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Yamamoto
si sentiva ancora confuso. Non riusciva a ricordarsi com'era successo tutto
quello, era stato tutto troppo veloce. O forse la verità era che non voleva
riuscire a ricordare. Troppo dolore che né lui, né i suoi amici, né Kaoru si
meritavano.
In
fondo, gli avevano spiegato cos'era successo in realtà alla famiglia Shimon, e
lui era stato felice di sapere che Kaoru lo considerasse ancora un amico. E
poco importava se poi era lui quello che avrebbe dovuto perdonare Kaoru e
decidere se valeva la pena considerarlo o meno un prezioso amico. Lui non aveva
mai avuto dubbi in proposito, e non ne avrebbe avuti adesso.
In
fin dei conti, per quanto forse la sua vita adesso sarebbe cambiata, non
sarebbe stato un problema. Avrebbe dovuto dire addio al baseball, probabilmente
anche alla spada e a quel divertente gioco sulla mafia con Tsuna e tutti gli
altri ma...beh, era stato un incidente, quindi non poteva prendersela con
nessuno.
Suo
padre era, probabilmente, quello che l'aveva presa peggio. Quando i medici gli
avevano parlato, schietti e spietati, Yamamoto l'aveva visto sbiancare così
tanto che aveva avuto paura svenisse. Lui l'aveva capito non appena aveva
aperto gli occhi che c'era qualcosa che non andava, e capire cosa fosse l'aveva
inizialmente sconvolto.
Era
difficile accettare una realtà del genere, doveva essere sincero.
Non
poter più giocare a baseball, dover cambiare tutta la sua vita.
Era
difficile perché non aveva mai nemmeno lontanamente preso in considerazione
qualcosa di simile.
Lui
voleva diventare un campione di Baseball, voleva allenarsi con la spada con
Squalo, voleva combattere al fianco dei suoi amici, per loro e per la sua
famiglia.
Invece...invece
niente. Niente di tutto quello sarebbe più potuto accadere. O almeno ne
dubitava fortemente.
Anche
se al pianto del padre aveva represso il suo e aveva sorriso, dicendo che non
si doveva preoccupare, in realtà era spaventato. E preoccupato e amareggiato. E
aveva voglia di piangere e urlare e rompere qualsiasi cosa si trovasse a
portata di mano, compresa quella stupida sedia a rotelle.
La
verità era che anche se il medico gli proponeva operazioni che gli avrebbero
potuto dare una piccola percentuale di ripresa, anche se diceva che forse la
riabilitazione poteva aiutarlo, lui non ci credeva.
Potevano
dirgli quello che volevano, potevano dargli tutte le speranze -fasulle- di quel
mondo, ma lui le gambe non le sentiva più. Non le muoveva più. E non sarebbe
più riuscito a muoverle, lo sapeva. E lo leggeva negli occhi del padre e del
medico che l'aveva ora in cura.
Non
era da lui arrendersi, non era da lui scoraggiarsi. E non lo stava facendo.
Semplicemente, vedeva la realtà un po' più per com'era veramente, stavolta.
"Takeshi?"
si riscosse, alla voce del genitore. Stava tornando a casa, perché non ne
poteva più di rimanere in ospedale, perché era inutile continuare a stare lì.
Afferrò
il borsone e se lo poggiò sulle ginocchia "Sì, papà?"gli sorrise, di un sorriso uguale ai soliti e
al contempo più spento.
Tsuyoshi
scosse la testa "Abbiamo preso tutto?" domandò, cominciando già a
spingere la sedia a rotelle su cui era costretto il figlio.
Takeshi
sospirò, rilassandosi sullo schienale "Sì" mormorò, come se fosse
esausto, stravolto. E lo era, davvero.
Iniziava
ora una battaglia che non avrebbe mai voluto affrontare, da cui sarebbe
volentieri scappato, quella volta.
Il
sospiro che uscì dalle sue labbra spinse Tsuna a voltarsi dalla sua parte.
Yamamoto gli sorrise, come se niente fosse, scrollando le spalle e facendogli
cenno di tornare a guardare il professore, prima che li beccasse di nuovo
entrambi a non far nulla.
Era
tornato a scuola già da qualche mese ormai, eppure ancora i ragazzi e i
professori si voltavano al suo passaggio, i ragazzi del club piangevano la sua
ritirata, le ragazze maledivano la sua sfortuna. Tutto abbastanza nella norma,
come c'era da aspettarsi.
Yamamoto
sorrideva solare a tutti, scrollava le spalle, diceva di non preoccuparsi.
Nessuno l'aveva mai visto amareggiato, i suoi occhi ridevano ancora come un
tempo, non si faceva problemi a chiedere aiuto e tutti erano sempre pronti a
dargli una mano.
Takeshi
Yamamoto era esattamente come lo ricordava, eppure a volte Tsuna, guardandolo,
si chiedeva se era davvero quel sorriso il vero volto del suo amico. Se magari
il Guardiano della Pioggia non lo facesse solo per lui o per gli altri.
Sorrideva
a Tsuna perché sapeva che Tsuna si sentiva in colpa.
Sorrideva
a Kaoru perché sapeva che Kaoru si sentiva in colpa.
Sorrideva
al padre perché sapeva che Tsuyoshi era preoccupato e spaventato.
Sorrideva
a Gokudera , perché sperava di ricevere un qualsiasi segno da parte dell'altro.
Cenno
che non gli veniva mai rivolto.
Non
sapeva che meccanismo contorto avesse attivato la mente di Gokudera, sapeva
solo che da quando erano tornati vincitori dallo scontro contro gli Shimon, lui
Tsuna, Ryohei e Lambo, il Guardiano della Tempesta non era più stato lo stesso.
Più precisamente, Yamamoto aveva la sensazione che il suo modo di fare fosse
cambiato essenzialmente nei suoi confronti.
Perché
con il suo adorato Decimo era sempre lo stesso sorridente, servizievole
Gokudera. Lo andavano a prendere insieme, pranzavano insieme, spesso facevano
ancora i compiti a casa tutti e tre insieme. Solo che Yamamoto aveva notato
che, in tutte queste attività e in molte altre, Gokudera in un modo o
nell'altro evitava sempre il suo sguardo. E Yamamoto non riusciva a capire
perché.
Non
sapeva se doveva effettivamente preoccuparsi di aver fatto qualche torto
all'amico, o pensare che quella situazione fosse colpa della sua attuale
condizione. E se così fosse stato, continuava a non capire l'altro.
Al
suono della campanella, Yamamoto lasciò cadere la penna -che non aveva usato-
sul quaderno, allungando per bene la schiena. Gli occhi andarono inconsciamente
a cercare il Guardiano della Tempesta, ma quel giorno l'amico aveva lasciato
l'aula a lezioni appena iniziate e non l'aveva più visto.
Spinse
la sedia all'indietro con la forza delle braccia e si avvicinò al castano
"Tsuna, andiamo a pranzo?" chiese sorridendogli. Il futuro Decimo
Boss dei Vongola si girò verso di lui e abbozzò un sorriso tirato. Un sorriso
che non si estese agli occhi, e Yamamoto sapeva che era colpa sua. Ignorò
quella luce colpevole nello sguardo dell'amico tutte le volte che lo guardava e
si voltò invece verso Enma Kozato, che non era da
meno di Tsuna, in quanto a sensi di colpa.
Yamamoto
spesso aveva la tentazione di urlargli contro di smetterla, come in quel
momento, che così facendo lo facevano solo stare peggio e che non era colpa
loro, che gli facevano solo pesare quella situazione ancora di più. Ma
dopotutto lo sapeva, che i due erano solo preoccupati per lui, ne era
consapevole e se ne dispiaceva. Così rassicurava e sorrideva.
"Ti
unisci a noi, Enma?" esclamò, sapendo che così nessuno dei due avrebbe
rifiutato l'invito. Enma e Tsuna erano molto uniti, nonostante tutto.
I
due annuirono un po' titubanti, prima che Tsuna prendesse a spingere la sua
sedia a rotelle fino al giardino interno della scuola media Namimori.
Arrivare
al tetto era troppo complicato, ormai.
Si
stavano dirigendo verso un praticello dove sapevano
poter stare tranquilli, sul retro della scuola, quando una piccola, chiassosa
folla attirò la loro attenzione.
"Che
succede lì?" chiese Tsuna, quasi intimorito.
"Una...rissa?"
Yamamoto
rise allegro "Magari stanno giocando" esclamò, con il suo solito modo
di fare "Andiamo ad unirci anche noi?"
Tsuna
avrebbe voluto fargli notare che, a seconda dei giochi, lui forse non avrebbe
potuto partecipare, ma non ebbe cuore di esternarlo. Yamamoto era entusiasta,
come tutte le volte.
Spinse
la carrozzina e si fece spazio fra la folla.
"G-Gokudera-kun!"
"Kaoru!"
Yamamoto
si morse il labbro, lontano dagli sguardi degli altri, in silenzio.
Nessuno
stava giocando con nessuno.
C'era
solo Gokudera, livido di rabbia, che picchiava Kaoru, che si lasciava colpire
senza alzare un dito in sua difesa.
Tsuna
era corso per tentare di fermare il suo autoproclamato braccio destro, mentre
Enma si apprestava a soccorrere goffamente Kaoru. Yamamoto spinse la sedia a
rotelle e si avvicinò all'argenteo.
"Gokudera"
lo chiamò, con voce ilare, ma l'altro non gli rivolse attenzioni "Perché
stavate litigando?"
Kaoru
si alzò subito a sedere "E' colpa mia, Yamamoto"
Takeshi
sorrise "Davvero? Immagino che Gokudera si sia scaldato subito come al
solito, vero?" rise, e forse fu proprio questo a far perdere quel poco di
autocontrollo che era rimasto al Guardiano della Tempesta.
Infatti
l'italiano era scattato, afferrandolo per il bavero della maglia "Perché
diamine gli dai ragione e gli credi ancora, invasato del baseball?" ululò,
ignaro che quel soprannome, al momento, era come una coltellata al petto per
Yamamoto.
"Beh,
è mio amico, giusto? E poi sarebbe da te!" esclamò, sorridendogli, quasi
felice che l'altro gli avesse rivolto parola.
"Non
dire cazzate, sei stupido o che cosa? Ce l'hai un cervello sotto quella massa
di capelli?"
Yamamoto
inclinò il capo, perplesso "Che vuoi dire?"
"Gokudera-kun, ti prego, calmati"
Poi
fu questione di un attimo solamente.
Gokudera
aveva ringhiato, esasperato, spingendo con rabbia e forza Yamamoto
all'indietro, senza accorgersi che nell'impeto di andargli contro, prima, gli
aveva fatto perdere contatto con la sedia. La carrozzella fu spinta
all'indietro e Takeshi si ritrovò steso a terra, sotto gli sguardi stupiti e
allarmati di tutti.
"Yamamoto!"
"Yamamoto,
stai bene?" gli chiese Kaoru, preoccupato.
Takeshi
sorrise ad entrambi "Sto bene, sto bene" rise, quasi fosse inciampato
sui suoi stessi piedi e dovesse sdrammatizzare una sua pessima figura "Mi
date una mano?"
"Certo!"
I
tre riuscirono a rimetterlo sulla sedia a rotelle, mentre Yamamoto continuava a
ridere e a scusarsi di essere un sacco di patate bello e buono.
Quando
aveva rialzato gli occhi, Gokudera era sparito.
Smise
di correre solo quando si ritrovò fuori dalla scuola. Si ritrovò vicino al
parco poco lontano da casa Sawada e allora, solo allora, si fermò, lasciandosi
cadere sull'altalena. Mosse piano i piedi, dondolandosi appena. Gli occhi verdi
erano puntati fissi sul pavimento sdrucciolato del parco-giochi, senza in
realtà vederlo.
Non
voleva fare quello che aveva fatto.
O
meglio, se l'era presa con Kaoru perché ormai non sopportava più la sua vista. Non
sopportava più nessun membro della famiglia Shimon.
Loro
avevano rovinato tutto, tutto quanto.
Non
riusciva a capire perché il Decimo fosse così legato a Enma, ma lo accettava,
perché naturalmente se il suo Boss prendeva delle decisioni lui doveva seguirle
nel bene o nel male.
E
allora poteva anche accettare la vista giornaliera di quel Kozato
se questa rendeva più serene le giornate del Decimo.
Ma
gli altri...gli altri non poteva sopportarli. Soprattutto, non poteva accettare
la presenza di Kaoru, così maledettamente costante nella vita di Yamamoto.
Sempre disponibile, sempre pronto ad aiutarlo. E Yamamoto accettava sempre col
sorriso sulle labbra.
Possibile
che quello stupido invasato non si rendesse conto che tutto quello che gli
stava succedendo era colpa proprio di quello che considerava un suo amico?
Possibile che non si rendesse nemmeno conto che quel tipo gli aveva anche
rubato il posto in squadra e lui, invece, non avrebbe mai più giocato? Era
davvero stupido fino a questo punto?
Calciò
un sasso e ringhiò verso nessuno in particolare, si accese una sigaretta e
aspirò con tutta la forza che aveva nei polmoni.
Quella
situazione gli stava facendo perdere la testa, neanche fosse lui quello che
doveva arrabbiarsi col mondo per essersi visto rovinare la vita. Invece
Yamamoto passava le giornate a sorridere e ringraziare e scusarsi e
tranquillizzare. Come un perfetto idiota.
Aveva
sempre pensato che fosse un coglione, ma credeva ci fosse un limite al peggio.
Invece a quanto pareva non era affatto così.
Yamamoto
era idiota proprio fino al midollo. Non sapeva nemmeno che significava provare
rancore per gli altri.
Mizuno
gli aveva appena rovinato la vita, ma in fondo che importanza aveva? Era sempre
suo amico.
Appena
si accorse che la sigaretta era ormai consumata fino al filtro, la gettò a
terra e se ne riaccese un'altra.
Il
problema più grande al momento era che non riusciva a stare nella stessa stanza
con Yamamoto senza aggredirlo a parole o a gesti. Era più forte di lui. Così si
sforzava di ignorarlo il più possibile.
Visto
che Yamamoto sembrava incurante del suo problema, visto che sembrava non gli
importasse niente, che avesse già superato il trauma, lui non aveva intenzione
di cambiare modo di fare. Lui non era come Takeshi, lui non riusciva a
comportarsi come se niente fosse. Per questo lo ignorava, proprio come Yamamoto
faceva con il suo problema.
Lui
la vedeva, quella maledetta sedia. le vedeva, le gambe di Yamamoto. E tutte le
volte gli montava una rabbia che non sapeva descrivere.
Si
alzò dall'altalena, infilandosi le mani in tasca e dirigendosi verso il suo
appartamento. Se doveva essere sincero, non sapeva nemmeno perché era
praticamente scappato via in quel modo, quando aveva visto Yamamoto a terra.
Lui...in
verità non avrebbe voluto farlo cadere. Solo che era stato preso dalla rabbia a
quelle maledette parole.
Quando
finalmente riuscì a trovare le chiavi di casa, la prima cosa che fece fu
buttarsi sul suo letto, accendersi un'altra sigaretta e fissare il soffitto.
Kaoru,
che aveva riaccompagnato a casa Yamamoto, lo lasciò sulla soglia del
ristorante, voltandosi e andandosene, senza ascoltare la voce di Takeshi che lo
invitava a restare. Il padre di Yamamoto non conosceva la verità di quanto era
successo. Di comune accordo gli avevano detto che era stato un tragico incidente
avvenuto durante gli allenamenti serali.
Ma
per Kaoru accettare le gentilezze del signor Yamamoto risultava come una
mancanza di rispetto, per questo tutte le volte che accompagnava Yamamoto fino
a casa, declinava l'offerta. A volte non oltrepassava nemmeno la porta del
ristorante.
Yamamoto
sospirò vedendo l'amico allontanarsi e spinse la porta del Take Sushi, entrando
-con un po' di difficoltà a causa del piccolo gradino, ma ormai ci aveva fatto
la mano-.
"Yo, papà!"
L'uomo
alzò gli occhi sul figlio e gli sorrise appena "Oh, Takeshi,
bentornato" mormorò. Non si mosse per dargli una mano, perché sapeva in
cuor suo che nonostante tutto Takeshi voleva essere il più autonomo possibile.
Per questo aveva fatto istallare un montascale che aiutasse il figlio a salire fino
al piano di sopra -non avevano trovato altro modo per arrivare all'appartamento
sovrastante il ristorante, e prendere di peso Takeshi e portarlo di sopra tutti
i giorni non sarebbe stato d'aiuto a nessuno-, aveva anche fatto in modo che
tutto in casa adesso fosse a portata di mano del ragazzo.
Almeno
in questo modo pensava -sperava- di aiutare il figlio il più possibile,
cercando di non fargli pesare niente.
"Il
tuo amico dall'Italia di sta aspettando nella tua stanza"
"Un
amico dall'Italia?" Takeshi sbatté le palpebre. Non poteva essere
Gokudera, perché dubitava sarebbe mai venuto a trovarlo, specie dopo quello che
era successo quella mattina stessa. E poi suo padre lo conosceva.
"Ma
sì, certo. Mi ha persino sfidato, quando gli ho detto che tu non eri ancora
tornato. Sbraitava tanto e allora ho accettato. Devo dire che ci sa davvero
fare, con la spada. Mi ha detto che ti stava allenando lui già da un po' di
tempo. Mi dispiace di non essermi mai interessato dei tuoi miglioramenti"
mormorò il padre, abbozzando un sorriso che risultò tirato e finto. Saltò su
quando, distratto, si tagliò con i coltello con cui stava preparando il sushi,
affrettandosi a mettere la mano sotto l'acqua fredda.
Sapeva
che il figlio ci sapeva fare, con la spada, sapeva in cuor suo che continuava
ad allenarsi, ma da quando aveva smesso di chiedergli aiuto, lui non aveva più
pensato di farsi di mostrargli a che punto era arrivato, per poter essere fiero
di lui anche per quel motivo. Perché stava mandando avanti una tradizione
importante per la famiglia.
Voleva
aspettare che fosse Yamamoto a correre da lui, entusiasta, e a sfidarlo per fargli
vedere che adesso avrebbe sicuramente potuto batterlo, che era forte, più forte
di lui. Pensava ci fosse tempo e si fidava davvero del figlio.
Invece
il tempo non c'era più ormai, Yamamoto non avrebbe più potuto fargli vedere i
suoi tanti miglioramenti con la spada.
Quando
si accorse dell'espressione del padre, Takeshi scurì la sua. Durò solo un
attimo, però, contento all'idea che Squalo fosse venuto a trovarlo.
"Papà..."
lo richiamò. Ma non sapeva davvero che cosa dirgli. Un semplice 'non ti
preoccupare, ci saranno altre occasioni' ormai era completamente fuori luogo
anche per lui. Non si sarebbero state altre occasioni, però non voleva vedere
suo padre così giù di tono.
C'era
sempre stato un buon rapporto tra padre e figlio nella famiglia Yamamoto, ma
per la prima volta Takeshi non aveva idea di come parlare al genitore.
Quando
però Tsuyoshi alzò il capo in sua direzione, lo accolse con un sorriso solare e
sbarazzino degno di lui.
Tsuyoshi
ricambiò "Sono certo che mi avresti reso orgoglioso. Anche il tuo amico
pensa che non sei male, se solo fossi meno...buono, qualsiasi cosa
intendesse"
Yamamoto
rise "Squalo parla sempre in modo strano. Io mi sono sempre impegnato. La
spada mi piace quanto il baseball"
Stupido
dirlo adesso che non poteva più giocare a nessuno dei due.
Yamamoto
senior sorrise amaramente, annuendo "Non ne dubito, ce l'hai nel
sangue" sussurrò. Per un attimo ci fu silenzio fra i due e una tensione
che le uniche due persone presenti in quel momento nel ristorante colsero
tagliente.
"Beh,
il tuo amico è di sopra. Che aspetti ad andare?"
"Sì,
vado pà!"
Quando
salì al piano di sopra, si fermò un attimo alla fine delle scale, bloccando la
sedia per non andare all'indietro e accasciandosi su di essa.
Era
contento di rivedere Squalo, s'intenda, ma non era certo di poter affrontare
quello che l'altro gli avrebbe sicuramente urlato contro, sbraitando su quanto
fosse una feccia inutile e roba simile. Non che Squalo potesse incolparlo di
quello che era successo o qualcosa del genere, ne era certo, solo che
sicuramente si sarebbe arrabbiato con il mondo e se la sarebbe presa con lui,
perché aveva sprecato il suo tempo cercando di insegnargli l'arte della spada e
lui era stato battuto come un novellino.
Sospirò
e cercò di prendere il coraggio di entrare nella sua stanza.
Era
anche strano che Squalo venisse a casa sua e lo aspettasse fino al suo ritorno.
Di solito, le poche, rare volte che passava, chiedeva sgarbatamente di lui e se
non lo trovava se ne andava via. Non gli piaceva aspettare e quelle volte
tornava sempre di sera, quando era certo di poterlo trovare, entrava dalla
finestra per ricordargli che dovevano allenarsi, oppure se lo trascinata
appresso con la forza, o ancora lo picchiava per convincerlo a mollare quello
stupido sport e a dedicare anima e corpo alla spada come aveva fatto lui.
Non
si era mai fermato a casa sua, e questo dal suo punto di vista non presagiva
niente di buono, con Superbi Squalo.
"VOOOOI
che diamine stai facendo qui fermo?" alla voce dello spadaccino dei Varia
alzò il capo di scatto, trovandoselo davanti, poggiato allo stipite della porta
della sua stanza.
"S-Squalo!"
esclamò, non riuscendo a mostrare del tutto il suo solito entusiasmo alla sua
comparsa.
Squalo
lo osservò a lungo, con un'espressione stranamente calma ed indecifrabile sul
volto. Yamamoto si ritrovò a deglutire, quasi timoroso avrebbe potuto
tagliargli la testa con un colpo secco. Staccò i freni della sedia a rotelle
pronto a salvarsi la vita in un modo o nell'altro, abbozzando un sorriso alla
volta di Squalo che sicuramente l'avrebbe irritato ancora di più.
Lo
spadaccino invece si limitò ad avvicinarsi, afferrare la sedia a rotelle e
spingerlo fino alla stanza, prima di chiudersi la porta alle spalle.
Prese
ad osservarlo ancora, e Yamamoto si sentì questa volta stranito e disorientato.
"S-Squalo,
mio padre mi ha detto che mi hai aspettato. Di solito non resti mai, mi fa
piacere vedere che oggi hai fatto un'eccezione" rise, cercando di smorzare
quell'aria stranamente tesa.
"Tuo
padre mi ha intrattenuto, è un ottimo spadaccino" ammise, sedendosi sulla
sedia con i piedi sulla scrivania.
Yamamoto
rise divertito "Mio padre è il migliore. E' stato lui ad insegnarmi a
combattere quando ti ho conosciuto!"
"VOOOOI,
non dire cazzate, quando ti ho conosciuto sapevi a malapena tenere in mano una
spada!"
"Ma
ti ho battuto! Se non fosse stato per lui non ci sarei mai riuscito"
Squalo
grugnì "Il culo del principiante"
Yamamoto
rise. Era sicuro che Squalo non avrebbe mai ammesso di aver perso per propria
mancanza, e dopotutto Takeshi sapeva che se aveva vinto era stato solo per
fortuna personale.
Comunque,
aveva capito il motivo per il quale lo spadaccino era venuto, nonostante stesse
stranamente in silenzio. Cercò di distrarsi dallo sguardo che Squalo sembrava
aver deciso di tener fisso su di lui, facendo forza sulle braccia per spostarsi
dalla sedia al letto. Quando ci riuscì, spostò di lato la carrozzella e si mise
più comodo.
Squalo
aveva osservato tutta la procedura con attenzione, lo sguardo affilato e iroso.
"Ushishishi, non dirmi che non sai le ultime novità sul tuo
adorato allievo, Squ-chan"
"Di che
cazzo stai parlando, stupido principe mancato?"
"Allora non
lo sai. Pensa che Luss l'ha saputo dal Sole dei
Vongola, chissà poi che ci facevano quei due cretini insieme. Strano, no?"
"VOOOOI, di
che cazzo stai parlando, principe del cazzo?"
"Ushishishi"
Squalo
non sembrava intenzionato a parlare, e Yamamoto stava seriamente pensando che
forse avrebbe dovuto trovare lui una scusa con cui sciogliere il silenzio,
anche con il rischio e l'altro lo ammazzasse di botte.
Squalo
però lo anticipò e forse Yamamoto avrebbe preferito tornare al silenzio
precedente.
"Com'è
successo?" gli chiese laconico. Quell'idiota di Bel gliel'aveva detto solo
qualche settimana, e lui dopo averlo picchiato e minacciato ed essere andato a
chiedere conferma a Lussuria, che a quanto pareva l'era venuto a sapere da
Sasagawa -come si erano incontrati e perché non lo voleva sapere- era corso ad
accertarsi che fosse la verità.
Yamamoto
si grattò la nuca, ridacchiando, indeciso su cosa rispondere. Fosse stato
ferito in battaglia, sarebbe stato un conto, ma essere colpito alle spalle per
aver abbassato la guardia di fronte ad un amico...beh, dubitava che Squalo
avrebbe semplicemente accettato la situazione con un 'che peccato'.
"Ehm...beh,
diciamo che è stato un incidente" rispose sorridendo bonariamente,
scrollando le spalle.
Squalo
lo fulminò con lo sguardo, alzandosi di botto "VOOOI, e ti sembra una cosa
su cui ridere, razza di cretino? Ti sei fatto battere come un coglione da uno
qualunque!"
Yamamoto
lo guardò perplesso, continuando a grattarsi la nuca e ridacchiando "Beh non
è proprio corretto dire che mi sono fatto battere"
"Vuoi
dire che ti sei fatto prendere di sorpresa come la feccia che sei? Che cosa
cazzo ti ho insegnato in tutto questo tempo?"
"Beh
ma te l'ho detto, è stato un incidente!"
"VOOOOI,
questa non è una giustificazione! Tu avresti dovuto batterlo ad occhi chiusi
cazzo! Invece ti sei fatto ridurre in questo modo ridicolo!" urlò,
afferrandolo per la calotta. Yamamoto si lasciò andare ad un sospiro,
constatando che quel giorno sembrava proprio che tutti ce l'avessero con la sua
povera maglia.
Takeshi
ridacchiò "Dai Squalo, non prendertela"
Lo
spadaccino gli ringhiò praticamente in faccia "Io non me la devo prendere?
Hai reso vani tutti i miei allenamenti, hai completamente disonorato la spada, ragazzino!
Ridi di nuovo in quel modo e ti stacco la testa!"
Per
tutta risposta invece Yamamoto scoppiò in una delle sue cristalline risate
"Io non la vedrei proprio da questo punto di vista. Non volevo disonorare
nessuno e mi piacerebbe continuare ad allenarmi insieme a te,Squalo"
"VOOOI,
stai dicendo che hai intenzione di non allenarti più, moccioso?"
Yamamoto
sorrise di nuovo, mesto. Un sorriso spento, stavolta.
"Beh..."
mormorò, e la pausa durò più di quanto si sarebbe aspettato. Non continuò la
frase. Non ce n'era bisogno dal suo punto di vista. Era evidente, come avrebbe
dovuto abbandonare il baseball, avrebbe dovuto abbandonare purtroppo anche la
spada.
Squalo
lo guardò dritto negli occhi, seriamente. Con una serietà che Yamamoto, doveva
ammetterlo, aveva visto raramente nello spadaccino dei Varia.
Quando
lo lasciò, e tornò a sedersi sulla sedia della scrivania -continuando comunque
a fissarlo-, Yamamoto sospirò.
Non
sapeva decifrare il comportamento di Squalo.
Non
sembrava solo arrabbiato.
Si
ricordò solo in quel momento che anche Squalo, come lui adesso, aveva un
piccolo handicap che non gli aveva mai impedito di diventare l'imperatore della
spada.
Forse
però la cosa era leggermente diversa. A Squalo mancava una mano, Yamamoto non
avrebbe più potuto usare le gambe.
Eppure,
per uno spadaccino era un handicap enorme.
Squalo
però era riuscito ad arrivare in alto senza darsi per vinto, mai.
"Squalo"
lo chiamò, alzando appena gli occhi su di lui. Lo spadaccino non aveva mai
smesso di fissarlo e al suo richiamo si limitò ad un cenno del capo per fargli
capire che aveva la sua attenzione.
Si
morse appena il labbro, poi sorrise come se stesse chiedendo al padre una
stupida curiosità di bambino.
"Quando
hai perso la mano come ti sei comportato?"
Squalo
a quella domanda, aspettata, chiuse gli occhi e si avvicinò al letto su cui
sedeva Yamamoto quasi con minaccia.
"Come
ho fatto? Come non stai facendo tu, Yamamoto Takeshi. Hai già deciso che non
potrai più giocare a quello stupido sport né utilizzare la spada. Questo è
arrendersi, Yamamoto. E io credevo di averti insegnato che anche davanti un
avversario all'apparenza difficile, tu devi vincere. Vincere e basta!"
Takeshi
abbozzò un sorriso, non molto convinto. Non lo aveva scelto lui ed era un po'
difficile affrontare un avversario come quello, intangibile e irreparabile.
Come
poteva fare a vincere?
"Credo
di non aver capito" ridacchiò, e Squalo gli tirò un pugno tale da fargli
sbattere la testa contro il muro.
"Tu
non capisci mai un cazzo! Mi sono tagliato la mano perché volevo essere lo
spadaccino migliore. Ho combattuto, ho vinto e ce l'ho fatta, che cazzo c'è di
difficile?"
"E...io?"
Squalo
sembrò calmarsi a quella domanda e, dopo aver ripreso la sedia, si sedette
davanti al ragazzo.
"Tu
devi fare la stessa cosa, moccioso. In fondo questa non dovrebbe essere un
problema, no?" fece, indicando la carrozzella "Se lo si vuole si può
fare tutto. Tu almeno con un po' di impegno potresti farcela, se mettessi da
parte un po' di quel cazzo di buon sentimento che ti porti sempre appresso"
"Ma
non c'entra questo, Squalo!"
"C'entra
eccome, cretino!" ringhiò "E adesso stammi bene a sentire: non
accetterò l'abbandono definitivo della spada dopo tutta la fatica che ho fatto
con te, ragazzino. Quindi tira fuori le palle"
"Squalo..."
"VOOOI
stai zitto! Che hai ancora da lamentarti?"
Non
riusciva a capire se lo spadaccino lo stesse prendendo in giro o meno, sapeva
che quello che diceva non aveva il minimo senso. Però gli faceva piacere
sentirsi dire quelle cose.
Rise,
divertito davvero. Lui non voleva arrendersi, anche se la situazione sembrava
difficile.
Solo
che gli serviva un piccolo aiuto.
Aiuto
che forse Squalo avrebbe potuto dargli.
Angolino Autrice:
Ehm...buonasera *si guarda intorno circospetta*
Questa cosa ce l'ho in testa da un po', da quando precisamente
quel maledetto medico ha detto che Yamamoto a causa della ferita di Kaoru aveva
poche possibilità di riuscire a riprendersi. E io mi sono chiesta: e se fosse
successo davvero? Che casino sarebbe successo?
E' stato un parto scrivere questa storia, che doveva essere una shot ma alla fine mi sa che dovrò dividerla in tre o
quattro parti a causa della lunghezza.
In teoria, è un 8059. In pratica a ben poco di yaoi o shonen, ma Yamamoto e
Gokudera sono i due protagonisti, poco ma sicuro.
Vorrei tanto dedicarla a Nena e Rolly che mi hanno aiutato nella stesura e mi hanno spinta
ad andare avanti.
Grazie ragazze, senza di voi questa storia sarebbe rimasta nella
mia testa malata <3
Detto questo, vi lascio, sperando che vi possa piacere almeno un
poco.
Quella
mattina, quando Gokudera aveva riaperto gli occhi, aveva sentito un fastidioso
cerchio alla testa. Si era addormentato vestito sul letto senza nemmeno capire
quando l'avesse fatto, il posacenere del comodino strapieno. La finestra della
stanza era ancora chiusa e al suo interno permeava un nauseante odore di
tabacco.
Hayato
spalancò le persiane, per quanto quell'odore lo facesse stare il realtà bene, e
prese a sistemarsi per la scuola.
Doveva
sbrigarsi per non far tardi all'appuntamento col Decimo, e sperare di non
incontrare quello stupido patito del baseball. Ma forse non era più giusto,
ormai, chiamarlo così. In fondo, quell'idiota non avrebbe più giocato a
baseball.
Al
solo pensiero, la voglia di far colazione sparì completamente.
Era
sbagliato.
Il
giorno prima l'aveva chiamato così, di fronte a tutti, ed era tremendamente
sbagliato.
Sbuffò,
chiuse la persiana della finestra con un colpo secco, afferrò la cartella e
uscì di casa. Il Decimo l'aspettava, non poteva perdere tempo.
Quando
arrivò a casa Sawada e suonò il campanello, annunciando a Mama
che cercava Tsuna, sperava veramente di aver superato il peggio.
Ma
il peggio in verità non era ancora arrivato.
Nana
era appena uscita per scusarsi del ritardi del figlio, che stava facendo in
quel momento colazione e doveva ancora finire di prepararsi, quando lo vide
all'orizzonte.
Gli
sarebbe quasi piaciuto incontrare Shitt-P, piuttosto,
e scappare da lei.
Grugnì,
accendendosi al volo una sigaretta, quando incrociò il sorriso di Yamamoto e
quello un po' storto di Kaoru dietro di lui. Sembrava diventato il suo servetto, il giovane Simon, a causa dei sensi di colpa. Lo
andava a prendere e lo riaccompagnava a casa tutte le volte che Tsuna non
poteva o che Yamamoto non sentiva il bisogno di farlo da solo.
Durante
gli allenamenti, per esempio.
Yamamoto
all'inizio aveva preso l'abitudine di rimanere a guardarli, aspettare che Kaoru
si cambiasse e poi tornare con lui. Per far finta di fare ancora parte della
squadra, per tifare per loro.
Ma
alla fine aveva desistito. Era troppo doloroso.
Kaoru
gli aveva persino detto che avrebbe abbandonato il club di baseball, ma lui non
aveva voluto che per colpa sua l'amico rinunciasse alla sua passione. Così
spesso tornava a casa da solo, spingendo la carrozzella con la sola forza delle
braccia, e forse ci metteva molto tempo in più, ma almeno poteva far finta di
essere ancora completamente autonomo come se niente fosse.
Quando
arrivò davanti a Gokudera, Yamamoto lo saluto con un grande sorriso e una
leggera gomitata al fianco "Yo Gokudera"
fece, cercando di attirare la sua attenzione. Hayato, però, lo ignorò.
Yamamoto
continuò a sorridere come niente fosse, come non l'avesse notato, come fosse
normale, tutto normale.
Kaoru
sospirò. Erano in anticipo rispetto alla scuola, proprio perché inconsciamente Gokudera
non voleva vedere Yamamoto ed era uscito di casa prima degli orari che, sapeva,
erano i soliti dell'altro. Peccato non sapesse che Kaoru aveva gli allenamenti
mattutini ed era passato in prima dal moro.
"Tsuna?"
"Il
Decimo non è ancora pronto" la risposta fu lapidaria, scontata. Yamamoto
sospirò.
"Takeshi..."
lo richiamò amareggiato il giovane Simon e Yamamoto si voltò sorridendo
"Vai pure Kaoru, ci vediamo a scuola!" gli disse, salutandolo.
Mizuno
annuì e, non del tutto convinto, s'allontanò lasciando l'amico con
l'autoproclamato braccio destro di Vongola Decimo.
Per
tutto il tempo, nessuno dei due parlò. Gokudera si impose di non guardarlo
nemmeno, per quanto gli smeraldi ogni tanto si ritrovavano a vagare in sua
direzione. Tsuna ci avrebbe messo ancora molto, ed erano in anticipo di almeno
quaranta minuti per la scuola. Hayato non poté che sperare che Nana uscisse in
giardino per invitarli ad entrare e a fare colazione tutti insieme, invece di
aspettare lì fuori.
Almeno
avrebbe avuto un motivo per non guardare l'altro.
Yamamoto,
dal canto suo, si ritrovò a sospirare, senza troppo nasconderlo questa volta.
Poggiò la schiena sulla carrozzella e guardò di sbieco l'amico.
"Neh,
Gokudera, come mai così presto stamattina?" cercò di rompere il ghiaccio,
il silenzio, la tensione che c'era fra loro. Non la sopportava, era più forte
di lui. Non la sopportava, sperava che Gokudera gli rivolgesse ancora la
parola, anche solo per aggredirlo, come il giorno prima.
Qualsiasi cosa.
"E'
presto no? Tsuna si sarà appena svegliato!" non era strano accorgersi che
l'altro non gli avrebbe risposto. Ma Yamamoto avrebbe continuato a parlare,
anche solo per non far tornare quel dannato silenzio fra loro, anche a costo di
parlare da solo.
"Kaoru
aveva gli allenamenti mattutini oggi, così è passato prima da me. Non mi
aspettavo di trovare qui anche te sinceramente" rise, ignorando la
situazione opprimente. O almeno, lui si sentiva come oppresso.
Si
morse il labbro, non sapendo più come continuare. Insomma, parlare solo e fare
al contempo un discorso per far finta che qualcuno ti stia ascoltando non era
molto semplice. E lui non aveva idee, quella mattina.
Non
aveva più idee e basta, con Hayato.
Per
sua -loro- fortuna, Nana aprì nuovamente la porta, accogliendoli con un
caloroso sorriso.
Neanche
Gokudera poteva più farcela, ad ascoltare l'altro. Se non fosse stato per lei,
probabilmente gli sarebbe andato di nuovo contro.
"Oh,
Yamamoto-kun, vedo che ci sei anche tu. Ragazzi,
volete entrare e far colazione con noi? Tsu-kun ci
metterà ancora un po', per prepararsi" li invitò, poi si rivolse a Takeshi
e accentuò il sorriso come una madre che deve consolare il figlioletto che si è
sbucciato il ginocchio "Vuoi una mano, Yamamoto-kun?"
gli chiese, gentile.
Takeshi
alzò il capo e sorrise "No grazie signora, faccio da me!" le rispose,
sapendo che se la madre di Tsuna glielo chiedeva ogni mattina era solo per
educazione, ma che non avrebbe insistito. Forse perché lo comprendeva meglio di
quanto credesse.
"Beh,
allora che aspettate ad entrare?"
Yamamoto
non se lo fece ripetere due volte e Gokudera lo seguì subito dopo, riluttante
-ma non certo dell'invito a casa del Decimo, s'intende.
Bianchi
osservò il fratello minore dalla finestra e non poté che considerarlo
incredibilmente stupido, nel suo ostinato comportamento.
Entrare
e sedersi al tavolo con Tsuna e i bambini era stato un toccasana per entrambi.
Yamamoto poteva parlare e scherzare con Tsuna come faceva di solito e Gokudera
poteva concentrarsi sul suo Decimo senza doversi più sforzare di non ascoltarlo
e non guardarlo.
A
volte Takeshi si rivolgeva ancora a lui, e quando la risposta arrivava da Tsuna
piuttosto che dall'italiano sapeva ben nascondere l'amarezza.
Bianchi
fece il suo ingresso in cucina venti minuti dopo l'arrivo dei ragazzi, nel
momento esatto in cui Tsuna era salito nella sua stanza per cambiarsi la divisa
che Lambo gli aveva sporcato versandogli addosso del latte.
Non
appena la vide, come prevedibile, Gokudera fu pervaso dai crampi, svenendo sul
colpo e cadendo dalla sedia.
Bianchi
lo guardò dall'alto al basso, con un sorrisetto poco rassicurante sul viso
"Sei davvero un bambino, Hayato" mormorò.
Senza
dire niente, afferrò la carrozzella di Yamamoto e la spinse verso la porta.
"Ah,
Bianchi, dove stiamo andando? Gokudera sta male"
"Stai
tranquillo, penserò io a mio fratello"
Yamamoto
ridacchiò "Non sono sicuro sia una cosa saggia"
"Hai
qualcosa da ridire, Yamamoto Takeshi?"
"Uh...ehm,
no, affatto" mormorò, ridendo. Aperto la porta si ritrovò davanti Tsuna
che guardava stupito Bianchi, immaginando già da subito quello che era
successo.
Sospirò
"Bianchi-san, gli occhiali!" le disse,
chiedendosi perché fosse lui a doverlo ricordare sempre quando era interesse di
Bianchi non far svenire il fratello ogni volta che la vedeva.
In
effetti, quella volta, forse Bianchi aveva fatto un favore all'altro. Tsuna
aveva notato da subito la situazione tesa ma aveva anche pensato che
lasciandoli da soli forse sarebbe potuto succedere qualcosa, per questo si era
portato dietro anche Lambo e I-pin. Ma forse non era
stata una buona idea, conoscendo l'amico italiano, e forse l'arrivo di Bianchi
era stato invece provvidenziale. Non avrebbe mai voluto che Gokudera, per
qualche strana ragione, se la prendesse di nuovo con Takeshi com'era successo il
giorno prima.
Lui
avrebbe voluto che tutto tornasse come settimane prima, quando Gokudera e
Yamamoto litigavano in continuazione perché secondo il primo invece di pensare
al baseball avrebbero dovuto scortarlo a casa.
Ed
era difficile accettare che per colpa sua non era più possibile.
Era
difficile accettare che Hayato lo chiamasse ancora Decimo, perché lui non
voleva essere più il boss di niente. Lui non voleva più avere a che fare con la
mafia. Mai più.
Non
dopo che questa storia assurda aveva fatto così tanto del male ad un suo
prezioso amico.
Meno
difficile, persino, era stato convincere Reborn che, stranamente, aveva capito
la sofferenza del suo imbranato allievo. Tsuna era convinto che presto sarebbe
tornato all'attacco, quando la sofferenza di quella situazione si sarebbe un
po' affievolita, ma per il momento andava bene.
E
poi come avrebbero potuto andare avanti senza più un Guardiano della Pioggia?
Reborn
si sarebbe dovuto rassegnare, lui non sarebbe mai diventato un Boss della Mafia.
L'Arcobaleno
si sedette sulla spalla di Yamamoto e si rivolse a Tsuna "Sbrigati ad
andare a scuola, Dame-Tsuna, altrimenti farete
tardi" lo sgridò, e l'altro lo guardò un po' scettico.
"Ma...Gokudera-kun..."
"Penserò
io a mio fratello" ripeté Bianchi, e all'ennesimo richiamo -non
esattamente gentile- di Reborn, Tsuna si decise ad ascoltarli.
"Mi
raccomando, Bianchi-san..."
La
ragazza annuì, sparendo di nuovo in cucina, dove Gokudera giaceva ancora
svenuto. Yamamoto rise, sperando che l'amico potesse sopravvivere alla vista
della sorella che si prendeva cura di lui con qualche strana poltiglia. Si
appuntò di portargli qualcosa di buono dal ristorante del padre, il giorno
dopo, in caso Bianchi avesse combinato qualcosa di strano.
Si
lasciò spingere dall'amico fino alla scuola, chiedendosi se Bianchi l'avesse
fatto o meno apposta a comparire nel momento esatto in cui Tsuna li aveva
lasciati da soli, come se non aspettasse altro.
Quando
riaprì gli occhi non seppe dire esattamente quanto tempo era passato. Però non
ebbe nemmeno il tempo di pensarci, perché quando riconobbe la stanza e il letto
del suo Decimo si tirò su di scatto.
Che
ci faceva nella stanza del Decimo? E dov'era il Decimo? E che ora era?
Si
alzò e si diresse al piano sottostante. Tsuna doveva essere a scuola, e lui
invece era stato svenuto gran parte del tempo dopo aver visto la sorella,
lasciandolo solo. Era un comportamento inammissibile.
Sgattaiolò
piano verso la porta d'uscita, sperando di non incontrare Bianchi, ma i suoi
perfetti piani furono rovinati dall'arrivo di Lambo.
"Gyahah! Dove stai andando, Stupidera?"
Gokudera
si irrigidì all'istante, voltandosi verso il bambino e scoccandogli un'occhiata
glaciale "Zitta stupida mucca! Taci!"
I-pin comparve in
quel momento, probabilmente perché stava seguendo -inseguendo?- Lambo,
iniziando ad urlargli contro, naturalmente ricambiata. Gokudera ebbe la
tentazione di far saltare in aria entrambi, nonostante normalmente sopportasse I-pin perché più calma.
"Smettetela
di fare tutto questo chiasso, maledizione!" voleva scappare da Bianchi
senza farsi vedere, ma con tutta quella confusione sicuramente la sorella se ne
doveva essere già accorta. Fu in quel momento che Lambo gli saltò sulla testa
in un tentativo di fuga, subito seguito dalla bambina che gli fece perdere
definitivamente l'equilibrio.
Gokudera
si ritrovò gambe all'aria e Lambo gli si avvicinò subito.
"Perché
Yamamoto non vuole più giocare allo schiavo con Lambo-san?"
L'italiano
si alzò di scatto "Cosa vuoi che ne sappia, stupida mucca?"
"Lambo-san gioca sempre con Large
ed è contento, ma Lambo-san non capisce perché
Yamamoto se ne sta sempre seduto. E' diventato noioso!"
Hayato,
per un solo attimo, s'incupì. Quello stupido bambino non sapeva niente.
"Tu
che ne vuoi sapere stupida mucca? Non capisci niente!"
Lambo
scrollò le spalle, pulendosi il naso "Lambo-san
sa solo che se ne sta sempre seduto. E stare sempre seduto è noioso. Non si
stanca?"
"Certo
che è si stanca, idiota!"
"E
allora perché non si alza? Lambo-san vuole giocare
anche con Yamamoto!"
Gokudera
a quel punto perse la pazienza, lo afferrò tirandolo su di peso e se lo
avvicinò al viso. I-pin gli afferrò i pantaloni
dicendogli qualcosa che non comprese.
"Non
si alza perché non può! Non ti azzardare mai e poi mai a fare queste domande
all'invas-a Yamamoto, stupida mucca, o ti faccio saltare in aria, mi sono
spiegato?"
"L-Lambo-san non...non ha paura" borbottò il bambino,
con le lacrime agli occhi, invece sinceramente spaventato.
"Stupida
mucca guai a te!" urlò ancora, gettandolo a terra e facendo per avviarsi,
nervoso. Nervoso perché non aveva senso essersi arrabbiato così tanto all'idea
che Lambo potesse porgere quelle domande a Yamamoto, perché in teoria non gli
doveva interessare. Aveva agito d'istinto e adesso, mentre cercava di ignorare
il piccolo Bovino che dietro di lui cercava di imporsi la calma, sembrava
proprio stesse fuggendo.
In
realtà voleva andare dal Decimo, tutti lì.
"Dove
stai andando, Hayato?"
Ghiacciò
a quella voce, girandosi verso di lei -fortunatamente provvista di occhiali-
"A-aneki?" e deglutì. Perché diamine
Bianchi lo perseguitava così, quel giorno?
Gokudera
si ritrovò chiuso nella stanza di Tsuna senza possibilità di uscire prigioniero
della sorella -che, per fortuna, si era ricordata gli occhiali.
Incrociò
le braccia e si accese una sigaretta -dopo aver aperto la finestra,
naturalmente. Non fiatò, ma scoccò alla ragazza un'occhiata assassina di tale
intensità che chiunque avrebbe pensato di poter svenire anche solo con essa.
Bianchi
sedeva sulla scrivania, le gambe accavallate, gli occhi fissi in quelli verdi
del fratello minore.
D'accordo
con Reborn, avevano deciso che la situazione fra i guardiani Vongola andava
sciolta. Tsuna era disperato per i suoi due amici e non riusciva a concentrarsi
sugli allenamenti e nello studio e Bianchi era preoccupata per il fratello più
di quanto voleva dare a vedere. Inoltre, se le cose fossero continuate così,
visto la situazione attuale, c'era il rischio che la famiglia si sciogliesse,
come aveva espresso il desiderio Tsuna, in fin dei conti, o che Yamamoto
decidesse di 'smettere di giocare alla mafia'. E questo non andava decisamente
bene.
Senza
contare che Bianchi non poteva accettare che il fratello si rovinasse la vita
con le sue stesse mani, per chissà quale assurdo motivo. Era pur sempre il suo
fratellino, in fondo.
"Ti
stai comportando come un bambino, Hayato" gli disse all'improvviso, il
tono fermo e piatto. Pareva non gli interessasse di nulla, in realtà.
Gokudera
sbuffò un'enorme quantità di fumo e grugnì "Sono io che mi sto comportando
come un bambino adesso? Sei tu che mi hai chiuso qui impedendomi di
accompagnare il Decimo a scuola!"
"Sei
tu che mi hai costretto a reagire in questo modo, Hayato. Ti stai comportando
come uno stupido, con Yamamoto Takeshi" dritta al punto, Bianchi, senza
troppi, inutili giri di parole. Non serviva a niente, dopotutto. Hayato non
avrebbe capito cosa stava cercando di dirgli se si fosse messa a fare discorsi
contorti e vaghi.
Suo
fratello era intelligente, ma sapeva essere abbastanza ottuso quando era lui a
non voler capire. Ed era certa che, in questo momento, lui non volesse capire.
Così
era costretta a spiattellargli la verità in faccia, se voleva che afferrasse il
punto della situazione e non lo aggirasse.
E
da come Gokudera si era irrigidito, nel sentire il nome dell'altro, il suo
piano stava riuscendo alla grande.
"C..."
aspirò un'altra boccata di fumo, cercando di calmarsi "Cosa diamine centra
quell'invasato adesso, sorella?"
Bianchi
sorrise, accarezzando il piatto di PoisonCooking che teneva nascosto dietro la schiena in caso
l'altro avesse tentato la fuga, nonostante gli sarebbe bastato togliersi gli
occhiali.
"Ti
stai allontanando volontariamente da lui" spiegò.
Gokudera
strinse i denti e serrò i pugni "Q-questo non
devono essere tuoi problemi!" urlò, stizzito. No, decisamente Bianchi
stava affrontando un argomento che lui non voleva nemmeno sentir nominare,
senza contare che aveva colto subito il punto della questione, e non andava
bene.
"Lo
sono perché sono tua sorella. Non puoi comportarti così, Hayato" Bianchi
era apparentemente tranquilla e questo non fece che innervosire ancora di più
Gokudera.
Era...era
una cosa che non sopportava. Doveva uscire da quella stanza. Sarebbe andato
dalla madre di Tsuna, le avrebbe chiesto scusa per il disturbo e sarebbe andato
via prima del ritorno del Decimo.
Quindi,
anche subito se possibile.
Si
alzò di scattò e afferrò il pomello della porta, ma fu costretto a gettarsi
all'indietro quando vide uno dei tortini viola e fumanti della sorella contro
la porta, che iniziò pian piano a sciogliersi.
Deglutì,
voltandosi iroso verso la ragazza "V-volevi
uccidermi, maledetta?!"
Bianchi
scosse la testa, nient'affatto divertita. Non all'apparenza. Ci teneva che
Hayato capisse. Yamamoto Takeshi aveva bisogno d'aiuto e lui aveva bisogno di
darglielo.
"No.
Sto solo cercando di non farti scappare come al solito, Hayato"
"Io
non scappo"
"Lo fai in continuazione, invece" gli fece notare "Lo hai fatto
anche con la me stessa del futuro, fin quando non ti ho spiegato come stavano
le cose tra nostro padre e tua madre. Quando qualcosa non ti va a genio, tu
scappi, Hayato"
Gokudera
strinse i denti, ma non poté ribattere. Sapeva che la sorella non aveva tutti i
tordi e rispondendo avrebbe fatto la figura del fesso. Come poteva nascondere
la verità anche a se stesso? Scappava da tutta la vita, praticamente, da quando
da bambino aveva sentito quella cameriera raccontare una storia che dopo dieci
anni si era scoperta falsa.
"Che
cosa diavolo vuoi? Oggi è la giornata della sorella premurosa?"
Bianchi
scosse il capo "Voglio solo che tu apra gli occhi"
"Ma
di che cosa cazzo stai parlando?"
La
ragazza sospirò, cercando un modo per non essere troppo crudele "Dici
sempre di voler essere il braccio destro di Vongola Decimo, ma non ti stai
comportando come tale. Il tuo comportamento sta contribuendo alla distruzione
della famiglia"
Gokudera
spalancò gli occhi. Quando mai? Lui non aveva fatto niente di diverso dal
comportarsi come faceva di solito.
"La
situazione di Yamamoto sta allontanando tutti. Tsuna non vuole più essere il
Boss, Takeshi Yamamoto probabilmente non potrà più essere un guardiano. La
famiglia si sta sgretolando e tu non lo comprendi perché sei troppo impegnato
ad ignorare o insultare Yamamoto, non è vero Hayato? E' questo il comportamento
di un buon Braccio Destro?"fece
una pausa, intenta ad osservare la reazione del ragazzo. Ma quello se ne stava
immobile, gli occhi spalancati a fissarla come se fosse un U.M.A
non identificato, così continuò "Giusto ieri Sawada ha detto a Reborn che
non voleva più avere niente a che fare con Mafia e Vongola, ed era così
convinto di quello che diceva che nemmeno il mio adorato ha trovato niente da
ribattere. Dopotutto, con Yamamoto Takeshi in queste condizioni, e quindi con
un guardiano in meno, la Famiglia Vongola è incompleta"
A
quel punto si bloccò, e aspettò che fosse il ragazzo a fare o dire qualcosa. Si
aspettava una reazione delle sue. Uno scatto d'ira, urla, improperi e tentativi
di fuga. Tentativi che non avrebbe bloccato questa volta, perché tanto quello
che aveva da dire l'aveva detto.
Gokudera
infatti si era lasciato cadere sul letto, la sigaretta che aveva fra le labbra
e che era ormai completamente consumata era finita a terra miseramente. Avrebbe
pulito dopo e avrebbe chiesto scusa al Decimo per aver rovinato il pavimento.
Per
il momento, non riusciva a fare altro che pensare alle parole di Bianchi.
La
verità era che aveva ragione e lui lo sapeva. Sapeva di aver commesso lo stesso
errore di cui l'aveva accusato Yamamoto nel futuro. Di avere un pessimo
carattere e di non riuscire a comportarsi come un buon braccio destro dovrebbe
fare. Di nuovo, però, non ci aveva fatto caso.
Perché
agiva per se stesso senza pensare al Decimo e alla Famiglia Vongola, e questo
era imperdonabile. Più che pensare di quanto fosse stranamente doloroso per lui
il comportamento di Yamamoto e fare in modo di ignorarlo e far finta che non
esistesse -o, se proprio doveva, far finta che fosse il problema a non
esistere-, doveva trovare un modo di non far gravare quella situazione a tutti
loro.
Ma...non
era sicuro di esserne capace.
Non
ne era sicuramente capace.
Come
braccio destro era un completo fallimento, ma nonostante questo lui..."Non...sono
sicuro di aver capito quello che stai dicendo" mormorò, e questa volta non
c'era ostilità nella sua voce. Tutt'altro. Gli occhi erano fissi sul pavimenti,
il labbro torturato tra i denti.
Bianchi
si ritrovò a sorridere appena "Sto dicendo, Hayato, che devi smetterla con
questo comportamento ottuso. Non puoi ignorare il problema, perché quello
continuerà ad esistere"
Gokudera
si morse l'interno guancia e borbottò qualcosa fra sé e sé, scattando in piedi
"E io che diamine ci posso fare?"
"Affrontare
la situazione, invece di scappare"
"Io..."
si zittì. Non capiva l'utilità di quelle parole. Anche se lui si fosse
comportato in maniera diversa, che cosa sarebbe cambiato? Yamamoto non avrebbe
ripreso miracolosamente a camminare. La situazione non si sarebbe
improvvisamente sbloccata.
"Non
sto dicendo che questo risolverebbe tutto" mormorò Bianchi, come se gli
avesse letto nel pensiero, avvicinandosi "Far finta di non vedere non farà
comunque cambiare nulla. Yamamoto Takeshi non tornerà a camminare, ma forse
potrà tranquillizzarsi e accettare le cose come stanno. E forse se Sawada vi
vedesse nel vostro solito comportamento, senza maschere e finzioni, la famiglia
potrà salvarsi"
Gokudera
grugnì "Come se quell'idiota non avesse accettato tutto anche con troppa
facilità"
"Non
dire stupidaggini" lo redarguì la ragazza "Non hai visto la luce dei
suoi occhi? Yamamoto Takeshi non è più lo stesso di prima"
Hayato
alzò un sopracciglio, scettico. No, lui non aveva notato niente. E non perché
non conoscesse l'altro, ormai si capivano meglio con gesti e parole nascoste
che altro. Solo che...beh, guardava quei sorrisi e non si soffermava più sugli
occhi del Guardiano della Pioggia. Forse perché quei sorrisi gli mettevano
addosso una rabbia non normale ed aveva paura di guardarli per questo. Se ne
avesse letto sofferenza, non avrebbe più saputo come comportarsi. Ma se avesse
letto serenità anche lì, non avrebbe più saputo controllarsi.
"La
luce...?"
"Guardalo
e te ne accorgerai anche tu. Vedrai che non è colpa della situazione in sé per
sé se le cose stanno precipitando. E' anche colpa di Yamamoto"
"Non-"
"OI!
Ma che sta succedendo qui? Chi ha distrutto la mia porta? Bianchi-san!"
Bianchi
non gli rivolse nemmeno uno sguardo, che teneva invece fisso sul fratello,
quasi pretendesse la risposta che Tsuna aveva interrotto.
Tsuna,
però, che non aveva capito nulla di quello che stava succedendo, entrò in
stanza e si rivolse all'italiano "Gokudera-kun,
ti sei ripreso, come ti senti?"
"D-decimo..." sussurrò in risposta, gli occhi,
stranamente velati e lucidi, vagavano per la stanza, senza guardarlo
"Tutto bene, Decimo"
"Sono
contento" gli sorrise "Senti...ti fermi da me già che ci sei?
Yamamoto è di sotto e pensavamo di studiare insieme per il compito di
matematica di doman-"
"Mi
dispiace, Decimo" esclamò senza nemmeno lasciarlo concludere, facendogli
un perfetto inchino di scuse "Mi dispiace, ma non mi sento affatto bene e
penso che me ne tornerò a casa"
In
verità non voleva vedere Yamamoto dopo il discorso di Bianchi. Al solo sentire
il suo nome, ogni fibra del suo corpo si era irrigidita.
"A-ah...d'accordo"
"Mi
perdoni, Decimo" e, prima di dire altro, era già corso giù per le scale,
verso la porta d'uscita, sapendo che la sorella stavolta non l'avrebbe fermato.
E quando passò accanto a Yamamoto, che aveva allungato inutilmente una mano per
fermarlo, sentì il cuore farsi più pensante, ma non rallentò la corsa. Era
stato troppo facile schivare la sua presa, e anche quando il ragazzo si era
allungato per afferrarlo, non era arrivato che a sfiorare la sua maglia.
Tsuna
era sceso al piano di sotto e aveva fissato l'amico con una nota di tristezza
negli occhi.
"Mi
dispiace, Yamamoto. Eravamo anche passati da tuo padre per prendere qualcosa da
mangiare tutti insieme"
Takeshi
sospirò. Poi, dopo un respiro profondo, riuscì a ridere come suo solito
"Sarà per la prossima volta, Tsuna. Questo ce lo mangiamo noi, neh?"
Bianchi,
in cima alle scale, sospirò, sperando che il suo ottuso fratello avesse capito.
Angolini Autrice:
Erieccomi
^O^
Dunque, ci sono da spiegare cose? No, non credo. A me Bianchi
non piace particolarmente come personaggio, ma mi piace quando si preoccupa per
Hayato, e lo fa spesso, anche se a modo suo. Certo non sarà una sorella
esemplare, ma è una brava sorellona se si ignorano
varie piccolezze. Inoltre, beh, mi serviva qualcuno che desse uno scossone ad
Hayato, e Tsuna non era ancora adatto. E' ancora troppo impegnato a piangersi addosso
per quello che è successo a Yamamoto, non sarebbe a prescindere capace di fare
un discorso abbastanza forse da scuotere Gokudera, anche se Gokudera fa a
prescindere quello che gli dice il Decimo x°D
Comunque sia, questo capitolo era dedicato a Gokudera espero che vi possa piacere ^^ Giostrare
Bianchi è stata un'impresa e non sono certa di quando sono riuscita a fare, ma
sono abbastanza contenta dei dialoghi fra i due. Spero che non siano
eccessivamente OOC, ecco o.ò
Un bacione, e spero di avere vostri commenti/critiche e quant'altro.
Ma
in realtà pareva che la situazione fosse solo che peggiorata.
Né
Tsuna né Yamamoto sapevano del discorso fatto da Bianchi al fratello, che aveva
ben deciso di tenere per sé la cosa. Avevano però entrambi notato che il
comportamento di Gokudera si era fatto, se possibile, ancora più freddo.
Più
freddo persino con Tsuna.
Non
veniva più a prenderlo a casa prima di andare a scuola come faceva tutte le
mattine. Quando arrivava in classe, lo avvicinava per scusarsi e poi spariva a
metà lezione, senza farsi vedere se non a fine giornata, dove nuovamente
chiedeva perdono per la sua poca presenza e il suo comportamento, per poi
sparire verso casa sua.
Tsuna
iniziava seriamente a credere che fosse successo qualcosa fra Yamamoto e
Gokudera quando li aveva lasciati soli nella sua cucina, prima dell'arrivo di
Bianchi.
Altrimenti
non riusciva a spiegare la situazione.
Gokudera
si comportava stranamente anche con lui, ma quell'unica volta in cui Yamamoto
era stato assente per l'abituale visita medica, era tornato lo stesso Gokudera
di sempre. Aveva assistito svogliatamente a tutte le lezioni, avevano pranzato
sul tetto e l'aveva poi riaccompagnato a casa.
Tsuna
si sentiva sempre più confuso dal comportamento dell'amico, e neanche Yamamoto
lo aiutava. Se l'altro lo ignorava, il Guardiano della Pioggia faceva di tutto
per far finta di niente, salutandolo e sorridendogli come se niente fosse.
Tsuna
lo intuiva, che c'era qualcosa che non andava da parte di tutti e due, ma come
poteva aiutare gli amici?
Ne
aveva provato a parlare con Reborn, una sera, ma non aveva ottenuto nulla in
merito.
"Sei
il Decimo Boss dei Vongola. Trova una soluzione, DameTsuna"
gli aveva detto Reborn, tranquillamente.
Tsuna
si era inalberato più del solito "Smettila Reborn! Io non sono il Boss di
niente, e non voglio esserlo. Non voglio che i miei amici soffrino
ancora...quello che è successo a Yamamoto è...è già troppo..."
"E'
compito tuo tenere unita la famiglia" gli aveva semplicemente detto
Reborn, ignorandolo.
"Loro
non sono la mia famiglia! Sono miei amici! E non voglio che questa storia vada
avanti, Reborn!"
Reborn,
per tutta risposta, gli era saltato sul capo, facendolo cadere sul letto e
sedendosi poi comodamente sulla sua brandina "Comunque sei l'unico che può
sbloccare la situazione. Stiamo parlando di Gokudera, no?"
Tsuna
a quel punto aveva creduto di capire. Gokudera, dopotutto, l'aveva sempre
ascoltato in modo particolare e aveva sempre fatto quello che gli chiedeva in
quanto Boss e suo braccio destro. Forse, se gli avesse chiesto di parlare con
Yamamoto, quei due sarebbero riusciti a chiarirsi.
Lo
sperava davvero, perché non ce la faceva a vedere i suoi migliori amici in
quella condizione. Gokudera si stava autodistruggendo e stava allo stesso tempo
distruggendo anche Yamamoto.
La
mattina dopo il discorso fatto con Reborn uscì di casa speranzoso di riuscire a
parlare con il suo proclamato Braccio Destro, sperando almeno di riuscire a
farlo ragionare un po'. Sapeva però che fosse una cosa relativamente
impossibile, trattandosi di Gokudera.
Quando
arrivò a scuola, trovò l'italiano seduto al suo banco come al solito, mentre a
quanto pareva Yamamoto non era ancora arrivato. Ne approfittò immediatamente,
avvicinandosi all'amico con un sorriso incerto sul volto.
"Decimo!"
lo accolse, inchinandosi in sua direzione "Benarrivato!"
"Grazie,
Gokudera-kun...uh, possiamo parlare un attimo?"
gli chiese quindi, un po' titubante nei toni, ma deciso nei modi. Non avrebbe
accettato una scusa come al solito.
Hayato,
per un attimo, lo guardò sorpreso, quasi preoccupato di quello che poteva
volergli dire. Sapeva di starsi comportando in modo strano.
Troppo strano.
Per
questo cercava di evitare assolutamente tutto e tutti il più possibile.
Le
parole di Bianchi l'avevano confuso al punto tale da non sapere più come
comportarsi. Persino lui si rendeva conto di star esagerando nei confronti di
Yamamoto. Per non parlare del fatto che stava mancando di rispetto anche al
Decimo.
Ma
non ce la faceva.
Era più forte di lui.
Quando
guardava Yamamoto gli rivenivano inevitabilmente in mente le parole di Bianchi
e l'unica cosa che otteneva era una morsa allo stomaco.
Non
sapeva come comportarsi, per questo aveva deciso di evitare semplicemente di
farlo. E se questo significava allontanarsi anche da Tsuna, beh, si sarebbe
fatto perdonare in seguito.
"C-certo, Decimo"
Tsuna
gli sorrise, in un certo senso rassicurante. Sicurezza che però non raggiunse
Gokudera, che fino all'ultimo sperò in un'occasione di fuga.
Occasione
che, per sua fortuna, venne pochi minuti dopo, senza dare al ragazzino il tempo
di parlare.
Kaoru
entrò trafelato in aula e si avvicinò ai ragazzi. Quando lo vide arrivare,
Hayato lasciò quasi immediatamente la classe.
Non
poteva più stare nella stessa stanza di un Simon senza litigare, ormai era
assodato, per questo Tsuna non tentò nemmeno di fermarlo. Non voleva un'altra
rissa in cui Kaoru si sarebbe fatto picchiare per espiare colpe che non aveva.
Però,
quando Gokudera gli passò acconto per scusarsi, Tsuna ne approfittò
immediatamente, sussurrandogli un 'ti prego, parla con Yamamoto' che era certo
Gokudera avesse captato benissimo.
Poi
si voltò verso Kaoru e gli sorrise "E' successo qualcosa, Kaoru-kun?"
L'altro
scosse il capo "No. Cercavo Yamamoto"
"Oggi
non è ancora arrivato, mi spiace"
Kaoru
annuì, come a dire che aveva capito, guardandosi intorno quasi nervosamente.
Poi posò gli occhi su Tsuna, che quasi si sentì trapassato da quello sguardo.
"Sono
preoccupato"
"P-perché?" gli chiese di rimando, improvvisamente non
più sicuro di cosa dire "E' solo un po' in ritardo, forse perché sta
venendo da solo. In realtà, pensavo che lo accompagnassi tu"
Kaoru
si morse il labbro, stranamente nervoso "Volevo, ma ieri mi ha detto che
non ce n'era bisogno"
"Vorrà
fare da solo" azzardò Tsuna. Dopotutto, sapevano che di tanto in tanto
Yamamoto aveva bisogno di star solo.
Il
giovane Simon scosse il capo e sospirò "Sono preoccupato perché ieri, dopo
la scuola, durante gli allentamenti, ho intravisto Squalo dei Varia nel
cortile, e due minuti dopo Yamamoto non c'era più"
"S-Squalo?"
si chiese perché Squalo fosse venuto a prendere il suo amico a scuola, pregando
che non avesse avuto intenzione di punirlo per essere stato ridotto in quello
stato. Per lo meno, sperando che non l'avrebbe ucciso.
Dalla
faccia grava di Kaoru, nonostante non conoscesse Squalo di persona, sembrava
avere la stessa paura. Tsuna sapeva che Squalo e Yamamoto si allenavano insieme
ma, in quello stato, cosa poteva mai volere lo spadaccino del Varia dal suo
Guardiano?
Non
aveva una buona sensazione, in quel momento.
Sperò
vivamente andasse tutto bene, per l'amico.
E
sperò ancor di più che questo potesse sbloccare l'italiano, quando lo vide
allontanarsi dalla porta dell'aula, a cui era rimasto appoggiato per origliare
il discorso, sicuro si sarebbe parlato proprio di Yamamoto.
Forse
Gokudera era preoccupato dell'assenza di Takeshi.
Alla
fine della giornata scolastica -che Gokudera aveva passato come sempre con Tsuna- dopo averlo riaccompagnato a casa, si diresse verso
il suo appartamento.
Per
qualche strana ragione, però, i suoi piedi l'avevano portato da soli
nell'ultimo posto in cui sarebbe voluto andare.
Quando
si ritrovò davanti al Take Sushi non poté che maledirsi mentalmente,
chiedendosi perché lui stesso non fosse più in grado di capirsi, ormai.
Che
ci faceva lì? Non aveva senso.
Lui
non era preoccupato per Yamamoto.
Probabilmente,
aveva solo voglia di Sushi. Doveva essere così.
Però
non entrò per ordinare qualcosa da mangiare. La verità era che non aveva fame,
ma forse erano i suoi piedi a non essere d'accordo, o non si spiegava la sua
presenza lì.
Si
chiese solo, vagamente, se Yamamoto fosse in casa. Quel giorno non era venuto a
scuola e lui aveva potuto comportarsi normalmente con Tsuna, ma non riusciva a
togliersi dalla mente il discorso che il ragazzo aveva fatto quella mattina con
Kaoru.
Che
cosa diamine potrebbe aver voluto Squalo da Yamamoto in un momento come quello?
Alzò
lo sguardo verso quella che sapeva essere la finestra della camera di Takeshi e
si chiese ancora una volta come stesse, mentre il pugno si stringeva tanto da
rendere bianche le nocche e gli occhi scintillavano di una luce confusa.
Se
non riusciva a capire se stesso, come poteva capire come comportarsi con gli
altri?
Sospirò,
calciando un sasso nel mezzo del suo cammino e avviandosi di nuovo verso casa.
Tsuna,
che era appena arrivato sotto casa dell'amico dopo essersi cambiato, fu
seriamente tentato di chiamarlo. Dirgli che doveva parlare con Yamamoto, per
tutti e tre. Ma quando vide il suo viso e lo sentì sospirare si rese conto che
il solo fatto che l'italiano fosse lì era già un passo avanti.
E
forse avrebbe potuto parlargli il giorno dopo, e non forzare troppo la mano.
Doveva
andarci con i piedi di piombo, era pur sempre di Gokudera che si parlava.
Entrò
nel ristorante e chiese a Tsuyoshi se il figlio era in casa. Se doveva essere
sincero, temeva veramente che Yamamoto non fosse tornato vivo stavolta
dall'allenamento con Squalo, anche se non era certo che potesse essere
considerato tale.
Quando
entrò nella camera di Yamamoto, trovò l'amico seduto sul letto con il joystick
in mano, e l'unica cosa che poté fare fu sospirare di sollievo.
"Yo, Tsuna! Che ci fai qui?"
"Cosa
ci faccio io? Come mai non sei venuto a scuola, oggi, Yamamoto?"
Yamamoto
rise "Ah, per quello! Ieri sera sono tornato davvero tardi e stamattina
ero troppo stanco per pensare di alzarmi!"
Tsuna
annuì.Takeshi non sembrava messo troppo
male. Non peggio di come rientrava di solito dopo aver passato un pomeriggio
con Squalo, almeno.
"Sei
stato con Squalo?"
"Oh,
sì! Sai, si è convinto che dobbiamo continuare ad allenarci e così ieri è
venuto a prendermi!"
Yamamoto
sembrava entusiasta. Così tanto che Tsuna non ebbe assolutamente cuore di dire
niente di quello che gli passava per la testa. Si tenne per sé dubbi e
perplessità e lasciò parlare Yamamoto, che per la prima volta dopo tanto
sorrideva anche con gli occhi. Forse...forse non era poi tanto male quello che
stava facendo Squalo.
Ogni
suo pensieri positivo venne però bloccato dalla successiva frase di Yamamoto.
"Tsuna,
rilassati. Non è colpa tua, non è colpa di nessuno. Va tutto bene amico quindi
rilassati"
Tsuna
ghiacciò. Da quando Yamamoto era uscito dall'ospedale, lui aveva provato in
tutti i modi a comportarsi come al solito, ma a giudicare da quelle parole non
ci era riuscito. E come poteva in fondo? Come si potevano nascondere i sensi di
colpa dietro ogni sorriso e la sofferenza ogni volta che abbassava lo sguardo
su di lui? Lui non era bravo a mentire, non lo era mai stato.
"Y-Yamamoto..."
"Io
capisco come vi sentite tu, Kaoru e gli altri. Davvero. Però non voglio che voi
vi sentiate in colpa e mi stiate vicino per questo. Non è colpa vostra,
no?"
Sembrava
una di quelle rare volte in cui Yamamoto non aveva intenzione di scherzare.
Tsuna rimase in silenzio, perché non avrebbe davvero saputo come ribattere. Cosa
c'era da dire? Yamamoto aveva centrato il punto.
"A
volte ho la sensazione che già Gokudera non mi sopporti più, peggio del solito
intendo"
Tsuna
sospirò ancora. Ecco, si era arrivati al punto principale per cui era arrivato.
"Non
è così Yamamoto! Io...io penso che Gokudera-kun sia
solo molto spaventato da questa situazione, che non sappia come comportarsi.
Anche io...anche io ho un po' di paura, e mi dispiace"
"Paura,
Tsuna?"
Annuì
"Perché per te tutto questo deve essere già così tanto difficile Yamamoto!
Ed è tutta colpa mia! Come faccio a non sentirmi in colpa? Se non ti avessi
coinvolto in questa cosa della mafia, non ti sarebbe successo niente!"
Yamamoto
lo guardò un po' interdetto, poi gli sorrise comprensivo "Ma io sono
contento di aver giocato con voi, Tsuna. Se non fosse stato per questo gioco,
io non vi avrei mai conosciuto così bene. Lo rifarei altre mille volte!"
Tsuna
scosse il capo con forza, serrando gli occhi "No! Io non voglio più avere
a che fare con questa storia, non voglio che succeda ancora qualcosa di
terribile come quello che è successo a te. Non doveva andare così!"
"Tsuna!"
lo richiamò, con voce calma e ferma, sicura, la mano a stringere la spalla per
richiamare la sua attenzione. Sawada si scontrò con il sorriso solare e
tranquillo di Yamamoto e per un attimo si sentì sereno, la stessa sensazione
che provava quando Takeshi scendeva in battaglia. Sapeva che sarebbe andato
tutto bene.
"Tsuna
perché dici così? A me piace questo gioco e voglio continuare! All'inizio
pensavo anche io che avrei dovuto rinunciare, ma Squalo mi ha fatto capire che
non dovevo arrendermi così! Non farlo nemmeno tu, Tsuna!"
"Yamamoto"
"Io
voglio continuare a combattere insieme a voi. Non voglio che per colpa mia tu e
gli altri dobbiate rinunciare"
Per
un attimo, Tsuna rimase interdetto. Come pensava di poterlo fare Yamamoto, e
che idee gli stava mettendo in testa Squalo?
Però...però
era anche contento di vedere che l'amico non si stava facendo buttare troppo
giù e che, anzi, stava affrontando la questione di petto. Ricordava ancora
troppo bene il tentato suicidio di Yamamoto, quando si era rotto il braccio,
solo perché aveva paura di non poter giocare più a baseball. E, invece, adesso che la cosa era praticamente
certa, era contento e sollevato di vedere che simili pensieri non avevano
nemmeno sfiorato la mente dell'amico.
Non
erano pensieri da Yamamoto.
Sorrise
"Ma io non voglio diventare a prescindere Boss di niente!"
Yamamoto
rise di gusto "Oh beh allora questa è un'altra storia. Ti unisci?"
chiese, porgendogli l'altro joystick. Tsuna scrollò le spalle, accettando con
un sorriso anche l'invito a cena.
Dopotutto,
era da troppo che non passava del tempo con Yamamoto senza pensare alla sua
situazione, e a quanto questa non si sarebbe mai creata, se non si fossero mai
conosciuti.
Gli
mancava passare del tempo con i suoi amici, e sperava che la situazione con
Gokudera si sbloccasse in fretta.
Angolino Autrice:
Avevo previsto di unire questo capitolo al prossima, ma poi ho
deciso che la storia sarà divisa in 5 capitoli perché sennò anche questo veniva
di 14 pagine e non andava bene ù_ù Quindi sì, saranno
solamente 5 capitoli, ne mancano due, resistete x°D
Spero comunque che anche questo capitolo vi possa piacere.
Perdonate Gokudera, ha bisogno di rimettere a posto i pensieri
proprio perché le parole di Bianchi lo hanno scosso >.<
Ragazze, perdonate anche me se non vi rispondo alle recensioni
meravigliose che mi lasciate, questa volta, giuro che mi farò perdonare.
Un bacio grandissimo, e grazie per le vostre splendide parole.
Dal
discorso con Tsuna, Yamamoto si era convinto che, se anche Gokudera lo ignorava
nei modi più burberi, lui avrebbe dovuto insistere continuamente, cercare di
sciogliere il ghiaccio. Doveva forse fare tutto lui, ma ne sarebbe valsa la
pena.
Se
Tsuna aveva ragione -e Tsuna aveva quasi sempre ragione, su queste cose, grazie
al suo intuito- doveva solo far capire a Gokudera che andava tutto bene, come
al solito.
Metterlo
a suo agio e, sì, tranquillizzarlo.
E
ce l'avrebbe messa tutta per farlo.
Per
questo quella mattina aveva deciso di accompagnare Kaoru agli allenamenti
mattutini, invece di farsi lasciare a casa di Tsuna. Yamamoto sapeva che, ad
un'ora dall'inizio delle lezioni, il primo che avrebbe messo piede in classe sarebbe
stato proprio Gokudera visto che stava attento ad evitare gli orari di inizio
allenamenti e quelli subito precedenti alle lezioni. Forse proprio per evitare
di incontrarlo. Sapeva che quando Yamamoto non era in estremo anticipo, era
sicuramente in ritardo, e agiva di conseguenza.
Kaoru
l'aveva lasciato in classe e poi era sceso. Takeshi a quel punto si era armato
di pazienza e aveva aspettato.
Quando
la porta dell'aula si aprì, quarantadue minuti dopo, Yamamoto sorrise.
Sapeva
che poteva essere una sola persona.
Ed
infatti fu la testa argentea dell'italiano a sbucare, sigaretta alle labbra
semi-consumata e cartella in spalla. Quando lo vide, la cicca cadde a terra.
Ma
lo stupore durò solo un attimo, perché Gokudera sembrò riprendersi quasi
subito. Strinse la tracollò e gli voltò le spalle senza dire niente.
"Aspetta
Gokudera!" lo richiamò, spingendo la carrozzina verso di lui cercando di
afferrarlo prima che gli chiudesse la porta in faccia.
"Aspetta"
ripeté e, quando lo vide immobile, seppur voltato dalla parte opposta alla sua,
pensò che forse l'avrebbe ascoltato "Volevo parlare un attimo con te,
Gokudera! Ultimamente non abbiamo avuto molte occasioni per parlare vero?
Sparivi sempre a metà lezione e ricomparivi a fine giornata e mi chiedevo se
stessi bene o...ah!"
La
porta sbatté violentemente e Yamamoto si ritrovò di nuovo solo nella stanza.
Sospirò,
abbozzando una risata. Si era comunque fermato quando l'aveva chiamato.
La
prossima volta sarebbe arrivato subito al punto.
Il
giorno successivo aveva fatto esattamente la stessa cosa, ma stavolta si era
appostato accanto alla porta, così da poterlo fermare prima che scappasse.
Purtroppo, però, anche Gokudera sembrava essersi infurbito.
Aveva
aperto solo uno spiraglio della porta e, quando l'aveva visto, non era nemmeno
entrato.
Yamamoto
aveva scosso la testa ed era scoppiato a ridere.
Era
incredibile il modo in cui Hayato continuava ad evitarlo. Senza nemmeno provare
a nasconderlo.
Erano
comportamenti strani quelli, e più li osservava più Takeshi si convinceva del
fatto che Tsuna dovesse avere ragione. Gokudera era spaventato, talmente tanto
che non aveva paura di sembrare ridicolo anche agli occhi del suo Decimo e di
abbandonarlo a se stesso, invece di stargli dietro come fosse la sua ombra,
come faceva di solito.
E
se era così, beh, di certo lui non si sarebbe arreso.
Anzi, tutt'altro.
Avrebbe
continuato a provarci, ancora e ancora, finché Gokudera non gli avrebbe dato
finalmente retta.
E
un giorno avrebbe dovuto, perché Yamamoto aveva tutte le intenzione di non
lasciarlo un attimo in pace.
Per
i successivi dieci giorni scolastici, Yamamoto tese agguati di ogni genere
all'italiano. Non solo in aula, la mattina, ma anche all'uscita, in infermeria
-dove si rintanava durante le lezione, di solito quando non c'era Shamal-.
Alla
fine era persino arrivato a chiedere a Ryohei se poteva dargli una mano, vista l'estremamente urgente situazione.
Naturalmente
Sasagawa non si era tirato indietro e, anzi, pareva non vedere l'ora di agire.
Così
quel giorno si erano appostati in estremo segreto fuori dal complesso
scolastico e avevano aspettato l'uscita di Hayato che di solito, se non
accompagnava Tsuna, era il primo a lasciare la scuola.
Quando
l'aveva visto in lontananza Ryohei gli era corso incontro e, in modo
naturalmente estremo, l'aveva afferrato e trascinato via. A nulla erano valsi
gli improperi di Gokudera, che a quanto pareva non aveva nessuna voce in
capitolo. Tant'è che si ritrovò chiuso nello spogliatoio del club di box,
momentaneamente vuoto.
"Testa
a prato che diamine stai facendo? Fammi uscire immediatamente!"
"Non
si può! Tu devi parlare con Yamamoto all'estremo, testa a polpo, non
lamentarti!"
"COSA?"
Yamamoto
scoppiò a ridere "Grazie mille, senpai!" esclamò, entusiasta.
Sasagawa
e la sua ingenuità lo avevano aiutato a chiedere aiuto senza dover spiegare
troppe cose contorte. Dopotutto, Ryohei era stato uno dei pochi a non farsi
problemi per la sua nuova situazione. Nonostante capisse che alcune cose
sarebbero cambiate ed era sempre pronto a dargli una mano, lo trattava come lo
aveva sempre trattato, né più né meno, non aveva mai visto niente di diverso
nemmeno nei suoi occhi.
Ryohei
non aveva cambiato atteggiamento nei suoi confronti e Yamamoto non sapeva se
perché non avesse effettivamente capito o perché aveva capito anche troppo, ma
gli era grato. Se aveva temuto che Tsuna e gli altri gli stessero accanto anche
solo per senso di colpa, con Ryohei non aveva mai avuto dubbi.
Lui
non era proprio capace, a fare certi pensieri.
Una
volta gli aveva anche confessato che aveva chiesto a Lussuria di allenarlo e
che sperava di riuscire ad imparare ad utilizzare il potere del Sole anche solo
un po' com'era in grado di fare il Varia. Così da poter provare a fare qualcosa
per lui e rendersi estremamente utile -sapeva che l'altro continuava a chiedersi
se sarebbe potuto andare diversamente, se il suo intervento, quando l'aveva
trovato, fosse stato più utile.
E
Yamamoto sapeva che su Sasagawa Ryohei si poteva sempre contare.
"Vi
lascio! Sii estremo, Yamamoto!"
"Contaci"
esclamò ridendo.
Gokudera
fissava ancora la porta con astio, non riuscendo a credere al trabocchetto che
gli avevano architettato e in cui era caduto con tutte le scarpe. E adesso, si
trovava solo con Yamamoto, e a meno che non avesse fatto saltare in aria la
porta non avrebbe avuto via di scampo fino all'arrivo dei ragazzi del club.
Cosa che non sarebbe avvenuta prima di un'ora.
Aveva
tutto il tempo di impazzire, lì dentro.
Yamamoto
gli si avvicinò appena, sorridendogli "Mi dispiace di essere dovuto
ricorrere a simili sistemi ma..."
"Aaah, stai zitto!"ululò, sferrando un calcio alla porta, che vibrò.
Voleva
uscire, andarsene.
La
dinamite scalpitava e la porta gli urlava già pietà.
Yamamoto
sospirò, ma ignorò le intenzioni dell'altro, che non aveva comunque mosso un
dito, ancora.
"Dai,
ti chiedo solo di ascoltarmi un attimo. In fondo, non è così difficile. Ti
perseguiterò in eterno se non mi darai retta adesso!" scherzò,
ridacchiando.
Ma
più che uno scherzo, alle orecchie già stanche di Gokudera suonò quasi come una
minaccia.
E
che lo perseguitasse pure, dopotutto.
Lui
non aveva ancora fatto chiarezza con se stesso, non sapeva ancora come avrebbe
dovuto comportarsi, nemmeno adesso che Yamamoto sembrava sinceramente sereno,
rispetto a qualche settimana prima.
"Tsuna
mi ha fatto capire che forse tu non sai che fare, e che per questo mi eviti. Lo
so che è una situazione un po' così, e credimi sono il primo ad essere confuso,
ma...Gokudera? Non...vuoi fare saltare davvero la porta vero?"
"Ovvio
che sì" fu la sola risposta, mentre la miccia si avvicinava
pericolosamente alla sigaretta che l'italiano si era appena riacceso, giusto
per l'occasione.
Takeshi
scosse la testa. Convincere Gokudera era più che un'impresa ardua, sembrava
quasi impossibile.
"Eddai..." sospirò, indeciso se essere divertito,
esasperato o disperato.
Da
quella posizione, poi, non riusciva nemmeno a guardarlo negli occhi, per
cercare di capire quali fossero le emozioni dell'altro.
Se
era arrabbiato o confuso o altro ancora.
Pareva
non ci fosse proprio niente che potesse convincerlo, e lui le aveva davvero
provate tutte in quei giorni. Anche l'impossibile.
"D'accordo,
d'accordo, non mettere nei guai il senpai. Ho io la chiave!"non fece neanche in tempo a porgerla che
Gokudera l'aveva già afferrato e aperto la porta.
Yamamoto
lo guardò correre verso l'uscita ma, prima di poterlo perdere del tutto di
vista, sorrise apertamente "Io ti ho avvertito, però!" gli urlò
dietro e, con un sospirò, uscì anche lui.
Ryohei,
che se ne stava appostato poco lontano, tenendo sotto controllo uscita e
entrata, gli andrò subito incontro.
"E'
andato tutto bene, Yamamoto?" chiese, curioso, battendo i pugni fra di
loro.
Ma
la risposta del moro fu un sospiro, accompagnato da un sorriso "E'
scappato, veramente"
"Cosa?
Scappato?"
"Sì"
"Tutto
questo è estremamente ingiusto" mormorò il Guardiano del Sole, moralmente
sconfitto.
Yamamoto
gli diede una pacca sulla schiena "Tanto non ho intenzione di arrendermi.
A mali estremi, estremi rimedi, giusto?"
"Estremamente
giusto, direi!"
Yamamoto
rise, e Ryohei lo seguì a ruota. Senza dire niente, Sasagawa afferrò la sedia a
rotelle e accompagnò l'amico verso il campo di baseball. Sapeva che Kaoru lo
aspettava lì e in più lui doveva aprire la palestra per il club di box.
"Hey, Senpai" gli chiese proprio quando l'altro si
stava apprestando a salutarlo "Ti stai ancora allenando con
Lussuria?"
Sasagawa
annuì con enfasi "Certo che sì! Vedrai Yamamoto, ti aiuterò all'estremo
questa volta!"
Yamamoto
rise "Senpai, io so che tu mi hai aiutato anche troppo, credimi"
"Quella
volta non sono stato capace di curarti ma questa volta lo farò
all'estremo!"
Takeshi
sorrise. Anche se non ci credeva, era bello vederlo così pronto ad aiutarlo e
ad impegnarsi per lui per il solo desiderio di farlo, solo perché era convinto
di potercela fare. Perché si sarebbe, naturalmente, impegnato all'estremo.
"Grazie
mille, senpai"
L'idea
era quella di tornare direttamente a casa, e ragionare a mente fredda.
Yamamoto
stava davvero tentando il tutto per tutto per riuscire a parlargli in
tranquillità e da solo, per spiegargli chissà cosa. Che aveva capito che era
spaventato, confuso o disorientato. O più facilmente tutte e tre le cose.
Gli
aveva teso agguati di tutti i tipi, in tutti i modi, in tutti i posti possibili
ed immaginali.
E
lui per tutta risposta era sempre scappato. E senza nemmeno tentare di
nasconderlo.
Decisamente,
era arrivato al capolinea.
E
se ne rendeva conto da solo, non c'era bisogno di qualcuno che glielo dicesse.
Se
era scappato anche quella volta, nonostante tutto, era solo perché odiava
essere preso in contropiede. E Yamamoto c'era riuscito alla grande.
Però
ci aveva pensato, davvero tanto. In quei giorni, probabilmente, non aveva fatto
altro. Anche solo per togliersi da quell'impiccio, gli avrebbe parlato.
Perché
di essere perseguitato tutto il giorno tutti i giorni...non poteva resistere.
E
poi, beh, poteva ammettere almeno a se stesso di aver sbagliato a comportarsi
in quel modo. Che il suo comportamento non aveva senso e che era arrivato il
momento di farla finita, anche solo per il bene del Decimo.
Non
poteva continuare ad abbandonarlo in quel modo, che Braccio Destro si sarebbe
rivelato altrimenti?
E
poi non si doveva dimenticare che era stato Tsuna stesso a chiedergli di
parlargli con Yamamoto e, anche se a distanza di una decina di giorni, lui non
avrebbe disubbidito ad una richiesta del Decimo.
Era
totalmente deciso ad andare a parlare con Yamamoto, il giorno dopo.Però, stavolta, non si sarebbe fatto mettere
nel sacco.
"Dalla
tua faccia, direi che hai già preso una decisione, Hayato" un aeroplanino di carta gli volò a pochi centimetri dal viso
e, voltandosi, trovò Shamal poggiato al muro del
ricinto della scuola, che lo fissava.
"Cosa
vuoi, medico pervertito?"
Shamal lo guardò e
sorrise sghembo "Niente che tu non sembra aver già compreso"
Gokudera
storse la bocca, ben conscio di quello che stava dicendo l'altro. Come Bianchi
prima di lui, probabilmente stava cercando di fargli capire che era giusto che
la smettesse di fare il bambino dei confronti di Yamamoto, visto che lui aveva
anche avuto modo di vedere tutte i piani quasi perfetti del giapponese andati
in fumo.
Gokudera
era anche certo che lo avesse aiutato, qualche volta.
"Non
ho certo bisogno che mi ripetiate le cose mille volte" gli urlò dietro.
Shamal scosse le
spalle e si accese una sigaretta "Non sembrava, inizialmente"
"Beh...ora
ho capito!" e detto questo se ne andò senza dargli altro modo di parlare.
Sì,
non aveva bisogno glielo ripetessero ancora e ancora. Aveva capito che si stava
comportando come un vigliacco.
E
lui non era un vigliacco.
Angolino Autrice:
Mi...mi dispiace! Vi giuro che questo ritardo non dipende da me!
E non lo dico per farmi perdonare eh! E' che è proprio così!
Ho avuto problemi, personali e non, e la voglia di scrivere e
aggiornare è sparita. Ma vi ho pensato tanto, giuro ç__ç
Ma sono tornata e non vi libererete più di me le ultime
parole famose.
Non sparirò più per così tanto -w-
Spero che anche questo capitolo vi possa piacere, anche se
Gokudera è quasi sicuramente OOC e che è un po' confuso -w-
Al prossimo, che sarà l'ultimo e il più lungo e giuro che non vi
faccio aspettare così tanto!
Il
piano era presentarsi, il giorno dopo, a scuola come se niente fosse,
continuando a comportarsi come al solito. Solo dopo avrebbe parlato con
Yamamoto, quando sarebbe stato certo di poter star solo con lui.
Quella
mattina andò persino a prendere il Decimo a casa, come non faceva da troppo, e
dietro la sorpresa del più giovane fu certo di aver visto anche un pizzico di
sollievo e contentezza.
Era
felice di aver reso il Decimo fiero di sé, per questo quando entrò in classe,
in ritardo, lo fece con la solita aria da mafioso incallito e il ghigno sul
volto.
Yamamoto
era in classe, arrivato in anticipo come faceva ormai da giorni, per provare ad
incastrarlo, e lo guardava con stupore.
Convinto
che lo avesse fatto per evitarlo sapendo che lui lo aspettava in anticipo in
classe, Yamamoto si disse che quel giorno avrebbe dovuto passare davvero agli estremi rimedi, anche se non sapeva
ancora bene cos'avrebbe dovuto fare.
Sicuramente
doveva trovare il modo di rimanere solo con lui e stavolta non doveva dargli
vie di fuga di nessun genere.
Alla
fine delle lezioni, Gokudera aveva detto a Tsuna che si sarebbe fermato ancora
un altro po', senza specificare bene il motivo e scusandosi se lo lasciava
andare a casa solo. Tsuna aveva sorriso semplicemente, augurandogli buona
fortuna giusto prima di lasciare la classe.
Aveva
capito quella mattina quando era venuto a prenderlo che Gokudera aveva
finalmente preso una decisione.
Sperava
che tutto andasse per il meglio.
Hayato,
dal canto suo, lo aveva aspettato in classe per più di mezz'ora, ma poi aveva
deciso che si era stancato. Sicuro di poterlo trovare al campo da baseball con
Kaoru o in chissà quale posto sperduto in attesa di tendergli un agguato, uscì
dall'aula diretto all'uscita da scuola.
Stava
passando davanti alla scala per il piano superiore, soprappensiero, e non si
accorse dell'ombra in cima ad essa. Lei però sembrò notarlo più che bene,
perché si spinse in avanti fino a cadere. O, per meglio dire, ci era andato
vicino, perché quando aveva sentito un rumore ben conosciuto, Gokudera era
scattato in avanti, cercando di afferrarlo prima che si rompesse qualcos'altro,
afferrando il corrimano ma finendo comunque a terra, con un peso tutt'altro che
leggero sullo stomaco.
"Gokudera!"
la voce dell'idiota gli trillò direttamente nell'orecchio, assordandolo per
qualche secondo. Poi, con uno scatto iroso, lo tirò su per le spalle.
"Ma
sei cretino o che cosa? Volevi buttarti di sotto?"
Yamamoto
rise "Veramente volevo raggiungere te, ma non mi sono accorto che ero
arrivato al gradino e la ruota ha..."
"COGLIONE!"
Yamamoto
lo fissò stupito qualche minuti. Cos'era quello sguardo quasi preoccupato
adesso? Dopotutto, al massimo, sarebbe caduto dalle scale. Sorrise nello
scorgere una scintilla d'apprensione negli occhi dell'altro. Aveva ragione Tsuna,
non era tutto perso con Gokudera.
"Scusami,
Gokudera" mormorò, mettendosi con un po' di fatica seduto, aiutato
goffamente dall'altro -che cercava di fare invece finta di niente "Ti
aspettavo di sopra perché quando non ti ho visto uscire pensavo che saresti
salito sul tetto, anche se non avevo idea del perché fossi rimasto. Ma visto
che non arrivavi mi stavo dirigendo verso l'ascensore quando ti ho visto
andare. Volevo fermarti, altrimenti saresti scappato di nuovo!"
"I-io non scappo, stupido idiota!"
Yamamoto
rise. Fargli notare che non aveva fatto altro sarebbe potuto essere
controproducente, considerando che, inaspettatamente, stavano parlando senza
troppe complicanze.
"Perché
mai sarei dovuto salire sul tetto, genio?"
L'altro
scrollò le spalle "Perché di solito quando vuoi star solo durante le
lezioni te ne vai lì a fumare, a meno che tu non abbia sonno e allora ti
rintani in infermeria, se non c'è Shamal" rise
"Ho visto andare via Tsuna da solo, quindi...ho pensato..."
"Tu
non dovresti proprio pensare, ti fa male al cervello, cretino!"sbottò
l'italiano. Era snervante capire quanto l'altro lo conoscesse. E lo era ancora
di più pensare di averlo aspettato inutilmente quaranta minuti quando l'altro
era sul tetto con lo stesso intento.
Si
alzò, svogliato, cercando di capire cosa doveva fare. La sedia a rotelle era
cappottata in cima alla scalinata, e loro erano seduti a metà di essa. Sia se
l'avesse portato in cima che ai piedi si sarebbe dovuto caricare l'idiota in
spalle.
"Sei
un idiota" lo rimproverò, scendendo un paio di gradini.
"Mi
spiace, credevo che..."
"Io.
Non. Scappo"
Yamamoto
rise, certo che fosse un modo per dirgli che quella volta almeno non l'avrebbe fatto, non subito "Lo
so". Sorrise quando lo vide abbassarsi davanti a lui, dandogli la schiena.
Quella
era decisamente la giornata giusta.
"Muoviti,
aggrappati!" era più facile portarlo su, decise. Altrimenti avrebbe dovuto
scendere anche la sedia a rotelle. Decisamente. Sbuffò, e per un momento,
quando Yamamoto gli allacciò le braccia intorno al collo, chiuse gli occhi. Non
poté che pensare che per tutto quel tempo era scappato da un problema che non
era neanche il suo e che Yamamoto doveva farsi aiutare in quel modo
praticamente tutti i giorni.
Quando
sentì il peso del Guardiano della Pioggia gravargli completamente sulla
schiena, si rese conto per la prima volta della reale situazione. Yamamoto era
costretto in qualcosa che lo privava di buona parte della sua libertà, eppure
lui non l'aveva mai sentito lamentarsi.
Mai,
nemmeno una volta.
Yamamoto
non si era mai mostrato diverso dal solito, quasi come la cosa non gli facesse
né caldo né freddo.
Invece
no.
Ora
che portava il peso di Yamamoto sulle spalle, era certo che quello che portava
l'altro sulle sue fosse mille volte più gravoso.
Lo
aiutò a sedersi sulla sedia e l'allontanò dalle scale onde evitare che potesse
in qualche modo rischiare nuovamente di cadere, poi si lasciò cadere seduto sul
primo gradino.
"Pesi
un quintale" si lamentò, giocherellando col pacchetto di sigarette come se
fosse indeciso se prenderne una o meno.
Takeshi
ridacchiò "Mi spiace. E comunque sei tu ad essere troppo mingherlino"
scherzò "Ti sei già stancato!"
Gokudera
incrociò le braccia stizzito "Per forza, sei un sacco di patat-" si bloccò, conscio che non era certo colpa dell'altro
se era un sacco di patate. Incassò la testa nelle spalle e sbuffò di nuovo,
alzandosi e portandosi una sigaretta alle labbra, mormorando uno 'scusa'
talmente sbiascicato che probabilmente Yamamoto non l'aveva nemmeno sentito.
"Dove
andiamo? Sul tetto?"
"E
dove sennò?" bofonchiò. Aveva fatto appena in tempo ad aprire la porta per
uscire all'aria aperta, che la sigaretta era già accesa. La aspirò con forza fino
a riempirsi i polmoni, guardando fisso davanti a sé.
Se
doveva essere sincero, nonostante la convinzione iniziale, non sapeva
assolutamente come fare.
Non
ebbe la pazienza di aspettare nemmeno un attimo, però, perché il silenzio per
quanto lo riguardava era già opprimente.
"Il
cane ti ha mangiato la lingua, idiota?!"
Yamamoto
rise. In realtà stava studiando l'altro e si era dimenticato di iniziare un
discorso che non aveva assolutamente in mente. Gokudera gli era parso così teso
da fargli quasi tenerezza.
"Mi
stavo solo godendo il momento" rispose, avanzando un po'.
"Che
cazzo significa? Se hai intenzione di rimanere in silenzio tutto il tempo io me
ne...-"
"Semplicemente
perché" lo bloccò "ultimamente non abbiamo avuto molte occasioni da
passare insieme. Sparivi sempre, al suono della campanella"alzo il capo verso di lui, sorridendogli.
"Era
perché..."
"In
realtà non mi interessa" lo fermò per la seconda volta e allo sbuffo
dell'altro rise. Con una lentezza quasi esasperante si avvicinò alla ringhiera,
guardando di sotto. Il comportamento dell'italiano non aveva fatto altro che
confermare le parole di Tsuna di quel giorno. A Yamamoto non serviva sapere
perché scappava.
Era
più che evidente il motivo per cui lo faceva.
Ma
adesso che sembrava aver smesso, o aver comunque intenzione di provarci, andava
bene.
Gokudera
gli si fermò subito dietro, aspirando un'altra lunga boccata di fumo "Lo
so che il Decimo ti ha detto che pensa che io...sia spaventato. Ma vedi di non
farti strane idee, idiota, capito?"
"Ma
allora ieri mi stavi ascoltando!"
Gokudera
sbuffò "Anche volendo non avrei potuto fare altrimenti"
"Sono
contento" esclamò infantilmente l'altro, senza peli sulla lingua.
"E
di che cosa, di grazia?"
"Del
fatto che mi stessi ascoltando! Sai, all'inizio pensavo che tu avessi iniziato
ad odiarmi davvero. Anche dopo le parole di Tsuna non sapevo come comportarmi,
perché tu eri strano. Ma adesso che so che Tsuna aveva ragione, sono sollevato.
E contento"
"Che
cosa stupida" borbottò Gokudera, mordendo il filtro della sigaretta ormai
consunta. Se ne sarebbe accesa un'altra a distanza di un secondo, se avessero
continuato così. Quei discorsi insensati non lo aiutavano a mantenere una calma
per cui di solito non brillava.
"Non
è una cosa stupida! Sono davvero, davvero contento che non mi odi"
"Non
ho affatto detto che non ti odio!"
"Beh,
non più del solito almeno. Io avevo pensato ce l'avessi con me" ammise, e
Gokudera si chiese fin dove potesse arrivare la sua stupidità. Perché mai
avrebbe dovuto avercela con Yamamoto, se era Takeshi che aveva tutti i diritti
di avercela con lui?
Quel
ragionamento non aveva senso.
"Sei
proprio un idiota"
Yamamoto
rise "Sì, lo so"
Per
un attimo calò il silenzio. Nessuno dei due disse nulla per minuti che parvero
ore. Yamamoto guardava fisso dinanzi a sé, col sorriso sulle labbra,
trasognante. Gokudera, invece, quasi più nervoso, si guardava intorno,
osservandolo con la coda dell'occhio di tanto in tanto.
"Tu...sei
davvero convinto di quello che dici quando parli?" borbottò, gettando a
terra la cicca terminata "Non riesco a credere che la connessione che hai
col tuo cervello sia così tanto limitata!"
Yamamoto
si voltò allora verso di lui, in parte sorpreso che avesse spezzato quel
silenzio teso, inclinando un po' la testa "Perché?"
"E
mi chiedi anche perché?!" sbottò.
A
volte aveva davvero la sensazione lo facesse apposta. Altre, invece, che da
bambino dovesse essere caduto dal seggiolone con così tanta violenza da
lasciare danni irreversibili, acuiti dagli allenamenti improponibili di Squalo.
Doveva essere così.
"Non
sei assolutamente in grado di capire quando dovresti essere tu ad avercela con
una persona e non il contrario?"
"A
chi ti riferisci?"
Gokudera
grugnì, scompigliandosi i capelli "Merda, sei proprio un idiota!"
sbottò, prendendolo per la calotta "Vuoi sapere perché mi sono comportato
in questo modo? Perché non sopporto il tuo comportamento di merda, cazzo!"
Yamamoto
abbozzò un sorriso "Che ho fatto?"
L'altro
per tutta risposta sbuffò, esasperato, lasciandolo andare -attento però,
stavolta, di non aver fatto danni.
"Figurati
se perdo tempo a spiegarti una cosa che non andrebbe affatto spiegata"
fece, stizzito.
Yamamoto
lo fissò in silenzio mentre, sigaretta accesa alle labbra, si avviava verso la
porta per lasciare il tetto e, probabilmente, l'edificio. Non parlò, ma il suo
sguardo si fece stranamente duro.
Solo
quando vide la mano di Gokudera sul pomello della porta lo fermò, e le sue
parole risultarono più taglienti e malinconiche di quanto, forse, avrebbe
voluto.
"E'
passato un sacco di tempo dall'ultima volta che ho avuto paura di non poter più
giocare a baseball. Io...quella volta ero davvero convinto che la mia vita
fosse finita. Non sapevo fare nient'altro oltre giocare a baseball. Ho persino
tentato di buttarmi dal tetto della scuola, ma Tsuna mi ha salvato. Mi ha fatto
capire tante cose, quella volta, e il tempo che ho passato con voi mi ha reso
cosciente di tanto altro" fece una pausa. Gokudera si era bloccato, quando
l'aveva sentito parlare.
Aveva
tentato il suicidio perché non poteva più giocare. Lo ricordava. Se ne era
parlato fin troppo, a scuola.
E
se quella volta aveva reagito così male per un semplice, stupido braccio rotto,
perché diavolo in un momento come quello doveva comportarsi così?
"Anche
se non posso più giocare a baseball e fare tante altro cose io...io voglio
stare con i miei amici e combattere con loro. Per questo non mi importa pensare
a chi ha fatto cosa e perché"
Gokudera
strinse i pugni. Erano proprio queste le cose che meno sopportava di lui. Quel
suo dannato, inutile ottimismo fasullo che utilizzava per tranquillizzare gli
altri e mai se stesso.
"Stronzate"
la voce dell'italiano sembrò quasi rimbombare nell'aria tesa e cupa. Gokudera
gli dava le spalle, il pugno pallido ancora stretto al pomello della porta
"Se una cosa non ti va giù, non ti va giù. A me non interessa niente di
quello che pensi tu su quanto ti è successo. Se vuoi ancora considerare Kaoru
tuo amico, fai pure. Ma non venirmi a dire che per te adesso non è più un
problema perché il Decimo ti ha fatto capire che la famiglia e la vita sono più
importanti. Con me non serve che fingi in questo modo ridicolo!"
Yamamoto
si morse il labbro. La sicurezza del discorso precedente sostituita da una
malinconia che cozzava con la serietà quasi esasperante del suo sguardo.
Sì,
fingeva. Fingeva da mesi e solo Squalo fin'ora gliel'aveva fatto notare. Solo
Squalo l'aveva sgridato e spronato a smetterla, perché non ce n'era bisogno,
perché se lui voleva, poteva essere tutto come prima.
Ma
adesso era arrivato Gokudera che aveva usato delle parole che erano, se
possibile, persino più dure di quelle usate dallo spadaccino dei Varia. Perché
erano vere e letali, ma non c'era quel pizzico di fiducia che aveva scorto in
Squalo.
"Io...non
sto fingendo. Cosa te lo fa credere? Non ho niente da fingere, Gokudera"
Gokudera
a quel punto scattò di nuovo, avvicinandosi a passo di marcia all'altro, gli
occhi fiammeggianti di quella che sembrava ira unito a qualcosa che l'altro non
seppe identificare.
"Allora,
se sorridi perché pensi che vada davvero tutto bene, hai seriamente qualcosa
che non va. Non ti rendi conto di come ti sei ridotto? Per colpa tua e della
tua predisposizione a fidarti sempre di tutto e tutti eccola la fine che hai
fatto Yamamoto! Non potrai mai più camminare! E tutto perché sei un perfetto
idiota!"
Yamamoto
abbassò il capo, il labbro tremante stretto forte fra i denti, come se dovesse
nasconderlo. Cercò comunque di mostrarsi indifferente, tranquillo come al
solito.
"Ma
non importa, davvero. E' stato un incidente e so che Kao-..."
Gokudera
non gli diede nemmeno il tempo di rispondere. Sapeva cosa stava per dire e la
sola idea di ascoltarlo lo faceva imbufalire.
Il
pugno scattò da solo, autonomo, cozzando con violenza contro la guancia di
Yamamoto, che finì steso a terra, insieme alla sedia a rotelle.
"Fai
quel che cazzo ti pare, ma non fare il finto grande uomo con me, mi dai ai
nervi"
Yamamoto
rimase steso a terra, non provando minimamente a tirarsi su. Si portò una mano
al punto leso, massaggiandolo appena. Sfiorò il labbro rotto e sospirò,
rimanendo disteso, il viso nascosto in parte dalla sua stessa mano.
Gokudera
aveva colto il punto. Ci riusciva quasi sempre. Era l'unico che gli diceva in
faccia la realtà così com'era, senza girarci troppo intorno, senza temere di
ferirlo. Che sapeva dirgli esattamente quello che voleva sentirsi dire.
Gokudera
lo fissò dall'alto in basso con sufficienza, non degnandosi minimamente di
aiutarlo. Rimase fermo tutto il tempo, gli occhi sulle spalle dell'altro,
fermi, irosi, eppure stranamente lucidi.
Non
se ne andò perché sapeva di non potersene andare in quel modo, commettendo lo
stesso stupido errore di quel giorno, quando aveva fatto cadere Yamamoto e poi
era corso via. E poi, beh, non poteva lasciarlo di certo così.
Non
poteva lasciarlo in quel modo, in silenzio, steso a terra, la testa incassata
nelle spalle. Sembrava distrutto, a vederlo, come se le sue parole l'avessero
stranamente e profondamente colpito, stavolta.
"Per
lo meno non ti sei pianto addosso con un fesso, fin'ora. Ma sai una cosa?
Questo è quello che mi ha dato più fastidio. Cazzo, smettila di ridere
Yamamoto, non c'è proprio niente da ridere in tutto questo!"
Lo
guardò cercare di tirarsi su, e mettersi seduto a terra, le gambe stese,
immobili. Fu solo quando lo vide passarsi l'avambraccio sugli occhi -che erano
rossi e lucidi- che si decise a sedersi a sua volta, schiena contro schiena.
Non
voleva guardarlo negli occhi. Non quando sapeva di poterci leggere una
sofferenza che non era da lui, una pena che non poteva più sopportare.
Yamamoto
aveva il vizio di tenersi tutto dentro per non fare preoccupare gli altri, ma
con lui non serviva. O meglio, a volte aveva anche lui i suoi dubbi. Ma era
impossibile che l'altro fosse sinceramente tranquillo.
Lui
avrebbe rovesciato il mondo.
Ma
non era il tipo di persona, Gokudera, che sapeva tenere il gioco. Lui diceva le
cose così come stavano. Se poi erano troppo dolorose, pazienza. Al massimo,
evitava proprio di parlare.
Come
aveva fatto per tutto quel tempo.
Ma
quando era troppo, era troppo.
E
quel giorno, con quel maledetto sorriso onnipresente e rassicurante, Yamamoto
l'aveva ben più che superato, il suo limite.
Sbuffò,
avvicinando un ginocchio al petto e accendendosi un'altra sigaretta.
"Scommetto
che adesso ti senti meglio, testa vuota" borbottò, annaspando a fondo
dalla cicca. Il corpo di Yamamoto non tremava più, quindi forse aveva smesso di
frignare.
Non
riusciva a capire come avesse fatto a vivere per quasi quattro mesi in quel
modo ed essere crollato per qualche sua semplice parola. Pensare che aveva
iniziato ad ignorarlo anche per questo. Forse avrebbe dovuto continuare.
"Sì"
la voce era risultata più rauca del solito, ma ferma, senza la nota di ilarità
che sempre la contraddistingueva. Era diversa, e allo stesso tempo più simile a
quella dello Yamamoto di sempre.
Gokudera
sbuffò, giocherellando con il filtro della sigaretta già spenta e consumata
totalmente.
"Dovresti
imparare che quello che dici lo devi anche fare, idiota"
Yamamoto
voltò la testa verso di lui, ma essendo per metà bloccato non riuscì a voltarsi
a sufficienza da guardare l'altro in viso.
"In
che senso?"
Gokudera
buttò la cicca, poggiando il mento sul ginocchio piegato al petto "Quella
volta, nel futuro, ti ricordi cosa mi hai detto? A parte che avevo un atteggiamento
del cazzo e che non vedevi l'ora di farmelo cambiare..." mormorò. Yamamoto
capì all'istante si stesse riferendo al loro primo incontro con Gamma e rimase
in silenzio. Ovvio si ricordasse cosa gli aveva detto.
"Mi
hai chiaramente urlato che sbagliavo ad aprirmi solo con il Decimo, che così
facendo addossavo a lui un peso maggiore di quello che già deve sopportare in
quando nostro Boss" fece una breve pausa, ignorando deliberatamente tutte
le altri, pesanti parole che gli aveva riferito quel giorno Yamamoto.
"Tu
non ti stai minimamente rendendo conto di star facendo la stessa cosa con te
stesso, idiota. Sei tu qua quello che si sta sovraccaricando di un peso troppo
grande, e questo perché pensi sempre di esserci per gli altri, ma non fai mai
in modo che gli altri ci siano per te"
Era
strano che a dirlo fosse proprio lui che per tutto quel tempo non si era reso
per niente utile, ma c'erano altre persone che ci avevano provato e a cui
Takeshi non aveva dato possibilità di aiutarlo. Ryohei in primis, a modo suo.
Ma
Takeshi, naturalmente, proprio per la sua naturale propensione ad aiutare tutti
e a cercare di non far mai preoccupare nessuno, si era tenuto tutto dentro
anche con il padre.
Gokudera
lo aveva sempre saputo, nel suo piccolo, che per la prima volta nel cuore di
Takeshi infervorava una tempesta, nonostante la quiete tranquillità consona del
Guardiano della Pioggia.
Yamamoto
sorrise, a quelle parole, poggiando il capo su quello dell'altro, che gli stava
dietro. Non lo aveva fatto perché vedeva negli occhi di suo padre, di Tsuna e
di tutti gli altri che non avrebbero retto, già troppo colpiti, nel loro
piccolo, da tutta quella situazione.
"E
non pensare sempre che gli altri siano fragili , perché tu non sei invincibile.
Hai capito, YankyuuBaka?"
gli era scappato. Si era ripromesso di non chiamarlo più idiota del baseball ma
c'era talmente abituato che quando lasciava sciolta la lingua non ci pensava
più. Sbuffò "Scusa".
Yamamoto,
a quel punto, rise. Sinceramente e profondamente sollevato che qualcuno avesse
capito che lui quella situazione non la sopportava, che era semplicemente troppo.
"Ma
veramente non ho mai pensato di essere invincibile. E' solo che..."
"E'
solo che devi smetterla di fare l'idiota, tutto qui"
Takeshi
annuì, ridendo. Non era esattamente quello che stava per dire, ma rendeva bene
l'idea. Certamente non avrebbe cambiato all'improvviso modo di fare con gli
altri, ma adesso che sapeva di potersi, all'occorrenza, lasciare andare almeno
con Gokudera lo faceva sentire molto meglio. Hayato lo capiva, e non aveva peli
sulla lingua a bloccarlo.
"Uhm...Gokudera?"
Il
ragazzo grugnì "Che vuoi ancora?"
Yamamoto
sorrise, cercando la mano dell'altro con la sua e colpendola con due pacche
leggere. Rise "Grazie mille, Gokudera"
L'italiano
scrollò le spalle, schioccando la lingua e prendendo una sigaretta. Poi cambiò
idea, perché sia alzò talmente di botto che Yamamoto, quasi totalmente poggiato
a lui, rischiò di cadere a terra. Fece il giro del giapponese, tirò su la sedia
-anch'essa caduta- e si posizionò davanti a lui,
allungandogli le braccia come se volesse aiutarlo ad alzarsi, la cicca spenta
fra i denti serrati. Sapeva perfettamente che Yamamoto non poteva far forza
sulle gambe per tirarsi in piedi, ma gli venne spontaneo, quasi volesse spronarlo.
Takeshi
però afferrò con forza le mani dell'altro, dopo essersi aiutato a piegare le
gambe. Un passo alla volta ma buono era molto meglio di dieci tutti insieme.
All'inizio, per poco Gokudera non venne tirato verso di lui, poiché Yamamoto
c'aveva messo troppa forza nelle braccia. Quando lo vide ridere gli schiacciò i
piedi stizzito, dopodiché fece ben attenzione ad impuntarli
a terra e tirare a sua volta.
E
Yamamoto riuscì a tirarsi effettivamente su, con una forza che credeva di non
avere più nelle gambe.
Guardò
Gokudera, che lo fissava con gli occhi a sua volta sgranati. Il sorriso
radioso, spontaneo e cristallino fece appena in tempo a nascere, prima che
entrambi cadessero clamorosamente a terra.
Yamamoto
rise di una risata sincera.
"Hai
visto, per poco non mi mettevo in piedi!"
Hayato,
approfittando della situazione per lui svantaggiosa -visto che si ritrovava
schiacciato dal peso dell'altro- nascose il viso nell'incavo della spalla del
moro, sorridendo. Un sorriso stranamente felice che, naturalmente, non avrebbe
mai mostrato ad anima viva.
"Ti
ho solo tirato con troppa forza"
"Ma
sono rimasto in piedi"
"Per
cinque secondi al massimo"
"Uffa,
non smorzarmi l'entusiasmo!"
"Io
non smorzo niente, sei tu che ti monti la testa per un nonnulla"
Sorrise,
il moro, tirandosi sui gomiti e guardando l'italiano dritto negli occhi
"Ti prometto che lo trasformerò in molto, molto altro, questo niente"
Ed
era una promessa che faceva a se stesso in primis.
Fin'ora
aveva lavorato con i medici senza un reale entusiasmo, sicuro che, non avendo
più la minima sensibilità alle gambe, tutto si sarebbe rivelato inutile.
Privato del suo solito ottimismo, non aveva potuto fare altro che lasciarsi
trascinare dalla corrente, tranquillizzando chi gli stava intorno, proprio come
la pioggia scrosciante che lava via ogni dubbio o timore.
Adesso
però quella pioggia era arrivata anche a lui.
E
sapeva che con gli allenamenti di Squalo e gli aiuti particolari di Gokudera,
forse poteva farcela.
Hayato
borbottò, le goti leggermente colorite "C-cretino!"
urlò, colpendolo con un pugno sul capo. Yamamoto rise e, con un gesto
istintivo, abbracciò l'amico.
Gli
era grato, si sentiva davvero più leggero adesso.
Quella
mattina quando aprì la porta di casa per andare a scuola, Tsuna giurò di essere
quasi svenuto. Per lo stupore, per la felicità.
Gokudera
spingeva la carrozzella di Yamamoto, ed entrambi lo salutavano euforici, pronti
a sostenere un'altra dura giornata scolastica.
Tsuna
li raggiunse quasi di corsa, contento di poter tornare a quelle giornate
abituali a cui per mesi erano stati costretti a rinunciare, per un motivo o per
un altro.
Non
chiese cosa fosse successo il giorno prima fra di loro, ma poco importava.
Quello che contava era il risultato, e questo era decisamente stato ottimo.
Kaoru
era stato contento di vedere l'amico sereno e sorridente, stavolta un sorriso
che si estendeva fino agli occhi. Anche Enma aveva capito che tutto andava
meglio, dagli occhi lucenti di Tsuna, che era stato felice di dirgli che tutto
finalmente sembrava essersi sistemato. Persino Ryohei aveva capito, quando li
aveva visti uscire tutti e tre insieme dal cortile scolastico, alla fine delle
lezioni, ed era tornato ai suoi allenamenti estremi in modo estremamente soddisfatto.
Si
erano fermati tutti a casa di Yamamoto, quel pomeriggio, giusto per suggellare
il ritorno alla normalità, fra compiti, improperi e risate.
"Beh
ragazzi, adesso devo andare. Uhm, Reborn ha detto che mi doveva parlare"
"Reborn-san?"
"Già...e
spero che non sia quello che penso io"
Yamamoto
rise, passando un braccio intorno alle spalle dell'amico "Dai Tsuna,
ricordati quello che ti ho detto!"
"Sì,
ci proverò!"
"Ma
di cosa state parlando?" intervenne Gokudera, accettando difficilmente che
l'idiota sapesse qualcosa sul Decimo che lui ignorava "Cosa diavolo hai
detto al Decimo, Yamamoto?"
Takeshi
gli sorrise "Lo sa Tsuna!"
"Decimo!"
"Ehm...beh,
Gokudera-kun, adesso devo andare!"
"Ma...Decimo!?"
Tsuna
si alzò e, frettoloso, salutò gli amici e scese al piano di sotto. Sapeva con
certezza di cosa Reborn voleva parlargli: della famiglia. E Yamamoto aveva
cercato di dirgli che, se l'hitman aveva intenzione
di costringerlo a continuare quel gioco, non si sarebbe dovuto far bloccare
dalla sua situazione.
Tsuna
sorrise, mentre correva verso casa.
Non
avrebbe più detto di no a Reborn utilizzando Yamamoto come copertura. L'amico,
sedia a rotelle o meno, rimaneva sempre lo stesso. E Tsuna questo lo sapeva.
Non cambiava assolutamente niente.
"Come
osi avere un segreto con il Decimo, brutto idiota?" stava intanto urlando
Gokudera, scioccato dalla notizia.
Yamamoto
rise tranquillo "Ma non è un segreto! Gli ho solo detto che voglio anch'io
continuare a giocare con voi alla mafia!"
Gokudera
per un attimo rimase in silenzio. Poi sbuffò contrariato, nascondendo
l'inevitabile, traditore, accenno di sorriso.
"Allora,
quell'esercizio di matematica?"
"Ah!"
si grattò la nuca, ridacchiando "Non l'ho capito"
"Come
diavolo fai a non capirlo? Te l'ho spiegato due volte! Possibile che tu sia
così dannatamente ottuso?"
Si
impose la calma, ripetendo per la terza volta quella spiegazione che lui
riteneva maledettamente stupida e che né Yamamoto né, inspiegabilmente, il
Decimo riuscivano a farsi entrare in testa.
"Gokudera!"
lo interruppe all'improvviso l'altro, proprio prima che il Guardiano della
Tempesta si stupisse della buona riuscita dell'esercizio e gli facesse notare
che, se invece di lasciarlo marcire, si decidesse ad usare il cervello anche
per la scuola, i suoi voti sarebbero sicuramente stati migliori.
"Cosa
vuoi?"
"Visto
l'orario, perché non rimani a mangiare qui al ristorante?"
Gokudera,
per tutta risposta, poggiò mollemente il capo sul palmo della mano, il gomito
poggiato sul tavolo. A casa non aveva niente di buono da mangiare, e sarebbe
stato solo.
"Non
vedo perché no" borbottò come se la cosa, in realtà, lo scocciasse parecchio.
Yamamoto
rise, annuendo a se stesso.
Sì,
ora era tutto nella norma.
Angolino Autrice estremamente dispiaciuta:
Aspettate a lanciare pomodori! Lo so che vi ho fatto aspettare
di nuovo tanto, ma almeno sono arrivata, e con dieci pagine. Mi perdonate,
vero? *Occhioni alla Bambi*
Comunque, devo spiegare una cosettina
che in teoria non ha senso. Quando Yama si alza in
piedi, non è perché improvvisamente è guarito, sia ben chiaro. La scena in
teoria si svolge in un nanosecondo, nel caso non si capisse, e vi assicuro che
è possibile tirar su di peso una persona in quel modo. E' una questione di
bilanciamento, e di forse. E non penso che Gokudera non riesca a tirar su di
peso Yamamoto per mezzo secondo.
Inoltre l'ho messa anche per un motivo in particolare. Aye, se volete sperare che Yamamoto tornerà a camminare, o
se invece volete continuare a vederlo lì immobile, sta a voi <3
Con questo passo, e chiudo definitivamente.
Grazie infinite a tutte voi, che mi avete seguito. Senza di voi
non sarei arrivata qui e non so quanto piacere mi abbiano fatto i vostri
commenti -a cui risponderò sicuramente domani.