L'Agonia Del Gabbiano.

di StefanoReaper
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Bicchiere. ***
Capitolo 2: *** Occhi. ***
Capitolo 3: *** Basta Una Canzone. ***
Capitolo 4: *** Ruggine. ***



Capitolo 1
*** Il Bicchiere. ***


“Dai fratello, alzati, che ci fai là a terra!? Mi dispiace di averti detto quelle cose, mi dispiace anche di averti colpito… Non ti sei fatto male, no? No!?” La voce cominciava a tremargli appena.
“Fratello..? Ale..? ALE!” Gli si accucciò accanto e lo scosse con una mano sulla schiena.
“Non volevo offenderti fratello. Lo sai com’è, lo sai come sono quando bevo… Me lo dici sempre anche tu, non ricordi? Hai sempre un caratteraccio quando bevi. Eh, ricordi? Dai su, alzati adesso, e parliamone civilmente.”
Ale sembrava non ne volesse sapere di alzarsi e parlarne civilmente; doveva essersi offeso parecchio. Più del solito.
“Certo, pure tu… Lo sai, no? Non dovevi dirmi quelle cose, mi hai fatto male, male dentro. Mi spiace di averti colpito… Ale, mi stai ascoltando?”
Ale giaceva immobile sdraiato sul tappeto finto persiano, a pancia in giù con le mani vicino alla testa. Aveva gli occhi spalancati e non batteva ciglio. Un orrendo presentimento lo invase. Allora si alzò. Ciondolando leggermente si diresse verso il carrello dei liquori. Cercò con gli occhi il bicchiere, poi si ricordò e andò a raccoglierlo accanto ad Ale. Era ancora intero. Un bel bicchiere pesante, di quelli da whiskey. Doveva avergli fatto parecchio male, in faccia.
Ritornò al carrello e si riempì il bicchiere. Bevve in un sorso, strizzò gli occhi e tossì.
“Sai una cosa, Ale?” disse a voce alta buttandosi sulla poltrona. “Forse te lo meritavi. Sì, insomma, non può essere sempre colpa mia, l’hai detto pure te… Te lo meriti sì… sì… Te lo meriti ma non ti invidio, neanche un po’! Non sai che notte che passerò, stanotte. ”
Così dicendo si alzò, prese altro whiskey e uscì di casa.

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Capitolo 2
*** Occhi. ***


Serena - ripeteva.
Serena.. Serena.. Serena.
Non riusciva a farsi entrare in testa quel nome. Sicuro, l'avrebbe scordato nel giro di pochi minuti. Camminava ansioso lungo la penombra del corridoio rigirandosi le chiavi fra le dita e cercando con lo sguardo il pacchetto di Marlboro quasi vuoto. Lo trovò su un mobile e lo aprì. Solo due, cazzo. Se lo ficcò brutalmente nella tasca dei jeans e tornò verso la porta. Uscì di casa e chiamò l'ascensore.
Com'era? - pensò - Serena..? Sì, Serena.
Una volta nell'ascensore controllò il proprio aspetto nello specchio ingiallito. Si passò una mano tra i capelli, sistemandoseli alla bell'è meglio, e si ficcò gli occhiali davanti agli occhi neri. Quella ragazza non ha via di scampo. Sorrise. Fece sbattere fragorosamente la porta dietro di sé, aprì il portone e si immerse nell'aria fresca del tramonto. Prese delicatamente una delle due sigarette tra le labbra e l'accese con un rapido colpo di fiamma, che si spense subito dopo trascinata via dalla leggera brezza. Si fermò un istante, assaporando l'amaro del fumo, e si guardò attorno. Aspirò un paio di lunghi tiri e buttò la sigaretta per terra, riprendendo a camminare. Raggiunse la macchina e montò al posto di guida. Accese la macchina, sintonizzò la radio e si buttò in mezzo alla strada. Allora, dov'è che abita quella tipa.. Svoltò pericolosamente a destra e spinse il piede sull'acceleratore. La radio passava una qualche stupida canzone moderna di quel pop insignificante e inutile, così spense la radio e abbassò i finestrini.
In cinque minuti arrivò a destinazione. Scese dalla macchina e cercò il nome sul citofono. Spinse il pulsante e attese. Si tolse gli occhiali e con una mano sistemò i capelli scompigliati dal vento.
Lei arrivò subito. È proprio carina - pensò sorridendole.
- Ciao. - disse lei per prima.
- Ciao. - rispose lui guardandola fissa negli occhi.
Aveva dei bellissimi occhi nocciola che illuminati dalla luce sembravano pietre preziose. Si innamorò subito di quegli occhi.
- Vogliamo andare? - Aggiunse sempre sorridendole senza distogliere lo sguardo dagli occhi di lei.
- Hai già delle idee su dove andare?
- Mmh, può darsi - disse ridacchiando.
Si avvicinarono alla macchina e lui le aprì lo sportello. Montò al posto di guida e partì.
- Parlami un po’ di te - disse lui sistemandosi gli occhiali sul naso.
Per tutto il tragitto parlarono di lei. Adorava il suono di quella voce. Che ragazza magnifica! Bella, intelligente.. Pure simpatica! Dopo dieci minuti di viaggio lui era cotto a puntino. Quella ragazza aveva un potere incantatore su di lui.
La portò a un belvedere, uno di quei posti da cui ammirare il panorama della città dall’alto. Stettero lì per un po’, in silenzio. Lui era combattuto tra il guardare il panorama e l’ammirare i suoi capelli neri che le cadevano dolcemente sulle spalle. Poi si baciarono. Fu un bacio lungo, prima dolce, poi appassionato. Si baciarono e lui la strinse a sé. Pensava che non si sarebbe più staccato da quelle labbra così morbide. Aveva un buonissimo profumo, semplice, proprio di quelli che piacevano a lui.
Poi si staccarono, e rimasero lì immobili, in silenzio, mano nella mano a guardare il panorama, mentre lui le accarezzava i capelli.
 
Scese dalla macchina e le aprì la portiera. Lei uscì e gli prese una mano. Fece appena toccare le labbra con le sue e lo lasciò. Lui sorrise e lei ricambiò.
- Fatti sentire.
- Certamente - rispose lui - Appena ho un minuto ti chiamo.
- D’accordo - disse lei sorridendo.
Lo baciò sulla guancia e andò verso il portone.
Lui rimase appoggiato alla macchina a guardarla. Lei sparì dietro al cancello, lui si accese una sigaretta e montò in macchina. Accese il motore e partì di corsa.
Non amo neanche questa – disse tra sé e sé.

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Capitolo 3
*** Basta Una Canzone. ***


Erano le 3. E pioveva.
Lui e Jack stavano salutando Ale, una vecchia amica di scuola vecchia fiamma di Jack – o meglio, vampata. Lei scese, corse al cancello e loro ripartirono. Guidava sotto la pioggia in uno stato semicomatoso e doveva impegnarsi a restare concentrato nel guidare, ma sotto i baffi se la rideva. Se la rideva perché, appena rimasti da soli loro due uomini, iniziò a sentire uno strano odore, di merda. Si sta cagando addosso - pensò per prima cosa. Poi avvertì un secondo tipo di odore, impossibile da non riconoscere.
Una domanda aleggiava a quel punto nella sua testa, una domanda parecchio pungente.
Alla fine non resistette, abbassò leggermente i finestrini e parlò.
- Insomma te la fai con Alessandra? - chiese ponendo la domanda come semplice conversazione.
- Io non me la faccio con Alessandra - rispose lui in un tono tra lo schifato e il sorpreso che trasudava menzogna. Vaghissimo, pensò sogghignando. Dopo un attimo di silenzio riprese - Ho già dato.
La conversazione continuò alternando domande pungenti a scuse sempre più accurate e sempre meno credibili. Lui era palesemente agitato.
Le risposte erano sempre cose del tipo “per me è una grande amica, intima quasi”, “non ci ho fatto niente, almeno negli ultimi due anni”, “cioè, se lei mi dicesse vuoi scopare? beh, scopiamo”.
- È una scopamica.
- Sì, è una scopamica - ammise alla fine.
Ti ho sgamato, insomma.
Scese il silenzio e dopo pochi metri si fermarono sotto casa di Jack. Si salutarono come se niente fosse e lui scese.
Rabbrividì. Che schifo.
Per distrarsi accese la radio e finì di abbassare i finestrini.
La stazione di musica rock trasmetteva una canzone di cui non ricordava il nome, e non riuscì a ricordarselo finché la musica non terminò.
A quel punto iniziò una nuova canzone. Non conosceva neanche quella, ma la semplice e malinconica linea di piano lo incuriosirono, e si mise ad ascoltare.

I was dreaming of the past.

Si tradusse mentalmente il verso, per capirne bene il senso.
Già dalle primissime parole la canzone aveva preso un andazzo nella direzione sbagliata. Volle andare avanti e sentire il fottutissimo problema d'amore di quel tipo.


And my heart was beating fast.

Ecco.

Le frasi gli si accumulavano nella testa mentre cercava di trovare il motivo detonatore di tutti quei sentimenti racchiusi nella melodia.

I didn't mean to hurt you,
I'm sorry that I make you cry.


Si commosse sentendo dentro di sé i dolori di quell'uomo, ma solo per un attimo, capendo poi che quei sentimenti gli erano estranei.
Entrò nel box strizzando via l'alcool dagli occhi e tirò il freno. Rimase ancora ad ascoltare, seduto al buio dell'auto, mentre fuori ancora pioveva.

I was feeling insecure you might not love me anymore..

Cazzo, è vero. Cazzo, cazzo, cazzo!

Stringeva forte il volante con entrambe le mani e tremava leggermente. Sentiva pian piano salire i brividi alla pelle e strinse gli occhi.

I was trying to catch your eyes,
Though that you was trying to hide.
I was swallowing my pain..


Non resse oltre. Esplose in un pianto compulsivo e singhiozzante, che la musica, sempre più crescente d'intensità, alimentava come olio sul fuoco.
Pianse a lungo, mordendosi le labbra per soffocare i singhiozzi. Poi la musica finì, si asciugò le lacrime e scese dalla macchina.
Vaffanculo, urlò a se stesso.
Appena fuori dal box la pioggia gli bagnò il volto, portando via il salato delle lacrime. Si avviò veloce sulla strada e verso il pesante portone di casa, prese l'ascensore ed entrò nell'appartamento. Senza neanche asciugarsi entrò in camera e accese il computer.
Aprì un documento e fissò per lunghi secondi la pagina bianca, offuscata dall'alcool e dalla droga che ancora gli circolavano nel sangue.
Poi cominciò a scrivere.
Erano le 3. E pioveva.

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Capitolo 4
*** Ruggine. ***


Ana passeggiava lungo il viale sterrato saltellando allegramente e facendo ciondolare la lunga treccia fulva. Il sole le illuminava il volto e faceva risplendere la campagna circostante di un'aura particolare, quasi fiabesca. Una leggera brezza estiva faceva danzare le spighe dorate, che apparivano come un invitante mare d'oro in cui immergersi e di cui inebriarsi.
Poco più avanti, dove finivano i campi coltivati e iniziava la campagna incolta, nel terreno si aprivano delle profonde spaccature, nascoste dal grano selvatico. Era un luogo pericoloso; se non stavi molto attento potevi caderci dentro, e rischiavi di farti molto male o addirittura di non riuscire a tornare e rimanere bloccato lì. E Ana lo sapeva. Ma quella mattina quel posto era pervaso da una strana atmosfera. I bambini le sentono queste cose.
Distaccandosi dal viale si immerse nel verde del grano selvatico, che quasi la ricopriva completamente, e andò verso le spaccature. Notò che tutt'intorno ai bordi delle spaccature le spighe erano spezzate, abbattute; qualcuno si era fatto strada. Ma Ana non si fermò troppo a pensare a chi o cosa fosse stato, e perché. Andò avanti verso il ciglio, guardando per terra per non inciampare o pestare qualche vipera. Era pieno di sassi bianchi per terra, e la bambina si mise a tirarli per gioco, o il più lontano possibile o dentro le spaccature. Ma Ana aveva paura di quei profondi buchi che si aprivano come bocche mostruose nella terra nera, e si teneva sempre a distanza dal bordo. Costeggiandolo da una certa distanza riuscì a circuirne una di grosse dimensioni, raccogliendo ogni tanto un sasso tra le alte spighe.
Poi si paralizzò alla vista di qualcosa nascosto nel grano. Pensò di essersi sbagliata. Ma quello che aveva visto era proprio una mano. Tornò con lo sguardo a quel punto, e distinse perfettamente le pallide dita in risalto sulla terra nera.
Con il terrore nello stomaco, ma la curiosità da bambino che la permeava si avvicinò lentamente, senza mai distogliere lo sguardo. Istintivamente, senza pensarci, prese quella mano, e la sollevò.
Poi si sentì gelare.
La pallida mano era legata con del filo spinato, ormai arrugginito dalle intemperie, che si avvolgeva attorno al polso per poi cadere in basso, attorno a un'altra mano.
Si sentì morire. La vista del sangue su quel pallore la terrorizzò, si sentì pervasa dalla morte. Lasciò cadere la mano e scattò in piedi. Non riuscì neanche a urlare. Si voltò e corse via, inciampando più volte e cadendo tra le alte spighe. Teneva la mano sporca di sangue serrata in un pugno che mai avrebbe più voluto aprire. Corse fino a perdere il fiato, fino a sentire le forze mancarle, e cadere rotolando tra le spighe dorate dei campi. Rimase là. Gli occhi chiusi riversavano lacrime, ma non riuscivano a lavare via la morte.

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