piagnistei di Shirley.

-Era un coglione. Lo sai anche tu.-

-Ma io lo amavo!-

-Amavi anche Jeff.-

-Ma con Scott era diverso! Tutto con lui lo era!- strinse a sé il cuscino –Perché amare fa così male?-

-Perché tutto ciò che è orribile, fa male- guardò la foto di suo padre –Mamma lo dice sempre.-

-Che cosa?-

Abbassò la cornice sul comodino –Che l’amore non è mai per sempre.-

 

E che il romanticismo, forse, era una bella favoletta che da grande non serviva più, anche perché aveva smesso di leggerle da quando non c’era più papà che le raccontava la favola della buonanotte. Che neppure il principe azzurro serviva e forse nemmeno esisteva. Così come non servivano gli abbracci, le portiere che venivano aperte, le giacche sulle spalle, i complimenti, l’essere indispensabili per qualcuno. Tutto questo non le era mai servito e mai sarebbe divenuto indispensabile. Nemmeno se a darle tutto ciò sarebbe stato uno che emergeva tra i tanti che, alla fine, avrebbe fatto la loro stessa fine.

-Ti fa senso una giacca sulle spalle?-

-Ma che me ne faccio?-

-Ma come che te ne fai?! Non devi mica rubargliela!- Ginko si stropicciò il volto –E’ un modo implicito di dirti che vuole proteggerti!-

-Proteggermi da cosa?-

-Ma da tutto, da tutto! Anche dal freddo!-

-Ma per quello mica mi serve la sua giacca- sventolò una mano –Basta vestirsi pesanti.-

-Sei l’anti-romanticismo in persona! Se vuoi posso consigliarti il numero di un buon esorcista che—

-No, grazie. Sto bene così.-

Ginko arricciò le labbra ma non continuò a barcamenarsi in quel discorso. Forse si era accorta che con lei quelle scemenze avrebbero avuto vita breve, che se lei le raccontava Siamo usciti e basta, era davvero un Siamo usciti e basta, che quello che ci stava dietro era simile a tanti altri mille racconti e allora non valeva nemmeno la pena spenderci qualche parola in più.

Ma Ginko proprio non riusciva a stare zitta e quindi eccole lì, le sue parole spese -Top in versione romantica deve essere un sogno!-

-Un incubo. Volevi sicuramente dire incubo.-

-Ma la smetti?!- le lanciò contro un biscotto e quella sua isteria riuscì a strappargliela una risatina divertita –Ma quindi?-

La padrona di casa sbatté le palpebre –Quindi… Cosa?-

-Quindi quando vi vedrete?- si sporse dal bancone, visibilmente incuriosita da una sua eventuale risposta.

-Ah, boh.- si grattò la nuca, serrando le labbra nel constatare che la fronte di Ginko aveva sbattuto pesantemente sul bancone.

-Non puoi dirmi Boh! Boh non è una risposta!- mise il broncio –Ma gli hai scritto almeno un messaggio? O ti sei dimenticata come si fa?-

Seriamente colpita dall’ironia scalpitante di quella miniatura della Fujii, Lindsay arcuò un sopracciglio e dopo essersi ripresa, scoccò la lingua –Lui lavoro e ha poco tempo.- si limitò a spararle contro con malagrazia, frastornata dall’inviperimento improvviso dell’amica. E pensare che a Lin tutto ciò non dava minimamente fastidio, anzi, lo trovava quasi salutare! Seung-Hyun non era tipo da bombardarla di Sms e se lei non rispondeva subito perché svogliata o occupata in altro, lui non se la prendeva. Non la tempestava di chiamate o messaggi in stile Con chi eri? Dov’eri? Perché non mi hai risposto subito?, ma le lasciava la sua libertà, il suo spazio. Così come lei gli lasciava il suo senza stalkerarlo giorno e notte, che ognuno aveva la propria vita ed era sciocco passare le giornate a chiedersi cosa l’altro stesse facendo. Che poi, Seung-Hyun lavorava praticamente tutti i giorni, soprattutto da quando era tornato dal Giappone, quindi non aveva avuto tempo da dedicarle.

Ma se a Lin tutto ciò pareva normale, Ginko doveva aver accolto la sua voce greve come presagio di una crisi adolescenziale o che si avvicinava quantomeno ad una crisi amorosa in pieno stile teen-drama, perché dal nulla se ne saltò fuori con un incrinato –Oh, Lindsay, non devi disperarti- Disperarmi? –So che deve essere dura non vedersi tutti i giorni- Vedersi tutti i giorni? –Ma l’amore supera ogni avversità, ricordalo!- L’amore che cazzo fa?! Cosa c’entra l’amore?!, il tutto corredato da pugnetto alzato e sguardo lucido.

E Lindsay Moore capì quanto Ginko Fujii fosse psicolabile.

Ma Lin ci mise relativamente poco a comprendere che siffatti discorsi scemi cadevano a fagiolo in quella tavola imbandita di schifezze. E capì anche che, tra le due, non solo lei doveva perire sotto la pesantezza di domande imbarazzanti e prive di senso. Così, sorrisetto nascosto dietro un’espressione di pura noia, la giovane si appoggiò mollemente allo schienale della sedia –E tu e Ri, invece?-

Ed eccole lì, le gote rosse e la parole mangiucchiate, quasi temesse che quell’argomento scottante venisse portato a galla. E Lindsay, ad essere sincere, non era mai stata intenzionata a volerlo fare, ma lo spirito di sopravvivenza a volte giocava brutti scherzi. Ad ogni modo, Ginko portò dietro le orecchie un paio di ciocche sfuggite al fermaglio e le sorrise tremolante –Co-cosa?-

-Quando uscirete assieme?-

-Ahm, ecco, a proposito di questo, io ci ho pensato a lungo e sono giunta alla conclusione che…- le parole di Ginko restarono sospese. Lin portò la tazza alle labbra, conscia che la solita frase Credo non sia una buona idea, si sarebbe sparsa nell’aria, contaminando quel briciolo di placidità che aveva invaso la cucina –Che sia meglio uscire in compagnia, prima, poi da soli- ma a dispetto di ogni previsione, Ginko se ne era uscita fuori con questa idea. Che ok, era stupida e faceva tanto bimbi delle medie, ma per qualche verso sembrava decisamente meglio di un drastico No. Soprattutto tenendo conto degli standard di Ginko, eh. Ma un campanello d’allarme suonò nella mente di Lindsay, preparandola al peggio –Usciresti con me? Ti prego!- o almeno, ci provò.

Lin sbatté le palpebre –Non voglio fare la terza incomoda.- mormorò greve, memore delle uscite con Shirley e la fiamma di quella settimana. Le scene erano sempre le stesse: lei che sedeva in un angolo, lui che parlava di stronzate e lei che pendeva dalle sue labbra e se non pendeva, le baciava. Insomma, uno strazio.

-Ma, sarebbe solo per una sera! Potrebbe venire anche Top.-

-No, odio le uscite a quattro.-

-Non sono così male- borbottò l’altra gonfiando le guance –Dai, Lin, non ti sto chiedendo molto!- sporgendosi, aveva sfiorato le sue mani che ancora avvolgevano la tazza, stuzzicando il suo sopente senso di colpa che continuava a dirle quanto stronzo sarebbe stato da parte sua non accettare questa misera richiesta. Che Ginko aveva sempre fatto tutto senza chiedere nulla in cambio, che Ginko era l’unica che forse, anzi senza forse, meritava la sua scarsa bontà. Che aiutarla, così come lei l’aveva sempre sorretta, non richiedeva chissà quanto e in amicizia, era forse necessario.

-Non penso sia una buona idea.- mormorò sfibrata, avvertendo la gola bruciare.

-Ma se lo è per me…- mormorò l’altra appiattendosi contro la sedia, un fugace sorriso a dipingerle le labbra –Non dovrebbe essere sufficiente?-

E Lin comprese di aver sbagliato tutto. Ancora. Proprio non le riusciva essere buona con chi se lo meritava, eh? Doveva sempre corrodere quel poco di bello che aveva con il proprio caratteraccio, con la propria cieca convinzione che ciò che lei reputava stupido doveva per forza di cose esserlo anche per gli altri. Se Ginko avesse sbattuto la porta di casa intimandole di non farsi più sentire, probabilmente non le avrebbe dato torto.

-Gin—

-Nah, ma forse hai ragione. Sono io che mi faccio problemi per nulla- sventolò le mani –Dovrei davvero dargli una possibilità e vedere come va. Magari potrei pentirmene, no?-

Ma le parole di assenso non uscirono. Lin non ne ebbe il tempo, perché la porta di casa si aprì e Minji trotterellò in cucina, saltellando al suo fianco –Ciao Lin!-

-Ehi- mormorò piano, carezzandole la nuca –Andato tutto bene?-

Il sorriso della bimba fece svanire un po’ di grigiore che le aveva avvolte –Il film è stato bello!- annuì vigorosamente.

-Sono contenta- tornò a guardare l’amica mentre udiva Mark e Chyo chiacchierare in anticamera –Gin, senti—

-Ah, tranquilla, ora devo andare- le rivolse un sorriso gioioso –Domani passo a prenderti io, ok?- indossò la giacca e agitò le chiavi della macchina.

L’americana annuì, chiedendosi come potesse essere così abile a far peggiorare l’umore delle persone solo con poche frasi e senza nemmeno mettercisi di impegno. La zazzera rossa e scompigliata di Ginko sparì dietro l’enorme arco e mentre il suo saluto cordiale si spargeva nell’aria, Lin continuava a venire sommersa dalle veloci parole di una Minji fin troppo eccitata e che continuava a raccontarle la trama del film, anche se Lindsay non aveva nemmeno capito di che film stesse parlando.

Serbava dentro sé solo le poche parole di una Ginko afflitta, i suoi occhi scuri velati di sofferenza e la propria vocina coscienziosa che le ribadiva quanto ampliamente stronza fosse. E quanto schifo facesse come amica, solo per farla stare un po’ peggio.

-E’ andato tutto bene?- domandò Chyoko accorta, quasi avesse captato qualcosa di strano nell’aria.

-Mhmh- mormorò annuendo –Non lo so, a dire il vero.-

-C’entra il tuo ragazzo.-

-Oh, non è il mio ragazzo- mormorò con una smorfia leggera sul volto, imprecando inconsciamente quando udì la sua risata cristallina –C’entra un’amica.- e le sue idee balorde, avrebbe voluto aggiungere con stanchezza. Ma lasciò la frase in sospeso, conscia che Chyo avrebbe dato il là alla conversazione.

-Un’amica…- Chyo la guardò di sottecchi –E’ successo qualcosa?-

Ciondolò col capo –Mi ha chiesto una mano per qualcosa ma le ho detto di no.- senza dilungarsi troppo, la giovane le fornì la spiccia analisi della situazione. Allargò gli occhi; ma davvero stava tentando di chiedere consiglio a qualcuno?

-E perché?-

-Perché è un’idea stupida.- la guardò con ovvietà. Del resto lo diceva la frase stessa: uscita a quattro. Dio, ma chi aveva inventato cotale stronzata? Che senso aveva? L’uscita in compagnia, quella aveva un senso, ma l’uscita a quattro… Sembrava il nome di un gioco di ruolo.

-Se ti ha chiesto aiuto, forse non lo è- mormorò la donna mentre versava del the in una tazza a motivi floreali –Lindsay, ciò che a noi può sembrare assurdo, non lo è agli occhi degli altri. Quella che per te può essere l’idea più stupida sulla faccia della Terra, magari per lei è di vitale importanza, non credi?- Lin arricciò le labbra, storcendo il naso quando avvertì le labbra di Chyo fra i capelli –A meno che non si tratti di droga. O gare di macchine clandestine. Quelle sì che sono idee stupide.- la udì borbottare mentre trascinava i piedi fino alle scale.

Lin corrugò la fronte e scosse la nuca, cercando di lasciarsi alle spalle quella destabilizzante aura di disagio che l’aveva investita in pieno prima con le parole di Ginko, poi con la delicatezza materna di una Chyo che sembrava sempre dire la cosa giusta nel momento sbagliato. Sbuffò mentre si grattava la nuca, giocherellando con il cellulare rovente fra le mani.
 

-Bella si inginocchia accanto a lui. Non prova più alcuna ripugnanza e lo abbraccia singhiozzando: No, non morire. Rimarrò sempre vicino a te. Sarò la tua sposa…- la voce di Mark la fece bloccare. Era bassa, placida, portatrice di un mucchio di ricordi che la fecero fremere di nostalgia…
 

-E vissero per sempre felici e contenti.-

-Papà?-

-Mh?-

-Quanto è lungo il “Per sempre”?- Lin nascose le labbra dietro la coperta della Sirenetta.

Mark le scompigliò la frangetta –Molto tempo.-

Sorrise -Tu e la mamma quindi resterete insieme per sempre?-

Un sorriso traballante, un bacio sulla fronte. E un Sì che non arrivò mai.

 

-Buona notte, Minji- udendo la voce dolciastra di suo padre, la ragazza si ridestò. Convenne con sé che forse, in futuro, sarebbe dovuta essere più celere, perché suo padre l’aveva colta in flagrante con l’espressione di chi ha appena avuto un flashback traumatico –Oh, Linnie, che ci fai ancora sveglia?-

-Non riesco a dormire.-

-Vuoi che ti legga una favola?- agitò il libro.

-Per carità- borbottò in rimando, roteando gli occhi di fronte alla sua sciocca risata –Beh, notte.-

-Buona notte, Linnie. E se hai paura del BauBau basta che bussi, eh.-

-Guarda che non ho più cinque anni!- sbottò rossa in viso.

-Papà, cos’è il BauBau?- la vocetta di Minji li raggiunse.

-Nu—

-Il mostro che c’è sotto il tuo letto.-

-Lindsay!- Mark la rimproverò seccato mentre gli urletti di Minji beavano le sue orecchie. Così imparava a spifferare ai quattro venti la sua vita privata. Lin roteò gli occhi e si chiuse in camera, udendo Mark che cercava invano di far tranquillizzare la figlioletta. E quando si adagiò sul letto, la vibrazione del cellulare richiamò la sua attenzione…
 

-Ti va di vederci domani?-
 

Seung-Hyun… E pensare che qualche ora prima stavano parlando di Doraemon e del fatto che un gatto non potesse contenere così tante cianfrusaglie nella pancia…

 

-Linnie?-

-Che c’è, Minji?- guardò la porta semi aperta, da cui fece capolino il musetto della bimba.

-Posso dormire con te?- la vide stringere il labbro inferiore –Il BauBau sotto il letto non mi fa dormire.-

Lin roteò gli occhi mentre digitava veloce sul cellulare –Hai le calze?-

-Stasera sì!-

-E allora muoviti ad entrare. Ho sonno.- gettò il cellulare sul letto dopo aver premuto il tasto invio. E mentre Minji sorrideva raggiante, mentre la raggiungeva facendo strisciare il pupazzo a forma di coniglio, mentre si infilava sotto le sue coperte, Lindsay si chiese perché sua sorella dovesse essere così credulona e perché mai, in quella stramba nottata, la sua bontà aveva deciso di farsi viva…
 

-Linnie, vibra il cellulare.-
 

Ah, già… E si chiese anche come avrebbe preso, Seung-Hyun, il suo strano desiderio di voler fare un’uscita a quattro.

 

*****
 

-Sei nella merda.-

La scarna quanto traumatica esposizione dei fatti di Ji Yong, lasciò Choi Seung-Hyun piuttosto perplesso. Che qualcosa non andasse nel cervello dell’amico era ormai cosa nota, ma che quel cretino se ne saltasse fuori con certe spicce analisi… Bah, no, non c’era ancora abituato nonostante gli anni di convivenza.

Seung-Hyun passò una mano fra i capelli mentre guardava il proprio armadio. Si stupì della propria strabiliante capacità di riuscire a decidere cosa indossare senza farsi troppe paranoie, memore della orribile sceneggiata di qualche settimana prima. Perché si era reso conto che a Lin, del suo abbigliamento, era fregato poco o nulla così come lui, ritrovandosela in felpa e trucco molto approssimativo, non aveva posto obiezioni. L’aveva trovata bella, ma questo per lui era sempre stato un dato di fatto da quando aveva cominciato a guardarla con occhi diversi e si era accorto di quanto sua madre avesse sempre avuto ragione: l’abito non fa il monaco. Lindsay avrebbe potuto indossare un abito elegante di Prada che la sua ironia non sarebbe stata soppressa dalla stoffa pregiata, il suo scoglionamento non sarebbe sopperito sotto un paio di tacchi a spillo. Insomma, restava una bella persona nonostante il vestiario da allegra sciattona di periferia.

E boh, se possibile, l’aveva adorata un po’ di più. Ma non di quelle adorazioni che spingevano a dirsi OhMioDio la mia vita senza lei non può continuare, adesso se non mi chiama la faccio finita!, no. Era un’adorazione che andava oltre tutto questo marasma di idiozie, che partiva dal presupposto che una come Lin non l’avrebbe trovata nemmeno se avesse messo un annuncio sul giornale e più il tempo era trascorso, più ogni paranoia su di loro era passata. Ed era per questo che l’aveva adorata un po’ di più, perché con poche e semplici parole, con addirittura meno gesti, era riuscita a far svanire ogni briciolo di timore. Un timore che bussava sempre alla porta del suo cuore, ma finché non apriva o non guardava fuori dallo spioncino, poteva dirsi salvo.

Ad ogni modo, dopo aver recuperato un maglione, si voltò a fissare un Ji Yong dall’aria tediata che lasciava ciondolare i piedi –Perché, scusa?-

GD scoccò la lingua –Oh, andiamo, lo sai anche tu il perché.-

-Se ti chiedo perché, evidentemente non lo so!- sbottò aprendo le braccia.

GD roteò gli occhi –Ma scusa, non è evidente?- agitò una mano –Tu sai cosa significa: Uscita a quattro., vero?- l’espressione mortalmente seria dell’amico fece scattare un campanellino d’allarme nell’androne del suo cervello. All’infausto segnale, tutti i neuroni si misero al posto di comando, pronti a fornirgli una spiegazione.

Ma probabilmente molti di loro dovevano essere in vacanza perché dal nulla, se ne erano saltati fuori con uno stupido –Significa che non usciamo solo noi due, ma anche altri due.- e il fatto che lo avesse pronunciato ad alta voce, significava che seriamente qualcosa nelle sue celluline grigie non andava.

Ji Yong arcuò perfettamente le sopracciglia e Top comprese di aver appena pronunciato la stronzata per eccellenza –Wow, fai un baffo a Capitan Ovvio- rimbrottò ironico, spulciandosi la maglietta –Intendevo, se sai cosa significa Uscita a quattro se detto da una donna.- lo scazzo nella sua voce era palpabile, quasi fosse scocciato nel dover spendere parole per ciò che a lui appariva ovvio, mentre per Top era solamente un intricato labirinto di dubbi e perplessità.

-Perché, se detto da una donna cambia qualcosa?-

GD scosse la nuca mentre lo sguardo andava a posarsi sul soffitto color panna –Cielo, Hyung, sei proprio un ritardato- E tu sei uno stronzo –Certo che cambia!-

-E perché, di grazia?-

E in quel momento, Seung-Hyun ricordava poco o niente di siffatta scena. Ricordava solo di essere rimasto lì, impalato con il maglione fra le mani, mentre la voce di GD si spargeva nell’aria con seraficità, quasi ciò che stesse per mormorargli non fosse poi così traumatico –Perché significa che si sta stufando di te.-

E invece, traumatico lo fu davvero.

Tutto, di quella constatazione, fu traumatico. Il modo in cui GD lo aveva pronunciato, con quell’invidiabile calma di chi osserva esternamente l’annunciazione di un disastro, di un osservatore silenzioso che, dall’alto di un monte, riprende uno Tsunami invadere la città sottostante. Perché quelle parole, quell’analisi che non sembrava poi tanto campata per aria, aveva rappresentato un vero e proprio Tsunami di emozioni che collisero tra loro e si schiantarono sul suo cuore già martoriato, ora in continua pulsazione.

Ma com’era possibile che Lindsay si fosse già stancata di lui? Insomma, era passata più di una settimana e d’accordo, non si erano visti causa lavoro che assorbiva la maggior parte del loro tempo libero, ma da qui a stancarsi nel giro di così pochi istanti… Cazzo, e pensare che lui stava seguendo alla lettera ogni sua sciocca regola! Che avesse commesso qualche passo falso? Forse, quel giorno di pioggia, non avrebbe dovuto provare a posarle sulle spalle la propria giacca per ripararla dal freddo. Ah, che gesto sconsiderato da parte sua!

Si volse con occhi sbarrati, rimanendo pietrificato di fronte al sorriso gioioso del leader –Ma che cazzo ti ridi?-

-Oh, Hyung, sei preoccupato?-

-No, certo che no! Ma non c’è nulla da ridere!-

-E allora, se non sei preoccupato, perché sembri Casper l’amichevole fantasma?-

-Perché dici stronzate- sbottò indossando il maglione –Lei non può essersi stufata, non dopo così poco tempo- borbottò asciutto –E poi, da quando Uscita a quattro è sinonimo di Essersi stufati?-

-Ma lo dice la parola stessa: Uscita a quattro- gli riservò un’occhiata scocciata e GD decise, finalmente, di procedere con l’analisi della questione. No perché lui proprio non ci stava capendo niente –Cos’è la cosa più orribile nei primi mesi in cui si esce con qualcuno?- eh, no, ma basta domande!

-L’ansia?-

Il leader imitò il verso di una trombetta –Risposta errata- per poi scuotere l’indice –E’ il voler stare sempre insieme a tutti i costi. I messaggi ad ogni minuto del giorno, il doversi vedere tutte le sere perché, ehi, altrimenti non si respira, il continuo e martellante pensare che senza lei le giornate sono noiose. Queste, sono le cose peggiori dei primi mesi.- spiegò dilungandosi, gli occhi socchiusi e l’aria di chi ha categoricamente deciso di rinunciare a tutto questo.

Seung-Hyun lo studiò un poco. E pensare che lui, tutte quelle cose, non le aveva mai viste in maniera tanto negativa. Anzi, le aveva reputate addirittura normali. Perché quando due uscivano assieme era normale vivere magicamente i primi mesi, no? La voglia di vedersi ogni sera, il desiderio di scoprirsi ad ogni uscita… Tutto questo era normale, no? E Seung-Hyun, ancora sopraffatto dalle parole dell’amico, si ritrovò a vacillare di fronte a tutto ciò. Perché, diamine, lui aveva voglia di scoprire ogni singola sfaccettatura dell’anima di Lindsay, ma lei? Lei voleva scoprire tutto di lui? Non ne era poi così sicuro, anche perché Lin mandava sporadici Sms, raramente prendeva l’iniziativa per qualcosa e, anzi, l’unica volta che aveva proposto qualcosa, Ji Yong aveva sollevato più dubbi che certezza.

-E con questo?- domandò apatico, cercando di dare un senso alla bufera che regnava nel cervello.

-Hyung, se America ti propone un’uscita a quattro, significa che forse non ha voglia di conoscerti- Ji Yong si sporse, la voce un po’ più calibrata –Come potete conoscervi, se quei due psicopatici di Ri e Ginko vi staranno appiccicati per tutto il tempo?- Seung-Hyun gettò un’occhiata alla porta aperta, scorgendo quel beota di Ri saltellare in giro come una molla impazzita –E’ come darsi il primo appuntamento in discoteca.- aggiunse infine, appoggiando la schiena contro il muro mentre gli regalava un solare sorriso di chi ha centrato il punto della situazione.

Seung-Hyun boccheggiò un paio di volte –E che dovrei fare?- chiese spossato, lasciandosi cadere sulla sedia. Diamine, doveva smetterla di parlare con Ji Yong! Quello gli faceva solo venire fisime inutili!

-Lasciarla.-

-Che?!-

-Lasciala tu prima che ti lasci lei- alzò le spalle –Oppure fattela e poi lasciala.-

-Sei una merda nel dare consigli.- si grattò la nuca, fissando il cellulare con malavoglia. Poteva sempre fingere una febbre che non aveva, poteva sempre inventare un’intervista che non avrebbe dovuto tenere, poteva…
 

-Hyuuuung! Sei pronto?!-
 

Poteva sempre godersela un’ultima volta, no?

GD arcuò le sopracciglia mentre il sorriso si allargava, come se fosse uno spettacolo divertentissimo scorgere lui e il lento avanzare della sua dipartita –Che fai Hyung, non rispondi?-

-Arrivo.- borbottò dopo qualche istante, recuperando le chiavi della macchina con stizza. Si avviò verso la porta senza nemmeno scacciare dalla propria camera quel pirla di Ji Yong, troppo scombussolato per potersela prendere seriamente con lui.

Con lui che, nonostante tutto, sembrava sempre volergli infondere un briciolo di positività nonostante avesse appena distrutto ogni suo più minuscolo sogno…
 

-Hyung, dimenticavo la cosa più importante…-
 

Che a modo suo, sapeva sempre spronarlo ad andare avanti anche quando quell’enorme tunnel nero appariva senza fine e senza luce…
 

-Lindsay non è come le altre.-
 

Che sapeva trovare la verità, nonostante tutto.

 

******

 

Ginko aveva sempre desiderato fare un’uscita  quattro.

Sul serio, da quando si era fidanzata la prima volta, nei suoi distanti quindici anni, aveva sempre fantasticato su come sarebbe stato divertente prepararsi insieme alla propria migliore amica nell’estenuate attesa che il suo principe azzurro bussasse alla porta. O suonasse al campanello che era sempre rotto, non faceva differenza. Ma andando avanti col tempo, si era resa conto di quanto tutto ciò non fosse di poi così facile realizzazione. Perché? Punto primo, non aveva una migliore amica o comunque qualcuna che fosse disposta a prendere parte in questo suo desidero e senza migliore amica o anche una presunta tale, l’uscita a quattro era da considerarsi infattibile.

Punto due… Ma perché tutti la lasciavano prima che si potesse anche solo ipotizzare di effettuare un’uscita a quattro? Insomma, aveva seriamente qualcosa che non andava? Probabilmente era così… Non sei tu, sono io il problema oppure Credo sia meglio se ci prendiamo una pausa. Che poi, ma pausa da cosa? Non erano mica un videogioco. Non erano mica un film e loro non dovevano mica andare in bagno o a prendere i popcorn e allora bisognava mettere in pausa perché, ehi, questa scena non voglio perdermela. No, erano solo due persone che avevano deciso di non frequentarsi più e allora non c’era bisogno di mettere in pausa, bastava direttamente passare ai titoli di coda, no?

Ma ora… Ora, nell’albore dei suoi ventitré anni, Ginko poteva finalmente urlare ai quattro venti che sì, stava per andare ad un’uscita a quattro. Anzi, se si guardava attorno, poteva notare come in realtà ci fosse già dentro con tutte le sue scarpe col tacco dodici.

-Lo sai che sei bellissima, questa sera?- la voce di Ri la ridestò. Era bassa, suadente. Probabilmente voleva farla morire per crepacuore…

-State zitti? Già non capisco niente di sto’ film.-

O forse voleva solo evitare di disturbare gli altri spettatori. Già, perché quella buontempona di Lindsay aveva proposto di trascorrere due ore del loro tempo di fronte ad un bel film e Ginko, nonostante le guance gonfie per il disappunto, era stata ignorata. Ma come diamine poteva conoscere Ri se passavano la loro serata in una sala buia e silenziosa, impossibilitati a scambiarsi anche solo una misera parolina?

Ginko roteò gli occhi –Ma è un film d’azione. Cosa c’è da capire?!-

-Tipo… Perché quel tizio è a cavallo? Ma non doveva rapinare un banca? Perché sta andando ad un barbecue in un bosco?-

-Lin, è un film a basso badget.- la voce da trombone di Top giunse scocciata. Probabilmente anche lui non voleva starsene seduto in un cinema. Nh, beh, a dir la verità era da inizio serata che sembrava scazzato. Che avesse litigato con la sua Lin? Non le sembrava, anche perché quella si era comportava da solita energumena quale era.

-Le buone idee non hanno prezzo.- mormorò lei saccente, ammutolendosi quando qualcuno dalla sala le disse di tacere.

Quindi, beh… Ecco, questa sua uscita a quattro non era esattamente come se l’era immaginata. Non che fosse brutta, per carità, ma c’era qualcosa che non andava. Ad esempio… Perché, una volta usciti dal cinema, Top e Lin continuavano a discutere sul badget del film? Perché lei continuava a recriminare che il furgone porta valori del film era in realtà una Cabrio? Perché quei due non si prendevano per mano? Perché sembravano l’anti-coppia in persona? E perché, invece, lei non sentiva le farfalle nello stomaco mentre Ri stringeva la mano nella sua?

-Fa freddo stasera.- mormorò lui sorridendole.

Ginko arrossì, nascondendo le labbra sotto la sciarpa di lana rosa a pois bianchi –Già. Per fortuna che non piove.- oh, cielo, ma davvero stavano parlando del tempo? No, perché ok che questi discorsi salvavano sempre da brutte figure, ma così era troppo!

-Vuoi la mia giacca?- domandò accorto, guardandola serio serio e ad occhi enormi.

Ginko udì la voce scoglionata di Lin –No, grazie, sto bene così!- e si ritrovò ad andare contro tutti i propri principi di romanticismo. Avrebbe dovuto accettare, dannazione! Avrebbe potuto dirgli di sì, fingere distrattamente di dimenticarsi di ridargli la giacca e poi nasconderla nel proprio altarino a casa.

-Ma quindi? Che si fa?- Top si guardò attorno, quasi fosse alla ricerca di una via di fuga. Aha! Allora anche lui era contro la sua splendida idea dell’uscita a quattro!

Ginko fece per aprire le labbra, ma l’apoteosi dell’assurdo la investì come un camion in piena autostrada. Perché? Ma perché quello scemo di SeungRi aveva avuto la brillante idea di uscire dalla sala senza occhiali, sciarpa e cappello… Attirando così un nuvolo di fan che avevano sbalzato lei e una scazzata Lindsay fuori dal cerchio.

-Ma dici che se mi infilo, riesco a strapparglielo anche io un autografo?-

-Non ti basta uscire con lui?-

-Nh, beh…- Ginko si grattò la nuca, poi le risolve un sorriso enorme –Lo sai che ti sono debitrice, vero?-

-Nessun problema.- ed era questo che adorava di Lindsay, il fatto che nel suo piccolo tentasse di essere buona, riuscendoci, senza desiderare nulla in cambio. Probabilmente, una volta tornata a casa, non le avrebbe scritto qualche messaggio chiedendole in cambio qualcosa, no. Avrebbe lasciato correre e sarebbe stata disposta a fare altre centomila uscite a quattro se ciò significava rispettare quello che era il vincolo dell’amicizia.

Un vincolo che Ginko in primis aveva messo da parte, accecata dalle proprie paure. Paure che Ri non fosse quello giusto senza nemmeno conoscerlo. Paura che Ri non potesse superare Ji Yong nei suoi pensieri senza avergli nemmeno lasciato una possibilità. Paura che tutto potesse sfuggirle di mano…

Avevi ragione tu. E’ un’idea stupida. Non so cosa mi sia preso- Lindsay non replicò, impegnata a guardare le fan che non lasciavano andare i loro cavalieri –E mi spiace di averti fatto litigare con Top.-

-Che?- Lindsay corrugò la fronte.

Ginko agitò le mani –Ma sì, ma sì! Si vede che Top è arrabbiato!-

-Oh, quello- si massaggiò il collo –Magari è solo stanco.-

-O magari è contro le uscite a quattro- ridacchiò –Sai? Siete più simili di quanto tu possa pensare.-

-Se lo dici tu.- mormorò l’altra pensosa, guardandosi attorno con noia.

Ginko le scoccò un bacio sulla guancia, ridendo allegramente quando udì la sua imprecazione imbarazzata. I minuti passarono e dei due ragazzi nemmeno l’ombra –Essere una star fa schifo.- Ginko gonfiò le guance.

-Già.-

-E uscire con una star, pure.-

-Mhmh.-

-E litigare per colpa mia, anche.-

-Basta con questa storia. Non abbiamo litigato. Solo le coppie litigano.- sbottò Lin seccata, giocherellando con una lunga ciocca di capelli. Ginko la guardò allucinata. Ma perché? Loro che erano? Due burattini che uscivano assieme? Sospirò, non intenzionata ad affrontare quel discorso con Lindsay, ne sarebbe uscita sconfitta e stanca.

Ginko aprì le labbra sottili, ma un braccio di Ri intorno alle spalle la fece ridestare. Anzi, morire, per la precisione. Dio, ma che erano quelle maledette farfalle nello stomaco ora chiuso? Sembravano giocare a pallavolo con i popcorn appena mangiati!

-Che facciamo?- ridomandò Top stringendo la sciarpa intorno al collo di Ri forse con troppa forza.

-Potre—

-Dividiamoci!- la voce di Ginko risuonò alta nella via, lasciandoli per un attimo sbigottiti e allucinati. L’espressione di pura sorpresa di Lindsay fu qualcosa di stupendo, ma non aveva tempo di tirare fuori il cellulare per scattarle una foto.

-Che?!-

-Ho detto… Dividiamoci!-

-E perché?- chiese Top lanciando un’occhiata a Lin, ma quella alzò le spalle e scosse la nuca.

-Perché io voglio andare a pattinare mentre Lin vuole andare a bere- buttò lì la prima cosa che le passò nell’anticamera del cervello e poco importava se era una scusa puerile e campata per aria. Fintanto che il volto di Lin riprendeva un po’ di colore e quel pirla di Top sembrava tornare il biscottino che era, tutto andava bene –Ci state?-

-Mah, sì, per me va bene.- Seung-Hyun guardò Lin con sopracciglia arcuate.

L’americana arricciò le labbra –Ho voglia di birra.-

E quando sul volto di Top vide comparire un traballante sorriso, Ginko comprese che il lavoro di Lin era stato compiuto e che ora toccava a lei comportarsi da buona amica…

 

-Beh, allora a più tardi!- sventolò una mano guantata, vedendoli allontanarsi sempre nella loro consueta distanza. Una distanza che, però, non sembrava pregna di freddezza. Sembrava quasi calcolata, perfetta per quei due.

-Quindi vuoi andare alla pista di pattinaggio?- Ri si strinse nel cappotto.

Ginko annuì vigorosamente –E’ da un sacco che voglio andarci!- fece qualche passo, poi lo guardò raggiante E comunque, riguardo a prima…-

 

E che, ok, Ri non era come Ji Yong…
 

-Anche tu non sei male, questa sera.
 

Ma il suo sorriso le toglieva comunque il fiato.

 

 

 

 

 

A Vip’s corner:

Ma questo capitolo non ha senso!!! Se qualcuno lo trovasse mi faccia un fischio, eh, perché proprio io non ci riesco -.-

Care… Perdonate il ritardo. Sì, avevo detto che non sarei stata regolare con gli aggiornamenti, ma scusarmi mi sembra sempre il minimo. E’ un periodo che sono davvero stressata a causa del lavoro e scrivere è l’unico metodo di sfogo che ho, ma i miei neuroni chiedevano pietà. Piangevano appena vedevano la pagina bianca di Word.

Anyway, eccomi qui. Non ho idea di cosa sia sto capitolo, ma è uscito così e ve lo dovete beccare xD Personalmente, amavo di più quando si odiavano :/ Almeno l’odio era una cosa facile da descrivere, dava il là a situazioni sempre nuove. Da quando sanno di piacersi mi sembra di essere diventata banale e di star addirittura scrivendo peggio del solito O.O Scusate inoltre la brevità, ma questo è il capitolo di passaggio per eccellenza dove non succede un beneamato nulla xD Mi spiace, ma anche in Something doveva esserci xD E mi serviva per i prossimi. Prometto che nel prossimo ci sarà più azione (?).

Passerei subito ai saluti, non voglio dilungarmi che devo preparare lo scudo per i pomodori xD: ringrazio infinitamente ssilen, kassy382, MionGD, Myuzu, lallinachan, hottina e BellaChoi per aver recensito il precedente capitolo. Mi avete resa felicissima, dico sul serio ♥

Ringrazio sempre infinitamente anche chi legge in silenzio e chi ha inserito la storia fra le seguite/ricordate/preferite. So much love anche per voi ♥ E ringrazio anche dal profondo del mio cuore too fast to live che ha aggiunto mi ha inserito fra le autrici preferite. Cioè, non ho parole… Posso morire qui, ora, per la vostra infinita gentilezza ♥

Bacioni e alla prossima! (si spera con un capitolo migliore e meno errori grammaticali che vi chiedo di ignorare ^^)

HeavenIsInYourEyes.

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Capitolo 22
*** But you fit me better than my favorite sweater ***


Capitolo 22

But you fit me better than my favorite sweater

 
 

And that was the day that I promised

I'd never sing of love if it does not exist

But darlin',

You are the only exception”

-The only exception, Paramore-

 

 

 
 

-Non doveva essere una cena informale?-

-Infatti lo è.- Seung-Hyun sollevò il volto dal piatto, mettendo in mostra un paio di lenti da sole che Lin avrebbe tanto voluto distruggere a suon di pugni. Stava incominciando a stancarsi di non poter scrutare i suoi taglienti occhi scuri per via della sua notorietà.

Lindsay studiò l’ambiente circostante che emanava tutto fuorché informalità; era un ristorante nella periferia di Seoul, scelto appositamente perché tranquillo e lontano da fan indiscrete, anche se qualcuna di loro si avvicinava sporadicamente al tavolo, riconoscendo il ragazzo forse dalla voce da trombone o forse perché tutte avevano un radar cerca Big Bang incorporato, chissà. L’unica cosa che Lin sapeva era che, quando queste si avvicinavano, certe occhiate di fuoco le venivano rivolte in maniera plateale e lei, scoglionata, si ritrovava a guardare il soffitto o a mangiucchiare qualche parolaccia americana, ricevendo calci sotto il tavolo da parte di un Seung-Hyun che sembrava essere migliorato con l’inglese.

-Un McDonald è informale, una pizza è informale- un braccio ricoprì l’intera aera con un gesto lento –Questa è una cena con il Presidente degli stati uniti.-

Vide le labbra del ragazzo inclinarsi, segno che presto l’avrebbe sicuramente mandata a fanculo incurante del proprio bon-ton –Oh, sì, credo sia appena entrato. Perché non gli cantiamo l’inno nazionale? Sono sicuro che apprezzerà.- la sua sparata pregna di sarcasmo la fece sbuffare.

-E nemmeno il tuo abbigliamento è informale.-

-Che cosa?-

Lindsay gesticolò –Quel maglione sembra gridare al mondo Guardatemi, sono un ricco cantante di successo!-

La risata roca del ragazzo si sparse nell’aria e Lin non poté non sorridere a sua volta, sinceramente deliziata dal fatto che il ragazzo non la prendesse sul personale. Con Seung-Hyun era così: lei si comportava da adorabile stronza, lui la trattava come una bambina un po’ troppo capricciosa. La cosa che però più la stupiva era il suo non essere accondiscendente; dacché ricordasse, tutti i ragazzi avevano fatto a gara per soddisfare ogni suo più piccolo capriccio, quasi potessero raggiungere la cima del suo cuore comprandola. Seung-Hyun si limitava a trattarla come una ragazza qualsiasi, reagendo di conseguenza, ma mai volgarmente. Sempre con quei suoi modi garbati che si discostavano dal tipo di persona che lei prediligeva.

Sì, insomma, non assomigliava per nulla ai classici bad boy, quelli che le facevano provare i brividi solo con la loro entrata in scena, con la parola giusta al momento giusto, con quel tatuaggio in più che svettava da sotto la manica della maglietta…

-Magari è per questo che mi riconoscono. Sarà sicuramente il maglione.-

E pensare che a lui era bastato così poco per rimanerle impresso. In maniera del tutto discutibile, eh, ma pur sempre indelebile negli anfratti più bui della sua mente. Se solo ripensava alla sciocca maniera in cui tutto era cominciato per poi sfociare in una conoscenza che andava ben oltre la semplice amicizia, un sorriso di incertezza sbocciava sul suo volto pallido.

-Allora toglilo.-

-Non lo toglierò per nulla al mondo.-

-Come ti pare.- mormorò piano, sorridendogli un poco prima di tornare a guardarsi intorno. Gente ben vestita sedeva ai tavoli adiacenti al loro, vicino al muro, facendola sentire vagamente a disagio. Il posto più chic in cui un suo frequentatore l’aveva scarrozzata era stato da Arnold’s, un locale stile anni 50’ in onore del bar di Happy Days.

-Non ti senti a tuo agio?- le domandò accorto, il capo inclinato.

-Sarà il maglione- lo vide storcere il naso –O magari quegli occhiali da sole. Non puoi toglierteli?-

-Sì, così dovremmo aggiungere altre tremila sedie al tavolo- borbottò ironico –A meno che tu non voglia fare una mangiata in compagnia.-

Lin roteò gli occhi –Non sono abituata a questi posti. Perfino mia madre ha smesso di portarmici.-

-Come mai?-

-Mh? Oh, l’ultima volta abbiamo abbondato col vino.-

-Abbiamo?-

-Shirley ed io- lo vide annuire a labbra serrate, segno che non aveva capito –Shirley è un’amica. A mamma non piace granché. Dice che ha una cattiva influenza su di me.-

-E tu le credi?-

Soppesò quella domanda, chiedendosi innanzitutto perché Seung-Hyun continuasse a porgerle continui quesiti al posto di chiamare il cameriere e ordinare altro mangiare, poi si soffermò a pensare ad una risposta seria; la verità è che Lindsay aveva sempre dato per scontato che la parola di sua madre fosse sinonimo di futilità, quindi darle contro era insito nella sua natura. Ma ad una più attenta osservazione, era chiaro che Emily parlava per cognizione di causa, quasi fosse ormai stufa delle varie Shirley che aveva dovuto scrutare al microscopio a causa del proprio lavoro. Che poi Shirley non era malvagia; un po’ sopra le righe, forse, a tratti cazzona ma senza mai sfociare nel ridicolo. Ed era pur vero che spesso l’aveva cacciata in casini di cui avrebbe fatto volentieri a meno, eppure si ritrovò a scuotere la nuca e questa volta, non per fare un torto alla madre –Io non credo che la gente abbia cattiva influenza su di noi. Io penso che siamo noi a non saperci gestire e quando qualcuno ci riesce al posto nostro, cominciamo a comportarci come loro, a dipenderne. Ti influenzano perché ti lasci influenzare. O perché sei debole.- serrò le labbra, stupita di sé stessa per aver parlato così tanto e senza infarcire il discorso di epiteti poco galanti.

Seung-Hyun le rivolse un breve sorriso –Dovresti fare la psicologa, sai?-

Le campane della Columbia University suonarono nella sua mente –Nah, finirei col diventare come mia madre.- ma la fugace apparizione di un cameriere la distrasse, permettendole di respirare.

Ma il ragazzo tornò all’attacco, desideroso a quanto sembrava di sentirla parlare –Ma quindi? Dove ti ha portata il tuo primo ragazzo?-

-Non al ristorante.-

Sbuffò –Dove?-

Lindsay rammentava in maniera molto offuscata il proprio primo e vero appuntamento con un ragazzo. Forse perché di primi appuntamenti ne aveva avuti a bizzeffe o forse perché nessun appuntamento era mai stato così eclatante da meritarsi un posticino nella sua memoria -Non lo so, non mi ricordo.-

Lo sentì mormorare un flebile e divertito –Figurati- per poi aggiungere –Almeno ti ricordi chi è lui?-

Lindsay si appiattì sulla sedia, lo sguardo rivolto a quel lembo di pelle tatuato che spuntava da sotto il maglione rosa pallido regalatole a Natale da Ginko, che metteva in mostra la spalla destra tanto era larga. Guardò il soffitto, cercando di rammentare qualcosa di quel lontano agosto dei suoi sedici anni, ritrovandosi a vagare in una pozzanghera di ricordi sgualciti e che sapevano di rum e fumo.

Però una cosa la ricordava.

Un particolare o meglio, una persona; colui che, per la prima volta, l’aveva fatta sentire una donna: si chiamava Brad e aveva il vizio di vestirsi con maglietta bianca e blue jeans, proiettando l’ombra di un moderno James Dean mentre scivolava nella stanza immersa nella foschia di mille sigarette, trascinando dietro sé quell’aura da bad boy che incendiava i cuori delle ragazze presenti, e perché no?, accendendo anche il desiderio di lei, sempre in disparte con gli amici, appoggiata al tavolino da biliardo di quel bar nella periferia di Brooklyn.

Braccia tatuate, capelli scuri sbarazzini e mai a posto, anche se tutto in lui sembrava richiamare disordine: dal modo di camminare svagato, al modo di parlare e bere la birra, al modo in cui fumava, reggendo la sigaretta fra il pollice e l’indice come un gangster di provincia. E lei ne era rimasta ammaliata, turbata addirittura. Che forse Fonzie era giunto in città e nessuno le aveva detto nulla ma cazzo, il desiderio lo aveva sentito bruciare ardentemente quando i suoi occhi scuri avevano studiato i suoi, nocciola e vigili.

-Sì, lo so, non ti ricordi, ne hai avuti troppi, bla bla--

-Era James Dean.- la propria voce uscì pacata, assorta, mentre le dita andavano a giocherellare con un pezzo di pane.

Seung-Hyun arcuò le sopracciglia e Lin poté giurare che dietro le lenti si nascondessero due enormi occhi spalancati -Sei uscita con un cadavere?-

Lin arricciò le labbra –Nel senso che ci assomigliava. Più o meno- si grattò la nuca –Non so spiegarlo, ma era su quel genere.- illustrò malamente.

-Tu che ti ricordi di qualcuno- bofonchiò lui sorpreso e Lin poté scorgere una nota di fastidio, ma forse a Seung-Hyun non piaceva James Dean e basta –Doveva essere davvero speciale.-

-Non più degli altri- replicò in fretta, irritata al pensiero di essersi mostrata così apertamente, rischiando di scoprirsi troppo –Solo il suo modo di fare aveva qualcosa in più.-

-Il suo modo di fare?-

-Sì, insomma- si agitò sulla sedia, sentendo l’aria mancare –Il modo in cui mi chiamava, o si avvicinava, le cose che diceva. Sì, le cose che diceva- si massaggiò la spalla tatuata, posandovi poi sopra il mento mentre le parole uscivano fluide e senza sbavature –Le sue parole mi ammaliavano sempre.-

-Lindsay Moore che si lascia ammaliare da qualcuno.-

Lin storse il naso di fronte alla sferzante ironia del coreano; era ovvio che anche lei si era lasciata abbindolare da molti ragazzi, non era diventata stronza per sport. Era ovvio che c’era stato qualcuno che l’aveva costretta ad ergere enormi barriere che riparassero quelle più piccole già costruite in passato, era ovvio che qualcuno si fosse distinto fra i tanti per una qualche peculiarità a lei interessante. Ma di certo, non gli avrebbe spifferato che anche lui l’aveva ammaliata tempo addietro, costringendola a cominciare quello sciocco giochino del Oggi stiamo insieme, domani si vedrà.

-Mi diceva tante cose, ma una in particolare la ricordo ancora.- mormorò pensosa, lo sguardo puntato verso una coppia di anziani.

-E quale sarebbe?-

Sorrise maliziosa -Che indosso gli stavo meglio del suo maglione preferito.-

Ricordava ancora quella notte, stretta in un suo abbraccio svagato nel buio di quella stanzetta di un motel sperduto dopo aver trascorso la notte a bere in un localino anonimo, mentre l’odore acre di una canna appena preparata riempiva l’aria dapprima cosparsa dei loro respiri spezzati. E c’era stata quel consiglio da lei posto con stanchezza, proprio quando stava per precipitare in un sonno tormentato da giramenti di testa e incubi non meglio identificati, qualcosa del tipo Mettiti qualcosa addosso, fa freddo., e lui che scoccava la lingua ed esalava un permanente Mi stai meglio tu del mio maglione preferito. Può bastarmi.

Perché era vero, Lindsay faticava a ricordarsi i volti dei ragazzi, ma certe cose non si potevano dimenticare. E neppure certe persone.

-E lui?- non le sembrò particolarmente colpito da quella perla -Lui come ti stava?-

Lin tornò a guardarlo, sospesa –Non tutti i ragazzi sono delle buone coperte.-

Ci fu silenzio fra loro, quel tipico silenzio in cui restavano immobili, soppesando ciò che si erano appena scambiati, elaborando ciò che avevano appena incanalato. O meglio, incanalando ciò che lei gli aveva donato senza nemmeno dover utilizzare le proverbiali pinze.

Perché parlare con Seung-Hyun era dannatamente facile e più andava avanti, più sentiva che tutti i suoi segreti, che tutte le parole taciute e spesso nascoste, che tutte le sfaccettature che la rappresentavano non avevano bisogno di essere davvero espresse, che lui riusciva a coglierle da solo.

-Desiderate altro?- un cameriere piombò fra loro, guardandoli.

Seung-Hyun scosse la nuca e lui si allontanò –Ti va di andare?- le domandò assorto, stranamente serio dopo quello scambio di battute.

Lin annuì -Vado in bagno un attimo.-

Lo vide storcere il naso –In America non si usa dire Vado ad incipriarmi il naso e cose così?-

-Tanto avresti visto che sto andando in bagno.-

-Questo perché sei l’unica cosa guardabile qua dentro.-

Vide l’angolo delle sue labbra guizzare all’insù e Lin gli rivolse un amorevole medio –Cretino.- prima di scomparire, lasciandosi dietro la sua risata roca e che continuava a strapparle un sorriso. E pure qualche battito. Tanto quello continuava a portarsi via un po’ della Lindsay che credeva di conoscere; qualche accessorio in più non avrebbe fatto male, no?

 

E quando tornò, la cretineria di Seung-Hyun si manifestò ai suoi occhi nocciola, larghi e velati di pura sorpresa…

-Tu sei?-

-Natsu!-

 

Si fermò in mezzo alla sala, il capo inclinato mentre lo sguardo percorreva il braccio nudo di Seung-Hyun intento a firmare l’autografo di una ragazza bassettina e in procinto di prendere il volo. E sorrise quando vide l’orrido maglione posato sulla sedia, gli occhiali da sole sopra di esso. Come se non ne avessero mai parlato, come se lei non avesse detto nulla…

-Non avevi detto che non lo avresti tolto per nulla al mondo?- domandò avvicinandosi, aspettando che si alzasse.

-Ho caldo- le sorrise –E poi, com’è che era? Tu mi vesti meglio del mio maglione preferito, no?- lo spinse per le spalle, prendendo le proprie cose.

 

Come se volesse rendersi ancora più indelebile di quanto già non fosse.

 

****

 

Mano appoggiata sulla guancia, sguardo rivolto all’enorme finestra che dava sulla trafficata strada di una Seoul immersa nelle luminarie della notte, Ginko attendeva pazientemente che il proprio cavaliere giungesse all’appuntamento, il quarto ormai.

Già, perché a dispetto di ogni previsione e senza nulla togliere alla vocina interiore che da un po’ di tempo aveva dato forfait dandosi al cucito, Ginko si era aspettata di ritrovarsi sola nell’arco di un appuntamento, giusto il tempo di un cinema, un caffè, un bacio al chiaro di Luna e poi ritrovarsi, l’indomani, sommersa da un messaggio chilometrico in cui le classiche frasi le venivano propinate con nonchalance, quasi ci fosse un’opzione del cellulare creata per siffatte situazioni.

Avete presente i classici Modelli nei cellulari? Quelli che recitavano Ci vediamo alle, Chiamare alle, Sono in riunione, richiamate alle…, giusto per fare in fretta, che certi frangenti non necessitavano di gran dispendio di energie. Ecco, per lei nel cervello dei ragazzi era stato impiantato un chip nel quale si accumulavano centinaia di migliaia di modi per lasciare una persona, e tutti uguali nel loro genere: Voglio imparare a diventare gay; Non sono pronto per una storia seria; Non sei tu il problema, sono io... Che poi... Ma problema di cosa se fino al giorno prima andava tutto alla grande? E ciò implicava contestualmente quanto lei non fosse nemmeno la soluzione, no?

Ad ogni modo, nulla di tutto ciò si era verificato; anzi, Ri le aveva chiesto un secondo appuntamento e lei, cercando di dimenticare la pesante ombra di un GD mai stato suo che faceva capolino in ogni dove, si era ritrovata ad accettare, che tanto peggio di così non sarebbe mai potuta andare. O magari la cosa sarebbe morta da sola a causa della sua fama, dei soldi, dei molti concerti. O magari Ri si sarebbe stancato di lei, il che sarebbe stato ciò che spesso accadeva, la classica storia della sua vita, insomma…
 

-Cos’è? Sei già stata piantata in asso?-

-No, sto aspettando un—
 

Insomma un disastro, ecco. Il suo ritardo stava portando solo e soltanto scompiglio. Perché se lui fosse stato seduto davanti a lei nessuno, camerieri a parte, si sarebbe avvicinato.

-Stai aspettando Ri?- invece Ji Yong stava in piedi davanti a lei, un ghigno malevolo a dipingergli i delicati lineamenti. Ginko annuì, cercando di trattenere l’euforia per esserselo ritrovato a così pochi centimetri –Sicura che verrà?-

Gonfiò le guance –Certo che verrà! Lui non è—

-Stronzo? Cattivo? Orribile?-

-Come gli altri.- lo interruppe greve, rigirandosi la tazza di the fra le mani affusolate.

-Pensavo avresti detto Come te- replicò con un sorriso dolciastro, togliendosi la sciarpa blu prima di accomodarsi al suo tavolo senza nemmeno averle chiesto il permesso. Ginko lo guardò con tanto d’occhi, chiedendosi perché mai GD fosse lì, in quel bar così fine, da solo e ora in sua compagnia. E pensare che non faceva Ji Yong un tipo da bar inglese –Voi ragazze siete convinte che tutti i ragazzi siano uguali, non è così?-

-Perché, non è forse vero?- domandò distaccata, continuando a cercare di mascherare la propria euforia nell’averlo a disposizione. Ma perché quel ragazzo continuava a farle questo effetto? Insomma, le aveva dato il ben servito, le aveva fatto intendere che mai e poi mai, ma nemmeno in un universo parallelo, sarebbero riusciti a stare insieme e la sua vocina interiore cosa le diceva?! Amenità del tipo Oh, ma oggi è proprio figo; Senti, ma perché non ti alzi e gli dici qualcosa da femme fatale in stile: Tu, io, letto di motel, ora!... –Taci, maledetta.- sibilò a mezza voce, gli occhi socchiusi mentre lo sguardo si perdeva nella tazza.

-Che?-

-Che?- Ginko riportò lo sguardo su di lui, volto contratto in una smorfia di noia –Oh, nulla- borbottò incerta, sventolando una mano. E approfittando del silenzio calato tra loro, Ginko ne si rifece gli occhi stanchi, che tanto se non poteva averlo, voleva almeno marchiare la sua immagine a fuoco nella propria mente ora annebbiata dall’ansia: Ji Yong era di una bellezza sconvolgente, a tratti particolare. Quel suo volto delicato e da cui traspariva sempre noia, quel suo lato così tenebroso da essere quasi impossibile da comprendere, così accattivante da risvegliare in lei pensieri poco pudici. Perché Ginko, da brava fangirl, aveva sempre fantasticato su tutti e cinque i membri della band, ma Ji Yong era diventato una specie di chiodo fisso; il suo carisma, il suo savoir-faire… Caratteristiche che si erano accentuate una volta conosciutolo, che non era svanite. Lo fissò e per un misero istante, si sentì in colpa per quegli sciocchi pensieri che le avevano fatto perdere di vista il motivo della sua solitaria presenza lì: stava aspettando Ri.

-Sicura che non ti abbia piantata in asso?-

-Sicuro di non avere un impegno più importante?- sputò seccata, arricciando il naso e le labbra mentre sul suo volto si dipanava un ghigno divertito.

-Fujii, sei una sagoma, sul serio- già, glielo ripeteva sempre e lei aveva cominciato addirittura a crederci –Ovvio che ne ho, ma finché l’impegno non arriva, aspetto.-

-Un giornalista?- buttò lì, tornando a guardare la strada.

-Una ragazza.- la sua risposta fu di una placidità disarmante, come se fosse ignaro che in lei, tale confessione, avrebbe solamente portato scompiglio e lacerante dolore. Perché lui stava aspettando qualcuno, ma quel qualcuno non era lei. Sicuramente sarebbe stata una strafiga dai fluenti capelli, alta come un grattacielo e dal fisico invidiabile; lei poteva solo offrirgli un maglione preso al mercatino delle pulci e capelli rossi acconciati alla bene e meglio.

-Finalmente ti sei deciso ad avere una storia seria?- domandò con un breve sorriso, sporgendosi sul tavolo con occhi larghi. Se non poteva essere la sua avventura, poteva accontentarsi di essere qualcosa che si avvicinasse ad una confidente e perché no?, un’amica…

La sua risata svagata fu come una lenta droga che le intorpidiva i sensi; sarebbe rimasta a guardarlo fino alla fine del tempo –Per carità, che me ne faccio di una storia seria?-

-Ma come che te ne fai?!- gracidò sconvolta. E soprattutto… Ma che razza di domanda era?! Non doveva mica pulirci i vetri, eh! A volte le pareva di parlare con una Lindsay in versione maschile, sul serio! –Una storia seria serve! E’ quella che da’ stabilità alla nostra vita!-

-Stabilità?- domandò sbatacchiando le palpebre, un sorrisetto a dipingergli il volto.

-Sì, stabilità! E’ il collante che unisce i nostri doveri, è il sassolino che da’ il giusto equilibrio alla bilancia, è—

-E’ una perdita di tempo- la interruppe serafico e a lei cadde la mascella sul tavolo –La storia seria è una convenzione che le persone hanno creato solo perché hanno paura di restare sole per il resto dei loro giorni. E per non fare brutte figure coi parenti.- a quella spiccia analisi detta con serietà assoluta, come se ci credesse davvero, Ginko si ritrovò a guardarlo allucinata, seriamente sconvolta da questo suo modo nero di vedere le cose.

-Eresia!- agitò l’indice –Avere una storia seria significa che hai trovato qualcuno con cui condividere le gioie e i dolori di tutta una vita!- annuì per avvalorare la propria tesi.

Ji Yong giocherellò con una bustina del the –Tutta una vita…- mormorò pensoso –E’ un periodo di tempo troppo lungo, non credi? La vita è troppo breve per queste cose- sorrise un poco -Amare, lasciarsi amare, soffrire, far soffrire… Tutto ciò non ha senso.- la voce di Ji Yong si fece bassa.

-Ha senso invece!- squittì agitando i pugni –La nostra vita sarebbe incompleta senza tutto questo!- e lei credeva davvero in questa sacrosanta verità, che amare e lasciarsi amare erano passaggi importanti nelle tappe della vita di una persona, che soffrire e far soffrire erano solo modi per poter apprezzare meglio ciò che di buono accadeva, per poterne cogliere la vera utilità.

Ji Yong, mano sulla guancia, le rivolse un’occhiata stanca -Non tutti sono portati per questo genere di cose, Fujii.-

Ginko rabbrividì per il modo con cui il proprio cognome era stato pronunciato, ma decide di farsi forza e andare avanti -Io penso che tutti siano portati, invece.-

-America non sarebbe d’accordo.-

Ginko strabuzzò gli occhi; per la prima volta, udendo quelle parole, Ji Yong le parve molto simile a Lindsay sotto questi aspetti. Che l’amore era inutile, che le ferite erano ancora così profonde che forse mai si sarebbero rimarginate e allora che senso aveva continuare a scavare?

-Lindsay è solo spaventata- mormorò piatta, rivolgendogli un’occhiata che non ammetteva repliche. Perché l’amore aveva mille sfaccettature e non implicava solo baci passionali e notti di sesso sfrenato; l’amore ea tutto ciò che riguardava l’affetto: le carezze di un padre, i sorrisi di una madre, le protezioni di un fratello iperprotettivo… Quando tutto ciò veniva a mancare, l’amore diveniva il peggior nemico di una persona –Ma sono sicura che con Top sarà diverso!- gli rivolse un sorriso di sincera gioia, già udendo le campane a festa per le nozze dell’amica e del rapper. Ok, forse stava correndo un po’ troppo, ma la sua fantasia galoppante era indomabile.

-Tu dici?-

-Certo!-

-E perché mai?-

-Perché Top è diverso dagli altri!-

Ji Yong inclinò il capo –Ma non avevi detto che noi ragazzi siamo tutti uguali?-

Ginko aprì le labbra, boccheggiò un paio di volte, poi scosse la nuca mentre avvertiva le guance imporporarsi –E’ ovvio che ci sono le eccezioni!- presa in contropiede, si barcamenò in quel discorso che sentiva avrebbe finito col lasciarla spaesata e senza più appigli, come accadeva quando parlava con Lindsay dell’amore e si ritrovava a vedere capovolte le proprie certezze, come quando parlava con Ji Yong e si ritrovava il cervello fumante per la debolezza. Come quando vedeva venir smontati quelli che erano stati i pilastri della sua vita, ecco.

-Già, le eccezioni- mormorò lui distante, volgendo appena il viso oltre la spalla quando un tintinnio si levò nell’aria –Ma non sempre le eccezioni confermano la regola, sai? Perché le regole che ci imponiamo a volte sono solo protezioni scadenti e le eccezioni che collidono con la nostra vita sono talmente intense da suscitare in noi uno Tsunami di emozioni- Ginko corrugò la fronte mentre si appiattiva sulla sedia –E prima che tu possa rendertene conto, ti ritrovi ad allontanare l’unica eccezione che forse avrebbe dato un senso a tutto.- e sgranò gli occhi, Ginko, di pura sorpresa. Che quel flebile sussurro era stato un colpo all’anima attanagliata che si contorceva di dolore e piacere quando lui gravitava nel suo universo di arcobaleni, che quella era suonata tanto come una recriminazioni verso sé stesso per il suo averla scacciata…
 

-Oh, eccoti! Scusami del ritardo.- una ragazza dal sorriso gioviale si avvicinò a loro, la mano posata sulla sua spalla.

-Fa niente Jun. Andiamo?-
 

Che forse Ginko si faceva troppe paranoie, giacché lei non era l’unica ragazza che aveva sostato per più di cinque minuti ad un tavolo con lui.

La nuova arrivata le scoccò un’occhiata scrutatrice e Ginko, intimorita, le rivolse un sorriso traballante mentre di striscio osservava la figura snella di Ji Yong sollevarsi.

Lunghi capelli neri e sguardo da felino, la ragazza davanti a sé era il classico tipo che non passava inosservato. Era bella, quella Jun, con occhi blu elettrici per via delle lenti e labbra carnose rosso scuro, che valorizzavano la candida pelle del viso rotondo. Ginko gettò una rapida occhiata alla propria immagine nel finestrone, la matita un po’ sbavata e il fondotinta assente. Certo, eccezione ‘sto paio di palle. Lui non sarebbe mai andato a braccetto con un panda.

-Beh, alla prossima Fujii- alzò una mano mentre la ragazza al suo fianco sorrideva –Salutami il maknae quando lo vedi. Se arriva.-

Ginko gonfiò le guance, represse l’istinto di insultarlo e tornò a guardare la propria tazza fumante –Lui arriverà- gli scoccò un’occhiataccia –Anche lui è un’eccezione, non lo sai?- e gli sorrise di trionfo, che per una volta la conversazione l’aveva chiusa lei, tra i due, che per una volta poteva essere lei ad insinuarsi nella sua mente, lasciandogli qualcosa da pensare.

-Ma non fa per te.- e lasciando a lei qualcosa da pensare.

Il rumore del campanello fece sfumare i due giovani e lei rimase lì, sola e con mille pensieri contorti, chiedendosi perché mai una chiacchierata con il leader non potesse essere salutare e semplice. Aggrottò le sopracciglia, sbirciò nuovamente il cellulare ma non scorse alcuna nuova chiamata o messaggio; forse era vero, forse Ri non sarebbe mai arrivato…

-Ah, scusami il ritardo! Scusami, scusami!-

E forse lei doveva smetterla di lasciarsi abbindolare da parole sibilline pronunciate da quel cretino di Ji Yong.

-Non preoccuparti Ri, non sto aspettando da tanto.- una bugia detta a fin di bene.

-Sicura?-

-Aha. Io mi sono già servita, tu scegli pure con calma- lo guardò con un sorriso –Sono contenta che tu sia arrivato.-

Ed era vero, era contenta. Ma continuava a guardare fuori, quasi si aspettasse di vedere GD dall’altra parte della strada che le faceva segno di alzarsi da quel tavolo e raggiungerlo, che la sua eccezione era fuori da quel locale, non dentro.

E per un attimo, quando lo aveva visto posare la mano sulla maniglia, avrebbe voluto urlargli qualcosa del tipo No per favore, resta qui, tu non hai bisogno di quella lì per essere felice, io posso essere la tua eccezione. L’hai detto tu, no? Quell’eccezione che può darti un senso… Ma la mano di Ri sfiorò la propria, un sorriso bellissimo le venne rivolto e lei sentì le parole incespicare, tornando indietro nello stomaco…

 

-E io sono felice che tu mi abbia aspettato.-

 

Lei invece avrebbe voluto dirgli che se Ji Yong le avesse proposto una fuga, avrebbe sicuramente trovato il tavolo vuoto e il conto già pagato.

 

*****
 

Fan impazzite a ore 12.00.

Appoggiato al muro di un angolo buio e nascosto, Top scoprì con sommo rammarico che un’orda di fan sbucate da chissà dove aveva deciso di bivaccare di fianco alla sua adorata automobile. Motivo di tale scenetta? Qualcuna doveva aver cantato che, per tutta la cena, aveva sostato in quel locale all’apparenza tranquillo e ora, usciti dalla porta sul retro con l’aiuto del gentile proprietario, attendevano che l’auto tornasse libera. E cosa ancora più scandalosa… Avevano i cuscini e le coperte!

-Sono ancora lì?- domandò seccato.

Lin, dopo l’ennesimo giro di perlustrazione, annuì –Credo vogliano accamparsi qui.-

Sbatté la nuca contro il muro -Te l’avevo detto che non dovevo togliermi gli occhiali.- sbottò caustico.

Lin portò le mani dietro la schiena –Credo che sia colpa della maglietta. Dicono che vedere le tue braccia nude è stato ec—

-No, ok, non me ne frega niente!- la interruppe greve, sporgendosi un poco per osservare la scena. Sembravano addirittura aumentate, ma forse era solo il vino che gli faceva vedere triplo.

Lin alzò le spalle –Prima o poi se ne andranno.-

-Oh, fidati, non tanto presto.- ricordava ancora di come una volta si fossero accampate sotto casa; avevano dovuto chiamare la polizia per farle allontanare.

-E allora torniamo a piedi.-

-Sei pazza?! E’ lontano.-

-Tanto sei a dieta, no? Un po’ di moto non ti farà ma—

-Domani ho gli allenamenti! Non posso stancarmi!-

-Che palle- sbottò seccata e lui le scoccò un’occhiata truce -Senti, vai da loro e piantiamola.-

Top la fissò corrucciato, questa volta lo sguardo assorto puntato sulla sua espressione piatta, quasi non ammettesse repliche; ma da un po’ di tempo Top si era riscoperto divertito nell’andare contro la sua quieta corrente, che vederla infiammarsi pur di avere l’ultima voce in capitolo era tremendamente piacevole –Non voglio lasciarti in disparte, non di nuovo.- e fu forse per questo che mormorò quella frase con serietà, vedendola sgranare un pelo gli occhi da cerbiatta. O forse era proprio per quel motivo che l’aveva detto, per poter scorgere un guizzo di incredulità capace di sbaragliare l’impassibilità che aleggiava sul volto pallido.

-Non è un problema. A me non impo—

-Ho detto che non voglio!- alzò la voce, vedendola arricciare il naso lentigginoso per l’interruzione sgarbata.

Ma se lei aveva solo storto il naso, le fan avevano aguzzato le orecchie…

 

-Eccolo!-

-Ah, ma lei la riconosco! Era la ragazza la tavolo con Top!-

 

Scoprendo il loro nascondiglio introvabile.

-Sei un cretino.- mormorò Lin vedendole prendere la rincorsa.

Top le scoccò un’occhiataccia, e quando credette di essere ormai in un vicolo cieco, una brillante idea alzò il sipario nella sua mente, mostrandosi in tutta la sua lampante genialità. E senza pensarci, incurante delle sciocche regole di Lindsay, si ritrovò a prenderla per mano e correre verso la via opposta mentre l’altra mano andava ad infilarsi nella tasca dei jeans.

-Oi, Bolt, dove vuoi andare?- l’ironia di Lin sbatté contro la sua schiena, ma decise saggiamente di non risponderle, anche se la tentazione di abbandonarla in pasto a quelle belve cominciava a stuzzicare il suo sadismo.

-Zitta e corri!-

-E poi, avevo detto che io non prendo per ma—

-Se vuoi ti lascio con loro. Si divertiranno un mondo a farti lo scalpo.- e Seung-Hyun non seppe se quelle parole sputate con irritazione e sarcasmo funzionarono sulla scemenza dilagante di Lin, ma di certo servirono, perché nella loro corsa frenetica, sotto lo scalpitare alle loro spalle dell’orda di fan inferocite, lei gli aveva stretto la mano un po’ di più, quel tanto che bastava per non perdere la presa.

E lui aveva ringraziato mentalmente quelle squinternate alle propria spalle, che miracoli del genere accadevano beh… Per miracolo, ecco.

-Ma si può sapere almeno dove stiamo andando?- domandò con fiato corto –O credi che abbiano le orecchie bioniche?-

-Da un amico.- sventolò il cellulare prima di rimetterlo in tasca, girando in un vicolo che sperava facesse perdere quel branco di gnu a piede libero. E fu dopo una corsa sfiancante, avendole seminate dopo tipo venti angoli, che i due si ritrovarono nei pressi di alcune palazzine, spingendo una grande porta scura che li condusse in un piccolo atrio.

Top le lasciò la mano, premette il tasto dell’ascensore reprimendo l’istinto di baciare le porte automatiche e attese che si aprirono, infilandocisi dentro intimorito al pensiero che quelle potessero sbucare da un momento all’altro. Lin lo seguì ansante, una mano sul petto.

Appoggiò la testa contro la parete metallica dell’ascensore, il fiato corto mentre il cuore continuava a scalpitare per la corsa frenetica. Una risata leggera e un po’ soffocata catturò la sua attenzione; Lindsay, mani sullo stomaco, era scoppiata a ridere nervosamente, gettando la testa all’indietro mentre i lunghi capelli le ricadevano mossi e scompigliati.

E pur nel nervosismo generale, Seung-Hyun si ritrovò a sorridere. Le guance rosse, i capelli che incorniciavano il volto rilassato, la mano che andava a coprire le labbra rosse… Dio, era bella da togliere il fiato e più la guardava, più si convinceva che ne valeva davvero la pena provare l’ebrezza di vivere sul costante filo del Oggi stiamo insieme, domani chi lo sa.

-E’ stato divertente.- mormorò seria, guardando davanti a sè.

-Se lo dici tu- replicò stanco, guardando la luce che lenta si spostava da un piano all’altro; per un istante desiderò premere il tasto Stop e starsene seduto con lei in quel mini stanzino, ma probabilmente, una volta in assenza di aria respirabile, Lindsay lo avrebbe ammazzato pur si sopravvivere –A chi non capita di venire inseguito da un’orda di fan infuriate?-

Lin giocherellò col un lembo del giaccone –E’ un po’ come essere inseguiti dalla polizia.-

-Sei stata inseguita dalla polizia?!-

-Una volta- la guardò con tanto d’occhi –O forse due. Boh.-

Posò nuovamente la testa contro la parete –Sei incredibile. E adesso mi dirai di essere finita pure in carcere, eh?- la frase gli uscì con uno sbuffo misto a risata, divertito al pensiero di una Lindsay vestita a righe bianche e nere mentre si faceva scattare una scazzata foto segnaletica. Quando però il silenzio dall’altra parte divenne insistente, subito lo sguardo si posò sul suo profilo delicato, contratto in una leggera smorfia di tensione –Oi, non dirmi che—

-La porta si è aperta.- lo interruppe pacata, uscendo verso quella che doveva sembrarle la libertà. Top rimase allibito in quel minuscolo antro oscuro, osservando la sua stretta schiena. Possibile che non riuscissero mai a concludere un discorso? Ogni volta che sembrava sull’orlo di conoscerla un po’ di più, ecco che qualche nuovo particolare saltava fuori, rendendola più enigmatica di quanto già non fosse.

Fu mentre usciva anch’egli, vedendola sorridere un poco mentre si guardava attorno, che si chiese se mai sarebbe riuscito a conoscerla fino in fondo. E al pensiero che qualcun altro avrebbe potuto cimentarsi in tale epica impresa e magari uscirne vincitore e che quel qualcuno non fosse lui… Beh, uno strano senso di fastidio si impadroniva della sua lucidità, divorandolo piano piano.

Si avvicinò piano, approfittando della sua distrazione svagata e quando la vide volgere il volto in sua direzione, la baciò sulle labbra, portando le mani sul volto gelido per via del vento che l’aveva carezzato, avvertendo le sue braccia circondargli la schiena. La fece appoggiare alla balaustra che dava sulle scale, incapace di scollarsi da lei e la sua incredibile delicatezza.

-Ahm, non vorrei disturbarvi…- una vocetta divertita si sparse nel corridoio silenzioso –Ma credo che i vicini non apprezzeranno lo spettacolo.- e Seung-Hyun avrebbe voluto ammazzare il nuovo arrivato.

-Che rompipalle.- soffiò piano mentre Lin sbatacchiava le palpebre, portando lo sguardo da lui al ragazzo.

-La prossima volta che mi chiederai aiuto, ti lascio alle tue fan.-

-Dong, lo sai che scherzo.- Seung-Hyun sorrise e Se7en roteò gli occhi, prima di fissare curioso una Lindsay silenziosa.

-Tu devi essere Lindsay- li guardò sornione –Seung-Hyun mi ha parlato tanto di te, sai?- la ragazza arcuò un sopracciglio e Top si ritrovò ad imprecare in un coreano mezzo sibilato, incurante che l’amico l’avesse compreso, visto che era scoppiato a ridere mentre faceva loro segno di entrare in casa –Dovresti essere più discreto in queste situazioni.- lo ammonì una volta dentro, senza nemmeno fare gli onori di casa.

Top spinse una riluttante Lindsay nel piccolo soggiorno, scoccando la lingua –Non è colpa mia. Quelle riescono a vedere sotto i vestiti.-

-Allora ci credo che sono così infoiate- gli regalò un’occhiata maliziosa e Top si pentì amaramente di avergli chiesto aiuto. In cerca di un riparo e un luogo sicuro in cui nascondersi per qualche ora, possibilmente vicino alla sua macchina, Top aveva saggiamente chiesto asilo al suo Hyung preferito, ignaro che lo stronzo avrebbe cominciato sin da subito a comportarsi come il Ji Yong della situazione –Posso offrirvi qualcosa?-

-Una macchina per tornare a casa.-

-Lindsay!-

-Che c’è? Sono stanca.-

-Allora vai a farti una doccia.-

-Se preferite, potete farla assieme.- si intromise il padrone di casa, scoppiando a ridere quando gli rivolse un amorevole medio in segno di affetto. Promemoria: in caso di bisogno, non chiedere mai più aiuto a questo coglione.

-Vado prima io. Tu dalle una maglietta pulita- sibilò Top superandolo, fissandolo in cagnesco –Mettimi in imbarazzo e da domani sarai un perfetto soprano.- la minaccia non sortì l’effetto sperato, perché la risata del ragazzo si amplificò. E lui, mentre approfittava della magnanimità di Dong-Wook, pregò davvero che non dicesse cazzate sul suo conto, o che magari mostrasse foto dei suoi tempi bui quando la danza era un incubo e lui un pezzo di legno con le gambe…

 

-E qui è quando Top e scivolato sul palco.-

 

Ma quando uno era stronzo, era stronzo, non è che potesse farci granché.

-Che le stai facendo vedere?!- domandò scorbutico, già sul piede di guerra senza nemmeno essersi accertato che effettivamente lo stesse ridicolizzando. Ma un album di foto svettava sul tavolo della cucina e Lindsay lo fissava con un microscopico sorriso beffardo.

-La tua grazia.-

-Ma chi è il vostro stilista? Elton John?-

-Quello si chiama stile- puntellò l’indice verso una Lindsay scettica, poi incenerì l’amico con la potenza del proprio sguardo –Ti avevo detto di non mettermi in imbarazzo.-

Dong-Wook, appoggiato al mobile della cucina, alzò le spalle –Le sto solo facendo vedere un lato del tuo vero io.-

-No, sei uno stronzo e basta.-

-Oh, sei caduto anche qui.-

-Tu basta guardare quel coso!- lo chiuse con un gesto secco, la fece alzare e la spintonò verso il bagno –Fatti una doccia, ok?- lei gli sorrise zuccherosa, sventolò la maglietta pulita e si dileguò, facendolo imprecare a mezza voce –Tu.Sei—

-E’ simpatica- lo ignorò –E molto, molto carina.- gli fece l’occhiolino e Top si dimenticò per un istante dei suoi intenti omicidi. Avrebbe voluto tanto contraddirlo e dirgli Ehi, ma l’hai vista bene? Quella è uno schianto!, ma udì l’acqua scrosciare e si rese conto che Lindsay Moore, in quel momento, somigliava più ad una barbona che ad un’adolescente ben truccata e pettinata.

Seung-Hyun annuì, poi si grattò la nuca mentre scivolava pesantemente sul divano -Scusa se siamo piombati in casa tua così, all’improvviso- Top sfregò l’asciugamano sui capelli –Magari eri con Park Han-Byul.-

Se7en scosse la nuca –Domani ha le riprese per una pubblicità, ha preferito stare a casa- guardò la porta chiusa del bagno –Ma si può sapere che è successo?-

-Delle fan hanno preso in ostaggio la mia auto, ci hanno scoperti e siamo corsi da te.- quella spicciola spiegazione fece ridere l’amico –Penso che tra qualche ora quelle se ne saranno andate.-

-Quelle… Sono tue fan, dovresti essere più gentile.- mormorò l’amico con una punta di rimprovero, aggrottando le sopracciglia.

Top sorrise un poco –A volte mi stanno strette. Ogni volta che sono con Lindsay c’è sempre qualcuno che ci interrompe. E mi sembra che il tempo si accorci.- non era la prima volta che i due si ritrovavano divisi per qualche tempo, lei seduta in disparte e lui a far felici le ammiratrici, ma quella sera, se avesse potuto, le avrebbe disintegrate.

Se7en lo scrutò -Deve piacerti parecchio.-

-Abbastanza.-

Gli lanciò un’occhiataccia –Abbastanza due palle. Sei quasi andato in depressione per lei.-

-Non ti sembra di esagerare?- corrugò la fronte.

Il cantante arcuò un sopracciglio, palesando il proprio scetticismo ma non si oppose; udì un suo sospiro, poi le sue labbra si aprirono in un sorriso –Senti, che ne dici se per stasera vi fermate qui? Tanto non mi date fastidio.-

Gli occhi di Seung-Hyun si allargarono per la sorpresa –Com—

-Se uscite ora, rischi di venir braccato un’altra volta. Se resti qui, hai più tempo per Lindsay.- gli rivolse un sorriso comprensivo, come se ben intuisse il suo disagio, quasi lo avesse provato lui stesso. E Top si ricordò di come anche Se7en avesse più volte esposto la propria stanchezza nel doversi nascondere, nel dover starsene sempre in macchina pur di rimanere in pace in compagnia della sua amata.

-Sei sicuro?- domandò accorto, indeciso se approfittare di così tanta bontà.

-Vado a preparare il letto.- tagliò corto mentre l’acqua nel bagno smetteva di scorrere. Lin rivolse un fugace sorriso a Dong-Wook quando le passò davanti, poi si recò da lui zampettando a piedi scalzi, con indosso una canottiera e dei pantaloni che dovevano appartenere alla ragazza di Se7en, date le misure.

-Mi ha dato i vestiti di sua sorella.- si indicò, fissando la stampa sulla maglietta.

-Credo siano della sua ragazza.- la scrutò con un sorriso.

-Sono da tanto assieme?-

-Sette anni, più o meno.-

Lin sbatté le palpebre e quando Se7en comparve nel salotto armato di sorriso malizioso ad illuminargli il volto, Lindsay lasciò librare in aria la propria scemenza –Condoglianze. Sette anni è una tortu—

-Lasciala perdere!- le tappò le labbra con entrambe le mani, sorridendo tirato nel sentirla bofonchiare.

Se7en arcuò le sopracciglia ma non indagò, scuotendo poi la nuca -Vi ho preparato la camera degli ospiti. Fate come se— si bloccò, lanciando un’occhiata eloquente a Top –No, anzi, non fate come se foste a casa vostra- gli fece la linguaccia prima di lasciarli soli –Buona notte.-

Lin arcuò un sopracciglio –Camera degli ospiti?- fissò Seung-Hyun.

-Ci fermiamo qui. Ti va?- la superò senza attendere una risposta, affacciandosi in camera… Dove c’era un letto singolo… Ma che razza di camera per gli ospiti era?! –Ma che ca--

-Io torno a casa.- mormorò Lin alle sue spalle, le mani dietro la stretta schiena e le punte che si alzavano e abbassavano con lentezza.

Seung-Hyun si grattò la nuca -Puoi restare, eh.-

-No, mio padre potrebbe preoccuparsi. Poi chissà cosa va a dire a mia madre- la vide trattenere una risata mista a sbuffo –Una volta sono rimasta a casa di un’amica senza avvisare, la festa era finita alle 6.00 del mattino e mi ero addormentata sulla sdraio del giardino. Il giorno dopo la polizia era davanti casa mia.-

Si perse nel vederla così spaesata, come ogni volta che gli concedeva un aneddoto di sé. Ma a lui non importava nulla. Poteva riaccompagnarla a casa la mattina seguente e trovare appostati polizia, la SWAT, il CEO e un’orda inviperita di Vip al varco. Voleva solo lei, nient’altro -Chiamalo e digli che fai tardi.- ripeté assorto, trattenendo dentro sé quel mucchio di parole romantiche che avrebbe voluto scagliarle contro, solo per farle comprendere quanto volesse spingere un po’ più in là quella notte.

-Già, potrei chiamarlo…- giocherellò con un lembo della maglietta –O potrei andarmene- non seppe per quanto tempo si fissarono e nemmeno vi badò; finché lei rimaneva sulla soglia, la speranza che restasse aumentava di un grammo. Un sospiro giunse, la porta si chiuse alle sue spalle strette e la sua voce fu un dolce brusio -Io sto vicino al muro.- lo superò zampettando fino al letto, buttandocisi sopra mentre cercava nella rubrica il numero del padre.

Top si lasciò andare ad una risata rauca senza freni, scuotendo la nuca mentre le si affiancava e tirava su le coperte, avvertendo le sue braccia gracili circondargli la vita e la testa poggiare sul suo petto. Si preoccupò che potesse udire i battiti accelerati del suo cuore, ma Lin non si scostò. Le carezzò i capelli umidi, si beò del suo leggero respiro che lo cullava, poi aprì le labbra, dando voce a quel pensiero che da un po’ gli martellava i neuroni -La prossima volta stiamo a casa.- confessò nel silenzio della notte, certo che Lin avesse sgranato gli occhi nocciola.

-Non ce n’è bisogno.-

-Sono stanco di occhiali e sciarpe. Voglio una serata normale.-

-Già il fatto che tu sia un cantante la rende anormale.-

E lui si morse la lingua, trattenne il fiato, mandò le parole in vacanza in Siberia, perché avrebbe voluto confidarle che lei era la sua normalità, che da quando era piombata nella sua vita si era sentito tremendamente uguale agli altri. Lui era Choi Seung-Hyun, nient’altro. Ma lei sarebbe scappata; sapeva che se le avesse detto una cosa del genere, Lin avrebbe smesso di essere la sua normalità, se ne sarebbe tirata indietro. E finché ciò non accadeva, lui ne approfittava.

-Io ho una vita anormale?- domandò scettico –E tu che ti fai inseguire dalla polizia? Ne vogliamo parlare?-

-Ma è successo un paio di volte!- ribadì seccata, dandogli una manata sul petto.

-O del carcere.-

-Cose che capitano- Eh?! –E poi la mia compagna di cella era simpatica- aggrottò le sopracciglia –Si chiamava Jasmine e faceva la prostituta.

-E perché ci sei finita dentro?-

-Droga.-

-Cosa?!-

-Ma io ero andata a quella festa solo per bere. Che ne sapevo che il padrone di casa era uno spacciatore?- mangiucchiò le parole prima di sbadigliare. Ok, d’accordo, quell’argomento andava approfondito; certo che più scopriva aneddoti legati alla sua vita, più si chiedeva quanti lati oscuri avesse la Moore. Top sospirò, carezzandole piano le braccia.

-Come mai tutti questi tatuaggi?-

Lin si mosse un poco, la voce un po’ impastata –Erano uno sfogo. Ogni volta che succedeva qualcosa, mi facevo tatuare una frase o un’immagine legata al momento.-

-E non è peggio? Intendo, non dimenticare mai.-

-A volte fanno male. Ma se sono ancora qui, significa che il peggio è passato, no?- e ancora una volta, di fronte alla sua spiccia analisi della situazione, Top rimase senza parole. Che la vita di Lindsay era un mistero e lui aveva ancora così tanto da scoprire che si chiese se di tempo ce ne fosse abbastanza per lui; che le sue poche parole avevano sempre un senso, non erano mai sparpagliate caoticamente e solo per riempire il silenzio; che i suoi gesti, parlavano per lei e gli dicevano tante, tantissime cose.

E lui sorrise, baciandole la fronte, guardando il soffitto mentre la teneva stretta a sé dormiente. Che lui, di tempo, non sapeva quanto ce ne sarebbe ancora stato.

Ma oggi erano assieme…

 

-Seung-Hyun…?

-Nh?-

-Non sei male come coperta.-

 

E il domani non faceva più così paura.

 

 

 


 


 

A Vip’s corner

OhMioDio questo capitolo mi piace, mi piace sul serio!

Mon cheries, ciao. Scusate l’incipit ma per una volta volevo condividere la mia gioia.

Avevo promesso che vi avrei fatto un regalo di fine anno, perciò eccolo qui. Ho cercato di renderlo il più decente possibile, un po’ perché non volevo regalarvi un’altra cacchiata in stile orrido capitolo 21, un po’ perché devo farmi perdonare per il sempre ormai più frequente ritardo. Sono in un periodo piuttosto nero della mia vita e causa lavoro mi sto avvicinando sempre più all’esaurimento nervoso. Per fortuna che Top e Lin mi aiutano ad estraniarmi un po’, altrimenti credo che a quest’ora sarei stata arrestata per strage ò.ò

So che non succede un beneamato nulla, anzi sembra un po’ tanto una buffonata, ma a me personalmente è piaciuto scriverlo, soprattutto perché ho dato qualche dettaglio in più sulla vita di Lindsay. Mi mancavano questi capitoli pieni di pensieri. E sì, so che Ginko è comparsa poco, perciò voi amanti del triangolo GDxGinkoxRi sarete rimaste parecchio deluse, I know, ma capitemi: la storia è incentrata su Top e Lin ed è giusto che ogni tanto io dedichi loro più spazio. Vi va di chiudere entrambi gli occhi e bendarveli? ♥

Ora, l’angolo delle informazioni inutili: il titolo But you fit me better than my favourite sweater è una frase contenuta nel brano Blue Jeans di Lana Del Rey (io amo questa donna ♥), -quindi a lei vanno tutti i diritti- che vi consiglio caldamente di ascoltare. E’ di una sensualità disarmante, sul serio. La trovo stupenda e romantica al punto giusto. E penso che se un ragazzo mi dicesse una cosa del genere, potrei appendere al chiodo il mio cinismo e pure i vestiti. Ah, ovviamente la descrizione di Brad prendere palesemente spunto dalle prime parole della canzone. Quindi, ripeto, andatela ad ascoltare che merita ed è un obbligo.

Ci sono inoltre un sacco di citazioni di altre canzoni, ma sono troppe e spenderei una pagina intera solo ad elencarle tutte, perciò ribadico che ai cantanti vanno tutti i diritti.
 

Non ho nient’altro da aggiungere se non che la vostra Heaven il primo gennaio compirà la veneranda età di 23 anni xD Che ne dite di farle un regalino lasciando un minuscolo segno del vostro passaggio? *Ho sempre desiderato scrivere una stronzata del genere* No, però gli anni li compio davvero quel giorno D:

E ora, ringraziamenti time!: a lallinachan, BellaChoi, MionGD, ssilen, kassy382, Ms_Carly, Myuzu, TheshiningSofia, YB_Moon e B1A4ever va il mio affetto smisurato per aver recensito l’ultimo capitolo e i precedenti. So much love, davvero ♥

Ringrazio altresì chi ha aggiunto la storia fra le seguite/ricordate/preferite e chi legge in silenzio. Siete in tanti e ciò mi rende felicissima :)

Alla prossima (perdonate eventuali abomini grammaticali) e buon anno ♫

Heaven.

 


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Capitolo 23
*** Heaven is a place on Earth with you ***


Capitolo 23

Heaven is a place on Earth with you

 

And I don't want to go home right now

And all I can taste is this moment, and all I can breathe is your life

'Cause sooner or later it's over I just don't want to miss you tonight

And I don't want the world to see me Cause I don't think that they'd understand

When everything's made to be broken

I just want you to know who I am”

-Iris, Goo Goo Dolls-

 

 

 

Sedeva in disparte ad ammirare il miracolo della natura, contemplando beatamente quella che, ad occhio e croce, doveva essere la discussione più epica a cui mai avrebbe potuto assistere.

Protagonista di tale, delizioso scenario, un Seung-Hyun dalla corvina capigliatura afflosciata, due profonde occhiaie che imbruttivano i suoi marcati lineamenti, contratti in una smorfia di puro odio verso colui che aveva osato disturbare il suo sonno ristoratore. Coprotagonista che si fregiò di tale onta e disonore fu Lee Byung Yung, paffuto manager del rapper dalla voce baritonale, nonché portatore di cattive nuove.

Cattive nuove che in realtà, per un Ji Yong in procinto di giocare a carte con la noia, non avrebbero portato altro che Gioia. Sì, con la G maiuscola, perché da tempo non accadeva nulla che potesse catturare la sua attenzione, ma quando la voce di Lee aveva trillato dal citofono alle sue orecchie con tremolante angoscia, subito Ji Yong si era reso conto di quanto quella mattinata fosse da ricordare.

E pensare che lui la mattina faticava sempre a cominciare una nuova giornata. Un po’ per l’insonnia che lo teneva sveglio, un po’ perché effettivamente il caldo delle coperte era forse la cosa migliore dopo la cioccolata. E le sue fantastiche canzoni, ovvio. Ad ogni modo, in quella mattinata cominciata con un trillo prolungato del campanello, al leader del gruppo non dispiacque affatto alzarsi, anzi. Cosa mai avrebbe potuto dargli la carica se non una scena drammatica che nemmeno Shakespeare sarebbe stato capace di descrivere?

Gli occhi scuri di Lee saettavano sulla figura di un silenzioso Seung-Hyun, imbronciato e sonnolento mentre rimestava il cucchiaino nel caffè –A cosa devo questa spiacevole visita?- domandò Top sgarbato, reprimendo uno sbadiglio.

Lee si fermò dal suo girotondo, le mani che cominciarono a sventolare mentre le parole uscivano cariche di nevrastenia –Al fatto che sei nei casini- esplicò con occhi larghi –Grandi, grossissimi casini.- aggiunse catastrofico, lasciando che la perplessità circondasse la figura di un Seung-Hyun che già di prima mattina era lento, figurarsi se le cose non gli venivano nemmeno spiegate bene.

L’unico suono che riempì l’aria fu la risata leggera di GD, divertito dall’accumulo di tensione che stava permeando le pareti di casa, rifocillato dalla cieca sensazione che la presenza di Lee fosse solo il preambolo per qualcosa di ancora più epico. Perché Lee non piombava mai in casa loro senza un motivo importante e dal modo in cui proteggeva la cartelletta che stringeva sotto il braccio, il suo motivo era lì.

-Io non riderei se fossi in te.- Lee provò a trafiggerlo con la forza dello sguardo, ma GD gli regalò un sorriso sghembo.

-Qualsiasi cosa sia, dubito c’entri con me.- rivolse un’eloquente occhiata al suo Hyung adorato, ancora intento ad ignorarli mentre mangiava i biscotti.

-Lee, si può sapere di che casini parli?- domandò finalmente Seung-Hyun, interrompendo la loro futile diatriba. E Ji Yong se ne innamorò perdutamente. Adorava quando Top non perdeva tempo e andava dritto al sodo della questione, facendo vibrare quel senso di appagamento misto a divertimento che giaceva sopente in lui, rannicchiato in un angolo buio.

Perché da un po’ niente lo aveva stimolato, perfino le voci stridule delle sue amanti non suscitavano alcuna gioia alle sue membra stanche. Che da quando Top e Ri avevano scoperto le bellezze dell’universo femminile e tutti i problemi che esso comportava, erano diventati meno disponibili alle sue Olimpiadi psicologiche.

Che.Noia.

Il manager lo fissò dall’alto della propria angoscia, sbuffò, passò le mani fra i corti capelli castani e sventolò la cartelletta nera che, sapeva, celava un succulento segreto. Ji Yong si spazientì; quanto ci voleva a sganciare la bomba?

-Seung-Hyun, sicuro di non dovermi dire nulla?-

Top lanciò un’occhiata stralunata all’uomo poi ne scagliò un’altra furiosa contro di lui, come se fosse il mandante di quell’adorabile messa in scena. E gli si strinse il cuore al pensiero che no, per una volta non era stato lui ad architettare tale, sublime sceneggiata.

-A che proposito?-

-Non lo so- mormorò l’uomo –Magari c’è qualche cambiamento nella tua vita- le parole criptiche dell’uomo fecero suonare a festa le campane d’allarme di Ji Yong. Onta e disonore per non aver compreso appieno cosa avesse portato lì Lee. Insomma, era palese, no? La parola cambiamento poteva solo indicare una sola cosa… Anzi, persona. E il suo ghigno si ampliò mentre attendeva che quell’ingenuo di Top ci arrivasse da solo e con la propria stupidità –Qualcosa che non mi hai detto.-

-Qualcosa che—

-Oh, ci sono tante cose che il nostro Hyung non dice- si intromise Ji Yong, rivolgendo un’occhiata zuccherosa ad un Top confuso, chiaro segno che non aveva la più pallida idea di cosa si stesse parlando –E tante cose che tiene nascoste.-

-Co—

-Ecco, Seung-Hyun, forse sarebbe l’ora di dire tutto.- l’uomo annuì, rivolgendogli un’occhiata incitante.

Ma Top brancolava nel buio –Non-Non capisco di cosa tu stia parlando.- o forse voleva far finta di non vedere.

Lee sospirò pesantemente mentre il capo cadeva in avanti -A quanto pare, sei sulle prime pagine dei giornali scandalistici.-

Oh, sommo giubilo!

La leva di sicurezza era stata tolta, con somma lentezza Lee aveva lanciato la granata… E Top stava per esplodere, lo sentiva. Poteva avvertire gli influssi di angoscia che fuoriuscivano dal suo corpo teso, impettito contro la sedia, la mano che stringeva un povero biscotto ora divenuto un ammasso di briciole, la mascella tesa mentre gli occhi continuavano a fissare il contenuto della tazza fumante –Senti, non so davvero di cosa tu stia parlando, Lee.-

E la bomba esplose.

Alla risposta di Seung-Hyun, Lee si ritrovò a serrare le labbra mentre posava la cartelletta con estenuante lentezza sul tavolo. Top lanciò un’occhiata furtiva a GD ma il leader alzò le spalle, regalandogli un macabro occhiolino a cui lui reagì con l’arricciamento del naso.

Lee alzò il capo, l’espressione mortalmente seria ad increspare le sue piccole rughe intorno agli occhi –Parlò di questo.-

-Cos’è? La lettere d’amore di una fan?- buttò lì Top, scoglionato –O devo aspettarmi qualche minaccia di morte?-

-Oh, di quelle ce ne saranno a centinaia, stanne certo- asserì il manager –Ma dubito saranno indirizzate a te.- l’elastico venne spostato e il manager cominciò a sollevare l’apertura della cartelletta.

-Quando Pandora aprì il vaso, non finì troppo bene.- il suo sibilo si insinuò fra loro, ora sbigottiti di fronte alla seraficità con cui li fissava dall’alto della propria intelligenza. E attese paziente che Lee si riprendesse dal significato recondito della sua frase, che decidesse finalmente di mettere in luce ciò che stava accadendo e che desse un po’ di carne al suo appetito di divertimento ancora non saziato.

Lee mugugnò qualcosa e con velocità rinnovata recuperò IL capolavoro dalla cartelletta, un ritaglio di giornale ad essere più precisi. Un po’ sbiadito, colorato e plastificato, che ritraeva il suo amabile Hyung in compagnia di America, in quella che doveva essere una calda mattinata di fine febbraio. Ma più della foto, più dell’essenza di pericolo che quell’immagine emanava, ciò che catturò la sua attenzione fu Seung-Hyun. Che non sembrava intimorito, che doveva aver chiuso le porte alla paura, lasciando che un tremolante quanto invisibile sorriso increspasse le sue labbra nascoste dietro la tazza di caffè.

Che qualcosa era accaduto con Lindsay o forse non c’era stato nulla di eclatante. Ma qualsiasi cosa fosse stata, Seung-Hyun sicuramente l’avrebbe ricompiuta, tanto bella era stata.

E per un attimo provò nostalgia di quel sorriso colmo di serenità, come se il ricordo di loro due assieme potesse scacciare qualsiasi turba o paranoia. Che il Paradiso era un posto ovunque sulla Terra con lei e allora null’altro aveva senso. Da quanto non provava tutto quello? Da quanto non celava le sue paturnie dietro quel sorriso, senza provare tutto quel dolore quando un’ipotetica lei gli tornava in mente?

i Yong scosse la nuca mentre scacciava quei pensieri molesti e si sporse –Lee, come sei arretrato- commentò con delusione –Lo sanno tutti che oggi va di moda Instagram.-

-Ji Yong—

-Oppure un’immagine in bianco nero, mettendo in risalto solo i tatuaggi di America- sorrise zuccheroso, sbatacchiando le quasi inesistenti ciglia mentre si crogiolava nel nervosismo di Lee –Non trovi che così sarebbe più chic, Hyung?- zuccheroso e vellutato, puntò lo sguardo sul coinquilino, sorridendo estasiato di fronte al suo sguardo fiammeggiante.

Il suo Hyung stava crescendo e lui poteva assistere in completa pace a questo piccolo evento pregno di sommo gaudio. Che se la parte difficile era stata superata, se la conoscenza procedeva a rilento e a tentoni, ora bisognava affrontare il vero ostacolo: due vite diverse che decidevano di incontrarsi e puntualmente collidevano tra loro.

Si chiese se Top avesse messo in considerazione l’ipotesi di finire nelle mani dei paparazzi per una sua eventuale scampagnata notturna con la Moore, ma dallo sguardo stupito che aveva lanciato al ritaglio di giornale, ad esplosione avvenuta, la risposta era cristallino e secco No.

-Beh? Non hai niente da dire in tua discolpa?- domandò Lee sull’orlo di una crisi di nervi, picchiettando l’indice sulla foto che svettava al centro del tavolo.

Ji Yong guardò il manager con amorevolezza; quell’uomo si lasciava sempre prendere dal panico per la più piccola quisquiglia quando il protagonista era la sua adorata star. Il che avveniva raramente, giacché Top e i guai erano due strade parallele che mai si sarebbero incrociate. Ma quando questo miracolo avveniva, beh, bisognava godere appieno del momento.

-Cosa vuoi che ti dica?- replicò Top alzando le spalle, immergendo un biscotto nel caffè. Doveva girargli proprio male se decideva di mandare all’aria mesi e mesi di ferrea dieta.

-Ad esempio, chi è questa ragazza? Perché non ne hai mai parlato? Perché siete davanti a casa di Se7en? Perché ha così tanti tatuaggi?!- le domande celeri dell’uomo veleggiarono nell’aria, scagliandosi contro un Top silenzioso e rimuginante.

-E’ la ragazza di Top, che domande!- osservò Ji Yong con calma, ridendo di gusto quando l’imprecazione dello Hyung si mescolò allo squittio di Lee.

-Non è la mia ragazza!- obiettò il ragazzo con le guance imporporate –E’ solo un’amica.-

-Che ogni tanto ti fai.-

-Si può sapere da che parte stai?!- sbottò collerico l’amico, rifilandogli un’occhiataccia.

-Seung-Hyun, perché non ne hai mai parlato?- l’uomo si accasciò sulla sedia, le mai a reggere la nuca –Avremmo potuto trovare un modo per nascondere tutto, per—

-Ma io non voglio nascondere nulla!- lo interruppe brusco, ripassandogli con malagrazia la foto –E’ per questo che non ne ho fatto parola.-

-Beh, avresti dovuto- lo rimproverò l’uomo -Yang Hyun-seok vuole essere messo a conoscenza di queste cose, lo sai bene- agitò l’indice mentre il nome del CEO fece calare un gelo nella stanza palpabile e inossidabile –Ne va della vostra privacy. Come gruppo--

-Il gruppo non c’entra con me e Lindsay.- l’ennesima interruzione cadde in picchiata fra loro, colma di risentimento e fastidio. Ji Yong giocherellò con un biscotto, dicendosi che se lui e Daesung non fossero stati nell’occhio del ciclone dei media tempo addietro, forse il CEO non sarebbe divenuto così paranoico nei loro confronti. Perché un’eventuale storia fra uno di loro e qualcuna, significava l’attacco massivo della maggioranza delle fan, di quelle che pretendono che loro restassero per sempre illibati e concentrati sul lavoro. O magari gay, al suono del delizioso motto Se non posso averlo io, allora non può averlo nessunA.

-Quindi si chiama Lindsay?- l’uomo arcuò un sopracciglio dopo aver studiato la foto –Non sembra il tuo tipo.-

-E quale sarebbe il mio tipo? Inizio a non saperlo più tanto bene, sai?- replicò apatico, lo sguardo puntato su di un punto sul muro.

-Di certo non una che sembra una fuggitiva- sventolò il ritaglio –Seung-Hyun, prova a comprendere. Come reagiranno le fan ad una tua ipotetica relazione?-

Seung-Hyun si scaldò –Se sono vere fan capiranno e saranno felici- si morsicò l’interno delle guance –E comunque non c’è alcuna relazione. Siamo solo amici, davvero- ripeté sfibrato, le labbra piegate mentre il capo pendeva in avanti -Cos’ha detto Yang Hyun-seok?-

-Ha ipotizzato che fosse un sequestro di persona, sai i tatuaggi, l’espressione incazzosa…- un sospirò fuoriuscì –E dice che se non ne vale la pena, puoi anche non continuare con questa storia.-

-Certo.-

-Seung-Hyun- Lee si sporse –Ne va della tua carriera. Della vostra carriera- li guardò entrambi –Non vedeteci sempre come dei mostri. Noi lo facciamo per il vostro bene- allungò il ritaglio verso di lui, sorridendogli un poco –Non rovinate tutto con queste indiscrezioni.-

-Vedrò di essere più discreto- mormorò il ragazzo –Tanto presto sarà finita. Non è una cosa seria.- concluse alzando le spalle, la mano che andava a sorreggere il capo.

Ji Yong lo guardò adombrato; ma come, voleva già far finire il suo divertimento?

Arricciò le labbra mentre vedeva Lee sospirare, raccattare le proprie prove e alzarsi, fissandoli rammaricato. Come si diceva? Ambasciatore non porta pena; in quel caso, Lee ne aveva portata pure fin troppa.

Il viso di Seung-Hyun avrebbe dovuto farlo sghignazzare di cuore, davvero. Ma per qualche strana ragione si ritrovò a deglutire e starsene in silenzio, continuando a far rotolare quel biscotto sul tavolo.

-Vi ricordate che oggi pomeriggio avete un’intervista?- li guardò mentre faceva girare la maniglia.

-Aha. Saremo puntualissimi- gli sorrise amorevole –E discreti.- gli regalò un occhiolino quando lo video roteare gli occhi, uscendo. Lee chiuse la porta con delicatezza, quasi volesse rendere meno straziante quel momento per il suo protetto.

Il ticchettio dell’orologio faceva da sottofondo al loro mutismo; Seung-Hyun si lasciò scivolare sulla sedia e gettò la testa all’indietro, lasciando che un melodioso Cazzo sfuggisse alle sue labbra piene. Ci fu qualcosa però in quel Cazzo che non fece sorridere Ji Yong ma che lo lasciò lì, in piena fase di contemplazione del suo adorato Hyung, quasi il divertimento fosse ormai sazio della discussione cessata con avvertimenti asciutti.

-Hai intenzione di parlarle?- domandò placido, deciso a non chiudere quel discorso.

Seung-Hyun alzò le spalle –Non lo so- si grattò la nuca, lasciando che il suo sospiro facesse fuoriuscire tutta l’ansia che aveva in corpo -Io con lei sono stato bene, ma bene davvero- sbottò lanciando una cartaccia nel cestino, mancandolo con conseguente imprecazione soffiata –E poi arriva Lee a rovinare tutto.-

-Non ha rovinato tutto- sottolineò Ji Yong scanzonato –Ha solo detto che tu, se non farai attenzione, rovinerai tutto.-

Seung-Hyun lo fissò di sbieco, poi sbatté le mani sulle cosce –Ma che cazzo continuo a parlare con te?- soffiò secco, facendolo ridere di gusto.

-Sai? Puoi continuare a vederla, eh- le sue braccia circondarono la cucina –Potete sempre stare qui.-

-Come due vecchi, fantastico.-

-Ehi, cosa ti aspettavi?- lo guardò accigliato, indispettito dal fatto che la sua brillante idea fosse stata scartata senza considerazione alcuna –Di andare con lei mano nella mano per il centro, senza sciarpe, cappelli e occhiali?- inclinò il capo –Senza paparazzi alle costole?-

-Non pensavo che fra quelle tredicenni ci fossero dei paparazzi!- si stropicciò il volto –E’ come se tutto ciò che era bello con lei, fosse diventato insignificante.-

-Se una cosa è bella, resta bella anche quando gli altri ti dicono che in realtà fa schifo- schioccò la lingua, studiando le sue sopracciglia aggrottate –O devo cominciare a credere che America non ti piaccia più?-

Un balzo sulla sedia tradì il timore del ragazzo, come se tale evento fosse da bollarsi come blasfemia –Ma che cazzo dici?- sbottò poco finemente, strappandogli un sorrisetto di gioia. Decisamente, le imprecazioni di Top risuonavano sempre dolcemente alle sue orecchie.

-E allora perché tanti problemi?-

-Ma hai sentito Lee o eri qui solo per prendermi per il culo?-

-Prenderti per il culo- osservò sbrigativo, deliziandosi del suo Fottiti sibilato –E comunque, lo hai detto anche tu che è solo una foto, no?-

-A quanto pare no.- sottolineò scoglionato, rigirandosela fra le mani.

E per un istante, gli parve di cogliere appieno la linea di pensiero di Top. Nella loro posizione, anche la più inutile quisquiglia veniva considerata uno sbaglio madornale, soprattutto se rischiava di compromettere la loro posizione. E Top, che per quel mese aveva vissuto in maniera ovattata la sua storia con Lindsay, ora si ritrovava a fare i conti con la dura realtà: che lei era una ragazza qualunque, lui un idol; che la loro storia avrebbe avuto riscontri positivi e forse molti risvolti negativi.

Che la sua vita privata sarebbe stata messa al microscopio, perché la gente era talmente annoiata dalla monotonia delle proprie giornate, che gli ultimi gossip diventavano il sale, il pepe e il peperoncino della loro quotidianità. E poco importava se lui era davvero felice con lei o a casa si lanciavano contro i piatti; l’importante era che lui la tradisse con la babysitter, che lei fosse rimasta incinta o non lo amasse e stesse con lui per spillargli ogni soldo.

Che dietro il loro amore vero o presunto ci fosse sempre qualcosa di sospetto.

-E’ terribile quando si ha la sensazione di trovarsi in Paradiso e puntualmente venir risbattuti nella realtà, che altro non è che un Inferno camuffato- lo guardò con un sorriso fugace –Tu non trovi?-

Annuì –Cosa dovrei fare?-

-L’hai detto tu, no? Non è una cosa seria, presto finirà- indicò la foto con un cenno del capo –E se questa storia va avanti, sarà lei ad andarsene.-

Seung-Hyun si rabbuiò –Probabile.-

-Lindsay non mi sembra portata per queste cose- storse il naso –E poi non è fotogenica.-

Lo Hyung rise un poco –No, proprio no.-

-Oppure potresti invitarla alla prossima festa che darà il CEO, sai, quella per la promozione dei concerti- lo guardò –Se venisse, potresti dimostrargli che non è così grezza come sembra.-

-Tanto non verrà- mormorò assorto –Non è per lei.-

Il silenzio tornò ad avvolgerli; la voce stridula di un Ri che urlava al telefono nella propria camera fece loro da sottofondo. Probabilmente stava gracchiando con quella psicopatica della Fujii. Si stupì della capacità di quella nana di riuscire a sopportare l’iperattività di quel maknae saltellante, poi si ricordò che anche lei aveva l’energia di una molla e allora non si stupì più di niente. Solo che quei due continuavano ad intendersela e ciò andava oltre ogni sua previsione. Anche quando l’aveva incontrata al bar, in attesa che Ri giungesse per trascorrere la serata con lei, le sue parole sicure e ferree avevano cercato di smontare un piccolo, minuscolo dettaglio: che la sua parola era legge. E per un attimo, in cui aveva vacillato, si era ritrovato a soccombere sotto il suo genuino modo di vedere il mondo e la bruttezza che lo avvolgeva.

E puntualmente si era ritorvato a stringere il corpo di un’altra donna, ben sapendo che non avrebbe compensato quel senso di vuoto e mancanza che da un po’ lo attanagliava. Che si era fatto più pesante dopo l’annuncio di Ri…

Anche lui è un’eccezione, non lo sai?-


Che si era insinuato nelle pieghe del suo cervello, fossilizzandosi.

Guardò Top, intenzionato a torturarlo pur di non farsi del male con ulteriori scomodi pensieri, così catturò la prima domanda che gli gironzolò in mente, lanciandogliela contro con magistrale indifferenza -Ma quindi, a che meta sei arrivato?-

E fu un miracolo.

No, sul serio, qualche buon Dio doveva avergli sorriso, fatto l’occhiolino e deciso di benedirlo per l’immagine di rara bellezza che i suoi occhi avevano appena scorto: Seung-Hyun, in tutta la sua mascolina beltà, era appena stato avvolto dal velo dell’imbarazzo che aveva imporporato le sue guance, che gli aveva fatto sgranare gli occhi dietro le spesse lenti da vista, costringendolo a balbettare frasi sconnesse che Ji Yong nemmeno ascoltò.

Che senso aveva concentrarsi sui suoi farneticamenti quando tutto, tutto di lui sembrava parlargli?

-Me-meta?- chiese deglutendo, tornando a guardare il caffè.

Ji Yong arcuò un sopracciglio; se quella sciocca cavia che da un po’ di tempo era stata trascurata voleva sfuggirgli, doveva impegnarsi di più –Come se non sapessi a cosa mi riferisco.- buttò lì con noncuranza e un pizzico di scetticismo che non guastava mai, ma che di certo rendeva più piccante la loro conversazione.

Seung-Hyun tirò il colletto della terza felpa con l’indice, schiarendosi la voce arrochita per la domanda inopportuna –Non sono affari tuoi.- mormorò flebile.

E Ji Yong raggiunse il culmine della felicità.

Seung-Hyun aveva ancora così tanto da imparare, constatò con paterna amorevolezza mentre la guancia andava a posarsi sul palmo aperto, un sorriso alla Stregatto che poteva intravedersi oltre le fessure delle dita. Non sono affari tuoi era la frase che per antonomasia faceva intendere che in realtà si stava cercando di celare qualcosa. Qualcosa che andava taciuto, che si sarebbe potuti giungere a conclusioni affrettate, a varcare soglie di discorsi le cui porte andava invece chiuse a chiave, con il conseguente volontario smarrimento di quest’ultima.

Che quel Non sono affari tuoi, sembrava dirgli che la loro relazione era ad un punto morto. Ma non di quei punti morti che indicavano la fine di una storia, giacché quel loro traballante ricercarsi non poteva definirsi storia, no. Che erano solo fermi, in attesa che qualcosa accadesse, che venisse data loro una spinta per poter procedere. E, silenziosamente, gli stava chiedendo di dargliela, quella maledetta spinta.

-Sicuro?- le labbra guizzarono all’insù mentre la mano andava a sorreggergli il mento -Qualcuno qui è imbarazzato.- sussurrò complice, rivolgendogli uno sguardo colmo di malizia.

-No, ho caldo. Ho tre felpe addosso- sbottò asciutto, fulminandolo con la sola forza dei suoi occhi taglienti –E comunque non abbiamo fatto ancora niente.- volse il viso, precludendogli ogni possibilità di scrutamento, ma GD non ebbe bisogno di altro per comprendere.

Bastò la sua voce traballante, pregna di incertezza e un pizzico di imbarazzo per smontare ogni suo divertimento -Cielo, Hyung, ma quanti anni avete? Cinque?-

Seung-Hyun si impuntò –Solo perché non facciamo sesso, non significa che siamo due poppanti eh.-

La metafora banale che si librò nell’aria gli fece arcuare un sopracciglio mentre la mano andava a sorreggergli la guancia, che la noia avrebbe rischiato di far sfracellare il suo delicato visino sul mogano liscio del tavolo -Ti facevo più sveglio.-

-Non c’è mica fretta, eh.-

-Top che dorme non piglia Lin—

-La vuoi smettere?!-

-Lindsay non sembra una che aspetta. Potrebbe stancarsi e—

-Lei non si spinge mai oltre.-

-Se vede che hai paura, non lo farà mai- buttò il seme della discordia con raccapricciante dolcezza –O magari c’è qualcun altro che la soddisfa.- e la vide, l'increspatura di terrore negli occhi del ragazzo, celata da un mugugno incerto e vago, quasi a voler scacciare quell'ipotesi.

FA-VO-LO-SO!

Favoloso, decisamente!

Un Seung-Hyun incazzato era stupendo, ma un Seung-Hyun incazzato, avvolto da un velo di timore e paranoie era da lasciare senza fiato! Oh, ma dov’erano i paparazzi quando tali scenari andavano immortalati per poterne così godere una vita intera?

-Può essere.-

-Ma tu le hai mai chiesto qualcosa?-

-Ma non posso chiederle se si vede con altri!- sbraitò sull’orlo di una crisi isterica, guardandolo ad occhi larghi.

Ji Yong sporse il labbro, guardando il soffitto e soppesando le sue parole. Già, non poteva avvalersi di chissà quale possessione su di lei, visto che la loro relazione si basava sulla libertà di espressione dei propri appetiti con chi avesse gravitato nella loro vita, ma Ji Yong non puntava a quello, no. E non avrebbe permesso che il suo Hyung preferito cambiasse rotta su quel discorso, virando bruscamente verso altri argomenti per lui futili.

Così lo guardò, annuendo –Già, non puoi. Non sta bene.-

-Eh!-

-Ma puoi chiederle di fare sesso.- sorrise divertito, vedendolo sbattere la nuca contro il tavolo mentre mugugni ovattati e incomprensibili beavano le sue orecchie. Ah, che spettacolo di rara meraviglia era quello di un Top in piena crisi esistenziale, di quelle che non vedeva da anni. Una crisi esistenziale che prima o poi tutte le coppie scoppiate e non affrontavano. I baci, gli abbracci, tutti quei preliminari altro non erano che piccole molliche di pane che avrebbero portato al culmine della passione. Se però Top nelle vesti di un ingenuo Pollicino un po’ sfigato si dimenticava di portarsi dietro i pezzi di pane, allora come poteva recuperare le briciole necessarie per arrivare a Lindsay?

Seung-Hyun lo fissò sconvolto, scuotendo la nuca –Ma ti pare?! Non posso mica dirle Ehi, ti spiace se mi slaccio i pantaloni? Il piccolo Seung-Hyun moriva dalla voglia di vederti- GD lo guardò con labbra tremolanti prima di gettare il capo all’indietro e scoppiare a ridere, coprendo il volto con una mano –Non sta bene e lo sai.- concluse tagliente, assottigliando lo sguardo scuro e profondo in cui gli parve di leggere un barlume di vena omicida.

GD si ricompose e gli sorrise amorevole –Hyung, non devi dirglielo in maniera così plateale- sventolò una mano –Dille che la desideri. Alle donne piace sentirselo dire.-

Seung-Hyun gonfiò le guance prima che uno sbuffo colmo di esasperazione si librasse nell’aria –Lindsay non è come le altre- sorrise un poco –A volte mi dico che tutto sarebbe più facile se lo fosse, invece.-

Il leader lo scrutò con noia –Non l’avresti nemmeno guardata- lo vide serrare le labbra e quando si rese conto che dei passi si avvicinavano, decise di dargli l’ultima perla della giornata, con la speranza che comprendesse e desse una svolta alla loro storia in fase di stallo -Non c’è rimorso peggiore di qualcosa che poteva essere tua e te la sei lasciata sfuggire.-

So benissimo che non sono il tuo tipo-


Che poi i rimpianti diventano spettri fastidiosi e nemmeno i Ghostbusters al completo sarebbero stati capaci di intrappolarli.

-Diventerebbe una faccenda in sospeso e ti ritroveresti a vagare come uno spettro per il resto dei tuoi giorni.-

Seung-Hyun sbatacchiò le palpebre -Ji Yong, tu--

-Di cosa parlavate?- Ri entrò di prepotenza nella loro conversazione, interrompendo Seung-Hyun. E per fortuna, avrebbe aggiunto, perché era certo che sarebbe divenuto lui il protagonista di quella sceneggiata. Ri li guardò corrucciato, poi li indicò –Parlavate di me, vero? Vero?!- la paranoia del maknae fu un toccasana per GD che, inspirando a pieni polmoni, si sentì rifocillato da tutta quella bellezza. E di prima mattina, per di più!

Il più grande si massaggiò una tempia, frustrato da tutto quel casino mentale e non –E perché mai dovremmo parlare di te?-

-Perché vi siete ammutoliti quando sono entrato.- bofonchiò mettendosi a braccia conserte, piantandosi lì, in mezzo alla stanza per continuare il suo gioco di sguardi di disappunto.

GD mosse un poco il capo, indicando un Top incassato sulla sedia –Stavamo parlando delle mete raggiunte dallo Hyung.-

-Mete?-

-Ji Yong crede che io sia un moccioso solo perché non ho fatto ancora sesso con Li— si bloccò e li guardò –Ma perché ne sto parlando con voi?!-

Perché senza di noi saresti già esploso da tempo.

-Oh, ma non c’è fretta per quello- il più piccolo sventolò una mano –Ogni cosa a suo tempo.- Ji Yong arcuò le sopracciglia mentre lo sguardo sfilava su di un Top gongolante. Non è che ricevere l’appoggio di Ri fosse proprio questa gran cosa, eh, avrebbe voluto dirgli con voce solenne, ma si limitò a schifarlo con un'occhiata e concentrarsi su di un Ri che ora rovistava nel frigo, ignorandoli.

-Il tempo è denaro.- si ritrovò a mormorare dopo poco, vedendosi osservato oltre la spalla.

-Ed è anche tiranno- seguitò Ri, sfidandolo; che Maknae insolente! –Solo perché non ci portiamo le nostre ragazze a letto a tempo di record come fai tu, non significa che—

La risata di GD lo interruppe, lasciandolo impalato con l'anta del frigo aperta. Seung-Hyun lo guardò come se fosse impazzito, ma decise di tirarsi fuori da quel discorso che ormai non verteva più su di lui. Che era divenuto generale e di tutti, perfino suo. Soprattutto suo.

Guardò Ri con espressione serena –Ragazze?-

-Beh, qualcosa del genere- mormorò imbarazzato, sventolando le braccia –Ormai è quasi un mese, è una cosa seria. Più o meno.-

Avrebbe voluto tanto dirgli che i mesi non contavano in quei frangenti, che non era il tempo a rendere seria una cosa ma il miscuglio di sentimenti che li avvolgeva, quello faceva la differenza. E per un momento, udendo la sua sicurezza che si era eclissata al suono di un balbettio imbarazzato, si chiese a che punto fosse giunto con la Fujii. E un sorriso raccapricciante sbocciò sul volto sottile.

-Oh, certo. E quindi?- la voce di GD risuonò melodiosa nel silenzio che faceva ora da sovrano –A che meta sei arrivato?-

Il gioco al massacro di sguardi tra i due persistette per una manciata di minuti, fino a che un sorriso sereno spuntò sul volto del più piccolo, chiaro segno che la bomba sarebbe stata sganciata con assoluta noncuranza –Più di quanto abbia fatto tu.- e con la stessa placidità, si dileguò ai loro occhi, lasciandoli spaesati.

Ji Yong morsicò l’interno delle guance, spazientito dall’atteggiamento strafottente del più piccolo. Da quando usciva con Ginko sembrava voler rimarcare la sua vittoria schiacciante su di lui, senza comprendere che in realtà aveva avuto la strada spianata solo e unicamente perché lui aveva tolto ogni più piccolo ostacolo.

Rifiutando l’amore di Ginko. Rifiutando un po’ di felicità e molti, troppi problemi che non voleva affrontare. Mettendosi in disparte. Era come essere andato incontro al boss principale, averlo lasciato con un punto di lifepoints e poi avergli sussurrato, fra il sangue e la fatica Ora tocca a te, mio prode amico.

Avrebbe dovuto ringraziarlo, invece di comportarsi da ingrato.

Il rumore della sedia che strisciò sul pavimento catturò la sua attenzione; Top si stava alzando, inumidendosi le labbra -Ji, io non so che cazzo passi in quella tua testa e nemmeno mi interessa- lo guardò apprensivo –Ma non commettere gli stessi errori, ti prego.-

-Non so di cosa tu stia parlando.-

-Parlo di Ginko e del fatto che tutto ti sia sfuggito di mano- sgranò gli occhi di fronte alla sua perspicacia, deglutendo al pensiero che potesse cogliere il suo smarrimento -La tua faccenda resterà in sospesa perché l’hai voluto tu- Ji deviò lo sguardo –Non è colpa di Ri.-

E con quelle parole rimase solo, conscio che quei due stavano cominciando a dargli un po’ troppo filo da torcere. Fu solo allo sbattere della porta, al tintinnio delle tazze e alla tele che venne accesa, che i pensieri scomodi tornarono a fargli visita.

Guardò la foto che Top aveva dimenticato sul tavolo. Forse per sbadataggine o forse perché voleva seriamente evadere da tutto quello. Fatto stava che Ji Yong si perse ad osservare il volto di quei due cretini, riscoprendosi a sorridere impercettibilmente mentre si congratulava per essere stato un Cupido coi controcazzi.

E non fu scandaloso pensare che, in fondo, quei due erano davvero belli assieme nella loro particolare diversità.

Non fu scandaloso dirsi che forse, quei due, erano meglio di una soap-opera.

Fu scandaloso rendersi conto, per una misera frazione di secondo, che il desiderio di complicità che lui tanto stava scacciando, tornasse prepotente a farsi largo in lui…

 

-Non perdere il tuo tempo con me.-


Rinchiuso nelle sue stesse paure, sconfitto dalle sue stesse parole.

Ironico e deprecabile, davvero.

 

*****

 

L’ennesimo tuono della serata spezzò il silenzio tra di loro, un silenzio che l’aveva accolta anche entrata in casa. Casa vuota e silenziosa, fatta eccezione per un Seung-Hyun che gironzolava per la stanza e lei, appena tornata da una nottata al Tribeca fra musiche dance anni 80', capelli cotonati, camicette a quadri e Fonzies un po' sfigati.

Avvolta in una camicetta blu in stile campagnola, pantaloncini e scazzo, Lindsay continuò a fissare il padrone di casa, chiedendosi cosa Diavolo fosse successo al ragazzo.

Lindsay non badava mai ai comportamenti dei ragazzi, mai. Le sue storie avevano la vita effimera di una farfalla, troppo poco perché potesse ricordare ogni loro gesto, ogni loro movimento, imparando a riconoscere i chiari segni delle prime crisi. Ma quella sera si rese conto di come, inconsciamente, i suoi neuroni avessero marchiato a fuoco dentro sé ogni impercettibile gesto di Seung-Hyun.

E non si poteva parlare di crisi, era una parola così tanto catastrofica che proprio non si addiceva alla loro frequentazione, ma qualcosa che non andava c’era, lo avvertiva nell’aria. Ogni fotogramma di quella strana serata era stampato nei suoi occhi nocciola.

La scena era sempre la stessa. Dagli angoli smussati e sbiaditi, ma limpida nella sua nitidezza. L’accoglieva sempre con un sorriso, sempre; l’angolo delle labbra che guizzava all’insù, quasi volesse augurarle un Ben arrivata silenzioso e i suoi occhi scuri, nascosti dietro le lenti spesse, sembravano sorriderle anch’essi, come se la stanchezza scivolasse via piano piano solo con il suo arrivo, con un loro guardarsi per un istante prima di baciarsi sulla soglia, entrare in casa e rispondere a monosillabi alle sue premurose domande.

Ma quel giorno, il suo ricordo aveva preso fuoco, liquefacendosi in cenere che venne spazzata via da un suo paranoico Ti ha seguita qualcuno? No? Sei sicura?, mentre si sporgeva dalla balaustra, e che l’aveva fatta restare impalata sugli scalini, sommersa da quel senso di inquietudine che faceva presagire una sola ed unica cosa, che solitamente si poteva riassumere in cinque, terrificanti parole: io e te dobbiamo parlare. E Lin l’aveva sentito il desiderio pulsante di dirgli Ehi, noi non abbiamo proprio niente di cui parlare, le cose vanno bene così, e poi fare marcia indietro, uscire da quel palazzo. E perché no?, dalla sua vita.

C’era poi il suo sguardo, che la seguiva in ogni suo più piccolo gesto. Ma non era… Fastidioso, ecco. Non c’era malizia, non la spogliava con gli occhi; la cercava con discrezione, la carezzava dolcemente, come se si facesse bastare tutto quello e allora i suoi silenzi, la mancanza di argomenti che potessero portarli ad una qualche conversazione divenivano sopportabili. Ma quella sera, i suoi occhi scuri erano stati sfuggenti, distanti; l’avevano abbandonata su quelle scale, l’avevano ignorata quando i primi passi in cucina erano stati fatti e l’avevano trapassata da parte a parte con scrutamento, quasi si aspettasse di veder comparire una seconda testa dal suo collo. O qualcuno alle loro spalle, era la stessa cosa.

Fu così che al limite della sopportazione, incapace di saper gestire quel silenzio che sembrava nasconderle molte, troppe cose, che Lindsay si ritrovò sbottare uno scazzato -Si può sapere che problema hai?- che coprì i passi frenetici del ragazzo ora fermo ad osservarla. Turbato da chissà quale apocalittico avvenimento, visto che oltre alla camminata in tondo bisognava aggiungere la mangiata compulsiva di pellicine e tic nervoso all'occhio.

Mento appoggiato sulla spalla tatuata, nell’estenuante attesa di una risposta che tardava ad arrivare, Lin guardò le linee tracciate dalla pioggerella sul vetro, impensierita dalla possibilità che quella serata sarebbe terminata con la porta di casa che sbatteva. E per una volta sarebbe stata lei ad eclissarsi dalla vita di qualcuno.

-Abbiamo, vorrai dire.- sottolineò serio serio, riprendendo poi la propria marcia.

E Lin corrugò la fronte mentre inclinava il capo come un gufo appena disturbato.

Abbiamo…?!

Abbiamo era una parola troppo grossa, di quelle che schiacciavano il suo cuore accartocciato che proprio non riusciva a sopportare il gravo di pesi di tale portata. Abbiamo era una cosa da coppie, era un implicito modo di dire che l'io e il tu a lungo e faticosamente tenuti separati stavano diventando un noi. E allora i problemi dell’uno diventavano i problemi dell’altro, i discorsi andavano affrontati in due e no, non si poteva più lasciare che i conseguenti silenzi venissero sostenuti solo da uno.

Abbiamo significava che la linea del divertimento era stata ampliamente valicata. Da un pezzo. 

Si rabbuiò; lei nemmeno se ne era accorta di averla raggiunta, figurarsi se si sentiva pronta ad andare avanti insieme.

Scosse la nuca, ridestandosi quando avvertì il suo sguardo inquisitorio e sospeso su di sé –Abbiamo?- arcuò un sopracciglio, palesando la propria incertezza pur nella propria rigidità.

Seung-Hyun strinse e aprì i pugni ritmicamente prima di andarsene in camera a passi pesanti, lasciandola sola nella propria confusione. Diamine, se voleva trovare un modo per farla allontanare, beh, era sulla buona strada. Per un misero istante fu tentata di alzarsi dalla sedia, lasciar perdere l’enorme tazza di the verde fumante e correre alla porta, lasciandosi indietro quello che, sapeva ,si sarebbe rivelato un discorso complicato, che non si sarebbe potuto risolvere con una scopata e via. Storse il naso; che poi, con Seung-Hyun dubitava si sarebbe arrivati a tale soluzione.

Lui era troppo accorto per poter anche solo pensare che quella fosse la medicina giusta. E poi da quando stavano assieme non l'aveva mai toccata, non in maniera spinta, ecco. Era troppo gentiluomo per farle una cosa del genere. E lei stava ai suoi tempi, intimorita al pensiero di affrettare le cose. Perché il sesso tra loro avrebbe implicato una fine, no? Avrebbero consumato la loro passione e poi cosa sarebbe rimasto? Il vuoto, la noia, il saziamento dei loro appetiti. E le parve che spingere un po' più in là quella fine, fosse la cosa migliore.

I passi del ragazzo riecheggiarono nell’androne del suo cervello e volgendo lo sguardo alla propria destra, si rese conto di quanto vicino fosse; la sua mano sbatté sul tavolo, mettendo in evidenza un ritaglio di giornale un po’ spiegazzato e che, date le circostante, doveva essere il fulcro del suo nervosismo.

Lin strabuzzò gli occhi, rivedendosi in quella foto di giornale; l’obiettivo li aveva catturati davanti a casa di Dong-Wook, sonnolenti e che si guardavano in giro, con la mano del ragazzo che carezzava la sua. Incredibile come quel momento di naturale delicatezza fosse divenuto oggetto della loro inquietudine.

-Questo è il problema. E c’entri anche tu. Quindi abbiamo.- analizzò spicciamente, inclinando il capo.

Lin la studiò, soppesò le sue parole, provò sul serio a cercare una traccia di intelligenza in quell’abisso oscuro che era il proprio cervello e il meglio che riuscì a tirare fuori in quel momento di nervosismo fu un ironico -Color seppia avrebbe reso di più.- rivolgendogli un’occhiata eloquente alla Ehi, non è colpa mia se tu sei famoso e i paparazzi ti seguono.

E fu così che la scemenza dilagante di Lindsay aprì le danze alla loro discussione.

Seung-Hyun arcuò un sopracciglio –I paparazzi ci scattano una foto e tu sai solo dirmi che avresti preferito una tonalità seppia?- il fastidio smussò i suoi lineamenti mascolini, lo sguardo di Lin indugiò sulla mascella tesa e si ritrovò a barricarsi dietro spessi strati di menefreghismo, incapace di sopportare la sua paranoia.

-Perché? C’è una reazione particolare ad eventi come questi?- domandò apatica, esaminando nuovamente la foto, poi portò una mano sulla guancia mentre gli occhi si allargavano –Uh, che capelli orribili! La gente si sarà chiesta perché mai il grande Top esce con il Cugino It- gli rivolse un sorriso zuccheroso prima di tornare a sorseggiare il proprio caffè con invidiabile calma –Questa reazione va bene?-

-Lin, ti prego, sii seria- borbottò esasperato, passandosi una mano sulla fronte solcata da piccole dune che palesavano la sua seccatura –E’ un problema.-

-Non per me.-

-Ma lo è per me- sbottò stanco –E lo è anche per te- la vide sbatacchiare le lunghe ciglia appesantite dal mascara mentre le labbra rosse andarono ad arricciarsi per la confusione –Se il CEO si incazza—

-Chi?-

-Il capo, il Big boss insomma- sventolò le mani –Se si incazza, posso scordarmi il lavoro.-

-Oh- Lin arcuò entrambe le sopracciglia –Per una foto?- e Top sbatté la fronte sul tavolo.

-Non è una foto e basta, Lindsay!- la sua voce baritonale aveva fatto tremare la terra sotto i suoi piedi e forse pure la sua anima –Sarebbe una macchia per la mia carriera, se dovesse peggiorare.-

Lin corrugò la fronte, la voce più bassa -Cosa ti aspetti che faccia?- domandò con secchezza, avvertendo l’aria intorno a loro farsi pesante.

-Che tu mi capisca.- mormorò piano, dopo quello che le parve un’eternità.

E lei non seppe cosa dire o fare, non seppe spiegarsi perché si ostinava a restare seduta sulla sedia quando quello era un chiaro segnale dell’inizio della catastrofe, quasi il destino volesse dirle che lui non andava bene per divertirsi e basta. Che Seung-Hyun si faceva troppi problemi per quello che era uno gioco. Un gioco che lei aveva cominciato con la speranza che niente potesse affliggerli, che la vita era già abbastanza difficile senza che si facessero sommergere dai terremoti esterni…
 

-Voglio che tu mi capisca- provò Mark, spazientito -Perché non ci provi?-

-Cosa c’è da capire?- Emily aprì le braccia –Tu vuoi tornare a Seoul, io no.-

Mark deglutì.

Emily sospirò –Fine della storia.-


Che poi era stata la fine della loro storia.

Quante volte l’aveva sentita riecheggiare quella frase per le quattro mura del suo appartamentino? Quante volte si era detta che se Mark ed Emily avessero deciso di vivere la loro relazione senza comprendersi, ma amandosi soltanto, forse sarebbero rimasti assieme? Quante volte si era detta che se forse sua madre si fosse sforzata un po’ di più, quella frase sciocca non avrebbe mai dovuto rivolgergliela?

Avvertì una fitta lancinante propagarsi per ogni viscera del suo gracile corpo mentre le ferite mai rimarginate continuavano a bruciare, a far male. Probabilmente certe cose erano destinate a perpetuarsi nella vita di ognuno senza che lei potesse respingerle. O forse Seung-Hyun la stava mettendo di fronte ad una responsabilità che, se le cose fossero proseguite, avrebbe prima o poi dovuto prendersi.

E si spaventò.

Lindsay si spaventò al pensiero che lui volesse qualcosa che lei non poteva, non voleva e non sarebbe stata in grado di dargli. Che le cose andavano bene così, senza doversi sobbarcare di problemi esterni. Che la loro piccola e minuscola fetta di oasi non doveva essere contaminata da agenti nocivi esterni.

E decise di attaccare, che tanto sapeva fare solo quello quando la paura bussava alle porte del suo cuore indolenzito da tutti quei battiti -Perché dovrei capirti? Io non faccio parte del tuo mondo, non mi interessa- soffiò vitrea, lo sguardo puntato sulla tazza ormai fredda mentre cominciava ad avvertire il gelo del suo sguardo su di sé –Non siamo una coppia.-

Lin non capì esattamente cosa accadde, ma non doveva aver detto una cosa intelligente. Lo capì dallo sguardo allucinato che le rivolse, dal suo tamburellare le dita sul tavolo, stropicciarsi la tuta e il volto per poi darle le spalle ed esalare uno sfibrato –Ma siamo amici, credevo che almeno questo bastasse- sventolò una mano –Vado a farmi una doccia.- che non implicava il suo dover restare lì, in quel salotto.

Che era libera di andarsene, forse solo per quella sera, forse fino a che le acque non si fossero calmate, forse per sempre.

Perché i discorsi si facevano sempre in due, ma Lindsay aveva il brutto vizio di lasciare che gli altri affrontassero i silenzi da soli, il giorno dopo o la sera stessa. Anche i suoi.

E per una volta doveva affrontarli lei, di entrambi, ed erano pesanti. Tanto da toglierle il respiro.

Udì lo scrosciare dell’acqua e la palpabile sensazione che una sua fuga avrebbe segnato la fine di tutto, che alla fine era niente, date le basi incerte su cui tutto si stava reggendo.

Strinse la tazza, guardò il corridoio buio in cui era scomparso e fissò la porta di casa, tentatrice e che inneggiava alla libertà.

E andarsene non le parve così facile come lo era sempre stato.

 

*****

Era convinto che se ne sarebbe andata.

Uscito dalla doccia, facendo fronte alla loro pseudo discussione sorta più per proprio nervosismo che per reale intenzione di attaccarla, Seung-Hyun ebbe il vago quanto angosciante sentore che Lindsay avrebbe approfittato della sua assenza per defilarsi.

Lasciandogli un biglietto, forse, in cui diceva che sarebbe andata a comprare le sigarette e poi non si sarebbe più fatta vedere. O magari gli avrebbe fatto trovare la tazza nel lavabo, la porta di casa dischiusa e l’eco dei suoi passi in lontananza, come uno spettro che avrebbe veleggiato in quella casa per sempre, a monito della sua coglionaggine acuta.

Ed effettivamente, quando giunse in salotto, si rese conto che di Lin non vi era traccia. Era rimasto solo il suo buon odore di pesca, la tazza di the posata nel lavabo come da previsione… E la porta chiusa, disilludendo quella fantasia che lo aveva accompagnato per ogni singolo passo trascinato. Pesante, quasi sofferto, mentre rimuginava su ciò che era accaduto e cercava le parole migliori per ricucire lo strappo.

Perché qualcosa si era strappato, no?

Uno squarcio invisibile, minuscolo in quella che era un muro sottile che li teneva riparati pur nelle loro incertezze. Eppure, da quella fessurina erano entrate tutte le paure, le aveva potute scorgere e avvertirne il freddo pungente che si era insinuato fin sotto pelle, fossilizzandosi negli anfratti più bui del suo essere. Le aveva scorte negli occhi nocciola di Lin.

E il preludio della loro fine era arrivata senza fare rumore.

E anche il suo cuore si era sbriciolato senza far rumore, forse perché non era diventato cenere come aveva sempre creduto. In realtà era solo scomparso, lasciandogli nella gabbia toracica la pallida imitazione di quello che doveva essere un cuore. Ma lo sentiva ancora pulsare, debolmente, ma c’era…

-Se questa storia va avanti, sarà lei ad andarsene.-


Forse GD aveva ragione. Anzi, senza forse, lui aveva sempre ragione.

Si avvicinò al lavabo, osservando la tazza con la faccina incazzosa lì riposta. Forse poteva tenere un cimelio, un ricordo, ecco. Un santino. Poteva sempre requisire la tazza di Ri e custodirla gelosamen— no, d’accordo, le cose qui stavano degenerando. Lui stava degenerando. Ma dove cazzo era GD quando aveva bisogno di farsi spappolare il cervello?

Fu mentre decise se sfogarsi con una bella e sana birra oppure crogiolare nella propria coglionaggine e disperazione, che Seung-Hyun udì il suono della speranza riecheggiare piano fino alla cucina, mentre una tremolante luce brillava in lontananza, dicendogli che forse non era tutto perduto…

 

Now this looks like a job for me

So everybody just follow me

Cuz we need a little controversy

Cuz it feels so empty without me

 

Proveniva dalla propria camera da letto, una cantilena un po’ ingarbugliata e monocorde, priva di attrattiva, resa ancora più agghiacciante da quel mancato senso del ritmo musicale tale da fargli accaponare la pelle ancora umida, ma che immancabilmente lo trascinò a passi leggeri fino alla porta schiusa.

E la vide, la sua Lindsay. Viva, vera, presente, che non era scappata.

Sorrise dal profondo di quel baratro di nera angoscia in cui era precipitato quella mattina, quando un manager paranoico gli aveva rammentato quali fossero i suoi doveri, quale fosse il suo mondo. Che era distante da quello di Lindsay, ma diamine, mai gli era parso così perfetto.

Per un istante, mentre stava immobile sulla soglia della propria camera, le braccia conserte e la spalla poggiata contro lo stipite, le parole di Lee veleggiarono nella sua mente come spettri, divorando quel briciolo di serenità che il Ciao di Lindsay aveva inevitabilmente trascinato con sé.

-Lindsay Moore che rappa- mormorò con un ghigno, godendo del suo sobbalzo –Dov’è la telecamera quando serve?-

Lin gli rifilò un amorevole medio corredato da un Fanculo mormorato con deliziosa grazia, poi alzò le spalle –Mi piacciono le canzoni di Eminem- tornò a piegare le felpe, dandogli le spalle –Ma non sono molto brava.-

La facilità con cui tutto sembrava essersi sistemato lo tramortì appena, ma si riprese immediatamente…
 

-Le canzoni no, ma tu non sei questo granché.-
 

La facilità con cui quel peso si stava togliendo…
 

-In compenso io ballo meglio.-
 

La facilità con cui lei sapeva rendersi sempre un po’ più speciale.

 

Appoggiato allo stipite, fissava la sua schiena stretta, i fianchi sinuosi, le lunghe e bianche gambe lasciate scoperte da quei pantaloncini corti che mettevano in risalto le sue forme. Un fiotto al bassoventre gli fece contorcere lo stomaco dal piacere che gli fece assumere un espressione tramortita, quasi sospesa. E le parole di quel pirla di Ji Yong tornarono a fargli compagnia, fastidiose e sibilline. Immancabilmente, si rabbuiò al pensiero che Lindsay potesse vedersi con qualcun altro mentre lui non aveva occhi che per lei.

E lei doveva essersene accorta, perché dopo averlo guardato oltre la spalla, si premurò di esalare un placido –Qualcosa non va?- che gli scaldò il cuore, scacciando per un attimo le turbe.

Le sorrise un poco e con la stessa mitezza, scosse la nuca umida e vorticante di pensieri –Stavo solo pensando che— le sue parole trattenute in gola fecero calare uno strano silenzio, non di quelli soliti tra loro in cui bastava uno sguardo per comprendersi, no, questo era uno di quelli che andava evitato, in cui la tensione cominciava ad accumularsi nell’attesa che il discorso venisse completato. Come quello che li aveva portati ad una futile discussione. E nella sua scarsa esperienza con le ragazze, sapeva che non portavano mai a nulla di buono. Perché ogni sciocca sillaba veniva sottoposta al microscopio, anche dietro il più sentito complimento poteva celarsi chissà quale sgradevole doppiogioco...

-Stavi solo?-

Ma non nel caso di Lindsay; lei non avrebbe mai dubitato di un suo banale Sei bellissima. Lei ci avrebbe creduto, gli avrebbe sorriso e poi sarebbe fuggita perché dietro quel complimento vi avrebbe letto chissà quale disperata dichiarazione d’amore. O l’incipit di una storia seria.

Avrebbe letto che forse, lui, desiderava andare al livello successivo.

-Allora?- lo incalzò.

Seung-Hyun sventolò le mani -Che stai bene vestita così.-

-Ah- Lin aggrottò le sopracciglia e sul suo volto pallido lesse un barlume di compiacimento –Grazie.-

La vide tornare a mettere a posto –Si può sapere che stai facendo?-

-Pulisco- mormorò posando le felpe piegate ai piedi del letto sfatto –C’era un sacco di disordine.-

Il silenzio calò su di loro, scandito dal persistente picchiettio della pioggia sul vetro della finestra, dai maglioni che venivano smistati in quelli da lavare, da piegare e forse quelli da buttare vista la malagrazia con cui li gettava per terra dietro sé. E fu in quel preciso istante che capì di dover fare qualcosa, che la situazione era ancora in bilico e traballava pericolosamente nonostante l’aria fosse tornata ad essere più respirabile.

E quando un tuono cadde, il  suo-Scusa.- appena sussurrato fu un vago suono, distante ed effimero se paragonato alla bellezza di quel momento. Alla bellezza dei suoi larghi occhi nocciola pregni di smarrimento, alla bellezza delle sue labbra schiuse, alla bellezza di quel silenzio piacevole che solo lei sapeva portare con sé.

-E di che? Sei tu che vivi nel lerciu--

-Scusami per prima- si avvicinò -Hai ragione- enunciò piano, come se Lin fosse un animale da addomesticare –E’ il mio mondo, non il tuo. E tu non ne fai parte- deglutì, zittendo quella vocina che avrebbe tanto voluto smentirlo e che continuava a martellarlo incessantemente con un cinguettante Tu vorresti ma lei non vuole –E i miei problemi sono miei, non sono tuoi- sorrise amaro, nascondendole il volto –Non siamo una coppia, non dobbiamo affrontare assieme tutto ciò che mi capita.-

Tenne le mani serrate sui pantaloni della tuta, reprimendo il desiderio di stringerla a sé mentre galleggiava nell’incertezza di un suo rifiuto o di un suo perdono. Non gli era ancora capitato di discutere con lei per questioni che li riguardavano entrambi e quel silenzio perpetuo lo stava facendo ammattire. Ma Lin gli sorrise un poco dopo avergli gettato uno sguardo enigmatico, si mosse e Seung-Hyun capì di aver sbagliato tutto, di aver tradito quelle poche regole che lei aveva imposto sotto la pioggia quel lontano giorno. E forse di aver perso quel piccolo posto in Paradiso che si era ritagliato dopo mesi e mesi di agonie e sedute psichiatriche da Ji Yong.

Strinse i pugni, chiedendosi se davvero la fine non facesse rumore. Aveva sempre pensato che la fine di una storia avrebbe portato con sé tanto fracasso. Il crack del proprio cuore, parole che volavano, porte che sbattevano. E non perché le scene drammatiche fossero le sue preferite, ma perché con tutte le sue ex era stato così. Le lacrime, le parole scagliate con forza, le recriminazioni gridate nell'angoscia, infleggndogli colpe che non aveva mai pensato di avere, rinfacciando loro colpe che non avevano… Invece Lindsay se ne stava andando nel silenzio di parole taciute, di cuori che si spezzavano ma senza emetter alcun suon. Se ne andò sotto l’inconfondibile clack della porta che si chiudeva, della chiave che veniva girata nella toppa…
 

-Aspetto che smetta di piovere- mormorò incerta -Non ho voglia di bagnarmi.-
 

Rimase con quella frase appena sussurrata che, tradotta, significava Non ho voglia di tornare a casa ora, ma lo fece sorridere dal profondo della propria angoscia.

Volse il busto, studiò i suoi pugni stretti intorno ai corti jeans, si perse nei suoi occhi nocciola resi ancora più marcati e profondi dal pesante trucco che li circondava. E spense il proprio cervello, lasciandosi guidare da quell’improvviso desiderio che aveva lambito ogni cellula del suo corpo dapprima teso, da quel fiotto di calore che si era diramato per tutto il corpo ora proteso verso di lei.

Lin gli andò incontro e nel giro di un paio di passi compiuti verso di lei, Seung-Hyun si ritrovò a stringerla per la vita, a baciarla con trasporto, lasciando che le sue mani affusolate si intrufolassero fra i capelli umidi, giocherellandoci. C’era delicatezza nei baci di Lindsay, c’era dolcezza nelle sue mani che si infilavano sotto la felpa, bruciandogli la pelle…

 

-Non c’è rimorso peggiore di qualcosa che poteva essere tua

e te la sei lasciata sfuggire.-

 

Rendendosi avvicinabile.

La fece adagiare sul letto, sospinto dalle parole sibilline di un impertinente Ji Yong che sapeva sempre quali tasti premere e di un Lee che non riusciva a vedere l’enorme cambiamento che quella miniatura sotto sé aveva apportato alla sua vita.

Normalità, felicità, le tipiche paranoie che affliggevano i comuni ragazzi, il terrore di quei classici messaggi alla Tra noi è finita, anche se nulla era mai effettivamente cominciato… Amore. O qualcosa che vagamente ci si avvicinava.

E, Dio, lui non lo sapeva se quello che provava per Lindsay era amore. Non lo sapeva mentre le sfilava la camicetta a quadri blu, non lo sapeva mentre la vedeva volgere il viso per non precludergli alcun centimetro della pelle del suo collo candido, non lo sapeva mentre pensava che il gemito appena sfuggitole era forse il suono migliore che avesse mai udito dopo tanto tempo, lui non lo sapeva. E se non avesse fatto chiarezza, forse non lo avrebbe mai scoperto.

Ma di una cosa era certo…

-Seung-Hyun…-

Non voleva perderla…

-Se è un problema… Se sono un problema…-

Non ora, non domani, forse nemmeno tra una settimana…

Voleva ancora stringerla a sé, voleva sentir bruciare i polpastrelli mentre carezzavano il suo ventre diafano, mentre depositava umide scie sulla linea morbida del suo seno, voleva ancora stringerle un fianco e i capelli e soffocare un gemito sulle sue labbra mentre il suo stretto bacino si muoveva lento contro il proprio, con i jeans corti slacciati e che scivolavano lungo le sue gambe piegate e che gli avevano circondato la vita.

Fu solo quando avvertì il pizzo delle sue mutandine sotto il proprio tocco che comprese quanto ormai la desiderasse, quanto poco contassero le parole e i gesti di fronte ad una semplice quanto scontata verità: che la voleva e che ciò che provava per Lindsay al momento non aveva un nome ben definito, era una nebulosa di incertezze, ma era profondo ed intenso…
 

-Posso andarmene.-
 

E bastava. Bastava per davvero.
 

-Non sei tu il problema.- mormorò, faticando non poco a lasciar perdere le sue mutandine nere.

Un ghigno si dipanò sul volto imporporato incorniciato da boccoli corvini –Una volta avevi detto che lo ero.-

-Una volta avevi insultato la mia giacca preferita.-

-E ti avevo preso a librate, a bicchierate- ridacchiò un poco mentre gli circondava il collo con le braccia –E’ stato divertente.- Lin cominciò a giocherellare con un lembo della sua felpa, le labbra incurvate e lo sguardo assorto di chi sta pensando più di quanto avrebbe dovuto.

E Seung-Hyun si sentì in colpa. Per averla sommersa di paranoie non sue, per averla messa in una posizione scomoda quando lei con la YG non c’entrava nulla. Per averla fatta sembrare un problema quando lei, senza rendersene conto, stava diventando la soluzione.

-Per te.- sussurrò infastidito, accasciandosi al suo fianco, carezzandole il ventre nudo su cui svettava un piccolo tatuaggio di una piuma e un piercing all’ombelico. Avrebbe voluto confessarle che senza la sua bellissima giacca, comunque, a quest’ora non sarebbero in quel letto sdraiati, abbracciati.

Ma dirle tutto ciò significava ritrovarsi in un letto vuoto e freddo, perciò optò per il male minore, sospinto dalle balorde idee di un GD che anche in quei contesti tornava a fargli visita –Senti, il CEO darà una festa per promuovere il nostro tour, quello delle 2NE1, quello di--

-Dovrò usare i tacchi?-

Arcuò un sopracciglio –Ehi, chi ti dice che volessi invitarti?!-

Lin imitò la sua espressione, sollevandosi su di un gomito –E cos’era? Un intervallo fra i preliminari e il sesso?-

Disarmato dal suo totale disinteressamento per l’eleganza e il contegno, Seung-Hyun si ritrovò a ridere raucamente mentre si stropicciava il volto con entrambe le mani; Lin appoggiò la guancia al cuscino, arricciando le labbra –Comunque sì, avrai bisogno di tacchi e un vestito.-

-Allora non vengo.- sventolò una mano.

-Potrebbe essere divertente.- soppesò guardando il soffitto, un sorriso compiaciuto ad increspargli le labbra. L'aveva detto lui che non sarebbe venuta.

Lin storse il naso –I rave party sono divertenti. Questi eventi sono imbarazzanti- la sua spiccia analisi della situazione gli strappò uno sbuffo misto a risata; incredibile come ai tempi, queste sue osservazioni gli avessero dato sui nervi –I vestiti lunghi che fanno inciampare, i tacchi che spaccano i piedi, il trucco, il bonton e poi tutta quella gente che fissa- scosse la nuca –Non fa per me.-

-Quindi è un no?-

Si crogiolò nel silenzio, lasciandosi cullare dal picchiettio delle gocce sulla finestra dalle tendine scostate e dopo quella che gli parve un’eternità, il pacato –Non fa per me.- di Lindsay giunse, lasciandogli un mix di emozioni che lo fecero precipitare in un baratro di sconforto. Perché se da un lato sentiva che sul fronte CEO non avrebbe avuto problemi, dall’altro si disse che vederla elegante per una volta sarebbe sicuramente stato uno spettacolo di rara bellezza che avrebbe voluto custodire gelosamente nei propri ricordi per il resto dei suoi giorni.

E che, per qualche strano verso, avrebbe potuto rappresentare una solidificazione di quel loro traballante rapporto.

Ma non gli ci volle molto per guardare in faccia la realtà: tra i due, di sicuro non era Lindsay quella che desiderava dare un senso a tutto quello. Lei voleva solo essere una minuscola ed insignificante fetta della sua vita, non farne parte in tutta la sua totalità.

La strinse a sé per la vita, avvertendo la sua nuca posarsi sul petto. Cominciò a carezzarle i capelli raccolti, chiedendosi se a questo punto sarebbe stato scortese da parte sua chiederle di poter riprendere da dove si erano fermati, avvertendo un languore al basso ventre che non si era ancora placato.

Ma la luce andò via di colpo, accompagnata da un tuono che li fece sobbalzare e che procurò un cortocircuito nell’androne del suo cervello. E pure in quello di Lindsay, avrebbe realizzato tempo dopo.

-La Corea del Nord ci ha invasi?- domandò sarcastica, sollevando il mento per guardare fuori. La fioca luce della luna illuminava la stanza immersa nella penombra, rendendo scarsamente visibili le loro figure ingarbugliate.

Seung-Hyun roteò gli occhi –Il temporale- fu tutto ciò che disse, sbuffando -La luce è andata via.- mugugnò sollevandosi su di un gomito, pregando che qualcuno rincasasse così da poter provvedere a guardare il contatore.

-A quanto pare.-

Grugnì dopo una manciata di minuti, conscio che nessuno sarebbe giunto –Che due palle.-

Ma proprio quando stava per alzarsi, nell’esatto istante in cui aveva preso coraggio e aveva deciso di slacciarsi alla sua presa nemmeno troppo salda, Seung-Hyun si era ritrovato spalmato sul materasso, il volto sommerso da una cascata di capelli corvini che Lin aveva sciolto, il fiato perduto in un bacio rubato e inaspettato e la completa quanto spaventosa certezza che se Lin si fosse mossa un po’ di più, avrebbe perso il controllo.

-Dov’è il problema?- gli stava a cavalcioni, mezza nuda, le labbra arricciate in una smorfia di malizia prima di avvicinarsi al suo orecchio –Tanto l’avremmo spenta comunque.-

Il suo sussurro languido appena accennato accompagnò l’ennesimo tuono della nottata, mescolandosi ai battiti accelerati di un cuore che stava faticando a trattenere dentro sé tanto era l’eccitazione e lo spavento e tutto quel miscuglio di emozioni che lo stavano sopraffacendo.

Perché in un attimo di lucidità, si rese conto di quanto Lin fosse vera, seminuda e disponibile e senza che lui avesse chiesto nulla. Era come realizzare un sogno senza nemmeno aver espresso l’ultimo desiderio.

Deglutì mentre lo sguardo percorreva i contorni del suo fisico snello, soffermandosi su ogni singolo tatuaggio che solcava la pelle bianca, rendendola simile ad una di quelle bellezze che svettavano sulle riviste anni 60’ di Playboy, caratteristica accentuata dalle labbra rosse e il trucco sbavato.

Rabbrividì quando avvertì il maglione e le due magliette sfilargli lungo l'addome, lasciando in balia delle sue labbra un lembo di pelle intorno all’ombelico che non credeva le avrebbe mostrato tanto facilmente e non in un momento di lucidità. E mentre si lasciava torturare, le domande tornarono prepotenti nella sua mente offuscata dal piacere.

Si chiese a quanti ragazzi avesse sussurrato quella sciocchezza colma di sensualità spiazzante, avvertendo una strana sensazione di fastidio impellente fermarsi nello stomaco che per poco non gli fece commettere la pazzia di allontanarla da sé, che l’irritazione stava prendendo il sopravvento. Ma ci furono le sue labbra che incontrarono le sue, ci fu il lento sfilarsi dei pantaloni e le sue dita fini che giocherellavano con l’elastico dei suoi boxer prima della loro inevitabile discesa.

E stringendola a sé, non gliene fregò più niente.

Poteva essere stata con l’intero globo terrestre e pure con mezza popolazione di Marte, ma in quel momento, in quella stanza buia, c’era solo lui, per lei. E al Diavolo tutti gli altri. Perché i suoi baci roventi stavano bruciando la sua pelle del collo, non quella di Peter; le labbra carnose stavano depositando umide e delicate carezze sul suo ventre, non su quello di Jason. Perché quando realizzò quanto ormai fosse fisicamente esposto ai suoi occhi nocciola, Top si rese conto di come le sue mani affusolate lo stessero già sfiorando. Lui, non Seth.

Seung-Hyun dimenticava le coreografie e a volte si scordava degli appuntamenti, ma per qualche strana ragione non riusciva a togliersi dalla testa tutti quei ragazzi con cui lei era stata, di cui aveva parlato con semplicità disarmante, nemmeno fossero strofe di una canzone. Perché lui non dimenticava mai le canzoni e, da un po’ di tempo, nemmeno tutto ciò che riguardava Lin.

E lei continuò la sua lenta ed estenuante discesa…
 

Inarcò il bacino, strinse i suoi capelli con forza.

Costellata di baci…

Cercando aria, soffocò il suo nome.

E chiuse gli occhi, perdendosi.

 

Sommersa dai gemiti.

 

 

 

 

 

 

A Vip’s corner:

Second sex scene bladlyssimamente writtenEvitata! Yeah! ♥

Tralasciando la parte finale –perché mi ostino a scrivere scene hot se tanto non le so scrivere?!-, andrei avanti con il resto. Tipo che c’è stata la loro prima pseudo litigata. E sì, so che non sono assieme, ma io credo che anche se due vivono una storia di solo sesso, delle minuscole litigate ci siano. Soprattutto se uno dei due si lascia prendere più dell’altro. Si, va beh, avete capito cosa intendo…

Poi, niente POV Ginko, ma qui proprio non ci stava, mi spiace. Il che l’ha reso molto, molto pesante tra le paranoie di Top, le fobie di Lindsay e la psicologia malata di GD, ma ahimè più si va avanti, più tutto sarà pesante. Del resto, i discorsi diventano più complicati e direi che il POV di GDmaledetto ne è una prova lampante (sono ben 10 pagine, siatene felici).

Il titolo del capitolo è ovviamente una citazione di Video Games di Lana Del Rey (yep, sempre lei), canzone stupenda che vi consiglio di ascoltare ♥

Che altro? Mh, questo capitolo, per quanto lento e pesante, ha gettato le basi per ciò che succederà in quelli a seguire e che, ahimè, porteranno alla conclusione di Something ò.ò Ma non temete, la scaletta è ancora bella lunga ^^

Passerei ai sentitissimi ringraziamenti che ho poco tempo: ssilen, Malila2009, TheshiningSophia, hottina, lallinachan, YB_Moon, kassy382, MionGD, N a n a e Myuzu io vi adoro, sul serio. Siete sempre così carine che fate battere il mio cuore raggrinzito ç_ç Il mio amore smisurato va a voi e alle vostre stupende recensioni ♥

E’ imperdonabile da parte mia non aver risposto prima. Vi avviso sin da ora che non mi sarà possibile rispondere oggi. Torno più tardi/domani mattina, ma torno :) Volevo poi fare un ringraziamento enormissimo a Giorgtaker che mi aveva scritto, tempo addietro, un MP carinissimo su Something e io da brava scema non l’ho mai citata. Cara, sappi che ho apprezzato davvero tantissimo le tue parole, sul serio.

Ultimo ringraziamento ma non meno importante, va a chi ha inserito la mia storia fra le seguite/ricordate/preferite, a Clare_Love , Peluche98 e haven per avermi aggiunta fra le autrici preferite (♥) e a chi continua a leggere in silenzio. Grazie mille davvero ♥

Ora scappo, perdonate eventuali aborti grammaticali e i balzi temporali!

Heaven.

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Capitolo 24
*** But I am free ***


Capitolo 24

But I am free

 

There are many things that I would like to say to you

I don't know how

Because maybe, you're gonna be the one who saves me

And after all, you're my Wonderwall”

-Wonderwall, Oasis.-

 

 

 

Lindsay aveva un’aberrazione viscerale per le chiamate nel cuore della notte. Un po’ perché interrompevano sempre il suo sonno ristoratore, un po’ perché non portavano mai a nulla di buono. E quando diceva Nulla di buono, era proprio un Nulla di buono coi controcazzi. Rammentava ancora perfettamente la voce gracchiante di un’isterica Emily che, una calda sera d’agosto di molti anni addietro, l’aveva tampinata con almeno venti chiamate e tutte nell’arco di cinque minuti; il fatto che lei fosse chiusa in camera con il Sam della situazione, la musica a palla ad affogare il loro gemiti e il cellulare smarrito nella marea di giacche e borse al piano di sotto, non l’aveva aiutata in quella precaria situazione. E quando aveva risposto alla trentesima chiamata, con due squilli di ritardo, le classiche domande alla Ma dov’eri finita?! E’ tutto il tempo che ti chiamo! Credevo fossi morta! Ti hanno arrestata, vero?!, seguita dal sempre evergreen Lo sapevo che prima o poi saresti finita dietro le sbarre!, si erano susseguite fra loro, protraendosi per tutto il tragitto casa di Shirley- casa propria, veleggiando nell’aria già dal portone di ingresso, rendendosi vivide dal proprio salottino per poi infrangersi contro la porta della propria camera sbattuta e chiusa a chiave. Con al seguito una delle minacce più balorde che mai le fosse stata rivolta: Fallo ancora e ti tolgo il cellulare. Grande, geniale, davvero. Almeno, se non avesse risposto a tempo debito, avrebbe potuto rinfacciarle quanto ampiamente scema fosse quella punizione.

Poi c’erano quelle degli ex o presunti tali, che la disturbavano solo per ricordarle quanto stronza fosse però, ehi, la loro porta era sempre aperta nel caso volesse un po’ d’affetto. Ah, sì, e che i loro jeans erano sempre slacciati nel caso avesse voluto trascorrere una notte all’insegna della passione. Bastava uno squillo e la zip si abbassava da sola.

Ad ogni modo, Lindsay odiava categoricamente le chiamate ed era per questo che aveva messo le cose in chiaro con Seung-Hyun: niente telefonate, solo messaggi. Che almeno avrebbe potuto ritardare nel rispondere, la sua voce rauca sarebbe stata solo un miraggio dietro quei geroglifici coreani e lei avrebbe avuto tutto il tempo del mondo per pensare a cosa dirgli. E per imbracciare il fido vocabolario e dare un senso a quegli Unown usciti direttamente dai Pokemon.

Ma quella notte, all’alba delle tre del mattino, stretta in un groviglio di coperte che stava dolcemente cullando il suo sonno, Lindsay si era ritrovata a sussultare sotto le note di Welcome to the Jungle, imbronciandosi quando si rese conto che la voce melodiosa di Axl Rose altro non era che la suoneria del suo cellulare anteguerra. E addio sogno hot con tutti i membri dei Gun’s

Allungò una mano affusolata e senza nemmeno adocchiare il nome dello scocciatore premette il tastino verde, passandosi una mano sugli occhi ancora truccati mentre uno scazzato e arrochito –Chi è che rompe le palle a quest’ora?- si librò nell’aria notturna in tutta la sua leggiadria. E quando un susseguirsi di respiri giunse alle sue orecchie, Lin si chiese perché mai i ragazzini dovessero beccare sempre il suo numero per gli scherzi telefonici, poi cominciò a credere che qualche maniaco volesse attaccare bottone e infine decise di chiudere la chiamata, che aveva sonno e tanto dall’altra parte nessuno sembrava intenzionato a rispondere…

-Voi americani non dite Pronto?-

Ma quella frase pregna di ironia venne pronunciata con tono annoiato, inaspettato, talmente tanto destabilizzante che il sonno passò; Lin si sedette e strinse la coperta con la mano libera, corrugando la fronte mentre fissava l’apparecchio con aria allucinata prima di riportarlo all’orecchio ancora martoriato per aver incanalato quella vocetta sgradevole, chiedendosi perché mai il nome di Seung-Hyun svettasse luminoso quando, castrazione permettendo, quello dall’altra parte non era di certo lui.

-Ji Yong?- domandò stranita, chiedendosi se quello fosse un orrendo incubo. Che poi altro non era che una triste realtà.

-No, sono il tuo amato Seung-Hyun con il raffreddore.-

-Credevo fossi un incubo- tarpò ogni suo tentativo di divertimento, scoglionata al pensiero che il bacio fra lei e quel figo di Axl a torso nudo fosse stato interrotto da uno squilibrato che adesso aveva cominciato a ridere. Che idiota, davvero. Ma come facevano quegli altri quattro a conviverci? Che poi… Ma perché la stava chiamando nel cuore della notte? Almeno fosse stato Seung-Hyun avrebbe potuto accennargli l’idea di un po’ di sesso telefonico così, tanto per gradire, sotto il motto Già che ci siamo -dopo averlo cazziato per aver disobbedito ad una delle sue tante regole-; ma quel Ji Yong deturpava ogni libidinosa fantasia. Ancora si chiedeva cosa mai ci trovasse quella buona anima di Ginko in uno stronzo come quello, poi si ricordò che le donne avevano la brutta abitudine di invaghirsi dei coglioni e allora non si pose altre domande. Anzi, no, una domanda se la fece e la rivolse al pirla dall’altra parte del telefono -A cosa devo il dispiacere?-

-Ti ho per caso interrotta, America?- il tono di voce mellifluo le fece roteare gli occhi ancora pesantemente truccati –Sei in dolce compagnia?- quell’insinuazione, invece, la fece imprecare sonoramente.

-Ero con Axl- un Cosa? scettico vibrò nell’apparecchio, ma decise di andare avanti –Che vuoi, Ji Yong?- giocherellò con un lembo di coperta, avvertendo uno sbuffo di pura scocciatura insinuarsi fra loro.

-Una persona non può solo voler parlare?-

-Alle tre del mattino?- la domanda più giusta sarebbe stata Tu sai parlare?, ma optò per quella più indolore e che avrebbe presto portato alla conclusione di quella buffonata. Perché lo era, no?

-Da quando c’è un orario prestabilito per poter parlare con qualcuno?-

-Da quando tu vuoi parlare con me alle tre del mattino?-

Ci fu un attimo di pausa, ma solo per romperle ancora di più le palle, perché le pause da esitazione erano ben riconoscibili: silenzi inquietanti intervallati da una buona dose di mugugni sconnessi e indecifrabili, che solitamente preannunciavano sempre chissà quale catastrofica annunciazione. Invece il silenzio di Ji Yong era… Piacevole, per quanto la parola piacevole potesse rappresentare quell’eunuco. Nh, no, era davvero solo un modo come un altro per renderla ancora più scoglionata, sicuramente.

Ma quando fu tentata di attaccare, che ci teneva a riabbracciare quel buontempone di Morfeo, subito Ji Yong decise di dar voce alla propria demenza, flautando un ripugnante -Le ragazze di Seung-Hyun sono anche le mie ragazze.- che la lasciò spaesata per un decimo di secondo. Giusto il tempo di assimilare quella perla e scoprire quanto poco lucida fosse.

Non seppe se rabbrividire per essere stata appena bollata come ragazza di Seung-Hyun o se per la malizia che aveva appestato l’ultima frase, fatto stava che una smorfia di disgusto deturpò i suoi delicati lineamenti –Sei ubriaco?-

-No, purtroppo- la sua voce si incrinò per un istante, quasi la realtà delle cose che lo avvolgeva fosse uno schifo immane, ma Lindsay non vi badò granché, attendendo che una spiegazione giungesse da sola –Almeno mi risparmierei tutto questo.-

Lindsay guardò il soffitto; quel Tutto questo doveva essere qualcosa di bello grosso se Ji Yong arrivava a rubare il cellulare di Seung-Hyun per chiamarla nel cuore della notte, ma la sensazione che quello cominciasse una qualche sorta di gara mentale la demoralizzò così tanto da intimarle di non cedere al suo gioco, di starsene sulla difensiva e dargli poca benzina, che se si infiammava sarebbe stata la fine dei suoi poveri neuroni assonnati.

-Senti, che vuoi?- la sgarbatezza sorvolò ogni altro buon sentimento –Sono tornata dal Tribeca un’ora fa e--

-Che corri qui.- la interruppe con praticità, come se quella risposta dovesse fornire una qualsivoglia spiegazione.

-Qui dove?- passò una mano sulla fronte divenuta pesante. Ma perché non riattaccava?!

-All’ospedale.- a quella risposta, Lin pensò che finalmente quel coglione fosse stato internato, che qualcuno si fosse reso conto di quanto il suo cervello fosse ormai un vago ricordo; poi i dubbi cominciarono ad insidiarsi prepotentemente in lei, stuzzicando il senso di colpa che ultimamente continuava a ribellarsi e dire la propria, mettendo alla berlina tutti quegli sbagli a cui, ai tempi, non avrebbe dato troppo peso.

-All’ospedale…-

-America, sei lenta da dar noia, lo sai?-

-No, intendo, che ci fai lì?-

-E’ stato male un amico.-

-Un amico… Chi?-

Non è che dal suo tono trasparisse chissà quale emozione, ad onor del vero, ma probabilmente la linea doveva essere disturbata perché Ji Yong, dopo un’attenta analisi svoltasi nel silenzio più cupo, aveva esalato un serafico –Tranquilla, non è Seung-Hyun a star male.-

E lei aveva storto il naso al pensiero che quel coglione potesse farsi mille viaggi mentali che vergevano su lei, Seung-Hyun e chissà quale aberrante risvolto romantico –Sì, bene, buon per lui- avvertì un peso togliersi dallo stomaco, dovette ammetterlo, ma non è che le sue risposte avessero fugato chissà quale dubbio –Allora, chi?-

-Yang Hyun-seok.-

Lindsay andò a ripescare nella propria memoria quel nome, ma c’era solo una desolata tabula rasa nella sua scheda madre –Certo.-

Un sospiro pesante e tediato precedette le parole del ragazzo –Il CEO, il nostro capo, il—

-Il Big Boss, lo so.- lo interruppe scoglionata, memore della discussione avuta con il ragazzo qualche giorno addietro proprio perché YangCoso aveva profetizzato che lei lo avrebbe portato sulla cattiva via. Probabilmente se si fosse avventurata nell’ospedale, il suo QualunqueCosaFosse sarebbe peggiorato.

-Vedo che sei informata- già si immaginò un orrendo sorrisetto pendere sulle sue labbra sottili, ma scacciò quella tremebonda figura dalla mente –Allora, ti do la via--

-Perché dovrei venire?-

Un altro sospiro, l’ennesima risposta tediata –Davvero non ci arrivi da sola?-

-E se anche venissi?- guardò davanti a sé –Non servirei nulla.- che era un po’ come dire che non avrebbe risolto nulla. Lindsay non era mai stata capace di essere la soluzione ad un qualsiasi problema; solitamente ne era la fautrice, ma la soluzione… Richiedeva una buona dose di ingegno, nobiltà d’animo e mille e più pregi che lei aveva abbandonato nella valigia di suo padre molti, tanti anni fa.

-Nulla?- una risatina leggera si aggrappò a quella parolina –In realtà risolveresti tutto- e infine, il terribile colpo di grazia –Non è dovere delle buone fidanzate stare al fianco dei propri amati nel momento del bisogno?-

Lin rabbrividì a quella sciocca constatazione; ma in che lingua doveva dirlo che non era la fidanzata di Seung-Hyun? Lì in Corea non vigeva la sacrosanta regola della scopamicizia? –Senti—

-Seung-Hyun ha bisogno di te- la serietà smorzò quel momento di giocosa demenza in cui l’aveva trascinata e fu strano rendersi conto di come il respiro si fosse spezzato nella trachea all’udire di quella sciocchezza –Ora più che mai.-

Rimase immobile, un encefalogramma piatto nel cervello non le permise di riagganciare o anche solo trovare una qualche frase sarcastica da propinargli. Che forse Seung-Hyun non se la stava passando granché bene, forse aveva solo bisogno di sfogarsi. Forse, per una volta, poteva essere lei quella utile a qualcuno…
 

-Con chi parli?-


L’inconfondibile voce baritonale in sottofondo le strappò un mezzo sorriso; quel trombone di Seung-Hyun si sentiva anche a chilometri di distanza.

-Oh, Hyung, sto parlando con la luce dei tuoi occhi.- una sonora imprecazione giunse dall’atra parte e per una volta si stupì di non essere stata lei l’artefice di siffatta e deliziosa blasfemia.

-Ma che ca—Ji Yong! Dammi qua!-


-Oh, fai attenzione, potresti disturbare- cinguettò divertito –America si stava divertendo con un certo Axl.-

Ci furono dei rumore molesti in sottofondo che per un attimo le fecero sperare nella morte di Ji Yong, ma quando il sibilo profondo di Seung-Hyun giunse a lei, con sottofondo l’abominevole quanto fastidiosa risata del cretino, comprese che i suoi desideri non erano ancora stati esauditi.

-Oi.- la salutò piano, serio, senza alcun briciolo di rincuoro nell’essere al telefono con lei.

-Ehi- si riprese, lasciando rilassare la fronte che per il suo scazzo si era notevolmente piegata –Ji Yong—

-Scusami, non gli ho chiesto io di chiamarti.-

-Lo so- annuì, come se potesse essere vista, poi continuò con pacatezza –Come sta?- pregò che non le chiedesse Chi?, perché davvero un altro botta e risposta del genere non sarebbe riuscita a sopportarlo.

-Stabile.- fu tutto ciò che le concesse, senza dilungarsi in futili spiegazioni. Dalla voce le parve stanco, ma l’omino era ormai sull’orlo di essere impiccato e le lettere mancanti non sembravano portare a quella soluzione; avrebbe optato per colpevole, così, alla cieca. Già, perché per un misero istante, le balenò l’ipotesi che quello scemo si sentisse in colpa e il filo conduttore portava alla loro foto; nel senso, chissà quanti improperi aveva gettato nei confronti di quell’uomo che aveva visto il male incarnarsi in quello scatto, chissà quanti accidenti gli aveva scagliato contro e ora?, beh, ora sembrava essersi tutto avverato.

E in Lindsay scattò qualcosa, uno strano senso di protezione che non credeva di possedere, ma che la spinse a mormorare un materno –Non è colpa tua, eh.- che fece calare il silenzio. Forse lui doveva macinare e comprendere. Lei doveva solo scavare dentro sé e chiedersi che cazzo le stesse prendendo.

-Non sono Sadako, eh.-

Sadako?! Fece schioccare le dita –Oh, ho capito. E’ una di quelle vostre leggende popolari.-

-Leggenda popolare un paio di palle- la sua voce baritonale le perforò un timpano tanta enfasi ci aveva infilato –E’ la protagonista di The Ring.-

-Allora è Samara.-

-Nella vostra versione. Nella nostra si chiama Sadako- spiegò con ovvietà –Ed è centomila volte meglio.-

-Sei diventato critico cinematografico?-

-Ti ricordo che ho studiato cinematografia, eh- ribatté piccato, sospirando poi sommessamente –Senti, Lin, torna a dormire- aggrottò le sopracciglia per quel tono infastidito –Sarai stanca e--

-Vuoi che— cazzo, no, perché le parole si erano attorcigliate in gola? –Sì, insomma, che venga lì?- nh, ripensandoci era meglio se fossero tornate indietro nello stomaco, magari albergandovici. Perché Lindsay faceva un po’ schifo in quelle situazioni, anzi, no, era un vero e proprio disastro e quindi la sua presenza sarebbe stata solamente deleteria.

Era come ai funerali, avete presente? Quando si sta lì, in un angolo buio, al riparo dal doversi esporre troppo con le classiche frasi di circostanza alla E’ una grave perdita o il mai fuori moda Condoglianze. Perché Lindsay aveva sempre avuto il brutto vizio, alle veglie funebri, di stiracchiare un sorriso ai cari del defunto, apparendo più una capitata lì per caso che per vero e proprio dolore. Una volta, al funerale del marito di una collega di sua madre, aveva esalato un placido E’ andato in un posto migliore, si rallegri, facendola scoppiare in un mare di giustificate lacrime. Ed era così che Emily aveva smesso di trascinarla ai funerali, evitando che potesse metterla più in imbarazzo di quanto già non facesse.

E se i propri pensieri si erano ormai allontanati dal vero fulcro del discorso, Lindsay si ricordò di essere ancora al telefono con Seung-Hyun solo quando il suo sospiro pesante e saturo di incrinatura la colpì in pieno viso, facendola tremare -No, cioè, no- lo sentì titubare, probabilmente preso in contropiede dalla sua inaspettata squisitezza. Avrebbe tanto voluto dirgli che anche lei ne era rimasta scioccata, ma decise di ammutolirsi –Non sei costretta.- concluse poco dopo, che era un po’ come un invito implicito, no?

Perché Non sei costretta non era mai un vero e proprio Non sei costretta; era più simile ad un inverso Se non hai nient’altro da fare, puoi sempre passare di qua, ma nessun obbligo. E per un istante si sentì paralizzata al pensiero che lui la volesse lì, al suo fianco, come sostegno in quel momento di viscerale dolore. Ma lei che avrebbe potuto fare? Tenerlo per mano, abbracciarlo, dargli qualche bacio, sorridergli… Sì, ok, tutto ciò era diversamente bello, ma gli sarebbe servito a qualcosa?

Lei gli sarebbe servita?

Lindsay non era portata per quel genere di cose, aveva l’innata quanto squallida capacità di rendere tutto un po’ peggiore con la sua impulsività. Conoscendosi, sarebbe stata in grado di rifargli qualche perla in stile E smettila di piangere, mica è morto eh, non ancora almeno…, No, no, avrebbe solamente finito col farlo piangere per davvero. E poi, andare lì con lui, non avrebbe significato sobbarcarsi di un problema che non la riguardava? Lei nemmeno sapeva che faccia aveva ‘sto fantomatico CEO –ma doveva essere pirla forte se pensava che una foto con lei e Seung-Hyun avrebbe minato la carriera del cantante.-.

E fu così che le paure di Lindsay presero il sopravvento, questa volta decisamente più brutali rispetto al solito -Oh, beh, se è così- le parole uscirono fluide, senza che potesse controllarle e prima ancora di rendersi conto di aver commesso una madornale cazzata, la sua coscienza tornò a ribadirle quanto stronza ed insensibile fosse –Allora ciao.-

Ci fu una breve pausa, attimo in cui forse il cuore di Seung-Hyun si era sgonfiato come un palloncino, poi il suo traballante –Certo, ciao- che lasciò più dubbi che sicurezze, che la costrinse a non chiudere fino a quando non avesse udito il riconoscibile TuTuTu di fine chiamata –Buona notte, Lin.- che le strappò il cuore, sul serio. Che la tramortì e che spinse la sua mano libera a spostarsi inconsciamente verso il viso, stropicciandolo, sorreggendolo, quasi tutta la scemenza che risiedeva nel suo cervello fosse troppo pesante perché la nuca non gravasse in avanti.

E quando il TuTuTu arrivò, un pensiero malsano e nuovo giunse a farle visita, imprevisto e impossibile da affrontare: avrebbe voluto continuare a sentire la sua voce. Non perché godibile o perché le mancasse, no; solo per accertarsi che lui stesse effettivamente bene, che magari la rincuorasse dicendogli che davvero non gli serviva il suo appoggio.

Che lei gli serviva solo come svago. Solo per quello…

Poggiò i piedi per terra con la testa pesante, rabbrividendo mentre il freddo del pavimento si mescolava al gelo della propria cattiveria ora sghignazzante di vittoria. E non fu quando uscì dalla camera in punta di piedi, le converse in una mano e l’altra che strisciava lungo il ruvido muro alla propria destra, che Lin si rese conto di star commettendo un madornale errore; non se ne accorse neppure quando, arrivata davanti al comodino nel salone d’ingresso, ravanò nel cesto delle chiavi agguantando quella della Cadillac di Mark, depositando in sue veci un post-it improvvisato che riportava poche, e si sperava utili, parole che potessero essere di comprensione per quel suo strampalato gesto…

 

Ti ho preso la macchina.

Sono in missione per conto di Dio.

Lin.

 

Con la vana speranza che quell’omaggio ai suoi tanto amati Blues Brothers potesse addolcire la scena che, l’indomani, si sarebbe presentata ai suoi occhi. Ovvero il garage vuoto, il prato rovinato da un paio di pneumatici che non sarebbero dovuti scivolare là sopra e un vicino incazzoso per essersi ritrovato uno gnomo da giardino distrutto. Ma questa era un’altra triste storia che non interessava a nessuno. A parte allo gnomo ridotto in un cumulo di cocci.

Comunque non se ne accorse neppure quando sfrecciò per le strade di Seoul alla ricerca dell’ospedale, guidata da quella cara anima che, a spasso con il cane, le aveva dato indicazioni dopo aver rischiato di essere investita. E nemmeno quando parcheggiò alla bene e meglio si disse Ma che cazzo sto combinando?, troppo presa a non distruggere le altre auto. Quindi no, non ci pensò, o forse il pensiero era stato accantonato al primo tentativo di ribellione, ecco.

Ma bastò poco, davvero poco, per sentirsi completamente svuotata di ogni buon proposito. Era bastato vedere le porte automatiche aprirsi, venire avvolta dall’inguardabile monotono bianco delle pareti, scorgere il via vai di infermiere e dottori per stringere la mano all’ansia che aveva cercato di abbandonare quando aveva eseguito un’illegale curva ad U. E poi c’era l’aria, oh, quella continuava ad insinuarsi nel suo corpo come un tumore incurabile. Che poi non era la classica aria da ospedale a spaesarla, quella che tutti respirano quando fanno il loro ingresso in quell’Inferno bianco, no. Era un’aria particolare, soggettiva, e che lasciava qualcosa di indelebile in base agli scomodi ricordi che cominciavano a galleggiare nella superficie nera delle sue memorie già da un po’ sepolte. E quel giorno la sua aria fu ancora più asfissiante, portando a galla tutte quelle scene che la vedevano avvolta da bende a seguito di qualche rissa, circondata da infermiere dal sospiro facile e la ramanzina sempre a portata di mano guantata, e che puntualmente rimandavano ad epici cazziatoni di una Emily stanca e spossata di passare le proprie notti in sala d’attesa. Fino al suo raggiungimento della maggiore età; da lì un tacito Cavatela da sola si era insinuato fra loro, rendendole più distanti di quanto già non fossero.  

Fu proprio quando la fronte si corrugò, appesantita da tutte quelle immagini dai contorni sbiaditi e che scorrevano come pellicola di una 8mm, dalle parole che incespicavano e che si mescolavano tra loro, che un familiare –Lindsay!- si levò nell’aria, pronunciato da un Daesung ad occhi larghi –per quanto quelle fessurine potessero dilatarsi- riportandola con i piedi sul pavimento. Sempre bianco, giusto per vivacizzare il tutto.

E allora li vide, quelli avrebbe dovuto definire amici anche se per lei rientravano nella categoria dei conoscenti un po’ più simpatici, quelli che l’avevano accolta senza porsi problemi per il suo essere una stronza patentata e che ora la fissavano con sbigottimento e confusione, probabilmente chiedendosi perché mai si fosse presentata alle ormai 3:45 del mattino al capezzale del loro sconosciuto capo, in pigiama, con i capelli che sembravano un castigo divino e con la mente in subbuglio, campo di battagli di talmente tanti pensieri da cominciare  a pulsare dolorosamente. Tipo che aveva rubato l’auto di suo padre, che aveva investito lo gnomo da giardino del vicino rigando il parabrezza, che aveva rischiato di investire alcuni passanti mentre commetteva un sacco di infrazioni e che lei, lì, non c’entrava nulla.

Che.Cazzo.Ci.Faccio.Qui?

Fu quello il primo pensiero che l’attraversò quando Tae pose la fatidica domanda –Lindsay, che ci fai qui?-

Colta in flagrante, ma scema pure lei per essersene stata immobile nel bel mezzo del corridoio, gli rivolse un’occhiata incerta, seguita da un fruscio non meglio identificato -Ahm, io—

-Oh, Lindsay!- Ri le corse incontro, stritolandola in una morsa assassina –Che bello vederti!-

-Ri, così la soffochi!- Dae lo strattonò.

-Tanto siamo già all’ospedale, nel caso.- borbottò Tae poggiando il mento sul palmo aperto, riprendendo poi a parlare con una di quelle ragazze che aveva visto alla festa, ma proprio il nome non se lo ricordava. Si rammentò solo di una certa Park Bom, ora sonnecchiante sulla spalla di un’altra ragazza che le carezzava piano la mano in segno di conforto, ma la banca dati del suo cervello atta a ricordare più nomi possibili era ormai piena.

-Cosa ci fai qui?- il ragazzino le rivolse un’occhiata preoccupata, continuando a girarle intorno come un coniglio un po’ troppo curioso –Non stai bene?! E TopHyung lo sa che sei qui, eh?!-

-Ri, respira o ti verrà un attacco cardiaco- sbuffò Dae prendendolo per le spalle, rivolgendole poi un sorriso stanco –Ti ha chiamata Top, vero?- Beh, veramente… -E’ andato con GD a prendere un caffè. Se vuoi posso—

-Ahm, no, davvero, non fa niente- sventolò le mani, approfittando di quell’unica via di fuga che qualche buona divinità le aveva piazzato sulla via. Perché Lindsay si ritrovò a fare i conti con uno dei suoi più grandi problemi: cosa mai avrebbe potuto dirgli? Come avrebbe potuto giustificare la sua inutile presenza lì? E vide uno spiraglio di speranza nel fatto che lui non l’avesse accolta insieme agli altri. Che certe cose erano chiari segnali della provvidenza e allora andavano afferrati senza troppe remore, che altrimenti la situazione sarebbe peggiorata –Credo me ne andrò. Salutame—

-Oh, Liiin!-

Troppo tardi…

-Oi, Gin— altro stritolamento, come da copione; peccato che a quella molla saltellante di Ginko si fosse unito di nuovo quell’esagitato di Ri –Lasciatemi!- sbrodolò esasperata, gli occhi nocciola colmi di scazzo rivolti al soffitto. Anche quello era un segno che mai e poi mai avrebbe dovuto rubare l’auto di Mark per giungere in quello che non era uno spedale…
 

-America… La moda dove l’hai dimenticata? A letto con il tuo amico Axl?-
 

Era un covo di dementi, guidati da un coglione con i capelli neri sparati all’indietro e due vistose occhiaie a rendere il tutto più raccapricciante.

-Il tuo parrucchiere chi è? Un gallo?- replicò con la stessa verve ironica, cercando di spingere quei due beoti che, oh, proprio non volevano saperne di scollarsi. Ma si erano rivestiti di Attack, per caso?!

-Avete assunto un panda come truccatore, al Tribeca?- il ghigno di GD divenne ancora più grande, se possibile, e Lindsay si ricordò che quel demente gongolava come un cretino quando si reggeva il suo gioco malato. Stupido bambino.

-Ehi! Sono io la sua truccatrice!- si infiammò Ginko, rivolgendogli un’occhiata truce dall’alto della sua bassezza.

GD inclinò il capo –Oh, quindi non è un panda. E’ uno Hobbit.-

La mascella di Ginko toccò il pavimento, facendo tremare le pareti -Brutto—

-Ma la smettete di fare casino?- la voce baritonale di Seung-Hyun giunse fino a loro, carica di tedio e pure un granello di scoglionamento che non guastava mai, con la spruzzatina di una spossatezza che per un istante  la fece pentire di essere cascata nella rete di coglionaggine di Ji Yong –Un minimo di rispetto per— e quando i suoi occhi scuri si allargarono, Lindsay avvertì tutte le paure dapprima abbandonate riapparire prepotenti –Oh, ciao.- la salutò con sorpresa, le mani che si stringevano intorno al bicchiere di caffè. Lin deglutì, abbozzò un sorriso e non fece nient’altro, certa che si sarebbe fatto bastare quell’ennesimo silenzio che gli stava donando –Che ci fai qui?-

Ri, a seguito del rimprovero, aveva cominciato ad infastidire Ji Yong con l’ausilio della sua fedele Ginko. Te lo meriti, stronzo -Non riuscivo a dormire.- tornò a guardare Seung-Hyun che le si era avvicinato con calma.

Arcuò un sopracciglio –E sei venuta all’ospedale?-

-Non è male- alzò le spalle, guardandosi attorno –C’è anche la macchinetta del caffè- indicò il suo bicchiere con l’indice laccato di rosso, scorgendo un sorrisetto sul suo volto più pallido del solito. Esaminò con cura il suo viso mascolino, solcato da un’angoscia così palpabile che lei stessa se ne sentì coperta; i lineamenti erano contratti in una smorfia di panico che le strinse il cuore in una morsa di lancinante sofferenza e quando credette di non poter reggere a quella vista, incrociò il suo sguardo vacuo, lasciando che un penetrante quanto indescrivibile senso di inutilità si impossessasse di ogni sua più minuscola fibra. Era una sensazione che il tempo le aveva privato da quando suo padre se ne era andato e sua madre vegetava sul divano in soggiorno e no, riviverla non fu affatto piacevole –Come stai?- domandò guardando oltre la sua spalla, sbirciando i presenti, tutta gente che aveva già adocchiato alla YG quel lontano quattro novembre. Le parve di vedere un’enorme famiglia al capezzale di un genitore e più osservava quella distante scena, più si sentiva fuori posto.

Come un tassello di un altro puzzle infilato a forza in quello che si stava cercando di comporre, solo perché quello giusto era andato disperso, ma non si poteva lasciare uno spazio vuoto in quello stupendo paesaggio. E allora infiliamoci a forza quello che sembra più adatto, ma che alla fin fine era solo un intruso.

-Non sono io quello in un letto d’ospedale.- ribatté con cipiglio di irritazione, quasi si sentisse offeso al pensiero che stesse anteponendo la sua salute a quella del CEO.

Si grattò il naso –Un bene sarebbe bastato.- soffiò inarcando un sopracciglio fino, vedendolo incassare il colpo con un silenzio dal retrogusto amaro e una passata di mano nei capelli neri un po’ alzati.

-Sto bene, contenta?- le rivolse un sorriso caramelloso che subito si perse dietro un’imprecazione mangiucchiata e uno sbuffo di pura esasperazione. Che non fosse granché contento di averla tra i piedi le parve ben visibile, ma non comprensibile. Sinceramente, Lin era troppo impegnata a darsi della cretina per anche solo chiedersi cosa mai lo turbasse del suo essere lì, a condividere un dolore che, ad onor del vero, non avrebbe nemmeno dovuto sfiorarla –Comunque potevi non venire- seguitò con calma –Hai fatto scomodare tuo padre per—

-Ho guidato io.- il tintinnio delle chiavi si sparse nell’aria, mescolandosi al suo Oh di genuina sorpresa.

Bevve un sorso di caffè, poi la guardò dubbioso -Ma tu non guidi, non ti piace.-

Stiracchiò le labbra; pregava che nessuno avesse preso il numero di targa, altrimenti la sua già scarsa vita sociale sarebbe stata rinchiusa in quella camera dalle pareti rosa confetto per il resto dei suoi giorni, con Mark che faceva da Minotauro alla porta della sua stanza.

-Quando serve, non mi dispiace- ribatté alzando le spalle, investendolo con la propria placidità che, sperava, avrebbe assottigliato quello spesso strato di nervosismo che continuava ad ergersi come una barriera tra loro. Perché erano a pochi centimetri l’uno dall’altra, ma mai Seung-Hyun le parve così distante –Cos’è successo?-

Lui scosse la nuca –Un infarto, credo, non lo so- agitato, portò una mano fra i capelli –Stavamo lavorando e boh, ci ha chiamati sua moglie e—

-Mi spiace.- interruppe le sue parole incrinate, incapace di patire tutta quell’afflizione che ogni virgola ostentava. Ancora una volta, la ventesima forse, fu tentata di fare dietro front e lasciarlo solo in balia di quel supplizio.

Ma quando fu davvero sul punto di andarsene, quando il coraggio aveva dato una spinta alle sue gambe paralizzate, la voce di quello stronzo di Ji Yong la trapassò da parte a parte con uno sbigottito –Ma come? Te ne vai di già?- che la costrinse a mordersi la lingua pur di non mandarlo bellamente a fanculo.

-Sono quasi le quattro- lo sguardo si posò inevitabilmente su Seung-Hyun, nonostante avesse cercato di guardare un gruppetto di infermiere che fangirlizzavano verso di loro –E non servo a niente, quindi—

-Oh, ma tu servi, te l’ho già detto- poggiò il gomito sulla spalla dell’amico che aveva assunto la tipica espressione da beota che si è perso qualche passaggio –Non vedi come il tuo Oppa è felice di vederti?-

-Ji Yong— ringhiò il più grande, scostando l’arto con un’alzata di spalle –Perché l’hai disturbata?- domandò rabbioso, dimentico forse che lei era lì, ad ascoltare.

Ji Yong gli rifilò un sorrisetto di placida serenità, quasi si trovasse con loro solo per puro divertimento –Perché non ti voglio qui- i due lo fissarono confusi –E lasciarti andare da solo sarebbe troppo pericoloso- portò le mani in tasca, lo sguardo annoiato che girovagò prima su di lei e poi sul cantante –Rischieresti di buttarti da un ponte.-

-Non è ve—

-O di bere fino ad andare in coma etilico- si grattò il mento –Quindi bevete assieme e divertitevi.- li benedì aprendo le braccia, dando loro le spalle mentre una mano sventolava in segno di saluto.

-Ji Yong, torna qui!-

-E tu torna a casa, Hyung.- mormorò GD guardandoli oltre la spalla, il volto contratto in una maschera di irritazione pulsante.

-No, resto qui.- si impuntò l’altro.

-Vai a casa- ordinò perentorio, le mani in tasca e lo sguardo tagliente –Sei un rompicoglioni quando sei depresso.-

-Ji— il leader emesse un grugnito di disapprovazione, dimostrandosi più autoritario di quanto in realtà non fosse. Lin rimase sinceramente stupita di quel suo lato normale che poco aveva a che fare con la sua scemenza dilagante. Quello era strano, decisamente –E va bene, va bene.- sbottò andando a recuperare la giacca, gonfiando le guance come un bambino viziato a cui è stato negato un giocattolo o il dolce prima della cena.

-Sapevo che saresti venuta.- gracidò il ragazzo rimasto con lei, l’angolo destro delle labbra guizzato all’insù in un chiaro gesto di vittoria.

Lin scoccò la lingua –Non mi sembri molto dispiaciuto.- no davvero; le dava più l’impressione di un moccioso approdato nel Paese dei Balocchi. Avrebbe voluto rammentagli che per Lucignolo non finì troppo bene, ma parlare di morte e asini in quel frangente non le parve granché delicato.

A quella frase pregna di scetticismo, cercando di far insinuare in lui un vago senso di colpa più per vendetta che per reale desiderio di farlo star male, un lampo di dolore serpeggiò nei suoi occhi ora assottigliati; ma fu istante di breve durata, giusto il tempo di veder l’impassibilità patinare ogni suoi delicato lineamento –Dovrei piangere?- domandò retorico, la voce calibrata ma vibrante, quasi si stesse trattenendo dall’insultarla.

-No, ma—

-C’è chi piange, chi si aggrappa alla speranza, chi cerca il positivo anche nelle situazioni più nere, c’è chi scappa- la guardò in tralice, con una sospensione che la fece rabbrividire –Non siamo tutti uguali, dovresti saperlo meglio di chiunque altro- e quelle sue parole non furono colte appieno da una Lindsay ora ammutolita e che, a quanto sembrava, aveva esaurito le sue scorte di sferzante ironia. Perse tempo ad assimilarle, a farle proprie, a dar loro un vacuo senso di comprensione, ma proprio il suo cervello non voleva saperne di installare il dizionario Jiyonghesco. Il suo sbuffo di fastidio, accompagnato da un roteazione completa degli occhi, furono solo il preludio del colpo di grazia –Quando sei il pilastro del gruppo, non puoi lasciarti andare allo sconforto- la maturità della sua esposizione la lasciò perplessa –Quindi, qualsiasi cosa accada, sii il pilastro, chiaro?- e quell’ordine spacciato per richiesta insinuò più dubbi che chiarezze.

Lindsay sbatacchiò le palpebre appesantite un paio di volte, guardandolo con labbra e naso arricciato, chiedendosi perché quel demente dovesse parlare per enigmi. Magari, se fosse andata a fare un giro su Adventure’s player, qualcuno le avrebbe fornito la soluzione per quel punta e clicca ambulante che era Ji Yong. Non fece però in tempo a rammentargli quanto ampliamente sciroccato fosse, che Seung-Hyun giunse armato di voglia di andare al patibolo da condannato a morte, sibilando uno scazzato –Se succede qualcosa, chiamami subito.- a cui lui replicò con un’inquietante occhiolino.

No, va bene, quello aveva seri problemi di personalità.

Lin si lasciò superare, sventolò una mano a Ginko e quando la vide sbracciarsi si sentì pronta ad abbandonare la monotonia di quel posto –Beh, buona continuazione.- nemmeno fossero stati ad un party, certo. Si congratulò con la propria coglionaggine mentre gli dava le spalle, chiedendosi perché mai Dio, quando aveva deciso di elargire la sensibilità e l’accortezza, avesse optato di infonderle cretineria e sgarbatezza.

-Linnie- quel richiamo civettuolo ebbe il potere di farla imprecare interiormente; dannato Ji Yong che si segnava tutto ciò che la faceva incazzare e poi la usava contro di lei –Grazie.- ma ci fu il suo minuscolo sorriso, quella sciocca parolina pronunciata con infiacchimento e una sincera gratitudine che per un attimo riuscì a contagiarla.

E se lui non fosse stato Ji Yong, se lei non fosse stata Lindsay Moore, forse gli avrebbe sorriso e avrebbe anche potuto rispondergli con un sentito Figurati, per gli amici questo e altro; ma lo guardò a lungo e un apatico –Fagli sapere qualcosa.- trapassò quel muro di costante difensiva che li aveva sempre divisi; alzò una mano, aggiungendo mutamente che non c’era alcun problema. E che, beh, forse Grazie avrebbe dovuto dirglielo lei. O un sincero Fanculo!

La brezza della notte la carezzò quando le porte automatiche si chiusero dietro le sue spalle; fu piacevole avvertire l’aria riempirle nuovamente i polmoni, ma quando si ricordo della presenza di Seung-Hyun, a pochi metri da lei, le parve addirittura difficile compiere quel gesto innato -Che ti ha detto Ji Yong?- lo vide stringersi nel cappotto mentre la guardava a capo inclinato.

-Di fare il Wonderwall, credo.- sciorinò, sventolando una mano quando udì il suo confuso Un… Cosa?. Si guardò attorno, con la speranza che nessun carroattrezzi avesse portato via la El Dorado nera e quando il freddo l’abbracciò nuovamente, costringendola ad accarezzarsi le braccia coperte da quel maglione troppo leggero che aveva raccattato in mezzo al ciarpame del proprio disordine materiale, che poi ben si identificava con quello interiore che ancora continuava a tormentarla, i suoi occhi brillarono di gioia nel constatare che l’auto era ancora lì, parcheggiata da cani.

Represse il sorriso quando lo scoprì a fissare incessantemente l’ospedale, nemmeno si aspettasse di vedere il suo capo camminare verso di lui come un miracolato. E come al solito, incapace di comportarsi da persona civile e magari dargli anche solo una pacca sulla spalla in segno di supporto, Lin si limitò a mormorargli un pacato –Vedrai che si riprenderà- che catturò la sua attenzione –Ora andiamo. La macchina è di— le sue parole si conclusero con un singulto di incredulità, spezzatosi nell’irruenza di un abbraccio che non pensava sarebbe mai giunto. Perché una regola era di evitare le smancerie in pubblico e Seung-Hyun era sempre così meticoloso che mai sbagliava qualcosa.

Ma avvertì le sue braccia serrarla prepotentemente, impedendole qualsiasi possibilità di evasione, le sue labbra contro il proprio orecchio e la sua voce, bassa e incrinata –Credevo non venissi.- che per un attimo le parve come un flebile Sono contento tu sia qui, con me, ma decise di cestinare quella sciocca traduzione. Il suo gesto era già abbastanza destabilizzante, non voleva vacillare ancora in quella situazione di precario equilibrio mentale che ancora non l’aveva gettata nelle fauci dei suoi timori.

Purtuttavia disorientata dal suo comportamento che poco si amalgamava con la sgarbatezza di poco prima, ma più in particolare dal proprio, Lin si ritrovò a ricambiare la presa, seppur con meno saldezza, giusto per infondergli un po’ di sostegno. O per riceverne maggiormente lei, non le fu ancora ben chiaro. Fatto stava che avvertì i propri polpastrelli scorrere sul cappotto racchiuderlo nei propri pugni e inebriarsi del suo respiro che la solleticava.

-Lo credevo anche io.- bisbigliò appena, le labbra che premevano sulla sua spalla, ovattando ogni suono. E per fortuna, convenne con sé, che già si sentiva abbastanza cretina.

-Mh?-

-No, nulla.- e quando percepì il suo sospiro pesante e traballante, si disse che il dolore di Seung-Hyun non era così ingestibile come aveva più volte pensato…
 

-Lindsay?-

-Mh?-

-Grazie.-
 

Che essere l’ancora di salvezza di qualcuno, non era così spaventoso come aveva sempre profetizzato.

E sorrise, continuando a premere le labbra ora spiegate sulla sua spalla, precludendogli la possibilità di poter scorgere quel senso di appagamento che non pensava qualcuno potesse infonderle. Ma la sensazione di star facendo del bene si mischiò al nero del terrore di starsi infognando un po’ troppo in quel loro gioco e quando sciolse l’abbraccio, guidandolo fino all’auto, vedendolo sedersi pesantemente sul sedile del passeggero, la voglia matta di spingerlo fuori e dirgli No, senti, è meglio se resti qui e io me ne torno a casa, sfidò prepotentemente la sua coscienza, arrivando fino alle porte delle sue labbra sigillate, con l’ausilio della mano che era volata a tapparle, impedendole di esalare quel pozzo di stupidità.

-Non stai bene?- la voce di Seung-Hyun dribblò quello spesso muro d’aria tesa che li aveva divisi una volta sbattute le portiere, complice il suo sguardo preoccupato. No, cazzo, era lui quello che da soccorrere, non lei e la sua instabilità mentale.

Scosse la nuca –Sono solo stanca.- e doveva averlo pronunciato con incredibile incertezza, anche se lei aveva assaporato solo un’amara fatica che le aveva graffiato la gola, perché Seung-Hyun l’aveva guardata per lungo tempo, quasi a voler trovare una falla nella sua scompostezza.

E quando la colse, Lin si sentì così mortificata da mordersi il labbro inferiore, giocherellare con le chiavi e rivolgergli uno sguardo in bilico fra il desiderio di mandarlo via e quello di non commettere l’ennesima cazzata della nottata. E con estrema lentezza, con una gentilezza che le scaldò il cuore e la fece sentire l’essere più infimo che mai avesse calpestato il suolo terrestre, Seung-Hyun mormorò un basso –Lin, siamo amici- che sembrò dare un senso alla sua presenza, che non implicava i loro sentimenti o un legame che andava oltre i suoi paletti –Quindi, va bene così.- che sbaragliò ogni barlume di paura e che liberò la sua mente dai pensieri molesti.

Che riuscì a salvarla da quel nero baratro di inquietudine in cui si stava gettando da sola.

Lin si inumidì le labbra, eludendo la sua rassicurazione -Dovresti metterti la cintura.- infilò le chiavi, guardandolo di sottecchi.

-Devo fare anche testamento?-

-Mi lasci la Playstation 3?-

Vide i suoi occhi assottigliarsi e le labbra stiracchiarsi in un sorriso, ma non compì nessun’altro gesto. Era da tempo che non assisteva alla disperazione silenziosa di un uomo, il cui pianto non visibile permeava dallo sguardo vago ora posato sul finestrino. Le tornò alla mente l’immagine di suo padre quando, a New York, si rintanava nell’ufficio, questo una settimana prima che decidesse di chiedere il divorzio; o quella più evidente di sua madre, seduta in salotto tenendosi compagnia con Bonnie Tyler. E lei ogni volta aveva assistito nella più totale segretezza alla loro disfatta, incapace di sorreggerli nel momento dello sconforto, quel momento in cui ci si rendeva conto che tutto ciò per cui si era estenuantemente lottato stava giungendo ad una fine inesorabile.

Di nuovo, i ricordi la fecero soffocare e pure incazzare, così decise di dare un taglio netto a quella situazione, determinata a sperdere tutta la sofferenza rinnovata sotto i pneumatici della Cadillac. Così si allungò, tirò la cintura e gliela allacciò, che se no quello mica si sarebbe dato una mossa. E mentre compiva quel gesto emanando uno scazzo che in realtà non le apparteneva, non in quel momento, le dita di Seung-Hyun si insinuarono fra i suoi capelli corvini e ricci, talmente scompigliati che sembravano rappresentare la concretezza della sua guerra mentale. E scorse il suo sguardo, dolce, carezzevole, velato di angoscia che riuscì a penetrare le sue barriere, costringendola a deglutire pur di non allontanarlo.

Un incolore –Vai a casa. Torno con gli altri.- sembrò vanificare tutti i suoi sforzi di restare lì, con lui. Poi si ricordò di avergli appena allacciato la cintura in un’impresa così titanica che sarebbe dovuta finire addirittura sui libri di scuola e allora storse il naso, Lin, che ormai era troppo tardi per tirarsi indietro.

Replicò con noia –Ti ci porto io. Tanto ormai non ho più sonno.- le sue dita scivolarono sotto il contorno degli occhi ancora impiastricciati di trucco ormai sbavato, per poi allontanarsi, lasciando dietro loro solo lo sfuggente ricordo di una delicatezza che le aveva sfiorato l’anima ora infreddolita.

Si afflosciò sul sedile, lo sguardo rivolto al tettuccio –Allora possiamo non andare a casa?-

-Mh?- mormorò mettendo in moto, guardando dallo specchietto che non giungessero macchine. O pedoni suicidi.

-Non mi va di andare. Torneranno gli altri e non— si bloccò, le mani che stropicciarono il viso per poi perdersi nei suoi capelli sollevati.

E Lin, pur nella sua stanchezza, pur soggiogata dalle  fobie che si ostinavano ad incollarsi al suo cuore che batteva spropositatamente veloce, annuì –Dove vorresti andare?-

-A casa.-

Corrugò la fronte -Ma hai detto che non ci vuoi tornare.- inclinò il capo, posandolo sul volante mentre lo fissava.

Un minuscolo sorriso increspò le sue labbra, poi quella frase che spesso i ragazzi le avevano rivolto -A casa mia, intendevo.- e che prevedevano lanci di vestiti e lenzuola che scaldavano. Ma sapeva bene che con lui sarebbe stato tutto l’opposto e per un attimo le spiacque che una sana scopata non potesse lenire il suo dolore, anche perché quello le usciva egregiamente. A dimostrazione che Seung-Hyun era decisamente atipico se paragonato a tutti quelli con cui aveva avuto a che fare.

Le note dei Gun’s profumarono l’aria e quando Lindsay si ritrovò a fare i conti con la scritta 1 messaggio ricevuto, il cervello le propinò una serie di viaggi mentali assurdi: A) avrebbe potuto trattarsi di Ginko che le diceva di trattare bene Seung-Hyun; B) Poteva essere quello stronzo di Ji Yong che le rammentava di prendere le dovute precauzioni –e se fosse stato ciò, sarebbe scesa e avrebbe infilato un bisturi nelle sue cavità… Non aveva importanza quale, qualsiasi cavità andava bene-; o opzione C, ed era quella più temibile, poteva trattarsi di Mark che aveva scoperto la fuga della sua bimba –e con bimba intendeva la Cadillac, ovvio-. Appoggiando la nuca sul poggiatesta storse il naso quando il nome di suo padre svettò minaccioso, lasciandola immobile. E aprì il messaggio, pronta a venir ricoperta di insulti…
 

Domani mattina tu ed io facciamo un bel discorsetto.

E’ invitato anche Dio, diglielo.

 

Ci fu un interminabile istante di silenzio, interrotto dal suo veloce pigiare sui tasti del cellulare, buttarlo sul cruscotto mentre Seung-Hyun la carezzava con lo sguardo adombrato di confusione e muta richiesta che lei non lo abbandonasse per la sua pretesa…
 

Quindi, qualsiasi cosa accada, sii il pilastro, chiaro?-
 

E poi ci furono le sue parole, che salvarono tutto –Dimmi la strada. Io non la so.-

 

******

 

*Il dottor Kim in sala due, il dottor Kim in sala due*

La voce microfonata dell’infermiera alla reception interruppe il suo dormiveglia e Ji Yong, unico rimasto insieme a pochi superstiti, si ritrovò a fissare un punto indefinito del muro con la cieca sensazione che se avesse mosso anche un solo dito, tutto sarebbe tramutato in un incubo peggiore di quello in cui versava.

Pugno chiuso appoggiato sulla tempia, occhi scuri socchiusi che seguivano il trafilare delle infermieri che sfrecciavano davanti a loro, Ji Yong si chiese quanto tempo sarebbe servito per lasciarsi completamente andare alla disperazione, sorpreso di non essere ammattito al suono della voce deformata dal pianto di Lee Eun Joo, ora nella stanza del marito. Ma convenne con sé che la pazzia aveva soggiogato il suo cervello molto tempo addietro, forse era per questo che la lucidità non se ne era ancora svolazzata verso lidi più sereni. E poi, se non avesse resistito, quegli altri sarebbero periti sotto il peso del E se dovesse peggiorare?

Coprì uno sbadiglio; più in là, un Daesung che sonnecchiava con la testa ciondolante mentre Yungbae sembrava essere approdato nel mondo dei sogni già da un bel pezzo.

All’appello mancava quella nana della Fujii, cosa davvero strana visto che Ri sonnecchiava beato sulla file di sedie davanti a sé…

-Caffè lungo con zucchero!-

O forse le disgrazie giungevano nello scalpiccio dei suoi pensieri armate di caffè, profumo di loto e sorriso dolce a condire il tutto.

Alzò il capo, rapito dall’odore pungente di caffè che si mescolava a quello dei capelli della Fujii, mano tesa e sguardo sonnolento posato su di lui. Stretta nella sua giacca scura che la faceva sembrare una del cast di Matrix., Ji Yong ripensò al nuvolo di pensieri poco casti che avevano cominciato ad accumularsi ad altri decisamente più importanti, quando l’aveva vista correre tutta trafelata mano nella mano con Ri, il trucco un po’ sbavato e l’aria più afflitta della loro. Un’altra anima disperata che si sobbarcava dei problemi altrui con un’invidiabile forza; chissà quando il suo corpicino avrebbe sopperito a tutto quel peso.

-Che ci fai qui?-

-Ti ho portato il caffè!- trillò con un sorriso smagliante; incredibile come la stanchezza non avesse minimamente intaccato la sua iperattività. Lo stesso non si poteva dire di Ri. Perché non seguiva il suo esempio? Legge non voleva forse che il cane copiasse il proprio padrone? –Avanti, prendilo o si fredda!- lo agitò, rischiando di farne cadere un po’ sui suoi pantaloni freschi di lavanderia.

Storse il naso, si sistemò meglio sulla scomoda sedia e lo prese fra le mani, inebriandosi di quel buon aroma di caffè che andava mescolandosi alla cortesia di quella tappa della Fujii, ora saltellante per il suo scazzato –Grazie- e sarebbe bastato che la scenetta si concludesse così, con lui scoglionato che sorseggiava la bevanda e lei che scompariva dalla sua vista annebbiata. Ma non paga di aver appena molestato il suo sonno, Ginko continuava a restarsene lì, le mani dietro la schiena e un ipnotico quanto fastidioso dondolio sulla punta dei piedi –C’è dell’altro?-

-Dovresti cercare di dormire!-

Ok, mi prende per il culo.

-Era quello che stavo facendo- sottolineò con ovvietà, vedendola arricciare le labbra che vennero subito coperte dalla manina ingioiellata. Oh, no, adesso se ne partiva con un brodo di scuse che avrebbero finito con il farlo addormentare sul serio –Senti, Trinity, che ne dici di tornare a casa? Matrix ha bisogno di te- indicò il maknae con un cenno del capo –E poi il Prescelto non si sveglierà tanto presto.- si compiacque della propria arguta metafora cinematografica; un po’ meno se ne soddisfò quando si rese conto che un granello di gelosia si era mischiata all’ironia.

Ginko scosse la nuca con vigore –Preferisco aspettare qui.- si accarezzò le braccia, lo sguardo puntato verso la stanza dove giaceva Yang Hyun-seok.

E non fu l’accecante cattiveria a prendere le redini del suo cervello, non fu nemmeno un’indifferenza quasi spasmodica nel volersi ritagliare una solitudine sana da tutto quel macello che lo circondava, no; fu la curiosità morbosa di comprendere quella nana dai capelli rossi ad appropriarsi delle sue facoltà mentali, seriamente dubbioso di fronte a quella bontà gratuita –Perché?- la guardò con noia, la mano a sorreggere la nuca pesante –Tu non c’entri nulla con noi.- avvertì una strana sensazione di disagio pervaderlo, che si amplificò quando gli occhi scuri di Ginko dietro le lenti si allargarono di incredulità. Nh, com’è che si chiamava quella cosa? Ah, sì, coscienza…

-Lo so, lo so- cantilenò lei apparentemente non demoralizzata dalle sue brusche parole –Ma Ri ha detto che vuole trovarmi qui al suo risveglio.- un raccapricciante sospiro sognante sfuggì alle sue labbra e sgattaiolò fino a lui, colpendolo in pieno stomaco. Un conato di vomito scalpitò nelle sue interiora, talmente tanto potente che proprio non riuscì a reprimere una smorfia di disgusto.

-Che—

-Romantico, non trovi?!-

-Avrei detto schifo, ma se preferisci romantico…-

-Ji Yong!- si afflosciò sulla sedia al suo fianco, le gambe stese e la nuca poggiata contro la parete –Sei tremendo, lo sai?-

-Solitamente mi danno dello stronzo.-

-Anche Lin lo dice sempre.- una risatina frivola permeò l’aria ospedaliera, dipanando quella tensione che a furia di accumularsi li aveva ridotti ad un fascio di nervi scoperti e sensibili.

Un sorriso sghembo gli delineò le labbra –Il bue che dice cornuto all’asino.- esalò stiracchiandosi, per nulla scalfito dalla sincerità della Moore. Peccato, perché lui la trovava interessante.

-Lin non è stronza!- ed ecco che la Fujji partì alla riscossa –E’ solo incapace di mostrare i suoi sentimenti!-

-Il che la rende una stronza- la guardò di sottecchi, udendo il suo gaudioso boccheggio di un’arringa andata perduta –Ma tranquilla, posso ben capirla.- aggiunse come chiosa, facendole ritornare un po’ di colorito.

Ci fu un momento di quiete fra loro e Ji Yong, a dispetto di ogni previsione, si ritrovò a fare i conti con uno stato di pace apparente che da tempo non smorzava la sua ferocia, che nessuna ragazza sembrava essere capace di ingabbiare. E Ginko ci riusciva solo chiudendo la bocca ben pitturata di rosso. Quella era uno spettacolo della natura, doveva dargliene atto. Era come un fiume placido che scorreva senza infastidire, ma quando il periodo delle piene arrivava, straripava con così tanto clamore da rendersi inarrestabile.

-Gli ospedali sono così tristi, non trovi?- mormorò lei assorta, costringendolo a ricollegare il cervello –Quando diventerò infermiera, chiederò di colorare i muri dell’ospedale!-

Colorare i muri dell’ospedale?Tu vuoi fare l’infermiera?-

Sorrise allegra –Sto studiando per diventarlo! Sono al secondo anno e—la sua spensieratezza si spense di netto, senza che lui avesse detto o fatto nulla; la sentì ridacchiare, passò una ciocca di capelli rossi dietro l’orecchio e un imbarazzato –Ma non ti interessa, lo so.- bloccò ogni racconto futile.

Ji Yong annuì, ma proprio quando credette di aver dato fondo al proprio desiderio di imbastire un’altra conversazione, ecco che le parole gli uscirono fluide e senza catene a tenerle a bada –Credevo volessi lavorare in un circo.-

-Quello da bambina! Volevo— si fermò, le mani a mezz’aria e l’aria di chi sta per essere presa per il culo –In che senso?-

Alzò le spalle –Ti ci vedrei bene come giullare- i suoi occhi larghi furono uno spettacolo e dovette faticare non poco per non ridere sguaiatamente –Tanto il trucco non ti manca e i capelli sono ok.- le prese una ciocca fra le dita, sorridendo civettuolo di fronte alle sue gote bordeaux.

Ginko lo spinse, poi portò le braccia sotto il seno poco pronunciato –Sei senza cuore!-

-Anche questo me lo dicono in tante.- sogghignò, beandosi del suo sbrodolamento infinito di scuse. Ginko era una sagoma, davvero. Gli rifilava tutti quei deliziosi insulti che tutte le sue amanti sferravano a suon di veleno, urla isteriche e medi alzati come se piovesse, ma aveva il brutto vizio di perdersi in un mare di scuse così sentite da farlo ridere di pura estasi. Che lui era stronzo, un coglione, senza cuore e Dio solo sapeva dove avesse gettato la chiave per sciogliere le catene, ma Ginko sembrava vedere oltre tutta quell’apparenza.

Ginko sembrava vedere in lui ciò che Seung-Hyun aveva scorto in Lindsay. E per un mero istante, il pensiero di finire come quelle due cavie –che sperava ora si stessero rotolando nel tutolo di mais della loro gabbia- gli lasciò un misto di piacere e timore, un’impronta indelebile che graffiò il suo istinto di sopravvivenza che gli aveva suggerito di rinunciare a tutto quello…

 

-Non puoi non sapere se mi ami o no- le sue parole scagliate con rabbia.

I suoi singhiozzi coperti dalla marea di capelli scuri

-O lo senti o non lo senti.-

-Non sento niente- le lacrime bagnarono il tavolo –Non lo sento da un po’.-

 

Che la solitudine è bene, i legami portano solo problemi.

E ricordava di non aver sentito più nulla neanche lui, in quel momento. Nessun battito perduto, nessun senso di vertigine, nessuna lacrima, niente di niente. Solo un vuoto a livello dello stomaco e un biglietto lasciato dalla sua anima con un frettoloso e grassoccio Torno subito, anche se alla fine non si era mai ripresentata. E lui nemmeno l’aveva cercata, nemmeno aveva fatto denuncia di smarrimento. Che senso aveva cercare qualcosa di inutile?

Ancora una volta, Ginko lo salvò dalle sue turbe, facendo sfumare ogni ricordo frammentario e lacerante -E’ stato carino da parte tua chiamare Lin.-

-Volevo divertirmi un po’.- buttò lì senza pensarci, trovando la prima scusa che quella avrebbe sorseggiato senza porre domande. Distolse lo sguardo, spaventato al pensiero che una Ginko dagli occhi socchiusi potesse scorgere quelle che, ore prima, erano state le sue reali intenzioni. Che Top era lì, seduto sulla sedia con la faccia da cadavere e l’espressione di chi ha appena visto il proprio cane investito e a poco erano valsi i suoi tentativi di fargli comprendere che doveva reagire, che crollare davanti agli altri avrebbe fatto precipitare nello sconforto anche loro. E nella sua brillante genialità, aveva giustamente pensato che Lindsay potesse portargli un po’ di luce. E, beh, porco cane se aveva avuto ragione. Per un istante aveva rischiato di dover indossare gli occhiali da sole per poter proteggere i suoi preziosi occhi.

-Ti diverti con poco- borbottò stranita; stiracchiò le gambe e gli rivolse un sorriso -Mi sono sempre chiesta perché tu abbia voluto aiutarli.-

-Aiutarli?-

-Top e Lin- specificò con enfasi, quasi stessero parlando di una drama appena uscito in tv –Senza di te non sarebbero dove sono ora.-

Effettivamente, era un genio, non poteva dargliene torto. Aveva realizzato un piccolo miracolo e più il tempo scorreva, più si rendeva conto di che capolavoro fossero quei due assieme. Come una specie di Amore e Psiche, solo più rozzi e meno romantici, ma comunque belli da vedere. Il loro modo impacciato di controllarsi per non andare oltre quella sottile linea che aveva deciso di tracciare per non lasciarsi prendere troppo, quando era ormai chiaro come il Sole che niente avrebbe potuto frenare quello Tsunami di sentimenti che li stavano unendo. E quella notte, Ji Yong fugò ogni dubbio: il fatto che lei fosse corsa da Top, valeva più di miliardi di dichiarazioni smielate. Se non fosse stato per le sue innate doti di plasmatore, Seung-Hyun sarebbe rimasto incatramato alla monotonia dei suoi giorni, continuando a credere che la ragazza dei suoi sogni fosse una donna di classe ed elegante che parlava come un fiore; Lindsay avrebbe finito col trascorrere il resto della sua esistenza a decantare quanto l’amore facesse schifo.

E lui, che ancora ne portava i segni, non poteva che darle ragione. Ma anche l’animo più cinico poteva salvarsi da una vita di solitudine se uno spirito ingenuo e non ancora accecato dallo schifo della vita, intralciava la sua crociata fatta di rancori e amori calpestati.

E Top era l’ingenuità di cui Lindsay aveva bisogno. Così come Lindsay era l’inevitabile cambiamento che Seung-Hyun doveva subire per poter crescere.

-Mi annoiavo- le concesse reprimendo un sorriso dietro il palmo aperto, evitando di gongolare in pubblico –E loro sono come un episodio di un drama, sai?- c’era l’episodio pilota, che era il loro incontro condito da altri personaggi chiave; gli episodi introduttivi che servivano per delineare le sfaccettature dei due protagonisti che avrebbero fatto sognare i fan; c’era la scena madre, quell’episodio tanto osannato che portava al cambiamento, il primo bacio, quegli spin-off che servivano per dare un assestamento al loro rapporto… Mancava il gran finale, ma quello sperava per l’amico che non arrivasse mai. Ginko aggrottò le sopracciglia e quando ebbe la sua completa attenzione, proseguì –Sono talmente divertenti e sciocchi che non puoi non guardarli.-

-Lin non è sciocca- bofonchiò gonfiando le guance, mettendosi a braccia conserte –Ma credo di aver capito. Sono perfetti assieme, è questo che vuoi dire, no?-

-Non perfetti- dissentì con un puntiglio di fastidio, irritato che parole non sue gli fossero state attribuite –La perfezione è noiosa. Si completano a vicenda.-

-Quindi sono perfetti assieme!- sostenne con convinzione, agitando un fastidioso indice.

Ji Yong roteò gli occhi –Sono complementari, che è diverso- mormorò assorto –La perfezione diventa un’esaltazione così ossessiva da risultare banale- un sorriso comparve –Seung-Hyun era come un’equazione. Così pulita, lineare- lisciò i jeans, reprimendo una risata al ricordo del loro incontro con America –Poi è arrivata la variabile Lindsay e ha portato scompiglio al suo risultato- la guardò –Capisci che intendo?-

Il sorriso pendente sulle labbra della ragazza gli diede l’impressione che un secco No sarebbe presto volato fino a lui, scoglionandolo, ma quella annuì  -Avevo l’insufficienza in matematica.- che era un No, ma detto in maniera così ingenua da farlo ridere come uno scemo. Con la testa che si gettò all’indietro alla ricerca di aria, la mano che andò a coprire il volto quasi volesse nasconderle la gioia che aveva scalfito la sua impassibilità. Per non rendersi più umano ai suoi occhi ora brillanti.

-E la tua variabile?- domandò pacifica, come una bambina che vuole scavare a fondo nel perché delle cose. Anche se non sempre c’è un perché plausibile –Quando arriverà?-

-Forse è già arrivata- replicò –Ma quando uno è impazzito, non se ne fa nulla delle variabili.-

Ginko lo guardò a capo inclinato, mordendosi l’interno delle guance, quasi temesse di svelargli un temibile segreto; ma portò indietro una ciocca di capelli e guardò in basso –Sai? Quando è saltato fuori lo scandalo sulla Marijuana, ricordo di aver pianto un sacco.- sorrise scioccamente a quella confessione, pronunciata senza imbarazzo alcuno.

Faticò per non allargare gli occhi dalla sorpresa; una perfetta estranea che piangeva per lui, incredibile davvero -Sei tale e quale a Ri- si salvò con quella presa in giro -Perché hai pianto?-

-Non lo so, forse per delusione- portò l’indice sotto il mento -Credevo che fosse tutto vero, ma poi il mio animo da fan ha preso il sopravvento e ho smesso di crederci- si strinse nelle spalle -E ho pensato che non te la stessi passando bene. Io al posto tuo sarei morta.-

-L’imbarazzo non può uccidere- scosse la nuca –Ma il pensiero di deludere gli altri, quello può portare alla pazzia.-

La sua risata lo perforò –Quindi saresti impazzito?- lo guardò sorridente.

Aggrottò le sopracciglia, stupito dal fatto che lei reputasse i suoi atteggiamenti come segno di normalità -Io--

-Dovresti rilassarti, sai?- si sistemò sulla sedia, una gamba a penzoloni e l’altra piegata sotto il sedere, la testa poggiata sulla parete bianca -Il leader dei Big Bang, la fashion icon, il grande compositore, il grande ballerino, il grande GD che si faceva di Marijuana… La pressione deve essere stata molta.-

-Lo è. E’ il mio lavoro- controbatté con ovvietà –E poi ci sono abituato.- era entrato alla YG da tenero marmocchio, era abituato a vivere con la pressione dei big boss sulle proprie spalle. E mai aveva sentito l’urgenza di condividerla con qualcuno; ma quella chiacchierata stava diventando uno strano lenitivo.

-Ma Kwon Ji Yong non è stanco di tutto questo?- riprese con più enfasi, rivolgendogli un sorriso che illuminò per un momento quel tunnel di nera angoscia in cui si era infilato -Sai, ho sempre pensato a voi come idol, non come persone. Eravate un mondo così lontano che non credevo potesse scontrarsi con il mio. Ma da quando esco con Ri, mi sono resa conto di quanto voi siate uguali a noi—

-E prima cos’eravamo, alieni?-

-Beh, con quei capelli- allungò una manina, scompigliandoglieli  -Voglio solo dire che tutti commettono degli sbagli e se per una sera ti lasci andare, gli altri capiranno.-

E GD capì di essere ormai passato all’argomento successivo, che qui non si stava più parlando di lui e del suo misfatto; si parlava del presente, al Diavolo il passato e così, senza aver bisogno di interpellare i soggetti, si limitò a guardarla con celata contrizione -Lui mi è sempre stato vicino- si ritrovò a mormorare controvoglia –Quando lo scandalo della Marijuana è saltato fuori, lui non mi ha abbandonato- avvertì il magone impossessarsi di lui e nervosamente accavallò le gambe, cercando di far cessare il loro tremolio –Non ha mai dubitato di me. E’ stato come un padre, lui c’è sempre stato.- si accorse troppo tardi del fiume di parole spese, e se Ginko non avesse squittito, lampante segno che lacrime sarebbero piovute dai suoi occhi scuri, probabilmente avrebbe protratto il discorso.

Giusto il tempo di avvertire l’anima farsi più leggera. Poi si sarebbe zittito, crogiolandosi nella post-sensazione di coglionaggine per essersi esposto troppo.

-E i tuoi genitori?- Ginko scavò più a fondo –Che fine hanno fatto?-

Ji Yong deglutì. La domanda più corretta sarebbe stata: Che fine aveva fatto fare loro?, una domanda che si poneva ogni santo giorno, da quando sua madre aveva rinunciato a telefonargli, forse esausta delle miriadi di chiamate a vuoto che sprecava ogni secondo della sua vita. Perché Ji Yong proprio non ce l’aveva fatta a reggere la situazione di fronte a loro, aveva preferito eclissarsi dalla loro vita piuttosto che trascinarli in quel vortice nero in cui era sprofondato. Aveva preferito rinunciare a quell’amore puro e sincero che sempre gli avevano donato solo perché afflitto dal senso di colpa di averli delusi. Perché i singhiozzi di sua madre riecheggiavano ancora nell’antro del suo cervello, il flebile e per nulla deluso Torna a casa di suo padre continuava a martellargli nelle orecchie…
 

-Tesoro, anche quando sei giù, sorridi sempre.-

-Sì, mamma, lo so- sbuffò di contrarietà.

La sua risata divertita lo rinfrancò –Me lo dici milioni di volte.-

-Ma tu sei sempre il mio bambino- il suo sorriso radioso

Noi siamo sempre qui per te. Non dimenticarlo mai.-
 

E lui se non se ne era dimenticato. Vi aveva semplicemente rinunciato.

-I genitori sono come l’amore- sussurrò flebile –A volte li metti da parte e ti dimentichi di quanto facciano bene.- confidò con disarmante sincerità, pregando che lei non scendesse più in profondità.

-Ma l’amore non si dimentica mai!- strillò quella, presa da un raptus di scemenza -L’amore è come andare in bicicletta!- sciorinò convinta –Anche se smetti, non si dimentica mica come si fa!-

-Io la vedo più come una caduta da cavallo.- replicò con una stortura del naso sottile, vedendola sbuffare di disapprovazione.

-Caduta da cavallo o bicicletta, il punto è- Ginko agitò l’indice che di minaccioso non aveva nemmeno l’unghia –Che se non rimonti in sella, non riuscirai mai a superare la tua paura.-

-Non sella, sellino- sbatté le palpebre –Se l’amore è come andare in bicicl—

-Sali dove ti pare ma supera la tua paura, Ji Yong!- si scaldò la ragazza, strappandogli una risata di pura gioia dopo un primo attimo di sbigottimento. Che il suo respiro affannoso era un suono di puro spasso, che le sue guance rosse erano una vista gaudiosissima, che la sua convinzione sbandierata con voce stridula era un momento di vera estasi.

-Salgo su molte donne, vale lo stesso?-

La vide boccheggiare –Se-se serve per aiutarti, sì, beh, va bene.-

-Non mi sembra ti vada bene.-

-Non-non sono affari miei- agitò i pugni –E comunque non si dicono queste cose!- ah, la cara e vecchia Ginko che capiva tutto a scoppio ritardato. Gli era mancata molto, doveva ammetterlo.

E più di tutto gli era mancata l’indescrivibile sensazione di benessere che qualcuna poteva infondere senza che il sesso tra loro venisse implicato. Che parlare con una ragazza non era una futile perdita di tempo. Scaldava il cuore, l’anima, e perfino i ricordi a lungo abbandonati sembravano più sopportabili se ripescati in due.

Ma un grugnito da parte di Ri sembrò quasi rammentargli che quella pazzoide non gli sarebbe mai appartenuta e un sorriso amaro nei propri confronti sbocciò –Sei proprio come lui.-

-La fai sembrare una cosa brutta.-

-Il maknae è la cosa migliore che sia mai capitata- confessò –Non è così brutta, non trovi?-

E Ginko lo guardò con sospensione, quasi si aspettasse un risvolto romantico che mai sarebbe accaduto, ma delle parole uscirono -Sai? Non ti ho mai detto grazie- e fecero più male di quanto avrebbe mai potuto pensare –Se non mi avessi aperto gli occhi, a quest’ora sarei ancora a pensare a te.-

-La fai sembrare una cosa brutta.- ripeté serio, guardandola di sottecchi.

-Lo era- bisbigliò incerta, costringendolo a riporre tutta la sua attenzione sui suoi lineamenti contratti, su quel velo di malinconia che l’aveva avvolta; ma poi aveva scosso la nuca e sorriso radiosa –Sai? Quando ero triste, mio fratello aveva sempre un modo per tirarmi su- si schiarì la gola -Non se funzionerà, però…-

E prima che potesse anche solo chiederle cosa mai fosse, si ritrovò stretto in quello che all’apparenza sarebbe dovuto essere un abbraccio, ma che richiamava più un groviglio di braccia. Lo stritolò, davvero, incastrò la testa fra le sue braccia e pronunciò una Yay! che richiamava tanto i giochi di Tekken. GD si divincolò utilizzando tutta la propria forza felina e quando sgusciò dalla sua salda morsa, un delicato –Ma che cazzo fai?!- sfuggì al suo controllo.

Con naturalezza, incurante che il tono di voce fosse uscito un po’ acuto e non misurato, cosparso solo di incredulità e non tedio. La guardò ad occhi larghi, ancora frastornato dall’incredibile sensazione di serenità che quell’abbraccio mortale gli aveva infuso, nonostante l’assenza di delicatezza.

-Te l’ho detto!- sbrodolò lei con il sorriso ad illuminarle il volto –Era un metodo che mio fratello usava per--

-Ma ti ha presa per il culo!- la interruppe con bruschezza, massaggiandosi il pomo d’Adamo con il pollice e l’indice -Voleva farti fuori!- sputò quelle parole con immane fastidio, incurante che potesse prenderla a male. Del resto, se quell’affarino di Ginko si offendeva, a lui che importava? Alla peggio gli avrebbe tolto la parola e sai che perdita? Niente discorsi folli ed insensati, niente frasi a vanvera e che gli facevano venire il mal di testa…
 

-Dovresti lasciarti più andare- volse il capo, scorgendo il suo volto inclinato , le guance sorrette da entrambe le mani e il sorriso genuino che, sapeva, sarebbe stato un tremendo spettro –Quando sei te stesso, sei decisamente più bello.-
 

Solo tanta, profonda solitudine.

-Nh, che succede?- il grugnito di un Ri appena sveglio disturbò il suo stato di contemplazione –E’ già mattina?-

-Hai dormito così tanto che è già estate.- sciorinò con sarcasmo, vedendolo sbatacchiare le palpebre con lentezza. Ginko gli diede un buffetto e andò ad accoccolarsi vicino ad un sonnolento Ri, cominciando a chiacchierare del più e del meno.

E mentre vedeva sfumare ogni possibilità di rivalsa, Ji Yong si rese conto di un’indiscutibile quanto dolorosa verità: che quella che poteva salvarlo da sé stesso c’era, forse l’aveva trovata…

Se non mi avessi aperto gli occhi,

a quest’ora sarei ancora a pensare a te.-

 

Peccato fosse divenuta ormai irraggiungibile.

****

-Cazzo, che villa!- la voce vellutata di Lindsay, per quell’occasione addirittura di un tono superiore al consueto, accompagnò il suo ingresso in casa Choi. Sì, quella villa enorme in cui avrebbe potuto ospitare mezzo mondo e tutti sarebbero riusciti comunque a sentirsi circondati da solitudine, per intenderci. Roteò gli occhi mentre chiudeva la porta, chiedendosi perché Lin si ostinasse a denigrare tutto ciò che era normale, come un banale e sempre ben accetto Permesso. Ma quando il suo genuino –Il tuo bagno sarà sicuramente grande quanto casa mia.- si sparse nell’aria una risata sfuggì al suo controllo, trascinando con sé un po’ di quel magone che per tutto il tempo gli aveva tenuto compagnia.

Durante il tragitto a casa, mentre aveva giocherellato con una ciocca dei lunghi capelli di Lindsay, un ottimo antistress contro i pensieri molesti e l’angosciante certezza che avrebbero finito con lo schiantarsi contro un muro, un palo, qualsiasi cosa che li avrebbe portati alla morte.

-Non hai ancora esaurito la scorta di cazzo?- domandò sarcastico, memore del numero improponibile di volte che quella garbata parolina aveva appestato l’abitacolo ad ogni sua svolta. Promemoria: Lindsay Moore alla guida diventava peggio di una scaricatrice di porto.

-Di quelli ne ho in abbondanza.- cinguettò con lo stesso tono.

Studiò il suo muoversi piano nell’enorme salotto, la bocca semichiusa mentre lo sguardo gravitava sul grande televisore contro il muro, il camino, la marea di pupazzi, fiori e altre cianfrusaglie che non pensava Lindsay avrebbe mai visto. Perché l’unica ragazza che aveva invitato a casa propria era stata la sua ex e solo ed unicamente perché amica di sua sorella; c’era così tanto di privato ed intimo là dentro che il pensiero che qualcuna potesse invaderlo, lo spaventava. Ma fu strano ritrovarsi a guardarla gironzolare con un mezzo sorriso pendente sulle labbra, lasciando che una sensazione smisurata di tenerezza intorpidisse i suoi sensi. Nessun timore, imbarazzo, desiderio di evasione… Lindsay sembrava essere nata per colmare il vuoto del suo mondo.

La vide zampettare come un’ape impazzita verso un ripiano pieno di fotografie -Ma sei tu?!- prese la cornice fra le mani senza chiedergli il permesso, apprendo più una bambina curiosa che una ventiduenne apatica e perennemente tediata –Eri carino da cioccottel—

-Metti via.- la interruppe brusco, strappandola la foto dalle mani affusolate.

-Eri così diverso.-

-Che perspicace che sei.- gli rifilò un delizioso medio prima di tornare a guardare le foto, continuando a fargli domande alla Ma questa è tua madre? E questo è tuo padre? Oh, ma hai anche una sorella, a cui lui replicava con monosillabi e senza dilungarsi in futili spiegazioni o ingombranti aneddoti. Quella scena gli fece comprendere come fosse scarna la conoscenza delle rispettive vite e non perché lui parlasse poco o niente della propria famiglia, ma perché Lindsay non gli aveva mai posto domande. Altro chiaro segno che lui, per lei, altro non era che un banale svago. Decisamente, quella non era la serata giusta per far chiarezza su ciò che era il loro indefinibile legame.

-Tu e Ji Yong siete amici da tanto?- domandò indicando una foto decisamente più grande delle altre, uno dei pochi scatti in cui quel babbeo sorrideva di reale felicità. Un magone di malinconia si impossessò della sua capacità di parlare, costringendolo ad annuire –Non sembra nemmeno lui.-

-Sono successe parecchie cose.-

-Tipo?- tipo l’incidente della Marijuana, forse l’unica ragazza che lui abbia mai amato che gli ha calpestato il cuore, la sfiducia nel genere umano e alieno… Sì, effettivamente erano molte le cose che avevano portato al cambiamento di Ji Yong e proprio non sapeva con quale chicca cominciare –Gli hanno rubato il cervello?-

-No, quello se lo sta bevendo piano piano.- esalò sarcastico, vedendola annuire di assenso.

Avrebbe tanto voluto dirle che, apparenza da squilibrato a parte, Ji Yong era davvero una gran bella persona; un po’ sopra le righe, ma a modo suo buona –e che se ora erano insieme, era solo grazie alla sua demenza-, ma Lindsay sembrò leggergli nel pensiero perché dopo aver preso  fra le mani una foto che ritraeva tutti e cinque agli albori del gruppo, bofonchiò un placido –E’ un po’ strano, e stronzo, ma credo che in fondo sia buono.-

-Lo è- e senza pensarci, le rivolse un franco –E’ un po’ come te.- a cui lei replicò con uno svolazzamento di ciglia inquietante.

-Quindi sono stronza.-

-No.-

-Allora psicopatica.-

-Sei buona, a modo tuo.- si salvò e quando la vide tornare a farsi gli affari propri, poté sospirare di sollievo. Ringraziò il cielo che Lindsay fosse così svagata da non badare a ciò che gli altri pensavano. Chissà come avrebbe reagito se gli avesse confidato quante volte l’aveva trovata bella da togliere il fiato.

-Senti, io vado a cambiarmi e— la vide ravanare fra il mucchio di carte sparse sul mobile, forse dove giacevano lettere di fan che era meglio dimenticare; alcune erano piene di insulti alla sua persona, dopo la foto dei paparazzi, ma non aveva fatto in tempo a bruciarle.

-Caro Seung-Hyun amore mio adorato— cominciò a leggere con serietà, costringendolo a correre fino a lei per strapparle di mano quell’aborto di lettera.

La trascinò fino al divano, la fece sedere premendole le spalle e poi accese la tele, sotto il suo sguardo stranito e accigliato –Ma—

-Guarda la tele e stai zitta.-

Arcuò un sopracciglio mentre posava il mento sui pugni chiusi –Ma io non voglio vedere la tele, papà.-

-Beh, papà ha deciso così- sbottò –Non mi piace che guardi le mie cose.- voleva cercare di difenderla dalle cattiverie del suo mondo, ma sentì che quella non era la via giusta.

-Cos’è, sono in punizione?- domandò scettica, arcuando un sopracciglio –Mark non mi ha mai messa in castigo.-

-E grazie, era dall'altra parte del mo— la guardò ad occhi sbarrati, scrutando le sue fini sopracciglia aggrottate, le labbra schiuse… E si sentì un completo coglione per quell’indelicatezza gratuita che gli era scappata senza pensiero alcuno –Vado di là cambiarmi. Fai come se fossi a casa tua.- si stropicciò il volto. Tu resta qui, avrebbe voluto aggiungere, ma si disse che se fosse sparita sarebbe stata solo una giusta condanna.

Chiuse la porta del bagno dietro di sé, udendo l’accendersi della tele mentre la replica di un drama veniva trasmessa. Ringraziò che non avesse beccato un porno, sul serio. Recuperò il pigiama giacente sul bordo della vasca, piegato con amorevole cura da sua madre, e mentre si vestiva in automatico, senza guardare se i pantaloni li stava infilando a rovescio oppure no, si disse che qualcosa per rimediare alla gaffe di poco prima andava trovata. Che gettare del sale sulle sue ferite ancora aperte non era di certo il modo migliore per farla avvicinare a sé. E non sapeva nemmeno lui il perché di quella frase; semplicemente, si era detto che un po’ di cattiveria l’avrebbe tenuta distante dalle angherie di gente che non sapeva quanta bellezza avesse trasportato nel suo mondo, di quanta dolcezza possedesse quella ribelle tatuata, tanto da farlo sciogliere…

-Seung-Hyun, posso--

... Di quanto Lindsay fosse peggio dei bambini, davvero.

-Che cacchio— Ma esci!- intimò con un suono baritonale tremebondo, coprendosi il petto scoperto. Per fortuna che aveva i pantaloni già indosso, altrimenti sarebbe stato un serio problema.

Lin, con invidiabile calma e una sfrontatezza tale da prenderla a schiaffi, continuava invece a restarsene sulla soglia, una mano sulla maniglia e un’espressione di pura placidità sul volto -Tanto lì sotto ho già vi— le tirò contro l’asciugamano, udendo la sua fine imprecazione mentre la porta si chiudeva alle sue spalle.

-Sai, dovresti essere meno controllato, lasciarti più andare- la sua voce giunse morbida, per nulla collerica di fronte alla sua irruenza –Tanto, prima o poi faremo sesso.- e aveva udito i suoi passi allontanarsi dopo un silenzio che, forse, avrebbe dovuto colmare con qualche frase di circostanza alla Lo so, eh, per chi mi hai preso?, ma che aveva lasciato solo più senso di inutilità che altro.

Perché se c’era una cosa che voleva visceralmente da un po’ di tempo, era poterla possedere in maniera completa, che andassero oltre i semplici baci, gli abbracci e la passione che gli aveva donato senza rimesse. Ma cacchio, nessun momento sembrava essere quello giusto. Badare bene, Seung-Hyun non era una stupida ragazzina, non credeva che ci fosse il momento perfetto per potersela portare in branda, non viveva nel mondo delle favole, ma una cieca certezza ce l’aveva: la voleva non per sfogo, ma per reale desiderio. E poi ovviamente c’erano un sacco di altri fattori secondari che gravitavano intorno a quel problema, come la paura, la sensazione che una volta raggiunto quel traguardo tutto sarebbe diventato più scialbo.

E se farla propria significava perderla, allora tanto valeva spingere un po’ più in là quel momento.

Trascinò i propri piedi in salotto, trovandola rannicchiata sul divano mentre sorseggiava una birra e leggeva una delle riviste adagiate sul basso tavolino, Top non metabolizzò subito il motivo della sua permanenza lì, con lui e la sua stronzaggine, ma le fu silenziosamente grato –C’è della birra, se vuoi.- mormorò dopo averlo scorto, agitando la lattina.

-Vedo che hai già fatto gli onori di casa.- mugugnò sarcastico sedendosi dall’altro capo del sofà, agguattando una lattina che, sperava, potesse offuscare la sua mente il prima possibile.

Lin depose la rivista, guardandolo accigliata –Mi hai detto di fare come se fossi a casa mia e l’ho fatto- guardò la lattina con labbra arricciate –Anche se a casa mia non ci sono alcolici.-

-Qui o a New York?-

-Qui. Quando eravamo in America, papà beveva sempre- guardò di lato –Poi si è trasferito qui e ha smesso di bere. Credo che a Chyoko dia fastidio.- la vide sorseggiarne un po’, le guance rosse che spiccavano sull’incarnato pallido reso ancora più diafano dalla stanchezza.

E si ritrovò a sbuffare una mezza risata, Seung-Hyun, dicendosi quanto Lindsay fosse decisamente più forte rispetto a lui; le aveva rinfacciato con rabbia quanto lei fosse stata abituata a vivere senza un padre a crescerla, nemmeno fosse una colpa, ed era comunque rimasta. Senza dargli del cretino, senza offendersi, continuando a parlarne come se fosse una cosa di poco conto…

E alla terza birra della nottata si sentì in dovere di fare ammenda, solo per non apparire come un mostro ai suoi occhi nocciola pregni di malinconia –Sono un coglione, sul serio- rigirò la lattina fra le mani sentendosi osservato –Non avrei mai dovuto dirti quella cosa su tuo padre.-

Il silenzio che li circondò non gli parve pesante e se ne lasciò beare, conscio che forse stava solo meditando su come mandarlo a quel paese –Oh, ma tanto è vero- sventolò una mano –Non so davvero cosa significhi, quindi— si bloccò, gli occhi sottili mentre le labbra si piegavano all’insù –Sai? Non fa più così male.-

-E quando smette di far male?-

-Quando capisci che la sua presenza non è così fondamentale, o forse quando vedi che tua madre comincia a riprendersi- la sua voce si fece sottile –O quando smetti di credere di essere la causa della loro separazione.-

La guardò con tanto d’occhi –E perché dovresti pensare ad una cosa del genere?-

Guardò il soffitto, meditabonda –Non lo so, avevo dodici anni- tornò a guardarlo –A volte li sentivo litigare per qualcosa che avevo fatto o che mi riguardava- si strinse nelle spalle –Pensavo di essere il problema e nessuno mi ha mai smentita, quindi…- la sua spiegazione rimase sospesa nell’aria, celando chissà quante incognite che fecero sorgere più domande che silenzi. E Seung-Hyun non seppe se fosse per la birra o perché lei si sentisse a suo agio o per chissà quale mistica provvidenza, non sapeva più nulla, ma Lindsay continuava a mostrare sempre più sfaccettature della sua vita e per un attimo si sentì quasi orgoglioso di poter essere lì, presente. E, forse, uno dei tanti lati positivi che la stavano facendo cambiare. Perché diamine, mai come allora gli parve così distante dalla Lindsay Moore che aveva conosciuto; così menefreghista, ironica, talmente tanto austera da risultare odiosa, così disprezzabile da rasentare il male in terra…

-Tu mi piaci, Lin…-

-Mia madre non piangeva mai, ma era distrutta…-

-Da un po’…-

-Mio padre non mi chiamava mai…-

-E non posso farci nulla.-

 Per poi diventare l’oggetto costante dei suoi turbinanti pensieri.

-E io pensavo che volessero farmela pagare, che—

-Tu sei buona, lo sei davvero- la interruppe con flebilità, la nuca poggiata sul bracciolo e pago di quella completa sensazione di straniamento che la birra e le confessioni di Lindsay gli stavano donando –Come potresti essere un problema?- Sei forse la cosa più giusta che possa capitare, avrebbe voluto confidarle in un raptus di follia dilagante, ma bevve ancora e fece affogare quella marea di parole, conscio di essersi già messo abbastanza alla berlina.

La vide inumidirsi le labbra mentre ridacchiava scioccamente, l’ebrezza ormai ben visibile in ogni suo gesto non più calcolato, in ogni sua movenza fluida –Non lo sono, da un po’- avvolse le braccia intorno alle gambe piegate, posandovi sopra il mento –Una volta mia madre mi ha chiesto perché non me ne sono andata via con mio padre- vide i pugni avvolgersi sul tessuto dei pantaloni, ma le labbra continuavano a restare aperte in quello sciocco sorriso –Era nell’ufficio del preside, mi ero presa a pugni con Samantha, la capo cheerleader; ero andata a letto con il suo ragazzo, non l’ha presa molto bene- inclinò il capo, tornando a fissare in punto indefinito del muro –O quella volta che— si fermò, soffiando quella che doveva essere una risata, ma l’intontimento dovuto all’alcool non gli fece comprendere granché.

-Che?- chiuse gli occhi pesanti, stiracchiando le gambe mentre attendeva di sapere quale altra cazzata colossale avesse combinato Lindsay. Aprì un occhio quando la pausa divenne troppo lunga, ritrovandosi a scorgere il volto ormai spento di Lindsay, ancora rannicchiata in quell’angolo del divano che gli parve irraggiungibile. Eppure gli sarebbe bastato poco per accarezzarla, per dirsi che era davvero viva e non frutto della sua ubriacatura –Non sei costretta se non vuoi.- esalò allora, cercando di farla stare un po’ meglio. Incredibile come anche nelle proprie avversità, si ritrovasse a cercare di aiutarla, anteponendola a tutto.

-Era l’estate dell’anno scorso, ricordo che era un giovedì perché mamma usciva sempre con Il coglione, quel giorno- avrebbe tanto voluto interromperla per sapere chi fosse Il coglione, ma decise di godere di quello spettacolo di rara bellezza che era una Lindsay in fase di confessione –Shirley usciva con Peter e mi aveva invitata ad una festa a casa di un amico del suo ragazzo, un certo Bob o Ben, non ricordo- Che novità… -Non devi mancare, mi aveva detto, Sarà la festa più cool dell’anno, a casa mi annoiavo e sono andata- alzò il capo, corrugando la fronte mentre la sentiva parlare; Lin continuava a tenere lo sguardo basso, giocherellando con un lembo del pigiama –A metà serata ero già ubriaca e in camera con uno; Sam, John, qualcuno. Comunque mentre lo facevamo è entrata la polizia e ci ha arrestati, fine.-

Top guardò il soffitto con espressione adombrata, poi ripuntò lo sguardo scettico su di lei –E questo cosa sarebbe?-

-La storia di me che finisco in carcere.- alzò le spalle e gli rivolse un’espressione talmente pacifica da fargli roteare gli occhi.

Avrebbe voluto dirle che in realtà faceva pena come cantastorie, ma si ritrovò a sorriderle, rincuorato dal suo cercare di distrarlo seppure in maniera così impacciata –Dovresti aggiungere qualche dettaglio. E usare la terza persona- ironizzò fissando il soffitto; Lin mugugnò qualcosa, probabilmente un’imprecazione a lui incomprensibile, poi la guardò di sottecchi –Ma quindi sei finita in carcere perché lo stavi facendo con uno?- cercò di modulare la voce, evitando di farle cogliere la gelosia pulsante che continuava ad incrostare il suo cuore. Se non cominciava a considerarla la Lindsay di tutti, avrebbe rischiato di perderla, doveva farsene una ragione.

-No, mentre lo facevo sono stata arrestata- sventolò la mano libera –A quanto pare, l’organizzatore della festa era uno spacciatore tenuto sotto controllo dalla polizia. O qualcosa del genere, non è che me ne freghi- borbottò alla fine, carezzandosi il braccio tatuato con la mano libera. Seung-Hyun seguì quel lento movimento come ipnotizzato, fino a che la voce assorta di Lin non lo catturò di nuovo –Ricordo che Shirley ha pianto mentre eravamo in cella, le ho tenuto la mano per tutto il tempo. E io non riuscivo a pensare a nulla, volevo solo che la smettesse perché avevo mal di testa. Mi chiedevo quanto ci avrebbe impiegato mia madre ad arrivare o se mi avrebbe lasciata lì per farmela pagare- si morse l’interno delle guance –Ovviamente è arrivata e ha rotto le palle per tutto il tragitto.-

-E gliene dai torto?- la vide arricciare il naso, poi sventolò una mano –Tipo?-

-Tipo che stavo buttando la mia vita, che la mettevo in imbarazzo di continuo, che se fosse tornata indietro non mi avrebbe mai avuta- non le parve triste, ma i loro sguardi si incrociarono per un istante e le parve imbarazzata per quel suo scoprirsi così tanto –Le solite cose.-

Ma come le solite cose?! Una madre che dice ad un proprio figlio di non volerla non è esattamente ordinaria amministrazione! Sua madre non gli aveva mai rinfacciato nulla, ad esempio. Non era forse innato in una madre considerare i propri figli come una manna dal cielo? Non era forse innato in un genitore perdonare i propri figli per qualsiasi loro sbaglio? L’aveva sempre pensata così perché circondato da amici con genitori assennati; Daesung era stato perdonato, GD era stato perdonato –si presume, quel pirla non faceva visita ai suoi da ere-, lui era sempre stato perdonato… E poi capitava Lindsay a ribaltare ogni sua certezza, tutte quelle cose che aveva dato per scontato.

-Non sono le solite cose.- si ritrovò a borbottare con fermezza, rigirandosi la birra fra le mani.

-Per me lo sono- mugugnò apatica prima di riprendere il discorso –Il giorno dopo mi ha chiamata mio padre. Urlava, ha detto tante cose- la vide premere le labbra sulle ginocchia, i capelli che ricaddero davanti a lei, oscurandone la tristezza che aveva colto prima che decidesse di celarla –E io mi chiedevo perché per tutti quei mesi non mi avesse chiamata o perché quando lo facevo io, non si faceva mai trovare- ripuntò lo sguardo su di lui –Ho dovuto aspettare di finire in carcere per sentire la sua voce- alzò le spalle –Poi ho sbagliato il test alla Columbia e mia madre mi ha sbattuta qui e il resto lo sai.-

Ed ecco svelato il motivo del suo arrivo in Corea. Dopo mesi di conoscenza, dopo tante domande poste e pochi responsi ricevuti, uno dei misteri che aveva afflitto la sua mente pensante aveva finalmente trovato risposta. Che lo aveva lasciato senza parola alcuna per una buona manciata di minuti in cui l’aveva studiata di sottecchi, imprimendo indelebilmente sulla lavagna del cervello il suo delicato profilo che le conferiva un’aria un po’ snob. Ma cacchio, Lin non aveva nulla di snob e se all’inizio lo aveva pensato ad intervalli regolari di due, tre secondi, chiedendosi perché mai una tale piaga avesse dovuto appestare la sua amata terra, presto si era ritrovato a fare i conti con la sua essenza celata, quella che nascondeva una buona dose di bontà, a tratti dolcezza e spontaneità che non guastava mai.

Lindsay Moore era solo una comune ragazza che non aveva nulla di diverso di alle altre, ma c’era qualcosa in lei che, volente o nolente, restava sempre; una parola, un gesto, uno sguardo, un ricordo, qualsiasi cosa fosse, quell’americana dall’aria malinconica era riuscita a diventare una droga che creava dipendenza e il fatto che non l’avesse ancora mandata a casa a calci cominciava ad assumere un briciolo di significato. Lei era solo l’unione di tutti gli sbagli compiuti dai suoi genitori, una ragazza che aveva deciso di non farne tesoro per costruirsi una vita serena fatta di gioia ma che, anzi, aveva deciso di portare dentro sé tutto quel rancore, quell’ostilità che l’avevano chiusa agli altri, che aveva barricato il suo cuore dietro uno spesso strato di cinismo e indifferenza inscalfibile.

C’era qualcosa in lei che per un misero e fugace istante, gli fece pensare Cristo, lei è quella giusta, è quella che voglio. Ma fu solo un pensiero, che forse era dovuto all’ebrezza o alla stanchezza o al mix di sentimenti ingarbugliati che non lo facevano ragionare lucidamente. Ma l’affetto per lei c’era, era tangibile e consistente, e non aveva la parvenza di un futile gioco che avrebbe perpetrato solo per averla con sé un po’ di più.

-Ne hai combinate tante- mormorò assorto, tramortito dai propri pensieri che avevano preso una piega decisamente inaspettata –Mi chiedo quanto ancora tu abbia da nascondere.-

-Se vuoi ti racconto del taccheggio nel negozio di liquori.-

-Credo che non sarà interessante quanto quella del carcere.-

-Se vuoi ci aggiungo Godzilla e qualche alieno, giusto per movimentare il racconto- propose con un pizzico di ironia che gli strappò una risata, mentre la testa pesante cominciava a dolere; una pausa scandita dal tremolio incerto dei loro pensieri seguì la sua ilarità, ora immersa nella pesante inspirazione che Lin aveva compiuto con fatica –Seung-Hyun, non ho granché da raccontare.-

-O non vuoi?-

-Non sono interessanti.-

-Ma tu lo sei- sorrise un poco –Lo sei davvero.- e poi, cazzo, se non parlava e se ne restavano lì in silenzio avrebbe finito con l’esplodere o col rubarle le chiavi dell’auto per tornare in ospedale. Già il suo controllare il cellulare ogni cinque secondi stava divenendo un tic nervoso e fastidioso; aveva bisogno di sfogarsi.

E profetica, a salvarlo da quell’abisso di follia in cui stava precipitando, giunse Lindsay –Una volta mi hai chiesto come potessi stare con tanti ragazzi, fare l’amante, non appartenere- lo sguardo percorse il pavimento prima di giungere a lei, ora rannicchiata nel suo angolo di sofà –Non so come io faccia, ma ci riesco ed è semplice- sciolse quella barriera di braccia e gambe che l’aveva protetta fino ad allora –Mia madre dice che forse io sono destinata ad essere l’altra donna.-

-Tua madre è un po’ una stronza, eh- la interruppe scoglionato, decisamente confortato al pensiero che quella fosse dall’altro capo dell’oceano. La risata cristallina di Lindsay fu indelebile, seguita da un divertito L’ho sempre detto, che gli strappò un sorriso di serenità –Ma non è squallido?- le pose quella domanda con assoluta trasparenza, conscio che non se la sarebbe presa.

E Lindsay sorrise, sorrise per davvero -Ma sono libera- di un sorriso talmente tanto luminoso che ne rimase folgorato e anche un po’ indispettito –Nessuna lite, nessuna responsabilità- perché se amava così tanto la libertà, tanto che solo questa riusciva a riempirle il cuore, allora forse non sarebbe mai riuscito a ritagliarsi un piccolo spazietto –Solo me stessa, ed è più semplice.- non sarebbe mai riuscito a divenire ciò che lei, per lui, stava diventando da un po’.

Una certezza in mezzo al mucchio di traballanti insicurezze che continuavano a piazzarsi nella sua vita, il classico faro nella notte, un ancora di salvataggio che gli avrebbe permesso di respirare, di trovare la via di casa anche se in mare aperto.

E offuscato da una rabbia incipiente che aveva solleticato ogni suoi nervo più teso, ottenebrato dalla birra che continuava a sibilargli quanto Lindsay non meritasse tutto ciò che di buono aveva da offrirle, che quella ragazza avrebbe masticato tutta la sua bontà e l’avrebbe sputata senza farsene nulla, senza assaporare quel poco di affetto che le stava donando senza volere nulla in cambio, sospinto da un desiderio dapprima sopito e ora sempre più battagliero, Seung-Hyun si sporse e mandò a farsi benedire quel poco di lucidità che gli era rimasta.

Rinchiuse la sua fragilità momentanea in un abbraccio saldo, affondando il naso nei suoi capelli corvini che sapevano di pesca e solo dopo aver catturato le sue labbra con un bacio ed aver avvertito il suo rispondere con crescente avidità, si concesse di spingersi oltre, che tanto lei voleva solo quello, no? E allora era meglio prendersi ciò che lei aveva da offrirgli, perché forse non avrebbe avuto null’altro da quello spirito che bramava la liberta, tanto da rimanerne intrappolata.

Averla sotto di sé, avvertire il suo esile corpo assecondare ogni suo gesto da cui traspariva scarsa delicatezza. Era come se per un attimo il cervello si fosse scollegato e quella meraviglia a cui aveva appena sfilato la maglietta non fosse la sua Lin, ma una qualsiasi. Una valvola di sfogo in quel momento di sconforto.

Era per questo non avrebbe dovuto tenerla con sé, quella notte.

Ma non ci pensò, non lo realizzò, approfittò della sua generosa concessione senza chiedersi se lei volesse o meno, incitato dalla cieca consapevolezza che Lindsay non gli avrebbe negato alcunché. Aveva sempre immaginato –sì, perché fantasticare su di lei era all’ordine del giorno- che ritrovandosela mezza nuda sotto di sé sarebbe stato uno spettacolo così meraviglioso da lasciarlo incantato o quantomeno con la sciocca scelta di dover imprimere nella propria mente ogni più piccolo dettaglio del suo corpo diafano. Ma con quell’istinto maniacale di dover prosciugare ogni traccia di ciò che di bello c’era tra loro, si tuffò sul suo ventre piatto, depositandovi sopra una miriade di baci che, a contatto con la sua pelle gelida, gli stavano bruciando le labbra. Risalì, mosse un poco il bacino mentre la sentiva circondargli la vita con le gambe a cui ancora non aveva sfilato i pantaloni. Ma si disse che per quello aveva tempo.

Avvertì il suo seno sotto le proprie mani e quando Lin vibrò, emettendo un gemito che di piacere non aveva nulla, si bloccò. Tutto, di lui, si fermò. Forse perfino il tempo, i pianeti, il Mondo stesso smise di girare. Nella mente ora pervasa da un fiume di ragione, un solo e lacerante pensiero: Che cazzo sto facendo?

Si sollevò, portando le mani fra i capelli, chiedendosi come avesse potuto anche solo pensare di scaricare la propria rabbia su di lei che, frastornata, si sollevò sui gomiti per guardarlo senza giudizio, solo con confusione. Si adagiò dall’altro capo del sofà, il volto nascosto dalle mani –Scusami.-

-Fi-Figurati.- dalle fessure, poté scorgere il seno nudo di Lindsay che veniva coperto dalla sola maglietta

-Non so cosa mi sia preso. Io— deglutì prima di guardarla spezzato, udendo i cocci del proprio cuore risuonare secchi nella gabbia toracica –Era meglio se fossi stata a casa.-  come si diceva… Le cose giuste al momento sbagliato, no? E l’essere ubriachi quando avrebbe fatto meglio ad essere sobrio, pure.

-Io volevo stare qui, con te- le sue parole furono uno schiaffo di lucidità disarmante –Anche questa è liberta, sai?- e la sua ultima frase, quella criptica perla in stile Ji Yong, non infuse altro che dolcezza e un senso di comprensione e perdono che, davvero, per un istante furono sul punto di farlo scoppiare in lacrime solo per inaridire ogni goccia di nervosismo e dolore.

Un fruscio sul sofà mise in allarme i suoi sensi, preparandolo all’eventualità che lei potesse andarsene dopo quel suo crollo emotivo che lui stesso non riusciva a sopportare, figurarsi lei che aveva cercato di vivere la propria esistenza al riparo da tutto quello.

Ma Lin, nel rumore dei suoi dubbi, lo aveva abbracciato, aveva lavato via le sue lacrime invisibili con i propri baci, aveva asciugato tutta la sua tristezza nel silenzio del suo dolore, con delicatezza, dolcezza, un’amorevolezza che non credeva potesse avere. E si rese conto ancora una volta di come nel suo essere sgraziata, fosse sempre lì per sorreggerlo. Senza chiedergli nulla in cambio, senza prepotenza, vegliando con discrezione e con poche parole che lenivano ogni sua ferita.

Avvertì l’urgenza di sommergerla con qualche cazzata romantica pur di liberarsi da tutto quel maremoto di emozioni che lo aveva assalito, appesantendogli il cuore, ma quando si era riscoperto a guardarla, si era detto che tutto avrebbe potuto disilludere quel momento di sospensione che forse mai sarebbe ricapitato. Così la strinse piano, trattenendola un po’ di più a sé, sussurrandole a fior di labbra un debole –Resti qui?- che era un po’ come dirle Ho bisogno di te.

-Quanto vuoi.- la sentì bisbigliare dopo quella che gli parve un’eternità.

E si fece bastare quel Quanto vuoi, che era un periodo di tempo ragionevolmente lungo visto che spettava a lui decidere quando mandarla via.

Già.

Peccato che in un momento di completo blackout mentale, si disse che nemmeno tutto il tempo del mondo gli sarebbe bastato.

 

 

 

 

 

 

A Vip’s corner:

Spero che Yang Hyun-seok si stia toccando le palle in questo momento… Ecco, ora più che mai mi sento di ribadire che i personaggi appartengono a loro stessi leider e che questa storia non si basa su fatti realmente accaduti ma solo per… Sfizio? Ok, mi sento in una brutta posizione ò.ò Ad ogni modo, sul serio, non auguro nessun male a PapàYG, ma mi serviva per i miei scopi ç.ç

Macinavo questo capitolo da un po’, praticamente  da inizio storia e se penso che ho penato per arrivare fino a qui e non mi soddisfa pienamente, mi dispiace molto. La chiacchierata tra Top e Lin non era come me l’ero immaginata, i pensieri di GD sono sconclusionati e non sono riuscita a dar loro il senso che volevo, ho provato ad alleggerire il tutto infarcendolo con battute ironiche ma non so quanto ci sia riuscita… Che dire? Sono piuttosto demoralizzata/demotivata… Molto demo, lo ammetto. Non riesco più a scrivere con l’entusiasmo con cui ho iniziato, ma forse perché le cose si complicano e mi sembra di non saperle gestire, rileggo e mi sembra tutto un’accozzaglia di schifezze… E’ come se puntassi sempre verso il lato sbagliato della bussola e con questa storia, nonostante l’ago indichi il Nord, continuo ad andare a Sud. C’è tutto quello che doveva esserci come da miei piani, ma mi sembra stia diventando molto noioso e a lungo andare credo che l’attenzione dei lettori possa calare. O forse lo è già, boh…

Ad ogni modo, all’inizio sentivo che mancava qualcosa, ovvero un’introduzione al fatto che il CEO fosse stato male, perché sarebbe stato il classico filo conduttore tra il capitolo passato e questo, ma ho preferito giocare sulla scontatezza. Che non posso stare a raccontare ogni singolo trascorso della loro vita, è improponibile. Questa è una notte qualunque e prima di queste sono successe molte altre cose ancora che ai fini della trama non servono. Insomma, così mi sembra più reale, ecco. Ma sono prontissima ad essere smentita, eh.

Ad ogni modo, spero che si riesca a cogliere qualche emozione –anche schifo, eh-; no ve lo dico perché ho scritto metà capitolo con sottofondo un orribile film di Steven Segal e poi quell’aborto con John Cena, quindi…

Passerei ai ringraziamenti, che mi piacciono sempre tanto tanto: a coloro hanno recensito il precedente capitolo e quel coso che è un ormai lontanissimo primo capitolo: Appler_Girl, MionGD, ssilen, kassy382, TheshiningSofia, heretic overdose, YB_Moon, Alexia_BB, JustMusicLove e Sognatrice_di_Stelle, a voi va tutto il mio affetto da fanwriter mancata. Davvero, mi siete così tanto di supporto che a volte mi sento un po’ una schifezza a postarvi certi scempi.

Ringrazio poi chi ha aggiunto la storia fra le seguite/ricordate/preferite e chi legge silenziosamente. Io invito sempre tutti a lasciare un segno del proprio passaggio premendo il tasto Inserisci una recensione, altrimenti sconosciuti virtuali come prima xD

Alla prossima (si spera con meno errori e più fiducia in me stessa Something)!

Heaven.

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Capitolo 25
*** It’s just happiness… And nothing else matters ***


Capitolo 25

It’s just happiness… And nothing else matters

 

Never opened myself this way

Life is ours, we live it our way

All these words I don't just say

And nothing else matters”

-Nothing else matters, Metallica-

 

 

 

Se c’era una cosa che Seung-Hyun aveva sempre odiato, era l’essere svegliato in maniera brusca. Tutto poteva ricollegarsi agli spiacevoli episodi di lui che, rannicchiato in un bozzolo di lenzuola pieno di stampe di eroi di fumetti, veniva catapultato nell’orrenda realtà della sua giovane vita con un soave Cuore mio, alzati che è già tardi, mentre la luce che irradiava Seoul invadeva la sua piccola camera da letto. Sarebbe bastata la voce di sua madre a rendere la sveglia qualcosa di così piacevole da divenirgli addirittura spontaneo, ma venire tramortito dai raggi del Sole quello no, non lo invogliava a districarsi da quella dolce trappola calda e confortevole.

Un trauma, per ridurre tutto ad una semplice parola.

Trauma infantile che divenne poi il timore dei suoi anni d’oro quando aveva cominciato a convivere con quattro disadattati che, a quanto pareva, adoravano svegliarlo nei modi più tremendi possibili. Forse erano sadici o forse volevano morire giovani; qualsiasi cosa fosse, Seung-Hyun odiava la voce isterica di Dae che faceva sempre sfumare quella dolce di sua madre; odiava Taeyang e la sua bruschezza nello sfilargli le coperte di dosso, biascicando un assonnato Alzati. Colazione. Lavoro., e il tutto con voce in stile Lurch degli Addams! –inquietante, davvero-; odiava Ri e la sua irruenza: aveva il brutto vizio di armarsi di pentole, cucchiaio di legno e cominciare a suonare quella batteria improvvisata che più e più volte avrebbe voluto lanciargli contro, con la speranza che un po’ di sangue dipingesse le pareti bianche.

Ma il peggiore tra tutti era quello squilibrato di Ji Yong. Infatti, se gli altri erano abitudinari e quindi ormai sapeva riconoscere chi si era arrogato il diritto di venir odiato per tutta la giornata, da quando gli avevano fatto emettere il primo verso di dissenso sotto il cuscino, il leader era l’improvvisazione fatta a persona. Una volta gli aveva versato dell’acqua gelata sulla testa senza proferire parola, una volta aveva acceso lo stereo nella sua camera facendo partire l’assordante musica dei Rise Against che, per carità divina, sembrava stessero tenendo un concerto ad un metro dal suo letto; c’era stato l’episodio del rasoio elettrico ad un centimetro dal suo orecchio mentre cinguettava un macabro Qualcuno qui ha bisogno di una spuntatina ai capelli; e come dimenticare  il sempre apprezzatissimo suono delle tapparelle che venivano sollevate, mentre i cardini del suo cervello cigolavano intorpiditi?

Odio profondo quindi per tutti i metodi possibili ed inimmaginabili di sveglia e per quei quattro cretini che se non erano ancora morti, era solo perché lui era fondamentalmente buono. E perché, ovviamente, il Karma li avrebbe puniti in maniera altrettanto agghiacciante.

Ma ci fu qualcosa nella sveglia di quella mattina, che aveva avuto un non sapeva che di diverso, quasi piacevole, ecco. Piacevole era la parola che più poteva descrivere il suo rigettarsi nella quotidianità della sua vita.

Stringeva il cellulare che aveva funto da sveglia, un sorriso di serenità a dipingergli il volto solcato da stanchezza che aveva intaccato il suo colorito olivastro; davanti agli occhi, il messaggio di quel debosciato di Ji Yong che con poche, striminzite righe, aveva reso quel venerdì mattina di un febbraio quasi giunto al termine, decisamente meno orribile di quello che era stato il suo ultimo pensiero prima di addormentarsi. Il CEO sta bene, solo quello, e per lui fu come se Ji Yong lo avesse chiamato urlandoglielo fra le lacrime di gioia. Del resto, quell’uomo era stato come un padre per lui, li aveva sempre trattati come figli. Era normale sentirsi spaesati e tramortiti al pensiero che la sua guida venisse meno.

Allungò un braccio verso il tavolino, gettandovi sopra l’Iphone senza badare minimamente a graffi vari ed eventuali, troppo impegnato a non svegliare una Lindsay appisolata sul suo addome. Respirava piano, regolare, con un braccio sotto la nuca e l’altra  a penzoloni, apparentemente non infastidita dal martellare incessante del suo cuore che, a quanto sembrava, aveva intenzione di percorrere la maratona di New York tanto scalpitava furiosamente.

Un sorriso spuntò sul viso mentre, giocherellando con i suoi capelli, avvertì un mugugno di dissenso mentre si sistemava.

Lindsay era un gatto. No, davvero, acciambellata sul suo addome, fra le sue braccia, sembrava un felino che dormiva da almeno diciotto ore. Il pelo folto e nero c’era, mancava solo che facesse le fusa e avrebbe potuto chiamarla Minou. O Duchessa. No, meglio Duchessa, perché Minou gli stava sulle palle. Arrogante, saccente, petulante ed attaccabrighe, quella matassa di pelo bianco era un chiaro esempio lampante di quella che era stata la Lindsay nei primi atti della loro conoscenza. E lui, ovviamente, si era comportato come il Bizet della situazione, così infantile da doverla sempre punzecchiare per il più infimo pretesto. Fino a che non si era dimostrata un po’ più umana, facendogli scoprire quanta bellezza potesse celarsi dietro una facciata di sbruffoneria erta solo perché aveva deciso di soccombere alle ingiustizie della vita piuttosto che affrontarle, farne tesoro, ed evitare di trascorrere un’esistenza di infelicità e solitudine.

Ma c’era dolcezza nella sua inettitudine nell’essere sensibile.

Ricordava di essere crollato sotto i suoi baci, così delicati da farlo entrare in uno stato di quiete apparente, si era addormentato con la cieca convinzione che l’indomani sarebbe sparita, lasciandogli solo il ricordo della soavità che gli aveva regalato senza rimessa alcuna, con la spietata consapevolezza che quel poco di bello che Lindsay gli concedeva, altro non era che semplice sfoggio di amicizia. Un po’ malandata, certo, ma che non andava oltre quel desolante traguardo.

E fu strano per Seung-Hyun rendersi conto di quanto ciò cominciasse a non bastare più, mentre attorcigliava intorno all’indice un suo lungo boccolo corvino, adoperando quanta più delicatezza possedesse pur di non svegliarla; che cominciare a frequentarla con assiduità, poterle dire tutto ciò che gli gravitava in testa senza timore di ripercussioni, semplicemente ritenersi una parte importante della sua vita, non gli sarebbe dispiaciuto poi così tanto.

Ma era bastato un attimo per ricacciare indietro quegli improvvisi pensieri; il tempo di un mugugno di dissenso, il tempo di un leggero movimento che antecedeva il suo lento sollevarsi…
 

Ehi…-
 

Il tempo di vedere i suoi occhi. Forse, bastò solo quello.

Anche in quello stato di sonnolenza, Lindsay gli parve la ragazza più bella che mai avesse avuto l’onore di sostare fra le sue braccia, ma lo sguardo ripieno di timore mal celato che gli aveva riservato, gli aveva fatto capire cosa non andasse: qualcuno aveva preso la sua infanzia e l’aveva accartocciata come una bozza da buttare, sgualcendola; qualcuno aveva preso la sua bontà e l’aveva buttata in un baratro di profonda diffidenza. Qualcuno l’aveva spinta al limite della sua voglia di amare, della sua capacità di credere all’amore, ai limiti della sofferenza che avrebbe potuto sopportare, rendendola distante.

E ancora una volta, Seung-Hyun si ritrovò costretto a nasconderle il proprio affetto che era lì, pulsante, vibrante, pronto ad esplodere ed avvolgerla. E solo per trattenerla a sé un po’ di più.

Lin poggiò il mento sulle braccia incrociate, continuando ad usarlo come tavolino.

-Giorno.- le mormorò in risposta, guardando il soffitto mentre attendeva che un invisibile spago incatenasse tutti i suoi pensieri molesti.

Lin coprì uno sbadiglio sulle braccia, poi tornò a fissarlo a palpebre socchiuse –Era Ji Yong?- domandò biascicante, indicandogli il cellulare con un cenno del capo quando la guardò confusamente.

Top annuì, incapace di reprimere un sorriso di pura beatitudine –Sì, dice che Yang Hyun-seok sta meglio.-

-Sono contenta- mormorò abbozzando un sorriso –Te l’avevo detto che sarebbe andato tutto bene.- già, glielo aveva detto, ma era stato troppo impaurito per poterle credere.

Per un periodo di tempo indefinito, i due si guardarono nel silenzio più profondo; Seung-Hyun ne approfittò per studiare il suo volto inciso dalla stanchezza, le palpebre socchiuse e contornate di pesante trucco ormai sfumato, quasi a voler sottolineare la fragilità dei suoi stessi pensieri. E lui ci provò sul serio ad intrappolarli, a comprendere cosa mai stesse accadendo in quel suo caos interiore, ma Lin era di un’ermeticità talmente inossidabile che si arrese.

-Credo che dovrei ringraziarti per ieri- mormorò massaggiandosi una tempia -Se non fosse stato per te, non so cosa avrei combinato.- e nemmeno voleva pensarci, a dire il vero.

-Non ho fatto nulla- avrebbe voluto confessarle che in realtà aveva fatto molto, anche solo con la sua presenza, ma Lin si sollevò un poco per guardarsi attorno con curiosità -Ma i tuoi genitori?- tornò a guardarlo, giocherellando con un laccio della sua felpa.

-Papà è in viaggio, mamma e Hye Yoon dovrebbero tornare domani.-

-Hye Yoon?-

-Mhm- tracciò la linea del suo naso con l’indice, avvertendolo arricciarsi sotto il polpastrello per il prurito –E’ mia sorella maggiore- la vide annuire mentre si riaccoccolava sul suo addome –Tu hai solo Minji?-

-Per fortuna.- lo prese per un , soprattutto perché il suo volto si era liquefatto in una maschera di irritazione.

Sbatacchiò le palpebre –Io la trovo carina.-

-E’ una rompipalle- le diede un buffetto sulla nuca e Lin roteò gli occhi –Nh, insomma, non è poi così male. Credo di averla odiata per un po’ di tempo- indirizzò il proprio sguardo verso il televisore spento -Ero così gelosa- sorrise un poco –Quando venivo a trovare mio padre, lui giocava solo con Minji; poi tornavo a New York e mi dicevo che non era giusto. Lei aveva lui, io avevo Emily.-

Tralasciò la nota di sofferenza che aveva fatto sfumare l’apatia della sua voce vellutata, stringendola involontariamente in una presa più salda -E’ così terribile tua madre?- domandò sovrappensiero, incapace di poter concepire com una figlia e una madre non potessero andare oltre il livello dell’indifferenza. Era abituato a vedere le due donne di casa scambiarsi infinite conversazioni, tanto che a volte si domandava se avessero imbastito un sano rapporto madre-figlia o si divertissero ad imitare Una mamma per amica.

-E’ una donna triste- la piega che la sua voce prese fu strana, come se per la prima volta avesse deciso di non ricorrere agli insulti per descriverla ma anzi, avesse deciso di provare a comprenderla e dare un senso alla sua cattiveria -Due donne tristi non vanno d’accordo.- fu come se stesse cercando di descrivere sé stessa senza però esplicitarlo.

E lo udì il proprio –Sei triste?- sospeso nell’aria, che la costrinse a sollevare il viso per poterlo guardare meglio, una domanda così personale che la fece tremare fra le sue braccia. Perché li aveva avvertiti i brividi che scossero il suo corpo gracile, che fecero allargare i suoi occhi nocciola mentre tornava a sfruttare il suo addome come tavolino. E la tristezza, quella fu talmente visibile che per un istante si diede del cretino per aver anche solo posto quella sciocca domanda.

Ma Lin premette le labbra sul braccio e un flebile –Ero.- si insinuò nelle pieghe della sua mente, la parte che aveva il brutto vizio di alimentare la speranza e soggiogarlo con futili illusioni. Un Ero che diceva tutto e niente, che sembrava il trampolino di lancio per chissà quale nuovo livello di quel gioco che avevano cominciato. E avrebbe voluto chiederle spiegazioni, anche una scusa andava bene purché suonasse plausibile. Ma Lindsay si sporse, baciandolo piano. Un retrogusto amaro di parole taciute si mescolò al desiderio di poter lasciar eclissarsi ogni futile discorso, ogni possibilità di scoperta. Perché mutamente gli stava dicendo quanto poco di lei volesse concedergli, quanto mai sarebbe stato capace di afferrare i suoi svolazzanti pensieri, impossibili da trattenere proprio come la loro fautrice.

E Top nascose ancora una volta la voglia viscerale di poter ammirare un’altra sfaccettatura della sua enigmatica personalità, solo per risolvere quel rompicapo all’apparenza così difficile che era la sua anima. Che in realtà era molto più semplice di quanto desse a vedere.

Con lentezza ribaltò le posizioni, facendola adagiare sotto di sé, avvertendo le sue labbra aprirsi in un sorriso mentre tornava a baciarla, deciso a ricompensarla per tutto ciò che aveva fatto per lui incondizionatamente. Per la gentilezza, per il piacere che più volte gli aveva fatto provare e gli aveva strappato con languidezza, per il suo restare anche se la paura avvolgeva ogni altro istinto. Per il suo essere entrata in un problema che non la riguardava, suo e suo soltanto, e averlo fatto proprio. Come se per un attimo fossero stati davvero legati, davvero normali, davvero desiderosi di recidere quelle basi instabili su cui continuavano a giocare.

Le sfilò la maglietta, godette della visione della sua pelle nuda e pallida in netto contrasto con la propria olivastra mano che la percorreva con lentezza, avvertendola fremere sotto i suoi tocchi calibrati. Solo allora si rese conto di quanto diafano fosse il suo incarnato, talmente candido che anche il gesto più involontariamente marcato avrebbe rischiato di lasciarvi un segno indelebile. E mentre la scrutava, mentre imprimeva nella propria memoria ogni più minuscolo dettaglio del suo corpo, deglutendo e inumidendosi le labbra quando si accorse di come le fantasie non potessero neppure lontanamente sfiorare in bellezza quella realtà, Seung-Hyun si chiese quanti avessero avuto la fortuna di godere di tale spettacolo e quanti tra loro l’avevano presa con la stessa irruenza che le aveva riservato ieri, quanti l’avevano stretta con delicatezza, quanti se ne erano riscoperti ammaliati perché la fantasia non rendeva lei giustizia, quanti l’avevano avvolta di passione. Quanti, alla fine, se ne erano innamorati. Perché Lindsay non amava mai, ma gli altri? Qualcuno doveva pur essere caduto nella sua trappola, infognandosi in quella miriade di sentimenti che lei continuava a respingere pur di sopravvivere.

E per un misero istante, prima di depositare una scia di baci sulla linea morbida del suo seno, avrebbe voluto sussurrarle qualcosa del tipo Posso aiutarti a sopravvivere, se vuoi., rettificando il tutto con un deciso Voglio. Perché potere e volere, erano due sfaccettature completamente diverse dello stesso desiderio. Potere significava che lui aveva le capacità per poterla aiutare, ma volere… Volere significava che era pronto a lasciarsi sopraffare dalle sue paure, farle proprie, entrare nel suo caos e conviverci.

Le radici dei suoi pensieri vennero strappate dalle dita affusolate di Lindsay, immerse nei suoi capelli scuri appiattiti mentre l’altra mano risaliva lungo la linea tesa del suo collo, i polpastrelli che si posarono sulle labbra schiuse, carezzandole, lasciandosi solleticare dal suo respiro spezzato. Non ci fu niente di più bello di quel filo invisibile ed ipnotico che continuava a tenere saldi i loro sguardi e perfino quell’accenno di imbarazzo che aveva pensato sarebbe nato, nel mostrarsi così ardente di passione crescente per lei, non si presentò a frantumare l’armonia di quel momento.

Solo quando si accorse di aver raggiunto il bordo dei suoi pantaloni, la consapevolezza bussò alla soglia delle porte del suo cervello, rammentandogli che tirarsi indietro ora sarebbe stata una mossa suicida non solo per la loro unione, ma anche per la voglia di lui che Lin riponeva in ogni suo gesto. E quando gli regalò uno sguardo carico di aspettativa, capì di essere arrivato al punto di non ritorno, che lei era pronta ad essere sua e di nessun’altro. Che in quel soggiorno pregno dei loro respiri, nient’altro aveva importanza.

Il suo Seung-Hyun appena mormorato fu seducente, sul serio, e avrebbe voluto chiederle di ripeterlo all’infinito, così almeno avrebbe serbato qualcosa di lei per sempre. Perché Lin non sarebbe mai stata sua, no? E se anche lo fosse stata, quando sarebbe durato? Il tempo di una passione effimera, del rendersi conto che non ne valeva la pena, che poteva vivere benissimo senza le miriadi di belle emozioni che continuava a lasciargli come graffi all’anima.

Ma le dita sfiorarono il pizzo delle sue mutandine e tutti i pensieri si volatilizzarono, permettendogli di godere di quel momento da tanto agognato. Studiò i suoi occhi noccioli lucidi e socchiusi, le labbra rosse e carnose, il desiderio palpabile che stava delineando ogni suo più piccolo lineamento e gesto. E quando la vide mordersi il labbro inferiore, lo accolse come un muto invito a procedere, ad infonderle un po’ di piacere che chissà da quanto stava aspettando. E non indugiò oltre, solleticato dal suo sguardo pregno di passione e dal suo respiro appena udibile mentre le dita si infilavano oltre il bordo degli slip. Bastava poco, bastava davvero poco per poter andare oltre…

 

-Hye Yoon, non buttare lì la valigia!-

-Che palle.-

-Ti ho sentita signorina, credi sia diventata sorda?!-

 

Oh.Cristo.Santissimo…

-No mam--OhMio— le parole si fermarono in aria, a pochi metri da lui e il primo vero contatto che avrebbe potuto avere con Lindsay; Lindsay che, alla vista di una sconosciuta in casa, subito si coprì il seno nudo con le braccia mentre uno sguardo di velata confusione andava ad adagiarsi sulla seconda figura ora apparsa in scena…

-Seung-Hyun! Ma che cosa—

Uno spettacolo decisamente imbarazzante, dovette ammetterlo…

 

-Ma-Mamma!-

-Choi Seung-Hyun…-

 

Uno spettacolo che non gli piacque per nulla.

Sulla soglia del salotto, strette in cappotti leggeri, svettavano sua sorella maggiore con l’immancabile valigia fucsia a pois neri e sua madre, le labbra dischiuse dalla sorpresa. Sorpresa che si eclissò immediatamente quando la risatina leggera di Hye Yoon colpì loro come uno schiaffo di lucidità non indifferente. E la passione precipitò in pacchiata nel baratro della vergogna.

Sollevò le mani in aria, nemmeno avesse appena tentato di rubare la borsa ad una vecchietta nel bel mezzo di une festa, lasciando alla berlina una Lin dalle guance rosse e lo sguardo perso per la stanza, alla ricerca della maglietta che chissà doveva aveva lanciato, preso dalla troppa passione.

-E bravo il mio fratellino!- si congratulò sua sorella portando le mani sui fianchi, rivolgendogli un’espressione che non seppe se classificare come orgoglio o derisione. Perché Hye Yoon era sempre stata così, un po’ irriverente ma mai sfrontata, un po’ punzecchiante ma mai fastidiosa. E forse, dopo tutte le volte che le aveva confidato quanto gli sarebbe piaciuto avere qualcuno al proprio fianco da accudire e che lo accudisse, era solo contenta di averlo pescato con le mani nei pantaloni di una ragazza.

Un po’ meno lo era sua madre che labbra serrate e mento sollevato, attendeva impaziente che qualcuno proferisse parola in quel marasma di tensione appena sfociata in un silenzio imbarazzante e così palpabile che avrebbe addirittura potuto fungere da maglietta per Lindsay. A proposito di Lindsay… Ma perché continuava a restarsene mezza nuda?! Così peggiorava solo le cose!

-Co-Copriti!- starnazzò, gettandole contro la propria felpa affinché potesse darsi una mossa –Mamma, non è come sembra.- si volse poi verso la donna, scendendo dal divano sempre con le mani alzate.

-Perché ti comporti come un ladro?- domandò Lindsay con serietà, il rumore della zip che veniva sollevato. Un fiotto di calore si impossessò di lui quando si rese conto che la propria felpa stava avendo l’onore di coprirla. Chissà se anche su quella avrebbe depositato un po’ della sua fragranza…

-Risparmiami- la secchezza della donna lo riportò alla realtà -Hye Yoon, vai a mettere la valigia in camera. Seung-Hyun, tu muoviti a venire in cucina- gli rifilò un’occhiata in tralice mentre il lamento di sua sorella si smarriva nell’aria sotto i suoi passi pesanti, poi si concentrò su Lindsay che continuava a cercare la maglietta –E tu—

-Lindsay.- la interruppe apatica, lanciandogli uno sguardo truce da dietro la matassa scomposta di capelli scuri. Seung-Hyun stiracchiò un sorriso, ma vano fu il suo Scusa mimato con le labbra. Che poi… Scusa di che? Mica era colpa sua se sua madre aveva deciso di accorciare la propria capatina dai nonni di un giorno!

La donna inspirò profondamente, probabilmente spazientita da quella situazione e l’atteggiamento apparentemente strafottente di Lindsay, che per la prima volta le parve davvero a disagio in presenza di estranei –Se invitata a colazione, se ti va.- sua madre scomparve e l’aria pesante del salotto divenne ancora più irrespirabile. Quella sottospecie di ordine non gli parve granché un invito e il serafico –Ti conviene non farla arrabbiare di più.- che sua sorella decantò in salotto prima di sparire non fu loro d’aiuto.

Lin cominciò a giocherellare con una ciocca di capelli. Seung-Hyun si lisciò la maglietta e la guardò –Puoi farti una doccia se ti va.-

-Sbaglio o dovevano tornare domani?- ignorò la sua proposta, probabilmente seccata dall’interruzione.  Ma grattandosi la nuca, ravanando alla ricerca di giustificazioni plausibili da poter elargire alla madre superiora che aveva cominciato a disseminare il proprio nervosismo sulle povere pentole in cucina, si disse che forse Lin non avrebbe voluto conoscere la sua famiglia così prematuramente. Anzi, forse non avrebbe voluto e basta. Perché era un passo troppo importante nella vita di una coppia e la loro, a ben guardare, era tutto fuorché un insieme di due persone che decidono di condividere assieme la propria esistenza.

Sorrise un poco, desolato da quel pensiero -Dovevano- ripeté dopo aver sospirato, sentendosi tremendamente a disagio in quella situazione che mai prima di allora gli era capitata –Senti, ti prego, non andartene- la vide aggrottare le sopracciglia –O penseranno che mi sono portato a casa una squillo.-

-Se ti comporti così, lo penseranno davvero.- sentenziò imitando le sue mani alzante, rifilandogli un ghigno da brava stronza quale era.

-Lin, è mia madre- bofonchiò guardando di sottecchi la cucina; nessuna mamma incazzosa sulla soglia, ottimo –E’ imbarazzante!-

La ragazza corrugò la fronte –Ma non eri tu quello che voleva baciare la sua prima ragazza davanti a lei?-

-Ma avevo dieci anni e— si fermò, gli occhi assottigliati e taglienti come due lame –Come fai a saperlo?!- perché lui non aveva sbandierato tale cazzata. Era così imbarazzante che si era categoricamente rifiutato di raccontarglielo. Che fosse stato quello stronzo di Ji Yong?

-Ginko- ah, la rana dalla bocca larga –Lei sa tutto di voi.-

-Inquietante.-

-Pensa che ha anche le vostre foto appese nell’armadio- la guardò allucinato –La tua invece la tiene nel frigo- un sorriso si spanse sulle sue labbra dapprima arricciate –Dice che sei un aiuto alla sua dieta.-

-Quella è una fanatica.-

-E’ solo una fan- alzò le spalle –I fanatici sono quelli che poi ti uccidono- lo indicò con tutta la quiete del mondo –Pensa, potresti venire ucciso proprio come John Lennon.-

-E dovrebbe consolarmi?!-

-Ma tu non sei John Lennon, quindi…-

-Stai dicendo che faccio schifo come cantante?-

-No, ma—

-John Lennon, la colazione è pronta!- la voce perentoria di sua madre, cosparsa di evidente ironia, interruppe quella discussione sfociata nell’assurdo, come sempre del resto. E pur nell’imbarazzo, pur nella consapevolezza che una bella ramanzina sarebbe arrivata presto, pur nel fastidio di una Lindsay che sembrava un Pokemon selvatico appena catturato, non poté trattenersi dallo scoppiare a ridere mentre le palpebre della ragazza si abbassavano e alzavano con velocità, sopraffatta dalla confusione. Portò le mani allo stomaco mentre si piegava in avanti, sentendosi più leggero. Decisamente, tutto quello non aveva senso. E gli stava piacendo da matti.

-Sei impazzito?- domandò scettica.

Un po’. Di te.

Seung-Hyun scosse la nuca –Sono solo felice- si sporse e le baciò la fronte, beandosi della sua espressione sorpresa e smarrita –Non andartene.- ripeté più sereno, inebriato dalla solleticante certezza che non si sarebbe mossa da quel divano…

-Oh, ciao! Io sono Hye Yoon!-

Soprattutto ora che sua sorella si era presentata.

 

Quando si sporse in cucina, l’immagine di sua madre intenta a cucinare gli scaldò il cuore. Sul serio, era una di quelle immagini che la sua mente gli aveva più volte riproposto con una sequenza di diapositive in bianco e nero, dai tratti smussati, impalpabili nella malinconia che continuavano a trasmettergli. E ora che poteva vederla lì in carne ed ossa, l’istinto di correre lì e abbracciarla lo stava soffocando. Ma non seppe spiegarsi per quale razza di motivo non lo fece, limitandosi a subire la sua occhiata bieca mentre andava a sedersi dietro il tavolo, lasciandosi avvolgere dall’aroma di caffè. Aveva il vago sentore che se l’avesse abbracciata, la donna lo avrebbe preso come quella che Ji Yong avrebbe finemente definito leccata di culo. Lui preferiva chiamarla corruzione, ma perché era elegante e il suo vocabolario si estendeva oltre le parolacce.

Adagiò lo sguardo sul mucchio di biscotti e brioche che sua madre aveva deposto senza nemmeno avergli chiesto se avesse fame. Così come si era premurata di porre al suo posto una tazza di caffè scuro e amaro senza essersi accertata che effettivamente avesse voglia di mangiare. Gli ritornò alla mente una mattina di mesi e mesi addietro, quando una Lindsay allo stato brado gli aveva preparato la colazione dopo anni di indipendenza, infondendogli un calore così bruciante da liquefargli l’anima. E per un breve istante gli parve di vedere la sua figura esile con indosso la sua felpa nera della Fubu zampettare oltre il bancone di marmo, allungandogli un pacchetto di biscotti al miele; se la sua voce scoglionata, proveniente dal soggiorno intenta a conversare con sua sorella non fosse giunta fino a lui, probabilmente avrebbe continuato a vivere di quell’illusione.

-Siediti e mangia.- la voce stanca di sua madre lo ridestò; piccole rughe solcavano il volto segnato dal tempo mentre i capelli neri cominciavano ad imbianchirsi sull’attaccatura delle tempie. La trovò bella esattamente come la mamma della sua infanzia, quella che riceveva sempre le occhiate degli altri genitori quando lo accompagnava a scuola, quella che da piccolo avrebbe voluto sposare perché la donna perfetta. Un po’ austera, un po’ severa, ma infinitamente dolce.

-Non ho fame.- decretò portando una mano allo stomaco.

La donna sbuffò sonoramente –La colazione è il pasto più importante della giornata- sentenziò ferrea, scollando lo sguardo dal pentolino del latte per Hye Yoon che, sicuramente, aveva richiesto la sua amata cioccolata per colazione -Ma mangi abbastanza?- il suo sguardo preoccupato lo carezzò –Sei così magro.-

-Tranquilla.-

-Non dirmi che sei ancora a dieta!- lo incalzò con severità, apparendo minacciosa con quelle mani sui fianchi e le sopracciglia aggrottate.

-Qualche volta- il Seung-Hyun che ne seguì fu un misto di angoscia e gelo che lo spinse a proseguire, cercando una scusa accettabile –Mamma, tra poco ho un servizio per la Fubu! Non posso presentarmi lì ingrassato!- pontificò con decisione, mettendosi a braccia conserte mentre la vedeva scuotere la nuca, tornando ad occuparsi delle sue pentole.

-Non ne vedo il senso-

-Non capisco il senso della tua dieta.-

Lin mangiucchiò un biscotto.

-Stai bene così. E’ inutile.-

 

-Sei così bello.-

Arrossì visibilmente, vergognandosi di ricevere ancora complimenti così sinceri da parte di sua madre. Che era piacevole, d’accordo, ma l’imbarazzo era automatico, non poteva controllarlo.

-Se lo dici tu.- ma la sua risposta fu ancora più cretina, dovette fare autocritica. No perché per un momento gli parve di essere ritornato bambino, quando i parenti gli facevano i complimenti e lui se ne usciva con frasi del genere, giusto per sopperire alla vergogna.

Si avviò al tavolo e la pesantezza con cui si sedette calzò a pennello con quella situazione decisamente surreale e se non fosse stato per la tazza di caffè fumante riposta proprio al suo posto, probabilmente avrebbe creduto di essere un tremendo incubo. Di quelli così orrendi che quando ci si sveglia si hanno le palpitazioni e i sudori freddi. Colto con le mani nelle mutandine di una ragazza dalla propria madre non era esattamente il sogno di ogni ventiseienne che si rispetti, eh. E non era nemmeno nei suoi piani presentare così anticipatamente suddetta ragazza alla propria famiglia. Ringraziò che suo padre fosse in viaggio per lavoro, almeno si sarebbe risparmiato le sue prese per il culo. O prediche riguardo l’utilizzo delle dovute precauzioni, roba da fargli accapponare la pelle, insomma.

Guardò le spalle di sua madre, sorridendo un poco nel rendersi conto di quanto i suoi ricordi non si discostassero poi dalla realtà, nonostante i mesi di lontananza. Certo, ripresentarsi in maniera un tantino meno imbarazzante sarebbe stata cosa buona e giusta, ma la felicità nel poter riudire la sua voce non dietro una cornetta, gli stava facendo esplodere il cuore di smisurata felicità.

Avrei dovuto chiamare- esalò –Non pensavo nemmeno fossi a casa.- la sua voce tranquilla, nonostante la cadenza un po’ severa, lo riportò coi piedi per terra.

Seung-Hyun si grattò la nuca e dopo un sospiro propese per la verità, che tanto sua madre non avrebbe creduto alle sue bugie -Yang Hyun-seok è stato male. Non avevo voglia di stare con gli altri.-

Sua madre gli lanciò uno sguardo oltre la spalla, lasciando perdere per un momento il pentolino del latte –Sta bene ora?- la sua voce intrisa di preoccupazione lo costrinsero ad annuire, allievando così la sua ansia –Oh, bene davvero. Sono contenta- sospirò –Avresti potuto chiamarmi. Sarei corsa qui subito.- bofonchiò con disappunto, assumendo quel tipico atteggiamento da mamma chioccia che non vuole abbandonare i propri figli per nulla al mondo. E sorrise ancora, Seung-Hyun, che nonostante l’età continuava ad essere trattato come il piccolo di casa. Che ventisei, quaranta, cinquanta anni, poco importava; lui sarebbe rimasto sempre il suo cuore e certe abitudini erano dure a morire.

-Lo so.-

-Ma a quanto pare eri già in dolce compagnia- lo apostrofò con una punta di sarcasmo. Seung-Hyun bastonò a morte una sonora imprecazione che avrebbe tanto voluto spandersi nell’aria, ma la fossa era già stata scavata, voleva evitare di buttarcisi dentro a bomba -E’ la tua ragazza?- sua madre sembrò captare il centro dei suoi pensieri, guardandolo con sguardo scrutatore in cerca di una risposta preventiva.

E qui veniva il bello. Che poi era la cosa peggiore che potesse capitargli. Come dire alla propria madre che quella ragazza che gironzolava in casa loro era una specie di scopamica senza lo scopa? No, perché probabilmente le sarebbe venuta una sincope e dopo essersi ripresa gli avrebbe rammentato che le donne andavano trattate bene, preservate e che, al proprio fianco, aveva bisogno di una ragazza che si prendesse cura di lui, non qualcuna che gli prosciugasse il conto in banca che sarebbe andato dilapidato in tatuaggi.

-Nh.- grugnì scazzato, massaggiandosi il collo mentre decideva su che cibo strafogarsi, con la speranza che gli andasse di traverso e morisse lì, veloce ed indolore. Sarebbe stato il primo cantante a venir ricordato per essere stato ucciso da un biscotto al cioccolato; pregava che i media ingigantissero la cosa parlando di biscotti fatti di eroina, paragonandolo ad un John Belushi dell’Oriente.

-Seung-Hyun.- lo intimò rigida, continuando a rigirare il latte nel pentolino.

-No, non lo è.-

Incredibile come fosse bastato il proprio nome pronunciato con fermezza per spillargli una risposta precisa e senza sbavature. E gli era bastato vedere la sua stretta schiena irrigidirsi per comprendere che la discussione non vergeva a proprio favore. Ma sua madre era sempre stata così: dalla scorza dura e ruvida all’esterno ma così dolce all’interno da non poterla non adorare.

Vide le sue spalle incurvarsi, poi il suo sospiro pesante. E capì che una bella ramanzina sarebbe giunta –Seung-Hyun, hai bisogno di qualcuna che si prenda cura di te.- andò dritta al punto della questione senza alcun interludio, forse anche lei stanca di ripeterglielo ogni benedetta volta.

La guardò con disappunto, già sfiancato ancor prima di essere arrivato al momento in cui avrebbe elencato le innumerevoli qualità che un’ipotetica lei avrebbe dovuto avere; lo sguardo cadde in picchiata sulla soglia della cucina quando udì la voce di Lindsay che, ovviamente, non sarebbe mai rientrata nella lista di papabili fidanzate -So badare a me.- sbottò a quel punto, sospinto dalla malsana idea che se la Moore non poteva neanche solo arrivare al punto più basso di quella lista, allora tanto valeva darle fuoco.

-Qualcuna più grande- roteò gli occhi per essere stato ignorato; ormai quel dialogo lo sapeva a memoria tante volte glielo aveva ripetuto –Sì, sono sicura che sarebbe il tipo perfetto per te- non poté vederlo dalla posizione in cui si trovava, ma avrebbe potuto giurare che un enorme sorriso avesse illuminato il suo volto –Matura, dolce, affabile, elegante, una buona mo—

-Lindsay non è male.- allargò gli occhi quando si rese conto di averla interrotta e sollevando il capo, si rese conto di come sua madre lo stesse fissando con sorpresa. Quella frase gli era uscita senza pensarci, avvertendo il cuore palpitare al pensiero di un vago futuro al fianco della Moore. Che anche solo potersi ritenere parte della sua vita, era abbastanza. Guardò convulsamente la porta, pregando che la ragazza non fosse sulla soglia, magari avendo appena udito quella sua stronzata colossale; ma lei e sua sorella erano ancora in salotto, con suo sommo sollievo.

Sua madre non fiatò per qualche minuto, macinando la sua sparata probabilmente, poi si intromise nei suoi ricordi -Dove l’hai conosciuta?-

-Quando ero in giro con gli altri.-

-Immagino in che locale vi siate infilati voi cinque- sciorinò sarcastica, alludendo sicuramente all’aspetto da evasa che Lindsay sfoggiava con assoluta disinvoltura. Avrebbe tanto voluto dirle che i tatuaggi non facevano esattamente la personalità di una qualsivoglia persona, ma proprio quando aveva dischiuso le labbra per esalare tale perla, ecco che la donna aveva ripreso il suo discorso, questa volta con più pacatezza -E’ lei la ragazza di cui parlavano al Go Show?- Oh, porco cazzo, l’intervista… E pensare che l’aveva accantonata in un cassetto che recava la dicitura Non aprite questa serratura, dove poi gettava tutte le cazzate che avevano vergognosamente macchiato la sua vita. Tipo il bacio alla sua prima ragazzina, sul fiume Han, con lei nascosta dietro un cassonetto e lui che gridava Ehi mamma, gua— No, d’accordo, gli veniva la nausea al solo ripensarci -Deve piacerti parecchio- mormorò rivolgendogli un sorriso dolce –Sembri più felice. Sei più bello, sai?-

E cazzo, felice lo era per davvero, come non lo era da tempo. Perché amava il suo lavoro, amava quella grande famiglia che era la YG, amava vivere con quei quattro dementi che tutto sommato gli allietavano le giornate, ma da quando Lindsay aveva deciso di intrufolarsi nella sua quotidianità, sentiva che tutto aveva acquistato un senso. Un senso che in realtà era sempre esistito, ma non era mai stato così nitido come adesso. E sorrise di cuore al pensiero che qualcuno avesse scorto la sua serenità ritrovata, cosa che a quanto pare sfuggiva a chi lo conosceva da tempo. E poi c’era sua madre, forse l’unica che riusciva a cogliere il profondo mutamento che aveva subito da quando aveva scoperto l’America.

E non ebbe bisogno di risponderle, perché lei doveva aver capito tutto, come sempre. Gli aveva solo sorriso ulteriormente, prima di tornare a rimestare il latte canticchiando -Mamma?- la chiamò assorto, sentendosi regredire ogni secondo che passava –Ti è mai capitato di volere bene a qualcuno, ma non essere ricambiata?- era una domanda banale che spesso si era posto, ma quando l’aveva chiesta a GD, quel cretino gli aveva rifilato un asciutto Mai, e quindi niente, non si era granché fidato della sua risposta.

-Mai- e va beh –Sai bene che ho avuto solo tuo padre. E’ stato amore a prima vista e—

-E il sole splendeva, e lui era bellissimo, e tu avevi indosso quello sciocco vestito a fiori- sorrise di fronte al suo disappunto –Lo so, me lo hai raccontato tante volte- si incupì quando si rese conto che forse mai nessuno sarebbe riuscito a dargli una risposta e a quel punto, la domanda più difficile che mai avrebbe potuto girovagargli in mente, si palesò a lui in tutta la sua lucentezza –E quando hai capito di esserti innamorata?- e in tutta la sua lucentezza, illuminò il buio del loro discorso. Che si era fatto più pesante nella sua serietà, ma era in qualche modo sopportabile. Il fatto che sua madre non avesse deviato l’argomento, rendeva tutto più semplice.

-Non è qualcosa che capisci, è qualcosa che senti. Ed accade improvvisamente, non perché lo vuoi tu- la sua voce giunse placida, quasi gli stesse raccontando una delle tante favole che da piccolo gli aveva letto ogni notte prima di rimboccargli le coperte –E’ come magia, è inspiegabile e non è mai uguale- la sua voce si fece più bassa, quasi stesse rimembrando i bei tempi andati e Seung-Hyun si sentì trascinato dal suo passato, dicendosi che mai sua madre gli era parsa più bella –Quando conobbi tuo padre, mi sentivo come un puzzle a cui mancava un pezzo e il primo pensiero che ebbi nel vederlo fu Lui è il tassello mancante. Non pensai a nient’altro, bastò quello per farmi sentire completa.-

Quindi l’amore era sentirsi completi? Se così fosse, allora era stato innamorato una marea di volte. Anche quando gli avevano comprato un cane si era sentito completo e realizzato, ciò non significava che avrebbe voluto convolare a nozze con l’ormai defunto Snoop-Dog –Dio, santo, ma davvero gli aveva dato un nome del genere? Povera bestia-.

Sbuffò, stropicciandosi gli occhi -E poi dicono che l’amore è una cosa semplice.- sbottò con scazzo, nascondendo le labbra dietro il palmo aperto.

Sua madre lanciò un’occhiata alla porta, poi scosse la nuca -Seung-Hyun, l’amore è mistero puro e semplice- lo guardò con amorevolezza dopo aver spento il fuoco –E quando lo trovi non lo capisci ma ne vedi la forma- lo guardò con aspettativa, quasi si aspettasse che potesse comprenderla –Quando lo trovi e gli dai un volto, quello è l’amore.-

Dare un volto all’amore…

-Seung-Hyun- la voce di Lin lo ridestò; ferma sulla soglia, lo fissava ad intermittenza, posando di tanto in tanto lo sguardo su sua madre che con una terrina recuperava il pentolino dell’acqua bollente –Io vado.-

-Di già?- Hye Yoon la affiancò, guardandola mogia. Sua sorella era incredibile… Chissà quanto l’aveva tramortita con la sua parlantina instancabile.

Sventolò le chiavi –Credo che papà rivoglia indietro la sua macchina- storse il naso -E credo di essere di troppo.- che era un eufemismo in quella casa enorme. Lo sguardo che gli lanciò, gli fece però comprendere di cosa stesse parlando: che non vedeva la sua famiglia da tempo immemore e forse lasciarlo solo con loro, era solo un modo per alleviare il suo dolore.

E per un misero, fugace quanto spaventoso istante, credette di aver visto l’amore palesarsi ai suoi occhi. E allora avrebbe voluto dirle No, resta, non dai fastidio. Non me ne dai mai, ma le parole si attorcigliarono in gola, abbandonandolo proprio quando ne aveva un disperato bisogno…

 

-Preferisci il caffè o il the?-

 

Ma sua madre sembrò andargli in soccorso, come sempre del resto.

Seung-Hyun guardò con fronte corrugata la tazza fumante ancora piena, non capendo il perché di quella richiesta. Solo quando sollevò lo sguardo, vide la donna fissare Lindsay che, sorpresa, se ne restava zitta mentre Hye Hyoon ravanava in un cassetto alla ricerca di un’altra tovaglietta –Beh? Non ti piace nessuno dei due?- seguitò mentre versava la cioccolata in una tazza.

-Ahm, ecco—

-The o caffè?- ripeté ferrea, guardandola con le mani sui fianchi e le sopracciglia sollevate.

-The, grazie.- fece tintinnare le chiavi, continuando a fissarla sulla soglia, apparentemente immobile.

-Beh, siediti- con un cenno del capo le indicò la sedia libera –Non vorrai berlo in piedi.-

Lin scosse la nuca, stranamente docile e soprattutto dotata di un’educazione che non le apparteneva. Perché a volte si era immaginato un ipotetico incontro tra Lin e i suoi e puntualmente, la ragazza finiva con l’esalare chissà quale stronzata ripiena di sgarbatezza. E niente, solitamente finiva come in Romeo e Julietta… Una tragedia.

Gli sfilò accanto, sedendosi sulla sedia vuota alla sua sinistra, lo sguardo puntato sulle cibarie che ricoprivano il bancone. Allungò una mano verso i biscotti al cioccolato senza troppe cerimonie e quando si sentì osservata, gli rivolse uno sguardo nocciola decisamente meno aggressivo rispetto a quello con cui l’aveva lasciata in soggiorno. E nel loro silenzio un po’ speciale, quello dove non avevano bisogno di dirsi alcunché per comprendersi, Lin sembrò perdonarlo con un misero gesto: la sua mano affusolata tesa verso di lui, che agitava un poco la scatola, concedendogli un biscotto che prima aveva guardato con raccapezzo perché distruttore della sua ferrea dieta. Ma con un breve sorriso lo accettò.

Sua sorella si sedette davanti a loro continuando a chiacchierare a macchinetta, riportando un po’ di leggerezza nella cucina; quando sua madre si sedette composta, sorseggiando il the con entrambe le mani, distolse l’attenzione da loro -Mamma, posso farmi anche io un tatuaggio?-

-No.-

-Ma mamma!- si lagnò guardandola accigliata –Hai visto anche tu quanto sono belli!- indicò Lindsay che si riparò dietro la tazza di caffè. Sbuffò –Scommetto che sua madre non ha fatto tutte queste storie.-

-Mi ha tolto la paghetta.-

-Lo prendo per un no.- esalò la donna con un sorrisetto di vittoria a scolpirle il volto ovale mentre Hye Yoon tornava a lagnarsi.

E Seung-Hyun si sentì a proprio agio dopo un sacco di tempo, talmente tanto felice che sarebbe potuto esplodere in un nuvolo di cuoricini raccapriccianti. E la sensazione di benessere si amplificò quando le dita di Lin si posarono sul suo ginocchio, rapendo la sua attenzione coinvolta nella discussione madre-figlia. La guardò con curiosità, rabbrividendo a quel tocco leggero –Ora stai meglio?- sussurrò piano, quasi fosse imbarazzata al pensiero che una scemenza del genere potesse essere udita dalle altre.

E gli si scaldò il cuore come mai prima di allora. Annegò nei suoi occhi che non lo abbandonarono per un secondo, si estraniò dal chiacchiericcio della cucina per immergersi nel silenzio di quell’oceano che erano i propri pensieri. Che vertevano su lei e lei soltanto.

E il resto non aveva più importanza alcuna.

Non ebbe bisogno di dirle un banale ; bastò un sorriso, il suo tornare a mangiare in religioso silenzio condividendo con lei metà brioche dopo essersi permesso di aver intrecciato le loro mani per un battito di ciglia. Il CEO stava bene e le tre donne più importanti della sua vita erano lì, con lui.

Cosa poteva desiderare di più?

 

*****

 

Lindsay aveva sempre reagito con indifferenza alle urla di Emily, un po’ perché aveva scandito interminabili ore della sua dimenticabile infanzia, un po’ perché erano un accavallarsi di frasi così scontate e monotone da divenire inascoltabili.

Perfino nella scena che veniva riproposta non c’era nulla fuori posto. La location era sempre la cucina, con lei seduta al tavolo e sua madre che faceva avanti e indietro in un girotondo di nervosismo crescente, le braccia che si sollevavano mentre parole venivano scagliate contro il suo gracile corpo e mentre un vago senso di inutilità si insinuava in lei. Che era una buona a nulla, che stava mandando tutto a rotoli… Che c’erano errori ed errori e lei, nella sua vita da psicologa all’apice della propria carriera, era uno di quelli peggiori.

E certe frasi divenivano talmente scontate da apparire scialbe, così ripetitive che non facevano più male. Che si perdevano dietro un’alzata di spalle, una roteazione degli occhi, il suo guardare il soffitto o le luci di una New York immersa nel buio. Modi semplici per ergere ulteriori barriere spesse.

Ma quel giorno, Lindsay scoprì per la prima volta cosa significava avere a che fare con un padre incazzoso e che attendeva la figlia ribelle al varco armato di caffè, occhiaie e una metaforica carabina che altro non era che il suo Io e te dobbiamo parlare.

Ed ora eccola lì, seduta sempre in cucina, la sguardo posato sul vassoio dei biscotti che Chyo le aveva posto sotto il naso nonostante la sua riluttanza, sorpresa di non udire nessun passo pesante risuonare nella stanza. Perché Mark era lì, seduto dall’altra parte del tavolo, con la mascella tesa e lo sguardo fiammeggiante -Da cosa preferisci cominciare- la voce inflessibile di Mark si abbatté sulla sua nuca come una ghigliottina –Dalla macchina rubata o le aiuole distrutte?-

-Lo gnomo da giardino.-

-Lindsay, sono serio.- sbottò allora suo padre, ora in veste di leone ruggente che doveva farsi rispettare dal cucciolo che, come da copione, si era andato a divertire in quelle che non erano le terre del branco. Con la sua Cadillac. Ed interpellando Dio, che ovviamente l’aveva abbandonata quando si era trattato di sorbirsi la sua paternale.

Perché vani erano stati i tentativi di Lin di dirgli che un amico aveva avuto bisogno del suo appoggio; le sue giustificazioni erano state liquidate con un secco Non me ne frega, a cui lei aveva replicato con un silenzio da Oltretomba.

-Papà—

-Non so se Emily ti permetteva di fare quello che volevi, quando volevi- la sua voce spezzò la spessa barriera che aveva erto a protezione, dandole un pieno schiaffo sul volto che tornò ad abbassarsi –Ma fino a che sei in casa mia, fai quello dico io, sono stato chiaro?- le pareti smisero di tremare, le sue barriere di barcollare e il proprio capo di annuire.

Che.Palle.

-Scusa- mormorò scazzata –Non lo farò più.- si sentiva tremendamente scema a dire una cosa del genere, un po’ perché era la pura verità e le sembrava sciocco ribadirlo ad alta voce, un po’ perché aveva la sensazione di essere regredita a quando aveva cinque anni e l’avevano beccata a pasticciare le pareti di casa mentre la babysitter chiacchierava al telefono con il fidanzato. Con suo conseguente licenziamento. Ben le stava a quella stronza, comunque.

Suo padre sospirò pesantemente, le mani che andarono a stropicciarsi gli occhi dopo aver tolto gli occhiali –Lindsay, non voglio discutere- tornò a guardarla –La prossima volta, parla al posto di fare senza pensare.-

E qui corrugò la fronte. Lei, a dir la verità, ci aveva un po’ pensato a quello che aveva fatto la sera precedente. Oddio, aveva viaggiato per Seoul in uno stato di trance, ma non è che fosse partita all’avventura come una sprovveduta –Certo.- bofonchiò per dargli il contentino.

-Un po’ di passione in quel certo non guasterebbe, eh- sciorinò sarcastico, costringendola a sorridere un poco –Ma tanto tu non parli, no?- lo vide scuotere la nuca anche se un sorriso gli dipingeva il volto, senza che la delusione ne deturpasse i lineamenti marcati –Sei proprio come Emily, lo sai?- Che complimento! –Lei non parlava mai, si nascondeva sempre dietro i suoi pensieri- Lin serrò le labbra –Ma nei suoi silenzi mi trovavo bene.-

-E allora perché te ne sei andato?- allargò gli occhi a quella domanda, conscia di non averla solo pensata. E quando vide il volto di suo padre divenire una maschera di incredulità, comprese di aver detto la cazzata della giornata. Il fatto era che la chiacchierata notturna con Seung-Hyun aveva riportato a galla tutte quelle domande che a lungo avevano soggiornato in lei, ma mai avevano deciso di fare un giro turistico per andare a trovare il padrone Moore. E sentì l’urgenza di evadere, che forse la risposta non gli sarebbe piaciuta o magari sarebbe stato lui a cacciarla, che la domanda non era di suo gradimento…

-Perché a volte il problema non è dove scappare, ma dove restare- fu un soffio leggero –Linnie, non ero felice lì.-

O forse, avrebbe messo in mostra il suo egoismo mai preso in considerazione.

Perché Lindsay non si era mai curata di ciò che i suoi genitori avevano potuto provare, mai si era messa nell’ottica di due persone che vedono un amore fiorito appassire senza che nessuno potesse recidere le radici malate e che succhiavano via linfa vitale del loro rapporto. Vedeva Emily seduta su quella poltrona e si chiedeva Che ne è della mia sofferenza?, vedeva suo padre nel suo studio e si chiedeva Che ne è della mia felicità?

-Non lo ero nemmeno io.- confessò apatica, le mani che si torturavano sotto il bancone, cercando di liberare un po’ di nervosismo accumulatosi. Sorrise amara; ancora una volta, se ne era bellamente infischiata di ciò che suo padre le aveva detto, rifocalizzando l’attenzione su di sé. Era la peggiore, non ce n’era.

Suo padre annuì –Lo so. Abbiamo pensato solo a noi, non a te- allungò una mano sul tavolo, come se potesse raggiungere la sua –Se non eravamo felici, come potevi esserlo te?-

-Potevi portarmi con te.-

Mark sospirò –Ci sono cose che vanno oltre le mie decisioni- sottolineò con uno scossone del capo –E poi, Emily sarebbe rimasta sola.-

-Lo avrebbe preferito.- di gran lunga, sul serio. Del resto era stata lei a ripeterglielo più e più volte.

-E’ solo arrabbiata con sé stessa per non aver tarpato la tua libertà- la vide grattarsi la barba, pensoso, prima che una risata svagata gli scappasse –Mi ha sempre detto che le ricordavi me ai tempi del liceo.-

-Anche tu rubavi nei negozi di liquore?-

-Il primato sulle bravate lo lascio a te, tranquilla- replicò ironico, perdendo un po’ di quel divertimento ritrovato, forse memore della chiamata di Emily per spiegargli l’accaduto. Il cazziatone che ne era seguito era stato epocale, ma scacciò via il pensiero con un grugnito –No, non quello. Dice sempre che il tuo carattere è come un maremoto. Talmente selvaggio da essere indomabile- la guardò con un sorriso nostalgico e Lin sentì il cuore riempirsi di bruciante calore, così come gli occhi le parvero divenire lucidi –Ma non può fare a meno di pensare che tu sia una delle poche gioie che ha.-

-Non me l’ha mai detto.- mormorò imbarazzata, sentendosi in colpa per non aver mai guardato oltre la freddezza di sua madre. Che era triste, sola, più fragile di quanto desse a vedere. Che era una donna che aveva dovuto crescere una figlia incapace di starsene tranquilla, che puntava sempre verso il caos della vita pur di sfuggire ai propri problemi. E che c’era sempre stata. Nei rimproveri, nelle punizioni, negli sguardi ricolmi di gelo e preoccupazione traballante, c’era sempre stata.

-Emily non è brava con le parole- inspirò –Avrebbe voluto fare di più, ma da quando sei nata, sapeva che saresti stata un amante della libertà. Ha detto che quando ti ha presa tra le braccia, eri talmente piena di sentimenti e forza che sembravi in procinto di prendere il volo- sorrise –E che eri la cosa più bella che avesse mai visto.-

-Ma se ero raggrinzita e pelata?- bofonchiò disgustata, memore di una foto terribile di lei insieme ad altri bambini, all’ospedale. No, proprio non capiva come i genitori potessero amare certi sgorbi.

Mark rise –Un giorno sarai madre e capirai.-

Lin allargò gli occhi –Per carità!-

-Non vuoi sposarti?-

-Per carità!-

-Qualcos’altro?-

-Un Che schifo andrebbe bene?- civettò più serena, rinfrancata dal fatto che il discorso si fosse fatto più leggero –Io non voglio sposarmi e non voglio avere figli- sentenziò seria –Sono impegnativi.- tagliò corto, arricciando le labbra mentre rabbrividiva nella visione di sé stessa in abito bianco che camminava sotto le navate a braccetto con Mark. No, no, un tremendo film dell’orrore, ecco cos’era quello.

-E se trovassi quello giusto?- domandò arcuando un sopracciglio –Con questo Seung-Hyun mi sembra che le cose vadano bene.-

Lin sgranò gli occhi, pietrificata al pensiero che quel mentecatto avrebbe potuto farle un’improvvisa dichiarazione d’amore o peggio, chiederla in sposa. E poi cos’era quell’aberrante chiacchierata cuore a cuore? L’aveva già detto che tutto questo sembrava un film dell’orrore?

-E’ solo un amico.-

-Ma che ti rende felice- la guardò oltre le lenti appena risposte sul naso –Sbaglio?-

Felice… Seung-Hyun la rendeva felice? Era una domanda che non si era mai posta, ma non perché c’entrasse lui, semplicemente perché la sua gioia se ne era andata su di un taxi giallo alla volta della Corea e allora aveva smesso di cercarla. Pensando che mai sarebbe ritornata. E non era felicità quella che provava quando stava con lui, no? La serenità era una cosa diversa, no? La sensazione di completo appagamento anche senza fare sesso, la sensazione di liberta che poteva provare nel parlare senza timore alcuno. Il non stare assieme ma ritrovarsi vicini, avendosi senza trattenersi.

-E’ solo un amico- ripeté frastornata, adoperando una convinzione che non sentiva propria –Un buon amico.- precisò confusamente, chiedendosi il perché di quella specificazione inutile.

Mark la guardò scettico, annuendo –Se ti fa soffrire—

-Non lo farà- Sarò io a far soffrire lui, come sempre… -Lui è—

-Buono?-

-Diverso- sorrise un poco, grattandosi la punta del naso –E sì, buono.- e lui buono lo era sul serio. Diamine, l’altra sera erano lì sul punto di farlo e lui cosa faceva? Le chiedeva scusa. E solo perché aveva usato meno delicatezza del solito. Gli altri non si sarebbero fatti così tanti scrupoli e la cosa più sorprendente, fu il proprio ritrovarsi spaesata di fronte alla sua remissione, incapace di credere che potesse trattenersi. Che pensasse prima a lei, poi arrivava lui e il suo piacere.

Non era abituata, non lo era affatto.

-Sì, beh, e che continui ad esserlo- agitò un indice, ma Lin non si sentì minacciata –A proposito, ha chiamato Emily, dice che è uscita la data per l’esame di ammissione alla Columbia- ah, già, l’università. A volte si dimenticava di essersi concessa una seconda possibilità –La scadenza è entro 15 di marzo, quindi--

-Aha.-

-Niente Aha- sentenziò macabro, assottigliando gli occhi -La tua risposta dovrebbe un essere un Vado subito a prenotare.-

-Ho tutto il tempo- replicò placida, sventolando una mano; lo sentì ruggire, così aggiunse –Mi informo e mi iscrivo, non preoccuparti- lo guardò con serietà –Voglio provarci sul serio questa volta.-

Mark annuì, apparentemente soddisfatto di come si fosse conclusa la discussione. E, decisamente, anche Lindsay non se ne pentì. E quando suo padre le depositò un bacio sulla fronte, scandendo un placido -Ti voglio bene.- Lin avvertì bruciante dolcezza avvolgere la sua anima stanca e lacerata, lenendo un po’ di quella sofferenza a lungo trattenuta. L’aveva baciata nell’esatto punto in cui le labbra di Seung-Hyun si erano posate, lasciando la loro impronta invisibile, e si era riscoperta così serena che per un attimo avrebbe voluto ingabbiarli in un abbraccio. Perché con le parole faceva davvero schifo, ma aveva scoperto che in quanto a gesti non se la cavava poi così male.

E quella mattina, a casa Choi, si era dimenticata di tutto e tutti, come se in quella stanza ci fossero solo loro. Senza paure, senza pensieri. Solo il loro stare bene. E null’altro aveva avuto importanza… …
 

-Poi senti Emily.-

-Aha.-

-E prenota per l’esame.-

-Certo.-
 

E per un attimo le tornò in mente Seung-Hyun, ripensò alla sua felicità…
 

-Sono solo felice.-


Si ritrovò a pensare che non avrebbe voluto strappargliela.

 

*****

 

Lo studio di registrazione non gli era mai apparso così affollato. Eppure, guardandosi attorno con svogliatezza, GD si rese conto di come solo lui e gli altri fossero lì presenti, intenti a buttare già quel paio di canzoni che proprio non volevano saperne di uscire fuori.

In degenza, il CEO aveva dato loro la benedizione di potersi prendere almeno un paio di giorni di ferie, probabilmente avendo scorto la spossatezza sui loro volti più pallidi del solito, ma GD non aveva alcuna intenzione di barricarsi in casa o sotto le lenzuola di qualcuna, masochisticamente deciso a lasciarsi azzannare dai propri pensieri turbinanti. Il fatto che però quelle quattro delizie avesse deciso di non abbandonarlo, era già un incentivo a non pensare a sé stesso. Che lì, di menti da plasmare, ce n’erano così tante.

Dae e Tae leggevano una rivista nel più totale silenzio, commentando di tanto in tanto quel vestito piuttosto che quella coppia formatasi per saziare la fame di gossip della massa; SeungRi aveva appena convolato a nozze con il suo Iphone, sorridendo come un beota quando quella psicopatica della Fujii rispondeva alle sue cretinate. Il fatto che come suoneria avesse messo I will always love you cantata da sé stesso, la diceva lunga sulla sanità mentale di quel mentecatto. Ma deviò lo sguardo in direzione dell’ottava meraviglia che se ne stava in religioso silenzio lì, tra loro, fautore di tutto quel casino lì in sala.

E a questo punto, qualcuno avrebbe potuto chiedere: Ma se siete solo voi cinque, l’affollamento dove lo vedi?, con il sempre evergreen Questo è sbarellato.

E lui avrebbe guardato la platea dall’alto del proprio trono, della propria fine capacità di analisi, bollandoli come sciocchi e miscredenti, buoni solo a soffermarsi sull’apparenza di una prima occhiata, troppo superficiali per poter scorgere quale miracolo si stava compiendo sotto i loro occhi. Un miracolo che aveva un nome ma nessun volto.

Quel miracolo della natura chiamato amore e che, oh sommo gaudio!, stava decidendo di compiersi in quella landa deserta che era il cuore del suo Hyung preferito. Ed era questo, l’affollamento di cui parlava. La matassa di sentimenti e pensieri di Top erano così rumorosi, così vividi che per un istante gli era sembrato di vederli lì, tutti riuniti, chi svaccato sul divano chi davanti ai computer, scambiandosi pareri e commenti sorseggiando tazze di the. Tenendo loro compagnia.

Ghignò; chissà se quell’ingenuo aveva avvertito lo scossone del cambiamento.

Perché i sintomi c’erano tutti, eh. Lo sguardo perso, la mano che correva libera sul foglio in sciocchi disegni piuttosto che in frasi di senso compiuto, l’espressione di chi ha appena fatto a pugni con il cuore e il cervello uscendo martoriato e nemmeno vincitore.

L’aria di chi ha capito, ma proprio non riesce a capacitarsene.

Ad occhiata più attenta, gli parve un dipinto. Ma non di quelli angoscianti come l’Urlo o recondito come Mangiatori di patate. No, Seung-Hyun in quel momento era la Guernica. Contorto, ma affascinante, impossibile da non guardare. E non era per tutti apprezzare le linee cubiste dei suoi pensieri che si rincorrevano, a tratti deformati e taglienti, aguzzi e che trasmettevano dolore e lacerazione. Eppure, Ji Yong si disse che nient’altro sarebbe mai potuto essere meritevole di attenzione, arrivati a quel punto.

E allora abbassò il volume degli altoparlanti, girò la sedia e si svaccò su di essa, guardandolo con celata placidità -Mi sembri felice.-

-Non più del solito.- replicò monocorde, le labbra nascoste dietro il palmo.

-Stai disegnando un elefante- analizzò spicciamente allungando il collo -Tu disegni gli elefanti solo quando sei felice.-

Seung-Hyun sollevò lo sguardo dal foglio, gli occhi scuri nascosti dalle lenti degli occhiali, lo sguardo di un bambino a cui hanno appena detto quanto il suo disegno facesse schifo –E’ un ippopotamo.-

-In un altro universo, forse.-

-Ma cosa vuoi capirne tu di arte?-

-Di certo so distinguere un ippopotamo da un elefante- obbiettò con altezzosità, sospirando di pura gioia quando udì la sua imprecazione sonora mentre con le braccia nascondeva l’orrido disegno –E quella non è arte. E’ uno schiaffo all’arte, semmai.-

-Anche i tuoi capelli sono in un insulto alla moda, ma mica te lo dico.-

Sporse le labbra mentre passava il pollice sotto l’occhio –Perché? Adesso cos’hai fatto? Meschino!- gracidò coprendosi il volto. Top sbatté la nuca sulla scrivania. Il suono che il suo cervello spappolato produsse fu ancora più sublime della propria voce che usciva dagli altoparlanti. Rise di gusto, cacciando la testa all’indietro. Si sporse quel tanto che bastava per scompigliargli i capelli, intenerito dall’atteggiamento infantile che aveva assunto –Andiamo, cos’è successo?-

-Ma niente.-

Arcuò un sopracciglio, indispettito dall’ermeticità di quella cavia che sembrava trovare più interessate giocare sulla ruota anziché con lui –Vuoi farmi credere che sei stato con America e non è successo nulla?-

-Beh, non proprio nulla.-

-Quindi qualcosa è successo.-

-No, cioè, nh- deglutì, arrossì, sventolò le mani; se stava cercando di negare, doveva decisamente impegnarsi un po’ di più –Più o meno, ecco.-

-Quindi qualcosa avete fatto- diamine, ma quanti anni aveva Seung-Hyun?

-Nh. Lei ha fatto qualcosa a me.-

-Quindi niente sesso?- scosse la nuca –E allora cosa—

-Oh, hai capito benissimo cosa abbiamo fatto!-gracchiò sull’orlo di una crisi isterica, ammutolendosi subito dopo con una scusa appena sussurrata e l’imbarazzo ben visibile a solcargli il volto ora coperto da una mano.

FA-VO-LO-SO!

Sul serio, quella risposta starnazzata fu vera e proprio poesia per le sue orecchie stanche! Che spegnessero la musica, che i pensieri in sala si zittissero, che tutto il mondo andasse a dormire! Lo Hyung stava per immettersi in un labirinto psicologico non indifferente e aveva bisogno di tutta la concentrazione possibile e inimmaginabile per poter arrivare alla Passaporta che lo avrebbe riportato a casa! Pregò che non si imbattesse in Voldemort; raramente lasciava sopravvissuti e mai per pietà.

Portò una mano sulle labbra, un singhiozzo di finta commozione a veleggiare nell’aria mentre gli altri si guardavano confusamente –Sono così orgoglioso di te- gli diede una pacca sulla spalla –Il mio Hyung sta crescendo!-

-Fottiti.-

-Io penserei alla tua situazione, piuttosto che alla mia- cinguettò con un sorrisetto, vedendolo sbattere la fronte per la seconda volta sulla scrivania, le mani fra i capelli mentre mugugni indefiniti, che poi erano blasfemie mangiucchiate, si libravano fino a lui in tutta la loro armoniosità –E quindi? Com’è stato?-

Sollevò il capo, la fronte corrugata e gli occhi taglienti come lame –Davvero ti aspetti che ti racconti qualcosa?- sbottò caustico –Non sono mica una ragazzina!-

-Però ti comporti come tale- sottolineò con un sorriso di pura estasi, sorriso che si allargò quando un medio random si sollevò –Dovresti essere felice- propose poco dopo, giocherellando con un laccio delle scarpe –Insomma, la meta successiva sai anche tu quale sarà.-

Seung-Hyun lo guardò di striscio e a quel punto, Ji Yong comprese come l’amico fosse intenzionato a dare forfait, forse troppo spaventato al pensiero di scoprire cosa avrebbe trovato se avesse svoltato all’angolo sbagliato. Perché se imboccava la via errata, come avrebbe potuto tornare sui suoi passi? Perché Ji Yong non era uno sprovveduto; non gli aveva offerto alcun aiuto, nessun filo e niente briciole di pane. Solo lui e i suoi pensieri. Avrebbe potuto utilizzare il gomitolo di sentimenti che albergava in lui, ma era talmente aggrovigliato che dubitava sarebbe riuscito a sciogliere i nodi.

-Lo so.-

-Ma…?- buttò lì per lui, godendo dell’incertezza che aveva cominciato a farlo agitare sulla sedia. Il suo cercare una posizione comoda che in realtà non esisteva, il suo allentare il colletto di quella felpa troppo pesante mentre loro se ne stavano a maniche corte, il suo voler tergiversare soffermando sulla conversazione tra Dae e Tae. Tutto in lui trasmetteva Ma, e GD attese paziente che gli venisse svelato…
 

-Ma ho paura- lo guardò -E se mi stessi facendo prendere troppo?-
 

E quando venne mostrato, fu di una bellezza talmente abbagliante che Ji Yong si sentì indegno di potervi assistere. I suoi occhi scuri erano contornati dal barlume di una paura primordiale che andava oltre i suoi complessi fisici, come se per una volta non fosse turbato al pensiero di lasciarsi vedere nudo da qualcuna. Era qualcosa di più viscerale, che poco aveva a che fare con la fisicità, che aveva radici più profonde e talmente piantate nel suo essere da risultare non sradicabili.

-Non era quello che volevi?- chiese con pacatezza, invogliandolo alla conversazione. Non c’era niente di peggio di una cavia che si nascondeva nel proprio cantuccio oscuro.

-Sì, ma- si inumidì le labbra, la mano stretta intorno alla matita mentre l’altra torturava il ginocchio –E se non fosse quella giusta?-

-E perché non dovrebbe?- Seung-Hyun roteò gli occhi, probabilmente spazientito per aver ricevuto una domanda in cambio della sua, ma Ji Yong non era tipo da badare a certe quisquiglie e senza indugio, andò a ravanare nella mente incasinata dello Hyung –Non saprai mai se è quella giusta se non provi a trattenerla a te.-

-Ma lei non vuole essere trattenuta, lei non— si fermò, paralizzato dalle paure che quella ragazza continuava a riversare su di lui, forse per liberarsene un po’; si chiese se Lindsay si accorgesse di quanto costringesse gli altri a nascondere le proprie turbe solo perché saturi delle sue, ma quella era uno spirito libero in tutti i sensi e forse non se ne sarebbe mai accorta –Lei non è come il tipo che ho sempre desiderato.- soffiò lugubre, il mento appoggiato sulle bracci conserte adagiate sulla scrivania.

GD scoccò la lingua –Una persona non diventa giusta solo perché tu lo desideri- puntualizzò con ovvietà –Capisci che è quella giusta, solo perché sai di non poter trovare nulla che sia migliore di lei. Lei è il meglio, il resto non conta.-

Seung-Hyun non gli parve convinto, continuando a rimestare nelle proprie fobie. Poi ci fu il suo respiro, il suo sguardo supplichevole affinché lo aiutasse a ragionare -Sì, ma perché proprio lei?- e quella domanda assorta, sospesa, che fu un pugno alla sua capacità di analisi.

Ricordava di come questo quesito gli fosse stato posto tempo addietro, in un anonimo stanzino di un backstage mentre un epico cazziatone sul suo orribile modo di ballare veleggiava ancora nell’aria. Si ricordava anche di come la sua voce fosse bassa, colorita da quella nota di confusione di chi proprio non riesce a fare chiarezza con i propri pensieri, soprattutto perché il cervello continuava a bisticciare con quel maledetto di un cuore che seguiva sempre l’istinto, al Diavolo la razionalità.

E ricordava di avergli risposto con tutta la calma che questo pianeta poteva offrirgli, conscio che uno Hyung in difficoltà era uno spettacolo talmente gaudioso da riempirgli il cuore, ma la certezza che una volta metabolizzato il tutto la faccenda sarebbe stata ancora più ilare, lo aveva spinto a dargli una mano, a farlo uscire da quel tunnel di dubbi in cui si era infilato senza nemmeno accorgersi.

Ma quel pomeriggio, la voce di Seung-Hyun era diversa. Profonda, eppure irriconoscibile. Così sofferente da lasciarlo spiazzato per un misero, quanto interminabile istante. Che riscoprirsi forse un po’ più coinvolti in un gioco di quanto avesse mai potuto immaginare, era impensabile… Ma riscoprirsi invischiati nella tela di sentimenti che si concentravano solo e unicamente su Lindsay, era inconcepibile.

E tutto in Seung-Hyun richiamava sofferenza. Lo sguardo puntato sul foglio pasticciato, la mano fra i capelli scompigliati mentre l’altra continuava imperterrita a disegnare ghirigori sulla carta, le labbra serrate e la mascella tesa, nemmeno si stesse trattenendo dallo scoppiare a piangere su quel foglio. E GD le vide, le sue lacrime; erano di nero inchiostro e continuavano a tracciare nella loro incertezza, il nome Lindsay su ogni angolo vuoto di quella landa desolata su cui avrebbe dovuto gettare la bozza per una canzone.

E si sentì in dovere di tendergli una mano, intimorito al pensiero che decidesse di rinunciare solo perché spaventato. Che un Seung-Hyun psicopatico era una rottura di palle assurda e andava evitata.

-Lo sai? La vita ci preclude le scelte sin dall’inizio- con lo sguardo, percorse ogni centimetro del suo volto e quando gli sguardi si incrociarono, procedette, conscio di aver catturato la sua attenzione –Se ci pensi bene, non possiamo nemmeno sceglierci il nostro nome, è sempre qualcun altro a farlo per noi- nascose le labbra dietro il palmo –E lo stesso fa l’amore. Ti sfonda le porte e ti trascina da chi gli pare e poco importa se è un americana con la simpatia di un cobra- udì una risata soffocata per quel paragone così poco chic –E tu puoi solo lasciarti trascinare e solo quando te ne accorgi, l’amore ti fa scegliere.-

-Farmi scegliere cosa?- lo interruppe confuso, le braccia spalancate –Se fa tutto lui, io che dovrei fare?-

GD roteò gli occhi; odiava venire interrotto, soprattutto con domande che anticipavano la sua logica spiegazione –Accettarlo o rifiutarlo- lo esalò con ovvietà, come se non potessero esserci altre scelte; nero o bianco, giorno o notte. Niente grigio, niente tramonto. Solo due vie e al bivio, l’amore lasciava la mano e dava la possibilità di sbagliare, di precludersi la felicità oppure di assaporarla –La scelta sta a te.-

-Come se fosse semplice.-

-A dir la verità lo è- Seung-Hyun aggrottò le sopracciglia –E, ti prego, non credere a quelle stronzate di dar retta al cuore e ammazzare il cervello.- sventolò una mano. Avrebbe voluto aggiungere che se fosse così, avrebbe finito col fare marcia indietro, che tanto quei due non si sarebbero mica messi d’accordo.

Ma Seung-Hyun deglutì, saltando direttamente alla fatidica domanda –E come lo capisco, allora?-

-Devi capirlo da solo- udì un grugnito; a quanto sembrava, Seung-Hyun non era soddisfatto di quella spiccia analisi, così ricacciò indietro la cattiveria e per una volta decise di dar retta all’amicizia che, povera, era lì che continuava a dimenarsi come un’ossessa pur di venir ascoltata -Non è dipendenza, non è morte, non è illogicità- l’indice si posò su quello sgorbio di elefante che era davvero un attentato all’arte –E’ felicità. Nient’altro- il polpastrello scivolò da quel campo di battaglia, tornando sulla tastiera –E solo tu puoi sentirlo.-

-E quando la sento?-

-Vai da lei- alzò le spalle –Rincorrila, afferrala, falla tua- il labbro destro guizzò all’insù –Nessuno ti ha mai detto che la felicità è contagiosa?-

-E se non la acce—

-Ma chissenefrega- lo interruppe brusco, spazientito dal suo fasciarsi la testa senza nemmeno aver dato ascolto alla felicità; quel ragazzo era sordo, oltre che cieco, figurarsi se avrebbe udito qualcosa nel casino della sua mente –A quello pensi dopo. Per una volta, pensa solo a te stesso.-

-Come fai tu?- la domanda di Seung-Hyun si era levata alta, seria, con linearità talmente lacerante da perforargli la gabbia toracica. E per un attimo, il suo cuore raggrinzito, aveva esalato un respiro di troppo, che però non era stato l’ultimo. Incredibile come il cuore decidesse di restare in vita anche quando non c’era più nulla per cui valesse la pena combattere…

 

Se non mi avessi aperto gli occhi,

a quest’ora sarei ancora a pensare a te.-

 

Che se tutto era andato perduto, perché lottare ancora?

Anzi, andato perduto era una descrizione erronea dello stato in cui gravava. Lui aveva alzato bandiera bianca, lui aveva dichiarato la resa. Lui aveva deciso di privarsi di una vittoria certa per una sola, semplice ragione: che quando l’amore lo trovi, lo assapori e qualcuno te lo mastica e poi lo sputa, fa talmente tanto male che riprovare sarebbe solo una perdita di tempo, un giocare all’impiccato con il proprio cuore che è ancora lì, stramazzante al suolo, sotto i cocci delle proprie illusioni andate in frantumi.

Con ferite talmente tanto non rimarginabili che anche a distanza di anni fanno male, restano lì a monito di ciò che è stato e mai più dovrà essere. E ricominciare, oh, quello non era affatto facile.

-Ho pensato troppo agli altri- esalò guardando il soffitto –Sono decisamente stanco.- confessandosi con sincerità spiazzante per l’amico e per sé stesso.

-E perché? Ora non stai pensando a qualcun altro?- la domanda di Seung-Hyun non venne metabolizzata subito dal suo intelletto sopraffino. Rimase lì, in attesa di analisi e se non avesse alzato il capo gettato all’indietro, probabilmente non avrebbe mai avuto una risposta: che il sorriso di Ri era così appagante che la coscienza se ne stava zitta, che l’animo tornava ad acquietarsi e per la prima volta, dopo tanto tempo, sentiva di aver fatto la cosa giusta.

Anche se questo significava lasciar entrare la solitudine nelle proprie ferite ancora aperte.

-Figurati- storse il naso –Quei due sono destinati a stare assieme- gli rivolse un’occhiataccia –E’ come vedere la coppia di Scemo + Scemo in carne ed ossa.-

Top scoccò la lingua, ma non proferì verbo. Probabilmente aveva esaurito le perle da rifilargli o forse non era pronto per divenire lo psicologo della situazione. Fatto stava che Ji Yong si sentì abbandonato per un breve istante, in balia di emozioni a lungo soffocate e ora tornare in libertà, soggiogato da tutte quelle incertezze che aveva buttato perché i pilastri su cui aveva poggiato la sua nuova vita erano troppo solidi e stabili per poter crollare.

Nessuno gli aveva però detto che uno Tsunami di sentimenti faceva danni tanto quanto Madre Natura che si ribellava agli uomini.

Ma fu sorprendente rendersi conto di come la coscienza gli avesse appena applaudito per aver tratto in salvo una povera cavia smarrita…

 

-Ji Yong…?-

-Mh?-

 

Che certe volte, fare del bene non era necessariamente un male…

 

-Io credo-- No, io lo so- sorrise un poco -Io, con lei… Sono felice. Sul serio.-

 

Non di fronte a certi sorrisi. Certi sorrisi diventavano indelebili…

 

Sono contento per teGoditela finché dura, Hyung.-

 

Era felicità. E il resto non aveva importanza.

 

 

 

 

 

A Vip’s corner:

Prima di parlare di questo capitolo, ci tenevo solo a dire una minuscolissima cosa riguardo a quello precedente: a chi è arrivato qualcosa, ne sono felice; a chi non è arrivato nulla, mi spiace incredibilmente. Credo di non essere ancora abbastanza matura sentimentalmente per affrontare certe tematiche e ahimè, la mia acerbità di emozioni come persona che sta dietro al mio nick, non mi permette di affrontarle nella giusta maniera. Non è una giustificazione, ma se io stessa nella realtà faccio fatica a dimostrare sofferenza e solidarietà agli altri, è ovvio che su carta si vedrà questa mia incapacità. Perché io mi rivedo poco nei personaggi che ho creato, o per meglio dire, ognuno presenta una mia caratteristica, ma non posso dire di rispecchiarmi perfettamente in qualcuno in particolare, ma le emozioni sono mie. Tendo ad essere distaccata quando scrivo –tipo una psicologa dei poveracci D: -, ad emozionarmi solo quando rileggo. Quindi se non arriva ciò che volevo trasmettere, significa che ho sbagliato da qualche parte. Il che forse è un bene, perché almeno posso capire quali sono i miei limiti e cercare di migliorarmi. Indi per cui, quando storcete il naso ditemelo, con tutta la sincerità di questo mondo.

Passando invece al 25°… Mi piace. Sul serio, credo che sia uno dei pochi che posso dire di aver adorato. Forse perché è semplice o magari perché è pieno di ragionamenti contorti, di quelle belle mazzate al cervello come piacciono a me, di discorsi che sembrano illogici ma in realtà dicono molto. E perché finalmente ha introdotto cose che mi serviranno. So che le coglierete, confido in voi ♫

Il POV di Top (ma pure quello di GD), in particolare il dialogo tra lui e sua madre, è pieno zeppo di citazioni, una vagonata. Il discorso sulla ragazza giusta per lui è un chiaro richiamo a Final Fantasy VII, che è il bene in Terra. E quando spiega cos’è l’amore, no, non è tutto farina del mio sacco. Ho preso spunto da Oceano Mare di Alessandro Baricco, quindi a lui vanno tutti i diritti e tutte le lodi. La frase L’amore è mistero puro e semplice è presa da I ponti di Madison County (♥x ∞). Da oggi sarò Heaven, la sfruttatrice di citazioni. No, seriamente, se dovessi citarle tutte spenderei almeno due pagine di Word e non credo che vogliate; pertanto ribadisco che tutti i diritti vanno ai loro autori, io ho solo preso le loro citazioni perché mi hanno trasmesso qualcosa e li ringrazio dal profondo per aver partorito certe perle, sul serio.

Poooi… La chiacchierata tra Mark e Lin è servita, anche se può sembrare buttata lì ad minchiam. Non mi sono soffermata sulla ramanzina perché non tutti i genitori usano i rimproveri per punire i figli (leggasi mio padre, che una volta ha liquidato il tutto con un macabro La prossima volta avvisa. Ed è bastato, lo giuro). Lin è cambiata, e credo che questo sia stato il modo migliore per farlo capire.

Può sembrare che nulla sia accaduto, ma direi che almeno delle svolte ci sono state: tipo che Seung-Hyun è ormai andato, che non mi sono dimenticata che Lin si è iscritta alla Columbia e che GD sta dando di matto. Sono tre psicotici, li amo ♥

Ora lasciatemi spargere amore attraverso i ringraziamenti, su: a ssilen, Lele_Sun, B1A4ever, BellaChoi, YB_Moon, kassy382, AngelNavy, MionGD, uwan va il mio infinito grazie per aver commentato il precedente capitolo. Mi date sempre così tanto sostegno che boh, mi lasciate sempre senza parole.

Poi, senza nulla togliere a tutte voi, perché vi adoro incondizionatamente per il semplice fatto che mi lasciate sempre un commento (e sappiatelo, arriverà il giorno in cui vi farò una dedica personale), ci terrei a mandare il mio amore a quella santa donna di Shinushio aka moi GD (che se mai capiterà qui spero vivamente abbandoni la lettura per non iniziare ad odiare le het) si ritroverà sta sviolinata colossale ma che, davvero, è sentitissima. Perché mi ha aperto un mondo sul K-pop che non pensavo potesse esistere e perché boh, ha riposto una ““““““fiducia”””””” (termine da prendere con le tenaglie, ahimè non me ne sovvengono altri) nella mia Something che mi ha scaldato il cuore. E poi a quella moglia adorata di Myuzu che nonostante i mille impegni e l’impossibilità di commentare assiduamente come prima, trova sempre un minuto per trasmettermi il suo amore. Quindi niente, vi amo, andiamo tutte in pace nel nome di Top ♥

Ringrazio anche chi ha aggiunto la storia fra le seguite/ricordate/preferite e chi legge in silenzio. Grazie davvero ♥

Alla prossima!

HeavenIsInYourEyes.

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Capitolo 26
*** So just forget about the World tonight ***


Per farmi perdonare del ritardo mostruoso, anche se non esagerato, vi posto questo capitolo che è lungo, forse uno dei più lunghi che abbia mai scritto. Spero arriverete fino alla fine non tanto perché merita, quello spetta a voi deciderlo non a me, ma perché penso che un po’ tutte aspettavano da tempo una svolta del genere, spero. E niente, se non premeste la X rossa nonostante la barra laterale che va accorciandosi, mi rendereste solo felice ^^
Poi. Non sono solita ringraziare all’incipit della storia, ma sono arrivata ad un punto in cui non sapevo più cosa volessi farne di Something, uno dei tanti motivi che mi hanno tenuta lontana da Efp per un po’, e rileggere le vostre parole mi ha dato un po’ di motivazione ad andare avanti anche quando avrei voluto smettere tutto. A Lele_Sun, ssilen, AngelWithAShotgun, uwan, BellaChoi, MionGD, YB_Moon, kassy382 e TheshiningSofia e a tutti coloro che hanno commentato capitoli lontani anni luce –sì, sono tornata indietro a leggerli-, va il mio affetto più sincero. Mi sento sempre un po’ stronza a liquidarvi con un misero grazie. Però è sentito e beh, grazie di nuovo, davvero ♥
Ringrazio altresì chi ha aggiunto la storia fra le seguite/ricordate/preferite e chi legge in silenzio. Thank u with all my ♥ Mi farebbe piacere se chi non si fosse mai fatto sentire lasciasse un segno del proprio passaggio. Siete in tanti a seguire/preferire Something e questo non può che rendermi felice, dico sul serio, ma solo alcune lettrici continuano a dirmi cosa ne pensano (e badate bene, vi amo per questo. Pensare che cinque minuti per me li sprecate mi lascia sempre un po’ commossa. So che può non sembrare, perché sono un po’ tanto una Lindsay quando si tratta di ringraziare sentitamente, ma sappiate che siete per me una reale fonte di sostegno). Non è che cinque minuti del vostro tempo. Un'inezia, se paragonato a quello che spenderete in media per leggere un capitolo che conta venti e passa pagine.
Essendo questo un capitolo per me importante per tanti, troppi fattori, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate.
P
iù di tutti e tra tutti, mi spiacerebbe venisse dato per scontato.
Ci vediamo alle note in fondo.

 Buona lettura ♥

  


 

Capitolo 26

So just forget about the World tonight

 

If I lay here

If I just lay here

Would you lie with me and just forget the World?”

-Chasing cars, Snow Patrol-

 

 

Il cuore gli batteva forte.

Una scarica di pura adrenalina continuava a scorrergli nelle vene, in tutto il corpo, diramandosi fino al cervello che per tutto il tempo non aveva smesso di restare collegato. La prima parte di concerto era andata e ora si stava godendo un po’ di sano riposo mentre udiva il casino distante delle Vip intente ad acclamare GD, ora impegnato nei suoi assoli, rinchiuso in quel camerino che aveva cominciato a considerare il proprio santuario da quando le parrucchiere lo avevano lasciato da solo. E si godette il silenzio, Seung-Hyun, si godette la sensazione di benefica placidità mentre i suoi nervi andavano distendendosi, un sorriso di pura serenità ad increspargli le labbra secche per la stanchezza, con ancora indosso il vociare concitato delle fan che lo avevano seguito con ammirazione in ogni passo, che lo facevano sentire sempre un po’ meno impacciato.

Poco distante da lui, un Dong-Wook che aveva deciso di assistere al suo concerto solo per godersi una bevuta gratis all’Afterparty che ci sarebbe stato, se ne stava rannicchiato sulla poltrona, giocherellando con uno dei tanti pupazzi che erano stati lanciati sul palco e che lui aveva raccolto con bramosia, fulminando Ri che aveva più volte tentato di sgraffignarglieli. Maledetto maknae dalle zampe lunghe –Ti assomiglia.- lo aveva preso per il culo sventolandolo.

Seung-Hyun staccò le labbra dalla bottiglietta e gli rivolse un’occhiataccia –O taci o sparisci.- ma per tutta risposta, quel cretino si mise a ridere mentre tornava a commentare le sue dimenticabili prestazioni.

Seung-Hyun si afflosciò sulla sedia dopo aver gettato un’occhiata fugace al cellulare, lo sguardo lucido mentre il volto madido di sudore andava contraendosi in una smorfia di seccatura mista a delusione: Lindsay non gli aveva scritto. Oh, badare bene, non era un avvenimento di chissà quale rarità, eh. Molte volte lei non rispondeva ai suoi sms, così come lui si dimenticava spesso di doverle scrivere anche se l’ultimo messaggio gli era stato inviato qualche ora prima. Ma quella volta fu diverso. Fu come ritrovarsi per la prima volta ad attendere spasmodicamente quel o quel No che gliel’avrebbero davvero cambiata la giornata. Che un suo Sì, ti raggiungo all’Afterparty gli avrebbe sicuramente fatto battere il cuore all’impazzata, di quei battiti che andavano oltre l’euforia di un concerto appena conclusosi, di quei battiti che andavano oltre il semplice piacere nel ritrovarla stretta a sé per un tempo indefinito sotto le note di chissà quale musica assordante. Eppure c’era stato quel No, c’era stato il suo insistere e poi i suoi messaggi a vuoto.

E ora Choi Seung-Hyun faceva a pugni con la normalità a lungo desiderata, riacquistata e che ora si mostrava in tutta la propria imperfezione. L’ansia di udire la suoneria librarsi nell’aria, le viscere che si contorcevano nel vedere lo schermo illuminarsi, gli occhi che brillavano quando scorgevano quel lampeggiante 1 nuovo messaggio ricevuto. E l’inevitabile delusione nel rendersi conto che no, la vibrazione era stata solo frutto della sua galoppante fantasia e nessuno lo aveva cercato in quell’ora e mezza. Avrebbe dovuto godersi ogni minimo istante di quel momento, ma per ora voleva solo scaraventare il cellulare contro il vetro che continuava a riflettere l’immagine di un Seung-Hyun abbattuto.  E la sentiva, poteva percepirla la delusione di ritrovarsi a dover affrontare una notte di noia senza colei che avrebbe potuto farlo divertire. Perché con Lindsay si divertiva parecchio, nonostante i suoi mutismi e la sua ironia. I discorsi insensati che affrontavano, la sua strabiliante capacità di lambirlo con il suo silenzio mai pesante in cui avrebbe voluto trascorrere il resto della sua vita, bastavano davvero a rendere tutto più piacevole.

Ma, beh, quella volta il silenzio che lo raggiunse non fu di buon auspicio e ciò doveva essersi ben delineato anche sul volto perché dal nulla, Dong-Wook proferì un placido –Qualcosa non va?- che, sapeva, sarebbe stato solo l’esordio di una chiacchierata difficile, sfiancante e che avrebbe prosciugato quel briciolo di autostima che ancora gli aveva permesso di non farla finita.

-No, niente. Solo stasera non ho voglia di andare a quella stupida festa.- il che era vero. A che pro andarci senza Lindsay? Che poi avrebbero finito con lo starsene seduti sul divano a bere birra, a vedere gli altri ballare e ridere, a sorbirsi gli scatti isterici di Ginko e Ri mentre Ji Yong si divertiva a punzecchiarli. Avrebbero finito col parlare di loro, concedendosi episodi della loro vita che non pensavano sarebbero sbucati con così tanta fluidità. E che non facevano allontanare, che non li rendevano peggiori di quanto già non fossero. Che li rendeva solo un po’ più vicini nel loro mantenere una solida barriera pur di non sfiorarsi l’anima. Che poi quella nemmeno si rendeva conto che bastava un suo sguardo per accarezzarlo o un suo bacio per dargli colore.

Bastava lei, bastava solo lei.

-Ma ti sei sempre divertito- mormorò mogio, come se la sua presenza non fosse sufficiente a rendere indimenticabile quella festa –Ho capito: vuoi stare solo con Lindsay, vero?- gli rifilò un’occhiata maliziosa, di quelle che a Ji Yong facevano un baffo –Tranquillo, quel posto è pieno di zone d’ombra.-

Zone… Cosa?!

E senza pensarci, con l’ingenuità caratteristica dei bambini –o dei ragazzi troppo coglioni per starsene zitti- si ritrovò ad esalare un deciso –Ma io non voglio che la nostra prima volta sia in una zona d’ombra della discoteca.- senza respiri, senza pause o virgole inutili, come se fosse inaccettabile una proposta del genere. Perché Seung-Hyun, da ormai tempo immemore, continuava a vedere indelebilmente come sarebbe dovuta essere la sua prima volta con Lindsay, di quelle immagini potenti che gli accartocciavano le ossa, lo lambivano di piacere smisurato che si eclissava all’ombra della sua mano che scendeva sempre più in basso nel buio della stanza.

Il rumore delle molle che scricchiolavano, il suo respiro che andava spezzandosi mentre le sue dita scorrevano sulla pelle nuda, le sue gambe che si attorcigliavano al suo bacino mentre quel Seung-Hyun ricco di passione veniva appena bisbigliato contro le sue labbra ad ogni spinta. Avvertì le guance imporporarsi mentre un ambiguo stimolo andava a stuzzicargli il bassoventre.

-La tua prima— Dong-Wook tossì, poi lo guardò dubbioso –Quindi voi due non--

-Non lo abbiamo fatto.- oscurò sul nascere quella scomoda verità, le mani strette fra le ginocchia e lo sguardo atterrito puntato verso la propria figura allo specchio. Era orribile con tutto quel sudore, il trucco colato e i capelli afflosciati, ma nello studiarsi più approfonditamente, approfittando del silenzio dell’amico che forse era rimasto troppo impietrito da quella confessione per proferire verbo, si era reso conto che la propria bruttezza non aveva a che vedere con la pelle olivastra più pallida del solito, dal viso emaciato o dalle profonde occhiaie che gli appesantivano lo sguardo spento. No, niente di tutto quello. Era qualcosa che aleggiava intorno a lui, come se vi fosse una cappa di spessa angoscia che non permettesse alla felicità di filtrare e colorare l’aura intorno a sé, ora rivestita di un grigio monotono e che rendeva uggioso il suo umore. Come spiegare ad un ragazzo che ha scoperto cosa significava amare, quanto terrorizzante fosse riscoprirsi un po’ troppo presi per quella che, in fin dei conti e a ben vedere, altro non era che l’ennesimo sbaglio? Come dire ad un ragazzo che vedeva ricambiare il proprio amore, quanto estenuante fosse combattere ogni santo giorno affinché nessun Addio venisse pronunciato? Patetico, decisamente, e destabilizzante. Soprattutto per qualcuno che aveva accantonato queste paturnie da anni.

-Ah.-

-Sì, beh, tanto c’è tempo.- esalò volgendo lo sguardo, scoglionato di fronte a quel Ah pronunciato come se l’Apocalisse stesse per insorgere.

-Certo, tutto il tempo del mondo- aggiunse con placidità, per poi mangiucchiarsi l’interno delle guance -Vuoi che ti presti casa mia?- domandò appoggiandosi contro il muro, l’acqua che andava schiantandosi sui pennelli e i trucchi. Ma lo voleva morto, per caso? Perché se quello era il suo intento, ci stava riuscendo benissimo. Che poi, ma quanto era poco dignitoso morire strozzandosi con dell’acqua? Lui era il grande Top! Come minimo si sarebbe aspettato di scorgere in prima pagina il suo nome a caratteri cubitali con di fianco le parole overdose o impiccagione. E poi sarebbe andato a tormentare vita natural durante quei due dementi di GD e Se7en, spacciandosi per l’allegro Casper della YG.

-Cos—No! Assolutamente no!-

-E allora dov’è il problema?-

-Di certo non la mancanza di spazi!-

E allora il dubbio amletico per eccellenza si insinuò nelle pieghe dei suoi pensieri, tra tutte quelle scuse che avrebbe voluto rifilare a Se7en pur di fargli comprendere che se Lin e lui non si erano ancora goduti appieno la loro stramba relazione, era unicamente per la mancanza di qualcosa che andava oltre il suo timore. O quello di lei. Che andava oltre la loro volontà, insomma. Come la mancanza di tempo materiale, la mancanza di privacy visto che qualcuno arrivava sempre a disturbarli, la mancanza di desiderio o energie…

-E se non gli piacessi?-

Che non fosse la mancanza di autostima, solo quello.

Seung-Hyun si morse l’interno delle guance, annotando nella lavagna del proprio cervello quanto coglione fosse ad essere crollato nel giro di un applauso che fece tremare i muri e un sospiro; l’espressione allucinata che l’amico gli riversò senza celare alcunché fu solo l’ennesimo colpo di grazia alla sua autostima già bella che martoriata, zampillante di sangue e voglia di suicidio.

-E perché non dovresti?- domandò scettico –Se esce con te è perché, evidentemente, gli piaci.- osservò con praticità. Quell’evidentemente fu intriso di stizza, quasi non fosse d’accordo col suo punto di vista.

-Ho messo su qualche chilo ultimamente.- si tastò la pancia, arricciando le labbra quando avvertì la tartaruga nascondersi.

-E dovrebbe fregargliene perché…?- le mani di Se7en vagarono a vuoto, alla ricerca della risposta.

-Ma dico, l’hai vista?!- allargò un braccio, quasi a voler scacciare quell’odiosa vocina che continuava a ripetergli Quando ti vedrà, scapperà –Lei è tipo… Bellissima e— si ritrovò a navigare in un oceano di parole impronunciabili, talmente tanto ardue da rappresentare un’impresa troppo titanica per la sua capacità oratoria. E si bloccò, Seung-Hyun, conscio di aver dato fondo alla propria dignità nel mostrarsi così debole agli occhi di quel santo uomo che era Se7en.

E mentre lo vedeva rimuginare sulle sue fisime, ringraziò tutti i santi, gli angeli e i supereroi per il semplice fatto che quello davanti a lui non fosse Ji Yong. Cioè, Ji Yong in una situazione del genere se lo sarebbe divorato, poi l’avrebbe sputato e avrebbe calpestato la poltiglia che ne sarebbe rimasta. E storse il naso mentre rimestava su questo paragone, ma non aveva altro modo per descrivere la sua anima dopo un incontro psicologico con GD. Poltiglia, nient’altro. E, perdiana, dalle ceneri di quello schifo riusciva sempre a rinascere qualcosa di più rinvigorito e che sapeva trovare la strada giusta da seguire. Probabilmente in siffatta situazione, piuttosto che psicanalizzarlo molto malamente, si sarebbe limitato ad un secco Non fare la checca isterica e fattela. Caso archiviato.

Ma proprio mentre stava per fare un altarino mentale in onore di Batman, ecco che Se7en si dimostrò più mentecatto di quanto non desse a vedere -E?- pronunciando un’insulsa ed insipida E.

E? E?!

Quella dannata particella lo avrebbe tormentato per il resto dei suoi giorni. Era abbagliante come il sole che si aspettava un seguito che mai sarebbe arrivato, quando invece avrebbe dovuto farsi bastare ciò che gli aveva concesso fra gli imbarazzi e le risate.

-E… Cosa?-

-Dovresti dirmelo tu.-

-C’è dell’altro?-

-Dio, Seung-Hyun- ah, il caro e vecchio nome. Erano cazzi amari quando il suo nomignolo non veniva tirato in ballo -Non venirmi a raccontare queste cazzate- gli rifilò un’occhiata seccata -Sei bello e lo sai- Seung-Hyun arrossì come uno scolaretto, che nonostante i mille e passa complimenti proprio non ce la faceva ad abituarcisi -Tu hai paura e basta.-

-Ma figurati!- trillò come una ragazzina colta in flagrante a sbavare davanti al computer mentre aveva digitato su Google immagini TizioCheAmo Hot.

-No?- arcuò un sopracciglio.

-Paura di cosa, sentiamo?-

-Hai paura che se ci vai insieme una volta, poi non potrai più farne a meno- batté le mani -Sai cosa dice sempre Han Byul?- si sporse dopo aver giocherellato con quel dinosauro un po’ deforme –E’ più intimo far entrare qualcuno nelle proprie paure che nel proprio letto.-

Seung-Hyun deglutì, dicendosi che già troppe volte l’aveva fatta entrare nelle proprie paturnie senza nemmeno rendersi conto di averle lasciato libero accesso. Lo stesso non si poteva dire di Lindsay, ma solo perché continuava a rendersi più distante quando si trattava di tirare in ballo la sé stessa fragile e che aveva bisogno di rassicurazioni. Era nella merda, insomma.

-Io ce l’ho quasi fatta entrare nel mio letto- gli rivelò con voce che andava scemando, già conscio che il seguito sarebbe stata solo una condanna a morte per la sua dignità –Solo che mia madre ci ha scoperti.-

E da lì, l’apoteosi dell’assurdo.

-Tua ma—OhMio— e giù a ridere come un coglione, le mani sullo stomaco e piedi che scalciavano mentre si distendeva lungo la poltrona.

La risata di Dong-Wook era sempre stata un bel suono, a detta di Seung-Hyun. Era calda, senza sbavature di uggiosità, così infantile da riportarlo indietro nel tempo, quando nessun pesante nomignolo gravava sulle sue spalle, sulla sua coscienza e su ciò che rappresentava. Quando era stato un nessuno in mezzo a tanti qualcuno, senza però sentirsi avvilito.

Ricordava ancora distintamente il giorno in cui l’aveva udita per la prima volta, provando un senso di umiliazione e delusione nei confronti del sé stesso un po’ impacciato che proprio non voleva saperne di imparare quella coreografia a detta di Ji Yong Facile come rubare le caramelle ad un bambino. Del resto, Seung-Hyun non era mai stato granché abile nella coordinazione braccia-gambe, a meno che questo non implicasse una corsa forsennata verso la scuola per non arrivare tardi mentre un numero indefinito di biscotti volava dritto verso la sua bocca. E quindi eccolo lì, il piccolo Seung-Hyun che veniva rimproverato per la ventesima volta da Lee Jaewook, probabilmente con le palle sfracassate di dover interrompere la musica ogni tre secondi, e il giovane Dong-Wook alle prese con un eccesso di risa che lo avrebbe sicuramente portato alla mente. Il fatto era che non c’era stata derisione in quella nota cristallina che aveva vibrato fino a lui, solo un divertimento talmente palpabile da costringerlo ad abbozzare un sorriso fra il sudore e le lacrime faticosamente trattenute.

E niente, dal considerarlo uno Hyung un po’ temibile a colui che possedeva la risata curativa di ogni sua ferita, il passo fu davvero breve.

Ma ora, seduto davanti ad uno specchio nel vano tentativo di districare quel mucchio di nodi formatisi ai capelli e ai suoi pensieri, in quel camerino un po’ anonimo di un palazzetto che sembrava tremare tante VIP lo occupavano, Seung-Hyun si disse che forse in quegli anni aveva sbagliato ogni cosa. Come il fatto che Dong-Wook fosse davvero un cretino di dimensioni bibliche e lui si era lasciato infinocchiare dalla sua faccia d’angelo, dai suoi modi gentili e dalle sue risate lenitive. In realtà era un perfido stronzo che giocava con i suoi sentimenti attorcigliati.

-Non c’è niente da ridere!- sentenziò macabro mentre addentava un biscotto sottomesso alla sua ira, abbandonato lì da quel beota di Daesung. Doveva sfogarsi con qualcuno e visto che non voleva essere accusato di omicidio ai danni di una nota celebrità che mandava in visibilio mezzo mondo coreano e non, doveva sfogarsi su qualcos’altro. Il cibo gli parve la scelta migliore, anche perché spaccare il naso di Se7en avrebbe implicato un dispendio di denaro in risarcimento che non era disposto a versare.

-C’è tutto da ridere, invece!- ribatté l’altro con una mano sullo stomaco, un pugno che sbatteva sul bracciolo e le lacrime che, poteva giurarlo, avrebbe presto inondato la piccola stanza –Cielo, tua madre ti ha beccato con Lindsay e non dovrei ridere?-

-Esatto!-

-Saresti solo meschino a privarmi di tale opportunità.- dribblò il suo scoglionamento, apprestandosi a divenire il maledetto Ji Yong della situazione. Un brivido freddo gli attraversò la schiena quando si ritrovò a pensare che semmai il leader fosse venuto a conoscenza di tale disgrazia, avrebbe trovato il modo di prenderlo per il culo vita natural durante.

-Ma vai al Diavolo.- sbollì la rabbia sui lacci delle scarpe, sciogliendo il nodo e rifacendolo, quasi il nervosismo potesse incanalarsi nei suoi piedi. Chissà mai che cominciassero a farlo zampettare su quel maledetto palco con la grazia di Billy Elliot.

Dong-Wook rise ancora, sempre di quella risata che avrebbe dovuto farlo sentire meno abietto ma che ebbe il potere di farlo incazzare ulteriormente. Seung-Hyun si sistemò i capelli, lo faceva spesso quando non sapeva più come barcamenarsi. Districare i nodi fra quei fili scuri gli era sempre parso un ottimo modo per sbrigliare un po’ dei pensieri aggrovigliati che continuavano a pesargli in testa, come se potessero attorcigliarsi intorno alle sue dita, incastrarsi fra gli innumerevoli gioielli e restare lì, magari per sempre. Ma da un po’ di tempo aveva cominciato a credere che il per sempre fosse una favola che ci si raccontava solo per tirare avanti, quelle classiche frasi che ci si diceva pur di non cadere a picco nel baratro della disperazione e per non provare timore di un futuro dai contorni sfuocati e che traballava ogni giorno di più.

-E quindi?- la domanda di Dong-Wook lo riportò con le scarpe piene di paiette per terra. Controllò le proprie dita, ma nessuna traccia di pensiero sembrò solcarle.

-Quindi che?- lo guardò di sfuggita, impietrito al pensiero che nuove, mirabolanti cazzate sarebbero state scagliate come dardi avvelenati.

-Quindi come va?-

-Oh, bene. Sono un po’ stanco ma—

-No, non come stai te- Dong-Wook gli elargì uno sguardo pregno di superficialità, come se davvero non gliene fregasse nulla delle sue condizioni fisiche –Anche se la tua faccia fa schifo, ultimamente.- aggiunse indicandosi gli occhi leggermente sfumati di nero, talmente allungati da renderlo più bello di quanto non fosse. Gli parve sciocco pensare una cosa del genere a pochi minuti dal concerto, ma aveva sempre avuto soggezione degli occhi dell’amico, sempre. Non tanto per la loro capacità di saper congelare con un solo sguardo, no. Il fatto era che con quello sguardo, lui riusciva sempre a scavargli dentro. E poco importava che avesse erto barriere su barriere, poco importava che avesse celato tutte le preoccupazioni dietro un sorriso e una battuta sciocca, tanto lui avrebbe visto, avrebbe capito, avrebbe taciuto e poi si sarebbe fatto avanti. Dicendogli che andava tutto bene, in quel suo modo un po’ immaturo e a volte infantile, ma che davvero era ciò di cui aveva bisogno. Se glielo avessero portato via, sarebbe stato come svegliarlo nel cuore della notte e dirgli che Ri sarebbe stato spostato in un altro dormitorio, o addirittura confessargli che lo avrebbe radiato dai Big Bang. Sarebbe stato come perdere l’ingenuità e Seung-Hyun sentiva che senza quella, forse non sarebbe stato la persona che era.

Lo guardò, questa volta più attentamente. C’erano cose, anzi no, c’erano persone che andavano preservate. Che facevano bene con uno sguardo, una risata. Dong-Wook era una di queste e fu forse per questo che non se la prese quando quell’insulto gli venne rivolto con disarmante spontaneità.

-E allora come va… Cosa?- poggiò le mani sulle tempie, avvertendo l’incipit di quel mal di testa che, sapeva, sarebbe stato solo un’ulteriore aggravante a quel giovedì cominciato in maniera orribile. Aprire gli occhi e ritrovarsi un messaggio di Lindsay che diceva Non so se potrò esserci stasera. Tribeca., non aveva aiutato il suo umore già nero a vedere un po’ di luce. Già non si vedevano da una settimana e più i giorni passavano, più gli sembrava di perdere tempo prezioso. Di quei minuti che andavano afferrati e mai più liberati, di quelle ore che andavano godute nella loro pienezza, di quei periodi brevi e fugaci che avevano la strabiliante capacità di rimanere ancorati nelle celle più segrete del proprio animo.

Proprio come lei.

E pensare che a dire di molti, l’amore portava solo serenità, permetteva di far viaggiare su di una nuvola rosa su cui nessuna paturnia sarebbe mai potuta giungere, almeno, Daesung gliel’aveva spiegato così. A lui stava portando solo paranoie a non finire, soprattutto se adagiata su di una nube nera e saettante c’era quel puzzle vivente che era Lindsay.

Dong-Wook lo guardò con un sopracciglio arcuato, probabilmente stupito dal tono di voce sofferente con cui aveva esposto quella domanda che, davvero, a lui non sembrava poi così banale, non nella situazione in cui verteva –Tra te e Lindsay, a parte l’incontro con tua madre- esalò infine con praticità, con quell’ovvietà tipica di chi pensa di aver appena detto una banalità. Sollevò lo sguardo e gli rifilò l’occhiata più deprimente che avesse nel repertorio e doveva essere stata bella potente eh, perché dopo aver stretto il peluche lo guardò preoccupato –Va così male?-

Top approfittò di quella mansuetudine per mettere in moto quell’unico neurone non ancora affogato nell’accozzaglia di schifezze che erano i suoi turbinanti pensieri molesti, ora impegnati a disegnare sulla lavagna del suo cervello tutti i passi di danza che tanto avrebbe sicuramente dimenticato, soppesando realmente quel quesito. Andava così male tra Lindsay e lui? Nh, a dir la verità le cose tra loro andavano più che bene, tenendo conto degli standard; A gonfie vele, avrebbe detto un GD in vena di elemosinare qualche perla non richiesta, sempre con quel sorriso da Stregatto maledetto di chi aveva capito tutto ma non voleva rivelare nulla.

-Perché dovrebbe andare male?-

-Hai una faccia.-

-Non c’entra Lin.-

-Quindi va tutto bene.- ripeté con premura, anche se l’aveva colta indistintamente quella nota di traballante incertezza che non gli avrebbe dato scampo.

-Aha.-

-Ma…?-

E Top lo guardò con sguardo assente, desideroso di lasciarsi andare ad una sceneggiata isterica da primadonna che prevedeva lo sbattere della mani sulla cosce, lo sguardo fiammeggiante che vagava da una parte all’altra e la sua voce nevrotica che sbottava rauca un delizioso e liberatorio Mi avete rotto le palle con tutti questi Ma!, cosa che ovviamente non accadde. Perché non era da lui lasciarsi andare a certe pagliacciate in stile SeungRi, non era da lui scaraventare frasi colme di durezza verso i propri Hyung, soprattutto quando davanti a lui sedeva il suo adorato Dong-Wook.

Così si limitò a stringere il tessuto dei jeans, replicando con uno sfibrato –Perché pensate tutti che debba esserci per forza un Ma?- con la speranza che il suo attacco Sguardo tagliente avrebbe potuto trarlo d’impiccio da quella chiacchierata. Ma Sguardo tagliente era un po’ come Fulmisguardo: appena si raggiungeva un livello superiore e una nuova mossa doveva essere insegnata, era sempre il primo ad andarsene con quella musichetta fastidiosa e che sembrava prenderlo per il culo. E poi lui era un Caterpie rammollito al cospetto di un fantastico esemplare di Moltres; sarebbe perito sotto il suo Lanciafiamme.

-Perché dovresti essere l’uomo più felice della Terra- lo guardò con disappunto –Invece sembri sempre in lutto.-

E non comprese appieno le parole di Se7en, ci prestò così tanta attenzione che il mal di testa passò a fargli un salutino, ma più cercava di sezionarle con il bisturi della comprensione, più si ritrovava a brancolare nel buio dell’incertezza. Insomma, era felice, lo era davvero! Perché mettere in dubbio una delle poche cose che ancora nessuno, nemmeno sé stesso, era riuscito a smontare?

Poi, come un fulmine nel bel mezzo di un cielo terso d’azzurro, si rammentò della fatica immane che compiva ogni giorno per non lasciarsi troppo andare, del costante timore che Lin non si sarebbe più fatta né vedere né sentire, della paura di ritrovarsi un giorno a raccogliere i cocci del proprio cuore mentre lei li calpestava con le proprie converse. E lui non era come Ji Yong, che si chiudeva in camera e sfornava capolavori musicali degni del suo genio, che riversava la propria frustrazione sulla carta giocando con le parole, l’unica fonte di sollievo che riusciva a dare un senso alla sua sofferenza. No, Seung-Hyun era la classica persona che vegetava sul divano, che vedeva sfrecciare le immagini che la tele gli propinava senza nemmeno guardarle realmente, quello che avrebbe cambiato canzone perché puntualmente gli avrebbe ricordato lei e i momenti trascorsi assieme, quello che avrebbe affogato i dispiaceri di un amore mancato in una vaschetta di gelato o nella cioccolata calda che Daesung gli avrebbe amorevolmente preparato.

Seung-Hyun era un ammasso di incertezze e patemi, reagiva con tutto sé stesso ai drammi della vita e per ribellarsi occorreva un sonoro quanto non metaforico calcio nel culo.

E quindi già, avrebbe dovuto essere felice. Avere Lindsay tutta per sé era stata un’impresa epocale, la classica sfida al boss di fine livello armati di una semplice spada, avendo dribblato tutti gli incontri casuali, evitato pigramente di imbarcarsi in missioni secondarie, aver dimenticato di allenare gli altri membri del party e riuscire comunque a sconfiggerlo per un qualche miracolo. Che più comunemente veniva chiamato bug. E mentre lasciava che la mente pascolasse verso altri lidi, prepotente tornò a trovarlo il rumore della pioggia che aveva fatto da colonna sonora in quella pessima scena pseudo romantica che era stato il loro pezzo clou, la sincerità disarmante di una Lindsay che aveva fatto da Master decretando le regole inviolabili del gioco…

-Se vuoi, puoi conoscermi meglio.-


E la felicità da tempo persa e inaspettatamente ritrovata.

Fu a quel punto che si rese conto di non aver mai affrontato seriamente l’argomento Lindsay, le sue regole e i probabilissimi addii, giungendo alla conclusione che se non avesse parlato con qualcuno, anche solo per sentirsi dare del coglione, sarebbe esploso. E Dio solo sapeva quanto sarebbe stato difficile raccogliere il suo essere viscoso con un cucchiaino da caffè -Temo solo che possa finire.- esalò con sospensione, cercando di trattenere a sé ogni nota sofferente o amara che avrebbe fatto colare a picco la sua dignità. E probabilmente pure le palle di Se7en, ora serio e composto dall’altra parte della stanza. Gli parve di essersi infilato in una strada sbarrata che aveva come unica deviazione la follia e ovviamente i cartelli erano stati messi da quei due bontemponi di Se7en e GD. Ma a differenza del leader, Se7en sembrò quasi comprendere la natura dei suoi timori, sorridendogli fraterno, come se gli avesse appena dato un’astratta pacca sulla spalla.

-Mi ricordi me quando ho conosciuto Han Byul- portò le mani sulle guance, rovinando quel momento di serietà apparente -Sei così carino!- Seung-Hyun scivolò sulla sedia, mangiucchiando tutti quegli insulti che avrebbe voluto rifilargli con la velocità di un mitragliatore. Ma perché si ostinava a vedere del buono in quel mentecatto, perché?! -Oh, coraggio, stavo scherzando- sventolò le mani, divertito dal suo disappunto –E comunque, davvero, anche per me era così all’inizio- Seung-Hyun grugnì -E’ una cosa che pensano tutti.-

-E che dovrei fare?- aprì le braccia, sferrandogli contro tutta l’inquietudine che aveva in corpo, quel miscuglio di ansia da prestazione sul palcoscenico e ansia da prestazione nei confronti dell’algida Lindsay, ora impegnata in chissà quale acrobatica mossa pur di sfuggire al nuvolo di ragazzi che ci avrebbero sicuramente provato con lei. Nh, fantastico, adesso ci si metteva anche la gelosia a divorare quel briciolo di lucidità che gli aveva permesso di non avere una crisi di nervi coi controcazzi.

-Non pensarci- cinguettò Se7en passandosi una mano fra i capelli, ammiccando alla propria figura nello specchio -Dovresti goderti i momenti che trascorrete assieme e rimandare gli addii. Quelli non puoi prevederli, puoi solo farci i conti quando arrivano- e fu nel bel mezzo delle proprie incertezze che Seung-Hyun si rese conto di un particolare, decisamente non di poco conto: non sarebbe mai voluto arrivare al giorno dell’addio. Era come chiudere un capitolo della propria vita senza nemmeno aver assaporato lo scorrere delle pagine sotto le proprie dita, le parole scorse veloci e mai assimilate, abbandonare il libro senza nemmeno sapere come sarebbe andato a finire. E pensare che lui aveva sempre avuto il brutto vizio di partire dall’ultima pagina, solo per vedere se ci sarebbe stato un lieto fine o i tanto odiati Sad Endings; ora che non aveva idea di dove sarebbe arrivato, aveva il costante timore di arrivare ad un finale aperto che non lasciava nulla di buono sul suo percorso. O un qualsiasi spiraglio di felicità, ecco -Sai? Mi sembra così strano.- il sorriso di Dong-Wook si addolcì, come un fratello maggiore orgoglioso che vede il fratellino porre sul ripiano più alto e ben in vista della propria stanza un trofeo appena vinto.

Seung-Hyun non comprese il perché di quella delicatezza fraterna, soprattutto perché ogni loro discorso era sempre stato intervallato da qualche battuta. Ma c’era dolcezza nei suoi gesti, di quella che scaldava il cuore, che faceva stare bene e che leniva un po’ del dolore che lo attorcigliava.

-Cosa?- e mai più domanda fu stupida.

-Vederti così- anche se la risposta fu altrettanto idiota –Ti ho lasciato con una cotta e ti ritrovo innamorato.-

Il fiato gli si spezzò a livello dei polmoni, lo stomaco si contorse in una morsa squarciante mentre avvertiva brividi freddi percorrergli la spina dorsale. Innamorato. Di Lindsay. Lui innamorato di Lindsay… Era talmente assurdo che più continuava a ripeterselo, più gli pareva insensato. Illogico. Innaturale, addirittura, talmente tanto impossibile da rasentare l’illusione. O un’utopia, in questo caso. Perché sarebbe stato terribile oltre ogni immaginazione, riscoprirsi innamorati della Moore…
 

-Niente obblighi?-
 

Cosa c’era di peggio di un amore a senso unico?

-Non dire cazzate.- soffiò, dilaniato dal vago senso di angoscia che quell’osservazione aveva trascinato con sé.

-Non è una cazzata- lo guardò accigliato, come se non accettasse tale presa di posizione di fronte alla sua geniale opinione –La vera cazzata è che tu continui a dirti di no.-

Lo guardò abbattuto –Dirmi di no? Ma a cosa?-

-Al fatto che ne sei innamorato.-

E a quel punto, Seung-Hyun comprese di essere ormai giunto al capolinea. Dove sarebbe potuto scappare se i pensieri continuavano a trattenerlo?  Dove fuggire se nemmeno lui capiva cosa Diavolo lo stesse facendo correre con così tanta foga? Che l’amore era bello, avrebbe dovuto accoglierlo nella propria vita come un amico perso e ritrovato dopo anni di solitudine, come si accoglie un parente disperso e di cui si erano perse le tracce. Accoglierlo come se fosse l’essenza stessa dell’esistenza di ogni essere umano.

Ma a lui faceva paura. Una paura fottuta. E nessun posto gli sembrava adatto a rintanarlo.

-Io non credo.- sbottò massaggiandosi le tempie.

-Non credi o non vuoi crederlo?-

Con volto solcato da stanchezza si volse, conscio di non essere più sicuro di nulla –Io ne sono certo, va bene? Non la amo, non amo Lindsay- di quella sicurezza che avrebbe dovuto far ammutolire Dong-Wook perché davvero, lui non amava Lindsay, sarebbe stato solo un masochista, un cretino colossale a cadere nella rete di colei che avrebbe finito con rispondergli con un lacerante quanto mortale Io no. Perché era così, no? Se lei avesse detto Io non ti amo, lui sarebbe morto, no? E allora perché innamorarsene? Perché farsi del male? Perché l’amore voleva costringerlo ad assaporare la felicità se tanto poi gliel’avrebbe strappata senza lasciargli nulla in cambio? Solo i ricordi, ma avrebbero finito col mandargli in frantumi ciò che di più buono covava nel proprio animo –Io non voglio amarla.- lo esalò a fatica, piano, straziato al pensiero di essere troppo debole in confronto a quel vago sentimento che prendeva largo in lui.

-Seung-Hyun, non è qualcosa che vuoi o non vuoi. L’amore sceglie te, non sei tu a scegliere lui. Capita e basta- la voce di Dong-Wook risuonò placida nella stanza, con accortezza, quasi avesse il terrore di farlo sprofondare ancora di più -Capita quando non te lo aspetti. Quando pensi che non sia la volta buona, ecco, quello è il momento giusto. E non devi lasciartelo scappare.-

Fu strano per Seung-Hyun rendersi conto di come sua madre e Se7en la pensassero allo stesso modo. Forse era privilegio per pochi credere nelle bellezze dell’amore, non avere paura del domani e della sofferenza. Forse erano dotati di una forza che lui non possedeva e se non cedeva in sé stesso, dubitava che Lindsay avrebbe mai potuto credere in un ipotetico noi –Non sarebbe meglio?- domandò apatico, svuotato di ogni voglia di comprendere –Se lo lasciassi scappare, soffrire di meno.-

-Ne sei sicuro?- rise un poco –L’amore che si ci lascia scappare è una delle cose peggiori che possa capitarti. E’ una di quelle ferite inguaribili che nemmeno il tempo riuscirà a cucire. Se la lasci andare, la vorrai per sempre- gli rivolse un sorriso complice –Meglio averla ora che non averla affatto, non pensi?-

Seung-Hyun passò una mano fra i capelli, la fece scivolare sulla guancia truccata per poi far scemare il suo percorso contro le labbra, stando attendo a premerle bene contro il palmo pur di non esalare qualche stronzata. Che di vaccate, decisamente, ne erano volate parecchie. In quel momento, se gli avessero chiesto quale superpotere avrebbe voluto avere, di sicuro non avrebbe risposto l’invisibilità o saper volare, no. Lui avrebbe voluto poter tornare indietro nel tempo, ecco. Sarebbe voluto tornare a venti minuti prima, quando stava ridendo e scherzando con Dong-Wook sulla propria sfiga; sarebbe voluto tornare indietro a quel giorno di pioggia per dirle No, non voglio conoscerti meglio perché sei di una noia mortale; sarebbe voluto tornare a quella notte nel ripostiglio e dirle fra le birre Hai ragione, non è una buona idea; sarebbe voluto tornare a molti mesi prima per dirsi No, non è lei quella giusta, continuare a credere che fosse il male in Terra e che dietro quel bel viso dai tratti occidentali non ci sarebbe stato nulla di interessante da scoprire…

 

-E se solo guardassi tutto da un’altra prospettiva,

ti accorgeresti di quanta bellezza c’è dietro il muro.-

 

Sarebbe voluto tornare alla monotonia della propria banale esistenza.

Sorrise amaro, di quei sorrisi che lasciavano ben intendere quanto questi fossero solo chimere, fioretti che mai avrebbe realizzato. Perché sarebbe sì tornato indietro, ma avrebbe rifatto esattamente le stesse cose, avrebbe ricommesso gli stessi sbagli e solo per arrivare a lei. A lei che rendeva tutto un po’ migliore, non speciale quello no, ma migliore non era poi così male; a lei che non si rendeva bella ai suoi occhi, che gli aveva mostrato il peggio di sé e dentro sé continuava a tener segregato ciò che di buono aveva da offrirgli.

A lei che era stata l’unica capace di strappargli il cuore con un banale Scusami.

A lei che non voleva essere trattenuta e nemmeno si accorgeva di continuare a restare.

-Ehi…?- la voce che vibrò nell’aria non gli apparteneva, non vi si riconobbe, ma ormai non si riconosceva nemmeno in quel ragazzo stanco che lo specchio continuava a riflettere -Come hai capito di amare Han Byul?-

Dong-Wook strabuzzò gli occhi, preso in contropiede da quel quesito. Era talmente disperato che continuava a porgere quella domanda a chiunque gli capitasse sotto tiro, pur di placare quella marea che continuava ad inondare le sue certezze –Non lo so- e ti pareva… -Non è qualcosa che capisci, capita da un giorno all’altro.-

Lo guardò scettico –Quindi un giorno mi sveglierò e mi accorgerò di amarla?-

-A me è successo così- alzò le spalle –Ricordo che doveva fermarsi da me un giorno, poi è rimasta la sera dopo e quella dopo ancora. Prima che me ne accorgessi, il giorno era diventata una settimana e la settimana un mese- il sorriso che sbocciò sul suo volto fu uno spettacolo di rara bellezza, di quelli che gli mozzavano sempre il fiato in gola e allora si ricordava di dover respirare solo perché la testa cominciava a girargli. Che forse era vero, forse l’amore rendeva davvero belli –Ricordo di essere rientrato una mattina e di averla trovata ancora a letto. Ho capito di amarla così, solo guardandola, non so spiegartelo- rise un poco -Era venuta a casa mia per caso e mi sono reso conto che era casa solo perché lei era lì, con me- tornò a guardarlo, la tipica espressione di chi non vedeva vacillare il proprio credo neppure per un istante –Non è abbastanza questo per definirsi amore?-

-Una volta non lo si capiva dal fiato che manca, dalle vertigini, dalla mancanza quando lei non c’è?- sventolò le mani, continuando a reputare quelle delle frasi fatte che la gente aveva inventato solo per generalizzare i sintomi da innamoramento. O da passaggio dall’avere un cervello pensante a divenire dei coglioni assurdi.

-Io non credo a quelle cazzate- sventolò una mano -Non posso respirare, non riesco a mangiare, non riesco a divertirmi, non riesco a vivere… Io quelle cose riesco a farle benissimo senza di lei- guardò un punto del muro, come se Han Byul fosse comparsa dal nulla -Solo con lei sono migliori.-

Migliori. Quindi era solo quello? Forse davvero la vita era fatta di momenti che non dovevano essere per forza speciali, di attimi che andavano goduti nel loro essere effimeri. Forse davvero era amore quando ci si rendeva conto che tutto ciò che si era sempre fatto, diventava un po’ migliore solo perché c’era qualcuno con cui condividere quel tutto. Forse Lindsay era l’amore che gli aveva sfondato le porte, forse doveva smetterla di farsi mille e più paranoie, forse doveva.

Forse…

Però quel messaggio continuava a non arrivare e Seung-Hyun era stanco di crogiolarsi nell’insicurezza, nell’irrequietezza di un umore che andava altalenando solo perché nelle mani di una burattinaia senza cuore troppo esperta per lasciarsi sopraffare dai sentimenti del burattino.

-Io sono felice con lei, lo sai?- mormorò rigirandosi il cellulare fra le mani, la nuca contro il poggiatesta e lo sguardo rivolto al soffitto –A volte penso che questo basti. Non può bastare solo questo?-

Dong-Wook rimase in silenzio, poi si grattò la nuca -Forse ti stai innamorando e nemmeno te ne sei accorto.-

-Ma per favore!- lo guardò -E’ passato così tanto tempo! Me ne sarei accorto.-

La vibrazione del cellulare fece vibrare anche le pareti immobili del suo animo adombrato, mentre il cuore cominciava a scalpitare furiosamente nell’ansia che le sue poche parole scivolassero davanti i suoi occhi ora più brillanti.

E mentre attendeva che il messaggio si aprisse, con tutta la lentezza estenuante di quel mondo, il sospiro di un Dong-Wook ormai giunto al capolinea della propria pazienza, risuonò alto e scoccante, distraendolo -Seung-Hyun?- il proprio nome pronunciato con calma lo mise sull’attenti -L’amore non è mai puntuale, lo sai?-

Aggrottò le sopracciglia, corrugò la fronte, si perse nel suo fievole sorriso che sembrava voler decretare la fine di quella discussione. Ma gli parve che giunti a quel punto ci fosse tanto, troppo da dire, che lui ancora non aveva mica capito che Diavolo gli stava accadendo -Che—

-Oi, Hyung, dobbiamo tornare di sopra.- la voce calda di Taeyang irradiò l’aria mentre la sua nuca faceva capolino dalla porta. Se7en gli rivolse un breve sorriso prima di alzarsi e lanciare il pupazzo sulla sedia.

No, nessuno gli aveva detto che l’amore non era mai puntuale…
 

-E’ Lindsay?- domandò Dong-Wook sulla soglia, le mani in tasca.

-Aha.-

-E cosa dice?-
 

E nemmeno Lindsay lo era…

 

Faccio un po’ tardi ma arrivo.

Mi porta Ginko. Buon concerto :)

 

E lui non sapeva se quello fosse amore o semplice cotta o una sbandata destinata ad eclissarsi all’ombra di ciò che avrebbe voluto costruire con lei…

 

-Che ci vediamo dopo.-

Se7en inclinò il capo e gli sorrise –Sei felice ora?-

-Io, con lei… Sono felice. Sul serio.-

–... Sto meglio.-

 

Sapeva solo che Lindsay rendeva davvero tutto un po’ migliore.

 

*****


Che.Noia.

Dall’alto della zona vip, Ji Yong ammirava quel tripudio di banalità e futilità che continuava a dimenarsi con movenze un po’ smarrite, tipica delle persone che decantano di voler andare a ballare solo per sfogarsi e poi si ritrovano a guardarsi in giro alla disperata ricerca di qualcuno che potesse colmare il vuoto delle loro notti. Le palpebre gli si abbassavano senza poterle trattenere pur di privarlo di quello spettacolo di oscenità. Erano lì a dirgli No padrone, non guardi, protegga la sanità del suo cervello e le diottrie dei suoi stupendi occhi. e quando GD cominciava a conversare con parti anatomiche del proprio corpo che non riguardavano quel muscolo dove il sole non batteva mai, significava che la noia aveva deciso di farlo morire in fretta. E ci stava riuscendo, la maledetta, privandolo di ogni sua più piccola gioia. Ri, ad esempio, era fuggito in pista con quella molla impazzita della Fujii, per l’occasione vestita da bambolina che avrebbe alimentato i suoi incubi peggiori; Seung-Hyun si era smarrito in un covo di ballerine che continuavano ad attorniarlo senza lasciargli possibilità di respirare, mentre Daesung e Taeyang pascolavano per la sala come due anime in pena, conversando amabilmente con qualche fan che si avvicinava loro. Di quel tripudio di tedio, però, fu il loro adorato Hyung a catturare la sua attenzione, quasi ci fosse qualcosa che stonava nel suo atteggiamento così fluido, complice gli ettolitri di alcool ingurgitati: dov’era finita America? Insomma, aveva rotto tanto le palle perché la sua amata forse non li avrebbe deliziati della sua amorevole presenza e ora che era lì, rivestita di scazzo, la lasciava a piede libero in quella mandria di esagitati in preda agli ormoni in crisi d’astinenza?

Ji Yong sorrise a cuore aperto mentre la vedeva avvicinarsi.

Mai lasciare incustodite le cavie, mai.

-Che due palle…-

Gli parve di aver udito il coro dei cherubini beargli le orecchie mentre si accorse che vicino al tavolo delle bevande, un esemplare di Lindsay Moore selvatico sostava a nutrirsi presso l’oasi dell’alcol. Oh, qual gioia per i suoi poveri occhi stanchi e martoriati, ora risanati da quella splendida immagine che, sapeva, non avrebbe fatto altro che portargli solo tanto gaudio.

Perché da un po’ il suo divertimento aveva cominciato a sfibrarsi, a rinsecchirsi talmente tanto che nemmeno una bella tortura psicologica ai danni di quel povero santone di Daesung aveva sortito l’effetto sperato, ovvero appagarlo. E si ritrovò a sbuffare al pensiero che nessuna delle sue adorate cavie, ormai, sembrasse disponibile a giocare un po’ con lui. Da quando Ri usciva con Ginko viveva su di una nuvola talmente rosa da divenire inguardabile tanto era oscena, di quelle fatte di dolciastro zucchero filato che gli facevano salire la bile fino alla bocca della gola; vani erano stati i suoi tentativi di forarla con i suoi dardi intrisi di ironia Ri sembrava protetto dalle intemperie della sua cattiveria. Seung-Hyun poi nemmeno a parlarne. Dopo la loro chiacchierata in sala di registrazione si era reso ancora più inavvicinabile, quasi la scoperta di essere ormai preda dell’amore lo stesse rendendo un decerebrato. Che già lo era, solo che ora era giunto allo stadio terminale.

Si guardò attorno, appurando che nessun molestatore potesse privarlo di qualche minuto di gioia, poi con passo mellifluo si avvicinò ad una Lindsay che, troppo concentrata sulle bevande, non si rese conto del suo arrivo –Non dovresti bere così tanto- mormorò al suo orecchio, vedendola saettare di lato –Gli ubriachi commettono sempre cazzate.-

-Te le fai anche da sobrio, invece.- gli rifilò quel mezzo insulto con scazzo, le guance già rosse mentre il bicchiere mezzo vuoto oscillava pericolosamente verso il basso. Ah, che goduria, decisamente! Cosa poteva chiedere di più di una Lindsay ubriaca e che sembrava afflitta da chissà quale pensiero turbolento?

-Oh, qualcuno qui sembra arrabbiato- studiò la sua espressione contratta in una smorfia di durezza e Ji Yong lo accolse come un invito a procedere –E’ perché Seung-Hyun sta parlando con quelle ragazze?- le sue labbra si arricciarono, l’indice volò in picchiata verso il bersaglio. E sorrise di fronte all’espressione di pura tranquillità che il suo Hyung aveva assunto di fronte a quello sfoggio di gnocca, dimentico della ragazza.

-Non me ne frega niente- le guardò di fuggita, poi tornò a concentrarsi sulla vodka –Può anche ballarci assieme, se vuole.-

-Non vuoi ballarci tu con lui?- sarebbe stato divertente vedere quella libellula della Moore ballare con Top l’ippopotamo. Uno spettacolo da filmino, esilarante.

-Non mi piace ballare.-

-A me sembrava il contrario- portò l’indice sotto il mento e come un fulmine inaspettato, quel ricordo lontano e sbiadito tornò prepotente a soccorrerlo. C’era una sconosciuta sui tavoli, agghindata con un’improbabile vestito da poliziotta hot che guardava la folla con scazzo, poi la loro Fantastic Baby. E l’espressione di pura sospensione di Seung-Hyun. Quella, più di tutte, fu l’unica immagine che si palesò in tutta la sua nitidezza, ricordandogli perché mai avesse cominciato a nutrire speranze in quei due dementi. Certi sguardi parlavano per lui, certi sguardi non si dimenticavano. Certi sguardi erano solo l’inizio della catastrofe –La serata Police Department non ti dice nulla?-

E certe espressioni non potevano venire ignorate. I suoi occhi larghi per la sorpresa, le mani ingioiellate strette intorno al bicchiere, le labbra schiuse mentre le parole sembravano essersi rannicchiate negli anfratti più bui della sua mente. Aveva la tipica espressione di chi viene preso in contropiede e non sa più da che parte voltarsi. E Ji Yong adorava vedere quell’espressione sbocciare sul volto delle sue vittime. Lo facevano sentire potente e sulla via buona e giusta per far concludere quella serata con la propria eclatante vittoria.

-E’ stato un malinteso.- sciorinò spiccia, inumidendosi le labbra.

-Oh, ma è stato divertente- guardò Seung-Hyun, richiamato dalla sua rauca risata mentre una ballerina continuava a mormorargli qualcosa all’orecchio -Non riusciva a staccarti gli occhi di dosso.-

-Chi?-

-Ma come chi?- si dondolò sui piedi, sentendo il cuore riempirsi di incolmabile gioia –Seung-Hyun, chi se no?- abbassò la voce, rivolgendole un sorriso carico di aspettativa per un’eventuale sceneggiata. Ma si rammentò di avere a che fare con la discreta Lindsay, quella che allargava gli occhi ma non spalancava mai le labbra, quella che scoccava frasi pregne di collera ma non alzava mai la voce, quella contenuta pur nella sua incertezza. La Lindsay che stava donando talmente tanta felicità al suo adorato Hyung che quasi avrebbe voluto abbracciarla solo per ringraziarla. Era stata come un Sole nel loro grigiore e, diamine, nessuna da tempo aveva avuto questa capacità. A parte una squinternata dai capelli rossi, ma questo lo pensò solo per il rum aveva cominciato a giocare a calcio con i suoi neuroni.

-Non dire cazzate- esalò lei portando una ciocca sfuggita alle forcine dietro le orecchie –Nemmeno mi sopportava, all’inizio.-

-Non c’è bisogno di sopportare qualcuno per trovarlo bello- Lin gli parve intimorita –Non te l’ha mai detto?- il silenzio che ne seguì, fu un secco No che stimolò la sua ilarità.

-Lui non mi sommerge di complimenti.- non colse alcuna nota di sofferenza nella sua voce, nemmeno il presentimento di una crisi esistenziale o di un calo di autostima. Lindsay gli dava l’idea di una ragazza che era stata talmente tanto infangata da parole vuote, da non venire più stimolata quando la sincerità l’abbracciava. Aveva il tipico sguardo di chi era abituato a non ricevere amore e quando incrociava qualcuno disposto a donarglielo senza rimesse, cominciava ad avere paura. Per un istante, per un misero e breve istante, si sentì talmente tanto affine che avrebbe voluto dirle Seung-Hyun pensa davvero che tu sia bella, solo per veder spuntare sul suo viso il seme della meraviglia. Quello stesso seme che lui, da tempo, aveva deciso di non piantare più.

Ma tornò in sé quando credette di vederla spiccare il volo -E ti dispiace?- inclinò il capo.

Lin lo guardò per un po’, poi alzò le spalle –Mi basta ciò che mi dice.-

Ji Yong ghignò, approfittando dei suoi scivoloni –Tipo? Che a letto sei uno schianto?-

-A parte che non me lo direbbe- sentenziò macabra, quasi si stesse trattenendo dallo spaccargli la bottiglia di vodka in testa –Non abbiamo ancora fatto niente.- ah, la sincerità disarmante di Lindsay che lui tanto apprezzava si era ripresentata più audace e spavalda che mai. Gli era mancata, Dio quanto gli era mancata!

-Oh, da te non me lo sarei mai aspettato- ed era vero, eh, forse quella era una delle poche cose che le aveva rivolto con assoluta genuinità. Conoscendo i suoi trascorsi, si sarebbe aspettato racconti mozzafiato di loro due sotto le coperte nelle vesti di conigli troppo presi dalla passione, che preferivano trascorrere le loro domeniche ad attorcigliarsi intorno alle lenzuola piuttosto che uscire a passeggiare. E il lampo di genio bussò alle porte della sua mente brillante, sorridendogli compiaciuto –Sicura di non uscire con lui solo per i soldi?-

Certe situazioni andavano sfruttate, non stupidamente ignorate.

-Devo prenderlo come un insulto?- Lin arcuò un sopracciglio, ma non si perse in una marea di offese che molte gli avrebbero rivolto a suon di schiaffi e isteria. L’intelligenza di Lin stava nel saper individuare le frecciatine atte al puro e semplice pungolamento, evitandole con un’alzata di spalle e un’occhiata di raggelante indifferenza. Era un toccasana conversare con lei, di quelli che gli permettevano di respirare a pieni polmoni e sentirsi pervadere da aria pulita.

-Dico solo che non mi sembra da te, ecco tutto- la guardò sorniona –Non sei tu quella che preferisce giocare?-

Lin nascose le proprie parole dietro la birra, con la vana speranza che quelle maledette tornassero nel suo stomaco e lì sostassero, ma l’ebrezza non era dalla sua parte –Stiamo giocando, eh.-

-Che gioco strano- soppesò le sue parole –Pensavo che gli scopamici non perdessero tempo.-

-Seung-Hyun non è così e lo sai anche tu.- oh, certo che lo sapeva, lo sapeva benissimo. Ma se quella sciocca cavia credeva che si sarebbe fatto bastare questa giustificazione, si sbagliava di grosso.

-No davvero. Così come?- domandò placido, un vago accenno di sorriso a dipingergli il volto, quasi volesse incoraggiarla in quella discussione.

-Non è portato per le storie di solo sesso.- sentenziò guardando la bottiglia, le labbra arricciate mentre la sua mente sembrava in fase di metabolizzazione.

Ji Yong la affiancò, appoggiandosi al tavolino mentre lo sguardo andava infrangendosi contro Seung-Hyun che, a quanto sembrava, non si era accorto del loro essere troppo ciarlieri. No, Top non era portato per le storie di mero sesso, era troppo emotivo per poterle affrontare senza pensiero alcuno. Seung-Hyun era il classico ragazzo che si faceva trasportare dalle emozioni, che nascondeva i propri problemi dietro una dura scorza di menefreghismo quando in realtà aveva bisogno di continuo sostegno. Come quella sera, quando si era ritrovato a cantare vagando nel limbo del timore che Lindsay non si sarebbe presentata alla festa. E vederlo tornare a brillare quando una frase e uno smile avevano compiuto il loro lavoro. Lui era così, era talmente attaccato a tutto quel miscuglio di emozioni che gli nuotavano dentro da sentirsi un naufrago se solo una di loro andava disperdendosi. Forse era per questo che continuava a tenersi stretto Lindsay. Forse lei era la colla che teneva ben saldo quel gomitolo che gli permetteva di continuare a vivere.

Lei e nessun’altra.

Si chiese cosa sarebbe accaduto se l’americana se ne fosse andata da un giorno all’altro. Lei nemmeno si rendeva conto di che casino avrebbe combinato se solo avesse deciso di non far più parte della sua vita. E lei doveva capirlo, doveva rendersi conto di quanto potere possedesse, di come il cuore di Seung-Hyun fosse ormai nelle sue mani e se solo avesse stretto troppo, lo avrebbe fatto finire in poltiglia fatta di sangue e sentimenti stropicciati.

-E tu lo sai perché, mh?-

-Perché è buono.- mormorò tornando a bere, l’espressione serena di chi ha la carta vincente nel proprio mazzo. Peccato che lei avesse una misera coppia, lui una scala reale.

-No, è perché non sarebbe solo sesso tra voi- la guardò di sbieco, nessun sorriso mentre la vedeva irrigidirsi prima che la cocente verità le venisse sbattuta in pieno viso –Linnie, nessuno sente ciò che prova lui ora per te.-

-Non chiamarmi Li--

-Dico davvero- la interruppe con bruschezza, questa volta intenzionato a disseminare di dubbi le sue certezze invalicabili –Potrai andare con chi vuoi, ma ciò che prova lui per te, non lo sentirà nessun’altro.-

E lo udì, il battito del suo cuore che andava accelerando, il respiro che andava affievolendosi mentre il dubbio si insinuava in ogni più raggrinzita piega del suo cinico essere. Del resto lo aveva detto che Seung-Hyun non aveva avuto occhi che per lei, dall’alba dei loro tempi.

-Dovresti smetterla di sparare cazzate.-

-Se ti fa sentire più tranquilla, chiamale pure cazzate- la ragazza incassò il colpo con un sorso di birra –Insomma, non hai mai pensato che potesse esistere qualcuno solo per te?- scrutò i lineamenti di Lindsay dipingersi di confusione, così palpabile che per un istante sembrò intaccare la musica di sottofondo. E Ji Yong non la udì più. Non dopo che il No placido di Lindsay lo ebbe raggiunto come un tram in piena corsa. Che quel No era di una sincerità disarmante che non pensava gli avrebbe rifilato con così tanta velocità. Ci rimase un po’ male nel constatare che la cavia, quella notte, non sembrava intenzionata a farlo divertire chiudendosi dietro la propria proverbiale ermeticità -Tutti lo pensano.- sentenziò ferreo, tornando a guardare la bolgia che avrebbe dovuto definire divertimento, ma tutto ciò che gli sovveniva era noia. L’unico divertimento, nel vero senso del termine, erano quei piccoli criceti che si muovevano lì in mezzo, meritevoli della sua pigra attenzione. C’era una Lindsay che aveva la testa così arrovellata di pensieri che poteva percepirne il peso solo standole di fianco; c’era Seung-Hyun che riversava il proprio nervosismo circondandosi di futilità accompagnato da tequila e chissà quale altro alcolico a lui sconosciuto; c’erano Ginko e Ri, infine, che erano l’apoteosi della scemenza, e sembravano brillare di luce propria mentre si dimenavano nella pista, peggio di quella palla stroboscopica che irradiava tutta la sala. Gli parve, per un breve quanto insignificante istante, che il sorriso della Fujii avesse rischiarato metà stanza, dissipando perfino quel drappo nero che la Moore si ostinava ad indossare, ma forse si sbagliava. L’aveva detto che era stato un istante insignificante.

-Io non sono tutti, eh.-

-Linnie, pensavo sapessi fare di meglio.- scosse la nuca di fronte all’infantilità e prevedibilità di quella risposta. Ah, era un piacere vedere che le persone, per certe cose, non sapevano andare oltre la banalità delle cose.

Lin roteò gli occhi, poi catalizzò la propria attenzione sulla bottiglia gelida che continuava a rigirarsi fra le mani –Ci ho pensato, quando ero piccola- confessò mordendosi l’interno delle guance –Poi i miei si sono separati e non ci ho più creduto.-

-Creduto?- arcuò un sopracciglio –Pensavo stessimo parlando di pensare.- sottolineò con marcatura, quasi volesse evitare che i due concetti divenissero un’unica questione. Perché non c’era errore più grande nel mescolare il pensiero e il credo, soprattutto in quell’argomento delicato che stavano affrontando. Pensare che qualcuno avrebbe cominciato a rappresentare il tutto della vita di una persona era un’idea, l’immagine che sfreccia nella mente quando si vedeva una coppia felice, un film romantico, quando semplicemente ci si rendeva conto che i corpi non erano fatti per restare soli. Ma credere… Credere significava aspettare una vita intera, rendersi conto che quello era un passaggio che nella vita di ognuno doveva succedere se si voleva evolvere.

-Credere, pensare, che differenza fa?- alzò le spalle –Quando smetti di credere, smetti anche di pensare.-

Nei suoi occhi nocciola rivide il sé stesso di molti anni prima, quel Ji Yong che aveva abbandonato ogni affetto per dedicarsi completamente al proprio egoismo, che tanto nessuno sapeva badare a sé stesso, figurarsi se avrebbero perso tempo a curarsi di lui. Ma c’era qualcosa in Linsay che andava oltre l’incapacità di sapersi prendere cura di sé, che andava oltre l’egoismo. Aveva lo sguardo di chi aveva perso tutto e una volta ritrovato, decideva non riprenderlo con sé, perché tanto non sapeva che farsene. L’amore è cattivo, l’amore fa male, sua sorella glielo aveva spesso detto, ma peggio ancora è la solitudine, aggiungeva con un sorriso.

E Lindsay ci si stava inabissando.

-Dovresti ricominciare.-

-Anche tu.- lo guardò con stanchezza, quella stessa stanchezza che leggeva nei proprio occhi prima di andare a dormire o quando guardava gli occhi di qualche amante prima di perdersi nei meandri del piacere. Avrebbe voluto dirle che Seung-Hyun era la sua felicità, che non doveva commettere l’errore di lasciarsela alle spalle…

-Oi, qualcosa non va?-

Ma a volte la felicità arrivava senza bussare, interrompendolo. Armato di tequila, sorriso che andava allungandosi da angolo ad angolo e sguardo luccicante, di quelli che gli facevano capire quanto avesse fatto bene a rompere le palle a quei due.

Guardò Seung-Hyun di striscio, avvertendo Lindsay agitarsi al proprio fianco. Ah, ma come poteva lasciarsi sfuggire tanta bellezza, quella sciocca cavia? Insomma, il volto di Top emanava così tanta serenità che avrebbe dovuto fargli una foto e appenderla in camera, rimirandola nei giorni più grigi della propria esistenza.

-Oh, Hyung, parlavamo proprio di te- cinguettò caramelloso mentre vedeva il suo sorriso adagiato su Lindsay farsi sempre più invisibile –America mi stava dicendo quanto tu fossi stupendo questa ser— la gomitata della ragazza lo bloccò, anche se al dolore si mescolò l’ilarità.

-Ma non è vero! Questa è una cazzata!- la sua voce stridula gli beò le orecchie. E l’espressione confusa e afflitta di Top fu un piacere per il suo cuore straziato. Perfetto! Erano pura gioia per la sua anima agonizzante!

-Oh, quindi non lo trovi bello?- Lin aprì le labbra ma non le diede il tempo di trarsi in salvo –Peccato, no? Perché Top ti trova bellissima- gli occhi del ragazzo si allargarono –Non la trovi stupenda questa sera?-

-Ma che cazzo dici, Ji Yong?- domandò lugubre.

-Oh, quindi nemmeno tu la trovi bella?-

-Co--

-Che palle.- Lindsay si divincolò da quel discorso.

L’allontanamento di Lin fu solo il preludio di una catastrofica e metaforica bomba che era stata appena sganciata. Esplosione tra 3… 2… 1…

-Ma che cazzo hai che non va, si può sapere?!-

Si beò del ruggito dello Hyung appena ferito che aveva visto sfuggire l’antilope dagli occhi da cerbiatto –Mi annoiavo.-

-Tu—

-Però dovresti dirglielo più spesso che è bella- soppesò placido –Insomma, come ragazzo fai un po’ schifo.-

Seung-Hyun strabuzzò gli occhi mentre agitava il bicchiere di tequila -Che le hai detto, Ji Yong?- lo sguardo truce dello hyung lo fece sghignazzare di puro gusto, mentre tratteneva a sé un mucchio di risposte solo per pungolarlo in quell’attesa snervante.

-Niente di peggio di quanto non abbia fatto tu- lo vide velarsi di confusione –Insomma, invitarla e poi stare con quelle, non si fa.- scosse la nuca, fece oscillare l’indice, gustò appieno l’espressione di puro terrore che andò delineandosi su ogni più minuscolo muscolo del suo volto, ora contratto come nemmeno L’urlo.

-Se l’è presa?- il suo sguardo fiammeggiante per un momento lo bruciò –No, no, io lo so che non se l’è presa. Lindsay non se la prende per queste cose.- cantilenò come un mantra, facendogli tenerezza.

-Tu dici?- la sua tranquillità fece afflosciare la sua sicurezza –Hai visto anche tu che se n’è andata.-

-Se ne sarà andata perché le avrai rotto le palle- si grattò la nuca, l’incertezza ben scorgibile nel suo tono di voce rauco e un po’ strascicato. Ah, qual gioia un Top che voleva negare l’evidenza quando era palese che lì, l’unica fonte di disagio in una Lindsay avvolta da chissà quali problemi, era proprio lui. D’altro canto, Ji Yong era solo stato un ulteriore repellente, ma proprio non poteva considerarsi la fonte principale della sua fuga –Ji Yong, che le hai detto?- ripeté sull’orlo dell’ira, assottigliando gli occhi gonfi.

-Sai? Dovresti correre da lei- ignorò la sua domanda -Credo stia incominciando a capire un po’ di cose.-

-Un po’ di cose?- Dei, Seung-Hyun sbronzo era più lento del solito e già non è che brillasse per genialità, eh –Tipo?- agitò un indice minaccioso, ma GD lo scostò dalla propria visuale.

-Tipo che se non parla, potrebbe esplodere- buttò lì con tedio, attendendo il momento più propizio per potergli dare la spinta giusta –O che comincia ad avere un disperato bisogno di te- e fu epica, anzi no, fu indimenticabile l’espressione di pura sorpresa che aveva dipinto il bel volto dello Hyung. I suoi occhi larghi furono una nota di colore in mezzo a quel lerciume, il suo sorriso penzolante che non sapeva se mostrarsi o restar celato fu un toccasana per il suo cuore stanco e il suo Oh, cazzo fu favoloso, un paio di parole che mai più leggiadre gli parvero. Fu sensazionale quel miscuglio di ansia e incredulità che cominciarono a pervaderlo, che andarono diramandosi in ogni anfratto del suo corpo. E Ji Yong sorrise. Di quei sorrisi un po’ raccapriccianti ma di sincero affetto, che finalmente la sua cavia stava cominciando a capire e allora lui cominciava a sentirsi realizzato -Non sei contento?- domandò fingendo sorpresa, le ciglia fini sbatacchianti e le labbra arricciate intorno alla cannuccia.

Seung-Hyun scostò le labbra dalla bottiglia, rivolgendogli un’occhiata incerta –No, no, lo sono!-

-Ma…?-

-Ma la smettete di pensare che debbano esserci dei ma?!- la sua sfuriata memorabile –Che palle che siete!- seguita da un tripudio di giovanile volgarità che straziò di piacere il cuore di Ji Yong. Si asciugò una lacrimuccia invisibile e trattenne le risate. Doveva mantenere serietà se voleva vedere la sua cavia infilarsi nel corridoio giusto di quel labirinto in cui si era infilato.

-Vuoi farmi credere che non ci sia un Ma?-

Seung-Hyun sbuffò il proprio nervosismo, poi si guardò attorno –E’ che mi sembra strano- lo guardò diffidente –Te lo ha detto lei?- gli sembrò una sciocca ragazzina che non crede alla dicerie di corridoio, ovvero che il bello della scuola voleva uscire solo e soltanto con lei. Insomma, aveva la tipica espressione di una Haruko Akagi qualsiasi a cui avevano appena detto che Kaede Rukawa, l’algido Kaede Rukawa che mai si sarebbe accorto di una donna nuda –a meno che non si fosse coperta con un pallone da basket, ma anche lì avrebbe notato solo la palla sferica arancione-, aveva adocchiato proprio lei. Fantascienza, pura utopia, un miracolo irripetibile. Tutto quello si poteva leggere nella diffidenza di Seung-Hyun, ora stremato più che mai al pensiero che quello potesse rivelarsi un becero scherzo.

Ma pur nella sua infida cattiveria, pur nei suoi giochetti estenuanti, Ji Yong gli aveva mai mentito? Lui aveva sempre avuto ragione, lo aveva sempre spronato a fare i conti con la realtà e sé stesso e se adesso si trovava lì, ad un passo dall’afferrare Lindsay Kaede Rukawa Moore, era solo merito suo e della sua stronzaggine.

Si compiacque di sé stesso, mise da parte l’amore che nutriva nei propri confronti e si dedicò a lui e alla sua scemenza abissale –No, non lo ha detto lei- storse il naso –Sai che quella non parla- lo vide sprofondare nella sfiducia mentre le sue spalle andavano incurvandosi e lo sguardo puntare al pavimento appiccicoso –Ma glielo si leggeva. Seung-Hyun, le ho detto che nessun altro, ora, sente per lei ciò che provi tu nei suoi confron—

-Tu cosa?! Ma sei diventato pazzo?! Ma come cazzo si fa—

-Era felice- il suo cicalare asfissiante si interruppe, come un disco che viene tolto di colpo e produce quel suono fastidioso di chi ha appena rovinato l’atmosfera –Non l’ho mai vista così felice.- che ok, non era andata propriamente così ma era scientificamente testato da sé stesso che a volte alcune bugie davano risultati positivi ineguagliabili. Perché Lin non aveva sorriso, si era riparata dietro la cascata di capelli mentre un seccato Non dire cazzate, aveva dato sfogo alla sua confusione, ma Ji Yong era andato oltre quel banale commento. Aveva visto l’imbarazzo di chi non sa reggere il peso di dichiarazione di tale portata, la fragilità di chi non sa come reagire di fronte ad un’eventualità del genere. Aveva visto, sentito, assaporato la paura di una ragazza che, in fondo, era molto più simile a lui di quanto avrebbe mai potuto immaginare.

Seung-Hyun parve brillare, poi si estinse, come se avesse avuto l’opportunità di vedere nel futuro prossimo –Sono nella merda. Adesso mi lascia e—

-Dovresti parlarle- ripeté piano, tornando all’inizio del ciclo evolutivo di quella discussione –Ne ha bisogno- puntò lo sguardo su di lui, l’ombra di un sorriso sul volto sottile –Ne avete bisogno, tutti e due.-

Seung-Hyun parve tergiversare, cercando tempo in quella bottiglia, attendendo spasmodicamente che qualcuno venisse a richiedere la sua compagnia; quando si rese conto che nessuno voleva passare del tempo con Top, si arrese all’evidenza delle cose. Che qualcuno che l’aspettava c’era, andava solo raggiunto. E con un sospiro che parlava per lui, con un’imprecazione così deliziosa da far vibrare le pareti incrostate della sua anima, Seung-Hyun si mosse, superandolo con una spallata e un macabro –Se finisce tutto per colpa tua, ti uccido.- che lo fece ridere di gusto.

Se tra quei due fosse finita, non sarebbe stato di certo per colpa sua. Il fautore del più grande spettacolo dopo i loro concerti, non poteva permettere di rovinare tutto con il gesto o la frase sbagliata. Gli dispiacque che Seung-Hyun nutrisse così poca fiducia nei suoi metodi di aiuto, ma capì che l’amico era solo braccato dalla fottuta paura di perdere forse l’unica capace di farlo star bene. No, decisamente, non avrebbe mai permesso che il suo amato Hyung ci rimettesse per colpa dei suoi sbagli.

Fu Daesung a rovinare il suo trastullo, acquattandosi al suo fianco con l’espressione di una mamma che vede rincasare il proprio figlio strisciante per le troppe birre ingurgitate  -Perché ridi?-

-Perché lo trovo bello.- esalò spiccio, asciugandosi le lacrime mentre si lasciava adocchiare da una bionda finta come poche.

-Cosa?- domandò il ragazzo arcuando le sopracciglia, sottraendogli la birra. Come se avesse bisogno di alcol per sentirsi al settimo cielo.

Lo guardò accigliato; possibile che non capisse? -Non cosa. Chi.- puntualizzò saccente, godendo della sua espressione contrariata per non aver ricevuto ancora una risposta ben precisa.

-E allora chi, sentiamo?- si mise a braccia conserte, seguendo la linea del suo sguardo. Che puntava verso quella porta che dava sul terrazzo che, a ben vedere, era solo l’entrata per il Paradiso.

-Ma Seung-Hyun! Chi se no?!- scoccò la lingua e, come mai dopo tanto tempo, gli rivolse un sorriso di pura e sincera felicità fraterna -Non trovi che sia bello il nostro Seung-Hyun quando è innamorato?-

 

******

 

Se ne stava rannicchiata contro il muro, la birra fredda fra le mani e lo sguardo perso nel cielo, talmente patinato dalla luce dei lampioni che nemmeno una stella le fu scorgibile. La musica proveniente dalla pista non aiutava i suoi scomodi pensieri, che vagavano alla ricerca di un senso, smarriti e impauriti di collidere fra loro e creare un’esplosione di confusione inossidabile. Sì sentì a casa, Lindsay, forse come mai prima di allora. Quello non era il cielo di Seoul, apparteneva alla sua Brooklyn cosparsa di lampioni, gremita di auto che sfrecciavano nel cuore della notte; era seduta al tavolo della propria cucina, perdendosi ad ammirare la libertà oltre la finestra del quattordicesimo piano che gettava su di una strada troppo affollata, non appoggiata contro il muro di un’anonima discoteca che, davvero, le faceva rimpiangere lo strambo Tribeca. L’aria intorno a sé sapeva di sigarette appena consumate sotto lo sguardo accigliato di una Emily che aveva ormai da tempo imparato a mangiarsi un mucchio di gelide parole, la mascella che andava indurendosi come se davvero avesse appena ingoiato un cubetto di ghiaccio.

Invece quella sera, molte parole erano librate fino a lei, talmente tanto pesanti da far diventare l’aria irrespirabile. E allora Lin era evasa, che quella musica assordante non le permetteva di pensare, che neppure Ji Yong le dava tregua per capire cosa Diavolo le stesse succedendo, anzi, aveva solo reso i suoi dilemmi ancora più intricati. Perché mai, mai, si era sentita così nei confronti di un ragazzo. Come se gli dovesse qualcosa, come se meritasse il suo rispetto e non i classici assilli di una ragazza che preferisce divertirsi anziché gettare le basi per un futuro solido. E quando si era avvicinato, quando le aveva rivolto quell’espressione di pura felicità, quasi non vedesse l’ora di liberarsi da quello sciame di ballerine per giungere fino a lei, si era riscoperta incapace di reggere a tutto quello…
 

-Nessuno sente ciò che prova lui ora per te.-

Come Diavolo ci riusciva, lui?

Gli aveva mostrato lo schifo che la circondava, gli aveva piazzato davanti al naso il peggio di sé stessa, quel peggio che proprio non voleva saperne di rendere migliore e lui aveva accettato tutto, tutto. Anzi, no, era restato. Accettare e restare erano due concezioni diverse di una stessa medaglia, constatò mentre la birra scivolava lungo la gola. Si poteva accettare, prendere nota di tutti i difetti dell’altro e provare a sopportarli, anche se spesso diventavano troppo pesanti da reggere. Ma restareRestare implicava una buona dose di volontà affinché quell’acerba relazione non appassisse alla prima difficoltà. E il solo fatto che fossero completamente diversi in tutto, era un ostacolo bello grande da superare, no?

Non fece in tempo a darsi una risposta mentre la brezza fredda della sera congelò quel poco di lucidità che le era rimasta, forse quella risposta non la voleva nemmeno. Udì un rumore alla propria sinistra e l’ultima persona che avrebbe voluto trovarsi fra i frammenti di pensieri sparpagliati, fu proprio Seung-Hyun.

-Oi, eccoti- l’oggetto delle sue sconnesse paranoie si palesò con un sorriso e una mano alzata –Sei scappata via.- le rivolse un sospiro colmo di senso di colpa, come se fosse lui la causa principale della sua fuga. E lo era, ma non pensava di essere divenuta uno sciocco libro aperto. Presuntuosamente, Lindsay si era sempre ritenuta un diario segreto, ma non di quelli per bambini con il lucchetto falso e che bastava scassinare con una forcina per capelli. No, si era sempre considerata un diario serio, di quelli col lucchetto inapribile, nascosto nell’anta più buia di un armadio che nessuno apriva. E la chiave… Quella se l’era portata via un uomo sulla quarantina dai capelli un po’ brizzolati e una barba incolta che da piccola aveva sempre odiato perché pizzicante. Ma i suoi baci sulle guance, le sue risate mentre lei esclamava uno schifato Bleah!, quelli li avrebbe volentieri riavuti indietro.

La portafinestra che veniva chiusa con delicatezza ebbe il potere di ridestarla, mentre gli occhi andavano gonfiandosi per la miriade di pensieri che si erano brutalmente scagliati contro lei, facendo riemergere quel passato che credeva ormai morto. Sbirciò al proprio fianco, scorgendo la figura immobile di Seung-Hyun che beveva della tequila contemplando davanti a sé, come se volesse lasciar il caos all’interno della stanza e godersi un silenzio tutto loro, di quelli che non avevano bisogno di riempire per sentirsi bene. Che sfociavano in una dolcezza che intimoriva, ma aveva la strabiliante capacità di saperla riscaldare.

Ma perché continui a tornare?

-Fa freddo stasera.- buttò lì senza un apparente motivo, come se avesse deciso di recidere il flusso dei suoi pensieri solo per non farla smarrire ulteriormente.

-Dovevi portarti una giacca.- fece una smorfia quando avvertì la birra bruciarle lo stomaco, come punizione per la sua sgarbatezza non richiesta. Stupide difese che si ergevano per istinto che per reale necessità.

Ma Seung-Hyun non se la prese. Rise un poco, non grugnì, e la guardò con occhi brillanti –Credevo che tre maglioni bastassero.- spiegò prendendo un lembo fra le mani, giocherellandoci.

E fu allora che Lindsay si rese conto di quanto bello fosse Seung-Hyun, che lei fino a quel momento non se ne era granché accorta. Come essere ciechi, riottenere la vista e rendersi conto di quanta bellezza l’avesse circondata. Di quanto lui fosse dannatamente indelebile. Ma di quello non si stupì mentre lo vedeva passarsi una mano fra i capelli; la sua immagine si era marchiata a fuoco prima ancora che si rendesse conto di provare attrazione nei suoi confronti. C’era il suo volto marcato, dagli zigomi alti, incorniciato da quel mare di capelli scuri che, ogni volta, le facevano un po’ provare nostalgia per quel menta che tanto gli aveva deriso. Avrebbe perso ore ad affondare nei suoi occhi scuri dal classico taglio orientale ma erano talmente allungati che nessun trucco sarebbe riuscito a delinearne la profondità. E poi c’era il sorriso, un po’ asimmetrico ora che lo vedeva dipanarsi davanti ai suoi occhi lucidi senza alcun motivo, come se l’ imperfezione avesse dovuto intaccare quel viso dal profilo nobile. Le parve di essere al cospetto di un principe arabo e se il maglione un po’ largo e i jeans sgualciti non lo avessero fasciato, probabilmente avrebbe faticato a credere che quel ragazzo davanti a sé fosse un semplice rapper coreano.

Lo vide coprire uno sbadiglio e Lin si destò, avvertendo i brividi salirle lungo tutto il corpo intorpidito dall’alcol. La sua fiacchezza era palpabile, di quelle che le facevano pensare che forse avrebbe dovuto lasciarlo solo a riposarsi, che se andava avanti di questo passo sarebbe crollato sul palco, un giorno. Ma lei diceva sempre Sei stanco, torno a casa, e lui puntualmente rispondeva No, resta, non sono stanco. E niente, lei si tratteneva e gli prosciugava quel poco di energie che le concedeva, perché Lin sapeva solo egoisticamente strappare, mai donare. I suoi capelli spettinati, il volto solcato da visibile stanchezza mentre gli occhi gonfi andavano socchiudendosi per la pesantezza, le mani che continuavano a stropicciarli pur di non farli crollare completamente…

-Qualcosa non va?-

E la sua voce. Diamine, la sua voce fu un vero e proprio pugno allo stomaco. Di quelli che glielo fecero contorcere in una morsa di dolore, che andò a stimolare il suo senso di colpa tenuto a tacere per tutta la durata della festa. E non riuscì a sopportare tutto quello, Lindsay, non ce la fece mentre si divincolava dal suo sguardo così sereno ma velato di preoccupazione da trafiggerle il cuore, non ce la fece nel rendersi conto che nonostante la fatica perdesse tempo con lei,  mentre ravanava nella propria mente alla ricerca di qualsiasi scusa plausibile che, sapeva, lui avrebbe accettato senza porre domanda alcuna.

Perché si faceva bastare tutto ciò che lei gli concedeva.

Morse il labbro inferiore mentre le mani andavano a nascondersi nelle tasche del cappotto, la birra finita e che non fungeva più da riparo, lo sguardo puntato alla propria destra nel vano tentativo di non affogare nei suoi occhi contornati da confusione.

Come dirgli che tutto non andava? Che cominciava a sentirsi di nuovo fuori luogo in casa propria, che stava seriamente dubitando della propria sanità mentale, che cominciava a preoccuparsi del proprio futuro, che tutti i Sei una delusione di Emily, che tutti i Ne va del tuo futuro! di Mark stavano tornando prepotentemente a farle visita, questa volta armati di un rancore così pungente da divenire insopportabile, che la Columbia forse era davvero la cosa migliore per lei…

-Mi fai preoccupare se non parli.-

Che Seung-Hyun stava iniziando a diventare quel tutto che lei aveva sempre allontanato. Con ostinazione, con fermezza. Come se fosse un male incurabile da cui era meglio salvaguardarsi.

-Non dovresti.- sbottò brusca, cercando di raccogliere con un cucchiaino quel briciolo di durezza che le era rimasto in corpo. Ma come poteva trattarlo male se si ostinava a lambirla di non richiesta gentilezza?

Seung-Hyun si appoggiò allo stipite, gli occhi così taglienti da perforarle da parte a parte, anche se nessun velo di rabbia sembrò scalfire la loro imperturbabilità. Solo tanta confusione spirava in loro e Lin si chiese perché Diavolo non si incazzasse con lei una volta tanto. Una sana e bella lite avrebbe sicuramente portato al punto di rottura, alla definitiva divisione di due anime che, davvero, non erano fatte per incastrarsi, per divenire un’unica entità –E come non potrei?- osservò indicandola –Te ne sta lì così e pretendi che non mi preoccupi?- e invece si ostinava a trattenerla, a cercare di capire cosa non andasse nel suo umore così altalenante quando lei, per prima, faceva di tutto per non darsi delle risposte.

Lin riportò lo sguardo su di lui, nemmeno fosse oltraggiata dal suo prendersi cura di lei e la sua psicopatia –Così come?- poté avvertire il proprio corpo tendersi come corde di un’arpa, perfino i delicati lineamenti andarono indurendosi, come se quella maschera di scontrosità potesse qualcosa contro la sua amorevolezza. Come se potesse nascondergli la tempesta burrascosa di emozioni che continuavano a mescolarsi in lei, a non darle tregua, che la stavano portando sulla soglia di un esaurimento talmente tanto epocale che forse no, forse questa volta non avrebbe retto, si sarebbe lasciata andare.

-Sofferente.- fu un suono apatico, privo di qualsivoglia emozione che potesse aiutarla a comprendere cosa girovagasse nella sua testa, ma che lui fosse ormai capace di guardare oltre la sua indifferenza, questo avrebbe dovuto capirlo già da tempo. Andare da Seung-Hyun armata di buona volontà affinché non potesse comprenderla era una battaglia inutile, di quelle in cui non restava che arrendersi all’evidenza: i nemici erano troppi e lei era solo una, debole e talmente tanto spaventata da non saper neppure maneggiare la proverbiale ironia come arma. Solitamente era sempre a doppio taglio, con lui poi aveva fatto più male che bene, ma era servito a mantenerli su due fronti ben opposti, invalicabili. Invece Seung-Hyun si era pericolosamente avvicinato, aveva superato le innumerevoli trincee che aveva scavato nel corso della sua infanzia strappata fino a raggiungere la torre più alta in cui si era ermeticamente barricata pur di non essere salvata. E, cazzo, mai avrebbe pensato che qualcuno volesse davvero sottrarla da quella solitudine che aveva finito col divorarla.

Avvertì gli occhi allargarsi spropositatamente e quando le lacrime premettero contro le palpebre che si abbassavano velocemente, Lin avvertì ogni scheggia di rabbia volatilizzarsi, lasciando spazio all’arrendevolezza –Non sono sofferente.- mugugnò piano, mordendosi l’interno delle guance.

-Certo- l’ironia di quel certo le rubò uno sbuffo; ma perché non si fingeva comprensivo e la invitava a levarsi dalle palle? O si levava lui, era uguale –Hai litigato con Ginko?-

-Figurati!- schizzò con stizza, sbavando quel drappo di placidità che stava cercando di fasciarla. Era impensabile una cosa del genere; Ginko era forse l’unico essere vivente sulla faccia della Terra che alla domanda Hai mai litigato con qualcuno?, avrebbe seraficamente risposto NoNo, io non le faccio quelle cose!, e con tutta l’indignazione che tale possibilità avrebbe trascinato con sé. Ginko era così buona, così comprensiva che cullava sempre il suo nervosismo e rendeva tutto un po’ sopportabile. Le mancavano le chiacchierate davanti ad una tazza di the, dovette ammetterlo in uno sprazzo di inafferrabile lucidità.

-Hai sentito tua madre?-

-Ma va.- abbassò il capo, conscia che le domande si sarebbe esaurite nell’arco di un sospiro e un silenzio di meditazione. Il tempo di rendersi conto che questa volta le sue paure erano talmente primordiali da avere radici fossilizzate così in profondità da essere inestirpabili.

-Hai litigato con tuo padre?-

-Nah- sventolò una mano, memore dell’abbraccio che Mark le aveva estorto contro il suo volere quando aveva annunciato che aveva prenotato l’aereo per tornare a New York. Si stropicciò il volto, incurante che il meraviglioso lavoro di Ginko andasse a donnine, tanto il morale era così a terra che probabilmente glielo si poteva leggere in faccia -Sono solo stanca, Seung-Hyun- bofonchiò estenuata -Giù c’è troppo casino.- che era un po’ come dirgli  che voleva starsene da sola, che c’era troppa gente e il loro chiacchiericcio non le permetteva di far chiarezza dentro sé, che perfino lui era fonte di disturbo…
 

-Vuoi che torni dopo?-
 

Poi arrivavano certe banali domande e comprendeva che forse non sarebbe mai riuscita a dare un senso a ciò che la affliggeva, non quando la causa principale del suo tormento si dimostrava così delicato e caparbio.

Tra tutte le domande che avrebbe potuto rivolgerle, proprio quel Vuoi che torni dopo?, le era stato teso con comprensione, come se avesse captato già nei loro sporadici messaggi che qualcosa la stava tormentando. Perché il classico Vuoi restare da sola?, implicava l’abbandono, prevedeva che sarebbe stata lei a doversi mettere in moto per poterlo ritrovare, come se riponesse piena fiducia nella sua bussola, nemmeno fosse lui il Nord verso cui dirigersi; ma Vuoi che torni dopo?, significava che lui l’avrebbe aspettata. Forse in quella stanza oltre la finestra, forse al piano di sotto, forse vicino al tavolo degli alcolici, ovunque… Col pensiero costante rivolto a lei. Lei invece stava facendo i conti con la propria vita senza curarsi di lui, di quel po’ di buono e bello che le stava riversando senza rimesse. Dio, il suo egoismo non aveva limiti.

-Non mi dai fastidio.- capitolò, spostandosi un poco sulla panca. Lo avrebbe invitato silenziosamente, tanto lui avrebbe colto la sua implicita disponibilità a veder sfumare la propria solitudine tanto agognata. E poi le sue labbra erano troppo impegnate a consumare ogni più infima goccia di birra rimasta.

Lo vide afflosciarsi sulla panca, la nuca contro il muro e gli occhi chiusi, come se stesse approfittando di quello sprazzo di tranquillità per riposarsi. E vedendolo così vicino, con il suo braccio che sfiorava il proprio, a Lin venne la malsana idea di appoggiare la nuca pesante sulla sua spalla e magari chiedergli di sorreggerla un attimo, che con tutti questi pensieri non riusciva più a sopportarsi. Ma si trattenne, strinse i pugni nelle tasche, nascose le labbra nel giaccone e attese paziente che lui se ne andasse…

-Pensavo non venissi.-

Ma ovviamente no, non se ne voleva andare.

Non vi fu accusa nella sua confessione, solo desiderio di non far scemare lì la loro fugace conversazione –Lo credevo anche io.- ma lei non era collaborativa, no affatto.

-Pensavo te la fossi presa perché non sono stato con te tutta la sera.- aggiunse poco dopo, la sua mano che sfiorò il suo ginocchio. Lin rabbrividì e d’istinto chiuse le cosce mentre un brivido di inaspettato piacere le carezzò il bassoventre.

-Figurati.-

-O perché sono stato con quelle ballerine.-

-Alcune erano molto carine.-

La sua risata mista a sbuffò la costrinse a voltarsi –Vuoi darmi un po’ di soddisfazione?- ironizzò aprendo un occhio, per poi agitare le mani –Oh, Seung-Hyun, odio quando ti comporti così! Devi calcolarmi di più quando siamo assieme, mi sento tagliata fuori se non mi guardi!-

Raccapricciante… Ma che imitazione era mai quella?!

Lin gli diede una pacca sul braccio, un sorriso di intrattenibile divertimento a dipingerle il volto dapprima impassibile –Non ho quella voce! E non direi mai quelle cose.-

-No, tu ci infileresti un Che palle ogni tre parole- Lin sbuffò, ma non appena la risata di Seung-Hyun si placò, le sue parole la raggiunsero leggere –Mi è sempre piaciuta questa tua spontaneità.-

Lin si barricò dietro il giaccone, ma a quanto pareva il silenzio aveva deciso di abbandonarla –Sempre?-

-Ok, non sempre- si massaggiò la nuca, un sorriso impercettibile a colorire il volto più pallido del solito –Decisamente non da sempre- la guardò di sottecchi e Lin guardò altrove, impedendogli di mirare il sorriso spontaneo che le aveva strappato –Ma da un po’ non mi dispiace.-

Che era un po’ come dirle che lei, nella sua interezza, non gli dispiaceva. Ma questo lo aveva già capito da tempo, non era una sprovveduta. Lo aveva letto nei suoi occhi scuri sulla panca di una pista da ghiaccio innevata; lo aveva fiutato in un ripostiglio zeppo di birre, alcolici e Coca Cola, assaporando un bacio che non credeva sarebbe più ricapitato e che lei stessa gli aveva rubato. E lo aveva avvertito indistintamente nei mille che erano seguiti, sotto la pioggia, in una camera da letto fiocamente illuminata, in un soggiorno che odorava di lui e che l’aveva sommersa dei suoi ricordi di un’infanzia felice, lasciando che la paura venisse spazzata via dalla sua gentilezza.

E avrebbe voluto dirglielo che da un po’, nemmeno lui le dispiaceva più.

A dir la verità avrebbe voluto dirgli tante cose, approfittare dell’ebrezza per confessargli tutte quelle piccole sfaccettature del suo essere che aveva impresso dentro sé e che, ogni benedetta volta, il fiato un po’ glielo spezzavano. Come il suo far scricchiolare il collo quando era stanco, ad esempio, o il suo passarsi una mano fra i capelli in un gesto così spontaneo e sensuale da farla smarrire, compiuto senza che lui nemmeno se ne rendesse conto. O il suo sguardo, di quelli che la facevano sentire leggera, sospesa nelle proprie incertezze. Di quelli che, banalmente, le facevano dire Tu mi guardi come nessun’altro.

Frasi da farle accapponare la pelle, certo. Ma cacchio, davvero la guardava come nessuno mai prima di allora.

E si chiese se sarebbe mai riuscita a dissipare l’affetto dai suoi occhi, se davvero avrebbe rovinato tutto come suo solito e avrebbe finito con lo sbrindellare quel poco di felicità che avevano conquistato. Che forse, davvero, lei era brava solo a fare danni e a lasciare un gran vuoto negli altri.

-Seung-Hyun…- lo chiamò piano, carezzando il suo profilo con sguardo assorto mentre domande stupide riaffioravano nei meandri della sua mente arrovellata -Ti sei mai domandato se io uscissi con te per i soldi?- chiese a bruciapelo, sospinta dalle parole di un Ji Yong più profetico del solito. Probabilmente se non le avesse rivolto la parola, Lindsay non si sarebbe avventurata sul tetto di una discoteca sconosciuta; probabilmente se non gli avesse parlato, Seung-Hyun non l’avrebbe raggiunta. Sicuramente, e al Diavolo tutti i probabilmente, se Ji Yong non avesse interferito nella loro vita, entrambi sarebbero stati come due rotaie che procedevano parallele senza mai incontrarsi.

E non seppe se essergliene grata o correre dentro e spaccargli la faccia. Ormai non sapeva più nulla.

-Figurati- lo aveva esclamato con sicurezza, guardandola con occhi colmi di fiducia –Non sei quel genere di ragazza.-

No, sono peggio.

-E come sarei?- si rese conto troppo tardi di averglielo davvero chiesto e davvero ad alta voce. Tutto di Seung-Hyun si era fermato, quasi volesse trovare una risposta azzeccata a quello che, forse, considerava un indovinello. Come il classico Secondo te sono ingrassata?, che comportava puntualmente l’inizio della lite peggiore che una coppia potesse affrontare. Perché un esalato con estrema sincerità avrebbe portato al calo dell’autostima della parte lesa che, povera, non vedeva i propri sforzi di dieta ferrea ripagati; un No sarebbe stato visto come contentino, e allora l’uomo si ritrovava a tergiversare, a capire di essere finito in un labirinto senza uscita, perché nessuna risposta sarebbe stata accettata. Era come ritrovarsi davanti a Don Corneo e poco importava che la risposta data fosse stata giusta o sbagliata, tanto alla fine si cadeva comunque nella botola. Il gioco doveva pur andare avanti, in qualche modo.

Quindi se Seung-Hyun si fosse limitato ad un’alzata di spalle e un mugugno indefinito, lo avrebbe accettato, lo avrebbe preso con sé e si sarebbe fatta bastare quei complimenti striminziti che tanti, troppi le avevano rifilato. Un classico Sei bella, il sempre gettonato Sei un angelo sceso dal cielo, il carosello della banalità, insomma. Ma c’era qualcosa in Seung-Hyun, qualcosa di così buono che mai le avrebbe permesso di dubitare della sua genuinità, nel caso le avesse rivolto qualche frase trita e ritrita. Che lui era davvero il classico bravo ragazzo, che dietro quel volto da assassino della Yakuza si celava una persona sempre disposta a sorriderle anche quando con il suo grigiore avvolgeva la loro relazione, che dietro la sua notorietà c’era normalità, quella che perfino lei aveva dimenticato che sapore avesse…
 

-Non lo so- si massaggiò il collo –Non sono mai riuscito a capirlo…-
 

E sapeva di birra gelida fra le mani, di brezza che scompigliava loro i capelli, di una primavera che cominciava a schiudersi davanti i suoi occhi e di confessioni appena percettibili e che sapevano di tequila, ma che le tarparono il respiro…
 

-Non sei banale, sei diversa-
 

Sapeva della sua mano che cercava la propria, sentirla fredda e incerta mentre ricambiava la stretta, sapeva del suo sguardo scuro e acuminato ma mai lacerante, sapeva di affetto sincero e che un po’ intimoriva …
 

-Sei molto meglio di ciò che credi.-
 

Sapeva di tutto ciò che l’aveva sempre spaventata.

Lo sguardo di Lin annegò nel suo per un istante indefinibile di tempo, cullata dal suo pollice che si ostinava a disegnare cerchi sul dorso della mano congelata. Se non avesse intrecciato le loro dita, forse non sarebbe riuscito a trattenerla, giacché l’ansia di una possibile dichiarazione stava cominciando a farla cadere in uno stato di nero terrore. Ma se rimase lì, fu solo per quella sua stramba visione delle cose: che lei non si considerava abbastanza e allora al Diavolo ciò che lui pensava, lì l’unica cosa che contava era ciò che Lin pensava di sé stessa. Seung-Hyun si metteva da parte, come sempre, l’anteponeva a tutto, per motivi a lei oscuri. Bastò davvero poco per sentirsi smarrita, soprattutto perché la sé stessa indifferente cominciava a bisticciare con quella parte a lungo accantonata in un angolo, dando per scontato che fosse sempre lì presente. Che era un insieme di affetto, emozioni, bontà. Tutte cose che non le erano mai servite e che lui continuava a prendersi senza chiederle il permesso, senza restituirgliele, come se avesse trovato la chiave di quelle catene e fosse riuscito a scacciare tutti i suoi fantasmi.

Avvertì le sue labbra sulla fronte, la mano libera fra i capelli corvini mai in ordine, il battito accelerato del suo cuore quando poggiò l’orecchio sul suo torace, in quella parvenza di abbraccio che sembrò racchiuderla dalle intemperie del proprio minuscolo mondo. Sarebbe rimasta lì a lungo, avrebbe voluto dirgli che con lui si sentiva protetta come mai dopo tanto tempo, che la serenità scappata a bordo di un taxi giallo sembrava essere ricomparsa più forte e potente di prima, sussurrandole una miriade di scuse che mai avrebbe pensato di poter ricevere. Ma si trattenne, incapace anche solo di poter pronunciare simili parole che continuavano a restare rannicchiate agli angoli della bocca, dondolandosi e ostinandosi a non volersi spargere nell’aria fresca.

Lasciò andare la sua mano e le parve di lasciarsi andare alla paura, ma quando sollevò il capo e incrociò il suo sguardo, si rese conto che non glielo avrebbe permesso, che c’era ancora tanto, troppo da dire e fare in quella notte che sembrava voler dare loro una possibilità in più. Quale questa possibilità fosse, a Lindsay sfuggiva. Forse c’entrava con il mucchio di confessioni che lui reprimeva, ma gliele si potevano leggere negli occhi velati di ebrezza e sincerità; forse c’entrava con le confessioni che lei avrebbe dovuto concedergli, solo per rendersi un po’ più trasparente, per correttezza nei confronti di quel ragazzo che l’aveva accettata per il caos che era; forse c’entrava con il sesso che mai era riuscito a sfociare, al desiderio folle di sapere come le labbra di Seung-Hyun avrebbero carezzato il suo corpo, come sarebbe stato vedere il suo sguardo scorrere su ogni più minuscolo lembo della sua pelle mentre le mani ne tracciavano ogni tratto con minuzia e delicatezza, avvertire i loro corpi incastrarsi come se fossero nati per quel momento, risvegliarsi con il suo odore forte sulla propria pelle… C’entrava con loro e allora i forse andavano bene vicino ai tutto il resto non aveva importanza e da nessun’altra parte.

Quindi accantonò i forse, le possibilità della vita e si fece più vicina, pur restandogli distante con la mente e con il cuore, che quelli proprio non se la sentiva di lasciarseli alle spalle.

Era nell’inverno della propria vita, Lindsay, quando si rese conto di avere un dannato bisogno di quegli abbracci che si trasformavano in sesso. Era da un po’ che non ne sentiva l’urgenza e, cacchio, mai le si era presentata così pulsante. Perché con Seung-Hyun stava bene, non aveva bisogno di spogliarlo per provare qualche emozione. Era strano da dirsi e anche banale, ma quando lui sorrideva, lei poteva avvertire la terra mancarle sotto i piedi.

Ma adesso poteva udirla, squarciante e inappagata, che le stritolava lo stomaco e le fece venire i brividi al pensiero di poter avvertire le sua ossa sotto le proprie mani senza vestiti a fungere da barriera. Quella fame di stringere e venir stretta, di udire il suo respiro farsi sempre più spezzato mentre i loro nomi divenivano l’unico sottofondo accettabile, avvertire l’anima straziarsi come se fosse l’ultima notte sulla Terra, il suo ultimo ricordo di Seoul. Provare, per una volta, l’impercettibile sensazione di affetto che si diramava sottopelle.

Aveva voglia di dimenticare del mondo fuori dalle loro braccia, di dimenticarsi. E dimenticarlo, perché no?

Avvicinò il volto ma non ebbe bisogno di fare molta strada, giacché Seung-Hyun aveva azzerato ogni distanza. E più che dimenticarsi di sé stessa e tutto il resto, fu come perdersi senza voglia di far ritorno a casa.

Il suo respiro che sapeva di tequila andò a mescolarsi al proprio, speziato di birra e frasi taciute, così scomode da pesarle sul fondo del cuore. Come che, incredibile ma vero, trovava i suoi capelli di una morbidezza tale che le dita sembravano perdersi per il semplice gusto di non lasciare più quei fili scuri; che la delicatezza che riponeva nel baciarla o anche il solo sfiorarla, nessuno l’aveva mai adoperata; che si sentiva una ragazzina impacciata alle prese con il primo ragazzo che le faceva la corte, quando ai suoi piedi c’era uno stuolo di pretendenti che avevano sempre un posto per lei nei loro pantaloni; che non si era mai sentita così bene, che quando la baciava la paura si eclissava all’ombra del suo cuore che batteva incessantemente…
 

-Seung-Hyun…?-

-Mh?-
 

Che doveva lasciarselo alle spalle. Il tempo di dare una svolta alla propria vita con un esame che forse davvero gliel’avrebbe cambiata. Doveva dirglielo, non si meritava le sue bugie.

Ma la vita era così. Un po’ stronza, un po’ annoiata e mai dalla sua parte. Le piazzava davanti certi sguardi e poi pretendeva che li dimenticasse. E lei soffocò, furono le parole che non voleva dirgli a farle mancare l’aria. Che un insignificante Devo tornare in America per fare un test alla Columbia, sarebbe stato solo il preludio della più grande catastrofe della sua vita da ventiduenne e non le parve così magnifica la visione di lui che se ne andava incazzato sbattendo la portafinestra, rischiando di far crollare a terra il vetro che, con l’urto, si sarebbe inevitabilmente rotto. O forse a fare crack sarebbe stato il suo cuore, non riusciva più a distinguere le cose con chiarezza.

Era la birra, doveva essere quella maledetta a farla sentire completamente inadeguata mentre le labbra di Seung-Hyun si depositavano con morbidezza sulla fronte. Era lei che continuava a darle il tormento, a parlarle mentre avrebbe solo voluto svuotare il cervello da ogni pensiero o problema, a chiacchierare davanti una tazza di the con la sua coscienza che sembrava sul punto di esplodere…
 

Prima o poi dovrai dirglielo…

 

Torno a New York…
 

-Oi? Che c’è?- le baciò il collo, l’orecchio, le strappò un granello di lucidità…

Se non è così importante…

Vado alla Columbia, devo fare un test…
 

-Sei strana...-

Perché tutti questi problemi?

-Cosa c’è che non--

-Macchina o camera da letto?- lo aveva sussurrato sulle sue labbra, il fiato corto e l’ebrezza che cominciava a fondersi al suo buonsenso, dentro sé l’estrema urgenza di sopprimere quel fiume di pensieri contrastanti tra loro avendolo completamente. E ciò la fece restare in bilico sul filo della ragione, che forse avrebbe finalmente scorto la sua follia e avrebbe deciso di tenersene ben lontano, che il suo animo tormentato non era poi così interessante come spesso le aveva ripetuto.

Che lei era banale, tutto qua.

Che lui era uguale a tutti gli altri, doveva esserlo.

Si sarebbero scambiati le ossa, le anime, si sarebbe vestita del suo odore per qualche ora, quel briciolo di raziocinio che ancora non li aveva fatti spogliare dei loro abiti e dei loro freni e che li teneva in equilibrio su quella linea che divideva i giochi da tutto ciò cui lei rifuggiva.

E Lindsay si disse che non avrebbe rimosso quel momento di bellissima sospensione, che mai le era capitato di vedere un ragazzo pensare seriamente a che risposta darle. Il suo sguardo sembrava dirle Sei sicura? Non vuoi aspettare?, le sue mani che continuavano a tenerla per la vita sembravano volerle dire Posso aspettarti, non c’è fretta, le sue parole mai versate sembrarono volerle dire Meriti più di una macchina o una camera da letto. Ma niente di tutto ciò giunse a farla rinsavire, nulla sembrò spezzare quell’attimo di smarrimento in cui entrambi sembravano navigare.

E poi lo sentì, appena udibile e scalfente –Macchina…- la sua incertezza la infilzò, prendendola in contropiede, ma la sua richiesta fu talmente implorante da lasciarla ipnotizzata. Che la voleva, la desiderava più di ogni altra cosa.

E infine la guardò. Di quegli sguardi che parlavano per lui, perché non sapeva cosa fare o dire, che sostituivano qualsiasi parola vuota o gesto sfibrato…
 

-Ovunque. Lontano da qui.-
 

Che voleva trattenerla un altro po’. Solo per un po’.

 

*****

 

Il tempo era sospeso, fermo, immobile.

Fatto di baci talmente delicati da apparire effimeri, fatto di parole bisbigliate talmente piano da risultare inudibili, ma lasciavano dietro sé ondate di smisurato piacere che si diramavano per tutto il corpo. Fatto di sguardi che si cercavano, si perdevano, poi tornavano a cercarsi, quasi non potessero restare separati così a lungo. Fatto di respiri che avevano cominciato a librarsi all’unisono, in quell’armonia di piacevolezza che da anni non tornava a fargli visita.

Mai Seung-Hyun aveva pensato che i suoi sogni si sarebbero realizzati in una notte di inizio marzo, nella sua auto, lontano dalla baraonda di quella festa che aveva bollato come noia. E ora la sua Lin era lì, a cavalcioni su di lui, spoglia della maglietta e di quel velo di angoscia che non l’aveva abbandonata per tutta la nottata. Perché l’aveva letta, l’afflizione, su ogni più piccolo lineamento di Lindsay, l’aveva vista nel suo ostinato mutismo, nella sua ricerca perpetua della solitudine quando perfino il caos sembrava volerla trascinare dentro sé. Gli era parso, per un misero istante, di vederla allontanarsi a spalle ricurve, quasi un enorme segreto ne appesantisse la sfibrata gracilità. Aveva addirittura temuto di essere lui la fonte dei suoi problemi.

E diamine, Dio solo sapeva quanto Lindsay avesse bisogno di essere sorretta. Era la rovina di sé stessa e nonostante tutto, perdurava nel consumarsi fra qualche birra e un silenzio che le avrebbe fatto da padrona. E che nemmeno tutti i Vuoi che torno dopo?, di questo universo sarebbero serviti. Ma davvero, era bastato solo quello per permettergli di entrare nel suo minuscolo ritaglio di quiete. Era incredibile come fosse diventato semplice riuscire a convivere con il suo disordine, imparare a farsi andar bene la sua innata capacità di non provare nemmeno a riordinare l’androne della propria esistenza, quasi se ne fregasse della gente che avrebbe potuto criticare i suoi disastri.

Perché Lindsay si circondava di disordine, ma ci avrebbe volentieri convissuto.

Ricordava come la schiena avesse perfettamente aderito al sedile, permettendole di accoccolarsi come un felino che ha trovato un giaciglio sicuro; ma ancora di più, ricordava la perfezione con cui Lin si incastrò fra le sue braccia. Sì, Lindsay si incastrava, era questa la sua abilità. Si era incastrata nella sua vita come una spina nel dito che nemmeno delle pinzette sarebbero riuscite a togliere; si era incastrata fra i suoi pensieri e aveva deciso di non lasciarli più, di abitarli, farli propri, divenirne la protagonista e lui era uno spettatore troppo pigro per cambiare canale; si era incastrata fra i suoi sentimenti e aveva cominciato a tessere ragnatele di confusione così spesse da divenire intagliabili.

Si era incastrata nella sua vita, come un tassello di puzzle mancante che dava una completezza a quel vago senso di vuoto che a lungo lo aveva attanagliato. Che lo aveva definito, che non lo aveva più fatto sentire una macchietta priva di significato.

Che la parte peggiore di Choi Seung-Hyun era bella tanto quanto quella migliore. E Lindsay ad ogni bacio, ad ogni tocco, ad ogni sorriso appena accennato che mozzava il fiato in gola, nemmeno si rendeva conto di stargli strappando tutto. Avrebbe voluto chiederle di lasciargli almeno il cervello, per ricordarsi di tutto quello quando gli avrebbero chiesto Qual è stato il momento più bella della tua vita?, e tornare a sorridere nel rivederla scivolare fra le sue memorie sgualcite dallo scorrere del tempo, e sentire il cuore battere per fargli percepire la sua sciocca presenza, rammentandogli che alla fine si andava avanti.

Con o senza di lei.

Perché il fatto che stessero per varcare le soglie della loro più celata intimità, non significava forse avvicinarsi al baratro dell’epilogo? E se lei, una volta entrata nelle sue più nascoste paure, avesse deciso di non farne parte, non sarebbe stato come chiudere definitivamente quell’io e te che, diamine se per lui lo era, stava diventando un noi? E mentre avvertiva la sua schiena stretta tendersi sotto le proprie mani che la percorrevano in leggeri tocchi, risalendo, si disse che quel pesante noi non avrebbe avuto lo stesso sapore se il volto di lei non fosse stato quello di Lindsay, che quel noi sarebbe stato un suono talmente brutto da divenire impronunciabile.

Si frustrò al pensiero che certe visioni prendessero forma proprio mentre Lindsay gli stava lambendo il collo di baci e morsi, ma più le sue mani continuavano a portarsi via i suoi gemiti, più cominciava a perdere il controllo. Ogni suo tocco appena pronunciato, mai marcato, era un colpo al bassoventre. Mai, da quando l’aveva conosciuta, era stato sospinto da un desiderio così viscerale di farla propria. Mai con nessuna, ad onor del vero. E quando lo coprì con quella marea di capelli corvini che continuava a stringere fra le dita, ogni domanda svanì, venne accantonata mentre il piacere cominciava ad offuscargli la vista.

Si smarrì quando il suo bacino collise con il proprio, strappandogli forse più di un rauco gemito e un incessante mordersi il labbro inferiore mentre gettava la testa all’indietro, i pantaloni troppo stretti per i suoi gusti. Ma Lin non sembrava intenzionata a farlo perdere completamente, quasi lo stesse torturando per il suo essersi adagiato nella sua esistenza, per aver faticosamente cercato di entrarne a far parte anche se solo come misero contorno.

O forse lei era così, che concedeva sé stessa per ritrovarsi.

Lindsay era quel tipo di donna che fra le braccia di un uomo, non andava da nessun’altra parte. E non parlava del senso fisico della cosa, quanto più di quello mentale. Lì, in quell’auto, su quel sedile posteriore, era con lui e per lui, al Diavolo tutto quei ragazzi che scalfendola l’avevano resa la sua Lindsay, che forse avevano disperatamente tentato di sottrarle un po’ d’amore, senza rendersi conto che lì l’unica a portarsi via qualcosa era sempre lei, mai il contrario. E avrebbe voluto chiederle di aspettare, di pazientare perché proprio il suo cuore non voleva smetterla di battere così forte. E avrebbe voluto chiederle Ma davvero non lo senti? Davvero non senti che sta per esplodere?, perché lui poteva avvertilo come mai prima di allora, talmente tanto rumoroso che perfino la musica di sottofondo diventava inesistente.

E lei forse se ne era accorta, perché si era fermata e non lo aveva più lasciato andare con quella muta richiesta di non tirarsi indietro.

Lo sguardo di Lin era impenetrabile. Non riusciva a divincolarsi dalle sue iridi nocciola che non perdevano di vista le proprie, velate di passione e quel pizzico di timore per ciò che, inevitabilmente, sarebbe accaduto. E mentre le sue dita affusolate si apprestavano a sfilargli il primo maglione di una lunga serie, Seung-Hyun si rese conto di quanta eroticità vi fosse in quel momento sospeso sulle note di Bad Boy.

I respiri che riempivano l’abitacolo e si erano mescolati alle note delle sue canzoni, i finestrini che si appannavano quasi volessero nascondere i loro corpi che non smettevano per un istante di sfiorarsi, la delicatezza di Lin nello sfilargli il secondo maglione senza fretta, come se tutto il tempo del Mondo fosse a loro completa disposizione, mentre veniva gettato lontano. E avrebbe voluto che il Mondo si fermasse, consentendogli di imprimere nella propria memoria ogni singolo fotogramma di quello che Ji Yong avrebbe definito il miracolo della natura. Lui preferiva definirlo miracolo e basta, senza sottigliezze ad imbellirne l’aspetto già di per sé fantastico; del resto l’attesa snervante di averla tutta per sé lo stava ripagando come nemmeno nelle sue più fervide e libidinose fantasie.

Mai la voce di Lindsay gli era parsa così dolce in quei sussurri appena accennati, le labbra che si muovevano sfiorandogli l’orecchio. E lui non aveva potuto fare nient’altro se non lasciarsi guidare dalle sue mani esperte, dalle sue movenze così spontanee da spingerlo a chiedersi come mai, tra loro, l’unico ad avere una fottuta boia fosse lui. In un momento di scarsa lucidità, quando le dita di Lin erano andate ben oltre la sua immaginazione, avrebbe voluto sussurrarle con tutta onestà e rochezza quando fosse ormai sul punto di innamorarsene.

Perdutamente, con tutta la disperazione che aveva in corpo, spinto da quella vocina chiamata certezza che continuava a ripetergli quanto mai e poi mai sarebbe riuscito a trovare una ragazza come lei. Un’amica, un’amante, l’unica in grado di farlo sentire Choi Seung-Hyun. E non era poco. Se per anni venivi chiamato da tutti Top, era normale ritrovarsi piacevolmente sorpresi quando un’americana simpatica come un calcio nelle palle gli dimostrava ampliamente quanto poco gliene fregasse del suo rap fluente, della folla adorante che gridava il suo nome e gli lanciava pure qualche reggiseno e della sua villa con piscina.

Lei aveva raschiato il fondo della sua notorietà, facendosi andare bene quel ragazzo pieno di paturnie, con l’insicurezza di una ragazzina che iniziava a scoprire il mondo, abituato allo sfarzo e a quel credo che recitava Se sei bello, tutte ti vogliono. E lei non lo aveva voluto, l’aveva respinto facendolo morire più di quanto avrebbe pensato, poi era tornata per riparare al danno, aggiustando tutto. Dandogli una possibilità inaspettata e che gli era parsa come un miracolo.

Si chiese, mentre avvertiva il suo ventre sollevarsi e abbassarsi, come certe cose potessero inaspettatamente cambiare. Odiarla, trovarla l’essere più infimo che mai gli si fosse presentato innanzi e volerle bene, apprezzarla, ritrovarsene così invaghito da perdere il lume della ragione. Un lume che si stava spegnendo piano piano, come una delle tante candele che sua sorella aveva sempre acceso di notte e puntualmente andavano estinguendosi nella leggera brezza notturna di un’estate ormai passata.

Si chiese cosa sarebbe accaduto se Lindsay non si fosse presentata a casa sua, quel piovoso giorno di inizio febbraio.

Si chiese dove sarebbe lui, ora, se gli altri non lo avessero costretto a rincorrerla al Tribeca.

Si chiese se davvero fossero destinati o se quella botta di fortuna poteva definirsi Jiongisticamente puro e semplice culo; si chiese se il Karma lo stesse ripagando per il suo essere buono e paziente; si chiese se la vita lo stesse premiando per i sacrifici che aveva fatto. Si chiese tante, molte cose mentre le dita fini di Lindsay risalivano sulle sue braccia ormai scoperte, ma mosse ancora il bacino e tutti i si chiese andarono svanendo, sparpagliandosi come foglie al vento d’autunno.

Si diceva spesso che prima di morire, si rivedevano le immagini della propria vita in un flash. Le gioie, i dolori, i momenti significativi, tutti mescolati in una sequenza di fotogrammi talmente veloci da sparire in un battito di ciglia. Forse era per questo, forse stava morendo mentre Lin continuava a torturargli il lobo dell’orecchio con piccoli morsi…
 

-Forse ti stai innamorando e nemmeno te ne sei accorto.-
 

O forse, quando ci si innamorava, si rivedevano tutte le scene di quel film sbiadito che era stata la loro conoscenza. Come fotogrammi di una 8mm dimenticata in un polveroso e buio cassetto di quella camera da letto chiusa ermeticamente, che poi era il suo cuore ora in procinto di esplodergli in petto mentre Lin lasciava che le sue mani si avventurassero per il suo corpo fremente.

Si morse la lingua pur di cacciare indietro tutte le parole che avrebbe voluto confessarle e che per punizione gli stavano raschiando la gola da cui solo rochi gemiti riuscivano ad evadere, avvertendo tutti i sentimenti collidere tra loro, e spaventato al pensiero di rovinare tutto con qualche dichiarazione improvvisa, timoroso che il suo corpo aderente al proprio non fosse altro che una chimera, la strinse a sé con quanta più forza avesse, baciandola, sperando il suo respiro potesse mescolarsi al proprio e trarlo in salvo, che ormai l’aria cominciava a mancargli.

C’era dolcezza nelle sue labbra carnose, c’era delicatezza nelle sue lente carezze che gli procuravano mille brividi di pungolante piacere, una dose di sensibilità che mai aveva pensato Lindsay potesse possedere, lasciandolo ogni volta lambito da quell’inspiegabile calore che lo faceva sentire completo.

Le sfilò il reggiseno, avvertendola tremare come una foglia d’autunno fra le proprie braccia; fece scorrere i polpastrelli sulla sua pelle liscia percependoli bruciare ad ogni tocco leggero, lasciò scivolare le mani dal seno al ventre, alla sua schiena, facendola aderire a sé con bramosia sempre più opprimente. Sentì il suo seno premergli contro il petto, dando il via ad una scarica di brividi che gli annebbiarono la mente, costringendolo ad allontanarsi dalle sue labbra rosse per recuperare un po’ di aria, giusto il tempo di sbattere le ciglia mentre gli occhi cominciavano a divenire lucidi per il piacere irrefrenabile di lei.

E Lin gli sorrise. Di quei sorrisi rari e meravigliosi che gli donava di rado, solo in occasioni che davvero ne richiedevano l’urgenza. Di quei sorrisi così abbaglianti da divenire inguardabili per la troppa bellezza, quasi ne fosse indegno. E gli piacque da morire, come mai prima di allora. Con i capelli sciolti e scompigliati che sembravano richiamare una delle tante fantasie che aveva avuto su di lei e che aveva occupato i suoi sogni che puntualmente si eclissavano sotto il getto di una doccia gelata; con il trucco sbavato che le conferiva un’aria da bambola di porcellana gettata in un angolo e data per scontata mentre lui avrebbe voluto continuare a ripeterle, in un’infinita cantilena, quanto lui mai avrebbe permesso ciò. Che l’avrebbe riposta sul comodino più in vista, l’avrebbe collocata in una teca di cristallo e l’avrebbe mostrata orgoglioso al mondo intero. L’avrebbe protetta.

Che quella bellezza ora seminuda che gli stava togliendo l’ultima maglietta, era sua e di nessun’altro e non avrebbe più permesso che la paura o addirittura l’amore potessero procurarle altre ferite. Aveva sofferto troppo, Lindsay. Si meritava qualcosa di più del suo semplice rispetto.

In un attimo di totale blackout si ritrovò con la vista appannata e solo quando il freddo improvviso del panico gli contorse lo stomaco, si rese conto di come ormai la maglietta fosse un ricordo lontano. Lì, a terra e sgualcita, come tutte quelle memorie che aveva cercato di accartocciare pur di non lasciarsene sopraffare. Continuava a fissarla, a tenere le mani ferme e frementi sulla sua vita sottile, incapace di dirle qualsiasi cosa, sperando che i suoi occhi nocciola non cominciassero a scorrere sul suo corpo. E non lo fecero, non si allontanarono per un attimo dai suoi. Avvertì i polpastrelli di Lin sciare sul suo ventre e per un istante gli venne in mente che se si fossero spinti oltre, probabilmente non sarebbero più potuti tornare indietro. Nessun Aspetta sarebbe stato tollerato, nessun Fermati sarebbe stato perdonato.

Fu strano pensare una cosa del genere proprio in quel momento, ma si rese conto che nei loro gesti c’era una consapevolezza che prima non avevano adoperato. Che questa volta niente e nessuno li avrebbe interrotti, che erano stanchi di rimandare ogni volta, di spingere un po’ più in là quello sfrenato desiderio di potersi assaporare. E poco importava se questa sarebbe stata la loro prima ed unica volta. Si volevano, il resto sarebbe arrivato dopo.

Chiuse allora gli occhi, cercando di esiliare i complessi e le paure che continuavano ad appesantirgli le spalle, il cervello e il cuore, riaprendoli quando sentì l’inconfondibile rumore della cintura che veniva sfilata. Con un gesto impulsivo strinse i polsi di Lin con forza, continuando a fissarli con timore crescente. Era davvero disposto a spingersi così in là? Era davvero pronto a lasciarla entrare?
 

E’ più intimo far entrare qualcuno

nelle proprie paure che nel proprio letto.-
 

Era pronto a innamorarsi di nuovo dopo così tanto tempo?

Aveva paura, darle libero accesso in quella vischiosità significava non farla più uscire. E tenere stretto a sé il ricordo di qualcuno che non lo avrebbe voluto, non avrebbe fatto altro che divorare lentamente la sua anima. Non ora, non domani, forse in un futuro talmente tanto vicino che poteva distinguerne chiaramente i contorni. E fu come arenarsi, fu come chiedersi quale fosse il senso della sua esistenza se il suo senso se ne sarebbe presto andato via perché disturbato da una relazione dove uno cominciava a farsi pretendere troppo.

Annegò nei suoi occhi nocciola che non avevano smesso per un istante di carezzargli il volto. Nessuno sbuffo giunse dalle sue labbra carnose, nemmeno un sospiro che avrebbe preannunciato un suo secco Torniamo a casa seguito da un probabile E’ meglio se la smettiamo qui. Con te mi annoio, perché, diamine, c’era davvero da annoiarsi con lui. Si frequentavano o qualcosa di vagamente simile da qualche mese e ancora non avevano fatto un’uscita decente che non contemplasse l’utilizzo di occhiali da sole, sciarpe e fughe da fan impazzite; avevano avuto molte occasioni per potersi rotolare sotto le lenzuola, concludendo il tutto con un nulla di fatto. E Lindsay Moore, giusto per intenderci, quella che probabilmente passava prima fra le coperte di un uomo e poi gli chiedeva il nome, si sarebbe sicuramente stancata di questo suo tira e molla da ragazzina. E si sarebbe svigorita prima del dovuto. Perché non era portata per condividere i problemi degli altri, i suoi erano stati talmente tanto pesanti che ancora ne portava i segni.

E immancabilmente, finiva col contagiare chi la circondava.

Lasciò la presa e si stropicciò il volto, incapace di gestire quella situazione che tanto aveva sognato. Incredibile come la realtà potesse essere così spaventosa.

Leggero e vellutato, un -Seung-Hyun…- lo colpì in pieno petto, costringendolo a farsi spazio fra i propri timori per incrociare il suo volto, cosparso di un sorriso che non credeva sarebbe spuntato, non giunti a quel punto e che gli diede il presentimento di un addio -Dovresti rilassarti.- ma che fu solo un intervallo, una pausa fra i loro tremiti.

Le mani di Lin si aggrapparono alle proprie, guidandole fino alla sua vita stretta, permettendole di farsi più vicina, con accortezza, quasi avesse il timore di allontanarlo. Le sue braccia intorno al collo, le dita affusolate fra i capelli neri e lui racchiuso nel suo abbraccio che trasmetteva calore e comprensione, facendolo sentire ancora più inadeguato.

-Guarda che l’ho già fatto, eh.- rimbrottò brusco, mordendosi la lingua per la sua totale coglionaggine. Ma quanto era scemo? Lei lo trattava bene e lui, per tutta risposta, si comportava da permaloso. Si odiò, sul serio. E se lo avesse odiato anche lei non avrebbe potuto di certo biasimarla. E odiava anche la tequila che continuava a mettere alla berlina quel casino cosmico che erano le sue emozioni, mentre la lucidità cominciava a relegarsi in disparte.

E odiò anche lei perché non paga di starlo rendendo un rincoglionito, rise leggera, cristallina, perforandogli l’orecchio destro su cui le sue labbra erano librate, per poi sussurrare un morbido –Lo so.- che salvava tutto, in quel momento; le sue ansie, le sue paure, i suoi timori, e che gli fece comprendere come avesse ben colto i semi della sua scarsa autostima.

-E se stessimo sbagliando?- lo aveva pronunciato sulla sua spalla, lasciandosi inebriare dal profumo di pesca che emanavano i suoi capelli, così fini da solleticargli il volto. Avrebbe voluto immergercisi tutta la notte se ciò significava spingere più in là quel momento.

Ma Lin rise ancora. Di quella risata cristallina che gli beava l’anima, gli distendeva i sensi e lo costringeva a sentirsi un cretino colossale –E’ solo sesso. E’ una delle poche cose che so di non poter sbagliare.-

Già, sbagliare. Avrebbe voluto rinfacciarle quanto fosse stato un errore, da parte sua, vegliarlo dopo essersi comportata da stronza, quanto avesse sbagliato nello sceglierlo fra i tanti che di sicuro sarebbero stati più bravi in quel giochetto che lo stava portando all’esaurimento. Ma scostò i capelli dal suo volto, studiò le sue lentiggini tracciandone disegni immaginari, scrutò i suoi occhi nocciola alla ricerca di un barlume di timore, cosicché potesse smettere, ma mai Lin gli parve così sicura. E allora cercò mille scuse ma nessuna gli parve congeniale, accampò mille motivi pur di adagiarla sul sedile e recuperare i vestiti, ma tutti si rifiutavano di andargli in contro. Era banale a dirsi, ma Lin stava cominciando a rappresentare quello sbaglio madornale che almeno una volta nella vita andava compiuto e puntualmente, pur avendo la possibilità di cambiare la carte in tavola, lo si ricommetteva.

E si arrese, con un sospiro che avrebbe dovuto allontanarla –Io penso—
 

Non devi pensare--
 

Un ordine sussurrato a fior di labbra, incrinato nella sua fermezza…


-Dimenticati di tutto...-


Una richiesta premuta sulle sue labbra, che la fece restare, che lo costrinse a rimanere...

 

-Dimenticati del mondo, per un po’. Ti prego.-
 

E lui perse la testa, smarrì ogni paura e si dimenticò di tutto il resto che non era loro.

Lin gli rivolse un breve sorriso e prima che potesse anche solo scollegare il cervello, si ritrovò a stringerla a sé in un muto abbraccio, che a parole non se la sentiva di dirle grazie. Le mani di Lin si posarono sulle proprie, aiutandolo nella lenta discesa dei suoi jeans skinny mentre avvertiva il cuore pulsargli in gola nello scorgere le sue mutandine di pizzo nero.

Perché non sapeva dove sarebbero arrivati e accantonò anche la paura di perderla quando venne spogliato di ogni abito, di ogni paranoia, perfino della sua essenza. Accantonò il timore di non essere abbastanza quando l’abbracciò nella sua nudità, quando la sua pelle diafana si mescolò alla propria, olivastra e rovente, quando la guardò e si disse che niente di più bello aveva colorato la sua vita.

Fu come perdersi quando le sue ossa vibrarono sotto le dita, quando soffocò il suo nome fra i suoi capelli, sulle sue labbra, sul suo seno, quando annegarono nel piacere, quando avvertì l’anima vibrare ad ogni spinta, ad ogni colpo di bacino, ad ogni bacio, ad ogni sussurro incrinato…

 


 

Fu come se il Mondo, per un po’, si fosse davvero fermato.

 

 

 

 

 

A Vip’s corner:

*Heaven usa DissolvenzaDiPowerPoint su temibile Sex Scene… E’ super efficace*

Mi riscuso per il ritardo. Ho avuto serie difficoltà a stendere questo capitolo non per mancanza di tempo o ispirazione. Ero e sono stanca, sono piuttosto frustrata e demotivata, tanto da chiedermi cosa mi spingesse a portare avanti Something, abbiate pietà di me e delle mie crisi depressive che si sono riversate nel capitolo. Capitolo che, stranamente, mi piace. Anche questo, credo sia uno dei pochi a convincermi in ogni POV. Ho amato, ma amato per davvero, i POV di Top e Lin. No, niente di personale, solo che i loro pensieri sono usciti come volevo io, con le parole che volevo io e quindi sono contenta. GD è psicopatico ma è di una stronzaggine amorevole. Amatelo anche voi come lo amo io, amen.

Vorrei concentrarmi sull’orrida pseudo sex-scene richiamando gli angeli in coro affinché cantino un glorioso Aelluja. Sì, lo hanno fatto e sì, sono riuscita a non descriverla ♥ Per chi si aspettava una scena di sesso sfrenato et spinta, mi spiace, ma non è mai stata nei miei piani e soprattutto non era mia intenzione scriverla. Davvero, ci ho provato ma è stato uno sfacelo D: Mi sembrava una pessima canzone dei Modà. Non me ne vogliano le fan dei Modà, ma a me tutte quelle mani che si inseguono nella notte mi inquietano non poco D:  Credo che questo sia uno dei miei limiti. C’è chi riesce, c’è chi no. Io proprio no. Ecco, parlando seriamente di questa scena: ero combattuta se farla avvenire come è avvenuta. Nella stesura originale doveva essere sì Lindsay a prendere l’iniziativa, ma non con quel Macchina o camera da letto. Doveva avvenire tutto in maniera molto naturale, anche se non ad una festa, ma posso dire che questa scena mi piace, non tanto perché mi sa di reale, dati i miei standard, ma perché è ciò che la mia Lin avrebbe detto. Quella frase credo rispecchi appieno il personaggio che ho creato e arrivata a fine stesura non me la sono sentita di cambiare le carte in tavola. Insomma, è Lindsay e questo mi basta ♥ E poi, io amo le scene che sfumano. Cielo, non fraintendetemi, adoro leggere scene a rating rosso, soprattutto quando scritte come il buon Dio Italiano comanda, ma da qui al riuscire a scriverle il passo è più lungo delle mie gambe e io non sono propriamente un gigante.

Comunque, se voleste dirmi quanto schifo ha fatto, lo apprezzerei volentieri ♥ Se notaste eventuali errori o sbalzi temporali strani fatemelo notare, per favore. Ho finito di stendere il capitolo all'alba delle 4,30 e ho il timore di essermi fatta sfuggire qualcosa, nonostante la rilettura da cima a fondo. Mi sareste d'aiuto. Ribadisco poi che come al solito, il capitolo è pieno zeppo di citazione di altri autori infinitamente più bravi della sottoscritta, indi per cui a loro vanno tutti i diritti e il mio amore incondizionato.

 

Alla prossima ♥

HeavenIsInYourEyes.

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Capitolo 27
*** Memento ***


Capitolo 27

Memento

 

Tell me all the things you want to do

I heard that you like the bad girls…

Honey, is that true?

It's better than I ever even knew.”

-Video Games, Lana Del Rey-

 

 

C’era silenzio, una quiete di sensi placati che la stava cullando dolcemente. La musica proveniente dallo stereo aveva ormai smesso di girare, più precisamente da quando si era ritrovata avvinghiata al corpo di Seung-Hyun in completa balia del piacere. Ricordava di aver solo udito il suo Linnie risuonare nell’abitacolo con estrema rochezza e delicatezza, facendo vibrare le corde più tese del suo cuore martellante, senza alimentare quella strana rabbia che era solita ringhiare al suono di quel nomignolo infantile. Si ricordava che non le era importato nulla di Under the bridge che faceva loro da sottofondo quando anche l’ultimo indumento era volato dietro le sue spalle, così come non le era importato nulla dell’imbarazzato Vuoi un po’ di musica? di Seung-Hyun quando l’aveva portata verso la macchina senza lasciare la sua mano. No, non le era importato nulla quando si era resa conto che avrebbe finalmente potuto assaporare ogni centimetro della sua pelle olivastra che da tanto, troppo tempo continuava ad alimentare le sue più sciocche fantasie.

Il tempo era sospeso, come sempre quando si trattava della loro intimità. Sdraiata sul sedile posteriore, stretta in un tiepido abbraccio che non le permetteva di cadere e soprattutto di restare vigile, si rese conto di ciò che era successo tra loro: aveva fatto sesso con Choi Seung-Hyun... Quel Choi Seung-Hyun, lo stesso Choi Seung-Hyun che mai si era permesso di chiederle qualcosa di più dei semplici baci, troppo rispettoso per godere del suo corpo in un impeto di effimera passione e che adesso non sembrava intenzionato a lasciarla andare. E date le circostanze, nemmeno Lin avvertì l’urgenza di divincolarsi dalla sua stretta neppure troppo salda. Il respiro del ragazzo andava regolarizzandosi mentre lei disegnava cerchi immaginari sulla tappezzeria del sedile davanti a sé; avrebbe voluto scrivere qualcosa sui vetri appannati, ma il ricordo di uno dei tanti Jason che si incazzava a morte tarparono sul nascere quel desiderio infantile. Probabilmente Seung-Hyun non le avrebbe detto nulla, come al solito, ma in uno slancio di bontà si disse che non voleva renderlo l’ennesimo passatempo dei suoi frammentari ricordi.

Era come se volesse serbare dentro sé quella notte, farne tesoro, custodirla gelosamente perché mai nella propria vita si era sentita così libera fra le braccia di un ragazzo. Che le aveva fatto condurre i giochi, che si era lasciato guidare, che l’aveva posseduta con tutta la morbidezza e l’impacciataggine di cui era capace. Che aveva reso indelebile quel momento di assoluta imperfezione dei loro corpi che si univano, in quel miscuglio di emozioni talmente tanto viscerale che più di una volta avrebbe voluto gridare, ma si era trattenuta, troppo impegnata a non perdere i sensi ad ogni spinta leggera, mai marcata.

Non avrebbe mai detto che la sua prima volta con Seung-Hyun fosse stata perfetta, Lindsay aveva ormai smesso da tempo di credere nella monotonia delle perfezione perché certe cose, pur nelle loro pecche, andavano apprezzate. Come il the verde, così amaro che ancora si chiedeva come potesse berlo con gusto, eppure ogni pomeriggio alle quattro se ne preparava una tazza capiente; come i biscotti di Minji, sempre bruciacchiati ai lati e duri come rocce, ma vedere il suo sorriso aprirsi mentre li addentava era uno spettacolo per gli occhi; come l’essere burbero di Mark, che però un Buona notte Linnie e Ti voglio bene, glielo lasciava sempre oltre la porta chiusa a chiave; come la parlantina instancabile di Ginko che le faceva venire un’emicrania epocale, ma non avrebbe mai premuto il tasto Stop. Erano piccole cose, piccole scene della sua quotidianità che non avrebbe mai dimenticato, non ci sarebbe mai riuscita. E mentre avvertiva Seung-Hyun stendersi meglio sul sedile, premendo il petto contro la sua schiena stretta, baciandole la spalla scoperta giocherellando con una ciocca di capelli mossi, Lindsay si disse che di quel momento non avrebbe cambiato nulla.

Tutto, pur nella sua imperfezione, sembrava dannatamente al proprio posto.

-Hai freddo?- le aveva mormorato sulla pelle, depositandovi una sequela di baci che avrebbero rischiato di lasciarle il segno tanto erano roventi.

Lin rabbrividì, ma solo perché la sua voce roca continuava a far sbocciare una miriade di scariche di pura elettricità che insistevano nello scorrere in lei, implacabili –No, sto bene.- bisbigliò stanca, le palpebre pesanti mentre si ritrovava ad essere ancora più incollata al suo corpo. E la sensazione di non essere mai stata così bene fra le braccia di qualcuno insorse con prepotenza, facendo riaffiorare dal cilindro dei ricordi perduti quelle scene della sua dimenticabile prima volta che, anche a distanza di anni, continuavano a tormentarla come spettri incatenati alla mente.

La musica distante, il caos fuori da una camera da letto dalla tappezzeria a fiori che poco si intonava ai pois neri delle coperte. La miriade di pupazzi inquietanti che sembravano assistere alla sua svestizione, i poster di boy band e cantanti apprezzabili come un dito in un occhio che facevano da spettatori alla sua iniziazione a quel mondo che l’aveva sempre un po’ incuriosita, soprattutto da quando Shirley le aveva decantato le strabilianti abilità di Ryan, un coglione della quinta che faceva crescere i fiori sul suolo che calpestava.

Nonostante i tormenti, nonostante tutto, Lin ricordava nitidamente la prima volta che aveva scoperto i piaceri del sesso.

Non era stata perfetta, ma forse nessuna prima volta lo era; non era stata memorabile e se non fosse stato per certe sfumature che si erano marchiate indelebilmente nella sua mente, probabilmente avrebbe accartocciato il ricordo per poi gettarlo nel dimenticatoio. Eppure le immagini erano lì e sfrecciavano così violentemente davanti ai suoi occhi che per un breve istante aveva avuto il timore che quello sotto di sé non fosse Seung-Hyun, ma Tom. Perché Lin non ricordava mai i nomi, ma come poteva obliare colui che per la prima volta avrebbe dovuto farla sentire una donna, invece che un insieme di inutilità e vuoto? E aveva visto spuntare la barba incolta sul volto liscio di Seung-Hyun, i suoi lineamenti farsi meno marcati, il suo naso delicato farsi un po’ più aquilino, le labbra divennero meno carnose, gli occhi farsi meno allungati e puntare all’ingiù, velati di ebrezza e rossi per il troppo fumo. Perfino il suo corpo si stava plasmando in un malsano ricordo che la fece deglutire e che fece brillare il desiderio di divincolarsi e fuggire, questa volta per sempre. Le sue braccia non più immacolate ma coperte di tatuaggi, la sua pelle bianca al posto di quell’olivastro incarnato che creava un piacevole contrasto con la propria candidezza, il suo corpo un po’ scheletrico che non c’entrava nulla con l’asciuttezza di Seung-Hyun…

Già, dov’era finito Seung-Hyun?

Non riusciva a vederlo, non riusciva a percepirlo, eppure il suo bacino continuava a collidere con il proprio senza sosta, le sue labbra continuavano ad esplorare ogni lembo accessibile di pelle diafana, i suoi occhi lucidi continuavano a cercarla... E allora gli aveva chiesto di pronunciare il suo nome, lo aveva implorato affinché non le permettesse di perdersi. E quando aveva udito un Lindsay colmo di passione, ripetuto un’infinità di volte sulle sue labbra schiuse, si era sentita in pace, aveva ripreso le redini della propria anima straziata…
 

C’era odore di rum in quella stanza semibuia di quella casa di periferia, così distante dal proprio appartamento che solo di taxi ci aveva smenato la paghetta di una settimana. Ma Shirley le aveva detto che la festa sarebbe stata grandiosa e Lindsay era stanca del profumo irrespirabile di una Emily che non perdeva tempo di ribadirle quanto fosse stanca della sua impudenza. La gente già ubriaca quando aveva varcato le soglie del giardino illuminato e ricco di fiori ben curati, la musica assordante quando era stata avvolta dal calore di quel salotto accogliente e in cui si stava svolgendo il gioco “7 minuti in Paradiso”, a cui lei si era categoricamente rifiutata di partecipare, eclissandosi dietro il vetro di qualche bottiglia di vodka, rum e birra.

E poi c’era stato quel  ragazzo.

Quel compagno di un scuola un po’ bello e un po’ dannato che a volte le faceva trovare dei bigliettini sgrammaticati nell’armadietto, quel ragazzo che veniva sempre rimproverato perché nella mensa all’aperto aveva il brutto vizio di posare i piedi sul tavolo mentre si accendeva una sigaretta, circondandosi di amici che facevano più macello di un branco di gnu; che la seguiva con lo sguardo per i corridoi della scuola, che le aveva strappato un sorriso senza forzature durante l’ora di punizione, che le aveva rubato un bacio di troppo dietro il giardino della scuola in quell’incontro clandestino durante l’ora di ginnastica segata. Quel ragazzo che le aveva acceso la prima sigaretta, una Marlboro talmente tanto forte da farla tossire mentre la sua risata svagata si perdeva dietro il tiro di una canna appena preparata; quel ragazzo che le aveva infilato la mano nelle mutandine di Minnie quando in realtà avrebbero dovuto studiare; quel ragazzo per cui aveva disseminato baci roventi spingendosi oltre il ventre, assaporandolo con la goffaggine di chi non era mai andata oltre il bacio, quando avrebbe dovuto pulire la palestra invece che chiudersi con lui nello spogliatoio. Quello che aveva assistito al suo primo tiro di fumo, al suo primo taccheggio, alla sua prima sbronza epocale, quel ragazzo che aveva un po’ rappresentato la sua costante prima volta nel rovinarsi un po’ di più. E allora no, quando le aveva proposto di lasciarsi il mondo oltre le spalle lo aveva seguito senza pensieri, complice quella bottiglia di birra di troppo e una sigaretta che poi tanto sigaretta non era stata. Senza rimpianti era salita per le scale, senza rimorsi aveva fatto Ciao Ciao a Shirley impegnata a ballare con il suo nuovo fidanzatino, l’ennesimo che il giorno dopo le avrebbe spezzato il cuore dicendole -Il problema non sei tu-, sono io; e lei avrebbe asciugato le sue lacrime, sfibrandosi talmente tanto che al suono di -Ma a te com’è andata con Tom? Sei sparita-, avrebbe replicato con un apatico -Tutto bene-, che Shirley era troppo impegnata a leccarsi le ferite per sanare anche le sue. Ma quella era un’altra storia che sarebbe avvenuta al quattordicesimo piano di un palazzo color mattone, non al secondo di quella villa sfarzosa.

Ricordava le risate dei festaioli che transitavano nel corridoio, il bombardamento della musica proveniente dal piano di sotto dove si stava consumando la festa dei sedici anni di Meredith.

Mentre lei consumava un po’ di sé stessa fra le braccia di quello che, alla fine, era uno sconosciuto.

E lei era lì, avvinghiata alle spalle di Tom che, senza nemmeno preoccuparsi del suo essere vergine o meno, le aveva solamente detto -Dovresti essere meno rigida-, facendola sentire tremendamente a disagio con il proprio corpo troppo gracile su cui già spiccavano pochi tatuaggi.

Che Tom nemmeno aveva notato…
 

Seung-Hyun aveva baciato i suoi tatuaggi uno ad uno, quasi volesse lasciargliene degli altri, quasi volesse risucchiare il dolore che l’aveva spinta a procurarsene sempre qualcuno in più. Aveva disegnato con lo sguardo quella piccola Betty Boop che ammiccava al suo avambraccio mentre giungeva le mani, ricordo delle cassette che suo padre le faceva vedere quando Emily non c’era: aveva sempre adorato quella bambolina munita di sfrontato sex appeal e auto-ironia, caratteristiche che aveva pensato di dover possedere per divenire una donna degna di rispetto; poi era sparita dalle scene della sua vita ribelle, proprio come aveva fatto suo padre e Lindsay si era resa conto di essere diventata donna troppo in fretta e senza accorgersene.

Aveva disegnato i contorni di quelle due ciliegie svettanti rosse ed invitanti vicino al gomito, che richiamavano il suo secondo nome, Cherilyn. Lo aveva sempre odiato, era più forte di lei -poi sua madre la chiamava Cherry, seppure raramente, e a lei non dispiaceva più così tanto-.

Sulla spalla destra aveva graffiato quelle due pistole che si incrociavano attorcigliate da rose spinate, un tributo ai suoi amati Gun’s che ancora costituivano la colonna sonora della sua vita, quasi si sentisse offeso per non essere divenuto lui stesso l’idolo del suo panorama musicale. Avrebbe voluto dirgli che il primo amore non si scordava mai, ma non le sembrò il momento giusto per sollevare un argomento così delicato, quando tutte le loro emozioni stavano entrando in gioco.

E poi c’era stato il seguire con il polpastrello quelle due parole impresse sul braccio sinistro, che armonizzavano sulla sua pelle quell’unica canzone che continuava a mettere su ogni cd, su ogni mp3, perché non riusciva proprio a smettere di ascoltarla.

-Special Needs…- Seung-Hyun tracciò le righe nere con la punta dell’indice –Te l’ha dedicata qualcuno?-

Lin udì un gruppetto di nottambuli passare di fianco alla loro auto continuando a ridere con voce strascicata; pregò silenziosamente che non rovinassero quell’isolamento. Quando i passi si fecero spettri, si concentrò su Seung-Hyun –No. E’ la mia canzone preferita.- e lo era davvero. Era di una nostalgia così marcata in tutti quei Remember me che, durante una notte di ubriacatura, si era chiesta se mai qualcuno si sarebbe ricordato di lei in un futuro lontano. Ne dubitava, comunque. Era abituata ad essere la Whatsername di tutti coloro che gravitavano nella sua esistenza.

-Non l’ho mai sentita- confessò su quella scia di stelle che vorticavano sulla spalla –Ma quindi ti farai tatuare anche Blue?- gli parve un po’ troppo orgoglioso al pensiero che una sua canzone potesse ritagliarsi un posto indelebile sul suo corpo.

Lin si rannicchiò –Non mi piace così tanto.- e si accartocciò quando avvertì le sue dita pizzicarle il ventre nudo prima che la sua risata si spalmasse nell’aria fresca. E poi mi ricorderebbe te, avrebbe voluto aggiungere.

Anche se non aveva bisogno di un tatuaggio per ricordarsi di Choi Seung-Hyun...
 

-I Placebo? Cazzo, ti piacciono quelli lì?- le aveva sussurrato Tom dopo aver esaminato il suo tatuaggio. E lei avrebbe voluto dirgli “Non piacciono nemmeno a me, ma adoro questa canzone”, ma era troppo impegnata a stare al passo delle sue mani per poter partecipare alla discussione. Quando aveva udito la zip dei suoi pantaloni scendere, le parole erano andate a rifugiarsi nei meandri più oscuri della mente. Che per lei i cantanti erano come i ragazzi: le piacevano tutti e nessuno in particolare. A parte Axl Rose, ma lui era divenuto l’unico che ancora la teneva saldamente legata a Mark e avrebbe voluto dirglielo mentre si lasciava torturare il collo, mentre le sue dita tatuate risalivano l’inguine per sfiorare con i polpastrelli i bordi delle mutandine, ma si ricordò che Tom non sapeva di come Mark fosse ora a Seoul, non sapeva nulla della sua vita, ad onor del vero. Non le aveva mai posto domande, come se non bisognasse scavare nel profondo per doversi avere. Bastava la superficie, il resto era di poco conto. Non sapeva di come fosse stato fonte di liti e liti fra Emily e lei, come fosse stato oggetto di chiacchierate con Shirley. Come semplicemente un posto nella sua vita se lo fosse riservato solo perché pronunciava il nome Tom un po’ troppo spesso. Alla fine di Tom cosa sapeva? Che viveva vicino al ponte di Brooklyn, che finiva sempre in punizione, che si chiudeva nel ripostiglio del bidello con qualche cheerleader, che l’aveva scelta perché -Cazzo se sei uno schianto-, che qualche volta sniffava, che preferiva guardare le partite di rugby con gli amici che uscire a bere qualcosa. Aprì gli occhi e si rese conto che di quel ragazzo che le stava sfilando le mutande, non sapeva niente di niente.

Le scene seguenti erano un susseguirsi di fotogrammi sgranati e che avevano il retrogusto amaro di una prima volta evitabile, talmente tanto pungente da costringerla ad aggrapparsi alle sue spalle. Covava solo il vago ricordo di essersi smarrita in una macchinosità che le aveva fatto esalare un mentale Tutto qui?, la sensazione di vuoto a livello dell’anima. E c’erano state le sue parole, Dio, non era stato zitto per un istante. Sembrava un fiume in piena, continuava a sommergerla di cazzate che le rintronavano il cervello già annebbiato e vani erano stati i tentativi di tappargli la bocca con entrambe le mani o con un bacio, inutile era stato il suo flebile Zitto che nemmeno si era sparso, dato che le era morto in gola.

Si era sempre immaginata silenzio, come se si trovasse nelle profondità di un oceano.  

Invece c’era rumore, c’era caos. E continuava a rendere tutto un po’ peggiore…
 

Seung-Hyun le aveva fatto scoprire l’amabilità del silenzio. C’era stato solo il suo respiro che sapeva di tequila e andava mescolandosi al proprio, spezzato dai quei gemiti che avrebbe voluto soffocare, ma che per qualche strana ragione continuavano a librarsi intorno a loro. E la rochezza dei suoi, invece, la flebilità con cui venivano sparsi senza controllo alcuno, non le diedero così fastidio come aveva creduto. Le piacquero, sarebbe rimasta ore ad ascoltarli se ne avesse avuto la possibilità. E avrebbe ascoltato ininterrottamente anche il battito martellante del suo cuore che sembrava esplodere sotto il palmo aperto, solo per lei.

Dio, quanto sei bello, avrebbe voluto confessargli in un impeto di follia quando quella spinta un po’ più profonda le aveva sfiorato l’anima. E cazzo, era bello davvero Seung-Hyun mentre faceva sesso. I capelli scompigliati che lo rendevano vagamento erotico, il sudore che imperlava il suo incarnato, le gote imporporate mentre la vergogna andava sfociando nei suoi tocchi lievi, la fragranza della sua pelle che mai le era parsa così forte. Sapeva di sesso, di quel sesso che toccava le corde più intime del suo animo un po’ incattivito, che continuava a farle ripetere Dopo questa, altre cento. Ma un Lin colmo di passione l’aveva colpita in pieno petto mentre lo sentiva fremere sotto sé e quando aveva appoggiato la fronte sulla sua, quando le aveva sorriso un po’ svagato ma appagato, quando aveva sentito il piacere pervaderla, si era detta che non poteva chiedergli di più.

Non lo avrebbe più lasciato andare se solo si fosse concesso ancora…
 

Lin non aveva pianto, non ne aveva avuto il tempo. Tom non le era mai parso così pesante mentre cercava un po’ di forze steso su di lei, i gomiti ai lati della sua nuca arrovellata di pensieri. Era stato tutto talmente veloce che si era accorta di ciò che era accaduto quando si era allontanato, procurandole un dolore lancinante, lasciandole addosso un freddo che divenne assordante vuoto quando il rumore delle molle che si assestavano riempirono la stanza, quello della zip dei pantaloni le fece venire la pelle d’oca e la porta sbatté, dopo aver udito le risate cretine degli amici di Stronzo che sostavano ubriachi per il corridoio. Qualcuno in salotto stava cantando Halo di Beyonce e lei avrebbe solo voluto ucciderlo con il microfono; facendoglielo ingoiare o strangolandolo con il filo non aveva importanza, qualsiasi cosa andava bene purché tacesse. Si era stretta all’angolo, sconfitta e dilaniata da quel senso di angoscia e disgusto per sé stessa che mai si era presentato così opprimente alle porte della sua coscienza, chiedendosi perché ci mettesse tutta sé stessa per logorarsi. Ma fu un quesito di fugace passaggio, di quelli che si presentavano solo per farla sentire più orribile, per poi rovesciarsi nel dimenticatoio.

E c’era stato però un pensiero, in quell’istante, che si era fossilizzato in ogni piega del suo essere affaticato, che non se ne era andato nemmeno quando a Tom era seguito il Max della gita scolastica, il Drake della vacanza a Miami e tanti, molti altri ancora: lasciare piuttosto che essere lasciata.

Mentre si rivestiva, mentre si guardava allo specchio, mentre si puliva quel trucco colato che le dava la parvenza di una bambola assassina pronta a mietere vittime, piuttosto che rimanere sottomessa a quella sgradevole sensazione di abbandono, sarebbe sempre stata lei a defilarsi per prima, lasciando che tutti quei rumori provenissero solo dai suoi gesti, prima che potessero compierli loro.

Che lasciare, piuttosto che essere lasciate, la uccideva un po’ di meno…
 

Le mani di Seung-Hyun sostavano sulla sua vita sottile, come se non avesse le forze per potersi muovere. Il suo sguardo per quanto incatenato al proprio, era vacuo, come se volesse stendersi e lasciarsi trasportare dal sonno. Lin avrebbe tanto voluto sfilarsi a quella presa e recuperare i propri vestiti, un po’ per abitudine un po’ per il costante timore di vederlo svanire come una mera illusione. E quando nessuna spinta provenne dal suo bacino, comprese come fosse ora di lasciare piuttosto che essere lasciate. Perché per qualche strana ragione, sentiva che il dolore che Seung-Hyun le avrebbe procurato allontanandosi sarebbe stato squarciante, il rumore della sua zip che risaliva sarebbe stato insopportabile e l’idea di udire la portiera sbattere non l’allettava per niente.

Fu per questo che non lo guardò, portando le mani sulle sue braccia per potersi alzare, divincolandosi. Il freddo della libertà che stava per riabbracciare le gelò le ossa, si mescolò alla stanchezza, a quel vortice di belle emozioni che non pensava avrebbe mai provato con un ragazzo, specialmente con qualcuno che la stava trascinando sempre più a fondo in quel groviglio di sentimenti ancora non catalogati.

Ma qualcosa andò storto. O non andrò proprio.

C’era che quando lei si era mossa, pronta a sfilarsi, le mani di Seung-Hyun avevano stretto le sue braccia esili tarpandole la fuga, con fiato spezzato, irregolare e con un sorriso colmo di dolcezza che mai più avrebbe dimenticato. E non avrebbe nemmeno dimenticato le sue dita che le scostavano il ciuffo appiccicatosi alla fronte, il bacio depositato sul naso, sulla fronte, sulle guance, per poi sfiorare il suo orecchio in un sussurro fioco e roco –Solo cinque minuti così. Ti prego.- una richiesta che fece nascere calore, che le fece mancare la terra sotto i piedi e probabilmente, se non l’avesse trattenuta a sé, avrebbe addirittura spiccato il volo. E l’aveva stretta piano senza attendere un suo consenso, affondando nei suoi capelli corvini e scompigliati mentre si era accoccolata in quella prigione di emozioni, completamente destabilizzata da quella richiesta.

Perché era un uomo, un uomo come i tanti che si era portata a letto e che dopo essere stati completamente appagati, l’adagiavano con sgarbatezza sulle coperte sfatte, andavano a fumarsi una sigaretta o a prendere una birra, le dicevano di prendersi un taxi perché troppo assonnati per riportarla a casa.

Che la lasciavano andare, come una cosa da poco.

Seung-Hyun invece la stava trattenendo, come se valesse la pena.

Nessun odore acre di fumo impregnò le sue narici, solo quello dei suoi capelli che sapevano ancora di shampoo; nessun rumore di molle che si assestavano occupò i suoi pensieri, solo quello del suo respiro la cullò per un periodo di tempo indefinito. E il suo corpo che stringeva il proprio, in una morsa così delicata da trasmetterle un dilaniante piacere che per un battito di ciglia rischiò di farle versare quelle lacrime che a lungo i suoi occhi si erano rifiutati di far uscire, quasi volessero disperdere la sofferenza a lungo racchiusa.

E quando le mormorò a fior di labbra –Se vuoi possiamo andare.- sempre però senza allentare la presa, Lin credette di essere in Paradiso o in qualche posto che ci somigliava vagamente.

Ma non si spostò, le dita non si sfilarono dai suoi capelli e la sua voce, con fatica immane e un po’ incrinata, riuscì a disperdersi nell’aria –No. Non mi va.- anche se vi si riconobbe.

Lui rise un poco, poi ribatté con un placido –Neanche a me.- che fu come un colpo all’anima. L’aveva fatta stendere e dopo averle depositato un bacio sulla fronte, si era accasciato al suo fianco, tenendola stretta a sé in quella posizione che nessuno dei due aveva osato scomporre, neppure ora che si era stancata di disegnare sulla tappezzeria.

Si era accoccolata meglio, aveva udito i battiti incessanti del proprio cuore perdendone il conto, aveva pregato che la notte potesse frenarsi un po’ di più così da poter trovare un senso a quel profondo cambiamento che solo allora si rese conto di aver subito. E avrebbe voluto dirgli tante cose, quella notte. Ad esempio che era bellissimo, di quella bellezza sconvolgente che le faceva salire il cuore in gola, che si faceva troppe paranoie sull’aspetto esteriore, che forse avrebbe dovuto avere un po’ più di fiducia nelle sue capacità, che come coperta o maglione non era affatto male, che lui l’ascoltava davvero anche quando gli rivolgeva un fastidioso silenzio, che quando rideva era adorabile perché assomigliava ad un bambino di quattro anni, che era così spensierato tanto da farle provare invidia…
 

-Dovremmo tornare alla festa.- Seung-Hyun represse uno sbadiglio.

-Mh?-

-Gli altri ci staranno dando per dispersi.-

-Ah, già.- chiuse gli occhi.
 

Che doveva andarsene per un po’, che si era iscritta all’università e che questa volta non sarebbe stata così stupida da sbagliare il test. Che voleva davvero rendersi un po’ migliore agli occhi di quella sé stessa data per scontata, che gli occhi di suo padre brillanti di sincero orgoglio l’avevano commossa, che mai quel Ti aspetto di Emily le era parso più dolce e genuino tanto da farla sorridere…
 

-Seung-Hyun…? Non mi va di tornare. Ho sonno.-
 

Avrebbe voluto essere più coraggiosa…
 

Rise –Va bene- la strinse di più –Restiamo qui ancora un po’.-
 

Avrebbe voluto dirgli che tutto, con lui, era davvero meglio di quanto avrebbe mai potuto pensare.

 

****

 

Ji Yong amava fumare.

Era più forte di lui. Che fosse per nervosismo, relax o per qualsiasi altro motivo, GD amava sollazzarsi sul balcone di casa con una sigaretta fra le dita, le cuffie nelle orecchie e un libricino consumato su cui annotava i propri pensieri che, inevitabilmente, diventavano parole accompagnate da bassi, piani e chitarra. Aveva provato una volta a sfruttare il silenzio di camera propria per far esiccare i pensieri nel fumo di una MS, ma Daesung si era imbattuto in tutto quello con la tipica espressione di una madre che coglieva il proprio figlio con le mani in un sacchetto pieno d’erba.

Allora aveva rinunciato alla propria camera da letto, arrampicandosi sull’impervia scala di quel palazzo che ormai definiva casa.

Il fresco della notte diventava il suo unico amico, conciliava i suoi tormenti e li trasformava in strofe. Ricordava di aver composto Blue sul tetto di casa dopo aver lasciato la sua amante dormiente in un bozzolo di lenzuola da cui era voluto fuggire al più presto, percependo un coinvolgimento dall’altra parte che lui non era disposto a sopportare. Che quel Credo di starmi innamorando di te sussurratogli fra i gemiti, aveva rovinato quel ritaglio di libertà che si era concesso fra le sue braccia.

E aveva sentito l’urgenza di evadere, pur di non sentirsi soffocare.

Ricordava l’aria gelida di quella notte di fine novembre, il fumo che distendeva ogni suo nervo teso, la rabbia per aver visto sfumare un ottimo svago scemare e le parole scorrere sul cellulare senza nemmeno tener conto degli errori. Aveva osservato la sigaretta consumarsi, aveva inseguito i rivoli di fumo con lo sguardo mentre la carta bruciava nella nebbia di una Seoul che cominciava a svegliarsi e quando aveva posto lo sguardo sul display, il ritornello era già bello che armonizzato. Ricordava il grigio di un’alba che tardava ad arrivare, lo stesso grigiore percepibile in ogni sillaba di quelle malinconiche parole che si rincorrevano fra loro, quello stesso grigiore che aveva caratterizzato l’intero video e che, a ben vedere, colorava la sua intera esistenza.

E quella stessa sensazione di stasi, l’avverti una mattina di un marzo ormai iniziato, quando tutto cominciava a prendere vita mentre lui sentiva di essere ancora nell’inverno delle proprie memorie, sul balcone di un discoteca silenziosa che aveva spento la musica da un po’, lasciando gli ospiti dormienti sui divanetti della sala da ballo.

Ji Yong inspirò profondamente, si strinse nel cappotto leggero e godette della pallida luce del sole che filtrava dalle nuvole, che si diramavano nel cielo di una Seoul avvolta dal silenzio mattutino. Osservò gli sbuffi che sfuggivano alle sue labbra sottili, rincorrendoli con lo sguardo appesantito di chi ha passato l’intera notte in bianco, la mano stretta intorno al pacchetto vuoto di MS. Aveva trascorso la festa gravitando come un satellite impazzito verso quelli che sembravano pianeti degni di esplorazione, assaporando l’amaro sconforto di una ricerca infruttuosa quando si era reso conto che nessuno di loro sarebbe mai divenuto abitabile. E allora aveva sopperito alla noia con qualche drink, trovando ristoro solo con quel bontempone di Daesung che, alla scoperta di un esemplare di Top in procinto di accoppiarsi con l’algida Regina delle Nevi, aveva cominciato a dilungarsi in un sermone pieno di ansie, fobie e preoccupazioni insensate.

Comportamenti tipici delle mamme novelle, insomma.

Tipo che, una volta raggiunto quel punto di non ritorno, forse il loro adorato hyung avrebbe rischiato di rimanere folgorato e allora sarebbero stati loro a dover convivere con un cucciolo di Top depresso ed incazzoso. Probabilmente, il fatto che lo hyung mano nella mano con America avesse brillato peggio di una palla stroboscopica, non era servito a trasmettergli quanto poco a Seung-Hyun fregasse dei postumi di una notte di sesso. La stupidità e l’ingenuità umana non aveva confini, decisamente. Oppure li aveva. Andavano da SeungRi e terminavano a Daesung. Nel bel centro gravitava Taeyang, che si salvava solo perché, da bravo padre, preferiva vedere i propri figli sbagliare cosicché potessero trarne insegnamento.

Una famiglia di disagiati, ora che ci pensava a mente un po’ più lucida.

Ma mentre si appoggiava al muro, le mani in tasca, Ji Yong si disse che senza quei disagiati sarebbe colato a picco tempo addietro. Quando aveva visto la propria immagine venir calpestata da uno sbaglio perdonabile ma apparentemente difficile da accettare, quando aveva deciso di recidere tutti i ponti con quel passato che nonostante tutto una mano gliel’aveva tesa, procurandogli solo lancinante dolore per essere stato una delusione, quando si era reso conto che la libertà era troppo sfuggevole per poterne abusare. Andava dosata e la si poteva comprendere appieno solo dopo aver perso ciò che si era sempre desiderato. La fama, la popolarità, tutto gli era scivolato come sabbia fra le fessure delle dita quando gli avevano ricordato quanto comune fosse, quanto essere un cantante di successo non fosse sinonimo di immortalità.

E loro, quella normalità a lungo dimenticata e ritrovata in una centrale di polizia, l’avevano accettata come se ci fosse sempre stata, come se non l’avessero mai dimenticata.

Rincasare e trovare Daesung che preparava il the per un Taeyang che scarabocchiava sul giornale mentre il viso sosteneva le lancette di un orologio che implacabile faceva scorrere il tempo, alzare il volto solcato da amara incomprensione e scorgere il sorriso placido di un Seung-Hyun che era tornato a casa solo per chiedergli un pacato Come stai?  e sentirsi stringere da un SeungRi spezzato in lacrime che continuava a ripetergli che lui c’era, che non lo avrebbe mai abbandonato. Che loro erano la sua famiglia e sempre, per sempre, ci sarebbero stati.

L’amarezza di quel momento costrinse le sue labbra in un tremolante sorriso, nascosto dietro una sciarpa a scacchi che una fan gli aveva lasciato davanti casa accompagnata da una lettera. Ricordava che era successo poco dopo lo scandalo, quando i fischi si sprecavano e i giornali sembravano insaziabili di gossip sulla vicenda, di essersi rinchiuso in camera e di aver pianto mentre il cellulare continuava a squillare. La millesima chiamata a vuoto di sua madre, a cui era seguito un silenzio di rassegnazione.

Fu un istante, breve ma intenso, mentre i denti stringevano il labbro inferiore e qualcuno sbatteva una portiera: come stava sua madre? Si svegliava ancora nel cuore della notte per accertarsi che fosse rincasato o si era arresa al sonno? Si alzava ancora all’alba giocando con le stoviglie, svegliando suo padre che, arrendevole, se ne andava in soggiorno a guardare la tv?

Lo cercava ancora, anche se non si era più fatto trovare?

Fu un istante, breve ma intenso, e Ji Yong si ritrovò a soffocare nel senso di colpa per essere stato un figlio discutibile, di quelli che si preferisce veder scomparire pur di non soffrire. Ma gli istanti brevi ed intensi sono così: arrivano senza preavviso, lasciano il segno e poi scompaiono lasciandoti solo un gran senso di incolmabile vuoto. E forse, quel vuoto, nessuno avrebbe potuto riempirlo.

Il rumore della portafinestra frantumò i suoi ricordi, permettendogli di tornare a respirare. Chiuse gli occhi, ringraziando mentalmente il Daesung o il Ri della situazione che, probabilmente, erano corsi in suo soccorso. Perché odiavano lasciarlo da solo, come se la solitudine potesse risucchiarlo in un vortice di nero rancore da cui non sarebbe più uscito…

-Oh, allora sei qui!-

Un vortice in cui certa gente si infilava, senza nemmeno rendersene conto.

Occhi dischiusi e velati di sorpresa, mascherati da un distacco che fece contrarre i morbidi lineamenti di un volto solcato da mirabile stanchezza, Ji Yong scrutò la cavia appena comparsa, circondata da un’aura di infinita bontà che entrò in contrasto immediato con la propria glaciale indifferenza.

Ginko Fujii, sorriso ad illuminarle il volto sfumato di un trucco ormai colato, si palesò in tutto il suo scompiglio mattutino.

Uno scompiglio tremendo, a dire il vero; la sua entrata in scena era stata il tipico colpo di spavento che solo poche scene horror sapevano donare. Distaccato per principio, incapace di controllare quella maledetta vocina che continuava a ripetergli che in fondo non era poi così spiacevole trovarsela fra i piedi, GD scrutò quell’ammasso di euforia e gentilezza spropositata che ora si guardava attorno circospetta. I capelli rossi un tempo mossi erano ora lisci come spaghetti, un po’ elettrici e arruffati; il trucco sbavato era uno spettro della nottata appena trascorsa, un neo sul pallore del suo viso rilassato e carezzato dalla brezza leggera. Ji Yong distolse lo sguardo, conscio che concentrarsi sulle sue labbra schiuse non avrebbe di sicuro giovato alla propria sanità mentale, già bella che partita quando si era reso conto di come la gonna fosse troppo corta per lasciare spazio all’immaginazione.

-Avevi bisogno?- si appiattì contro la parete, studiando i cerchi di fiato che andavano sparendo.

-Mh, beh, no, cioè sì…- sfregò le mani –Hai visto Lin? E’ sparita.-

-Sarà andata a rapinare qualche banca- il Ji Yong! sferzante di Ginko fece vibrare la sua ilarità –Fujii, perché mai dovrei sapere dove si trova?-

Ginko alzò le spalle –Perché tu sai sempre tutto di tutti- la guardò con un sopracciglio arcuato, chiedendosi perché mai tale affermazione suonasse come un’accusa. Che Diavolo era, una portinaia? Di solito era Daesung che sapeva i fattacci di tutti, lui si limitava ad elaborare informazioni sulle cavie degne di nota. Quelle che, per intenderci, riuscivano a percorrere il suo labirinto di cartone senza perdersi in vicoli ciechi –L’hai vista?- ripeté ferrea, anche se il suo sguardo addolciva un po’ la situazione.

Ji Yong ghignò, avvertendo uno scaldante senso di vittoria gonfiargli il petto se solo ripensava ai risvolti che la sua benefica chiacchierata con la Moore aveva creato –Fujii, ti facevo più sveglia- il suo grugnito lo fece sospirare di gaudio –Non noti che manca qualcuno all’appello?- la guardò di sottecchi, gongolando nel notare che quella miniatura davvero si buttava a capofitto nei suoi quiz, quando avrebbe potuto liquidarlo con un semplice Fanculo, me la cerco da sola.

Le labbra serrate, le sopracciglia aggrottate mentre le pieghe della fronte andavano stringendosi, gli occhi chiusi prima della prevedibile risposta –Top!- e il suo agitare l’indice mentre saltellava, un sorriso di vittoria a dipingerle il volto –Ho indovinato?!- batté le mani, poi sembrò risalire al vero significato di quella risposta –OhMio— Dove sono?!-

-Oh- sollevò le braccia al cielo –America e la Corea del Sud hanno deciso di suggellare un trattato di pace.- Finalmente, avrebbe voluto aggiungere con tutta la liberazione che aveva in corpo. Perché era certo che quei due non fossero andati a giocare a Monopoli a casa, no. Il modo in cui si erano allontanati, dribblando tutti gli invitati, scivolando sotto i loro sguardi con fulminea velocità. Il modo in cui Top aveva stretto per tutta la fuga la mano di una Lindsay visibilmente brilla ma consapevole. Il modo in cui, semplicemente, erano sembrati bisognosi l’uno dell’altra.

Come due amanti che si incontrano dopo tempo e chiedono di saziare la loro mancanza.

Questo gli erano sembrati, quando GD li aveva osservati dall’alto della scalinata, sorridendo alla vista di un Top che continuava a guardarsi indietro per appurare che Lindsay non mollasse la presa e baciarla mentre la porta si apriva, spingersi oltre la soglia del caos per cercare silenzio.

-In che senso?- poi arrivava l’ingenuità degli ignoranti e Ji Yong si ritrovava a chiedersi perché il suo animo caritatevole decidesse di condividere tale profondità con chi ne era indegno.

-Il miracolo della natura, Fujii.- sentenziò lapidario, il volto divenuto una maschera di noia e fastidio per non essere stato subito capito.

Ginko arrossì –Oh, oh, quello, certo- mugugnò imbarazzata –Quindi sono assieme, da qualche parte…-

-Sono scappati dalla festa.-

-Come Romeo e Giulietta!- esclamò sognante, cercando la sua approvazione.

Ji Yong represse un ghigno di derisione dietro lo scoccare della lingua –Quei due non finivano granché bene.- puntualizzò placido.

E Ginko si smontò in mille scintille di delusione –Oh, è vero.- mangiucchiò l’amarezza di quella tragedia e si rinchiuse nel silenzio della mattina, sostando vicino alla portafinestra ancora aperta.

Ji Yong tornò a guardare il panorama che cominciava a prendere contorni con la luce di un sole che cominciava ad ergersi dietro gli enormi palazzi. Credette che il simpatico siparietto potesse concludersi lì. Le cose importanti erano state dette e Ginko non aveva più bisogno del suo aiuto. Ma di sottecchi guardò alla propria sinistra e si accorse che la Fujii continuava a sostare a cavallo fra la dura realtà di un muovo giorno appena cominciato e i suoi pensieri…
 

-Non perdere il tuo tempo con me.-


Restava, pur avendola cacciata una volta.

Solo allora si rese conto di quanto Ginko andasse oltre la sua banale osservazione. Dietro quella figura da bambolina un po’ sciocca e superficiale, si nascondeva una ragazza con una forza d’animo che non le aveva riconosciuto e che mai aveva attratto il suo interesse. Si faceva vicina, ma senza invadenza, lo aiutava ma senza intromettersi.

Si rendeva avvicinabile, ma inafferrabile.

E ciò che gli fece storcere il naso, deglutire e stringere quel pacchetto di MS ormai accartocciato nella tasca della giacca, fu che a delimitare i confini del loro essere, era stato lui e nessun’altro.

-Che c’è?- gli rivolse un sorriso fresco, nonostante la stanchezza solcasse il viso.

GD la scrutò, fece scivolare lo sguardo sui suoi lineamenti delicati e rilassati, sulla linea morbida del naso schiacciato, scendendo lungo il collo, per poi ritornare a scontrarsi con la monotonia dei palazzi –Sei orribile.-

Uno squittio preannunciò la la sua prevedibilità -Non sono orribile!- agitò i pugni –Ri dice che sono stupenda anche con il trucco colato, appena sveg— GD aguzzò le orecchie, percependo il preludio di quel mirabolante gioco a premi che gli avrebbe portato tanta gioia. Ma Gin non terminò mai quella frase mentre prendeva a torturarsi le mani sotto il suo sguardo divertito –No, niente, lui mi trova bella, comunque.-

-Tutti troviamo bello ciò che ci piace- osservò i cerchi di fiato che si aprirono di fronte ai suoi occhi –Non significa però che lo sia davvero.-

E l’espressione più stupenda che quella miniatura dannosa gli ebbe mai rivolto, si palesò in tutto il suo fulgore: le labbra dischiuse, gli occhi ridotti a due palle da biliardo, le narici dilatate mentre le guance andavano imporporandosi sempre più. Tutto, nella figura di Ginko, gli fece comprendere quanto le proprie parole fossero state fraintese. Ma non gli diede fastidio, non quella mattina. Come poteva infastidirsi quando un equivoco stava rischiando di fracassargli la mascella tanta forza stava impiegando per non scoppiare a riderle in faccia?

-Stai dicendo che sono brutta?!- gracidò con fervore, scagliandogli contro uno sguardo bruciante.

-Non l’ho mai detto- proferì pacifico –La bellezza in sé non ha a che fare con il piacere. Potresti essere E.T. e Ri continuerebbe a scambiarti per un Monet solo perché gli piaci- Ginko parve arrossire sotto quel complimento spacciato per analisi –Solo perché non piaci a qualcuno, non significa che tu sia brutta.-

Gd ad esempio, Ginko l’avrebbe sempre vista così: una sigaretta fumata a metà.

Di quelle abbandonate perché si aveva un impegno più importante, quelle che venivano appoggiate sul posacenere con l’imperativo Più tardi torno a prenderti e puntualmente venivano dimenticate, lasciate a spegnersi senza averne gustato appieno il sapore. Di quelle che si torna indietro e scopri che non sono più lì ad aspettarti, perché qualcun altro le ha prese. E allora si chiedeva perché non l’avesse finita prima di andarsene, perché avesse dato inizio ad una fine se poi i pentimenti bussavano alle soglie del suo cuore che, lo ammetteva, più di una volta aveva battuto un po’ di più quando lei gli era stata a fianco.

Una sigaretta fumata a metà, in mezzo a tante scadenti e consumate.

-Ma hai appena detto che sono orribile!- parve riprendersi dal suo stato di trance, puntandogli contro l’indice.

Ji Yong rise di gusto –Fujii, sembri appena uscita da un incontro di Wrestling. Sei oggettivamente orrenda.- la ragazza squittì, si guardò alla finestra e con una sequela infinita di mugugni andò a levare la matita sbavata sotto gli occhi.

Ma un pensiero, più di tutti più di tutto, si fossilizzò nelle pieghe della sua mente in continua fase di elaborazione, restando: che Ginko Fujii, la quant’essenza dell’euforia e di tutto ciò che era fastidioso, fosse meglio di molte sventole che avevano avuto l’onore di sostare fra le sue coperte. Pensò che svegliarsi una mattina e ritrovarsela vicina con il trucco colato e i capelli scompigliati non sarebbe poi stato uno spettacolo così raccapricciante. Ma una sferzata di vento gli rinfrescò il cervello surriscaldato per la nottata passata in bianco e tornò a considerarla una schizoide che adesso continuava a d urlargli contro frasi incomprensibili.

Si chiese se Ri avesse già avuto il piacere di godere interamente del suo corpo o se fosse fermo ad infimi livelli, ma la sua vocetta stridula gli fece visita e allora ogni sciocco pensiero scappò lontano.

-Non gridare, mi gira la testa.-

-Hai bevuto troppo?- agitò l’indice –E’ quello che ti meriti per aver—

-Ho solo troppi pensieri, tutto qua.- confessò stanco, massaggiandosi le tempie con il pollice e l’indice.

-Vuoi parlarne?-

-No.-

-Beh, dovresti- annuì vigorosa -A volte i pensieri diventano talmente pesanti da schiacciarci. Non puoi permetterlo.-

-A volte sobbarcarsi dei problemi degli altri, può schiacciare lo stesso.- le rivolse un ghigno derisorio, come se volesse elevarsi al di sopra della sua genuina bontà d’animo che la spingeva a soccorrere gli animi tormentati come il suo. Come riusciva a non vergognarsi del suo essere così sfacciatamente buona? Forse lui non voleva lasciarsi salvare, forse lui non voleva uscirne. Riprendere in mano la propria vita dopo così tanto tempo, lo spaventava da morire. Non ne sarebbe stato capace, non da solo.

-Quando non hai problemi, è bello poter aiutare gli altri- gli rivolse un sorriso felice, rabbrividendo quando il vento si scagliò con prepotenza sul suo viso –Se stai bene, non pesano- la guardò serio, incapace di rispondere e la vide ridacchiare mentre guardava per terra –Penserai che sono una stupida.-

-Non sei stupida- lo disse senza neppure pensarci, come se le parole fossero sempre state lì e avessero trovato il momento propizio per spargersi. Avrebbe voluto trattenerle a sé, ma lo sguardo brillante che gli rivolse non lo fece pentire di aver parlato –Se lo fossi, non saresti così libera di essere felice. Essere felici è un rischio, non tutti ne sono capaci.- avrebbe voluto dirle quanto forte la reputasse, pur nella sua ingenuità mentale, quanto la invidiasse per il suo scivolare e sapersi rialzare, per il suo essere così sfacciatamente vulnerabile e non vergognarsene.

Avrebbe voluto dirle che, se fosse tornato indietro, non le avrebbe detto che lei, per lui, non andava bene. Avrebbe lasciato che il tempo decidesse cosa farne di loro, anche se solo per l’incontro effimero di una notte. Ma forse era troppo tardi, no?

Capire chi, in mezzo all’Inferno, non era Inferno e trattenerlo, dargli spazio nel proprio cuore. Ecco, lui un po’ di spazio glielo avrebbe lasciato. Poco, pochissimo…

-Ji Yong…?- lo chiamò piano, le labbra serrate e lo sguardo sbarrato che puntava dappertutto tranne che a lui –Ji Yong io—

Uno scalpiccio catturò la sua attenzione -Oh, bentornati.- la interruppe con pacatezza, conscio che quel discorso insensato non andava rovinato con qualche sciocchezza. La vide sospirare, forse anche lei si sentiva meglio nell’aver taciuto.

Ginko si volse dopo aver scosso la nuca, sventolando una mano –Lin! Ma dove sei stata?!-

-In macchina a dormire.- l’espressione di Top di fronte allo scazzo della Moore fu uno spettacolo che lo fece scoppiare a ridere.

Ma la cosa che lo divertì maggiormente, fu l’espressione di vittoria che si dipanò sul volto della Fujii quando si volse in sua direzione –Aha! Vedi che hanno solo dormito?-

-Co-cosa avremmo dovuto fare, scusa?- mormorò Top mettendosi a braccia conserte. Dio, era uno spasso, decisamente.

Ginko sbatacchiò le palpebre mentre Lin si dondolava sui piedi. Ji Yong la guardò, conscio che l’unica in grado di dargli corda quando tasti imbarazzanti venivano toccati, era l’algida americana -Com’è andata?- fissò i due fuggiaschi con malizia, le labbra distese in un sorriso sornione mentre lo sguardo veleggiava da l’uno all’altro.

Lin lo fissò con noia, l’espressione da intaccabile giocatrice di poker. Seung-Hyun fu uno spasso, invece, sul serio: i suoi occhi stanchi e gonfi si allargarono, le guance si tinsero di un cremisi acceso e le labbra si aprirono e chiusero a ritmo di indice oscillante. Ah, che spettacolo della natura, davvero.

-GD, non sono ca—

-Bene.- Seung-Hyun guardò Lindsay con fare allucinato, poi si stropiccio i capelli mentre una sonora imprecazione uscì dalle sue labbra. Che scemo… Come se potesse scamparsi un bel terzo grado quando sarebbe stato solo nella gabbia del leone.

Ginko saltellò –Ma allora voi—

-Ma la volete smettere di farvi i cacchi nostri?!- si intromise lo hyung che fino a quel momento aveva vegetato in uno stato di trance.

-E voi la volete smettere di urlare?- Taeyang fece la sua entrata in scena con voce alla Lurch della degli Addams, stropicciandosi un occhio.

-Vi abbiamo svegliato?- domandò Ginko colpevole, portando una mano alle labbra.

-Top hyung ha la voce da trombone.- si lagnò Dae mentre si stringeva nel cappotto, andando incontro al suo hyung adorato.

Hyung che imprecò, ovviamente –Ma non è vero!-

-Non era un contrabbasso?- seguì Tae, affondando la testa nella giacca.

-Fate troppo casino- seguitò Ri incespicando nei propri passi -Andiamo a fare colazione, ho fame.- mugugnò mentre poggiava la nuca sulla spalla di Ginko.

-Offre Top perché ha vinto un bel premio, questa notte.- sentenziò GD con un occhiolino inquietante.

-Hai vinto alla lotteria?- domandò Ri con seraficità, sbattendo le palpebre.

Dae sospirò –Hai ancora tanto da imparare- rifilò un’occhiata sprezzante al più grande –Ed io e te dobbiamo fare un discorsetto.-

-No.-

-Ma Top hyung!- si lagnò il ragazzo, correndogli incontro mentre quello cominciava a nascondersi dietro le spalle di un Taeyang che sonnecchiava in piedi.

-Io non ho ancora capito.- borbottò Ri sbattendo le palpebre.

E Ji Yong rise di gusto mentre li guardava da lontano, mentre sentiva qualcosa sfaldarsi all’interno del proprio animo. Come se ci fosse qualcosa di più importante oltre al proprio divertimento, come se bastasse poco per saziare quella noia fastidiosa che si impossessava sempre di lui.

Bastava Ri con la sua ingenuità, Ginko che cercava di far parlare una reticente Lindsay, un Daesung che chiedeva aiuto ad un Taeyang indifferente mentre Top continuava a ridersela come il cretino che era.

E lui avrebbe voluto immortalare quell’immagine per sempre…
 

Ji Yong si ritrovò a fissarli con un sorriso di sincera felicità nascosto dalla sciarpa a scacchi ben allacciata intorno al collo mentre un sereno –Stupendo, davvero.- si librava nell’aria satura delle loro voci.
 

Gli parve di aver messo un po’ in ordine la propria vita.

 

*****


Erano ormai nel bel mezzo di marzo e nonostante la brezza leggera che le scompigliava i capelli, il tiepido caldo di un Sole per troppo tempo nascosto dalle nubi riscaldava la sua nuca rossa e sbarazzina. Da tempo Ginko si era privata di lunghe camminate nel parco Namsan a pochi isolati dal proprio appartamentino, troppo infreddolita per anche solo pensare di mettere fuori dall’uscio di casa il nasino schiacciato che avrebbe rischiato di congelarsi.

Ginko adorava quel periodo dell’anno, quando il freddo inverno cominciava a sfumare, lasciando spazio ad una primavera che sbocciava tiepidamente davanti a sé, regalandole il meraviglioso spettacolo dei primi ciliegi che si aprivano o delle prime azalee che decidevano di affrontare un nuovo ciclo di vita; che si eclissava all’ombra di gonne e calze dai più disparati motivi geometrici o disegni bizzarri mentre i jeans o le calzamaglie venivano deposte in scatoloni che sarebbero stati sepolti per molti, lunghi mesi. Quel giorno sfoggiava un paio di collant verde chiaro con stampati dei minuscoli panda che Lindsay una volta aveva definito amorevolmente come Pugno all’occhio della moda; Ginko aveva ostinatamente ribattuto che erano la quint’essenza della moda e che una che andava in giro con le felpe dei Chicago Bulls non poteva proprio farle la predica. Avrebbe voluto mettere in mostra la lunga maglietta bianca con disegnato un enorme smile giallo che ben descriveva il suo umore di quel pomeriggio, ma il vento le carezzò le gambe, rammentandole che ancora non era il periodo giusto per abbandonare la giacca pesante.

Si strinse mentre un brivido le scorreva lungo la spina dorsale, maledicendo il leggero freddo in un mutismo che avrebbe solo salvaguardato la bellezza di quel tempo mite. Poi c’erano le personcine fini ed eleganti come Lindsay che si lasciavano andare a beceri Fuck mentre portavano le mani guantate dentro le tasche del cappotto. Incredibile come quel ghiacciolo della sua amica soffrisse così tanto il freddo. D’altro canto convenne con sé che sentirla imprecare, le impediva con somma gioia di dover sbirciare al proprio fianco per accertarsi che fosse al suo fianco e che non si fosse smarrita nei meandri di quelle vie ciottolose poco affollate. O che si fosse smarrita nei suoi pensieri, dato il silenzio che aveva continuato a rivolgerle da quando si era presentata a casa sua.

Le erano mancate le chiacchierate solitarie con Lindsay. Più del the delle quattro, più della metro che la portava all’università, più dei baci mai prepotenti di Ri, perfino più della voce di Ji Yong mentre spargeva qualche perla in qualche intervista che lei avrebbe rigorosamente registrato, ecco, più di tutto quello c’era stata la terribile mancanza di non poter più navigare nella miriade di pensieri che sembravano sempre privarla di una meritata serenità. E quando quella mattina si era svegliata al suono di Crayon, il messaggio che aveva sbirciato ad occhi socchiusi le aveva donato una vitalità che da tempo si era dimenticata di lei, che da tempo sembrava essersi scollata al suo essere. Che un insignificante Ti va di uscire oggi?, era quasi diventata la sua ragione di vivere per quel giovedì.

Le sporadiche chiacchierate fra una pausa e l’altra al Tribeca, gli episodici sms che si erano scambiate nell’arco di quelle settimane, non le aveva permesso di godersi appieno quella reale soap opera che era la storia tra Lindsay e Seung-Hyun. Perché qualcosa era accaduto, tra quei due, qualcosa che sfuggiva alla sua brillante capacità di analisi e che non le permetteva di comprendere quale fosse il fulcro del cambiamento di Lindsay. Perché Lindsay, quella Lindsay che si era presentata con scazzo al Tribeca e adesso passeggiava al suo fianco rimirando placida gli alberi che circondavano il viale alberato che avevano appena imboccato, non era la stessa di molti mesi addietro. Sembrava aver acquistato una serenità che forse mai le era appartenuta e la cosa più strabiliante, fu rendersi conto che la sua metamorfosi era avvenuta con evidente naturalezza, senza sforzo alcuno.

Il suo volto sempre sormontato da impassibilità ma scalfito da quel misero accenno di sorriso che diradava ogni segno di angoscia; gli occhi contornati da stanchezza, ma non più spenti come quelli di chi aveva vissuto troppi dolori e aveva deciso di privarsi della forza di ridere alla vita; l’alone di un tormento che forse mai e mai poi si sarebbe allontanato per donarle pace, ma graffiato da quel senso di quiete di chi aveva imparato a convivere con i problemi e stava cercando di salvarsi.

O di lasciarsi salvare.

Che fosse tormentata da continui pensieri, quello non lo metteva in dubbio. Del resto, Lindsay aveva sempre preferito farsi attorniare da spettri piuttosto che esternare le angosce che continuavano a divorare quel briciolo di mitezza a stento guadagnata. Ma il modo in cui rideva, seppur raramente, il modo in cui diceva Grazie o Prego, come se non li avesse mai pronunciati, il mondo in cui le brillavano gli occhi, anche se in maniera impercettibile, quando diceva Oggi non posso, esco con Seung-Hyun, facevano presupporre che un po’ di quei fantasmi fossero finalmente stati risucchiati nel baratro del dimenticatoio. Che forse la felicità era per tutti, anche per lei. Non per pochi privilegiati. E Lindsay lo aveva capito, lo aveva accettato. Per una volta, non aveva rifuggito tutto quello.

E sorrise Ginko mentre studiava il suo profilo delicato, sentì il cuore lacrimare di gioia quando si rese conto che anche l’anima più straziata poteva trovare un po’ di serenità. Piano, a poco a poco, sebbene lacerata da mille e più ferite che si sarebbero sì cicatrizzate, ma sarebbero sempre state lì a monito di ciò che era stato. E si sentì orgogliosa al pensiero di aver assistito a quel piccolo miracolo e perché no?, forse presuntuosamente, anche lei era stato un minuscolo ago che aveva ricucito i suoi strappi.

-Ginko?- il suo nome risuonò nella quiete del parco –Come va con Ri?- per poi essere seguita da una domanda che mai si sarebbe aspettata di sentirsi rivolgere. Non da Lindsay, almeno.

Ginko titubò, impreparata ad affrontare un discorso del genere. Era talmente abituata ad aprire lei discorsi, a mettere Lindsay al centro di ogni suo più marginale pensiero che per un istante si sentì imbarazzata al pensiero di essere lei la protagonista della loro chiacchierata –Ahm, va bene- si strinse nel cappotto, maledicendosi per non aver portato con sé una sciarpa che avrebbe potuto celarle le labbra tremolanti di incertezza –Usciamo, ci sentiamo spesso, facciamo le solite cose che fanno i fidanzati- si premurò di racchiudere fra due enormi virgolette quel fidanzati, giacché Ri e lei non potevano ancora definirsi tali. Era strano a dirsi, ma avrebbe tanto voluto che il giorno di un eventuale dichiarazione non giungesse mai. Forse perché un maledetto fantasma dai capelli sparati in aria e neri, dalla parlata fluida e strascicata, continuava a tormentare il suo cuore, chissà. La vide aprire le labbra e prima che potesse chiederle cose del tipo Ma quindi ti è passata per quello stronzo di Ji Yong?, Ginko la fissò con trepidazione mentre una domanda da tempo pensata ma mai posta, le venne lanciata con mirabile destrezza –Senti, ma su una scala da Top a Taeyang, quanto hai visto del corpo di Seung-Hyun?-

-Eh?!-

-Sì, insomma- sventolò le mani –Era nudo o no?- la domanda rimbombò scioccamente nel fracasso di bambini che giocavano di fianco alla fontana. Il sopracciglio di Lin si arcuò con indolenza, quasi volesse sottolineare l’assurdità del quesito appena posto.

-Da che mondo e mondo, il sesso si fa nudi.- replicò sedendosi sul bordo.

Ginko sventolò una mano –Lo so, ma sai, il corpo di Top è come il Sacro Graal!- saltellò –Nessuno è mai riuscito a vederlo! Non si spoglia mai!-

Lin alzò le spalle –E’ bello.- le rivolse uno sfuggevole sorriso e Ginko si ritrovò ad inclinare il volto con serietà.

-Solo bello?- si era aspettata aggettivi un po’ più fangirlistici, lo ammise.

Lin calciò un sassolino –E’ meglio- mormorò mentre portava una ciocca di capelli dietro le orecchie –Non solo il suo corpo. Tutto, con lui, è meglio di quanto avrei mai potuto immaginare.-

E Ginko si sciolse. No, davvero, si sciolse in un brodo di Aaaw ed urletti da disagiata mentale che fecero rannicchiare Lindsay in un evidente stato di imbarazzo. Forse era esagerata, ma come poteva nascondere la gioia nell’udire tali parole venir pronunciate proprio da Lindsay Moore, l’antiromanticismo in persona?

E così si accasciò al suo fianco, stringendola per un braccio mentre la guardava ad occhi larghi e colmi di felicità –Non ci credo- guardò il cielo sognante –Puoi vantarti di aver fatto l’amore con Top dei Big Bang! Te ne rendi con—

-Sesso- bloccò il suo sproloquiare –Abbiamo fatto sesso.-

Oh, finalmente la riconosceva!

Ginko gonfiò le guance –Non rovinarmi la poesia.-

Roteò gli occhi -Fare sesso, fare l’amore- alzò le spalle –Non è che cambi qualcosa. Il principio è lo stesso.-

Ginko storse il naso –Sì, ma dire fare l’amore è più romantico.- sostenne con convinzione.

-A volte il romanticismo non basta- borbottò l’amica, alzando il viso verso un raggio di sole filtrato fra le piante –E non è quello che voglio.-

-E cosa vorresti?- domandò a bruciapelo, impaziente di venire a conoscenza di chissà quale sfuggevole pensiero dell’amica.

L’americana si grattò la nuca e un pacato –Non lo so- smontò un po’ la sua impazienza. Pensava di essersi abituata ai Non lo so di Lindsay, ma forse a certe cose non ci si poteva abituare. I Non lo so di Lindsay erano come i Sei bellissima, lo sai? di Ri. Glieli diceva ogni giorno, ad ogni ora possibile, e lei restava sempre un po’ inebetita ad assimilarli. Erano l’abitudine, ma la lasciavano sempre senza parole –Forse niente- aggiunse poi –Forse non voglio più nulla da lui. O forse non l’ho mai voluto.-

-Scegli qualcuno perché vuoi qualcosa, non perché ti annoi- il coraggio ostentato di andare contro ogni sua convinzione, la forza di voler cambiare il suo punto di vista anche se lei non avrebbe mai abbandonato quel binario che stava percorrendo da chissà quanto tempo. Il desiderio, per una volta, di mostrarle quanta bellezza vi fosse nell’amore nonostante la sofferenza. Perché Ginko era certa che la sofferenza fosse un passo importante nella vita di ogni essere umano, che l’amore era davvero il motore del mondo e che, senza alcun però, ma o forse, poteva davvero salvare chiunque dalla solitudine. Poi, come uno Tsunami di imprevedibilità, le parole di Lin tornarono a tormentare le sue paranoie –Non vuoi lasciarlo, vero?- lo aveva pronunciato con fatica, come se tale eventualità potesse lacerarla fin dentro l’anima.

Come puoi lasciare qualcuno se non è nemmeno tuo?- replicò con un’altra domanda che, davvero, mise in crisi le molli basi che aveva posto per quel castello di carte che si era costruita da sola. Decisamente sciocco da parte sua scegliere come terreno un deserto sempre alimentato da vento.

 -Allora non vuoi chiudere con lui, vero?- propose con nota isterica, decisa ad andare a fondo in quel discorso che sapeva, celava molto più di quanto volesse darle a vedere. Che forse il problema non era Seung-Hyun. Forse andava oltre loro due, forse riguardava un mondo in cui non riguardava la vita di coppia ma la vita del singolo. Che riguardava Lindsay e Lindsay soltanto e gli altri avrebbero risentito solo per le sue scelte.

Le era parso di trovarsi al cospetto di una bambola di pezza, di quelle che lei aveva abbandonato in una cassapanca in soffitta a prendere polvere, di quelle che avevano i bottoni neri al posto degli occhi, una X minuscola a delineare il tratto delle labbra, lunghi capelli raccolti in due codine fatte di fili di lana e che si afflosciava sempre quando la posava contro qualche muro, quasi fosse in attesa di venir raccolta.

Le era parso, perché con Lindsay si poteva parlare solo di apparenza, mai di essere. In quel momento, circondata dall’odore di piante e acqua, Ginko si rese conto che Lindsay non assomigliava ad una semplice bambola di pezza, no. Era una bambola di porcellana per un solo, semplice motivo: gli strappi sulla pezza potevano essere ricuciti, la porcellana no. Era una di quelle da collezione, talmente preziose che non potevano essere lasciate alla mercé del Mondo, perché il Mondo non avrebbe fatto altro che procurare sul loro volto perfetto crepe insanabili, crepe che non se ne sarebbero mai andate, che sarebbero rimaste lì a monito di ciò che era stato anche quando il dolore sarebbe scivolato nel baratro dei ricordi. E quindi venivano poste sul ripiano più alto per non essere toccate e allora no, non si poteva ferirle se nessuno riusciva ad avvicinarle…

Ma qualcuno che aveva avuto il coraggio di prenderla c’era stato, qualcuno che aveva visto quanta bellezza vi fosse nei suoi occhi spenti e aveva ben pensato di cercare di incollare le crepe che qualcun altro le aveva provocato. Non per giocarci ma per salvarla, o almeno provarci.

-Tanto chiuderemmo comunque.- alzò le spalle, il capo un po’ inclinato mentre il vento si divertiva a nasconderle il volto con la cascata di capelli corvini.

E la domanda le uscì spontanea -Cosa c’è che non va?-

Lin spostò le ciocche ribelli, sospirò e guardò dritta davanti a sé -Torno a New York.- quella frase venne scagliata incolore e Ginko, pur nella sorpresa, non riuscì a trovarci nulla di male. Non era la prima volta che Lindsay tornava a casa ed era sospinta dalla cieca convinzione che sarebbe comunque tornata a Seoul, che non importava quanto tempo sarebbe rimasta via: il suo luogo era qui, non sarebbe stata lontana per troppo tempo.

-Oh, vai a trovare tua madre?-

-Per quello e per altro.- però quella frase non le piacque. Ebbe il potere di far diramare dentro lei mille e più fili di nera e spessa angoscia, di quella indissipabile, che risvegliava il lume della ragione in lei troppe volte spento, e allora questo si metteva ad urlare Pericolo!, Ginko, abbiamo un problema!, Cervello a Ginko, cervello a Ginko, mi ricevete?. Ma no, lei non riceveva più nulla. Voleva solo capire perché il fiato si fosse spezzato a livello dei polmoni, perché il senso di solitudine fosse tornato a farle visita e perché, mai come allora, quel discorso le parve l’inizio delle fine.

-Per altro?- la guardò a capo inclinato, stringendo le mani fra le ginocchia –Che altro c’è?-

Lin parve fermarsi. Anzi, no, si fermò davvero. Si fermarono i suoi piedi che calciavano i ciottoli, si fermarono le sue mani che continuavano a far violenza ai capelli, si fermarono i suoi occhi che si fossilizzarono nei propri, smettendo di vagare per il parco –C’è che mi sono iscritta alla Columbia e devo fare il test d’ingresso.- e il proprio cuore, Ginko, lo udì precipitare nel vuoto.

-La Columbia?-

-Ho l’esame ad inizio aprile. Mi sono iscritta a medicina, ma non so come andrà- sorrise un poco –Ho ripreso un po’ a studiare a casa, da piccola volevo fare la dottoressa.- le scaraventò contro un mucchio di informazioni che Ginko non assimilò, troppo impegnata a rincorrere il proprio cuore ormai in caduta libera.

Avrebbe preferito si fosse fermato, almeno non avrebbe avvertito dolore. Ma quando cadde in picchiata e si sfracellò al suolo di una gabbia toracica troppo stretta per contenerne i cocci, si ritrovò a serrare le labbra, allargare gli occhi, costringendosi a non piangere pur di levar via un po’ di magone.

Perché iscriversi ad un’università implicava che non l’avrebbe più vista, no? Niente serate al Tribeca, niente passeggiate al parco, niente chiamate nel cuore della notte per analizzare la microscopio quella frase pregna di cattiveria e tedio che Ji Yong le aveva rivolto –chiacchierate che comunque si concludevano con un meccanico L’utente da lei contattato non è al momento raggiungibile-. Solo sporadiche chiamate, chattate, mentre i ricordi andavano affievolendosi, gli impegni prendevano il sopravvento nella vita di ognuno e lei avrebbe finito col diventare una piacevole parentesi nella sua vita.

Ginko finiva sempre col diventare una parentesi, comunque.

E fu così che un solo pensiero le vagò per la mente.

Non andartene.

Riuscì solo a pensarlo, ma non fu capace di confessarglielo. Avrebbe tanto voluto, davvero, ma un traballante –Perché la Columbia?- si sparse in quella primavera che stava assumendo le connotazioni di un gelido inverno –Nemmeno ti piaceva.- provò di nuovo, incapace di nascondere l’astio per la sua scelta. Aveva rifiutato quel mondo logorandosi, con tutta sé stessa, e ora sembrava intenzionata ad entrarvi lasciandosi alle spalle la sua nuova vita.

Lindsay le rivolse un’occhiata instabile, tornando a guardare dei bambini che giocavano –Perché voglio qualcosa di più- si inumidì le labbra –Voglio sentirmi bene, sono stanca di essere così.-

-Tu sei già a posto, tu— la vide guardare il cielo con indolenza e Ginko si ricordò di non essere la sola a venir lasciata indietro -E che ne sarà di Seung-Hyun?-

Lindsay tacque, poi alzò le spalle -E’ solo un ragazzo.-

-Solo un— si bloccò, stringendo più forte le ginocchia. Fu la prima volta che ebbe il desiderio di darle uno schiaffo morale in pieno volto. Seung-Hyun non era solo un ragazzo. Lui era IL ragazzo. Quello che si stava prendendo cura di lei, che le stava dimostrando quanto dare e ricevere affetto non dovesse spaventare.

Quanto, semplicemente, gli uomini non erano tutti uguali fra loro.

-Ginko—

-Lo sa?- la bloccò –Glielo hai detto? Come l’ha presa?-

Il suo silenzio valse più di un o un No -Dici che dovrei dirglielo?-

Ginko la guardò con stanchezza. Le parve più fragile del solito, di quella fragilità che non bastava nascondere dietro un silenzio e un’espressione indifferente per poterla accantonare. Di quelle che bastava la parola sbagliata al momento sbagliato e Lindsay si sarebbe frantumata come un cristallo.

A Ginko tornò in mente la sé di otto anni che, annoiata, aveva pensato bene di giocare con il mucchio di paccottiglia, come la definiva sua madre, posta sul ripiano del piccolo soggiorno, quello dove metteva in mostra tutte le opere più graziose e che puliva una volta alla settimana. Ricordava che c’era questa bottiglia vetro con all’interno una nave costruita in legno e lei, curiosa, si era sempre chiesta come fosse stato possibile infilarcela dentro tutta intera. Morale della triste favola, la bottiglia le era sfuggita di mano e si era infranta al suolo. Se solo ci ripensava, la guancia su cui la mano del padre si era scontrata pulsava ancora di dolore.

E ricordava nitidamente la sé stessa di cinque anni con le gambe a penzoloni sullo sgabello mentre stringeva un orsacchiotto, ricordava il cristallino Una volta che si è distrutto qualcosa, non puoi riaggiustarlo, di sua madre mentre ignorava i suoi lacrimoni, continuando a lavare i piatti mentre l’acqua del the bolliva a fuoco lento.

E lei non sapeva se fosse vero, non lo sapeva più. Forse questo concetto valeva per i piatti, per le navi dentro le bottiglie di vetro, per i vasi. Ma non per le persone, ecco.

-Ovvio che dovresti. Anzi no, devi- calcò su quel devi, guardandola con serietà –Rimandare sarebbe solo peggio- la guardò furente -Non se lo merita!- lo aveva urlato, guadagnandosi le occhiate dei passanti, guadagnandosi la sua occhiata sgranata e colma di incredulità. L’esasperazione, l’amarezza, la spossatezza, tutto era fuoriuscito con quella confessione che spesso aveva voluto rivolgerle, senza mai riuscirsi.

Che Seung-Hyun non si meritava tutto questo.

Seung-Hyun era buono, aveva un’accortezza nei suoi confronti che nessuno le aveva mai dimostrato, aveva una pazienza infinita se ancora non si era stancato dell’instabilità emotiva di Lindsay e più di tutto, le voleva bene come mai nessuno prima di allora. Ne era convinta. Lindsay avrebbe potuto avere migliaia di uomini ma nessuno l’avrebbe fatta sentire viva come ci riusciva Seung-Hyun. E lei cosa gli regalava in cambio? La sua paura, la sua pigrizia nell’impegnarsi, il suo egoismo. Gli donava il peggio di sé, impedendogli il meglio che avrebbe potuto offrirgli –Non se lo merita.- ripeté con voce più bassa, mordendosi le labbra mentre sentiva le lacrime premere sulla soglia dei suoi occhi.

Lin abbassò il capo, nascondendo le labbra dietro un ovattato –Lo so.-

E Ginko si sentì così in colpa per non averle dimostrato solidarietà perché, forse, cominciò a capire la confusione che aleggiava intorno all’amica. Il desiderio di parlare ma non sapere come, la sensazione di star facendo la cosa giusta ma rovinare qualcos’altro che, di conseguenza, non era poi così sbagliata.

Di rovinarsi ancora, pur facendosi del bene.

-Io—Scusami, davvero, sono contenta per te, davvero- si torturò le dita mentre sorrideva –Sono così contenta che tu voglia farti del bene. Te lo meriti, però— avvertì un singhiozzo, e poi un altro ancora fino a che non si ritrovò a coprirsi il volto.

Le erano mancate le chiacchierate con Lindsay…
 

-Ehi, ora perché piangi?-

-Non sto piangendo!- gracchiò –Sono solo le lenti a darmi fastidio.-

Lindsay sospirò e la trasse a sé per le spalle, carezzandola mentre tornava a guardare i bambini –Lo vedi che non sono a posto?-
 

Lindsay, più di tutto, le sarebbe mancata da morire.

 

*******

 

Un rumore si era intrufolato nei suoi sogni, svegliandolo nel sonno. Quel classico tintinnio distante di gioielli che venivano tirati fuori dal cassetto, lo stesso rumore che produceva il ricordo di sua madre che si preparava per una festa, lasciandolo alle amorevoli cure di sua sorella. Un minuscolo Seung-Hyun si metteva sempre seduto sul letto matrimoniale con le gambe incrociate e un mucchio di pupazzi a fargli da barriera, mentre lo sguardo si posava un po’ sui dinosauri in lotta con i peluche a quella splendida donna che canticchiava mentre si acconciava i lunghi capelli lisci e scuri, racchiudendoli in un’alta crocchia. L’eleganza dei movimenti, la femminilità che ogni suo più piccolo gesto emanava… Tutto veniva incanalato nella sua memoria, come immagini di una pellicola che non andavano dimenticate. Ricordava le sue parole velate di severità, quel Lo sai che non voglio che giochi in camera nostra, mentre sceglieva quale collana abbinare al lungo abito nero, seguito da un incalzante Non metti mai in ordine i tuoi giocattoli, indicando con uno sguardo esasperato i pupazzi riversi sulle lenzuola bianche; i dinosauri erano periti sotto gli orsacchiotti dagli enormi occhi neri.

Ed era vero, lui non metteva mai in ordine. Camera dei suoi, dopo il suo passaggio, rasentava un campo di battaglia e crescendo questo brutto vizio non se ne era andato anzi, aveva finito con l’accentuarsi. Dae si lamentava con lui per le bucce di banana che vegetavano sul tavolo, GD gli sfracassava le palle per i piatti sporchi, Tae lo rimproverava per i vestiti abbandonati in giro, le sue ex avevano più volte sbuffato per i boxer giacenti sulla scrivania; Ri era l’unico ad appoggiarlo, dicendogli Noi veri bad boy amiamo circondarci di disordine, lasciandolo un po’ interdetto e divertito.

E poi c’era stata Lindsay.

La prima volta che l’aveva invitata a casa propria senza i coinquilini a disturbarli, quando ormai avevano deciso di spingersi oltre la soglia della semplice amicizia, l’aveva fatta entrare in camera intimorito al pensiero che non avesse messo a posto nulla, ritrovandosi ad osservare un arsenale di abiti gettati a terra, tazze vuote su piatti sporchi sparpagliati negli angoli più bui della camera, pezzi di carta appallottolati rotolati fuori da un cestino pieno di cartine di merendine e altri pezzi di carta scarabocchiati, ricordi di canzoni mancate. Lin si era guardata attorno, non aveva fiatato, sempre con quell’espressione di curiosità a modellarle i lineamenti delicati. E si era fiondato a mettere via le felpe spiegazzate sulle lenzuola blu, un imbarazzato –Scusa il disordine.- per sentirsi meno a disagio e il suo sereno –Tranquillo, anche io sono disordinata.- che lo fece sentire meglio. Ricordava di essersi voltato, di averla cercata con lo sguardo per poi trovarla e rendersi conto di quanto in ordine fosse lì in mezzo. Avrebbe potuto spostare tutto, ma Lindsay non l’avrebbe mossa di un millimetro, quasi fosse perfetta all’interno del proprio caos.

Poco aveva importanza se quel caos era della sua stanza o della sua vita, lei ci si infilava senza prepotenza alcuna e riusciva a rimanere, come se fosse abituata ad ogni tipo di intemperia.

Carezzò la parte sinistra del letto percependo freddo e vuoto, quello stesso freddo e vuoto che si diramò al suo interno quando si accorse che i polpastrelli non stavano scivolando sulla spina dorsale di Lindsay. Da tempo non riuscivano a trascorrere del tempo assieme, lui troppo preso dal lavoro, lei impegnata a mantenere quel minimo di distanza per non lasciarsi troppo coinvolgere. E quella notte la fortuna doveva averlo scelto, perché Lin si era trattenuta da lui dopo una sequela infinita di No privi di motivazione, fino a che un bacio di troppo non l’aveva costretta a godere del caldo delle sue braccia e delle coperte, trascorrendo la notte con lui.

Aprì un occhio e l’immagine sfuocata di una Lindsay a gambe incrociate sul pavimento, sgretolò ogni rimasuglio di dormiveglia, catapultandolo nella realtà: capelli arruffati coperti dal suo copricapo di Dumbo, auricolari verdi nelle orecchie e testa ciondolante mentre la musica scorreva dall’Iphone, Lindsay sedeva per terra con indosso la sua maglietta dell’Alive tour mentre giocherellava con le sue collane sparpagliate; la scatola che usava come portagioie se ne stava riversa più in là. Nel riscoprirla nel proprio mondo, un fiotto di sollievo lenì il cuore pulsante di rinnovata solitudine mentre lo sguardo restava incatenato alla sua figura silenziosa che ben si incastrava con la sua quotidianità. I polpastrelli sciarono su quell’angolo di letto che lei si era ritagliata per sé, un sorriso spontaneo a far capolino sul viso intorpidito dal sonno; da tempo non si addormentava con qualcuna al proprio fianco dopo aver fatto sesso, da tempo non provava la sensazione di completo estraniamento nel sentire il proprio respiro spezzato rincorrere quello di un’altra, e sentirla farsi più vicina, e sentirla cercare il suo calore, la sua protezione, udire una Buona notte appena sussurrata fra i battiti impazziti del cuore, e faticare ad addormentarsi per l’emozione, mentre il l’odore della propria pelle si mescolava a quello di un’altra.

Non riuscì a spiegarselo, ma tutto ciò che aveva già fatto o vissuto, con Lindsay sembrava sempre nuovo, da scoprire.

Approfittò del suo cambiare traccia per chiamarla -Oi, che ci fai sveglia?- la vide sussultare mentre la collana con l’enorme teschio usata in Bad Boy tintinnava a contatto con le altre indossate.

Lo guardò corrucciata per essere stata spaventata –Non ho sonno.-

-Dovresti dormire. Domani devo portarti a casa presto.-

Scosse la nuca mentre lasciava cadere gli auricolari verdi; erano quelli che usava durante i concerti, li riconobbe anche nel buio –Dormirò a casa.- alzò le spalle e tornò a concentrarsi sui gioielli, ignorandolo. Studiò i suoi movimenti poco femminili ed eleganti, che si discostavano da quelli di sua madre. Lindsay aveva la parvenza di una bambina imbronciata che trascorreva le proprie giornate a ficcanasare nella bigiotteria della madre, che le rubava le scarpe per fingersi una modella, che si pitturava le labbra di rosso e si impiastricciava il viso di ombretto. Si chiese se Lindsay avesse mai rubato i vestiti di Emily per diventare un’adulta, rendendosi conto che la ragazza era stata sbattuta in quel mondo prima ancora di capire come si usasse un mascara.

-Ti piacciono così tanto?- un moto di orgoglio gli gonfiò il petto premuto contro il materasso mentre un sorriso si dipanava sul viso olivastro. Vedere Lin che adoperava le sue cianfrusaglie era piacevole, come se stesse cercando di entrare nel suo mondo a piccoli passi.

Ma Lin aveva la strabiliante capacità di smontare ogni sua effimera conquista -A dir la verità sono orribili- si coprì il volto con l’enorme teschio sbrilluccicante –Con che coraggio vai in giro con questa roba?-

Si puntellò sui gomiti regalandole un’occhiata torva –L’ho usata per un video.-

Lin agitò una mano –Ancora peggio. Basterà andare su Youtube per vedere questo scempio.-

-Ha fatto tendenza!-

-Sì, in qualche messa nera.- sentenziò macabra sempre senza mostrargli il volto.

E avrebbe dovuto incazzarsi per la sua scarsa delicatezza, ma riuscì solo a ridere mentre affondava il viso nel cuscino solo dopo averla vista sorridere, prima di tornare a giocherellare. Respirò la sua spontaneità, chiedendosi cosa la turbasse da un po’ di tempo a quella parte. Era strana, sembrava costantemente impensierita e alla incessante ricerca di risposte a rebus irrisolvibili. Come quella notte sul balcone, quando aveva provato ad afferrare i suoi pensieri ed era finito con l’invischiarsi ancora di più nei sentimenti che covava segretamente per lei. Un bruciante calore al bassoventre fece scorrere una miriade di brividi al ricordo della prima volta che aveva sfiorato il suo corpo nudo; credeva che la seconda volta tutto sarebbe stato più meccanico, priva di emotività o trasporto. Fu piacevole rendersi conto che, anche questa notte, il cuore aveva battuto nella stessa intensa maniera, che i suoi gemiti gli erano parsi mai uditi, che le medesime forti emozioni erano tornate a fargli visita con prepotenza.

Fu spaventoso e al tempo stesso un sollievo accorgersi che, davvero, una volta sola con lei non gli sarebbe bastata.

-Lin…- la chiamò piano e solo quando la vide sollevare il viso, continuò –Ad aprile il Ceo organizzerà una festa e--

-Non ci vengo.-

Affondò il viso nel cuscino, sconfitto –Ma se non mi hai fatto nemmeno parlare!-

Sventolò una mano –E’ una di quelle feste con i tacchi, no?- scosse la nuca –Non ci vengo, non fanno per me.-

-Andiamo, sarà divertente- le sorrise un poco –Se indossassi un vestito lungo, potresti usare le Converse e nessuno se ne accorgerebbe.-

Lin nascose il viso dietro la cascata di capelli –Anche se volessi, non credo arriverei per tempo.- gli rivolse uno sguardo enigmatico, quasi a chiedergli di cogliere il recondito significato che le sue parole celavano senza aver bisogno di una spiegazione.

Ma Top era stanco di non capire, di mezze parole che facevano germogliare dubbi e recidevano ogni certezza -Ginko viene dopo il lavoro. La va a prendere Ri e—

-Non so se sarò qui per tempo- il respiro gli si spezzò in gola mentre gli occhi si allargavano. Quel Qui era risuonato stridente nelle pareti della sua mente e l’indifferenza che gli stava ora rivolgendo, faceva presagire l’inizio della loro fine; Lin respirò a fondo di fronte al suo mutismo -Devo tornare in America- si guardò gli anelli e Top cercò invano di scrutare le sue iridi nocciola, lasciandosi precipitare nell’angoscia mentre attendeva un seguito che tardava ad arrivare –Per un po’. E’ stata una cosa dell’ultimo minuto- alzò le spalle –Non era programmato.-

Prima che potesse dargli modo di arrabbiarsi, Lin aveva già fornito una spiegazione al suo mutismo. In un lampo di complesso si disse che era un modo carino per dirgli che voleva allontanarsi da lui, ma quando la vide sistemarsi la sua maglietta si disse che se avesse voluto lasciarlo in balia di sé stesso, lo avrebbe fatto molto tempo fa. Con quel sollievo tornò a concentrarsi sulla conversazione.

-Vai a trovare tua madre?-

-Già- Lin lo guardò di sfuggita -E’ il suo compleanno, vuole che lo trascorriamo assieme.-

Seung-Hyun si sollevò, le palpebre sbatacchianti mentre un braccio continuava a starsene a penzoloni, l’indice che strisciava sul pavimento ad ogni impercettibile dondolamento. Lin prese a seguire il suo braccio come ipnotizzata e Seung-Hyun si disse che, sotto quell’apparente verità, doveva nascondersi qualcosa di più grande. Che il suo sguardo perso, il suo essere così assente in questo ultimo periodo, non poteva essere solo frutto della propria immaginazione. Lindsay si stava facendo irraggiungibile e più cercava di entrare nei suoi pensieri, più lei lo respingeva. Sembrava voler prendere le distanze senza però volergli dire quale fosse il problema. E forse, constatò mentre lo sguardo scorreva sulle sue gambe nude, nemmeno lui voleva saperlo. Per il momento, non voleva intaccare qualcosa di così bello.

-Perché non me lo hai detto?- mormorò.

Lin lo fissò a lungo, poi puntò lo sguardo sul pavimento -Non me lo hai mai chiesto.- e Top sentì i germi del fastidio rosicchiare la sua bontà. Quel Non me lo hai mai chiesto, faceva sembrare che la colpa fosse unicamente sua. Che lui non si interessava abbastanza, che a lei non spettava di essere colpevolizzata e non si sarebbe fatta scoprire di sua spontanea volontà.

Lindsay si poneva sempre al di sopra, mai al loro livello. Era come se tutto le fosse dovuto, non lasciava agli altri qualcosa di sé stessa solo per mera bontà o perché realmente desiderosa di svelarsi. Spettava gli altri chiedere, addentrarsi fra i suoi pensieri, imbarcarsi nel viaggio delle sue memorie e scoprire perché quella ragazza davanti a sé fosse divenuta un insieme di confusione, paure e incertezze che la rendevano la splendida persona che era.

Perché pur nella sua complessità, pur nella rabbia che ora gli fece contrarre i muscoli del volto, Lin ormai era unica ai suoi occhi.

I suoi modi bruschi di fare, dettati da un’impulsività che raramente cercava di farsi perdonare, quasi a dirgli Sono fatta così, prendere o lasciare; le sue mezze parole fra silenzi mai scomodi, il suo prendersi cura di lui con qualche premura inaspettata che lo faceva sentire al riparo da un mondo esterno fatto di normalità a cui non era più abituato.

-E quando sarà?-

-Il 4 aprile.-

Gli parve che stesse cercando una via di fuga, che le sue parole fossero solo il contorno di una storia che aveva molto più da raccontare di quanto l’autrice stessa volesse far trasparire. Che dietro quel 4 aprile si nascondeva qualcosa di più importante di un semplice compleanno, che quel viaggio dell’ultimo minuto fosse in realtà programmato già da tempo…
 

Non vai bene per me… E io non vado bene per te.-
 

Che fosse un modo per lasciarlo indietro senza troppi rimpianti.

Avrebbe voluto chiederle se pensava ancora che la loro pseudo relazione fosse un errore da evitare o se avesse cambiato idea. Ma quando la vide ferma immobile, a contemplare una delle sue collane, Seung-Hyun comprese che tale domanda avrebbe portato all’inevitabile fine del loro rapporto. La cosa strana fu però che per un breve istante non pensò a Lindsay; non gli importò di una sua eventuale fuga, non gli importò di una sua improvvisa scomparsa, non la mise al primo posto. Pose sé stesso. E si ritrovò a pensare che un suo crudo Lo penso ancora, avrebbe solo frantumato il suo cuore, sarebbe stato come strapparglielo dal petto e calpestarlo.

E scelse di vivere di illusioni.

Preferì pensare che ormai fossero avvolti da un indissipabile filo di sentimenti contrastanti che inevitabilmente finivano con il legarli; preferì convincersi che quella loro prima notte chiusi nella sua auto non fu solo sesso. C’era stato un amore non pronunciato, quell’amore che premeva sulle labbra ma non riusciva a librarsi nell’aria. Solo il silenzio di due innamorati troppo incapaci di sapersi esprimere a parole, lasciando che i gesti parlassero per loro.

Che ogni bacio, ogni carezza, ogni sussurro, ogni spinta erano stati un modo per portarsi più vicino al suo cuore.

Guardò il calendario con indolenza e si rese conto che la loro fine stava ormai sgocciolando dalla clessidra del loro tempo. Pochi giorni e sarebbe partita, poche settimane e lui sarebbe migrato per l’ennesimo tour che li avrebbe tenuti distanti. E si sarebbero stancati, si sarebbero annoiati, avrebbero ricominciato ad apprezzare il sapore della libertà, decidendo di buttarsi in un presente dove le loro strade non si sarebbero più incrociate.

-Quando tornerai, potremmo vederci.- lo aveva pronunciato con indifferenza, come a dirle che non sarebbe stato qui ad aspettarla. Che con o senza lei, la vita proseguiva.

-Se non ho il Tribeca.- aveva replicato con la stessa verve.

-Se non parto prima- si era illuso di sentir pronunciare un Certo da quelle labbra carnose ora piegate in un breve sorriso, facendo i conti con la triste realtà di un affetto a senso unico. Lindsay non lo avrebbe cercato, non lo desiderava con la stessa viscerale intensità con cui lui la voleva, non sembrava morire dalla voglia di tornare indietro al più presto solo per vederlo. Colse però un lampo di confusione nei suoi occhi ora attenti –Tra poco inizierà un altro tour. Credo che per qualche mese non sarò qui.-

-Oh, beh…- si aggiustò il cappello cadutole sulla fronte –In bocca al lupo.- e lasciò scemare il loro discorso in un silenzio colmo di frasi taciute e domande senza risposta, nella speranza che Lindsay si mostrasse bisognosa di certezze. Come che sarebbero rimasto, per lei, che nonostante la lontananza l’avrebbe serbata dentro sé così visceralmente da costringersi a cercarla una volta tornato, che ogni singolo giorno lo avrebbe trascorso con il pensiero rivolto a lei e nessun’altra.

Che avrebbe avvertito la sua mancanza, proprio come lei per lui.

Ma niente di tutto ciò venne ad addolcire l’amarezza di un abbandono imminente, dai risvolti gelidi di un inverno che cadeva su di loro e Seung-Hyun si ritrovò a gustare l’impressionante velocità con cui la fiamma del loro desiderio si era spenta, nell’arco di un addio mai mormorato.

-Seung-Hyun?- il ragazzo aprì un occhio, infrangendosi contro il suo viso inclinato –Hai mai pensato cosa farai dopo?- represse uno sbadiglio piegandosi in avanti, sbatacchiando gli enormi occhi mentre attendeva una risposta.

Corrugò la fronte –Dopo… Quando?-

Lin sventolò le mani –Dopo che finirai con i Big Bang.-

-Eh?- non comprese appieno il senso di quella domanda, anzi, una sensazione di disagio e smarrimento pervase ogni fibra del suo essere. Non aveva mai pensato ad un ipotetico allontanamento dal gruppo o che potessero sfaldarsi nel giro di qualche anno. Quei quattro disadattati erano la sua famiglia, erano il collante che teneva in piedi la sua vita frenetica, erano una delle poche ragioni per cui si svegliava al mattino con il desiderio di non ripiombare in un sonno profondo. Per quanto scemi, indisponenti e alle volte pedanti, quei quattro erano diventati una delle poche ragioni che davano un senso alla sua vita. Si chiese come aveva potuto vivere fino ad allora senza la sveglia mattutina di un Daesung sempre pimpante nonostante la levataccia, senza Taeyang che leggeva il giornale e senza fiatare gli passava la pagina delle barzellette, senza GD che si faceva trovare in camera sua appollaiato sul letto pronto a prendersi gioco di lui mentre leggeva ad alta voce qualche lettera di una fan esagitata che gli decantava amore eterno, senza SeungRi che gli dimostrava quanto l’innocenza fosse ancora presente a quel Mondo.

Fu sciocco pensarlo fra un sorriso e una risata trattenuta, ma senza quei quattro lui davvero non sarebbe il Choi Seung-Hyun che tanto apprezzava.

Lin arcuò un sopracciglio –Vuoi farmi credere che canterai Fantastic Baby in una boy band anche quando avrai cinquant’anni?- l’abbaglio di un ghigno delineò le sue labbra e Top diede finalmente un senso al suo quesito, mentre avvertiva il disagio sparire con una rauca risata. No, decisamente non si vedeva a ballare sul palco mentre sul grande schermo veniva inquadrata la sua faccia rugosa. Perfino GD aveva più volte espresso il desiderio di fare altro, una volta resosi conto che non avrebbe più avuto nulla da dare sul palcoscenico.

-Potrei anche tingermi i capelli di verde, se volessi.-

Lin storse il naso –Cos’è? Soffri della sindrome di Peter Pan?-

-Questa l’hai letta su di un libro di tua madre?-

Lin sbuffò, giocherellò con la sua collana e ripose la fatidica domanda –Allora, cosa farai dopo?-

Seung-Hyun con una leggera spinta fece aderire la schiena al materasso, contemplando il soffitto bianco mentre avvertiva lo sguardo di Lindsay su di sé. Già, cosa avrebbe fatto dopo? Non aveva mai preso in considerazione il suo futuro prossimo, troppo impegnato a godersi le giornate per come venivano. Si concentrò, provò a dare qualche colore e senso a ciò che la sua mente continuava a propinargli, ma proprio non aveva idea di cosa il destino avesse in serbo per lui.

E forse nemmeno voleva saperlo. A dir la verità, se ne rese conto proprio in quel momento.

Se ne rese conto quando udì la leggera imprecazione di Lindsay, impegnata a litigare con una collana che si era incastrata fra i suoi lunghi capelli scompigliati, e si disse che del proprio futuro non gliene fregava niente per il semplice fatto che il presente era troppo bello per poterlo accantonare. Perché era famoso, era circondato da gente che lo amava per il Bingu che era, perché non gli mancava nulla e perché c’era lei, ora, e allora poco importava cosa sarebbe successo domani. Importava l’intervista di quel pomeriggio, importava la nuova canzone che GD gli aveva schiaffato sotto il naso, importava quella notte che per lui era sempre l’ultima perché con lei non si sa mai, avrebbe fatto tesoro di ogni parola, gesto, respiro e li avrebbe rinchiusi nel proprio sgabuzzino mentale affinché potesse goderne ancora.

Si massaggiò la nuca -Non lo so, non ci ho mai pensato- le propinò la verità, ma dallo sguardo che gli lanciò, capì quanto non fosse soddisfatta di tale risposta –Smetterò di ballare, magari farò il solista o magari farò il produttore. O l’attore. Magari mi sposerò e avrò dei figli.-

-Tu vuoi sposarti?- lo aveva esalato con raccapriccio, quasi l’idea del matrimonio fosse adatta per la trama di un film dell’orrore.

-Più in là. Molto, molto più in là- la vide serrare le labbra -Va che non c’è nulla di male, eh- represse il desiderio di scaraventarle contro un cuscino –Quando trovi la persona giusta, è normale voler condividere la propria vita con lei per sempre.-

-Per sempre…- Lin lo guardò –Tu credi che due persone possano stare insieme per sempre?-

Top si massaggiò gli occhi pur di cacciare un po’ di stanchezza. Si stavano addentrando in un discorso impervio, di quelli in cui Lindsay mai avrebbe cambiato visione delle cose perché troppo ancorata al passato. Avrebbe voluto dirle che sì, lui ci credeva per davvero. Perché non era cinico, non vedeva del marcio nell’amore, non riusciva a credere che due persone potessero amarsi e lasciarsi il giorno dopo, era convinto che le ferite potevano ricucirsi e che l’amore si rinnovasse ciclicamente, proprio come le stagioni.

Perché dopo l’inverno, arrivava la primavera. Era, è e sarebbe stato così. Per sempre.

La guardò e si disse che perfino Lindsay Moore sarebbe potuta divenire il suo Per sempre. Ma ricacciò in gola le parole e tornò a guardare il soffitto –I miei genitori sono insieme da molto, continuano ad amarsi- la scrutò di sottecchi, vedendola irrigidirsi –Non tutti i genitori divorziano, Lin.-

-Lo so, ma—

-Può darsi che un giorno ti sposerai e non ti lascerai mai con tuo marito. Le colpe dei genitori non sempre vengono compiute dai figli. Non è una malattia genetica, sono cose che succedono- la guardò –Se ti impegni, se ci si impegna, si può andare avanti.- non seppe con quale coraggio riuscì a professare quel discorso, davvero non lo seppe. Sapeva solo che al pensiero di lei con qualcun altro gli veniva voglia di vomitare, il fatto che Lin avrebbe perpetrato la sua insaziabile voglia di starsene da sola era solo un ostacolo a loro due. Era un discorso molte volte affrontato con le sue ex, che sempre avevano millantato il desiderio di sposarlo. Ma i pensieri condivisi, i punti di vista, si somigliavano tutti; era stato con ragazze che vivevamo d’amore, che non se ne lasciavano spaventare nemmeno dopo una cocente delusione e che vedevano il matrimonio come un traguardo dopo lunghi patimenti.

Ma non Lindsay. Per lei era un supplizio, una croce, una malattia da debellare. Aveva notato che alla parola matrimonio le sue labbra si strizzavano come se avesse appena mangiato un limone, come tutto il suo corpo si mettesse al riparo. Era talmente spaventata che nemmeno si rendeva conto di risultare fragile ed indifesa, così tanto da costringere gli altri a mettersi sul suo stesso livello. Ed era questo che adorava di lei. Il suo buttargli in faccia la crudezza dei suoi pensieri, ostinarsi a credere che fossero la sacrosanta verità e costringerlo a scavare dentro sé per appurare quanto il proprio punto di vista si discostasse dal suo. Lo poneva nella continua posizione di dover viaggiare dentro il proprio essere per potersi dare delle risposte, per potergliene dare.

Non riusciva ad annoiarsi, con lei.

-Non lo trovi spaventoso?- fu un bisbiglio pronunciato quando dal corridoio udirono dei passi.

Una porta si chiuse e Top tornò a parlare -Che cosa? Il divorzio?-

Scosse la nuca -Il per sempre- la guardò con attenzione -E’ un periodo di tempo così lungo. E’ così limitativo che non lascia vie di scampo- alzò le spalle mentre fissava un punto indefinito del muro –E’ come perdere la libertà, non pensi?-

-Nemmeno restare da soli è libertà- la vide aggrottare le sopracciglia -Ci si ingabbia nella propria solitudine. Quella non è libertà, è solo un limite.- la vide traballare al cospetto della sua analisi, ma questa volta non fece nulla per trarla in salvo. Sentiva che Lindsay aveva un disperato bisogno di uscire da quell’involucro di fobie in cui si era rifugiata, sentiva che chiederle scusa non avrebbe fatto altro che sottometterlo alla crudele realtà che lei mai sarebbe stata sua. E allora non le disse nulla, non provò nemmeno a portare avanti il discorso.

-Restare da soli non è così orribile.- il suo punto di vista gli venne scagliato contro con stizza, come offesa dal suo mettere in discussione la sua chimera.

-Ma non hai paura a restare sola?-

-E tu non hai paura che chi ti sta affianco ti faccia del male?- gli rivolse un’occhiata esasperata, come se quel discorso lo avesse affrontato troppe volte –Ognuno sceglie il male minore.-

Non è spaventoso restare inchiodati al passato?, avrebbe voluto chiederle in un impeto di follia, ma non ci riuscì. Non ci riuscì perché quando la vide carezzarsi le braccia tatuate, capì che Lindsay non era inchiodata al proprio passato: lei era il suo passato. Lei non restava appigliata ai ricordi sfuggevoli di una vita che le aveva dato più delusioni che gioie, non viveva nella memoria dei giorni spensierati dove sorrideva di più e imprecava meno. Lei sopravviveva con loro, non viveva in loro. Era un ammasso di incertezze che si potevano percepire nelle sue parole secche e dure, era un miscuglio di bugie spacciate per verità che vendeva dall’alto di un’onniscienza che si era guadagnata nel corso di una gioventù stracciata, era un insieme di scontri fra il desiderio di restare sola e quello di scoprire cosa la vita avesse da offrirle, se solo si fosse degnata di aprirsi al prossimo.

Lindsay era la ragazza dai modi bruschi ma che lo svegliava con un bacio sul naso; era l’arroganza fatta a donna che si scioglieva quando beveva una birra di troppo e gli raccontava di sua madre, di suo padre, di Shirley, di sé stessa; era quella che rifuggiva gli abbracci quando le andava in contro dopo una giornata di lavoro, ma si accoccolava sul suo petto quando si addormentava; era quella che vietava i baci in pubblico, le effusioni plateali, che odiava il romanticume ma che lo stringeva senza mai lasciarlo andare quando si sdraiavano nudi sotto le coperte.

Lindsay Moore era il volto che avrebbe dato all’amore, se solo gli avessero chiesto di descriverlo.

Che aveva grandi occhi pitturati di un trucco sbavato che sfuggivano ai suoi, scrutatori, e si perdevano fra le collane adagiate a terra; che aveva ribelli capelli mossi in cui erano annidati troppi ricordi intrappolati, che aveva carnose labbra rosse che bruciavano sulla sua pelle, che nonostante scagliassero sempre parole ripiene di acido, lo lambivano di dolcezza.

L’amore era un’americana di poche parole approdata nella sua vita per sbaglio, entrata in punta di piedi e rimasta ingarbugliata nei suoi sentimenti.

Sentì il cuore pulsare nel vano tentativo di confessarle quanto ormai fosse troppo dentro il loro semplice gioco, ma Lindsay si aprì un po’ di più –Farsi del male da soli è meglio che lasciarsene fare.-

-Non tutti vogliono farti del male.- si trattenne dal dirle che lui non gliene avrebbe mai fatto, che gli era troppo cara per anche solo pensare di procurarle dolore.

-Tutti fanno del male- si allungò per recuperare la scatola, dandogli l’impressione di un felino impigrito che si stendeva su di un ramo –Anche quando non vogliono, ne fanno.-

-Anche tu ne fai, scappando- la vide bloccarsi, le sopracciglia aggrottate di chi non crede a ciò che ha appena udito, le labbra serrate di chi sa di essere sotto accusa quando ha sempre creduto di vivere nella verità –E te ne fai. Dovresti restare almeno una volta.-

Quel discorso stava diventando pesante e scomodo, lo poteva percepire nell’aria satura di respiri mozzati, sguardi che si rincorrevano senza mai prendersi e cuori che battevano all’impazzata. Il proprio, Seung-Hyun, poteva udirlo premere contro il petto tanto forte pulsava, ma il contorto desiderio di sapere come Lin si sarebbe comportata, gli impediva di alzarsi e barricarla in un abbraccio, costringendola a rimanere. Restare… Quante volte avrebbe voluto chiedere alle persone di restare? Vederle entrare nella propria vita e poi avere la presunzione che si trovassero bene, che non lo abbandonassero. Che lui, un poco, valeva più di un concerto, bevute gratis, cene di gala e autografi. Che lui, per lei, valeva più di una bacio in uno sgabuzzino, sotto la pioggia, la neve, del sesso in auto o a casa sua. Da quanto sentiva ormai l’impellente bisogno di chiederle di rimanere nella sua vita anche se ciò faceva paura, anche se ciò significava impegnarsi? Perché lui lo avrebbe fatto. Si sarebbe impegnato, con lei, l’avrebbe protetta, difesa…

-Quando resto, gli altri non sono felici.-

Le avrebbe insegnato che l’amore cominciava quando ci si spingeva oltre la paura di amare di nuovo.

Io lo sono… -Come puoi saperlo?-

-Mamma dice sempre che scombino le vite degli altri- sorrise un poco -Che non riesco a mettere in ordine il caos che mi lascio dietro.- aveva mormorato guardandolo fisso. Forse stava cercando di dirgli che voleva sistemare la loro relazione prima di lasciarlo per una settimana, prima di andarsene e tornare senza lasciargli certezza alcuna che si sarebbero rivisti. Si chiese se sarebbe spettato a lui correre al Tribeca per ricordarle che qualcosa tra loro in sospeso c’era; si chiese se quel viaggio avrebbe rischiato di farle dimenticare ciò che di buono e bello era successo tra loro in quei mesi.

Si chiese se Lindsay fosse disposta a volerlo ancora nella propria vita, dopo aver riassaporato la libertà newyorkese.

-Anche la mia me lo diceva sempre- fissò la montagna di pupazzi posti contro la scrivania, poi uno sguardo colmo di troppa amorevolezza si adagiò su Lindsay, sospesa fra le sue parole e ciò che stava facendo –Ma tu non sei così- le rivolse un sorriso –Stai mettendo in ordine molto.-

La vide grattarsi il naso lentigginoso mentre si mordeva le labbra per l’imbarazzo –Sai? Sto cercando di mettermi in ordine.-

-E ci stai riuscendo?-

-Non lo so ancora.-

Ci fu un momento in cui Top si paralizzò. Nell’istante in cui i suoi occhi si erano posati sul suo viso ovale, fiocamente illuminato dalla Luna che faceva capolino fra gli spiragli della tapparella abbassata, il sorriso più bello che mai Lin gli aveva rivolto, sbocciò. Limpido, ripieno di una serenità che spazzò via ogni impronta di tormento, che la fece apparire più bella di quanto già fosse. Come se la sua vita stesse per subire una svolta che l’avrebbe aiutata a risalire da quell’abisso di nero rancore in cui si era tuffata e lui, in questo nuovo scenario, non aveva parte alcuna.

Deglutì, cacciò indietro quel magone e corrugò la fronte -Cosa—

-Dovresti dormire- lo interruppe pacata, guardando l’orologio mentre copriva uno sbadiglio dietro i lunghi capelli –Domani devi svegliarti presto.- stava dando un limite alla loro conversazione, conscia di essersi esposta fin troppo.

Udì l’odioso Tic Tac sovrastare il loro silenzio, il lento scorrere del tempo che li avrebbe inesorabilmente divisi gli fece passare la stanchezza –Non ho sonno.-

Lin tolse gli anelli, le collane, il cappello, smise di circondarsi della sua quotidianità pur restandovi immersa -Neppure io- fu un sussurro quello di Lindsay, come se il loro fosse un segreto da dover celare. Ed era bastato uno sguardo per rendersi conto che non avrebbe continuato a parlare. Lindsay si era alzata e lui aveva sorriso –Metto a posto domani.- gli aveva mormorato mentre zampettava in punta di piedi verso di lui, poggiava un ginocchio sul materasso e si chinò a baciarlo nonostante le labbra flesse.

Avrebbe voluto dirle che ormai erano già dentro al domani, che poteva lasciare tutto in disordine così il giorno dopo, rientrando in camera e vedendo le collane sparse per il pavimento, si sarebbe ricordato della loro chiacchierata e di come lei fosse l’unica cosa a posto in mezzo alla sua confusione. Mentre le sfilava la maglietta avrebbe voluto dirle che l’avrebbe aspettata. Mentre si lasciava sfilare la felpa, avrebbe voluto dirle che sarebbe corso da lei e l’avrebbe guardata, avrebbe fatto proprie le sue paure, si sarebbe sobbarcato delle sue incertezze e avrebbe ricominciato da capo quel gioco…


-Pensavo…- la guardò –Non so nemmeno quando fai gli anni.-

Lin gli sfiorò il naso con il proprio –Il 20 giugno.-
 

Avrebbe spinto ogni minuto, ora, giorno un po’ più in là, l’avrebbe trattenuta a sé fino a quando non si sarebbe stancata di lui…
 

Scivolò sulla sua pelle mentre la portava sotto di sé.

-Perché?-

-Mi andava di saperlo.-

 
Avrebbe atteso il suo Cosa ci fai qui?, velato di quell’arroganza che fungeva da barriera e che avrebbe portato a galla i suoi felici ricordi. Le avrebbe detto Dov’eravamo rimasti?, e avrebbero ripreso da dove si erano lasciati...
 

Mi andava di conoscerti un po’ di più…

 
 

Le avrebbe ricordato di non dimenticarsi di loro.

 

 

 

A Vip’s corner:

Non ho scusanti per il ritardo, vi prego di perdonarmi con questo capitolo bello lungo pieno di pensieri e in cui accade poco, ma per me c’è molto. Partirei con gli appunti per questo capitolo per poi passare alle note importanti che, davvero, vi chiedo la gentilezza di leggere.

Il titolo è preso dall’omonimo film di Christopher Nolan, un capolavoro di psicologia e intreccio –guardatelo e amatelo, dico sul serio- e credo che ben si accosti ai POV di Lin e Top e a tutto il capitolo in generale. I loro punti di vista si basano su ricordi, è come se vivessero di quello pur di trovare del buono nel loro rapporto. La frase finale è un chiaro richiamo a quella utilizzata dal protagonista: Non riesco a ricordarmi di dimenticarti… Direi che questo basta per amarlo

La frase Capire chi, in mezzo all’Inferno, non era Inferno e trattenerlo, dargli spazio, è presa da una citazione di Italo Calvino. La sua è migliore, decisamente. Ovviamente il capitolo è pieno zeppo di citazioni e ribadisco che agli autori vanno tutti i diritti e le lodi.

Ringrazio inoltre infinitamente BellaChoi, TheshiningSofia, YB_Moon, AngelWithAShotgun, MionGD, AngelNavy e kassy382 per le belle parole spese per il capitolo precedente. Grazie, grazie e ancora grazie, mi siete state di enorme sostegno. Se mai leggerete le note che stanno per giungere, vi prego di non pensare in alcun modo che siano rivolte a voi, dico sul serio. Mi dispiacerebbe, perché voi siete quelle che più mi danno supporto e se riesco a pubblicare Something, un po’ è anche merito vostro, sappiatelo.

 

Cominciamo…

Sospendo momentaneamente la pubblicazione di Something about you a data da destinarsi, il che può significare settimane, mesi –ma non anni, quello proprio no.- con la promessa che porterò a compimento questa storia.

I motivi non sono molti, ma hanno fatto e stanno facendo tanto. Sono piuttosto stanca, se devo essere sincera: il lavoro sta prosciugando le mie energie non solo fisiche ma anche mentali quindi non vogliatemene, ma il week end non riesco più a fissare Word e scrivere con l’entusiasmo di un tempo. A questo si aggiungono altri fattori personali e che non riguardano il mondo delle fanfiction, che tengono la mia mente impegnata su lidi decisamente e oggettivamente più importanti e che hanno la priorità su Top e Lin. Come se non bastasse, mi sono resa conto che anche il mondo di Heaven sta cominciando a diventare pesante e credetemi, se sono giunta a questo punto è perché davvero l’esasperazione ha toccato picchi inimmaginabili. Del resto, se fino  al 27° capitolo mai vi ho propinato sermoni del genere, forse significa che un briciolo di pazienza ce l’ho…

Piccola ma importante premessa: credo che una long a lungo andare possa stancare. Vuoi per il numero di capitoli, vuoi per la lunghezza degli stessi, vuoi per la trama che non va da alcuna parte, vuoi per l’incapacità dell’autrice di saper giostrare gli avvenimenti… Vuoi o non vuoi, mi sono resa conto che Something ha perso un po’ del suo smalto iniziale. La linearità che ho cercato di darle non è facile da rispettare e credo che i PG non siano più brillanti come ai loro albori, cosa che può dar noia a chi legge. Qualunque siano questi motivi, ne prendo atto con la speranza –e la promessa, perché no?- di migliorare con il proseguimento della storia.

Non riesco però a prendere atto di come, nonostante i pregi e difetti di questa fanfiction, il numero degli utenti che l’aggiunge tra le preferite/ricordate/seguite, possa aumentare mentre coloro che si degnano –scusate la bruschezza- di dirmi cosa pensano, siano le stesse lettrici che cinque minuti anche solo una volta li hanno trovati –mi sembra inutile ribadire che queste parole non sono nella maniera più assoluta rivolte a voi, pertanto vi prego di non sentirvi tirate in causa e di comprendermi se non faccio nomi, tanto voi sapete chi siete-.

E’… Frustrante.

Prima che fiocchino i Questa si è montata la testa, sia chiaro che no, non me la sono montata. Io personalmente do per scontato che Something sia una fanfiction mediocre per il semplice fatto che tratta di un argomento banale, credo manchi di originalità –trama parlando- e che io, come scrittrice amatoriale, abbia ancora molto da imparare. Ma permettetemi: se vedo che i preferiti sono 37 e i seguiti 55 inizio a credere che forse davvero questa storia valga qualcosa. E i numeri non sono piazzati qui per bullarmi: questi parlano al posto vostro. Inserendola in qualsiasi categoria siete VOI a dirmi che la mia storia vi piace... Peccato che si tenda a premere sulla X rossa dando per scontato che all’autore freghi poco o nulla del vostro parere. Richiesta puramente spassionata: se non vi interessa dirmi nemmeno una volta cosa vi piace di questa storia, allora toglietemi dalle preferite/seguite –con la speranza che sia davvero questo il motivo e non una stortura di naso nei confronti di questo sfogo-. Ci rimarrei male, ovvio, ma è pur vero che sarebbe coerente con quello che è il mio pensiero. Sinceramente non mi interessa vedere la mia storia nella classifica delle preferite (sic!) se non ho mai sentito la stragrande maggioranza degli utenti che mi hanno permesso di arrivare lì. E ci tengo a precisare che se il numero di recensioni fosse stato equilibrato al numero di salvataggi, non me ne sarei poppata fuori con questo discorso per voi probabilmente fastidioso e da montata, per me svilente.

So che recensire non è un dovere e tantomeno un obbligo, è la mia parte da lettrice a parlare e vi capisce, anche lei la pensa esattamente così. Ma dall’altra parte c’è Heaven. Che scrive, perde ore di sonno, rinuncia a quell’uscita un po’ noiosa ma che avrebbe potuto farla svagare, da’ sfogo ai suoi pensieri, torna da lavoro e si fionda su Word. E so che tutto questo non riguarda voi e potreste benissimo venirmi a dire Non sei mica costretta o Fatti una vita! –no grazie, ce l’ho già- o ancora E sticazzi non ce lo metti?, avete pienamente ragione. Ma credo che nel momento in cui si pubblichi qualcosa, scatti automaticamente un meccanismo di rispetto nei confronti di chi legge che spinge l’autore a dire Si meritano costanza da parte mia e soprattutto, nessuno pubblica per il solo piacere di farlo, non prendiamoci in giro. Dubito che chi pubblica su EFP lo faccia solo ed unicamente per sé stesso, perché non ci crederei nemmeno se domani Top si presentasse a casa mia nudo, forse... I diari segreti servono per sfogarsi; nel momento in cui si pubblica su di un sito, è normale che vi sia quel piacere egoistico di sapere cosa gli altri pensano dei propri scritti, delle proprie idee, con la speranza che possano nascere interessanti scambi di pareri.

E’ un discorso a doppio taglio, ne sono cosciente, e sono rammaricata che queste mie parole passano venire travisate perché il mio messaggio non vuole essere Voglio più recensioni, anche perché quelle che ricevo non sono poche, affatto!; sto solo cercando di dirvi che se una storia vi piace, cinque minuti li si possono trovare, fosse anche solo una volta in 27 capitoli che, data la lunghezza esorbitante, porteranno via decisamente più tempo. Più volte ho chiesto gentilmente di farvi avanti, più volte ho visto i numeri delle seguite/preferite aumentare, più volte il numero delle visite ha raggiunto cifre per me stratosferiche… Ma i risultati non sono mai cambiati. Potrei essere drastica ed eliminare questa storia una volta per tutte, lasciarla incompleta o passare i capitoli futuri a chi desidero, perché ci sono lettrici che meritano di vedere come va a finire questa fanfiction… Ma voglio bene a Something, è la mia prima storia e ci tengo a portare a compimento qualcosa che mi piace, fosse anche ignorata d’ora in avanti.

Questo è tutto.

Non è un addio, giuro che non sparisco; continuerò ad entrare su Efp, a leggere e recensire quel poco che riesco, a rispondere ai vostri commenti e MP, se mai ce ne saranno. Una lettrice carinissima una volta mi ha detto “Spero che tu voglia continuarla e portarla fino alla fine (mi è successo, come penso a tutti qui dentro, di trovarsi con la loro long preferita fermata a metà perché la scrittrice non aveva più ispirazione/voglia/tempo)” e io ricordo di averle risposto che no, non l’avrei abbandonata e non ho intenzione di farlo. E’ una promessa a voi che mi avete seguita e sostenuta ed è una sciocca promessa che ho fatto a me stessa.

Solo, davvero, ho bisogno di tempo e di riposo, soprattutto riposo. Ho bisogno di riguadagnare un po’ di quella motivazione che mi faceva sfornare capitoli nel giro di una settimana, di quell’entusiasmo che mi faceva amare Top e Lin sopra ogni cosa e che mi faceva considerare Something una priorità. Mi sono resa conto che non lo è, proprio come non è una priorità dei lettori recensire una storia.

A costo di ripetermi: vi prego di non considerare il mio allontanamento volontario da Something come una drastica presa di posizione (leggasi = se non vedo più recensioni, addio) perché, davvero, si andrebbe a snaturare quello che è il messaggio reale di queste parole. Ci sono questioni personali oggettivamente più importanti che mi spingono a darmi una tregua e quando un metodo di sfogo comincia a diventare una delle tante questioni, allora non va più bene. Vi prego di capirmi.

Sono disponibile ad eventuali confronti, mi sembra giusto specificarlo. Il dialogo non si toglie a nessuno e, anzi, mi farebbe piacere sapere il vostro punto di vista in merito. Chissà mai che venga a scoprire che forse sono solo io a vedere in maniera distorta la cosa :)
 

Spero le mie parole non vi abbiano dato una pessima idea di me come autrice/persona. Questo è uno sfogo, penso di aver dimostrato in altri capitoli quanto poco incline alle liti fossi (ditemi che avete colto il senso del mio intervento, vi prego). Perciò la concludo qui e lascio la parola a voi.

Ah, per chi fosse interessato, ho aperto una pagina facebook con il mio nickname HeavenIsInYourEyes Efp, quindi siete liberissime di chiedermi l’amicizia e insultarmi sulla pubblica piazza xD No dai, seriamente, chi volesse mi può aggiungere, a me farebbe piacere :) Sembro un fake perché ho solo due amici, ma giuro che sono io ç.ç
 

Alla prossima

HeavenIsInYourEyes.

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Capitolo 28
*** I just love you a little too much ***


Capitolo 28

I just love you a little too much

 

Will you still love me when I’m no longer young and beautiful?

Will you still love me when I’ve got nothing but my aching soul?”

-Young and beautiful, Lana Del Rey-

 

 

 

New York era più chiassosa del solito quel mercoledì mattina.

Lindsay si rannicchiò sulla sedia, avvertendo lo scorrere del tempo frantumarsi contro il libro aperto da una manciata di ore che avrebbe preferito colmare nell’ozio. Tamburellò la penna sulle pagine piene di appunti, cercò di naufragare in quel mucchio di nozioni che faticavano ad entrarle in testa, troppo impegnate a farsi spazio fra la moltitudine di pensieri che affollavano l’androne del suo cervello.

Sentiva che qualcosa non andava.

Lo aveva avvertito quando aveva posato i piedi sul pavimento freddo e aveva camminato fino alla cucina, respirando la solitudine che solo quella casa riusciva a trasmetterle. Ancora intontita dal fuso orario, lo aveva avvertito quando si era recata in cucina e uno striminzito saluto di sua madre tramite post-it le aveva augurato Buongiorno. La cosa si era fatta però più opprimente quando aveva visto il cellulare spegnersi miseramente in un mare di squilli mai sparsisi nell’aria, in sms mai arrivati e forse nemmeno spediti. La deliziosa voce di Axl Rose non aveva inebriato quel suo primo giorno di tortura a New York e più i minuti passavano, più Lindsay cominciava a darsi della cretina.

Seung-Hyun non si era fatto sentire. Né prima della sua partenza, né dopo.

Una scena riproposta più e più volte, talmente tanto vissuta da divenire abitudine, così rivista da diventare un copione noioso e che nessuno avrebbe mai voluto recitare. Non era la prima volta che i ragazzi scomparivano dalla sua vita senza lasciare traccia, ma ciò non aveva mai rappresentato un problema; era abituata lei stessa a sparire senza dire nulla che vedersi offrire la stessa moneta non era poi così doloroso.

Ma il modo in cui si erano lasciati l’aveva messa in bilico sul filo delle proprie certezze. Si era aspettata un Seunghyun più incline al non lasciarla scappare, lasciandola con la netta impressione che, una volta tornata, si sarebbero sicuramente rivisti, cosa che invece non era accaduta. Le loro parole spezzate, i discorsi in fila e mai sparsisi nell’aria non avevano fatto altro che colmare il divario che c’era fra loro e che lei, con i suoi mutismi, continuava ad aumentare.

Quell’ultima notte trascorsa con Seung-Hyun prima della sua partenza, Lindsay aveva cercato di confessargli come stesse cercando di dare una svolta alla propria vita, preparata ad udire i cocci del cuore del ragazzo frantumarsi nel buio della sua camera da letto. E quando l’aveva guardato, quando aveva udito la sua voce, quando quei discorsi sempre temuti si erano fatti più leggeri, non ce l’aveva fatta. Mentre si lasciava stringere e baciare, Lindsay aveva pensato che le sarebbe piaciuto trattenerlo un po’ di più con sé. Che se la svolta avesse bruscamente sterzato, avrebbe avuto comunque lui o se fosse andata bene, avrebbe potuto godersi quegli ultimi sprazzi di felicità che lui nemmeno sapeva di darle. Attimi di cui, sino ad allora, non aveva avuto bisogno.

Avrebbe voluto prendere il ricordo di Seung-Hyun, appallottolarlo e buttarlo nel cestino, ma quello continuava a restarsene saldo fra le pareti delle sue memorie, intenzionato ad albergarvici per chissà quando tempo ancora. Del resto, certi pensieri erano così: entravano senza chiedere permesso e restavano senza prenotazione. Scacciarli era impresa impossibile.

Seduta a gambe incrociate sulla sedia, una matita fra le labbra e un dito che scorreva sulle pagine di un libro che sapeva di vecchio, Lindsay fece finta di non accorgersi di sua madre, ora piombata in cucina con una busta della spesa e l’espressione mortalmente seria di chi ha passato un’atroce mattinata fra schizzati e disagiati. Dal modo in cui la guardò, sembrò quasi che l’atroce mattinata non fosse ancora finita.

-Oh, stai studiando- la voce di Emily carica di sorpresa le permise di prendersi l’ennesima pausa di una lunga serie –Sei in ansia per domani?-

Lin la guardò, studiò la sua bellezza che non era stata minimamente scalfita dal tempo, solo deturpata da un carattere indigeribile che l’aveva sempre resa un mostro ai suoi occhi. Fu strano rendersi conto come un piccolo sorriso dipintosi sulle labbra perfettamente pitturate, avesse raschiato la bruttezza che le aleggiava attorno –No. Ma è meglio ripassare.-

Lindsay gettò un’occhiata al calendario. Per rendere tutto un po’ più peggiore, sua madre aveva avuto la brillante idea di cerchiare la data dell’esame con un gradevole fuxia accecante, i classici colori da pugni negli occhi, per intenderci. Sul martedì appena passato c’era invece scritto Cherry torna, che per un attimo le fece vibrare il cuore; Emily aveva un modo tutto suo di farla sentire a casa.

-Brava, fai bene- annuì mentre si toglieva la giacca –Approfitta più che puoi di queste ore.-

-Aha.- il cellulare vibrò e prima che potesse realizzare, la mano si era allungata per prenderlo. Il nome di Greg svettava nero su sfondo giallo, costringendola ad uno sbuffo. Greg era l’ennesimo ragazzo che aveva lasciato sull’uscio di casa una domenica mattina qualsiasi, quando intontita dal dopo-sbronza e una sigaretta non troppo sigaretta, aveva pensato di tornare a casa solo per non far venire una sincope a sua madre. Ricordava il suo impigrito Vai già? e la mano che scivolava sulle lenzuola per raggiungerla. Ricordava anche che era seguito un graffiante Non farti più vedere!, con l’aggiunta di dolciastri epiteti alla sua persona che solo a pensarci le strappavano una risata priva di allegria. Quando si trattava di insultare una donna, il vocabolario degli uomini era assai ristretto e scarsamente fantasioso.

I soliti Sei tornata? Ci vediamo?, scorsero sotto i suoi occhi con noia, perdendosi nel mucchio di parole vuote che la fecero adombrare. Forse certe cose erano destinate a non cambiare, forse neppure lei. Lindsay tentennò prima di rispondere con uno scoglionato Si può fare, i tasti sempre più pesanti da premere. Per un briciolo di secondi, le parve sbagliato accettare le avance di uno dei tanti ex che tornavano a marcare il territorio ma subito si disse che nessun legame la teneva saldamente incatenata a qualcuno.

Era ancora libera, poteva darsi a chi voleva…

-Non se lo merita!-

-So che frequenti un ragazzo…-
 

E allora perché il senso di colpa bussò alle soglie della sua anima?
 

-Cosa?-  Lin sollevò lo sguardo, scuotendo un poco la nuca per scacciare la voce stridula di Ginko. Doveva avercela a morte con lei se ancora non l’aveva tartassata di sms per accertarsi che non si fosse suicidata.

-So che frequenti un ragazzo…- ripeté sua madre; la constatazione cadde in un silenzio teso, di quelli che Lin rifuggiva riparandosi dietro qualcos’altro. Solitamente erano sbuffi, occhi che roteavano, iridi che si scontravano con il soffitto o il cielo, porte che sbattevano ed Eccheduepalle solo pensati, perché sussurrarli era troppo pericoloso. Quella mattina però sostenne il suo sguardo e attese che continuasse, cosciente che solo distraendosi sarebbe riuscita a non ascoltare quella maledetta vocina che le diceva di non fare cazzate –Papà mi ha detto che va avanti da un po’.- c’era un pizzico di incredulità nella sua voce monocorde, quasi si fosse aspettata di udire racconti di lei con mille uomini.

Lindsay giocherellò con la penna -Qualche mese.-

-Beh, è un bel passo avanti- l’ironia di Emily venne scoccata con precisione ma Lin non ne risentì -Come si chiama?-

Lindsay rimase immobile, il nome del ragazzo pendente sulle labbra ma incapace di gettarsi nel vuoto di quella stanza divenuta inspiegabilmente minuscola. Nel giro di un’occhiata spazientita, Lindsay si chiese come mai fosse divenuto così difficile pronunciare quel nome. Il suo. Aveva notato come le cose fossero cambiate senza che potesse fare nulla per opporsi agli eventi, come se l’affetto che provava per Seung-Hyun fosse mutato ciclicamente, con la stessa naturalezza con cui mutano le stagioni. Lieve scivolava sulla lingua e assumeva connotazioni nuove, suoni così delicati da macchiare l’apatia della sua voce, da sbiadire l’indifferenza che sempre aveva intaccato il loro legame.

Le parve che dire con libertà Seung-Hyun significasse elevarlo, renderlo importante. E Lindsay non era abituata a considerare gli altri importanti, non i ragazzi.

E prima di poterlo ricacciare indietro, prima di superare l’effettiva, sciocca paura si ritrovò a mormorare un assorto -Seung-Hyun.- nascondendo uno sbiadito sorriso dietro il palmo della mano.

Si era rincoglionita, non c’era altra spiegazione.

Emily arcuò un sopracciglio ma non emise suono alcuno. Si limitò ad annuire, trafficare con la spesa, come se fosse sufficiente quel poco che le aveva offerto.

Lindsay decise di perdere il suo tempo, che tanto non avrebbe imparato nulla, non quando era così pensierosa. L’unica cosa interessante, in mezzo a tutta quella monotonia, fu sua madre. Da quanto non la guardava sul serio? L’ultima volta che l’aveva fatto, l’aveva trovata dilaniata sulla poltrona del soggiorno reduce da una discussione con quel coglione di Jason –ora sparito in chissà quale buco nero- e mai Lindsay si era sentita più affine a lei.

Lindsay aveva imparato a proprie spese come due donne con troppo peso sulle spalle non potessero convivere nello stesso universo, così poco infinito per poter contenere il loro dolore. Erano troppo impegnate a dare un ordine al proprio caos per darsi una mano a vicenda, per provare a ricostruire da zero una nuova vita che si sarebbe elevata alta sulle ceneri di una storia ormai cancellata. Perfino quell’amore profondo, seppur diverso, che avevano condiviso per lo stesso uomo diventava un insopportabile difetto che erano state solite recriminarsi a suon di parole che recidevano un po’ più quel filo che le aveva tenute unite.

Odiò ammetterlo, ma Emily non era poi così diversa da lei.

Si era resa conto, mentre la fissava intenta a recuperare delle pentole, di come le spalle di Emily fossero incurvate esattamente come le proprie, di come i suoi capelli biondi ricadessero ordinati per poi arricciarsi alle punte, quasi il groviglio dei suoi pensieri non potesse restare relegato troppo a lungo, di come i suoi silenzi assorti non fossero poi così meno assordanti dei propri, ormai fedeli nascondigli di parole taciute. Fu forse a quella constatazione che Lindsay si appollaiò sulla sedia, esternando tutti quei pensieri che erano sempre stati lì ma che non avevano mai avuto il coraggio di scoprirsi –Mamma?- la chiamò piano, si arrese alla sua impassibilità -Come hai capito di amare papà?- fino a che il sospiro era stato tirato e allora Lindsay sì, li aveva visti i colori.

Li aveva visti negli occhi scuri e larghi di Emily, nelle sue mani che avevano un po’ tremato al suono di quella domanda, nelle sue spalle ora un po’ più sollevate e meno incurvate, come se il peso stesse alleggerendosi.

Come se aspettasse un dialogo del genere da tanto, troppo tempo.

Si era preparata a qualche sferzante battuta, i classici quanto scontati Chi sei e che ne hai fatto di mia figlia?, Ti hanno rapita gli alieni?, E’ uno scherzo questo?, patetici cliché che avrebbe finito col deteriorare quel germogliante desiderio di non rovinare quella mattinata stranamente vivida di calore.

Ma Emily era forse più desiderosa di lei di non mandare all’aria tutto, perché dopo aver scelto quale salsa versare sulla pasta, si era ritrovata ad alzare le spalle –Non lo so, lo capisci e basta.- una frase che Lindsay prese e cestinò. Lei il suo maledetto vizio di fare la psicologa in ogni situazione, evitando accuratamente di dare la soluzione affinché il paziente potesse salvarsi con le proprie mani. Ma del resto, constatò mentre il silenzio tornava ad avvolgerle, Lindsay si era sempre sentita una paziente di fronte a sua madre. Una sociopatica incapace di instaurare rapporti sani, una psicopatica che preferiva deteriorarsi l’anima anziché sfamarla, una ragazza che preferiva tenere ingabbiati i propri demoni anziché lasciarli liberi di correre. Forse se li avesse scarcerati, sarebbero tornati indietro talmente affaticati che perfino lei non avrebbe più avuto la forza di rendersi un po’ più peggiore.

-Grazie.- sbottò sarcastica, afflosciandosi sulla sedia. Se solo avesse aguzzato bene le orecchie, indistintamente avrebbe potuto udire il campanellino che stava per La sua ora è terminata, sono 100 dollari.

-Lindsay, non è facile come credi- replicò annaspando, massaggiandosi una tempia –Ci sono volte in cui ti svegli e ti rendi conto di amare chi ti sta affianco, anche se fino al giorno prima lo consideravi un giocatore di basket idiota e che sbagliava di proposito i test di matematica solo per prendere ripetizioni da te.- Lindsay sollevò lo sguardo con velata sorpresa, ammirando il bel sorriso che aveva dipinto le labbra rosse di Emily, ora rivolta verso quelle poche foto che ancora tenevano sul caminetto; incredibile come certi ricordi non scalfissero l’affetto che a lungo si aveva custodito per qualcuno che ora non c’era più.

-Sbagliava i test di proposito?-

Emily rise un poco –Era davvero uno sprovveduto. Diceva che strapparmi un appuntamento era impossibile, quindi si era dovuto arrangiare- portò una mano sul volto, quasi volesse celarle la gioia che provava nel veder riaffiorare quei ricordi –Credo di aver trascorso tutta la notte ad insultarlo quando l’ho scoperto.-

-Certo che papà era proprio scemo.-

-Era solo innamorato.-

-E non è la stessa cosa?- domandò arcuando le sopracciglia con fine eleganza, a voler rimarcare il concetto appena espresso. Emily inclinò appena il volto mentre il sorriso andava spezzandosi, in bilico fra una risata sciocca e uno sbuffo.

-Lindsay, l’amore è pazzia- calcò ogni sillaba –Ti spinge a fare cose che mai prima di allora avresti pensato di poter fare.-

Lindsay si mise ben seduta. Quel discorso aveva un non sapeva che di frivolo, ma sulla sua lingua lasciava un retrogusto di serietà che ben si discostava dalla pesantezza degli insulti che erano solite rivolgersi. Mai sua madre le aveva raccontato di aneddoti che riguardavano lei e suo padre, come se parlandone il ricordo potesse scolorare fino a diventare una mera illusione che l’avrebbe costretta a dirsi Ma è successo davvero?

Spinta dalla consapevolezza che certi avvenimenti rari andavano afferrati senza dirselo due volte, Lin si ritrovò ad arcuare per l’ennesima volta il sopracciglio –Vuoi farmi credere che anche tu hai commesso qualche pazzia? Per papà?-

Emily annuì con fin troppo vigore –Ricordo di aver saltato un esame solo per andare a vedere la sua partita di basket.-

Lindsay arricciò le labbra –Mamma, ma che caz— tossì un paio di volte quando la vide gettare fulmini e fiamme dagli occhi –E la chiami “commettere una pazzia”, quella?- si premurò di marcare le virgolette con un gesto eloquente delle dita, l’espressione scettica di chi vorrebbe aprire la finestra per vedere se la stronzata appena sparata sarebbe stata in grado di uscire e abbracciare il cielo terso di grigio smog.

-Per me era già tanto- si impuntò con un arricciamento del naso –Per me lo studio era la cosa più importante- agitò l’indice –Ricordo anche di essere andata di nascosto ad una festa solo per poterlo vedere- si coprì il volto con le mani –Credo di non aver mai sentito tuo nonno urlare così tanto.-

-Nonno urlava sempre.-

-Solo perché nonna era sorda. Credo che fosse diventato un vizio, il suo.-

Lindsay annuì, crogiolandosi nella scoperta di una miriade di sfaccettature che stavano dipingendo l’Emily dei suoi neri ricordi. Per Lindsay, sua madre era sempre stata uno scarabocchio su di una monotona tela bianca, talmente tanto perfetta che qualsiasi goccia di colore avrebbe potuto intaccarla. Invece, nel suo piccolo, quella donna dal sorriso spento stava cominciando a divenire umana, a distaccarsi dall’idea che Lindsay si era sempre costruita pur di non guardare oltre il suo dolore.

Coesisteva tanta imperfezione in quella donna che Lindsay avrebbe voluto dirle Sei ancora bella come lo sei sempre stata, ma sentì che qualsiasi slancio di affetto avrebbe finito con il demolire quel poco di bello che stavano coltivando. Erano due donne che avevano preferito rinunciare ai sentimenti pur di sopravvivere, che avevano preferito i gesti alle vuote parole, che sapevano andare avanti senza dirsi dei raccapriccianti Ti voglio bene o Mi sei mancata.

-Quindi sei innamorato quando commetti delle pazzie?- soppesò disincantata. Questa teoria non la convinceva, anche perché aveva commesso talmente tante di quelle stronzate che a quest’ora avrebbe già dovuto convivere con la sua anima gemella.

-No, quelle sono solo delle conseguenze- scosse la nuca mentre versava la pasta nell’acqua –Per ognuno è diverso, Lindsay. Io, ad esempio, ho capito di essermene innamorata quando ho smesso di pormi tutte le domande, tranne una.- le parole di Emily librarono fino a lei, stimolando la sua curiosità latente.

Lindsay appoggiò la guancia sulla mano, conscia che sarebbe stata una cazzata di dimensioni bibliche –E cioè?- non provò nemmeno a celare l’indifferenza. Ma Emily tentennò, quasi si vergognasse di ciò che avrebbe potuto dire. Come se quello fosse l’ultimo passo per mostrarsi una volta per tutte un essere umano.

E Lindsay, all’inizio, non comprese il perché della sua riluttanza nell’esporsi così tanto, non comprese il perché della macchinosità dei suoi gesti e delle sue parole, lambite da un distacco che fece vacillare la loro mitezza…

-Mi amerà ancora quando non sarò più giovane e bella?-

Non ne comprese la profondità e la paura che ogni singola lettera trascinava dietro sé, non subito.

Era la classica sensazione che andava provata sulla pelle, di quelle che si incollavano all’anima e non la lasciavano più andare, di quelle che le facevano capire come certe esperienze andassero vissute prima di poter parlare, prima di poter aprire gli occhi e rendersi conto che il mondo non era poi così distorto come lo aveva sempre dipinto.

Fu la prima volta che Lindsay si chiese per davvero cosa si provasse ad amare qualcuno. Si chiese che sapore lasciavano i baci dopo aver detto Ti amo, che gusto avesse fare l’amore e non semplice sesso, che sensazione si provava a vedersi crollare e sentirsi sorreggere senza aver bisogno di urlarlo al mondo. Si chiese cosa significasse vivere di quegli attimi fatti di sguardi che valevano più di mille parole, di respiri che trattenevano l’anima e battiti rubati al solo sfiorarsi.

Lindsay non aveva mai avuto bisogno di quegli attimi, mai. Ma per una volta, anche se solo per poco, avrebbe voluto trattenerli a sé o almeno tastarne la consistenza.

Veder colmare la solitudine con ciò che sempre le aveva fatto più paura.

Sentirsi migliore.

-Sai, Lindsay?- la ragazza sollevò lo sguardo, per una volta non allarmata nell’udire il proprio nome scivolare su quelle labbra. Fu la prima volta che la tonalità con cui si sparse nell’aria risuonò dolce, armoniosa, capace di sciogliere quel muro di spesso risentimento che avevano erto sulla base dei loro reciproci screzi –L’amore va coltivato in due. Se c’è egoismo, gelosia, se non si lascia libero di respirare, rischia di morire- il rumore delle posate tintinnò in mezzo alle parole, il frastuono dei piatti coprì la nostalgia che rivestiva ogni sillaba –E ciò che muore, non si può riportare indietro.-

Già, ciò che muore non poteva tornare indietro così come non si poteva riprendere il proprio passato e cambiarlo. Se solo glielo avessero detto prima, forse Lindsay sarebbe stata una ragazza qualunque che avrebbe imparato dai propri sbagli invece di rivestircisi.

Lindsay non parlò più da quel momento in poi.

Lasciò il cellulare in cucina, avrebbe deciso solo più tardi quando vedere Greg. Si chiuse in camera, accese l’Mp3 e si immerse nei propri libri, sopprimendo il rumore delle posate proveniente dalla cucina, anche se più rumorosa ancora era la solitudine di sua madre, così in sincrono con la propria da farla sentire a disagio.

Non mangiò, non ci provò neppure. Lindsay non mangiava mai quando sentiva che qualcosa stava andando fuori posto.

Non mangiò quando il Signor Gatto scappò sotto la pioggia, quando la maestra la rimproverò per aver tirato le codine alla compagna di banco, quando Emily e Mark divorziarono, quando papà andò via, quando Emily le presentò Jason, quando Tom sparì dalla sua vita, quando Shirley si fidanzò e lo annunciò raggiante di mai provata felicità, quando tutto si scombinava e non c’era verso di aggiustarlo.
 

Lindsay non mangiò quando si rese conto che Seung-Hyun, tutti quegli attimi persi, glieli aveva già fatti provare.

 

*****

 

Quando rincasò era tardi. O forse non lo era. Difficile a dirsi, anche perché la vista annebbiata continuava a fargli vedere doppio. Il quadrante dell’orologio doveva aver invitato suo fratello per una bevuta, le lancette da due erano divenute quattro e i numeri continuavano a mescolarsi fra loro, quasi volessero farlo soffrire un po’ di più.

Perché tutto si poteva dire tranne che GD non stesse soffrendo.

Reduce da una delle sue solite notti brave, con ancora addosso il profumo di quella che ai suoi occhi altro non era che una sconosciuta in mezzo ad un mucchio di numeri e nomi nella rubrica, GD portava ancora i segni di quella lite funesta che si era poche ore prima consumata in una stanza d’albergo qualunque, fra sbuffi e lenzuola. Credeva che il fumo della sigaretta avrebbe aiutato a mascherare le copiose lacrime della giovane dal cuore spezzato, ma era stato tutto vano. Bastava poco per trafiggerlo, ancora meno per vederlo evaporare dietro parole sferzanti e oggetti contundenti lanciati senza preavviso.

Insomma, la classica scena madre che ormai si ritrovava a recitare senza quel genuino gusto di vedere l’altra crollare.

Camminava a tentoni, era ruzzolato sulle scale una decina di volte –concedendosi ad ogni caduta una risata liberatoria mentre il dolore si mescolava al sollievo-, tanto che alla fine aveva pensato bene di strisciare come un militare nel fango, evitando che il suo bel corpicino si macchiasse di lividi viola per i quali, ma nemmeno se avesse invocato tutti i santi, mai sarebbe riuscito a trovare scusanti o giustificazioni solide.

Insomma, i superiori gli avrebbero frantumato le palle fino all’uscita del suo nuovo album.

Appoggiata la fronte alla porta, congratulandosi con sé stesso per essere riuscito a sopravvivere a quella scalata infernale, GD si preparò a venir accolto dal nulla. Era ormai abituato a rincasare agli orari più assurdi e venir avvolto dal silenzio, beandosi della tranquillità che quelle quattro mura infondevano. Incredibile come dovesse prepararsi per qualcosa a cui era abituato. Questo pensiero, più di tutti, fece aprire le sue labbra in un sorriso ripieno di amarezza. Lontani erano i giorni in cui tornava stanco per il troppo lavoro e Dae lo accoglieva con una pentola piena di chissà quali orribili esperimenti culinari preparati amorevolmente solo per lui; remoti erano i periodi in cui gli starnazzi di Ri gli facevano comprendere di essere tornato a casa dal solo portone d’ingresso.

Quasi illusori e privi di contorni, erano i giorni in cui era effettivamente tornato in quel posto che poteva chiamare casa.

Ci fu però una nota stonata, quella notte. Delle voci, ad essere precisi.

Anonime, che provenivano del salotto e stavano parlando di matrimoni e soldi. Corrugò la fronte, massaggiò le tempie mentre una sonora imprecazione sfuggì alle sue labbra, quando riconobbe quel timbro un po’ basso e suadente. Chi è che aveva invitato Clark Gable in casa sua? E soprattutto… Ma non era morto Clark Gable?! Sbatacchiò le palpebre pesanti mentre una mano andava a posarsi sulla testa, l’altra inevitabilmente cominciava a far girare la maniglia.

In realtà era piombato all’Inferno, quella non era casa sua. Ecco, sua madre glielo aveva sempre detto: mai guidare ubriaco. Il risultato era che si era schiantato contro un albero e ora si trovava a soggiornare tra le fiamme di Lucifero in compagnia dei grandi malvagi della storia; tipo Hitler, Stalin, SephirotClark Gable. Insomma, un uomo che aveva sottoposto il genere umano a sorbirsi quattro ore di tumore cinematografico non poteva essere finito in Paradiso, non poteva!

Quella fu l’unica spiegazione plausibile e logica che si concesse quando aprì la porta, anche perché il Paradiso di certo non avrebbe mai accolto un essere spregevole come lui.

-Io voglio sedermi alla destra di Voldemort.- sbottò con voce impastata, seriamente convinto di trovarsi di fronte ad un gruppo di dittatori intenti a scambiarsi le carte dei Pokemon o a giocare a Risiko. Con sua somma sorpresa si rese conto che l’Inferno altro non era che casa propria, che il calore che imporporò le sue guance altro non era che la birra mista a tequila in circolazione nel suo corpo, non fiamme cuocenti...
 

-Ma sei ubriaco?-
 

E che Voldemort, nel semibuio della stanza, aveva assunto le sembianze di Ginko Fujii.

Perse i sensi, Ji Yong, venne prosciugato di ogni facoltà mentale a sua disposizione quando se la ritrovò davanti avvolta in un abitino estivo a fiori che la faceva sembrare una caramella alla frutta. Lo sguardo si fermò sulle gambe bianche incrociate e faticosamente risalì sul suo viso fiocamente illuminato dalla luce proiettata dalla tele. Vi lesse un pizzico di disagio quando gli sguardi si incrociarono, ma forse era solo la birra che gli giocava brutti scherzi.

-Tae… Quante volte gli ho detto di non liberare il Molliccio dall’armadio?- esalò caustico, passandosi una mano sugli occhi lucidi. Dio, ma cosa ci faceva quella in casa loro? Non aveva una bettola in cui starsene, invece di contaminare la sua aria? Insomma, non che gli desse fastidio averla lì muta e con la fronte corrugata, ma c’erano persone che proprio non voleva affrontare quando rincasava. Non nello stato attuale della sua infermità mentale.

Portò una mano sulla guancia, stringendo gli occhi quando il bruciore andò a tendere ogni più piccolo muscolo. L’ennesimo regalo di una delle sua innumerevoli fiamme, ora spentasi al soffio dell’ormai abituale Non è colpa mia se io sono il tuo “qualcuno” e tu la mia “chiunque”, svettava rosso ed indelebile, a monito della sua eterna coglionaggine.

-Sì, sei ubriaco.- il soffio di Ginko lo riportò con le converse luccicanti per terra. Ah, già, a proposito di chiunque… Cosa ci faceva lì, la Fujii?

Ne aveva abbastanza delle donne per quella notte.

Le braccia scivolarono lungo i fianchi, la giacca di pelle precipitò sul pavimento e solo la voce di Clark Gable, nei panni di un affascinante Rhett Buttler, inondò il loro silenzio. Ginko aveva inclinato il volto, lo fissava come se dovesse vedergli spuntare una seconda testa da un momento all’altro. E GD non reagì, non riuscì a muovere un muscolo.

C’era così tanta sospensione in quel loro gioco di sguardi che per un istante avvertì l’urgenza di evadere, di chiudersi la porta alle spalle, riaprirla e scoprire che il salotto era vuoto, nessuno lo occupava. Aveva bisogno di affacciarsi nella solitudine che sempre aveva imballato la sua vita e immergercisi, abbracciando la quotidianità che gli permetteva di non crollare a picco.

Ma se Ginko spostava i pezzi, per lui diventava difficile ricomporsi.

Rossella aveva messo a tacere Rhett con tono civettuolo, scombinando i suoi pensieri -Che ci fai qui?- gettò le chiavi sul comodino all’ingresso e la guardò con mento sollevato, quasi volesse incuterle timore.

Ginko sospirò, per nulla intimorita dal suo atteggiamento ostile. Incredibile come quella ragazzina avesse imparato ad affrontarlo senza lasciarsi andare a stupidi squittii -Aspetto Ri.- lo disse con placidità e Ji Yong poté leggere nei suoi occhi una scarica di affetto che gli fece venire i brividi.

Gli occhi di Ginko non gli erano mai sembrati belli. Erano talmente banali e pieni di abissale frivolezza che mai si era soffermato a guardarli più del dovuto. Quelle poche volte in cui i loro sguardi si erano sfiorati, Ginko aveva avuto la brutta abitudine di guardarlo come la star che era, dimentica del suo essere una persona qualunque con l’ironia di un sonagli.

GD odiava guardare le persone negli occhi, lo odiava dal profondo del proprio cuore.

Guardare e lasciarsi guardare negli occhi da chiunque, significava lasciare qualcosa di sé addosso agli altri. Significava entrare in loro, scavare nella profondità del loro essere e restarvi incagliati.

Eppure in quell’istante, complice l’alcool e un masochistico istinto di farsi del male, GD si rese conto di quanto i suoi occhi scuri avessero da dirgli. Di quanto gli parlassero, semplicemente. Era come se al loro interno continuassero a scorrere scene della sua vita e lui potesse vederle, toccarle, sentirle in ogni fibra del proprio corpo ora stranamente teso. Era come assistere ad un film in bianco e nero, muto, e improvvisamente vedere comparire il primo colore, poi il secondo, mescolandosi tra loro, fino a che l’audio non veniva acceso.

Guardò Ginko e gli parve di non poterne più uscire dalla sua profondità.

Lo sguardo adombrato piombò in picchiata sul televisore; aveva bisogno di alleggerire l’atmosfera con qualche cazzata –Ti prego, dimmi che quello non è Via col vento.-

-Cos’hai contro Via col vento?!- ah, il prevedibile starnazzo. Avrebbe dovuto immaginare che quell’oca avrebbe aperto le ali nel vedersi criticare una delle sue stramberie.

Scossò la lingua -Una mazzata sulle palle farebbe meno male, Fujii.-

La ragazza parve risentirsi mentre, con voce stridula e veloce, cominciava ad elencare i mille e più pregi di quel capolavoro artistico che lui proprio non riusciva a sopportare, osannando la divinità artistica dell’ormai scomparso Clark Gable. A parte che Rhett era perfino più stronzo di lui –a riprova che le donne erano delle masochiste in fatto d’amore-, a parte che quell’abominio durava quasi quattro ore e ripeteva, era una tortura troppo atroce perché qualcuno potesse sopravvivere, ma poi era talmente pieno di cazzate romantiche che gli veniva l’orticaria al solo pensarci.

L’unica nota di merito, in tutto quello, era che Rhett abbandonava quella palla al piede di Rossella sulla soglia di casa con il suo everlasting Francamente me ne infischio.

Nh, ora che ci pensava, più e più volte quella frase era sfuggita alle sue labbra ma solitamente le donne non erano solite rivolgergli determinati Ti riconquisterò! Dopotutto, domani è un altro giorno, no decisamente. No, loro erano solite dirgli Giuro che se ti incontro per strada, ti falcio. Amorevoli, non c’era che dire.

Scosse la nuca, cercando di dimenticare quel poco che sapeva su Via col vento –e solo perché Tae aveva costretto la combriccola a sorbirselo dopo aver vinto non ricordava quale scommessa-, e accese la luce, limitandosi ad esalare un blando –Seh, seh, come ti pare.- pur di far cessare quel fiume di parole che lo stava travolgendo come uno Tsunami.

Fu a quel punto che GD si rese conto di aver commesso l’ennesimo, non trascurabile errore...
 

-Che cosa hai fatto?!-
 

Quel rivolo di sangue che scivolava lungo la tempia destra. Portò l’indice e l’anulare sulla parte lesa, massaggiando un poco mentre fitte lancinanti lo costrinsero a storcere il naso. Com’è che si era procurato quello sfregio?! Ah, sì…

-Voi donne siete troppo manesche- spiegò vago, alzando le spalle mentre gli occhi scuri di Ginko si allargavano a dismisura –Se non li chiudi, rischi di perderli.- sbottò indicandoli con un cenno del capo, vedendola sbatacchiare le palpebre dopo quel misero attimo di incredulità.

-Chi è stato?- domandò balzando in piedi, avvicinandosi con cautela.

-Una ragazza mi ha picchiato.- una breve risata sfuggì alle sue catene mentre la mano andava a nascondergli gli occhi. In uno sprazzo di lucidità si sentì vagamente patetico al pensiero di aver appena spifferato di essere stato malmenato da una ragazza, ma un bruciante calore si impossessò di ogni fibra del suo essere quando dall’altra parte giunse uno squittio, poi il silenzio.

Attraverso le fessure delle dita, si accorse di come Ginko non fosse poi così divertita di fronte a quella confessione. Se ne stava davanti a lui a braccia incrociate, i denti che morsicchiavano il labbro inferiore e l’espressione preoccupata.

-E quel taglio?-

-Ah…- lo tastò –Mi ha lanciato un posacenere addosso.- e qui non poté non trattenersi dal ridere di gusto, portando le mani a livello dello stomaco.

C’era qualcosa di divertente in tutto quel patetico siparietto, come se le scene drammatiche di una lite esplosa per quisquiglie fosse in realtà sfociata in una commedia. Non ricordava le dinamiche dell’incidente e a ben vedere, nemmeno gli importava di serbarne il ricordo. Alla fine i motivi erano sempre gli stessi; lui dimenticava il suo nome, ne diceva un altro, lei si incazzava per aver visto svanire un amore che in realtà non c’era mai stato e lui si ritrovava a fare i conti con il loro orgoglio ferito e calpestato.

Finivano sempre con il picchiarlo e lui subiva senza dire o fare nulla, divertito nel vedere qualcosa spezzarsi nei loro occhi saturi di disillusione e pianto che faticava ad uscire…

 

-Se una cosa ti piace,

non è mai una perdita di tempo.-

 

Anche se certe volte non c’era nulla per cui divertirsi, proprio no. Fu un pugno allo stomaco rendersi conto di come a volte le persone sfuggissero al suo puntiglioso controllo, di come si lasciassero plasmare a suo piacimento e poi si ribellassero, rovinandogli i piani. Di come le considerasse banali e poi si facessero scoprire per ciò che erano, meraviglie celate. Sembrava quasi che le sue tenere marionette avessero deciso di recidere quei fili che lui aveva avvolto intorno a loro senza dispendio alcuno di energie, approfittando della loro ingenuità, insicurezza e poi vederle crescere, trasformarsi e allontanarsi. Allontanarsi, soprattutto.

Vivere delle disgrazie altrui lo faceva stare bene, gli faceva credere che i propri mali potessero dargli tregua se c’era qualcuno conciato peggio di lui. Era per questo che torturava il prossimo, che cercava in tutti i modi di far arrivare le sue cavie in ritardo al traguardo, piazzando continui ostacoli, cambiando all’ultimo le vie dei suoi labirinti, facendoli perdere.

Aveva bisogno di sostenere gli altri per sorreggere le proprie fiacche membra, ma se gli altri a lungo tenuti stretti a sé se ne andavano, che ne rimaneva di lui?

Ji Yong volse il capo, incrociando la propria figura nello specchio posto vicino all’entrata. Si chiese quando avesse messo su tutti quegli anni che non gli appartenevano, quando le sue occhiaie si erano fatte più profonde, quando le sue labbra si erano incurvate così tanto da farlo apparire perennemente in lutto e da quanto le sue cicatrici fossero così visibili agli occhi superficiali della gente.

C’era talmente tanta fragilità sulle sue spalle che le gambe cedettero.

-Vieni, siediti- Ginko lo prese per un polso e con delicatezza lo fece sedere sulla sedia –Non hai una bella cera.-

-Che perspicace.- sussurrò stropicciandosi gli occhi. Udì Ginko rovistare in giro, forse alla ricerca di garze e disinfettante.

-Non sopporti la vista del sangue?- storse il naso a quella cazzata esalata forse più per riempire il silenzio che per accertarsi davvero delle sue condizioni. La colpa era dei troppi pensieri che non lo lasciavano respirare, che non facevano arrivare aria al suo cervello, non del sangue.

-E’ sempre meglio della tua vista.- esalò ironico, udendola sbuffare sonoramente.

-Avrebbe dovuto tagliarti la lingua, invece di tirarti contro un posacenere.-

-Oh, come sei crudele- sporse il labbro inferiore –Poi come avresti fatto senza la mia voce melodiosa?-

-Sarei sopravvissuta- gettò sul tavolo quei pochi medicamenti che recuperò e cominciò ad armeggiare con la sua tempia, adoperando una delicatezza che lo costrinse a rilassarsi –Si può sapere perché ti ha picchiato?- ritornò sull’argomento senza tentennamento alcuno. Da quando era così intraprendente?

-E’ una squilibrata- azzardò la prima ipotesi che gli venne in mente, abbastanza lucido da non permettersi viaggi al centro delle sue verità –Pensa che le piace fare sesso viole—

-Ma perché Diavolo te l’ho chiesto?!- gracidò stridulamente, costringendolo a piegarsi un poco per nasconderle un vago accenno di risa. Le sue spalle tremolanti tradirono le sue intenzioni, ma Ginko non pose alcuna domanda.

Fu lui ad esporsi quando si rese conto che ridere lo avrebbe solo fatto deprimere ulteriormente -Voi ragazze pensate di essere sempre indispensabili- poggiò la guancia sul palmo aperto –Ci fate sentire importanti senza avervi chiesto nulla, credete che ci sia qualcosa senza averne mai avuto le conferme e vi lamentate quando vedete tutto infrangersi- rise un poco mentre avvertiva Ginko irrigidirsi –La verità è che voi donne amate vivere di illusioni, altrimenti la vostra vita perde di significato- non seppe perché gli confessò quel pensiero a lungo serpeggiante fra gli altri, ma sentiva che in qualche modo Ginko ci si sarebbe gettata a capofitto con tutta la propria anima, dandogli l’ennesima soddisfazione –E’ per questo che mi ha picchiato.-

-Amiamo vivere di illusioni perché sono le uniche cose che ci date, a volte- se ne uscì fuori con quella perla che lo fece commuovere. Adorava quando le sue cavie sapevano destreggiarsi fra i contorti labirinti delle sue sparate –Ci aggrappiamo e ci diciamo che tutto va bene. Illudersi fa meno male.-

-Illudersi non fa mai bene- replicò annoiato –Se perdi di vista la realtà, rischi di perdere di vista anche te stesso.- quella frase lasciò sul suo palato un retrogusto di amara colpa, come se quelle parole fossero state pronunciate più per aprirsi gli occhi che per intontirla ancora un po’.

Ma Ginko, a riprova dei suoi piani, continuava imperterrita a tenergli testa –Non ti perdi, in realtà sei sempre lì. Solo che cominci a stare in disparte- glielo disse con trasporto seppur mantenendo del distacco, quasi volesse essere cauta nell’entrare nel suo mondo; non quasi ne avesse paura, quanto più per non spaventare lui –Se stai in disparte è tutto più facile. E’ più facile pensare ai problemi degli altri che ai propri- Ginko si fermò e con lei ogni suo desiderio di conversazione –Dovresti smetterla di stare in disparte e pensare ai tuoi di problemi.-

Se ne stava immobile, il batuffolo di cotone fra le dita e sporca di parole, come un minatore che ha scavato troppo in profondità fra una coltre di pensieri. L’incredibile capacità con cui aveva colto ogni suo rimasuglio di fragilità, giocandoci, mettendogli di fronte la cruda realtà delle cose: viveva di sfumature. Non delle proprie, ma di quelle degli altri. Si nutriva degli spigoli imperfetti degli altri, si dissetava delle loro disgrazie e si saziava nel rendersi conto che c’era sempre qualcuno capace di fargli dimenticare quanto perduto ormai fosse.

Ma poi arrivavano quelle come Ginko che volevano metterlo a posto, anche se ciò significava rendersi una mera controfigura.

Si inumidì le labbra mentre la fissava con stizza -E tu dovresti toglierti quell’espressione, Fujii- ridacchiò leggermente mentre incurvò le spalle, la testa pesante e la voglia di vomitare lì, proprio sulla rivista di cucina di Dae -Potrei iniziare a pensare che tu ti stia preoccupando per me.- e con le parole che continuava a fluire senza che potesse controllarle. Avrebbe voluto andarsene in camera, chiudere la porta al mondo e sprofondare in un baratro fatto di sensi intorpiditi e immagini confuse che, il giorno seguente, lo avrebbero prepotentemente riportato alla brusca realtà. Ma sentiva che andarsene non era la soluzione migliore. C’era talmente tanto in sospeso che i suoi piedi non vollero saperne di muoversi.

E ripensandoci, il sospiro della Fujii gli fece pensare che restare non fosse stata poi una così cattiva idea.

-Lo so- arricciò le labbra mentre il suo profilo diveniva più nitido. Ubriaco com’era, si era ritrovato addirittura a tracciarlo con l’indice nell’aria, rammentandosi che spesso lo aveva fatto con sua madre, da bambino, quando si metteva in un angolo a guardarla cucinare -Sei talmente triste che non posso farne a meno. E’ più forte di me.- e la mano cadde in picchiata sulle cosce quando udì quelle parole.

Triste.

Ci fu qualcosa in quel triste che lo fece tremare, gli stessi tremori che lo avevano colto impreparato quando si era reso conto che la sua compagna di classe a lungo bramata ricambiava i suoi acerbi sentimenti: non era un triste che stava ad indicare il patetismo. Si accostava all’infelicità del suo essere, al suo doversi aggrappare alla noia per non sprofondare nell’angoscia e cercare il divertimento nelle disgrazie altrui perché le proprie, ormai, lo avevano ridotto ad un burattinaio meticoloso e che sezionava col  bisturi i pensieri delle povere marionette

Quella parola continuava a tormentarlo. Possibile che non vi fosse qualcosa di migliore per poterlo descrivere? Possibile che la gente lo guardasse e tutto ciò che potesse dirgli era un banale Triste? Si ritrovò a socchiudere gli occhi mentre quelle poche lettere continuavano a vorticare nella sua mente. E pensare che da bambino era sempre stato felice, sua madre adorava il suo sorriso, lo descriveva sempre come un bambino vispo e pieno di aspettative.

Dov’erano finite le sue aspettative? Dov’era finito lui?

Forse si era perso e stava cercando la strada di casa, forse non voleva fare ritorno, voleva vivere di ciò che la vita aveva da offrirgli prendendosi ciò che poteva senza dare, privando gli altri ma non sé stesso. Ma del resto, importava a qualcuno se lui non tornava indietro?

Importava a qualcuno se non fosse mai più tornato?
 

-Non perderti mai, Ji Yong.-

-Mh?-

-Non smarrirti, non perderti.-

-Non capisco. Papà, mamma ha bevuto ancora!-

La risata di suo padre, la dolcezza di sua madre persa fra le carezze appena accennate.

-Non perdere mai di vista te stesso. E se dovessi farlo, torna a casa. E’ qui che potrai trovarlo.-

 

Sollevò il capo con indolenza, fronteggiò quella miniatura che stava mettendo in crisi ogni sua più minuscola certezza, che continuava a prendersi cura di lui senza che le avesse chiesto alcunché. Perché era buona, Ginko, era di una bontà così schifosamente disinteressata da farlo sentire un essere abbietto per tutto il male che le aveva causato. Il suo buttarla fra le braccia di Ri pur di non sentirsi soffocare, il suo metterla in continua balia di emozioni contrastanti, il suo far vacillare ogni suo più stupido credo solo per il piacere egoistico di vedersi trionfare nell’ennesimo gioco psicologico scaturito dal nulla.

Sollevò lo sguardo sul suo volto ovale e realizzò quanto poco tempo avesse a disposizione per imprimere nella memoria ogni più misero dettaglio; le sopracciglia aggrottate proprio al centro mentre tamponava la sua tempia con concentrazione, la punta della lingua che si intravedeva fra le labbra socchiuse, come un gatto mezzo appisolato appollaiato sul divano, gli occhi scuri che brillavano di affetto sincero, anche se tra loro non v’era mai stato nulla di così importante che potesse definirli amici.

Il capo ricadde davanti, avvertì le dita di Ginko scivolare mentre le sue mani andavano a coprire le tempie –Tu sei troppo buona…- aveva sussurrato sull’orlo della frustrazione, inumidendosi le labbra arse –Dovresti lasciarmi stare. Tutti mi lasciano stare, perché non puoi farlo anche tu?-

-Nessuno vuole lasciarti stare- replicò ferrea –E ad ogni modo, io non sono tutti.-

A quel punto, Ji Yong non seppe spiegarsi cosa accadde. Seppe però dirsi chi accadde.

Accadde Ginko, come sempre.

Che gli posò una mano sulla spalla, si piegò un poco e lo guardò con tanta di quella dolcezza da farlo fremere, mentre sul suo volto andava delineandosi quella stessa tristezza che gli aveva prima accusato. Quasi la stesse risucchiando, quasi se ne stesse appropriando. Sembrava voler condividere con lui questo fardello. O forse era solo triste di suo, giacché gli era parsa strana sin da quando se l’era ritrova davanti.

Sembrava in procinto di esplodere, come se un segreto troppo grande la stesse sobbarcando, come se le fosse appena scappato il gatto e lei non potesse fare  nulla per riprenderlo. Lo vedeva, al di là della strada, ma il maledette aveva deciso di non tornare a casa.

La guardò disorientato, smarrito nei meandri della propria incapacità di saper reagire. Perché non stava reagendo, non come avrebbe voluto. Avrebbe dovuto scostarsi, da copione, divincolarsi alla sua accennata presa e fulminarla con lo sguardo, renderla un cumulo di cenere che perfino la brezza più leggera sarebbe stata capace di farla evaporare. Ma non si ritrasse, non ci provò neppure.

E fu questione di un attimo.

Si ritrovò a circondare la sua esile vita mentre la nuca andava a posarsi sul suo petto, trascinandola giù con sé, gli occhi chiusi e la testa pesante, tante immagini a sfrecciargli davanti agli occhi senza un ordine preciso.

-Che fa—

-Cinque minuti- la interruppe flebile, deglutendo quando avvertì l’alcool corrodergli la gola –Solo cinque minuti, così.-

Nel silenzio della stanza, scalfito dal film che continuava a girare, GD si disse che non si sarebbe mosso da lì se solo glielo avesse permesso. Si stava bene fra le braccia di Ginko, si sentiva come il GD di cinque anni che sedeva in braccio alla madre e si lasciava stringere solo perché bambino. Ricordava che sua mamma, molto spesso, gli aveva rimproverato il suo aver perso l’abitudine di abbracciarla o baciarla; lui avrebbe voluto dirle che lo avrebbe fatto tutti i giorni, ma si sentiva patetico a fare una cosa del genere.

Certi gesti di infantile affetto, non venivano più elargiti con tanta semplicità quando ci si affacciava nel mondo degli adulti.

-Hai mai pensato di lasciarti aiutare?- domandò pacata, portando una mano fra i suoi capelli.

-Nah. Me la cavo da solo.- biascicò, la stanchezza che si impossessava di ogni suo muscolo.

-Non c’è nulla di male a farsi aiutare.-

-Nessuno vuole aiutarmi.- mormorò con indifferenza, senza alcuna nota di vittimismo ad intaccare la sua voce ora più flebile.

-O forse non vuoi farti aiutare?- non rispose a quell’ennesima verità, troppo stanco per poterne uscire vincente. Si limitò a comportarsi da idiota quale era, certo ormai che certe cose fossero destinate a non cambiare  -Si può sapere che stai facendo?- la voce scettica di Ginko lo ridestò. GD stava continuando a carezzare la sua schiena, più in particolare il punto esatto in cui si trovava il gancio del reggiseno.

-Sto testando.-

-No, tu stai tastando- lo sbuffo di Ginko lo fece ridere come il cretino che era, tuttavia le sue mani non vennero allontanate; ci fu una piccola pausa, scandita dalle lancette dell’orologio a muro e la voce di Clarke Gable che riempiva la stanza, poi Ginko tornò a starnazzare –E si può sapere cosa stai testando, di grazia?-

-Che questo sia un reggiseno- carezzò la maglietta, avvertendo i gancetti da sotto il tessuto ruvido; dal modo in cui Ginko squittì, avrebbe giurato che le sue guance si fossero imporporate –Perché porti un reggiseno, Fuji? Hai una prima scar—

-Togli quelle mani!- gli diede un buffetto sulla nuca ma non si divincolò –E comunque porto una seconda!-

-Scarsa.-

-Piena!- stridette, facendo vibrare il vaso di vetro vicino alla finestra.

-Guarda che non è un bicchiere: o è piena o è scarsa. La tua è decisamente sca—

-Ti taglio quelle mani se non la smetti.- rossa in volto, continuava ad allargare le narici come un bisonte in procinto di attaccarlo. Un’immagine ripugnante se riferita ad una ragazza minuta come quella che continuava a mantenere una barriera di braccia fra loro

La guardò con un mezzo sorriso –Tanto so che non lo faresti- rise scioccamente, socchiudendo gli occhi mentre vedeva i suoi farsi larghi –Ti piaccio troppo, non mi faresti mai del male.- e prima che quella potesse perdersi in un mucchio di gracchi assordanti, GD si era ritrovato a dare retta all’alcool, all’egoismo e a tutte quelle cose che avevano stimolato il suo senso di vuoto.

Si era ritrovato a baciarla, zittendo i suoi occhi che gli stavano dicendo fin troppo.

Non seppe quantificare la durata del loro sfiorarsi ne seppe dirsi perché mai Ginko non si fosse spostata. L’unica cosa che seppe, fu che se solo la chiave nella toppa non avesse fatto un rumore indicibile, GD l’avrebbe buttata sulla superficie piana più vicina. C’era che non ragionava in quel momento, complice la tequila e quel voler appropriarsi dell’ennesima possibilità lasciata tempo addietro sfuggire. C’era che voleva capire come mai Ri ancora non si fosse stancato di lei, dandogli la possibilità di potersi divertire ancora un po’.

Se solo Ginko non gli avesse dato uno schiaffo talmente sonoro da scoccare sordo nell’aria, probabilmente sarebbe andato un po’ troppo oltre il suo limite, si disse mentre la sentiva sfilare alla sua presa, probabilmente avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per marchiarla, usandola come il giocattolo che era e poi buttarla, troppo capriccioso e viziato per tenerne con sé solo uno. Avrebbe chiesto di più, avrebbe voluto di più e alla fine avrebbe fatto sì che lei lo lasciasse andare.

GD non era fatto per lasciare. Era troppo egoista.

-Scusa il ri— Oh, Hyung! Sei tornato presto!- Ri era rincasato portando tempesta nella loro quiete. Gli parve di aver perso l’ennesima occasione della sua vita, quasi fosse quello il prezzo da pagare per averla mandata via una sola volta. Perdere ogni occasione che aveva, in memoria del dolore che le aveva inferto. Alzò lo sguardo e si rese conto di come Ginko avesse perso il sorriso, di come la dolcezza fosse eclissata all’ombra di un fremito e una deglutizione, di come i suoi occhi avessero smesso di parlargli –Hai fatto a pugni?-

-Aha. Il posacenere ha vinto, però.- si alzò, pulendosi i jeans. Ginko cominciò a pulire il tavolo, evitando di guardarli.

Ri saltellò fino a lui e per poco non lo soffocò mentre gli gironzolava attorno , accertandosi che non stesse per morire da un momento all’altro. GD si scostò, mani in tasca e sguardo puntato verso la marionetta dai fili recisi. Rivestita della sua rabbia, Ginko gli parve quasi bella.

Cominciò a sentirsi di troppo quando vide il maknae dirigersi verso di lei, che replicava con monosillabi e un sorriso talmente spezzato da stimolare il suo lancinante senso di colpa. Avrebbe voluto dirgli tante cose o sentirsi prendere a male parole. Tutto, pur di vederla un po’ viva.

Avrebbe voluto dirle Grazie, per le cure che gli dava, ma ciò che riuscì a mormorare fu un flebile –Scusa.- che catturò l’attenzione di entrambi.

E Ri inclinò il capo, senza avere idea di cosa stesse accadendo. Ginko non rispose, non con le labbra almeno. Prima di dar loro le spalle, prima di lasciar il suo ennesimo sbaglio in quella cucina sommersa da un affetto che, come suo solito, aveva dovuto macchiare con la propria stupidità, GD riuscì a scorgere qualcosa nei suoi occhi ma fu incapace di udire ciò che avevano da dirgli.

Non gli ci volle molto per realizzare che qualcun altro aveva parlato al posto loro, prima che i titoli di coda cadessero sul film…

 

-Francamente, me ne infischio.-

 

E su ciò che sarebbero potuti essere.

 

*****

 

Lindsay ricordava che l’auto di Greg sapeva di chiodi di garofano. Non che il ragazzo utilizzasse chissà quale profumaccio preso al discount, no. C’era che Greg fumava solo sigarette indonesiane, reperite all’angolo fra la Flatbush Avenue e Shore Road, che lasciavano quello strano odore che finiva sempre con il rimanerle addosso, che restava anche dopo aver rifiutato un tiro. Ricordava ancora indistintamente il sapore dolciastro rimastole sulla punta della lingua dopo essersi inumidita il labbro inferiore la prima volta che lo aveva baciato, in una discoteca così affollata da non poter udire nemmeno i propri pensieri.

Anche allora c’era quello stesso odore.

Non seppe se perfino il sapore era rimasto lo stesso, avendo declinato ogni sorta di contatto fisico da quando si erano incontrati. Sentiva che qualcosa non andava, che anche un bacio avrebbe potuto spezzare un’armonia che non sapeva spiegare, come se così facendo avrebbe rischiato di far male non solo a sé stessa ma a qualcun altro. Questo, più di tutto, la stava frustrando come mai le era successo.

Lei che si struggeva per la sanità emozionale di qualcuno che non era sé stessa, roba da non credere…

-Resterai per molto?-

-Nah, parto settimana prossima.- Lindsay si meravigliò di come non avvertisse l’urgente bisogno di evadere da casa propria, come se per una volta si trovasse bene fra quelle quattro mura, in compagnia di una donna che mai le aveva dimostrato un briciolo di affetto e comprensione. C’era che, dopo molto tempo, era riuscita a condividere un po’ di gioia con Emily, era riuscita a strapparle un sorriso e a lasciarsi strappare una risata, era riuscita a discutere senza lanciarsi piatti e parole pesanti, palpando la leggera consapevolezza che tra loro, qualcosa, si stava aggiustando.

-Di già?-

-Sono venuta qui solo per il test alla Columbia, non per restarci.-

-La Columbia?- il ragazzo sghignazzò –Dio, mi fa senso sentirti dire queste cose. Potrei cominciare a credere che stai diventando una brava ragazza- Lindsay non rispose a quella sciocchezza –Ed è andato bene?-

-E’ andato.-

Rise un poco mentre si piegava sul volante –No, non sei cambiata affatto.- avrebbe voluto dirle anche lei qualcosa del genere, ma appurò che di Greg ricordava poco o nulla. Per lui era Il ragazzo delle sigarette indonesiane, nient’altro.

-E se dovessero prenderti?-

-Verrò qui a studiare. Altrimenti pace.-

-Cos’è, continuerai a vivere in Corea?- lo domandò con una punta di incredulità, quella stessa incredulità che aveva modulato la sua voce quando aveva trovato il biglietto aereo per Seoul sulla propria scrivania.

Lindsay non poté biasimarlo, fu forse per quello che non si scompose –Non è poi così male.-

-Non è che ti sei fidanzata, vero?- la risata rauca di Greg le permise di non perdersi nelle proprie incertezze.

-Per carità.- sbuffò, scorgendo in lontananza le luminare del ponte di Brooklyn ergersi sopra il tettuccio dell’auto. Quel posto lo odiava da quando Ginko l’aveva costretta a guardare a ripetizione il Behind the scene di Bad boy e Blue, starnazzando ogni tre per due quando quel mentecatto di GD compariva radom anche solo di spalle. Un sorriso però spuntò e Lin non poté che scuotere la testa. Chissà se Ginko se la stava passando bene senza i suoi mutismi…

-Quindi stai meglio lì che qui?- Greg sembrava scioccato o quantomeno sorpreso di fronte a tale, epocale avvenimento. Del resto, New York e Seoul erano due città talmente tanto differenti da risultare quasi impensabile che una disagiata come Lindsay, ben adattatasi alla vita selettiva newyorkese, potesse sopravvivere in un luogo fatto di restrizioni e usanze.

Un fievole sorriso le increspò le labbra mentre tornava a guardare fuori –Non sto bene. Ma mi trovo bene.- vide su di sé l’ennesimo sguardo pregno di incomprensione, ma Lindsay non si perse in inutili disquisizioni.

Lindsay non stava bene, aveva ancora un sacco di spettri che continuavano a tormentarla e che non sembravano intenzionati a lasciarla respirare, facendole così trascorrere una vita serena e priva di guai. Ma trovarsi… Essere in un posto e poter riuscire a dire Sono a casa, quella era una sensazione che da tempo le era mancata. E non ebbe bisogno di rovistare in chissà quale cassonetto di ricordi perduti per poterne spiegare il motivo. I motivi erano tanti, i motivi erano persone che le avevano riversato un affetto non richiesto e senza esigere nulla in cambio. Era Ginko che con voce stridula la svegliava la domenica mattina per chiederle se avesse visto il nuovo video da solista di GD –uno dei tanti risvegli traumatici a cui la sottoponeva, soprattutto perché nell’ultimo MV la shampista aveva avuto la brillante idea di fargli delle abominevoli treccine bionde che OhMioDio sono ancora in un incubo spacciato per realtà svegliatemi-, era Chyo che le lasciava post-it per augurarle il Buongiorno e si scusava se la lasciava a fare da babysitter a Minji, era Mark che accettava i suoi silenzi anche quando avrebbe dovuto dargli qualche parola, era… E’ Seunghyun che restava.

Che restava anche quando gli dava il peggio di sé perché il meglio lo aveva lasciato sotto le coperte a New York, con la speranza che sua madre potesse rifarle il letto e trovarlo e magari chiederle di tornare indietro; che restava anche quando gli aveva detto di andarsene perché gli avrebbe spezzato il cuore e lui era troppo buono per meritarsi la sua infinità, cattiva stupidità; che restava e si adattava. Si adattava, soprattutto. Si adattava ai suoi malumori, alle sue paure, ai suoi silenzi pieni di parole urlate, alle sue mezze frasi mai complete e che lui riusciva a decriptare, si adattava al suo cinico mondo di vedere il mondo, accettava il suo ostinarsi a non cambiare e nonostante tutto restava.

Seunghyun faceva tutto questo.

In quel momento, ormai lontana ore da lui, si accorse di come nessuno mai nella sua vita avesse cercato di adattarsi al suo caos. Lui invece, pur avendo visto il nero della sua esistenza, aveva deciso di farlo comunque.

Lindsay ripensò alle parole di sua madre e per un istante le parve di udire la propria voce chiedersi Resterà, mi accetterà, si adatterà ancora quando non sarà più giovane e bella?, parole che avrebbe voluto accartocciare, bruciare pur di non sentire il petto dolere.

Perché se non si adattava, se non si accettava, se non si restava l’amore non nasceva.

Lindsay aggrottò le sopracciglia quando avvertì il respiro mozzarsi in gola. Provò a catturarlo, ma quello le sfuggì talmente tante volte che gli occhi cominciarono a divenire lucidi senza un giustificabile perché. C’era che aveva voglia di piangere come mai le era capitato prima di allora e non riusciva a darsi una spiegazione.

C’era che lui, anche a distanza di kilometri e tempo, la faceva sentire strana.

E il primo sintomo della stranezza lo avvertì quando si rese conto di come il profumo di chiodi di garofano di Greg non potesse competere con quello di Seunghyun, di come la mano che Greg continuava a posarle sul ginocchio senza permesso non le desse altro che fastidio mentre riusciva a convivere con il non essere sfiorata da Seunghyun. Che c’era, era vivido e presente ma senza bisogno di farglielo notare.

Anche stando in silenzio, lui si faceva sentire.

-Fermati.- Lindsay udì la propria voce asciutta e che non ammetteva repliche spargersi fra il fumo della sigaretta appena accesa e lo sguardo scettico di Greg.

-Che?-

-Ho detto fermati.- scacciò la sua mano e portò la propria sulla maniglia, aprendo immediatamente la portiera quando l’auto si accostò al marciapiede. La brezza fresca di quella notte servì solo ad intontirla un poco ma fu incapace di spazzare via la matassa di pensieri che premevano per uscire all’aperto.

-Che intenzioni hai?- la portiera del guidatore si aprì con secchezza mentre Greg faceva capolino, stringendosi nel giubbotto –Vuoi farlo fra i rifiuti?- esalò ironico, indicando con un cenno del capo il mucchio di bidoni e sacconi che giacevano all’imbocco del vicolo. Lin roteò gli occhi di fronte all’eleganza urlata di quel bamboccio, alzando una mano in segno di saluto al barbone che si era voltato verso di loro con un sobbalzo.

-Devo fare una cosa.- fu tutto ciò che gli concesse, guardando in alto. Le parve di vedere il ponte di Brooklyn per la prima volta, nonostante abitasse a poche centinaia di metri di distanza. Fu come se l’avesse solo udito fra le descrizioni della Fujii e si sentiva una turista un po’ sperduta, incapace di descrivere quella benefica sensazione di mancanza che cominciava a pervadere ogni fibra del suo essere.

Sarebbe voluta scappare ma non perché non si trovasse bene, no. Semplicemente, c’era qualcuno dall’altra parte che l’aspettava e questo, Lindsay, non l’aveva mai vissuto. 

Ad ogni modo, se Lin cominciava a sentire i germi del cambiamento intaccare ciò che sempre era stata, c’erano cose che forse mai sarebbe mutate, come la pazienza di Greg. Tempo un minuto, e subito quella migrò per l’Africa, indisponendolo –Ehi, ti vuoi muovere?!-

-Ti vuoi muovere?-

Chi me lo ha già detto?

Non mettermi fretta.- la tonalità era la stessa, le parole pure. Perfino il suo stringersi nel cappotto non era cambiato. Il freddo era meno pungente, ma quella notte c’era la neve…

Fa un freddo cane qui fuori!-

-Fa freddo!-

Il giubbotto non era di pelle. Era un cappotto rosso fra auto nere e neve bianca, in contrasto con dei capelli di un indimenticabile color menta. Erano ingellati, non lisci e castani…

-Entra, allora- ribatté asciutta

-Nessuno ti ha chiesto di aspettarmi.-

 

-Non sei costretto ad aspettarmi.- mani in tasca, Lindsay si voltò con lentezza, intimorita al pensiero di trovarsi dietro le spalle lo spettro di Seunghyun. Incredibile come il passato continuasse a mescolarsi con il suo presente senza distorcerlo, incastrandosi alla perfezione.

Lui tentennò –Si può sapere che cazzo vuoi fare?-

-Voglio stare un po’ qui.-

-A fare cosa?!-

-C’è bisogno di un perché per poter stare un po’ qui?- gli rifilò quella domanda con assoluta placidità, come se non ci volesse un master per addentrarsi fra le sue stramberie. Quel discorso stava sfociando nell’assurdo, ma non le parve divertente. Non se Greg sembrava avvilito nel veder sfumare una sana notte di sesso –E comunque, puoi anche andartene se non vuoi stare qui.-

-Sei seria?- domandò incredulo.

Lin non si mosse. Non annuì e nemmeno gli rifilò un delizioso medio alzato. Si limitò a far sì che le proprie parole taciute potessero perforargli il cranio tanto erano stridule, ma quello continuava a restarsene immobile e con l’espressione di chi non crede alla realtà dei fatti. Non era da lei rifiutare un invito a letto, non era da lei comportarsi da adolescente in piena crisi esistenziale così come non era da lei dare una risposta ovvia ad una sciocca domanda –Ovvio che sì.- eppure gliela diede. Forse voleva testarlo, in quel momento non seppe nemmeno lei cosa stesse combinando.

Lindsay si era detta che se Greg avesse aspettato, forse una delle sue tante convinzioni sarebbe potuta crollare: gli uomini sono tutti uguali. Se lui avesse atteso, Lindsay avrebbe visto sparire lo spettro di Seunghyun, avrebbe potuto godersi quei pochi giorni di libertà senza remora alcuna, comportandosi come la bambola di porcellana che era, di quelle che tendono a creparsi pur di non venir esposte.

Ma Greg non attese. Ci provò, si scazzò e alla fine se ne uscì con un –Cristo, ma che cazzo ti succede Lindsay?- alzando le mani in alto in segno di resa –Chiamami quando sarai tornata in te, ok?-

Avrebbe voluto dirgli che lei era già in sé, solo faticava a comprendersi. Udì lo sbattere della portiera, ma non fece male alcuno; udì il motore avviarsi, ma non tremò neppure; udì la macchina allontanarsi ma non ebbe l’impulso di inseguirla. Forse solo con certe persone si provava dolore. Forse gli stessi gesti, se compiuti da chiunque, non avevano lo stesso valore se fatti da chi era importante. Ricordava di aver sentito il proprio cuore sparire quando, quel giorno di dicembre, Seunghyun se ne era andato senza nemmeno lasciarle un ultimo, stupido bacio; ora provava solo sollievo nel non aver ricevuto nulla.

Si acquattò in un angolo, lasciandosi cadere su di una panca vicino ad un gruppetto che stava litigando su chi dovesse bere l’ultima birra.

Recuperò il cellulare; nessuno messaggio svettò, così come nessuna chiamata persa lampeggiò. Nulla di nulla. Sembrava che tutti si fossero dimenticati di lei mentre Lindsay continuava a rincorrere il loro pensiero. Era una sensazione atroce, di quelle a lungo causate ma mai provate. Mentre ravanava nella rubrica e avvicinava il cellulare all’orecchio, non dopo essersi data della cogliona patentata, Lindsay capì perché Shirley molto spesso le aveva rimproverato di non essersi mai fatta sentire mentre era in ferie. Sarebbe bastato un messaggio, le aveva sempre detto sull’orlo dell’incazzatura, Sai che a me fa piacere sentirti. Mi fa capire che ogni tanto mi pensi. E aveva sempre riso della sciocchezza di Shirley, calpestando la sua necessità di doversi sentire pur di sapersi legate. Le voleva bene, non aveva bisogno di sciocchi Sms per dirglielo perché se avesse avuto bisogno, lei sarebbe corsa fra le strade di New York per raggiungerla. Ma questo lo aveva solo pensato; forse, se glielo avesse detto anche solo una volta, Shirley sarebbe corsa a prenderla all’aeroporto invece di andare in ferie con il suo nuovo fidanzato.

Le macchine sfrecciavano a gran velocità ed illuminata dai loro fari, Lindsay poteva udire il chiacchiericcio dei passanti scalpicciare sui proprio pensieri, eppure si sentiva terribilmente sola.

Il telefono squillava libero, ma nessuna voce la raggiunse facendola precipitare nello sconforto. E fu in quel preciso istante che realizzò quanto lo odiasse, perché mai da quando aveva cominciato ad uscire con i ragazzi, uno di loro si era permesso di costringerla a dover chiamare pur di non sentirsi avvolta dalla solitudine. Non era da lei cercarli, non era da lei abbassare il capo se, all’ormai decimo squillo, non le venivano a rispondere…

-Choi Seung-Hyun, chi parla?-

Non era da lei ritrovarsi sull’orlo delle lacrime, solo per aver udito la sua voce.

Baritonale, profonda, stanca.

-Pronto?-

Dio, quanto gli era mancato.

-Ehi.- mormorò sfibrata, appoggiando la nuca contro il muro. Il silenzio dall’altra parte le fece tremare. Lei che sempre lo aveva apprezzato, ora cominciava a non sopportare la mancanza di parole.

Ma il suo sorpreso –Ciao, Lin.- giunse come un fulmine a ciel sereno e lei si sistemò meglio sulla panca, conscia che non l’avrebbe lasciata andare via. Ancora. Però non le disse null’altro, costringendola a frugare nella propria mente alla ricerca di domande da porgli, pur di non premere sul tastino rosso.

Che fosse la sua punizione per essersene andata senza dirgli come stavano le cose?

-Stavi dormendo?-

-No, perché?-

-Sembri stanco.-

-Lo sono- un sospiro sopraggiunse –A lavoro mi stanno massacrando. GD è più rompipalle del solito, ultimamente- udì la sua voce farsi distante e rivolgersi in coreano stretto a qualcuno. Captò solo le parole Se7en, Stronzo, Non rompere e Sei morto –Scusami, c’è Se7en che—

-Che rompe, lo so- ridacchiò un poco quando udì l’altro salutarla a squarciagola e poi l’imprecazione baritonale di Seunghyun –Però non ucciderlo, mi sta simpatico.-

-Come fa a starti simpatico?!- la sua voce incredula la perforò; dovette stringere le labbra per non scoppiare a ridere come un cretina –E’ un ameba!-

-Un ameba carino.-

Ci fu una pausa, poi la sua voce paziente –Ti ricordo che è quasi sposato, ormai.-

Alzò le spalle –Non è mai stato un problema.- si ritrovò a sorridere serafica quando lo smadonnamento di Top si eclissò dietro minacce di morte indirizzante all’ameba.

-Ad ogni modo…- se lo immaginò mentre si passava una mano fra i capelli; lo faceva sempre quando non sapeva come gestire il discorso -Qualcosa non va?-

Aggrottò le sopracciglia –Perché non dovrebbe andare?- si era aspettata un Come stai e convenevoli del cacchio che avrebbero portato ad una delle loro solite chiacchierate non-sense dove si dicevano tutto e niente, dove lui aveva la strabiliante capacità di estrapolare un pezzettino di lei per volta. Come se fosse facile voltarsi e dirgli Sai? Oggi è una giornata di merda, il che implicava una buona dose di pazienza, perché ciò avrebbe portato ad ulteriori domande che l’avrebbero costretta a tenere vivo il discorso. O ci avrebbe pensato lui, per lei.

-Perché non è da te chiamarmi.- sottolineò.

-Non dovevo?- lei e la sua stupidità.

-No, anzi, mi fa piacere- immaginò anche il suo sorriso. Incredibile come potesse ben delineare tutto senza sbavature, senza distorcere alcun dettaglio. Era come se lui fosse lì, davanti a lei –Come va lì a New York?-

-Va bene.-

-Sicura?-

-Aha. Mamma non rompe. E’ diventata quasi umana.-

Seunghyun rise –Meglio per te- ci fu un altro attimo di silenzio, ma questa volta non fu insopportabile. Forse lo fu per il suo credito che stava esaurendosi, ma non per lei –Oi, lo sai che puoi parlarmi, vero?-

Lin inclinò il capo –Non lo stiamo già facendo?-

-No, intendo…- forse si stava mordendo il labbro inferiore, forse stava giocherellando con qualcosa -Sei hai un problema, puoi parlarmene. Quel tipo di parlare.-

Le gambe di Lin vennero scosse da tremiti, perfino il suo cuore tremò di fronte a tutta quell’accortezza. La strabiliante capacità di Seunghyun nel comprendere come quella non fosse una banale chiamata di piacere andava al di là della sua limitata concezione e tutto ciò che Lindsay fu capace di esalare fu uno sfuggente –Non ce n’è bisogno.- anche se mille e più parole premevano sulle sua labbra, incapaci di scivolare. Si stava lasciando sfuggire talmente tante occasioni che più il tempo passava, più diveniva difficile parlargli dei suoi progetti.

-Mh, oh, beh, ok…- era una cretina, decisamente –Allora se non c’è altro, ci sen--

Seung-Hyun…- lo interruppe piano, svigorita. Pesavano troppo, tutte quelle parole. Non aveva più la forza di sorreggerle e nasconderle…

 

-Sì?-

-Per New York, ecco. Il motivo per cui sono qui…-

 

Voleva che sapesse, che non vivesse all’ombra della sua immaturità. Voleva renderlo partecipe del cambiamento…

 

-Per il compleanno di tua madre, me lo avevi già—

-No, ecco—

 

Voleva che sapesse e accettasse, si adattasse…

 

-C’è dell’altro?-

-Io—

-Lin, mi fai preoccupare se fai così.-

 

Che restasse, nonostante tutto.

 

-Scusami.-

 

Il silenzio li avvolse ancora, ma questa volta fu diverso. Fu come essere avvolti da incredulità per quella misera parolina che gli aveva rivolto e che lui, probabilmente, stava ancora metabolizzando. Lin si lasciò divorare dalla pavidità che aveva preso il sopravvento sul suo coraggio venuto ormai a mancare. Lo avrebbe compianto se non si fosse trovata a stringere le labbra e gli occhi pur di non piangere per sé stessa.

-Scusami, scusami tanto.- ripeté tremante, conscia che questa volta non l’avrebbe capita.

-Per cosa?-

Sapeva che quello era il momento per dirgli tutto, ma imboccò la via più facile senza guardarsi indietro -Per non averti detto prima che sarei tornata a casa, per-- chiuse gli occhi e avvertì le ciglia inumidirsi. Per non averti detto della Columbia…

Deglutì, incapace di continuare.

Avrebbero voluto chiedergli scusa anche per aver accettato una notte di sesso con quel pirla di Greg, per aver cercato di dimenticare lui sotto le lenzuola di qualcun altro. Ma non ci riuscì. Sentiva che l’aver rifiutato tutto questo per starsene in lacrime su di una panchina a crogiolarsi nel proprio patetismo fosse già abbastanza.

Il suo –Lin…- sinceramente colpito arrivò mite, ma solo quando i fari di un auto la illuminarono, la ragazza si rese effettivamente conto di ciò che stava accadendo. Che lei era davvero ferma su di una panca con le lacrime in procinto di rigarle le guance e un tremolio che non voleva saperne di cessare, che davvero aveva rifiutato di andare a letto con uno dei tanti perché sapeva che mai sarebbe stato come sentire il corpo di Seung-Hyun stretto al proprio, che lei davvero lo aveva chiamato solo per accertarsi che fosse ancora lì.

Che lui, dall’altra parte del mondo, la stava aspettando.

E ritornò in sé, per una frazione di secondo, giusto il tempo di fermare ogni sua parola con un secco –Solo questo, ecco…- mentre si asciugava le lacrime, storcendo il naso nel vedere la mano sporca di mascara –Ora devo andare. Ciao.-

-Lin—

Chiuse la chiamata e posò il telefono sulle cosce, mentre le mani andavano a districare i nodi fra i lunghi capelli con la speranza che riuscissero ad eliminare anche quelli nel suo cervello.

La vibrazione del cellulare la risvegliò. Quel messaggio tanto atteso era arrivato nel momento peggiore della sua vita, quando un miscuglio di emozioni contrastanti stava contribuendo a demolire quel briciolo di razionalità che ancora non le aveva permesso di crollare. Era uno dei suoi soliti messaggi di poche parole che ai suoi occhi dicevano tanto, che in mezzo alle interruzioni dei loro discorsi assumevano tonalità ben definite e che davano un senso a tutto…

 

Va bene così Lin, lo sai?

 

E lei non seppe cosa le stesse accadendo e nemmeno perché scoppiò a piangere come una scema.

 

Seppe solo che per un breve istante, si sentì innamorata di Choi Seung-Hyun.

 

******

 

Guancia appoggiata sul palmo aperto, Seung-Hyun fissava adombrato il telefono appena posato sulla penisola in mogano della cucina illuminata. L’indice continuava a farlo roteare, quasi aspettasse che la vibrazione annunciasse l’arrivo di un Sms e una chiamata. Si scompigliò i capelli.

Era vano aspettarsi un miracolo quando il più grande era appena avvenuto.

Lin lo aveva chiamato. Inaspettata, gli aveva rifilato quelle parole ingarbugliate e senza alcun senso che lui aveva cercato di districare, perdendosi nella sua stranezza. Fu come se tutto il discorso fosse stato appeso ad un filo e più le parole inutili venivano scagliate, più questo andava consumandosi, arrivando alla definitiva rottura. E quando ormai si era spezzato, nient’altro gli era rimasto. Gli erano avanzate parole messe in fila, ordinate, ma che non volevano dire nulla. Gli era rimasto uno Scusami che voleva dirgli tanto, troppo, ma lui proprio non riusciva a coglierne il senso.

C’erano tane cose non dette, tante cose nascoste che Seung-Hyun avrebbe voluto prendere il primo aereo per New York e parlare con Lindsay, ma parlare per davvero.

-Come sta Lindsay?- la voce di Se7en, ora impegnato a non bruciare casa mentre si destreggiava tra i fornelli, lo raggiunse placida.

-Bene. Credo…- smise di giocherellare con il cellulare.

-Credi?-

-Sembrava strana, ma non ha voluto dirmi cosa non andasse.-

-Magari sta andando tutto bene.-

-Già. Ma non è da lei chiamarmi.- puntualizzò per la seconda volta, massaggiandosi le tempie mentre tentava di capire cosa stesse accadendo. Per un breve istante, quando le parole di Lin erano venute meno e il silenzio aveva fatto loro da padrone, Seung-Hyun se l’era immaginata avvolta in un nuvolo di lenzuola candide con al proprio fianco qualcuno che non era lui, ora impegnato a dormire dopo essersi appagato con il suo corpo. Si era sentito così importante, per una frazione di secondo, da credere che tale avvenimento avesse stimolato il suo senso di colpa ad uscire allo scoperto e che lui, uno tra i tanti, meritava una spiegazione o delle scuse.

Sorrise della propria scemenza. Lui, importante per Lindsay? Certo, e Se7en non era un rompicoglioni…

-Magari voleva solo sentirti- ipotizzò con noncuranza –Insomma, siete insieme da un po’ e—

-Non siamo assieme- quella frase gli uscì con pesantezza, come se non ne potesse più di quella situazione in bilico –Ci frequentiamo. E basta.-

-A me non sembra un E basta- agitò il cucchiaio –E comunque, pensavo saresti stato più felice- Dong-Wook si voltò –Sbaglio o non la sentivi da quando è partita?-

Annuì –Sì, ma sono abituato- confessò con un sorriso amaro, catturando la sua attenzione –Credevo volesse lasciarmi, prima di andarsene, sai? E’ tornata in America dicendomelo all’ultimo- si stiracchiò e scivolò lungo la sedia -Ho pensato che volesse fuggire.- e lo aveva pensato davvero quando nella quiete della sua camera si erano addentrati per quell’impervio discorso. Gli ritornarono alla mente tutte le frasi non pronunciate, tutte le parole dette per tentare di farle aprire gli occhi sulla loro realtà, per farle capire che lui non le avrebbe fatto del male, non ci avrebbe nemmeno pensato.

E quando l’aveva stretta a sé senza vestiti, avrebbe voluto dirle Ti ricordi quando ho detto che forse anche io ti avrei spezzato il cuore? Ecco, dimenticalo, non potrei mai riuscirci, ma sentiva che quell’attimo di felicità non andava deturpato con confessioni sciocche. Andava preservato, curato e forse sarebbe arrivato il momento giusto per dirle tutto.

Quando le parole avrebbero smesso di perdersi, quando i battiti avrebbero smesso di fremere, quando sarebbe arrivato al limite e voltandosi avrebbe detto Sì, è decisamente amore.

Seung-Hyun non si accorse della presenza di Se7en fra i propri pensieri. Nemmeno si accorse di avercelo ormai seduto vicino, con una ciotola di riso fumante piazzatagli sotto il naso. Lo guardò e nei suoi occhi vi lesse una domanda difficile, che se pronunciata avrebbe portato solo dolori. Attese e dopo qualche istante l’amico parlò -Non hai mai pensato che un giorno potrebbe andarsene?-

Per poco non sputò il riso -Cosa?!-

Se7en storse il naso -Non vive qui- c’era durezza nelle sue parole -La sua casa è a New York.-

Top avvertì la terra crollare sotto la sedia. Cosa voleva dire che casa sua era a New York? Suo padre non abitava forse a Seoul? Lin aveva due case, non una. Stava a lei scegliere quale effettivamente fosse quella in cui valeva la pena vivere. Dati i rapporti burrascosi con la madre, non gli ci volle molto per darsi una risposta.

-Si sente più a casa qui che con sua madre.- esalò piccato, messo di fronte ad un’eventualità che non aveva mai preso in considerazione. Lindsay che si trasferiva era forse un incubo mai pensato, paragonabile allo scioglimento della band. C’erano cose che non attraversavano il suo cervello, troppo fragile per poterne reggere il peso; Lindsay che se ne andava era una di quelle.

La sua mente era limitata, se ne capacitò solo in quel momento. Aveva sempre creduto che l’allontanamento di Lindsay equivalesse alla loro rottura. Avrebbe procurato un dolore lancinante, di quei mali che non avevano cura o rimedio e il veleno dei loro momenti assieme sarebbe scorso nel suo cervello, senza alcun antidoto a poterlo sconfiggere. Avrebbe però potuto rivederla. Gli sarebbe bastato andare al Tribeca per scorgerla fra la folla vestita in chissà quale bizzarra maniera, gli sarebbe bastato appostarsi di fronte al viale di casa sua per poterla vedere intenta a giocare con Minji, gli sarebbe bastato poco per poterla rincontrare e sperare che cambiasse idea su di loro. Ma l’oceano, i chilometri… Cristo, al solo pensarci il cuore cominciava a creparsi.

Se se ne fosse andata, come avrebbe fatto a trattenerla?

Come avrebbe potuto rammentarle ogni giorno quanto lui la volesse, se per poterla raggiungere avrebbe dovuto attendere all’Incheon airport in attesa che il gate aprisse? Per dirle che più delle cose belle che aveva da offrirgli, lui si sarebbe accontentato di naufragare nel peggio che aveva, soprattutto in quello. Che gli spigoli delle sue imperfezioni erano ciò che più adorava, che non avrebbe messo nulla fuori posto giacché tutto era in ordine seppur sommerso dal caos.

Che lei era perfetta nel suo essere così piena di dettagli da aggiustare, eppure lui non avrebbe modificato nulla.

Se7en doveva aver scovato la palude di incertezze nelle sue iridi scure perché dopo averlo guardato con un sorriso, gli rifilò un mite –Come fai a non essertene ancora accorto?- che lo lasciò interdetto. Era mai possibile che tutti gli parlassero per enigmi?!

-Di cosa?-

-Di quanto tu la ami.-

Era un’idea più volte presa in considerazione, non era uno sprovveduto. Ma pensarlo soltanto e sentirselo sbattere in faccia con così tanta crudezza erano due cose ben diverse. Lo guardò allucinato –Oh, ma per fa—

-Dovresti smetterla di mentirti, non fai altro che farti del male- lo interruppe brusco –Penavo ci saresti arrivato prima, ma vedo che sei piuttosto tardo per queste cose.- lo prese in giro con una risata che avrebbe dovuto lenirlo, invece servì solo a farlo incazzare.

-Oh, e sentiamo, da cosa l’avresti capito?- si mise a braccia conserte, un sorriso sornione pendente sulle labbra. Era proprio curioso di sapere quale patetica confessione avesse da proporgli.

Se7en inclinò il capo, l’espressione mortalmente seria –Dai tuoi occhi.-

-Dai miei— sbuffò –Wook, dovresti smetterla di bere. Ti fa male.-

-Sono serio- poggiò la guancia sul palmo aperto, puntellando l’indice sulla sua fronte –Il modo in cui la guardi dice tutto.-

Come un maniaco?, avrebbe voluto confessargli, ma un blando –E come la guarderei?- fu tutto ciò che gli concesse, pronto a ripararsi dal mucchio di stronzate che gli avrebbe propinato. Sicuramente gli avrebbe detto Sembra di vedere prati verdi e cieli blu, oceani scintillanti e limpide acque in cui specchiarsi. Oppure gli avrebbe propinato i soliti triti e ritriti Come se fosse la cosa più bella che ti sia mai capitata fra le mani…
 

-Come se stesse per crollare a pezzi da un momento all’altro.-
 

Ma di fronte a queste cose, non ci si poteva proteggere.

Seung-Hyun avvertì i muscoli del volto tendersi mentre le labbra si spezzavano, incapaci di aprirsi e far galleggiare quella risata liberatoria che continuava a comprimergli i polmoni. Non gli venne da ridere e neppure da sorridere. Quella frase era talmente pesante, talmente vera che ebbe il terrore di scoprirne il significato recondito.

Lindsay sembrava sempre in procinto di spezzarsi.

L’animo forte che mostrava con l’ironia e il sarcasmo di chi ha deciso di ripararsi alle intemperie del mondo, era il collante di tutte quelle minuscole crepe che continuavano a riempire il suo corpo.

-Quello è un modo stupido di guardare le persone.- constatò amareggiato, spaurito al pensiero che perfino Lindsay avrebbe potuto notare tali sfaccettature nei suoi occhi scuri.

-No, direi di no. Pochi ci riescono- ribatté ferreo –Ogni volta che la guardi, è come se volessi salvarla e il resto non conta- la forza con cui rimarcò quelle ultime parole lo costrinse a deglutire –Quando il resto non conta, quello è amore.-

Scosse la nuca con vigore, torturandosi i capelli mentre lo sguardo si disperdeva su tutto fuorché l’amico, capace di leggergli dentro più di quanto lui stesso ci riuscisse. Incredibile come Dong-Wook potesse comprenderlo mentre lui faticava a darsi delle risposte -Ti sbagli.- ripeté sfiancato, nemmeno più sicuro delle proprie convinzioni.

Se7en parve accorgersene perché dopo aver alzato le spalle, tornò a concentrarsi sul riso –Come vuoi- lo guardò di sottecchi –Ricorda che poi, però, potrebbe essere troppo tardi.-

Troppo tardi...

Fu nel silenzio che Dong-Wook gli regalò, che Seung-Hyun si rese conto di essere ormai giunto al famoso limite. Che voltatosi indietro, poteva vedere ormai distante la linea del semplice affetto mentre il punto di non ritorno sostava sotto i suoi piedi. Che lui aveva già sorpassato il Troppo tardi, era andato oltre...

Che lui amava Lindsay, l’avrebbe salvata da sé stessa, se solo gliene avesse dato la possibilità. Che lui, tutto questo, lo stava facendo già un po’.

-Cristo.- il capo gli cadde con indolenza mentre le dita vagavano disperate fra i capelli scuri, forse alla ricerca di quegli sciocchi pensieri che gli avevano fatto venire le palpitazioni.

Perché quella sciocchezza appena pensata spesso gli era girovagata per la mente, ma mai si era concretizzata come una certezza. La certezza era il cuore che gli tremava, le vertigini che lo assalivano e gli occhi pieni di tutto quello che lei gli aveva dato con la sua enorme semplicità.

Dong-Wook alzò il capo dalla ciotola, guardandolo con sopracciglia arcuate –Che succede?-

-Succede che sono nella merda, ecco cosa succede.-

-No, veramente sei nella ciotola di ri—

-Pensavo mi piacesse, tanto. E sarebbe bastato così e invece...- si paralizzò –Credo di am-- si interruppe, stropicciò gli occhi e tornò a guardarlo, in cerca di un sostegno.

-La ami?- domandò per lui l'amico, una vena di divertimento nella sua voce. Perché quello stronzo non lo sosteneva invece di comportarsi da idiota?! 


–Dimmi che è uno scherzo, ti prego- ma dal silenzio che ne seguì, gli fu ormai chiaro quanto non potesse più tornare indietro –E’ tutto troppo… Spaventoso.-

Seung-Hyun non ascoltò le seguenti parole di Se7en.

L’unica cosa che udì fu un sospiro, una pacca sulla spalla e una serie di rassicurazioni che non decifrò. Ma una frase, più di tutte e tra tutte, riuscì ad insinuarsi fra i suoi pensieri. Che non era la fine, che la vita continuava…
 

Anche quello è amore, non lo sai?-

 

Che la paura di amare Lindsay, era l’amore stesso.

 

 

 

 

A Vip’s corner:

Ammetto che premere su "Aggiungi un nuovo capitolo" è stato difficile, più difficile ancora di quando ho postato il primo capitolo di Something. Mi sono detta però che o era adesso o mai più, tanto l'insicurezza sarà sempre la migliore amica, non credo me ne libererò mai.
Ed è per questo che vi dico: purtroppo per voi sono tornata.

Mh. Avete presente gli EXO? Che hanno fatto questo comeback tanto a lungo aspettato –e che avrebbero fatto meglio a non fare perché Sehun mi sta dando troppi colpi all’anima e io sono troppo vecchia per fangirliggiare-? Ecco, bene, io in questo momento mi sento come Kai che se ne è uscito fuori con delle OhMioDio che cazzo sono quelle treccine. Io mi sento così. Mi sento come le tanto maltrattate treccine di Kai. ‘No schifo, insomma D:

Mi ero ripromessa di non pubblicare per molti mesi ancora, giusto il tempo di stendere la maggior parte dei capitoli così da non far passare ere per ogni pubblicazione. Ma prevedo tempi bui sul fronte lavoro ed ispirazione, quindi ho approfittato di questa quiete per farmi viva.

E probabilmente se Lana Del Rey non avesse sfornato quella meraviglia che è Young and beautiful, forse non sarei qui. Mi ha ispirata come sempre quindi se il capitolo fa schifo prendetevela con lei e ormai non so più come dirlo che la adoro. Quindi boh, chiunque avesse una sua statua in camera è pregato di inviarmela via posta prioritaria o magari a cavallo di quel tenero Mio mini pony che è Sehun, così mi tengo pure lui, così la smetto di riversare tutto il mio amore cantando le sue canzoni. I miei cominciano ad averne le palle sature ♥

Vorrei dilungarmi di più sul capitolo, ma penso non ci sia molto da dire. Questo è IL capitolo del cambiamento/miracolo chiamatelo come più vi aggrada e spero davvero di essere riuscita a delineare bene l’evolversi dei PG. Spero di non essere corsa troppo. Le scene non sono uscite come me le ero immaginate, ma tutto ciò che dovevo dire l’ho detto. Spero inoltre di non aver perso il mio smalto, che tutti i pensieri si colgano e che i personaggi non siano andati troppo alla deriva. In caso contrario, fatemelo notare con tutta la spensieratezza di questo mondo.

Passerei ai ringraziamenti (ah, come mi era mancata questa parte ç.ç) che questa volta sono più sentiti del solito. Nel senso… Mi avete dato così tanto sostegno che boh, avrei voluto inviarvi un GD virtuale solo per farvi capire quanto io vi sia grata: a ssilen, BellaChoi, kassy382, Amy_chan, MionGD, AngelNavy, TheshiningSofia, giorgtaker, uwan e Lavinioskij va tutta la mia gratitudine. Come sempre, vorrei dirvi più di un banale Grazie ma con le parole, a meno che non servano per le fanfiction, sono proprio una frana. Vi prego di prenderlo con tutta la sincerità di questo mondo, questo capitolo è più per voi che per me.

Ci tengo poi a ringraziare coloro che mi hanno lasciato degli MP su EFP e su FB. Grazie mille a Appler_Girl e fantasticbaby98, a Fuyuko_Dong (tu non puoi nemmeno immaginare quanto mi abbiano commossa le tue parole, sono arrivate al momento giusto) e Shinushio (donna, non so più come ringraziarti per le botte d’autostima che mi dai e per il tuo essermi vicina anche quando potresti essere distante. Ti dico solo: sono un Top fortunato, so che capirai ♥ Ed i bocca al lupo per tutto, te lo meriti ♥)

Ringrazio inoltre coloro che hanno aggiunto Something about you fra le ricordate/seguite/preferite, chi legge in silenzio e tutti quei pazzi che mi hanno infilata fra gli autori preferiti. Se mi volete vedere morta, ci state riuscendo alla perfezione.

Un’ultimissima cosa prima di sparire: potrebbero esserci sbalzi temporali ed errori. Chiedo venia, ma nel caso fatemeli notare così da poterli correggere.
 

Alla prossima ♥

HeavenIsInYourEyes.

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Capitolo 29
*** Leave your shoes at the door (Prima parte) ***


Capitolo 29

Leave your shoes at the door

(Prima parte)

 

 “Leave your shoes at the door, baby 
I am all you adore, lately.
Come with me and we will run away”
-Imagine dragons, Hear me-

 

 

L’ora sul cruscotto lampeggiò in verde: le 2:17 di un giovedì notte qualunque si stavano sciupando fra canzoni dei Coldplay messe a ripetizione –ma solo perché la lametta l’aveva dimenticata a casa- e sigarette consumate come se piovesse. Il respiro condensato in sbuffi di vapore si mescolava al fumo della MS appena finita, nel posacenere dell’auto c’erano almeno una decina di mozziconi, impossibile dirsi se fossero lì da settimane o pochi minuti. Se Dae avesse visto il caos che regnava nel suo santuario a quattro ruote, di sicuro gli sarebbe partito un embolo. Mh, poco male… Un’isterica in meno nella propria vita.

Si sporse sul sedile del passeggero quel tanto che bastava per osservare il silenzio immobile della via in cui si era appostato, lasciando che lo sguardo scorresse lentamente lungo tutta la parete di mattoni del palazzo. Lo faceva sempre per darsi tempo, nella vana ricerca di un qualsiasi dettaglio o particolare che lo facesse desistere dal commettere la non numerabile cazzata che avrebbe finito con l’intaccare la propria coscienza, ormai raggomitolata in un angolo. E qualcosa riusciva sempre a trovarla, alla fine: la strada troppo lunga che lo separava dall’auto al portone d’ingresso, la quantità esorbitante di scalini che avrebbe dovuto scalare per giungere all’ultimo piano di un condominio pericolante, vari ed eventuali paparazzi appostati dietro bidoni… Ma poi il suo sguardo si arrestava sulla finestra illuminata e allora ogni desiderio di resa diventava un ricordo, nulla più.

Si afflosciò sul sedile, mordendosi il labbro inferiore.

Ji Yong non seppe spiegarsi cosa ci facesse lì, con la macchina spenta ascoltando solo il frastuono dei propri pensieri. Le dita tamburellavano sul volante, scandivano il tempo ormai distillato in ore e quando sentì di dover fare un passo indietro, di darsi un limite e imporsi un secco quanto terrificante No, i piedi erano già sul marciapiede, la macchina spenta e chiusa e i timori erano solo un ricordo abbandonato all’ingresso. Salì le scale con una velocità che non gli apparteneva, le mani strette nella tasca dei jeans sdruciti per darsi una parvenza da duro quando in realtà ogni brandello di anima stava tremando. Bussò, neppure se ne rese conto. Fu tentato di tornare indietro ma il cigolio della porta bastò per farlo immobilizzare. O forse fu la sua espressione a mandarlo in black out.

Tutto di Ginko lo bloccava.

A partire dal suo sguardo sospeso coperto da un paio di occhiali dalla montatura troppo spessa e troppo nera, in netto contrasto con la capigliatura rossa creimisi legata in un’acconciatura di salvataggio.

Ricordava ancora la sorpresa che aveva aleggiato sul suo volto qualche settimana prima, quando si era presentato al suo cospetto senza invito e senza un motivo apparente. Dovevano parlare, così le aveva detto, lasciando che le parole venissero lambite dalla noia e da un desiderio di scappare il più in fretta possibile che andava scemando mano a mano che i suoi piedi si allontanavano dalla porta d’ingresso, ormai serrata dietro le sue spalle. Ricordava l’odore di the che aveva invaso la cucina, quello stesso profumo con cui sua madre era solito svegliarlo ogni mattina, il suo modo sconclusionato di scegliere quale bustina buttare nell’acqua, per poi lagnarsi perché Ma io volevo quella alla pesca, non quello al limone! E’ tutta colpa tua, mi fai fare sempre cavolate!

Non aveva risposto alla domanda clue che aveva seguito quel carosello di demenzialità, quel Si può sapere cosa ci fai qui?, a cui ne erano seguite altre cento, fino a che l’interrogatorio si era trasformato in un monologo su quanto lui fosse un imbecille, il classico demente che prima diceva una cosa poi ne combinava mille diverse, che la stava sporcando o qualche stronzata del genere… Ji Yong era rimasto in silenzio, lasciando che la propria immagine venisse tratteggiata da quella vocetta stridula a cui fino pochi giorni prima avrebbe voluto inserire il muto, mentre ora pregava silenziosamente che non smettesse.

E mentre quella parlava, mentre le sue mani si agitavano tagliando l’aria ormai calda e che sapeva di pesca immersa in quintali di zucchero, Ji Yong non poté non pensare alle tiepide giornate autunnali che imbrunivano in un inverno freddo, quei pomeriggi passati ad osservare la sagoma di sua madre che preparava i biscotti, il caffè o semplicemente fumava, i muscoli rilassati e l’aria di chi doveva fare pulizia di pensieri. L’odore acre del fumo pizzicava le sue narici eppure non riusciva a starle lontano, cercando di capire perché mai fosse così stanca e spenta, così diversa dalla donna solare ritratta nelle centinaia di foto che adornavano il salotto di quella villetta sperduta in un paesino impronunciabile. E lui glielo chiedeva, spesso e ostinatamente, e lei si apriva in un sorriso raggiante che fermava il tempo e raffreddava gli animi, di quelli che riuscivano a placare anche la rabbia di suo padre quando rincasava da lavoro spossato e furibondo.

Lo sbattere improvviso della mano sul tavolo aveva fatto svanire il ricordo di sua madre in polvere fuligginosa, quasi ad accentuare la vecchiaia di quel momento che da tempo non tornava a fargli visita. Per un effimero istante, Ginko gli aveva ricordato sua madre. A partire dai suoi movimenti delicati, dalle labbra piegate all’ingiù e nel suo rimproverarlo, nell’ardore che risplendeva nei suoi occhi scuri dietro le lenti e nei suoi continui Vuoi rispondermi, maledizione?!, senza però accontentarla.

Aveva capito in quel momento quanto fosse semplicemente beatificante starsene lì, nel semibuio di una stanza con lei che sbraitava e si rendeva meravigliosamente accattivante. Le donne in tuta o in pigiama non gli erano mai piaciute, perdevano la loro leggiadria e quel senso di mistero di cui amavano attorniarsi. Ma la Fujii aveva l’innata capacità di risultare guardabile perfino con quella maglietta di Re Boo che faceva la linguaccia e i pantaloni con i Goomba schiacciati da tanti piccoli Super Mario, mostrandogli una naturalezza che non sembrava imbarazzarla mentre lui se ne stava fermo ad ascoltarla.  

La sua spontaneità era una calamita, lo aveva ammesso a sé stesso non senza un pizzico di timore.

Il tempo era diluito dai suoi sguardi lapidari, le frasi tronche e terminate in sospiri esasperati, quella miriade di puntini di sospensione che avevano lasciato dietro sé una scia che vanamente aveva tentato di raggiungere ed interpretare. C’era stato il lento salire della tensione, così palpabile da rendere ogni gesto pesante e marcato, un inevitabile avvicina, e infine quel levarsi di recriminazioni e frasi taglienti scagliate con ferocia, incuranti del loro scavare ogni ferita sempre più in profondità.

-Che Diavolo vuoi ancora, Ji Yong?- lo aveva pronunciato stancamente, ancora poteva rimembrare con chiarezza la desolazione che aveva intaccato ogni sillaba. 
Si era calmata, le mani tiravano i lembi dei pantaloncini e attendeva che la sua voce monocorde incorniciasse l’aria. Le aveva restituito un silenzio sospeso mentre si guardava attorno e cercava una via di fuga, ritrovandosi incuriosito da tutto ciò che arredava quella stanza grossa quanto il suo bagno. La miriade di fiori che davano una tonalità allegra alla spigolosità di quell’istante, le foto ingiallite della sua infanzia e quelle del suo presente. 
Ogni angolo sembrava raccontargli qualcosa di lei, come se dietro quella facciata di gioia immotivata vi fosse qualcosa di più profondo e lui se ne era accorto da tempo, da quando la sua spensieratezza aveva colliso con il suo cinico modo di vedere il mondo che lo circondava.

Forse scappare non era stata la mossa migliore. Forse per una volta doveva fare i conti con quel sé stesso troppo a lungo messo da parte per gettare quel fantoccio che non gli piaceva più. I tranelli, i trabocchetti, le lunghe maratone ad ostacoli nel cervello degli altri avevano finito col rendersi un’arma a doppio taglio, costringendolo a fare ammenda dei propri peccati solo perché le cose gli erano scivolate di mano.

Allora la guardò, provando una punta di piacere nel vederla deglutire barricandosi in un involucro di braccia; nonostante tutto, adorava metterla in soggezione.

-Esattamente quello che vuoi tu.- lo aveva pronunciato con invidiabile noncuranza, come se avesse scoperto tutte le proprie carte e l’avversario avesse una misera coppia, che non poteva nulla contro il suo full.

Ma lei non aveva vacillato e senza impaccio alcuno aveva ribattuto con un ferreo –Quindi te ne stai andando?-

Gd l’aveva guardata con noia –Andiamo, so bene che non vuoi cacciarmi.-

Ginko aveva roteato gli occhi, uno sbuffo era sfuggito alle sue labbra fini –Ma non ti voglio neppure qui. Tu-Tu sei esasperante!- era scattata inviperita, sbattendo le mani sulle cosce –Prima mi mandi via perché Ehi, tu non devi sprecare il tuo tempo con me e poi piombi a casa mia come se ci fosse qualcosa da concludere!-

Gd le rifilò un’occhiata pregna di tedio ma in cuor proprio un nugolo di domande veleggiava sinistramente. Tipo: ma perché lo imitava sempre con voce che superava la soglia dei Decibel? E ancora: ma davvero quella squinternata studiava fino a tardi? No perché si era accorto solo adesso dell’enorme tomo e gli evidenziatori giacenti sul pavimento. E infine: perché le donne dovevano sempre trovare un pretesto per discutere?

Era questo che odiava, quel loro ostinarsi a cominciare una guerra che lui davvero non aveva voglia di combattere. Non erano capaci di lasciarsi scivolare i problemi di dosso, dovevano per forza far sì che lui naufragasse con loro, come se fossero vincolati da una sorta di filo rosso che mai aveva tessuto.

-Fujii, è stato solo un bacio.- lo aveva pronunciato con un ghigno leggero, compiacendosi di sé stesso quando il suo squittio galleggiò nell’aria.

-No, non è stato solo un bacio. I baci non sono mai solo baci!- si era impuntata decisa, le mani strette a pugno e gli occhi colmi di fiamme –Io non regalo cose del genere!- aveva concluso tagliente, attendendo una sua risposta fulminea.

Gd si era ritrovato in una pessima puntata di Kodomo no Omocha, nei panni di un Hayama dall’aria troppo stanca e svuotata per poter rappresentare il beniamino delle ragazzine, in guerra con una Sana dall’aria risoluta e che sembrava convinta di ciò che diceva.

Già, Ginko non era come quelle che regalavano gesti banali. Lei non era fatta per i Tanto per, così. Avrebbe dovuto capirlo che con lei un bacio non sarebbe mai stato visto come un cazzata su cui non doveva neppure sprecare un centesimo delle proprie paturnie. E invece ne stavano discutendo animosamente, come se ne valesse davvero la pena.

Come se lui valesse.

Gd aveva taciuto, chiedendosi perché alla seconda rampa di scale non avesse fatto dietro front. Mentre compiva qualche passo nel silenzio si era detto che le cose non potevano nascere con un bacio e morire con una cinquina sulla guancia, si meritava qualcosa di più di un pungente dolore. Aveva messo da parte i loro dissapori e aveva cercato di esorcizzare lo spettro di Ri che veleggiava fra loro, non senza provare uno strappo all’anima quando l’aveva zittita di nuovo con un bacio, incurante del suo cercare di divincolarsi.

E prima che potesse fare o dire qualcosa, le converse dorate erano state lasciate all’ingresso e dei loro dialoghi a malapena pronunciati, non v’era che un eco quasi inudibile abbandonato nel salotto.

Si era reso conto che pronunciare il suo nome nel buio di una stanza, produceva un suono simile a quello di un’orchestra che gli faceva vibrare il sangue nelle vene e che i suoi occhi lucidi che cercavano i propri, ripieni di spettri che sarebbero tornati l'indomani, un po’ riuscivano a placare quel senso di colpa che si insinuava in ogni crepa del suo essere. 
Forse perché anche lei provava le stesse cose, forse perché quando si ritrovavano sotto le coperte davvero diventavano una cosa sola, in tutti i sensi.

-Oi, Ginko a Gd, Ginko a Gd… Mi ricevi?-

Si era detto basta, dopo quella volta. Ma una settimana era passata e lui era ancora lì, davanti a lei e la sua tuta e i suoi capelli sfatti. Non c’era un perché, queste cose non avevano una spiegazione logica. Sapeva solo che quello era il posto giusto, il momento giusto e lei era la ragazza giusta, per quanto giusta e ragazza non andassero poi così d’accordo, secondo la sua esperienza.

Gli sventolò una mano davanti agli occhi, ridestandolo. La guardò a lungo, poi le sue parole vennero soffiate piano -Fujii--

Ma Ginko era ormai lontana. Di lei non restava altro che il profumo di the alla pesca e quelle parole che avevano dato il via a tutto.

-Lascia le scarpe all’ingresso.-

 

******

 

Quando i raggi del sole si intrufolarono nei suoi sogni, l’alba era ormai passata da una manciata di ore.

Ginko sedeva per terra nel piccolo salotto, il libro di infermieristica aperto a pagine 365, gli evidenziatori dispersi sul basso tavolino e i pollici impegnati a carezzare la fine porcellana della tazza da the finemente decorata. Lo sguardo vagava sulla lunga fila di parole che non riusciva ad assimilare e ad ogni punto fermo che incontrava sul proprio cammino, ecco che gli occhi saettavano verso la porta della camera da letto, quasi si aspettasse di veder comparire Leonardo di Caprio che le avrebbe detto La porto su di una stella, signorina?

Un improvviso colpo al cuore la fece rabbrividire quando l’immagine del ragazzo abbandonato in un groviglio di coperte, spuntò fra i propri ricordi. Era indelebilmente stampata nella propria mente e forse non sarebbe riuscita a cancellarla neppure se quel futon fosse stato occupato da altri mille uomini. Probabilmente sarebbe ricomparsa nei momenti peggiori, proprio quando il panettiere stava per farle una dichiarazione d’amore da colossal hollywoodiano o quando Ri l’avrebbe baciata.

Già. Ri…

Incredibile come la sua mente e il suo cuore decidessero di scollegare tutti i sensi a lui rivolti quando Ji Yong si presentava a casa sua in piena notte, senza chiederle il permesso, richiedendole qualcosa che si era ritrovata a concedergli come se fosse la cosa più naturale del mondo. Ed effettivamente lo era… Ma non nella situazione in cui verteva, non con qualcuno che cinque minuti prima le aveva scritto il messaggio del buongiorno rammentandole che le voleva bene e che contava le ore che lo separavano dal loro appuntamento.

SeungRi era il romanticume che aveva sempre cercato in una storia d’amore. Era dolce, delicato, perfino nella propria idiozia sapeva rendersi assolutamente adorabile e cosa più importante, la trattava come se fosse l’unica donna nell’intero universo.

Ji Yong, d’altro canto, era la macchia che intaccava la perfezione di quei momenti, il tarlo fisso che sempre aveva avuto e forse mai se ne sarebbe andato. Era la sua continua distrazione, quel senso di completezza che nessun’altro era riuscito a darle. Lui era il classico Ha quel qualcosa in più che faceva diventare perfezione anche la più sciocca banalità.

Una fitta al costato la prese alla sprovvista. Il suo senso di colpa recalcitrante non le dava tregua, si diramava in ogni fibra del suo corpo e premeva sulle labbra, sugli occhi gonfi e rossi, si adagiava come neve sulle immagini della notte appena trascorsa, sporcandole. I baci caldi di Ji Yong, le sue mani che vagavano lungo il suo corpo, gli abbracci… Sporcava tutto quello, facendole salire la nausea mentre la vergogna l’avvolgeva.

Eppure sorrideva. Sorrideva come una beota se solo ripensava alla sua figura stesa al proprio fianco, immobile e sonnacchiosa, con quell’aria da bambino che non gli si addiceva. Il sole serpeggiava fra le fini tende floreali e la sbeffeggiava irradiandolo in tutta la sua lucente bellezza, catapultandola inesorabilmente alle ore scivolate in un abbraccio. Le diapositive in bianco e nero assumevano tonalità sgargianti, mettendo a soqquadro quel drappo di sentimenti soffocati pur di non pronunciare il nome dell’altro. E tutto diveniva così veloce da farle perdere il controllo dei propri frenetici battiti, costringendola ad allontanarsi da quella camera che ormai aveva perso il profumo di SeungRi.

-Dio, ma non hai ansia a dormire con me che ti guardo tutta la notte?-

Ginko si ridestò, richiamata dalla sua voce impastata. Se ne stava fermo sulla soglia della camera da letto, gettava occhiate guardinghe ai poster quasi avesse il timore di ritrovarsi braccato da un Daesung a torso nudo. Cacchio, perfino con i capelli sfatti e le occhiaie era di una bellezza folgorante! Lei appena sveglia sembrava una larva...

La ragazza si riprese e di fronte al suo ghigno di compiacimento, quasi godesse nel vedere un santuario allestito in suo nome -I poster sono silenziosi, almeno.- rimbrottò decisa, mettendosi a braccia conserte.

-Oh, ma se ieri ti piaceva quando continuavo a chiamarti per no— gli scaraventò contro un evidenziatore, inebriandosi della sua argentea risata. Era un idiota… -Vedo che stamattina sei più nevrotica del solito- trascinò i piedi scalzi fino a lei e si lasciò cadere sul cuscino al suo fianco, prendendo un angolo della pagina fra le dita –Esame imminente?-

Ginko lo guardò scombussolata. Da quando si fermava a fare conversazione? Era abituata alle sue fughe, ai suoi Sono in ritardo non posso fermarmi, alle sue tazze di the ancora piene lasciate a raffreddarsi. Al suo essere inavvicinabile, nonostante le sue dita ne avessero tracciato i contorni fino a pochi istanti prima.

-Aha. E sono indietro. E tu mi stai distrae—Smettila di sottolineare cose a caso!- gli strappò il libro di mano, brandendo minacciosa il cucchiaino quando il cretino si mise a sghignazzare.

-Dovresti rilassarti, Bomba al Napam.-

-Kamikaze, per Dio, è Kamika—

-Se continui di questo passo finirai col ritrovarti a trent’anni piena di rughe e con cinquanta gatti in casa.-

-Se continui di questo passo finirai col ritrovarti all’ospedale proprio quando sarò io di turno e accidentalmente scambierò il veleno per topi con la morfina- e giù a ridere come il demente che era. Voleva defenestrarlo –Ma non dovresti già essere alla Yg a prepararti?- domandò sconsolata, conscia che non sarebbe riuscita a studiare con lui nei paraggi.

-Tae ha scritto che dobbiamo andare più tardi. Preferisco stare qui…- OhMio!-- -Ad infastidirti- Ah, mi sembrava… -E poi è da settimane che ci stiamo preparando per questo tour. Ormai non ha senso andare lì ogni giorno…-

Avrebbe voluto dirgli che Ri ne era entusiasta, ma non riusciva a pronunciare il suo nome in sua presenza. Le pareva che così facendo lo avrebbe infangato di più.

-Darete un’altra festa pre-partenza? Ho sentito Dae che ne parlava, l’altra sera. Era indeciso se farla a casa o da qualche altra parte.-

-Aha…- Ji Yong soffocò una sbadiglio -Immagino verrai con Ri.- la sua frase si incastrò fra le pieghe del loro silenzio.

-E con chi altri, se no?- replicò turbata, mandando giù quel boccone amaro che continuava a farla sentire una poco di buono. Aveva un bisogno matto di sfogarsi, di parlare con qualcuno della propria condotta deplorevole ma l’unica disposta ad ascoltarla senza giudicarla in alcun modo era dall’altra parte del mondo. E poi Lindsay sarebbe probabilmente stata capace di dirle qualcosa tipo Sono orgogliosa di te! con quella sua maledetta poker-face.

-Già, con chi altri?-

Ginko sottolineò il libro –Immagino invece che tu verrai con quella stangona bionda che ti sei portato al concerto delle 2NE1.-

-Nh? Nah, quella mi ha già stufato. Continua a chiedermi quando possiamo vederci, quando sono libero. E se non rispondo mi tempesta di sms e chiamate.- c’era tedio nella sua voce assonnata, perfino il suo volto era modellato di fastidio.

-Sai, funziona così solitamente. Ci esci assieme e poi ci si mette d’accordo per vedersi ancora.-

-Solitamente. Poi ci sono le eccezioni. A volte non sono così male, mh?- il sorriso sghembo penzolava sulle labbra, avrebbe voluto strapparglielo e gettarlo dalla finestra. O gettare direttamente lui. Ma la cosa che più le metteva ansia era il modo assolutamente perforante in cui la guardava. Come se stesse cercando di scavare fra le pieghe della sua anima ormai sbiadita e rubarle ogni pensiero, emozione, quasi stesse dando un senso a tutto quello.

Ji Yong non era come se lo era immaginato.

Aveva pensato che dopo essersi preso ciò che voleva, sarebbe sparito in una nube di Alla prossima che avrebbero instillato in lei il dubbio che tutto quello non fosse un mero divertimento. L’avrebbe lasciata con i suoi perché, quelli impronunciabili e che sarebbe stata costretta a tacere perché la risposta non avrebbe fatto altro che ucciderla lentamente. Non c’erano abbracci nel cuore della notte, ginocchia che collidevano e baci soffiati sulla nuca. Sembravano due estranei finiti nello stesso letto per puro caso e semplice noia, che si svegliavano bagnati dal chiarore del sole e riprendevano in mano le proprie vite così come le avevano lasciate all’ingresso, vicino alle converse dorate.

Però restava.

La guardava mentre si acconciava i capelli, mentre andava a sbattere contro qualche spigolo, mentre schizzava da ogni parte in preda all’angoscia perché OhMioDio ma devo dare l’esame e non ho studiato niente!, e dopo avergli regalato qualche piccola sfaccettatura del proprio disagio mentale, se ne andava. Non prometteva di tornare, non prometteva di sparire. La lasciava in sospeso, fino a che la notte non calava e i passi sulle scale dapprima solo sognati divenivano realtà.

Se un giorno le avessero detto che Ji Yong sarebbe diventato la sua realtà, probabilmente avrebbe riso istericamente, chiedendo al geniaccio di darle il numero del suo spacciatore.

Ginko fece roteare la penna un paio di volte, portò dietro le orecchie un ciuffo sfuggito alle forcine e tornò a concentrarsi sul libro mentre cercava di calibrare il tono di voce -Quindi presumo che a te piaccia tutto questo.-

Si allungò, portando le mani dietro la schiena -E come non potrebbe? E’ come essere liberi, non trovi?- Ginko avrebbe tanto non voluto badare alle sue parole, davvero avrebbe voluto fregarsene e continuare a guardarlo come l’essere infame che era. Ma c’era qualcosa che non andava in tutto quello e prima che potesse frenarsi, i suoi occhi erano ormai già posati sul suo sorriso. Che era ampio, di una bellezza micidiale, senza quella sua solita malizia fastidiosa capace di rovinare sempre un po’ le conversazioni che condividevano.

Ginko non rispose, aveva il timore che l’argomento SeungRi sarebbe balzato fra i pennarelli e gli appunti, rovinando quel poco di sano che c’era fra loro.

-Fai colazione qui?- lo chiese senza speranza alcuna, conscia che mai avrebbe accettato un invito del genere. Fermarsi lì avrebbe comportato una serietà che lui non voleva prendersi e una serietà che lei sapeva di non poter sprecare con un tipo come lui. 
Tanto Ji Yong si sarebbe stancato, glielo leggeva negli occhi pesanti che tutto quello non sarebbe durato.

E tutto di lui continuava a dargliene conferma, dai suoi movimenti lenti al modo in cui la guardava, semplicemente dal modo in cui la guardava. Ma la sua mano andò ad infilarsi fra i capelli scompigliati e prima che potesse dirgli di non sbattere la porta prima di uscire, le parole di Ji Yong la colsero di sorpresa…

 

-Ce l’hai il the alla fragola?-

 

Erano le 11.46 e Ji Yong non se n’era ancora andato.

 

*********

Lindsay era atterrata in Corea dalla bellezza di tredici ore e quarantacinque minuti con due vistose occhiaie, capelli a nido di rondine e assoluta convinzione che mai nella vita avrebbe avuto figli. E se per malaugurata sorte ne avesse avuto uno, lo avrebbe fatto viaggiare nella stiva. In gabbia.

Era matematico che in ogni viaggio dovesse beccare qualcuno pronto a romperle i coglioni. Vedi il moccioso di cinque anni che si era attaccato come una cozza dandole della vecchia perché non aveva voluto giocare al gioco dell’impiccato –anche se l’idea di impiccarlo non era poi così male-, o la suora che si era messa ad elencare tutti i gironi in cui sarebbe finita nella sua vita ultraterrena –e solo perché aveva smadonnato quando l’Mp3 si era scaricato a metà viaggio-, o il vecchiardo che si era messo a raccontarle della battaglia apocalittica avvenuta nel 1943, quando I tedeschi avevano i carrarmati e io un Gundam Wing nuovo di zecca. L’apoteosi dell’assurdo.

Come se non bastasse, a rendere peggiore il suo trionfante ritorno ci si era messo Mark, tempestandola di domande sulla Columbia e il test d’ingresso, rimproverandola per il suo continuo grugnire.

E infine lei: Ginko Kamikaze Fujii, che da despota qual era l’aveva costretta a darsi una sistemata e accompagnarla all’ennesima festa che quei cinque dementi avevano dato in loro onore perché Sei giovane, dormirai quando sarai morta! E poi devi vedere Top prima che sparisca! Ed era in momenti come quelli che Lindsay si chiedeva perché l’aereo non fosse precipitato. Magari sopra il suo appartamento…

-Siamo in ritardo! Siamo in ritardo! E’ tardi! E’—

-Bianconiglio, smettila di saltare in giro.-

-E’ colpa tua! Sei troppo lenta nel prepararti!-

-Io non ci volevo neppure venire.-

-Lindsay Cherilyn Moore, non cominciare! E non strisciare quei tacchi, alzali!- sbottò secca, dandole una leggera spintarella rischiando di farla inciampare nei propri piedi.

Ginko saltellava lungo le scale come una molla, stando comunque un passo indietro a lei. Tentennava ad ogni angolo svoltato e più i piani diminuivano, più il flusso di parole mai taciute andava smarrendosi in un silenzio che fece tintinnare numerosi campanellini nella testa di Lindsay.

La guardò oltre la spalla, incrociando il suo sguardo tremebondo -Più la guardo, più quella gonna mi fa male al cuore- Lindsay roteò gli occhi –Potevi metterti qualcosa di un po’ più—

-Osa dire carino e giuro che ti butto di sotto.- la interruppe secca, con quella sua solita sgradevolezza che forse mai si sarebbe prosciugata.

Ginko però ridacchiò –Volevo dire sexy! Ma credo che Top ti troverebbe sexy anche se indossassi un sacco dell’immondizia.-

Lindsay sventolò una mano. Seung-Hyun era l’ultimo che poteva farle menate sul modo in cui vestiva… Il suo armadio era un carosello di puro trash! Ricordava ancora lo shock provato nel vedere quell’orrenda giacca a scacchi abbinata a dei pantaloni verde bosco. O quel tremendo maglione viola a braccetto con un paio di pantaloni marroni… L’or-ro-re. E pensare che Shirley glielo aveva sempre detto: dubita degli uomini che abbinano il viola al marrone. E indossano mocassini.

Fu in quel preciso istante che realizzò un non trascurabile dettaglio: avrebbe rivisto Seung-Hyun. Sotto il loro ponte non era passata acqua, bensì sparuti messaggi, una chiamata suicida nel cuore della notte e verità taciute. Come il test all’università, il suo progetto di diventare medico e il suo rientro anticipato solo perché la vita newyorkese era decisamente più noiosa rispetto a quella coreana.

Non glielo avrebbe mai confessato, ma uno dei motivi che l’aveva spinta a prendere il primo aereo per Seoul a esame concluso, era proprio lui. Fu un pensiero fugace e che la spaventò, tanto da farla paralizzare mentre decideva se fare marcia indietro o semplicemente buttarsi dalla tromba delle scale. Con quei trampoli sarebbe comunque inciampata, tanto valeva morire in maniera veloce e indolore.

-Non sei ansiosa di vederlo?!- trillò Ginko, bloccandosi qualche gradino più in basso.

-No.-

-Come no?!- squillò incredula, facendo riverberare le finestre –Non senti le campane?!-

-Come faccio a sentirle con questo casino?-

-E le farfalle nello stomaco? Che mi dici delle farfalle?!-

-Che l’insetticida funziona.-

-Sei impossibile!- Ginko si rabbuiò, mettendosi a braccia conserte. Sembrava una lolita data la sua statura piuttosto bassa e quei capelli rossastri e sbarazzini che le incorniciavano il volto perfettamente pitturato. Eppure i suoi occhi di un verde smeraldo brillante non erano vivaci, di quella luce che irradiavano un po’ il suo grigiore e neppure le sue labbra rosse erano piegate in quel suo solito sorriso incurante dei mali del mondo.

Ginko era spenta e la cosa peggiore era che Lindsay non sapeva come dirglielo. Aveva il timore di vederla spezzarsi e allora no, non sarebbe stata più in grado di ripararla, trovare tutti i cocci e rassembrarli, così come non sarebbe stata capace di frenare un eventuale fiume di lacrime.

Era una delle poche persone che non voleva rovinare con la propria cattiveria, andava preservata per la bella persona che era.

-Cosa c’è?- Ginko la guardò confusa, tastandosi il volto come se avesse qualche sbavatura –Ho qualcosa che non va?-

Lindsay scosse la nuca –No, nulla.-

-Stai pensando al test?- si coprì le labbra con una mano, i suoi bracciali tintinnarono nell’androne silenzioso –Non ti ho neppure chiesto com’è andata a New York!- già, non le aveva chiesto nulla, l’aveva accolta con un enorme sorriso che le aveva fatto passare lo scazzo e la stanchezza per il fuso orario e non aveva smesso per un istante di tartassarle di aneddoti sulla settimana di studio matto e disperatissimo per l’esame imminente di infermieristica. E lei gliene era grata, perché ancora le veniva difficile parlare liberamente di sé e di come le cose per una volta sembrassero girare nella giusta maniera. Di Emily e dei suoi post-it lasciati sul frigo per darle il buongiorno, dei suoi sporadici sorrisi che le avevano scaldato il cuore e dei suoi Buona notte che le avevano fatto sentire meno la mancanza di Mark e Chyo.

-Non fa niente, tanto non è successo nulla.- A parte Greg. E il test. E Emily in versione “Una mamma per amica”…

-L’esame è andato bene?-

-Non lo so. I risultati li avrò tra qualche settimana.-

Si morse il labbro inferiore, sentendo il senso di colpa insidiarsi in ogni crepa di tranquillità. Dietro quella porta c’era l’unica persona che ancora non sapeva dei suoi progetti, del suo cambiamento e più il tempo passava, più sarebbe stato difficile dirgli la verità. Addio ai suoi sorrisi, alle chiacchierate comode e a quella parvenza di amore che cominciava a provare per lui. Arrossì vistosamente a quell’ultimo pensiero, complice un cuore che batteva troppo frenetico e troppo rumorosamente.

Linsay Moore innamorata. Innamorata di Choi Seung-Hyun per di più… Dio, robe da capogiro. Se non ci fosse stata Ginko a stringerla per un braccio mentre ciarlava dell’ultimo successo dei Super Junior –che solo dopo ore e ore di insegnamenti sul Kpop aveva capito non trattarsi di un episodio mai andato in onda di Dragon Ball-, probabilmente sarebbe morta lì, su quel pianerottolo, mentre Still alive faceva lei da Requiem.

-Comunque vedrai che andrà benone! Io ero qui, a farei il tifo per te!- le sorrise raggiante, le labbra traballanti e le mani che andavano torturandosi.

Lindsay sospirò e prima che potesse sentire il nodo in gola ringarbugliarsi, le parole riuscirono a trovare uno spiffero, uscendo –Qualcosa non va? Sei strana.-

Ginko sobbalzò –Va tutto bene! Cosa non dovrebbe andare?-

-Non lo so. Magari qualcosa a lavoro o con Ri. O con i tuoi. Non lo so…- lasciò scivolare i propri timori, sentendosi tremendamente stupida per non riuscire a spiegarsi. Coprì il proprio sbuffo con il Driiin del campanello, osservando lo sguardo di Ginko perdersi sul suo indice. Aveva notato un lampo di timore sfrecciare nei suoi occhi quando quelle due piccole lettere erano sgattaiolate dalle sue labbra, ma forse era solo frutto della sua immaginazione. Forse tra Ri e lei le cose andavano a gonfie vele.

Ginko le sorrise fiocamente -Hai lo smalto rovinato…- fu tutto ciò che mormorò. I suoi occhi divennero lucidi e Lindsay capì che il momento del crollo era ormai giunto. Ma Ginko non si spezzò. Si sporse e con uno slancio la strinse a sé, stretta stretta, costringendola a ricambiare seppure incerta. -Mi sei mancata, lo sai?- la sua voce era ferma, tremò solo dopo che un enorme respiro si frapponesse nella loro quiete –E’ ho fatto un casino.- ma prima che Lindsay potesse assimilare le sue parole e intrufolarsi in discorsi forse troppo complicati e freschi per poterli affrontare in quel preciso momento, la porta si aprì e vennero inondate dalla musica assordante e dalla luce del salotto.

-Oh, due donne abbracciate sulla soglia di casa è sempre stato il mio desiderio irrealizzato.-

-Ji Yong…- le sue imprecazioni sfumarono in un –OhMioDio— appena soffiato, quando il suo sguardo si posò sulla sua maglietta fatto di piume –Cos’è, stai per migrare?- lo lapidò con una semplice domanda, smadonnando mentalmente quando la sua risata svagata le perforò il cervello. Lin prese il suo spolverino tra il pollice e l’indice –E’ il periodo della caccia, chissà mai che ti sparino.-

-Vedo che l’aria dell’Occidente non ti ha resa più simpatica, America.- diamine, quel nomignolo era urticante, soprattutto dopo una settimana e passa di disintossicazione.

-Vedo che ti vesti ancora al buio, invece. Le hai strappate ad uno struzzo?-

-Le piume di Ginko erano finite.-

-Ma—Ehi!- la ragazzina si risvegliò dallo stato di catalessi in cui era entrata –Mi stai dando dell’oca per caso?!- agitò un indice che di minaccioso non aveva nulla.

-Pensavo più ad una gallina.- sghignazzò più forte quando le sue guance paonazze si gonfiarono.

Lindsay si accorse che nulla era mutato, mentre le faceva entrare: i presenti sembravano usciti da una rivista di moda, avvolti nei loro vestiti sfarzosi e Chanel No. 5. Lei era rimasta la solita grezza, quella che si vestiva con una canottiera nera e un’ampia gonna bianca a campana. Le sembrava passata una vita dacché aveva messo piede in quel salone d’entrata, eppure tutto stava tornando indietro come se fosse la prima volta. Vicino alle bibite poteva ancora vedere Seung-Hyun con quella sua sgargiante giacca colorata, con il suo muso lungo e la lingua tagliente, pronto a scaraventarle contro tutta la sua rabbia.

Già, Seung-Hyun… Chissà dove si era cacciato.

Ginko e Ji Yong bisticciavano al suo fianco, rapendola dai propri vaneggiamenti.

-Demente…-

-Ma se una volta ti piacevo?-

Ginko gli rifilò un’occhiata al tritolo e si dileguò dal loro campo visivo, lasciandola in balia di quel decerebrato e dei suoi maledetti tour acrobatici fatti di domande trabocchetto e insinuazioni che avrebbe voluto fargli ingoiare. Ji Yong però non fiatò, si limitò a guardare la sagoma di Ginko svanire in mezzo alla folla, probabilmente alla ricerca di quella molla di Ri.

A Lindsay parve tutto veloce e irriconoscibile.

Quella scena l’aveva già vissuta: c’erano le stesse persone chiassose e con più soldi di quanti ne portasse nel portafogli, c’era la voglia matta di un bel bicchiere di brandy che l’aiutasse a farle passare quelle sgradevoli ore di noia, la sua gonna bianca presa al mercato perché era l’unica cosa elegante che aveva nell’armadio e il costante chiedersi Ma che cazzo ci faccio qui?, consapevole che questa volta un perché c’era e Ginko non aveva fatto altro che ricordarglielo per tutto il tragitto. Che doveva salutare Seung-Hyun, parlargli, dirgli la verità sul suo viaggio a New York e affrontarne le conseguenze.

Che comunque le cose non sarebbero andate a rotoli perché lui l’amava o qualcosa di vagamente simile e allora non si sarebbe arreso di fronte ad un ostacolo del genere. Perché i grandi amori facevano un giro dell’oca immenso e alla fine si ritrovavano sempre.

Guardò Ji Yong di sottecchi, cercò Ginko con lo sguardo, trovandola a parlare con Ri senza però guardarlo in quel suo modo tremendamente preso che spesso le aveva fatto venire l’orticaria e un enorme Cosa mi sono persa?, pascolò nel suo cervello in tumulto. Lindsay si sentì spettatrice di una soap opera lasciata in sospeso e ora che l’aveva ripresa, le cose erano mutate senza che se ne fosse accorta.

-Che. Noia.- mormorò l’altro, facendosi strada fino al banco degli alcolici.

Lindsay lo seguì, osservando sgomenta le bibite dislocate sul tavolo –Avete preparato degli Invisibili?-

-Le birre sono finite. E’ rimasto del rum ma credo che tu preferisca lanciarlo addosso alla gente, non berlo.- la punzecchiò con un ghigno, buttandone giù un bicchierino.

Lindsay imprecò a mezza voce, incurante che quel debosciato potesse sentirla. Quella casa era piena di così tanti ricordi da schiacciarla. Se solo si voltava, poteva vedere lei e Seung-Hyun seduti davanti alla tele mentre insultavano Mario e Luigi o bisticciavano per Peach era una stronza e Toad un complice di Bowser. Sul tavolo non c’erano tartine ma l’arsenale di merendine e biscotti con cui avevano fatto colazione prima che lui partisse. E i libri scagliati con violenza, i baci sotto le lenzuola, il suo spogliarla lento…

Si ritrovò a guardarsi in giro, come se si aspettasse di trovarlo in mezzo a tutta quella ressa di celebrità che si assomigliavano tra loro. Non c’era però traccia dei suoi vestiti inguardabili, della sua chioma scura, della sua voce roca. Sentì il cuore precipitarle al pensiero che non ci fosse e la rabbia montare per il suo sentirsi così vulnerabile.

Da quando una festa non le pareva bella o divertente solo perché quel ragazzo a cui aveva donato un pezzo della propria anima non si presentava? Era come se fosse tornata adolescente e stesse ripercorrendo tutti quei passi che lei mai aveva compiuto, perché certe tappe le persone come lei non le superavano neppure. Andavano direttamente al traguardo, senza rimorsi o sofferenze.

-E’ a lavoro.-

-Nh?-

Ji Yong la ignorava, mescolava qualche alcolico -Il tuo fidanzato è ancora a lavoro. Sai, gli ultimi preparativi per il tuor… Sai che ce ne andiamo per un mese, vero?-

Lindsay alzò le spalle  –Ginko me ne ha parlato.-

Ji Yong parve illuminarsi, guardandola con rinnovata felicità –Oh, quindi è il tuo fidanzato!-

Lin si allungò per prendere un bicchiere -Oltre alle piume, a quella povera oca hai rubato anche il cervello?-

Ji Yong non parve venir scalfito dalla sua ironia. L’angolo delle labbra guizzò e Lindsay dovette prepararsi ad un inevitabile scontro a suon di stronzate -Ma prima non hai negato…- inclinò il capo, guardandola sornione, con quel sorriso penzolante e canzonatorio –America, vuoi farmi credere che questo viaggio è stato rivelatore?-

Lin arcuò un sopracciglio. A parte che non era così scema da andargli a raccontare di aver scoperto di essere caduta nella rete di Cupido, come Ginko la chiamava fastidiosamente, ma poi davvero si aspettava che imbastisse con lui una conversazione di tale calibro?

-Certo che lo è stato…- borbottò cercando qualche super alcolico –Ho scoperto quanto sia bello starti lontano.-

-Ma con lui non è così, mh?- Ji Yong inclinò il capo, si dondolò sui piedi –Hai gli occhi di una che è qui solo vederlo...- Lin non rispose, si limitò a donargli il proprio profilo mentre cercava meccanicamente di prepararsi un cocktail talmente micidiale da rimanerci secca -Vedo che le cose stanno sfuggendo anche a te.-

Lin si immobilizzò, guardandolo confusa –Anche?-

Ji Yong smise di dondolarsi, portò le mani in tasca e si guardò in giro con aria annoiata -E’ orribile quando le carte che avevi disposto con cura vengono mescolate senza che tu possa fare nulla per impedirlo, non trovi?- il ragazzo si soffermò a guardare la porta di casa che si apriva –E’ come cominciare un partita sapendo già in partenza di concluderla con una misera coppia di due.-

Lin strinse i pugni intorno ai lembi della gonna. Aveva paura che un solo gioco di sguardi avrebbe messo alla berlina ogni sfaccettatura dei suoi sentimenti ingarbugliati, che potesse scorgere quel seme di amore che stava covando per Seung-Hyun non senza ripensamenti e ansie.

Ji Yong aveva la strabiliante quanto fastidiosa abilità di scavarle dentro come nessun’altro. Seung-Hyun era più accorto nel farlo, la guardava sempre con discrezione, quasi volesse chiederle il permesso nello strapparle un pensiero in fuga o tutte le parole che rinchiudeva in sotterranei cassetti. Ma Ji Yong non la risparmiava, sembrava cercare ogni sua debolezza e sfruttarla a proprio piacimento, come un burattinaio che gioca con le vite delle proprie marionette.

-Le cose iniziano a farsi serie, talmente tanto che  continui a chiederti perché Diavolo hai cominciato tutto- Lin allora lo guardò, cominciava a dubitare stesse parlando di lei. Eppure i suoi occhi avevano lo stesso tormento dei propri -Non è più divertente…- fu un sussurro tagliente, che si conficcò nelle pareti del suo cervello e non la abbandonò più. 
Ma Ji Yong le era parso così… Umano
Oltre la corazza da demente c’era qualcosa di ben più profondo e oscuro che mai era emerso così tanto in superficie e ora che si stava mostrando, sì sentì stranamente affine a lui. Come se lo comprendesse, come se si somigliassero nel loro costante rifuggire da tutto ciò che portava felicità.

-Questa cosa non sarebbe mai dovuta cominciare.-

E Lindsay non capì, proprio non ce la fece.

Che Ji Yong avesse qualche scompenso mentale le era chiaro da secoli, ma che potesse raggiungere picchi così elevati di coglionaggine… Avrebbe tanto voluto infierire, fargliela pagare per le innumerevoli battutine o trucchetti che aveva utilizzato per farla avvicinare sempre di più a Seung-hyun ma per qualche strana ragione non ce la fece. Si limitò a fissarlo, ad aspettare che tornasse il solito pirla che tanto la mandava in bestia e quando ciò non accadde, Lin cominciò a credere che davvero qualcosa fosse successo, durante la sua assenza.

E le parole erano lì, pronte a travolgerli entrambi. Ma c’era stato qualcuno che l’aveva chiamata, un –Lindsay?- pronunciato con sorpresa, una dolcezza che glassava ogni lettera e di Ji Yong e di quelle non era rimasto altro che uno spettro appiccicoso che sarebbe tornato poi, lo sapeva.

Alzò lo sguardo, incrociando la figura tutta scompigliata di Seung-Hyun. Era bello come lo aveva lasciato, con i suoi capelli scuri e sbarazzini, i lineamenti duri ma che per lei si malleavano sempre di delicatezza. Cristo... Si sentiva come un’adolescente che stava per essere baciata negli spogliatoi dal figo della scuola.

-Oh, hyung, sei arrivato finalmente. Non è carino lasciare la tua fidanzata tutta sola. E se qualche maniaco l’avesse abbordata?-

-Per fortuna che c’eri tu a salvarla- replicò con scazzo, togliendosi la giacca e gettandola su di una sedia –Di che parlavate?-

-Oh, America ed io stavamo parlando di te e di come tu ti sia divertito in sua assenza, mh?- fece loro un occhiolino inquietante e si dileguò, vaporizzandosi in una scia di Musc Ravageur.

Lin avrebbe voluto insultarlo, ma la vicinanza del ragazzo tarpava ogni parola. Le sentiva premere nella gola, ma non riuscivano a risalire. 

-Come se ci fosse qualcun'altra, certo... Idiota...- bofonchiò lapidario -Non ti ha stressata, vero?-

-Non più del solito.- sorseggiò del rum, provando a sciogliere quell’enorme nodo che le si era incastrato in gola.

Seung-Hyun la guardò con occhi luminosi -Non ti aspettavo.-

-Non pensavo di venire - mormorò assorta, rabbrividendo quando avvertì le sue dita sfiorarle il braccio mentre prendeva un bicchiere –Ginko e Ri sanno essere persuasivi.-

Rise raucamente –Ti avranno presa per sfinimento.-

-Lei ha piagnucolato per tutto il tempo. Lui mi ha bombardato di sms. Mi aiuti ad ucciderli?-

-Prima facci concludere il tour, poi faremo tutto ciò che vuoi.- seguì la sua roca risata, capace di far vibrare le pareti malandate del suo cuore che continuava a scapparle in giro.

Incredibile.

Era arrivato e subito quel senso di inadeguatezza era scomparso. Si era eclissato con la sua luminosità, con il suo sorriso fiacco ma sempre presente, marcato da una dolcezza che le riservava senza difficoltà alcuna. Come se fosse facile, per lui, sopportarla nonostante gli regalasse sempre il peggio di sé.

-Non dovresti essere in giro a fare conversazione?-

-Risparmiami, ti prego- si massaggiò il collo, la studiò –Sei qui da tanto? Ti stai annoiando?- ancora una volta si preoccupava per lei.

Ma Lin non è che avesse granché imparato a gestire le cose belle che lui le donava senza chiedere nulla in cambio. Così eccola, a braccia conserte, a mormorare un secco –Sì.- senza nemmeno badare al suo stato d’animo ora probabilmente appallottolatosi in un angolo buio a guaire.

Una risata sfuggì al ragazzo, seguita da un sincero –Non l’avrei mai detto- che la fece sentire mortalmente cretina -Mi spiace.- aggiunse piano, il sorriso sempre penzolante e per nulla intenzionato a levarsi da lì. 
Il suo viso sembrava essersi fatto più marcato e faticò a tenere a freno le dita affinché non ne sfiorassero neppure uno spigolo. Per un attimo pensò a quanto tempo sarebbe passato prima di rivederlo, se fosse andata alla Columbia. 
Il tempo sarebbe passato, avrebbero preso strade troppo diverse per potersi sentire ancora legati l’uno all’altra in quel loro modo forse un po’ malandato ma che, diamine, la faceva stare bene e lui sarebbe divenuto un uomo desiderabile, di quelli che trasudavano charme e carisma con un solo cenno del capo.

Lo guardò di sottecchi e per la prima volta in tutta la sua giovane vita Lindsay si sentì desiderosa di diventare una donna di tutto rispetto, di quelle che ci si voltava a guardarle perché imbevute nella regalità, di quelle che catturavano gli Oh! della folla e rimanevano inchiodate nei pensieri. Quel tipo di donne che si accostavano bene agli uomini come Seung-Hyun, con le loro parole mai vuote e mature, i gesti calibrati e mai troppo audaci, quelli con cui sarebbe stato bello vivere perché portavano solo bene, il male lo evitavano.

Si chiese se Seung-Hyun la vedesse ancora come una ragazzina arrogante dai modi scorbutici o come un’acerba donna che faticosamente stava cercando di darsi una forma. Con quei vestiti addosso ne dubitava, comunque… E il modo divertito in cui la guadava, non dava adito a dubbi.

-Questa gonna non l’hai ancora buttata?-

-Volevo venire in tuta, ma Ginko me lo ha impedito. Dice che la tuta mi rende brutta o qualche cazzata del genere.- borbottò assorta, lisciandosi le pieghe del vestito.

Seung-Hyun non rise, non sorrise e neppure replicò. Si limitò a contemplarla, come se fosse l’unica persona in quella stanza. Sembrava in procinto di stringerla o rendersi un po’ più vicino, eppure c’era un sottile strato di aria e impaccio che non gli permetteva di farsi avanti.

Lin si guardò le unghie che necessitavano di una manicure urgente e la voce bassa di Seung-Hyun la catturò –Senti... Ti va di scappare?-

-Nh?-

Sfiorò le sue dita, alzò le spalle –Scappiamo da qui. Lasci le scarpe all’ingresso e ce ne andiamo di là, che ne dici?-

E Lindsay non gli chiese dove la stesse portando né per quanto l’avrebbe portata via. Avrebbe lasciato le scarpe vicino all'ingresso e poi lo avrebbe seguito, avrebbe lasciato che le sue labbra sfiorassero il suo orecchio mentre la porta di camera sua si chiudeva, lasciando il mondo e il caos fuori, avrebbe fatto in modo che non potesse sentire i battiti impazziti del proprio cuore mentre sela stringeva come se gli fosse mancata per tutto quel tempo…

-E comunque sei bella… Cioè, in tuta intendo. E anche con quelle orribili felpe dei Nirvana. Sei brutta solo quando bestemmi, lì mi sembri Ji Yong.-

-Cretino…-

 

In fondo, scappare con Seung-Hyun non le sembrava un’idea così spaventosa.

 

 

 

 

A Vip’s corner:

Mh, non so davvero come cominciare queste note se non con un liberatorio: Home sweet home

Vorrei innanzitutto scusarmi per il ritardo apocalittico con cui mi presento qui, non ho scusanti o motivazioni valide che possano spiegare il perché del mio allontanamento dal fandom. L’unica giustificazione che posso darvi è sempre la stessa: il lavoro (e come dissi ad un mio amico per un suo progetto universitario: E’ proprio una merda. Non iniziare mai ). 
Porta via praticamente tutto il mio tempo e per me i mesi da novembre a marzo sono off-limits. Esco di casa alle 8.00 e rincaso alle 19.00/20.00, sto più di otto ore davanti ad un computer e credetemi, il solo pensiero di buttare giù due righe mi pesa alquanto. 
Se poi si tratta di Something il peso diventa enorme. 
Non fraintendetemi, la amo con la stessa intensità di quando postai il primo capitolo solo che le cose si fanno più complicate e non posso permettermi scivoloni. Siamo agli sgoccioli ormai, i nodi stanno venendo al pettine e tutto va spiegato nei minimi dettagli. 
Non c’è più la freschezza dei primi capitoli, penso lo abbiate notato e quando passi mesi di esaurimenti nervosi, la voglia di far capire perché Lindsay sia una cogliona patentata passa all’ultimo posto.

Ad ogni modo sono qui e spero di poter essere più costante con gli aggiornamenti, ora che le cose stanno migliorando (più o meno…). Se vi andasse di dirmi cosa ne pensate –o anche solo insultarmi, perché no!- mi rendereste davvero felice. In caso contrario avreste comunque il mio amore solo per aver perso tempo a leggere xD Ah, la scena tra Gd e Ginko non è campata per aria, c’è sempre stata nella mia mente da quando ho iniziato a scrivere questa storia e ammetto che il risultato finale non mi dispiace.  E so che non accade granché ma questa è la prima parte, tecnicamente la prossima dovrebbe essere più esplosiva.

Passerei subito alla parte che più preferisco, se no non ne usciamo più: a Lavinioskij, giorgtaker, TheshiningSofia, Appler_Girl, B1A4ever, BellaChoi, MionGD, kassy382 e Ami_chan vanno i miei Grazie infiniti per le recensioni lasciate al capitolo precedente. Le vostre parole mi sono state di enorme sostegno e mi hanno sempre dato la carica per non lasciare incompiuta questa storia. Avrei voluto regalarvi un capitolo migliore come segno del mio amore per voi, ma credo dobbiate farvi bastare i miei banalissimi Grazie.

Grazie infinite anche a chi ha inserito la storia fra le seguite/ricordate/preferite. Siete davvero molti e, credetemi, non sapete quanta gioia mi dia vedere che questa storia partita su basi incerte comunque un po’ piace.

Sperando di non sparire… Alla prossima!

HeavenIsInYourEyes.

 

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Capitolo 30
*** Leave your shoes at the door (Seconda parte) ***


Capitolo 30
Leave your shoes at the door
(Seconda parte)

 

“These five words in my head 
scream "Are we having fun yet?"
-How you remind me, Nickelback-



Ginko era la classica brava ragazza.

Avete presente, no? Quelle che non disobbediscono mai e quando lo fanno chiedono immediatamente scusa, perché afflitte da un indicibile senso di colpa. Quelle che non infrangono mai le regole perché troppo spaventate dalle imprevedibili conseguenze e quando questo succede, si ripromettono di non farlo mai più. Sono quelle di sani principi, quelle che preferiscono la verità alla menzogna, che sanno distinguere il bene dal male in maniera così da netta non varcare mai la soglia, quelle che vedono o tutto bianco o tutto nero perché le sfumature sono troppo difficili da interpretare e allora no, meglio starsene dove si può avere tutto sotto controllo.

Sono quelle che predicano l’amore eterno e sono talmente convinte dalla sua esistenza da sapere che, presto o tardi, sarebbe arrivato con tutti i suoi pro e i suoi contro.

Ginko li avrebbe accolti entrambi a braccia aperte perché sapeva che l’amore era un miscuglio di un sacco di cose che faticava a tenere stretta a sé, così bello eppur così doloroso da farle venire voglia di innamorarsi sempre un po’ di più, senza mai fine. Ed era quello che aveva provato quando Ji Yong era diventato realtà e non una semplice macchinazione della sua mente. Poterlo avere vicino, sfiorarlo, poterci parlare –anche se parlare con lui faceva venire mal di testa-, addirittura peccare di presunzione e credere che uno come lui si sarebbe accorta di una come lei, piena di difetti, insignificante, così lontana dal suo mondo di canditi da renderla inguardabile. E poi affrontare la cruda realtà, rendersi conto che lei era effettivamente insignificante e inguardabile ai suoi occhi.

E fu a quel punto che SeungRi era accaduto nella sua vita, inaspettato, e aveva seriamente pensato che fosse quello giusto per il semplice motivo che riusciva a farle dimenticare GD e il suo essere così assolutamente irraggiungibile. Era gentile, buono, la trattava come se fosse un diamante prezioso e mai una volta si era permesso di trattarla con sufficienza… Come se non fossero poi così diversi, benché sembrassero venire da due mondi opposti: fatato e luccicante quello di lui, banale e sempre uguale quello di lei. Ed era stato buono a permetterle di mettere piede in quel brillio, no? Solo per questo avrebbe dovuto amarlo a dismisura…

Ma Ginko si era ritrovata a fare i conti con un tipo di affetto che definire amore era troppo perfino per lei. Gli voleva bene, ci teneva, ma che altro? Il cuore non le batteva più da un sacco di tempo di fronte ai suoi sms, le sue chiamate non erano più una priorità e gli abbracci non facevano volare in alto.

E fu a quel punto che Ji Yong riaccadde, con quel suo essere imperdonabilmente stupido, con quella strafottenza che le faceva venire i nervi, con il suo professare un mucchio di bugie spacciate per verità solo per uscire da un baratro di noia da cui non voleva essere salvato e lei aveva pensato che forse, per una volta, poteva lasciarsi andare, infrangere le regole… Chi mai avrebbe potuto sapere? Ma c’era qualcosa che la tormentava, in un antro oscuro della sua anima, una vocina che continuava a dirle che non ci si comportava così, che presto l’avrebbe pagata con gli interessi per essere stata così viscida.

Perché per quanto si fosse sforzata, per quanto ci avesse provato… Lei non era come Lindsay Moore.

Non calpestava i sentimenti degli altri senza badare alle conseguenze, non faceva crollare gli altri in un baratro di incertezze indissipabili e soprattutto non riusciva a non lasciarsi coinvolgersi sentimentalmente. Lei si lasciava sempre andare, faceva progetti, prendeva il peggio negli altri e provava a vederci del buono, dava tutta sé stessa per far sì che le cose andassero per il verso giusto e poi queste puntualmente si disintegravano ma poco importava perché sapeva che presto sarebbe toccata anche a lei un po’ di felicità.

Perché lei se lo meritava, lei…

Un moto di rabbia improvvisa l’accecò, costringendola a cacciare indietro una cascata di lacrime che temeva sarebbe scesa di lì a poco. Perché per quanto la facesse star male, per quanto fosse meschino anche solo da pensare, c’erano volte in cui si era chiesta perché a lei fosse toccato accontentarsi, accartocciando ogni fantasia su Ji Yong mentre a Lindsay fosse toccata l’invidiabile fortuna di essere apprezzata da Seung-Hyun, facendo finta che tutto sia di poco conto. Vederli assieme aveva fatto in scattare qualcosa di maligno in lei, come se la gelosia avesse cominciato a divorare ogni briciolo di buon senso ed era stato tutto così accecante da costringerla ad allontanarsi. Avrebbe voluto correre da Top e dirgli che Lindsay lo avrebbe sicuramente piantato da lì a qualche tempo perché c’erano buone probabilità che la Columbia l’avrebbe presa e anche se lei continuava a dirle che forse il test non era andato, glielo si leggeva negli occhi quanto in realtà sperasse il contrario.

Lei faceva così. Non si accorgeva di quando fosse desiderabile nonostante la corazza di diffidenza con cui si rivestiva e ancora peggio… Ancora peggio non si rendeva conto di quanto condizionasse la vita degli altri con le sue decisioni e di quanto caos avrebbe lasciato se se ne fosse andata, costringendoli a pulire tutto come se niente fosse. Fu un lampo improvviso e che le fece scendere le prime lacrime. Lindsay molto probabilmente se ne sarebbe andata… Lei voleva andarsene.

Cosa ne sarebbe rimasto di Ginko, a quel punto?

La porta del tetto sbatté sonoramente e lei sobbalzò, pronta a dover affrontare Ri con un sorriso a trentadue denti perché così non avrebbe sospettato nulla, non le avrebbe posto domande complicate come –Stai bene? Ultimamente sei strana.-, farla sentire infima con i suoi delicati –Se c’è qualcosa che non va puoi dirmelo, sai che con me puoi parlare di tutto!- e se lui le avesse chiesto perché stava tremando, avrebbe risposto che era il freddo e lei era senza collant.

Ma quando si volse, pronta ad investirlo con il proprio brillio, si rese conto che di Ri non c’era traccia e che davanti a lei svettava la sagoma dell’ultima persona che avrebbe voluto incrociare…

-Ah sei qui, Ri ti sta cercando dappertutto.-

… Kwon Ji Yong e il suo essere così fantasticamente insopportabile. Si stava accendendo una sigaretta e lei si perse nel lento arricciarsi delle labbra, nel modo in cui il fumo scivolava dalle sue labbra e si arzigogolava nell’aria.

Deglutì e prima che potesse anche solo pensare di raggiungere Ri, sicuramente in pensiero per lei, si ritrovò a barcamenarsi nel proprio senso di colpa e nella consapevolezza che se Ji Yong le avesse chiesto di togliersi i vestiti lì, sul tetto, probabilmente lo avrebbe accontentato. Prese un profondo respiro, avvertendo le guance andarle a fuoco e GD se ne doveva essere accorto perché un ampio ghigno si delineò sulle labbra sottili.

-Cos’è, vuoi il bis?- lo domandò con candida placidità, come se non avessero fatto nulla di male.

Ginko si ridestò e quel senso latente di cattiveria che l’aria gelida aveva aiutato a spazzar via, tornò indietro con maggior prepotenza –Come fai ad essere così orribile?- lo fissò con aria arcigna, vedendo il suo volto irrigidirsi prima che una risata spenta trafiggesse l’aria.

-Per cosa?-

-Hai anche il coraggio di chiedermi per cosa?!- sbatté un piede a terra, le braccia tese lungo i fianchi e le mani chiuse a pugno –Tu-Tu piombi a casa mia e credi che tutto ti sia dovuto! Che non ci sarebbero state conseguenze?!-

-Basta far finta di niente- tagliò corto, come se bastasse davvero per seppellire quello che era accaduto tra loro. Ginko venne assalita dal desiderio di lanciargli addosso i propri tacchi quindici ma si limitò ad assottigliare gli occhi, guardandolo furente, conscia che quello non si sarebbe lasciato intimorire. E infatti eccolo lì, con aria annoiata e pronto ad andarsene –Senti, io ero venuto qui solo per fumare. Non mi va di parlarn—

-No, tu resti fermo lì!- lo investì con la propria sofferenza e Ji Yong si bloccò, guardandola sbigottito. Doveva aver gridato, perché la gola le faceva un male cane e la mascella doleva e le gambe le tremavano e lei…

–Non te ne vai fino a che non mi dirai perché lo hai fatto!-

Ginko voleva tornare ad essere la classica brava ragazza.

*****


-Com’è andata a New York?- la domanda si sparse nell’aria con leggerezza, eppure fu come un pugno in pieno petto, soprattutto perché posta con sincero desiderio di sapere come avesse trascorso quelle due settimane. Seung-Hyun del resto era così: si interessava davvero a lei e alla sua vita, anche quando avrebbe potuto benissimo farne a meno. Lindsay alzò la sguardo dalle pagine patinate del W Magazine, le palpebre sbatacchianti di fronte alla sua palese stanchezza. Gli aveva detto di dormire, che sembrava appena uscito da un episodio di The walking dead ma aveva continuato a starsene sveglio. –E’ da un sacco che non ci vediamo.- le aveva detto con un sorriso e lei non aveva insistito.

-E’ andata...-

-E con tua madre?-

Già… Con sua madre? Fu incredibile anche solo pensarlo, ma con Emily le cose erano andate decisamente bene, rispetto agli standard. Era stata umana, quasi sopportabile e non le aveva fatto pressioni sulla Columbia. Era come se il suo essersi finalmente decisa a dare una regolata alla propria vita, avesse finito con il sistemare tutto ciò che lo contornava. Era una bella sensazione, di quelle che per un attimo le avevano fatto sentire il bisogno di non prendere subito l’aereo, ma di godersi ancora un po’ quella che un tempo avrebbe definito Casa degli orrori, ma pur sempre casa.

Lo guardò fisso negli occhi e replicò con un mite –Non è andata così male.- che lo fece sorridere di cuore, apparentemente contento per lei. Probabilmente se avesse saputo il motivo per il quale se n’era andata, non sarebbe stato così felice. O magari, a dispetto di ogni pronostico, non gliene sarebbe importato nulla. Lindsay decise di accantonare quel pensiero, pregando che il terzo grado smettesse ma Seung-Hyun doveva essere in vena di chiacchiere –E per il resto? Hai fatto qualcosa di interessante?-

Sì, ho fatto il test per entrare alla Columbia e se dovessero prendermi tanti cari saluti a te, a me, a Seoul… E, ah, già, sono quasi andata a letto con Greg -Niente di che.-

-Niente di che? A New York?!-

Ci pensò su, poi scoccò le dita -Ah, già, sono stata coinvolta in una sparatoria mentre ero in banca a prelevare- Seung-Hyun per poco non le sputò la birra in faccia, latrando uno stridulo –Che cosa?!- che rischiò di farla scoppiare a ridere –Rilassati, non è successo niente.-

-Mi prendi per il culo?!-

-Un po’- lo sentì smadonnare e questa volta una risata le sfuggì sul serio; lui e il suo essere così incredibilmente credulone –Non è che la mia vita laggiù sia molto interessante.- concluse apatica, tornando a sfogliare la rivista.

Seung-Hyun si appiattì contro lo schienale, guardando il soffitto –E pensare che un tempo venivi inseguita dalla polizia, finivi in carcere, andavi a letto con un tipo diverso ogni sera…-

-Questo prima di redimermi- alzò le mani al cielo –Sai, è arrivato un angelo dai capelli azzurri che mi ha detto: Lindsay Moore, tu sei buona--

Le tirò contro una pallina di carta arrotolata –Smettila di prendermi per il culo! E poi non ho quella voce lì!- Lindsay si sciolse in una risata leggera e lui fece disperdere smadonnamenti e imprecazioni che levigarono un po’ di più lo spesso strato di imbarazzo che li aveva avvolti da quando i baci erano finiti e loro si erano seduti sul letto a debita distanza.

Lin aprì la pallina accartocciata e si rese conto di quale raro tesoro stesse stringendo “Pechino, Shanghai, Guangzhou, Singapore…” che quello era il lasciapassare per discorsi che non l’avrebbero vista come protagonista –Sono le tappe del tour?- lo sventolò.

Seung-Hyun annuì –Ci tocca la Cina questa volta- uno sbuffo pesante seguì le sue parole –Un mese…-

-Un mese passa in fretta- Lin osservò le sue dita giocherellare con l’etichetta della bottiglia e quando lo sguardo si pose sul suo volto contratto in una smorfia di fastidio, udì la propria voce rigare l’aria con una morbidezza che non si riconosceva –Non ti va di andare?-

Si mosse a disagio, mangiucchiò un nugolo di parole prima di mormorare uno svogliato –Non è che non mi vada. È che non lo so…- che la fece pentire di essersi addentrata in un discorso tanto impervio.

-Chiaro.- borbottò sarcastica, vedendolo roteare gli occhi.

-E’ che non lo so nemmeno io!- la sua voce si fece più bassa, quasi temesse di venir udito dagli altri anche se c’era un casino infernale in salotto –Prima mi svegliavo la mattina e non vedevo l’ora di lavorare, ma adesso…- si strinse nella felpa –Adesso non vedo l’ora di tornare a casa.-

-Forse sei solo stanco.- analizzò spiccia, studiando le sue profonde occhiaie. Si chiese da quanto quel demente non dormisse, non mangiasse, da quanto non si stesse prendendo cura di sé e una sensazione di vuoto la prese alla bocca dello stomaco, mentre i suoi segreti tornavano ad avvolgerla in una morsa di ansia e angoscia. Quanto tempo ci avrebbe messo a distruggersi, Seung-Hyun, se lei se ne fosse andata? Fu un pensiero veloce, che le attraversò la mente nell’esatto istante in cui i loro sguardi si incrociarono.

Sembrava che qualcosa lo avesse spezzato ma proprio non riusciva a comprendere cosa fosse e quando pensò che la cosa sarebbe morta lì, Seung-Hyun se ne uscì fuori con un appena mormorato -Non ti senti mai come se non stessi vivendo la tua vita?- che sembrò dare un senso a tutto quello. 
Forse cominciava a pesargli la sua vita da celebrità, quel costante dover mantenere le apparenze pur di poter piacere a chi aveva di fronte, quel dover sottomettersi ad un sistema che sceglieva per lui cosa doveva fare, dire, pensare… Fu allora che Lindsay si sentì ripiombare nel proprio mondo mediocre fatto di feste, alcool, tatuaggi, quello che aveva contribuito a renderla la ragazza indisponente che era tutt’ora, così distante da quello apparentemente fatato di Seung-Hyun. Gli fece tenerezza, per uno sfuggevole istante, quel suo ritrovarsi ad essere adulto e avere la libertà di un neonato.

Si costrinse a non abbracciarlo, stringendo la rivista fra le dita affusolate -Se non ti piace qualcosa, dovresti dirlo.-

Ma Seung-Hyun si grattò la nuca –Non è così facile... Non posso andare dal manager a dirgli, che so: senti, oggi mi hai messo un’intervista alle 14.00 ma io preferirei starmene a casa a mangiare schifezze mentre guardo i Power Rangers. Me lo impedirebbero.-

-Vuoi vedere i Power Rangers? Quanti anni hai, cinque?-

La sua nuca cadde in avanti –Lindsay, sono serio!-

-Anche se ammetto di aver avuto una cotta per quello ros— il suo grugnito la fece ritornare sulla retta via –Senti, l’hai detto tu che è il tuo lavoro, no? Non puoi farci molto- la guardò con sofferenza, quasi si fosse aspettato di sentirsi capito proprio da lei, che aveva la delicatezza di un bulldozer –Non puoi parlarne con qualcuno?-

-E con chi?-

-Non so… Ci sarà pure qualcuno. Gli altri ad esempio.-

-Gli altri?!- rise nervoso –L’ultima volta che ho provato a parlarne con Ji Yong, ha detto che dovrei fare più sesso.-

-Ji Yong che dice qualcosa di sensato, sono sconvo— una maglietta volante la colpì in pieno volto –Sentì, non esiste solo lui. Taejang e Daesung mi sembrano assennati.-

Scosse la nuca –Non capirebbero.-

-Perché no?-

-Perché a loro non va ancora stretto tutto questo!- si alzò di scatto, facendo rovesciare un po’ di birra sulla coperta; Lin si trasse indietro, ammutolendosi –Ci sono giorni in cui vorrei uscire la sera senza dovermi coprire fino agli occhi, senza dover firmare autografi o vedere la gente seguirmi con la macchina fotografica- sventolò le mani –Voglio uscire di casa con la tuta senza paura di leggere sui giornali: il grande Top si sta lasciando andare. Che sia la fine dei suoi giorni d’oro?- Ti criticano se esci in tuta ma non se vai in giro come un pagliaccio?! –Io…Vorrei essere come te.- concluse quel turbinio di frasi ammucchiate con liberazione, sul suo volto poteva scorgere un sollievo che non gli vedeva da un sacco di tempo… Da quando si era presentata a casa sua sotto la pioggia dicendogli –Se vuoi puoi conoscermi meglio.-

Come me… Lin si lisciò le pieghe delle gonna –Intendi… Uno qualunque?-

-Sì, cioè—No, non uno qualunque! Ecco-- si inumidì le labbra –Voglio dire… Essere uno qualunque non è così male, no? Puoi fare quello che vuoi, quando vuoi, senza che gli altri ti giudichino…- Lindsay avrebbe voluto ricordargli che era finita lì in Corea perché costretta; non fece però in tempo controbattere ché lui si era sporto e le aveva preso la rivista dalle mani, cominciando a sfogliarla con più velocità –Guarda qua- le mostrò una sua foto e Lin avrebbe voluto dirgli che non c’era nulla che non andava, che era fotogenico oltre ogni accettabile concezione, ma Seung-Hyun non sembrava essere della stessa opinione –Mi hanno costretto a tagliarmi i capelli e quando ho detto che avrei preferito tenerli più lunghi perché sto meglio, mi hanno risposto: sappiamo noi cos’è meglio per te.- scivolò sul letto, lo sguardo rivolto al soffitto –Sono stufo di sentirmi dire cos’è meglio per me.-

-Seung-Hyun—

-E il tour. Non voglio andarci in Cina, non voglio fare le interviste post spettacolo o partecipare alle feste, lasciar— si bloccò con le labbra semi-aperte e la completa certezza di star dicendo una stronzata galattica. Per un istante Lindsay pensò che non volesse andarsene per lei, per non lasciarsela indietro e ritrovarsi così, una volta ritornato, come se tutto fosse arrugginito e loro dovessero ricominciare da capo ma lui scosse la nuca e stringendo le mani intorno alla felpa disse –Un mese mi sembra troppo lungo.- e lei tornò a mettersi da parte, perché era giusto così.

Avrebbe voluto rispondergli –Cosa vuoi che sia un mese?- o –Sono solo capelli.-, eppure mentre le dita tracciavano il suo contorno su carta lucida, capì a cosa si stava riferendo: si partiva dai capelli, si finiva alla vita intera e il passo era talmente breve da rischiare di non accorgersene e perdere sé stessi, divenendo qualcosa che non si era. Come lei, ad esempio, che non si riconosceva più in tutte le decisioni che stava prendendo, in tutte le incertezze che stava covando.

Tornò a guardare la foto –Effettivamente, i capelli non sono questo granché… Però sei uscito bene- lui grugnì e lei gli rivolse un sorriso leggero –A volte penso che tu ci sia portato.-

-A farmi fare foto?-

-A questa vita. Alle foto, ai tour, ai paparazzi, alla celebrità. Seung-Hyun— si fermò, cercò qualche conferma nel suo sguardo –Non si è mai liberi nella propria vita, celebrità o meno. Io sono una cameriera e non posso neppure decidere come vestirmi per servire a dei tavoli- gli strappò un sorriso sbiadito –Se hai qualche problema dovresti parlarne con gli altri, capirebbero.-

-Forse… O forse sono solo stanco- mormorò stropicciandosi il viso e poi le sorrise, uno di quei bei sorrisi che le facevano esplodere il cuore -Scusami, non so cosa mi sia preso. Ho sparato un mucchio di cazz—

-A volte mi succede, sai? I miei hanno sempre deciso per me.-

-Come la Columbia?- odiava quando Seung-Hyun si ricordava tutto quello che gli diceva, nemmeno fossero importanti le cazzate che sparava.

Lin annuì –Già, tipo.- e poi si smarrì, ma si smarrì per davvero. Fu come se il momento giusto per dire tutta la verità fosse arrivato e lei era lì, spaventata al pensiero della guerra devastante che ne sarebbe conseguita, sopraffatta da un tumulto di emozioni che non riusciva più a controllare e allora se ne stava zitta, perché non era preparata ad un confronto con l’unico che, forse, avrebbe davvero sentito la sua mancanza. O forse peccava di presunzione e lui avrebbe risposto al suo –Ho fatto il test alla Columbia, potremmo non vederci più.- con un mortale –Oh, e quando te ne andrai? Preferisci i clown o i palloncini alla festa d’addio?-.

-E lo fanno ancora?-

Scosse la nuca –Non più, non spesso…-

-Meglio così…- si grattò la nuca -Ancora non capisco perché tu abbia sbagliato il test… È da stupidi e tu non lo sei…-

Ma poi le passò per la mente che doveva qualcosa in più alla propria vita, che fare il test non era servito a renderla migliore agli occhi di Mark ed Emily, ma solo a sé stessa. Perché era brava, capace…

-Non dovresti buttarti via. C'è di meglio in te.-

… E lui l’aveva capito.

In pochi mesi, senza aver bisogno di scavare nelle viscere dei suoi pensieri, facendosi bastare quel poco che lei aveva da offrire e che, per quanto si impegnasse, a volte non era neppure questo granché. E pensò che lui avrebbe capito se solo fosse riuscita a spiegare le proprie ragioni, perché Seung-Hyun non era come tutti gli altri, sembrava trovare una giustificazione ad ogni suo gesto o comportamento, guardava da un’altra prospettiva e allora tutto acquistava un senso.

Ma quando lui se ne uscì con un placido –Però a volte penso sia stato meglio così…- grattandosi la testa, quasi quelle parole gli costassero troppa fatica, Lin ricacciò indietro quell’incerto –Ho fatto il test alla Columbia, potremmo non vederci più.- e decise di rinchiuderlo nei meandri più bui del proprio cuore perché una persona che aggiungeva un imbarazzato ma sincero –Se ci fossi andata, non ci saremmo mai incontrati.- non avrebbe mai, mai e poi mai capito.

E Lin, a quel punto, rovinò tutto con le proprie paure –Che cazzata. Non dovresti pensare a queste cose- trascinandoci dentro anche lui. L’espressione rabbuiata sul suo volto la fece sentire tremendamente in colpa tanto da far comparire la sua coscienza, piuttosto zoppicante e arrugginita, che con voce roca continuava a dirle –No ma brava, distruggilo un altro po’!- che la spinse a mormorare un apatico –Hai il brutto vizio di farmi sembrava buona.- e che in un certo qual modo riuscì a salvare tutto.

Seung-Hyun però non rispose, non subito. La guardò con stupore, quasi non si aspettasse questo repentino cambio di rotta da parte sua e quando Lin si era ormai convinta che tutto sarebbe caduto lì, il ragazzo le ripeté –C'è di meglio in te.- questa volta mormorato con più delicatezza, come a dirle –Guarda che è la verità, non ti sto prendendo per il culo, sei meglio di ciò che credi.-.

Ma Lin aveva smesso di crederci da tanto, troppo e neppure tutti i Seung-Hyun dell’intero universo le avrebbero fatto cambiare idea.

E fu in quel preciso istante che Lindsay fece qualcosa di completamente inaspettato per i suoi standard, stupendosi di sé stessa solo quando le parole furono scivolate nell’aria senza alcun freno. Che quel suo –A volte non ti penti di tutto questo?- avrebbe finito col farli precipitare in una discussione seria in cui avrebbe rischiato di esporsi un po’ troppo anche se quel Di tutto questo, era decisamente più salvifico di uno spaventoso Di noi.

Seung-Hyun parve non comprendere o magari faceva finta solo per vederla contorcersi nel proprio timore, perché strabuzzò gli occhi e la rivolse uno striminzito –Di tutto… Cosa?- che la fece amaramente pentire di aver anche solo tentato di non parlare del nulla cosmico. Cos’è, voleva sentirsi dire –Mai di noi, di che se no?!- che avrebbe messo alla berlina ogni suo più recondito pensiero e sentimento? Eh no, va bene che si stava lasciando un po’ troppo andare ma non si era totalmente rincoglionita… Non aveva neppure finito la birra, porca miseria!

Lin ravanò nel proprio cilindro di Scuse pronte all’uso e l’unica soluzione a portata di mano era starsene sulla difensiva, dicendo tutto e niente –che poi era quello che faceva sempre, d’altronde-, così roteò gli occhi –giusto per sembrar scocciata dal suo essere così lento- e sfogliando le pagine con disinteresse buttò lì un annoiato –Di avermi chiesto di uscire.- che, a ben vedere, la tagliava fuori da quel Tutto questo. Fu come se gli stesse dando la colpa di qualsiasi decisione presa, come se si fosse fatta trascinare dagli eventi solo perché non aveva nulla di più interessante da fare e allora uscire con lui era un modo come un altro per allietarsi le giornate.

Seung-Hyun allora assunse un’aria mortalmente seria, di quelle che se le sarebbe sognate di notte perché i suoi occhi così sottili e taglienti facevano davvero paura, e con tutta la pace dell’intero globo la guardò come se fosse una pazza –E perché dovrei, scusa?-

E Lin non seppe che farsene di quella domanda. Se avesse risposto o No, avrebbe potuto dare un attimo di tregua alle proprie paranoie, decidere se dire la verità o fuggire da Seoul senza farsi mai più né vedere né sentire. Ma così… Così come doveva comportarsi?

Non lo sapeva… Ma per un istante, piccolissimo e fievole, pensò che l’essere innamorata per la prima volta fosse proprio quello: un insieme di emozioni e incertezze che non riusciva a catalogare, diverse tra loro ma che combaciavano alla perfezione e per quanto alcune di quelle facessero male, non avrebbe più potuto farne a meno.

Alzò le spalle –Perché quelli come te non escono con quelle come me.-

Gli sfuggì una risata nervosa –Quelli come me? E come sarei?- per tutta risposta, sollevò la rivista e gli piazzò davanti un suo primo piano talmente folgorante da farla sentire una cameriera qualunque che gironzolava in un bar di dubbio gusto vestita da deficiente –Ah, vuoi dire bello da morire?- e giù a ridere come un pirla di fronte alla sua espressione perplessa e pure un po’ infastidita. No, cioè… Per una volta era lei quella che si gettava a capofitto in conversazione da intellettuali e lui la sminuiva con la propria idiozia?

Lin gettò dietro di sé la rivista, sibilando un –Cretino...- che lo fece ridere ancora di più –Vuoi che ti faccia spazio così puoi rotolarti sulle coperte, già che ci sei? L’ho già detto che sei un cretino?-

-E io l’ho già detto che non dovresti buttarti via?- la guardò con occhi lucidi, le guance rigate dalle lacrime e un sorriso così luminoso da scaldarla –Linnie—

-Non chiamarmi Linnie!-

-Linnie…- la ignorò con un dolcezza tale da far rotolare via quel -Fanculo!- che avrebbe voluto rifilargli senza troppi complimenti -Sei la cosa più normale che mi sia capitata dopo tanto tempo, come potrei pentirmi?- la inondò di un affetto talmente sincero da mozzarle il fiato in gola –Sei l’unico fuori programma che mi sia concesso.- che la mise su di un piedistallo da cui sarebbe voluta scendere immediatamente. E prima che potesse defilarsi con una scusa qualunque e plausibile, il ragazzo l’aveva stretta a sé con una morbidezza tale da farla sentire in trappola.

Ricambiò il suo abbraccio, seppure con un tremolio che proprio non voleva saperne di sloggiare. Le erano mancati questi slanci improvvisi di affetto che la destabilizzavano, quelle piccolezze che la facevano sentire apprezzata, quasi indispensabile. Una specie di ancora di salvezza.

E fu a quel punto che Lindsay Moore non ce la fece più.

-Seung-hyun…?- lo chiamò piano, le dita che scorrevano fra i suoi capelli scompigliati –In realtà c’è qualcosa che devo dirti…- deglutì, lo guardò con un breve sorriso ma non provò neppure a frenare il tremolio che si impossessò delle labbra.

-Cosa?-

-Quando sono andata a New York, io—

Ridacchiò sul suo orecchio -Guarda che non hai bisogno di giustificarti, eh- Cosa?! -Non era una delle regole? Libertà, frequentarsi con chi ci pare…- Lindsay sbatacchiò le ciglia -E’ stato ad una festa in discoteca a base di tequila o una fuga notturna?-

–Una fuga notturna da una festa in discoteca a base di chiodi di garofano.-

-Chiodi di garofano?!- arcuò un sopracciglio –Vi fate di cose strane, voi americani…- ci fu un senso di quiete che la cullò, che per un attimo la indusse a tacere e dirsi che andava bene così, con tutte le parole non dette e i segreti pesanti e che forse facevano bene a custodire, perché erano arrivati a quel punto proprio grazie ai loro silenzi inscalfibili. Ma si guardarono e Seung-Hyun le parve crollare. Fu una frazione di secondi, il tempo di vedere un lampo di timore attraversare le sue iridi e le parole la colpirono in pieno petto –Eri con lui quando mi hai chiamato?-

Sussultò impercettibilmente, allargò gli occhi scuri e si rinchiuse in un bozzolo di diffidenza -Cosa te lo fa credere?- Lindsay venne pervasa da un senso di inadeguatezza che la fece sentire a disagio. La sé stessa di qualche mese prima avrebbe replicato con un secco –Ovvio.- che avrebbe fatto vacillare sempre un po’ di più la loro… cosa, ma difendersi in questo modo… Rispondere ad una domanda con un’altra domanda… Non era da lei.

Non era da lei tutto quello.

Non era da lei non rispondere in maniera tagliente alle provocazioni, non era da lei non pungolarlo per il semplice piacere di vedere scadere la loro conversazione nel nulla e lasciarsi andare a ben altri piaceri, non era da lei vacillare al pensiero che la propria disarmante sincerità avrebbe finito col logorare ogni filo che tesseva la loro unione. Aveva dentro di sé l’amara sensazione che questa volta Seung-Hyun non avrebbe capito, perché era diverso.

Ma quello alzò le spalle, apparentemente ignaro dei suoi dubbi –Non lo so, certe cose sono chiare…- la studiò accortamente, quasi volesse carpire ogni suo riluttante pensiero –Mi ha fatto preoccupare quella chiamata, credevo ti fosse successo qualcosa… Insomma, non è da te chiamarmi, non— lo vide deglutire e Lin comprese che di lì a poco sarebbe successo qualcosa di irreparabile. Che se anche lui le avesse detto qualcosa come Mi piaci un po’ troppo, Credo di amarti o E’ meglio se la finiamo qui, in qualunque caso il suo cuore si sarebbe spezzato in migliaia di pezzettini.

Perché le era ormai caro…

-Lindsay… Io—

Poteva lasciare le cose così, tanto nessuno dei due se ne sarebbe lamentato e quando sarebbe arrivato il momento, gli avrebbe confessato che forse se ne sarebbe andata, che Seoul non era più casa sua e lui non sarebbe più stato cosa sua. Magari mentre era già in coda al gate o quando avrebbe atteso l’arrivo dell’aereo o magari quando era già sul tram per raggiungere la Columbia. Qualsiasi momento sarebbero andato bene, perché lei non sarebbe stata lì a vedere il suo volto..

Sarebbe stato tutto più facile, tutto più…

-Credo di--

-Ero con uno quando ti ho chiamato. Perché a volte io mi pento di tutto questo e--

Tutto più da Lindsay.

E lui doveva essersi accorto che qualcosa non andava perché la stava guardando con confusione, annaspando nel vano tentativo di capire cosa stesse cercando di dirgli. Le sue sopracciglia si aggrottarono, i suoi lineamenti si indurirono e i suoi occhi si fecero più distanti.

Le parole le si incastrarono in gola -Ho bisogno d’aria.-

Era incapace di saper gestire tutto ciò che di buono e bello lui le dava.

-Puoi aprire la finestra.-

-No, io— Ho bisogno di più aria. Vado sul tetto.-

Seung-Hyun non insistette e Lindsay sgusciò dal suo abbraccio come se il suo corpo scottasse, ritrovandosi a rabbrividire quando le sue dita scorsero lente lungo la schiena. Si sentì osservata per tutto il tempo in cui cercò scarpe, giacca e la propria dignità ma quando si volse, Seung-Hyun stava già facendo altro.

Lei aveva l’innata capacità di rovinarli

-Linnie… Svegliami se sto dormendo, quando torni.-

… E lui di aggiustarli.

*******

-Sto aspettando!-

La resa dei conti avvenne alle 01.35 di un giovedì sera qualunque, quando il freddo si incastrava sotto pelle e i rivoli di fumo della sigaretta erano più ipnotici del solito.

Gd si inumidì le labbra, desideroso di vedere fino a che punto si sarebbe spinta la sua deliziosa preda. Si riscoprì piuttosto sorpreso nel ritrovarsi di fronte ad una Fujii così combattiva e speranzosa di ottenere risposte che, forse, avrebbero potuto cambiarle la vita ma Ji Yong aveva dalla propria uno strumento talmente potente da poterla sconfiggere in un battibaleno: il tradimento nei confronti di quel piccolo biscottino di Ri.

Si concesse però una pausa, giusto per ravvivare un po’ la situazione -Fujii… Vuoi proprio discutere quando ci sono così tante stelle nel cielo?-

Ginko arcuò un sopracciglio –Non me ne frega niente delle stelle!- squittì esasperata, dando fondo a tutta la pazienza accumulata.

Sbatacchiò le palpebre –Ma come? Se tu è Ri salite sempre quassù a vederle!- le rivolse un sorriso dolciastro a cui lei replicò con un balbettio assolutamente da capogiro. Aah, quanto gli era mancato divertirsi con queste menti semplici.

Ma quando si volse, Ginko gli parve tutto fuorché una mente semplice: respirava pesantemente, era risoluta, con lo sguardo in fiamme e l’aria di chi sta per esplodere da un momento all’altro –Rispondi. Alla. Domanda.- e non sembrava intenzionata a seguirlo in uno dei suoi soliti intricati labirinti –Perché lo hai fatto?- ma c’era comunque qualcosa di delicato nella sua voce, come se sperasse in una sua redenzione, in un miracolo.

E Ji Yong decise di seguirla, di lasciare che fosse qualcun altro a dettare le regole dei giochi per una volta…

–Sei proprio sicura di volerlo sapere?-

-Devo.-

O almeno, glielo avrebbe fatto credere…

-Devi? O vuoi?-

-Che differenza farebbe?-

Arricciò le labbra –Vuoi, significa che hai solo necessità di soddisfare la tua sete di curiosità; devi, significa che non puoi vivere senza una risposta e—

-Voglio saperlo perché devo, contento?- lo interruppe brusca, i lineamenti solitamente delicati ormai raggrinziti in una maschera di odio che mai le aveva visto. Sentì qualcosa spezzarsi a livello del cuore ma forse era solo il freddo –Sono stanca dei tuoi giochetti. Rispondimi e finiamola qui.- spazientita, rilassò i pugni chiusi.

Finiamola qui… Quante volte lo aveva detto a tutte le sue ex? Chissà perché ma pronunciato da qualcuno faceva uno strano effetto. Una risata strascicata gli sfuggì al controllo –Quelle come te sono convinte che debba esserci sempre qualcosa.- le rivolse un altro sorriso dolciastro, un altro pretesto per farla esplodere.

Ma Ginko rimase immobile, seria –Vuoi farmi credere che non c’è? Con tutte le ragazze che ti muoiono ai piedi, perché sei venuto da me?-

-Perché anche tu sei una di quelle che mi muore ai piedi- fu una stilettata in pieno petto, poté leggerlo nel tremore dei suoi occhi e nel suo aprire le labbra senza aver alcunché da ribattere –Pensavi davvero di essere diversa dalle altre, Fujii?-

-Sì…- fu un soffio leggero eppure deciso, che gli fece perdere il sorriso –Perché c’è di mezzo Ri- e Ji Yong vacillò. Per un breve, insignificante istante si rese conto che non aveva a che fare con una delle solite ragazzette che si portava a letto, per il semplice fatto che Ginko era entrata nel loro mondo. E stava con SeungRi… Ci aveva pensato, mentre saliva i gradini diretto alla sua porta, di poter far soffrire l’amico, ma solo adesso questo pensiero aveva spalancato le porte della sua mente, facendosi nitido. Ginko sembrò calmarsi di fronte al suo mutismo, assunse un’aria da mamma che tenta di far capire al bambino dove aveva sbagliato e Ji Yong sentì di sta perdendo quel poco di lucidità che teneva stretto a sé –Non ti do tutta la colpa, io avrei dovuto fermarti, dirti di no e—E io capisco perché l’ho fatto, per quanto sappia di aver sbagliato… Ma tu?- la sua voce aveva cominciato a tremare e il ragazzo si convinse che se avesse risposto ancora con un annoiato –Non c’è alcun motivo.-, quel siparietto non si sarebbe concluso.

E Ji Yong esplose -Vedervi insieme mi da sui nervi.- con pacatezza, senza aver bisogno di lasciarsi andare a inutili isterismi o teatralità. Si rese conto di essere stato più sincero con queste sei parole, di quanto abbia fatto in tutti questi mesi e la leggerezza che tutto questo portò, lo fece sentire quasi in pace.

Fino a che Ginko non esplose, di nuovo -Sei un bambino!- sbatté le braccia lungo i fianchi -Il tuo giocattolo viene preso da un altro e subito lo vuoi indietro! Beh, mettitelo in testa: Non. Sono. Il. Tuo. Giocattolo!-

Si ridestò -Una volta ti sarebbe piaciuto esserlo.- come un animale in trappola, Ji Yong ricorse al buon vecchio “Attacca prima di essere ferito”, certo che quel pasticcino di Ginko non si sarebbe mai spinta oltre il limite dell’irritazione. Invece, contro ogni suo più luccicante pronostico, ecco che l’irritazione lasciò spazio all’ira, rendendola una statua di nervi tesi e vene pulsanti.

Non l’aveva mai vista così e diamine, quella situazione lo stava eccitando parecchio.

Ginko balbettò qualcosa di incomprensibile –Mi avevi detto di non perdere tempo con te.-

Ji Yong si trovava impantanato nelle proprie affermazioni, rendendosi conto di essersi scavato la fossa e poi essercisi gettato da solo. Quando aveva pronunciato quella frase, nel fragore della discoteca, era stato davvero convinto di star facendo la cosa giusta per sé stesso e per lei ma ora i suoi giochetti avevano preso una piega che andava oltre il suo controllo.

Era come se i burattini si stessero ribellando al padrone.

-Mi sbagliavo.- il proprio mormorio si levò piano, con una fermezza che a malapena sentiva propria e che fece smarrire Ginko. Poté leggerlo nei suoi occhi sfuggenti, nel suo frenetico torturarsi le dita alla ricerca di una risposta che potesse mandare avanti quel teatrino solo per capire. Ma non poteva aiutarla, perché neppure lui sapeva cosa Diavolo stava succedendo.

-Beh, è troppo tardi- le sue parole trafissero l’aria con decisione, c’era una sicurezza talmente disarmante da farlo sentire minuscolo e inutile -Ri è buono, mi vuole bene e anche gliene voglio e—

-Gli vuoi così bene che sei venuta a letto con me.- soffiò lapidario, senza alcun sorriso o ghigno che potesse malleare lo spesso strato di collera ormai frappostosi tra loro. Era stanco di sentirsi il colpevole quando le cose si facevano in due.

Ginko tremò, i suoi occhi si fecero larghi e Ji Yong non fu più così sicuro del proprio voler chiarire le cose tra loro. Per un istante pensò che sarebbe stato meglio lasciare le cose così com’erano, con i loro giochi di sguardi colpevoli, quel piccolo segreto da portarsi nella tomba e un altro mucchio di stronzate che facevano comodo in quei frangenti. Ma ci fu qualcosa, nell’istante successivo alla sua cattiveria, che sgretolò completamente il mondo sotto i suoi piedi…

-… Cosa?-

… Che aveva occhi scuri, capelli corti ed era affiancato da quella che, a ben vedere, era stata l’inizio di tutto.

Ginko lo guardò come a dirgli “Dimmi che non è vero” ma quando un lieve –Oh, merda…- serpeggiò tra loro, i suoi occhi presero a svuotarsi di ogni briciolo di certezza, ogni traccia di candore si volatilizzò e con lei anche la sensazione di poterne uscire indenni. Si concentrò sulle sue spalle strette, troppo colpevole per poter reggere lo sguardo furioso di Ri o quello confuso di Lindsay.

-Ri, non è come—

-Non è come penso? E allora com’è? Vuoi dirmelo tu?- Ginko si irrigidì, le mani strette a pugno –O forse tu?- e Ji Yong seppe di essere in trappola. Sollevò lo sguardo pregno di rammarico ma sapeva che Ri vi avrebbe letto altro. Il suo volto era una maschera di puro disprezzo e i suoi pugni stretti lungo i fianchi facevano presagire una bella scazzottata –La storia si ripete sempre--

-Quante storie per una scopata.- non credette di averlo detto ad alta voce ma quando tutti e tre lo guardarono allucinati, capì di essersi infilato in un tunnel senza via d’uscita. Ginko lo fissò così sbalordita da sembrare un pezzo di marmo, Lindsay parve comprendere la gravità dell’accaduto e Ri si mise a ridere.

Decisamente, questo non sapeva come gestirlo.

Ji Yong non seppe più prevedere cosa sarebbe successo di lì a poco. Le sue piccole creaturine si stavano comportando in maniera assolutamente imprevedibile, non reagivano come avrebbero dovuto e se ai tempi avrebbe pensato ad un errore di progettazione, ora capiva che le cose erano cambiate, così come tutti loro.

Gli fu tutto talmente chiaro, da terrorizzarlo…

-Per te è tutto così semplice, non è vero?- soffiò SeungRi.

Ginko non era più la nana salterina che stravedeva per lui o che lo avrebbe seguito in capo al mondo; lo aveva avuto una volta e ora aveva scelto di non farsene niente, avrebbe preferito starsene con qualcuno che non l’avrebbe fatta soffrire, anche a costo di rinunciare ai suoi sogni…

-Prendi le persone, le usi a tuo piacimento e poi le butti via, quando non sai più che fartene. Pensi che agli altri non freghi nulla delle conseguenze solo perché sei tu. Beh, non è così, gli altri soffrono se non te ne fossi reso conto--

Ri non era più il ragazzino tontolone che abboccava ad ogni suo scherzo, che cercava con tutte le proprie forze di risolvere i suoi intricati rompicapo anche a costo di apparire lo scemo per eccellenza; si stava ribellando, gli stava gettando contro tutto il male che aveva fatto senza possibilità di farlo controbattere…

-Come con Top hyung… E Lindsay!- la diretta interessata lo guardò confusamente –Ogni volta che le cose sembravano andare bene, arrivavi tu con i tuoi stupidi giochetti. Gli mettevi in testa strane idee, lo facevi sentire così insicuro dei suoi sentimenti per lei da rischiare di rovinare tutto!-

E c’era Lindsay…

-Non mi pare sia successo—

-Come se ci volesse lui per rovinare tutto…- le parole di Ginko sibilarono pregne di cattiveria, lo sguardo gelido rivolto verso Lindsay, ora immobile –Glielo hai detto?-

-Ehi, non tiratemi in me—

-Glielo hai detto?!- il suo urlo stridulo rimbombò talmente forte da costringere Ji Yong ad appoggiarsi alla ringhiera.

Lindsay…

-Dire cosa?- Ri si rivolse a lei con confusione e la Moore parve divenire così piccola, ma così piccola, da fargli provare pena. Rivide così tanto di sé stesso in lei, che per un breve istante fu tentato di richiamare la loro attenzione e ricordare che il fulcro della loro discussione era la propria stronzaggine, non quella di America.

Ma lui fu troppo lento e Ginko troppo infuriata per poter tacere –Che se ne va! Che se ne torna a New York!-

-Non me ne torno—

-Non ancora! Ma appena verrai presa alla Columbia, te ne andrai! Mi lascerai qui, ci lascerai— gli occhi di Ji Yong si allargarono talmente tanto da fargli male. Gli parve un’occasione d’oro da poter sfruttare a proprio piacimento quando sarebbe arrivato il momento giusto ma lo sguardo spezzato di Lindsay fece fuggire ogni suo più becero desiderio di divertimento –Tu non hai pensato neppure un attimo a cosa ti lascerai indietro, a chi abbandonerai e per cosa? Per andare a fare qualcosa che neppure vuoi? Solo per sentirti meno orribile? Credi davvero che essere ammessa all’università ti renderà una persona migliore?!-

E Lindsay mai gli parve così uguale a sé. Così bugiarda, meschina…

-Io ci ho provato ma non posso dirglielo, non ci riesco…-

E innamorata. Proprio come lui.

L’americana boccheggiò prima di chiudersi nel suo solito mutismo, questa volta senza quel suo solito menefreghismo che tanto gliel’aveva resa cara. Gli parve tutto così strano da fargli sembrare che quello fosse il giorno del giudizio e se America fosse scoppiata a piangere, il mondo sarebbe probabilmente cascato.

-Quando mai tu sai dire qualcosa?!-

-Ehi, ora basta--

-E tu sei contento?- gli si rivolse con ira -Sei talmente triste e annoiato che devi rovinare la vita degli altri per dare un senso alla tua! Ma che Diavolo ho visto in te?-

Ricambiò lo sguardo -Non te l’ha mai detto nessuno che l’amore è cieco?-

-Siete orribili…- mormorò Ginko sull’orlo delle lacrime prima di guardarlo con lo sguardo più astioso che qualcuno gli avesse mai rivolto e che fece più male di tutti gli schiaffi che le sue avventure gli avevano tirato una volta fuori dalle coperte. Zampettò verso la porta e prima di superare le due statue di sale, biascicò un –Mi dispiace…- rivoltò a Ri o forse a Lindsay o forse ad entrambi. Non di certo a lui…

-Ginko—

-Lasciami!-

Lindsay si strinse nel giubbotto, tornando a guardarsi la punta delle scarpe. La porta sbatté, facendoli sussultare e SeungRi si riprese dal proprio intontimento –Tu—Tu te ne vai?-

Lindsay avrebbe potuto difendersi in qualsiasi modo, spiegarsi e magari trarsi in salvo… Ma optò per il silenzio, precludendosi ogni possibilità di rivalsa. Non seppe dirsi se la sua fosse solo stupidità o sollievo che tutto quello fosse venuto a galla ma di una cosa era certo: la bomba che Ginko aveva sganciato, avrebbe creato un esplosione talmente fragorosa da trascinare con sé tutti quanti.

Ri si stropicciò il volto prima di guardarli con stanchezza -Siete davvero una bella coppia, voi due.- e quando rimasero soli, l’unica cosa che riuscì a mormorare fu un sarcastico –Una bomba.- che, scommetteva, avrebbe fatto imprecare Lindsay.

Ma quando la porta sbatté e lui si volse per cercare il suo sguardo colmo di apatia, menefreghismo, pronta a rifilargli chissà quale giustificazione per il suo tacere qualcosa di così grande a colui che aveva l’onore di spupazzarsela ogni tanto, tutto ciò che vide furono lacrime. Copiose, che scivolavano lungo le sue guance nel più totale silenzio.

E Ji Yong gelò.

Tossicchiò -Ehi, non gli dirò niente. E neanche Ri dirà niente. E neppure Ginko, credo…-

Scosse la nuca -Non è per quello.-

Lei che piangeva…

Si grattò la nuca –E’ perché ti hanno coinvolta?- silenzio –Mi spiace.-

Lui che si scusava..

Tirò su col naso, provò ad asciugarsi gli occhi -Sai? Hai ragione. Non è più divertente…-

Lei che gli dava ragione…

-Non sarebbe mai dovuta cominciare.-

Quella era davvero la fine del mondo.

*******


Spesso ci pensava, a lui e Lindsay insieme.

Ma insieme nel vero senso della parola. Come rincasare e ritrovarsela fra i fornelli, fra le coperte, fra tutto ciò che era il suo mondo; svegliarsi nel bel mezzo della notte e accorgersi come lei fosse ancora lì, stretta a lui beata, talmente tranquilla da far sembrare la loro pseudo-relazione un banalissimo gioco, di quelli facili e veloci che non fanno mai bestemmiare; avere i coglioni girati perché il mondo girava all’incontrario e tutto gli andava storto, litigarci per il semplice gusto di vederla arrabbiarsi e poi farci l’amore fino a che non gli faceva male il cuore, un po’ per perdonarsi, un po’ perché non ne poteva fare a meno.

Amarla e sapersi amato, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Gli capitava spesso la mattina, quando si svegliava e tutto gli pareva fuori posto e lui nemmeno sapeva dove si trovasse. Era un istante brevissimo, ma lui si sentiva bene. Era il re del mondo, un uomo realizzato. Poi il cervello connetteva, gli ricordava che quella era la vita vera e non una mera fantasia che, con l’andare del tempo, avrebbe rischiato di far corrodere quel che di buono vedeva ancora nell’umanità.

Lindsay non era sua, non ricambiava i suoi sciocchi sentimenti e forse non lo avrebbe mai fatto. E allora si rivedeva in un futuro lontano, mentre passeggiava in un anonimo quartiere senza meta alcuna e la riscopriva fra i passanti, mano nella mano con uno sconosciuto che la faceva ridere, che la chiamava Amore e veniva guardato con dolcezza. Il cuore si accartocciava in quegli istanti, faceva un male atroce e più tentava di disintossicarsi da tutto quello, più nuove immagini saltavano alla mente. Probabilmente ci sarebbe stata anche una bambina che sarebbe assomigliata a lei in tutto e per tutto, con enormi occhi nocciola e lunghi capelli castani, con il naso lentigginoso e le labbra scure. Probabilmente non lo avrebbe salutato, una volta che i loro sguardi si fossero incrociati, perché le cose andavano bene così, lei era felice e non c’era bisogno di rovinare tutto con sciocchi ritorni al passato e sguardi colmi di chissà quanta nostalgia. E lui avrebbe sorriso perché nonostante tutto, nonostante tutto l’amore che provava per lei, saperla felice e senza più problemi era già abbastanza.

Era un futuro orribile ma in un certo qual senso, era quello che più si avvicinava alla realtà. E allora tornava a rifugiarsi nel passato, in quei loro stralci di momenti avuti assieme in cui per poco si era sentito importante e perché no?, apprezzato, desiderato. Poteva rivedere ancora la sua figura infreddolita sulle scale e di come avesse faticato per non scendere dall’auto e correrle incontro, stringendosela fino a che l’alba non fosse giunta. Su di sé poteva ancora sentire la leggerezza della neve e il gelo che si era attaccato alle ossa, che si mescolava al calore cocente che i baci di Lindsay gli infliggevano senza pietà. Ricordava le sue parole, la sua risata un po’ sciocca che era risuonata nell’abitacolo e quel suo Va bene così, che gli aveva fatto intendere come le cose invece non andassero.

Perché le cose tra loro non andavano mai. Dovevano essere sempre spinte un po’ più là…

-Perché a volte io mi pento di tutto questo.-


E a volte non bastava lo stesso.

La porta che sbatteva lo fece sobbalzare e quando mise a fuoco la stanza, la figura tremante di Lindsay che si dimenava per tutta la camera fu la prima cosa che vide. Sembrava in ansia, tirava su con il naso e blaterava frasi in inglese che non capiva.

-Oi, cosa sta andando a fuoco?-

La ragazza sussultò –Eh?-

-Ti comporti come una ladra…-

-Oh, ah…- tornò a frugare fra le sue cose –Ji Yong ha litigato con Ginko, Ri ha litigato con tutti e credo che Ginko abbia litigato con me- si mise a sedere, sbatacchiando le palpebre –Che palle! Io volevo solo un po’ d’aria!-

Osservò il tremolio delle sue mani mentre recuperava la borsa. L’ultima volta che l’aveva vista in queste condizioni, si era ritrovato del rhum fra i capelli; si schiarì la voce –Vuoi parlarne?-

-Voglio tornare a casa.- mormorò secca, rivolgendogli un’occhiata talmente fugace da farlo precipitare in un baratro di sconforto e buio. Fu allora che vide i suoi occhi, rossi e gonfi… Gli tornò alla mente la primavolta in cui aveva avuto l’onore di conversarci amabilmente e di come avesse scoperto una Lindsay fragile dietro quella corazza di durezza che indossava ogni giorno. La vide dirigersi verso la porta con passo veloce e gli sfrecciò nella mente il pensiero che se l’avesse lasciata andare senza provare a capire o almeno farle sapere che in qualsiasi momento lui ci sarebbe stato, tutto quello che avevano sarebbe sparito. Ma proprio quando stava per chiederle di fermarsi, Lindsay era ormai già lontana.

Si alzò di scatto e le corse dietro, scansando gli ospiti ubriachi che lo salutavano come se non lo vedessero da una vita e la gola gli bruciò quando il proprio –Fermati!- risuonò forte e deciso nell’androne delle scale, facendola finalmente bloccare. Era impaurita, poteva leggerlo nel tremore del suo corpo, nel guizzare dei suoi occhi da una parte all’altra.

Si avvicinò con cautela, quasi avesse il timore di vederla fuggire e quando capì che non se ne sarebbe andata, le sfiorò la nuca -Ma che ti è preso?-

-Sono solo stanca, non ho dormito in aereo… Odio i bambini! E le suore! E non c’erano i Gundam nella II Guerra Mondiale!-

-Cosa?!-

-Voglio andare a casa.-

-No!- la fermò per un polso, sentendo l’adrenalina schizzargli nelle vene. Era la prima volta che dettava le regole tra loro, si sentì pervaso da un’irrefrenabile desiderio di potere che rischiò di dargli al cervello e se non lo avesse guardato con sorpresa, forse si sarebbe comportato da emerito coglione. Attese che Lindsay si calmasse e quando il suo respiro si fece più regolare, allentò la presa –Che succede? Andava tutto così bene…-

Lin si inumidì le labbra prima di rivolgergli un flebile –Già…- che fece trasparire tutta la sua spossatezza –Ho solo bisogno di dormire, scusa.-

-Puoi dormire qui.-

Lin arcuò le sopracciglia –Credi davvero che dormiremmo, se restassi?-

-Mh, beh…- effettivamente aveva in mente un mucchio di altri modi in cui avrebbero potuto passare il loro tempo sotto le coperte e dormire non era tra quelle –E’ che quando fai così, mi fai preoccupare.- lo rivelò con un briciolo di incertezza, impaurito al pensiero che lei potesse capire ogni suo più piccolo sentimento che ancora le aveva taciuto.

-Così… Come?-

Sventolò la mano libera –Come se avessi combinato chissà cosa, anche se tu non hai fatto niente. E allora scappi e ti comporti così e—

Il suo capo cadde in avanti -Hai il brutto vizio di farmi sembrare buona.- lo interruppe piano, facendogli così comprendere che non se ne sarebbe andata fino a che non fosse stato lui a darle il permesso.

Top lasciò il suo polso, la fissò negli occhi colmi di tormento e non gli ci volle molto per affrontare la realtà: ne era innamorato, forse più di quanto avesse lasciato intendere agli amici e a sé stesso -Sicura di non volerne parlare?- la vide scuotere la nuca –E di restare?-

-E’ meglio che vada a casa…- ribatté dopo qualche istante, sorridendogli appena. Indugiò sul gradino –Beh, allora ci sentiamo. Ricordati di mangiare. E dormire. E parla se le cose non vanno.-

-Sì, certo. Ti scriverò, se avrò tempo- calibrò la propria incertezza, addolcendosi -Fammi sapere come va con Ginko.-

Si sarebbero lasciati così, con quel saluto un po’ fiacco e un gioco di sguardi in cui nessuno sembrava vincere. Non ci sarebbe stato nessun Chiamami, nessun Fatti vivo ogni tanto, nemmeno un effimero Mi mancherai. Con Lindsay ciò non era permesso e per un istante si chiese cosa sarebbe accaduto se lui, tutto quello, glielo avesse rovesciato addosso.

Lindsay non parve turbata, si limitò ad annuire prima di dargli le spalle. La vide però irrigidirsi e voltare il busto in sua direzione mentre la sua voce flebile rigava l’aria –E comunque non è successo nulla. Con quell’ex, intendo. Ed è vero che a volte mi pento, ma non è colpa tua, tu non c’entri, tu--

A quel punto, Seung-Hyun si rovesciò.

Mandò al Diavolo le paranoie e prima che potesse sfuggirgli per chissà quanto tempo ancora, se la strinse come se dovesse tramutarsi in sabbia da un momento all’altro, baciandola, carezzandole i capelli, facendo tutte quelle cose che avrebbe dovuto concedersi quando si erano rifugiati nel loro mondo fatto di discorsi pieni di tutto ma detti con niente. Avrebbe dovuto farci l’amore, riassaporare la sua pelle e lasciarle addosso il proprio profumo, che a lui i chiodi di garofano facevano venire la nausea.

Ma Lindsay si divincolò appena per cercare aria, guardandolo sorpresa e con occhi lucidi di piacere. Lui deglutì e ricacciò indietro tutte le verità che avrebbe voluto confessarle, limitandosi ad un banale quanto sincero -Mi sei mancata.- che la fece infreddolire. Perché Lindsay tremava stretta nel suo braccio. La sentì aggrapparsi, le sue dita affusolate fra i capelli, arricciandoglieli. Leggeri brividi partivano dalla nuca e si diramavano fino alla punta dei piedi, inondandolo di pura elettricità.

Era troppo chiedere di restare così per sempre?

-Sarà meglio che vada-

… Forse sì.

-Fai buon viaggio…- glielo aveva detto con apatia, eppure aveva colto una nota di tremore nella sua voce vellutata. Come se volesse dirgli altro, come se ci fossero altre mille cose da dirsi prima di darsi una pausa…

-Mi trovi qui, quando tornerai.-

Come se ormai le cose, tra loro, valessero più di tutto quello.

Sehung-Hyun ebbe il timore che Lindsay potesse scorgere il bagliore nei suoi occhi all’udire di quella frase, nonostante il buio facesse loro da contorno. Ma i suoi passi erano risuonati leggeri e l’ultima cosa che gli rimase, fu il suo breve sorriso seguito dallo sventolio delle dita.

E il proprio cuore, che non smetteva di battere.

E i propri pensieri, tutti quei Forse che da tempo aveva relegato in un angolo e solo ora si azzardavano a sbucare timidamente.

Che forse poteva sperare. Forse anche lei lo amava…

A modo suo…

Forse…

 

 

A Vip’s corner:

Ahm… Salve? Davvero non so come introdurre queste note, dopo così tanto tempo.
Le giustificazioni sono sempre le stesse: la stanchezza, il lavoro, l’ispirazione altalenante più una serie di altri eventi che mi hanno costretta a mettere da parte questo branco di testoni.
Ad ogni modo sono tornata e spero di non andarmene ancora, anche perché ormai siamo agli sgoccioli.
Passando al capitolo… Lo amo. Per quanto sia lungo, pieno di difetti, imprecisioni e forse qualche parte che sembra troppo veloce, non cambierei nulla. I personaggi si sono finalmente mostrati per quello che sono, si comportano in maniera diversa perché sono cambiati e, per quanto possa sembrare strano, lasciatemi dire che la più vera tra tutti qui è Ginko e il suo atteggiamento è ponderato, non mi è servita solo come pretesto per “sganciare la bomba”.

Non mi dilungo ulteriormente, anche perché il capitolo è bello pesante. Passo ai ringraziamenti –mi era mancata questa parte!-: a mamjlbylover, TheshiningSofia, AngelNavy e jeanlovesfreedom e Myuzu (sappi che ancora non ho chiesto il divorzio e mai lo chiederò u.u) va tutto il mio affetto e, anche qui, mi scuso per il ritardo abissale con cui vi ho risposto. Nel caso passiate di qui, spero di essermi comunque fatta perdonare con questo aggiornamento.
Ringrazio inoltre infinitamente chi mi ha aggiunta tra i ricordati/seguiti/preferiti –siete davvero in tanti, fatico ancora a crederlo- e, visto che non lo faccio mai, chi mi ha aggiunta tra gli autori preferiti.
Mi fate sempre sentire brava anche quando mi pare di star scrivendo un mucchio di cavolate. 
Se vi va, lasciatemi pure un commentino o anche qualche insulto, mi fa sempre piacere sapere cosa pensano i lettori :)

Con la speranza di non metterci altre ere geologiche, alla prossima
HeavenIsInYourEyes.

 

 

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Capitolo 31
*** La felicità è il posto dove hai sempre voglia di tornare ***


Capitolo 31

La felicità è il posto dove hai sempre voglia di tornare

 

"Lester: Come sta Jane?
Angela: Che vuoi dire?
Lester: Intendo... Com'è la sua vita. È felice? È infelice? Ci terrei tanto a saperlo...
E si farebbe uccidere piuttosto che parlarne.
Angela: Lei è... lei è molto felice. Crede di essere innamorata.
Lester: Buon per lei.
Angela: … E tu come stai?
Lester: È passato del tempo da quando qualcuno me l'ha chiesto... Sto da Dio."

-American Beauty, Sam Mendes-

 

 

-Quella ha dei seri problemi.- chiuse la portiera dell’auto con scazzo, afflosciandosi sul sedile del guidatore.

Una cascata di capelli ramati si sedette al suo fianco, chiudendo la portiera con decisamente più delicatezza –Si dia il caso che “quella” sia la mia migliore amica- soffiò arricciando il naso, stendendo le gambe fasciate con collant a motivi floreali –Andiamo, è stato divertente!- gli si rivolse con un largo sorriso, dimentica del fastidio.

Ji Yong storse il naso, calandosi il cappellino quando vide delle ragazzine fissare la sua auto; e pensare che aveva preso quella sgangherata di sua sorella per non farsi riconoscere –Se ti piace vedere delle porte dipinte, tutte uguali… Porte!- lo pronunciò con voce stridula, rendendosi conto solo ora di cosa gli era toccato sorbirsi pur di farla contenta –Sono porte! Te ne sei resa conto, vero?!-

Gli scoccò un’occhiata torva –C’erano anche dei paesaggi.-

-Davvero? Erano tra le porte gialle o quelle verdi?- ricevette un buffetto sul braccio e smadonnò stretto per non farsi sentire; non le piaceva quando imprecava, diceva che sembrava un ragazzetto qualunque –La prossima volta scelgo io dove andare.-

–Era per fare qualcosa di diverso. E poi Youra ci teneva…- si accese una sigaretta, aprendo il finestrino per buttare fuori il fumo. Gli dava le spalle, permettendogli di scrutare solo la sua chioma rossa liscia come seta

Ji Yong buttò indietro la nuca, ingoiando un mucchio di Machicazzosenefrega che gli raschiarono la gola -Ma perché ha dipinto solo porte?!-

Alzò le spalle –A volte ci si fissa su alcune cose senza saperne il perché.- gli lanciò uno sguardo sfuggevole, poi tornò a fissare fuori –Come quando ti piace una canzone e l’ascolti all’infinito, fino a quando non ne hai la nausea.-

-Proprio quello che ho provato io…- provò a sfiorarle i capelli ma lei si ritrasse, borbottando cose incomprensibili; Ji Yong sospirò, conscio di essersi infilato in un bel casino –Ha-Neul…? Nana…?- sbuffò di fronte all’ostinato mutismo della ragazza, palesemente incacchiata per aver visto il proprio pomeriggio libero venir denigrato da uno che di arte se ne intendeva, ma che aveva la delicatezza di un mietitrebbia –E’ che non capisco cosa ci sia di così interessante nella stessa porta dipinta con colori diversi.-

La ragazza sbuffò –Dovresti essere più di ampie vedute!- gesticolò con le mani, tornando a guardarlo –Com’è che dice il nostro coreografo? Più open minded ragazzi, altrimenti questa coreografia sarà un game over colossale!- la sua scadente imitazione del loro insegnante di ballo lo fece scoppiare a ridere e l’atmosfera sembrò rilassarsi –Dovresti vedere le cose da un’altra prospettiva, altrimenti ti perdi tutto quello che c’è dietro.-

-Io vedo solo una maniaca della perfezione.-

-Youra non è così, non gliene frega niente della perfezione- gli sorrise un poco –Sa benissimo che non esiste- e prima che Ji Yong potesse dirle che no, la perfezione esisteva e ce l’aveva proprio lì davanti agli occhiali da sole e aveva capelli rossi e lisci, un rossetto color ciliegia che restava sempre sui bordi delle sigarette o dei bicchieri, sorrideva per tutto e se la prendeva per niente, lei lo guardò con quel suo sguardo magnetico e che gli tarpava il respiro nei polmoni. Lo prese per mano, carezzandone il dorso con il pollice laccato di rosso –Credo sia l’amore. E’ l’amore che ti spinge a fare tutto, no?-

-Dorme ancora?-

-Dovreste allontanarvi, così non respira.-

-E se stesse per morire?!-

-Ha solo la febbre, Dae!-

-Gli avevo detto di rientrare ma no, lui doveva starsene sul balcone tutta notte! E come se non bastasse, oltre al raffreddore che si è preso, ieri è uscito fuori al freddo tutto sudato, dopo il concerto!

-Sai che è fatto così… Non ascolta nessuno…-

 

-Quindi te ne vai...-

-Può darsi che non mi prendano…- si strinse nel cappotto, soffiando con il naso.

-Ma se dovessero, te ne andresti.-

Lindsay corrugò la fronte –Sarebbe stupido rifiutare.-

-Trovo più stupido esserti iscritta alla Columbia senza avergli detto nulla- Lindsay si irrigidì –Perché non glielo hai detto?-

-Perché mi avrebbe lasciata…- fu un soffio arrochito e spento, di quelli che si incastravano fra le pieghe dell’anima e la facevano contorcere dal dolore; fu destabilizzante vedere che per la prima volta, tra quei due, era Lindsay quella impaurita che tutto potesse finire –Sono abituata ad andarmene senza preoccuparmi degli altri, ma con lui non ce la faccio…- Ji Yong avvertì salirgli in gola un lapidario “Te ne sei innamorata” ma lei fu più veloce nel prendere parola, dribblando la scomodità di quell’argomento –E poi non sono affari suoi.-

 

-Dite di tornare giù? Mi sento in colpa…-

-Che esagerazione… Tanto non se ne accorge mica.-

-Ri, la sensibilità l’hai lasciata alla YG?-

-Oh, fanculo…-

-Ri, aspetta—Odio quando sbatte le porte!-

-Lascialo sfogare, Dae. Si è appena lasciato con Ginko.-

  

–Tu e Ginko assieme…- ridacchiò appena, celando le labbra dietro la sciarpa –Che bel casino.-

Arcuò un sopracciglio, infastidito per essere divenuto l’oggetto della discussione –Si risolverà…- “Quando te ne andrai”, avrebbe voluto aggiungere con un bel sospiro di sollievo ma la completa certezza di essere stato lui il fautore di quel pandemonio, gli fece fare marcia indietro. Dare tutta la colpa a Lindsay era scorretto e addossargliela non lo avrebbe tratto di impiccio; lui aveva voluto divertirsi nel vedere lei e Top sfuggirsi e rincorrersi come due cavie, lui aveva allontanato Ginko per riprendersela quando Ri si era messo in mezzo –O forse è così che deve andare…- Lin lo guardò con occhi rossi e gonfi -Quelli come noi non possono farne a meno di far star male gli altri.-

La ragazza abbassò lo sguardo e dal modo in cui i suoi occhi si allungarono, pensò che stesse sorridendo –Con Seung-Hyun non è così. Mi fa sentire brava, sai?- lo guardò appena poi si tirò su, pulendosi la gonna –Beh, io vado a casa. Bella festa, come sempre- mormorò ironica, salutandolo con una mano –E tornatene giù o rischi di ammalarti.-

 

-Voi andate, resto io con lui.-

-Sicuro, hyung?-

-Ma sì, tanto mi annoiavo. E poi c’è una modella che continua a rovesciarmi addosso i cocktail di proposito…-

-O è perché vuoi chiamare Lindsay?-

-Tae, lo porti tu giù o ce lo mando a calci?-

-Va bene, va bene, ce ne andiamo! Chiamaci quando si è ripreso!-

 

Si sedette sul divano, si stropicciò gli occhi e strisciò le dita sulle cosce, osservando l’ammasso di coperte sul divano –Ha-Neul, sei sveglia?- si grattò la nuca, sbuffando al suo ennesimo richiamo spentosi nel silenzio –Senti, mi dispiace, dico sul serio. E’ che tutta questa storia della droga mi sta mandando fuori di testa! Esco di casa e ci sono i paparazzi, vado a lavoro e mi guardano come se fossi una specie di mostro perché credono che sia tutto vero! Papà YG mi ha tenuto nel suo ufficio più di due ore per cazziarmi e quando sono uscito, ci si è messo anche il nostro manager. E tu—Tu a malapena mi parli…- dal fortino di coperte non giunse nessun suono, movimento, respiro –Io non ho fatto niente, almeno tu devi credermi!- scosse le coperte –Potresti almeno rispondermi?!- le sollevò, scontrandosi con il vuoto cosmico.

Non c’era traccia di Ha-Neul e del suo profumo di fior di loto. Tastò il divano, era freddo… Un dolore lancinante lo prese al cuore quando si rese conto di essere stato abbandonato in una casa troppo grande per una persona sola, ma brillò in lui la speranza che forse fosse uscita solo a prendere un po’ d’aria, sarebbe tornata da lui e tutto si sarebbe risolto… Notò un foglietto bianco caduto ai propri piedi e prima ancora di aprirlo, gli occhi gli si appannarono…

“Abbi cura di te”

 

Quando aprì gli occhi, la fievole luce della stanza lo costrinse a richiuderli, avvertendo le tempie pulsare. Provò a sollevarsi ma le coperte erano aggrovigliate attorno al suo corpo sudaticcio. Stava uno schifo… C’era qualcosa di più patetico di lui?

-Oi, come ti senti?-

Si volse di colpo, scontrandosi con la figura sfuocata di Top. Se ne stava sul proprio letto, lo sguardo stanco e le labbra spianate in un delizioso sorrisetto, di quelli che gli facevano venire il diabete.

-Come se mi avessero investito venti camion…- si massaggiò la fronte, facendo fatica a trovarla tanti fazzoletti intrisi d’acqua gli avevano spalmato sopra –Opera di Dae, vero?- li indicò, smadonnando quando Seung-Hyun annuì. Quella sottospecie di idiota si tramutava in madre apprensiva quando succedeva loro qualcosa. Provò a disincastrarsi dall’ammasso di lenzuola ma si arrese a quella ragnatela, scrutando con occhi liquidi il profilo dell’amico, apparentemente divertito dal suo vano tentativo di liberarsi –Avvolgermi come un insaccato… Ho un raffreddore, e che cazzo—

-Raffreddore due palle, per poco non svenivi sul palco- asserì secco, spingendo verso di lui un’aspirina e il bicchiere d’acqua –Prendi, altrimenti a Dae viene un infarto.-

-Si preoccupa troppo.-

-Lo facciamo noi, visto che tu non lo fai- guardò il bicchiere e l’aspirina, volgendo il viso dall’altra parte; il sospiro pesante di Seung-Hyun lo schiacciò ancora di più in quel groviglio, se possibile –Ma si può sapere che cazzo ti prende? Ultimamente ti comporti come se non te ne fregasse niente di te stesso.- le sue parole si conficcarono come sottoli spilli in ogni membrana flaccida del suo cuore che, a poco poco, riprendeva a pulsare con sempre più frenesia. La verità era che si trovava in quel disastro galattico solo ed esclusivamente perché aveva messo sé stesso in cima a tutto il resto. Saziare la propria sete di divertimento, pungolare quel latente senso di noia che lo stava divorando da tempi immemori… Se non fosse un egoista coi controcazzi, probabilmente le cose andrebbero meglio. Lo pensò piano, ebbe paura che Seung-Hyun potesse cogliere il flusso dei suoi pensieri.

Ji Yong guardò il soffitto –Ho fatto un’enorme stronzata- si stropicciò il volto, realizzando solo in quel preciso istante quanto miserabile fosse stato. Nei confronti di SeungRi, nei confronti di Top… Dio, come amico faceva davvero schifo, non si sarebbe stupito se avessero deciso di sbatterlo a calci in culo fuori dal gruppo o peggio, dalle loro vite. Gli occhi si fecero lucidi ma gli piacque pensare che la febbre lo stesse riducendo a un colabrodo –Sono andato a letto con Ginko.-

Quando sganciò la bomba, non ci fu quel gran rumore che pensava si sarebbe propagato inesorabile, distruggendo tutto quello che avrebbe incontrato sul proprio cammino. Si era immaginato una spessa coltre di fumo oltre la quale non ci sarebbe stato altro che desolazione, un mucchio di sguardi pregni di amara delusione e la consapevolezza di essersi infilato nuovamente in un tunnel dal quale non sarebbe più uscito. Ma oltre la nube, oltre le proprie certezze, c’era il sorriso leggero di Top e la sensazione che forse tutto questo, non era altro che frutto della propria stupidità.

-Lo so.- fu tutto quello che gli confidò con serenità, come un padre che attende il figlio a casa e al posto di giustiziarlo per la stronzata commessa, tenta di ascoltarlo e comprenderlo.

Ji Yong si sollevò a fatica, scrutandolo con occhi ridotto a due piccole fessure –Lo sai?-

-Aha… Seung-Ri ci ha raccontato tutto.-

-Ah.-

-E ci ha detto di non incazzarci con te, dice che è una cosa tra di voi- aggiunse placido, inclinando il capo di fronte al suo sconcerto –Credevi davvero che non sarebbe uscito fuori presto?- si rilassò sul letto, giocherellando con il cellulare come se si fossero appena scambiati qualche convenevole sul tempo.

Ji Yong si tolse le bende dalla fronte, passandovi sopra una mano mentre tentava di mettere in ordine i pensieri. Il problema era che quelli continuavano a girovagare in giro come molle impazzite e più tentava di afferrarli, più se ne aggiungevano altri che non riusciva a controllare -Perché non me lo avete detto?- Mi avreste risparmiato questo martirio, seguitò il proprio cervello non senza un pizzico di isterismo. Aveva faticato per tenere per sé questa sgradevole questione e ora veniva a sapere che non solo gli altri sapevano, ma nemmeno l’avevano buttato giù dal tetto. Non sapeva se la parola migliore per descriverli fosse Coglioni o Santi.

-Mh? Oh, beh, considerala la nostra piccola vendetta personale. Prendi l’aspirina.- lo rimproverò bonariamente, canticchiando mentre scriveva un messaggio; Ji Yong storse il naso di fronte alla scatolina e tornò a fissare il ragazzo. Com’era possibile che i suoi amici sapessero e non lo guardassero come il peggior uomo esistente sulla faccia della Terra? La domanda era lì, tamburellava sulla punta della lingua continuando a chiedergli “Ora posso uscire?” ma non era così sicuro di volere una risposta.

Deglutì, ricacciandola nello stomaco e decide di girarci intorno, anche perché ormai non sembrava capace di fare altro -Beh, non mi chiedi perché l’ho fatto?- tossì, non seppe dirsi se la gola bruciava per quelle parole appena pronunciate o per l’influenza. C’era decisamente troppa tranquillità.

-Oh, ma io lo so già perché l’hai fatto. Sto aspettando che sia tu a capirlo.- lo apostrofò con un ghigno… Che cazzo era quel ribaltamento di ruoli, oh?!

-E se ti dicessi che non c’è un motivo?- era un mantra che continuava a ripetersi pur di non scavare più a fondo. Anche qui, la risposta non gli sarebbe piaciuta. O a dire il vero, probabilmente gli sarebbe piaciuta, sarebbe stata una di quelle risposte che gli avrebbero cambiato la vita in meglio ma tutto quel meglio, uno come lui, sarebbe riuscito a gestirlo? E se avesse finito col rovinare tutto? Col rovinarsi? Rovinarsi era un gran casino… Non era come bucare i vestiti, strappare dei fogli o uscire senza pettinarsi i capelli, quelle sono cose salvabili; rovinarsi era qualcosa di più profondo, come se le pieghe dell’anima fossero rimaste attaccate per troppo tempo e ora scrostarle non era più così facile. E poi avrebbe rischiato di trascinare con sé anche quel meglio che, di certo, non si meritava un casino come lui, no? Sprofondò nel cuscino, la testa cominciava a dolergli.

-Oi, passerà anche questa- la voce di Seung-Hyun arrivò come una manna dal cielo, scacciando via un po’ del suo malessere –E’ che hai il brutto vizio di combinare un mucchio di cazzate pensando di far del male solo agli altri mentre l’unico che rimane invischiato nel casino sei tu. A Seung-Ri passerà presto, tu continuerai a fingere di non sentirti in colpa mentre in realtà preghi solo che qualcuno possa cancellare quello che hai fatto.-

-E cosa dovrei fare?-

-Aspettare… E capire cosa vuoi.-

-Io lo so cosa voglio. Voglio che tutto torni come prima, quando ce ne andavamo alle feste e tornavamo a casa ubriachi- gli scappa una risata ovattata -Ah, i bei vecchi tempi. Te li ricordi? Quando non ce ne fregava nulla di impegnarci, facevamo festa, ci portavamo a letto le groupies—

-Tu te le portavi a letto.- ci tenne a sottolineare tra le risate, tenendosi lo stomaco.

-Era tutto più facile, una volta- glielo confessò con sollievo, come se con questa rivelazione potesse finalmente dare un taglio alla propria vita e ricominciare una nuova -Dovremmo rifarlo una volta ogni tanto. Oh, ma dimenticavo… Tu ormai sei quasi sposato- lo vide sorride di fronte al cellulare che si illuminò e Ji Yong pensò bene di fargliela pagare per quella corsa ad ostacoli che gli aveva costretto a percorrere –Il tuo amore ti ha scritto?-

-Smettila! Mi ha solo riposto ad un messaggio- sventolò il telefono –E’ il suo compleanno.-

-La strega invecchia di un anno- si volse, guardò il soffitto e per la prima volta dopo tanto tempo, gli pose un sincero –Come vanno le cose tra voi?- solo perché voleva sapere davvero se le cose funzionavano, non solo per farlo impazzire.

Seung-Hyun lo guardò a lungo, quasi si aspettasse una domanda trabocchetto ma quando tutto ciò che ottenne fu silenzio, sembrò convincersi della sua buona fede -Prima di partire, ha detto che a volte si pente di noi due— lo guardò di sfuggita, non c’era traccia di dolore sul suo volto –Ma poi ha detto che l’avrei trovata lì quando saremmo ritornati e mi sono detto che forse anche lei prova qualcosa per me, solo che è ancora confusa e—E lo so che è stupido e che mi dirai che è solo peggio per me, però-- una breve risata sfuggì al suo controllo, colma di nervosismo e imbarazzo -La amo… E non è che posso farci molto…- Top sollevò il capo, sul suo volto aleggiava l’espressione in stile “Oh, ecco, l’ho detto ad alta voce!” ma di fronte alla sua impassibilità, notò che i lineamenti andavano indurendosi, fino a divenire di marmo –Cos’è quella faccia?!-

-Era ora- gli sorrise zuccheroso -Pensavo ci saresti arrivato prima, sono abbastanza deluso dalla tua lentezza—

-Meglio tardi che mai-  lo interruppe brusco, riparandosi dietro un nugolo di imprecazioni mangiucchiate. Ji Yong deglutì un sincero Sì, ma ora è troppo tardi e Seung-Hyun si lasciò andare ad una confessione che lo fece piombare in un baratro di incertezze -Tu lo avevi già capito. Per questo hai fatto di tutto per farmela piacere…- e gli sorrise, di quei bei sorrisi potenti che elargiva solo a loro, a sua madre, a Lindsay… Si sentì soffocare al pensiero che quella bellezza avrebbe potuto sgretolarsi presto e lui non poteva fare nulla se non assistervi impotente, perché intromettersi sarebbe stato deleterio. E il lacerante pensiero che quello fosse tutta colpa sua perpetuava a picchettare nel suo cervello, facendosi sempre più opprimente…

-L’hai detto tu che certe persone ti entrano dentro prima ancora che tu possa accorgertene, no?-

Continuava a ripetersi che se avesse lasciato le cose così com’erano, senza scombinare nulla, placando la propria noia in qualche altra maniera… Forse il cuore del suo amico non avrebbe finito con lo spezzarsi…

-Probabilmente con lei è stato così… Probabilmente mi è piaciuta sin da quando l’ho vista al Tribeca, anche se non volevo ammetterlo…-

Seung-Hyun sarebbe stato felice lo stesso, anche senza Lindsay…

–Forse le cose dovevano andare così.-

Anche se con lei lo era decisamente di più.

E per un misero istante, quanto i loro sguardi si incrociarono, Ji Yong non poté non pensare che quello fosse il capolavoro più grande che avesse mai creato. Decise però di lasciar perdere quel pensiero e di divincolarsi dalla pesantezza che le sue parole stavano portando, così scrollò le spalle e tornò a guardare fuori -Io non ho fatto niente.-

L’amico tornò a pigiare sul telefono, sorridendo di sbieco –Ancora mi chiedo perché tu abbia insistito.- domandò poco dopo, la voce velata di curiosità che faticosamente cercava di non far trasparire.

“Perché mi annoiavo”, avrebbe voluto confessargli con tutta la sincerità di questo mondo. Ma non ce la fece. Ingoiò tutte le parole insieme all’aspirina e l’acqua.

******


-Tanti auguri Linnie!-

Quando Lindsay entrò in cucina, capelli a nido di rondine e vistose occhiaie che scalfivano il pallore del suo volto, venne travolta da quel terremoto di Minji che per poco non la fece cadere, quando le si aggrappò alle gambe. Ci mise qualche secondo a realizzare che quel giorno compiva ventitré anni e se non fosse stato per quel cupcacke con tanto di candelina posato al centro del tavolo, probabilmente se ne sarebbe volentieri dimenticata. Da quando suo padre se ne era andato, i compleanni in casa sua erano diventati una specie di memoriale in cui i parenti di Emily, dopo i convenevoli, non facevano altro che rinfacciarle quanto fosse stato stupido da parte sua lasciarsi scappare quell’uomo o quanto Lin fosse troppo pacchiana per piacere a qualcuno di serio. E così finiva col traslocare in camera propria, infilandosi le cuffie e isolandosi da quel mondo che ormai non le piaceva più.

Nell’aria veleggiava un nauseante odore di spezie, cipolle e uova e sorrisi e Chiyo, che le dava le spalle, canticchiava una vecchia canzone coreana che stavano trasmettendo alla radio; quando si volse, accortasi della sua silenziosa presenza, le rivolse un sorriso talmente dolce da farle sciogliere le gambe. Si lasciò cadere sulla sedia, ricambiando la sua garbatezza con uno scazzato –‘Ngiorno.- che venne accolto con un sospiro e uno scossone della nuca.

-Hai fatto tardi ieri sera. Sei uscita con Ginko a festeggiare?- all’udire di quel nome, per poco non le andò di traverso il succo di frutta. Come spiegare a Chiyo che la ragazza ce l’aveva con lei per nemmeno aveva capito quale motivo? Che l’unica che sembrava aver capito le sue intenzioni, le si era rivoltata contro?

Ma del resto, da quando Lindsay era mai stata brava nel tenersi qualcuno?

-Ho fatto chiusura.- mormorò, rigirandosi il bicchiere fra le mani. Minji chiacchierava allegra nel silenzio calato tra loro, scompigliando tutti i pensieri che le si accavallavano senza freno. Continuava a ripensare a quella sera, avvertendo il gelo conficcarsi nelle ossa, rivedendo i loro sguardi colmi di sorpresa mista a delusione, quel lacerante senso di abbandono che aveva provato quando Ginko se ne era andata, lasciandola tutta infreddolita con quel demente di Ji Yong, decisamente meno incline alla stronzaggine. Cacchio, ancora non poteva credere di aver pianto di fronte a quel demente… Incredibile come non l’avesse presa per il culo, limitandosi a lasciarla crogiolare nel proprio patetismo.

Lo stridio del piattino sul tavolo la strappò ai suoi pensieri, risbattendola in una realtà che a breve sarebbe potuta sparire. Fu un dettaglio impercettibile che attraversò la sua mente quando Chiyo pose vicino al cupcacke una busta ocra, mormorandole un pacato –E’ arrivata questa mattina da parte di Emily. Tuo padre preferirebbe che lo aspettassi per aprirla, ma se vuoi…- lasciò cadere la frase con leggerezza ma per Lindsay fu come se gliel’avesse scagliata contro. La prese fra le mani cercando di controllare il tremore, deglutendo mentre ne studiava la pesantezza. Shirley le aveva sempre detto –Se la busta è pesante, significa che la risposta è buona!- ma le era sempre parsa una stronzata. Eppure ora se la rigirava, la sollevava con entrambe le mani, cercava di vedere in controluce e per quanto sarebbe stato più semplice aprirla e fugare ogni dubbio, Lindsay non si sentiva ancora pronta.

C’erano ancora un mucchio di cose che doveva fare, dire e quella mattina, in mezzo a tutti quei sorrisi e quel senso di benessere che cominciava a distendere i suoi nervi, sentiva che quello non era ancora il momento giusto. Qualsiasi fosse stato il responso, sapeva che né Minji né Chiyo avrebbero colmato quel senso di vuoto che avrebbe sicuramente provato –C’è tempo.- la lasciò scivolare sulle cosce.

Chiyo annuì mentre accendeva la candelina, ridacchiando di fronte al suo sopracciglio arcuato. L’aveva forse presa per una mocciosa? Stava per esternarle il proprio disappunto ma le sue parole, delicate e sincere, le fecero ingoiare qualsiasi cattiveria –Comunque vada, sappi che siamo orgogliosi di te.-

Non seppe per quanto rimase a fissare la cera che lenta scivolava dalla punta fino alla base, intaccando la glassa finemente decorata a spirale, ancora in balia della morbidezza con cui la donna l’aveva lambita, facendola sentire nonostante tutto importante.

-Esprimi un desiderio!- il trillo perforante di Minji la riportò alla realtà. Avrebbe voluto dirle che era troppo cresciuta per queste cretinate, che tanto nessuno dei suoi desideri si era mai avverato ma mentre le dita affusolate scivolavano sulla carta ruvida della busta, qualcosa in lei scattò. E soffiando sulla candelina non pensò alla Columbia e alla risposta che le avevano dato…

–Tu non hai pensato neppure un attimo a cosa ti lascerai indietro,

a chi abbandonerai e per cosa? 

 

Sperò solo che le cose con Ginko e Seung-Hyun si sistemassero…

-Non dovresti buttarti via. C'è di meglio in te.-

 

Comunque fosse andata.

*****

 

-… Ed è per questo che mi dispiace. Sono stata una vera stronza, perdonami. Però anche tu avresti dovuto dirglielo, insomma, sei o non sei la sua quasi ragazza?!, e—No, così non va, non va per niente!-

Ginko si stropicciò il volto, riprendendo il monologo da dove lo aveva interrotto… Anche se l’ultima parte sarebbe stato meglio ometterla.

Gironzolava sulla veranda di casa Moore da dieci, quindici minuti, anche se le sembrava di essere lì da un’eternità date le impronte infangate che si ammassavano le une sulle altre. Si torturava le mani, si aggiustava i capelli a intervalli di due, tre secondi e quando il cervello le suggeriva di fuggire, perché sicuramente sarebbe finita col vedersi passare la sua giovane vita davanti, i piedi le si incollavano al suolo, impedendole di allontanarsi. Il senso di colpa le stava divorando l’anima, le parole si ammucchiavano in gola e quel poco coraggio racimolato si sgretolava di fronte alla passività con cui Lindsay la guardava.

Aveva rovinato tutto e solo per colpa della propria invidia. Cosa l’aveva spinta a credere che la ragazza l’avrebbe perdonata solo perché si era presentata lì con il cuore in mano, permettendole di pugnalarlo se ciò avrebbe finito col farle bene?

Era una scema, una cretina, una—

-Smettila di girare qui intorno ed entra, la vicina stava per chiamare la polizia.-

Una colossale, pessima amica.

-La signora Park è paranoica come sempre.- buttò lì con voce tremante, camuffando il nervosismo con un risatina soffocata, deglutita quando l’altra annuì dandole le spalle. La schiena stretta di Lin scomparve dal suo campo visivo una volta abbandonata sulla soglia e dato un ultimo sguardo alla libertà, si chiuse la porta alle spalle, restandosene immobile ad ammirare quelle poche foto che ritraevano la sua amica da bambina. Era deliziosa, non c’era che dire, con quel paio di fossette ai lati delle guance e quei sorrisi felici di chi probabilmente non aveva ancora visto la propria famiglia andare in frantumi. Si chiese se i suoi avessero tentato di fermarla dal tornarsene in America o se l’avessero spinta loro a compiere quella scelta…

-Non startene lì, vieni.-

… Ma qualunque cosa fosse, nulla sarebbe cambiato. Avrebbe potuto escogitare qualsiasi modo per non farla andare via ma sentiva che comunque fossero andate le cose, Lindsay se ne sarebbe andata via e non ci sarebbe stata Ginko o Seung-Hyun che tenessero. Represse le lacrime, prese un bel respiro e si trascinò lentamente fino alla cucina, lasciandosi accogliere da un buon profumo di the, cupcakes che invadevano il tavolo e fogli volanti con sopra scritto “Tanti auguri” sparpagliati sul pavimento.

Ne raccolse uno, sorridendo intenerita –E’ il compleanno di Minji?-

-E’ il mio- sbucò da dietro la mezza penisola, sbatacchiando le lunghe ciglia –Beh, non ti siedi?-

Il foglio le cadde dalle mani mentre la mandibola crollava in picchiata sul pavimento, gli occhi spalancati e la confusione attorno alla sua intera figurina immobile –Il tuo—Ma perché non me lo hai detto?!- il trillo che le sfuggì dalle labbra aperte in un sorriso sereno ebbe il potere di trafiggere lo spesso strato di tensione che si ergeva a barriera –Ti avrei comprato un regalo! Ti avrei organizzato una festa a sorpresa! Ti—Saremmo potute uscire a bere qualcosa o—

-Non è poi così importante.- la sincerità con cui liquidò il suo sproloquio la fece ammutolire. Tutto ciò che era sfumato con il lento scorrere dei minuti era tornato indietro con prepotenza, facendole contorcere le viscere. Si sedette alla penisola, riprendendo a torturarsi le mani, aggiustandosi i capelli a intervalli di due, tre secondi. Il silenzio era infranto dallo sbatacchiare delle stoviglie, dalle imprecazioni sottili di Lindsay che si comportava con la sua solita indifferenza, come se la notte sul balcone fosse la brutta scena di un pessimo film a cui loro avevano assistito inermi.

Due spettatrici della loro vita, per dirla alla Ji Yong…

-Lo è, nonostante tutto… Siamo amiche, no?- le rivolse un breve sorriso, facendo strisciare le dita sulle cosce. Strinse i lembi della corta gonna scozzese, attendendo che l’altra ponesse fine a quel calvario.

-Sì, forse, credo… Nonostante tutto- ripeté sventolando una mano, continuando a spostare cupcakes e fogli volanti –Allora, perché sei qui?- si grattò la fronte, guardandola con curiosità.

La testa di Ginko cadde in avanti, conscia che il momento della resa dei conti fosse giunto prima di quanto si fosse aspettata e senza che fosse realmente preparata. Le parole risalivano per la gola e quando sembravano pronte ad uscire, si lasciavano cadere giù, fino allo stomaco. Sarebbe bastato dirle: Mi dispiace, sono qui perché voglio chiedere perdono, ma ora che ce l’aveva davanti, ora che ragionava con lucidità, non le parve più così facile come le era sembrato a casa, in macchina, sulla veranda. Lindsay era lì, in attesa, pronta a lasciarsi coprire dalla valanga di accuse e recriminazioni che si era dimenticata di rivolgerle sul balcone ma proprio quando credeva che la cosa migliore da fare fosse andarsene senza neppure darle una spiegazione, Ginko udì la propria voce spargersi nell’aria con placidità…

–Per chiederti scusa.-

E Lindsay non parve più indifferente.

A quel punto non fu poi così difficile vomitare ogni tipo di pensiero che le gravitava nella mente, senza seguir alcun senso logico e senza preoccuparsi se l’altra avrebbe compreso appieno perché a ogni sillaba pronunciata, a ogni parola scagliata, la sua anima cominciava a sentirsi più leggera -Non avrei mai voluto dire quelle cose, dirle a te. E’ che mi sono trovata in una situazione più grande di me e quando sei arrivata, ho trovato un modo per sfuggire alle accuse di Ji Yong e—E la verità è che sono invidiosa di te.- sputò l’ultima frase con liberazione, stringendo le mani a pugno mentre attendeva il colpo di grazia. Ma le sue confessioni si smarrirono nell’aria, in un silenzio così leggero da permetterle di respirare.

Lindsay la fissò confusamente –Invidiosa?- era incredula, le sopracciglia formavano un arco perfetto.

Ginko si era infilata in un vicolo cieco ma era troppo tardi per tirarsi indietro –La prima volta che ho visto i Big Bang dal vivo, è stato quattro anni fa, al Tribeca e solo io e altre tre ragazze eravamo le addette al servizio al loro tavolo. Ricordo che ero vestita da Marlyn Monroe, sai quel bel vestito bianco che ha in “A qualcuno piace caldo”?, ecco, quello lì. Ero così eccitata, tu non puoi averne idea, sono stata un fremito per tutto il pomeriggio e dentro di me pensavo: mi noteranno, non sei poi così male. Magari Gd ti guarderà, scambierà qualche parola con te, gli farai una buona impressione e tutti i tuoi sogni si realizzeranno… E sai cosa?- Lin inclinò il capo –Non mi hanno neppure guardata, nemmeno per sbaglio. Erano circondati da tutte quelle modelle bellissime, con i capelli lunghi e morbidi e i vestiti firmati, perché avrebbero dovuto notare proprio me? Credevo che quelle come noi non fossero alla loro altezza. E poi sei arrivata tu…- le parole sfumarono in un singhiozzo, sarebbe scoppiata a piangere se solo Lindsay non l’avesse guardata con tanta serietà –Ti invitano alle loro feste, ti chiedono di uscire e Seung-Hyun, quello che mezza Corea vorrebbe farsi, ti guarda come se fossi la cosa più preziosa che possiede e tu lo tratti come se fosse uno dei tanti che ti fai quando torni a New York. Non te ne accorgi nemmeno e la cosa peggiore è che non te ne importa- si asciugò gli occhi, dimentica del trucco –Non sai quante volte ho desiderato che Ji Yong mi guardasse così e invece mi sono dovuta accontenta di SeungRi che è buono, gentile ma non è quello che voglio. E quando Gd si è presentato da me ho pensato: per Lindsay è tutto così facile, ci riuscirò anche io. Ma la verità è che non sono come te, per quanto mi piacerebbe esserlo.-

-Gin—

-Mi sono chiesta un sacco di volte cos’hai più di me. Non sei gentile, rispondi male, non parli mai, sei insopportabile quando imprechi o quando guardi il soffitto mentre gli altri ti parlano eppure continuo a credere che conoscerti sia stata una delle esperienze più importanti e belle della mia vita. E non lo dico perché grazie a te ho conosciuto gli altri ma perché sei stata una buona amica, nonostante tutto. E quando te ne andrai via lo so, lo so che resterò qui da sola e tutto tornerà ad essere il solito schifo e—Mi dispiace, mi dispiace davvero.-

Il silenzio appena calato fu quasi perforante, tanto che Ginko pregò affinché Lindsay dicesse qualunque cosa, anche una delle sue odiose bestemmie sarebbe andata bene. Ma quella si limitava a giocherellare con le briciole sparse sul tavolo. Del resto era andata lì per chiederle scusa e si era ritrovata a sommergerla di innumerevoli accuse che non si meritava, mettendo alla berlina ogni suo più minuscolo difetto.

Ma proprio quando stava pensando di andarsene, perché le cose sembravano essere ormai irreparabili, ecco che Lindsay se ne uscì fuori con un serafico –Siete strani, sai? Per una volta che faccio qualcosa di buono, lo fate sembrare sbagliato- Ginko avvertì gli occhi pizzicare di fronte alla sua sincerità –Andare alla Columbia, se mai ci andrò, non mi renderà migliore o meno orribile ma è la cosa giusta…-

-Lo so.-

-Ed è una cosa che voglio io.-

-Lo so… E’ che mi mancherai.-

-Idem... E mi mancherà anche Seung-Hyun- replicò con un leggero sorriso, le guance rosse per quel momento di tenerezza inaspettato e a cui forse non era abituata. La vide stringersi nelle spalle e per un istante ebbe l’impressione che le cose sarebbe rimaste così, in stallo. Lindsay avrebbe finto che tutto si fosse sistemato fino a che non se ne fosse andata e se invece fosse rimasta lì, avrebbe sicuramente finito con lo stancarsi e trovare un pretesto per far sì che fosse Ginko stessa ad allontanarla. Ma fu solo un istante, dettato forse dal silenzio che era calato, perché dopo un altro tiepido sorriso, Lindsay scomparve dalla sua vista e riapparve con una busta che le porse con un leggero tremore delle mani. La ragazza sbatacchiò le palpebre mentre i polpastrelli scorrevano sulla ruvidezza dell’involucro, inclinando il capo quando si rese conto che quel timbro rosso di cera fusa che chiudeva la busta, altro non era che lo stemma della Columbia University -Aprila.-

Allargò gli occhi -Perché devo farlo io?-

-Perché da sola non ci riesco e—E ho bisogno di qualcuno che mi dica che sto facendo la cosa giusta, se dovesse andare bene… E se invece dovesse andare male, voglio che qualcuno mi dica che non sono una nullità, che comunque ci ho provato— le parole le uscirono in un sol fiato, le guance divennero di un porpora accesso e Ginko era della sensazione che presto sarebbe esplosa. Fu smarrita dalla valanga di parole che Lindsay le rovesciò addosso, una moltitudine talmente fitta che raramente aveva utilizzato in una qualsiasi conversazione e, per quanto facesse male, pregò che le cose le fossero andate bene.

Le parve difficile aprirla, ci mise una delicatezza che non riponeva neppure per il suo libretto universitario; non scorse subito la valanga di parole battute al computer che riempivano il foglio bianco, si soffermò a leggere per una manciata di secondi quel Egregia Sig.ra Moore, cercando il coraggio per poter scoprire come continuava.

E quando lo fece, fu solo un cocente bruciore.

Ginko sentì le lacrime premere sugli occhi, il cuore salirle in gola e un tremolio incessante prese possesso del suo gracile corpo. Lin non fiatò, si torturava le dita e stropicciava i bigliettini d’auguri.

-Lin…?-

Le sorrise radiosa e le parve che, per quanto facesse male, le cose stessero andando al loro posto.

-Stai facendo la cosa giusta.-

 

********

 

-E’ libero?-

Sollevò lo sguardo dal menù, incrociando una figurina minuta con indosso uno stretto cappotto scuro, occhiali da sole e capelli rosso fiammeggiante legati in uno chignon. Roteò gli occhi –Fujii, che cazzo stai combinando?-

Quella gonfiò le guance, lasciandosi cadere con pesantezza sulla sedia libera –Non voglio che mi riconoscano.-

-Sono io quello famoso.- puntualizzò con noia, arcuando un sopracciglio.

-E se ci fossero dei paparazzi e ci fotografassero assieme?- indicò l’enorme finestra che dava sulla strada, colma di passanti talmente indaffarati da a malapena accorgersi di loro.

La guardò con un sorrisetto -Avresti i tuoi cinque minuti di gloria, dovresti esserne lusingata.- e lei gonfiò le guance, palesando il proprio disappunto. No, decisamente le cose non era cambiate: Ginko era la solita ragazzina iperattiva che se la prendeva per ogni quisquiglia, fingeva rancore e poi si apriva in un sorriso luminoso. Ma non quella volta… Quella volta sembrò in difficoltà. Forse era troppo presto rincontrarsi quando le ferite erano ancora aperte ma era stata lei a chidergli di vedersi e lui, non avendo nient'altro da fare, aveva acconsentito.

Ruppe il silenzio con un sospiro pesante –Perché mi hai fatto venire qui?-

La ragazzina si sistemò meglio, rigirandosi una bustina di zucchero fra le dita laccate di blu elettrico –Ahm, sì, ecco… Noi due dobbiamo parlare—

-Ti prego, se è ancora per la storia del balcone--

-Sì, beh, no! No, no, non è solo per quello…- il suo capo scivolò in avanti -Ahm, mi dispiace per tutto quello che ti ho detto quella sera. Hai ragione, non deve per forza esserci un motivo per essere venuto da me ma, beh, nella mia mente da fangirl innamorata tu eri una specie di principe con l’armatura e scoprire che non sei così— lo guardò negli occhi e le labbra si serrarono, facendo piombare il silenzio tra loro. Gli occhi le stavano divenendo lucidi e Gd aveva la certezza assoluta che se non avesse smorzato quella conversazione con la propria scemenza, qualcosa di ancora più irreparabile sarebbe accaduto. C’era però un piccolo, insignificante problema: il suo cervello si era focalizzato su quel innamorata ed eri che insieme creavano un connubio da brividi. Com’era possibile che tutto fosse già passato? L’amore non era mica come il raffreddore, non se ne andava così, come se non ci fosse neppure stato!

-Il principe azzurro non esiste, dovresti averlo scoperto da un sacco di tempo.- si appoggiò allo schienale, aspettandosi guance imporporate, pugnetti sventolanti e qualcosa come “Esiste invece, esiste! Solo che non è azzurro ma è vestito come Neo di Matrix!” ma tutto ciò che ricevette fu un mesto sorriso e un eloquente –Mi sarebbe piaciuto non scoprirlo con te.- che lo fece ammutolire. Probabilmente le cose si erano già sistemate, solo che lui non aveva avuto il tempo per aggiustarle alla propria maniera e ora si ritrovava ad affrontare una Ginko più sicura e che, forse, non aveva poi così bisogno di lui. Volse il volto quando un paio di ragazzine puntarono lo sguardo al loro tavolo, confabulando –Ad ogni modo, è acqua passata- mormorò lei con un sorrisetto, posando i palmi aperti sulle guance -Sai? Ri mi ha perdonata.-

-Pensavo vi foste lasciati.-

Fece ciondolare la nuca –Sì, beh… Però mi ha perdonata- ripeté solare –Ma gli ho chiesto io di non vederci più. Insomma, non avrebbe senso, anche se in realtà non ne ha mai avuto- mise una mano davanti alle labbra, come se stesse per confidargli chissà quale oscuro segreto –E non voglio avere nulla neppure da te, sia ben chiaro.-

-Come se volessi darti qualcosa…- mormorò a denti stretti, ricacciando indietro un gomitolo di insulti che rischiò di incastrarglisi in gola. I giochi erano fatti, l’unica cosa che poteva fare era prendersi le sue parole e ripescarle di tanto in tanto, magari quando si sarebbe ritrovato a chiedersi come fosse finito in un pantano del genere. Si sentì un vero cretino e la cosa peggiore fu che non poté risolvere tutto come nei film di serie B che Daesung si guardava ogni sera dopo cena; non sarebbe bastato un bacio rubato fra i tovaglioli in un bar anonimo, non sarebbero bastate le confessioni a occhi lucide e labbra tremule… La vita era ben diversa. La vita era Ginko che gli sorrideva come se fosse la fine. Sospirò, giocherellando con un tovagliolino –Quindi era solo per questo?-

-Mh? Ah, no, c’è dell’altro… Riguarda Lindsay- lo annunciò come se la terra stesse per aprirsi sotto i loro piedi e l’Apocalisse fosse già lì; guardò fuori: il cielo era ancora di un fastidioso azzurro –E’ stata ammessa alla Columbia…- si morse il labbro inferiore, tutto il suo corpo gridava “Sto per esplodere qualcuno mi aiuti” ma Gd ritrasse le mani –Tu—Voi non l’avete detto a Top, vero?-

-Hai letto di un suo suicidio?- fu la sua pacata risposta, seguita da uno sventolio delle dita. Era stufo di intromettersi negli affari altrui –Che se la vedano loro.-

-Ma—

-Lasciali essere felici finché possono- Almeno loro… -E per la festa? Cos’ha detto?-

Ginko si tirò su composta, si schiarì la voce -Un’altra festa? Ma che due palle!-

Ji Yong la guardò con occhi larghi eppure non riuscì a frenare una risata che gli graffiò la gola, come se si fosse annidata lì da molto tempo e non vedesse l’ora di andarsene –Avrei dovuto immaginarlo.-

-E ha detto che non verrà- aggiunse con una risatina soffocata, tossicchiando di fronte al suo sguardo graffiante. Che cazzo voleva dire che non veniva?! Quell’asociale voleva forse spingere al suicidio il suo Hyung preferito? –Ha parenti in casa, per il suo compleanno.-

-Sabato è il suo compleanno?-

-No, no, è stato due settimane fa, ma possono festeggiarlo solo questo sabato e— il suo capo cadde in picchiata sul tavolinetto, le tazzine tintinnarono e urtarono i suoi nervi già tesi –Ho provato a convincerla ma sai com’è fatta. Mi ha lanciato uno sguardo… Ho temuto che volesse uccidermi!- gracchiò isterica, portando le mani sul volto –E poi suo padre vuole festeggiare la sua ammissione alla Columbia- inspira profondamente prima di sorridere radiosa -È strano, sai? Credevo avrebbe fatto più male sapere che se ne sarebbe andata e invece… Si sta bene. Era così felice.-

-Buon per lei…- mormorò a stento, pregustando l’ira di Seung-Hyun una volta che la bomba sarebbe stata sganciata. A dispetto però di ogni pronostico, non riuscì a dare un volto a quella situazione. Nella sua mente c’era solo un enorme nero e più cercava di immaginare come avrebbe potuto reagire l’amico, più sprofondava in un appiccicoso vuoto.

Ma Ginko lo riportò alla realtà con un cinguettante –Non preoccuparti per Top, Lindsay troverà una scappatoia…- ridacchiò un poco –Mia madre dice sempre: le felicità è il posto dove hai sempre voglia di tornare.- si alzò dalla sedia, si sistemò il cappotto e si guardò attorno, quasi si aspettasse di veder saltar fuori qualche paparazzo –Beh, allora ci vedia—

-Tu ci vieni alla festa?- non seppe perché glielo chiese. Forse per sentirsi un po’ meno in colpa in mezzo a tutto quel disastro, forse perché voleva cercare di riparare le cose anche se ormai i cocci erano belli che frantumati…

-Non credo di essere la benvenuta—

-Lo sei invece.-

O forse perché era convinto che lui, per lei, sarebbe stato la felicità o qualcosa di vagamente simile.

Ginko sorrise -Ci penserò, ok?- gli mise una mano sulla spalla prima di svolazzare via.

Ji Yong gettò il capo all’indietro mentre vedeva avvicinarsi un paio di ragazzine intimorite con un paio di foglietti fra le mani.

Sarebbe tornato alla vecchia vita...

 

-Ahm, ci faresti un autografo, Gd?-

 

Anche se quella appena uscita dalla porta gli piaceva un po’ di più.

 

********

 

Lindsay sedeva composta in mezzo a parenti che non conosceva, sorridendo svogliatamente a chi la fissava con curiosità, sistemandosi di tanto in tanto quel vestitino anni 50’ che le pizzicava da morire la schiena. Solo qualche ora prima Seung-Hyun le aveva chiesto per la seconda volta se non voleva andare da lui dopo cena e lei, presa da chissà quale raptus incazzoso gli aveva risposto di non insistere, che se aveva detto no era no. E nonostante la distanza, lo aveva udito il suo cuore spezzarsi –perché si era spezzato, ormai lo conosceva fin troppo bene- ma ancora più udibile e fastidioso era stato lo stridio del proprio, di cuore, che andava in frantumi. Stava cercando un pretesto per farsi odiare, per far sì che fosse lui a stancarsi e lasciarla prima che il giorno della partenza giungesse.

Sarebbe stato più facile così, andarsene.

Non dover dare spiegazioni, non doversi aspettare nulla in cambio, non dover fare i conti con le emozioni e i sentimenti che sarebbero sopraggiunti. Si sarebbe sentita bene, col tempo, il senso di colpa sarebbe scemato e l’amore che aveva cominciato a provare per lui sarebbe svanito come un tremula fiammella nel vento. Eppure, mentre quella che doveva essere la nonna di Minji le chiedeva perché avesse deciso di rovinarsi le braccia con tutti quei pastrocchi, Lindsay si riscoprì incapace di fare una cosa del genere… Proprio con lui, che l’aveva capita…

-E quando si fermerà qui, tua figlia?-

-Un mesetto. C’è ancora un po’ di tempo…-

Per un attimo si ritrovò vicino a lui. Non era lì. Era a casa di Seung-Hyun, in mezzo al caos della festa, in camera sua o in salotto o in cucina, in qualsiasi posto dive c’era lui e i suoi sorrisi, la sua risata, le sue parole che si incastravano fin sotto l’anima e non se ne andavano neppure se cercava di sporcarsi…

-Mi trovi qui, quando tornerai.-

 

Non si meritava le sue bugie, non si era meritava i suoi silenzi…

Strisciò la sedia e prima ancora di rendersene conto, era già con un piede oltre la soglia di casa. Mark l’aveva seguita, la fissava a distanza con un misto fra imbarazzo, confusione e fastidio ma quando si guardarono, le parve che avesse capito. O forse le piacque pensare che non l’avesse fermata perché aveva capito. Qualcosa del genere…

-Ma—Lindsay! Dove vai?!-

-Devo fare una cosa, scusami.-

Doveva andare da Seung-Hyun.

Doveva andare da lui e dirgli che se ne sarebbe andata. E anche che lo amava, se gliene avesse lasciato il tempo.

 

*******

 

Quando le cose cominciavano a precipitare, Seung-Hyun non sapeva mai se spostarsi un po’ più in là o provare ad afferrarle. Solitamente ci provava e quelle poche che gli restavano fra le mani non bastavano ad aggiustare il caos che si era trascinato dietro; le altre finivano in un buco talmente nero da apparire senza fondo e lui non aveva mai avuto il coraggio di spingervisi all’interno. Preferiva restarsene lì, alla luce, con i suoi cocci fra le mani e la sensazione che comunque potesse ancora farci qualcosa, anche se nei lavori di manualità non era mai stato granché bravo.

Con Lindsay, però, queste piccole cose salvate non sembravano mai tornargli utili.

Ci provava, a capirla. Ci provava, ci riprovava e ci riprovava ancora ma i risultati che otteneva sembravano sempre tenerlo lontano da quello che sarebbe dovuto essere un misero traguardo. Si era reso conto che non poteva aspirare al suo amore, era forse chiederle troppo ma almeno alla felicità, almeno a quella poteva aspirare, no? Vederla sorridere e sapere di essere lui l’artefice, sentirla ridere e sapere di essere stato lui ad aver sparato qualche cazzata… Anche quello poteva definirsi amore, no? Era solo di un altro tipo, ecco…

Ma forse lei non lo voleva. O forse lo voleva, ma non da lui. sua madre era solita dirgli che quando le persone dicevano “Il problema sono io, non tu”, implicitamente gli stavano suggerendo che non era neppure la soluzione. E con Lindsay si sentiva esattamente così. Si stropicciò il volto, storcendo il naso nell’udire un casino infernale provenire dal salotto; pregò che non glielo distruggessero, era talmente nervoso che avrebbe potuto fare lo scalpo a qualcuno.

Un leggero bussare alla porta lo fece sospirare pesantemente -Daesung, non rompere, non ci vengo di là—

-E il premio per il peggior padrone di casa va…- si alzò di scatto, richiamato da quella voce che non pensava avrebbe udito così presto: era Lindsay. In tutta la sua magnifica imperfezione, con quei capelli scompigliati e legati alla bene e meglio e con il trucco che doveva essere un ricordo lontano –Pensavo di trovarti a fare a gare di bevute, e invece ti trovo in pigiama…-

-Non sono in pigiama.-

-Hai comunque una camicia orrenda.-

-Lindsay…- fece cadere la testa in avanti, celandole un sorriso pregno di serenità. Averla lì tutta per sé, nonostante gli avesse detto di non poterlo raggiungere, gli fece quasi pensare di essere importante –Non credevo venissi.- aggiunse subito dopo, conscio di ripeterglielo ogni volta che si trovavano in quella situazione.

-A casa mi annoiavo- indugiò sulla porta, gli parve… Impacciata. Zampettò fino a lui e senza chiedere il permesso si lasciò cadere sul letto, fissando il soffitto –E poi i genitori di Chiyoko parlano solo coreano. Mi hanno fatto venire il mal di testa.-

Gli sfuggì una risata svagata mentre la imitava, indeciso se abbracciarsela o fingere che la sua mano avesse accidentalmente stretto la sua; si ritrovò a stringersele sul grembo, forse era meglio così –Sei venuta da sola?-

-C’è Ginko di là.-

-Ah.-

-L’ho lasciata con Tae. Credo voglia nascondersi in un armadio e uscire domani mattina, o qualcosa del genere- stava per dirle che qualcuno l’avrebbe sicuramente tirata fuori ma lei lo anticipò con un secco –Tanto quello stronzo di Ji Yong ha il radar, la troverebbe subito.- che lo fece ridere di gusto. Si chiese se il litigio con Ginko fosse dovuto a quello che era successo tra quei tre ma aveva come la sensazione che questo tempo a loro disposizione non andasse sprecato parlando di altri. Perché le loro conversazioni finivano sempre col distaccarsi da loro.

Si schiarì la voce e tornò al punto di partenza –Pensavo avresti resistito di più, lì a casa.-

Gli diede un buffetto sul braccio –Prova tu a stare con centenari che ti insultano perché sei pieno di tatuaggi- sbuffò –Alla fine, i parenti coreani non sono poi così diversi da quelli americani- si stese meglio, il suo seno risaltò sotto la stoffa scura –Com’è andato il tour?-

-Al solito…- le rivolse un breve sorriso –Non è stato così male…- Ma sono felice di essere tornato. Avrebbe voluto confessarglielo senza il timore del dopo, ma lo ingoiò a fatica, ritrovandosi a sudare freddo al pensiero che Lindsay potesse accorgersi del suo essere così… Coinvolto. La guardò per un tempo che gli parve infinito, si beò del suo essere così tranquilla nonostante i gesti tra loro si facessero sempre un po’ più significativi e quando fu lì lì per dirle che gli era mancata, ma mancata da togliergli il fiato nei polmoni e far crollare la terra sotto i piedi, si ritrovò sommerso da una cascata di capelli scuri e prima del black-out, l’unica cosa che vide furono i suoi occhi nocciola annacquati, pieni di un mucchio di cose che non riusciva a classificare.

Tutta quella dolcezza, la sua delicatezza inaspettata, i suoi sorrisi un po’ troppo improvvisi, gli fecero pensare che le cose non stessero andando poi così bene come continuava a dirsi eppure riuscì a smarrirsi. Il modo in cui i polpastrelli solcavano i suoi lineamenti, dipingendoli, la morbidezza con cui le dita si insidiavano fra i capelli… Stavano mandando a puttane ogni più piccolo pensiero.

Travolgerla con il proprio peso fu questione di un Al Diavolo tutto e un crampo al cuore e quando la sua risata impigrita sfumò in un bacio, Seung-Hyun capì che le cose, con Lindsay, dovevano prendersele per come venivano. Che dopo ogni suo sbuffo di tempesta c’era sempre un po’ di quiete e doveva godere di quelle piccole cose.

-Forse dovremmo chiudere la porta.-

Ma con le sue gambe che gli intrecciavano la vita, non è che Top capisse poi chissà cosa. Ma del resto nulla aveva più senso da quando si era accorto di amarla. E a dir la verità non lo aveva mai avuto, ora che ci faceva caso.

Era straordinario potersi perdere, era incredibile rendersi conto che più il tempo passava più diventava dipendete da lei, dai suoi baci, dalle sue accortezze… E a proposito di baci, quello che Lin gli stava donando in maniera così passionale aveva uno strano retrogusto, come se fosse l’annunciazione della catastrofe.

Prima dell’inesorabile bufera, tutto era stato intervallato da attimi di pura perfezione. C’erano i suoi occhi nocciola, le sue lentiggini, le sue labbra color ciliegia, i capelli scompigliati e il petto che si alzava e abbassava con velocità, la lucentezza del suo sguardo liquido e la completa sensazione che anche lei non volesse più andarsene da quella stanza. Fino a che le sue mani dal viso si spostarono sul petto, allontanandolo un poco, costringendolo a districarsi da quel contatto piacevole. E quando la scrutò accigliato, si rese conto di quanto Lin stesse tremando, di quanto sembrasse distante nonostante le loro gambe fosse ancora un groviglio.

-Seung-Hyun…?- il modo in cui il proprio nome venne pronunciato non gli piacque per nulla, non in quel contesto, perché non c’era desiderio; era più una flebile richiesta affinché si fermasse, che c’era molto altro dietro quel Seung-Hyun.

E allora si bloccò, avvertendo uno strano peso a livello dello stomaco che lo costrinse a deglutire pur di mandare indietro la paura –Che?- le carezzò la fronte con il pollice, rivolgendole un breve sorriso per permetterle di andare avanti.

Ma il silenzio calò e solo dopo un’infinità udì il suo vago –Devo tornare indietro.-

E all’inizio non capì, non comprese il significato recondito di quell’esalazione, così come non colse nulla nella sua espressione intimorita –Puoi tornare dopo- grugnì –Non sentiranno la tua manca—

-Non alla festa- specificò scuotendo la nuca, gli occhi puntati sul suo maglione –A casa.-

-Pensavo restassi qui.- le regalò un paio di sopracciglia aggrottate che ben palesarono la sua confusione. O la sua totale incapacità di immergersi nelle sue sintetiche spiegazioni.

-Non a casa qui- la vide deglutire –A New York.- e a quel punto, si sollevò, permettendole di trovare un po’ di aria affinché la smettesse di sparare stronzate. Perché quella discussione aveva dell’assurdo, lei diceva cose assurde e la sua mente continuava a propinargli cose assurde. Di biglietti aerei di sola andata, chiamate nel cuore della notte dimentico del fuso, una relazione a distanza destinata ad eclissarsi all’ombra di quella che era stato un traballante quanto pericoloso divertimento.

-Ci sei appena stata- ecco, ora era lui quello senza aria; sospirò –Per quanto? Una settimana, due—

-Un po’ di più.-

-Quanto di più?-

Alzò le spalle, le mani che si torturavano, lo sguardo che si divincolò e le sue parole che lo trafissero da parte a parte –Il tempo di prendere la laurea.-

E la sua voce, incrinata…

 

-Ho fatto il test alla Columbia…-

 

E il proprio cuore che si inclinò…

 

-Mi hanno presa…-

 

Per poi precipitare in un baratro quando udì il suo mormorio…

 

-Ho detto di sì.-

 

 

A Vip’s corner:

Stamattina mi sono svegliata e mi sono detta: finisci questo maledetto capitolo.
Perciò, eccomi qui.
Il capitolo è… Quello che è. Un po’ pesante, un po’ confusionario e a tratti veloce e per questo mi dispiaccio; capirei se a qualcuno dovesse dare a noia il fatto che ho saltato dei punti, non ne ho risolti degli altri ma sono giunta ad un punto in cui non posso più scrivere ogni minuscolo pensiero perché, altrimenti, non la finirei più.
E, credetemi, inizio ad essere stanca di Something.
Non nel senso che mi sta stufando, quanto più che tutti i personaggi devono cominciare a districare quelli che sono i loro nodi e se con Gd e Ginko ci sono a tratti riuscita, con Seung-Hyun e Lindsay non è affatto facile. Mi fa spendere un sacco di energie e cercare di farli reagire in maniera coerente e quanto più realistica ad eventuali situazioni mi fa porta via molto tempo.
Detto questo… Nonostante tutti gli innumerevoli difetti, amo anche questo ♥
Mini spiegazioni dovute: lo scorcio nel passato di Gd è stato un esperimento, nel senso che da tempo avrei voluto cominciare con una scena totalmente a caso che servisse a mostrare un po’ quello che è il suo carattere, perciò vedetelo come tale xD Ringrazio per questo quel capolavoro che è Breaking Bad (che mi ha dato qualche spunto su come giostrare le scene del capitolo. Bello lui ♥)
La frase La felicità è il posto dove hai sempre voglia di tornare ovviamente non è della mamma di Ginko, ma della Coca Cola (che si ostina a fare pubblicità che mi fanno commuovere)

Passando ai saluti, ringrazio infinitamente Malila2009 , mamajlbylover e lelasph e ladycarmen (sappiate che ho letto e apprezzato le vostre recensioni, conto di rispondervi non appena avrò un po’ di tempo e l’energia giusta per non lasciarvi due righe in croce e un misero grazie, non ve lo meritate) per i commenti al precedente capitolo. Grazie, grazie e ancora grazie! Per supportarmi, sopportarmi e continuare a spronarmi a finire questo disastro che è Something.
Ringrazio anche chi l’ha inserita tra ricordati/seguiti/preferiti, chi legge in silenzio, chi passerà di qui o chi deciderà di dedicarle cinque minuti.
Dirvi grazie non basta ♥

Alla prossima!
HeavenIsInYourEyes


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Capitolo 32
*** The mess you’ve made of things ***


Capitolo 32 Dato che è passato quasi un anno dall’ultimo capitolo, credo che delle note iniziali siano d’obbligo.
Vorrei davvero essere più costante con gli aggiornamenti, dico sul serio. Un po’ per rispetto a chi continua a seguire Something nonostante i tempi biblici (sempre che qualcuno sia rimasto) e un po’ perché mi dispiacerebbe non portarla a termine, soprattutto ora che siamo agli sgoccioli.
Giuro che ce l’ho in mente tutta, ho persino capito come deve finire ma il tempo è quel che è…
Vi risparmio le solite scuse, tanto son sempre le stesse -il lavoro, l’ispirazione altalenante, la stanchezza, la vita al di fuori di internet- e  passerei quindi a ringraziare due persone che mi hanno ricordato cosa mi piaceva e mi piace tuttora di questa storia.
Perché se mi rifaccio viva dopo così tanto tempo, è anche grazie a loro…

A Rachel_Daae
va ogni parola, virgola, errore, cosa bella e sbadataggine di questo capitolo.
Perché te l’avevo promesso e, ancora più importante,
mi hai fatto tornare in mente cosa mi ha spinta a condividere Something con altri.

e

a Shin.
Perché gli anni passano, ci si sente meno,
ma tu resti sempre GD.
Ci siamo conosciute anche grazie a questo sfacelo, forse è per questo che mi è così cara.


Grazie anche a chi ha aggiunto la storia tra le seguite/ricordate/preferite, a chi continua a darle una lettura e a chi passerà di qua anche solo per una sbirciatina.
P.S. Ultimamente l'html mi crea enormi problemi, facendomi perdere le ore: se doveste vedere cose strane nel testo (addirittura trovarlo scritto con caratteri microscopici) ditemelo pure, che proverò a sistemare.
Vi auguro una buona lettura, ci vediamo alle note in fondo.




Capitolo 32
The mess you’ve made of things

“Do I wanna know If this feeling flows both ways?
Sad to see you go,
Was sorta hoping that you’d stay”

-Do I wanna Know?, Arctic Monkeys-



«Lindsay?»

La voce di Ginko le arrivò sottile, quasi avesse avuto il timore di interrompere chissà quale scena madre tra lei e Seung-Hyung. Le bastò però qualche secondo per rendersi conto che l’unica cosa immobile, lì nel buio della stanza, era solo lei.

Si fece notare facendo strisciare i piedi, mugugnando un «Che?» con quel suo solito cipiglio un po’ scazzato e tremendamente insopportabile ma che l’amica accolse con un delicato «Non ti vedevo da un po’, cominciavo a preoccuparmi.» che per un attimo le fece scordare perché si trovava vestita su di un letto vuoto -che non era poi un letto qualunque ma il letto di Seung-Hyun, quel Seung-Hyun che sarebbe dovuto essere lì a spogliarla anziché lasciarle il ricordo della sua schiena che se ne andava-. Ecco, in quel momento Lindsay realizzò quanto Ginko le sarebbe mancata, una mancanza che mai avrebbe potuto descrivere a parole e non perché lei fosse una frana, semplicemente quelle come lei sono troppo indelebili e le parole rischiavano di sminuirne il reale valore. La sua bontà, la sua preoccupazione immotivata ma sincera, quei suoi sorrisi sempre luminosi che scaldavano il cuore… Tutto quello le sarebbe mancato da morire e Ginko non lo avrebbe mai saputo.

«Volevo starmene un po’ da sola» ammise con una punta di stanchezza, aggiungendo subito un veloce «Ma puoi restare.» quando la udì farfugliare qualcosa come «Oh beh se è così torno di là.» eclissatosi in una risatina stridula. Ginko si sedette al bordo del letto, strisciando il palmo sulle pieghe della coperta a scacchi, un modo come un altro per non tirar fuori quello che era il reale motivo della sua venuta e Lindsay, decisa più di lei a non volersi esporre, spezzò quel silenzio che sino a quel momento l’aveva cullata buttando la prima cosa che le passò per la testa «Quei due ti hanno tormentata?»

«Mh? Oh, no, no… Gli sto alla larga» ridacchiò scioccamente, scrollando le spalle «Seung-Ri fa casino come suo solito, GD stava importunando qualcuna. Almeno, credo la stesse importunando.»

«Quello importunerebbe anche chiedendo l’ora» sciorinò con ironia, abbozzando un sorriso quando la risata dell’amica si spanse nell’aria. Poteva ancora avvertire la tensione fra quelle quattro mura ma la presenza di Ginko, per nulla fastidiosa, stava aiutando a distenderle i nervi «Che hai intenzione di fare?»

Ginko inclinò il capo «Non lo so… Immagino non farò niente. A malapena riesco a guardare in faccia Ri, figurarsi avere una conversazione con Ji Yong.»

«Chi vorrebbe avere una conversazione con quello?»

«Non è così male, sai?» lo difese l’altra, agitando le mani di fronte al suo scetticismo «La mattina appena sveglio, ad esempio, è quasi… Sopportabile» spiegò con una punta di vergogna. Lindsay studiò la sua schiena piegata, avvertendo un vago senso di colpa accartocciarle le viscere, conscia che senza di lei non si sarebbe cacciata in una situazione del genere. Ma poi Ginko sospirò «Mia madre mi ha sempre detto di non tenere il piede in due scarpe...» e Lindsay non poté che concederle un «Già.» che, un po’ ci sperava, avrebbe fatto chiudere lì la conversazione. Ginko però non doveva essere della stessa idea perché dopo qualche secondo, tirò fuori quello per cui era effettivamente venuta lì «Ho visto Top di là, da solo…» la guardò oltre la spalla «Immagino tu glielo abbia detto.» constatò con pacatezza.

«Da cosa l’hai capito?» domandò ironica.

«Mah, magari dal fatto che sei qui da sola. O dal fatto che si è fiondato di là incollandosi alla bottiglia di whisky ammazzando con lo sguardo chiunque lo salutasse» sollevò le spalle «Come l’ha presa?» Lindsay la guardò vacua, soppesando la stupidità della domanda. Non l’ha presa bene, ovvio!, avrebbe voluto dirle con tutta la tranquillità di questo mondo ma il problema era che Seung-Hyun l’aveva presa decisamente peggio di come se l'era immaginata.

«Non bene» sfumò nel silenzio, coperto solo dai braccialetti di Ginko che tintinnavano ad ogni tocco nervoso «Non era così che me l'ero immaginata...»

Sposirò «Se non vuoi parlarne, non sei obbligata» poteva sentirlo nell’aria che fremeva pur di sapere cos’era accaduto in quella stanza e fu forse per quello che Lindsay si ritrovò a coprire le labbra, trattenendo una risata «Sì insomma, se devi parlare fallo perché vuoi. No perché magari ti senti in colpa perché te ne vai, assolutamente non deve essere così e--»

«Non è per quello… È che sei una buona—Se mia amica, con te posso parlarne» Ginko si illuminò, per poco non mandò in fiamme le lenzuola tanto brillava ma quando la vide sporgersi, Lindsay si ritrasse con un secco «Ma niente abbracci.» che l’altra accolse con una risatina divertita.

«Quindi?» si sdraiò al suo fianco, guardandola.

Lin fissava il soffitto, nella mente le immagini scorrevano indelebili, così nitide da potersi rivedere lì, in piedi vicino alla finestra, con i capelli scompigliati e un gelo venuto ad abbracciarla quando Seung-Hyun prese la lettera fra le mani.

«Gli ho detto che mi hanno presa alla Columbia. Ha cominciato a leggere la lettera ma non so quanto ci abbia capito. È un po’ una frana in inglese--» una leggera sberla sulla spalla la costrinse a non divagare «Si è congratulato. Pensavo mi avrebbe insultata--» si passò una mano sul viso, cominciava a sentire la pesantezza di tutto quello scivolarle addosso come liquido viscoso, di quelli che non se ne andavano nemmeno dopo venti docce.

«Seung-Hyun è buono…» mormorò Gin accorta, sottolineando una delle tante caratteristiche che contribuivano a renderlo la bella persona che era «E nient’altro?»

Lin tornò a guardare il soffitto, rivedendosi in tutto il proprio disagio: le mani che carezzavano le braccia, le punte dei capelli, le pieghe del vestito. E lui seduto sul letto, la lettera fra le dita, con i capelli scompigliati e la camicia stropicciata, silenzioso «Mi ha guardata per un po’ e poi mi ha detto…»

«Quindi torni in America…» 

Quella semplice constatazione, posta con assoluta fermezza, le fece capire di essere ormai giunta alla resa di tutti quei conti che, a ben vedere, aveva solo rimandato pur di non doverli affrontare. Eppure Seung-Hyun non la guardava con odio, rancore, con tutto quel mix di pessimi sentimenti che una persona qualunque le avrebbe scagliato contro nel peggiore dei modi, pur di fargliela pagare. C’era… Delusione. Quello non lo aveva previsto.

Un velo di vacuità li tenne in sospeso per un tempo che le parve infinito e che lei sfruttò per catturare ogni suo più piccolo gesto, particolare, tutto pur di tenersi qualcosa prima dell’inevitabile fine. Perché stava giungendo la fine, no? Perché quel suo «Da quanto lo sai?» seguito da un per nulla divertito, seppur mischiato ad una risata «Oh, già… I viaggi in America e tutto il resto, che idiota.» era solo il preludio per la catastrofe, no?

Si appoggiò alla scrivania, sopraffatta da quel senso di strana quiete «Sono arrivata trentesima su cinquanta.» sottolineò senza alcun tipo di fierezza, tentando di alleviare la tensione, seppur con pessimi risultati. La verità era che quella calma la stava destabilizzando e tutte le frasi imparate a memoria, non le sembravano più così convincenti.

Seung-Hyun tornò a guardare la lettera, un secco «Immagino i tuoi saranno felici. Insomma, la Columbia era quello che volevano, no?» la colpì in pieno petto, facendole storce il naso. Si sentì… Stupida, come se quella scelta fosse stata dettata dal bisogno di ricevere un affetto che i suoi, per il suo essere tremendamente ostile, le avevano negato. Le liti con sua madre, le chiamate troncate a metà con suo padre, quel suo sentirsi continuamente giudicata per aver fatto scelte che loro, al suo posto, mai si sarebbero sognati di fare: i tatuaggi, le droghe, le risse, le nottate trascorse fuori senza avvisare, sbagliare un test d’ammissione… Incapace, era così che la stava facendo sentire. Ed aveva la stessa espressione che un milione di volte aveva visto negli occhi dei suoi.

«L’ho fatto per me» obiettò con fermezza «È una cosa che ho voluto io, i miei non c’entrano» si morse le labbra di fronte al suo sopracciglio arcuato «Voglio fare qualcosa di buono per me. Studiare, trovarmi un buon lavoro… È da un po’ che ci penso.» concluse non senza un pizzico di imbarazzo, sentendosi privare di uno di quei tanti piccoli segreti che teneva per sé. Non era da lei condividere una sciocchezza del genere con qualcuno, figurarsi con l’unico capace di riuscire a tirarle fuori ogni più minuscola sfaccettatura che lei nemmeno credeva di avere.

Seung-Hyun però non sembrò colpito da quella confessione a cuore aperto, anzi, le parve basito «Non mi hai mai detto nulla.»

«Non ne ho avuto il tempo.»

«O non hai voluto trovarlo?» per la prima volta dacché quella sorta di immobilità si era frapposta loro, Lindsay vide un barlume di irritazione strisciare nei suoi occhi scuri, facendola tremare. Aveva già avuto a che fare con un Seung-Hyun incazzoso, con i suoi lineamenti induriti, la mascella contratta e gli occhi affilati come due lame ma se ai tempi sarebbe stata capace di rendergli pan per focaccia, ora non ne era più così sicura. A dispetto però di ogni timore, si limitò a stropicciarsi il viso mormorando qualcosa come «È meglio se torniamo di là. Ho bisogno di bere.» e Lindsay, che avrebbe dovuto accogliere quella benevolenza con tutta la gioia dell’universo, si ritrovò invischiata nella propria stupidità, un solo pensiero in testa: non poteva andarsene così.

Dov’erano gli insulti? Le sedie che volavano? I libri che trafiggevano l’aria? Dov’era tutto quello che si prestava a una situazione del genere? In un momento di lucidità, Lindsay si disse che se Seung-Hyun si fosse arrabbiato, tutto quello sarebbe stato più facile da gestire. Si sarebbero urlati contro un mucchio di cattiverie, incuranti delle ferite che si sarebbero inferti e lei avrebbe avuto un motivo per odiarlo e andarsene così con la convinzione di non aver lasciato nulla di importante a Seul. Ma così… Così non faceva altro che renderle tutto più difficile.

«Non mi sembrava importante» si riparò in una sorta di abbraccio, pronta a schivare qualsiasi insulto le sarebbe stato rivolto da lì in avanti perché il suo fermarsi di botto, davanti alla porta, non faceva presagire nulla di buono «Tra un paio di mesi me ne andrò, tanto vale goderci queste settimane e--» le parole le si spezzarono in gola di fronte al suo sguardo sgomento.

Ricordava la lentezza con cui si era voltato, l’espressione di puro stupore e la sensazione di allarme che la costrinse ad ammutolirsi mentre faceva qualche passo verso di lei «Sei davvero convinta che io voglia continuare a vederti, sapendo che tanto te ne andrai?» calcò su quel “davvero”, guardandola ad occhi larghi e mascella contratta.

Lindsay, in balia di una forza che non riusciva a frenare, si ritrovò a comportarsi come la stronza che era «Lo dici come se dovessi mancarti.» con quel sorriso appena accennato tirato su solo per deriderlo un po’ e per quanto tutto quello le stesse facendo rivoltare le viscere, vederlo andare via sconfitto sarebbe bastato a lenire il suo senso di colpa. Mentre lo vedeva strofinarsi le nocche con stizza, si ricordò di quando glielo aveva detto sulla pista di pattinaggio, con quel sorriso un po’ sfrontato, pronunciato solo per punzecchiarlo un po’, senza reale intenzione di avere una sua risposta sincera. E in cuor proprio sperava che le cose non fossero mutate così tanto, perché per quanto il loro rapporto si fosse evoluto in qualcosa che preferiva non etichettare, era certa che in fondo Seung-Hyun restava sempre lo stesso impacciato ragazzo che le aveva preso il cuore a poco a poco.

Ma a dispetto di ogni pronostico, il ragazzo disse una cosa che Lindsay non si aspettava, un sicuro «Perché, io non ti mancherò?» che la spaesò perché quel «Non ti mancherò?» era diverso da «Certo che mi mancherai!», diverso! Per un attimo si sentì trasportare dal suo sguardo confuso ma ancora speranzoso, quasi si aspettasse di vederla sciogliersi in lacrime o in una confessione d’amore struggente. Sentiva quel «Ti amo, è ovvio che mi mancherai.» premere sulla labbra serrate, avvertiva le lacrime bruciarle gli occhi e, porca miseria, quanta fatica stava facendo per trattenersi dal chiedergli di perdonarla perché era soltanto una stupida ragazzina incapace di saper gestire queste cose ma in un impeto di lucidità, si ricordò che tra due mesi se ne sarebbe andata e stare assieme, non avrebbe fatto altro che farla vacillare nella sua decisione di andarsene.

E Lindsay capì.

Se non poteva farselo odiare, allora doveva farsi odiare lei. Lasciargli un brutto ricordo, il peggiore. Fargli vedere un lato di sé che mai avrebbe riservato a uno come lui, che era buono e gentile e di una bellezza che raramente si trovava in una persona. E non parlava solo dell’aspetto fisico ma di quello che lui le aveva sempre offerto senza voler nulla in cambio, se non un po’ del suo tempo.

Così ingoiò quel «Ti amo.» che avrebbe potuto salvarli e pronunciò un annoiato «Non più del solito» che lo distrusse. Glielo lesse negli occhi, nei pugni stretti, nella mascella serrata. Seung-Hyun si stava spezzando e lei non faceva altro che creare crepe su crepe «Tanto non era una storia seria.» ed eccolo il colpo di grazia, come avrebbe detto Ji-Yong.

Fu a quel punto che la situazione precipitò. Seung-Hyun era passato dalla confusione alla consapevolezza e di speranza, sul suo viso, non ce n’era più traccia. Lindsay d’altro canto si ritrovò a cacciare indietro un «Anche se ammetto che non mi sarebbe dispiaciuto che lo fosse diventata.» che l’avrebbe costretta a mettere a nudo i propri sentimenti e se c’era una cosa che aveva imparato in tutti quegli anni, era che mostrarsi deboli in combattimento non avrebbe portato altro che a un’inevitabile sconfitta.

«Lo so, ma c’erano delle volte… In cui lo sembrava» si passò una mano sul volto, esasperato «C’erano volte in cui avrei voluto lasciar perdere ma poi tu tornavi e mi facevi sentire come se volessi qualcosa di più del sesso, che forse tu ci tenevi a me, per quanto una come te ne sia capace…» Lin accusò il colpo, irrigidendosi «Mi ripetevo che continuare è la cosa giusta perché tu non sei così, sei molto di più e sai una cosa? Lo sei davvero. Tu-Tu sei--» si inumidì le labbra.

Lin scoccò la lingua «Sono cosa? Una stronza, forse? O magari una pu--»

«Egoista. Sei la più grande egoista che io abbia mai incontrato e nemmeno ti rendi conto di quanto male fai agli altri e quel che è peggio, non te ne importa» e prima che potesse ancora parlare, fu Lindsay ad esalare un confuso e bisbigliato «Cosa c’entra questo con la Columbia?» che per un attimo fece calare il gelo «C’entra perché tu non dici mai nulla!» Lindsay serrò le labbra, pungolata su uno di quei tanti difetti che tutti le avevano sempre rinfacciato.

«Avrebbe cambiato qualcosa, dirtelo?»

«Forse, non lo so!» aprì le braccia «Avrei—Avremmo trovato una soluzione, una--» le lasciò cadere lungo i fianchi, rassegnato e Lindsay lo incalzò.

«E cosa, mh? Avresti tentato di fermarmi, forse?» inclinò il capo, studiando la sua espressione «Pensavi che sarei rimasta qui, per sempre?» rilanciò, chiedendosi se almeno lui avesse una risposta perché lei proprio non ce l’aveva. Da un po’ aveva smesso di chiedersi se preferisse vivere a New York o a Seul e ora che si ritrovava in bilico, non sapeva da che parte girarsi.

«Tanto se anche te lo avessi chiesto, non avresti risposto. Probabilmente saresti scappata, tanto lo fai sempre no?» la sua sferzante ironia, unita a quel pizzico di cattiveria che stava stimolando la sua collera a lungo sopita, la costrinse a roteare gli occhi.

«Ridicolo…» sbuffò, decisa a tornare su quello che era il punto centrale della lite «Pensavo che almeno tu saresti stato felice di questa mia scelta, che avresti capito.» detto solo per far nascere in lui il senso di colpa.

Ma Seung-Hyun sembrava aver superato la soglia della pazienza «Cercare di capirti è quello che ho fatto da quando ti ho conosciuta…» alzò le spalle «Vuoi essere capita? Va bene, d’accordo. Beh, tanti auguri per la Columbia.» sventolò una mano, dandole nuovamente la schiena.

A quel punto, fu Lindsay a perdere la pazienza «Cosa vuoi da me, si può sapere? Vuoi che resti con te, forse? Che me ne stia qui a lavorare per sempre al Tribeca mentre tu vivi la tua vita da star? Vuoi sposarmi e avere dei figli, che--»

«Sapere che te ne vai sarebbe bastato, almeno mi sarei risparmiato tutto questo! O che mi volessi bene almeno la metà di quanto te ne voglio io, ma a quanto pare sei troppo presa da te stessa per accorgertene.» Lin si pietrificò. Avrebbe potuto dirgli che gli voleva bene, ma bene davvero, perché di tutti i ragazzi conosciuti nessuno era mai riuscito a scavare così in profondità nella sua anima, accettando perfino il marcio che proprio non voleva saperne di andarsene. Seung-Hyun però non sembrava intenzionato a placarsi, come se quelle parole le avesse messe da parte e ora fosse giunto il momento di spiattellargliele addosso.

«Non è così--»

«Negalo?» le scoccò un’occhiata eloquente «Tu non ti sei nemmeno accorta di quanta energia hai sprecato per tenermi lontano, con tutte le tue assurde regole. Te ne stai lì, incazzata con tutto e tutti e non fai entrare nessuno nel tuo mondo, convinta che le persone vogliano solo farti soffrire, come se le disgrazie capitassero solo a te. Hai dei genitori che ti vogliono bene e tu fai di tutto per allontanarli. Non sei mai felice, riversi il tuo malumore sugli altri e hai la presunzione che debbano sottostare alle tue paure perché così per te è tutto molto più facile. Beh, svegliati Lindsay, le cose non sono mai semplici» prese un respiro profondo, pronta a sparare la prima cosa che le sembrasse adatta in quel momento ma lui fu più veloce, esalando un torvo «E non tirare fuori la storia dei tuoi, non sei l’unica ad avere i genitori separati.»

In quel preciso istante, le parve di vedersi al di fuori. C’era lei, immobile e rigida e silenziosa che si lasciava ricoprire da quella valanga di recriminazioni che probabilmente tutti pensavano ma che nessuno aveva mai avuto il coraggio di dirle e c’era lui, l’unico che tra tanti aveva fatto la differenza, col fiato corto e l’aria sollevata di chi finalmente si era levato un enorme peso dalle spalle.

Venne meno la curiosità di sapere da quanto pensasse tutto quello, a malapena seppe con che coraggio riuscì a mormorare un incrinato «Sto facendo la cosa giusta» che in effetti non lo sembrava più così tanto «Io volevo dirtelo.» mormorò sfiancata, guardandosi i piedi scalzi.

Seung-Hyun sembrò placarsi «E allora perché non lo hai fatto?» e di fronte al suo silenzio, si ritrovò ad esternare ancora la propria rabbia «Volevi restare con me perché avevi bisogno di qualcuno con cui scopare? Anzi no, non rispondere, non voglio saperlo…» a quel punto, Seung-Hyun disse una cosa che forse avrebbe fatto meglio a tacere, soprattutto con una Lindsay frustrata per essere stata sconfitta in una guerra che pensava avrebbe vinto «E se mi fossi innamorato di te?»

Lo disse piano, come se tutte le frasi scagliate prima fossero già un ricordo lontano. Lindsay però poteva sentirle sulla propria pelle, bruciavano talmente tanto da farle sentire un vuoto allucinante e prima che potesse anche solo metabolizzare quella che, a ben vedere, era una dichiarazione spacciata per curiosità, si ritrovò a mormorare un secco «Tanto peggio per te.» che nemmeno seppe da dove le uscì.

E poi si ricordò. Era la stessa cosa che suo padre aveva detto a sua madre poco prima di andarsene, quando lei se ne stava in vestaglia coi capelli scompigliati in attesa di una risposta al suo «Che cosa faremo senza di te? Non pensi a Lindsay?» 

Si coprì le labbra, riscoprendosi scioccata nell’essersi trasformata in ciò che più odiava e mentre lo vedeva andar via, mentre continuava a ripetersi che voleva qualcosa di più di un mucchio di parole cattive, si inumidì le labbra, strizzando gli occhi per evitare di scoppiare a piangergli in faccia «Niente obblighi, erano questi i patti» mormorò incerta, torturandosi le mani «Doveva essere solo un passatempo.» concluse in un sussurro.

«Non lo era più, già da un po’…»

Studiò la sua schiena; era più stretta di quella di Mark ma l'incurvatura era la stessa. Scosse la nuca, sentendosi in testa un paio di lunghi codini che non ricorsava di essersi fatta, quella sera e lo chiamò piano «Seung-Hyun, io—»

E lui si era voltato, guardandola da capo a piedi…

«Congratulazioni per la Columbia.»

«Poi se n’è andato.» Lin si massaggiò gli occhi.

Ginko ebbe l’accortezza di non fare alcun commento, tanto criticare ogni sua parola o gesto non avrebbe di sicuro cambiato le cose. Così come non si perse in vaneggiamenti sul fatto che il ragazzo si fosse praticamente dichiarato, seppure per disperazione che per reale desiderio di farlo.

Seung-Hyun la detestava e lei poteva andarsene senza alcun senso di colpa. Nessun rimpianto, nessun desiderio improvviso di correre da lui e magari dirgli quel mucchio di fesserie che si dicevano in momenti come questi, cose tipo «Aspettami che tanto torno.» oppure «Se vuoi possiamo comunque provarci perché la distanza mica può scalfire un amore come il nostro.» e ancora «Chiedimi di restare e io ti giuro che resto.» e, più di tutto, nessuna certezza che il loro amore, se anche fosse rimasta, sarebbe durato.

Ginko sorrise un poco «Magari torna. È innamorato, no? Deve tornare, per forza.» raccogliendo un po’ di quella speranza che lei, sin dall’inizio, aveva smesso di trattenere a sé.

Ma Lindsay non rispose, sapeva che non sarebbe tornato, perché Seung-Hyun era buono…

 «Congratulazioni per la Columbia.»

E quello era il suo modo di mandarla al Diavolo.

**********

Fu come svegliarsi da un lungo, profondo sogno.

Sul balcone, bottiglia di whisky alla mano e crampo alla mascella serrata, Seung-Hyun si ritrovò catapultato in una realtà che da qualche tempo gli era sembrata… Migliore, o quantomeno degna di essere vissuta. Più precisamente da quando Lindsay Moore, l’essere umano più schivo che mai avesse conosciuto, gli aveva concesso l’onore di conoscerla meglio e c’era tutto un mondo dietro quella facciata austera. Ricordava ancora la tensione nello sgabuzzino del Tribeca, la sensazione di fallimento scaturita dal suo rifiuto e la gioia contenuta a fatica nel ritrovarsela sotto la veranda di casa propria… Gli parve tutto talmente distante da chiedersi se non se lo fosse immaginato.

Buttò giù un altro sorso; l’amaro del liquore si mischiò a tutte quelle parole appena scaraventata contro Lin, che si era mostrata in tutto il proprio abissale egoismo e pure in quel frangente, con i nervi a fior di pelle e la lingua pronta a scagliare cattiverie se ciò significava uscirne indenni, non riuscì a darle della stronza. Ci provò, ci si mise di impegno, ma quella parola non galleggiò mai nei suoi pensieri. Si passò una mano sul volto, dandosi del coglione. Possibile che nonostante tutto, faticasse ad odiarla?

Il clack della portafinestra lo distrasse dalle sue elucubrazioni e con la coda dell’occhio, cercò di riconoscere l’ombra che, cauta, gli si avvicinava. Probabilmente era Ginko, la tenera e dolce Ginko che nell’incrociarlo in sala gli aveva urlato un luminosissimo «Ciao Top!» a cui  aveva risposto con un grugnito e uno sguardo d’ira, vedendola tramutarsi in una statua di cera. Suo malgrado, dovette constatare che quella figurina non era la Fujii, l’unica che sisalvava in quella marmaglia di idioti, bensì l’ultima persona che avrebbe incrociare…

«Ecco chi si è fregato il whisky.»

Kwon Ji Yong.

«Un buon padrone di casa non se ne ve nel bel mezzo di un party.» cantilenò fintamente offeso, ciondolando. Nh, fantastico, un Gd ubriaco era proprio quello che gli ci voleva. Già da sobrio era un rompicoglioni, figurarsi conciato così!

«Che vuoi?»

«Adesso uno non può nemmeno prendere una boccata d’aria?» gli si era accostato, appoggiandosi alla balaustra con la nuca piegata all’indietro e lo sguardo puntato al cielo scuro «Ti ho visto correre qui, volevo assicurarmi che non volessi buttarti di sotto» quando si accorse della bottiglia mezza vuota fra le dita, le labbra guizzarono all’insù  «Era da un po’ che non lo facevi» constatò con placidità «Ubriacarti, intendo.»

«Mi è tornata la voglia, ok?» ribatté cupo, portando la bottiglia alle labbra.

Poteva sentire il suo sguardo circospetto analizzare ogni più minuscolo angolo del suo viso, del suo corpo teso e senza curarsi del suo essere ad un passo dall’esplodere, Ji Yong diede il via al suo gioco preferito: tormentarlo «C’è qualche problema?» domandò a bruciapelo. Seung-Hyun sentì le dita delle mano libera stringersi a pugno, particolare che ovviamente non sfuggì a quel mentecatto di un leader «Lo prendo per un sì--»

«Non c’è nessun problema.»

«A me non sembra.»

Il capo gli cadde con indolenza «Tu non molli nemmeno se uno ti dice per favore, vero?»

«Ma non mi hai detto per favore.» constatò con ingenuità.

«Allora, per favore, potresti lasciarmi solo?»

Ji Yong arcuò un sopracciglio «Certo che no» si passò una mano fra i capelli «Non per sminuire la tua enorme bellezza Hyung, ma hai l’aria di uno che potrebbe strozzarsi coi lacci delle scarpe…» un lungo sospiro e Seung-Hyun capì che l’amico avrebbe cominciato a rompergli le palle «Ho visto America, prima… Non dovresti essere con lei?» e non appena il suo grugnito spezzò l’aria, si lasciò andare ad una risata fioca «Quindi è lei il problema. Incredibile, non succedeva da un sacco--»

«Perché dovrebbe essere proprio lei?» lo interruppe, irritato. Parlare di lei era l’ultima cosa che voleva fare.

«Andiamo Hyung, così mi deludi» assunse un’espressione affranta mentre la mano andava platealmente sulla guancia «America è qui e tu te ne stai tutto solo sul balcone, a bere, mentre dovresti essere di là a slacciarle il reggiseno» Seung-Hyun serrò la mascella «Allora, perché avete litigato?» il suo silenzio, che doveva essere un incentivo a dare un taglio a quella scempiaggine, l’altro lo interpretò come un invito a dare aria alla bocca «Mh, ti ha tradito? No, direi che non è quello…» si passò una mano sul mento «Ti ha detto che non vuole più vederti?» si irrigidì «Ah, ci sono, le hai confessato il tuo amore e lei ti ha respinto--»

Seung-Hyun poggiò la testa contro il muro, avvertendo le insinuazioni di Ji Yong farsi ovattate, quasi distanti, come se stesse conversando con qualcun altro, concentrandosi su quell’unica parola che ebbe il potere di far franare il cuore già orribilmente a brandelli: respinto. Era così, no? Il fatto che avesse deciso di andarsene senza dirgli nulla era come respingere lui, quello che le aveva dato e avrebbe voluto darle, quello che malamente avevano messo su. Si ritrovò ad inspirare profondamente, quasi stesse ricacciando indietro le lacrime che incredibilmente non erano scese durante tutta la discussione e senza preoccuparsi delle conseguenze , mormorò un assorto «Se ne va» e per la prima volta dacché si era avvicinato, GD lo guardò in volto «Se ne torna in America…» 

Si aspettò un accenno di sorpresa ma la faccia di Ji Yong era una maschera di pura serietà «E dove sarebbe la novità?» si sgranchì il collo «Quanto starà via, una settimana? Un mese?»

«Una vita» sorrise amaro «E' stata ammessa alla Columbia.»

Ji Yong soffiò una breve risata dalle labbra, il volto piegato e l’aria di non sapere bene cosa dire «Però, la Columbia… Non la credevo così intelligente. E cosa andrà a fare?» lo fulminò con lo sguardo «Ti sei almeno congratulato?»

Oh, certo che lo aveva fatto. Dopo. Prima le aveva vomitato addosso tutte quelle cattiverie che la sua mente mai aveva partorito, dacché l’aveva conosciuta. Il fatto però di vederla così indifferente a lui e alla sua sofferenza, lo aveva portato al punto di ebollizione e le parole erano uscite, irrefrenabili.

Si passò una mano sul volto stanco, cercando di togliersi da davanti gli occhi la sua figura rigida che accusava i colpi in silenzio «E brava la nostra America» il ghigno si appianò quando i loro sguardi si incrociarono. Sul volto di Ji Yong comparve uno di quei suoi soliti sorrisi alla Cheshire che da un po’ non gli rifilava e, purtuttavia infreddolito, si ritrovò a vibrare dalla testa ai piedi per l’ansia «Tu non sei felice, hyung?» e glielo chiese con assoluta placidità, come se davvero quella notizia dovesse fargli toccare il cielo con un dito e Seung-Hyun, ancora irritato per la bruciante consapevolezza di valere meno di uno dei loro cd per lei, si riscoprì incapace di rispondergli. Ce le aveva lì le parole, le sentiva ruzzolare per la gola ma di arrivare alla bocca proprio non ne volevano sapere.

Era felice? No, non lo era. Ma per un breve, infimo istante, sentì un moto di orgoglio infuocargli il petto, come se si sentisse l'artefice di quel cambiamento che, tutto sommato, la stava rendendo una persona migliore…

Anche se lei andava già bene così.

Scacciò quel pensiero sciocco dalla testa, concentrandosi sull’ominide che ora lo guardava con evidente seccatura «Mi sarebbe piaciuto saperlo.» buttò lì, come se quello dovesse spiegare il perché della sua collera.

Nessuno, a parte lui però, sembrava capire quale fosse il punto focale di quell’assurda situazione «Sarebbe cambiato qualcosa?»

Seung-Hyun lo guardò quasi scandalizzato, dimenticandosi che le sue labbra avevano bisogno di alcol «Certo!» corrugò la fronte. Che cazzo, solo lui trovava ingiusto essere tenuti all’oscuro di tutto a pochi mesi dalla sua partenza?!

«E in che cosa sarebbe cambiato?»

A quanto pareva, sì…

«Mi sarei risparmiato tutta questa sofferenza, per cominciare» riportò la bottiglia alle labbra, riacquistando un po’ di pace «Avrei potuto lasciarla.» borbottò poi, avvertendo le parole scivolare in gola insieme al whisky. Gli venne da vomitare ma diede la colpa all’alcol.

Il leader lo guardò con tanto d’occhi fino a che una risata svagata non scappò al suo controllo, facendolo contorcere; ora lo buttava di sotto «Ma per favore...» gli lasciò il tempo di riprendersi anche se la tentazione di prenderlo a calci era troppa «Non l’avresti fatto.» sentenziò categorico.

«Ma per favore…» fu il suo turno di esalarlo con cavernosità, deciso a non chiedersi se sarebbe stato effettivamente così. Era convinto di aver fatto bene ad esternarle tutto il proprio malumore ma più i minuti trascorrevano, meno si sentiva vincitore. Ne usciva perdente, da qualsiasi angolazione decidesse di vederla: era lui che restava solo, era lui che si ritrovava a fare i conti con un amore che nessuna era mai riuscita a far nascere in lui con una tale prepotenza e la consapevolezza che nessuna più sarebbe riuscita in quest’impresa, lo spaventò a morte.

E Ji Yong, che non sembrava aver perso la sua vena stronza, decise di pungolarlo ancora un po’ «Sappiamo entrambi che è così.»

«E come sarebbe?» domandò con un sorrisetto messo su solo per fargli vedere quanto poco quella situazione lo tangesse.

Fino a che l’amico non gli scoccò un’occhiata vacua, allora lì non ci fu più nulla di che sorridere perché quello che fino ad adesso era stato un gioco spacciato malamente per conversazione, stava divenendo decisamente più serio. Ji Yong fissava le finestre da cui poteva intravedere gli altri ospiti chiacchierare, ballare e nel suo sguardo c’era una scia di inquietudine che non riuscì a catalogare, nemmeno quando dalle sue labbra uscì un laconico «Saresti rimasto con lei fino alla fine, cercando disperatamente una soluzione per farla restare e senza accorgertene, sarebbe arrivato il giorno della partenza, senza che tu abbia concluso nulla, ovvio. Allora le chiedi di restare, quasi la implori, ma sai bene che non può, perché per lei sta cominciando una nuova vita di cui non farai parte. E mentre la vedi andare via, ti chiedi a cosa siano serviti questi due mesi e la sai una cosa?» tornò a guardarlo, le parole appena mormorate «A nulla, non sono serviti proprio a nulla ma la ami, è per questo che hai deciso di starle accanto.»

«Ma lei non mi ama.» osservò con velocità, come se questa confessione potesse far crollare ogni sua sicurezza. Fece un male atroce, dirselo ad alta voce.  

Ji Yong però non ne restò colpito e anzi, sollevò le spalle come se quel piccolo dettaglio fosse una quisquiglia «Stare con qualcuno di cui siamo innamorati e che non ci ricambia, è sempre meglio che non starci affatto» si passò una mano fra i capelli «Forse è un bene che sia saltato fuori ora, è adesso che ti risparmi la vera sofferenza.» le parole lucide di Ji Yong, unite alla sua serietà che non lasciava spazio a scherzi, ebbe il potere di far tornare in moto il suo cervello prima offuscato dalla rabbia. Realizzò così un particolare già saltato fuori ma che solo ora aveva assunto una vera e propria forma: se ne andava.

Lindsay Moore se ne andava via.

Era questo IL punto. Non che glielo avesse taciuto, non che lei non lo amasse. Niente di tutto questo.

Se ne andava, lasciandoselo indietro.

«Ah, siete qui!» Seung-Ri fece capolino, un sorrisetto ebbro pendente sul volto «Che fate al freddo?»

«Parliamo.»

«E non potete parlare dentro? Si gela!» si soffiò sulle mani, avvicinandosi saltellante.

«Adesso arriviamo.»

Poco importava che ci fossero ancora i suoi amici, sua madre, sua sorella, suo padre… Tutti loro, che avevano sempre costituito una parte importante della sua esistenza, non sarebbero mai stati capaci di sanare quel vuoto che solo lei era riuscita a colmare: i messaggi nel cuore della notte perché entrambi non riuscivano a dormire, rincasare stanco e trovarla fra gli abiti smessi, le coperte sfatte, le pile di pupazzi e dirsi: per fortuna che la giornata non è ancora finita.

Il ragazzino sbatacchiò le palpebre «Mh, ma… Hyung, che ti prende?»

«Ri, non ora.»

«Gli ho solo chiesto che gli prende.» un bisbiglio secco.

Lasciandolo solo...

«Se ne va…» lo disse piano, interrompendo il loro bisticcio e quando si rese conto che quella era ormai una certezza assodata, con tutte le conseguenze che ne derivavano, si ritrovò a pronunciarlo con voce incrinata «Lindsay se ne va.» e a quel punto, si sentì pervadere dalla solitudine. Abbassò il capo, consapevole di star dando sfoggio della propria disperazione.

«Oh…» Ri si inumidì le labbra e nel silenzio appena calato, ci fu il suo «Glielo hai detto tu?!» appena sussurrato ma che Seung-Hyun udì benissimo, quasi lo avesse urlato. Sollevò lo sguardo con lentezza, sentendo gli occhi dapprima lucidi farsi secchi di colpo.

Ji Yong era una maschera di nervosismo mentre fissava il maknae, troppo brillo per rendersi conto di quello che effettivamente stava accadendo e con una forza che aveva sentito sfuggirgli via dalle dita, riuscì a mormorare con secchezza «Voi. Lo sapevate?»

Il leader si passò entrambe le mani sul viso ma non gli sfuggì la sua flebile bestemmia; Seung-Ri invece balbettò «Ahm, ecco, noi--» cercò l’aiuto del compagno ma più la fronte di Ji Yong si corrugava, più andava in panico «Lindsay ce l’ha detto e—Beh, veramente non ce l’ha detto lei, ce l’ha detto Ginko» si morse le labbra «Noi volevamo dirtelo però--»

«Ri, chiudi quella bocca.» esalò a quel punto GD, scoccandogli un’occhiata torva.

«Ma io--»

«Da quanto lo sapete?» al cospetto del loro silenzio, le parole gli uscirono vibranti e pregne di ira «Da quanto?!» i due sobbalzarono, sì, perfino quell’algido di un leader che non sembrò più così indifferente. E pensare che per tutto quel tempo non aveva fatto altro che lambirlo con le sue sciocche parole, le sue elucubrazioni che avevano assunto un senso e che per un istante gli avevano dato quiete... A che gioco stava giocando, con lui?

«Qualche mese… Ma vedi, non è come credi! Non è che lei ce l’ha detto perché voleva, è saltato fuori--»

«Tu non sai proprio quando tacere, vero?»

«Tanto ormai…» si immusonì «Se glielo avessimo detto, a quest’ora non sarebbe ridotto così!»

Ridotto così?

«Ri, te lo dico per l’ultima volta--»

«Cosa, cosa?! È per colpa di tutti questi silenzi che siamo finiti qui!»

Ridotto. COSI’?

Così come, esattamente? Col cuore a brandelli? Con l’aria di volersi buttare giù dal balcone? Con l’aria di uno che scopriva di essere stato pugnalato alle spalle non solo dalla donna che amava ma anche da quelli che, ad occhio e croce, erano più che semplici amici? La sua famiglia? Davvero credevano che tenerlo all’oscuro di tutto lo avrebbe fatto soffrire meno?

«Stai peggiorando le cose!»

«Credi davvero che possa andare peggio di così?! Insomma, guardalo!»

La sua espressione si deformò, proprio come i suoi lineamenti. Le guance che si incavavano, la fronte corrugata, le sopracciglia aggrottate e che gli facevano male, le labbra che si ritiravano… Gli parve di vedersi al di fuori, per una frazione di secondo, e quel che vide non gli piacque per nulla. Si stava frantumando, così come si era frantumato qualcosa dentro di sé…

«Tutto bene?» Daesung fece capolino.

Tae sbuffò, seccato «Possibile che voi litighiate sempre?»

«Ehi, Hyung, tutto a posto?»

Ci fu un crack, come un rumore di vetri che si spaccavano e poi un urlo, un sobbalzo, un «Ma che cazzo fai?» mormorato da un Gd stranamente mansueto e che lo guardava un po’ accigliato e, davvero assurdo, un po’ preoccupato. C’era Ri, aggrappato al braccio del leader e con occhi sbatacchianti, quasi stesse riacquistando la lucidità. E c’era Daesung, finito in braccio a Taeyang per evitarsi una morte orribile ma in quel preciso istante, con di fronte i loro sguardi preoccupati, le espressioni confuse e un silenzio pregno di colpevolezza, a Seung-Hyun non fregò proprio nulla. Non gliene fregava di star dando spettacolo, così come non gli fregava di aver quasi ferito un suo amico…

«Sparite.»

Aveva il fiato corto mentre lo sguardo puntava sul whisky sparso a terra e sul muro, vicino a Dae; la mano che una volta aveva retto la bottiglia ora in frantumi sul pavimento, ancora aperta a mezz’aria. La sbatté sul fianco, richiudendola così forte da far intravedere le nocche bianche.

«Seung-Hyun, ma che succede?» Tae spezzò il silenzio con accortezza, facendo un passo avanti.

Indietreggiò, li guardò uno ad uno, deluso. La rabbia era ormai lontana. Era troppo stanco per battersi ancora.

«Come se non lo sapessi» sbottò caustico, costringendolo a bloccarsi «Sparite. Tutti

Daesung squittì e se non fosse stato trascinato da un Taejang in preda all’istinto di sopravvivenza, probabilmente sarebbe rimasto lì a tartassarlo di domande col rischio di finire a pezzettini. Ri scodinzolò senza fare domande ma ebbe l’ardire di bisbigliare un «Mi dispiace» che gli fece venire un tic nervoso all’occhio destro. E poi c’era Ji Yong, unico sopravvissuto in mezzo a quella carneficina, che lo fissava con… No, non ebbe davvero voglia di star lì a studiare le sue espressioni; se ci avesse visto della pena su quel viso smunto, lo avrebbe davvero buttato di sotto. Gli lanciò uno sguardo colmo di ferocia, tarpando ogni suo gioco o presa per il culo. Non aveva voglia di scherzare, di trovare il lato positivo o qualsiasi cosa quel demente stesse architettando. Voleva solo starsene da solo e sperare che il cuore smettesse di fargli male e magari scordarsi ogni singola parola che Lindsay gli aveva rivolto, il suo tremore, il suo essere così disperatamente fragile…

Ma Ji Yong si limitò a scoccare la lingua, esalando uno stanco «Sai anche tu che sta facendo la cosa giusta.» prima di lasciarlo solo a raggruppare i pensieri, senza dargli nemmeno uno straccio di spiegazione.

La cosa giusta, certo. Com’è che alla fine risultava lui lo stronzo della situazione?!

Si diresse in camera armato della sola incazzatura, evitando accuratamente di incrociare lo sguardo dei presenti, incuriositi dallo spettacolino di pocanzi. Sbatté la porta della stanza e solo nell’udire una sonora imprecazione e uno squittio si rese conto di come Lindsay e Ginko fossero ancora lì. La ragazzina balzò in piedi, sorridendogli tirata «Top, ehi, noi--»

«Andatevene» le due si guardarono per una frazione di secondo «Non voglio più vedervi.» e lo aveva asserito livido di rabbia, stringendo i pugni.

Ginko aveva avuto la buona decenza di filarsela ma Lindsay no. Il vecchio Seung-Hyun le avrebbe detto «Ti accompagno io.» oppure «Ti chiamo un taxi.» quello di adesso pensò che in fondo Lindsay, che non aveva versato nemmeno una lacrima, non aveva bisogno del suo aiuto e allora lasciò perdere, limitandosi a metterle fretta col solo sguardo. Sembrava ancora intenzionata a portare avanti la battaglia di pocanzi ma lui no, non lo era più. Se doveva andarsene, che lo facesse, perché così non faceva altro che complicare le cose già di per sé ingestibili.

Non ci furono baci o abbracci quando gli passò di fianco e gliene fu grato, perché sapeva benissimo che sarebbe stato incapace di trattenersi dallo spogliarla e buttarla sul letto. Guardò per un ultimo istante le sue spalle strette, la linea del collo, le braccia tatuate e si riscoprì davvero incazzato nell’accorgersi che le cose tra loro erano finite peggio di come erano cominciate.

L’unica cosa che gli lasciò prima di andarsene fu un «Quando ho detto che ti avrei spezzato il cuore, sapevo che sarebbe successo… Ma avrei preferito non farlo.» e la scia della sua figura slanciata, la sua voce delicata e pregna di sincerità, con una nota di dolcezza che ancora aveva il potere di farlo fremere. E per un attimo avvertì i piedi vibrare, le punte sollevarsi per correrle incontro, fermarla, dirle che voleva provare a capire, anche se ci avrebbe messo anni per farlo… Ma il clack della porta giunse secco e il suo corpo si rilassò.

Era ridotto così.

Da solo, di nuovo.

********

Alle 00:48 di un sabato qualunque, un omicidio era avvenuto in un appartamento di Seoul. La banda di assassini se l’era filata portando con sé l’oggetto della discordia, un’americana dall’impassibilità fastidiosa, seguita da una nanerottola in iperventilazione, mentre la vittima era rimasta tutta sola a raccogliere i cocci della propria anima infranta senza l’aiuto di quelli che una volta avrebbe definito amici. Gli altri membri della banda, chi più chi meno, sembravano ripercorrere passo passo ogni avvenimento per cercare una spiegazione.

«Te ne vai?! Cosa vuol dire che te ne vai?!» la sorpresa di Daesung uscì in uno squittio talmente stridulo che per poco Tae non si spaventò, finendo nell’altra corsia.

Tutto questo avrebbe dovuto strappare a Kwon Ji Yong ben più di una risata, perché quando un essere un umano dava sfoggio di cotanta bellezza in un colpo solo, lui non poteva certo restarne indifferente; il fatto però che si trattasse di Seung-Hyun e della sua anima… Beh, no, non era poi così divertente. Si ritrovò a carezzare il finestrino con l’indice, chiedendosi perché mai quell’idiota di Seung-Ri avesse deciso di lasciar traboccare la propria stupidità proprio quella sera ma osservando il suo viso dallo specchietto, non riuscì a provare altro che compassione. Del resto, lui non era bravo a tenere per sé le cose importanti, soprattutto se questo significava pugnalare gli amici alle spalle, pratica che Ji Yong sfruttava senza nemmeno darci troppo peso.

Il fatto importante, però, in questa determinata circostanza, era che per lui questo non era stato un accoltellamento alle spalle bensì l’unico modo per evitare al suo una volta migliore amico, LA sofferenza, quella con la S maiuscola. Buttò indietro il capo, guardando le luci dei lampioni scorrergli dinnanzi senza però realmente vederle, nella mente solo uno straziante pensiero: aveva fallito. Ji Yong imprecò e una volta afflosciatosi sul sedile, si limitò ad elargire un annoiato «Che strazio.» seguito da uno dei suoi soliti sbuffi.

Dae, entrato in modalità mamma chioccia, si sporse e trillò «Tutto qui?! Un tuo amico sta da cani perché una tua amica se ne va e tutto quello che riesci a dire è: che strazio?» si riappiattì contro il sedile, tirato indietro da uno Ginko che si doveva essere spaventata al suo ringhio incazzoso.

«Che cosa dovrei dire, scusa?» appoggiò mollemente la guancia sul palmo aperto, osservando le macchine sfrecciare veloci «Qualunque cosa dica o faccia, non cambierà di certo le cose.»

«Un minimo di empatia sarebbe gradita» sbrodolò quell’altro, ammusonito. Certo, come se fosse famoso per una cosa del genere! Dae però non sembrava dello stesso avviso perché, dopo aver ripreso colore, fissò la mina vagante stretta tra lui e Seung-Ri –apparentemente entrato in modalità disco rotto con quel suo «Mi dispiace»- «E tu? Devi dirci qualcosa?»

Lin lo guardò di striscio «Non è illegale stare in sei in una macchina da cinque?»

«Lin!» strepitò.

Ji Yong, nello splendore della sua forma, sarebbe sicuramente scoppiato a ridere decantando le doti dell’algida americana sempre pronta a farlo divertire ma in quel momento, con ancora davanti al volto la palpabile sofferenza del migliore amico, non aveva proprio voglia di ridere. A differenza però di tutti i presenti, abituati a lasciarsi prendere dallo sconforto, la rabbia e da un mucchio di altre emozioni che da lui saggiamente estirpate, sembrava comprendere appieno l’indifferenza con cui la Moore stava reagendo perché, odiava ammetterlo, era la stessa che spesso gli tornava utile quando si ritrovava ad essere protagonista di una scomoda discussione. E in quell’abitacolo troppo stretto, non gli erano sfuggiti i suoi occhi lucidi, le labbra piegate, quel continuo stropicciamento di viso da mano tremolanti... Presto sarebbe esplosa e il motivo per cui l’avrebbe fatto non era la discussione con Seung-Hyun, non che avrebbe lasciato Seung-Hyun: era Seung-Hyun. Punto.

L’auto si fermò davanti al palazzo di Ginko e lui si prese del tempo per scollegare il cervello «Grazie del passaggio» mormorò sfiancata, come se fosse stata lei la protagonista di ogni evento di quella notte «Volete salire su a prendere qualcosa?» domandò poi per cortesia, le mani già pronte a chiudere la portiera. Le si leggeva in faccia quanto avesse poca voglia di compagnia.

Daesung parlò per tutti, sorridendole «No, grazie Ginko. Ci sentiamo.»

«Aha, certo.»

Ji Yong parve capirla, mentre dallo specchietto seguiva la sua figurina zampettare verso il portone di casa: colpa. Ginko si sentiva tremendamente in colpa per aver taciuto a Seung-Hyun l’imminente partenza di Lindsay, così come si sentiva in colpa per non aver tentato di trattenerla oppure averci provato e aver miseramente fallito.

I tre si sistemarono meglio e a Ji Yong non sfuggì il modo in cui gli amici si erano fatti stretti, pur di star lontani da Lindsay, relegatasi nel suo angolino in apparente stato di mutismo. Dae sospirò «Non possiamo fare nulla per convincerti a restare?» il leader roteò gli occhi a quell’uscita, era sicuro che anche lei lo avrebbe fatto ma quando nulla giunse, l’aria si infiammò…

«Seung-Hyun l'aveva capito sin dall'inizio che persona eri, per questo voleva starti lontano...»

Ma a parlare non fu Daesung…

«Ri!» il rimproverò di Tae giunse secco, le dita strette intorno al volante «Lin, non ascoltarlo--»

«Ri, cosa?» balzò, feroce «Lei se ne va, lasciandoci soli, e nemmeno si prende la briga di dircelo?!» sbatté le mani sulle cosce «Ora Seung-Hyun sta soffrendo per colpa tua, te ne rendi conto? Se solo glielo avessi detto--»

«Potevi dirglielo tu» le sue parole, pronunciate con noia, ebbero il potere di zittirlo «Se sapevi e hai taciuto, sei colpevole tanto quanto me. Giusto per essere chiari, il fatto che io voglia andare alla Columbia non sono affari suoi, tantomeno vostri» si sporse «Potresti accostare qui? Casa mia è quella.» uscì di corsa dall’auto, sbattendosi dietro la portiera senza nemmeno ringraziarli. Dacché la conoscevano, quella era la frase più articolata che avesse mai rivolto loro e Ji Yong, l’unico ad aver messo a fuoco ogni più piccolo particolare, vi aveva scorto una sofferenza che non gli permise di guardarla: Lindsay Moore se ne andava, lasciandosi indietro tutto. Cosa le restava, adesso? 

«Lin!» la ragazza si volse, guardando Daesung sporgersi dal finestrino «Tu lo ami, non è vero?»

Ji Yong la guardò con la coda dell’occhio. A parte quel leggero tremolio dovuto al freddo, non gli parve granché scombussolata da quella domanda. Si limitò a sollevare le spalle, esalando un apatico «Non ha più importanza.» che l’amico accolse con un farfugliamento fastidioso, afflosciandosi sul sedile.

Attesero che la sua figurina sparisse dietro la porta «Che si fa ora?» domandò Daesung, riemerso dalla catalessi in cui era entrato. Ri guardava in basso, mordendosi le labbra.

«Aspettiamo» fu la pratica risposta di Taeyang «Intromettersi complicherebbe solo le cose. Tu che ne pensi, Ji Yong?»

Ji Yong pensava che tanto ormai era tutto andato a scatafascio.

E che Ri meritava una lavata di capo senza precedenti, anche se capiva il perché della sua sfuriata.

E che se solo Seung-Hyun lo avesse fatto parlare, anziché dar sfogo alla propria collera, gli avrebbe detto che forse era un bene che fosse andata a finire così, che l’odio per America presto lo avrebbe indotto a dimenticarla. E, beh, anche che gli dispiaceva averlo messo in quello che, ormai, era diventato un gioco al massacro per nulla divertente.

Ma si calò gli occhiali da sole e poggiati i piedi sul cruscotto, biascicò un apatico «Parti, ho sonno.» che equivaleva ad un «Fatevi gli affari vostri.»

********

Lindsay si ricordava bene la prima volta in cui si sentì sbagliata.  

Aveva otto anni e nel soggiorno silenzioso, con Emily che piangeva in camera da letto e che le aveva impartito un secco «Non seguirmi!» pronunciato con rabbia di fronte al suo scodinzolamento, ai suoi «Ma dove va papà? Non mi ha neanche salutata!», al suo aggrapparsi alla vestaglia, aveva sentito quella strana sensazione di inadeguatezza incastrarsi in ogni più piccolo angolo del suo gracile corpo.

Mark se n’era andato e nessuno le aveva detto perché.

Nella sua mente aveva cominciato a prendere vita l’idea che la colpa di tutto quello fosse sua e nessuno si era preso la briga di dirle che, beh, no, suo padre se n’era andato perché con sua madre non stava più bene, che quella casa lo faceva soffocare e che lei, per lui, restava comunque un capolavoro e assolutamente non era colpa sua, non lo era... Il fatto che non l’avesse portata con sé, per lei, valeva più di tutte quelle inutili spiegazioni che, all’età di ventitré anni, ancora non le erano state date e in quel momento, con indosso la giacca, il trucco sfatto, i capelli scompigliati, si disse che saperlo in fondo non le avrebbe restituito tutto quello che suo padre si era portato in quel taxi giallo, in una valigia.

Però capitava che la mente tornasse spesso a quel giorno, a lei che scuoteva i lunghi codini ogni volta che si voltava a guardare l'enorme finestra, il coniglio di pezza stretto al petto, i piedini che dondolavano sull'alta poltrona di velluto rosso... Forse piangeva troppo, forse voleva troppi giocattoli, forse le sue spese dentistiche costavano più di quanto potevano permettersi, forse il suo essere così appiccicosa lo faceva snervare, forse, forse… Fu solo crescendo che si rese conto di quanto tutto quello poco c’entrasse: la verità era che a Mark, lei, ricordava Emily quindi di portarsela dietro non se ne parlava proprio; d’altro canto, a Emily restava l’incombenza di avere a che fare con un Mark in miniatura e se con quello adulto non era andata, figurarsi con quello piccolo.

Fu a quella consapevolezza che Lindsay si sentì sbagliata, arrivando addirittura a pensare che se fosse sparita dall’intero universo, probabilmente i suoi sarebbe stati più felici. Oh, certo, non aveva mai pensato di farla finita sul serio, ma magari sparire nel cuore della notte lasciando un biglietto con su scritto “Vado a prendere le sigarette” e sparire, volatilizzarsi… Sì, quello poteva andare. Avrebbe cambiato nome, cognome, colore di capelli e prima ancora di accorgersene, sarebbe finita in Messico con uno sconosciuto di nome Paco che l’avrebbe introdotta nel gioioso mondo del contrabbando. E in tutto questo, era seriamente convinta che nessuno, ma proprio nessuno, si sarebbe preso la briga di cercarla o di starci da cani… Fino a che qualcuno non le aveva fatto notare che se se ne fosse andata senza dire nulla, avrebbe sofferto.

E quel qualcuno continuava a starsene lì davanti a lei come uno spettro. 

Aveva trattenuto a sé ogni particolare del suo volto, delle sue movenze, della sua voce, conscia che probabilmente non lo avrebbe mai più visto o udito se non in video. L’immagine venne però calpestata dalle parole pesanti di Mark che, feroce, girava come un animale in gabbia in cucina continuando a sommergerla di rimproveri…

«Avrò il diritto di sapere dov’è andata o no?! Andarsene nel bel mezzo della cena, senza dire dove... Mi ha messo in imbarazzo, non sapevo nemmeno come giustificarmi!»

E le fu chiaro che no, suo padre non aveva proprio capito perché si fosse defilata senza salutare quei centenari che, a dire il vero, non considerava nemmeno dei parenti alla lontana. Riprovò quella stessa sensazione di inadeguatezza che da tempo non passava a trovarla. Cambiava la location, non c’erano i pianti, lei aveva qualche anno in più ma la sensazione era la stessa: poteva sentirla strisciare dentro sé, sbaragliando quel briciolo di lucidità che ancora la teneva coi piedi per terra.

«Tesoro, stai calmo--» Chyoko, che per mantenere calmi gli animi lo aveva trascinato di là per farlo sbollire, sembrava davvero in difficoltà.

Non seppe se ridere o piangere quando, entrata in casa, li trovò entrambi sulle scale; suo padre aveva la classica espressione alla "Noi due dobbiamo parlare" mentre Chiyo, con in braccio una Minji addormentata, l'aveva lambita con uno sciocco «Voleva aspettarti in piedi ma è crollata.» a cui non aveva fatto in tempo a rispondere perché Mark, infuriato, aveva cominciato a sommergerla di domande. Ma ora, seduta nel soggiorno buio, non lo sentiva. Di fronte a sé solo la figura di Seung-Hyun. Le sue spalle, a dire il vero. Larghe, incurvate, che si facevano sempre più piccole. E la porta che sbatteva. Il silenzio. Le porte coreane erano uguali a quelle americane, sbattevano allo stesso modo...

«Deve imparare che non può comportarsi così, non è più una ragazzina!»

«Mark, abbassa la voce, Minji sta dormendo» Chyoko lo rimproverò, poi sospirò «Senti, potete parlarne domani mattina. Non vedi che Lindsay è stanca?» 

«Hai anche il coraggio di difenderla?!»

«Non la sto difendendo, ha sbagliato ma urlarle contro non è la soluzione--»

«È proprio perché nessuno le ha mai urlato contro che si comporta così!» i suoi passi si fecero più pesanti «È un egoista, proprio come sua madre.»

Oh, delizioso, un altro bel difetto che la rendeva sempre più simile a quell’adorabile donna di sua madre. Lin si grattò il naso, sentendosi addosso lo sguardo di Seung-Hyun. Era stato il primo a rivolgerle quell’appellativo con così tanto dolore, ancora le faceva male…

«Mark, abbassa la voce--»

«Se solo Emily l’avesse punita di più, a quest’ora non si comporterebbe con così tanta sconsideratezza.»

«Andartene è stata una punizione più che sufficiente.» avrebbe voluto dirgli con tutta la quiete di questo mondo ma la spossatezza era decisamente più forte del desiderio di rivalsa e, sinceramente, non aveva voglia di discutere. Si limitò a guardarsi le unghie, speranzosa di potersene andare presto a letto e magari svegliarsi l’indomani con la certezza che tutto quello era stato solo in terribile incubo. Svegliarsi e trovare venti chiamate perse di Ginko che voleva raccontarle cos’aveva combinato quel demente di Gd nella sua ultima intervista, quale tremendo taglio di capelli andava in giro sfoggiando senza vergogna o quale nuova mise aveva deciso di indossare con invidiabile coraggio; svegliarsi e trovare il buongiorno di Seung-Hyun, inviato probabilmente dopo essersi fatto mille viaggi mentali, magari chiedendo l’aiuto di quei dementi dei suoi coinquilini. Perfino trovare un messaggio di quello schizoide di Ji Yong le sarebbe andato bene, con i suoi ripugnanti cuoricini e le sue frasi sibilline che le facevano venire l’orticaria. Fino a che le parole di Seung-Hyun non tornarono a colpirla, con tutto il dolore e la rabbia che si trascinavano dietro e allora anche andare a letto non le parve più un’idea così allettante, se ciò significava dare il via a un nuovo giorno.

Quando il silenzio calò a picco sulla sua nuca abbassata, Lin sollevò lo sguardo incrociando la figura di suo padre che, stanco, la fissava senza dire alcunché. Si limitò a scuotere la nuca prima di eclissarsi in un borbottio appena percettibile e lei, nonostante tutto, gli fu grata che non si fosse scagliato ulteriormente. Per quella sera ne aveva avuto abbastanza.

Chyo però era rimasta, fissandola in silenzio e con sguardo indagatore, con la vestaglia e i capelli fini e lisci a ricaderle sulle spalle. Vano era stato il suo ignorarla, lei si era fatta vicina, con un’accortezza che in quel momento le parve… Strana.

«Lindsay, tuo padre era solo preoccupato… Ha guardato fuori dalla finestra per tutto il tempo e--» tenne lo sguardo fisso davanti a sé, avvertendo un crack a livello del cuore «Non prendertela per quello che ha detto, sai che quando si arrabbia straparla…» si piegò, sorridendole delicata «Sai? Anche dopo che sei andata, ha continuato ad elogiarti. È così felice per te, per la Columbia…» le spostò la frangetta, scoprendole la fronte. Beh, almeno qualcuno lo era. Però lo era anche lei. Certo, questo prima che tutti la considerassero una stronza infame che si lasciava dietro solo un enorme disastro «Tu non lo sei?»

Sgranò gli occhi. Lo era?

«Tu vuoi andare alla Columbia, vero?»

La guardò negli occhi, larghi e annacquati. Certo che voleva, che domanda era? Si era impegnata così tanto per dimostrare… Dimostrarsi che in fondo qualcosa di buono poteva farlo anche lei. Perché stava facendo qualcosa di buono, no? Ok, forse non era giusto ma buono lo era. Ma poi per chi non era giusto? Per Ginko? Per Seung-Hyun? Per gli altri? Solo perché sarebbero rimasti soli… E perché? Lei non sarebbe stata sola, in America?

Chiyoko sospirò, sedendosi al suo fianco «Linnie…» la chiamò piano, dolce, guardandola con apprensione.

E Lindsay scoppiò.

Ci fu un singhiozzo, seguito dall’accartocciarsi del viso ridotto ad una maschera di disperazione prima che la mano andasse a coprirlo, per nasconderle le lacrime che scendevano copiose. Era un pianto disperato, scaturito dinnanzi all’unica persona che sembrava aver compreso quale fosse il reale motivo della sua ostilità: non i rimproveri di Mark, non gli amici che le si erano rivoltati contro, non era nemmeno Seung-Hyun che la considerava una stronza o che diceva di amarla quando ormai era troppo tardi.

Non era quello…

«Su, sfogati, piangere fa sempre bene.» le carezzò la schiena.

C’era che lei stava facendo la cosa giusta ma tutti la facevano sembrare sbagliata.




A Vip’s corner:

Sarò stringata, il capitolo è già abbastanza lungo, ci tengo però a sottolineare quello che per me è un passaggio importante: tutti i personaggi, qui, sono un po’ vittime e un po’ colpevoli (tralasciando Seung-Hyun che povero lo sto maltrattando troppo). Mi spiacerebbe passasse il messaggio, che so, che Lindsay è una stronza senza cuore o che lo è Ji Yong o che Ri è inopportuno… Io personalmente li trovo abbastanza veritieri o comunque mi piace pensare che, in un contesto del genere, qualcuno reagirebbe davvero così.
So anche di non aver sbrogliato tutti i nodi nelle varie discussioni ma è stata una scelta ben ponderata, nei prossimi capitoli conto di smuovere ancora un po’ le acque: tutti devono ancora dire qualcosa e farsi capire, soprattutto (tipo che manca un vero confronto tra Ji Yong e Seung-Hyun? Scriverlo sarà un macello, me lo sento). Siamo alle battute finali, ci siamo quasi!

Ultima precisazione: per scrivere l’intero capitolo mi sono ispirata ad alcune scene di Breaking Bad (sì, sempre lui) quindi se notaste qualche somiglianza, è tutto voluto. E poi va beh, Do I Wanna Know?, degli Arctic Monkeys è la colonna sonora di questo capitolo, anzi, diciamo pure che la considero la colonna sonora di tutta Something perché, almeno per me, le parole del testo descrivono quello che è il rapporto che ho voluto creare tra Seung-Hyun e Lindsay :)

Ringrazio infinitamente Rachel_Daae per la meravigliosa recensione lasciatami all’ultimo capitolo e ribo_chan per avermi contattata privatamente. Grazie, ma grazie infinite. È bello sapere che a distanza di anni, riesco ancora a far emozionare qualcuno. Questo è per voi, spero di non avervi deluse.
Come sempre, se avete voglia e tempo, vi invito a lasciarmi un commentino (positivo o negativo che sia). Alla fine, sono proprio le vostre parole a spronarmi.

Alla prossima,
HeavenIsInYourEyes.

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Capitolo 33
*** Something about you ***


Capitolo 33
Capitolo 33
Something about you

“The day after you stole my heart
 Everything I touched told me it would be better shared with you”

-Fire and the thud, Arctic Monkeys-


A una settimana dal massacro, le cose con Seung-Hyun precipitarono.

“Era inevitabile”, decretò Ji Yong in un momento di fredda lucidità, constatando che in realtà le cose erano precipitate già da quella infausta nottata: non rivolgeva loro la parola, trascorreva la maggior parte del tempo fuori o chiuso in camera, faceva le prove con la vitalità di un condannato a morte e si defilava senza nemmeno aspettarli, mangiava in solitaria ed era incazzoso con chiunque tentasse di avere una conversazione civile –il suo manager aveva quasi rischiato di ritrovarsi senza una mano nel tentativo di far luce sulla faccenda-.

«Ti prego Hyung, sii ragionevole.»

«Dae, levati.»

«Noi non lo sapevamo, in che lingua devo dirtelo?!»

«E io in che lingua devo dirtelo che mi stai facendo innervosire?»


Seduto sul divano di casa, assisteva alla scena madre di tutte le scene madri: Choi Seung-Hyun incazzato col mondo intero che preparava baracca e burattini pronto ad abbandonarli e Daesung, mamma isterica, che tentava vanamente di frenare questa sua irruenta decisione. Nell’angolo destro, un Young-bae con un principio di emicrania che si massaggiava le tempie e riversava il proprio nervosismo sulle pagine di un giornale vecchio di settimane e nell’altro un Seung-Ri che sobbalzava ad ogni imprecazione del più grande, probabilmente indeciso se fare una strage e suicidarsi oppure migrare all’estero dopo essersi accertato di non aver lasciato nessun  superstite…

«Perché non ti calmi e ne parliamo?»

«Dovevate pensarci prima, mi pare un po’ tardi ora.»


E poi c’era lui, che non si stava sbellicando dalle risate come invece avrebbe dovuto fare: Seung-Hyun se ne andava e per qualche strano allineamento dei pianeti, si sentiva in colpa. Non era una colpa razionale, lo sapeva fin troppo bene, del resto se quel tontolone si era preso una sbandata coi controcazzi per l’algida americana erano solo affari suoi e del suo cuore ormai ridotto a brandelli ma da qualche tempo -più precisamente da quando America aveva annunciato la sua partenza sul balcone, al freddo, fra le lacrime- si era impiantata in lui l’idea che se non avesse dato dei leggeri scossoni ai loro sentimenti ingarbugliati, l’amore tra quei due probabilmente non avrebbe mai attecchito e, a quest’ora, questo teatrino non si sarebbe inscenato nel loro soggiorno.

«E dove avresti intenzione di andare, sentiamo?»

«Lontano da voi, mi sembra ovvio.»


Lanciò un’occhiata svogliata verso il palcoscenico, osservando la schiena di Dae -che purtuttavia intenzionato a frenare la fuga dell’amico, si teneva a debita distanza-, fingendo disinteresse per quel siparietto mentre le dita voltavano le pagine patinate di una rivista di moda adagiata sulle cosce. Non ricordava Seung-Hyun così incazzato da… Da quando Lindsay Moore gli aveva buttato addosso della Coca Cola, ecco. Aveva ancora stampato in mente la sua mascella serrata, le mani dalle nocche bianchissime strette fra loro, lo sguardo affilato puntato contro quella debosciata che li fissava come se di fronte avesse avuto dei moscerini e nel loro scambio di battute sferzanti, Ji Yong era riuscito a intravedere qualcosa di infinitamente più grande che a tutti era sfuggito: complementarità.

C’era qualcosa, nell’uno e nell’altra, che presto avrebbe finito col farli collidere.

Oh, certo, gli era parso immediatamente chiaro come quei due, da soli, funzionassero in maniera ineccepibile. Da lode addirittura!

Da una parte c’era lui, votato alla carriera ma con il lucido desiderio di volersi presto sistemare, trovare qualcuna che sopportasse il suo essere un adulto dall’aria svagata e poco incline ai classici divertimenti da ventenni, a tratti imbranato e che precipitava in picchiata nelle storie perdendo di vista tutto il resto, alla ricerca di quelle piccole cose che, in fondo, tutti sognavano di trovare: la serenità, la protezione e in definitiva l’amore incondizionato e che faceva bene. E, da bravo uomo che sapeva di doversi comportare come tale, si soffermava solo su quelle donne che possedevano accentuate peculiarità femminili: la delicatezza, il bon-ton, l’eleganza dei modi e nel parlare, che davano affetto smisurato indipendentemente da quanto ne ricevevano. Insomma, una brava donna che lo rendesse un uomo migliore.

E dall’altra parte c’era lei, la classica ventenne arrabbiata col mondo che aveva preferito le avventure di una sera alla stabilità, che non lasciava avvicinare nessuno nella propria intimità se non quella fatta di sesso, baci e carezze, che mordeva anziché essere morsa e non faceva nulla per nascondere quanto pessima fosse perché così nessuno avrebbe avuto la voglia di scavalcare quella facciata così ben costruita; avrebbe richiesto troppa fatica e quello che c’era oltre sarebbe stato davvero una delusione: noia, banalità, volgarità e l’assoluta incapacità di sapersi legare perché faticava a capire di cos’avesse bisogno il prossimo. E, disillusa, si rifugiava in quegli uomini capaci di negarle ciò che evitava con così tanta persistenza: affetto, serenità e in definitiva l’amore incondizionato e che faceva bene. Insomma, quei cattivi ragazzi che ogni padre tentava di tener lontano dalla propria figlioletta adorata.

Erano sempre funzionati bene, come se nulla potesse smuovere le acque del loro immobile stagno.

Fino a che non si erano incontrati… Dio, quando si erano incontrati gli era sembrato limpido come il sole che fossero destinati a più dei semplici battibecchi, del mero sesso, di un continuo e vicendevole respingersi che finiva col farli sembrare due perfetti idioti e Ji Yong, che aveva capito da anni quanto l’essere umano fosse un perfetto idiota, si era prodigato per far sì che tutto questo non passasse loro inosservato: lei poteva essere rozza, odiosa e la più grande stronza dell’intero cosmo ma lo trattava con una delicatezza che lasciava il segno, lo faceva sentire uno qualunque, normale e non gliela dava vinta solo perché bello e famoso; lui poteva essere insopportabile, borioso e serio ma si avvicinava a piccoli passi e sottostando ai suoi ritmi, capiva le sue paure e ci conviveva dando senza chiedere, purché restasse.

Si guardavano crescere senza interferire, imparando ad apprezzarsi perché ciò che l’altro possedeva e che sempre avevano scostato, non faceva poi così male.

Se non era complementarità questa, allora Ji Yong aveva miseramente fallito e, da bravo saggio sconfitto, avrebbe appeso la propria capacità analitica al chiodo con la speranza che qualcuno di più degno prendesse il suo posto.

La voce di Seung-Hyun, alta e collerica che coprì quella di Daesung, fece sparpagliare quella matassa di pensieri che faticosamente cercava di districare.

«Forse dovremmo andare anche noi…» propose Tae incerto, fissandoli uno ad uno.

«E a fare che?» chiese con tedio, già consapevole di dove volesse andare a parare l’amico.

«Ad aiutare Dae, mi sembra ovvio» controbatté scettico, arcuando un sopracciglio «E a trattenere Seung-Hyun.»

«Trattienilo tu», avrebbe voluto dirgli con tutta la placidità di questo mondo ma grazie al cielo fu Ri a intervenire al posto suo, con quella sua deliziosa infantilità di cui mai si sarebbe stancato di tessere le lodi «Ah, vai tu. Io non voglio finire decapitato.» si mosse a disagio sulla poltrona mentre Dae si scansava per far passare il figlioletto cocciuto, già bello che inferocito, che controbatteva ai suoi isterici «Dove stai andando per Dio?!» con la stessa incazzatura di un serpente a sonagli a cui avevano pestato la coda.

«Seung-Hyun…» la morbidezza con cui Young-bae lambì il suo nome ebbe il potere di farlo fermare «Aspetta un attimo.»

«Che c’è?» la mano era già sulla maniglia mentre l’altra stringeva un borsone e quando nessuno fiatò, si spazientì «Allora?»

«Dovresti calmarti e lasciarci spiegare.» approfittò di quella sua mansuetudine improvvisa, Tae, per provare a farlo ragionare.

Seung-Hyun però non sembrava intenzionato a tirar fuori il proprio cervello dal brodo di nervosismo in cui imperversava, scoccandogli un’occhiata al vetriolo «Non me ne faccio niente delle vostre spiegazioni» sibilò, inducendolo a sospirare di stanchezza «Ora, se non vi dispiace…» diede loro le spalle, pronto a squagliarsela.

Dae sospirò, avvicinandoglisi «Seung-Hyun, senti--»

«Non toccarmi» indietreggiò «Stammi lontano. Statemi lontani tutti» le sue parole furono stilettate in pieno petto «Non fatevi più vedere, non cercatemi, non--»

A quel punto, Ji Yong uscì dal proprio cantuccio con voce melliflua «Se salti le prove, sei fuori.» facendo calare un silenzio talmente teso da poter essere tagliato con le dita. Fermare Seung-Hyun era praticamente impossibile, anche uno capitato lì per caso l’avrebbe dedotto senza sforzo alcuno, bisognava a questo punto rammentargli quali erano le sue priorità, anche a costo di sembrare senza cuore ma la verità era che Ji Yong stava cercando di soffocare quella vocina che continuava a ripetergli quanto quella faccenda stesse rovinando l’equilibrio del gruppo, una vocina fastidiosa e che gli metteva addosso un’ansia assurda.

E per la prima volta dacché l’amico era uscito dalla propria tana, i loro sguardi si incrociarono. Gli occhi di Seung-Hyun, dietro le spesse lenti, erano di un’affilatezza spaventosa, pregni di un rancore che non credeva avrebbe mai potuto riservare ad uno di loro.

«Almeno dicci dove stai andando.» provò Seung-Ri, incerto.

«Al Diavolo.» masticò, sbattendosi la porta dietro le spalle.

Dae si afflosciò sulla sedia, sconsolato, trafiggendoli coi suoi occhietti sottili «Grazie per avermi aiutato, eh.»

I due coinquilini abbassarono mesti il capo ma Ji Yong, ritrovata la propria brillantezza, si limitò voltare pagina della rivista «Non sarebbe servito, tranquillo.» che non lo fece tranquillizzare per nulla.

«Sì che sarebbe servito! Se avesse visto che tutti noi siamo pronti ad aiutarlo a superare questo momento, magari sarebbe rimasto e--»

«Sarebbe rimasto tappato in camera, uscendo solo per mangiare, andare in bagno e a lavoro, ignorandoci» sollevò le spalle «Direi che forse è meglio così, no? Magari starsene lontano da noi lo aiuterà a sbollire la rabbia.» constatò con una punta di ovvietà, come se quella fosse la soluzione.

Dae portò le mani sulle guance, disperato «E se commettesse qualche pazzia?!» ah, magnifico! La sua teatralità riportò un briciolo di colore in quella stanza immersa nel grigiore.

Seung-Ri, dapprima a capo chino, lo sollevò esprimendo tutto il proprio turbamento «Che tipo di pazzia?»

«Ma che ne so! Tipo ubriacarsi e risvegliarsi su di un treno merci diretto alle Filippine!» Ji Yong si coprì le labbra, celando il suo ilare sorriso «O uccidere qualcuno, magari proprio Lindsay!»

Tae tossicchiò «Non credi di star esagerando?»

«Tu non hai visto il suo sguardo...» e a quella sparata, pronunciata con assoluta convinzione e tenebrosità, Ji Yong non riuscì a trattenersi. Scoppiò a ridere, come non gli capitava da tempo. Si teneva le mani sullo stomaco, accartocciandosi per il dolore e più quelli lo guardavano stralunati, più faticava a frenarsi «Non mi pare il caso di riderci su!»

«E cosa dovrei fare? Comprargli del gelato, un mazzo di fiori e lasciargli un bigliettino in cui gli chiedo scusa?»

Dopo un attimo di tentennamento, Bae prese la parola «Ne parli come se non c’entrassi nulla» e di fronte al suo sorrisino quieto, sospirò desolato «Ji, non voglio dire che sia colpa vostra, però--»

«Però è anche colpa vostra» si insinuò Daesung, agguerrito «Se gli aveste detto che Lindsay se ne va, a quest’ora sarebbe in camera sua a piangere e non in giro chissà dove.» lo fissava irrequieto, quasi si aspettasse una risposta piccata o un’esplosione di pianto improvvisa, qualsiasi cosa che potesse dimostrargli quanto in realtà questa situazione gli stesse a cuore. Perché, a dispetto di ogni apparenza, a lui quella situazione stava a cuore sul serio! Solo che aveva fatto un passettino oltre il banale “Seung-Hyun se ne va perché siamo stati stronzi, adesso che ne sarà di lui e di noi?”, arrivando alla conclusione che il loro adorato Hyung non se ne andava arrabbiato perché gli avevano taciuto la partenza della sua amata…

«Beh… È Lindsay che avrebbe dovuto dirglielo» ripeté Ri, stringendo le labbra «Forse era meglio quando si odiavano. Non dovevamo intrometterci.»

«Però erano così carini assieme...» osservò Tae.

«Lui era così innamorato» borbottò Dae «Lei invece è senza cuore. Andarsene così, come se non questi mesi non contassero nulla…»


... Il motivo era un altro e nessuno, lì dentro, sembrava esserci arrivato. Pazienza, sarebbe toccato a lui come al solito far chiarezza.

«Oh, ho capito…» bisbigliò con un velato sorriso «Siete davvero convinti che sia arrabbiato per questo.» affermò scoccando ad ognuno un’occhiata guardinga, beandosi delle più disparate emozioni che lasciavano intravedere. Non si sforzavano nemmeno un briciolo di mostrarsi poco coinvolti in tutto quello, dovevano per forza lasciar trapelare ogni più insignificante sfumatura e lui gliene era infinitamente grato, perché gli stavano ridonando un po’ di quella gioia smarritasi.

«Questo… Cosa?» Ri sbatacchiò le palpebre.

«Che sia arrabbiato con noi perché non gli abbiamo detto nulla.»

«Che altro se no, scusa?!» trillò Dae, guardandolo come se fosse stupido. Ah, quanta tenerezza, sul serio! «È ovvio che sia arrabbiato per questo! Perché siete suoi amici e non glielo avete detto--»

«E tu glielo avresti detto?» pose quel quesito con pacatezza, interrompendo la sua crisi isterica, dando il via ai giochi con una di quelle domande scomodissime su cui nessuno trovava mai un punto di incontro «Poniamo il caso che tu scopra che la ragazza di un tuo amico, lo tradisce: glielo diresti o no?» il silenzio calò in sala e GD evitò accuratamente l’occhiataccia di Ri per l’esempio infelice, divertendosi un mondo a vederli tutti concentrati su quel dilemma che da secoli affliggeva l’umanità.

Dae fu il primo ad aprir bocca «Ovvio che glielo direi!» si guardò attorno «Voi no?!» domandò poi, sconvolto dal non vedere gli altri appoggiare la sua tesi.

Tae si massaggiò il collo «Beh, mh… Dipende. Insomma, come si dice: tra moglie e marito…»

«Io non vorrei saperlo» si intromise Ri, arricciando le labbra «Se con questa ragazza sto bene, preferirei non saperlo. Insomma, se venissi a saperlo non mi godrei più i bei momenti con lei e anche quello che c'è stato diventerebbe insignificante e--» si grattò la nuca «È per questo.» borbottò infine, richiudendosi a riccio di fronte allo sguardo sbigottito di Daesung. 10 e lode al suo adorato maknae! Per questo che lo adorava, per questo suo strabiliante modo di guardare tutto da un’altra prospettiva.

«Cosa c’entra questo con noi?» Dae rovinò la poesia con la propria ottusità.

«C’entra perché non dirglielo non è il punto» si sfregò le mani, pronto a renderli partecipi della verità «Privarlo dell’opportunità di fermarla, non dicendoglielo, questo è il punto. Pensa che se solo lo avesse saputo prima, a quest’ora Lindsay avrebbe sicuramente deciso di mandare tutto all’aria per restare con lui» e ora il colpo di grazia «Non lasciandolo solo.» ed era così, era quello il punto cruciale: aveva così paura di restare da solo, che dare la colpa a tutti era l’unico modo che aveva per sopravvivere perché di una cosa era certo: il calore che lei gli aveva dato, nessun’altra sarebbe riuscita a restituirglielo.

«Lui non sarebbe mai rimasto con lei, sapendo che se ne sarebbe andata.» sentenziò Dae, questa volta poco convinto.

«Ne sei sicuro?» roteò gli occhi «Del resto, la solitudine, dopo tanto tempo trascorso a dirsi che in due non si sta così male, fa paura, mh?»

«Oh, andiamo, Top Hyung non sarebbe di certo rimasto solo! Le donne fanno la fila per poter stare con lui, di sicuro avrebbe trovato quella giusta!» Seung-Ri e Tae annuirono, dando man forte all’amico deciso ora più che mai a far valere le proprie ragioni.

Ji Yong scosse la nuca «Quella giusta è Lindsay, per questo ha così tanta paura. Sa bene che nessun’altra sarebbe capace di trattarlo come lei lo ha sempre trattato--»

«Da stronza?»

«Come Choi Seung-Hyun

Quando la bomba venne sganciata, non lasciò superstiti. O per meglio dire, li lasciò, ma le loro espressioni vacue erano paragonabili a quelle di un vegetale. Ji Yong si sistemò sulla poltrona, mani sul grembo ed espressione vittoriosa stampata sul viso, godendosi il miracolo che si prospettava dinnanzi a lui: la consapevolezza che quei due erano fatti l’uno per l’altra.

Non erano una coppia da copertina, di quelle ben truccate e pettinate che emanavano perfezione nella loro relazione, no. No, loro erano più una coppia da polaroid, di quelle immortalate in un ritaglio di quotidianità, senza sorrisi preimpostati o fronzoli, magari con espressione stupida che faceva dire «Accidenti sono uscito da cani!» ma a cui si riusciva a guardare oltre perché il modo in cui si guardavano era ipnotizzante, risultavano belli nonostante le occhiaie o i capelli scompigliati.

Sarebbero potuti morire cento volte e rinascerne altrettante e, inevitabilmente, avrebbero finito col ritrovarsi e finire per commettere gli stessi errori, se ciò implicava un graduale avvicinamento.

Il telefono squillò e Dae si dileguò in un borbottio, andando a rispondere.

«È per questo che non glielo hai detto? Per farli stare ancora un po’ insieme?» Youg-bae sembrò raggiungere il Nirvana di fronte a quella scoperta ma un sospiro infranse la sua allegria «Ciò non toglie che ha tutte le ragioni per volercela con noi.»

«Vedrai che gli passerà.» tornò a sfogliare la rivista.

«E se non dovesse?» domandò Ri, seriamente preoccupato.

Ji Yong lo guardò di striscio, poi riprese ad annoiarsi, accantonando quell’eventualità. Seung-Hyun non era un bambino, per quanto si stesse comportando come tale. Ecco, in tutto quel marasma, gli era parso un moccioso capriccioso che dava ai genitori la colpa per avergli sempre mentito sulla reale esistenza di Babbo Natale, nonostante sapesse benissimo quanto questi fosse solo un’invenzione.

Ma ai bambini passava in fretta e a poco a poco tornavano a casa…

«Era Se7en!» Dae fece capolino, decisamente più rilassato.

«Che dice?!» Ri sobbalzò.

«Per un po’ Seung-Hyun starà da lui, di non preoccuparci...»


In fondo, erano pur sempre una famiglia.

******


Certi pomeriggi erano fatti di solo sesso.

Cominciava tutto sulla porta, con un bacio più lungo del solito e le mani che dai capelli scendevano fino alla giacca, ai vestiti, sparpagliati in terra in una scia che terminava alla base del letto, mentre la stanza si riempiva di quell’odore così particolare e denso che gli si appiccicava alla pelle. Non importava che in tv dessero un bel film o che al McDrive lì vicino ci fossero i menu scontati, in quel momento avevano solo bisogno del contatto dei loro corpi: smettevano, ricominciavano, decidevano di lasciarsi perdere e nel giro di qualche secondo, erano nuovamente incollati. Non gli era mai successo di provare un tale bisogno di fisicità, quasi non si sentisse mai appagato e quando lo sguardo sonnolento cadde sulla figurina nuda distesa al suo fianco, non gli ci volle molto per comprendere come mai Lindsay riuscisse a fargli perde così tanto la testa: era sexy, in un modo tutto suo che non lasciava intravedere se non in camera da letto e che gli dava un’adrenalina tale da mandarlo in orbita.

Nel silenzio dapprima contornato da gemiti, si prese il lusso di studiarla, come se la guardasse per la prima volta: i capelli lunghi e sparpagliati che scendevano oltre il bordo del letto, un po’ sulle spalle e sul seno le conferivano un’aria trasandata che ne accentuava il fascino da pantera. Scese sul collo, soffermandocisi per qualche secondo in più: solo qualche minuto prima lo aveva riempito di baci ed era incredibile come sembrasse fatto apposta per le sue labbra.

Si mise a pancia in giù, le braccia a penzoloni e la testa volta in sua direzione «Dovremmo uscire un po’.» aveva detto con una punta di stanchezza, sistemandosi meglio fra le lenzuola attorcigliate e lei, per tutta risposta, aveva storto il nasino perennemente all’insù, tornando a sfogliare una rivista di moda su cui svettavano alcune foto loro. Provò imbarazzo quando il suo sguardo si soffermò un po’ troppo sul suo primo piano ma non fece commenti, girando la pagina con noia.

«L’ultima volta che siamo usciti, ho aspettato per un’ora al bar.»

«Scusa…»

«Non è colpa tua» ed era vero, non lo era affatto. C’era però che il suo essere famoso, molto spesso, limitava le loro uscite. Diamine, non che gli dispiacesse restarsene sdraiato con lei nuda affianco ma a volte aveva come l’impressione che di questo passo, presto si sarebbe stancata «I capelli così non ti stavano male.» mormorò lei poco dopo, distraendolo.

Seung-Hyun si sporse e di fronte a quel menta acceso, storse il naso «Ma se mi prendevi sempre per il culo?!»

«Eri un idiota, ti meritavi ogni insulto» sollevò la rivista, tendendo le braccia «Dovresti rifarteli, però.» sì, certo, così quella avrebbe avuto un altro pretesto per deriderlo. Osservando le sue dita affusolate scorrere sul suo profilo, disegnandolo, si rese conto di come le cose fossero cambiate… Anzi no, non le cose, ma lei… E pensare che qualche mese prima l’avrebbe trovata assolutamente detestabile mentre oggi non poteva fare a meno di averla intorno. Era così spocchiosa, con quel suo modo di guardare tutti dall’alto in basso ed era maleducata, imprecava in americano convinta che gli altri intorno a lei non capissero nulla. E come dimenticarsi la festa? Quella in cui ebbe la brillante idea di mostrarsi in tutta la propria adorabile idiozia, scaraventandogli addosso libri, bicchieri, alcolici… Rivelandogli tutta la sua fragilità. Si chiese dove sarebbero a quest’ora se non gli avesse chiesto “scusa”, se non avesse pianto, se non fosse tornata indietro a lambirlo con una dolcezza che gliel’aveva fatta vedere con occhi diversi, come se la patina di menefreghismo che l’avvolgeva stesse sbiadendo a poco a poco, mettendo in risalto un'adorabilità ben nascosta.

Fu difficile non corrucciarsi a quel pensiero e Lin se ne accorse, perché con sopracciglia arcuate soffiò uno scettico «Che ti prende?» che lo riportò con i piedi sotto le lenzuola. E guardandola, in un momento di completo black-out, si ritrovò a mormorare una frase che spesso girovagava nelle sue immaginazioni, quelle in cui lei gli confessava amore eterno e smisurato…

«Non ti chiedi mai cos’ho visto in te?»

… E una volta pronunciata ad alta voce, si rese conto del pasticcio. Già si immaginava i suoi occhi da cerbiatto allargarsi a dismisura, le lunghe ciglia sbatacchianti e il fruscio delle coperte che avrebbe scandito la sua scomparsa…

«Tipo?»

Ma Lindsay restò, inaspettata.

Rinfrancato dall’averla ancora con sé, sollevò le spalle «Qualsiasi cosa… Qualcosa di te.»

Guardò il soffitto, pensierosa «Probabilmente hai visto in me una dea del sesso.» l’angolo destro delle labbra guizzò all’insù e i suoi occhi si fecero sottili, brillanti di divertimento.

Seung-Hyun nascose il viso, biascicando «Eddai, sono serio.» anche se, beh… Effettivamente l’aveva trovata sexy da morire –per quanto avesse faticato ad ammetterlo-. La prima volta era stata al Tribeca, vestita da poliziotta, mentre ballava sul tavolo; non era riuscito a staccarle gli occhi di dosso e ancora poteva avvertire quel brivido di piacere che dalla nuca si era diramato alla punta dei piedi, facendogli addirittura dimenticare dove fosse: i suoni, le grida, le persone… Erano spariti, c’era solo lei e quell’incontenibile calore che gli bruciava le viscere. Per non parlare di quella volta che se l’era ritrovata a pochi passi vestita da marinaretta, lì aveva sentito gli ormoni schizzargli in testa e se non fosse stato per quella supponenza esibita con tanto candore, probabilmente se la sarebbe fatta sulla scrivania del Signor Yoon. E il corpetto da Wonder Woman, con le sue lunghe gambe bianche in netto contrasto con i pantaloni blu elettrico e il corpetto da Cappuccetto Rosso che le teneva su un seno che al confronto le sue ex erano tavole da surf… Cazzo, al solo ripensarci il bassoventre cominciava a bruciargli.

«Vuoi farmi credere che il sesso con me non sia piacevole--» le tappò la bocca con una mano, soffocando la sua risata impertinente. Ovvio che fosse piacevole, che domande! Il sesso con lei andava oltre qualsiasi immaginazione: era passionale, selvatica, faceva di tutto per dargli piacere, somigliava ad un animale in cattività ora libero di sfogarsi. Era puro e semplice godimento, da impazzirci… 

Gli spostò la mano, tornando a giocherellare con le pagine patinate «All’inizio me lo sono chiesta, eri venuto lì tutto convinto... Immagino avrai visto qualcosa di buono.» non sembrava interessata a voler approfondire il discorso ma il semplice fatto che non avesse cambiato argomento, gli diede la forza necessaria per continuare.

«Qualcuno, semmai…» le sorrise fiocamente, beandosi della sua espressione guardinga «Ti odiavo così tanto. Eri una tale stronza…» coprì una risata di fronte ai suoi occhi larghi «Alla festa hai dato il peggio di te.»

«Credevo di averlo dato con la Coca Cola» cinguettò «Non ero dell’umore, quella sera… Non ci volevo nemmeno venire ma l’avevo promesso a Ginko» le sue labbra si appianarono in un sorriso, quasi stesse ripensando a quei momenti «Avevo il timore che rapisse qualcuno, sembrava impazzita.»

«Sì, Ji Yong mi ha raccontato…» si trattenne dal ridere al ricordo del trauma del loro primo incontro, descritto dall’amico come “Il peggior momento della mia vita da star” «Avevi un vestito orribile.» e i capelli legati in una lunga treccia laterale, il trucco appena fatto che metteva in risalto gli occhi grandi… Incredibile come certi particolari fossero rimasti incastonati nel suo cervello, nonostante ai tempi la reputasse l’essere meno guardabile dell’intero universo.

«Pensa alla tua giacca!» scoccò caustica, ricevendo in cambio un bel medio sollevato «Non c’era nemmeno un colore che si intonasse ai tuoi capelli.»

«Intanto è grazie alla mia giacca se ci troviamo qui.» le riservò un’occhiata eloquente, facendo scivolare lo sguardo sulla sua figura distesa e lei, per tutta risposta, gli riserbò un sorrisetto beffardo.

«Veramente è grazie alla bionda…»

“La bionda? Ah, già…” «Quella che voleva portarmi a letto.»

«Invece sei finito in stanza con me--»

«A farmi prendere a librate e rum.»

Di fronte alla sua serietà, scoppiò a ridere. Aveva gettato la testa all’indietro e aveva portato una mano sulle labbra, cercando di trattenersi e lui l’aveva trovata bellissima, di quella bellezza che raramente aveva trovato in altre donne. Per un attimo si rese conto di che donna meravigliosa sarebbe diventata e di questa ragazzina acerba e immatura, non sarebbe rimasto che un ricordo sbiadito «Ah, già… Un vero peccato.»

«Non importa--»

«Un vero peccato che del buon rum sia andato sprecato su di una giacca orrenda» sorrise divertita al suo sbuffare  «Capisco perché ce l’avessi con me, ero davvero insopportabile.»

«Sì, ma poi mi hai chiesto scusa» la sua ilarità sfumò per la sorpresa «Credo sia cominciato tutto lì.» o forse era cominciato prima, non ne aveva idea. Sapeva solo che i suoi amici vedevano in lei qualcosa che a lui proprio sfuggiva, Ji Yong per tutta la serata gli aveva fatto una testa tanta e al cospetto di quell’unica parolina, aveva sentito tutto l’odio accantonarsi. C’era, lo sentiva, ma non pulsava più come prima.

«È solo una parola.»

«È stata la prima cosa bella che mi hai detto da quando ci siamo conosciuti, dovrà pur valere qualcosa» Lin lo guardò di sbieco e lui continuò «Poi mi hai riportato la giacca, sei rimasta con me quando avevo la febbre nonostante non mi sopportassi» coprì uno sbadiglio «Non sei così stronza come vuoi far credere.» ma non glielo disse che da un po’ di tempo a quella parte si era convinto che sprecasse un sacco di energie a rendersi odiosa, solo per allontanare chiunque tentasse di entrare nel suo mondo…

«Se lo dici tu…»

… Mentre Lindsay, buona, lo era per davvero.

Si prendeva cura di lui, ad esempio. Impacciatamente certo, ma lo faceva. 
Come accompagnarlo a casa quando alzava troppo il gomito, impedirgli di sfracellarsi sulle scale mentre lo sorreggeva, ascoltare i suoi deliri fino a che non si addormentava, guardandolo mortificata per le sue battute squallide senza però deriderlo, aiutandolo a mettersi il pigiama, rimboccandogli di continuo le lenzuola che scalciava nemmeno fosse un moccioso mentre la sua risata cristallina riempiva la stanza al suo «Puoi farmi tu da coperta.» Rispondere ai suoi «Lin, stai dormendo?» e udire il suo grugnito, seguito da un bisbigliato «No, cosa c’è?» e parlare di scemenze, solo perché non aveva sonno. 
Richiamarla dopo il Tribeca e restare sveglia fino al mattino a lasciarlo sfogare perché il lavoro andava da cani sicché «Tanto domani posso dormire, tranquillo.» anche se lo sentiva chiaramente dalla sua voce quanto fosse assonnata; e poi incontrarsi, sentirla dire «Ma va, ho dormito fino a tardi.» anche se le sue occhiaie dicevano il contrario.
Restare da sola ad un bar ad aspettarlo mentre firmava autografi, faceva foto e sorridergli al suo ritorno, dirgli che andava bene così, che capiva… Un’altra al suo posto non lo avrebbe fatto, avrebbe piantato il muso e glielo avrebbe fatto pesare ma non lei. No, Lindsay alzava le spalle e diceva «Ho ordinato le birre e ho già pagato io metti via quel portafogli e non rompere i coglioni.» che gli strappava sempre una risata perché si vedeva lontano un miglio quanto fosse imbarazzata per quel gesto gentile e spontaneo.
Svegliarsi per prima e preparare la colazione –che significava buttare sul tavolo le peggiori schifezze scovate in cucina- e fargli trovare una tazza di caffè fumante biascicando un rauco «Muoviti o si fredda.»
Messaggiare fino a notte fonda, non sentirla più e svegliarsi con un suo «Ieri sono crollata, scusami.» che valeva molto di più uno sterile “buongiorno”.

Erano tutte piccole cose, minuscole a dire il vero e proprio perché tali, lei non ci dava peso, reputandole banalità che chiunque avrebbe potuto compiere. Ma la cura che ci riponeva, spontanea, nessuna l’aveva mai adoperata e questo lo faceva stare bene.

Era questo, di lei, che lo faceva impazzire: con lei si sentiva un ragazzo qualunque ed era una bella sensazione.

«Te l’ho già detto, non dovresti buttarti via» avrebbe voluto passare una mano fra i suoi capelli, sui suoi occhi spauriti, sulle labbra tese e in cambio le avrebbe chiesto di non guardarlo così spaventata «Quando lo farai, forse ti innamorerai.»

«Certo, come no…»

«Guarda che è così: qualcuno si innamorerà di te e tu ti innamorerai a tua volta. È la vita.» sollevò le spalle, prendendo una ciocca dei suoi capelli fra le dita, arrotolandosela.

«Non succederà.»

«Ma se dovesse?»

Lin si mise a pancia in giù, le braccia incrociate e il mento poggiato sopra «Dubito qualcuno voglia innamorarsi di me, non sono questo granché in certe cose» non lo disse con tono affranto, come se volesse ricevere complimenti o conferme: lei era davvero convinta di non poter dar nulla agli altri quando nemmeno si accorgeva di come i suoi gesti scaldassero il cuore «Ma se dovesse succedere… Non lo so, non ci ho mai pensato.» fece dondolare i piedi, guardandolo.

«Forse dovresti cominciare a farlo… Te l’ho detto, non sei così stronza come credi» e questa volta glielo aveva detto con assoluta serietà «Ammetto che un po’ mi piacerebbe esserci...» la fronte di Lin si corrugò «Quando ti innamorerai, intendo. Non sono cose che uno vede tutti i giorni.»

Non rispose, rivolgendogli un fioco sorriso che stonava col suo guardo vacuo. Seung-Hyun si sporse, baciandole la fronte, scompigliandole i capelli, perché su certe cose Lindsay era ancora una bambina che andava accompagnata per mano e rassicurata, se necessario. E nonostante la pesantezza di quei discorsi, non fuggì. Restò, assopita, in attesa… Di sesso forse, non lo sapeva. Sapeva solo che aveva sfruttato la sua mansuetudine e ne aveva approfittato per andare avanti, perché di cose da dire ce n’erano a bizzeffe…

«Lin?»

«Mh?»

«Ora non dovresti essere tu a dirmi cos’hai visto in me?»

«Oi, ci sei?»

«Eh?»

«È da cinque minuti che ti chiamo, il caffè è pronto» Dong Wook gli indicò la tazza fumante posta sotto il suo naso, nemmeno se n’era accorto. Lo ringraziò con un cenno del capo, ancora intontito da quel ricordo sbucato all’improvviso in maniera sbiadita, insinuatosi però con la potenza di un uragano. Se solo si concentrava, poteva ancora avvertire il suo sguardo tormentato guardarlo, il suo profumo tra le dita… Si chiese se tutte le cose dette fossero solo un pretesto per lavarsi la coscienza, perché tanto di lì a poco sarebbe volata via da Seul. 

Scosse la nuca, guardando la schiena dell’amico che trafficava in cucina «Per cena ci sono le uova, ne vuoi un po’?» fece “no” col capo e l’altro cominciò ad elencare tutto l’arsenale di cibo che avrebbe potuto offrirgli, bloccandosi al suo «Non ho fame.» che, sperava, avrebbe fatto fluire tutto nel silenzio.

Fu a quel punto che lasciò perdere i fornelli, concentrandosi su di lui che doveva sembrare davvero a pezzi perché gli era scappato un preoccupato «Sicuro di star bene?» seguito da «Non che mi dia fastidio ospitarti, sai che ti amo con tutto il mio cuore…» lo prese bonariamente per il culo, facendolo grugnire di disapprovazione «Ma che è successo?»

Storse il naso «Uno non può nemmeno venire a trovare un vecchio amico?»

«Oh, certo che può… Ma non con la valigia. O chiedendomi di chiamare i suoi amici per avvertirlo che resterà qui per un po’» gli rifilò un’occhiata scrutatrice ma lui si limitò a sollevare le spalle, al che il padrone di casa tirò a indovinare «GD ti stressa troppo? Daesung ti sta col fiato sul collo? Seung-Ri--»

«Non mi va di parlarne.» imbronciato, si concentrò sulla tazza di caffè mentre sentiva il suo sguardo inquisitore su di sé.

Se7en però non era uno sciocco e doveva aver capito come qualcosa effettivamente stonasse nel suo trovarsi lì e ciò non era dovuto ai mesi passati fatti di sporadici SMS, chiamate frettolose seguiti dalla sua apparizione improvvisa, armato di borsone e un esausto «Ti scoccia se resto un po’ qui?» a cui non aveva seguito spiegazione alcuna perché, l’altro, si era fatto da parte e lo aveva accolto con un sorriso, dicendogli che non c’era problema.

E appunto perché non era uno sciocco, non poteva lasciarlo crogiolare nel proprio patetismo «È successo qualcosa con Lindsay?» e, diretto, arrivò al nocciolo della questione; come riuscisse sempre a capire cosa lo tormentasse, sarebbe rimasto un mistero.

Annuì vago, preparandosi a ripetere lo stesso siparietto di qualche giorno prima, con quel «Se ne torna a New York. Per sempre.» che ancora aveva la potenza di un pugno in pieno stomaco ed era pronto a sorbirsi i soliti «Sei tu in torto.» con cui gli altri velatamente infarcivano i discorsi. Ma per la prima volta dacché aveva pronunciato quelle parole, qualcuno disse «Mi dispiace.» e si sentì a posto. Finalmente avrebbe potuto dar sfogo alla propria frustrazione, insultarla e magari avere l’appoggio di qualcuno che gli avrebbe fatto notare quanto Lindsay Moore fosse meschina. Che era stato tratto in inganno dal suo egoismo spacciato per bontà, che era caduto nella sua tela a quel «Puoi conoscermi meglio.» che lo aveva solo illuso, dandogli l’impressione di essere una spanna sopra tutti quegli altri che aveva fatto entrare nei propri pantaloni. Che era stato cieco a credere di poterle far scoprire quanto l’amore non facesse poi così paura perché, il suo, era sincero e mai le si sarebbe ritorto contro. Che era stato un idiota a vedere del buono dove, in realtà, non c’era altro che rancore e codardia ed egoismo.

Ma Dong Wook non aggiunse altro, si limitò a sorridere.

«Beh?»

«No, niente, è che… Non la facevo una ragazza da università. E cosa andrà a fare?»

«Medicina…» si morse la lingua per non far uscire un fuori luogo «È arrivata trentesima su cinquanta.»

«Però… È in gamba.»

«Non ti ci mettere anche tu…» borbottò spossato, stropicciandosi il volto.

«Vuoi negarlo?»

Gli scoccò un’occhiata scettica; Lindsay non aveva bisogno della Columbia per essere in gamba, lo era anche senza laurea «Non è quello…»

«E allora cos’è?»

Si appiattì sulla sedia, guardando il soffitto «Lei lo sapeva da mesi ma mi ha nascosto tutto» le labbra si appianarono in un sorriso amaro «Pensa, voleva farlo sin da quando era bambina ma non me l’aveva mai detto.»

«Non è mai stata una di molte parole.»

«Non è una giustificazione…» esalò lugubre.

Dong Wook annuì «Ti va di parlarne?» si accomodò sulla sedia, guardandolo in quel suo modo pacifico che per un istante diramò completamente la sua rabbia, lasciandogli solo un senso di vuoto che fece uscire ogni più piccola parola e gesto che si erano scambiati, quasi si stesse vedendo dal di fuori. Fu solo al suo «E tu che le hai detto?» che si rese conto di essere arrivato al momento clue dell’intera scena, quello in cui finalmente si prendeva la propria rivincita.

Ma quel sorrisetto beffardo che avrebbe dovuto dipingere le sue labbra, non c’era, così come non c’era quel dolce sapore di vittoria ad inebriarlo. Si rese infatti conto di cosa effettivamente le avesse detto in quell’attimo di completo black-out in cui aveva sentito la collera prende il sopravvento e quando le parole si sparsero nell’aria, sotto lo sguardo attento dell’amico, provò un graffiante senso di vergogna per aver anche solo pensato tutto quello: che era un’egoista, la peggiore. Che si rifugiava dietro le proprie paure usandole come scusa, che era immatura e utilizzava il divorzio dei suoi genitori come pretesto per non far avvicinare nessuno e quando ciò accadeva, fuggiva come un animale selvatico, incurante dei sentimenti che calpestava sul suo cammino, del male che faceva. Del male che gli aveva fatto. A lui! Proprio a lui che le aveva voluto bene veramente e che mai si era permesso di farle dubitare che davvero ci teneva a lei, da impazzirci: ogni frase dosata, ogni gesto ponderato era stato solo per tenerla a sé un po’ di più.

«Lei l’aveva detto, no? Che non voleva storie serie…»

«Questo non mi aiuta.»

«Dico solo… Lei è stata sincera sin dall’inizio» sospirò, lungamente, come se stesse per spiegare le tabelline a uno che nemmeno sapeva cosa fosse la matematica «Non ti ha mai nascosto di non volersi legare, ti aveva anche respinto proprio per evitarti sofferenze e--»

«Quindi è colpa mia, mi stai dicendo questo?»

«Non è colpa di nessuno, solo che le cose a volte non vanno come ce le aspettiamo. Seung-Hyun…?» lo chiamò piano, trattandolo come un bambino inavvicinabile «Ti sei mai fermato a chiederti cosa volesse lei, cosa volesse sul serio?» e di fronte al suo sguardo adombrato, seguitò «Avete mai parlato di cosa le piacerebbe fare nella vita? Se vuole davvero lavorare al Tribeca? Se vuole vivere qui o--»

«Non è mai stata una di molte parole.» lo interruppe brusco, cominciava a venirgli il mal di testa.

«Non è una giustificazione.» ribatté con un sorrisetto assolutamente fastidioso, facendolo imprecare.

La verità è che non se l’era mai chiesto. Dacché aveva cominciato a frequentarla, Seung-Hyun aveva accantonato tutte quelle domande terrorizzato dalle risposte che sarebbero giunte: che la sua vita era a New York, non lì, che lui era un passatempo come un altro e che appena si fosse stufata, lo avrebbe sostituito con qualcun altro che magari era più bravo a letto o meno appiccicoso. Che aveva altri progetti e lui non era contemplato. Che era una parentesi, proprio come lo erano stati tutti gli altri.

Non gli rispose, limitandosi a giocherellare con il cucchiaino e l’altro desistette «Quindi cos’hai intenzione di fare?»

«Nulla.»

Allargò gli occhi «Eh? Ma sei serio?»

«Che dovrei fare, scusa? Dovrei strisciare da lei e implorarla di stare insieme?» sollevò le spalle «Non le mancherò, tantomeno mi ama…» dirselo ad alta voce, faceva ancora un male atroce. Forse a certe ferite non ci si abituava mai: sarebbero rimaste aperte per un'infinità di tempo e alla fine ci si sarebbe abituati a quel leggero fastidio che faceva tornare indietro i ricordi.

«Ne sei sicuro?» Dong Wook inclinò il capo.

«È stata molto chiara su questo.»

«E se invece l’avesse fatto perché così è più facile per entrambi?» lo guardò confuso «Se se ne va sapendo che la odi, probabilmente per lei sarà più facile lasciarti. E tu, disprezzandola, ti dimenticherai presto di lei» prese una pausa «Se vi odiate, vi passerà in fretta.»

Seung-Hyun non aveva neppure preso in considerazione quell’eventualità, troppo impegnato a fare i conti con la delusione scottante di chi vedeva crollare miseramente ogni progetto, certezza e sforzo. Perché lui aveva sprecato energia per starle dietro, badare a ogni sua paura e sostenerla, limitando il proprio amore… Però anche lei aveva sprecato energia, no? Dargli una possibilità conscia che lui non fosse come gli altri, che lui era uno di quelli che ci cadevano di pancia nelle storie… Anche lei, in fondo, con lui… Per lui

A quel punto, Se7en disse una cosa che non avrebbe mai più scordato…

«Potresti sempre andare tu in America.»

… Un’alternativa che gli fece franare il cuore dalla paura.

«Che cosa?!» salto su, sconvolto. Ma stava dando i numeri? Lui… Trasferirsi in America? Ma nemmeno per sogno! La sua vita era qui, in Corea, con la sua famiglia, i suoi amici, il suo lavoro… "Questo si è rincoglionito"… «Ma scherzi!?»

Scosse la nuca «La ami, no?»

«Certo che la amo!»

«E allora? Se la ami, dov’è il problema?»

Già… Dov’era il problema? Il problema era… Il problema era che New York non era casa sua, ecco qual era il problema! Semplice no?

Ma neanche Seul lo è, per lei…

Mh, vero. Però qui c’era suo padre, che le voleva un bene dell’anima. E c’era Chyoko, che si rivelava pur sempre una madre migliore di Emily…

Già, Emily… Emily resterebbe sola…

Però lo diceva anche Lindsay che Emily era una stronza, no? Anche se ultimamente le cose andavano bene, tra loro… Forse restare sola era quello che si meritava. Forse così avrebbe capito quanto speciale fosse sua figlia, che mortificarla anziché comprendere il suo dolore mai sopito non era la soluzione… E poi qui aveva Ginko! Ginko era una buona amica, la migliore! Migliore addirittura di quella Shirley che non si faceva mai sentire…

Neanche Lin la chiama mai…

Sì beh… E allora il lavoro? Ma davvero voleva fare medicina? Non gli dava l’idea di una che volesse buttare anima e corpo in anni e anni di studi, lei del resto si stancava facilmente, si--

«Vuoi farmi credere che canterai Fantastic Baby in una boy band
anche quando avrai cinquant’anni?»

No che non voleva finire così! E forse nemmeno lei voleva finire a sculettare su di un bancone con indosso un vestito leopardato a cinquant’anni… Certo era che non poteva seguirla. Per lui New York era un altro pianeta, qualcosa da vedere solo in cartolina, una parentesi piacevole di qualche settimana di villeggiatura. Ma passarci la vita, pur stando con lei…

«Seung-Hyun…»

Portò le mani alla testa, stremato da quel botta-risposta con il suo cervello, che continuava a riproporgli immagini nitide dei bei tempi trascorsi assieme.

«Capisci quello che voglio dire?»

Lo guardò con occhi vitrei, avvertendo le lacrime premere sui bordi…

«Se tu non sei disposto ad andare in America per lei, perché lei dovrebbe restare qui per te?»

*******

«Ora non dovresti essere tu a dirmi cos’hai visto in me?»

Glielo aveva chiesto con curiosità infantile e un sorrisetto sghembo che la fece sentire una bambina sciocca, di quelle che si ritrovavano a parlare di api e fiori, cavoli e cicogne con dei genitori imbarazzatissimi. Seung-Hyun era fatto così: faceva domande scomode e si aspettava che gli stesse dietro, quasi camminassero sullo stesso spago, il tutto condito dal suo essere fastidiosamente cocciuto e imprevedibile e bambinesco… E delicato. In tutto, per tutto, quando si trattava di lei Seung-Hyun riponeva una delicatezza che glielo rendeva così diverso da quel cretino coi capelli menta dei suoi primi giorni a Seul: scorbutico, diffidente, borioso, con quel suo vizio di atteggiarsi a star quando per lei era solo uno coi capelli strani e l’aria da teppista. Il mordente con cui farciva ogni parola scagliata con durezza, l’ironia che straripava da ogni discorso, il suo non averla mai chiamata per nome se non quando le cose avevano cominciato ad assumere una piega nuova e inaspettata, con le cattiverie e la ferocia relegate prima in un angolo, poi dimenticate.

Incredibile come in pochi mesi quel detestabile ragazzo fosse riuscito a rendersi amabile, divenendole caro. Talmente caro che al pensiero che presto lo avrebbe lasciato, l’ansia cominciava a farle pompare il cuore a mille, facendole scordare come si faceva a respirare.

Guardò il soffitto, conscia che con una sua sola morbida occhiata sarebbe potuta crollare e ferma sul proprio essere una cogliona patentata, Lin si ritrovò a buttare lì un serio serio «Sei ricco.» che l’altro accolse con un «Ma che cazzo—Lindsay, eddai!» stridulo e sorpreso e che, inevitabilmente, la fece scoppiare a ridere.

«Non c’è nulla da ridere» sbottò, nascondendo le labbra dietro il braccio. Glielo lesse dagli occhi che non se l’era presa, ormai abituato alle sue sparate infelici «Allora?»

Sospirò «Seung-Hyun, è un discorso stupido, andiamo.» chiuse gli occhi e quando ne riaprì uno, si ritrovò il suo sorriso limpido mentre le labbra si aprivano in un «Mh, già, hai ragione…» che la fecero sentire in colpa. Smorzare il suo entusiasmo le veniva quasi naturale. Le molle del letto scricchiolarono quando si mosse e per un istante ebbe il timore che se ne stesse andando, abbandonandola fra le lenzuola appiccicate ma lui si mise di schiena, guardando il soffitto.

Lin soffocò un’imprecazione, conscia di averlo mortificato.

Che domanda stupida… È ovvio che qualcosa di buono in lui ci fosse, altrimenti non sarebbe lì no?

Ad esempio che conviveva col suo pessimo caratteraccio e non cercava di cambiarla, si adattava ai suoi malumori, si insidiava nelle sue paure in punta di piedi e la prendeva di petto, impedendole la fuga.
Era un bravo ragazzo, di quelli che se ne trovavano pochi in giro, di quelli che preferivano stare sdraiati sul divano a guardare un film anziché farlo, su quel divano; di quelli che baciavano piano, mai invadenti, e che davano la buona notte poggiando le labbra sulla fronte, mai sulla bocca. Non si era mai permesso di trattarla come una donnetta qualunque, facendola sentire una comune ragazza alle prese con una cotta più grande di lei e per questo veniva preservata, quasi avesse il timore di vederla creparsi da un momento all’altro. E, se anche si fosse scheggiata, lui avrebbe raccolto ogni coccio, perdendoci le ore pur di rimettere insieme i pezzi.
Usciva con lei perché gli faceva piacere, non per infilarsi nei suoi pantaloni. Poggiava la mano sul suo ginocchio e non saliva ma più in su. Le chiedeva "scusa" se la serata era stata noiosa, se non aveva parlato molto o addirittura per essere stanco, come se dovesse giustificarsi.
I suoi «Mi sei mancata.» sussurrati sulla fronte, sulle labbra, negli abbracci dopo un lungo viaggio scandito da sterili SMS e chiamate perse. La felicità nei suoi occhi mentre le raccontava di come fosse andata ai concerti, rendendola partecipe di una vita che per lei rasentava un sogno.
Il modo in cui le cingeva le spalle mentre guidava e poi farla poggiare sul suo petto, una volta fermi, carezzandole la nuca, senza mai spingersi oltre. Un altro si sarebbe slacciato i pantaloni e le avrebbe detto «Allora, che aspettiamo?» ma lui no, era troppo cavaliere per una bassezza del genere. Le lasciava prendere l’iniziativa nel sesso, facendole capire che non cercava solo questo con lei e restava, dopo; tenersela stretta, parlarle, andarsene solo se gli diceva che aveva sonno, mai prima… Quasi non volesse sporcarla.
Lui non l’accompagnava davanti casa con la speranza che lo invitasse ad entrare per vedere di che colore sarebbero state le coperte che presto si sarebbero attorcigliate ai loro corpi nudi. Lui l’accompagnava davanti casa perché quei cinque minuti in più facevano differenza e perché dirsi «Buona notte.» in macchina era decisamente poco carino.

Riponeva un’attenzione quasi maniacale in tutti quei particolari che lei aveva sempre considerato stupidi ma che, a ben vedere, servivano per far sì che le cose funzionassero. Sentì il cuore esploderle nella consapevolezza che nessun’altro, là fuori, sarebbe stato capace di darle tanto.

Perché c’era qualcosa di lui che la costringeva a rimanere, nonostante le paure fossero sempre lì presenti. Ma Seung-Hyun aveva la strabiliante capacità di riuscire a farla convivere con loro, come a dirle: sei così, accettati, che tanto vai bene comunque.

«Quando hai detto che non sono banale, te lo ricordi?» lo guardò di sfuggita, osservando le sue sopracciglia aggrottarsi piano «Al tuo compleanno.» nella sala di registrazione, ubriachi marci, lei sulla poltrona, lui sulla sedia, tenendosi distanti. Se solo ci pensava, poteva ancora sentire l’odore di colonia di Seung-Hyun mescolarsi alla tequila che imbeveva ogni loro parola. La testa che girava e le gambe molli mentre nella mente si faceva spazio l’idea che quel coreano eccentrico non fosse poi così brutto ma, anzi, da togliere il fiato: i capelli azzurri tenuti in alto dal gel, le sue mani che ci vagavano svagate agguantando qualche ciuffo e lei che avrebbe voluto disperderci le proprie, accontentandosi di dover solo guardare; il suo sorriso storto, la sua risata rauca che le faceva venire i brividi e lo spaesamento mentre gli gettava le braccia al collo per poi lasciarsi lambire dalla sua delicatezza.

«Ah, sì… Mi avevi abbracciato.»

«Ero ubriaca…» lo vide storcere il naso «Ma a parte tutto, l’ho apprezzato. Mi hai fatta sentire “interessante”…» la guardò confuso «Credo sia questo… Mi fai sentire “interessante” anche quando sappiamo entrambi che non sono questo granché.» e non glielo disse per ricevere in cambio qualche complimento che, di sicuro, avrebbe spezzato quell’armonia. Lindsay glielo disse perché sperava che se ne accorgesse anche lui di quanto banale fosse e magari decidesse di lasciarla perdere, evitandole una spiegazione sul suo doversene andare. Magari si sarebbe trovato un’altra ragazza, qualcuna che lo valorizzasse e che si vantasse di che incredibile fortuna fosse aver trovato un così bravo ragazzo, sfoggiandolo come un cimelio prezioso, che lo rispettasse più di quanto facesse lei, che lo amasse senza riserve e senza farlo soffrire perché Seung-Hyun andava protetto, ad ogni costo.

Non fu spaventata da questa moltitudine di pensieri e nemmeno se ne stupì, del resto già da qualche tempo si chiedeva come sarebbero potute andare le cose se solo avesse deciso di restare ed essere pienamente sincera con lui ma la certezza che ciò che di bello avevano, sarebbe col tempo svanito, le aveva fatto cambiare idea.

Seung-Hyun non si perse in nessun convenevole, le sorrise appena e la guardò con occhi liquidi, sorridenti, pieni di un affetto che lei non riusciva a dimostrargli con così tanta sfrontatezza «Sei cambiata.» lo mormorò rauco, con orgoglio, come se si sentisse parte di quel cambiamento e poco importava che mai avrebbe ricevuto una conferma, lui si sarebbe fatto bastare il suo sguardo spaurito e il sorriso sbiadito.

Lin avvertì l’urgenza di dovergli dimostrare qualcosa, ripagandolo in parte di tutto il bene che aveva deciso di darle a proprio rischio e pericolo, nonostante lo avesse respinto abbandonandolo in uno sgabuzzino. Allora si era sporta, lo aveva baciato piano, con lentezza e nel giro di qualche secondo si era ritrovata stretta al suo corpo. Preferì soffocare ogni parola con il sesso, perché quello le riusciva piuttosto bene e poi era una giornata di quelle un po’ così, dove non riuscivano a staccarsi l’una dall’altro. Le sarebbe mancato Seung-Hyun e il suo rendere meno sporco anche momenti come quello.

Si allontanò, conscia di dovergli qualcosa in più del mero sesso «Ti va di uscire un po’, dopo?» perché, del resto, il suo sorriso e gli occhi che brillavano il fiato un po’ glielo toglievano.


«Allora sei qui... Mi sono svegliata e non c’eri.» la voce impastata di Ginko la fece sussultare e di quel ricordo improvviso, spuntato in un attimo di guardia abbassata, non rimase altro che un’amara sensazione di nostalgia. Così come rimase la pelle rovente al passaggio dei suoi baci o la sensazione di morbido sotto le dita, che dall’attaccatura dei capelli risalivano, immergendocisi. Si strinse nella coperta a scacchi, scrollandosi di dosso tutto quello.

La guardò oltre la spalla «Ehi…» mormorò tornando a guardare la strada, osservando il lento mutare del cielo in un azzurro tenue tenue, quasi tendente al grigio. La via imbevuta nel silenzio, a quell’ora, aveva il potere di distendere i suoi nervi; spesso, rincasata dal Tribeca, si sedeva in veranda a guardare il nulla che la circondava, imprimendo nella mente quanti più particolari poteva: l’albero un po’ ingobbito al di là della strada, i nanetti mezzi distrutti della vicina, le aiuole cui Chyoko dedicava un’ora al giorno… Le sarebbe mancata quella sveglia fatta di quiete «Avevi bisogno?» domandò quando la vide restarsene impalata sulla porta, torturandosi le mani.

«Ti scoccia se resto con te?» domandò accorta, quasi avesse il timore di essere azzannata.

Lin le fece segno di sedersi vicino a lei, condividendo la coperta che la copriva come un bozzolo. Ginko ci si strinse ben bene, facendo le fusa come un gattino mentre respirava a pieni polmoni «C’è qualcosa che non va? Ti sei agitata tutta la notte.»

«Non ho sonno.» da un po’, avrebbe voluto aggiungere, più precisamente da quando la schiena di Seung-Hyun continuava ad apparirle in sogno. Nh, a dire il vero bastava che chiudesse gli occhi per ricordarsi quel particolare e nonostante il tempo fosse trascorso lento –talmente tanto da sembrarle un’agonia- ancora poteva sentire il dolore lacerarle il cuore. Si diede della stupida al pensiero che da sempre aveva evitato di raggiungere tali picchi di intimità con i ragazzi proprio per evitarsi tutto questo e, alla fine, c'era cascata con tutto il cuore.

Ginko rimase in silenzio, contemplando le prime luci dell’alba che facevano capolino da dietro i folti alberi «Sei preoccupata per la Columbia?»

No, certo che no. Lei era preoccupata per tutto quello che c’era prima della Columbia: il suo arrivo qui e la pressante sensazione che quello sarebbe stato il periodo più brutto della sua vita, attorniata da gente che l’avrebbe vista come un alieno e trattata come una straniera bellicosa pronta a disarmonizzare l’equilibrio di quella città che, senza di lei, aveva funzionato benissimo; per poi ritrovarsi a girare per le vie in compagnia di una ragazzina troppo vivace, innamorata dell’amore e che sapeva strapparle una risata senza doversi impegnare... Una di quelle che a scuola aveva evitato come la peste, perché noiose.
Ritrovarsi a girare in compagnia di cinque idioti capitanati da un gallinaceo con un senso della moda da rivedere, seguito a ruota da due ragazzi ridotti a comportarsi da genitori solo perché assennati e inclini al crocerossinismo, mentre una specie di Ginko al maschile le ronzava intorno con la sua ingenuità, ponendo domande scomode senza però cattiveria; poco più in là, l’unico che era riuscita a smuovere la noia che la circondava, che si era trascinata da New York e che mai si era scollata di dosso, un po’ per pigrizia e un po’ per timore. Un timore a cui solo ora riusciva a dare forma: vedersi trattare come lei aveva sempre trattato gli altri. Con menefreghismo, supponenza, cinismo e una bastardaggine tale da andarsene senza rimorsi lasciando loro un pessimo ricordo, di quelli che si incastravano nella mente e di tanto in tanto tornavano, facendo più male dell’ultima volta.
Come Seung-Hyun che l’abbandonava su di una scalinata, di notte, dicendole che era stato solo un bacio, per poi tornare con un coraggio mai dimostrato e confessarle, in un buio sgabuzzino che sapeva di alcol quanto in realtà a lui piacesse, che non poteva farci nulla…

«Chyoko mi ha fatto vedere il dépliant del campus,

dev’essere una figata!»


Come Seung-Hyun che l’abbandonava in un salotto perché lei proprio non riusciva a capire quel mondo così diverso dal proprio, con quel «Vado a farmi una doccia.» che era un chiaro invito a «La porta è aperta: scegli tu cosa fare.» per poi tornare, chiederle scusa e rassicurarla, che i problemi erano altri e di certo lei non era tra quelli…

«E poi andrai alla grande, sei ingamba …»


Come Seung-Hyun che l’abbandonava in camera da letto dandole dell’egoista, con gli occhi annacquati di delusione e un «Non lo era più, già da un po’.» che le aveva fatto comprendere come entrambi ci fossero caduti fin troppo in quella storia, tanto da non trovare più un punto di ritorno. Questa volta però non si era fatto vedere, se non nei suoi ricordi. Nessuna chiamata, nessun messaggio, nemmeno l’illusione che la stesse pensando… La solitudine era l'unica cosa rimastale, insieme ad un mazzo di ricordi e amore di cui non sapeva proprio che farsene.

«O stai pensando a Seung-Hyun?» quella domanda la fece voltare di scatto, i ricordi sparpagliatisi come foglie.

«Eh? No, no…» si coprì le labbra con la coperta, socchiudendo gli occhi «Beh… Ogni tanto ci ripenso.» la mattina, per i primi tre secondi, la sua voce, i suoi occhi, tornavano a farle visita. Passavano di là e se ne andavano, talmente veloci da farle sembrare quei lunghi messi assieme solo una sbiadita immaginazione. Poi si accorgeva di essere in un realtà in cui lui non c'era più e allora le viscere cominciavano a contorcersi, lasciandole addosso apatia.

«Ogni tanto?»

Sollevò le spalle «Evito di pensarci più del dovuto.» altrimenti le toglieva il fiato, quella sensazione di desolante vuoto che si impossessava di lei. Era la prima volta che si sentiva così dopo che un ragazzo le dava il ben servito.

«Ti ha cercata, almeno?» Ginko si soffiò sulle mani, portandole fra le ginocchia strette «Una chiamata? Qualche messaggio?» al suo lento scuotere della nuca, sospirò «Allora dovresti chiamarlo tu e chiarire.»

«Non abbiamo più nulla da dirci.» borbottò, roteando gli occhi nell’udire lo sbuffo dell’amica.

«Direi che avete molto da dirvi» rimbrottò secca, calcando su quel molto; poi le sue parole sfumarono, delicate «Tu lo ami, è giusto che lo sappia.»

Lindsay si riparò ancora di più nella coperta, se possibile, imbarazzata al pensiero di poter anche solo dirselo ad alta voce, di essere davvero innamorata di Seung-Hyun. Pensarlo le veniva così facile, era un pensiero fra i tanti, a volte saltava fuori per caso e la scaldava, faceva sembrare banalità quel mucchio di problemi che aveva sempre trovato insormontabili. Ma dirlo… Ce lo aveva lì, sulla punta della lingua, ma proprio non voleva saperne di uscire fuori. 

«Ginko, no.»

Testarda, l’amica la ignorò «Potete trovare una soluzione, oggigiorno le storie a distanza funzionano» Lin la guardò scettica «Esistono i telefoni, internet, Skype… Tu puoi tornare qui per le vacanze, lui può raggiungerti--» la studiò per qualche secondo ma di fronte alla sua stortura di naso, Ginko sospirò mesta «Ji Yong una volta mi ha detto: “Quando qualcuno è il tuo tipo, puoi scappare quanto vuoi ma alla fine ci si ritrova a rincorrerlo”… Capisci quello che voglio dire?» sospirò «Dovete parlarvi, parlarvi sul serio--»

«Lui non vuole ascoltarmi, è troppo incazzato…» Lin appoggiò il mento sulle ginocchia, i lunghi capelli a incorniciarla «Pensa che per me sia così facile, andarmene…»

«E lo è?» scosse la nuca «Glielo hai detto?» di nuovo, scrollò il capo «Lin--»

«Credevo che per certe cose non ci fosse bisogno di parole.» si giustificò malamente, puntando sul fatto che Seung-Hyun aveva sempre avuto la straordinaria capacità di saper leggere anche i suoi ostentati mutismi. Forse questa volta era troppo arrabbiato, forse questa volta non gliene fregava niente, qualsiasi cosa fosse lui non l’aveva capito e, peggio ancora, le si era scagliato contro con una delusione che le aveva fatto mancare la terra sotto i piedi, riportando a galla un mucchio di aneddotti che non pensava avrebbe utilizzato per avvilirla: il divorzio dei suoi, le sue paure... Davvearo credeva che fossero tutte scuse, le sue fughe e quel suo continuo ripararsi dietro il cinismo? Davvero non capiva che la paura di essere abbandonata di nuovo, la paralazziva?

«Avresti dovuto dirglielo.»

Si portò le mani fra i capelli «Non sarebbe cambiato nulla.»

«No… Ma gli avrebbe fatto piacere» guardò il cielo «Magari ti avrebbe chiesto di restare.»

Lin la guardò di sbieco, sorridendo un poco di fronte al suo broncio.

Se anche Seung-Hyun le avesse chiesto di restare, sarebbe rimasta?

Ogni tanto ci aveva pensato, a loro due assieme… Ma assieme per davvero. Magari in una grande casa, di quelle con le finestre che davano su di un ampio giardino, con le tendine svolazzanti e la cucina che sapeva di the, caffè, cereali, marmellata d’arancia… I suoi baci prima di andare a lavoro, i suoi vestiti sistemati su di una sedia, le sue scarpe tremendamente eleganti vicino alle proprie, logore e sportive all’ingresso… Tutto le avrebbe ricordato che lui era lì, con lei e che la sera sarebbe rincasato per dirle com’era andata la giornata, facendola sentire a casa e lei… Lei cos’avrebbe fatto? Lo avrebbe aspettato tutto il giorno ciondolando per quelle spesse mura inventandosi qualcosa da dire per quando le avrebbe chiesto «E tu cos’hai fatto di bello?». Non era da lei dire  «Ti ho aspettato tutto il giorno», così come non era da lei dipendere dagli altri. E in tutto quello a soffocarla non era Seung-Hyun, che l'amava incodizionatamente, no. A soffocarla era la mancanza di prospettive: e se se ne fosse andato, cosa sarebbe stato di lei? Di certo non avrebbe potuto dipendere da suo padre, da Ginko, tantomeno da sua madre. Avrebbe finito col mettere in valigia il proprio cuore spezzato, incollandolo malamente con dello scotch con la speranza che la valigia andasse persa durante il viaggio.

Sarebbe tornata a New York perché qui qualsiasi luogo glielo avrebbe fatto tornare in mente. E lei non aveva voglia di ridursi ad una vecchia piena di rimpianti che soffocava la sofferenza dietro le pagine di un giornale, in vestaglia, coi capelli sfatti.

«Forse è meglio così» mormorò «Appena un mese e partirò, è meglio che io non lo cerchi. Così sarà più facile dimenticarmi…» asserì, convinta di star facendo la cosa giusta per lui.

«E tu?»

Già… E lei?

Cos’avrebbe fatto senza di lui? Se prima sarebbe potuta vivere con la sua assenza, ora non ne era più sicura. Si disse che per un po’ l’avrebbe soffocata nelle braccia di qualcun altro. Che fosse uno o tanti non aveva importanza, purché quel vuoto che la faceva annaspare decidesse di andarsene. Si chiese se sarebbe stato facile tornare alla sua consueta vita dopo aver scoperto che questa, in fondo, le piaceva decisamente di più…

Sospirò, gettando la testa all’indietro per ricacciare le lacrime. Tornò a guardare davanti a sé, osservando i primi movimenti della via silenziosa «Mi mancherà…» il suo mormorio rimase sospeso, rivolto un po’ a tutto ma a niente in particolare.

Le sarebbe mancata quella casa, la via silenziosa, le strade imbevute nella notte mentre tornava dal Tribeca, le giornate di shopping con Ginko o i pomeriggi fatti di televisione mentre l’amica studiava per un esame.
L’odore di spezie che impregnava la cucina, la schiena di Chyoko piegata sul bancone mentre sminuzzava le verdure, le gambe di Minji che dondolavano sull’alta sedia mentre, tutta concentrata, scarabocchiava su fogli sparpagliati sul tavolo; il «Sono tornato!» di suo padre, la ventiquattrore poggiata vicino all’ingresso e il suo allentarsi la cravatta mentre si catapultava in cucina, scoccandole un sonoro bacio sulla tempia nonostante sapesse quanto odiasse le smancerie.
I «Stasera stai da me?» di Seung-Hyun, il viaggio in pullman, le scalinate fatte due a due e i baci sulla porta, interrotti dai belati di Seung-Ri che voleva abbracciarsela; Daesung che si comportava da perfetto padrone di casa, Taeyang che le diceva di aiutarlo a cucinare, Ji Yong che la prendeva per il culo ma inventava sempre qualche scusa per cacciare gli altri e lasciarli soli…
E Seung-Hyun… Che la guardava da lontano, che le sorrideva sempre, che era buono…

«E se mi fossi innamorato di te?»

... Che le voleva bene veramente, forse più di quanto qualcuno avrebbe mai potuto fare.

«Seoul non sarà la stessa senza di te.» aveva sussurrato Ginko, poggiando la testa sulla sua spalla, dandole un’importanza che non credeva di meritare. 

Lin la guardò a lungo, avvertendo le lacrime premere sui bordi. E prima ancora di accorgersene, le parole le sfuggirono sincere e contrite «Nemmeno New York.»



A Vip’s corner:

Non mi dilungo molto, oggi non è proprio giornata. Anzi, diciamo che non è proprio vita… Vorrei rincarnarmi in un sasso, sarebbe tutto decisamente più facile…
Ad ogni modo ci tenevo a pubblicarlo perché è finito, è uscito come volevo e tenerlo nel pc non avrebbe fatto altro che farmi aumentare dubbi sul fatto che, qua e là, andrebbe apportata qualche miglioria.
E poi è per me importante ed è forse quello in cui ho cercato di metterci più impegno perché sin da quando ho cominciato a credere che questa storia potesse avere un senso, sapevo che sarei dovuta arrivare a questo: Qualcosa su di te…  che, in qualche modo, descrivesse appieno cosa ha spinto i due protagonisti ad incontrarsi, seppure così diversi. A me personalmente non dispiace affatto ma sta a voi giudicare, come sempre.
Ringrazio infinitamente VirginMonkey, giorgtaker, xxxibgdrgn88 e Shinushio per aver commentato il precedente capitolo. Ammetto che non mi aspettavo così tanto affetto, non dopo essere praticamente sparita dalla faccia di Efp. I vostri commenti, per me, sono fonte di gioia e un incentivo ad andare avanti anche quando sono stanca e le parole non vengono giù come voglio io. Questo è tutto per voi, vi meritate ogni parola, virgola ed errore che c’è, con la speranza di non avervi deluse ♥
Ringrazio anche chi ha aggiunto la storia tra le seguite/ricordate/preferite e chi legge in silenzio. Come sempre, se vi andasse di lasciare un segno del vostro passaggio siete i benvenuti. Le critiche, che siano positive o negative, sono sempre uno sprono per l’autore.

Alla prossima (si spera presto),

HeavenIsInYourEyes.

P.S. Come al solito l'html viene fuori un pastrocchio e io non so più che pesci prendere... Se doveste notare qualche problema che da fastidio durante la lettura fatemelo comunque notare, per favore. Chissà mai che capisca come risolvere...

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Capitolo 34
*** Do you want me crawling back to you? ***


Capitolo 34
Capitolo 34
Do you want me crawling back to you?

“But I crumble completely when you cry,
It seems like once again you've had to greet me with goodbye”

-505, Arctic Monkeys-


Quando Seung-Hyun si innamorava, ci si buttava a capofitto nelle storie ed era una peculiarità che Ji Yong gli aveva sempre invidiato: era una caduta libera in cui perdeva di vista tutto ciò che lo circondava, concentrandosi su quell’unica che gli mandava in pappa il cervello e il cuore ma –perché in certe cose c’era sempre un “ma”- mai si era lasciato andare a tal punto da farsi rivestire dalla sofferenza, quando questa inevitabilmente veniva a trovarlo. Le litigate, la fine di una storia avevano sì fatto male, ma non così tanto da cambiare la quotidianità della sua intera esistenza.

Fino a che America non aveva deciso di invadere ogni suo più piccolo spazio, mandandolo in tilt, forse senza nemmeno rendersene conto: le litigate, la fine di una storia sembravano lasciare cicatrici decisamente più profonde e che non si rimarginavano nemmeno dopo la riconciliazione.

La sensazione straziante di essere sempre vicini ad un’inevitabile rottura, aveva ricoperto ogni singolo istante trascorso assieme e Ji Yong, questo, lo aveva notato sin da subito… Non l’aveva mai visto così coinvolto, tanto da dimenticarsi che per almeno buona parte della giornata lui era T.O.P dei Big Bang e non Choi Seung-Hyun.

Marciando a passo veloce verso lo spogliatoio, un asciugamano bagnato sulle spalle e la mascella contratta per l’indignazione, Ji Yong cominciava a chiedersi se non fosse il caso di mandarlo in pensione quel demente del loro amico che, ma tu guarda un po’, aveva deciso di presentarsi in ritardo alle prove. Per la decima volta. In cinque giorni. E senza avvisare.

Senza nemmeno bussare, aprì la porta, trovandosi di fronte la larga schiena del ragazzo indaffarato a guardare l’armadietto aperto. Si appoggiò allo stipite «Ben arrivato…» soffiò mellifluo, rivolgendogli un sorrisetto quando i loro sguardi si incrociarono.

Seung-Hyun tornò a trafficare con la borsa «Fanculo.»    

«Insultala quanto vuoi, tanto non si chiuderà.»

«Veramente era rivolto a te.»

«Così mi commuovi» cantilenò ironico «Sei in ritardo. Di tre ore…» constatò con ovvietà, pregando che avesse a disposizione una buona scusa «Sei pregato di avvisare se--»

«Se faccio tardi perché voi non potete mica aspettarmi bla bla bla» sventolò una mano «Me l’hai già detto cento volte.»

«A quanto pare non è bastato a farlo entrare in quella tua testa…» sciorinò tremebondo, massaggiandosi una tempia quando dall’altra parte vide uno spesso strato di menefreghismo. Che. Palle. Non era in vena di scherzi, quel giorno, men che meno aveva intenzione di stare ad assecondare un ragazzino troppo cresciuto per rendersi conto che, ehi, la vita non era mica tutta rosa e fiori «Si può sapere qual è il tuo problema?»

«Lo sai benissimo chi è. O hai bisogno di una rinfrescatina?»

Ji Yong avvertì la vena pulsare sulla tempia, chiaro segno che di lì alla prossima parola sbagliata avrebbe sicuramente perso la pazienza «I tuoi problemi personali, tienili fuori dal lavoro.»

«Peccato che uno dei miei tanti problemi sia proprio qui, a lavoro» gli rivolse un’occhiata eloquente, squadrandolo da capo a piedi. Ji Yong si limitò ad arcuare un sopracciglio, senza lasciarsi minimamente intaccare dalla crudeltà delle sue parole. Che ce l’avesse con lui era palese, che ancora però non si fosse deciso a chiarire… Beh, non era da Seung-Hyun «Ma che parlo a fare? Per te è tutto così facile, tanto niente e nessuno ti sfiora.» sbatté l’anta dell’armadietto, riprendendo a ignorarlo.

Ji Yong roteò gli occhi, spazientito «Sei ridicolo.» e a quel punto, Top disse qualcosa che da tempo non sentiva. Qualcosa che Ginko, una volta, gli aveva confessato con le lacrime agli occhi e l’aria disillusa di chi vedeva la perfezione del proprio idolo sgretolarsi, scoprendo quanto imperfetto fosse in realtà.

Fu un «E tu sei una persona triste…» che lo paralizzò, impedendogli di ribattere con quel suo solito mordente che metteva a tacere chiunque «Te ne stai lì, a giocare con i sentimenti altrui perché sei troppo annoiato dalla tua vita per-per--» si portò le mani fra i capelli «Sei così infelice che devi per forza rovinare la vita degli altri, non puoi farne a meno. Guarda me e Lindsay, ad esempio» sbatté le mani sui fianchi «Ti sei impegnato così tanto per farmi cambiare idea su di lei e io come uno stupido ci sono cascato e guarda come siamo finiti--»

«Non sono stato io a farti innamorare di lei, hai fatto tutto tu e lo sai perché?» sollevò il mento, sfruttando quell’attimo di titubanza a proprio favore «Perché ti sei accorto che Lindsay è molto meglio di quello che da a vedere ed è per questo che sei così incazzato: sai bene che nessun’altra, là fuori, si dimostrerà così interessante e degna delle tue attenzioni» Seung-Hyun serrò le labbra, GD lo incalzò «E ora dimmi, ti fa più incazzare il fatto che non te lo abbiamo detto o la consapevolezza che anche sapendolo, lei non sarebbe rimasta?»

«Perché date tutti per scontato che non sarei riuscito a fermarla?»

Ji Yong lo guardò severo «Sei davvero convinto che sarebbe rimasta qui, con te, quando è stata ammessa alla Columbia? Seung-Hyun, apri gli occhi…» fece qualche passo nello spogliatoio, tenendosi a debita distanza.

«Oh, ma io gli ho aperti… E sai cos’ho scoperto?» ribatté convinto «Che è solo un’egoista, la peggiore, la--»

«E perché? Tu non lo sei?» inclinò il capo, beandosi di quel guizzo di timore che aveva scorto nei suoi occhi sfuggevoli «Te ne stai lì, a lamentarti perché pensi che tutti ti hanno preso per il culo quando nemmeno ti rendi conto che nessuno qui ha colpa o ragione. Come America…» Seung-Hyun arcuò un sopracciglio «Tu non hai provato nemmeno a capirla, te la sei presa con lei e con noi, come se questo potesse risolvere le cose.»

«Non è la stessa cosa» soffiò roco, costringendolo a fare i conti con la sua abissale stupidità «È lei quella che se ne va--»

«Sta andando a New York per studiare, questo dovrebbe renderti orgoglioso!» alzò la voce, seccato dal suo continuo barricarsi dietro la propria ottusità «Da quando sta con te ha deciso di  rendersi una persona migliore e anziché esserne felice e vivere con lei questo momento, te ne stai lì in un angolo a piangerti addosso perché resterai solo? Cristo, Seung-Hyun, tu non sarai solo, lei lo sarà!» vide i suoi occhi allargarsi «Tu hai noi, hai qualcuno pronto a starti accanto mentre lei non avrà nessuno e nonostante tutto, ha deciso di andare via perché sa che è la cosa giusta anche se ciò significa lasciarti indietro--»

«Sarebbe stato meglio non avervi affatto» glielo soffiò con rassegnazione, come se quel pensiero lo avesse sfiorato più di una volta e Ji Yong, che ne aveva passate di cotte e di crude, restò toccato da una confessione detta a cuor leggero «Credevo fossimo amici.» finalmente lo guardò, sollevando le spalle come a dire che ormai non aveva null’altro da aggiungere.

«Infatti lo siamo.»

«Quale amico si comporterebbe come te?» lo indicò, lasciando poi scivolare la mano sul fianco «Tu macchini dietro alle nostre spalle, ci tratti come dei pupazzi e quel che è peggio, ti diverte vederci soffrire. Prendi Ri e Ginko… L’hai rifiutata e non appena quei due si sono trovati, ti sei dovuto intromettere, perché sei un bambino a cui hanno portato via il giocattolo e--»

«Non tirarli in mezzo, loro non c’entrano con noi» calcò bene su ogni parola, lapidaria, con la speranza che Seung-Hyun si acquattasse in un angolo. Ma così non fu. Continuò a fissarlo, gli occhi pieni di rancore e la mascella serrata «Così come non c’entro io con te e America. Ti sei mai accorto di non essere mai stato sincero, con lei? Non le hai mai detto di amarla, spaventato al pensiero che potesse rifiutarti. Hai approfittato della situazione come ti si è presentata finché ti ha fatto comodo e ora che le cose non vanno come vuoi, pianti il muso? Hyung, andiamo, non sei poi così diverso da me.»

«Quindi sarei uno stronzo? Un pessimo amico? Un--»

«Un bambino a cui hanno portato via il giocattolo, ecco cosa sei» rinfacciò con un sorrisetto sghembo, facendosi avanti di qualche passo; in quel preciso istante, con il tonfo delle suole che risuona tetro ad ogni passo, Ji Yong si sente un novello Scar che sta per dire a un giovane Simba che sì, lui ha ucciso Mufasa e tanta lunga vita al re. Approfittò di quella calma improvvisa per renderlo partecipe del suo più grande segreto, quello che, a ben vedere, era stato il fautore di questo pandemonio «Vuoi sapere perché ti ho spinto verso di lei?» Seung-Hyun non rispose, se ne restava lì con la mascella serrata e l’aria avvilita di chi non sapeva più come barcamenarsi in quel discorso, sopraffatto da un fiume di parole inarrestabile e quando GD seguitò con un secco «Mi annoiavo da morire e voi due mi facevate ridere» lo vide chiaramente  qualcosa spezzarsi nei suoi occhi larghi, pieni di stupore ma questo non gli impedì di proseguire, sentendosi sempre più leggero ad ogni sillaba intrisa di sincerità «Continuavate ad odiarvi senza nemmeno rendervi conto di quanto ridicoli foste e io ho pensato che sarebbe stato divertente vedere fino a che punto poteva portarvi la vostra stupidità.»

Fino a che le cose non si erano fatte troppo perfino per lui che, da spettatore, si era dovuto limitare a dar loro qualche leggera spintarella per non vederli colare a picco nelle loro paranoie. Era stato un ottimo burattinaio, il migliore!, anche se ogni tanto le sue adorabili marionette avevano pensato bene di fare di testa propria, scombinando le sue strategie e a dispetto di ogni pensiero maligno, Ji Yong non era affatto soddisfatto del risultato perché un Seung-Hyun ridotto così era davvero uno spettacolo atroce.

Tutto questo però GD non glielo disse; o per meglio dire, non ne ebbe il tempo.

Anche ripensandoci, non saprebbe descrivere l’esatta dinamica dell’accaduto, fatto stava che si era ritrovato col culo sul gelido pavimento dello spogliatoio mentre la mano era finita a coprire le labbra, che bruciavano da morire. Si guardò le dita, una piccola scia di sangue le macchiava: quell’idiota col cervello da elefante gli aveva dato un cazzotto -e pure bello forte, a giudicare dal suo essere passato da leader intoccabile a sacco di patate rotolato dal furgone-.

Seung-Hyun, con il pugno stretto nell’altra mano che ne massaggiava le nocche e il fiato corto, lo guardava con un pizzico di  sollievo misto a dolore «Era da tempo che volevo farlo.» esalò, sul suo volto un barlume di sorriso vittorioso.

“Ah… È così, quindi…”

Con lentezza estenuante, quasi dovesse raccogliere le energie, Ji Yong si mise in piedi, pulendosi i pantaloni della tuta, gesto compiuto più per levar via la stizza che altro. A quel punto si disse che poteva agire in due modi: andarsene iracondo sibilandogli un letale «Non è finita qua.» o lasciarlo sbollire in uno di quei silenzi che gli avrebbe rivolto fino a che uno «Scusa.» sincero non fosse pascolato fra i loro sguardi gelidi. Se però non lo fece, fu solo perché Seung-Hyun non si limitò ad elargire quella confessione non richiesta, no. 

Continuò, come se quel discorso se lo fosse preparato un sacco di tempo prima ed era ora giunto il momento propizio per esternarlo, con tutta la rabbia che aveva in corpo «Ho sempre pensato che sarebbe stato un momento passeggero, che ti saresti ripreso e saresti tornato il solito Ji Yong ma continui a tenere un braccio teso davanti e non permetti a nessuno di avvicinarsi… E non lo fai perché temi che qualcuno possa vedere che hai paura; tu hai paura che qualcuno torni a farti essere quello di una volta. Quello che pensa al nostro bene, lo pensa sul serio; non quello che finge di pensarci quando, in realtà, cerca di far del bene solo a sé stesso… Tu sei cambiato e il problema è che ti piace quello che sei diventato. Ci manipoli e pretendi che stiamo dietro ai tuoi stupidi giochetti, fingi di aiutarci e invece ci stai solo dando la soluzione che ti è più comoda perché per te, noi, non siamo altro che giocattoli. A te non frega niente di me o di come sto, di Lindsay o di Ri o di Ginko… A te importa solo di come stai tu e come trarre vantaggio dalle nostre sofferenze e io sono davvero stanco. Tu invece sei patetico, sei--»

Ji Yong ne aveva già avuto abbastanza a quel «Ho sempre pensato che…» atto ad introdurre la scena madre di tutte le scene madri e se lo aveva lasciato continuare, fu solo perché il cervello aveva deciso di andarsene in vacanza, lasciandosi dietro un fastidioso ronzio che rendeva le parole del ragazzo un suono ovattato, distante, quasi surreale… Ma qualcosa si mosse, in Ji Yong, strisciò per tutto il corpo e risalì: la consapevolezza che Seung-Hyun stesse toccando tutti i tasti giusti, facendo ben attenzione a non mancarne nemmeno uno.

Agì d’istinto, del resto nulla in quella discussione aveva un senso e gli diede un pugno mirando a caso; Seung-Hyun si era coperto l’occhio, soffocando un gemito di dolore. Oh, allora nelle scazzottate ci sapeva ancora fare! E da lì, fu solo un pestaggio da ubriachi in un bar: schiaffi volanti, pugni rotanti e calci tripli dati nei punti giusti.

«Oi, dobbiamo riprendere a provare—Che Diavolo state combinando?!» la voce di Dae, entrato proprio nel clue della scazzottata, si levò di qualche ottava e non ebbe comunque l’efficacia di farli smettere «Volete smetterla?!» si catapultò verso Ji Yong e lo allontanò mentre Young-Bae, richiamato forse dalle urla e gli insulti, si era premurato di sollevare Top da terra e allontanarlo, facendo attenzione a non beccarsi i suoi calci random; Seung-Ri, povera stella terrorizzata, se ne stava sulla soglia pregando che nessuno giungesse a cazziarli.

«Che cazzo vi prende, si può sapere?» a gridare era stato Young-Bae, sul volto al classica espressione da padre stanco di ritrovarsi a che fare con un figlio ingestibile «Possibile che voi due non possiate mai affrontare le cose come persone civili?!»

«Mocciosi, siete dei mocciosi!» strepitò Dae.

«E lasciami!» berciò Seung-Hyun, divincolandosi dalla presa mentre riprendeva fiato.

Ji Yong si placò eppure non ebbe la forza per stare zitto, doveva chiudere quella faccenda buttando in tavola ogni più piccola e scomoda verità perché, a ben vedere, ce n’era una che ancora non era stata mostrata «America è stata sincera sin dall’inizio. Ti ha detto che non voleva storie serie e ti ha dato la possibilità di scegliere ma tu la volevi così tanto che non hai saputo dir di no. Se non hai rinunciato, se ti sei innamorato, se lei non resta… È solo colpa tua» soffocò una risata amara «Mi chiedo chi sia l’egoista, qui, tra tutti.»

Seung-Hyun fece per ribattere ma si ammutolì, scuotendo la nuca «Al Diavolo.»

«Certo, io vado al Diavolo. E tu?» la porta che sbatté fu un chiaro invito a non cercarlo e Ji Yong, che ci teneva al proprio faccino, optò per una momentanea resa, lasciandosi crollare sulla panca.

I tre si lanciarono occhiate esterrefatte, sbuffando in coro «Ah, quanto siete stupidi» borbottò Dae piegandosi con le ginocchia, tamponandogli la bocca con una panno bagnato «Fare a botte… Ma che vi passa per la testa?!»

«Ha cominciato lui.» borbottò apatico, roteando gli occhi al suo isterico «Bambini! Siete due bambini!» che gli altri accolsero con un simultaneo scuotere delle nuche.

«Tutto questo per una ragazza?» aveva domandato Seung-Ri con adorabile ingenuità, uscendosene dal proprio cantuccio «Continuo a credere che se Lin non fosse mai venuta qui, a quest’ora staremmo tutti meglio.»

«Lei non c’entra.» soffiò monocorde.

Ed era vero, Lindsay non c’entrava più.

Non era più c’entrata da quando avevano cominciato a rinfacciarsi tutto ciò che aveva portato allo sgretolarsi della loro amicizia, uno sgretolio che aveva radici ben più profonde. Lei era semplicemente stata la goccia che aveva fatto traboccare un vaso pieno di parole taciute per troppi anni.

Ma… Davvero? Sul serio finiva con Seung-Hyun che se ne andava chissà dove e con loro quattro a chiedersi dove sarebbe finiti di questo passo?

«E se decidesse di andarsene?»

«Credi lo farà?!»

«Se n’è già andato di casa, potrebbe decidere di lasciare il gruppo e--»


«Adesso. Mi sono rotto. Le palle.» sibilò Ji Yong a mezza voce, scalciando l’asciugamano scivolatogli dalle mani. Si diresse alla porta sotto lo sguardo sconcertato di Dae che, in preda ad un attacco isterico da madre stanca di non essere ascoltata dai pargoli ribelli, si ritrovò a domandargli «Si può sapere dove stai andando?!» che però non lo fece fermare.

«A mettere fine a ‘sto casino.» sventolò una mano in segno di saluto.

Che lo avesse cominciato lui o no, la cosa andava risolta.    

Perché se Seung-Hyun voleva mandare al Diavolo la sua storia con America, erano solo fatti suoi.

Ma se voleva mandare al Diavolo la loro storia, cominciata ben dieci anni fa, beh... Sarebbe dovuto passare sul suo cadavere.

**********


Appena trenta giorni e sarebbe tornata a New York ma per Lindsay fu come se la sua vita a Seoul fosse già terminata. Si era conclusa in una camera fiocamente illuminata, con una porta che sbatteva e una persona a lei cara che se ne andava. La seconda…

«Linnie, è permesso?»

Il lento aprirsi della porta la fece ridestare. Fece scivolare un auricolare, guardò suo padre e si accorse di quanto le sarebbe mancato questo suo cercare di intrufolarsi nella sua stanza, nella sua vita, quel suo modo impacciato di farle da genitore o almeno provarci.

Tornò a dargli le spalle, concentrandosi sui libri «Che c’è?»

«C’è giù uno strano tipo che ti cerca. Dice di essere tuo amico» lui assottigliò gli occhi, lei fece i conti con una fantasia fin troppo galoppante che le propinava la figura di Seung-Hyun, davanti all’ingresso, pronto a chiederle scusa e di trascorrere assieme quei pochi giorni che ancora restavano «Emily aveva ragione quando diceva che ti circondavi di gente strana. E io che credevo fosse solo paranoica!»

Roteò gli occhi prima di superarlo col cuore che le si era incastrato in gola ma quando scese l’ultimo gradino, si ritrovò di fronte uno dei suoi più grandi incubi…

«Oh, Linnie, che piacere vederti!»

Kwon Ji Yong… Vestito da scemo come suo solito. Con dei capelli a dir poco imbarazzanti, che facevano a gara con quel taglio alla moicana che aveva quasi fatto venire una sincope a Emily, quando aveva quindici anni.

Questo è un incubo… «Che sei venuto a fare?»

«Lindsay Cherilyn Moore, ma che modi sono?» Chyoko la fissò arcigna, rivolgendo poi un sorriso zuccheroso a quel pavone gongolante che per quell’occasione tutt’altro che gradita, sfoggiava una mise da far invidia a un pappagallo. C’era un limite di colori che la gente poteva indossare eccheccazzo!

La ragazza roteò gli occhi «Di grazia, a cosa devo la tua sgradevole visita?»

«Lindsay—»

«Ho detto “Di grazia”!» aprì le braccia, storcendo il naso quando il gallinaceo si mise a ridere.

«Perdonala, non fa sempre così. Quando la conosci è adorabile.» Chyoko si giustificò, come se ce ne fosse bisogno.

«Oh, ma lo so bene. Lindsay è proprio un amore.» le riservò un sorrisetto al miele e lei per poco non gli vomitò sulle scarpe sbrilluccicanti. Incredibile che qualcuno avesse prodotto scarpe così brutte. Ancora più incredibile era che qualcuno le avesse comprate, delle scarpe così brutte.

Mark l’aveva affiancata, grattandosi la folta barba «Ti prego non dirmi che è lui Seung-Hyun.» aveva mormorato al suo orecchio, facendole contorcere il volto in una maschera di puro disgusto. Ma che andava blaterando?! Cerco che quell’arcobaleno umano non era Seung-Hyun! Aveva buon gusto in fatto di uomini, lei!

La donna rimase a parlare con la sua nemesi per cinque minuti buoni, minuti in cui Lindsay si chiese perché un tornado non fosse ancora passato di lì pur di far finire quel teatrino pressoché orribile. Si chiese quanto ci avrebbe messo quell’idiota a mandare in pappa il cervello dei suoi «Possiamo offrirti qualcosa?»

Scosse la nuca «Non mi tratterò a lungo, devo solo parlare con Lindsay.»

Chyo insistette ancora un po’ e quando parve soddisfatta, trascinò via Minji e suo padre che, ancora sconvolto, continuava a ripetere «Quello ha i capelli rosa. Rosa!» sotto la risata della donna che, gioviale, aveva mormorato qualcosa come «A me sembra simpatico!»

Raccapricciante, sul serio…

Il ragazzo si avvicinò «Tua madre è una bella donna.»

«Non è mia madre.»

«Quel che è…» si grattò la nuca «Ma non puoi prendere i complimenti per come vengono e dire grazie?»

Lin arcuò un sopracciglio, assunse la sua solita aria strafottente prima di concentrarsi sul suo viso «Che hai fatto al labbro?»

«Un regalo del tuo tesoro…» Lin imprecò, Mark la rimproverò «Oh, tranquilla, anche io gliene ho lasciato uno!» cinguettò maligno, vedendola sbatacchiare le palpebre, confusa.

«Che Diavolo avete—»

«Non qui…» con un cenno del capo indicò la cucina «È una faccenda privata.» seguitò melenso, posandole un braccio sulla spalla. Lin si divincolò, facendogli segno di seguirla in camera propria. Solo dopo aver aperto la porta si rese però conto di quanto pericoloso fosse condurre quel babbeo nella propria tana e non perché avesse il timore di vederselo zompare addosso, quanto più perché si era dimenticata di un piccolo, minuscolo particolare…

«È Barbie la tua arredatrice?»

Le pareti della sua camera. Rosa. Rosa brillante, a dire il vero.

Si portò una mano sugli occhi «Azzardati a fare qualche commento e il labbro non sarà l’unica cosa rotta che avrai.»

«Il rosa è il colore preferito di Seung-Hyun, lo sapevi?»

«No. Allora, cos’avete combinato?» ignorò volutamente le sue frecciatine, studiando il suo labbro spaccato.

Sollevò le spalle «Abbiamo discusso ed è finita alle mani» Lin arcuò un sopracciglio, non ce li vedeva proprio ‘sti due a prendersi a scazzottate «E tutto per te, non sei felice?» gli rifilò un bel medio alzato e quello l’accolse con un sospiro sognante «Lo sai che mi mancherà questa tua spontaneità? E mancherà anche a lui, puoi starne certa!»

«Seh, immagino…» sfiatò atona, studiandosi le unghie. Quando la sua voce da gallinaceo non gli corrose più le orecchie, Lin ne fu dapprima felice… Fino a che non si rese conto che un Ji Yong silenzioso sapeva essere peggiore di un Ji Yong in vena di chiacchiere.

E infatti eccolo là, il pennuto, con in mano una copia de “I ponti di Madison County”, che se lo sfogliava manco avesse avuto tra le grinfie la biografia segreta di Jim Morrison.

«In un universo di ambiguità, questo genere di certezze viene una volta e una soltanto, per quante vite si possano vivere» lo sventolò «America, che carina! L’hai addirittura sottolineata--»

«Da qua!» lo prese tra due dita, guardandolo schifata «Adesso dovrò disinfettarlo.»

«Ti facevo più un tipo da Misery» l’angolo destro delle labbra guizzò all’insù «Seung-Hyun sa di questo tuo lato romantico?»

«È di Ginko, l’ha dimenticato qui» esalò tetra, gettandolo nella borsa «Allora? Cosa c’è?» arrivò al dunque, dimentica per un attimo che quello fosse un completo idiota.

«Andiamo, così mi deludi» arricciò le labbra, offeso «Dovresti già aver intuito perché sono qui.»

«Probabilmente il Karma ha deciso di farmela pagare mandando te. Oppure sei l’ultima piaga di Corea o--»

L’idiota scoppiò a ridere «America, dove la trovo un’altra con il tuo mordente?» confessò ilare, scoccandole un occhiolino che la fece sbuffare; quando il principe della coglionaggine si riprese, sentenziò un serio «Ad ogni modo, sono qui per Seung-Hyun…» che il cuore glielo fece battere a velocità impressionante, quasi da poterlo vedere uscire e scodinzolare per la stanza. Che altro avevano da dirsi, ancora?  

Lin si riparò in un abbraccio, deglutendo «Che c’è ancora?»

E Ji Yong assunse un’espressione tremebonda, quasi quella situazione lo stesse svuotando di ogni energia «Non torna.»

Sbatacchiò le palpebre «Non torna?»

Annuì «Non torna… È andato a stare da Se7en hyung e non vuole saperne di tornare. Viene a lavoro ma non ci parla. Devia le chiamate, non risponde ai messaggi, scende dopo in mensa a mangiare pur di non dover stare con noi…» Ji Yong portò le mani in tasca, guardandosi attorno «E’ convinto che tutti sapessero.»

Che idiota… Lo guardò con un sopracciglio arcuato «E quindi?»

Ji Yong smise di dondolarsi, guardandola con un sorriso nervoso «E quindi? Tu ti lasci dietro un casino immane e tutto ciò che riesci a dirmi è: e quindi?»

Alzò le spalle «Che dovrei fare, scusa? Correre da lui e portarvelo a calci?»

«Se servisse a qualcosa—»

«Scordatelo. Non ho voglia di discutere di nuovo» Ji Yong arcuò un sopracciglio «È stato abbastanza chiaro: non vuole più avere nulla a che fare con me.» sentenziò secca, mettendo fine a quell’assurda discussione.

Il maledetto però, il cui sorriso persisteva nonostante il suo palese fastidio nel trovarselo a pochi metri di distanza, si limitò ad alzare le spalle, guardandola come se fosse stupida «E tu? Non vuoi più averci nulla a che fare?»

Ora fu lei a guardarlo come se fosse scemo «Ha importanza?» Lindsay si stropicciò gli occhi «Tanto mi odia…»

Scoccò la lingua «Era arrabbiato. Non ricordi quanto fosse odioso quando ce l’aveva con te?» oh, certo che se lo ricordava! E quella sera non aveva disilluso i suoi ricordi: gli occhi affilati, la mascella serrata, le mani strette a pugno tanto da far divenire le nocche bianche… Seung-Hyun incazzato era un’immagine troppo forte per riguardarsela ad occhi aperti, senza sentire le viscere contorcersi «La verità è che ti vuole ancora bene, per questo è così incazzato.»

Lin lo fissò incerta, passandosi le mani fra i capelli prima di lasciarle scivolare sui fianchi «E quindi? Che dovrei fare?»

E lui sorrise in una maniera che non le piacque affatto, quello stesso sorriso che molte volte le aveva rivolto prima di iniziare uno dei suoi stupidi giochetti… Quello lo stesso sorriso strano che le aveva regalato alla festa, contorno di un sibillino «Continuate a farmi divertire.» 

Questa volta però non sembrava divertito e nel giro di una deglutizione e un respiro tarpato, Lindsay si rese conto che la sua vita a Seoul non era ancora terminata…

«Essere sincera, America. Completamente.»    

*************

«Ti decidi a scendere o no?»

Lin continuava a fissare il finestrino su cui si rincorrevano minuscole goccioline di pioggia «È una stronzata.» esalò sfiancata. Ah, la sua proverbiale rozzezza! Come avrebbe potuto vivere senza, come?

Si rilassò, fissando il cruscotto illuminato «Non lo è» proferì secco «Devi solo parlargli.»

«Come se fosse facile» si mosse a disagio sul sedile, cominciando a picchiettare il finestrino con un l’indice «Quando avevo otto anni, sono andata in cucina e ho visto mia madre in lacrime mentre mio padre era già sulla porta. Non si è nemmeno fermato a salutarmi prima di andarsene. Ricordo che sono stata tutto il tempo alla finestra mentre vedevo il taxi giallo scomparire con la speranza che tornasse. Quando mia madre ha chiuso le tapparelle, ho capito che non lo avrebbe fatto. Non si è fatto sentire per anni e poi un giorno è ritornato con questa donna coreana che teneva stretta un fagottino minuscolo» Ji Yong la guardò di sottecchi «Credo sia cominciato tutto lì. I ragazzi, gli incontri occasionali… Non volevo ridurmi come mia madre.»

«Seung-Hyun lo sa?»

«Non l’ho mai detto a nessuno» bisbigliò, stropicciandosi gli occhi «Non volevo si ripetesse una cosa del genere.»

«E invece è successo, mh?»  

La ragazza non fiatò, limitandosi a sollevare le spalle e regalargli un pesante silenzio, di quelli che forse solo uno come Seung-Hyun sarebbe riuscito ad alleggerire.

«Lindsay» la chiamò piano «Va' da lui… Vi meritate un po’ di felicità.» e se la meritavano davvero. E non perché fossero le sue cavie adorate, le migliori che avesse mai avuto, andava specificato!, tantomeno perché la loro unione era forse stato il capolavoro migliore che avesse mai creato, no… Se la meritavano perché erano suoi amici e, faticava ad ammetterlo, vederli entrambi così succubi delle loro paure erano uno spettacolo tremendo. Non pensava che i suoi giochetti sarebbero arrivati a tanto…

«E se fosse troppo tardi?»

La sua voce assorta lo ridestò «America, sono le nove. Probabilmente starà piangendo di fronte a Titanic—»

«No, tardi nel senso di—» deglutì, guardandolo con occhi larghi e mani che gesticolavano «Hai capito.»

«Veramente no.»

La vide roteare gli occhi «E se non mi amasse più?»

E di fronte al suo sincero dubbio, una risata spontanea gli sfuggì incontrollata «Quello non smetterebbe di amarti neppure tra un milione di anni. Funziona così a volte, sai? Certi amori restano, che tu lo voglia o no.» si appiattì sul sedile, godendosi il silenzio che le sue parole si erano trascinate dietro.

Dio solo sapeva quanto Seung-Hyun fosse ancora invischiato in quel sentimento incatramante. Lei non aveva idea di cosa volesse dire vederlo alzarsi e muoversi per forza di inerzia, senza vitalità alcuna, solo per arrivare a fine giornata e stendersi a dormire spossato così da non doverla pensare. E vederlo tremare quando il suo nome veniva pronunciato, vedere i suoi occhi brillare in mezzo alla loro vuotezza quando si ricordava di lei… Era uno spettacolo magnifico Seung-Hyun innamorato, davvero, emanava una bellezza che andava oltre il normale. E nonostante la rabbia, i dissapori e la delusione, era confortante vedere quanto ancora gli fosse cara.

Probabilmente andare fin lì era stata un’altra delle tante sue pessime idee ma quando il clack della portiera che si apriva divenne reale e lo scrosciare della pioggia non fu più ovattato, Ji Yong si ritrovò a sorridere sotto i baffi, conscio che America non lo pensava allo stesso modo. Si voltò a guardarlo, le labbra tremanti e gli occhi che saettavano da una parte all’altra dell’auto.

Ji Yong mise in moto, intenzionato a liberarsene il più in fretta possibile «Ora sta a te.»

Lindsay annuì e si gettò nella pioggia e Ji Yong, dopo un sacco di tempo, riuscì a intravedere la propria coscienza che faceva la standing-ovation, applaudiva e gli diceva qualcosa come «Questo è il mio ragazzo!»

La portiera del passeggero si aprì di colpo, facendolo sobbalzare «A proposito, va’ da lei e ridalle questo» i "Ponti di Madison County" si schiantarono sulle sue cosce «Te la meriti anche tu un po’ di felicità.» e Lin gli sorrise, sincera, incoraggiante… Era la prima volta dacché si erano conosciuti che si comportava con così tanta gentilezza.

Era anche la prima volta che Ji Yong decise di seguire il consiglio di qualcuno che non fosse sè stesso.

********


La prima volta in cui era piombata in casa di Se7en, lei e Seung-Hyun avevano parlato di gente che sta addosso meglio dei maglioni e di come certi ragazzi fossero buoni solo per fare da coperta, altre volte nemmeno quello. Ferma in ascensore, osservando i numeri colorarsi ad ogni piano raggiunto, Lindsay si rese conto che parlare con così tanta naturalezza di quelle che per lei non erano affatto banalità, non sarebbe stato affatto facile. E trovare qualcuno che l'ascoltava con attenzione, nemmeno stesse parlando della pensiero di Kant, si sarebbe rivelato complicato.

Il “ding” delle porte che si aprivano la ridestò e un miliardo di brividi le percorsero la schiena mentre si avvicinava piano all’appartamento, il desiderio irrefrenabile di scappare a pulsare prepotente. Bussò, speranzosa che nessuno dall’altra parte venisse ad aprirle e subito si ritrovò a sorridere per la propria stupidità perché, infondo, Lindsay sarebbe rimasta sempre una codarda. Lei si lavava la coscienza così, dava la colpa agli altri dicendosi «C’ho provato ma non è andata.» scrollandosi di dosso la colpa.

A differenza però di quella piccola bambina in salotto che attendeva l’arrivo del papà e continuava a darsi una colpa che in realtà non aveva… Questa volta ce l’aveva eccome. Se fosse stata sincera sin dall’inizio, se gli avesse permesso di prendere le sue decisioni senza obbligarlo a sottostare alle proprie paure e regole, se si fosse lasciata amare per vedere fino a che punto sarebbero potuti arrivare... Forse avrebbero potuto vivere tutti quei mesi in piena serenità.

«Lindsay?» Se7en la fissò sorpreso e Lin tornò a respirare «Cosa--»

«Devo parlare con Seung-Hyun» lui arcuò un sopracciglio, allora lei fece un breve inchino «Scusami per essere piombata qui a quest’ora.»

Le sue labbra si appianarono in un sorrisetto, che stonava con la fronte corrugata «È uscito.»

«Ah… Allora lo aspetto qui fuori» ma di fronte al suo mutismo, cambiò idea «Ripensandoci è meglio se me ne torno a casa.»

Ma il ragazzo si aprì in un sorriso, facendole spazio per entrare «Nah, entra pure. Non sta bene far attendere una signorina sulla porta e poi tra poco sarà di ritorno. Sono sicuro che gli farà piacere vederti.»

«Seh.»

Scoppiò a ridere «Dico sul serio!» le fece l’occhiolino «Dai su, ti offro un po’ di the. E dei vestiti, sei fradicia.»

Anche la prima volta che era entrata in casa sua le aveva dato dei vestiti puliti. E Seung-Hyun l’aveva tenuta stretta tutta notte.

Dubitava l’avrebbe fatto ancora.

************

Qualcosa non andava più come doveva andare. Poteva avvertirlo nell’aria, nell’atmosfera che respirava ogni volta che posava un piede fuori dal letto, venendo rivestito da uno strato di spesso grigiore che mai lo aveva attanagliato così tanto. Almeno, non in maniera così profonda. Era quella classica situazione in cui apriva gli occhi e si diceva: «Ma che cazzo mi alzo a fare? Anzi, perché non sono già morto?»

Patetico, decisamente. E poco Seunghiesco, doveva ammettere anche ciò. Che Lindsay fosse divenuta un tassello fondamentale della sua vita, lo aveva ormai capito da tempo; che non riuscisse a dimenticarla nonostante l’odio e il rancore che serbava per lei, questo andava oltre la sua capacità di metabolizzazione. Perché era così che doveva andare: la amavi, la odiavi e te ne dimenticavi.

«Dong, va che al supermercato hanno finito—Che cazzo…» quelle converse logore all'ingresso le avrebbe riconosciute fra mille. E pensare che lui adorava quando le donne camminavano sui tacchi alti, mettendo in mostra la loro sensualità. Incredibile invece che avesse imparato ad adorare una ragazza con indosso un paio di scarpe da ginnastica, trovandola addirittura ammaliante.

Si precipitò in cucina ma di Lindsay non v’era traccia. C’era solo Se7en, due tazze di the e quel suo sorrisetto strafottente condito con un melenso «Bentornato tesoro!» che non fece scemare affatto la rabbia.

Sbatté la busta sul tavolo «Dov’è?» domandò con sospensione, incapace di gestire quel mix tra gioia e fastidio che il suo organismo continuava a buttare in circolo. Il padrone di casa lo guardò, sospirò, poi tornò a trangugiare the con invidiabile tranquillità. Che.Stronzo «Dov’è?» ripeté con forza, la mascella serrata, i pugni chiusi e la voglia disperata di spaccare tutto.

«In camera tua. Era fradicia, le ho detto che poteva cambiarsi di là.»

«Le hai dato i miei vestiti?!» Bravo, focalizzati sulle cazzate!

«No, quelli di Han-byul» roteò gli occhi «Ma si può sapere qual è il tuo problema?»

«E’ lei il mio problema, lo sai bene—»

Dong-Wook a quel punto sbatté la mano sul tavolo, visibilmente innervosito «Senti, potresti smettere di essere incazzato per un attimo e aprire gli occhi?» Pure lui, fantastico… «Io capisco anche te, ma nessuno sembra aver capito lei...» seguitò più calmo, lambendolo con sguardo delicato «Ti costa tanto provare a capirla?»

«L’ho già fatto per troppo tempo, sono stufo.»

«E allora lasciala parlare, per una volta che vuole farlo…»

Seung-Hyun si stropicciò il volto e senza più aver la forza di ribattere, percorse il corridoio con lentezza estenuante, ripetendosi nella mente tutte quelle frasi preparate apposta per un’occasione del genere: vattene, non voglio più vederti, esci dalla mia vita e il sempre classico «Sei una stronza.». Aprì la porta con rinnovato desiderio di fuga, avvertendo i muscoli tendersi come fili di un’arpa quando scorse la sua figura svagata afflosciata sulla sedia della scrivania… 

«Seung-Hyun, ehi--»

E gli fu subito chiaro come tutte quelle frasi, non sarebbero mai state pronunciate.

«Chi ti ha detto che ero qui?»

«Ji Yong. Ma gli occhiali da sole?»

«Quello stronzo.»

«Perché li porti? Fuori è buio.»

«Hai bisogno di qualcosa? A parte infastidirmi, ovvio.»

Lin si sollevò, lasciandosi le pieghe della maglietta che lasciava scoperte le lunghe gambe chiare «Dobbiamo parlare. Mh, da dove comincio...»

«Avanti, sentiamo…» ma lei rimase immobile, torturandosi le dita. Si tolse gli occhiali con stizza, mettendo in bella mostra l’occhio nero «Senti, se non devi dirmi nulla puoi anche andartene--»

«Tu sei un imprevisto» ma le sue parole, ferree, lo pietrificarono «Dovevo stare qui solo per qualche mese, il tempo di far sbollire mia madre e capire cosa volessi fare, non ho mai pensato di fermarmi qui per il resto dei miei giorni. Insomma… Seul non c’entra niente con New York, non è casa mia… E poi sei arrivato tu» portò dietro le orecchie i lunghi capelli umidi «Quando ci siamo incontrati, mi hai fatto venire la voglia di tornarmene indietro e non mettere piede qui mai più perché, ammettiamolo, eri davvero un cretino e porco cane se mi stavi sulle palle» Seung-Hyun si irrigidì «Eri borioso, arrogante, ridicolo, mi trattavi male senza alcun motivo, detestabile, borioso, arrogante, borioso--»

«Non che tu fossi questo granché.» la interruppe brusco, fissandola arcigno.

Lin gonfiò le guance, deglutendo altri aggettivi poco lusinghieri «Io lo so di essere pessima. Ho un brutto carattere, parlo poco e quando lo faccio, combino solo guai e sono maleducata però tu—Tu hai voluto conoscermi lo stesso e… Non lo so, ma il fatto che uno come te abbia deciso di avere a che fare con una come me, mi ha fatto piacere--»

«Talmente tanto piacere che hai deciso di andartene» tamburellò le dita sulle gambe «Sai cosa mi fa incazzare di tutto questo?» Lin tornò a guardarlo, intimorita «È che io ho provato in tutti i modi a seguire i tuoi tempi, perché avevo il terrore che tu potessi andartene e guarda un po’?, non è servito assolutamente a niente! Tu te ne andrai, lasciandomi solo e--»

«Tu sarai da solo…?» lo frenò, sbalordita «E io non sarò da sola, a New York?» sbatté le mani sui fianchi «Tu qui hai i tuoi amici, Ginko, i tuoi genitori, io invece no--»

«L’hai scelto tu di tagliarci fuori.»

«Io non vi ho tagliato fuori, io ho fatto una scelta e se non la trovi giusta… Beh, lo è per me, anche se questo significa andarmene!» le parole rotolarono fuori con rabbia ma Lin si stropicciò il volto, riacquistando un po’ di calma «Non posso chiederti di venire con me, la tua vita è qui» si morse il labbro e a quelle parole, Lindsay ottenne la sua completa attenzione «Ci sono state delle volte in cui ho pensato a noi due insieme. Insieme sul serio» si torturava le mani, alla ricerca di un mucchio di parole che nella propria mente le erano sembrate adatte ma che ora, pronunciate ad alta voce, la facevano sentire stupida «Tipo… Avere una casa tutta nostra, stare assieme. Avere dei figli no però, sarebbe davvero troppo» storse il naso «Ci ho pensato sul serio ma non è la cosa che voglio. Non così…»

Seung-Hyun si passò le mani sul volto, sembrava esasperato «Così come?»

«Con te che torni dal lavoro che ti piace mentre io mi preparo per andare al Tribeca, finiamo per litigare e ci lasciamo.» sciorinò con velocità, senza dilungarsi in dettagli futili.

Seung-Hyun arcuò le sopracciglia, una risata nervosa gli sfuggì «Come fai ad essere così sicura che andrà a finire così?»

«Perché l’amore non dura per sempre» si grattò il naso «È una cosa che mi dice sempre mia madre ed è forse l’unica cosa su cui andiamo d’accordo…»

«Non sono tutti come i tuoi» si massaggiò la nuca, la rabbia sembrava scemare a poco a poco «I miei si amano ancora.» aprì le braccia, come se quella spiegazione potesse cancellare i suoi lunghi anni di solitudine. Il fatto era che non li cancellava, affatto.

«Ma io lo sono…»

«Non puoi saperlo.»

«Nemmeno tu… Guarda come ci siamo ridotti» gli sorrise amara «Non era mia intenzione farti del male ma te l’avevo detto, sapevo che te ne avrei fatto… Quando resto, gli altri non sono felici.»

«Non mi hai mai chiesto cosa ne penso io, però!» Seung-Hyun alzo la voce, stanco «Tu dai per scontato che gli altri debbano restare feriti senza nemmeno chiederti quanto bene fai a loro. Perché tu ne fai, per quanto possa sembrarti impossibile... Ci sono un mucchio di persone che si sentiranno sole senza di te, significa che forse qualcosa di buono l’hai fatto.»

Lin a quel punto si ammutolì. Si guardò i piedi, si torturò i capelli e le mani. Ancora una volta si riparò dietro quel suo solito muro di diffidenza che lui, nonostante la buona volontà, non aveva distrutto completamente.

Seung-Hyun si spazientì, era davvero arrivo al limite «Non posso capirti se non mi parli…» e quando Lindsay tornò a guardarlo, si disse che dovevano smettere di rincorrersi «O adesso o mai più.»

************


Era un ultimatum. O parlava o quella era la porta.

Si disse che sarebbe stato facile andarsene, superarlo senza dire una parola, lasciandogli credere ancora una volta che lei non aveva niente da offrirgli, che tutto quello che c’era stato altro non era che un piacevole passatempo sfociato in qualcosa di incontrollabile perfino per lei. Ma in quel momento si spinse più in là un altro pensiero: cosa sarebbe successo se i suoi non avessero divorziato? Era un pensiero fugace, passava di là di tanto in tanto solo per rammentarle che in lei c’era un po’ di entrambi e forse per questo era incapace di amare e lasciarsi amare. Solitamente bussava quando qualche ragazzo l’aveva piantata perché «Porca miseria se sei stronza!» o quando era lei a piantarli con degli annoiati «Sta diventando tutto troppo.» che non facevano male alcuno.

«Sono così terrorizzata» portò le mani fra i capelli, avvertendo il cuore farsi più leggero. Fu come se quella confessione fosse sempre stata lì, a corroderla. Lindsay era rimasta ferma a quella mattina di otto fa, con ben stampata in mente l’immagine di suo padre che se ne andava e sua madre in lacrime «Ho così paura di finire come i miei genitori che il solo pensiero, mi fa mancare l’aria.»

«Lindsay--»

«Avevo otto anni e Mark se n’è andato senza nemmeno salutarmi. Vedevo mia madre piangere e se cercavo di parlare di papà lei impazziva, si arrabbiava così tanto che finivamo col litigare. Per tutto questo tempo ho pensato che fosse colpa mia perché per anni non si è fatto più sentire, nemmeno una chiamata… E poi è tornato. Si era risposato con questa donna coreana, teneva Minji fra le braccia e la guardava come aveva sempre guardato a me. Mi ha detto: questa è tua sorella, e io ero così distrutta e arrabbiata perché mi sono sentita messa da parte» tirò su col naso «Era stato così facile per lui rifarsi una vita che ho pensato che forse di me e di Emily non gli era mai importato granché…» prese un respiro, chiedendosi perché non la stesse interrompendo o cacciando fuori a calci e, peggio, non riusciva a decifrare il suo sguardo «Ricordo che passavo le estati qui standomene chiusa in camera e se Minji tentava di avvicinarsi, le lanciavo i giocattoli contro» ridacchiò frivolmente al ricordo dei piagnistei della bimba mentre lei veniva rimproverata, stretta in un angolino «Fino a che non sono cresciuta e ho preferito non tornare più. Vederlo così felice, come se noi nemmeno esistessimo… Non lo so, ho cominciato a credere che forse davvero gli altri stanno meglio senza di me…» Seung-Hyun scosse la nuca e lei continuò «Poi sono arrivati i ragazzi. Io… Io avevo così paura di finire come loro due che finivo per scappare, quando le cose si facevano serie, me ne andavo prima ancora di capire se effettivamente provassi qualcosa o no ma con te—Tu…» lo guardò negli occhi, fregandosene del proprio imbarazzo, delle guance rosse o del trucco colato «Tu ti sei rivelato migliore di quanto avessi potuto immaginare, di tutti i ragazzi che ho frequentato. Sei buono, gentile, quando mi comporto male riesci sempre a salvare tutto e anche se non te l’ho mai detto, ho apprezzato ogni cosa che hai fatto per me: ascoltarmi, capirmi… Credo di essere rimasta per questo: riesci a capirmi e non fai nulla per cambiarmi, come se ti piacessi davvero così come sono.» le stava costando una fatica immane mettersi completamente a nudo ma per Seung-Hyun, che ancora una volta restava ad ascoltarla, lo avrebbe fatto, anche se ciò significava calpestare il proprio orgoglio già bello che in poltiglia.

«Tu mi piaci davvero come sei» fu l’unica cosa che le disse, con una delicatezza che ancora si chiedeva da dove la tirasse fuori, per lei poi!, che si era comportata come la peggiore delle stronze «Sapevo benissimo com’eri e cosa volevi, sei stata molto chiara ma speravo—Avevo la presunzione che con me saresti diventata una persona migliore e--» si passò le mani sul volto «Perché sei rimasta con me, per tutto questo tempo?» glielo chiese rassegnato ma nei suoi occhi c’era una vividezza che la impalò lì, vicino alla scrivania, con le mani attorcigliate e l’espressione vacua. 

La parola sbagliata, anche la più piccola sillaba, avrebbe rotto quel momento di sospensione in cui lui sembrava ancora cercare una soluzione per salvarli. Perché lui voleva salvarli sempre, anche quando era troppo tardi o lei era troppo stupida.

La vecchia Lindsay, succube delle proprie paure, avrebbe detto qualcosa tipo «Per il sesso, che altro?» dimostrando apatia nel vedere il suo viso creparsi, lasciando spazio alla sofferenza e a quel punto sarebbe stato facile andarsene, vanificando mesi e mesi di sforzi per non far colare tutto a picco. Ma quella frase non le passò nemmeno per la testa. Non di fronte ai suoi occhi, alle sue labbra serrate, alle mani strette dalle nocche bianche e all’amore che ancora continuava a dimostrarle, imperterrito.

Fu un sincero «Mi fai sentire abbastanza, come se valessi effettivamente qualcosa…»

«Essere sincera, America. Completamente.»


«E ti amo, che altro?»

***********


Quante volte aveva immaginato quel momento?

Di Lindsay che diceva di amarlo. Tante, talmente tante che quel pensiero dapprima eccitante era divenuto quasi uno spettro che passava a salutarlo, divenendo parte integrante delle sue giornate. Ci pensava quando non riusciva a dormire, mentre era in macchina, quando guardava un film, quando si ritrovava nel bel mezzo di una conversazione di cui, francamente, poco gliene fregava… E c’era lei. Con i capelli sciolti, legati, un vestito a fiori, un paio di jeans, le converse, gli stivali. A volte c’era la neve, altre la pioggia, altre ancora era sotto le coperte, durante la colazione, al parco, davanti alla tv, al Tribeca, sul portico di casa sua… Si era fatto un mucchio di film, giocando a proprio piacimento su ogni singola scena, cambiando le parole, le sue espressioni ma la propria felicità, quel senso di benessere che gli faceva dire «Era ora.», era sempre la stessa.

Di quella felicità a lungo immaginata, però, non v’era traccia.

C’era uno strano senso di vuoto a livello dello stomaco e la completa certezza che il suo incessante tremolio, fosse l’ennesimo addio…

«Di’ qualcosa.»

Era così… Vulnerabile.

«Di’ qualcosa, qualsiasi. Ma non andartene ancora, ti prego.»

Ed era reale.

Per la prima volta dacché la conobbe, Lindsay si dimostrò per quella che era: una ragazzina immatura incapace di barcamenarsi nei sentimenti, nelle situazioni difficile, che si appigliava all’amore che gli altri le davano e ci restava aggrappata per un po’, lasciandosi andare quando le acque si chetavano di nuovo. Una ragazzina spaventata, nulla di più.

E, non seppe spiegarsi perché, ma mandò completamente al Diavolo il cervello che continuava a dirgli di rispondere a quella sua confessione, di essere sincero una volta per tutte, così come lo era stata lei… E le si gettò addosso, riversando la propria frustrazione. La baciò, se la strinse contro, si lasciò trasportare dal fatto che Lindsay non lo respingesse e anzi, lo seguisse in quell’enorme cazzata. La fece sedere sulla scrivania e mise a tacere la coscienza mentre le sue gambe bianche si attorcigliavano alla sua vita.

Non era da lui sotterrare i dissapori con il sesso eppure, in quel momento, non aveva avuto che per la testa lei. Lei e il modo in cui sicuramente gli si sarebbe aggrappata per le spalle, i baci roventi, i suoi gemiti… Ma dove l’avrebbe trovata un’altra capace di mostrargli quanto, infondo, non fosse poi così diverso da tutti gli altri uomini?

Dopo che la scarica d’adrenalina si prosciugò, non riuscì ad allontanarsi da Lindsay. Che se ne restava lì aggrappata, una mano stretta sulla spalla e l’altra fra i capelli, il respiro affannato che andava affievolendosi contro il suo orecchio. Solo qualche minuto prima stava per dirle addio e ora si trovava lì, fra le sue gambe, domandandosi se fosse da maleducati chiederle un altro round. E in un impeto di rabbia, che continuava a rosicchiare tutto l’amore che provava per lei e che non se n’era mai andato, si disse che abbandonarla sarebbe stata la giusta punizione.

Punirla con la sua stessa moneta.

Lasciandola sola.

Andarsene con il ricordo di lei seduta su di una scrivania dalle cianfrusaglie sparpagliate, con la maglietta stropicciata e i lunghi capelli a incorniciare la sua figura, nascondendole il viso. Le avrebbe detto qualcosa come «Ora che hai avuto la tua scopata puoi anche andartene.» vendicando il suo ego calpestato, «Incontrarti è stata la cosa peggiore della mia vita.» riprendendosi un po’ di quella dignità che per lei aveva accantonato, «Meriti di stare da sola.» placando la sofferenza, «Tanto adesso è troppo tardi.» e mettere la parola “fine” su di loro. 

Una volta per tutte. 

Dopo tutto quello che aveva passato, una sorta di rivalsa gli sembrò quasi dovuta, come se i patimenti fossero serviti per giungere a quel punto, con lui che riprendeva in mano le redini della propria vita, una vita di cui Lindsay non faceva parte. Fu a quel pensiero che il fiato gli si mozzò in gola, costringendolo a chiedersi cosa cazzo stesse facendo: davvero abbandonarla sarebbe servito a qualcosa? Abbandonarla, non le avrebbe fatto cambiare idea e lui sarebbe comunque rimasto solo.

Usarle quel tipo di violenza, davvero lo avrebbe fatto stare meglio?

«Seung-Hyun…?»

Il suo nome risuonò incrinato e lui smise di pensare a tutto quello. Pensò invece che il proprio nome, pronunciato da lei, aveva davvero un suono diverso e non sapeva se ciò era dovuto al suo accento così particolare o a che altro, però gli piaceva. Gli piaceva il modo in cui si aggrappava quando lo facevano, il modo in cui le dita vagavano sul suo corpo con vacuità. I suoi sguardi adombrati, la sua risata, i suoi sorrisi mai dati così, tanto per... Solo perché ci teneva.

E gli sarebbe mancata.

«Resta.» per quella sera, per tutta la vita, ogni istante andava bene, francamente non gliene fregava più nulla.

Lin gli si aggrappò ancora di più, se possibile, quasi avesse il timore di vederlo scomparire da un momento all’altro «Devo avvisare a casa.» e tuttavia gli ricordò che, in fondo, quello sarebbe prima o poi finito.


A Vip’s corner:
Che dire?
Credo sia un miracolo essere ritornata qui. Un po’ è colpa dell’ispirazione volata verso altri lidi SHINee vi odio e un po’ perché… Boh? Ho attraversato una fase in cui sono stata seriamente tentata di cancellare tutto da EFP e sparire per sempre e no, non c’entra niente il fattore recensioni/lettori o che altro, semplicemente ero entrata in crisi per motivi miei.
Ad ogni modo bom, più o meno è stata superata e quindi eccomi qua… Con ‘sta roba, ngh.
Ammetto di non riuscire a giudicarla. A tratti mi piace, altre cose le cambierei volentieri ma ahimè non saprei proprio dove mettere le mani. Mi pare che tutto sia stato districato con frettolosità, eppure non ho tralasciato nulla di quello che volevo dire.
La dichiarazione di Lin è quel che è: mi imbarazzo a riceverne e dirne, figurarsi scriverle. Spero l’apprezziate comunque, anche perché è la prima volta che effettivamente si mette in mostra sul serio quindi non posso che essere soddisfatta del risultato. Su Seung-Hyun, Gd e la scazzottata non mi pronuncio XD Posso solo dire che è tutto voluto, non mi sono ammattita di colpo e che sì, anche se non sembra ho la situazione sotto controllo ^^
Ci avviciniamo alla fine, penso saranno ancora un due, tre capitoli + epilogo ma mi prendo la libertà di scriverne qualcuno in più se vedo che sto andando oltre la lunghezza massima (so che apprezzate quando scrivo un sacco ma non voglio farvi morire).

Ringrazio infinitamente quelle squisitezze di giorgtaker, xxxibgdrgn88 e Rachel_Daae per aver lasciato una recensione al precedente capitolo. Vi cospargo di amore cosmico e infiniti ringraziamenti. Ringrazio anche chi ha aggiunto la storia fra le seguite/ricordate/preferite
Chiunque avesse voglia di lasciarmi detto cosa ne pensa, è sempre il benvenuto :)

Alla prossima,
HeavenIsInYourEyes.

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Capitolo 35
*** Everybody’s gotta learn sometime ***


Capitolo 35
Capitolo 35
Everybody’s gotta learn sometime

“So give me strength to face this test tonight.
If only I could turn back time,
If only I had said what I still hide,
If only I could turn back time, I would stay for the night.”

-Turn back time, Aqua-






«Credi che faranno pace?» Ginko smise di inseguire con lo sguardo le gocce che gareggiavano sulla finestra, sormontando quel silenzio spezzato dallo scrosciare della pioggia.

«Forse. Se America non rovina tutto.»

Non seppe spiegarsi cosa ci fosse di strano in tutto quello, se la figura di Ji Yong stesa nel futon affianco a lei, quella conversazione cominciata più per riempitivo nel buio della sua stanza o il fatto che si fosse presentato a casa sua con in mano il suo libro dei Ponti di Madison County dicendole qualcosa come «Fossi in te farei attenzione: secondo me America ha usato il proprio sputo come segnalibro.», con conseguente crisi isterica e vano tentativo di cacciarlo, per poi arrendersi alla prima evidenza: Ji Yong sarebbe comunque entrato in casa, che lo volesse o meno. E lei non avrebbe opposto resistenza, che lo volesse o meno. Non lo fece per stupidità o ingenuità, semplicemente quando la gente la guardava con certi occhi pieni di un mucchio di cose, lei non riusciva a voltar loro le spalle. 

E quelli di Ji Yong, oltre la soglia, erano gli occhi più tristi che avesse mai visto.

«Perché dai per scontato che sarà colpa sua?!»

«Hai presente Sid e Nancy? Ecco, lei in questo momento è Sid Vicious

Anzi, decisamente più strano era che Ji Yong fosse ancora vestito, senza intentare nessuna avance o chiederle chissà quale performance tra le lenzuola. Stava sdraiato, una mano dietro la testa e l’altra sull’addome, immobile, con lo sguardo rivolto al soffitto su cui pendevano piccole lanterne dagli svariati colori –che lui ovviamente aveva criticato-.

Ginko, d’altro canto, gli dava la schiena standosene rannicchiata sul fianco, evitando qualsiasi movimento che avrebbe potuto farli avvicinare ulteriormente. E sì che avrebbe voluto dormire in soggiorno ma lui le aveva detto «Tanto non ho sonno.» e lei non aveva capito più nulla, perché quello era stato un chiaro invito a restare –chiaro per gli standard di GD, ovvio-.

Si accovacciò di più, come ogni notte che c’era la pioggia «Ti sei divertito almeno?» glielo chiese con una punta di fastidio, non capacitandosi di come qualcuno potesse giocare coi sentimenti dei propri amici incurante di poterli calpestare.

«All’inizio. Poi non più. Quei due sono così imprevedibili…» mormorò apatico, stiracchiandosi «Prendi America, che se ne va alla Columbia.»

Sembrava una di quelle sere cariche di aspettative, quando nell’aria si potevano respirare tutte quelle domande scomode che di solito si mettono da parte per non creare situazioni imbarazzanti ma che ora, se pronunciate nel momento esatto, avrebbero schiuso una miriade di portoni. Aveva però imparato a mettersi da parte, quando di mezzo c’erano Lindsay e Seung-Hyun; del resto se uno di quei ragazzi che aveva sempre creduto di poter sfiorare solo in sogno si trovava lì, non era di certo grazie a sé stessa.

«Sta facendo la cosa giusta.» puntualizzò celere, avvertendo lo stomaco attorcigliarsi. Si sentiva così in colpa per averla trattata male da sentirsi in dovere di difenderla.

«Dillo a Seung-Hyun… Quando crescerà e si accorgerà di quanto tempo ha sprecato, se ne pentirà.» sbottò caustico, massaggiandosi le labbra su cui svettava un cerotto delle Super chicche –perché Ginko aveva solo quelli e Dio solo sapeva quanto tempo le fosse costato perché quell’idiota non se lo togliesse, manco avesse i paparazzi in casa-.

«È per questo che vi siete picchiati?» quando non udì risposta, proseguì «Siete due bambini. La violenza non risolve le cose.»

«Grazie Gandhi, lo terrò a mente per la prossima volta.»

«Sono seria, Ji Yong…» sbuffò stanca, voltandosi verso di lui, scontrandosi con il suo profilo delicato.

«Una scazzottata ogni tanto fa bene. Tra noi uomini funziona così… E poi America non c’entrava più da un po’.» confessò, sorprendendola. Fu come se GD le stesse permettendo di soggiornare nel suo cervello, a patto che si togliesse le scarpe e non mettesse troppo in disordine.

Ginko si contenne, morse un dito pur di trattenere i suoi isterismi da ragazzina, ricordandosi che per quella notte stava avendo a che fare con Kwon Ji Yong e non G-Dragon e avvenimenti di tale portata, andavano preservati con cura quasi maniacale «Che intendi?».

«Le cose non andavano bene già da un po’, ma abbiamo preferito far finta di nulla. Sostiene che sono cambiato e la sai una cosa?» rise un poco, coprendosi gli occhi con il braccio «Seung-Hyun ha ragione, forse non mi dispiace essere diventato così. La sofferenza, il dolore… Sembrano sfiorarti meno, se non li lasci avvicinare.»

«Spesso mi chiedo se ti ascolti quando parli. Non potrai schivarli per sempre, prima o poi ne verrai sommerso e a quel punto che farai?»

«Annegherò.»

Sbuffò «Sono seria.»

Un movimento le fece comprendere che si era voltato verso di lei, poteva sentire il suo sguardo carezzarle minuziosamente ogni vertebra esposta «Credo sia già successo, a dire il vero… Le parole di Seung-Hyun mi hanno colpito più di quanto avrei potuto immaginare. È convinto che mi sia intromesso solo per i miei interessi e per quanto sia vero che ho iniziato tutto per noia, la verità è che davvero quei due stanno bene assieme, io l’ho solo aiutato a capirlo. Ma le cose mi sono sfuggite di mano, sono sfuggite a tutti…» Ginko non seppe se quel "tutti" fosse riferito anche al loro stupido triangolo da film di serie Z, fatto stava che non riuscì a proferire parole, ancora sorpresa da quel fiume che Ji Yong sembrava non voler arginare «Non mi fa piacere vederlo ridotto così, che idiota.»

«Dovresti dirglielo. Che tieni a lui e a tutti gli altri… Gli farebbe piacere.»

«Questo non risolverebbe le cose.»

«Ma sarebbe un inizio. Ji Yong--» lo chiamò piano, facendosi forza per non sprofondare nel mondo dei sogni «Non puoi farcela da solo, devi lasciare che qualcuno ti aiuti. Siamo—Sono tuoi amici, quando non ce la fai, puoi appoggiarti a loro.» ingoiò quel a me che avrebbe solo rovinato tutto o peggio, avrebbe dato il via a uno dei suoi stupidi giochetti. Perché per quanto si sforzasse di stargli alla larga, per quanto avesse deciso di farsi da parte… Non poteva negare che in fondo, quel ragazzo, continuava ad esserle caro. Ed era un sentimento che non se n’era andato via nemmeno dopo aver visto quanto a pezzi fosse ridotto il suo animo.

Ji Yong però non sembrava in vena di maratone sfracella neuroni «Non credo lo siano ancora.»

Ginko si arrese alla seconda evidenza di quella notte, e forse anche la più difficile da affrontare: il momento delle confessioni era arrivato anche per lei. Ji Yong si stava aprendo, impacciatamente e mantenendo sempre una buona dose di cripticità che vorrebbe fargli ingoiare, ma almeno ci stava provando. E se voleva aiutarlo, doveva essere completamente sincera.

Prese un respiro e gettò all’aria qualsiasi remora.

«Tu mi piacevi sul serio» calcò con forza su quel passato, cercando di mantenere le distanze «C’era qualcosa in te, un carisma che gli altri—Non lo so, eri come una calamita. Il modo in cui parlavi, il tuo modo di porti, il tuo atteggiamento discreto e mai sopra le righe... Era impossibile restare indifferenti» arricciò i piedi nella coperta sentendosi tremendamente stupida «Durante le interviste guardavo solo te, quello che facevi mentre gli altri parlavano--»

«È inquietante, lo sai?» la punzecchiò «È ancora più inquietante dell’altarino nell’armadio.»

Ridacchiò scioccamente «Lo so. Ero una fan devota, che vuoi farci?»

«Eri?»

«Lo sono ancora, solo--» osservò due gocce scivolare e quando quella che aveva puntato perse miseramente, si decise a parlare «Conoscervi mi ha fatto capire che c’è molto altro, dietro quello che date a vedere e non riesco più a guardarvi con gli stessi occhi di prima. Prendi te, ad esempio… Sei carismatico e-E tutto, però…»

«Però?» giunse dopo qualche istante, quasi gli costasse fatica sapere la risposta.

«Hai paura» sfiatò piano, stringendo le mani «Hai così tanta paura che metti un muro tra te e tutti gli altri e non appena qualcuno prova a passare oltre, lo respingi e lo fai con una tale cattiveria da non renderti conto che così finisci col ferire anche te stesso. Il fatto è che poi noi ci riprendiamo ma tu… Tu te ne resti lì, diffidente, e sprechi un mucchio di energie a non farci entrare di nuovo perché se ce l’abbiamo fatta una volta, potrebbe essercene pure una seconda. E la cosa ti spaventa, ti spaventa a morte--»

«Tu e Seung-Hyun vi siete messi d’accordo?» il suo tono di voce non sembrava stizzito, né infastidito… Pareva più quello di un bullo che prendeva coscienza delle proprie infamie, facendo i conti con il senso di colpa.

«Avanti, negalo» sfruttò questa sua docilità, alzò la voce di qualche ottava e quando tutto ciò che udì fu lo struscio dei piedi sulle lenzuola, continuò «Sei rimasto scottato una volta e credi che se lasci avvicinare qualcun altro, finirai col soffrire ancora e--»

«Non è stata una volta.»

«Una, cento, non cambia nulla! Il punto è che la tua stessa paura, ce l’hanno anche gli altri e—Aaaah, certe volte sei identico a Lindsay!» le era uscito col cuore e un pizzico di frustrazione, memore di tutti quei pomeriggi trascorsi a inculcare all’amica quanto l’amore fosse cosa buona e giusta «Vi siete aggrappati così tanto al vostro dolore da non accorgervi che c’è gente disposta a starvi accanto, a volervi bene e che farebbe di tutto per non farvi del male. Il fatto è che però vi fa comodo starvene lì a vittimizzarvi, perché così se dovesse succedere qualcosa sarebbero gli altri a sentirsi in colpa--»

«Quindi stai dando ragione a Seung-Hyun.»

Sospirò, decisa a non lasciarsi fregare dai suoi soliti trip «Ji Yong, io non lo so se ha ragione Seung-Hyun o se ce l’hai tu, forse non ce l’ha nessuno o forse entrambi. Forse è vero che sei cambiato e che non ti dispiace essere così, quello che voglio dire è: se continui ad allontanarci, resterai solo e la solitudine fa più male della sofferenza che portano gli altri. Ricordati che nessun uomo è un isola.»

«Questa l’hai rubata a Bon Jovi» c’era una punta di colore nella sua voce fino ad ora strascicata e Ginko non poté che bearcisi. Fu come balsano per le orecchie che non ne potevano più della pioggia picchiettante sui vetri o dei piedi che strusciavano sulle coperte… A quel punto giunse la sua voce, mite «Lasciarsi aiutare… Come se fosse facile.» soffocò uno sbadiglio.

Ginko si mise supina, guardando il soffitto, le mani a torturarsi sul ventre «Guarda che non lo è per nessuno» come non lo era stato per lei farlo entrare in casa e stare a vedere come sarebbe andate le cose «Domani torni a casa e gli chiedi scusa.»

«Mica c’è solo lui.»

«Un passo alla volta» sospirò, chiudendo gli occhi «Se fossimo stati tutti più sinceri, questo casino non sarebbe mai successo.» il pensiero volò inevitabilmente a Lindsay e Seung-Hyun, con la speranza che non si fossero uccisi senza almeno prima chiarirsi; e a Seung-Ri, soprattutto a lui. Se solo fosse stata sincera fin dall’inizio, se solo non si fosse lasciata trascinare dagli eventi, dai sentimenti o da quel senso di rivalsa perché “Morto un Ji Yong, posso farmene un altro”, si sarebbe potuta evitare un sacco di sofferenza. Il fatto era che venir desiderata da qualcuno che aveva sempre immaginato irraggiungibile, l'aveva completamente stravolta, facendole scollegare la ragione.

Aveva agito di impulsi e cuore, era inevitabile che presto o tardi sarebbero giunti a una catastrofe... 

E Ji Yong sembrò leggerle nel pensiero perché dal nulla, quando credette che si fosse finalmente appisolato, la sua voce serpeggiò nel silenzio «Non volevo rovinare le cose tra te e Ri» lo guardò di sottecchi «Quando ti ho rifiutata, ero convinto che non avresti desistito. Nessuna lo fa mai. Tornano sempre, tutte. Ma tu no. Tu hai seguito il mio consiglio e—E avevano ragione, anche se non volevo ammetterlo: è stato come se un giocattolo mi fosse stato strappato di mano e quando l’ho capito, era ormai troppo tardi.»

«Capito cosa?»

«Che non sei come le altre.» le parve sul punto di dirle altro ma le sua confessione si interruppe con un mugugno incomprensibile.

Ginko però era stanca delle fughe e dei sotterfugi, di questo costante rincorrersi senza mai fermarsi per vedere quanta distanza avevano lasciato l’uno dall’altra. Per questo si voltò, guardandolo finalmente in volto e vi lesse un mucchio di cose in quegli occhi adombrati, simili a quelli di un gatto che era appena stato preso a calci.

«Ji Yong… Perché sei venuto qui?» la domanda solcò il lampo appena caduto, sfumando nel silenziò che seguì.

«Per portarti il libro, te l’ho già detto.»

«E che altro?»

Avvertì i suoi piedi strisciare e immediatamente si arrese alla terza evidenza: presto o tardi, le avrebbe chiesto qualcosa che andava al di là del semplice “Non è che mi faresti una tazza di the?” perché per quanto stesse da cani, tipi come lui erano abituati a soffocare tutto con una bella scopata.

Si nascondevano i problemi tra i vestiti e ce li si rimetteva addosso una volta finito.

Ji Yong però le aveva sfiorato la mano. Impercettibilmente, per un secondo talmente veloce che quasi le parve di esserselo immaginato. Allora gliel’aveva stretta lei, perché se aspettava quello probabilmente le cose non si sarebbero mai smosse. Ed effettivamente non si smossero, perché si limitò a guardarla con occhi pesti di sonno.

Va bene così, lo pensò piano, attenta a non farsi leggere un’altra volta. Probabilmente certe cose erano destinate a non cambiare mai: nonostante le parole sprecate, i consigli dati, le confessioni sussurrate in una stanza circondata dalla pioggia, quei due avrebbero finito col commettere un’irreparabile sciocchezza.

Ma le parole di Ji Yong giunsero lente «Ricordi quando ti ho detto che non dovevi perdere il tuo tempo con me?» le aveva a un certo punto chiesto, rapendola dal flusso di pensieri che non l’aveva abbandonata un attimo.

«Mh?»

Ji Yong chiuse gli occhi, sul punto di addormentarsi «Beh, ho cambiato idea. Se vuoi puoi perderlo…»


***********


Seung-Hyun aveva sempre pensato che avrebbe incontrato la donna della sua vita in un locale. 

Uno di quelli chic che si vedevano nei telefilm alla Gossip Girl, con tutto quello sfarzo e quel lusso che dopo un po' dava la nausea. Sarebbe stato lì con i suoi amici più intimi a sorseggiare vino, birra, cocktail dal dubbio gusto e lei sarebbe stata a pochi passi, con le labbra pitturate di rosso impegnate a lasciarsi bagnare da un Cosmopolitan. Gli sguardi si sarebbero incrociati e lei si sarebbe arresa per prima, imbarazzata, sorridendo però alla cannuccia che lenta avrebbe fatto girare nel bicchiere.

Sarebbe stato un tipico incontro tra due sconosciuti e gli sarebbe venuto tutto facile e anche dovuto, solo perché Choi Seung-Hyun.

Ci aveva creduto per un bel po’, cullato dal fatto che la sua vita ruotava intorno a certi ambienti e tipologie di donne, quelle che sapevano come muoversi e che avevano a disposizione un arsenale di armi di seduzione capaci di stendere anche il playboy più impenitente.

Fino a che non era arrivata Lindsay Moore.

Al Tribeca -che non era esattamente il Pour Vous di Los Angeles-, vestita da poliziotta porno, un trucco da Carnevale di Rio e con l’aria di poter far esplodere l’intero locale con una sola parola o addirittura di essere capitata lì per sbaglio. Ed era sì a pochi passi ma il Cosmopolitan non c’era, così come non c’era stato alcun gioco di sguardi o sorrisi imbarazzati.

Lei nemmeno li aveva notati.

Era stato tutto così naturale e improvviso, che solo adesso si stava rendendo conto di quanto l’incontro con Lindsay fosse stato assolutamente perfetto: si erano mostrati per gli idioti che erano, stressando i loro difetti pur di tenersi a debita distanza e inevitabilmente avevano finito con l’amarsi. E se avesse saputo che tutto quello sarebbe finito prima ancora di averci capito qualcosa, Seung-Hyun avrebbe fatto più attenzione a tutti quei particolari che si tendevano a dare per scontati: il modo in cui Lindsay attorcigliava le coperte fra le gambe mentre dormiva, il suono della sua risata, il luccichio nei suoi occhi quando beveva troppo, il suo proteggersi con qualsiasi cosa le capitasse sotto mano quando parlava di sé, i suoi sorrisi appena accennati quando gli sguardi si incrociavano, il suo starsene in silenzio in auto durante un lungo viaggio, il suo tentare in tutti i modi di rendersi invisibile seppur così appariscente, la sua sfrontatezza e l’ironia con cui infarciva ogni discorso, tutti quei meccanismi di difesa che aveva faticosamente tentato di abbattere, divertendocisi e frustrandosi…

Gli sarebbe mancato tutto quello, proprio come gli sarebbe mancata la sua scontrosità che faceva da scorza a quella bellezza che aveva regalato solo a lui e non parlava della sola bellezza fisica, di quella ce n’era in abbondanza pure a Seul, era proprio lei ad esserlo. Le sue fragilità, le sue paure e lo sforzo con cui cercava di soffocarle indossando una maschera di menefreghismo che, lo sperò con tutto sé stesso, avrebbe finalmente chiuso in un cassetto.

Un moto di gelosia lo pervase al pensiero che qualcun altro prima o poi avrebbe goduto di tutto quello senza doverci impiegare le nove camicie che ci aveva messo lui, ma il pensiero che lui fosse stato il primo in assoluto, in un certo senso lo tranquillizzò o quantomeno risanò il suo ego un po’ abbattuto.

Si domandò se anche lei stesse facendo gli stessi pensieri, seduta sul balcone a fumare, chiedendosi magari in quanto tempo sarebbe stata sostituita.

La schiena di Lindsay sarebbe stato uno dei primi ricordi che lo avrebbe svegliato la mattina, quando lei non ci sarebbe stata più. Stretta, distante, appoggiata contro la vetrata, con indosso una delle sue tante felpe impregnate del suo profumo. Sarebbe stato un pensiero fra i tanti che avrebbe popolato la mente non appena questa avesse iniziato a carburare e lo avrebbe accompagnato per tutta la giornata, standosene silenzioso in un angolo e poi, prepotente, sarebbe tornato a fargli compagnia prima di addormentarsi o quando qualcosa gliel’avrebbe ricordata perché non c’era posto a Seul che non gliela facesse tornare in mente.

La vide stiracchiarsi, tornando a giocherellare con i capelli. Aveva pianto quasi tutta la notte e lui si era chiesto se fosse dovuto a loro due o ai suoi o all’imminente partenza o a tutto. Aveva però taciuto, tenendola stretta a sé, per nulla infastidito da quello sfogo che sembrava non placarsi mai. Fino a che non si era addormentata e lui si era detto che quest’immagine, ancora marchiata nella mente, poteva cancellare quelle settimane di sofferenza. Non del tutto certo, ma un po’… Quel tanto che bastava per continuare ad amarla, nonostante tutto.

Si era poi chiesto quanto ci avrebbe messo a dimenticarsela e al pensiero che nemmeno tutta una vita gli sarebbe bastata, si mise a sedere. Adagiò tutti i pensieri fra le lenzuola, deciso per una volta a godersi quel poco di buono che gli era stato concesso: Lindsay lo amava e avrebbe continuato a farlo fino al giorno della partenza.

 Al dopo, ci avrebbe pensato poi.

«Come va?»

La vide sobbalzare mentre i suoi occhi si riempivano di sorpresa «Nh, ho mal di testa.» sfiatò, tornando a guardare davanti a sé.

«E allora non dovresti fumare.» ma quella sollevò le spalle, continuando come se non avesse detto nulla.

Le si sedette affianco, rimirando lo spettacolo di grattacieli che si potevano scorgere da quel punto «Dovresti metterci qualcosa.» mormorò sfiorandogli l’occhio su cui svettava un bel livido, a monito che presto o tardi avrebbe dovuto affrontare quel demente di Ji Yong.

Cristo, Ji Yong.

Preso com’era dai suoi problemi con Lindsay, aveva accartocciato la lite con l’amico in un angolo, magari con la speranza che tutto si risolvesse con un’alzata di spalle e una bella bevuta o con un gelato perché loro, le faccende spinose, le gestivano così, come due mocciosi che non comprendevano appieno il dolore che recavano agli altri coi propri gesti ed erano convinti che scambiarsi qualcosa in segno di pace bastasse.

Ma ormai erano cresciuti e certe frasi pronunciate con cattiveria, certi colpi assestati con reale intento di far del male, non si potevano più superare con un regalo.

«Certo che glielo hai spaccato proprio bene il labbro» le parole di Lindsay lo riportarono alla realtà, scatenando in lui un senso di colpa che raramente lo aveva pervaso: se Lindsay era lì, con lui, a mettersi in gioco, lo doveva solo a Ji Yong. Che aveva bisogno del suo aiuto per uscire da tutto quel macello in cui si era infilato da solo, troppo preoccupato a non soffrire e che lui aveva allontanato perché incazzato col mondo e, a dirla tutta, anche un po’ stufo di fare da fratello maggiore, padre e zio «Ma la prossima volta, accanisciti un po’ di più.» concluse, facendolo scoppiare a ridere.

«Lo odi proprio, eh?»

Scosse la nuca «Mi da solo fastidio che riesca a capire tutto quello che penso e che tenti in tutti i modi di aiutarci, anche se i suoi modi fanno schifo» lo guardò seria, doveva aver preso una tegola in testa se si ostinava a fargli vedere quanto buono fosse Gd «Seung-Hyun, dovresti chiedergli scusa» grugnì e lei arcuò un sopracciglio «Se non fosse stato per lui, non sarei qui.» tagliò corto, mettendosi a braccia conserte.

Seung-Hyun la scrutò, studiò le sue mani intente a torturarsi e capitolò.  Forse le cose non sarebbero cambiate: lei avrebbe sempre mantenuto quel velo di diffidenza che lo avrebbe tenuto a debita distanza, costringendolo a frenare i propri impulsi. Cose banali come: prenderla per mano in pubblico, baciarla quando più gli andava, dirle frasi sdolcinate senza timore che gli vomitasse sulle scarpe. Niente di tutto quello. 

Lin però gli aveva preso la mano, posandosela sul ventre, giocherellando con le sue dita e in quel momento lui avrebbe dovuto concentrarsi sul fatto che, per la prima volta dacché avevano cominciato tutto, fosse stata lei a fare un passo verso di lui; una sciocchezza, certo, ma lo aveva fatto. Sarebbe anche dovuto restare senza fiato di fronte ai suoi occhi traboccanti di affetto o il sorriso imbarazzato o le guance bordeaux…

«Ma che cazzo ti prende?!»

E invece scoppiò a ridere. Rise talmente tanto che si ritrovò a tenersi lo stomaco per il dolore mentre Lin lo fissava come se fosse scemo.

«No scusa è che… Mi fai tenerezza.»

«E tu sei un cretino.»

«Intendevo in senso buono.  Sei tutta… Imbarazzata, ecco.»

Lin agitò le mani, nervosa «Per me è tutto nuovo, che ti credi? Non ci sono mica abituata a ‘ste cose qui.»

«’Ste cose qui…» si sistemò, riprendendole la mano «Certe cose vengono spontanee» ora fu lei a grugnire e Seung-Hyun si ritrovò a sorriderle, sincero «Ma a me vai bene così.» perché non gli interessava prenderla per mano mentre passeggiavano o baciarla in pubblico o abbracciarla quando più gli andava… Erano tutte cose che non aveva avuto fino ad ora e aveva vissuto bene lo stesso. Con Lin si stava bene proprio perché poteva essere sé stesso senza timore di venire etichettato in qualche maniera e certe persone, per quanto ne fosse pieno il mondo, erano difficili da trovare e ancora più complicato era tenersele strette. 

Tutto questo però non glielo disse, anche perché Lin lo stava baciando piano…

«Aw, che teneri! Questa foto la incornicerò!»

… Ma avrebbe dovuto saperlo che certe bellezze erano destinate a non durare quando Dong-Wook si comportava da stronzo, facendo il paparazzo della situazione.

«Che ci fai qui?» domandò Seung-Hyun rifilandogli un’occhiata al vetriolo.

«Ci abito.»

Roteò gli occhi «No, intendo—Qui, sul balcone.»

«C’era la porta aperta e volevo assicurarmi che non vi foste uccisi» Lindsay ghignò, Seung-Hyun voleva buttarsi dal balcone «Volete che vi lasci un po’ soli?» si tolse gli occhiali da sole e il suo sorriso sghembo si ampliò, mentre faceva dondolare un sacchetto di brioche «E io che pensavo di mangiare tutti assieme mentre mi raccontate tutto. E voglio i particolari, mi raccomando!» aggiunse come una scolaretta affamata di gossip.

Lindsay storse il naso «Io me ne torno a casa.»

«E la brioche?»

«La mangio mentre me ne torno a casa.»

Dong-Wook scoppiò a ridere «Scherzavo, scherzavo, non voglio sapere nulla» sventolò una mano «Ci limiteremo a guardare per l’ultima volta l’album di foto con tutte le tue cadute» gli fece un occhiolino e Seung-Hyun non ebbe nemmeno il tempo di rifilargli un bel medio o un «’Fanculo.» perché quell’idiota, si stava già allontanando «Vi aspetto di là, vado a preparare i fiori d’arancio.»

«Dong-Wook!»

«La marmellata d’arancia, la marmellata!»

«Spero ci si strozzi con la marmellata» borbottò caustico mentre si trascinava in camera, raccattando i vestiti «Senti, ti va di fare qualcosa oggi?» ma Lindsay rimase lì, immobile, guardandolo come se fosse scemo «Beh, che c’è?»

Gli disse solo «E' meglio se torni a casa.» e lui comprese che quel pomeriggio lo avrebbero passato a comprare birre e a trovare un paio di scuse decenti per farsi perdonare.


****************


Era la prima volta che si svegliava nel letto di una ragazza senza farci alcunché. Niente sesso, niente baci, niente abbracci. Si erano stretti la mano, come due mocciosi dell’asilo nido -tanto che una volta sveglio si era chiesto se quel leggero tocco non fosse stato frutto della propria immaginazione- e aveva dormito come non gli succedeva da tempo.

In pace. Con sé stesso, col mondo, perfino con la pioggia che fastidiosamente aveva picchiettato incessante sulla finestra tutta notte e che, solitamente, lo teneva sveglio coi propri pensieri e mostri, quelli che non riusciva a lasciar liberi di scorrazzare nemmeno quando toglieva loro il guinzaglio.

Ora che era sveglio in un futon dalle coperte sfatte, fissando quella serie di orripilanti lanterne colorante legate ad un filo in un susseguirsi di onde, con la mano adagiata sull’altra porzione vuota e fredda, tutto ciò che era stato detto e fatto tornò con prepotenza inaudita…

«Ricordi quando ti ho detto che non dovevi perdere il tuo tempo con me?

Beh, ho cambiato idea. Se vuoi puoi perderlo…»


Ancora stentava a credere di averlo detto sul serio.

Con sincerità, per di più. E non sapeva nemmeno se lei gli avesse risposto perché era crollato come una pera cotta.

Che. Colossale. Idiota.

Si era infilato in un bel guaio perché quando certe frasi venivano pronunciate, non ce le si poteva rimangiare tantomeno si poteva far finta di niente. Avrebbe dovuto chiarire la propria posizione perché, insomma, non era mica arrivato al punto di volersi fidanzare con Ginko o volerla sposare o volere dei bambini con lei, certe decisioni non si prendevano nell'arco di una notte, solo ai ragazzini in preda alla prima cotta succedeva.

Però… Permetterle di entrare nei suoi spazi, anche solo come amica… Quello glielo avrebbe concesso.

Vederla sistemarsi fra i propri casini, magari vederla riordinare conscio che gli avrebbe sempre chiesto «Questo dove va messo?», perché era troppo buona per permettersi di scombussolarlo con la propria euforia, non sarebbe stato poi così male.

Perché era buona, di quel buono che non dava fastidio e non faceva venire la nausea proprio perché genuino. Il suo prodigarsi per gli altri con fare da crocerossina, senza chiedere alcunché in cambio… Quella notte, ad esempio, avrebbe potuto chiedergli una scopata con gli interessi solo per avergli concesso di starsene lì, da lei, infestando la sua privacy e invece niente, si era accontentata di una chiacchierata cuore a cuore.

Perché Ginko sapeva preservare certi momenti, ne coglieva la bellezza nella loro semplicità e se li faceva bastare.

Il fatto era che Gd era sempre stato convinto di essere un’isola, tipo Ibizia o Formentera, un posto in cui sollazzarsi e divertirsi. Un’isola figa, insomma. Poi qualcosa si era spezzato e, rendendosene conto ma senza far nulla per evitarlo, si era trasformato in Round Island. Avete presente, no? Quell’isoletta nascosta nella parte nord della mappa di Final Fantasy VII che si poteva raggiungere solo con un Chocobo d’oro, praticamente un’impresa ostica e da rottura di coglioni che lui, quando era avvezzo ai videogames, aveva gettato alle ortiche dando forfait ed era un po’ quello che era successo nella realtà: chi mai avrebbe sprecato energie, tempo e voglia per un’isoletta del cazzo? Nei videogiochi potevi usare i trucchi, fregare il sistema ma nella realtà le cose erano decisamente più complicate e se decidevi di lasciar perdere, non ci saresti potuto tornare su quando la voglia fosse ripassata a trovarti.

Così si era abituato alla solitudine. Ji Yong ci si era crogiolato, aveva imparato a conviverci e quando accadeva che questa lo sopraffacesse, si ricordava del perché si fosse barricato lì e tutto passava. Che senso aveva circondarsi di gente? Prima o poi tutti lo avrebbero abbandonato perché le persone facevano così: ti rendevano felice ma proprio perché essere umani, erano anche capaci di renderti infelice.

Tipo Seung-Hyun.

Quello che gli aveva detto in un impeto d’ira che mai aveva usato con lui, lo aveva investito in pieno. Era stato come fare un frontale con la realtà, uscirne indenni e starsene lì a rimpiangere di non essere morti. Aveva realizzato che essere un’isola, non era poi così esaltante: se si era da soli e ci si lasciava andare, si rischiava di uscirne pazzi e perdere le redini della propria vita.

Motivo per cui nemmeno essere in due sarebbe servito e lo realizzò quando piombò in cucina, osservando la schiena stretta di Ginko, intenta a farsi del the. Se le avesse permesso di entrare e per qualsiasi ragione lei fosse crollata, sarebbero stati punto a capo. Sarebbe rimasto solo di nuovo e, anzi, avrebbe dovuto sobbarcarsi anche dei suoi problemi e ciò richiedeva una buona dose d’impegno, coraggio e buona volontà e lui non era così sicura di potercela fare…

«Ben svegliato!»

… Non fino a che non avrebbe imparato a prendersi cura di sé.

«Ti va un po’ di the?»

«No…» si sedette al bancone, guardandola trafficare con le bustine come un’ape impazzita. Quella pure di prima mattina sprizzava gioia da tutti i pori, in netto contrasto con lui che di solito si limitava a grugnire ed emanava sonno a catinelle.

«Dormito bene?» annuì «Ottimo! E quindi? Ora che hai intenzione di fare?» glielo chiese a bruciapelo, senza un minimo di preparazione o anche solo introducendo l’argomento a piccoli passi. Se ne stava lì, ad immergere la bustina nell’acqua bollente, allungandogli confezioni di biscotti e brioche che lui rifiutava con una stortura di naso, e lo guardava con quel suo sorriso delicato, invogliandolo a parlare.

A Ji Yong parve subito chiaro che quella sarebbe stata la maratona ad ostacoli più difficile della sua vita semplicemente perché, per una volta, stava facendo i conti con sé stesso. Si sarebbe dovuto aprire completamente, lasciarla entrare e vedere se avrebbe comunque soggiornato in mezzo a tutto quel casino senza lamentarsene.

Poggiò il mento sulla mano, guardandola annoiata «Mettiamo le cose in chiaro: io non ti amo, tantomeno mi piaci. Non in quel senso, almeno…» aveva esordito così, senza tanti giri di parole o calibrando la delicatezza. E infatti eccoli lì, gli occhi scuri di Ginko farsi larghi per la sorpresa mentre il biscotto inzuppato colava a picco nel the.

«Ji Yong, ma io--»

«No, fammi finire...» la interruppe brusco, inumidendosi le labbra «Ora come ora non ho il tempo per occuparmi di qualcuno, prima devo sbrigare delle cose...»

«Delle cose.»

«Sì, cose. Cose mie, per me... Se devo stare con qualcuno, voglio prima sistemare tutti i casini che mi sto trascinando dietro» sollevò il capo, cercando i suoi occhi scuri che lo scrutavano confusi «Il fatto è che--Non lo so, c’è qualcosa in te… Come se valessi la pena, capisci che intendo?»

«Veramente no.»

Sospirò «Sto cercando di dire che ieri sera ero sincero, ma non mi sono ancora rincoglionito come Seung-Hyun, ok?» sciorinò senza nemmeno pensarci su, arcuando un sopracciglio di fronte alle sue labbra tremolanti «Con te sto bene ma ho bisogno di capire un po’ di cose—Che ti prende?!»

Ginko scoppiò a ridere, nascondendo il volto fra le mani mentre si piegava sul tavolo «Sei tutto Lindsay, lo sai?» ammise fra le lacrime, cercando di darsi un contegno «Comunque ho capito. Ma io intendevo: cos’hai intenzione di fare con Seung-Hyun?»

“Ah…”

«Ah, lui…» si massaggiò il collo «Dovresti mettere dei soggetti nelle domande.»

«E tu dovresti essere un po’ più delicato» lo rimbeccò, anche se il sorriso persisteva «Allora, che farai?»

Sollevò le spalle «Gli comprerò un gelato.»

«Un—Ma quanti anni avete?!»

«Noi le risolviamo così le cose.» ed era vero, era l’unico modo che conoscevano per non sembrare due perfetti idioti. Una pacca sulla spalla, une bevuta da sfracella neuroni e tutto come prima.

«Io e Lindsay ci facevamo il the» ammise candida, grattandosi il naso per l’imbarazzo «Veramente glielo facevo io, per farmi perdonare. Lei però si confidava…» si strinse nelle spalle «Stare con lei mi faceva sentire importante, sai? Insomma, quando una ragazza come lei decide di farti entrare nella propria vita significa che in fondo qualcosa vali, no? Un po’ come con te…» gli sorrise fioca «Ji Yong… Non dobbiamo per forza correre, mh? Se io decidessi di aiutarti, non sarebbe di sicuro per diventare la tua fidanzata. Oddio sarebbe una figata assurda però--» quella attaccò a parlare e lui, un po’ per farla tacere e un po’ perché si divertiva un mondo a farle rischiare la morte, posò la propria mano sulla sua «Va bene essere amici.» concluse con voce cavernosa, sbiancando.

«Amici?»

«Certo, amici!» arcuò un sopracciglio «Non crederai mica che io sia come una delle tante sgallettate che ti porti a letto» proruppe secca, agitando l’indice «E comunque abbiamo tempo per parlarne, ora dobbiamo occuparci di Seung-Hyun» batté le mani «Allora, gelato, giusto?» e prima che fluttuasse via, udì il suo sognante «Kwon Ji Yong che dice che valgo qualcosa, incredibile!» che un po’ lo fece sorridere.

Perché era vero, Ginko non era come le altre e il fatto che si accontentasse di restargli amica, era una prova più che sufficiente.

Sospirò e comprese che quel pomeriggio lo avrebbero passato a comprare gelato e a trovare un paio di scuse decenti per farsi perdonare.

*******************


«A che pensi?» Lin guardò la schiena ricurva di Seung-Hyun mentre si apprestava a salire le scale che lo avrebbero condotto all’Inferno, come lo aveva amorevolmente rinominato per tutto il viaggio in auto.

Stretto nel giaccone, col borsone in spalla e l’aria incerta, Seung-Hyun sembrava aver perso il mordente con cui l’aveva affrontata quella notte e lo sguardo che le rivolse, la fece fermare a pochi gradini dall’inizio della seconda rampa.

Fu un «Credi che durerebbe tra noi, nonostante la distanza?» che la indusse a ingoiare quella risata sguaiata che stava per soffocarla perché quella era la domanda più stupida e al contempo complicata che qualcuno le avesse mai posto. Se gliela faceva con quegli occhi, poi, diventava ancora tutto più ostico.

Lindsay non rispose, guardandolo assorta. Sollevò le spalle e scosse la nuca, come a dirgli che non aveva pensato a tale eventualità né voleva farlo ora, sulle scale della sua palazzina. Seung-Hyun se lo fece andare bene, forse perché nemmeno lui voleva sapere quali fossero i suoi reali pensieri: se gli avesse detto , ci sarebbe stata la sofferenza derivante dalla lontananza e quella costante sensazione di incertezza scaturita dal fatto che, inevitabilmente, avrebbero finito col costruirsi una vita di cui non avrebbero più potuto far parte; d’altro canto, un secco no avrebbe indotto a pensare che non reputasse il loro rapporto così sincero o meritevole da concedersi almeno una possibilità.

La verità era che certi amori, andavano lasciati lì dov’erano.

Lindsay ammise a sé stessa, non senza fatica, che se mai avessero deciso di trascinarsi dietro la loro storia, non sarebbe durata perché avrebbero finito con il logorarsi: quel che di bello avevano costruito, quel che di buono si erano fatti, avrebbe perso di significato e a lungo andare, con gli impegni che si intensificavano, con le amicizie che si allargavano, con la vita che semplicemente prendeva una piega nuova bisognosa di cure e attenzioni, avrebbero finito con l’odiarsi, col rinfacciarsi qualsiasi cosa, magari perfino maledicendo il giorno in cui avevano deciso di provarci, giungendo ad un’ineluttabile rottura.

Forse era catastrofica, forse era pessimista ma al pensiero di finire col detestare quell’unico che tra tutti si era dimostrato meritevole, avvertiva le viscere contorcersi.

Preferiva andarsene con un buon ricordo di lui, custodirlo gelosamente e far fronte alle difficoltà con quella consapevolezza che le aveva fatto nascere piano piano: che ci sarebbe stata gente disposta a tenerla con sé e addirittura ci avrebbe lottato, pessimo carattere o meno, perché in fondo qualcosa aveva da darlo anche lei e qualcuno disposto ad accettare quel poco, ci sarebbe stato.

O, più semplicemente ancora, la gente se ne andava ma ce n'era tanta che restava.

Forse avrebbe dovuto dirgli tutto quello, certa che gli avrebbe fatto piacere sapere quanto importante fosse ma Seung-Hyun aveva già suonato il campanello e il viso scazzato di Ji Yong, apparso oltre la soglia, le ricordò che in quel momento c’erano cose più importanti da sistemare: la loro amicizia, ad esempio, pendente su di un filo ormai liso.

Perché lei se ne sarebbe andata, ma Ji Yong sarebbe rimasto.

Per poco non rise di fronte al cerotto delle Super Chicche e se non lo fece, fu solo perché Ginko oltre le sue spalle si agitava come una molla impazzata mimando un «Ti prego no!» con le labbra; sospirò sollevata nel ritrovarsela di fronte, ciò significava che le cose tra lei e quel demente si erano finalmente sistemate.

Rimasero a fissarsi per un po’, studiandosi e Lindsay ebbe l’impressione che presto si sarebbero ripresi a pugni ma Daesung dal salotto aveva urlato un esasperato «Abbracciatevi e fatela finita!» che distese un po’ la tensione. Gd aveva eseguito il suo ordine per primo…

«Non me, lui, idiota!»

… Fiondandosi sulla persona sbagliata, ovvio.

Ji Yong aveva pensato bene di avviluppare le sue gracili zampacce intorno a Lindsay che, rigida peggio di una mummia, si limitava a incenerire tutti con lo sguardo e stringere i pugni mentre quei beoti di Ginko e Seung-Hyun ridevano. Ridevano come pazzi, seguiti a ruota da quell’altro trio di deficienti impegnati a scommettere su quale arto Lindsay gli avrebbe strappato per primo.

«Non ti dispiace vero se mi spupazzo un po’ la tua fidanzata, hyung?»

«Accomodati pure.»

«Non sono la fidanzata di nessuno!»

«Vedo che sulla parte dello spupazzamento non ti fai problemi, mh?»

«Brutto--»

Ji Yong continuava imperterrito a starsene lì, con i suoi tentacoli contaminandola con la propria idiozia. Se non lo picchiò fu solo perché, mentre gli altri cominciavano a fare casino per dieci, mormorò un «Oi, grazie…» che le ricordò che in fondo, se si trovava in quella casa, con quegli amici e con quel ragazzo, un po’ lo doveva anche a lui. Lin gli diede una pacca sulla spalla e quello scoppiò a ridere «Ti scongiuro, America, non cambiare mai.» aggiunse prima di allontanarsi, unendosi agli altri.

Lin di sicuro non lo avrebbe fatto ma un pensiero la lasciò lì, immobile...

«Ho portato le birre.» annunciò Seung-Hyun posando il sacchetto sul tavolo.

«Noi abbiamo il gelato!» Ginko saltellò, andando a prendere i cucchiai.

Semplicemente, si chiedeva se ci sarebbe stato un altro Seung-Hyun, a New York.

*****************


I giorni erano trascorsi talmente veloci che quasi non le era parso di averli vissuti.

Le cene in famiglia, le serate con Seung-Hyun, perfino le uscite con quel babbeo di Ji Yong che continuava a comportarsi da stronzo decerebrato –perché certe cose non cambiavano mai- parevano frammenti di immaginazione tanto il tempo era scorso inesorabile.

Si lasciò illuminare dalle luci colorate del Tribeca e salutò il barista che, dietro il bancone, le aveva mandato un orripilante bacio volante in segno di addio.

Ricordava ancora la prima volta che le sue logore converse avevano posato i piedi sul pavimento lindo del locale. Nessuna ansia, nessun timore, solo tanta voglia di tornarsene a casa e infilarsi sotto le coperte –e magari ficcarsi un floppy nel cervello che le facesse imparare bene il coreano, un po’ come il kung fu in Matrix-; così come ricordava di aver adocchiato Ginko in mezzo ad una matassa di divise scure, colpita dai suoi capelli rosso fuoco e il suo camminare talmente veloce da sembrare un’ape impazzita.

Era stata sgarbata e un po’ nevrotica, non l’aveva fatta parlare nemmeno per un secondo e nel giro di un ombretto vistoso e un abito da poliziotta da film porno, si era ritrovata a dimenarsi sul tavolo attorniata da ballerine che lanciavano sorrisi e occhiolini –mentre lei gettava medi a chiunque tentasse di toccarle le gambe-.

Imbarazzante. Imbarazzante e assurdo, così descriverebbe la sua prima serata in un posto in cui, a poco a poco, aveva cominciato a sentirsi a proprio agio. 

E mentre se ne stava lì, in piedi, ad osservare la sala che lentamente si gremiva di gente, con le sue logore converse e la tracolla non poteva fare altro che pensare che in fondo, se la sua vita era radicalmente cambiata, lo doveva proprio al Tribeca…

«Lin, sei pronta?»

E a Ginko.

Era stato grazie a lei se tutto quello aveva avuto inizio o, perlomeno, aveva fatto sì che le acque cominciassero a smuoversi. Guardando le ballerine sui cubi e sul bancone, imitando le ragazze del Coyote Ugly, si chiese dove sarebbe a quest’ora se non l’avesse costretta a salirci e aprire la serata. E se avesse deciso di cominciare il giorno dopo o darsi malata o arrivare in ritardo o inventarsi una scusa qualsiasi per non presentarsi e ciondolare per le vie di Seul, con la serata dedicata ai Big Bang ormai già passata, cosa sarebbe successo? Avrebbe comunque conosciuto Seung-Hyun? Se non avesse ballato e si fosse limitata a servire cocktail ai clienti -o lanciarglieli dietro- lui l'avrebbe mai notata?

Lindsay non aveva mai creduto nel destino ma cominciava a credere che così come determinati eventi condizionavano ciascuna esistenza, un po’ come il divorzio dei suoi l’aveva resa quel macello ambulante che era, forse certe cose accadevano perché doveva andare così. 

Era la vita.

Forse era vero quel che dicevano: “non tutto il male viene per nuocere”, pronunciato per tirare su il morale o perché qualcosa te la dovevano pur dire. Il suo lasciarsi divorare dalla sofferenza, era forse servito ad arrivare a tutto quello? Non lo sapeva, probabilmente non sarebbe mai arrivata ad una risposta semplicemente perché a volte, non ce n'erano.

«Ehi, qualcosa non va?» Ginko la tirò per una manica, sparpagliando tutti i suoi pensieri.

Scosse la nuca «Mi mancherà questo posto.»

«Anche i costumi da film porno?»

«Beh, non proprio tutto.» puntualizzò, seguendola. Una volta fuori respirò a pieni polmoni e salita in macchina di Ginko, si voltò a fissare per un’ultima volta l’insegna luminosa del Tribeca, avvertendo uno strano nodo incastrarsi in gola. Ricordava di aver maledetto suo padre per tutto il viaggio a piedi perché con quel suo serafico «Ti ho trovato un lavoro!» aveva mandato in fumo i suoi progetti di fancazzismo totale. Da leggersi anche: sarò una spina nel fianco così rompicoglioni da costringerti a rimandarmi a New York a calci.

L’amica accese la radio e storse il naso, osservandola «Certo che per l’ultima sera ti saresti potuta vestire un po’ meglio» e così eccola lì, in procinto di criticare i suoi “orribili pantaloni alla turca”, come li aveva chiamati la prima volta, le sue vecchie converse azzurrognole che non c’entravano nulla col resto, il trucco fatto alla bene e meglio e i capelli appena passati nella centrifuga «Sei senza speranza in fatto di moda.»

«Disse quella che si fidanzò con l’anticristo della moda.»

«Ji Yong ed io non siamo fidanzati» farfugliò «Siamo solo amici. Piuttosto…» la guardò di sfuggita, svoltando a destra «Come vanno le cose tra te e Seung-Hyun?» le rifilò un sopracciglio arcuato e lei si premurò a spiegarsi «In questi giorni te l’ha detto? Sì, insomma… Che ti ama.»

“Ah, quello…”

«No.»

«Come no?!» Ginko sbatté una mano sul volante «Che idiota, che--»

«Forse non ha voglia di dirmelo» alzò le spalle «Che c’è?»

Ginko la guardò allucinata e dopo aver imprecato contro uno che l’aveva sorpassata di colpo mentre tentava di parcheggiare, sbuffò «Tu non cambierai mai, vero?» sospirò «Dovresti essere qui a disperarti perché, insomma, il ragazzo che ami non te l’ha mica detto e tu—Tu niente! Te ne stai lì, tipo bulletto di periferia: “Forse non ha voglia di dirmelo”—Che hai da ridere?!» GinKo sbatté la portiera, una volta fuori.

Lindsay scosse la nuca «No è che… Neanche tu cambierai mai» le sorrise fugace, portando indietro i capelli mentre vedeva l’insegna del locale farsi sempre più vicina. Solo un anno prima i ragazzi l’avevano costretta a sedersi al loro tavolo, cominciando a sommergerla di domande a cui aveva faticato a rispondere e ora ci stava andando di propria sponte «Credo che Seung-Hyun abbia superato i suoi limiti, capisci che intendo? Ora è troppo stanco per impegnarsi sul serio.» si strinse nel giaccone, sollevando le spalle.

«E questo non ti fa soffrire? Neanche un po’?»

«Lui—È stato buono, mi ha dato tanto, immagino di non poter chiedere di più» la guardò, imbarazzata «E poi dopo domani parto, non avrebbe più senso.» e non ne aveva davvero. Insomma, non sarebbe stato un “ti amo” a cambiare le cose tra loro o salvarle. Anzi, probabilmente sarebbe stato peggio perché le avrebbe ricordato che se solo si fossero svegliati prima, tutto sarebbe andato in un altro modo.

Era sempre questione di tempismo.

Ginko schiuse le labbra ma non disse nulla, limitandosi a scuotere la nuca e sorriderle. Cominciò a zampettare verso il locale e Lindsay la seguì, a passi lenti. Ricordava le birre che scivolavano sul tavolo una dietro l'altra, il loro sommergerla di domande; Seung-Hyun si era comportato da stronzo per tutta la sera, punzecchiandola, istigandola e lei aveva retto alle sue frecciatine con altre battute cariche di acido. Oggi, probabilmente, le avrebbe stretto il ginocchio per tutto il tempo, l’avrebbe guardata in quel modo fantastico che la faceva librare in aria e poi l’avrebbe riaccompagnata a casa.

«Lin? Muoviti! Siamo già in ritardo!» la zazzera rossiccia di Ginko ondeggiò sulle sue spalle mentre si sbracciava, a pochi metri dall’entrata. Sembrò brillare di luce propria mentre le sorrideva e le faceva segno di darsi una mossa.

Lindsay prese un profondo respiro e le sorrise, avvertendo gli occhi riempirsi di pianto.

La sua punizione durata quasi un anno, stava per giungere al termine.



A Vip’s corner:
Che. Parto.
Scusate il ritardo.
In primis il mio hard disk è stato così gentile da implodere quindi bye bye a tutte le mia fanfiction; qualcosa ho per fortuna recuperato ma… Beh, molto l’ho dovuto riscrivere da capo <.<
Poi credo di essere entrata in quella solita mia fase che amo chiamare “la stupidità di Heaven”, ovvero: sono ad un passo dalla fine ma mi faccio prendere da quel senso di “E dopo? Che faccio?” e pianto tutto lì (motivo per cui non ho mai finito Final Fantasy VII, Zelda… Mi odio…).
Quest’inutile introduzione per dirvi che se i tempi di aggiornamento si allungano non è solo per motivazioni strettamente legate alla vita al di là di internet (che son sempre le stesse, ormai sarete pure stufe di rileggerle XD), quanto più una sensazione di vuoto che mi coglie ogni volta che premo su “Aggiungi un nuovo capitolo”.
Ad ogni modo, eccomi qui.
Chiedo venia a chi si aspettava un rappacificamento ben analizzato fra Gd e Top: non era mai stato nei miei piani, non in questo capitolo almeno e siccome le cose sono fresche, avrei rischiato di snaturarli. Preferisco una cosa così, alla “vedo non vedo”.
Poi… So che potrebbe dar fastidio che abbia liquidato tutto con un “I giorni erano trascorsi veloci” –o addirittura che ciò denoti una scarsità di voglia/interesse- ma credetemi, ahimè non c’era davvero più nulla che potessi far dire ai personaggi. Sarebbe stato ricreare scene già viste, con dialoghi già letti… Un allungamento inutile che non voglio io e tantomeno penso vogliate voi.
Il risultato finale non mi dispiace, soprattutto perché ho fatto davvero ma davvero fatica a scriverlo e se determinate scene sono abbozzate, è perché ho preferito soffermarmi sui pensieri anziché le descrizioni. Del resto, il trauma-capitolo c’è già stato, questa è LA scossa d’assestamento ;)
Piccole puntualizzazioni dovute (perché se il capitolo è riuscito, è stato grazie a molte cose che non sono farina del mio sacco):
•    La scena di Ginko e GD (come ambientazione e atmosfera, almeno) è presa da quei capolavori che sono A girl by the Sea e Goodnight, Punpun di Inio Asano, quindi a lui vanno tutte le lodi.
•    Sid Vicious, cantante dei Sex Pistols, venne accusato di aver accoltellato a morte la fidanzata Nancy Spungen. La battuta è presa da quella meraviglia di 500 days of Summer.
•    La frase «Nessun uomo è un’isola» e in realtà tutto quel monologo sull’essere un’isola, è presa da About a boy, anche questa è una piccola perla che vi consiglio di guardare se volete farvi due risate e poi Hugh Grant è sempre tanta roba.
•    Il titolo non c’entra nulla col capitolo ma è una canzone che mi sta a cuore e ci tenevo ad averla da qualche parte, oltre al fatto che mi è stata d’aiuto per stendere le vincede.

Infine… Odio farmi pubblicità ma visto che siamo alle battute finali, concedetemelo: ho pubblicato “100 giorni di Kalya” una nuova fanfiction sul fandom degli SHINee, rigorosamente het e rigorosamente con personaggi complessati e mai felici –perché più li amo più li tormento, ormai l’hanno capito pure i sassi-, piena di pensieri, psicologia dei PG che viene analizzata al microscopio… Alla Heaven, insomma ^^’’
Per me è stata una specie di sfida/esperimento perché la protagonista è l’opposto di Lindsay –il protagonista è scemotto come Seung-Hyun ma va beh- e il tema dell’amore o dell’abbandono è affrontato in maniera completamente diverso rispetto quelli che sono i miei canoni e convinzioni. No, la lentezza nello sradicare le vicende c’è sempre, è un “marchio di fabbrica” che non riesco proprio a togliermi >.<
Non sono solita annunciare la pubblicazione di una nuova storia, se lo faccio è perché ci ho messo un po' di me, proprio come ce l'ho messo in Something.
Quindi niente… Se aveste voglia di stare ancora un po’ in mia compagnia, dato che qui ci avviciniamo alla fine, mi trovate anche lì. Sapervi con me mi farebbe piacere :)

Che note lunghe @.@ Per l’amore del cielo chiudiamola qui.

Ringrazio le cinque squisitezze che hanno commentato il precedente capitolo: a giorgtaker, Rachel_Daae, xxxibgdrgn88, VirginMonkey e lelasph va tutto il mio amore ♥ Ho letto e riletto le vostre recensioni, mi sono state di grande motivazione per la stesura del capitolo e perdonatemi se ancora non vi ho risposto ma quel poco tempo a disposizione che avevo, ho preferito usarlo per stendere il capitolo e non farvi aspettare ere.
Conto di rispondervi in questi giorni ma sarà a rilento, perché sono in procinto di partire per un breve viaggio e ho la testa altrove :/
Ringrazio anche chi ha aggiunto la storia fra le seguite/preferite/ricordate.
Siamo alle battute finali, forza e coraggio!

Alla prossima,
HeavenIsInYourEyes.

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