Go ahead

di Saruwatari_Asuka
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte ***
Capitolo 2: *** Seconda parte ***
Capitolo 3: *** Terza parte ***
Capitolo 4: *** Quarta parte ***
Capitolo 5: *** Quinta parte ***



Capitolo 1
*** Prima parte ***


GO AHEAD

 

 

 

 

Yamamoto si sentiva ancora confuso. Non riusciva a ricordarsi com'era successo tutto quello, era stato tutto troppo veloce. O forse la verità era che non voleva riuscire a ricordare. Troppo dolore che né lui, né i suoi amici, né Kaoru si meritavano.

In fondo, gli avevano spiegato cos'era successo in realtà alla famiglia Shimon, e lui era stato felice di sapere che Kaoru lo considerasse ancora un amico. E poco importava se poi era lui quello che avrebbe dovuto perdonare Kaoru e decidere se valeva la pena considerarlo o meno un prezioso amico. Lui non aveva mai avuto dubbi in proposito, e non ne avrebbe avuti adesso.

In fin dei conti, per quanto forse la sua vita adesso sarebbe cambiata, non sarebbe stato un problema. Avrebbe dovuto dire addio al baseball, probabilmente anche alla spada e a quel divertente gioco sulla mafia con Tsuna e tutti gli altri ma...beh, era stato un incidente, quindi non poteva prendersela con nessuno.

Suo padre era, probabilmente, quello che l'aveva presa peggio. Quando i medici gli avevano parlato, schietti e spietati, Yamamoto l'aveva visto sbiancare così tanto che aveva avuto paura svenisse. Lui l'aveva capito non appena aveva aperto gli occhi che c'era qualcosa che non andava, e capire cosa fosse l'aveva inizialmente sconvolto.

Era difficile accettare una realtà del genere, doveva essere sincero.

Non poter più giocare a baseball, dover cambiare tutta la sua vita.

Era difficile perché non aveva mai nemmeno lontanamente preso in considerazione qualcosa di simile.

Lui voleva diventare un campione di Baseball, voleva allenarsi con la spada con Squalo, voleva combattere al fianco dei suoi amici, per loro e per la sua famiglia.

Invece...invece niente. Niente di tutto quello sarebbe più potuto accadere. O almeno ne dubitava fortemente.

Anche se al pianto del padre aveva represso il suo e aveva sorriso, dicendo che non si doveva preoccupare, in realtà era spaventato. E preoccupato e amareggiato. E aveva voglia di piangere e urlare e rompere qualsiasi cosa si trovasse a portata di mano, compresa quella stupida sedia a rotelle.

La verità era che anche se il medico gli proponeva operazioni che gli avrebbero potuto dare una piccola percentuale di ripresa, anche se diceva che forse la riabilitazione poteva aiutarlo, lui non ci credeva.

Potevano dirgli quello che volevano, potevano dargli tutte le speranze -fasulle- di quel mondo, ma lui le gambe non le sentiva più. Non le muoveva più. E non sarebbe più riuscito a muoverle, lo sapeva. E lo leggeva negli occhi del padre e del medico che l'aveva ora in cura.

Non era da lui arrendersi, non era da lui scoraggiarsi. E non lo stava facendo. Semplicemente, vedeva la realtà un po' più per com'era veramente, stavolta.

"Takeshi?" si riscosse, alla voce del genitore. Stava tornando a casa, perché non ne poteva più di rimanere in ospedale, perché era inutile continuare a stare lì.

Afferrò il borsone e se lo poggiò sulle ginocchia "Sì, papà?"  gli sorrise, di un sorriso uguale ai soliti e al contempo più spento.

Tsuyoshi scosse la testa "Abbiamo preso tutto?" domandò, cominciando già a spingere la sedia a rotelle su cui era costretto il figlio.

Takeshi sospirò, rilassandosi sullo schienale "Sì" mormorò, come se fosse esausto, stravolto. E lo era, davvero.

Iniziava ora una battaglia che non avrebbe mai voluto affrontare, da cui sarebbe volentieri scappato, quella volta.

 

Il sospiro che uscì dalle sue labbra spinse Tsuna a voltarsi dalla sua parte. Yamamoto gli sorrise, come se niente fosse, scrollando le spalle e facendogli cenno di tornare a guardare il professore, prima che li beccasse di nuovo entrambi a non far nulla.

Era tornato a scuola già da qualche mese ormai, eppure ancora i ragazzi e i professori si voltavano al suo passaggio, i ragazzi del club piangevano la sua ritirata, le ragazze maledivano la sua sfortuna. Tutto abbastanza nella norma, come c'era da aspettarsi.

Yamamoto sorrideva solare a tutti, scrollava le spalle, diceva di non preoccuparsi. Nessuno l'aveva mai visto amareggiato, i suoi occhi ridevano ancora come un tempo, non si faceva problemi a chiedere aiuto e tutti erano sempre pronti a dargli una mano.

Takeshi Yamamoto era esattamente come lo ricordava, eppure a volte Tsuna, guardandolo, si chiedeva se era davvero quel sorriso il vero volto del suo amico. Se magari il Guardiano della Pioggia non lo facesse solo per lui o per gli altri.

Sorrideva a Tsuna perché sapeva che Tsuna si sentiva in colpa.

Sorrideva a Kaoru perché sapeva che Kaoru si sentiva in colpa.

Sorrideva al padre perché sapeva che Tsuyoshi era preoccupato e spaventato.

Sorrideva a Gokudera , perché sperava di ricevere un qualsiasi segno da parte dell'altro.

Cenno che non gli veniva mai rivolto.

Non sapeva che meccanismo contorto avesse attivato la mente di Gokudera, sapeva solo che da quando erano tornati vincitori dallo scontro contro gli Shimon, lui Tsuna, Ryohei e Lambo, il Guardiano della Tempesta non era più stato lo stesso. Più precisamente, Yamamoto aveva la sensazione che il suo modo di fare fosse cambiato essenzialmente nei suoi confronti.

Perché con il suo adorato Decimo era sempre lo stesso sorridente, servizievole Gokudera. Lo andavano a prendere insieme, pranzavano insieme, spesso facevano ancora i compiti a casa tutti e tre insieme. Solo che Yamamoto aveva notato che, in tutte queste attività e in molte altre, Gokudera in un modo o nell'altro evitava sempre il suo sguardo. E Yamamoto non riusciva a capire perché.

Non sapeva se doveva effettivamente preoccuparsi di aver fatto qualche torto all'amico, o pensare che quella situazione fosse colpa della sua attuale condizione. E se così fosse stato, continuava a non capire l'altro.

Al suono della campanella, Yamamoto lasciò cadere la penna -che non aveva usato- sul quaderno, allungando per bene la schiena. Gli occhi andarono inconsciamente a cercare il Guardiano della Tempesta, ma quel giorno l'amico aveva lasciato l'aula a lezioni appena iniziate e non l'aveva più visto.

Spinse la sedia all'indietro con la forza delle braccia e si avvicinò al castano "Tsuna, andiamo a pranzo?" chiese sorridendogli. Il futuro Decimo Boss dei Vongola si girò verso di lui e abbozzò un sorriso tirato. Un sorriso che non si estese agli occhi, e Yamamoto sapeva che era colpa sua. Ignorò quella luce colpevole nello sguardo dell'amico tutte le volte che lo guardava e si voltò invece verso Enma Kozato, che non era da meno di Tsuna, in quanto a sensi di colpa.

Yamamoto spesso aveva la tentazione di urlargli contro di smetterla, come in quel momento, che così facendo lo facevano solo stare peggio e che non era colpa loro, che gli facevano solo pesare quella situazione ancora di più. Ma dopotutto lo sapeva, che i due erano solo preoccupati per lui, ne era consapevole e se ne dispiaceva. Così rassicurava e sorrideva.

"Ti unisci a noi, Enma?" esclamò, sapendo che così nessuno dei due avrebbe rifiutato l'invito. Enma e Tsuna erano molto uniti, nonostante tutto.

I due annuirono un po' titubanti, prima che Tsuna prendesse a spingere la sua sedia a rotelle fino al giardino interno della scuola media Namimori.

Arrivare al tetto era troppo complicato, ormai.

Si stavano dirigendo verso un praticello dove sapevano poter stare tranquilli, sul retro della scuola, quando una piccola, chiassosa folla attirò la loro attenzione.

"Che succede lì?" chiese Tsuna, quasi intimorito.

"Una...rissa?"

Yamamoto rise allegro "Magari stanno giocando" esclamò, con il suo solito modo di fare "Andiamo ad unirci anche noi?"

Tsuna avrebbe voluto fargli notare che, a seconda dei giochi, lui forse non avrebbe potuto partecipare, ma non ebbe cuore di esternarlo. Yamamoto era entusiasta, come tutte le volte.

Spinse la carrozzina e si fece spazio fra la folla.

"G-Gokudera-kun!"

"Kaoru!"

Yamamoto si morse il labbro, lontano dagli sguardi degli altri, in silenzio.

Nessuno stava giocando con nessuno.

C'era solo Gokudera, livido di rabbia, che picchiava Kaoru, che si lasciava colpire senza alzare un dito in sua difesa.

Tsuna era corso per tentare di fermare il suo autoproclamato braccio destro, mentre Enma si apprestava a soccorrere goffamente Kaoru. Yamamoto spinse la sedia a rotelle e si avvicinò all'argenteo.

"Gokudera" lo chiamò, con voce ilare, ma l'altro non gli rivolse attenzioni "Perché stavate litigando?"

Kaoru si alzò subito a sedere "E' colpa mia, Yamamoto"

Takeshi sorrise "Davvero? Immagino che Gokudera si sia scaldato subito come al solito, vero?" rise, e forse fu proprio questo a far perdere quel poco di autocontrollo che era rimasto al Guardiano della Tempesta.

Infatti l'italiano era scattato, afferrandolo per il bavero della maglia "Perché diamine gli dai ragione e gli credi ancora, invasato del baseball?" ululò, ignaro che quel soprannome, al momento, era come una coltellata al petto per Yamamoto.

"Beh, è mio amico, giusto? E poi sarebbe da te!" esclamò, sorridendogli, quasi felice che l'altro gli avesse rivolto parola.

"Non dire cazzate, sei stupido o che cosa? Ce l'hai un cervello sotto quella massa di capelli?"

Yamamoto inclinò il capo, perplesso "Che vuoi dire?"

"Gokudera-kun, ti prego, calmati"

Poi fu questione di un attimo solamente.

Gokudera aveva ringhiato, esasperato, spingendo con rabbia e forza Yamamoto all'indietro, senza accorgersi che nell'impeto di andargli contro, prima, gli aveva fatto perdere contatto con la sedia. La carrozzella fu spinta all'indietro e Takeshi si ritrovò steso a terra, sotto gli sguardi stupiti e allarmati di tutti.

"Yamamoto!"

"Yamamoto, stai bene?" gli chiese Kaoru, preoccupato.

Takeshi sorrise ad entrambi "Sto bene, sto bene" rise, quasi fosse inciampato sui suoi stessi piedi e dovesse sdrammatizzare una sua pessima figura "Mi date una mano?"

"Certo!"

I tre riuscirono a rimetterlo sulla sedia a rotelle, mentre Yamamoto continuava a ridere e a scusarsi di essere un sacco di patate bello e buono.

Quando aveva rialzato gli occhi, Gokudera era sparito.

 

Smise di correre solo quando si ritrovò fuori dalla scuola. Si ritrovò vicino al parco poco lontano da casa Sawada e allora, solo allora, si fermò, lasciandosi cadere sull'altalena. Mosse piano i piedi, dondolandosi appena. Gli occhi verdi erano puntati fissi sul pavimento sdrucciolato del parco-giochi, senza in realtà vederlo.

Non voleva fare quello che aveva fatto.

O meglio, se l'era presa con Kaoru perché ormai non sopportava più la sua vista. Non sopportava più nessun membro della famiglia Shimon.

Loro avevano rovinato tutto, tutto quanto.

Non riusciva a capire perché il Decimo fosse così legato a Enma, ma lo accettava, perché naturalmente se il suo Boss prendeva delle decisioni lui doveva seguirle nel bene o nel male.

E allora poteva anche accettare la vista giornaliera di quel Kozato se questa rendeva più serene le giornate del Decimo.

Ma gli altri...gli altri non poteva sopportarli. Soprattutto, non poteva accettare la presenza di Kaoru, così maledettamente costante nella vita di Yamamoto. Sempre disponibile, sempre pronto ad aiutarlo. E Yamamoto accettava sempre col sorriso sulle labbra.

Possibile che quello stupido invasato non si rendesse conto che tutto quello che gli stava succedendo era colpa proprio di quello che considerava un suo amico? Possibile che non si rendesse nemmeno conto che quel tipo gli aveva anche rubato il posto in squadra e lui, invece, non avrebbe mai più giocato? Era davvero stupido fino a questo punto?

Calciò un sasso e ringhiò verso nessuno in particolare, si accese una sigaretta e aspirò con tutta la forza che aveva nei polmoni.

Quella situazione gli stava facendo perdere la testa, neanche fosse lui quello che doveva arrabbiarsi col mondo per essersi visto rovinare la vita. Invece Yamamoto passava le giornate a sorridere e ringraziare e scusarsi e tranquillizzare. Come un perfetto idiota.

Aveva sempre pensato che fosse un coglione, ma credeva ci fosse un limite al peggio. Invece a quanto pareva non era affatto così.

Yamamoto era idiota proprio fino al midollo. Non sapeva nemmeno che significava provare rancore per gli altri.

Mizuno gli aveva appena rovinato la vita, ma in fondo che importanza aveva? Era sempre suo amico.

Appena si accorse che la sigaretta era ormai consumata fino al filtro, la gettò a terra e se ne riaccese un'altra.

Il problema più grande al momento era che non riusciva a stare nella stessa stanza con Yamamoto senza aggredirlo a parole o a gesti. Era più forte di lui. Così si sforzava di ignorarlo il più possibile.

Visto che Yamamoto sembrava incurante del suo problema, visto che sembrava non gli importasse niente, che avesse già superato il trauma, lui non aveva intenzione di cambiare modo di fare. Lui non era come Takeshi, lui non riusciva a comportarsi come se niente fosse. Per questo lo ignorava, proprio come Yamamoto faceva con il suo problema.

Lui la vedeva, quella maledetta sedia. le vedeva, le gambe di Yamamoto. E tutte le volte gli montava una rabbia che non sapeva descrivere.

Si alzò dall'altalena, infilandosi le mani in tasca e dirigendosi verso il suo appartamento. Se doveva essere sincero, non sapeva nemmeno perché era praticamente scappato via in quel modo, quando aveva visto Yamamoto a terra.

Lui...in verità non avrebbe voluto farlo cadere. Solo che era stato preso dalla rabbia a quelle maledette parole.

Quando finalmente riuscì a trovare le chiavi di casa, la prima cosa che fece fu buttarsi sul suo letto, accendersi un'altra sigaretta e fissare il soffitto.

 

Kaoru, che aveva riaccompagnato a casa Yamamoto, lo lasciò sulla soglia del ristorante, voltandosi e andandosene, senza ascoltare la voce di Takeshi che lo invitava a restare. Il padre di Yamamoto non conosceva la verità di quanto era successo. Di comune accordo gli avevano detto che era stato un tragico incidente avvenuto durante gli allenamenti serali.

Ma per Kaoru accettare le gentilezze del signor Yamamoto risultava come una mancanza di rispetto, per questo tutte le volte che accompagnava Yamamoto fino a casa, declinava l'offerta. A volte non oltrepassava nemmeno la porta del ristorante.

Yamamoto sospirò vedendo l'amico allontanarsi e spinse la porta del Take Sushi, entrando -con un po' di difficoltà a causa del piccolo gradino, ma ormai ci aveva fatto la mano-.

"Yo, papà!"

L'uomo alzò gli occhi sul figlio e gli sorrise appena "Oh, Takeshi, bentornato" mormorò. Non si mosse per dargli una mano, perché sapeva in cuor suo che nonostante tutto Takeshi voleva essere il più autonomo possibile. Per questo aveva fatto istallare un montascale che aiutasse il figlio a salire fino al piano di sopra -non avevano trovato altro modo per arrivare all'appartamento sovrastante il ristorante, e prendere di peso Takeshi e portarlo di sopra tutti i giorni non sarebbe stato d'aiuto a nessuno-, aveva anche fatto in modo che tutto in casa adesso fosse a portata di mano del ragazzo.

Almeno in questo modo pensava -sperava- di aiutare il figlio il più possibile, cercando di non fargli pesare niente.

"Il tuo amico dall'Italia di sta aspettando nella tua stanza"

"Un amico dall'Italia?" Takeshi sbatté le palpebre. Non poteva essere Gokudera, perché dubitava sarebbe mai venuto a trovarlo, specie dopo quello che era successo quella mattina stessa. E poi suo padre lo conosceva.

"Ma sì, certo. Mi ha persino sfidato, quando gli ho detto che tu non eri ancora tornato. Sbraitava tanto e allora ho accettato. Devo dire che ci sa davvero fare, con la spada. Mi ha detto che ti stava allenando lui già da un po' di tempo. Mi dispiace di non essermi mai interessato dei tuoi miglioramenti" mormorò il padre, abbozzando un sorriso che risultò tirato e finto. Saltò su quando, distratto, si tagliò con i coltello con cui stava preparando il sushi, affrettandosi a mettere la mano sotto l'acqua fredda.

Sapeva che il figlio ci sapeva fare, con la spada, sapeva in cuor suo che continuava ad allenarsi, ma da quando aveva smesso di chiedergli aiuto, lui non aveva più pensato di farsi di mostrargli a che punto era arrivato, per poter essere fiero di lui anche per quel motivo. Perché stava mandando avanti una tradizione importante per la famiglia.

Voleva aspettare che fosse Yamamoto a correre da lui, entusiasta, e a sfidarlo per fargli vedere che adesso avrebbe sicuramente potuto batterlo, che era forte, più forte di lui. Pensava ci fosse tempo e si fidava davvero del figlio.

Invece il tempo non c'era più ormai, Yamamoto non avrebbe più potuto fargli vedere i suoi tanti miglioramenti con la spada.

Quando si accorse dell'espressione del padre, Takeshi scurì la sua. Durò solo un attimo, però, contento all'idea che Squalo fosse venuto a trovarlo.

"Papà..." lo richiamò. Ma non sapeva davvero che cosa dirgli. Un semplice 'non ti preoccupare, ci saranno altre occasioni' ormai era completamente fuori luogo anche per lui. Non si sarebbero state altre occasioni, però non voleva vedere suo padre così giù di tono.

C'era sempre stato un buon rapporto tra padre e figlio nella famiglia Yamamoto, ma per la prima volta Takeshi non aveva idea di come parlare al genitore.

Quando però Tsuyoshi alzò il capo in sua direzione, lo accolse con un sorriso solare e sbarazzino degno di lui.

Tsuyoshi ricambiò "Sono certo che mi avresti reso orgoglioso. Anche il tuo amico pensa che non sei male, se solo fossi meno...buono, qualsiasi cosa intendesse"

Yamamoto rise "Squalo parla sempre in modo strano. Io mi sono sempre impegnato. La spada mi piace quanto il baseball"

Stupido dirlo adesso che non poteva più giocare a nessuno dei due.

Yamamoto senior sorrise amaramente, annuendo "Non ne dubito, ce l'hai nel sangue" sussurrò. Per un attimo ci fu silenzio fra i due e una tensione che le uniche due persone presenti in quel momento nel ristorante colsero tagliente.

"Beh, il tuo amico è di sopra. Che aspetti ad andare?"

"Sì, vado !"

Quando salì al piano di sopra, si fermò un attimo alla fine delle scale, bloccando la sedia per non andare all'indietro e accasciandosi su di essa.

Era contento di rivedere Squalo, s'intenda, ma non era certo di poter affrontare quello che l'altro gli avrebbe sicuramente urlato contro, sbraitando su quanto fosse una feccia inutile e roba simile. Non che Squalo potesse incolparlo di quello che era successo o qualcosa del genere, ne era certo, solo che sicuramente si sarebbe arrabbiato con il mondo e se la sarebbe presa con lui, perché aveva sprecato il suo tempo cercando di insegnargli l'arte della spada e lui era stato battuto come un novellino.

Sospirò e cercò di prendere il coraggio di entrare nella sua stanza.

Era anche strano che Squalo venisse a casa sua e lo aspettasse fino al suo ritorno. Di solito, le poche, rare volte che passava, chiedeva sgarbatamente di lui e se non lo trovava se ne andava via. Non gli piaceva aspettare e quelle volte tornava sempre di sera, quando era certo di poterlo trovare, entrava dalla finestra per ricordargli che dovevano allenarsi, oppure se lo trascinata appresso con la forza, o ancora lo picchiava per convincerlo a mollare quello stupido sport e a dedicare anima e corpo alla spada come aveva fatto lui.

Non si era mai fermato a casa sua, e questo dal suo punto di vista non presagiva niente di buono, con Superbi Squalo.

"VOOOOI che diamine stai facendo qui fermo?" alla voce dello spadaccino dei Varia alzò il capo di scatto, trovandoselo davanti, poggiato allo stipite della porta della sua stanza.

"S-Squalo!" esclamò, non riuscendo a mostrare del tutto il suo solito entusiasmo alla sua comparsa.

Squalo lo osservò a lungo, con un'espressione stranamente calma ed indecifrabile sul volto. Yamamoto si ritrovò a deglutire, quasi timoroso avrebbe potuto tagliargli la testa con un colpo secco. Staccò i freni della sedia a rotelle pronto a salvarsi la vita in un modo o nell'altro, abbozzando un sorriso alla volta di Squalo che sicuramente l'avrebbe irritato ancora di più.

Lo spadaccino invece si limitò ad avvicinarsi, afferrare la sedia a rotelle e spingerlo fino alla stanza, prima di chiudersi la porta alle spalle.

Prese ad osservarlo ancora, e Yamamoto si sentì questa volta stranito e disorientato.

"S-Squalo, mio padre mi ha detto che mi hai aspettato. Di solito non resti mai, mi fa piacere vedere che oggi hai fatto un'eccezione" rise, cercando di smorzare quell'aria stranamente tesa.

"Tuo padre mi ha intrattenuto, è un ottimo spadaccino" ammise, sedendosi sulla sedia con i piedi sulla scrivania.

Yamamoto rise divertito "Mio padre è il migliore. E' stato lui ad insegnarmi a combattere quando ti ho conosciuto!"

"VOOOOI, non dire cazzate, quando ti ho conosciuto sapevi a malapena tenere in mano una spada!"

"Ma ti ho battuto! Se non fosse stato per lui non ci sarei mai riuscito"

Squalo grugnì "Il culo del principiante"

Yamamoto rise. Era sicuro che Squalo non avrebbe mai ammesso di aver perso per propria mancanza, e dopotutto Takeshi sapeva che se aveva vinto era stato solo per fortuna personale.

Comunque, aveva capito il motivo per il quale lo spadaccino era venuto, nonostante stesse stranamente in silenzio. Cercò di distrarsi dallo sguardo che Squalo sembrava aver deciso di tener fisso su di lui, facendo forza sulle braccia per spostarsi dalla sedia al letto. Quando ci riuscì, spostò di lato la carrozzella e si mise più comodo.

Squalo aveva osservato tutta la procedura con attenzione, lo sguardo affilato e iroso.

"Ushishishi, non dirmi che non sai le ultime novità sul tuo adorato allievo, Squ-chan"

"Di che cazzo stai parlando, stupido principe mancato?"

"Allora non lo sai. Pensa che Luss l'ha saputo dal Sole dei Vongola, chissà poi che ci facevano quei due cretini insieme. Strano, no?"

"VOOOOI, di che cazzo stai parlando, principe del cazzo?"

"Ushishishi"

Squalo non sembrava intenzionato a parlare, e Yamamoto stava seriamente pensando che forse avrebbe dovuto trovare lui una scusa con cui sciogliere il silenzio, anche con il rischio e l'altro lo ammazzasse di botte.

Squalo però lo anticipò e forse Yamamoto avrebbe preferito tornare al silenzio precedente.

"Com'è successo?" gli chiese laconico. Quell'idiota di Bel gliel'aveva detto solo qualche settimana, e lui dopo averlo picchiato e minacciato ed essere andato a chiedere conferma a Lussuria, che a quanto pareva l'era venuto a sapere da Sasagawa -come si erano incontrati e perché non lo voleva sapere- era corso ad accertarsi che fosse la verità.

Yamamoto si grattò la nuca, ridacchiando, indeciso su cosa rispondere. Fosse stato ferito in battaglia, sarebbe stato un conto, ma essere colpito alle spalle per aver abbassato la guardia di fronte ad un amico...beh, dubitava che Squalo avrebbe semplicemente accettato la situazione con un 'che peccato'.

"Ehm...beh, diciamo che è stato un incidente" rispose sorridendo bonariamente, scrollando le spalle.

Squalo lo fulminò con lo sguardo, alzandosi di botto "VOOOI, e ti sembra una cosa su cui ridere, razza di cretino? Ti sei fatto battere come un coglione da uno qualunque!"

Yamamoto lo guardò perplesso, continuando a grattarsi la nuca e ridacchiando "Beh non è proprio corretto dire che mi sono fatto battere"

"Vuoi dire che ti sei fatto prendere di sorpresa come la feccia che sei? Che cosa cazzo ti ho insegnato in tutto questo tempo?"

"Beh ma te l'ho detto, è stato un incidente!"

"VOOOOI, questa non è una giustificazione! Tu avresti dovuto batterlo ad occhi chiusi cazzo! Invece ti sei fatto ridurre in questo modo ridicolo!" urlò, afferrandolo per la calotta. Yamamoto si lasciò andare ad un sospiro, constatando che quel giorno sembrava proprio che tutti ce l'avessero con la sua povera maglia.

Takeshi ridacchiò "Dai Squalo, non prendertela"

Lo spadaccino gli ringhiò praticamente in faccia "Io non me la devo prendere? Hai reso vani tutti i miei allenamenti, hai completamente disonorato la spada, ragazzino! Ridi di nuovo in quel modo e ti stacco la testa!"

Per tutta risposta invece Yamamoto scoppiò in una delle sue cristalline risate "Io non la vedrei proprio da questo punto di vista. Non volevo disonorare nessuno e mi piacerebbe continuare ad allenarmi insieme a te,  Squalo"

"VOOOI, stai dicendo che hai intenzione di non allenarti più, moccioso?"

Yamamoto sorrise di nuovo, mesto. Un sorriso spento, stavolta.

"Beh..." mormorò, e la pausa durò più di quanto si sarebbe aspettato. Non continuò la frase. Non ce n'era bisogno dal suo punto di vista. Era evidente, come avrebbe dovuto abbandonare il baseball, avrebbe dovuto abbandonare purtroppo anche la spada.

Squalo lo guardò dritto negli occhi, seriamente. Con una serietà che Yamamoto, doveva ammetterlo, aveva visto raramente nello spadaccino dei Varia.

Quando lo lasciò, e tornò a sedersi sulla sedia della scrivania -continuando comunque a fissarlo-, Yamamoto sospirò.

Non sapeva decifrare il comportamento di Squalo.

Non sembrava solo arrabbiato.

Si ricordò solo in quel momento che anche Squalo, come lui adesso, aveva un piccolo handicap che non gli aveva mai impedito di diventare l'imperatore della spada.

Forse però la cosa era leggermente diversa. A Squalo mancava una mano, Yamamoto non avrebbe più potuto usare le gambe.

Eppure, per uno spadaccino era un handicap enorme.

Squalo però era riuscito ad arrivare in alto senza darsi per vinto, mai.

"Squalo" lo chiamò, alzando appena gli occhi su di lui. Lo spadaccino non aveva mai smesso di fissarlo e al suo richiamo si limitò ad un cenno del capo per fargli capire che aveva la sua attenzione.

Si morse appena il labbro, poi sorrise come se stesse chiedendo al padre una stupida curiosità di bambino.

"Quando hai perso la mano come ti sei comportato?"

Squalo a quella domanda, aspettata, chiuse gli occhi e si avvicinò al letto su cui sedeva Yamamoto quasi con minaccia.

"Come ho fatto? Come non stai facendo tu, Yamamoto Takeshi. Hai già deciso che non potrai più giocare a quello stupido sport né utilizzare la spada. Questo è arrendersi, Yamamoto. E io credevo di averti insegnato che anche davanti un avversario all'apparenza difficile, tu devi vincere. Vincere e basta!"

Takeshi abbozzò un sorriso, non molto convinto. Non lo aveva scelto lui ed era un po' difficile affrontare un avversario come quello, intangibile e irreparabile.

Come poteva fare a vincere?

"Credo di non aver capito" ridacchiò, e Squalo gli tirò un pugno tale da fargli sbattere la testa contro il muro.

"Tu non capisci mai un cazzo! Mi sono tagliato la mano perché volevo essere lo spadaccino migliore. Ho combattuto, ho vinto e ce l'ho fatta, che cazzo c'è di difficile?"

"E...io?"

Squalo sembrò calmarsi a quella domanda e, dopo aver ripreso la sedia, si sedette davanti al ragazzo.

"Tu devi fare la stessa cosa, moccioso. In fondo questa non dovrebbe essere un problema, no?" fece, indicando la carrozzella "Se lo si vuole si può fare tutto. Tu almeno con un po' di impegno potresti farcela, se mettessi da parte un po' di quel cazzo di buon sentimento che ti porti sempre appresso"

"Ma non c'entra questo, Squalo!"

"C'entra eccome, cretino!" ringhiò "E adesso stammi bene a sentire: non accetterò l'abbandono definitivo della spada dopo tutta la fatica che ho fatto con te, ragazzino. Quindi tira fuori le palle"

"Squalo..."

"VOOOI stai zitto! Che hai ancora da lamentarti?"

Non riusciva a capire se lo spadaccino lo stesse prendendo in giro o meno, sapeva che quello che diceva non aveva il minimo senso. Però gli faceva piacere sentirsi dire quelle cose.

Rise, divertito davvero. Lui non voleva arrendersi, anche se la situazione sembrava difficile.

Solo che gli serviva un piccolo aiuto.

Aiuto che forse Squalo avrebbe potuto dargli.

 

 

Angolino Autrice:

Ehm...buonasera *si guarda intorno circospetta*

Questa cosa ce l'ho in testa da un po', da quando precisamente quel maledetto medico ha detto che Yamamoto a causa della ferita di Kaoru aveva poche possibilità di riuscire a riprendersi. E io mi sono chiesta: e se fosse successo davvero? Che casino sarebbe successo?

E' stato un parto scrivere questa storia, che doveva essere una shot ma alla fine mi sa che dovrò dividerla in tre o quattro parti a causa della lunghezza.

In teoria, è un 8059. In pratica a ben poco di yaoi o shonen, ma Yamamoto e Gokudera sono i due protagonisti, poco ma sicuro.

Vorrei tanto dedicarla a Nena e Rolly che mi hanno aiutato nella stesura e mi hanno spinta ad andare avanti.

Grazie ragazze, senza di voi questa storia sarebbe rimasta nella mia testa malata <3

Detto questo, vi lascio, sperando che vi possa piacere almeno un poco.

Un bacione,

Vostra Asu

 

 

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Capitolo 2
*** Seconda parte ***


2.

 

 

 

Quella mattina, quando Gokudera aveva riaperto gli occhi, aveva sentito un fastidioso cerchio alla testa. Si era addormentato vestito sul letto senza nemmeno capire quando l'avesse fatto, il posacenere del comodino strapieno. La finestra della stanza era ancora chiusa e al suo interno permeava un nauseante odore di tabacco.

Hayato spalancò le persiane, per quanto quell'odore lo facesse stare il realtà bene, e prese a sistemarsi per la scuola.

Doveva sbrigarsi per non far tardi all'appuntamento col Decimo, e sperare di non incontrare quello stupido patito del baseball. Ma forse non era più giusto, ormai, chiamarlo così. In fondo, quell'idiota non avrebbe più giocato a baseball.

Al solo pensiero, la voglia di far colazione sparì completamente.

Era sbagliato.

Il giorno prima l'aveva chiamato così, di fronte a tutti, ed era tremendamente sbagliato.

Sbuffò, chiuse la persiana della finestra con un colpo secco, afferrò la cartella e uscì di casa. Il Decimo l'aspettava, non poteva perdere tempo.

Quando arrivò a casa Sawada e suonò il campanello, annunciando a Mama che cercava Tsuna, sperava veramente di aver superato il peggio.

Ma il peggio in verità non era ancora arrivato.

Nana era appena uscita per scusarsi del ritardi del figlio, che stava facendo in quel momento colazione e doveva ancora finire di prepararsi, quando lo vide all'orizzonte.

Gli sarebbe quasi piaciuto incontrare Shitt-P, piuttosto, e scappare da lei.

Grugnì, accendendosi al volo una sigaretta, quando incrociò il sorriso di Yamamoto e quello un po' storto di Kaoru dietro di lui. Sembrava diventato il suo servetto, il giovane Simon, a causa dei sensi di colpa. Lo andava a prendere e lo riaccompagnava a casa tutte le volte che Tsuna non poteva o che Yamamoto non sentiva il bisogno di farlo da solo.

Durante gli allenamenti, per esempio.

Yamamoto all'inizio aveva preso l'abitudine di rimanere a guardarli, aspettare che Kaoru si cambiasse e poi tornare con lui. Per far finta di fare ancora parte della squadra, per tifare per loro.

Ma alla fine aveva desistito. Era troppo doloroso.

Kaoru gli aveva persino detto che avrebbe abbandonato il club di baseball, ma lui non aveva voluto che per colpa sua l'amico rinunciasse alla sua passione. Così spesso tornava a casa da solo, spingendo la carrozzella con la sola forza delle braccia, e forse ci metteva molto tempo in più, ma almeno poteva far finta di essere ancora completamente autonomo come se niente fosse.

Quando arrivò davanti a Gokudera, Yamamoto lo saluto con un grande sorriso e una leggera gomitata al fianco "Yo Gokudera" fece, cercando di attirare la sua attenzione. Hayato, però, lo ignorò.

Yamamoto continuò a sorridere come niente fosse, come non l'avesse notato, come fosse normale, tutto normale.

Kaoru sospirò. Erano in anticipo rispetto alla scuola, proprio perché inconsciamente Gokudera non voleva vedere Yamamoto ed era uscito di casa prima degli orari che, sapeva, erano i soliti dell'altro. Peccato non sapesse che Kaoru aveva gli allenamenti mattutini ed era passato in prima dal moro.

"Tsuna?"

"Il Decimo non è ancora pronto" la risposta fu lapidaria, scontata. Yamamoto sospirò.

"Takeshi..." lo richiamò amareggiato il giovane Simon e Yamamoto si voltò sorridendo "Vai pure Kaoru, ci vediamo a scuola!" gli disse, salutandolo.

Mizuno annuì e, non del tutto convinto, s'allontanò lasciando l'amico con l'autoproclamato braccio destro di Vongola Decimo.

Per tutto il tempo, nessuno dei due parlò. Gokudera si impose di non guardarlo nemmeno, per quanto gli smeraldi ogni tanto si ritrovavano a vagare in sua direzione. Tsuna ci avrebbe messo ancora molto, ed erano in anticipo di almeno quaranta minuti per la scuola. Hayato non poté che sperare che Nana uscisse in giardino per invitarli ad entrare e a fare colazione tutti insieme, invece di aspettare lì fuori.

Almeno avrebbe avuto un motivo per non guardare l'altro.

Yamamoto, dal canto suo, si ritrovò a sospirare, senza troppo nasconderlo questa volta. Poggiò la schiena sulla carrozzella e guardò di sbieco l'amico.

"Neh, Gokudera, come mai così presto stamattina?" cercò di rompere il ghiaccio, il silenzio, la tensione che c'era fra loro. Non la sopportava, era più forte di lui. Non la sopportava, sperava che Gokudera gli rivolgesse ancora la parola, anche solo per aggredirlo, come il giorno prima.
Qualsiasi cosa.

"E' presto no? Tsuna si sarà appena svegliato!" non era strano accorgersi che l'altro non gli avrebbe risposto. Ma Yamamoto avrebbe continuato a parlare, anche solo per non far tornare quel dannato silenzio fra loro, anche a costo di parlare da solo.

"Kaoru aveva gli allenamenti mattutini oggi, così è passato prima da me. Non mi aspettavo di trovare qui anche te sinceramente" rise, ignorando la situazione opprimente. O almeno, lui si sentiva come oppresso.

Si morse il labbro, non sapendo più come continuare. Insomma, parlare solo e fare al contempo un discorso per far finta che qualcuno ti stia ascoltando non era molto semplice. E lui non aveva idee, quella mattina.

Non aveva più idee e basta, con Hayato.

Per sua -loro- fortuna, Nana aprì nuovamente la porta, accogliendoli con un caloroso sorriso.

Neanche Gokudera poteva più farcela, ad ascoltare l'altro. Se non fosse stato per lei, probabilmente gli sarebbe andato di nuovo contro.

"Oh, Yamamoto-kun, vedo che ci sei anche tu. Ragazzi, volete entrare e far colazione con noi? Tsu-kun ci metterà ancora un po', per prepararsi" li invitò, poi si rivolse a Takeshi e accentuò il sorriso come una madre che deve consolare il figlioletto che si è sbucciato il ginocchio "Vuoi una mano, Yamamoto-kun?" gli chiese, gentile.

Takeshi alzò il capo e sorrise "No grazie signora, faccio da me!" le rispose, sapendo che se la madre di Tsuna glielo chiedeva ogni mattina era solo per educazione, ma che non avrebbe insistito. Forse perché lo comprendeva meglio di quanto credesse.

"Beh, allora che aspettate ad entrare?"

Yamamoto non se lo fece ripetere due volte e Gokudera lo seguì subito dopo, riluttante -ma non certo dell'invito a casa del Decimo, s'intende.

Bianchi osservò il fratello minore dalla finestra e non poté che considerarlo incredibilmente stupido, nel suo ostinato comportamento.

 

Entrare e sedersi al tavolo con Tsuna e i bambini era stato un toccasana per entrambi. Yamamoto poteva parlare e scherzare con Tsuna come faceva di solito e Gokudera poteva concentrarsi sul suo Decimo senza doversi più sforzare di non ascoltarlo e non guardarlo.

A volte Takeshi si rivolgeva ancora a lui, e quando la risposta arrivava da Tsuna piuttosto che dall'italiano sapeva ben nascondere l'amarezza.

Bianchi fece il suo ingresso in cucina venti minuti dopo l'arrivo dei ragazzi, nel momento esatto in cui Tsuna era salito nella sua stanza per cambiarsi la divisa che Lambo gli aveva sporcato versandogli addosso del latte.

Non appena la vide, come prevedibile, Gokudera fu pervaso dai crampi, svenendo sul colpo e cadendo dalla sedia.

Bianchi lo guardò dall'alto al basso, con un sorrisetto poco rassicurante sul viso "Sei davvero un bambino, Hayato" mormorò.

Senza dire niente, afferrò la carrozzella di Yamamoto e la spinse verso la porta.

"Ah, Bianchi, dove stiamo andando? Gokudera sta male"

"Stai tranquillo, penserò io a mio fratello"

Yamamoto ridacchiò "Non sono sicuro sia una cosa saggia"

"Hai qualcosa da ridire, Yamamoto Takeshi?"

"Uh...ehm, no, affatto" mormorò, ridendo. Aperto la porta si ritrovò davanti Tsuna che guardava stupito Bianchi, immaginando già da subito quello che era successo.

Sospirò "Bianchi-san, gli occhiali!" le disse, chiedendosi perché fosse lui a doverlo ricordare sempre quando era interesse di Bianchi non far svenire il fratello ogni volta che la vedeva.

In effetti, quella volta, forse Bianchi aveva fatto un favore all'altro. Tsuna aveva notato da subito la situazione tesa ma aveva anche pensato che lasciandoli da soli forse sarebbe potuto succedere qualcosa, per questo si era portato dietro anche Lambo e I-pin. Ma forse non era stata una buona idea, conoscendo l'amico italiano, e forse l'arrivo di Bianchi era stato invece provvidenziale. Non avrebbe mai voluto che Gokudera, per qualche strana ragione, se la prendesse di nuovo con Takeshi com'era successo il giorno prima.

Lui avrebbe voluto che tutto tornasse come settimane prima, quando Gokudera e Yamamoto litigavano in continuazione perché secondo il primo invece di pensare al baseball avrebbero dovuto scortarlo a casa.

Ed era difficile accettare che per colpa sua non era più possibile.

Era difficile accettare che Hayato lo chiamasse ancora Decimo, perché lui non voleva essere più il boss di niente. Lui non voleva più avere a che fare con la mafia. Mai più.

Non dopo che questa storia assurda aveva fatto così tanto del male ad un suo prezioso amico.

Meno difficile, persino, era stato convincere Reborn che, stranamente, aveva capito la sofferenza del suo imbranato allievo. Tsuna era convinto che presto sarebbe tornato all'attacco, quando la sofferenza di quella situazione si sarebbe un po' affievolita, ma per il momento andava bene.

E poi come avrebbero potuto andare avanti senza più un Guardiano della Pioggia?

Reborn si sarebbe dovuto rassegnare, lui non sarebbe mai diventato un Boss della Mafia.

L'Arcobaleno si sedette sulla spalla di Yamamoto e si rivolse a Tsuna "Sbrigati ad andare a scuola, Dame-Tsuna, altrimenti farete tardi" lo sgridò, e l'altro lo guardò un po' scettico.

"Ma...Gokudera-kun..."

"Penserò io a mio fratello" ripeté Bianchi, e all'ennesimo richiamo -non esattamente gentile- di Reborn, Tsuna si decise ad ascoltarli.

"Mi raccomando, Bianchi-san..."

La ragazza annuì, sparendo di nuovo in cucina, dove Gokudera giaceva ancora svenuto. Yamamoto rise, sperando che l'amico potesse sopravvivere alla vista della sorella che si prendeva cura di lui con qualche strana poltiglia. Si appuntò di portargli qualcosa di buono dal ristorante del padre, il giorno dopo, in caso Bianchi avesse combinato qualcosa di strano.

Si lasciò spingere dall'amico fino alla scuola, chiedendosi se Bianchi l'avesse fatto o meno apposta a comparire nel momento esatto in cui Tsuna li aveva lasciati da soli, come se non aspettasse altro.

 

Quando riaprì gli occhi non seppe dire esattamente quanto tempo era passato. Però non ebbe nemmeno il tempo di pensarci, perché quando riconobbe la stanza e il letto del suo Decimo si tirò su di scatto.

Che ci faceva nella stanza del Decimo? E dov'era il Decimo? E che ora era?

Si alzò e si diresse al piano sottostante. Tsuna doveva essere a scuola, e lui invece era stato svenuto gran parte del tempo dopo aver visto la sorella, lasciandolo solo. Era un comportamento inammissibile.

Sgattaiolò piano verso la porta d'uscita, sperando di non incontrare Bianchi, ma i suoi perfetti piani furono rovinati dall'arrivo di Lambo.

"Gyahah! Dove stai andando, Stupidera?"

Gokudera si irrigidì all'istante, voltandosi verso il bambino e scoccandogli un'occhiata glaciale "Zitta stupida mucca! Taci!"

I-pin comparve in quel momento, probabilmente perché stava seguendo -inseguendo?- Lambo, iniziando ad urlargli contro, naturalmente ricambiata. Gokudera ebbe la tentazione di far saltare in aria entrambi, nonostante normalmente sopportasse I-pin perché più calma.

"Smettetela di fare tutto questo chiasso, maledizione!" voleva scappare da Bianchi senza farsi vedere, ma con tutta quella confusione sicuramente la sorella se ne doveva essere già accorta. Fu in quel momento che Lambo gli saltò sulla testa in un tentativo di fuga, subito seguito dalla bambina che gli fece perdere definitivamente l'equilibrio.

Gokudera si ritrovò gambe all'aria e Lambo gli si avvicinò subito.

"Perché Yamamoto non vuole più giocare allo schiavo con Lambo-san?"

L'italiano si alzò di scatto "Cosa vuoi che ne sappia, stupida mucca?"

"Lambo-san gioca sempre con Large ed è contento, ma Lambo-san non capisce perché Yamamoto se ne sta sempre seduto. E' diventato noioso!"

Hayato, per un solo attimo, s'incupì. Quello stupido bambino non sapeva niente.

"Tu che ne vuoi sapere stupida mucca? Non capisci niente!"

Lambo scrollò le spalle, pulendosi il naso "Lambo-san sa solo che se ne sta sempre seduto. E stare sempre seduto è noioso. Non si stanca?"

"Certo che è si stanca, idiota!"

"E allora perché non si alza? Lambo-san vuole giocare anche con Yamamoto!"

Gokudera a quel punto perse la pazienza, lo afferrò tirandolo su di peso e se lo avvicinò al viso. I-pin gli afferrò i pantaloni dicendogli qualcosa che non comprese.

"Non si alza perché non può! Non ti azzardare mai e poi mai a fare queste domande all'invas-a Yamamoto, stupida mucca, o ti faccio saltare in aria, mi sono spiegato?"

"L-Lambo-san non...non ha paura" borbottò il bambino, con le lacrime agli occhi, invece sinceramente spaventato.

"Stupida mucca guai a te!" urlò ancora, gettandolo a terra e facendo per avviarsi, nervoso. Nervoso perché non aveva senso essersi arrabbiato così tanto all'idea che Lambo potesse porgere quelle domande a Yamamoto, perché in teoria non gli doveva interessare. Aveva agito d'istinto e adesso, mentre cercava di ignorare il piccolo Bovino che dietro di lui cercava di imporsi la calma, sembrava proprio stesse fuggendo.

In realtà voleva andare dal Decimo, tutti lì.

"Dove stai andando, Hayato?"

Ghiacciò a quella voce, girandosi verso di lei -fortunatamente provvista di occhiali- "A-aneki?" e deglutì. Perché diamine Bianchi lo perseguitava così, quel giorno?

 

Gokudera si ritrovò chiuso nella stanza di Tsuna senza possibilità di uscire prigioniero della sorella -che, per fortuna, si era ricordata gli occhiali.

Incrociò le braccia e si accese una sigaretta -dopo aver aperto la finestra, naturalmente. Non fiatò, ma scoccò alla ragazza un'occhiata assassina di tale intensità che chiunque avrebbe pensato di poter svenire anche solo con essa.

Bianchi sedeva sulla scrivania, le gambe accavallate, gli occhi fissi in quelli verdi del fratello minore.

D'accordo con Reborn, avevano deciso che la situazione fra i guardiani Vongola andava sciolta. Tsuna era disperato per i suoi due amici e non riusciva a concentrarsi sugli allenamenti e nello studio e Bianchi era preoccupata per il fratello più di quanto voleva dare a vedere. Inoltre, se le cose fossero continuate così, visto la situazione attuale, c'era il rischio che la famiglia si sciogliesse, come aveva espresso il desiderio Tsuna, in fin dei conti, o che Yamamoto decidesse di 'smettere di giocare alla mafia'. E questo non andava decisamente bene.

Senza contare che Bianchi non poteva accettare che il fratello si rovinasse la vita con le sue stesse mani, per chissà quale assurdo motivo. Era pur sempre il suo fratellino, in fondo.

"Ti stai comportando come un bambino, Hayato" gli disse all'improvviso, il tono fermo e piatto. Pareva non gli interessasse di nulla, in realtà.

Gokudera sbuffò un'enorme quantità di fumo e grugnì "Sono io che mi sto comportando come un bambino adesso? Sei tu che mi hai chiuso qui impedendomi di accompagnare il Decimo a scuola!"

"Sei tu che mi hai costretto a reagire in questo modo, Hayato. Ti stai comportando come uno stupido, con Yamamoto Takeshi" dritta al punto, Bianchi, senza troppi, inutili giri di parole. Non serviva a niente, dopotutto. Hayato non avrebbe capito cosa stava cercando di dirgli se si fosse messa a fare discorsi contorti e vaghi.

Suo fratello era intelligente, ma sapeva essere abbastanza ottuso quando era lui a non voler capire. Ed era certa che, in questo momento, lui non volesse capire.

Così era costretta a spiattellargli la verità in faccia, se voleva che afferrasse il punto della situazione e non lo aggirasse.

E da come Gokudera si era irrigidito, nel sentire il nome dell'altro, il suo piano stava riuscendo alla grande.

"C..." aspirò un'altra boccata di fumo, cercando di calmarsi "Cosa diamine centra quell'invasato adesso, sorella?"

Bianchi sorrise, accarezzando il piatto di Poison Cooking che teneva nascosto dietro la schiena in caso l'altro avesse tentato la fuga, nonostante gli sarebbe bastato togliersi gli occhiali.

"Ti stai allontanando volontariamente da lui" spiegò.

Gokudera strinse i denti e serrò i pugni "Q-questo non devono essere tuoi problemi!" urlò, stizzito. No, decisamente Bianchi stava affrontando un argomento che lui non voleva nemmeno sentir nominare, senza contare che aveva colto subito il punto della questione, e non andava bene.

"Lo sono perché sono tua sorella. Non puoi comportarti così, Hayato" Bianchi era apparentemente tranquilla e questo non fece che innervosire ancora di più Gokudera.

Era...era una cosa che non sopportava. Doveva uscire da quella stanza. Sarebbe andato dalla madre di Tsuna, le avrebbe chiesto scusa per il disturbo e sarebbe andato via prima del ritorno del Decimo.

Quindi, anche subito se possibile.

Si alzò di scattò e afferrò il pomello della porta, ma fu costretto a gettarsi all'indietro quando vide uno dei tortini viola e fumanti della sorella contro la porta, che iniziò pian piano a sciogliersi.

Deglutì, voltandosi iroso verso la ragazza "V-volevi uccidermi, maledetta?!"

Bianchi scosse la testa, nient'affatto divertita. Non all'apparenza. Ci teneva che Hayato capisse. Yamamoto Takeshi aveva bisogno d'aiuto e lui aveva bisogno di darglielo.

"No. Sto solo cercando di non farti scappare come al solito, Hayato"

"Io non scappo"
"Lo fai in continuazione, invece" gli fece notare "Lo hai fatto anche con la me stessa del futuro, fin quando non ti ho spiegato come stavano le cose tra nostro padre e tua madre. Quando qualcosa non ti va a genio, tu scappi, Hayato"

Gokudera strinse i denti, ma non poté ribattere. Sapeva che la sorella non aveva tutti i tordi e rispondendo avrebbe fatto la figura del fesso. Come poteva nascondere la verità anche a se stesso? Scappava da tutta la vita, praticamente, da quando da bambino aveva sentito quella cameriera raccontare una storia che dopo dieci anni si era scoperta falsa.

"Che cosa diavolo vuoi? Oggi è la giornata della sorella premurosa?"

Bianchi scosse il capo "Voglio solo che tu apra gli occhi"

"Ma di che cosa cazzo stai parlando?"

La ragazza sospirò, cercando un modo per non essere troppo crudele "Dici sempre di voler essere il braccio destro di Vongola Decimo, ma non ti stai comportando come tale. Il tuo comportamento sta contribuendo alla distruzione della famiglia"

Gokudera spalancò gli occhi. Quando mai? Lui non aveva fatto niente di diverso dal comportarsi come faceva di solito.

"La situazione di Yamamoto sta allontanando tutti. Tsuna non vuole più essere il Boss, Takeshi Yamamoto probabilmente non potrà più essere un guardiano. La famiglia si sta sgretolando e tu non lo comprendi perché sei troppo impegnato ad ignorare o insultare Yamamoto, non è vero Hayato? E' questo il comportamento di un buon Braccio Destro?"  fece una pausa, intenta ad osservare la reazione del ragazzo. Ma quello se ne stava immobile, gli occhi spalancati a fissarla come se fosse un U.M.A non identificato, così continuò "Giusto ieri Sawada ha detto a Reborn che non voleva più avere niente a che fare con Mafia e Vongola, ed era così convinto di quello che diceva che nemmeno il mio adorato ha trovato niente da ribattere. Dopotutto, con Yamamoto Takeshi in queste condizioni, e quindi con un guardiano in meno, la Famiglia Vongola è incompleta"

A quel punto si bloccò, e aspettò che fosse il ragazzo a fare o dire qualcosa. Si aspettava una reazione delle sue. Uno scatto d'ira, urla, improperi e tentativi di fuga. Tentativi che non avrebbe bloccato questa volta, perché tanto quello che aveva da dire l'aveva detto.

Gokudera infatti si era lasciato cadere sul letto, la sigaretta che aveva fra le labbra e che era ormai completamente consumata era finita a terra miseramente. Avrebbe pulito dopo e avrebbe chiesto scusa al Decimo per aver rovinato il pavimento.

Per il momento, non riusciva a fare altro che pensare alle parole di Bianchi.

La verità era che aveva ragione e lui lo sapeva. Sapeva di aver commesso lo stesso errore di cui l'aveva accusato Yamamoto nel futuro. Di avere un pessimo carattere e di non riuscire a comportarsi come un buon braccio destro dovrebbe fare. Di nuovo, però, non ci aveva fatto caso.

Perché agiva per se stesso senza pensare al Decimo e alla Famiglia Vongola, e questo era imperdonabile. Più che pensare di quanto fosse stranamente doloroso per lui il comportamento di Yamamoto e fare in modo di ignorarlo e far finta che non esistesse -o, se proprio doveva, far finta che fosse il problema a non esistere-, doveva trovare un modo di non far gravare quella situazione a tutti loro.

Ma...non era sicuro di esserne capace.

Non ne era sicuramente capace.

Come braccio destro era un completo fallimento, ma nonostante questo lui..."Non...sono sicuro di aver capito quello che stai dicendo" mormorò, e questa volta non c'era ostilità nella sua voce. Tutt'altro. Gli occhi erano fissi sul pavimenti, il labbro torturato tra i denti.

Bianchi si ritrovò a sorridere appena "Sto dicendo, Hayato, che devi smetterla con questo comportamento ottuso. Non puoi ignorare il problema, perché quello continuerà ad esistere"

Gokudera si morse l'interno guancia e borbottò qualcosa fra sé e sé, scattando in piedi "E io che diamine ci posso fare?"

"Affrontare la situazione, invece di scappare"

"Io..." si zittì. Non capiva l'utilità di quelle parole. Anche se lui si fosse comportato in maniera diversa, che cosa sarebbe cambiato? Yamamoto non avrebbe ripreso miracolosamente a camminare. La situazione non si sarebbe improvvisamente sbloccata.

"Non sto dicendo che questo risolverebbe tutto" mormorò Bianchi, come se gli avesse letto nel pensiero, avvicinandosi "Far finta di non vedere non farà comunque cambiare nulla. Yamamoto Takeshi non tornerà a camminare, ma forse potrà tranquillizzarsi e accettare le cose come stanno. E forse se Sawada vi vedesse nel vostro solito comportamento, senza maschere e finzioni, la famiglia potrà salvarsi"

Gokudera grugnì "Come se quell'idiota non avesse accettato tutto anche con troppa facilità"

"Non dire stupidaggini" lo redarguì la ragazza "Non hai visto la luce dei suoi occhi? Yamamoto Takeshi non è più lo stesso di prima"

Hayato alzò un sopracciglio, scettico. No, lui non aveva notato niente. E non perché non conoscesse l'altro, ormai si capivano meglio con gesti e parole nascoste che altro. Solo che...beh, guardava quei sorrisi e non si soffermava più sugli occhi del Guardiano della Pioggia. Forse perché quei sorrisi gli mettevano addosso una rabbia non normale ed aveva paura di guardarli per questo. Se ne avesse letto sofferenza, non avrebbe più saputo come comportarsi. Ma se avesse letto serenità anche lì, non avrebbe più saputo controllarsi.

"La luce...?"

"Guardalo e te ne accorgerai anche tu. Vedrai che non è colpa della situazione in sé per sé se le cose stanno precipitando. E' anche colpa di Yamamoto"

"Non-"

"OI! Ma che sta succedendo qui? Chi ha distrutto la mia porta? Bianchi-san!"  

Bianchi non gli rivolse nemmeno uno sguardo, che teneva invece fisso sul fratello, quasi pretendesse la risposta che Tsuna aveva interrotto.

Tsuna, però, che non aveva capito nulla di quello che stava succedendo, entrò in stanza e si rivolse all'italiano "Gokudera-kun, ti sei ripreso, come ti senti?"

"D-decimo..." sussurrò in risposta, gli occhi, stranamente velati e lucidi, vagavano per la stanza, senza guardarlo "Tutto bene, Decimo"

"Sono contento" gli sorrise "Senti...ti fermi da me già che ci sei? Yamamoto è di sotto e pensavamo di studiare insieme per il compito di matematica di doman-"

"Mi dispiace, Decimo" esclamò senza nemmeno lasciarlo concludere, facendogli un perfetto inchino di scuse "Mi dispiace, ma non mi sento affatto bene e penso che me ne tornerò a casa"

In verità non voleva vedere Yamamoto dopo il discorso di Bianchi. Al solo sentire il suo nome, ogni fibra del suo corpo si era irrigidita.

"A-ah...d'accordo"

"Mi perdoni, Decimo" e, prima di dire altro, era già corso giù per le scale, verso la porta d'uscita, sapendo che la sorella stavolta non l'avrebbe fermato. E quando passò accanto a Yamamoto, che aveva allungato inutilmente una mano per fermarlo, sentì il cuore farsi più pensante, ma non rallentò la corsa. Era stato troppo facile schivare la sua presa, e anche quando il ragazzo si era allungato per afferrarlo, non era arrivato che a sfiorare la sua maglia.

Tsuna era sceso al piano di sotto e aveva fissato l'amico con una nota di tristezza negli occhi.

"Mi dispiace, Yamamoto. Eravamo anche passati da tuo padre per prendere qualcosa da mangiare tutti insieme"

Takeshi sospirò. Poi, dopo un respiro profondo, riuscì a ridere come suo solito "Sarà per la prossima volta, Tsuna. Questo ce lo mangiamo noi, neh?"

Bianchi, in cima alle scale, sospirò, sperando che il suo ottuso fratello avesse capito.

 

 

Angolini Autrice:

Erieccomi ^O^

Dunque, ci sono da spiegare cose? No, non credo. A me Bianchi non piace particolarmente come personaggio, ma mi piace quando si preoccupa per Hayato, e lo fa spesso, anche se a modo suo. Certo non sarà una sorella esemplare, ma è una brava sorellona se si ignorano varie piccolezze. Inoltre, beh, mi serviva qualcuno che desse uno scossone ad Hayato, e Tsuna non era ancora adatto. E' ancora troppo impegnato a piangersi addosso per quello che è successo a Yamamoto, non sarebbe a prescindere capace di fare un discorso abbastanza forse da scuotere Gokudera, anche se Gokudera fa a prescindere quello che gli dice il Decimo x°D

Comunque sia, questo capitolo era dedicato a Gokudera e  spero che vi possa piacere ^^ Giostrare Bianchi è stata un'impresa e non sono certa di quando sono riuscita a fare, ma sono abbastanza contenta dei dialoghi fra i due. Spero che non siano eccessivamente OOC, ecco o.ò

Un bacione, e spero di avere vostri commenti/critiche e quant'altro.

Asu <3

 

 

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Capitolo 3
*** Terza parte ***


3.

 

 

 

Ma in realtà pareva che la situazione fosse solo che peggiorata.

Né Tsuna né Yamamoto sapevano del discorso fatto da Bianchi al fratello, che aveva ben deciso di tenere per sé la cosa. Avevano però entrambi notato che il comportamento di Gokudera si era fatto, se possibile, ancora più freddo.

Più freddo persino con Tsuna.

Non veniva più a prenderlo a casa prima di andare a scuola come faceva tutte le mattine. Quando arrivava in classe, lo avvicinava per scusarsi e poi spariva a metà lezione, senza farsi vedere se non a fine giornata, dove nuovamente chiedeva perdono per la sua poca presenza e il suo comportamento, per poi sparire verso casa sua.

Tsuna iniziava seriamente a credere che fosse successo qualcosa fra Yamamoto e Gokudera quando li aveva lasciati soli nella sua cucina, prima dell'arrivo di Bianchi.

Altrimenti non riusciva a spiegare la situazione.

Gokudera si comportava stranamente anche con lui, ma quell'unica volta in cui Yamamoto era stato assente per l'abituale visita medica, era tornato lo stesso Gokudera di sempre. Aveva assistito svogliatamente a tutte le lezioni, avevano pranzato sul tetto e l'aveva poi riaccompagnato a casa.

Tsuna si sentiva sempre più confuso dal comportamento dell'amico, e neanche Yamamoto lo aiutava. Se l'altro lo ignorava, il Guardiano della Pioggia faceva di tutto per far finta di niente, salutandolo e sorridendogli come se niente fosse.

Tsuna lo intuiva, che c'era qualcosa che non andava da parte di tutti e due, ma come poteva aiutare gli amici?

Ne aveva provato a parlare con Reborn, una sera, ma non aveva ottenuto nulla in merito.

"Sei il Decimo Boss dei Vongola. Trova una soluzione, DameTsuna" gli aveva detto Reborn, tranquillamente.

Tsuna si era inalberato più del solito "Smettila Reborn! Io non sono il Boss di niente, e non voglio esserlo. Non voglio che i miei amici soffrino ancora...quello che è successo a Yamamoto è...è già troppo..."

"E' compito tuo tenere unita la famiglia" gli aveva semplicemente detto Reborn, ignorandolo.

"Loro non sono la mia famiglia! Sono miei amici! E non voglio che questa storia vada avanti, Reborn!"

Reborn, per tutta risposta, gli era saltato sul capo, facendolo cadere sul letto e sedendosi poi comodamente sulla sua brandina "Comunque sei l'unico che può sbloccare la situazione. Stiamo parlando di Gokudera, no?"

Tsuna a quel punto aveva creduto di capire. Gokudera, dopotutto, l'aveva sempre ascoltato in modo particolare e aveva sempre fatto quello che gli chiedeva in quanto Boss e suo braccio destro. Forse, se gli avesse chiesto di parlare con Yamamoto, quei due sarebbero riusciti a chiarirsi.

Lo sperava davvero, perché non ce la faceva a vedere i suoi migliori amici in quella condizione. Gokudera si stava autodistruggendo e stava allo stesso tempo distruggendo anche Yamamoto.

La mattina dopo il discorso fatto con Reborn uscì di casa speranzoso di riuscire a parlare con il suo proclamato Braccio Destro, sperando almeno di riuscire a farlo ragionare un po'. Sapeva però che fosse una cosa relativamente impossibile, trattandosi di Gokudera.

Quando arrivò a scuola, trovò l'italiano seduto al suo banco come al solito, mentre a quanto pareva Yamamoto non era ancora arrivato. Ne approfittò immediatamente, avvicinandosi all'amico con un sorriso incerto sul volto.

"Decimo!" lo accolse, inchinandosi in sua direzione "Benarrivato!"

"Grazie, Gokudera-kun...uh, possiamo parlare un attimo?" gli chiese quindi, un po' titubante nei toni, ma deciso nei modi. Non avrebbe accettato una scusa come al solito.

Hayato, per un attimo, lo guardò sorpreso, quasi preoccupato di quello che poteva volergli dire. Sapeva di starsi comportando in modo strano.
Troppo strano.

Per questo cercava di evitare assolutamente tutto e tutti il più possibile.

Le parole di Bianchi l'avevano confuso al punto tale da non sapere più come comportarsi. Persino lui si rendeva conto di star esagerando nei confronti di Yamamoto. Per non parlare del fatto che stava mancando di rispetto anche al Decimo.

Ma non ce la faceva.
Era più forte di lui.

Quando guardava Yamamoto gli rivenivano inevitabilmente in mente le parole di Bianchi e l'unica cosa che otteneva era una morsa allo stomaco.

Non sapeva come comportarsi, per questo aveva deciso di evitare semplicemente di farlo. E se questo significava allontanarsi anche da Tsuna, beh, si sarebbe fatto perdonare in seguito.

"C-certo, Decimo"

Tsuna gli sorrise, in un certo senso rassicurante. Sicurezza che però non raggiunse Gokudera, che fino all'ultimo sperò in un'occasione di fuga.

Occasione che, per sua fortuna, venne pochi minuti dopo, senza dare al ragazzino il tempo di parlare.

Kaoru entrò trafelato in aula e si avvicinò ai ragazzi. Quando lo vide arrivare, Hayato lasciò quasi immediatamente la classe.

Non poteva più stare nella stessa stanza di un Simon senza litigare, ormai era assodato, per questo Tsuna non tentò nemmeno di fermarlo. Non voleva un'altra rissa in cui Kaoru si sarebbe fatto picchiare per espiare colpe che non aveva.

Però, quando Gokudera gli passò acconto per scusarsi, Tsuna ne approfittò immediatamente, sussurrandogli un 'ti prego, parla con Yamamoto' che era certo Gokudera avesse captato benissimo.

Poi si voltò verso Kaoru e gli sorrise "E' successo qualcosa, Kaoru-kun?"

L'altro scosse il capo "No. Cercavo Yamamoto"

"Oggi non è ancora arrivato, mi spiace"

Kaoru annuì, come a dire che aveva capito, guardandosi intorno quasi nervosamente. Poi posò gli occhi su Tsuna, che quasi si sentì trapassato da quello sguardo.

"Sono preoccupato"

"P-perché?" gli chiese di rimando, improvvisamente non più sicuro di cosa dire "E' solo un po' in ritardo, forse perché sta venendo da solo. In realtà, pensavo che lo accompagnassi tu"

Kaoru si morse il labbro, stranamente nervoso "Volevo, ma ieri mi ha detto che non ce n'era bisogno"

"Vorrà fare da solo" azzardò Tsuna. Dopotutto, sapevano che di tanto in tanto Yamamoto aveva bisogno di star solo.

Il giovane Simon scosse il capo e sospirò "Sono preoccupato perché ieri, dopo la scuola, durante gli allentamenti, ho intravisto Squalo dei Varia nel cortile, e due minuti dopo Yamamoto non c'era più"

"S-Squalo?" si chiese perché Squalo fosse venuto a prendere il suo amico a scuola, pregando che non avesse avuto intenzione di punirlo per essere stato ridotto in quello stato. Per lo meno, sperando che non l'avrebbe ucciso.

Dalla faccia grava di Kaoru, nonostante non conoscesse Squalo di persona, sembrava avere la stessa paura. Tsuna sapeva che Squalo e Yamamoto si allenavano insieme ma, in quello stato, cosa poteva mai volere lo spadaccino del Varia dal suo Guardiano?

Non aveva una buona sensazione, in quel momento.

Sperò vivamente andasse tutto bene, per l'amico.

E sperò ancor di più che questo potesse sbloccare l'italiano, quando lo vide allontanarsi dalla porta dell'aula, a cui era rimasto appoggiato per origliare il discorso, sicuro si sarebbe parlato proprio di Yamamoto.

Forse Gokudera era preoccupato dell'assenza di Takeshi.

 

Alla fine della giornata scolastica -che Gokudera aveva passato come sempre con Tsuna- dopo averlo riaccompagnato a casa, si diresse verso il suo appartamento.

Per qualche strana ragione, però, i suoi piedi l'avevano portato da soli nell'ultimo posto in cui sarebbe voluto andare.

Quando si ritrovò davanti al Take Sushi non poté che maledirsi mentalmente, chiedendosi perché lui stesso non fosse più in grado di capirsi, ormai.

Che ci faceva lì? Non aveva senso.

Lui non era preoccupato per Yamamoto.

Probabilmente, aveva solo voglia di Sushi. Doveva essere così.

Però non entrò per ordinare qualcosa da mangiare. La verità era che non aveva fame, ma forse erano i suoi piedi a non essere d'accordo, o non si spiegava la sua presenza lì.

Si chiese solo, vagamente, se Yamamoto fosse in casa. Quel giorno non era venuto a scuola e lui aveva potuto comportarsi normalmente con Tsuna, ma non riusciva a togliersi dalla mente il discorso che il ragazzo aveva fatto quella mattina con Kaoru.

Che cosa diamine potrebbe aver voluto Squalo da Yamamoto in un momento come quello?

Alzò lo sguardo verso quella che sapeva essere la finestra della camera di Takeshi e si chiese ancora una volta come stesse, mentre il pugno si stringeva tanto da rendere bianche le nocche e gli occhi scintillavano di una luce confusa.

Se non riusciva a capire se stesso, come poteva capire come comportarsi con gli altri?

Sospirò, calciando un sasso nel mezzo del suo cammino e avviandosi di nuovo verso casa.

Tsuna, che era appena arrivato sotto casa dell'amico dopo essersi cambiato, fu seriamente tentato di chiamarlo. Dirgli che doveva parlare con Yamamoto, per tutti e tre. Ma quando vide il suo viso e lo sentì sospirare si rese conto che il solo fatto che l'italiano fosse lì era già un passo avanti.

E forse avrebbe potuto parlargli il giorno dopo, e non forzare troppo la mano.

Doveva andarci con i piedi di piombo, era pur sempre di Gokudera che si parlava.

Entrò nel ristorante e chiese a Tsuyoshi se il figlio era in casa. Se doveva essere sincero, temeva veramente che Yamamoto non fosse tornato vivo stavolta dall'allenamento con Squalo, anche se non era certo che potesse essere considerato tale.

Quando entrò nella camera di Yamamoto, trovò l'amico seduto sul letto con il joystick in mano, e l'unica cosa che poté fare fu sospirare di sollievo.

"Yo, Tsuna! Che ci fai qui?"

"Cosa ci faccio io? Come mai non sei venuto a scuola, oggi, Yamamoto?"

Yamamoto rise "Ah, per quello! Ieri sera sono tornato davvero tardi e stamattina ero troppo stanco per pensare di alzarmi!"

Tsuna annuì.  Takeshi non sembrava messo troppo male. Non peggio di come rientrava di solito dopo aver passato un pomeriggio con Squalo, almeno.

"Sei stato con Squalo?"

"Oh, sì! Sai, si è convinto che dobbiamo continuare ad allenarci e così ieri è venuto a prendermi!"

Yamamoto sembrava entusiasta. Così tanto che Tsuna non ebbe assolutamente cuore di dire niente di quello che gli passava per la testa. Si tenne per sé dubbi e perplessità e lasciò parlare Yamamoto, che per la prima volta dopo tanto sorrideva anche con gli occhi. Forse...forse non era poi tanto male quello che stava facendo Squalo.

Ogni suo pensieri positivo venne però bloccato dalla successiva frase di Yamamoto.

"Tsuna, rilassati. Non è colpa tua, non è colpa di nessuno. Va tutto bene amico quindi rilassati"

Tsuna ghiacciò. Da quando Yamamoto era uscito dall'ospedale, lui aveva provato in tutti i modi a comportarsi come al solito, ma a giudicare da quelle parole non ci era riuscito. E come poteva in fondo? Come si potevano nascondere i sensi di colpa dietro ogni sorriso e la sofferenza ogni volta che abbassava lo sguardo su di lui? Lui non era bravo a mentire, non lo era mai stato.

"Y-Yamamoto..."

"Io capisco come vi sentite tu, Kaoru e gli altri. Davvero. Però non voglio che voi vi sentiate in colpa e mi stiate vicino per questo. Non è colpa vostra, no?"

Sembrava una di quelle rare volte in cui Yamamoto non aveva intenzione di scherzare. Tsuna rimase in silenzio, perché non avrebbe davvero saputo come ribattere. Cosa c'era da dire? Yamamoto aveva centrato il punto.

"A volte ho la sensazione che già Gokudera non mi sopporti più, peggio del solito intendo"

Tsuna sospirò ancora. Ecco, si era arrivati al punto principale per cui era arrivato.

"Non è così Yamamoto! Io...io penso che Gokudera-kun sia solo molto spaventato da questa situazione, che non sappia come comportarsi. Anche io...anche io ho un po' di paura, e mi dispiace"

"Paura, Tsuna?"

Annuì "Perché per te tutto questo deve essere già così tanto difficile Yamamoto! Ed è tutta colpa mia! Come faccio a non sentirmi in colpa? Se non ti avessi coinvolto in questa cosa della mafia, non ti sarebbe successo niente!"

Yamamoto lo guardò un po' interdetto, poi gli sorrise comprensivo "Ma io sono contento di aver giocato con voi, Tsuna. Se non fosse stato per questo gioco, io non vi avrei mai conosciuto così bene. Lo rifarei altre mille volte!"

Tsuna scosse il capo con forza, serrando gli occhi "No! Io non voglio più avere a che fare con questa storia, non voglio che succeda ancora qualcosa di terribile come quello che è successo a te. Non doveva andare così!"

"Tsuna!" lo richiamò, con voce calma e ferma, sicura, la mano a stringere la spalla per richiamare la sua attenzione. Sawada si scontrò con il sorriso solare e tranquillo di Yamamoto e per un attimo si sentì sereno, la stessa sensazione che provava quando Takeshi scendeva in battaglia. Sapeva che sarebbe andato tutto bene.

"Tsuna perché dici così? A me piace questo gioco e voglio continuare! All'inizio pensavo anche io che avrei dovuto rinunciare, ma Squalo mi ha fatto capire che non dovevo arrendermi così! Non farlo nemmeno tu, Tsuna!"

"Yamamoto"

"Io voglio continuare a combattere insieme a voi. Non voglio che per colpa mia tu e gli altri dobbiate rinunciare"

Per un attimo, Tsuna rimase interdetto. Come pensava di poterlo fare Yamamoto, e che idee gli stava mettendo in testa Squalo?

Però...però era anche contento di vedere che l'amico non si stava facendo buttare troppo giù e che, anzi, stava affrontando la questione di petto. Ricordava ancora troppo bene il tentato suicidio di Yamamoto, quando si era rotto il braccio, solo perché aveva paura di non poter giocare più a baseball.  E, invece, adesso che la cosa era praticamente certa, era contento e sollevato di vedere che simili pensieri non avevano nemmeno sfiorato la mente dell'amico.

Non erano pensieri da Yamamoto.

Sorrise "Ma io non voglio diventare a prescindere Boss di niente!"

Yamamoto rise di gusto "Oh beh allora questa è un'altra storia. Ti unisci?" chiese, porgendogli l'altro joystick. Tsuna scrollò le spalle, accettando con un sorriso anche l'invito a cena.

Dopotutto, era da troppo che non passava del tempo con Yamamoto senza pensare alla sua situazione, e a quanto questa non si sarebbe mai creata, se non si fossero mai conosciuti.

Gli mancava passare del tempo con i suoi amici, e sperava che la situazione con Gokudera si sbloccasse in fretta.

 

 

 

Angolino Autrice:

Avevo previsto di unire questo capitolo al prossima, ma poi ho deciso che la storia sarà divisa in 5 capitoli perché sennò anche questo veniva di 14 pagine e non andava bene ù_ù Quindi sì, saranno solamente 5 capitoli, ne mancano due, resistete x°D

Spero comunque che anche questo capitolo vi possa piacere.

Perdonate Gokudera, ha bisogno di rimettere a posto i pensieri proprio perché le parole di Bianchi lo hanno scosso >.<

Ragazze, perdonate anche me se non vi rispondo alle recensioni meravigliose che mi lasciate, questa volta, giuro che mi farò perdonare.

Un bacio grandissimo, e grazie per le vostre splendide parole.

Vostra,
Asu <3

 

 

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Capitolo 4
*** Quarta parte ***


4.

 

Dal discorso con Tsuna, Yamamoto si era convinto che, se anche Gokudera lo ignorava nei modi più burberi, lui avrebbe dovuto insistere continuamente, cercare di sciogliere il ghiaccio. Doveva forse fare tutto lui, ma ne sarebbe valsa la pena.

Se Tsuna aveva ragione -e Tsuna aveva quasi sempre ragione, su queste cose, grazie al suo intuito- doveva solo far capire a Gokudera che andava tutto bene, come al solito.

Metterlo a suo agio e, sì, tranquillizzarlo.

E ce l'avrebbe messa tutta per farlo.

Per questo quella mattina aveva deciso di accompagnare Kaoru agli allenamenti mattutini, invece di farsi lasciare a casa di Tsuna. Yamamoto sapeva che, ad un'ora dall'inizio delle lezioni, il primo che avrebbe messo piede in classe sarebbe stato proprio Gokudera visto che stava attento ad evitare gli orari di inizio allenamenti e quelli subito precedenti alle lezioni. Forse proprio per evitare di incontrarlo. Sapeva che quando Yamamoto non era in estremo anticipo, era sicuramente in ritardo, e agiva di conseguenza.

Kaoru l'aveva lasciato in classe e poi era sceso. Takeshi a quel punto si era armato di pazienza e aveva aspettato.

Quando la porta dell'aula si aprì, quarantadue minuti dopo, Yamamoto sorrise.

Sapeva che poteva essere una sola persona.

Ed infatti fu la testa argentea dell'italiano a sbucare, sigaretta alle labbra semi-consumata e cartella in spalla. Quando lo vide, la cicca cadde a terra.

Ma lo stupore durò solo un attimo, perché Gokudera sembrò riprendersi quasi subito. Strinse la tracollò e gli voltò le spalle senza dire niente.

"Aspetta Gokudera!" lo richiamò, spingendo la carrozzina verso di lui cercando di afferrarlo prima che gli chiudesse la porta in faccia.

"Aspetta" ripeté e, quando lo vide immobile, seppur voltato dalla parte opposta alla sua, pensò che forse l'avrebbe ascoltato "Volevo parlare un attimo con te, Gokudera! Ultimamente non abbiamo avuto molte occasioni per parlare vero? Sparivi sempre a metà lezione e ricomparivi a fine giornata e mi chiedevo se stessi bene o...ah!"

La porta sbatté violentemente e Yamamoto si ritrovò di nuovo solo nella stanza.

Sospirò, abbozzando una risata. Si era comunque fermato quando l'aveva chiamato.

La prossima volta sarebbe arrivato subito al punto.

 

Il giorno successivo aveva fatto esattamente la stessa cosa, ma stavolta si era appostato accanto alla porta, così da poterlo fermare prima che scappasse. Purtroppo, però, anche Gokudera sembrava essersi infurbito.

Aveva aperto solo uno spiraglio della porta e, quando l'aveva visto, non era nemmeno entrato.

Yamamoto aveva scosso la testa ed era scoppiato a ridere.

Era incredibile il modo in cui Hayato continuava ad evitarlo. Senza nemmeno provare a nasconderlo.

Erano comportamenti strani quelli, e più li osservava più Takeshi si convinceva del fatto che Tsuna dovesse avere ragione. Gokudera era spaventato, talmente tanto che non aveva paura di sembrare ridicolo anche agli occhi del suo Decimo e di abbandonarlo a se stesso, invece di stargli dietro come fosse la sua ombra, come faceva di solito.

E se era così, beh, di certo lui non si sarebbe arreso.
Anzi, tutt'altro.

Avrebbe continuato a provarci, ancora e ancora, finché Gokudera non gli avrebbe dato finalmente retta.

E un giorno avrebbe dovuto, perché Yamamoto aveva tutte le intenzione di non lasciarlo un attimo in pace.

Per i successivi dieci giorni scolastici, Yamamoto tese agguati di ogni genere all'italiano. Non solo in aula, la mattina, ma anche all'uscita, in infermeria -dove si rintanava durante le lezione, di solito quando non c'era Shamal-.

Alla fine era persino arrivato a chiedere a Ryohei se poteva dargli una mano, vista l'estremamente urgente situazione.

Naturalmente Sasagawa non si era tirato indietro e, anzi, pareva non vedere l'ora di agire.

Così quel giorno si erano appostati in estremo segreto fuori dal complesso scolastico e avevano aspettato l'uscita di Hayato che di solito, se non accompagnava Tsuna, era il primo a lasciare la scuola.

Quando l'aveva visto in lontananza Ryohei gli era corso incontro e, in modo naturalmente estremo, l'aveva afferrato e trascinato via. A nulla erano valsi gli improperi di Gokudera, che a quanto pareva non aveva nessuna voce in capitolo. Tant'è che si ritrovò chiuso nello spogliatoio del club di box, momentaneamente vuoto.

"Testa a prato che diamine stai facendo? Fammi uscire immediatamente!"

"Non si può! Tu devi parlare con Yamamoto all'estremo, testa a polpo, non lamentarti!"

"COSA?"

Yamamoto scoppiò a ridere "Grazie mille, senpai!" esclamò, entusiasta.

Sasagawa e la sua ingenuità lo avevano aiutato a chiedere aiuto senza dover spiegare troppe cose contorte. Dopotutto, Ryohei era stato uno dei pochi a non farsi problemi per la sua nuova situazione. Nonostante capisse che alcune cose sarebbero cambiate ed era sempre pronto a dargli una mano, lo trattava come lo aveva sempre trattato, né più né meno, non aveva mai visto niente di diverso nemmeno nei suoi occhi.

Ryohei non aveva cambiato atteggiamento nei suoi confronti e Yamamoto non sapeva se perché non avesse effettivamente capito o perché aveva capito anche troppo, ma gli era grato. Se aveva temuto che Tsuna e gli altri gli stessero accanto anche solo per senso di colpa, con Ryohei non aveva mai avuto dubbi.

Lui non era proprio capace, a fare certi pensieri.

Una volta gli aveva anche confessato che aveva chiesto a Lussuria di allenarlo e che sperava di riuscire ad imparare ad utilizzare il potere del Sole anche solo un po' com'era in grado di fare il Varia. Così da poter provare a fare qualcosa per lui e rendersi estremamente utile -sapeva che l'altro continuava a chiedersi se sarebbe potuto andare diversamente, se il suo intervento, quando l'aveva trovato, fosse stato più utile.

E Yamamoto sapeva che su Sasagawa Ryohei si poteva sempre contare.

"Vi lascio! Sii estremo, Yamamoto!"

"Contaci" esclamò ridendo.

Gokudera fissava ancora la porta con astio, non riuscendo a credere al trabocchetto che gli avevano architettato e in cui era caduto con tutte le scarpe. E adesso, si trovava solo con Yamamoto, e a meno che non avesse fatto saltare in aria la porta non avrebbe avuto via di scampo fino all'arrivo dei ragazzi del club. Cosa che non sarebbe avvenuta prima di un'ora.

Aveva tutto il tempo di impazzire, lì dentro.

Yamamoto gli si avvicinò appena, sorridendogli "Mi dispiace di essere dovuto ricorrere a simili sistemi ma..."

"Aaah, stai zitto!"  ululò, sferrando un calcio alla porta, che vibrò.

Voleva uscire, andarsene.

La dinamite scalpitava e la porta gli urlava già pietà.

Yamamoto sospirò, ma ignorò le intenzioni dell'altro, che non aveva comunque mosso un dito, ancora.

"Dai, ti chiedo solo di ascoltarmi un attimo. In fondo, non è così difficile. Ti perseguiterò in eterno se non mi darai retta adesso!" scherzò, ridacchiando.

Ma più che uno scherzo, alle orecchie già stanche di Gokudera suonò quasi come una minaccia.

E che lo perseguitasse pure, dopotutto.

Lui non aveva ancora fatto chiarezza con se stesso, non sapeva ancora come avrebbe dovuto comportarsi, nemmeno adesso che Yamamoto sembrava sinceramente sereno, rispetto a qualche settimana prima.

"Tsuna mi ha fatto capire che forse tu non sai che fare, e che per questo mi eviti. Lo so che è una situazione un po' così, e credimi sono il primo ad essere confuso, ma...Gokudera? Non...vuoi fare saltare davvero la porta vero?"

"Ovvio che sì" fu la sola risposta, mentre la miccia si avvicinava pericolosamente alla sigaretta che l'italiano si era appena riacceso, giusto per l'occasione.

Takeshi scosse la testa. Convincere Gokudera era più che un'impresa ardua, sembrava quasi impossibile.

"Eddai..." sospirò, indeciso se essere divertito, esasperato o disperato.

Da quella posizione, poi, non riusciva nemmeno a guardarlo negli occhi, per cercare di capire quali fossero le emozioni dell'altro.

Se era arrabbiato o confuso o altro ancora.

Pareva non ci fosse proprio niente che potesse convincerlo, e lui le aveva davvero provate tutte in quei giorni. Anche l'impossibile.

"D'accordo, d'accordo, non mettere nei guai il senpai. Ho io la chiave!"  non fece neanche in tempo a porgerla che Gokudera l'aveva già afferrato e aperto la porta.

Yamamoto lo guardò correre verso l'uscita ma, prima di poterlo perdere del tutto di vista, sorrise apertamente "Io ti ho avvertito, però!" gli urlò dietro e, con un sospirò, uscì anche lui.

Ryohei, che se ne stava appostato poco lontano, tenendo sotto controllo uscita e entrata, gli andrò subito incontro.

"E' andato tutto bene, Yamamoto?" chiese, curioso, battendo i pugni fra di loro.

Ma la risposta del moro fu un sospiro, accompagnato da un sorriso "E' scappato, veramente"

"Cosa? Scappato?"

"Sì"

"Tutto questo è estremamente ingiusto" mormorò il Guardiano del Sole, moralmente sconfitto.

Yamamoto gli diede una pacca sulla schiena "Tanto non ho intenzione di arrendermi. A mali estremi, estremi rimedi, giusto?"

"Estremamente giusto, direi!"

Yamamoto rise, e Ryohei lo seguì a ruota. Senza dire niente, Sasagawa afferrò la sedia a rotelle e accompagnò l'amico verso il campo di baseball. Sapeva che Kaoru lo aspettava lì e in più lui doveva aprire la palestra per il club di box.

"Hey, Senpai" gli chiese proprio quando l'altro si stava apprestando a salutarlo "Ti stai ancora allenando con Lussuria?"

Sasagawa annuì con enfasi "Certo che sì! Vedrai Yamamoto, ti aiuterò all'estremo questa volta!"

Yamamoto rise "Senpai, io so che tu mi hai aiutato anche troppo, credimi"

"Quella volta non sono stato capace di curarti ma questa volta lo farò all'estremo!"

Takeshi sorrise. Anche se non ci credeva, era bello vederlo così pronto ad aiutarlo e ad impegnarsi per lui per il solo desiderio di farlo, solo perché era convinto di potercela fare. Perché si sarebbe, naturalmente, impegnato all'estremo.

"Grazie mille, senpai"

 

L'idea era quella di tornare direttamente a casa, e ragionare a mente fredda.

Yamamoto stava davvero tentando il tutto per tutto per riuscire a parlargli in tranquillità e da solo, per spiegargli chissà cosa. Che aveva capito che era spaventato, confuso o disorientato. O più facilmente tutte e tre le cose.

Gli aveva teso agguati di tutti i tipi, in tutti i modi, in tutti i posti possibili ed immaginali.

E lui per tutta risposta era sempre scappato. E senza nemmeno tentare di nasconderlo.

Decisamente, era arrivato al capolinea.

E se ne rendeva conto da solo, non c'era bisogno di qualcuno che glielo dicesse.

Se era scappato anche quella volta, nonostante tutto, era solo perché odiava essere preso in contropiede. E Yamamoto c'era riuscito alla grande.

Però ci aveva pensato, davvero tanto. In quei giorni, probabilmente, non aveva fatto altro. Anche solo per togliersi da quell'impiccio, gli avrebbe parlato.

Perché di essere perseguitato tutto il giorno tutti i giorni...non poteva resistere.

E poi, beh, poteva ammettere almeno a se stesso di aver sbagliato a comportarsi in quel modo. Che il suo comportamento non aveva senso e che era arrivato il momento di farla finita, anche solo per il bene del Decimo.

Non poteva continuare ad abbandonarlo in quel modo, che Braccio Destro si sarebbe rivelato altrimenti?

E poi non si doveva dimenticare che era stato Tsuna stesso a chiedergli di parlargli con Yamamoto e, anche se a distanza di una decina di giorni, lui non avrebbe disubbidito ad una richiesta del Decimo.  

Era totalmente deciso ad andare a parlare con Yamamoto, il giorno dopo.  Però, stavolta, non si sarebbe fatto mettere nel sacco.

"Dalla tua faccia, direi che hai già preso una decisione, Hayato" un aeroplanino di carta gli volò a pochi centimetri dal viso e, voltandosi, trovò Shamal poggiato al muro del ricinto della scuola, che lo fissava.

"Cosa vuoi, medico pervertito?"

Shamal lo guardò e sorrise sghembo "Niente che tu non sembra aver già compreso"

Gokudera storse la bocca, ben conscio di quello che stava dicendo l'altro. Come Bianchi prima di lui, probabilmente stava cercando di fargli capire che era giusto che la smettesse di fare il bambino dei confronti di Yamamoto, visto che lui aveva anche avuto modo di vedere tutte i piani quasi perfetti del giapponese andati in fumo.

Gokudera era anche certo che lo avesse aiutato, qualche volta.

"Non ho certo bisogno che mi ripetiate le cose mille volte" gli urlò dietro.

Shamal scosse le spalle e si accese una sigaretta "Non sembrava, inizialmente"

"Beh...ora ho capito!" e detto questo se ne andò senza dargli altro modo di parlare.

Sì, non aveva bisogno glielo ripetessero ancora e ancora. Aveva capito che si stava comportando come un vigliacco.

E lui non era un vigliacco.

 

 

Angolino Autrice:

Mi...mi dispiace! Vi giuro che questo ritardo non dipende da me! E non lo dico per farmi perdonare eh! E' che è proprio così!

Ho avuto problemi, personali e non, e la voglia di scrivere e aggiornare è sparita. Ma vi ho pensato tanto, giuro ç__ç

Ma sono tornata e non vi libererete più di me le ultime parole famose.

Non sparirò più per così tanto -w-

Spero che anche questo capitolo vi possa piacere, anche se Gokudera è quasi sicuramente OOC e che è un po' confuso -w-

Al prossimo, che sarà l'ultimo e il più lungo e giuro che non vi faccio aspettare così tanto!

Un bacione,

Sempre vostra,

Asu <3

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Capitolo 5
*** Quinta parte ***


5.

 

 

Il piano era presentarsi, il giorno dopo, a scuola come se niente fosse, continuando a comportarsi come al solito. Solo dopo avrebbe parlato con Yamamoto, quando sarebbe stato certo di poter star solo con lui.

Quella mattina andò persino a prendere il Decimo a casa, come non faceva da troppo, e dietro la sorpresa del più giovane fu certo di aver visto anche un pizzico di sollievo e contentezza.

Era felice di aver reso il Decimo fiero di sé, per questo quando entrò in classe, in ritardo, lo fece con la solita aria da mafioso incallito e il ghigno sul volto.

Yamamoto era in classe, arrivato in anticipo come faceva ormai da giorni, per provare ad incastrarlo, e lo guardava con stupore.

Convinto che lo avesse fatto per evitarlo sapendo che lui lo aspettava in anticipo in classe, Yamamoto si disse che quel giorno avrebbe dovuto passare davvero agli estremi rimedi, anche se non sapeva ancora bene cos'avrebbe dovuto fare.

Sicuramente doveva trovare il modo di rimanere solo con lui e stavolta non doveva dargli vie di fuga di nessun genere.

Alla fine delle lezioni, Gokudera aveva detto a Tsuna che si sarebbe fermato ancora un altro po', senza specificare bene il motivo e scusandosi se lo lasciava andare a casa solo. Tsuna aveva sorriso semplicemente, augurandogli buona fortuna giusto prima di lasciare la classe.

Aveva capito quella mattina quando era venuto a prenderlo che Gokudera aveva finalmente preso una decisione.

Sperava che tutto andasse per il meglio.

Hayato, dal canto suo, lo aveva aspettato in classe per più di mezz'ora, ma poi aveva deciso che si era stancato. Sicuro di poterlo trovare al campo da baseball con Kaoru o in chissà quale posto sperduto in attesa di tendergli un agguato, uscì dall'aula diretto all'uscita da scuola.

Stava passando davanti alla scala per il piano superiore, soprappensiero, e non si accorse dell'ombra in cima ad essa. Lei però sembrò notarlo più che bene, perché si spinse in avanti fino a cadere. O, per meglio dire, ci era andato vicino, perché quando aveva sentito un rumore ben conosciuto, Gokudera era scattato in avanti, cercando di afferrarlo prima che si rompesse qualcos'altro, afferrando il corrimano ma finendo comunque a terra, con un peso tutt'altro che leggero sullo stomaco.

"Gokudera!" la voce dell'idiota gli trillò direttamente nell'orecchio, assordandolo per qualche secondo. Poi, con uno scatto iroso, lo tirò su per le spalle.

"Ma sei cretino o che cosa? Volevi buttarti di sotto?"

Yamamoto rise "Veramente volevo raggiungere te, ma non mi sono accorto che ero arrivato al gradino e la ruota ha..."

"COGLIONE!"

Yamamoto lo fissò stupito qualche minuti. Cos'era quello sguardo quasi preoccupato adesso? Dopotutto, al massimo, sarebbe caduto dalle scale. Sorrise nello scorgere una scintilla d'apprensione negli occhi dell'altro. Aveva ragione Tsuna, non era tutto perso con Gokudera.

"Scusami, Gokudera" mormorò, mettendosi con un po' di fatica seduto, aiutato goffamente dall'altro -che cercava di fare invece finta di niente "Ti aspettavo di sopra perché quando non ti ho visto uscire pensavo che saresti salito sul tetto, anche se non avevo idea del perché fossi rimasto. Ma visto che non arrivavi mi stavo dirigendo verso l'ascensore quando ti ho visto andare. Volevo fermarti, altrimenti saresti scappato di nuovo!"

"I-io non scappo, stupido idiota!"

Yamamoto rise. Fargli notare che non aveva fatto altro sarebbe potuto essere controproducente, considerando che, inaspettatamente, stavano parlando senza troppe complicanze.

"Perché mai sarei dovuto salire sul tetto, genio?"

L'altro scrollò le spalle "Perché di solito quando vuoi star solo durante le lezioni te ne vai lì a fumare, a meno che tu non abbia sonno e allora ti rintani in infermeria, se non c'è Shamal" rise "Ho visto andare via Tsuna da solo, quindi...ho pensato..."

"Tu non dovresti proprio pensare, ti fa male al cervello, cretino!"sbottò l'italiano. Era snervante capire quanto l'altro lo conoscesse. E lo era ancora di più pensare di averlo aspettato inutilmente quaranta minuti quando l'altro era sul tetto con lo stesso intento.

Si alzò, svogliato, cercando di capire cosa doveva fare. La sedia a rotelle era cappottata in cima alla scalinata, e loro erano seduti a metà di essa. Sia se l'avesse portato in cima che ai piedi si sarebbe dovuto caricare l'idiota in spalle.

"Sei un idiota" lo rimproverò, scendendo un paio di gradini.

"Mi spiace, credevo che..."

"Io. Non. Scappo"

Yamamoto rise, certo che fosse un modo per dirgli che quella volta almeno non l'avrebbe fatto, non subito "Lo so". Sorrise quando lo vide abbassarsi davanti a lui, dandogli la schiena.

Quella era decisamente la giornata giusta.

"Muoviti, aggrappati!" era più facile portarlo su, decise. Altrimenti avrebbe dovuto scendere anche la sedia a rotelle. Decisamente. Sbuffò, e per un momento, quando Yamamoto gli allacciò le braccia intorno al collo, chiuse gli occhi. Non poté che pensare che per tutto quel tempo era scappato da un problema che non era neanche il suo e che Yamamoto doveva farsi aiutare in quel modo praticamente tutti i giorni.

Quando sentì il peso del Guardiano della Pioggia gravargli completamente sulla schiena, si rese conto per la prima volta della reale situazione. Yamamoto era costretto in qualcosa che lo privava di buona parte della sua libertà, eppure lui non l'aveva mai sentito lamentarsi.

Mai, nemmeno una volta.

Yamamoto non si era mai mostrato diverso dal solito, quasi come la cosa non gli facesse né caldo né freddo.

Invece no.

Ora che portava il peso di Yamamoto sulle spalle, era certo che quello che portava l'altro sulle sue fosse mille volte più gravoso.

Lo aiutò a sedersi sulla sedia e l'allontanò dalle scale onde evitare che potesse in qualche modo rischiare nuovamente di cadere, poi si lasciò cadere seduto sul primo gradino.

"Pesi un quintale" si lamentò, giocherellando col pacchetto di sigarette come se fosse indeciso se prenderne una o meno.

Takeshi ridacchiò "Mi spiace. E comunque sei tu ad essere troppo mingherlino" scherzò "Ti sei già stancato!"

Gokudera incrociò le braccia stizzito "Per forza, sei un sacco di patat-" si bloccò, conscio che non era certo colpa dell'altro se era un sacco di patate. Incassò la testa nelle spalle e sbuffò di nuovo, alzandosi e portandosi una sigaretta alle labbra, mormorando uno 'scusa' talmente sbiascicato che probabilmente Yamamoto non l'aveva nemmeno sentito.

"Dove andiamo? Sul tetto?"

"E dove sennò?" bofonchiò. Aveva fatto appena in tempo ad aprire la porta per uscire all'aria aperta, che la sigaretta era già accesa. La aspirò con forza fino a riempirsi i polmoni, guardando fisso davanti a sé.

Se doveva essere sincero, nonostante la convinzione iniziale, non sapeva assolutamente come fare.

Non ebbe la pazienza di aspettare nemmeno un attimo, però, perché il silenzio per quanto lo riguardava era già opprimente.

"Il cane ti ha mangiato la lingua, idiota?!"

Yamamoto rise. In realtà stava studiando l'altro e si era dimenticato di iniziare un discorso che non aveva assolutamente in mente. Gokudera gli era parso così teso da fargli quasi tenerezza.

"Mi stavo solo godendo il momento" rispose, avanzando un po'.

"Che cazzo significa? Se hai intenzione di rimanere in silenzio tutto il tempo io me ne...-"

"Semplicemente perché" lo bloccò "ultimamente non abbiamo avuto molte occasioni da passare insieme. Sparivi sempre, al suono della campanella"  alzo il capo verso di lui, sorridendogli.

"Era perché..."

"In realtà non mi interessa" lo fermò per la seconda volta e allo sbuffo dell'altro rise. Con una lentezza quasi esasperante si avvicinò alla ringhiera, guardando di sotto. Il comportamento dell'italiano non aveva fatto altro che confermare le parole di Tsuna di quel giorno. A Yamamoto non serviva sapere perché scappava.

Era più che evidente il motivo per cui lo faceva.

Ma adesso che sembrava aver smesso, o aver comunque intenzione di provarci, andava bene.

Gokudera gli si fermò subito dietro, aspirando un'altra lunga boccata di fumo "Lo so che il Decimo ti ha detto che pensa che io...sia spaventato. Ma vedi di non farti strane idee, idiota, capito?"

"Ma allora ieri mi stavi ascoltando!"

Gokudera sbuffò "Anche volendo non avrei potuto fare altrimenti"

"Sono contento" esclamò infantilmente l'altro, senza peli sulla lingua.

"E di che cosa, di grazia?"

"Del fatto che mi stessi ascoltando! Sai, all'inizio pensavo che tu avessi iniziato ad odiarmi davvero. Anche dopo le parole di Tsuna non sapevo come comportarmi, perché tu eri strano. Ma adesso che so che Tsuna aveva ragione, sono sollevato. E contento"

"Che cosa stupida" borbottò Gokudera, mordendo il filtro della sigaretta ormai consunta. Se ne sarebbe accesa un'altra a distanza di un secondo, se avessero continuato così. Quei discorsi insensati non lo aiutavano a mantenere una calma per cui di solito non brillava.

"Non è una cosa stupida! Sono davvero, davvero contento che non mi odi"

"Non ho affatto detto che non ti odio!"

"Beh, non più del solito almeno. Io avevo pensato ce l'avessi con me" ammise, e Gokudera si chiese fin dove potesse arrivare la sua stupidità. Perché mai avrebbe dovuto avercela con Yamamoto, se era Takeshi che aveva tutti i diritti di avercela con lui?

Quel ragionamento non aveva senso.

"Sei proprio un idiota"

Yamamoto rise "Sì, lo so"

Per un attimo calò il silenzio. Nessuno dei due disse nulla per minuti che parvero ore. Yamamoto guardava fisso dinanzi a sé, col sorriso sulle labbra, trasognante. Gokudera, invece, quasi più nervoso, si guardava intorno, osservandolo con la coda dell'occhio di tanto in tanto.

"Tu...sei davvero convinto di quello che dici quando parli?" borbottò, gettando a terra la cicca terminata "Non riesco a credere che la connessione che hai col tuo cervello sia così tanto limitata!"

Yamamoto si voltò allora verso di lui, in parte sorpreso che avesse spezzato quel silenzio teso, inclinando un po' la testa "Perché?"

"E mi chiedi anche perché?!" sbottò.

A volte aveva davvero la sensazione lo facesse apposta. Altre, invece, che da bambino dovesse essere caduto dal seggiolone con così tanta violenza da lasciare danni irreversibili, acuiti dagli allenamenti improponibili di Squalo. Doveva essere così.

"Non sei assolutamente in grado di capire quando dovresti essere tu ad avercela con una persona e non il contrario?"

"A chi ti riferisci?"

Gokudera grugnì, scompigliandosi i capelli "Merda, sei proprio un idiota!" sbottò, prendendolo per la calotta "Vuoi sapere perché mi sono comportato in questo modo? Perché non sopporto il tuo comportamento di merda, cazzo!"

Yamamoto abbozzò un sorriso "Che ho fatto?"

L'altro per tutta risposta sbuffò, esasperato, lasciandolo andare -attento però, stavolta, di non aver fatto danni.

"Figurati se perdo tempo a spiegarti una cosa che non andrebbe affatto spiegata" fece, stizzito.

Yamamoto lo fissò in silenzio mentre, sigaretta accesa alle labbra, si avviava verso la porta per lasciare il tetto e, probabilmente, l'edificio. Non parlò, ma il suo sguardo si fece stranamente duro.

Solo quando vide la mano di Gokudera sul pomello della porta lo fermò, e le sue parole risultarono più taglienti e malinconiche di quanto, forse, avrebbe voluto.

"E' passato un sacco di tempo dall'ultima volta che ho avuto paura di non poter più giocare a baseball. Io...quella volta ero davvero convinto che la mia vita fosse finita. Non sapevo fare nient'altro oltre giocare a baseball. Ho persino tentato di buttarmi dal tetto della scuola, ma Tsuna mi ha salvato. Mi ha fatto capire tante cose, quella volta, e il tempo che ho passato con voi mi ha reso cosciente di tanto altro" fece una pausa. Gokudera si era bloccato, quando l'aveva sentito parlare.

Aveva tentato il suicidio perché non poteva più giocare. Lo ricordava. Se ne era parlato fin troppo, a scuola.

E se quella volta aveva reagito così male per un semplice, stupido braccio rotto, perché diavolo in un momento come quello doveva comportarsi così?

"Anche se non posso più giocare a baseball e fare tante altro cose io...io voglio stare con i miei amici e combattere con loro. Per questo non mi importa pensare a chi ha fatto cosa e perché"

Gokudera strinse i pugni. Erano proprio queste le cose che meno sopportava di lui. Quel suo dannato, inutile ottimismo fasullo che utilizzava per tranquillizzare gli altri e mai se stesso.

"Stronzate" la voce dell'italiano sembrò quasi rimbombare nell'aria tesa e cupa. Gokudera gli dava le spalle, il pugno pallido ancora stretto al pomello della porta "Se una cosa non ti va giù, non ti va giù. A me non interessa niente di quello che pensi tu su quanto ti è successo. Se vuoi ancora considerare Kaoru tuo amico, fai pure. Ma non venirmi a dire che per te adesso non è più un problema perché il Decimo ti ha fatto capire che la famiglia e la vita sono più importanti. Con me non serve che fingi in questo modo ridicolo!"

Yamamoto si morse il labbro. La sicurezza del discorso precedente sostituita da una malinconia che cozzava con la serietà quasi esasperante del suo sguardo.

Sì, fingeva. Fingeva da mesi e solo Squalo fin'ora gliel'aveva fatto notare. Solo Squalo l'aveva sgridato e spronato a smetterla, perché non ce n'era bisogno, perché se lui voleva, poteva essere tutto come prima.

Ma adesso era arrivato Gokudera che aveva usato delle parole che erano, se possibile, persino più dure di quelle usate dallo spadaccino dei Varia. Perché erano vere e letali, ma non c'era quel pizzico di fiducia che aveva scorto in Squalo.

"Io...non sto fingendo. Cosa te lo fa credere? Non ho niente da fingere, Gokudera"

Gokudera a quel punto scattò di nuovo, avvicinandosi a passo di marcia all'altro, gli occhi fiammeggianti di quella che sembrava ira unito a qualcosa che l'altro non seppe identificare.

"Allora, se sorridi perché pensi che vada davvero tutto bene, hai seriamente qualcosa che non va. Non ti rendi conto di come ti sei ridotto? Per colpa tua e della tua predisposizione a fidarti sempre di tutto e tutti eccola la fine che hai fatto Yamamoto! Non potrai mai più camminare! E tutto perché sei un perfetto idiota!"

Yamamoto abbassò il capo, il labbro tremante stretto forte fra i denti, come se dovesse nasconderlo. Cercò comunque di mostrarsi indifferente, tranquillo come al solito.

"Ma non importa, davvero. E' stato un incidente e so che Kao-..."

Gokudera non gli diede nemmeno il tempo di rispondere. Sapeva cosa stava per dire e la sola idea di ascoltarlo lo faceva imbufalire.

Il pugno scattò da solo, autonomo, cozzando con violenza contro la guancia di Yamamoto, che finì steso a terra, insieme alla sedia a rotelle.

"Fai quel che cazzo ti pare, ma non fare il finto grande uomo con me, mi dai ai nervi"

Yamamoto rimase steso a terra, non provando minimamente a tirarsi su. Si portò una mano al punto leso, massaggiandolo appena. Sfiorò il labbro rotto e sospirò, rimanendo disteso, il viso nascosto in parte dalla sua stessa mano.

Gokudera aveva colto il punto. Ci riusciva quasi sempre. Era l'unico che gli diceva in faccia la realtà così com'era, senza girarci troppo intorno, senza temere di ferirlo. Che sapeva dirgli esattamente quello che voleva sentirsi dire.

Gokudera lo fissò dall'alto in basso con sufficienza, non degnandosi minimamente di aiutarlo. Rimase fermo tutto il tempo, gli occhi sulle spalle dell'altro, fermi, irosi, eppure stranamente lucidi.

Non se ne andò perché sapeva di non potersene andare in quel modo, commettendo lo stesso stupido errore di quel giorno, quando aveva fatto cadere Yamamoto e poi era corso via. E poi, beh, non poteva lasciarlo di certo così.

Non poteva lasciarlo in quel modo, in silenzio, steso a terra, la testa incassata nelle spalle. Sembrava distrutto, a vederlo, come se le sue parole l'avessero stranamente e profondamente colpito, stavolta.

"Per lo meno non ti sei pianto addosso con un fesso, fin'ora. Ma sai una cosa? Questo è quello che mi ha dato più fastidio. Cazzo, smettila di ridere Yamamoto, non c'è proprio niente da ridere in tutto questo!"

Lo guardò cercare di tirarsi su, e mettersi seduto a terra, le gambe stese, immobili. Fu solo quando lo vide passarsi l'avambraccio sugli occhi -che erano rossi e lucidi- che si decise a sedersi a sua volta, schiena contro schiena.

Non voleva guardarlo negli occhi. Non quando sapeva di poterci leggere una sofferenza che non era da lui, una pena che non poteva più sopportare.

Yamamoto aveva il vizio di tenersi tutto dentro per non fare preoccupare gli altri, ma con lui non serviva. O meglio, a volte aveva anche lui i suoi dubbi. Ma era impossibile che l'altro fosse sinceramente tranquillo.

Lui avrebbe rovesciato il mondo.

Ma non era il tipo di persona, Gokudera, che sapeva tenere il gioco. Lui diceva le cose così come stavano. Se poi erano troppo dolorose, pazienza. Al massimo, evitava proprio di parlare.

Come aveva fatto per tutto quel tempo.

Ma quando era troppo, era troppo.

E quel giorno, con quel maledetto sorriso onnipresente e rassicurante, Yamamoto l'aveva ben più che superato, il suo limite.

Sbuffò, avvicinando un ginocchio al petto e accendendosi un'altra sigaretta.

"Scommetto che adesso ti senti meglio, testa vuota" borbottò, annaspando a fondo dalla cicca. Il corpo di Yamamoto non tremava più, quindi forse aveva smesso di frignare.

Non riusciva a capire come avesse fatto a vivere per quasi quattro mesi in quel modo ed essere crollato per qualche sua semplice parola. Pensare che aveva iniziato ad ignorarlo anche per questo. Forse avrebbe dovuto continuare.

"Sì" la voce era risultata più rauca del solito, ma ferma, senza la nota di ilarità che sempre la contraddistingueva. Era diversa, e allo stesso tempo più simile a quella dello Yamamoto di sempre.

Gokudera sbuffò, giocherellando con il filtro della sigaretta già spenta e consumata totalmente.

"Dovresti imparare che quello che dici lo devi anche fare, idiota"

Yamamoto voltò la testa verso di lui, ma essendo per metà bloccato non riuscì a voltarsi a sufficienza da guardare l'altro in viso.

"In che senso?"

Gokudera buttò la cicca, poggiando il mento sul ginocchio piegato al petto "Quella volta, nel futuro, ti ricordi cosa mi hai detto? A parte che avevo un atteggiamento del cazzo e che non vedevi l'ora di farmelo cambiare..." mormorò. Yamamoto capì all'istante si stesse riferendo al loro primo incontro con Gamma e rimase in silenzio. Ovvio si ricordasse cosa gli aveva detto.

"Mi hai chiaramente urlato che sbagliavo ad aprirmi solo con il Decimo, che così facendo addossavo a lui un peso maggiore di quello che già deve sopportare in quando nostro Boss" fece una breve pausa, ignorando deliberatamente tutte le altri, pesanti parole che gli aveva riferito quel giorno Yamamoto.

"Tu non ti stai minimamente rendendo conto di star facendo la stessa cosa con te stesso, idiota. Sei tu qua quello che si sta sovraccaricando di un peso troppo grande, e questo perché pensi sempre di esserci per gli altri, ma non fai mai in modo che gli altri ci siano per te"

Era strano che a dirlo fosse proprio lui che per tutto quel tempo non si era reso per niente utile, ma c'erano altre persone che ci avevano provato e a cui Takeshi non aveva dato possibilità di aiutarlo. Ryohei in primis, a modo suo.

Ma Takeshi, naturalmente, proprio per la sua naturale propensione ad aiutare tutti e a cercare di non far mai preoccupare nessuno, si era tenuto tutto dentro anche con il padre.

Gokudera lo aveva sempre saputo, nel suo piccolo, che per la prima volta nel cuore di Takeshi infervorava una tempesta, nonostante la quiete tranquillità consona del Guardiano della Pioggia.

Yamamoto sorrise, a quelle parole, poggiando il capo su quello dell'altro, che gli stava dietro. Non lo aveva fatto perché vedeva negli occhi di suo padre, di Tsuna e di tutti gli altri che non avrebbero retto, già troppo colpiti, nel loro piccolo, da tutta quella situazione.

"E non pensare sempre che gli altri siano fragili , perché tu non sei invincibile. Hai capito, Yankyuu Baka?" gli era scappato. Si era ripromesso di non chiamarlo più idiota del baseball ma c'era talmente abituato che quando lasciava sciolta la lingua non ci pensava più. Sbuffò "Scusa".

Yamamoto, a quel punto, rise. Sinceramente e profondamente sollevato che qualcuno avesse capito che lui quella situazione non la sopportava, che era semplicemente troppo.

"Ma veramente non ho mai pensato di essere invincibile. E' solo che..."

"E' solo che devi smetterla di fare l'idiota, tutto qui"

Takeshi annuì, ridendo. Non era esattamente quello che stava per dire, ma rendeva bene l'idea. Certamente non avrebbe cambiato all'improvviso modo di fare con gli altri, ma adesso che sapeva di potersi, all'occorrenza, lasciare andare almeno con Gokudera lo faceva sentire molto meglio. Hayato lo capiva, e non aveva peli sulla lingua a bloccarlo.

"Uhm...Gokudera?"

Il ragazzo grugnì "Che vuoi ancora?"

Yamamoto sorrise, cercando la mano dell'altro con la sua e colpendola con due pacche leggere. Rise "Grazie mille, Gokudera"

L'italiano scrollò le spalle, schioccando la lingua e prendendo una sigaretta. Poi cambiò idea, perché sia alzò talmente di botto che Yamamoto, quasi totalmente poggiato a lui, rischiò di cadere a terra. Fece il giro del giapponese, tirò su la sedia -anch'essa caduta- e si posizionò davanti a lui, allungandogli le braccia come se volesse aiutarlo ad alzarsi, la cicca spenta fra i denti serrati. Sapeva perfettamente che Yamamoto non poteva far forza sulle gambe per tirarsi in piedi, ma gli venne spontaneo, quasi volesse spronarlo.

Takeshi però afferrò con forza le mani dell'altro, dopo essersi aiutato a piegare le gambe. Un passo alla volta ma buono era molto meglio di dieci tutti insieme. All'inizio, per poco Gokudera non venne tirato verso di lui, poiché Yamamoto c'aveva messo troppa forza nelle braccia. Quando lo vide ridere gli schiacciò i piedi stizzito, dopodiché fece ben attenzione ad impuntarli a terra e tirare a sua volta.

E Yamamoto riuscì a tirarsi effettivamente su, con una forza che credeva di non avere più nelle gambe.

Guardò Gokudera, che lo fissava con gli occhi a sua volta sgranati. Il sorriso radioso, spontaneo e cristallino fece appena in tempo a nascere, prima che entrambi cadessero clamorosamente a terra.

Yamamoto rise di una risata sincera.

"Hai visto, per poco non mi mettevo in piedi!"

Hayato, approfittando della situazione per lui svantaggiosa -visto che si ritrovava schiacciato dal peso dell'altro- nascose il viso nell'incavo della spalla del moro, sorridendo. Un sorriso stranamente felice che, naturalmente, non avrebbe mai mostrato ad anima viva.

"Ti ho solo tirato con troppa forza"

"Ma sono rimasto in piedi"

"Per cinque secondi al massimo"

"Uffa, non smorzarmi l'entusiasmo!"

"Io non smorzo niente, sei tu che ti monti la testa per un nonnulla"

Sorrise, il moro, tirandosi sui gomiti e guardando l'italiano dritto negli occhi "Ti prometto che lo trasformerò in molto, molto altro, questo niente"

Ed era una promessa che faceva a se stesso in primis.

Fin'ora aveva lavorato con i medici senza un reale entusiasmo, sicuro che, non avendo più la minima sensibilità alle gambe, tutto si sarebbe rivelato inutile. Privato del suo solito ottimismo, non aveva potuto fare altro che lasciarsi trascinare dalla corrente, tranquillizzando chi gli stava intorno, proprio come la pioggia scrosciante che lava via ogni dubbio o timore.

Adesso però quella pioggia era arrivata anche a lui.

E sapeva che con gli allenamenti di Squalo e gli aiuti particolari di Gokudera, forse poteva farcela.

Hayato borbottò, le goti leggermente colorite "C-cretino!" urlò, colpendolo con un pugno sul capo. Yamamoto rise e, con un gesto istintivo, abbracciò l'amico.

Gli era grato, si sentiva davvero più leggero adesso.

 

 

Quella mattina quando aprì la porta di casa per andare a scuola, Tsuna giurò di essere quasi svenuto. Per lo stupore, per la felicità.

Gokudera spingeva la carrozzella di Yamamoto, ed entrambi lo salutavano euforici, pronti a sostenere un'altra dura giornata scolastica.

Tsuna li raggiunse quasi di corsa, contento di poter tornare a quelle giornate abituali a cui per mesi erano stati costretti a rinunciare, per un motivo o per un altro.

Non chiese cosa fosse successo il giorno prima fra di loro, ma poco importava. Quello che contava era il risultato, e questo era decisamente stato ottimo.

Kaoru era stato contento di vedere l'amico sereno e sorridente, stavolta un sorriso che si estendeva fino agli occhi. Anche Enma aveva capito che tutto andava meglio, dagli occhi lucenti di Tsuna, che era stato felice di dirgli che tutto finalmente sembrava essersi sistemato. Persino Ryohei aveva capito, quando li aveva visti uscire tutti e tre insieme dal cortile scolastico, alla fine delle lezioni, ed era tornato ai suoi allenamenti estremi in modo estremamente soddisfatto.

Si erano fermati tutti a casa di Yamamoto, quel pomeriggio, giusto per suggellare il ritorno alla normalità, fra compiti, improperi e risate.

"Beh ragazzi, adesso devo andare. Uhm, Reborn ha detto che mi doveva parlare"

"Reborn-san?"

"Già...e spero che non sia quello che penso io"

Yamamoto rise, passando un braccio intorno alle spalle dell'amico "Dai Tsuna, ricordati quello che ti ho detto!"

"Sì, ci proverò!"

"Ma di cosa state parlando?" intervenne Gokudera, accettando difficilmente che l'idiota sapesse qualcosa sul Decimo che lui ignorava "Cosa diavolo hai detto al Decimo, Yamamoto?"

Takeshi gli sorrise "Lo sa Tsuna!"

"Decimo!"

"Ehm...beh, Gokudera-kun, adesso devo andare!"

"Ma...Decimo!?"

Tsuna si alzò e, frettoloso, salutò gli amici e scese al piano di sotto. Sapeva con certezza di cosa Reborn voleva parlargli: della famiglia. E Yamamoto aveva cercato di dirgli che, se l'hitman aveva intenzione di costringerlo a continuare quel gioco, non si sarebbe dovuto far bloccare dalla sua situazione.

Tsuna sorrise, mentre correva verso casa.

Non avrebbe più detto di no a Reborn utilizzando Yamamoto come copertura. L'amico, sedia a rotelle o meno, rimaneva sempre lo stesso. E Tsuna questo lo sapeva. Non cambiava assolutamente niente.

"Come osi avere un segreto con il Decimo, brutto idiota?" stava intanto urlando Gokudera, scioccato dalla notizia.

Yamamoto rise tranquillo "Ma non è un segreto! Gli ho solo detto che voglio anch'io continuare a giocare con voi alla mafia!"

Gokudera per un attimo rimase in silenzio. Poi sbuffò contrariato, nascondendo l'inevitabile, traditore, accenno di sorriso.

"Allora, quell'esercizio di matematica?"

"Ah!" si grattò la nuca, ridacchiando "Non l'ho capito"

"Come diavolo fai a non capirlo? Te l'ho spiegato due volte! Possibile che tu sia così dannatamente ottuso?"

Si impose la calma, ripetendo per la terza volta quella spiegazione che lui riteneva maledettamente stupida e che né Yamamoto né, inspiegabilmente, il Decimo riuscivano a farsi entrare in testa.

"Gokudera!" lo interruppe all'improvviso l'altro, proprio prima che il Guardiano della Tempesta si stupisse della buona riuscita dell'esercizio e gli facesse notare che, se invece di lasciarlo marcire, si decidesse ad usare il cervello anche per la scuola, i suoi voti sarebbero sicuramente stati migliori.

"Cosa vuoi?"

"Visto l'orario, perché non rimani a mangiare qui al ristorante?"

Gokudera, per tutta risposta, poggiò mollemente il capo sul palmo della mano, il gomito poggiato sul tavolo. A casa non aveva niente di buono da mangiare, e sarebbe stato solo.

"Non vedo perché no" borbottò come se la cosa, in realtà, lo scocciasse parecchio.

Yamamoto rise, annuendo a se stesso.

Sì, ora era tutto nella norma.

 

 

Angolino Autrice estremamente dispiaciuta:

Aspettate a lanciare pomodori! Lo so che vi ho fatto aspettare di nuovo tanto, ma almeno sono arrivata, e con dieci pagine. Mi perdonate, vero? *Occhioni alla Bambi*

Comunque, devo spiegare una cosettina che in teoria non ha senso. Quando Yama si alza in piedi, non è perché improvvisamente è guarito, sia ben chiaro. La scena in teoria si svolge in un nanosecondo, nel caso non si capisse, e vi assicuro che è possibile tirar su di peso una persona in quel modo. E' una questione di bilanciamento, e di forse. E non penso che Gokudera non riesca a tirar su di peso Yamamoto per mezzo secondo.

Inoltre l'ho messa anche per un motivo in particolare. Aye, se volete sperare che Yamamoto tornerà a camminare, o se invece volete continuare a vederlo lì immobile, sta a voi <3

Con questo passo, e chiudo definitivamente.

Grazie infinite a tutte voi, che mi avete seguito. Senza di voi non sarei arrivata qui e non so quanto piacere mi abbiano fatto i vostri commenti -a cui risponderò sicuramente domani.

Grazie çAç

Un bacione, in estremo ritardo,

Asu <3

 

 

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