And I'm incomplete without you.

di Sere_Horan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** 1. So, I’m just… crazy. ***
Capitolo 3: *** 2. Don’t judge me. ***
Capitolo 4: *** 3. Maybe I’m not brave. ***
Capitolo 5: *** 4. Don’t even try to catch me. ***
Capitolo 6: *** 5. I can’t stay alive. ***
Capitolo 7: *** 6. Oh well, I don’t care. ***
Capitolo 8: *** 7. I don’t care about your regrets. ***
Capitolo 9: *** 8. The truth hurts. ***
Capitolo 10: *** 9. A new start. ***
Capitolo 11: *** 10. I don’t want to be afraid because of you. ***
Capitolo 12: *** 11. Would you help me? ***
Capitolo 13: *** 12. What have I done? ***
Capitolo 14: *** 13. Next time? There will be no next time. ***
Capitolo 15: *** 14. Somewhere only we know. ***
Capitolo 16: *** 15. Why don’t you walk away from my life? ***
Capitolo 17: *** 16. Keep fighting. ***
Capitolo 18: *** 17. The end? ***
Capitolo 19: *** 18. Over Again. ***
Capitolo 20: *** A letter for you. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***




And I’m incomplete without you.

Prologo.

 
«Jessica Anne Parker.» la richiamò l’uomo, facendola sobbalzare.
Fece un passo in avanti, col cuore che le pulsava in gola, e lo guardò.
«Sì?» chiese, con la voce stremata dalla paura.
«Lei è stata scelta… può tornare a casa.»
La ragazza rilasciò un sospiro di sollievo e sorrise, ma senza perdere il controllo: non poteva permetterselo.
Due anni di collegio furono sufficienti a cambiarla e tutto per colpa del padre, quell’uomo che lei tanto odiava.
Era solamente una ragazzina quando ce la spedì.
‘I suoi comportamenti sono la rovina della nostra famiglia!’ diceva.
Peccato che gli unici suoi comportamenti ‘fuori dal normale’ fossero fumare e bere qualche bicchiere di troppo, il sabato sera in discoteca. Ma al di fuori di questo non aveva mai fatto niente di male. Eppure quell’uomo la spedì lì: in quel carcere dell’anima e del corpo.
Il giorno dopo il suo arrivo le tagliarono i capelli e le infilarono una divisa nera.
Due giorni dopo giudicarono le sue attività ludiche e la divisero nella categoria dei Pronti, ossia quelli che avevano il fisico e l’intelligenza per affrontare i lavori più pesanti.
Un mese dopo iniziarono a punirla severamente, negandole la cena.
Un anno dopo la inserirono nel gruppo dei tiratori scelti.
Un anno e mezzo dopo la mandarono al campus in montagna.
Due anni dopo la fecero uscire.
Quel giorno Jessica sperò di potersi riprendere la sua vera vita, sperò di poter ricominciare ad essere una persona normale, una ragazza normale.
Non pensava che non ci sarebbe riuscita.
Non pensava che le sue ‘amiche’ non l’avrebbero riconosciuta, scambiandola per un ragazzo.
 
 
Scesi dall’autobus e mi guardai intorno: non era come la ricordavo.
Anche Londra era cambiata in due anni.
O forse ero io a guardarla con occhi diversi.
Sospirai ed iniziai a camminare lungo il marciapiede, con la testa bassa, fino a quando una spallata non mi fece scattare e gemere dal dolore.
«E sta’ attento!» mi urlò dietro una voce maschile.
Mi sentii ferita.
«Sono una ragazza!» urlai di risposta io, riprendendo a camminare.
Dopo un po’ intravidi casa mia. Sorrisi, anche se sotto sforzo, ed attraversai il vialetto in ghiaia, per poi ritrovarmi davanti alla porta bianca con su scritto ‘Famiglia Parker’.
Suonai il campanello ed attesi per qualche minuto.
Nessuno aprì.
Suonai di nuovo.
Nessuno aprì.
«Non sono in casa.» disse una voce vicino a me.
Guardai a destra e vidi una donna seduta su un dondolo, sotto al portico della casa vicina.
«E dove sono?» chiesi, gesticolando appena con le mani.
«Sono all’ospedale: la signora May ha avuto le doglie.» rispose la donna, sorridendo.
Il mondo intorno a me si fermò. Tutto si zittì, tranne il mio cuore, che prese a battere ad una velocità sovrannaturale.
«Come sarebbe?»
«Bè, la signora May è incinta e sta per partorire. Poverina: dopo aver perso la sua prima figlia, dev’essere stato un duro colpo cercare di ‘rimpiazzarla’.»
Sentii un dolore forte al petto, molto più forte del dolore che dovetti patire per due anni, quando al collegio mi sottoponevano alle prove di resistenza.
Mi avevano data per morta e fui sicura che fosse stata opera di quell’uomo che dovevo per forza chiamare ‘padre.
 
 

Sono Jessica Anne Parker, nata il 12 aprile 1993 e data per morta il 26 giugno 2010.
Questa non è altro che la mia storia.

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Tell me a lieeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee!

I'm back, YEAH!
Ecco qua la nuova storia.
Vi avevo detto che sarebbe stata particolare è.é
Ebbene sì, lo è.
Anyway!
La protagonista è Emma Stone... credo che sia perfetta 
per il ruolo di Jessica.
Avrete notato che la prima parte è scritta in terza persona e la seconda parte in prima... Mia scelta!
Volevo riassumere un po' il tutto narrando la storia, per poi continuare nei panni della protagonista.
Okay, ho finito.
Non vi annoio più per oggi...
Spero di continuare il più presto possibile, ma voi fatemi sapere che ne pensate, okay?
Lasciatemi qualche recensione che non mordo :)

Un bacio, Serena xx

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Capitolo 2
*** 1. So, I’m just… crazy. ***




Chapter 1

So, I’m just… crazy.

 
Scesi dall’autobus per la seconda volta in un giorno.
Mi guardai intorno: era tutto come poche ore prima. Grigio, spento, freddo, pauroso.
Pioveva.
Mi avvicinai al cancello in filo spinato del collegio e suonai il campanello.
Si accese la telecamera e dopo due secondi mi lasciarono entrare.
Salii le ripide scale della struttura, fino a raggiungere il corridoio della dirigenza.
«Salve… desidera?» mi chiese la segretaria, stampandosi quel falso sorriso in faccia che avevano tutti lì dentro.
«Dovrei parlare col signor Brooke, se non è un problema.» risposi, fredda.
Le parole facevano fatica a salirmi in gola, la testa faceva male, le gambe tremavano.
Avevo semplicemente paura, ero semplicemente delusa.
La ragazza annuì e mi scortò fino alla seconda porta nera sulla destra, per poi bussare, aprire e farmi accomodare.
Socchiusi gli occhi a due piccole fessure e fissai l’uomo, prendendo posto sulla sedia.
Lui puntò i gomiti sul tavolo e mi guardò, sorridendo maliziosamente.
«Jessica Anne Parker, recluta 0245 dei Pronti.» affermò con decisione.
Non ne rimasi colpita.
«Cosa ti spinge a tornare qui, ragazza?» chiese poi, compiendo movimenti intellettuali con l’indice della mano destra.
«Questa posso considerarla casa mia, giusto? Bene, quindi è l’unico posto che mi rimane dato che una casa non la ho più.» risposi fredda.
Rise, con quella sua risata fragorosa quanto falsa.
«La nostra recluta migliore… non mi azzarderei mai a respingere l’idea di riaverti di nuovo tra di noi, ma sai che abbiamo bisogno di un’autorizzazione esterna.»
«Sono maggiorenne, signore: posso firmare il modulo da me.» affermai, senza timore.
Rise di nuovo.
«Per piacere, signorina Parker! Solo i pazzi tornano qui con la pretesa di auto-autorizzarsi a entrare nel nostro collegio.»
«Bene. Questo vorrà dire che sono solamente pazza.» risposi, lasciandolo di stucco.
Sorrise maliziosamente e si alzò dalla sedia, mettendosi dietro di me.
Serrai la mascella.
«Suvvia… sai che potresti essere molto di più di una semplice recluta. Devi soltanto lasciarti andare.»
Sentii la sua mano scivolare lungo la mia spalla e scattai.
Mi alzai e gli afferrai la mano, stringendola e facendolo gemere dal dolore.
«Okay, okay…» si arrese.
Allentai la presa, ma non smisi di tenere gli occhi puntati su di lui.
«Non ti farò rientrare.» disse, massaggiandosi la mano. Dopo una breve pausa continuò. «Sei stata scelta per andartene: due anni sono stati sufficienti per te. Questo tratto dell’inferno è terminato.»
Soffocò una risatina e si avvicinò alla porta, aprendola e facendomi segno di uscire.
«Si accomodi pure fuori.» disse infine.
Gli lanciai l’ultimo, freddo sguardo e me ne andai, raccogliendo la mia poca roba.
Uscii dal collegio ed iniziai a camminare per strada, nella nebbia, sotto la pioggia e senza una meta precisa.
 
 
Dopo un paio d’ore di cammino sentii i piedi chiedere pietà e la testa scoppiarmi.
Continuai comunque a tener duro, fino a quando un’auto non si fermò di fianco a me.
Smisi di camminare e mi voltai. Un finestrino si aprì e sbucò il viso di una donna abbastanza anziana.
«Dove sei diretta, ragazza?»
Era strano sentirsi chiamare così dopo che alcune persone ti hanno scambiato per un uomo.
«A dir la verità non lo so.» risposi, stringendomi nelle spalle.
La donna sorrise ed aprì lo sportello, facendomi segno d’entrare.
 
 
«Grazie.» le dissi, dopo un po’ di strada in silenzio.
«Oh, figurati.»
«Dove stiamo andando?» le chiesi, incuriosita.
Lei sorrise ed indicò un punto davanti a noi.
Alzai gli occhi e vidi un cartello a bordo della strada: Doncaster.
«Quella è casa mia.» disse, facendo un segno con la testa ad una casa abbastanza grande, circondata da una staccionata bianca.
«Ma…» provai a protestare, ma senza successo.
«Niente ma! Cara, è quasi mezzanotte: non posso lasciarti per strada, tantomeno con questa pioggia! Nessuna obiezione: stanotte dormirai da me.» disse, irremovibile.
Ma chi sei tu, un angelo?
Sorrisi e tornai a guardare la strada, fino a quando l’auto non si fermò davanti alla casa della donna.
Aspettai un secondo prima di scendere: non la conoscevo nemmeno!
Però dove sarei restata quella notte? E le notti seguenti? E dove avrei mangiato?
Scossi la testa e scesi dall’auto, seguendola fino ad entrare.
Mi ritrovai in una saletta calda ed accogliente, con le pareti intonate sul rosa confetto e il pavimento in parquet.
«Siediti pure: ti porto qualcosa di caldo.» disse premurosa lei, facendomi accomodare.
Sorrisi per ringraziarla e presi posto su una delle sedie del lungo tavolo da pranzo posto in soggiorno.
Mi chiesi a cosa potesse servire un tavolo così grande ad un’anziana signora che, per giunta, viveva da sola, ma poi mi consolai con la risposta ‘Sarà una delle tante stranezze di questo mondo.
Dopo un po’, il suo viso rugoso e sorridente spuntò dietro la porta.
Mi porse una tazza di tè e l’altra l’afferrò lei, sedendosi sul tavolo di fronte a me.
«Come ti chiami, figliola?» mi chiese, dopo averne sorseggiato un po’.
«Sono Jessica Anne Parker.» risposi, cercando di sembrare meno fredda possibile.
Il punto era che due anni di collegio ti rendevano così: una donna travestita da uomo.
«Io sono Trudy Hale e questa è la mia fattoria. Potrai fermarti qui per quanto vorrai, a un solo costo…» fece una pausa per sorseggiare altro tè e poi riprese. «Sto cercando qualcuno che mi aiuti a lavorare. Ti andrebbe di fare qualche lavoretto qui, per me?» mi chiese.
Non ci pensai su, anche perché era tutto quello che cercavo: un lavoro, una casa, una nuova famiglia e quello mi sembrò il posto perfetto per ricominciare.
«Sì signora, accetto volentieri.» affermai, sorridendole.
«Chiamami pure Trudy
 
 
Sentii un gallo cantare e saltai giù dal letto.
Guardai la sveglia: le cinque e quaranta del mattino.
Mi cambiai, mi lavai il viso e scesi in cucina, dove trovai un piatto con una frittata e dei toast.
Mi avvicinai e notai un foglio sotto al bicchiere: lista delle cose da fare.
Sorrisi tra me e me ed iniziai a leggere…
 
·         Dar da mangiare alle galline.
·         Tagliare l’erba.
·         Portare a spasso il cane.
·         Annaffiare i fiori.
·         Raccogliere le rape.
 
Scossi la testa e risi di nuovo, ripensando alla proposta della sera prima.
Dovevo aiutarla, non fare tutto io!
Ma mi serviva una casa… e mi serviva un lavoro.
E per quanto non volessi ammetterlo a me stessa bè, ero sola.
Non mi rimaneva più nessuno a parte quell’anziana signora dai lineamenti marcati che mi aprì lo sportello la sera prima per non lasciarmi marcire sotto la pioggia.
Dopotutto quelle erano le minime cose che potevo fare per lei.
Così feci colazione ed uscii di casa, dirigendomi per prima cosa verso il pollaio.
Non sarebbe stato difficile, non quanto i due anni di collegio almeno.
 
 
«Jessica, qui si mangia!» mi richiamò Trudy e corsi subito dentro casa.
Ma appena entrata vidi una marea di persone sedute al tavolo.
Disagio totale.
«Bene signori… lei è Jessica, la nuova arrivata. Datele il benvenuto.» disse la donna, facendomi sedere di fianco a lei.
Uno dei miei vizi era squadrare le persone e questo feci durante il pranzo.
Iniziai a guardarli, uno ad uno. Erano per lo più omoni muscolosi dalla pelle chiara, con i capelli tendenti al rossiccio e gli occhi azzurri.
I tipici inglesi.
Ma poi i miei occhi caddero su cinque ragazzi. Non erano come tutti gli altri, ma diversi.
Giovani, senza ombra di dubbio, e molto… socievoli, o almeno così sembravano.
«Ragazzi! Un po’ di contegno, per favore.» li richiamò Trudy e subito si fermarono e abbassarono la testa.
«Scusaci zia.» si scusò quello che sembrava il più pazzo, eppure il più grande di tutti.
Aveva due occhi magnificamente azzurri e dei capelli rossicci e scompigliati.
Basta Jessica: stai parlando come se fossi innamorata di lui!
Appunto per questo: non era il mio tipo.
Troppo sciolto, troppo del tipo ‘Guardatemi, faccio ridere anche le guardie delle regina!’.
No, non fai ridere altro che quei cinque rimbambiti che ti trovi intorno, bello mio.
Scossi la testa e scacciai quei pensieri, per poi alzarmi e dileguarmi con un veloce «Io torno al lavoro.»
 
 
Riuscii a finire tutto prima di notte ed iniziai a girare per la fattoria.
Intravidi un cavallo nel recinto e, interessata da quello splendido animale, mi avvicinai.
Iniziai ad osservarlo (guarda caso), fino a quando una voce non mi fece sobbalzare.
«Quello è un Purosangue Inglese.» disse qualcuno dietro di me e mi voltai, guardandogli storto.
«Io credevo fosse un cavallo.» dissi con nonchalance, suscitando una risata nel ragazzo, che si avvicinò.
«Era per puntualizzare la razza.» spiegò lui, gesticolando con le mani. «Comunque piacere, io sono Niall Horan.» si presentò, stringendomi la mano.
«Jessica Anne Parker.»
«Sei un soldato?»
«E tu sei irlandese?»
Rise di nuovo.
«Non si risponde a una domanda con un’altra domanda.» mi rimproverò, anche se ironicamente.
«Non si chiede ad una donna quello che fa nella vita, a meno che tu non la conosca bene e non chieda conferma di cosa già sai.» puntualizzai io, imitando il suo tono ironico. «E comunque sia sì, sono un soldato.» ammisi infine, sorridendogli.
«E io sono irlandese.» ammise anche lui, sorridendomi.
Era un ragazzo stranamente delicato e affascinante, forse troppo per me.
Non era abbastanza… freddo? Sì, forse.
L’unica cosa fredda che aveva erano i suoi occhi, che poi tutto erano meno che quello.


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Spazio ai pinguini!
Saaaalve a tutti!
Allora, parto subito con il dirvi che so quanto questo capitolo possa essere pensoso e vi chiedo di darmi solo una chance anche perché siamo solo all'inizio!
Poi ringrazio tutti per le recensioni del prologo anche se devo confessarvi che ne aspettavo qualcuna in più è.é
Ma non fa niente: va bene lo stesso!
Promettetemi che me ne lasciate qualche altra qui, per favore!
Okay, ora passiamo al capitolo.
La storia inizia a prendere forma e come potete vedere il primo dei ragazzi che Jessica conosce è Niall.
Non vi dico niente sul secondo capitolo, ma sappiate che tra Niall e Jessica si istaurerà una grande amicizia.
Ecco, vi ho già detto troppo.
Ora, per concludere, vi chiedo solo di fare un minuto di silenzio per tutti i miei amici pinguini che stanno morendo di freddo giù in Antartide e non hanno nemmeno la connessione internet o la linea telefonica per chiamare il 118 in caso di difficoltà.
Questo me lo dovete! (?)
Ahahahah, okay, basta!
Serietà portami via tu o qui non smetto più di sparar cazzate!
Vi ringrazio comunque perché già avete messo questa storia tra le preferite e le seguite. 
Cioè, VI AMO! Cos'altro dovrei dire?
E niente, recensite o fate arrabbiare me e tutti i pinguini dell'Antartide.
E anche gli Unicorni che sono già arrabbiati con Noè perché non li ha aspettati e ha fatto partire l'arca senza di loro!
BASTA, BASTA: FERMATEMI!
Okay, grazie ancora e... au revoir!

Un bacio, Serena xx

Tra le cazzate, mi sono dimenticata di rispondere a una domanda che mi è stata fatta!
Per tutti quelli che volessero cercarmi su Twittah, io sono @Sere_Swan e per qualsiasi domanda o cose varie scrivete pure tutto nella recensione ahahah!
Sciaoooo! :)

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Capitolo 3
*** 2. Don’t judge me. ***




Chapter 2

Don’t judge me.

 
Sbuffai e mi tuffai sul letto, iniziando a fissare il soffitto.
Era stata una giornata pesante per essere la prima nella fattoria.
Mi ero stancata di fare paragoni tra quello che vivevo in quel momento e quello che avevo passato in collegio: erano due cose completamente diverse.
Eppure era come se fossero legate per me.
Tuttavia, quel giorno scoprii molti aspetti di quello stile di vita che mi sorpresero.
Niall, il ragazzo che incontrai quel pomeriggio, lavorava lì, insieme a quegli altri quattro ragazzi.
Avevano trovato quel lavoro grazie a Louis, quello che sembrava un po’ il più pazzo.
Si conoscevano dai tempi delle Scuole Medie e, quando fu il momento di trovarsi un lavoro, Louis offrì loro un posto alla fattoria, per aiutare lui e sua zia.
Tornando a quella sera, mi fissai sul soffitto: a volte avevo la sensazione di riuscire a parlarci.
Ma poi qualcuno bussò alla porta e mi misi seduta come una persona normale.
«Avanti.»
La porta si aprì piano e sbucò la testa di Trudy.
«Tesoro, stiamo facendo una chiacchierata sotto al portico: ti andrebbe di unirti a noi?» mi chiese, cortesemente.
«Come nei vecchi film di cowboy americani?» chiesi entusiasta, stampandomi un sorriso enorme sul viso.
La donna rise ed annuì, per poi richiudersi la porta alle spalle con un «Ti aspettiamo giù.»
Sorrisi tra me e me, mi infilai un paio di jeans e una camicia e scesi velocemente le scale, uscendo poi di casa.
Trovai tutti lì: chi beveva della birra, chi giocava a carte, chi chiacchierava, chi sonnecchiava sul dondolo e poi c’erano i ‘cinque ragazzi’ che se ne stavano in un angolo del portico con le chitarre in mano, a cantare.
Incuriosita, mi avvicinai a loro.
«Ehi, Jessica!» mi salutò Niall, catturando l’attenzione degli altri, che abbandonarono per un attimo i testi delle canzoni e si concentrarono su di me.
«Dai, siediti con noi!» esclamò quello più scuro di tutti. Presumibilmente era pachistano.
Per un attimo esitai, ma poi annuii convinta e presi posto tra i due con la chitarra, uno dei quali era proprio Niall.
«Posso?» gli chiesi, indicando lo strumento.
Lui sorrise ed annuì ed io iniziai a pizzicare le corde, intonando alcuni versi di una delle mie canzoni preferite: White horse.
«Ehi, ehi, fermati.» mi bloccò qualcuno ed alzai la testa.
Il ragazzo dai capelli rossicci mi fece capire di essere stato lui ad interrompermi e non me ne sorpresi più di tanto: si vedeva lontano un miglio quanto fosse fastidioso.
«Tu… suoni?» mi chiese, quasi sconvolto.
«No, faccio finta!»
«A quanto pare…» risposi, sospirando.
«Uhm, sei brava.» mugugnò, stringendosi nelle spalle. «Ah, io sono Louis.» si presentò, allungando la mano.
«Piacere, J…»
«Jessica Anne Parker, recluta del collegio Dark Mountains nella periferia di Doncaster.» mi interruppe nuovamente lui, con un sorriso compiaciuto stampato in viso.
«No ma, sai anche il mio codice fiscale per caso?» gli chiesi, leggermente irritata dal suo comportamento.
Nonostante la mia rabbia e il mio prematuro odio verso il rosso – fateci l’abitudine perché sarà così che lo chiamerò – feci scoppiare tutti a ridere, tranne lui, che mi lanciò un’occhiataccia.
Per ora sono io il clown di turno, mi dispiace.
«Sei forte.» affermò il ragazzo muscoloso e riccio alla mia sinistra. «Io sono Liam Payne, piacere di conoscerti.» si presentò e gli sorrisi, stringendogli la mano.
«Io sono Harry Styles.» esultò il riccio seduto di fianco al rosso, quasi fosse entusiasta del suo nome. Strano il ragazzo. Ma sorrisi anche a lui.
«Io sono Zayn Malik.» si presentò poi il pachistano, sfoggiando un sorriso a dir poco esilarante.
«Io e te ci conosciamo già.» concluse infine l’irlandese, sorridendo più che mai.
«Già…» risposi, annuendo e ‘sorridendo’ a tutti.
«Io vado a dormire, buonanotte.» sbottò Louis, di punto in bianco.
«Lou, aspetta!» cercò di fermarlo Harry, ma senza successo.
«Perché fa così?» chiese ingenuo Zayn, alzando le braccia al cielo.
«Sono io il problema: non gli vado a genio. E bè, la cosa è reciproca.» ammisi io, anche se senza un minimo di dispiacere che velava la mia voce.
Tutti mi guardarono stranamente, quasi volessero studiarmi coi laser.
«Che c’è?»
«Oh no, niente. È solo che solitamente le ragazze non resistono al fascino di Louis.» confessò Liam, seguito dall’annuire silenzioso di tutti gli altri.
«Nemmeno io!» disse Harry, alzando la mano.
Risi e poi lo guardai.
«Ma tu quanti anni hai?»
«Non si chiedono queste cose a…»
«A una signora? Mi dispiace, ma non mi risulta che tu lo sia. Anche se non lo so con certezza.» lo interruppi, facendoli ridere tutti di nuovo, lui compreso.
«E va bene! Ho diciott’anni, contenta?» disse ed io annuii, soddisfatta. «E tu sei un soldato, giusto?» mi chiese poi lui, come se ne volesse solo la conferma.
«Sì, proprio così.»
«E come mai sei qui? Non hai una casa?» domandò cortesemente Zayn.
Abbozzai un sorriso ed abbassai lo sguardo.
«Bè, diciamo che io non ho più… diciamo che non ho più un’identità per la mia famiglia.»
«Oh… dev’essere dura.» sospirò Niall, dispiaciuto.
«No, non lo è. Ho imparato a cavarmela. Sapete, in quel collegio tutto diventa enorme, e tu diventi invisibile, solo. Ma devi pur sempre sopravvivere: è questo il bello della sfida.» dissi, battendomi un pugno sulle mani e sorridendo.
«Non so come fai. Sei davvero strana per essere una ragazza.» disse convinto Harry, squadrandomi per bene.
«E tu sei davvero troppo delicato per essere un ragazzo.» gli feci eco io, imitandolo il meglio possibile. Risero di nuovo.
Fu una cosa strana quella perché solitamente io non facevo ridere le persone: le facevo piangere, ci facevo la lotta per sopravvivere. Io non avevo un contatto con gli esseri umani da due anni.
E tornare alla ‘normalità’ fu strano quanto incredibilmente emozionante. Fu come una nuova, gioiosa avventura, dove scoprii una nuova me, una me che non avevo mai visto né conosciuto fino ad allora.
«Bè ragazzi, io vi saluto. Ci vediamo domani.» dissi, alzandomi.
«Okay, buonanotte Jessica.» mi salutò Niall.
«Notte!» esclamarono gli altri, sorridendomi.
Rientrai in casa e salii le scale, sempre con il sorriso stampato sulle labbra.
Ma la cosa cambiò non appena passai davanti alla camera di Louis.
«Sì! Ti dico che secondo me è un maschio travestito da donna! E poi è antipatica!» sentii dire.
La porta era socchiusa e potei dedurre che stesse parlando al telefono con qualcuno e che la persona in questione fossi io.
«Ma certo che sì! Si innamorerà di me, prima o poi.» affermò poco dopo, ridendo.
Ma brutto cretino! Ora vengo lì e ti stacco la testa come se fosse un mattoncino delle costruzioni!
Scossi la testa arrabbiata ed entrai in camera mia, chiudendomi dentro e buttandomi sul letto.
Sentii qualcosa di freddo scorrermi lungo il viso e mi ci volle un po’ prima di capire che fosse una lacrima. Una stupida e inutile lacrima.
Non dovevo piangere, non era nei miei piani.
Non mi sarei fatta illudere, non mi sarei innamorata di lui: non volevo innamorarmi.
L’amore non faceva per me.
Lo consideravo una cosa da deboli. O forse debole ero io, che avevo paura di innamorarmi e di soffrire.
Gli occhi si fecero sempre più pesanti, un nodo doloroso mi si piazzò in gola e tutto intorno a me divenne sfocato.
Mi sforzai di non far uscire un singhiozzo, ma non ci riuscii e fallii, proprio nel momento in cui dei passi si fermarono davanti alla porta della mia camera.
Qualcuno bussò ed io scattai in piedi, asciugandomi le lacrime ed inghiottendo a fatica quel nodo doloroso che non voleva andarsene.
«Chi è?» balbettai.
«Sono Niall.»
Sospirai ed aprii la porta, ritrovandomi davanti il volto di Niall e sembrava abbastanza preoccupato.
«Va… va tutto bene? Ho sentito un singhiozzo e… hai gli occhi rossi! Non avrai mica…»
Lo bloccai con un violento ‘Sh’ e lo tirai dentro la mia camera, richiudendo poi la porta.
«Tu non hai sentito niente, chiaro?» dissi, con voce minacciante e tenendogli un dito puntato addosso.
«Okay, ma non posso accettare di vedere una persona star male e non poter fare niente per aiutarla. Quindi ora mi dici che hai.»
«Ecco… un momento di debolezza.» dissi, arricciando il naso.
«Non ti credo.» disse semplicemente lui, avvicinandosi a me. «Puoi fidarti di me.»
«Non mi giudicherai, vero?» gli chiesi e lui annuì, anche se sconcertato.
«Ho sentito Louis parlare al telefono prima: la porta della sua camera era aperta e… stava parlando di me. Mi ha definito una donna travestita da uomo.» la voce tremò e mi fermai un secondo per riprendere fiato. Poi continuai. «Ma ha affermato che riuscirà a farmi innamorare di lui.» conclusi, chiudendo gli occhi per impedire ad altre lacrime di scendere.
«Lascialo stare, lui è così. Devi solo… far finta di niente.» mi consigliò, per poi fermarsi un secondo e fissarmi.
«Non giudicarmi.» gli ricordai, ma sembrò non ascoltarmi.
«Io credo che tu stia usando solo un travestimento. C’è qualcosa che non va in te, o nel tuo passato. Non lo so. Ma se piangi per uno come Louis, bè… sei debole.» affermò, facendo spallucce.
Involontariamente, un’altra lacrima scese dai miei occhi, attirando la sua attenzione.
La asciugai subito, ma evidentemente non servì.
«Tu non sai cosa sono io, né cosa ho passato.» dissi, cambiando improvvisamente tono.
Lui cambiò espressione e cercò di giustificarsi, ma lo fermai di nuovo.
«Non so se il tuo è un giudizio o un consiglio, ma sappi che io continuerò ad andare avanti da sola, come ho sempre, e ti ripeto sempre fatto.»
Sospirò e si avvicinò alla porta, scuotendo la testa.
Ma prima di uscire si fermò di nuovo.
«Jessica, io ti aiuterò. Puoi contare su di me.» confessò, serio.
«Ti faccio pena, vero?»
«No. Mi ricordi solo qualcuno che conosco.» rispose vago, per poi aprire la porta. «Ah, buonanotte.» concluse ed uscì.
Rimasi a guardare la porta per qualche istante e poi mi voltai verso lo specchio appeso alla parete.
Fissai la mia immagine attentamente.
Era tutto vero: quella era una maschera.
Una stupida, inutile, debole maschera, tanto indifesa quanto fatta su misura.
Peccato che le cose su misura, mano a mano che noi cresciamo, diventino sempre più piccole, fino a non starci più bene.
Forse avrei dovuto farmene un problema, ma quella frase ‘Io ti aiuterò’ continuava a rimbombarmi nella testa, impedendomi di reagire da sola come avrei solitamente fatto.


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Spazio ai pinguini!
PEEEEEEEERDONATEMI!
Non sono riuscita ad aggiornare prima, scusate!
Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace!!
Okay, ora passo al capitolo ahah.
Dite la verità, non ve lo aspettavate un Louis così stronzetto, eh?
Muahahahahahah, sapete che nulla è scontato nelle mie storie è.é
Sarebbe stato troppo semplice fare il classico Louis sorridente e divertente che vediamo nei video diary, così ne ho creata una versione tutta rivisitata! (?)
Ahahah, no seriamente... 
Avrete capito che Jessica non è la ragazza dura e fredda che sembrava all'inizio. 
Sappiate che molto presto cambierà.
Sappiate anche che il nostro amichetto Nialler ha un bel segreto, eheh.
Ma io non vi anticipo altro perché sono cattiva! Ahahahahahahah!
Ora vado, lasciatemi qualche recensione per i miei amici pinguini ed unicorni e ricordatevi che se non lo fate si arrabbiano.
Presto cambierò animali, ve lo prometto ahahah.
Ciao bellezze belliffime! (?)

Un bacio, Serena xx

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Capitolo 4
*** 3. Maybe I’m not brave. ***




Chapter 3

Maybe I’m not brave.

 
Uscii di casa salutando solo Trudy quella mattina.
Iniziai subito a lavorare, anche perché non avevo voglia di vedere Louis, o Niall.
Iniziai con tutte le solite attività quotidiane, e dopo un po’ mi fermai per riposarmi.
Abbassai la testa, respirando lentamente e lasciando che i miei polmoni si riempissero a pieno, quasi fino a scoppiare.
Era una sensazione leggermente dolorosa, ma era quello che serviva per farmi calmare.
Masochista? Forse tra tutti i miei difetti c’era anche quello.
Ma poi sentii qualcuno sfiorarmi il braccio destro e scattai in piedi.
«Oh, avrei dovuto immaginarmelo.» sbottai, non appena mi ritrovai davanti Louis.
«Buongiorno Jessica, anche io sono felice di vederti.»
«Ma guarda un po’, io no!» ringhiai, ricominciando a camminare.
Mi seguì.
«Si può sapere cos’hai? Che ti ho fatto?» mi chiese, con quella sua vocina ingenua.
«Che hai detto, semmai.» lo corressi, facendo una pausa e voltandomi verso di lui.
Non crollare, Jessica, puoi farcela. Tu puoi.
«E comunque niente, solo che sono una donna vestita da uomo o una cosa del genere.» dissi, come se non me ne importasse nulla, lasciandolo lì con una faccia da pesce lesso.
Ma poi mi ricordai di aver dimenticato una cosa e tornai indietro.
«Ah, secondo te io dovrei innamorarmi di un individuo del genere?» gli chiesi, indicandolo e squadrandolo da testa a piedi.
Ma poi scossi la testa, storcendo il naso.
«Nah, non credo proprio.» mi diedi una risposta da sola, lasciandolo peggio di prima.
Colpito e affondato.
Ma sentii ancora i suoi passi avvicinarsi a me.
«Che c’è, non ti è bastata… ehm… com’è che ti chiami? Ah, Louis, sì. Che c’è, non ti è bastata, Louis?» sputai, con un’espressione strafottente sul viso.
«Uno: non puoi parlarmi così. Due: chi ti avrebbe dato conferma che io stessi parlando di te ieri sera?»
Gli scoppiai a ridere in faccia.
«Lo hai appena fatto tu, tesoro.» lo presi in giro, senza smettere di ridere.
Ma vidi che non capì, così chiarii.
«Chi ti ha detto che io intendevo proprio della tua ‘conversazione telefonica’ di ieri sera?»
Vidi il suo volto oscurarsi e la sua mascella serrarsi.
«Oh, comunque parlavo di ieri sera.» dissi infine, tornando al mio lavoro.
«Ma tu che animale sei?» mi chiese, con tono di disprezzo.
Non ci rimasi male, anzi.
«Aspetta, fammi pensare… sono un Purosangue Inglese
Stavolta rise lui.
«Quindi saresti un cavallo?» chiese, ancora ridendo.
«No, caro mio. Sono di razza, al contrario tuo. Sono originale, al contrario tuo.» sputai.
Sarei rimasta ad insultarlo per ore: era troppo divertente!
«Anche io sono originale, come dici tu.» mi fece bocca lui ed io risi.
«No, tu sei un pagliaccio, è diversa la cosa. Forse le tue ‘battute’ sono ‘originali’, ma sottolineo quel forse.» risposi, con un sorrisino strafottente.
«Sai che ti dico? Fottiti
«Anche tu, tesoro.» gli urlai, dopo che si allontanò.
«Non chiamarmi tesoro!» urlò di risposta lui, per poi entrare in casa.
Risi e tornai a lavorare, ma poi mi sentii osservata ed alzai la testa.
Vidi Niall e Liam sotto al fienile che mi guardavano sconcertati. Quando videro che li avevo notati, si scambiarono un’occhiata d’intesa e Niall si avvicinò.
Sbuffai.
Era così palloso quell’irlandese.
«Jessica, Jessica, Jessica…» disse, come per rimproverarmi.
«No, la ramanzina no…» dissi, imitando un tono imploratore.
Rise.
«Niente ramanzina, tranquilla. Solo un chiarimento…» disse e gli feci segno di parlare. «Dove hai imparato a rispondere così? No, voglio dire… è difficile fare andar via Louis a testa bassa.» affermò, anche se leggermente amareggiato.
«Veramente se n’è andato a testa alta e questo mi ha delusa…» lo corressi, facendolo sorridere. «Per la prima domanda sinceramente non lo so. Sicuramente è stato… no, niente, lascia perdere.»
Stavo per dire grazie a mio padre.
A mio padre!
No! Io lo avevo dimenticato quel tipo lì!
Non era degno di un posto nel mio mondo!
«Sicuramente è stato…?» cercò di farmi dire lui, ma scossi la testa convinta, facendo una smorfia per fargli capire che non fosse importante.
«Io lo sapevo.» disse convinto. «Tu non sei coraggiosa come sembri.»
Strinsi i pugni e serrai la mascella, per poi spostare i miei occhi verdi nei suoi azzurri.
«Senti, io e tu dobbiamo mettere in chiaro una cosa. Tu non devi dirmi cosa sono e cosa non sono, perché, se solo io volessi, ti staccherei quei due begli occhietti azzurri che ti ritrovi.» ringhiai, ma lui scosse la testa e si avvicinò a me.
«Coraggio, sono qui. Avanti.» disse, tentandomi. «Fallo, Jessica.» continuò.
Sentii di colpo le forze calarmi e le ginocchia cedere.
Mi ritrovai in ginocchio per terra, con il viso tra le mani, a singhiozzare, a piangere.
A fare l’unica cosa che non volevo fare!
Niall si inginocchio vicino a me e mi abbracciò, stringendomi forte.
«Va tutto bene.»
«No! No che non va bene! Sono un mostro!» dissi, trattenendo a stento le urla.
«Non lo sei, Jessica. Questa ne è la prova.» sussurrò, cercando di farmi calmare.
«Vale ancora la tua proposta di aiuto?» gli chiesi, dopo essermi un po’ calmata.
Lui sorrise ed annuì.
«Però devi promettermi una cosa.» contrattò ed io annuii. «Non devi innamorarti di Louis
«Perch…» cercai di chiedere, ma mi bloccò subito.
«Ti chiedo solo questo.» disse, cercando di convincermi.
Cedetti ed annuii.
Forse era vero.
Forse non ero coraggiosa.
 
 
«Jessica, possiamo parlare un attimo?» mi chiese Harry, prima che entrassi in casa.
Mi voltai e feci qualche passo verso di lui.
Il punto era che non volevo vedesse il mio viso.
Avevo passato una giornata intera a piangere e, essendo una ragazza che non piange mai, non sarebbe stato difficile notare gli occhi rossi, le occhiaie e il viso pallido, nonostante fosse quasi notte.
«Dimmi pure…»
«Allora… io non ho nulla contro di te, assolutamente, ma…» lo interruppi con un gesto brusco della mano.
«Riguarda Louis?»
Si zittì per un momento, agitando le mani in cerca di un diversivo ma, non riuscendo a trovarlo – o non avendo il coraggio di mentire con me – crollò ed annuì, sospirando.
«Bene, non mi interessa.» mi congedai, sorridendo.
Arrivata davanti alla porta di casa mi voltai di nuovo verso di lui: sembrò esserci rimasto male.
Sbuffò e si sedette sul muretto di pietra: vederlo in quello stato mi spezzò il cuore.
Forse stavo diventando troppo sensibile, ma non potevo far soffrire una persona come Harry.
Era troppo tenero e poi mi sentivo di volergli bene, senza alcun motivo.
Sospirai e roteai gli occhi, per poi avvicinarmi a lui e sedermi.
«Scusa.» sussurrai, dandogli una spinta con la spalla.
Sorrise e si voltò verso di me, mostrandomi le sue dolcissime fossette e i suoi denti perfetti.
«Sai, magari è stupido ma io ti voglio bene.» disse, per poi fare una lunga pausa, come volesse far soffermare i miei pensieri su quella frase.
Bè, se quello era il suo scopo, ci riuscì.
Nessuno me lo aveva mai detto così esplicitamente, nessuno.
«Però voglio bene anche a Louis.» continuò dopo un po’, riportando la mia attenzione su di lui.
«Lo so Harry, e mi dispiace. Ma è che io proprio non lo sopporto…»
Abbozzò un sorriso e scosse la testa, per contraddirmi.
«Non voglio che voi due diventiate ‘amici per la pelle’, perché vedo e so che non sarebbe mai possibile. Però vorrei un po’ di equilibrio tra di voi.» disse, anche se non capii.
«Spiegati meglio.» lo incitai e lui subito annuì.
«Voglio dire che vorrei che, ad esempio quando si mangia, fossimo tutti a tavola. Non che se ci sei tu va via lui o viceversa. Fatelo anche per Trudy: si vede che tiene a voi due più di quanto tenga a tutti noi altri messi insieme!» esclamò, alzando leggermente la voce.
Aveva ragione.
Ci stavamo comportando da bambini.
«Hai ragione, Harry. Per me non c’è problema.» dissi, imponendomi di seguire quel ‘consiglio’ prima che diventasse un ordine o prima che comportasse un mio possibile ‘licenziamento’.
«Bene, questo era proprio quello che volevo sentirti dire!» esclamò, alzandosi e porgendomi la mano per aiutarmi.
La afferrai e mi alzai, per poi ricevere un caloroso abbraccio da parte sua e un ‘Ti voglio bene’ sussurrato all’orecchio.
Sorrisi per ringraziarlo e gli scompigliai i ricci.
«Ci vediamo a cena, riccio!» lo salutai, sorridendo.
Entrai finalmente in casa e, dopo aver salutato Trudy, salii in camera mia per farmi una bella doccia.
 
Quando scesi a cena notai un silenzio imbarazzante.
Appena mi videro, tutti si lanciarono delle occhiatine complici e dispiaciute e lì per lì non capii se quello fosse un bene o un male.
Comunque sia presi posto a tavola ed iniziai a mangiare, ma quella ‘pace’ durò ben poco.
«Jessica, poco fa abbiamo ricevuto una chiamata…» disse Trudy, facendomi smettere di mangiare ed attirando la mia attenzione.
«Si trattava di me, da quanto vedo.» buttai là con nonchalance e lei annuì, rattristita.
«Ecco… tua madre ha scoperto la verità su di te.» confessò e mi cadde la forchetta dalle mani.
Non avevo precisamente capito di cosa si trattasse, ma non andava affatto bene.
«Vuole che tu torni a casa…» disse, per poi fare una pausa. «…domani.» concluse.
In un secondo il fiato venne a mancarmi e tutto intorno a me diventò… invisibile.
«Finisci di mangiare e va’ a dormire: domattina alle otto ti verranno a prendere.» disse infine, alzandosi da tavola e invitando tutti gli altri a fare lo stesso.
Se ne andarono tutti, ma Niall si fermò e si sedette di fianco a me.
«Ehi…» disse, poggiando una mano sulla mia spalla. «Andrà tutto bene, Jessica, coraggio. Torni a casa, dovresti essere…»
«Contenta?» domandai, con la voce stremata dal pianto. «Non lo sono, Niall. Non riesco e non voglio esserlo.» conclusi, riabbassando la testa.
«Vorrei aiutarti, ma non so come…»
«Vedi… mio padre mi ha spedito in quel collegio perché diceva che io ero una poco di buono, una troietta. E sai perché? Perché frequentavo gente sbagliata. Il sabato sera mi ubriacavo e venivo accompagnata a casa sempre da un ragazzo diverso. E mio padre si faceva i suoi filmetti mentali, pensando chissà cosa potessi fare! Il bello era che io non facevo assolutamente niente. Ma mi ha voluta mandare lì dentro, dove mi hanno torturata, malmenata, declassificata, dove mi hanno tolto un nome e un’identità! Poi una settimana fa mi hanno scelta per farmi uscire, ma quando sono tornata a casa una vicina mi dice che mia madre era all’ospedale per partorire e che sarebbe dovuto essere difficile per lei dopo la morte della loro prima figlia, ovvero io. Niall, ti rendi conto di cosa ha fatto mio padre?»
Vidi il suo volto come cadere nella penombra e, di punto in bianco, mi abbracciò.
«Io non voglio tornarci lì.» dissi in quell’abbraccio, piangendo.
«Andrà tutto bene, troverò un modo per far sì che tutto torni apposto.»
Ma nonostante tutti i suoi tentativi di tranquillizzarmi, dentro di me sentivo che quella sarebbe stata la fine.


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Spazio ai pinguini!
Hello people!
Come voi ben saprete oggi è un giorno molto importante per noi Directioners.
Due anni fa un genio chiamato Simon Cowell mise insieme cinque semplici ragazzi che sono diventati la mia fottuta vita.
E siccome devo ringraziarli perché mi hanno risollevata da un momento di profonda crisi (?), lo faccio insieme a voi.
Quindi... GRAZIE, ONE DIRECTION!
Okay, ora passiamo al capitolo...
Nel prossimo vi aspetta un colpo di scena che caratterizzerà tutta la storia.
In poche parole entriamo nel bel mezzo del racconto.
Non vi metto spoiler perché so di far crescere solo un'immensa ansia in voi, quindi me ne starò zitta zitta ad aspettare che voi recensiate.
Vi ringrazio per le recensioni dolciosissime che mi avete lasciato nei capitoli seguenti - soprattutto nel prologo - e vi ringrazio perché già qualcuno l'ha messa nei preferiti. *si sente soddisfatta*
Anyway, sono particolarmente cretina questi giorni ahah.
Ora vi lascio, scusate se vi ho annoiati.
Lasciatemi qualche recensione. Anche se oggi non ci metto pinguini e unicorni di mezzo non significa che voi non dobbiate lasciarmi qualcosina, ahah.
Basta, vado davvero perché sembro scema (e lo so).

Un bacio, Serena xx

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Capitolo 5
*** 4. Don’t even try to catch me. ***




Chapter 4

Don’t even try to catch me.

 
«Jessica, è il momento!» sentii qualcuno urlare da fuori la porta della mia stanza.
Non dormii quella notte. Pensai a cosa fare e trovai una soluzione.
Sì, da sola e senza problemi.
Presi un respiro profondo e scesi, senza nessuna borsa né idea di andarmene.
Uscii nel portico e vidi mia madre, mio padre e una bambina vestita di rosa che dormiva beatamente nel passeggino.
Appena mi videro, mia madre si coprì la bocca per soffocare un pianto e mio padre sorrise.
Oh, conoscevo bene quel sorriso e non andava affatto bene.
«Tesoro!» esclamò lei, correndo ad abbracciarmi.
Non ricambiai il gesto.
«Andiamo a casa, coraggio. Dove sono le tue borse?» chiese mio padre, guardandosi intorno.
Mi staccai da mia madre e strinsi i pugni.
«Io non vengo.» dissi, anche se a voce un po’ troppo bassa.
«Come?» sbottò lui, accigliato.
«Io non vengo.» risposi, quasi ringhiando.
«Ma, tesoro…» cercò di dire mia madre, ma non la lasciai continuare.
«Non immagino quanto possa essere difficile per loro ‘rimpiazzare’ la loro prima figlia.» dissi, riportando le parole della donna che mi ‘accolse’ quando tornai a ‘casa’.
«Ma cosa…?»
«Io ero morta per voi, no? Perché cercarmi? Che motivo ne avevate?» chiesi, rimanendo fredda e facendo bollire una rabbia immensa dentro di me.
«Anne, ti proibisco di parlare così a tua madre! Ora fila in macchina! Faremo i conti a casa!» urlò mio padre, rimproverandomi come se fossi una bambina.
Non mi venne nemmeno pensato che avessi tutti gli operai della fattoria e Trudy vicino, inclusi Liam, Niall, Harry, Zayn e Louis.
«Ma ti senti? Tu credi che dopo tutto quello che mi hai fatto passare io ti consideri ancora mio padre?» gli risposi, sfidandolo. «Sono maggiorenne ormai. Ho un lavoro, una casa e sto bene così come sto. A casa io non ci torno.» conclusi, incrociando le braccia al petto.
Guardai per un secondo il viso di mia madre.
Piangeva.
E Niall mi era venuto a dire che non ero un mostro?
Ma quella cosa non servì per farmi cambiare idea.
«Perché?» sussurrò mia madre, asciugandosi qualche lacrima.
Mi avvicinai a lei e la abbracciai, per poi allontanarmi freddamente di nuovo.
«Va’ a casa, mamma. Avete lei adesso.» risposi, indicando il passeggino.
«Andiamo May!» impose mio padre, rientrando in macchina con la bambina.
Guardai per l’ultima volta il viso di mia madre e guardai per l’ultima volta le sue lacrime, prima che si voltasse e se ne andasse, scuotendo la testa, delusa e amareggiata.
L’uomo mise in moto la macchina e lasciò lo spiazzale di casa con una grande sgommata, lasciandomi sola con gli sguardi di tutti i presenti puntati addosso.
Li guardai uno ad uno e poi alzai le mani al cielo.
«Non avete da fare?» sbottai, cercando di trattenere le lacrime.
Mi voltai e me ne tornai in casa, correndo in camera mia.
Avevo appena cancellato tutta la mia vita e loro mi guardavano come se avessi sbagliato.
Magari non avevo fatto la cosa più giusta, ma non sapevano cosa avessi passato.
Non sapevano chi io fossi realmente, né cosa potessi essere capace di fare.
Mi tuffai sul letto e, una volta col viso sul cuscino, iniziai a piangere, fregandomene di sembrare pazza o debole.
Volevo solo piangere.
Ma poi sentii qualcuno bussare.
«Jessica! Aprimi, sono Niall!» disse e sembrava quasi arrabbiato.
Lanciai un pugno al materasso e corsi ad aprire la porta, infuriata.
Lo ritrovai lì, appoggiato al muro che mi guardava con un’espressione infuriata.
«Sei scema? Hai visto come hai fatto rimanere tua madre?»
«Tu non sai niente del mio passato! Smettila di giudicarmi!» gli urlai contro, voltandomi dall’altra parte.
«Allora perché piangi?» urlò di risposta lui, avvicinandosi a me.
«Non lo so
«Sì che lo sai! Lo fai perché sei debole, perché hai paura di tutto: della vita, dell’amore e soprattutto del tuo passato
Continuava ad urlare, ed io a piangere silenziosamente.
Quelle cose erano così vere che facevano male.
«E non sai cosa significa amare.» concluse, fermandosi di colpo.
Sentii la rabbia arrivare al limite e mi voltai di colpo verso di lui.
«Non puoi saperlo.» ringhiai, tenendo i pugni tanto stretti da farmi male.
«Sì che posso! Basta guardarti!» ribatté.
«Oh certo, quindi vorresti dirmi che tu lo sai cosa significa, vero?»
Ora voglio vedere che mi rispondi.
«Mi dispiace deludere le tue aspettative ma sì, lo so.» rispose bruscamente, avvicinandosi a me, quasi come se volesse farmi del male.
«Non mi fai paura, sappilo.» lo avvertii, guardandolo in cagnesco.
Abbozzò un sorrisino e si avvicinò ancora a me.
«Dovresti avere paura di me, invece.» rispose, stavolta quasi sussurrandolo.
«Non sei un buon attore.»
«E tu non sei brava a dire bugie.» disse infine, per poi uscire dalla mia camera così com’era entrato.
Quando si allontanò da me lanciai un sospiro di sollievo e sentii il mio cuore battere molto, troppo velocemente.
Paura? No, forse qualcos’altro che non conoscevo ancora.
Non pensai più a niente e mi cambiai, per poi uscire e raggiungere Trudy nell’orto.
«Che devo fare?» le chiesi, anche se leggermente in imbarazzo.
Con tutta calma si fermò, chiuse l’acqua e si voltò verso di me, guardandomi attentamente.
«Niente sarà facile per te, ragazza mia. D’ora in poi sarai sola, nel vero senso della parola. Sappi che io non ti aiuterò, al di fuori di offrirti questa casa e questo lavoro.» disse, sicura di sé.
Annuii, facendo una smorfia incomprensibile, e tornai a concentrarmi su di lei.
«Devi imparare a cavalcare se vuoi davvero rimanere qui. E l’unico che può insegnarti è Louis.»
La tentazione di protestare fu immensa, ma non avevo altro posto al mondo.
Strinsi i denti ed annuii di nuovo, voltandomi ed iniziando a camminare in direzione della fattoria.
«Niente pazzie, Jessica.» urlò dietro di me.
Annuii, anche se non poté vederlo, e continuai a camminare, fino a raggiungere la scuderia.
Entrai e bussai alla porta dell’ufficio, dove Louis stava sistemando delle cartacce e, sentendo il rumore, alzò subito la testa.
Vedendomi sorrise maliziosamente.
«Oh, ma guarda. Ecco il purosangue Inglese. Bella figuraccia stamattina: un perfetto modo per iniziare la giornata. Per me, intendo.»
«Prima cosa: stai zitto. Seconda cosa: sono qui solo perché mi ha obbligata tua zia.»
«Uh, una segretaria. Sono proprio eccitato all’idea.» disse, interrompendomi.
Abbozzai un sorriso e poi gli lanciai un’occhiataccia: cambiò subito espressione.
«Devi solo insegnarmi a cavalcare. E vedi di farlo bene.» ringhiai, comportando una risatina in lui.
«Dopo stamattina non mi fai più un minimo di ‘paura’, questo devi saperlo. Per quanto riguarda insegnarti a cavalcare… lo farò. Ma non ringraziarmi: lo faccio solo perché sei penosa.» disse, ridendo.
«Sai cosa? Ti ringrazio lo stesso. Grazie Louis.» lo sfidai, abbozzando un inchino.
«Va’ a prendere il cavallo e muoviti. I pony sono nel paddock qui dietro.»
«Io non prenderò un pony.»
«E io non ti insegnerò a cavalcare. La mettiamo così?»
«Fottiti, Tomlinson.» conclusi, per poi uscire dalla scuderia e raggiungere il paddock dei pony.
Lungo il tragitto incontrai Zayn, che mi guardò con un’espressione triste e continuò il suo lavoro, facendomi rimanere davvero male.
Ma cercai di lasciar stare.
Presi uno di quei minuscoli cavallini nel recinto e gli infilai quella che doveva essere una sella.
Infine mi diressi verso il recinto, dove mi aspettava Louis.
«Guarda, è fatto su misura per te!» scherzò lui, mentre io mi offesi.
Anche se non lo diedi a vedere, ovvio.
Cercai solo di illudermi del fatto che fosse una cosa passeggera e che tutto si sarebbe risolto.
Sì, era solo un’illusione.
 
 
«Dio, se lo odio!» sbottai, salendo le scale.
«Chi odi?»
Alzai la testa di scatto e mi ritrovai davanti Liam.
«Oh, ciao Liam. No, niente…» risposi, facendo la vaga. Ma lui rise.
«Louis.» disse, sostituendo la mia risposta.
Sbuffai ed annuii, anche se sorridendo.
«Riguarda la lezione di oggi?» mi chiese poi.
«Sì. Mi ha fatto cavalcare un pony. Un pony, ti rendi conto?» dissi con una vocina isterica e più che ridicola.
«Tranquilla, passerà. Prima o poi anche lui si accorgerà di quanto sei speciale.»
Sorrisi e lo guardai: era un ragazzo dolcissimo.
«Sai, è strano: sei l’unica persona che non ha cercato di riprendermi o giudicarmi per la ‘scenata’ di stamattina.» dissi, fissandolo negli occhi.
Stavolta sorrise lui.
«Non ne ho bisogno. Credo che se hai fatto quello che hai fatto, hai i tuoi motivi. Io non giudico le persone, semplicemente per il fatto che non amo molto essere giudicato.» rispose, stringendosi nelle spalle.
«Ah, fossero tutti come te a questo mondo!» dissi poi, alzando le mani al cielo.
«Liam, puoi scendere che ho bisogno di una mano?» disse una voce maschile, probabilmente Zayn.
«Arrivo!» rispose lui, per poi tornare a concentrarsi su di me. «Senti, noi stasera usciamo: andiamo in discoteca. Ti andrebbe di unirti a noi?»
Quell’invito era molto raccapricciante, ma non potevo.
O meglio, più che questione di potere, era una questione di volere.
Ancora una volta il passato si faceva sentire, bruciando dentro di me come un fuoco onnipotente.
«No Liam, grazie. Sono stanca e mi fa male la schiena: credo che rimarrò a casa.»
«Okay. Ma se cambi idea… per noi non c’è nessun problema.» si congedò, sorridendo.
Sorrisi a mia volta e poi salii in camera mia.
Chissà, magari sarebbe potuta essere una buona idea per ambientarmi meglio e conoscere meglio i ragazzi, ma c’era qualcosa che mi bloccava.
L’insicurezza, probabilmente.
Scossi la testa, rimuovendo momentaneamente tutti i ricordi, ed entrai nella doccia, lasciando che l’acqua facesse scivolare via da me quel velo di paure e rimorsi.
Era ovvio che l’acqua non fosse sufficiente.


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Spazio ai pinguini!
Ehilà bellezze!
Scusate per il piccolo ritardo ma non sono riuscita a pubblicare il capitolo prima...
Allora... ecco qua la sorpresa che vi avevo 'preannunciato', ovvero il 'rifiuto' di Jessica :)
Come vi avevo detto nel capitolo precedente, è qui che inizia la vera e propria storia. 
Non alludete a conclusioni affrettate, non date nulla per scontato e cercate di non sottovalutare nessun particolare, questo è l'unico aiutino che vi do.
Ahahah, ecco la parte perfida di me che esce fuori, oh YEAH!
Anyway, vi ringrazio perché ci avviciniamo di già alle 30 recensioni totali e perché fa sempre piacere leggere quello che scrivete, davvero.
Mi aiuta a crescere, a migliorare e a sentirmi apprezzata.
Bene, oggi non ho davvero nessuna cavolata in mente, quindi vi lascio un po' così, pardon!
Grazie ancora a tutti e... Au revoir!

Un bacione, Serena xx

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Capitolo 6
*** 5. I can’t stay alive. ***




Chapter 5

I can’t stay alive.

 
«Tu non esci, Jessica?» mi chiese Trudy, vedendo che non mi andai a preparare come tutti gli altri.
«No, mi fa male la schiena.» risposi, sorridendole.
Ricambiò il sorriso ma, quando feci per aiutarla a sparecchiare mi fermò.
«No, ferma. Va’ a dormire e sappi che ti voglio bene, anche dopo quello che hai fatto stamattina.»
Rimasi spiazzata dal suo comportamento, ma la ringraziai e salii in camera.
Attraversai il corridoio a passo lento e, quando arrivai davanti alla stanza di Niall, decisi di fermarmi.
Bussai.
«Chi è?»
«Sono Jessica. Posso entrare?»
Dei passi si avvicinarono alla porta, che poi si aprì.
Mi ritrovai il suo volto davanti e, a contatto visivo con i suoi occhi, rabbrividii.
«Che vuoi?» mi chiese, quasi scocciato.
Ecco, appunto… che volevi Jessica?
«Niente, solo… parlare
Fece spallucce e mi fece entrare, per poi richiudersi la porta alle spalle.
«Parlare di cosa?»
Ora devi inventarti qualcosa.
«Bè, tu sai il mio ‘segreto’ quindi ora vorrei sapere il tuo…» buttai là, anche se già sapevo la risposta che avrei ricevuto.
Infatti sbuffò.
«Jessica, io devo andare: non ho tempo da perdere.»
«Okay, questo mi costringe a venire in discoteca con voi per sapere cos’è che nascondi dietro quel bel faccino.» sbottai, ma lui non sembrò importarsene.
«Tanto non verrai veramente.»
«E perché no?»
«Louis.» rispose, come se fosse ovvio.
Roteai gli occhi e sbuffai, incrociando le braccia al petto.
«Sei palloso. Non so come i tuoi amici possano sopportarti. Per te la vita è tutta un gioco, dove basta leggere le soluzioni e il fatto è finito, vero?» chiesi, accigliata.
«No, semplicemente sono io l’inventore di quel ‘gioco’.» rispose, con nonchalance come sempre.
«Dai tutto per scontato, ogni cosa che dici o pensi diventa realtà o legge. Dimmi come fai, almeno.»
«Esperienza.» rispose lui, aprendo la scarpiera e tirando fuori un paio di scarpe.
Io scoppiai a ridere.
«Esperienza? O, ma davvero? Allora perché non ne ho un poca anche io? Ho la tua stessa età, no?»
«Jessica, Jessica…» disse, avvicinandosi a me e poggiandomi una mano sulla spalla, come per confortarmi. «Io non ho vissuto per due fottuti anni in un collegio, lontano dal mondo. Io so cosa significa vivere
Mi sentii offesa e persa nello stesso momento.
Quell’irlandese dai capelli ossigenati colpiva sempre il punto giusto, facendoti rimanere malissimo.
Il punto però non era solo cosa diceva, ma come lo diceva.
«Ti senti tanto grande ed importante da far sentire tutti gli altri inferiori, vero? Tanto speciale da dare al resto del mondo l’impressione che, anche se non esistesse, tu staresti bene lo stesso. Ma lascia che ora te la dica io una cosa, caro irlandese: non so chi sia stato a farti ragionare così, ma il tuo egocentrismo un giorno sprofonderà, insieme a tutto il tuo orgoglio e a tutta la tua sicurezza che, se solo potessi, mi mangerei a colazione. E sai perché? Per sapere cosa si prova nel vedere piangere gli altri. Fai schifo, Niall.» sputai, per poi dirigermi verso l’uscita. «Ah, un’ultima cosa. Mi piacevi, fino a dieci minuti fa.»
Sentita quella frase si voltò verso di me, con gli occhi sgranati.
«Da-davvero?» balbettò e ci rimasi quasi male nel sentirlo così.
Per una volta si era sentito insicuro.
«Sì. Ma non ti illudere, perché ora se non mi fai pena mi fai schifo.» conclusi, uscendomene da quella stanza e pregando di non doverci entrare mai più.
Nel breve tragitto che separava la camera di Niall dalla mia incontrai Harry, che mi sorrise e cambiò espressione vedendo il mio viso spento e i miei occhi lucidi.
Non mi aveva mai vista piangere e, presumibilmente, non credeva nemmeno che potessi farlo.
«Jessica, va tutto bene?»
Farfugliai qualcosa e poi annuii, anche se non gli diedi la convinzione sufficiente per farlo andar via soddisfatto.
Da quando ero arrivata in quel posto mi ero fatta più nemici che altro, e quella cosa non mi faceva onore.
Avevo deciso di cambiare vita, una volta uscita da quell’inferno di collegio.
Ma mi resi conto ben presto che quella era una pacchia in confronto al mondo di fuori.
 
 
Mi rigirai per l’ennesima volta nel letto: mi sembrava impossibile addormentarmi.
Sbuffai e mi tirai su, voltandomi verso l’orologio: segnava la Mezzanotte.
Scesi e mi infilai un paio di pantaloni e una felpa, per poi uscire dalla mia stanza, quindi di casa.
Iniziai a camminare verso la scuderia.
Amavo entrare lì dentro e osservare i cavalli. Poi c’erano uno strano odore, uno strano calore e uno strano silenzio che mi facevano dimenticare di essere umana per un secondo.
Entrandovi, capivi quanto gli animali fossero migliori degli esseri umani e quanto, se solo muniti della parola, ti avrebbero potuto aiutare.
No. Se avessero la parola ti manderebbero a quel paese!
Iniziai a camminare, fino ad arrivare all’uscita sul retro della scuderia, che dava sul campo da allenamento.
Guardai bene e vidi una figura umana seduta sulla recinsione.
Lì per lì presi paura, ma poi notai quella cresta così alta e capii fosse Zayn.
Sorrisi e mi avvicinai. Lui si voltò e, vedendo che fossi io, lanciò un sospiro di sollievo e mi salutò, sorridendo.
«Ehi… non sei uscito?» gli chiesi, prendendo posto vicino a lui sulla staccionata.
«Sì, ma c’era troppa confusione in discoteca, così me ne sono tornato a casa.» rispose lui, finendosi il contenuto di una bottiglia di vetro, presumibilmente birra.
«Non amo la confusione, preferisco stare da solo.» disse infine, come per dare una spiegazione alla sua frase precedente.
Abbozzai un sorriso.
«Sembri il perfetto contrario.» gli risposi, iniziando a guardare il cielo.
«E tu a me sembravi una ragazza diversa, ma dopo stamattina…»
«Oh no, ti prego. Lasciamo stare…» lo interruppi, portandomi una mano tra i capelli.
«Volevo solo dirti che ti capisco: anche io ho fatto la stessa cosa un anno fa.» concluse, con nonchalance.
Mi voltai di scatto verso di lui, a occhi sgranati e, vedendo la mia espressione, sorrise.
«Ti capisco, anche io ho vissuto una specie della tua situazione. Mio padre mi mandò in caserma appena compiuti i diciotto anni.» iniziò a raccontare, fissando il cielo.
«E tu?»
«Bè, quello stile di vita non faceva per me. Non sono un tipo egocentrico, ma non amo nemmeno le regole. Essendo maggiorenne, ho deciso di andarmene e trovarmi un lavoro. Così ho incontrato Louis e… eccomi qui!» esclamò infine, voltandosi verso di me e sorridendo.
«Wow.» ammisi, con un’espressione sorpresa.
Quel ragazzo tutto sembrava meno che un ex soldato.
«So che è strano, ma è così. Ti ritrovi allo sbaraglio così, da un giorno all’altro e all’inizio non sai nemmeno dove andare. La sera che lasciai la caserma ero disperato: non potevo tornare a casa o mio padre mi avrebbe ucciso. Così pensai bene di rivolgermi a Louis.» continuò a raccontare. «Sai, sei stata fortunata.»
Sorrisi, per poi assumere un’espressione malinconica.
«Non lo so, a volte vorrei tornare là dentro. È come se non mi sentissi abbastanza.» ammisi, cercando di non alludere a un pianto o a un lamento.
«Se devo essere sincero a volte anche io me ne pento. Ma poi mi ripeto che se avessi continuato mi sarei potuto trovare davanti a una situazione esasperante, avrei dovuto uccidere delle persone, non sarei stato più lo stesso. Solo il pensiero mi fa male.» confessò, sospirando.
«Continuo a ripetere che ti facevo diverso. Sembri quel tipo di ragazzo insensibile, con poco cuore, duro. Invece sei tutto il contrario.» dissi, osservandolo attentamente.
«Se devo dirti la verità anche tu mi sembravi molto diversa prima.»
«Diversa come?» chiesi, sorridendo.
«Non so, più maschiaccio. Invece vedo che anche tu hai dei sentimenti, e vedo che soffri.»
Abbozzai un sorriso e scossi la testa.
«Mi fate paura, tutti quanti. Sembrate dei veggenti o cose simili, non so davvero come facciate.» ammisi, anche se leggermente amareggiata.
«Non è la cosa più facile da ammettere, ma è stato Louis a renderci così.»
Sbuffai al solo sentir pronunciare quel nome e Zayn rise.
«Pian piano ti ci abituerai anche tu, vedrai. E ti piacerà.»
«Nah, non credo.» conclusi, sorridendo.
Sorrise anche lui e poi scese dalla staccionata.
«Buonanotte Jessica. È stato un piacere parlare con te.» disse, continuando a sorridermi.
Il suo sorriso era così bello che avrei anche potuto farci l’abitudine.
Al contrario di quello di Louis, che mi alterava i nervi ogni volta.
«Anche per me lo è stato. Buonanotte Zayn.»
Rimasi a guardare la sua figura che si allontanava, fino a scomparire del tutto.
Dopo un po’ anche io me ne andai, ma non a dormire: rimasi nella scuderia.
Avrei potuto abituarmi anche a quella, ma puzzava troppo di Louis.
Oh, aspettate: tutto lì sapeva di lui.


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Spazio ai pinguini!
Ma buonsalve a tutti!
Alour, ho messo il capitolo perché sinceramente non vedevo l'ora.
Ne ho preparati parecchi dei seguenti e secondo me sono kdjfgisuohgi.
Anywaaay...
Oggi ho conosciuto un ragazzo inglese. Non c'entrava nulla ma volevo dirvelo lol.
Ahahah, okay, torno in me.
Discorsetto tra Jessica e Malik.
Non succederà niente di che tra di loro, ma aspettatevi molte sorprese.
Non vi anticipo niente, come al solito vi lascio sulle spine. Muahahahahah.
Però lasciatemi qualche recensione, okay? c:
Sapete che ci tengo, e anche i miei pinguini. (?) loool
Niente da dire, a parte che voglio bene a tutti voi. 
A presto!!

Un bacione, Serena xx

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Capitolo 7
*** 6. Oh well, I don’t care. ***




Chapter 6

Oh well, I don’t care.

 
Uscii dalla scuderia e vidi una macchina fermarsi davanti casa.
Erano tornati.
Il mio primo desiderio fu quello di svanire nel nulla, ma poi li vidi quasi tutti ubriachi e decisi di rimanere lì per farmi due risate.
L’unico sobrio sembrava Liam.
«Uh, c’è Jessica!» urlò Louis barcollando, indicandomi.
Risi.
Tutti si voltarono verso di me e Niall, non appena mi vide, si avvicinò.
«Sai che sei bellissima?» disse.
Era ubriaco marcio.
Si avvicinò ancora a me e mi prese il volto tra le mani: sentii una puzza di alcool orrenda.
«Puh, quanta roba hai buttato giù, Horan?» chiesi, sfuggendo dalla sua presa e riprendendo fiato.
«Un paio di bicchieri di Vodka e qualche bottiglia di birra!» urlò dietro di lui Liam.
«Ma vuoi morire?» sbottai, stavolta contro il biondo, che continuava a guardarmi con uno sguardo sognante.
Gli tirai due schiaffetti, sperando di riportarlo sulla terra, ma non ci riuscii.
«Jessica, lo porti su te? Io ho da fare con questi altri due cretini!» mi chiese Liam, ridendo.
«Ma anche no!»
«Okay, grazie! Sai dov’è la camera di Niall.» concluse, entrando in casa con Harry e Louis a braccetto.
Sbuffai e mi avvicinai al biondo, aiutandolo a camminare.
«Quindi ti piaccio, eh?» mi chiese, mentre lo accompagnavo dentro casa.
«No, Niall, no.»
Lo sentii singhiozzare.
Era ubriaco: potevo illuderlo.
«Okay sì, un po’.» dissi poco dopo, riportando un sorriso sul suo viso.
«Anche tu.» disse lui, sorridendomi e abbracciandomi.
«Sì, va bene. Ora lasciami, così ti aiuto a salire le scale.»
Riuscii a staccarmelo di dosso e lo aiutai a salire le scale, poi aprii la porta della sua camera e lo feci sdraiare sul letto.
Lo sistemai per bene e, una volta finito, feci per uscire, ma mi prese per un braccio.
«Che vuoi ancora?» chiesi, a bassa voce.
«Fammi compagnia, per favore.»
Annuii, anche se scettica, e abbozzai un sorriso.
Mi misi a sedere in un angolino del letto e mi sorrise. I suoi occhi si illuminarono come mai avevano fatto prima.
Ecco cosa mi piaceva di lui. Ma dopo quello che mi aveva detto quella sera mi sentii così ferita che, se solo avessi potuto, me ne sarei andata.
Perché sì, io davanti alle difficoltà scappavo.
«Sei bellissima, come Kathelynn. Anzi, forse di più.» disse, continuando a sorridere come un ebete.
«Chi è Kathelynn?» gli chiesi, scuotendo la testa.
«Lei è il mio angelo.» rispose, e poi chiuse gli occhi.
«Angelo? Ma che…?» non feci in tempo a concludere la frase che lo sentii russare.
Lo guardai e scossi la testa, ma poi mi ritrovai a sorridere, incantata su quel ragazzo che avevo davanti.
Gli accarezzai una guancia e gli stampai un bacio in fronte, infine mi diressi verso la porta e spensi la luce, sussurrando un leggero ‘Buonanotte’, tanto piano da renderlo quasi impercettibile.
Chiusi la porta dietro di me ed entrai nella mia stanza, dove mi buttai sopra al letto ed iniziai a fissare il soffitto, attorcigliandomi i capelli sulla punta delle dita.
Era una situazione strana, come se di colpo molte cose uscissero fuori, anche senza volerlo.
Quella sera dissi a Niall di avere un debole per lui e la cosa carina fu che lo dissi senza neanche rendermene conto.
Il mio cervello non aveva ancora elaborato quell’informazione, ma il mio cuore sì.
Ed era arrivato ad essere tanto sicuro da spararlo fuori così, senza nessun preavviso.
Forse quella fu la cosa che mi infastidì di più, perché io dovevo saper controllare me stessa, ma in quel periodo scoprii che il mio autocontrollo era andato a farsi fottere.
 
 
«Jessica!» sentii qualcuno urlare vicino a me e saltai dal letto.
Aprii gli occhi e mi ritrovai avanti Harry.
«Ma tu le svegli sempre così le persone?» sbottai, urlando come un’isterica.
Lui rise.
«No.» rispose, sorridendo. Poi riprese. «Prima di tutto… buongiorno! Poi, oggi è sabato e, come d’abitudine, il venerdì sera, il sabato e la domenica Trudy lascia a noi ragazzi del tempo libero. Abbiamo pensato di andare a farci una scampagnata in montagna. Vieni anche tu.»
«Non mi va.» gli risposi, ributtandomi a letto con il viso verso il cuscino.
«Non era una domanda! Tra mezz’ora ti aspettiamo di sotto: vedi di non fare tardi!» urlò, uscendo dalla porta.
«Cosa?!?» urlai di risposta io, alquanto irritata. Ma l’unica cosa che sentii fu una risatina e dei passi scendere le scale.
Sbuffai e mi tirai su, infilandomi per prima cosa sotto alla doccia.
Quei ragazzi erano strani. Uno non viene a svegliarti alle sei di mattina quando torna a casa alle tre di notte ubriaco marcio.
La normalità? Quelli nemmeno sapevano cosa fosse.
Mi vestii, presi qualche cosa che potesse essere utile in montagna e scesi le scale, anche se ancora assonnata.
Ed eccoli lì tutti e cinque, uno più sveglio dell’altro.
Niall già suonava la chitarra e Zayn già si era sistemato la cresta.
Bah.
«Buongiorno Jessica!» mi salutò con un sorriso enorme Liam.
Quel ragazzo era davvero dolcissimo, forse l’unico, tra i cinque, ad essere sincero e spontaneo con me. Non si vergognava del suo vero essere.
Oh, non ne aveva bisogno.
«Tieni, questi sono per te.» disse, allungandomi un sacchetto pieno di panini e bottigliette d’acqua.
Lo ringraziai ed infilai tutto nella borsa, senza riuscire a non sbadigliare.
Poi qualcuno dietro di me si schiarì la voce, attirando la mia attenzione e facendomi voltare.
«Oh, ehm… buongiorno Niall.» dissi, anche se leggermente imbarazzata.
«Sì, buongiorno. Senti, riguardo a ieri sera…» lo bloccai subito.
«Facciamo come se non fosse successo nulla, okay? Amici?»
Lo guardai negli occhi e, invece di sorridere come feci io, sembrò rattristarsi.
Sospirò ed annuì, afferrandomi la mano.
«Amici.» acconsentì, anche se visibilmente di malavoglia.
«Uh, i piccioni sono pregati di uscire dalla stanza: il mangime è fuori.»
Louis.
Mi voltai e gli lanciai uno sguardo di sfida.
«Oh, Tomlinson… ma che dolce che sei. Sai, ci ho fatto l’abitudine ormai. Non mi offendo più.»
Rise e si avvicinò a me.
«Cedrai, prima o poi. Diventerai così debole che al mio solo batter di ciglia ti verrà da svenire.» sussurrò, convinto.
«Su due cose devo correggerti, Louis. La prima: io sono già debole. La seconda: non svengo mai.» dissi, stampandomi un sorrisetto strafottente sulle labbra.
«Oh, bè, chiariamo comunque una cosa. Tu cadrai ai miei piedi, e su questo argomento non ci piove. Sarai tu ad innamorarti, e mi vorrai così tanto che ti sentirai vuota, persa, come se tutto il tuo mondo diventassi io in un solo giorno. E io… bè, ti userò semplicemente.»
Risi e scossi la testa, guardandolo.
«Ah sì? E dimmi… chi ti dice che non sarai tu ad innamorarti?»
Fece una smorfia e sorrise, facendomi l’occhiolino.
Mi venne la nausea.
«Prendilo come un avvertimento, Parker.» sputò infine, allontanandosi.
Non mi piaceva affatto quel tizio.
Era troppo superficiale, sicuro di sé ed egoista. Non vedevo dove fosse quella ‘fortuna’ della quale parlava tanto Zayn.
Io li odiavo i tipi come Louis. E odiavo chi mi chiamava per cognome. Apparteneva a mio padre e io odiavo tutto di lui.
Automaticamente odiavo anche me stessa.
Cercavo, anzi mi imponevo di convincermi che non ero di sua proprietà, ma non ci riuscivo.
Ero semplicemente succube di lui e del suo ricordo: la fonte della mia debolezza.
E, giunta a quel ragionamento, pregai solo che uno di quei cinque veggenti lì dentro non ci arrivasse, o sarebbe stata davvero la mia fine.
 
 
«Harry, sei sicuro che quella è la direzione giusta?» sbuffò Liam, stanco di camminare.
«Giusto Harold, sono due ore che camminiamo a vuoto!» frignò ansimante Zayn.
«Oh, smettetela di lamentarvi e fatemi concentrare!» sbottò infine il riccio, riconcentrandosi sulla cartina.
Sorrisi tra me e me e mi avvicinai a lui, dandogli una pacca sulla spalla.
Forse ero l’unica che non accusava un minimo di stanchezza.
«Posso vedere la cartina?» sussurrai, evitando di farmi sentire dagli altri.
Harry mi guardò, come stranito, ma poi annuì e me la passò, sorridendo.
Lo ringraziai ed iniziai a guardare: sì, la stava tenendo all’incontrario.
Cercai di trattenermi, ma non ci riuscii e scoppiai a ridere, facendo voltare tutti verso di me.
«Jessica, va tutto bene?» chiese preoccupato Niall.
Il mio ultimo tentativo fu quello di ricompormi, ma quando incrociai gli occhi di Harry non ci riuscii.
«Ecco… la cartina era all’incontrario.» affermai, ripiegando il foglio.
«Cosa?!?!» urlarono tutti gli altri in coro, incluso Harry, come se la causa fossi stata io.
«Bene, ci siamo persi!» si arrese Liam, sedendosi.
Louis, che per tutto il tragitto non aprì bocca, parlò.
«Perfetto! Mi tocca rimanere in montagna con una come te!» sputò, indicandomi.
«Come se a me facesse piacere stare con te!» risposi io, difendendomi.
«Ehi, ehi, calmi. Dobbiamo trovare una soluzione, non litigare.»
«Liam ha ragione. Ora uniamo le forze e…» iniziò a dire Niall, ma lo bloccai.
«Io so come tornare indietro, ma dovremmo aspettare il tramonto.»
«Te lo scordi, rossa! Io con te tutto questo tempo non ci sto!» si lamentò di nuovo Louis, buttandosi a sedere a terra.
«Okay, trovatevi la strada di casa da soli se volete. Io aspetterò il tramonto e poi raggiungerò la baita, tranquillamente. Voi fate come volete.» conclusi, prendendo posto per terra e tirando fuori qualcosa da mangiare.
«Lou, Jessica ha ragione. Lei è stata per un anno in montagna da sola e ha superato la prova di sopravvivenza al collegio. Forse dovremmo darle una chance, non credi?» cercò di convincerlo Harry, appoggiato dal consenso di tutti gli altri.
Io e Louis ci guardammo per un secondo.
Se non fosse stato così sicuro di sé ed egocentrico avremmo potuto benissimo convivere in pace, ma, comportandosi così, non mi lasciava altra scelta che ‘attaccarlo’.
È la legge: preda o sei predato.
«E va bene!» acconsentì, sbuffando. Tutti gli altri risero, ma poi lui continuò. «Ma solo per stavolta, perché rischiamo di essere sbranati dai lupi!»
Si sentì qualcuno sbuffare ma io, inconsciamente, sorrisi.
Per una volta qualcuno aveva fiducia in me.
Non volevo essere ripagata, o amata o chissà quale altra sciocchezza.
Volevo solo che qualcuno credesse in me e nelle mie capacità.
Volevo che per una sola volta in tutta la mia vita qualcuno sapesse che Jessica Anne Parker non era la semplice ragazzina estroversa e impulsiva che aveva passato due anni della sua vita nella Dark Mountains, ma una ragazza piena di capacità, sentimenti e sì, anche debole emotivamente.
E avrei imparato a conviverci, con qualche aiuto. Avrei imparato ad amare, ad essere amata, a stare bene con gli altri.
Ma, sinceramente, non vedevo come potessi in quel momento e con quelle persone.


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Spazio ai pinguini!!
Bonsoir!
Perdonatemi per il ritardo, davvero!
Ultimamente sto 'trascurando' un po' EFP...
Allora... passiamo al capitolo!
Ma voi ve lo immaginate un Horan ubriaco che vi confessa il suo 'amore'? Jodujfhpsoibuphdihgpbiuspugàbn.
Io morirei davanti a quegli occhi! olijpouhpouhpsoiuhpgfiu
Solo a pensarci sorrido come un'ebete, bella cosa sìsì. #ironia
Poi non so che dire... Louis boh, è della serie che se fosse davvero così e riuscirei ad incontrarlo lo prenderei a sprangate! lol
Poooooovera Jessica.
Anyway...
Posso dire una sola cosa?
Mi aspettavo più recensioni a dire la verità.
Io di solito aspetto le 5 recensioni o di più per andare avanti, ma ero ansiosa di caricare il continuo.
Però qui me ne lasciate qualcuna in più per favore? *occhi da cucciolo*
Sapete, mi servono anche per migliorare c:
So che mi ascolterete... o i miei pinguini vi perseguiteranno nei vostri sogni e vi renderanno la vita un inferno! (?)
Ahahah, no, basta, era squallida.
Ultimamente sono a corto di battute. ç___ç
Vabuono (?) ... lasciatemi qualche recensione e ditemi se vi piace: non fatemi vagare nel vuoto! (?)
UhUh, me ne vado in silenzio senza disturdare nessuno di voi. 
Buona serata gente, YOH!

Un bacione, Serena xx

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Capitolo 8
*** 7. I don’t care about your regrets. ***





Chapter 7

I don’t care about your regrets.

 
«Dovremmo esserci.» dissi, guardandomi intorno.
Era notta fonda ormai, ma ero sicura di aver raggiunto il punto che mi avevano descritto i ragazzi.
«Sì, ecco la casetta! Grazie Jessica!» esclamò entusiasta Harry, abbracciandomi.
Tutti gli altri lo ricopiarono, tranne Louis.
Ma poi delle gocce ci allertarono: si avvicinava un temporale.
In effetti non passarono molti secondi e dal cielo si riversarono milioni e milioni di gocce fredde e pesanti e, per quanto cercammo di fare in fretta, entrammo in casa tutti bagnati.
«Oh, speriamo ci sia ancora della legna.» sospirò Zayn, iniziando ad accendere le candele che fungevano da luci.
«Zayn, hai dei fiammiferi o solo l’accendino?» chiese Liam.
«A che ti serve?» chiesi pronta io, con una coperta sulle spalle per riscaldarmi.
«Per il fuoco, a che altro sennò?» rispose strafottente Louis.
Liam sbuffò e gli lanciò un’occhiataccia, per poi sorridermi ed annuire.
Ricambiai il sorriso e infilai una mano nella mia borsa, poi allungai a Liam la scatolina di fiammiferi e lasciai che accendesse il fuoco.
Presi posto a terra ed iniziai a mangiare, mentre gli altri suonavano e cantavano.
«Noi ci ritiriamo a dormire…» affermò Harry alzandosi.
«Buonanotte!» esclamarono, andandosene.
Per quanto quella casa sembrasse piccola era molto capiente.
Ma era ovvio che quei cinque idioti non sapessero nemmeno come raggiungerla.
Mi avvicinai di più al fuoco, cercai a lungo di addormentarmi, ma quel tentativo non dimostrò alcun risultato.
Quella giornata fece riaffiorare il passato, i ricordi, ovvero tutto quello con il quale non volevo convivere.
Non per il momento, almeno.
Ci averi fatto l’abitudine, certamente. Mi sarei abituata a quel trambusto, a quella confusione dentro di me, ma non volevo farlo in quel preciso istante.
Forse per pigrizia, o addirittura per paura.
Non lo avrei mai detto, ma quell’irlandese mi aiutò a diventare consapevole che quelle esistessero e mi aiutò ad abituarmici.
Ma non mi sarei fatta aiutare a dimenticare il mio passato. Cioè, sarebbe stato lui a rifiutare, ne ero certa.
Qualcosa mi diceva che l’unico in grado di aiutarmi fosse Louis.
Ma perché? Perché farmi aiutare proprio da lui?
Avrei potuto benissimo farlo da sola. Non subito, ma ci sarei riuscita.
Con il tempo, molto tempo.
Chiusi gli occhi, ma senza addormentarmi.
Rimasi a concentrarmi sui rumori che, anche se momentaneamente, erano in grado di distrarmi dai miei pensieri.
La prima regola di una recluta è prestare attenzione, avere i riflessi pronti, i muscoli sempre tesi.
Non riposare mai.
Non che fossi nelle circostanze di essere sbranata da un lupo, o di essere uccisa da un cacciatore che ti scambia per un cinghiale.
I pericoli  in quel momento non erano altro che quei cinque ragazzi, il rosso in particolare.
E, proprio quando il sonno iniziò a cullarmi e mi fece rilassare, dei passi mi ‘risvegliarono’.
Aprii a fatica gli occhi e mi guardai intorno.
Non vidi altro che una persona seduta accanto a me. Delle gocce di sudore gli imperlavano la fronte, anche se quella era coperta da dei ciuffi ribelli.
Spostai il mio sguardo debole sul suo profilo e lo riconobbi dal naso a patata: Louis.
Scattai a sinistra, allontanandomi da lui, e lo vidi sorridere per poi voltarsi verso di me.
«Sei lenta.»
«Stavo dormendo, idiota!» sputai, per poi rovinare il mio ‘momento di gloria’ con un enorme sbadiglio.
«Senti, io e tu siamo partiti con il piede sbagliato e…» disse, ma poi si fermò da solo, come per pensare.
Scosse la testa ed abbozzò un ‘No, niente’.
Io risi tra me e me e tornai a guardare il fuoco.
«Louis, credi che io non abbia capito cosa hai intenzione di fare?» gli chiesi, voltandomi nuovamente verso di lui.
Fece alcune smorfie, lasciò fluttuare la sua mano in aria, in cerca di qualche risposta plausibile, ma evidentemente non la trovò.
Sospirò e mi guardò negli occhi: rabbrividii.
Quella era la prima volta in cui mi trovai in contatto visivo con Louis.
Ma non dovevo lasciare che mi distraesse.
«So che mi hai sentito parlare, quella sera. Ma capiscimi: ero infuriato!» cercò di giustificarsi, ma senza successo.
«No, non ti capisco! Non è una buona scusa questa! Per quale motivo dovrei innamorarmi di te? E per quale motivo dovrei essere una persona orribile? Spiegamelo, perché non l’ho capito.» risposi, alzando leggermente il tono di voce.
Se solo avessi potuto mi sarei messa ad urlare, ma non mi sembrava il caso dato che gli altri quattro stavano dormendo.
Tuttavia mi alzai ed iniziai a camminare in lungo e in largo per la stanza, seguita dallo sguardo attento di Louis.
Mi irritava un bel po’.
«Non lo so, okay? È solo che tutte le ragazze che si sono presentate nella fattoria sono finite… bè… sono finite nel mio letto.» fece una pausa ed abbassò la testa, come imbarazzato.
Io ne me ne stupii: avevo capito che tipo era.
Ma poi riprese a parlare, facendo un lungo sospiro.
«Ma quando ti ho vista ho capito che non sarebbe stato facile con te. E ho capito anche che mia zia si è affezionata tanto che potrebbe difenderti ed appoggiarti in qualsiasi caso, anche se fossi tu la colpevole di un grande reato. E questo a me non è mai successo. Per questo credo di odiarti.» rispose infine, quasi come se fosse ovvio.
«Non rendere tutto semplice, Louis. Nulla lo è. A volte dovresti imparare a guardarti allo specchio e cercare di osservare cosa vede chi hai intorno, cosa vede la gente comune. So che è difficile, ma è un bell’esame di coscienza che ti consiglio. Non sono tua amica, ma questo è un consiglio da tale.»
«E se io volessi esserlo? Cioè, se volessi essere tuo amico?» chiese poi, alzandosi di scatto.
Abbozzai un sorriso e lo guardai, scuotendo la testa.
«Sai che non accadrà. A volte le cose brutte non mi sfiorano nemmeno, ma questa volta quello che hai detto su di me mi ha colpita, e ha fatto male. E sta’ ben certo che non ti lascerò colpirmi di nuovo.» conclusi, voltandomi dall’altra parte. «Ah, buonanotte.» dissi infine, buttandomi sul divano e cercando di prendere sonno.
 
 
«E poi dovete sapere che lui continuava a crederci! Così io…»
I ragazzi continuavano a parlare ma a me non interessava.
Non avevo intenzione di utilizzare la cartina: ci aveva già fatti perdere una volta.
Quindi per il ritorno avrei dovuto contare solo su me stessa, visto che quegli altri cinque idioti non facevano altro che ridere, canticchiare e raccontarsi storielle.
Ma, nonostante tutto, le loro voci passavano via, quasi come sussurri nel vento.
L’unica cosa che riuscivo a sentire era il mio cuore che batteva.
E quel silenzio mi uccideva perché era rumorosissimo.
Sbuffai e mi voltai verso di loro, fermandomi di botto.
Li vidi bloccarsi e guardarmi con un’aria interrogativa quanto scocciata.
«Qualche problema?» chiese Liam, cortesemente.
«Bè, ecco… no, niente. Continuiamo a camminare.» risposi vaga io.
Non potevo certo dire loro che mi davano fastidio le loro inutili chiacchiere, anche perché proprio non mi interessavano.
E forse non erano neanche quelle ad infastidirmi.
Forse era quella solitudine, quel silenzio che mi avvolgeva.
D’altronde quando ero nei boschi succedeva sempre così.
Mi sentivo sicura ma vulnerabile allo stesso momento.
E quella mia vulnerabilità non mi permetteva di vedere il mondo umano con gli occhi di una semplice persona. Ero abituata ad osservare tutto con attenzione, come se ogni cosa potesse equivalere ad un pericolo.
Dopotutto aveva ragione Niall: lui aveva più esperienza di me nella vita.
Non aveva passato due anni in un collegio!
Ed era questo che dava più fastidio: la verità di quelle cose.
 
Ma di colpo tutti i miei pensieri furono interrotti da un tremendo dolore alla gamba sinistra.
Sentii le mie corde vocali bruciare e capii di aver lanciato un urlo.
Aprii i miei occhi e mi ritrovai tutti i ragazzi intorno a me, allarmati.
Abbassai lo sguardo e vidi solo sangue.
Mantenni la calma, respirai a fondo, ma il dolore era davvero forte.
Era come se il mio polpaccio fosse stato rinchiuso nel morso di un lupo, o di un orso che è ancora peggio.
Ma poi quella ‘morsa’ allentò la presa, lasciando solo un forte bruciore e una voglia enorme di urlare.
Ma non potevo farlo.
Mi avevano insegnato a soffrire in silenzio, ad essere consapevole che la morte e il dolore arrivano quando meno te l’aspetti.
Sentii qualcuno sollevarmi e qualcun altro mi fasciò la gamba che, presumibilmente, ancora sanguinava.
Poi svenni.
 
 
Fu come cadere nel vuoto e tremai su una superficie morbida.
Aprii piano gli occhi e la luce del sole mi accecò. Ma capii di essere dentro una casa perché, in qualche modo, la luce era frenata da un vetro.
La prima cosa che guardai furono le mie mani: erano sporche di fango e sangue.
Poi spostai lo sguardo sulla gamba sinistra e la ritrovai fasciata, anche se dalla fasciatura si intravedevano delle sfumature rosee.
Sangue.
La mano di qualcuno mi sfiorò la fronte, per poi posarvi un panno bagnato.
«Ha ancora la febbre.» disse una voce femminile.
Era ovattata: non riuscivo a distinguerla.
«Dovremmo farle fare l’antitetanica.» disse poi una voce maschile.
«Sì, chiamo un dottore.» concluse un’altra voce, sempre maschile.
«Riposati, Jessica. Starai bene.» disse ancora la voce femminile.
Mi venne naturale annuire flebilmente, per poi richiudere gli occhi.
Un rumore di tacchi si allontanò da me, fino a sparire dietro una porta.
Alzai un braccio e portai la mano alla testa: faceva davvero male.
I suoni continuavano ad essere ovattati, tutto sembrava essere rinchiuso in una bolla.
Eppure era tutto così reale. Non era un sogno.
Il dolore di poco prima, il sole che mi squarciò lo sguardo, quelle voci familiari.
Sperai solo di non essere in paradiso.
Non me lo meritavo, ecco tutto.


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Spazio ai pinguini!!
P E R D O N A T E M I !
Davvero, ho abbandonato EFP per più di una settimana, mai successa una cosa del genere!
Scusatemi davvero!
Prometto che non succederà più!
Ho avuto un po' di problemi ma state certi che tornerò ad aggiornare frequentemente come prima. :)

Ora passiamo al capitolo.
Innanzitutto vi ringrazio perché nello scorso capitolo mi avete fatto trovare davvero molte recensioni dolcissime.
Cioè, vi amo odutjhpiurhtiupgdriuhgpriju!
Poi, per questo capitolo mi sono ispirata un po' alle bellissime descrizioni che ci sono sul libro di 'Hunger Games'.
L'ho comprato da poco ma già ne ho letto un bel pezzo. Credo che mi comprerò anche gli altri due, YEAH!
Anyway, aspettatevi l'inaspettato dal prossimo capitolo! è.é
Vi avverto prima per evitare infarti o attacchi d'ansia improvvisi. (?) Muahahahahahah.
Ah, e scusatemi se l'ultimo pezzo è un po' duro ma credetemi: verrà di peggio. u.u
Ahahah, scerzo naturalmente!
Che altro dire?
Mah, niente di che.
Vi amo e basta.
Al prossimo capitolo, gente!

Un bacio, Serena xx

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Capitolo 9
*** 8. The truth hurts. ***




Chapter 8

The truth hurts.

 
Sentii un ago penetrare nella mia pelle e tremai, infastidita.
Poi aprii piano gli occhi e la luce li fece bruciare di nuovo.
Ma stavolta avevo la sensazione di vedere e sentire meglio.
«Si riprenderà, dottore?» disse la voce femminile che mi svegliò non molto prima.
Sentii un sospiro tagliare la tensione e poi una voce cupa rompere il silenzio.
«Per la gamba è difficile dirlo: ha subito una forte frattura e il muscolo è molto danneggiato. Aspetteremo che l’antitetanica faccia effetto e poi la opereremo.»
«Come sarebbe? Lei… lei non può, insomma…» balbettò qualcun altro, che fu interrotto sempre dalla stessa voce grave: il medico.
«Dobbiamo farlo o perderà l’uso della gamba, e forse saremmo costretti anche ad amputarla se non facciamo in fretta. Mi dispiace, ma questa è la verità. Per quanto riguarda la ragazza: le sue condizioni fisiche migliorano… La febbre si abbassa sempre di più e questo ci permetterà di eseguire l’operazione senza rischi.» affermò, sicuro di sé.
Si distinsero diversi sospiri e qualcuno sbuffò, preoccupato.
Io mi feci forza e cercai di aprire completamente gli occhi.
Scossi la testa e mi guardai a destra e sinistra: dei tubi erano attaccati alle mie braccia e la mia gamba era ancora fasciata. La benda, però, era pulita: questo stava a significare che aveva finalmente smesso di sanguinare.
«Jessica!» esclamò qualcuno, con il tono di voce tanto alto da farmi sobbalzare.
«Cosa succede?» sussurrai, senza smettere di guardarmi intorno.
Mano a mano le immagini diventavano sempre più nitide e alla fine riuscii a distinguere tutti i presenti.
L’unica donna era Trudy, poi c’erano i ragazzi e un omone barbuto alla mia sinistra, sulla sessantina d’anni. Era grasso, alto e muscoloso e i suoi capelli erano completamente bianchi, mentre la barba aveva ancora qualche sfumatura grigia.
Un lungo e largo camice bianco lo distingueva da tutti gli altri. Peccato che fosse macchiato leggermente di rosso.
«In montagna hai messo un piede in una tagliola e ti sei rotta la gamba sinistra.» disse Zayn, sospirando.
Cercai di ricordarmi, ma l’unica cosa che sovveniva era il bruciore dei miei occhi appena aperti.
Dovevano avermi drogato per non farmi sentire il dolore.
«Dovremmo operarla, signorina. È una cosa piuttosto grave.» affermò l’uomo, guardandomi.
Annuii flebilmente, ancora con poche forze, e cercai di mimare un ‘Va bene’ con le labbra.
Il medico sorrise compiaciuto e prese la sua valigetta.
«La verremo a prendere stasera. Si riposi, signorina Parker. Arrivederci.» concluse, per poi uscire dalla stanza e richiudersi delicatamente la porta alle spalle.
I ragazzi e Trudy si avvicinarono a me e sorrisero, anche se notai alcune lacrime.
Abbozzai un sorriso e scossi leggermente la testa.
«Sto bene e tutto andrà per il meglio. Non è la prima volta per me.»
«Sei già stata ferita da una tagliola?» chiese sbalordito Harry, ma io lo contraddissi scuotendo la testa.
«Mi sono beccata il morso di un lupo lo scorso anno, durante il percorso di resistenza in montagna.» confessai, tirando su un lembo della maglietta e mostrando l’enorme cicatrice che adornava il mio fianco destro.
Tutti si stamparono sul viso delle smorfie di ribrezzo, ma più io la guardavo più mi ricordavo di quanto fossi forte. Quello faceva sì che fossi più sicura di me in quel momento.
Liam scosse la testa e spostò lo sguardo su di me, cercando di sorridere.
Abbassai la maglietta e coprii i segni sul fianco, sorridendo appena.
«Ti lasciamo riposare, a più tardi.» dissero tutti, per poi uscire.
 
 
Arrivai in ospedale e l’unica cosa che mi fecero capire fu di dovermi fare un’anestesia totale.
Dopo aver farfugliato su alcune frasi, mi infilarono un imbarazzante camice sul rosa chiaro e un’orrenda cuffietta di cotone, e poi mi fecero stendere su una barella.
«Chiudi gli occhi, per favore.» chiese cortesemente un’infermiera, sorridendomi.
I suoi occhi azzurri – che erano l’unica parte di lei che potevo ammirare chiaramente – mi ricordavano quelli di qualcuno, ma non riuscivo a rielaborare i ricordi.
Tuttavia abbozzai un sorriso ed acconsentii, serrando le palpebre e stringendole ancora di più quando un bruciore atroce mi immobilizzò il braccio, poi pian piano si allargò e mi immobilizzò completamente, facendomi addormentare di nuovo nel giro di pochi minuti.
 
 
Qualcuno mi strinse la mano tanto da farmi leggermente male.
Non avevo la forza di aprire gli occhi, ma ricambiai la stretta con un leggero tocco di risposta.
Mi si ripresentarono dei suoni ovattati e, mano a mano che aprivo gli occhi, un velo leggero mi si posava su di essi, impedendomi di vedere bene.
Battei le palpebre diverse volte, anche se debole, fino a quando non distinsi una figura umana vicino a me.
«Si sta svegliando.» sussurrò, attirando l’attenzione di qualcun altro che si avvicinò.
«Jessica, riesci a sentirmi?» mi chiese e io annuii, cercando di stirare le labbra in un sorriso.
Sicuramente parve una smorfia di dolore.
«Ti lasciamo riposare: l’anestesia deve ancora svanire del tutto.» disse, per poi fare una lunga pausa. Fu come se volesse che io immagazzinassi tutte le informazioni per bene, come se non volesse sovraccaricare il mio cervello. Prese fiato e si lasciò andare a un piccolo gemito.
Ma non sembrò di tristezza, ma di felicità, di vittoria.
«L’intervento è andato bene.» concluse, per poi allontanarsi.
Rimasi ad esaminare quella voce maschile dentro la mia testa. Lasciai che quelle parole persuadessero tutto il mio corpo.
L’intervento era andato bene.
Magari non avrebbe dovuto farmi chissà quale effetto, dato che ci ero abituata.
Ma era sempre bello sentirsi dire che non rischi di morire, che non c’è nessun pericolo per te.
E, per quanto potessi essere brava con coltelli, archi e pistole, di pericoli per me ne esistevano eccome.
 
 
«Voglio camminare!» mi lamentai, stanca di essere spinta da Niall sulla sedia a rotelle.
Non appena varcammo la porta a vetri scorrevole dell’ospedale sentii come un sollievo, qualcosa che si sgonfiò nel mio petto e che lasciò spazio a un’altra emozione.
Libertà, probabilmente.
«Oh Jessica, smettila! Sono passati solo cinque giorni dall’intervento: non puoi ancora camminare.» protestò lui, per farmi zittire.
«Prima ci saranno le terapie, la riabilitazione e poi constateranno se la tua gamba sarà in grado di sopportare ancora il tuo peso. Altrimenti…» concluse vaga Trudy, come se non sapessi cosa sarebbe successo.
Altrimenti mi avrebbero amputato la gamba e abilitato una protesi.
Non continuai la frase: sapevo quanto a loro facesse ‘male’ sentirselo dire.
In qualche modo, i ragazzi – escluso Louis naturalmente – si sentivano colpevoli per quello che mi era successo.
«Dovevamo stare più attenti!» continuava a dire Harry in ospedale, credendo che io stessi dormendo e che non potessi sentire i suoi lamenti e i suoi singhiozzi perché sì: Harry piangeva.
E non se ne vergognava, cosa da invidiare a un ragazzo.
Poi c’era Louis che gli rideva dietro. Ma gli atri tre, naturalmente, prendevano le difese del riccio.
Si mettevano dalla sua parte.
E questo faceva sentire me ‘di troppo’, come se fossi stata io la causa della loro momentanea divisione.
Oh, ero io la causa. Senza mezzi termini.
Infatti Louis non si presentò quel giorno in ospedale.
Non so come mai, ma chiesi il perché della sua assenza e Trudy cercò di raggirare l’argomento con delle scuse insensate, credendo che io non conoscessi il motivo.
La cosa bella di quei ragazzi e di quella donna era che non mi conoscevano.
Ero brava a fingere, ero brava a nascondere la mia personalità.
E nonostante Niall cercasse di tirarmela fuori, io continuavo a nasconderla.
Poi c’era anche il rosso che ci provava.
Forse si erano divisi i ruoli. Niall e Harry, che erano i due con i quali avevo legato di più, tentavano di tirare fuori il ‘meglio’ – sempre se fosse esistito in me.
Louis, invece, cercava la parte peggiore, nonché quella dominante, quella che mi permetteva di rimanere fredda anche sul fatto che c’era una piccola probabilità di dovermi amputare quel pezzo di gamba, dal ginocchio in giù.
Ogni volta tamponavo la ‘piccola’ angoscia che adornava quel pensiero con la certezza che ce l’avrei fatta, che sarei andata avanti comunque.
Ma poi c’era la realtà che sovrastava la fantasia. La realtà che mi urlava in faccia la verità.
E la verità fa male.
 

Two weeks later.
 
 
Non volevo che il tempo passasse.
Non volevo che la situazione mi scivolasse di mano.
Volevo tenere tutto sotto controllo, com’ero abituata a fare.
Mi concentravo sulla terapia, sulla mia gamba, sulle medicazioni.
Cercavo in tutti i modi di andare avanti, di tenere duro, di recuperare.
C’erano stati diversi miglioramenti, anche se minimi.
Avevo ripreso sensibilità, anche se per ‘sensibilità’ si intendeva un leggero formicolio alle dita del piede sinistro.
Almeno il ginocchio non ne risentiva e la paura dei medici era proprio quella perché, in caso avessero dovuto amputare e il moncone fosse arrivato al ginocchio, quello almeno doveva essere sano.
Ma io non volevo nessun moncone.
Io volevo la mia gamba, con quell’enorme e brutta cicatrice che mi fungesse come altro ricordo.
So che ne avrei risentito a vita.
So che mi sarei vergognata anche di uscire in pantaloncini corti, ma poco mi importava.
Meglio una cicatrice che un pezzo di gamba in meno.
Però non potevo negare di avere paura, perché io avevo seriamente paura di non farcela.
 
Appena arrivai al centro dove si tenevano le terapie, l’infermiera che mi seguiva mi venne incontro, sorridente.
Il suo nome era Wendy, Wendy Lanes. Aveva dei lunghi capelli biondi rigorosamente raccolti in una coda adornata di boccoli, la frangia che quasi impediva di vedere i suoi luminosi occhi azzurri e un sorriso bellissimo, circondato da due labbra rosee tanto carnose da coprire i denti inferiori.
Puntualmente l’azzurro dei suoi occhi veniva accentuato da quel filo di matita nera che, anche se non abbondante, le dava un’aria punk ma delicata allo stesso tempo.
Non era alta, né magra.
Non aveva un bel fisico.
Ma la sua simpatia e la sua dolcezza ti facevano dimenticare il dolore.
E lo dice una che non si affeziona mai alle persone.
Dopo averla conosciuta bene, fu proprio lei a darmi la conferma di una mia teoria: era l’infermiera che mi disse di stare calma il giorno dell’intervento.
«Buongiorno Jessica!» esclamò, avvolgendomi in un caloroso abbraccio, per poi salutare Trudy con un bacio sulla guancia.
«Abbiamo una buona notizia e il dottor Selman ti aspetta in ambulatorio. Saluta Trudy, così ti accompagno.» disse, facendomi spuntare un enorme sorriso in volto.
Forse il primo dopo tanto tempo.
E quella sensazione fu piacevole, davvero.

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Vai giù...











Ancora più giù...
















Non mi basta, vai ancora più giù lol...













 

Sono un coniglio che balla la Lap-Dance, YOH! (?)


 

Ritorno in me, che dite?
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Spazio ai pinguini!
Sì, so che quella cavolata sopra non c'entrava proprio niente lol.
Però mi andava di farlo ahahahahahah.
Non è tenero quel coniglio?
Certo che lo è: è il mio amante. (????????????)
No, scherzavo. Io non ho un amante. Sono fedele a mio marito. Quello che non sa neanche che siamo sposati.
Ma che ieri sera mentre cantava What Makes You Beautiful mi ha indicata.
Come? Ha indicato anche voi?
Bene, i miei pinguini lo perseguiteranno a vita.

BAAAAAASTAAAAAAAAA.
Fermatemi looool.
Ora torno seria davvero, pur sapendo che quando Dio distribuì la serietà io ero a ballare la Lap-Dance con il mio coniglio.
Per chi la ballavo? Per mio marito, ovvio. Sì, quello che verrà perseguitato dai pinguini.

Anyway, passiamo al capitolo così la smetto di sparare cavolate alla cavolo. 
Cavolate alla cavolo, molto interessante...

COMUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUNQUE *verso della mucca* ...
ecco, mi sono dimenticata cosa dovevo dire.
Vabbbbbbbbbbene, sappiate che Jessica non morirà. Non per ora, almeno.
No, non morirà comunque. (Questa cosa non dovevo dirvela, ne va della mia inesistente coerenza.)

Siccome mi vengono solamente altre cavolate cavolose da dire (se volete saperlo, non mi piacciono i cavoli ma oggi mi va di tirarli in ballo...) vi lascio qui.
No, prima devo dirvi una cosa.
*Prende l'altoparlante e urla*
PARTO STANOTTE E TORNO VENERDI' SERA.
Volevo mettervi il capitolo o qualcuna di voi sarebbe morta per attacchi d'ansia e io non voglio far morire nessuno.
Sto scherzando ovviamente. (You don't say?)

Però, il fatto che io sia assente e che - se riuscirò - mi conetterò solo col cellulare spastico di mio padre, non deve impedirvi di recensire bellezze.
Oppure non saranno solo i pinguini a perseguitarvi, ma anche il coniglio ballerino. E vi perseguiterà in costume. (?)
Ma quanta roba a caso ho sparato fino ad ora?
Boh, mistero.
Spero solo che non abbiate smesso di leggere dopo la gif del coniglio. Ciò sarebbe molto errato ed inutile visto tutte le cavolate a seguire.
E poi il coniglio si sentirebbe offeso, ma okay.

Adesso vado via veramente e cercherò di tornare con un po' più di serietà che mi scorre nel sangue.
Lasciatemi qualche recensione bellezze.

Bye bye! 

Vi voglio bene! :')

Un bacio, Serena xx

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Capitolo 10
*** 9. A new start. ***




Chapter 9

A new start.

 
Wendy spinse la carrozzella lungo il corridoio, fino a quando non ci ritrovammo davanti a una porta orribilmente gialla con una targhetta bianca, sulla quale si distinguevano delle scritte color oro: ‘Dottor Ivan Selman, medico chirurgo ortopedico’.
Il dottor Selman mi seguì nell’operazione e durante le terapie.
Era un uomo agli sgoccioli della carriera, con dei segni del tempo che decoravano il suo volto e il suo corpo in generale.
Però, ogni volta che sorrideva, tutta la sua freddezza, tutto il distaccamento dal mondo che sembrasse avvolgere quell’uomo svaniva, cedendo il posto a un bello e sano sorriso: dei perfetti denti bianchissimi che, nonostante fossero passate settimane, facevo ancora fatica a distinguere da una dentiera o dai suoi veri denti.
L’infermiera mi si piazzò davanti e con un abile gesto della mano aprì la porta, che a me sembrava enorme vista da quella posizione.
La stanza era vuota, la serranda abbassata e solo pochi raggi di luce avevano il privilegio di illuminare lo studio.
Prima di tornare a spingermi, Wendy accese la luce e aprì la finestra.
Per quanto odiassi che lei si occupasse di me e mi spingesse la carrozzina, dovevo per forza lasciarla fare: era testarda.
A volte mi ricordava qualcuno che conoscevo bene.
«Il dottore sarà qui a momenti, quindi vedi di farti trovare sorridente.» mi prese in giro, pendendo sul fatto che io non sorridessi mai dentro quello studio.
Sbuffai e roteai gli occhi, anche se divertita, e lasciai che le mie labbra si stirassero in un sorriso forzato.
Lei sorrise spontaneamente a sua volta e soffocò una risatina, per poi avvicinarsi e posizionarsi in ginocchio davanti a me.
Odiavo quando lo faceva. Mi sentivo disabile, ovvero ciò che ero in quel momento.
«E fallo sembrare vero.» disse, continuando a sorridere.
Il mio sorriso divenne in pochi secondi ‘spontaneo’ e, visto ciò, la vidi sorridere ancora di più e annuire. Fece pressione sulle ginocchia e si tirò su, senza distogliermi lo sguardo di dosso.
«Proprio così.» affermò divertita.
Ma non passò molto che sentimmo dei passi sul pavimento.
Afferrai le fredde maniglie attaccate alle ruote della sedia a rotelle e effettuai una giravolta, pur sapendo chi si trovasse dietro di me in quel momento.
«Jessica!» esclamò il dottor Selman, sorridendo ed aprendo le braccia mano a mano che si avvicinava a me.
Mi avvolse in uno strano e caloroso abbraccio, poi mi lasciò, riportando gli occhi sulla cartellina di plastica azzurra che teneva sulle mani.
Sospirò e sorrise di nuovo. «Voglio che sia tu a leggere.» disse, spostando lo sguardo sui miei occhi.
Subito mille dubbi mi invasero: lui faceva sempre così quando doveva dare delle brutte notizie.
Tuttavia sospirai ed afferrai la cartellina.
Iniziai a scorrere l’indice sul foglio, il quale era pieno di scritte, ed arrivai a fondo pagina, dove mi aspettava la diagnosi.
La lessi velocemente e un enorme sorriso mi si piazzò sul volto quando adocchiai l’ultima frase.
Prima di alzare gli occhi la osservai attentamente, scorrendo diverse volte gli occhi su quelle poche ma importanti parole.
“Dunque è assicurato che la paziente tornerà a camminare senza il necessario uso di protesi.”
Sentii uno strano pizzicare e in pochi secondi le mie ciglia iniziarono a scolare.
Oh, conoscevo bene quella sensazione ormai.
Alzai gli occhi dal foglio e guardai attentamente il dottore, come per chiedergli la conferma definitiva di quello che avevo appena letto.
«Sì Jessica: tra sei mesi tornerai a camminare anche senza l’uso delle stampelle.»
Sapevo che sei mesi erano tanti, sapevo che mi sarei persa un altro, importante pezzo della mia vita. Ma avevo assicurato il seguito.
Niente compromessi, niente errori, niente monconi, niente protesi, niente stampelle o sedie a rotelle: niente di niente.
Una parte di me poteva essere finalmente sicura di tornare libera, per un periodo che sarebbe durato per sempre.
 
 
«Ragazzi, Jessica ha una notizia da darvi.» disse Trudy, riunendo tutti intorno al divano, dov’ero seduta io.
Le mie gambe erano a penzoloni, ma potevo già sentire quando i piedi sfioravano la terra.
Quando tutti presero posto e videro la mia falsa espressione seria, il volto di Harry si sbiancò e i suoi occhi iniziarono a luccicare.
Non volevo che si sentisse colpevole, non volevo che si sentisse male a causa mia perché volevo troppo bene a quel riccio rompipalle.
Così mi decisi e sorrisi.
«Tornerò a camminare tra sei mesi!» esclamai, entusiasta.
Ci fu un urlo di gioia generale e alcuni mi si tuffarono completamente addosso.
Tutti festeggiarono, anche se a modo loro, tranne Louis che, dopo aver sentito la notizia – che per me tra l’altro era la più bella del mondo – si allontanò da noi con un’espressione scioccata e uscì di casa.
Quando i presenti si calmarono, Harry si avvicinò a me e mi abbracciò forte.
«Va’ a parlargli.» sussurrò al mio orecchio.
Mi staccai bruscamente da lui e lo guardai come se fosse stato pazzo.
«E perché dovrei?»
«Vorrei che voi due chiariate. Vorrei vedervi amici.» sospirò, leggermente triste.
«Harry, ci abbiamo provato. Abbiamo parlato quella sera, in montagna. Ma non c’è verso: io non riesco nemmeno ad ascoltarlo. L’ho sentito con le mie orecchie quella sera. E il bello è che non nega di aver detto che faccio schifo e che prima o poi finirò a letto con lui, pur sapendo che non succederà.» dissi, alterandomi leggermente.
Sospirò ed abbassò lo sguardo, puntando i miei piedi. «So com’è Louis: a volte si gioca le poche buone carte che ha pur di far sapere a tutto il mondo cosa fa e cosa ha in mente di fare. Ma è questo che dovresti imparare ad apprezzare di lui, perché poi tutto verrebbe naturale.» confessò, sconfitto.
«Harry, non posso prometterti che ci riuscirò ma… proverò a parlarci.» vidi il suo volto illuminarsi nuovamente ed alzò il viso, sorridendomi. Ma quella sua gioia durò poco. «Non stasera, però.» dissi infine.
Lui sbuffò ed annuì, leggermente deluso.
Tuttavia sorrise, mi regalò un altro abbraccio e si allontanò, uscendo di casa nella direzione dell’amico.
 
 
Sentii qualcuno bussare alla porta della mia camera e voltai tranquillamente la testa verso quella direzione.
«Avanti.» dissi, con nonchalance.
La maniglia si abbassò e un po’ di luce penetrò nella camera, illuminata solo per metà dalla lampada da notte posta sopra al comodino.
La cresta bionda di Niall fu il primo elemento a distinguersi, seguito da tutto il suo corpo.
«Posso?» chiese, cortesemente.
Annuii e abbozzai un sorriso, battendo con la mano sulla superficie del letto, facendogli segno di sedersi vicino a me.
Sorrise a sua volta e si avvicinò, prendendo posto.
«Jessica, io volevo dirti che mi… ecco… mi dispiace per quello che è successo e…» iniziò a balbettare imbarazzato e ciò mi spinse a soffocare una risata.
Spostò il suo sguardo sul mio e scosse la testa, sconfitto, come se quello che stesse per dire non potesse uscire dalla sua bocca.
«Sai che puoi dirmi tutto, coraggio.» lo incoraggiai, cercando di voltarmi col busto verso di lui.
Prese un respiro profondo e chiuse gli occhi.
Quell’attimo sembrò eterno.
Ma poi riaprì le palpebre e strinse la mascella, per decidersi infine a parlare.
«Mi piaci.» buttò giù, senza nemmeno dare il tempo al suo cervello di capire cosa stesse facendo.
Gli stava succedendo la stessa cosa che successe a me con lui.
Ed ecco dov’era il punto: avevo trascurato quell’informazione per troppo tempo, rendendola inutile, facendo come se non me ne importasse nulla, trattandolo come un amico quando c’era una piccola parte di me che sapeva perfettamente che sarei potuta andare oltre con lui.
E quando lo sentii pronunciare quelle parole il sangue mi si raggelò nelle vene.
Quella parte di me che sentiva in qualche modo di amarlo mi fece sospirare, ma l’altra parte, quella combattente, quella saggia e ragionevole divenne tesa, facendomi sentire una leggera pressione addirittura lungo la gamba sinistra.
Sospirai, senza sapere cosa dire, senza sapere come e se reagire.
Senza sapere per quale misterioso motivo quel biondo si fosse presentato in camera mia, in quel momento e per dirmi una cosa come quella.
«Questo sarebbe il momento in cui dovresti dire qualcosa.» cercò di spezzare l’attesa lui, tentando di raccoglier su un po’ di ironia. Ma evidentemente non ci riuscì.
Spostai i miei occhi nei suoi e presi un respiro profondo.
«I-io…» balbettai, insicura. «Io non posso permettermi di pensare a un ragazzo in questo modo, ora.» soffiai, abbassando gli occhi. «Mi dispiace.» dissi infine.
Lo sentii sospirare e intravidi i suoi pugni stringersi disastrosamente.
Continuando di quel passo si sarebbe provocato dei lividi.
«Dillo guardandomi negli occhi, allora.» intervenne, leggermente irritato.
Sbuffai ed alzai il viso, incontrando i suoi occhi azzurri.
Erano la mia più grande debolezza e io non potevo essere debole in quel momento.
«Non posso essere debole, non posso soffrire ancora. Lo sai. Adesso devo concentrarmi sulla terapia, senza distrazioni. Io voglio tornare a camminare, Niall, e non saranno di certo i tuoi complimenti a renderlo possibile.» cercai di concludere, anche se a denti stretti.
Sospirò di nuovo e si alzò dal letto, voltandosi verso la porta.
Capii il suo comportamento: nemmeno io avrei accettato che la persona che mi piace mi parlasse in quel modo. Ma così fu.
Prima di riaprire la porta si girò nuovamente verso di me, facendo incontrare i nostri sguardi per l’ennesima volta.
«So che niente è facile nella vita, Jessica. E capisco che questo momento ti sta strappando ancora per una volta dalla tua vita ma… non dovresti permettere che funga da manipolatore su di te e sulle tue idee. Dovresti vivere ogni tanto. Sai, la vita concede anche questo.» confessò, rimanendo a guardarmi ancora per un po’.
Mi tolse le parole di bocca, mi prosciugò il cervello e con esso tutte le miei idee.
Per un po’ persi anche la cognizione del tempo.
Ma poi tornai sulla terra, su questo posto orrendo a causa di una botta.
Scossi la testa e trovai la porta chiusa.
Fu come se una parte di me fosse uscita dietro di lui, fu come se quella parte di me fosse stata rubata. E non sarebbe stata restituita, ne ero certa.
Ma non volevo illudere Niall in quel momento.
Non volevo e non potevo, perché nemmeno io ero sicura sul da farsi.
Forse ‘perderlo’ in un certo senso era stata la soluzione migliore.
La più tragica, ma la migliore.


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Spazio ai pinguini!
Ma saaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaalve a tutti!
Allora, non vi assicuro che parlerò come una persona normale dopo aver visto questa gif sdkifjughopriuephgsouphs.
Comunque sia... sono tornata, ma non più seria di prima. lol
Mi dispiace aver deluso le vostre aspettative ma, come vi avevo spiegato in precedenza, ero troppo impegnata a ballare la lap-dance col mio coniglio quando Dio distribuì la serietà.
E sapete *voce stremata dal pianto* senza la serietà, sono i miei pinguini a prendersi cura di me.

Infatti loro cuciono a maglia:




Cercano di ballare come il mio coniglio (con scarsi risultati però) :




Ed infine mi difendono dopo una graaaaaaaaaaaande figura di cacca, sìsì:



Li ho addestrati bene, non potete negarlo.
Prima o poi li manderò anche dai One Direction, perché la loro tattica 'Carini e coccolosi' funziona sempre:





Anyway, tralasciamo i pinguini per un secondo e cerchiamo di comportarci come persone normali, tali dovremmo essere.
Anche se dovrei parlare per me, ma okay.
Allora, ecco il 'tanto atteso' capitolo.
Ecco qua che Jessica ha qualche speranza di ritornare normale.
Ce la farà la nostra eroina a sapere cosa significa vivere prima della fine della storia? Restate con noi e lo scoprirete nel corso delle prossime puntate... ehm, volevo dire dei capitoli!

BASTA.
Non. Sono. Divertente.
Cavoli cavolosi, devo scappare!
Niente di che bellezze, non risolvo nulla: la mia serietà nooooooon esiste.
Lasciatemi qualche recensione o vi mando Rico a casa con la dinamite e gli ordino di piazzarvela sotto il letto, così BUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUM e ci si vede sopra le nuvole. (?)
Ma poi io come faccio a sapere dove state voi di casa? 
Ma ccerto! Lo sa Kowalsky.
No, basta. Me ne vado.

"Ehi amico, che continente è questo?"
"Manhattan."
"Corpo di bacco siamo ancora a New York.Veloci! Immersione, immersione, immersione!"

EBBENE SI', STO MALE. AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH.

Vado a nascondermi, sciao! :')

Un bacio, Serena xx

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Capitolo 11
*** 10. I don’t want to be afraid because of you. ***




Chapter 10

I don’t want to be afraid because of you.

 
Scesi dall’auto appoggiandomi appena sulle stampelle.
Erano passati cinque mesi e mezzo ed erano cambiate molte cose.
La mia gamba aveva riacquistato sensibilità e la ferita si era cicatrizzata, lasciando un’enorme taglio rosso che circondava il polpaccio come se fosse stato un tatuaggio.
Io e Niall parlavamo davvero poco.
Ogni tanto ci sfuggiva uno ‘Ciao, come stai?’ a colazione, ma del resto non eravamo più amici come prima.
Forse proprio perché non eravamo mai stati veramente amici.
Louis continuava a prendersi gioco di me, pur sapendo che l’avrebbe pagata non appena avrei ripreso a camminare.
Gli unici che sembravano interessarsi veramente di me erano Harry e Trudy: Harry mi accompagnava spesso alle terapie e si prendeva cura di me in tutti i sensi.
Liam e Zayn erano normali: non mi trattavano da disabile né erano diventati di botto troppo apprensivi.
In effetti l’apprensione e la protezione di Harry era eccessiva. Io sapevo di poter tornare ad essere la persona di prima.
Forse con qualche acciacco in più e con una gamba leggermente zoppa, ma sarei comunque stata la Jessica della sera piovosa nella quale lasciai il collegio.
Sarai stata la ragazza odiata da Louis, ‘amata’ da Niall e con molta cultura sull’autodifesa, sulle armi e sulla sopravvivenza, senza attacchi di panico improvvisi e senza rimpianti del passato.
Amavo pensare che quel che è fatto è fatto. E se è stato fatto è perché desideravamo che così fosse.
Quindi, perché piangersi addosso?
Solo uno spreco di energie.
«Dovresti assumere più calcio e ferro. Oggi andrò in farmacia e comprerò qualche vitamina per te. Sei troppo pallida, Jessica, e non voglio che tu abbia qualche attacco di cuore in queste condizioni perché…»
«Oh Harry basta! Sei peggio di mia madre, cavolo! Come devo dirti che io sto bene?» lo fermai.
Mi aveva rincoglionito – scusate il termine – con le sue storie sugli attacchi di cuore, sulle vitamine, il ferro, il calcio, lo zinco e quant’altra roba della quale io avevo scoperto l’esistenza praticamente da cinque minuti a quella parte.
«Ma sei pallida!» difese il suo inutile discorso, con un tono che di maschile non aveva proprio nulla.
Scoppiai a ridergli in faccia.
«Passami l’altra stampella che è meglio.» dissi poi.
Lui sbuffò e roteò gli occhi, ma poi me la passò con un sorriso sulle labbra.
«Sta’ di fatto che ho ragione io.» affermò infine, chiudendo lo sportello dell’auto e schioccandomi un bacio sulla guancia. «Aiuto Trudy con la spesa.» si dileguò.
Iniziai a guardarmi in giro: finalmente avevo smesso di vedere il tutto dal basso.
Quando arrivai al centro delle terapie, quella mattina, Wendy mi sorrise – come suo solito – e mi disse: “Ho una sorpresa per te!”
Incuriosita iniziai a guardarmi intorno e solo dopo un po’ notai un paio di stampelle poggiate sul muro alla sua sinistra.
Mi lasciai sfuggire un urlo di gioia e la abbracciai, anche se più che un abbraccio fu un ‘gettarmi tra le sue braccia’.
Non appena Liam e Zayn notarono il cambiamento, si avvicinarono a me sorridenti.
«Dov’è la fuoriserie?» disse sarcastico il pakistano.
Nonostante la sua male uscita offesa ironica, sorrisi e feci spallucce.
«Me l’hanno ritirata in concessionaria. Hanno detto che le mie due ruote sono pronte per funzionare da sole.» dissi, facendoli sorridere.
«Sono felice per te, te lo meriti.» disse Liam, abbracciandomi.
Lo stesso fece Zayn, ma quella ‘pace’ durò ben poco.
«Ma guarda, guarda. Cos’è, hai portato la tua mini auto a lucidare?» urlò Louis dal portico.
«Lou…» si intromise Liam, in tono di rimprovero, ma lo fermai.
Sorrisi e mi avvicinai al rosso, con un’espressione superiore.
Non mi sarei abbassata ai suoi livelli.
«Sai com’è, me la lucidavano anche gratis.» gli risposi, continuando a sorridere.
La sua espressione cambiò e si staccò dalla colonna sulla quale era poggiato.
«Quando capirai che le tue ‘offese’ non contano più nulla per me, Louis?» chiesi, fissandolo negli occhi, ovvero quello che lui riteneva ‘il suo punto forte’.
«Lo capirò quando finalmente verrai a letto con me.» sussurrò lui, per non farsi capire dagli amici.
Abbozzai un sorrisetto sarcastico e gli lanciai un’occhiataccia.
«Non sperarci. Non l’ho data al biondino perfettino e non la darò nemmeno a te.» sputai, mantenendo un tono basso.
«Questo lo vedremo…»
Mi misi a ridere.
Era a dir poco patetico ed idiota. E stupido anche.
Non riusciva a capire di mettersi in ridicolo davanti a me e, se solo avessi voluto stuzzicarlo, anche davanti ai suoi cari amichetti.
«Certo, certo. Ma dimmi, qual è la tua tattica, Tomlinson? Ipnotizzi le persone, insegnando loro ad essere veggenti ed usandole quando più ti fanno comodo oppure inietti solamente dentro di loro intuito e sfacciata fortuna
«Cosa te ne importa?» chiese lui, insospettito.
Sorrisi ancora una volta e roteai gli occhi, annoiata.
«No sai, era per sapere e per avvertirti che, in tal caso fosse la seconda bè, con me non ha successo. Oh, e nemmeno la prima. Niall ci ha provato, ma sono ancora qui e lui mi guarda dalla finestra di casa senza dirmi una parola.» lo stuzzicai, prendendolo leggermente in giro.
La sua espressione cambiò di nuovo e sembrò arrabbiarsi, ma non mi spaventai.
«Tu lo hai fatto soffrire! Lui non è come me, lui soffre. E deduco che lo faccia inutilmente per una come te, senza cuore.» cercò di offendermi.
In realtà le sue parole mi colpirono.
In quei mesi capii di provare qualcosa per quel biondino, ma non riuscii mai ad avvicinarmi a lui dopo quello che gli feci quella sera.
E poi che scusa avevo? Come sarei riuscita ad andare vicino a lui e dirgli “Mi sono innamorata di te”?
Il fatto era che temevo un rifiuto.
Non mi vergognavo nel dire di no agli altri, ma quando gli altri dicevano no a me mi sentivo male.
Forse perché nessuno ci era mai riuscito, anche se per un motivo a me ancora ignoto.
«Ti ho tolto le parole di bocca, vero Jessica? Bene, ora lascerò che tu soffra ancora di più, perché grazie a te, Niall piange e si vergogna di dirlo. E io sai come lo so? Lo so perché sono stato io a consolarlo per tutto questo tempo.» iniziò a dire.
«Lo stai sputtanando, così.» dissi, per farlo fermare e per cercare un pretesto per andarmene.
«No, affatto. Sto facendo del male a te, perché voglio che tu ti senta come lui almeno un secondo. Ma dimmi, sai quant’è durata la sua ultima relazione? Ben tre anni. Si sono lasciati lo scorso anno. Niall la amava tantissimo. Lei lavorava qui, ma, all’insaputa di quel povero ragazzo, era stata con tutti. Persino con me. E quando lui, accecato dall’amore, le chiese di sposarla, lei gli disse “Sei antico ed infantile” e il giorno dopo sparì. Il suo nome era Kathelyn e, nonostante gli avesse fatto male, sai cosa dice lui? Lo sai? Continua a dire che, se dovesse avere una figlia, un giorno, la chiamerà proprio così. E questo è perché il primo amore non si dimentica, Jessica.»
Fece una pausa e sentii qualcosa agli occhi, che in poco tempo si appannarono.
Ecco chi era quella Kathelyn della quale mi parlò vagamente Niall la sera in cui si ubriacò, giusto sei mesi prima.
Ma no, non potevo piangere davanti a Louis.
«Ma capisco l’eventualità di come questo possa non toccarti. E sai perché? Perché tu una vita non ce l’hai e non sai cosa significa amare. Secondo me sei anche vergine.» disse con nonchalance.
Nonostante mi avesse ferita profondamente, decisi di stamparmi un orrendo sorriso strafottente in viso e rispondere alla sua ultima affermazione.
«Mi dispiace deludere le tue aspettative, ma non sono vergine.»
«E credi che questo ti giustifichi? Credi che io non sappia che tu piangi, la sera, perché sai di essere sola? Suvvia, Jessica: non crederai mica che le attenzioni di Harry siano sincere? Insomma: guardati. Non sei più una persona normale. Non lo sei mai stata, ma ora hai solamente peggiorato la situazione.»
Continuava ad offendermi, continuava a trattarmi male e io continuavo a non capire perché.
D’altronde io volevo solo difendermi da lui e volevo evitare di finirci a letto.
«Smettila! Non va bene quello che stai facendo! E non perché lo fai a me! Tu ti approfitti delle persone quando sono deboli, fai loro un lavaggio del cervello e dopo un po’ di giorni conquisti la loro fiducia. Ma non lo fai correttamente. La fiducia va guadagnata, non ordinata. E questa tecnica con me non funziona. Se sei veggente, stregone o cos’altro non lo so, ma il tuo gioco fa schifo.»
Sapevo quanto il mio discorso fosse insensato e inutile, ma era l’unico modo per tappargli la bocca anche solo per pochi secondi.
Almeno un pregio lo aveva: non parlava sopra agli altri.
«Potrai anche avere loro, quei quattro poveri ragazzi che si fidano di te. Ma non avrai me. Io non mi fiderò: non lascerò che tu mi trasformi in qualcosa che non sono.» sputai, avvicinandomi a lui.
«Io non voglio la tua fiducia, sta’ tranquilla.» rispose, mantenendo il suo sorriso strafottente sul volto. «Voglio solo vederti piangere, soffrire. E non un dolore fisico: voglio che tu soffra dentro come hai fatto soffrire qualcuno che voleva solo donarti amore.»
Scossi la testa e non gli risposi nemmeno.
Feci pressione sui gomiti ed iniziai a saltellare verso la porta, la quale si aprì poco prima che afferrassi la maniglia.
Alzai il viso di scatto, presa di sprovvista, e mi ritrovai davanti due occhi azzurri contornati di rosso.
Osservai bene quel volto: era la prima volta che mi imbattevo su di lui dopo cinque mesi.
Due enormi occhiaie si distinguevano sotto il suo sguardo stanco e sofferente e quelle che sembravano lacrime lottavano per non scivolare via dagli occhi.
«Niall…» sussurrai, ma lui mi spinse delicatamente con il braccio e si fece largo.
«Lasciami in pace.» rispose, con la voce graffiata dal pianto ed infuocata dalla rabbia.
Rimasi a guardarlo allontanarsi da me e, quando sparì dentro la stalla, spostai lo sguardo su di Louis, il quale non ci aveva staccato gli occhi di dosso nemmeno un momento.
Fece per parlare, ma per qualche misterioso motivo si fermò e si limitò ad abbozzare un sorriso e a scuotere la testa, prendendo la direzione del biondo.
Sospirai e sentii una lacrima fredda scorrere lungo il mio viso, ma fui pronta ad asciugarla prima che arrivasse alle labbra.
Mi strofinai gli occhi ed entrai in casa, salendo le scale senza l’aiuto di nessuno. Mi catapultai in camera mia e chiusi la porta violentemente, per poi cadere.
Fortunatamente riuscii ad aggrapparmi a qualcosa o, meglio, qualcuno.
Serrai i denti per trattenere un urlo di dolore ed alzai la testa, ritrovandomi davanti Harry.
Nonostante le forze mi mancassero e nonostante fossi devastata, sorrisi.
«Sapevo di non potermi fidare di te. Non puoi fare tutto da sola.» disse, scuotendo la testa.
Soffocai una risatina e mi rialzai, saltellando fino al letto.
Mi misi a sedere e lui fece lo stesso, per poi iniziare a fissarmi intensamente, fino a quando non capii dove volesse arrivare.
«Hai sentito tutto, non è vero?»
«La finestra della tua camera da proprio sul portico.» affermò, come se la cosa fosse poco importante.
«Non riesco a capire dove ho sbagliato. È come se oggi tutto mi fosse ricaduto addosso.» confessai, lasciando che delle lacrime invadessero i miei occhi.
Lui sospirò e mi abbracciò.
«L’unica cosa che devi fare è sfogarti. Non puoi essere forte come prima, Jessica. Lo sai questo. Devi lasciarti andare alla vita, all’amore, alle nuove esperienze. Non puoi rinchiuderti e nasconderti in qualcuno che non sei.» sussurrò, accarezzandomi i capelli.
Sciolsi l’abbraccio e lo guardai negli occhi.
Aveva ragione.
Dovevo smetterla di essere chi non ero e semplicemente lasciarmi alle spalle la cosa che più mi spaventava e che, per quanto volessi negarlo, ancora mi teneva prigioniera: il passato.


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Spazio ai pinguini!
Sssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssalve.
Posso dirvi la verità? Non so che scrivere oggi.
Puahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahah! Bella questa.
Cazzata più grande non c'è, più cazzata di teeeeeee!  *canta come una pazza isterica*
Lo sapete che non sono seria, quindi non spaventatevi che se urlate mi fate impaurire pure Kevin sulla gif.
Dite la verità, non lo avevate notato.
MUAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH massì, vi perseguiterà a vita quel piccione. (?)
Ma che sto dicendo?

AAAANYWAAAAY...
era da tanto che non scrivevo un capitolo con tutti e cinque.
Cioè, almeno qui hanno qualche battuta e parlano tutti, in altri facevano solo presenza.
Comuuuuuuuuunque, Jessica è K.O.
Oh yeah, oggi ho voluto sfigurarla sentimentalmente. (?)
Epic win di Louis, #FUCKYEAH
No, guys, no.
SERIETA'.

...
..
.

.
..
...

Sto impazzendo.
Ma lo sapete che sappiamo più cose noi sui ragazzi che loro su loro stessi? *faccia perplessa*
SIAMO STALKER: POTREMMO ENTRARE NEI SERVIZI SEGRETI!
*E fu così che tutti diventarono reclute nei servizi segreti della regina*
Aspetta, che mica sarebbe una brutta idea... vivremmo sotto lo stesso cielo dei One Direction.
INCONTREREI FINALMENTE MIO MARITO!

Bella idea.
Ah, come avrete notato ho cambiato l'immagine all'inizio del capitolo.
Vi piace?

Niente, basta, me ne vado.
Vi ho annoiati abbastanza e vi ho fatto capire di essere pazza (a meno che voi non lo abbiate capito già in precedenza.)
Okay, vado a deprimermi col pinguino che cuce a maglia.
Lasciatemi qualche recensione dolcezze, fa sempre piacere c':

Un bacio, Serena xx

P.S: mi fate anche un altro favore?
C'è una ragazza che sta scrivendo una storia interessante, passereste?
Ci tiene tantissimo.
Grazie a chi lo farà c:

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1179338

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Capitolo 12
*** 11. Would you help me? ***




Chapter 11

Would you help me?

 
«Dovrà prendere queste medicine per un mese e il dolore sparirà del tutto.» disse il dottor Sellman, porgendomi la ricetta da presentare in farmacia.
«Grazie dottore.» lo ringraziai, alzandomi dalla sedia.
Non mi appoggiai da nessuna parte, non sentii dolore: ce l’avevo fatta, era tutto finito.
Feci per andarmene, ma il medico mi fermò.
Mi voltai verso di lui e rimasi a guardarlo: sorrideva.
«Congratulazioni Jessica: è riuscita a superare un periodo duro, non si è buttata giù. Ora la sua vita sarà migliore. Spero di ricontrarti un giorno, ma in occasioni migliori.» concluse, avvicinandosi a me e stringendomi la mano.
Sorrisi anche io e annuii. «Bè, è tutto grazie a lei e a Wendy. Non ci sarei riuscita da sola.»
«Tieniti stretta la tua vita, ragazza. Ricorda sempre che è tutto quello che hai, è tutto quello che possiedi e sei tu a decidere come va, solo tu
Rimasi a pensare a quelle parole, anche se all’inizio furono solo sussurri confusi dentro la mia testa.
Sciolsi la stretta e sorrisi nuovamente, per poi salutare il dottore ed uscire dallo studio.
Appena mi vide, Harry si alzò dalla sedia della sala d’aspetto e mi abbracciò, facendomi perdere leggermente l’equilibrio.
«Harry, piano!» esclamai, con la voce piena di gioia.
Si staccò di ma e sorrise, abbozzando uno ‘Scusa’.
Rimanemmo per un attimo in silenzio, ma poi ci guardammo ed annuimmo, prendendo la strada che portava ai parcheggi.
Salimmo in macchina e mi lasciai andare ad un grido di gioia.
«Non ci credo.» sussurrai dopo essermi calmata.
Harry sorrise, ma senza staccare gli occhi dalla strada.
«Te lo sei meritata: hai lottato molto per raggiungere questo obbiettivo.» ribatté, allungando una mano verso di me e dandomi una pacca sulla spalla.
Sorrisi, ma poi tornai seria ripensando a una cosa che mi disse Louis qualche giorno prima.
«Harry?»
«Sì?»
«Ecco… tu hai fatto tutto questo per me perché mi vuoi bene o perché ti facevo pena?»
Ci fu un po’ di silenzio, e la cosa mi uccise.
Forse Louis aveva ragione, forse avevo sperato troppo, rendendomi patetica, insopportabile, stupida. E per cosa? Per una gamba.
Per una gamba avevo perso la mia vita.
Harry sospirò e fermò la macchina in una piazzola affianco alla strada, poi si voltò verso di me.
«Cosa ti fa pensare questo?» chiese, leggermente irritato.
Feci per parlare ma niente: non esisteva nessuna scusa plausibile.
«Capisco, te lo ha fatto credere Louis. Bene, ora sta’ a sentire me: io ti voglio bene, non l’ho fatto per compassione o altro. È solo che quando sei arrivata al ranch tutti noi abbiamo capito che tu, infondo, sei una persona dolce e debole. Hai bisogno di qualcuno che ti difenda e io mi sono offerto volontario, senza che tu te ne rendessi conto.» confessò, fissandomi negli occhi.
«Quindi…»
«Quindi io ero sincero. E mi da fastidio sapere che tu pensi questo di me, perché io ti voglio seriamente bene. E sono felicissimo per quello che ti è successo oggi e spero tu non debba patire più tutto questo dolore. Poi voglio darti un consiglio: parla con Niall, digli cosa provi, avvicinalo a te: solo tu puoi farlo.» concluse sorridendo.
Sorrisi anche io e sentii un rossore infiammare le mie guance.
«Grazie.» sussurrai e lui ripartì.
Forse qualcosa stava migliorando.
 
 
Entrai in casa e percepii un clima di freddezza.
Mi guardai intorno: era tutto deserto e si sentiva solo il parlare di un televisore.
«Ehi, perché non entri?» mi chiese Harry, avvicinandosi.
«Guarda tu stesso. Sembra che tutto si sia fermato.» risposi, impaurita da quel silenzio e a quell’ora del pomeriggio, quando erano tutti in salotto a chiacchierare.
Harry scoppiò a ridere e scosse la testa, entrando dentro casa senza timore e trascinandomi in salone.
Vidi la televisione accesa e, sentendoci arrivare, la testa di Louis sbucò da dietro il divano.
Notai delle gocce di sudore imperlargli la fronte e i suoi capelli erano spettinati.
Iniziai ad insospettirmi, ma la risposta definitiva mi arrivò quando sbucò anche una ragazza da dietro il divano.
Era anch’essa sudata, anche i suoi capelli erano spettinati e il rossetto e la matita erano sbavate.
La osservai attentamente, osservai i suoi occhi marroni, i suoi capelli castani decorati da alcuni resti di boccoli che si sfumavano sul biondo verso la punta.
Ed infine notai una cosa al suo collo, una collana, precisamente. Sgranai gli occhi ed afferrai la collana che portavo anch’io al collo.
La guardai: c’era scritto Londra.
E solo un’altra persona aveva una collana come la mia: la mia migliore amica Jamie, in ricordo degli anni passati insieme in quella cttà.
Osservai ancora la collana indosso alla ragazza e spostai nuovamente lo sguardo sui suoi occhi circondati da matita nera sbavata.
«Non è possibile.» sussurrai, coprendomi la bocca con una mano.
«Cosa c’è, Jess? Sembra tu abbia visto un fantasma.»
Perché mi aveva chiamata Jess? Solo Jamie mi chiamava Jess.
Sentendo quel soprannome, la ragazza spalancò gli occhi, effettuando lo stesso movimento fatto da me: prendere la collana al suo collo ed osservarla.
«Jessica?» chiese, con una vocina stridula che faceva pietà a sentirsi.
«Jamie.» dissi, ma non fu una domanda.
«Cosa? Voi vi… vi conoscete?» balbettò Louis, imbarazzato.
I due si alzarono e si sistemarono. Lui era in boxer, lei aveva ancora una gonnellina, ma era in reggiseno.
A quella vista Harry spalanco gli occhi, ricevendosi un pugno sul braccio da me.
«Sì, lei è la mia migliore amica.» rispose Jamie a Louis, ma io sorrisi sarcastica e scossi la testa decisa.
«Ah, ah, ah, cara mia. Aspetta un secondo, ex migliore amica.» dissi, prima di voltarmi e salire al piano di sopra.
Passai davanti alla stanza di Niall proprio nel momento in cui uscì e mi urtò, facendomi perdere l’equilibrio.
«Cazzo, ma ci fai apposta?» urlai, facendolo scattare.
«Senti, se ti rode non sono fatti miei.» rispose, allungandomi la mano.
La afferrai e sospirai, guardandolo negli occhi.
«Scusa, okay? È solo che ho visto una scena che…»
«Louis e la mora? Sì, lo so. Bè, è carina.» rispose, divertito.
«Siete tutti uguali.» risposi, facendolo spostare con una spinta.
Entrai in camera mia e buttai rovinosamente la borsa a terra e me stessa sul letto.
Iniziai a tirare pugni al materasso, maledicendo quella mora col naso rifatto che si stava per scopare il ragazzo che odiavo con tutto il mio cuore.
Magari non avrei dovuto reagire in quel modo: io odiavo Louis.
Eppure qualcosa mi diceva di arrabbiarmi, di prendermela con quel povero materasso.
Forse era stata la vista di quella ragazza, così bella, così elegante, così sicura di sé.
Aveva tutto quello che non avevo io: una famiglia – ricca per giunta – un bel sedere, era popolare, me la ricordavo con un ragazzo che sembrava essere uno dei bronzi di Riace e, soprattutto, lei sapeva cosa significava vivere.
Ed ora me la ritrovai lì, dentro la mia vita, senza il minimo permesso di entrare, senza il minimo preavviso di ritornare e con l’idea che fosse ancora la mia migliore amica dopo uno dei tanti torti che mi fece prima che fossi rinchiusa in collegio.
Erano ancora i tempi delle scuole superiori, dove, sfortunatamente, ci ritrovammo a dover frequentare dei corsi insieme.
All’inizio lo accettai, nonostante conoscessi le sue manie di protagonismo e nonostante sapessi quanto le importasse solo ed esclusivamente di se stessa.
Ma era la mia migliore amica e continuavo a volerle bene, anche dopo umiliazioni, punizioni e delusioni prese per lei.
Io la adoravo, era il concetto di perfezione da seguire.
Era bella, gentile e dolce quando voleva lei, ricca, aveva una splendida voce, quell’accento americano che riempiva le sue frasi, era la delicatezza in persona.
Ma, per una cavolata, si arrabbiava ed era capace di capovolgere il mondo pur di averla vinta.
Successe tutto per un ragazzo, ad una lezione di educazione fisica.
Se c’era una cosa che lei odiava era quella materia e non le andava affatto bene che io fossi più brava, visto che era lei, tra noi due, ad avere sempre i voti più alti.
Così, un giorno, il professore decise di organizzare una partita di pallavolo e nella nostra squadra capitò anche il ragazzo che mi piaceva: Marcus.
Lui faceva parte della squadra di pallavolo della scuola, era il capitano. Nonché il più gettonato, il più popolare.
Alto, biondo, un fisico da paura, ma un caratteraccio. Come tutti i popolari, d’altronde.
Ma a me piaceva, e molto.
E quel giorno Jamie decise di vendicarsi di me e della mia bravura in educazione fisica, sapendo della mia cotta.
La beccai ad uscire dallo spogliatoio dei maschi con uno strano sorriso stampato sulla faccia e mi insospettii leggermente. Ma sapevo di non poterle chiedere cosa ci facesse lì dentro, o si sarebbe arrabbiata.
Così uscii dallo spogliatoio femminile e iniziai a riscaldarmi in palestra, ed ecco che Marcus le si avvicinò e la baciò.
Sentii come il mio cuore spezzarsi e ebbi la tentazione di andare là e chiederle perché dovesse sempre essere lei quella a splendere tra noi due, ma la risposta sarebbe stata “Perché io sono una stella, tu la figlia di un operaio ubriacone”.
E, per quanto facesse male sentirselo dire, era la verità, aveva ragione.
Forse era per quello che accettavo di stare sempre con lei, per paura che potesse andare a dire in giro delle brutte cose su di me e sulla mia famiglia.
E per questo soffrivo quando Louis mi diceva che non sapevo amare, perché io sapevo amare, solo che quella ragazza non mi aveva permesso di provarci nemmeno una volta.
Ed ero stata stupida nel farmi pilotare così, ma cosa potevo fare al di fuori di abbassare la testa ed annuire?
Sotto quel punto di vista il collegio mi cambiò. Rendendomi la persona che non ero, certo.
Ma è sempre meglio cambiare e saper difendere la propria identità che venire oscurati da quella degli altri.
E, di colpo, mi ritornarono in mente le parole dette dal dottore la mattina stessa:
«Tieniti stretta la tua vita, ragazza. Ricorda sempre che è tutto quello che hai, è tutto quello che possiedi e sei tu a decidere come va,solo tu.»
Capii quanto quelle parole fossero vere, capii che dovevo essere solo io a decidere per la mia vita.
Dovevo trovare una conclusione, un nuovo modo di comportarmi che mi rendesse me stessa, ma senza debolezze, senza buchi, senza sensi di vuoto.
Dovevo stare bene, sia fuori che dentro. Sia con Jamie tra i piedi che senza.


_____________________________________________________________________________________________________________________
Spazio ai pinguini!
Ma buoncciorno!
Nuovo personaggio, ya!
Lea Michele, signore e signori.
Il perché della mia scelta?
Bè, amo Glee, credo che lei sia un'attrice bravissima e ha una bellissima voce.
Poi ce la vedo nella parte di quella egocentrica lol
No, a parte scherzi...
Siccome oggi non ho davvero niente da dire e so che questo capitolo fa schifo, me ne vado avvertendovi solo del fatto che è in cantiere una nuova storia u.u
Non preoccupatevi, questa non finirà presto, anche perché ho aggiunto un personaggio all'undicesimo capitolo, quindi di cose dovrete scoprirne ancora, sìsì.
Però sappiate che la prossima storia sarà ancora più ricca di personaggi, ma non vi anticipo assolutamente nulla! è.é
Vado a dar da mangiare ai pinguini, voi lasciatemi qualche recensione okay? c:
Alla prossima, bellezze!

Un bacio, Serena xx

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Capitolo 13
*** 12. What have I done? ***




Chapter 12

What have I done?

 
If I could find a way to see this straight
I’d run away
To some fortune that I have should have found by now
Waiting for this cough syrup to come down.

 
Erano ore ormai che quella canzone fluttuava nella mia mente.
Quelle parole erano tutto quello che mi serviva.
O forse era poterla pensare così.
Capire come stanno veramente le cose e correre via verso una qualunque fortuna che mai avevo trovato prima. Il tutto aspettando che quell’amaro che avevo in bocca andasse giù, aspettando che il buio che circondava la mia anima svanisse.
Era tutto quello che volevo, tutto ciò di cui avevo bisogno: la fortuna.
Ma mai e poi mai mi immaginavo cosa potesse essere, cosa si potesse provare.
In quel momento, ad esempio, non osavo nemmeno godere dell’illusione di essa.
Mi circondava la pioggia.
Ero completamente bagnata, seduta sulle scale del portico ad aspettare di ammalarmi.
Perché? Volevo farmi del male.
Ero masochista, lo ero sempre stata. Anche se non lo avevo mai capito.
Se non fossi stata così non avrei permesso ad una ragazzina viziata di porre ostacoli tra me, la mia vita e l’amore.
Ma semplicemente mi lasciavo andare all’autocommiserazione, me ne stavo seduta lì con l’autostima sottozero, il trucco sbavato lungo il viso, in mancanza di qualcosa o qualcuno che potesse completare il mio essere.
Andarmene via, solo quello.
Sparire per un attimo, o magari non tornare mai più.
Suvvia, cosa se ne faceva il mondo di un rottame mal ridotto come me?
Scossi per l’ennesima volta la testa, ingenuamente pensando che sarebbe servito a fermare i miei pensieri ma niente: l’idea di poter meritare una vita migliore non andava giù.
Forse perché amavo il mio strano modo di vivere, infondo.
E tutti sono scettici ai cambiamenti.
Sbuffai e misi la musica in pausa, togliendomi gli auricolari dalle orecchie.
Rimasi ad ascoltare il rumore insistente della pioggia su tutto ciò che mi circondava e su di me.
Osservai la facilità dell’acqua nel far scivolare via le paure, i difetti, le cose in generale.
Le domande mi tormentavano e quelle che odiavo di più erano i perché, uno in particolare: perché sono arrivata a questo punto?
Nessuno poteva dare una risposta a quella domanda al di fuori di me, ma semplicemente non riuscivo a trovarla. E a me dava fastidio non riuscire in qualcosa.
Ad un tratto sentii un cigolio alle mie spalle e mi voltai.
Niall uscì di casa sbuffando e tirò un calcio alla prima cosa che trovò davanti a lui per sfogare inutilmente la rabbia.
Lo sentii brontolare qualcosa, ma la sua espressione cambiò quando alzò il viso e mi vide.
Cercai di abbozzare un sorriso e mi alzai dalle scale, avvicinandomi.
«Scusa se ti ho disturbato ma…» iniziò a dire, torturandosi le mani dall’imbarazzo.
«Non dovresti scusarti per tutto quello che fai, Niall. Magari a volte fai anche cose giuste, non credi?»
A quella mia domanda retorica sorrise e mi porse un asciugamano.
«Grazie.» sussurrai, asciugandomi il viso.
«Sapevo che eri qui, così sono uscito.» si giustificò, pur sapendo che non ci sarei cascata.
«Oh, così te la saresti presa con quel povero vaso solo perché ti andava?» chiesi, indicando il vaso a terra ridotto in frantumi.
Sospirò e mi guardò negli occhi, cercando qualche scusa. Ma poi cedette.
«E va bene, ho litigato con Louis.»
«Ecco! Solo questo volevo sentire!» esclamai, cercando di sdrammatizzare e riuscii a strappargli un sorriso. Ma poi tornai seria. «Che succede?»
«No, niente. Non preoccuparti.» rispose, mentendomi ancora.
Sospirai e lo abbracciai.
Fu una cosa istintiva, non capii per quale motivo mi ritrovai attaccata a lui come un bradipo.
E all’inizio fui tesa, ma quando riuscii ad elaborare l’informazione che quell’abbraccio venne ricambiato sentii il cuore che riprese a battere.
Mi staccai da lui ed abbassai la testa, leggermente in imbarazzo.
Ma poi mi convinsi che non dovevo essere in imbarazzo con lui, così rialzai il volto e lo fissai negli occhi.
«Niall, io ci tengo a te. Ti voglio bene, e molto anche. Forse anche qualcosa di più ma… non voglio che tu stia male per una come me.»
Fece segno di non capire e capii di essere fregata: ormai dovevo dirgli la verità.
«Ecco… Louis mi ha detto che piangi per quello che ti ho detto e io non voglio che tu stia male perché adesso…»
Mi bloccò e vidi la sua espressione cambiare di nuovo.
Sembrava… arrabbiato, molto.
«Lui cosa? Jessica, ti rendi conto di cosa ha fatto? Lui ti ha detto che io ti amo e questo è vero ma… tu non dovevi saperlo così! È per questo che…»
La sua bocca continuava a muoversi e lui continuava ad alterarsi ma io non riuscivo più ad ascoltarlo.
L’unica cosa che sentivo in quel momento era un’agitazione immensa, mista a rabbia e qualcos’altro, qualcosa di nuovo e di estremamente piacevole.
Due parole volavano come un vortice inevitabilmente pericoloso nella mia mente: ti amo.
La sua voce, il suo sguardo quando lo disse, poco prima.
Era stata questione di un attimo, un solo secondo. Mi guardò come se ne volesse la conferma, eppure io, nonostante lui continuasse a parlare ed agitarsi, dovevo ancora rendermi conto di quel fatto, dovevo ancora capire cosa stesse davvero accadendo, cosa fosse accaduto.
Tornai sulla terraferma e il mio sguardo si spostò da quell’orbita assente all’oceano ghiacciato che aveva negli occhi. Iniziai ad osservarli come se fossero una droga.
Sentii un impulso, come un ordine dettato dal cuore ed era mille volte più forte degli ordini dettati dal cervello, ed era più difficile da respingere.
“Bacialo” una voce urlava dentro di me, “bacialo”.
Sentire le sue labbra sulle mie, assaporarle come un vampiro assapora il sangue umano prima di uccidere la propria preda.
Era tutto quello che volevo: farlo mio.
Sarebbe stata una cosa che avrebbe cambiato molte cose. In meglio, in peggio.
Le avrebbe comunque cambiate.
Valeva la pena correre il rischio ormai.
Lo sentii sospirare e la sua bocca si chiuse, proprio nel preciso istante in cui abbassò lo sguardo.
Doveva aver detto qualcos’altro, qualcosa che non avevo sentito e che pensai non fosse importante come quel ti amo.
Mi avvicinai a lui e presi il suo volto tra le mani.
Alzò nuovamente gli occhi, incrociandoli ai miei. La sua espressione era turbata, ma non mi importava: io dovevo capire, dovevo sapere e dovevo essere sicura di ciò che provavo.
Avvicinai ancora il mio viso al suo e quando i miei occhi si chiusero, le sue braccia mi attirarono a lui e le nostre labbra si scontrarono, provocando un brivido lungo la mia schiena.
Fu un piccolo, semplice tocco.
Poi mi staccai.
Non so ancora il motivo per il quale lo feci: era evidente quanto entrambi volessimo quel bacio, ma io mi staccai.
Feci per parlare, ma con un movimento fulmineo Niall posò il suo indice sinistro sulle mie labbra, regalandomi una carezza sul volto con l’altra mano.
Sorrisi, istintivamente e lui ricambiò, per poi avvolgermi in un abbraccio caloroso.
In quel momento eravamo solo io e lui.
C’era anche la pioggia, certo. Ma non era abbastanza per sovrastare il battito dei nostri cuori uniti, vicini. Quell’ impertinente scoppio che rimbombava in tutta la cassa toracica, quell’egoistico e doloroso rumore che significava la vita, l’amore, l’odio, la felicità.
Nonostante non sapessi cosa significasse amare, in quel momento riuscii a credere di esserne più che certa.
È come una colla, o qualcosa di più forte. Ti tiene attaccato alla persona che vuoi, che desideri con tutta te stessa e, fino a quando non riesci ad ottenerla bè, ti senti vuota, incompleta.
Senti come se una parte di te fosse perennemente addormentata.
Le favole non sono realtà, sono cose surreali.
Il principe azzurro che ti salva con il suo cavallo bianco esiste solo nei sogni delle bambine.
Ma quando ami qualcuno, chiunque esso sia, nero, bianco, biondo, castano, umano, animale o alieno… capisci che, infondo, la tua vita è la parte di una favola uscita male e non più corretta.
Ed essere parte di una favola è la cosa più bella che si possa inconsciamente desiderare.


"Quando ero una bambina leggevo le favole.
 Nelle favole incontri il principe azzurro e lui è tutto quello che hai sempre voluto.
 Nelle favole il cattivo è veramente facile da individuare. Il cattivo indossa sempre un mantello nero, così tu riesci sempre a capire chi è.
 Poi cresci e ti rendi conto che il principe azzurro non è così facile da trovare come credevi.
 Ti rendi conto che il cattivo non indossa un mantello nero e non è facile da riconoscere; è veramente divertente, e ti fa ridere, e ha dei capelli perfetti."

̴
- Taylor Swift

 

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Spazio ai pinguini!
TANTI AUGURI A LORO, TANTI AUGURI A LORO, TANTI AUGURI A LIAM PAYNE E LEA MICHELE, TANTI AUGURI A LORO!

Uuuuuuh, ma ssalve!
Ce l'ho fatta ad aggiornare. uu
E' che, sapete... la mia ispirazione ama andare in vacanza, e questa è una cosa che ODIO profondamente.
Perché diavolo deve andare in vacanza da sola? Non può portarci anche me con i pinguini?
APPROPPOSSITO DI PINGUINI!
I Barbapapà sono andati a trovare i pinguini alla Banchisa.
Essì, io guardo ancora i Barbapapà. Qualche problema? Eh? Eh? EH?!
Non fatemi arrabbiare perché RRRRRRRRICO ha ancora la dinamite.
Esatto, non ci è andato dai One Direction. Gli ho detto di risparmiarli perché tra un po' esce il loro singolo... Ma se non vengono in Italia per qualche concerto allora... MUAHAHAHAHAH.
No, okay.

HO VISTO MADAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAGASCAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAARRRRRRRRRR! kdjhpgbijfdphgòjutp

Basta, sembro una pazza isterica drogata di cavoli! puuuuuh.

Torno in me stessa, o meglio nella me stessa che nemmeno conosco perché la me stessa che ho fatto conoscere a voi e che conosco anche io è la ragazza che addestra pinguini e conigli ballerini per andare a ballare la lap-dance al compleanno di Liam Payne.
Esatto, quindi preparati cara Danielle perché Liam sarà accalappiato dai miei conigli ballerini e sappi che saranno femmine ed arriveranno in TOPLESSSS. 

Annnnnnnyway...
Sembro pazza? E certo che sembro pazza, mi pare ovvio. ç.ç

ANDIAMO A PARLARE DEL CAPITOLO.
Siccome a me sembra abbastanza accettabile e non voglio annoiarvi ancora, altrimenti va a finire che vado di nuovo fuori argomento, non dico niente di che. c:
Però lasciatemi qualche recensione e ditemi voi che ne pensate. Okay? Kiduidsfhpo graccie! c:

Al prossimo capitolo gente!

Un bacio, Serena xx

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Capitolo 14
*** 13. Next time? There will be no next time. ***




Chapter 13

Next time? There will be no next time.

 
Accatastai l’ultima balla di fieno all’interno della selleria ed afferrai il forcone, per iniziare a spargere la paglia nei box dei cavalli.
Nonostante tutto però, continuavo a spostare rabbiosamente lo sguardo dal mio lavoro a Jamie e Louis che amoreggiavano beatamente in fondo alla scuderia.
Mi dava fastidio.
Non riuscivo a capire quale fosse quel maledetto motivo che mi faceva scattare la rabbia ogni volta che li vedevo insieme, ma c’era qualcosa che non mi quadrava.
Magari il fatto che lui se l’avesse portata a casa e ci volesse fare sesso senza nemmeno conoscerla, oppure il mio odio verso quella castana ossigenata.
Comunque sia, qualcosa c’era e mi impediva di ragionare e di lavorare in loro presenza.
Era come se stessero lì per sorvegliarmi e per criticare le cose fatte da me e una delle mie più grandi fissazioni era quella di fare tutto alla perfezione, essendo completamente a conoscenza che quella non esistesse.
Scossi la testa e tornai al mio lavoro, sbuffando silenziosamente e sperando che non mi sentissero.
Ma quando poggiai il forcone al muro e chiusi il primo box, sentii delle braccia avvolgermi e sorrisi automaticamente.
Mi voltai verso di Niall e portai le mie braccia dietro al suo collo, alzandomi in punta dei piedi per lasciargli un leggero bacio sulle labbra.
«Avevi da fare?» mi chiese, osservando il forcone appoggiato al muro.
Feci una smorfia e sbuffai.
«A dire la verità doveva farlo Louis.» risposi, voltandomi verso Louis e Jamie che continuavano nei loro affari amorosi.
Niall si schiarì rumorosamente la voce, attirando la loro attenzione. Si voltarono e, vedendomi avvinghiata al biondo in quel modo, spalancarono gli occhi e si avvicinarono.
«Oh, ma guarda chi c’è: Niall James Horan. Sai, non mi parli da una settimana e credevo avessi perso la voce.» disse sarcastico Louis, suscitando una risatina in Jamie.
«Sai cosa, Lou? Offendimi pure, non m’importa. Però il lavoro di pulire i box lo finisci tu perché io e la Jessica abbiamo da fare adesso.»
«Uhuh, l’atmosfera si fa emozionante.» boccheggiò Jamie, penetrando in quel discorso senza l’invito di nessuno. «Di’ un po’, Jess: ti ha sverginata o ancora non ha avuto questo onore?» sputò, con il suo bel sorrisino stampato sulla faccia.
Mi staccai da Niall e presi un bel respiro profondo, per controllare la rabbia ma niente: non ci riuscii.
Lei fece un balzo e si attaccò come una cozza a Louis, che mi lanciò un’occhiataccia.
Ma io non esitai ed avanzai, avvicinandomi pericolosamente a entrambi.
«Ti avverto, carina: provocami ancora, offendimi o prova semplicemente a rivolgermi nuovamente la parola senza il mio permesso che ti ritrovi uno dei tuoi preziosi braccini in polvere.» la minacciai, apatica come sempre.
Non serve arrabbiarsi quando si minaccia qualcuno: l’indifferenza fa più effetto.
O almeno per me funzionava così.
La vidi annuire intimidita ed io sorrisi, alquanto compiaciuta.
«Bene!» esclamai, per poi riavvicinarmi a Niall. «Aurevoir!» li salutai, prendendo il biondo per mano e trascinandolo fuori dalla scuderia.
Chissà cosa aveva intenzione di fare.
 
 
«Sei stata grande con Jamie prima!» esclamò in macchina.
Io sorrisi e mi voltai verso di lui: era concentrato sulla strada e non mi concedette l’onore di sapere dove fossimo diretti. Mi disse semplicemente di vestirmi bene.
Sospirò e allungò una mano verso di me per afferrare la mia.
«Lo sai che è inutile guardarmi così: non ti dirò dove stiamo andando.» ribadì per l’ennesima volta.
Sorrisi tra me e me. «Va bene.» confermai, spostando lo sguardo sulle nostre mani intrecciate.
Non sapevo cosa precisamente, ma era come se qualcosa iniziasse ad andare finalmente per il verso giusto.
 
 
Ci fermammo davanti ad un ristorante.
Era una scelta banale: in qualsiasi fottuto film o romanzo romantico il ‘cavaliere’ porta la sua ragazza a mangiare fuori, poi iniziano a ballare e alla fine finiscono magicamente con il fare l’amore.
Probabilmente la mia espressione esprimeva quel mio modo di pensare e Niall scoppiò a ridere.
«So a cosa stai pensando ma sta’ sicura che non è così banale.» si giustificò, uscendo dall’auto.
Sorrisi e scossi la testa, per poi scendere dalla macchina e prendere la direzione intrapresa da lui poco prima. Mi guardai intorno diverse volte, ma non lo trovai.
«Ma dove sei?» dissi, come se stessi pensando ad alta voce.
Qualcuno si schiarì la voce dietro di me, facendomi voltare di scatto, ma non mi ritrovai dietro Niall, bensì Harry.
«Principessa…» disse, chinandosi leggermente in avanti ed allungando la sua mano verso di me.
Scoppiai a ridere, mi avvicinai a lui e presi la sua mano. «Cosa state tramando?» chiesi, alquanto sconcertata, ma non ottenni nessuna risposta a parte un sorrisino complice.
Camminammo per un po’, fino a quando non mi fece fermare. Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un fazzoletto bianco e mi ordinò di chiudere gli occhi e di voltarmi.
Mi bendò e riprese la mia mano, guidandomi verso una direzione sconosciuta.
«Seriamente Harry: dimmi dove stiamo andando!» urlai istericamente.
«Stai zitta? Più parli e ti agiti, più mi fai dimenticare la strada! E sappiamo entrambi cos’è successo l’ultima volta che ho guidato io una gita: fammi concentrare!» ribatté puntiglioso lui.
In effetti aveva ragione: l’ultima volta finimmo per perderci in montagna e dovetti riprendere in mano io la situazione. Ma stavolta sarebbe stato pressoché impossibile visto che non sapevo dove fossimo diretti.
Di colpo lasciammo la strada asfaltata e le mie scarpe vennero a contatto con un terreno erboso e morbido e il perpetuo ed interrotto canto dei grilli rimbombava nella mia testa.
Ci fermammo e mi sembrò di udire un’altra voce, presumibilmente quella di Zayn.
«Bene, ti lascio nelle mani del cocchiere, bella donzella. Ci rivediamo tra un po’.» disse Harry, lasciandomi la mano, la quale venne subito afferrata da qualcun altro.
«Attenta: c’è uno scalino alto qui.»
«Zayn?» chiesi, lasciando che mi facesse salire su un qualcosa di misterioso quanto familiare.
«Esatto! Ora siediti e fermati, okay?» chiese cortesemente lui ed io annuii.
Capii di essere su una carrozza quando questa iniziò a muoversi, per poi fermarsi poco dopo.
Ora il canto dei grilli era meno persistente e sembrava aver lasciato posto al fruscio delle foglie e allo… scrosciare leggero delle onde?
Zayn mi aiutò a scendere e un’altra persona afferrò la mia mano, stavolta con molta più grazia.
La sua mano era rovinata, non morbida come quella del pakistano e, soprattutto, era grande.
«Liam, sei tu?» chiesi e sentii la persona che mi guidava sorridere.
«Sì, sono io principessa.» rispose.
Era la seconda volta che mi chiamavano così e quella cosa non mi piaceva affatto.
«Siamo arrivati. Ora io ti lascio la mano ma tu non muoverti e non toglierti la benda.» disse, lasciandomi.
Nessuno mi afferrò la mano, stavolta, e mi sentii quasi abbandonata a me stessa.
«Ma… Liam?»
«Sh, fidati di me.» disse, a bassa voce.
Lo sentii allontanarsi ed io sospirai: mi circondava il vuoto totale.
Sì, c’erano dei suoni intorno a me ed erano anche delicati ed adorabili ma… mi sentivo sola ed io odiavo quella sensazione.
Incrociai le braccia al petto, spazientita, fino a quando un contatto non mi fece scattare.
Qualcuno mi afferrò da dietro, stringendomi forte, e solo quando sentii la pressione delle sue labbra sulle mie mi tranquillizzai.
«Niall, vuoi levarmi questa benda?» dissi, scettica.
Lui sorrise e mi baciò di nuovo, per poi posare una mano sul nodo ed iniziare a scioglierlo.
«Okay, ma non aprire gli occhi fino a quando non ti do il permesso.»
Sorrisi ed annuii e finalmente mi levò quel fazzoletto dalla vista.
Prese la mia mano e mi tirò verso di lui, per poi sospirare ed abbracciarmi.
«Apri gli occhi.» acconsentì una volta per tutte.
Lasciai che le mie palpebre si schiudessero lentamente e mi ritrovai davanti ad un lago enorme, circondato da un bosco.
Vicino a noi c’era una tovaglia stesa a terra con delle cose da mangiare e una chitarra.
Mi voltai verso di Niall e lo vidi sorridere quasi più di me.
«Ti piace?»
«Niall è… è stupendo!» esclamai, abbracciandolo. «Ma perché lo hai fatto? Io…»
«Tu lo meriti, okay? Voglio che tu sappia che sei migliore di ogni altra persona, mi hai fatto tornare a sorridere, che tu ci creda o no. Sì, mi hai anche fatto passare cinque mesi d’inferno, ma in poche settimane sono tornato a vivere grazie a te. Jessica Anne Parker, io ti amo. E so che magari è presto per dirlo ma è così e non me ne vergogno. So di poter essere me stesso quando ci sei tu, so di poterti dire qualsiasi cosa e so di potermi fidare di te. Perché noi non siamo perfetti, siamo pieni di buchi e siamo pieni di difetti, ma insieme ci completiamo e raggiungiamo quello che io definisco concetto di perfezione. E non m’importa quello che potrà dire la gente: io voglio te, perché sei bella, dolce, irritante e pallosa al modo giusto. E sei te stessa. A me basta questo.»
Sentii una lacrima scivolare dolcemente lungo il mio volto.
Non era una lacrima qualunque, non era una lacrima di dolore ma di gioia.
Ed era quel ragazzo la mia gioia, era lui che volevo vedere sorridere per stare meglio, era la sua voce che volevo sentire quando stavo male ed era il suo calore quello che volevo per riscaldare il mio cuore.
Era lui la persona che volevo.
«Ti amo, Niall. Non l’ho mai detto in vita mia, non così almeno. Ora so che significa, quindi grazie.» dissi, sorridendo.
Sorrise anche lui e asciugò quelle due stupide lacrime che erano scese, per poi rinchiudermi in un abbraccio interminabilmente e fastidiosamente dolce.
Era tutto ciò di cui avevo bisogno ed era lì, era reale, era tra le mie braccia.
Io non valevo nemmeno la metà delle lacrime che aveva versato per me, eppure mi aveva scelta.
Ero stata cattiva con lui, eppure mi aveva detto quel ti amo così sinceramente, così onestamente.
Troppo, forse.
Non ci ero abituata. Non avevo mai sentito mio padre dire un ‘Ti amo’ a mia madre in quel modo.
Eppure lui ci era riuscito, e mi aveva aperto il cuore.
 
 
«Grazie davvero, Niall: è stata davvero la serata più bella della mia vita. In assoluto.» dissi, arrivata davanti alla sua stanza.
«Grazie a te.» rispose lui, stampandomi un bacio sulle labbra.
«Prendetevi una camera.» disse la voce stridula di Jamie dalle scale.
Sospirai e mi voltai verso di lei: indossava solamente una T-shirt di Louis.
«Io e Lou ci siamo rimasti davvero male: non pensavamo non ci avreste invitati al vostro fidanzamento ufficiale.» squittì, facendo delle smorfie.
Niall le rifece il verso, mentre io le lanciai un’occhiataccia.
«La sai una cosa, Jamie? Mi sono stancata. Sì, di te e dei tuoi modi di fare. Sei solo invidiosa perché io ho un ragazzo che mi ama e tu hai un ragazzo che ama quella che hai tra le gambe. O, perdonami: hai un ragazzo che usa quella che hai tra le gambe.» mi corressi: faceva più effetto ed era la verità.
«Jessica Anne Parker, dammi un buon motivo per il quale non dovrei vendicarmi.» ribatté lei, avvicinandosi a me.
«Bè, vediamo: perché a me non servono le tue vendette! Sono stanca, Jamie! Basta, non siamo più al Liceo! Siamo cresciute ed entrambe abbiamo avuto l’occasione di cambiare. Io ci sono riuscita, tu no. Non puoi sempre avere tutto, lo sai? A volte si perde, altre si vince. E tu hai sempre vinto: è il momento di lasciare qualche momento di gloria anche agli altri.» le risposi, seguita da un insistente annuire di Niall. Ciò fece sorridere me ed infuriare lei.
«Louis!» urlò, evidentemente a corto di battute.
Soffocai una risata e mi voltai, interrotta dai passi di Louis sul parquet del corridoio.
«Che vuoi, Jam… o, ma salve piccioncini! Com’è andata la serata?» disse, sarcastico.
«Bene, Louis. Soprattutto perché non c’eravate tu e il tuo canarino a romperci le palle!» rispose Niall.
«Come hai chiamato la mia ragazza?» disse Louis, arrabbiandosi.
«Ehi, calma. Tutti e due. Era una questione tra me e Jamie, non tra di voi.» li interruppi, tornando a guardare la ragazza, che si era avvicinata a Louis.
«Senti, io e te eravamo amiche una volta: potremmo tornare ad esserlo, non credi?» chiese, con quel suo solito sorriso ingenuo sulle labbra.
«E per cosa, per tornare a fare la tua ombra? No, basta! Io ho la mia vita, tu hai la tua. Sì, per ora viviamo sotto lo stesso tetto, ma ciò non ti autorizza a credere che siamo ancora amiche perché bè, non è affatto così. Io e tu non torneremo mai ad essere amiche, Jamie: rassegnati.»
Singhiozzò ed iniziò con uno dei suoi pianti finti, scatenando in Louis una rabbia fuori dal normale.
«Sai cosa, Jessica? Sei un soldato e potrei prenderla con te. Ma non mi va di farti un occhio nero: sei già truccata male. Piuttosto me la prenderò con il tuo bel fidanzatino qui.» disse.
«Tu cosa?» urlai, parandomi davanti a Niall quando iniziò ad avvicinarsi.
«Sì, lascia che mi picchi, Jess. Lascialo stare.» disse Niall, cercando di farmi spostare da davanti a lui.
Mi voltai a guardarlo e presi il suo volto tra le mani, ma i suoi occhi erano rabbiosamente puntati su Louis.
Il mio sguardo si offuscò: perché voleva farlo? Cosa doveva dimostrare?
«Niall… no.» sussurrai, riuscendo finalmente a fargli distogliere lo sguardo da Louis, che sbuffava come un toro infuriato.
«Oh, ma bravo: fatti difendere dalla fidanzatina. Ma sappi che anche lei come Kathelyn passerà sotto le mie lenzuola.»
«Ora basta!» urlò di risposta Niall, spingendomi via e tirando un pugno dritto in faccia al rosso, che ricambiò riempiendolo di botte.
Provai a dividerli, ma non ci riuscivo dato che Jamie continuava a ridere come una gallina.
Sentii la porta di casa chiudersi e le voci dei ragazzi e mi precipitai lungo le scale, urlando di aiutarmi.
Corsero subito a dividerli, ma per quando ci riuscirono il naso di Niall era già sanguinante, il suo volto pieno di graffi e gonfio di botte.
Non riusciva neanche ad alzarsi dal pavimento.
Di colpo tutti i suoni divennero ovattati, proprio come quando la mia gamba finì nella morsa della tagliola. Le ginocchia mi cedettero e finii vicino a Niall, il quale sguardo era perso nel vuoto.
Le mie labbra si muovevano, i miei occhi perdevano innumerevoli lacrime, ma nonostante tutta la confusione intorno a me non riuscivo a sentire alcun suono.
Passarono diversi minuti quando una sirena mi riportò alla vita reale.
Qualcuno mi alzò da terra e degli uomini vestiti di arancione caricarono Niall in una barella e lo portarono via.
Mi sentii avvolta in un abbraccio: probabilmente era Harry.
Altri suoni confusi continuavano ad arrivarmi, ma l’unica cosa che riuscivo a vedere era lo sguardo di Niall rivolto verso di me pochi secondi prima.
Poi mi sentii cadere di nuovo e tutto si spense, diventando buio. Ma non un buio qualsiasi: un buio totale, dal quale niente e nessuno poteva tirarmi fuori.


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Spazio ai pinguini!
#Depressione

Comunque sia, salve a tutti!
Sì, capitolo deprimente e alquanto lungo e pesante, me ne rendo perfettamente conto.
Perdonatemi ma dovevo mettere un colpo di scena o questa storia sarebbe finita tra il catalogo di 'storie banali' e sapete che io odio le banalità.
Non ho molto da dire oggi, ma voglio lasciarvi uno spoiler perché non l'ho mai fatto e vi giuro che certi di voi mi chiedono di tutto e di più nelle recensioni. lol
Ma io sono cattiva e non vi dico mai niente, quindi se vi interessa andate giù e vedete lo spoiler. Se invece volete rimanere nel mistero non andate giù e non scoprite nulla. (Simple but effective è.é)
Prima di andare a deprimermi tra i miei pinguini depressi (sì, ultimamente sono depressa. Non s'era capito? lol), vorrei ringraziare chi mi segue dalla mia prima storia.
Sapete, sono cresciuta con molti di voi e sono davvero felice che mi seguiate ancora: vi devo tutto.
Bene, scappo dai miei pinguini.
Magari mi fanno ridere un pochino. 
E' che oggi doveva uscire LWWY, il nuovo singolo dei ragazzi ma a quanto pare uscirà il 24. 
E IO MI SONO SVEGLIATA ALLE SETTE PER NIENTE, CAPITE? 
Poi ho taaaaaanta paura per la scuola. :/
Okay, me la smetto di annoiarvi.
Ditemi cosa ne pensate, bellezze. :)
Alla prossima!

Un bacio, Serena xx

P.S: ho cambiato nickname su twitter. Non sono più @Sere_Swan :)
Ora mi chiamo @xdarrenssmile, seguitemi se vi va. :)

Per lo spoiler vai sotto a questa dolcissima gif diku






SPOILER:
Nel prossimo capitolo subentrerà un nuovo personaggio, del quale è stato parlato durante la storia. Però non vi dico chi è uu
Sappiate che il mondo di Jessica si capovolgerà, come quello di tutti gli altri e le nostre protagoniste femminili potrebbero cambiare i loro punti di vista.
Anche il banner cambierà. :)
Ciaoo! 

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Capitolo 15
*** 14. Somewhere only we know. ***


Chapter 14
Somewhere only we know.

 
Riaprii gli occhi e vidi Harry seduto sul letto vicino a me.
Mi sorrise.
«Harry, ho fatto un sogno terribile.» dissi, sbadigliando.
Il suo sguardo si rattristò di colpo.
«Jess… non era un sogno.» disse, per poi fare una pausa. «Niall è in coma farmacologico e Louis… bè, Louis è in prigione.» confessò, distogliendo lo sguardo dai miei occhi.
Sentii come il mondo cadermi addosso e una fitta atroce allo stomaco, ma le lacrime non uscirono subito.
Non era vero, non era praticamente possibile che Niall fosse in coma: lui mi aveva guardato, lui respirava, lui era vivo!
«Mi dispiace, Jessica.» disse, abbracciandomi.
Alcune lacrime iniziarono a scendermi lungo il volto mentre Harry continuava a stringermi forte.
«Portami da lui, ti prego.» gli chiesi e lui annuì, uscendo dalla mia stanza per permettermi di cambiarmi.
 
 
«Jess…» disse il riccio prendendomi per mano, una volta raggiunto l’ospedale.
«Voglio vederlo, Harry.» replicai io per l’ennesima volta.
Il ragazzo annuì flebilmente e mi lasciò andare.
Attraversai di fretta il lungo corridoio grigio, fino a raggiungere la camera “C23”.
Presi un respiro profondo ed abbassai la maniglia, ritrovandomi in una stanza poco luminosa, spoglia, con un letto dalle coperte bianche.
Intravidi il suo viso su quel cuscino: quasi si confondeva.
La sua carnagione era spenta, pallida. Mille tubi erano attaccati a lui. Sulla bocca, sul naso, sulle braccia…
I suoi occhi erano chiusi, sigillati. Non c’era nessun suono, a parte il fastidioso conta battiti posto accanto al letto.
Erano lenti, pesanti. La distanza tra l’uno e l’altro era immensa, quasi secolare.
Era come se il mondo si fosse fermato, dentro quella stanza. O si fosse rallentato.
Lui era lì, steso. Inerme, ma le sue labbra erano leggermente piegate all’insù, alludendo ad un sorriso.
Era tra gli angeli, era in un posto migliore. E so che può sembrare egoistico, ma desiderai con tutta me stessa che tornasse lì, con me, tra le lacrime e le lotte di tutti i giorni.
Avremmo sofferto, ma insieme. Forse lo dicevo per me: era un modo per convincermi che sarei potuta arrivare a qualche stupido scopo, ma non da sola.
Eppure avevo paura di perderlo, nonostante quella macchinetta con delle scritte verdi mi illudesse in qualcosa di positivo.
Il fatto era che non lo avevo mai visto in quel modo. Non avevo mai visto nessuno conciato peggio di lui, e di casi estremi ne avevo osservati e subiti a palate.
Sospirai e mi avvicinai al letto. Gli afferrai la mano. Non era calda, né fredda.
La strinsi, sperando in un contatto, in un segno, ma non sentii nulla. Solo il persistente ticchettio del conta battiti, ancora e ancora.
Scossi la testa e trattenni le lacrime: non volevo piangere, non ancora. Avrei pianto se quel persistente ticchettio si fosse fermato, ma non prima. La speranza, la forza, la freddezza, ma soprattutto la prima mi impedivano di essere debole e mi ordinavano di essere forte. Esigevano che lo fossi.
Dovevo farlo non solo per me, anche per lui. Nell’attesa che tornasse a sorridere e a vivere.
Capii che non era importante con chi sarebbe stato poi, ma in quel momento ero io a dover stare con lui, come aveva fatto per me.
Non me lo meritavo. Io non ero alla sua altezza.
Se non avesse scelto me non sarebbe andata a finire in quel modo.
Ma niente va mai come si spera: perché mai io, la sfortuna personificata, avrei dovuto essere l’eccezione?
Scossi la testa e lascia la sua mano, per poi uscire dalla stanza.
Appena mi vide, Harry si alzò dalla sedia di fianco alla porta e mi abbracciò.
Fu una cosa automatica, un farsi forza a vicenda.
Un ‘tranquillizzarsi’, illudendo noi stessi che le cose sarebbero andate per il verso giusto pur sapendo che alla fine tutto si sarebbe potuto ribaltare.
Ci staccammo e lo guardai negli occhi: provai invidia.
Perché lui non aveva problemi a piangere? Perché io dovevo sempre essere diversa, in qualche modo? Perché quella distinzione dagli altri, nonostante avessi passato metà della mia vita a fare da ombra a una ragazza viziata?
«Quanto hanno dato a Louis?» chiesi.
Lui strinse i pugni e deglutì rumorosamente, quasi volesse mandar giù la rabbia.
«Otto mesi.»
«Cosa?» mi lasciai scappare, ricevendomi uno ‘Sh’ secco da Harry, che mi prese per mano e mi trascinò lungo il corridoio.
«Sono troppo pochi, Harold, e lo sai anche tu! Ha quasi ucciso una persona!» protestai, a voce bassa.
Lo vidi annuire e sospirare, per poi fermarsi e guardarmi negli occhi.
«Lo so e capisco la tua frustrazione. Sono o, meglio: credevo di essere il suo migliore amico, ma nonostante tutto mi sono arrabbiato quando mi hanno comunicato la sua pena. Insomma: meritava di più.» disse, ancora turbato.
Sbuffai e abbassai lo sguardo: non sapevo davvero cosa fare.
Alla fattoria ci sarebbe stato molto più lavoro da fare, e Jamie era ancora nei paraggi.
Per qualche misterioso motivo non se n’era tornata nella sua bella villa a Londra e questo mi dava fastidio.
«Senti, vorrei andare a casa adesso.» dissi, tornando a guardare Harry.
Annuì ed iniziammo a camminare verso l’uscita, dove sentii qualcuno chiamarmi.
«Jessica?» disse una voce maschile.
Mi voltai e vidi un ragazzo alto che mi fissava. I suoi occhi avevano un colore strano, che si fondeva tra il verde e l’azzurro, i suoi capelli sembravano placcati d’oro e la sua bocca era a dir poco enorme.
Ma il suo sorriso era… particolare e fastidiosamente luminoso.
Mi fece sentire a casa, per un momento.
Piegai leggermente la testa a destra e lo scrutai attentamente.
«Ci conosciamo?» chiesi, indicando prima me e poi lui.
Abbozzò un sorriso e si avvicinò a me.
«Sono Marcus, Marcus Tanner. Ricordi? Frequentavamo i corsi di Biologia ed Educazione Fisica insieme i primi due anni di superiori.» disse, con il suo perenne sorriso sulle labbra, come se niente fosse.
Sprofondai nell’oblio più profondo.
«Ehm sì, mi sembra di ricordare.» risposi, sorridendo falsamente. «Come mai da queste parti?» chiesi, cercando di sembrare il più naturale possibile.
In realtà avrei voluto sbarazzarmene, ma era come se il mio cuore, vedendolo, avesse trovato pace per un secondo.
«Faccio l’infermiere. So che sembrerà da esaltati o da… gay, ma mi serve esperienza per finire l’università.» disse.
E perché mai fare l’infermiere doveva essere da gay?
«No, affatto: trovo che sia un bel mestiere.» risposi.
Sentii Harry schiarirsi la voce e mi ricordai della sua presenza.
«Oh, scusa Harry. Marcus, lui è Harry: un mio amico, collega e coinquilino.» li presentai.
Si strinsero la mano e fecero delle vaghe presentazioni, ma poi l’attenzione di Marcus si concentrò nuovamente su di me.
«Ma non ti avevano data per morta?»
«Ecco, è una storia lunga e noi dobbiamo tornare a lavoro, scusa.» risposi, cercando di tagliare la corda.
«Bè, questo è il mio numero. Mi ha fatto piacere rivederti, magari chiamami.» disse, allungandomi un bigliettino da visita.
«Grazie Marcus ma…»
«Oh, Jess! Non ti ha chiesto di sposarlo! Marcus, noi viviamo nella fattoria Hale, alla seconda uscita della Statale. Passaci a trovare un giorno di questi.» lo invitò Harry, sorridendo.
Marcus annuì e ci salutò, lasciandoci finalmente andare.
Salimmo in macchina ma, quando il riccio fece per mettere in moto lo fermai.
«Si può sapere perché lo hai invitato da noi?» chiesi, irritata.
«Jessica, ascoltami: Niall è in coma. So che lo ami, so che ci stai malissimo e fai la fredda e la dura solo per non far trasparire le emozioni ma lui è un tuo vecchio amico: vorresti impedirgli di farti sorridere? Ti conosce da più tempo di noi, conosce la vera te, quella che veniva prima della trasformazione in collegio. Esci con lui, magari riesci a trovare un equilibrio.» cercò di convincermi, ma io non annuii.
«Harry, il problema non è Marcus.» dissi e lui fece segno di non capire. Sospirai e continuai. «Credo sia giusto che tu sappia una cosa. Andiamo in un parco a camminare un po’, okay?» proposi e lui acconsentì.
 
 
«Quindi vorresti dire che nel bel mezzo della lezione di educazione fisica, Jamie è andata da Marcus, del quale tu eri cotta, e lo ha baciato?» chiese conferma Harry, guardandomi perplesso.
«Proprio così. Vedi Harry, a me quel ragazzo piaceva da ben nove mesi e grazie a Jamie mi si spezzò il cuore. Per questo non voglio che venga alla fattoria: ho paura che rivedendo Jamie possa riaffiorare il passato.» confessai, sedendomi su una panchina.
«Hai paura di poterti innamorare di lui di nuovo?» chiese il ragazzo, prendendo posto vicino a me.
Stentai per qualche secondo nel rispondere, ma poi annuii, sospirando delusa.
Ricevetti solo un abbraccio: un semplice abbraccio pieno di comprensione, fiducia, amicizia.
Tutto quello di cui avevo bisogno.
Sentii una lacrima scivolarmi lungo il viso e un singhiozzo graffiò nella mia gola.
«Ehi…» disse lui, cercando di consolarmi.
«La cosa che ha fatto più male è che io credevo di avere delle chance con lui. E poi arriva lei, la ragazza perfetta, la ragazza che tutti vorrebbero avere. Mi capisci?» dissi, ma poi mi risposi da sola. «No, niente: tu sei un ragazzo e scommetto che anche a te piacerebbe una ragazza come Jamie!» esclamai, cercando di non fare l’isterica.
«Jessica, no. Bè, Jamie è bella, prosperosa, sexy e tutto quello che vuoi, ma è vuota dentro. Tu no, invece. E anche tu sei bella, ti manca solo un po’ di femminilità, ma vai benissimo così. A volte quelle come te sono quelle che lasciano il segno. Non ci si guadagna niente ad essere troie, ricordatelo.» confessò, abbracciandomi di nuovo.
«Harry? Sei stato anche tu con Kathelyn?» chiesi, quasi spontaneamente.
Il ragazzo sciolse l’abbraccio e mi guardò negli occhi, sospirando.
«Sì.» rispose, deluso. «Eravamo ubriachi. Sai, prima Trudy ci permetteva di andare in discoteca tutte le sere. Per questo ora abbiamo solo il venerdì e il sabato. Niall ha tentato di tutto dopo quella delusione. Ha iniziato ad uscire con delle ragazze pessime, veniva a casa tutte le sere ubriaco marcio e si addormentava dentro alla vasca. Ha tentato di fare il moto cross solo per provare l’adrenalina, per far vedere a tutti di essere coraggioso. Ma infondo Niall è il ragazzo più bravo di tutti e tu te lo meriti, come lui merita te.» confessò lui, poggiandomi una mano sulla spalla come per farmi coraggio.
«Grazie, Harry.» dissi, abbracciandolo di nuovo.
Lo sentii sorridere e poi si staccò da me e mi prese per mano. «Andiamo a casa.»
«Andiamo a casa.» acconsentii io, iniziando a camminare verso la macchina.
Avevo solo un pensiero in testa: Niall.
Volevo solo vederlo sorridere e baciarlo, baciarlo fino allo sfinimento. E sapere che stava bene, stringerlo forte e non lasciarlo più. Proteggerlo, in un certo senso.
Perché io lo amavo, veramente e per la prima volta.
 
One Month Later: June.
 
Iniziai a sellare il cavallo, il mio cavallo.
Si chiamava Dalton, era il Purosangue che mi presentò Niall il mio primo giorno lì.
Finì Trudy ad impararmi a cavalcare e ci riuscii in poche settimane.
Ed era proprio così: era passato un mese, precisamente.
Finalmente era arrivata l’estate.
Allacciai il sottopancia alla sella ed infilai il morso al cavallo, per poi uscire dalla scuderia.
Jamie era lì fuori che giocava con il nuovo cane di Trudy e Harry e Liam continuavano a discutere da settimane su quale sarebbe dovuto essere il nuovo colore del furgoncino.
Abbozzai un sorriso e montai in sella, quando vidi Zayn avvicinarsi a me.
«Ehi, posso unirmi a te?» mi chiese ed io annuii. «Sello il cavallo e arrivo.» disse, correndo dentro alla scuderia.
«Scommetto che se te lo chiedo io mi dici di no.» si intromise quella solita vocina nasale.
Mi voltai e sbuffai.
«E non te lo dirò solo io: anche Zayn lo farà.» risposi, sarcastica. Sbuffò e si posò le mani sui fianchi, fissandomi con un’espressione ridicola e capricciosa. Soffocai una risatina e tornai a guardarla. «Perché non torni a casa? Qui non hai niente da fare a parte rendermi la vita un inferno.» dissi, con molta meno grazia e gentilezza.
«Oh, è proprio per questo che rimango qui, mia cara.» mi provocò, avvicinandosi a me.
«Seriamente, Jamie: credi davvero che cadrò di nuovo nella tua stupida trappola?»
«Tu sei stupida, non la mia così detta trappola. Che poi una trappola non è visto che è il mio stile di vita.» ribadì, atteggiandosi come una bambina.
«Smettila, Jamie. Davvero. Non sono tua amica, ma questo è un consiglio da tale. Sei ridicola, così. Non lo vedi che sei da sola? Non te ne rendi conto? Perché non cambi e non te la fai finita a rovinare sempre gli altri, rendendoli le tue marionette? Ci guadagneresti nel fare meno la stronza.» le dissi.
Assunse un’espressione poco convinta, ma poi annuì, come per sottomettersi.
«Eccomi! Andiamo?» urlò Zayn dalla scuderia.
Mi voltai a guardarlo e annuii, per poi tornare a guardare Jamie.
«Possiamo parlare dopo?» mi chiese, a testa bassa.
«Okay.» acconsentii io, riportandole il sorriso sul volto.
Vederla sorridere in quel modo fu strano. Non era un sorriso strafottente, né uno di quelli che si appiccicava in faccia solo per far sentire gli altri delle nullità.
Era un sorriso spontaneo e riconoscente, che mi fece sentire quasi bene.
Sorrisi di risposta e mi avvicinai a Zayn, per poi intraprendere il sentiero di montagna e iniziare a galoppare per i boschi.



Spazio ai pinguini!
Ma buonsalve a tutti!
Non ho niente da dire questi giorni, quindi la farò breve.
Ecco qua il capitolo. Ora molte di voi mi vorranno uccidere per aver peggiorato radicalmente le cose (lol) ma fateci l'abitudine! è.é
Il nuovo personaggio non è Kathelyn come tutte credevate (muahahahahahahahah) ma Marcus, la vecchia fiamma (wtf?) di Jessica. u.u
L'attore è Chord Overstreet (la mia amica Brittany sarà felicissima, immagino difuhod) e niente, a me piace come ragazzo ma nella storia un po' meno.
NON VI DICO PERCHE', quindi non tentate di farmi parlare nelle recensioni perché sapete benissimo che non spiccico mezza parola muahahah.
Sono cattiva? Sì, ne sono al corrente e ci sto lavorando. Don't worry. ;)

PER TUTTI I CAVOLI, AVETE VISTO LA NUOVA ICON DI ZAYN SU TWITTER? kdfjuohgdiufhgopdf
Addioooooooooo mondo crudele!

-Notiziario delle 16.30
Milioni di ovaie in tutto il mondo sono morte. Indagato per omicidio colposo Zayn Jawaad Malik, cantante dei One Direction.
Il suo movente è aver cambiato icon su twitter.


PUAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH!

Okay, fortuna che non avevo niente da dire lool

Torno alla storia perché ho delle novità:
1) La mia cara ispirazione è andata a farsi fottere.
2) Ho in cantiere ben due nuove storie. Una è sui One Direction, ma l'altra no. è.é Più avanti vi dirò chi è il o la protagonista. u.u

Niente, spero che le leggerete.
Però intanto vi lascio questa da leggere, che è meglio.

Me ne vado: qui è piovuto e i miei pinguini si sono rotolati nel fango. 
MI TOCCA PULIRLI TUTTI. D:

Okay, scappo davvero.
Lasciatemi qualche recensione e ditemi che ne pensate :)

Un bacione, Serena xx

P.S: non ho messo il banner all'inizio perché sul banner c'era il nuovo personaggio e non volevo svelarlo subito. :)

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Capitolo 16
*** 15. Why don’t you walk away from my life? ***




Chapter 15

Why don’t you walk away from my life?

 

«Dovresti provare con il morso: il cavallo sarebbe più gestibile e tu ti troveresti meglio.»
«Sì Zayn, va bene.» dissi, con l’intento di farlo stare zitto.
Era da quando avevamo toccato terra con i nostri piedi che continuava a blaterare su quanto il morso fosse meglio del filetto per l’imboccatura del cavallo.
Anche se la mia opinione era diversa.
Sbuffai rumorosamente per l’ennesima volta e mi voltai verso di lui.
«Non prenderla sul personale, ma non m’importa. Sai com’è? Il ragazzo che amo è in coma da un mese e non da alcun accenno di vita a parte un perpetuo e lento ticchettare di deboli battiti e quella che un tempo era la mia migliore amica non fa altro che fare la stronza con me. Quindi, Zayn: pausa, un secondo. Zittisciti!» lo implorai.
In effetti era un po’ strano dire a un tipo come Zayn di stare zitto: il chiacchierone era Niall.
Ma mi ci abituai, lentamente.
Cosa potevo fare, altrimenti? Rimanere a deprimermi per una situazione che in quel momento era irreparabile e che, probabilmente, sarebbe rimasta tale per parecchio tempo?
No, non era da me.
«Hai ragione, Jess. Scusami.» rispose Zayn, avvicinandosi a me per poi abbracciarmi.
Sorrisi appena e mi staccai da lui.
«Puoi finire tu, per favore? Io… devo andare.» gli chiesi e lui annuì e sorrise.
Sorrisi di risposta e corsi in casa.
«Jamie, dove sei?» urlai dalle scale.
«In camera, vieni!» rispose lei.
Nel preciso istante in cui sentii la sua voce mi chiesi perché dovesse essere così irritante.
Scossi la testa e mi fermai davanti alla camera di Louis, la quale era diventata la sua camera e pochi vi potevano entrare.
Spinsi leggermente la porta e sbirciai dentro: Jamie era sdraiata sul letto a guardare la tv.
Diedi due colpi al legno freddo con le dita, attirando la sua attenzione su di me.
«Oh, entra pure.» mi invitò, spegnendo la tv e facendomi segno di sedermi sul letto vicino a lei.
Sospirai e feci come richiesto, per poi guardarla negli occhi.
«Senti Jessica, io volevo scusarmi con te…» iniziò a dire. «… per tutto. Insomma: sono stata una pessima amica. Ti ho sempre messa da parte, sottovalutata, oscurata e questo non va bene. Ma il fatto è che io sono sempre stata invidiosa di te.» ammise, abbassando la testa.
«Cosa? Stai scherzando, spero.» dissi io, guardandola scetticamente.
«No, affatto! Tu avevi tutto, io niente.»
«Cambia spacciatore, Jamie. Non sono venuta qui per sentirti delirare o per essere presa in giro.» dissi. «Io ero gelosa di te: tu avevi tutto. Una famiglia che ti voleva bene e ti viziava, una sorella maggiore che non faceva altro che scarrozzarti a destra e sinistra, eri così bella e così maledettamente ricca e fortunata… guarda me, invece! A diciannove anni sono piena di cicatrici, ho dei capelli che fanno pietà poiché al collegio mi permettevano di lavarli solamente una volta al mese e il mio ragazzo è in coma. Non credo fossi gelosa di tutto questo.» confessai, sentendo il fiato mancare e gli occhi pizzicare in una maniera assurda.
«Stai parlando di due anni a questa parte, tu! Io parlo di prima, molto prima. Eravamo ancora bambine! I miei genitori litigavano, i tuoi si amavano e quel poco che avevano lo davano a te. Ma lo facevano perché ti volevano bene, non per comprare la tua fiducia come facevano i miei. E poi diciamocelo: sei bellissima. E Marcus era innamorato pazzo di te ma anche a me piaceva! Ed io ero gelosa perché lui aveva scelto te!» iniziò ad urlare ed io non ci vidi più.
«Non c’entra un cazzo Marcus, adesso! E nemmeno quei peluche microscopici che mi portava a casa mio padre dal negozio in cui lavorava, Jamie! Io ero morta per loro, come per te e per tutti! Non avevi nessun motivo di essere gelosa di me perché anche i miei genitori litigavano, se questo è il punto. E mio padre prendeva a botte sia me che mia madre. Vorresti mettere la tua vita d’oro contro la mia vita di merda? Vorresti mettere che tu hai vissuto questi due fottuti anni come un’adolescente normale mentre io li ho vissuti a patire le pene dell’inferno in un collegio che non so perché è ancora aperto?»
Mi accorsi di urlare e piangere allo stesso momento solo quando Jamie mi abbracciò.
Ma me la staccai di dosso.
«Se era un pretesto per litigare, potevi anche dirmelo e sarei venuta più preparata.» dissi, asciugandomi le lacrime e dirigendomi verso la porta.
«No Jessica! Io ci tengo a te!»
«Vallo a raccontare a qualcun altro. Ho chiuso con te!» sputai, richiudendomi la porta alle spalle.
Corsi in camera mia e chiusa a chiave, per poi andare in bagno ed infilarmi sotto la doccia.
Ero vestita ma non mi importava: volevo solo che quell’orrenda sensazione delle lacrime che scorrevano lungo il mio viso cessasse.
Almeno sotto al getto d’acqua sembrava fossero un tutt’uno.
Rimasi lì dentro per circa mezz’ora e poi uscii.
Mi asciugai per bene e mi buttai sopra al letto, per poi addormentarmi, senza pensare minimamente allo stomaco che brontolava o alle urla di Jamie che ancora mi rimbombavano in testa.
Pensai solo che il giorno dopo sarebbe potuto essere migliore.
 
 
Una fragorosa risata mi fece sobbalzare.
Giurai fosse la voce di Louis, ma era praticamente impossibile dato che era rinchiuso in prigione.
Scossi la testa e guardai l’orologio sopra al comodino: mezzogiorno.
Avevo dormito tantissimo e avevo mille lame che mi trafiggevano lo stomaco.
Mi alzai, mi cambiai ed uscii dalla mia stanza, scendendo lentamente le scale ancora assonnata.
Qualcuno si avvicinò a me e mi ci volle un po’ prima di rendermi conto che fosse Harry.
«Jess, c’è una cosa che devi sapere prima di scendere quell’ultimo scalino.» mi disse, afferrandomi per i polsi.
«Ommiodio… Niall?» chiesi allarmata, pensando gli fosse successo qualcosa.
Ma lui scosse la testa serio e mi guardò dritto negli occhi.
«C’è…» iniziò a dire, ma poi venne interrotto da qualcuno.
«Ehilà Jessica, è un bel po’ che non ci si vede!»
Sgranai gli occhi e spostai Harry con una spinta da davanti a me, così da poter vedere l’ultima persona al mondo che sarebbe dovuta essere lì: Louis Tomlinson.
«Tu cosa ci fai qui?» dissi, piena di rabbia al solo pensiero che stesse respirando la mia stessa aria.
«Bè… Jamie ha pagato la cauzione e mi hanno ridotto la pena agli arresti domiciliari.» spiegò, come se niente fosse, mentre quell’arpia – che altro non era – gli si strusciava addosso come una gattina che fa le fusa.
«Ma non si può! È contro la legge!» protestai, guardandomi intorno.
Tutti erano a testa bassa e non fiatavano.
«Vero, a meno che tu non abbia un padre che fa l’avvocato e che ti riempie d’oro.» rispose Jamie, soffocando una risatina bastarda.
«Bene, allora io me ne vado.» dissi, scendendo l’ultimo gradino ed avvicinandomi all’appendi abiti per prendere la mia giacca.
«Cosa?!» disse Harry, costringendomi a guardarlo.
«Se stare qui significa vivere con due criminali bè: preferisco di gran lunga vendermi al preside del collegio pur di rientrare.» sputai, guardandoli uno ad uno.
«Jess, tu… non puoi farlo.» sussurrò il riccio, avvicinandosi a me.
Cercò di abbracciarmi ma lo respinsi con tutte le forze che avevo in corpo.
«Smettetela di dirmi cosa devo e cosa non devo fare!» urlai, trattenendomi nel dare un pugno al muro. «Tu non dovevi permettere che lo facessero!» dissi poi, rivolgendomi a Trudy. «E io che pensavo che la mia vita stesse migliorando.»
Un singhiozzò mi scappò dalla gola e Louis sorrise beffardo.
«Ehi, va tutto bene…» tornò a dire Harry, avvicinandosi nuovamente a me.
«No invece!» urlai e lui si allontanò di scatto. «Tu… avevi detto che avresti fatto di tutto purché quell’essere dietro di te scontasse la sua pena. Allora perché hai permesso che entrasse di nuovo dentro questa casa, eh? Non eri forse tu la persona che aveva detto che io e Niall non meritavamo di soffrire? Oh, ma tanto che importa: uno è per lo più morto e l’altra invece non è mai esistita per nessuno! Dovreste vergognarvi. E non lo dico per me, ma per Niall.»
Sbuffai come un toro ed aprii la porta di casa, uscendone.
E non sarei ritornata. Non subito almeno.
 
 
Attraversai il corridoio e mi fermai davanti alla camera di Niall.
Ma prima di aprire la porta constatai che non vi fosse nessuno: era così.
Abbassai la maniglia ed entrai, presi posto vicino al letto ed allungai la mia mano fino a prendere la sua.
Sentii delle lacrime scendere lungo tutto il mio viso, ma non me ne preoccupai.
Quale posto è migliore per piangere se non un ospedale?
La cosa che più mi mise paura fu quell’enorme pressione sul petto, quel senso di vuoto incolmabile e di rabbia che prendevano il sopravvento.
Mi avevano deluso. Sarei rimasta vicino a Niall perché lui era tutto quello che mi rimaneva, a parte una felpa grigia, venticinque sterline e un pacchetto di fazzoletti.
«Vorrei che non fosse successo tutto questo.» sussurrai, guardando il viso di Niall. «Se non fosse stato per me tu a quest’ora non rischieresti di essere quasi morto.» dissi poi, stringendo la sua mano e sperando in qualcosa che non sarebbe mai potuto arrivare.
Rimasi lì a lungo, con lo stomaco che mi si contorceva dalla fame e con gli occhi che bruciavano per le lacrime.
 
 
Uscii dal bagno delle donne e qualcuno mi diede una spallata.
«Scusa.» dissi con nonchalance.
«Jessica? Dove vai?»
Nel sentir pronunciare il mio nome alzai il volto e mi ritrovai davanti Marcus.
«Oh, ciao. Stavo andando via.» affermai, cercando di abbozzare un mezzo sorriso.
«Vai a casa?» chiese lui, avvicinandosi a me.
«Bè, a dire la verità non posso…» dissi, abbassando la testa.
«Perché?»
«Nah, lasciamo perdere.» risposi.
«Ti va di andarci a prendere un caffè? Facciamo una passeggiata e parliamo un po’…» propose lui, sorridendo.
«Okay, dai.»
Cercai di sorridere a mia volta e mi avvicinai, per poi seguirlo verso l’uscita.
 
 
«Perché non puoi tornare a casa?» chiese, sorseggiando il suo frullato.
«Perché ho litigato con i miei coinquilini…» risposi, tenendo lo sguardo dritto sulla strada.
«Non hai un altro posto dove stare?»
«Ecco… no.» ammisi, sospirando.
Lui finì di bere e buttò il bicchiere nel primo cestino che trovò lungo il marciapiede, poi si voltò verso di me.
«Allora ti do due scelte: puoi rimanere a dormire sugli alberi come la ragazza di Hunger Games oppure puoi fermarti a casa mia.»
«A casa tua? No, ti darei fastidio e poi…»
«Vivo da solo e poi non mi azzarderei mai a toccarti! Il tuo ragazzo è in coma ma non morto. E poi eravamo amici, no?» disse, sorridendo.
Strappò un sorriso anche a me e mi costrinse a guardarlo negli occhi.
«Ci stai?»
Sospirai e ci pensai un secondo.
«Va bene.» risposi e lui sorrise. «Però devi sapere che non ho niente.»
«Ci penso io: tu fidati di me.» rispose, riprendendo a camminare.
Da una parte ero felice, ma dall’altra devastata: non avrei pensato che quella casa e quelle persone, nonostante mi avessero fatto tanto male, mi sarebbero mancate così tanto.

 


Spazio ai pinguini!
EHILA' GENTE!
Prima di tutto... SCUSATEMI PER L'ABNORME RITARDO! 
Sono consapevole di non essere di parola, perdonatemi! *si inginocchia*
AAAAAAAAAAAAAALORA... (?)
Per tutti gli allori(?), questo capitolo piace anche a me. lol
E' un miglioramento, segno che la mia autostima sta crescendo.
Dite la verità, di Louis non ve l'aspettavate eh? MUAHAHAHAHAHAHAHAHAH! Aspettatevi di tutto da me.
Anche se credo che ormai mi conosciate e sappiate come sono fatta u.u lol
AAAAAAAAAANYWAY...
manca davvero poco per l'inizio della scuola... and I'm like... EVER! 
Nel senso, like Taylor Swift!
...
..
.
..
...
*passa una nuova era glaciale e tutti sono ancora schifati per la battuta sopra*

DELLA SERIE CHE SONO DEI GIORNI DI M**** (censuriamo vah) E CHE NON FACCIO RIDERE NEMMENO I POLLI!
E SE NON FACCIO RIDERE I POLLI FIGURATEVI SE RIESCO A FAR RIDERE I PINGUINI!
Per di più adesso sono fissata con Pinco Panco e Panco Pinco.
Tutta colpa di un nickname su twitter... bah.


"E IL PULCINO PIO, E IL PULCINO PIO, E IL PULCINO PIO!"
And I'm like...
 

PUAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH!
BASTA! NON SIAMO QUI PER PETTINARE LE BAMBOLE!



Infatti ci pensa Buzz Lightyear lol

NON FACEVA RIDERE.
Lo so... *piange*

ATTENZIONE GENTE! Ho pubblicato una nuova fanfiction c:
Non è sui 1D ma su Glee. E' la mia prima storia su quel genere, quindi se a qualcuno di voi piace Glee o è semplicemente interessato e vuole passare, ecco il link: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1253533&i=1


Sapete cosa?
Vi lascio uno spoiler anche stavolta.
Corto corto, che fa crescere l'ansia, però ve lo lascio. è.é

Anyway, lasciatemi qualche recensione e fatemi sapere cosa ne pensate di questo spazio autrice poco pinguinesco e molto insignificante. D:
Byebye!

Un bacio, Serena xx

Per lo spoiler andate sotto alla gif, che dedico a una persona molto speciale per me: il ragazzo che mi piaceva dkuhdiughpdug. c:



SPOOOOOOOOOOOOOOOILER: 
Succederà una cosa molto inaspettata e potrebbe (non è detto che succeda) subentrare un personaggio che influirà parecchio su tutti.
Non vi dico altro. c:

Ciaoo! 

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Capitolo 17
*** 16. Keep fighting. ***


Okay, so di avervi 'abbandonati' e mi dispiace.
E' passato più di un mese e sono successe tantissime cose e sono qui con questo capitolo ora e vi giuro che ho le lacrime agli occhi.
Questo non è lo spazio autrice. Quello - come sempre - lo troverete alla fine.
Voglio solo che sappiate che il prossimo capitolo (è in fase di scrittura) sarà il capitolo decisivo ma non sarà l'epilogo della storia.
Eheh, non vi sbarazzerete di me dolcezze, nono. u.u
Bene, ora vi lascio alla lettura. :)





Chapter 16

Keep fighting.

 
Il tempo passava ma era come se i giorni rimanessero pesanti.
Quell’inferno durò un anno, se non qualche mese di più.
Mi trovai un lavoro e vissi a casa di Marcus per tutto il tempo, pagando una piccola parte di affitto.
Niall si era svegliato, ma per il suo bene non tornai da lui.
Forse lo facevo per me o, meglio, era colpa mia e del mio ‘litigio’ con Louis e di tutte le ripercussioni che aveva avuto su di me.
Non ero più la stessa. Non che sapessi chi fossi prima di tutto quello, ma in quel periodo era come se tutto quello che facessi fosse nocivo. Per me e per gli altri.
E Marcus cercava di aiutarmi, di starmi vicino ma non ci riusciva.
Da tutto quello che lui diceva nasceva una nuova domanda, che poi nuova non era perché era sempre la stessa: “E se stessi sbagliando?”
 
Quel mattino mi svegliai stanca. Ma non stanca della solita routine triste ed infelice in quella città grigia: stanca di tutto quello che mi era successo. Stanca della vita, insomma.
Scesi dal letto e camminai barcollando fino alla cucina.
Versai del caffè nella tazza, mi misi a sedere ed iniziai a contare i miei respiri.
Era una cosa che facevo quando mi sentivo sola e fuori posto, senza alcun motivo.
Marcus usciva tutte le mattine alle sei per trovarsi in ospedale e svolgere il suo lavoro, mentre io dovevo ritrovarmi in ufficio non prima delle nove. Ciò significava che tutte le mattine la storia era quella: svegliarsi, barcollare fino alla cucina, versare il caffè e – a volte – contare i miei respiri aspettando che le lancette segnassero le otto.
Arrivato quel momento sgattaiolai nel piano di sopra, mi feci una doccia veloce e mi vestii.
Infine rimasi a guardarmi allo specchio. Osservai quelle enormi e profonde occhiaie sotto ai miei occhi che sarebbero sparite poco dopo con poco meno di un chilo di correttore. Osservai quella pancia piatta, forse un po’ troppo. I capelli talmente gonfi da farmi sembrare una mongolfiera gonfiata male…
Eppure tutto era così reale, così maledettamente vero.
Uno non dovrebbe farsi delle domande su se stesso del genere “Ma perché io esisto?”, ma io sì.
Io e la mia depressione, io e i miei rimpianti.
Sapevo di fare la cosa sbagliata! Sapevo che non era giusto non cercare Niall!
Ma lo avevo fatto: avevo fatto uno sbaglio. Ed era imperdonabile. E me ne stavo pentendo!
Ma non potevo tornare indietro e quell’idea… quell’idea mi uccideva.
 
 
«Jessica, parliamone… potresti avere una promozione e diventare il vice direttore dell’azienda e rifiuti?»
Matilde sventolò per l’ennesima volta la sua mano davanti ai miei occhi, sperando di ottenere un minimo della mia attenzione.
Non eravamo amiche ma vicine di studio e avevamo parlato diverse volte. Era simpatica e solare, capace di farmi dimenticare per un attimo tutto quello che avevo perso con un cazzutissimo “No”.
«OH, ma mi ascolti? Sembri morta!»
«E quando sembro viva io?» risposi sarcastica, cercando di guardarla negli occhi. «Comunque no, non accetterò.» ribadii per l’ennesima volta.
«Ma perché? È un’opportunità unica, pensaci! Porteresti a casa il triplo di ciò che guadagni ora e potresti andare a lavorare in città come New York, Los Angeles, Manchester, Londra…» continuò lei, asfissiante come non mai.
«Oh no, Londra no.» affermai fredda io. Non volevo tornare nella città dei miei genitori. Non lo avrei fatto nemmeno se mi avessero pagato una cifra esorbitante per farlo.
«Ma perché non cerchi di guardare al presente invece di rimpiangere sempre il passato, eh?» chiese isterica lei, ormai allo stremo delle forze.
Io sospirai e tirai leggermente su la manica della mia camicia, mostrando il tatuaggio che avevo sul polso. “Awkward.”
«So che hai un tatuaggio, allora?» protestò lei, non capendo.
«Vedi cosa c’è scritto? C’è scritto “Scomodo.” Sai cosa significa questo tatuaggio per me?» lei scosse la testa ed io sorrisi sarcasticamente, per poi continuare. «Vuol dire che per me il passato e i miei errori sono scomodi, ma nonostante essi io non voglio dimenticarli. Sono una persona legata al passato, allora? So che potrebbe compromettere le mie scelte per il futuro, lo so! Ma non voglio morire senza nemmeno ricordarmi di quello che mi è successo.»
Il fatto era che non volevo dimenticare lui.
Spesso, quando ancora non stavamo insieme, mi chiamava in quel modo, ovvero “Awkward”.
E io sapevo che era un insulto, ma era così maledettamente bello sentirselo dire da lui!
«Jessica, tu… devi voltare pagina. Non vuoi dimenticare, va bene, ma non permettere che la tua vita rimanga incastrata per sempre! Questo è il momento per vivere, quindi vivi, senza pensare alle conseguenze.»
Si appiccicò sul viso uno dei suoi soliti sorrisi, uno di quelli che portano sempre qualche catastrofe.
«Ci penserò su.» risposi, alzandomi dalla sedia del bar ed afferrando la mia roba. «Marcus mi aspetta a casa. Ci vediamo domani…»
«Allora vedi di trovare una risposta per domani!» esclamò.
Sbuffai e scossi la testa per poi andarmene. Mi avvicinai alla fermata dell’autobus e rimasi lì ad aspettare, fissando i passanti, le automobili, il caos di quella piccola cittadina.
E pensai, cercai una risposta a tutte le mie domande, cercai una soluzione per quell’enorme problema che ero stata io a creare e mi tornò in mente una chiacchierata fatta con una persona all’incirca due anni prima.

 
***

«Dovrà prendere queste medicine per un mese e il dolore sparirà del tutto.» disse il dottor Sellman, porgendomi la ricetta da presentare in farmacia.
«Grazie dottore.» lo ringraziai, alzandomi dalla sedia.
Non mi appoggiai da nessuna parte, non sentii dolore: ce l’avevo fatta, era tutto finito.
Feci per andarmene, ma il medico mi fermò.
Mi voltai verso di lui e rimasi a guardarlo: sorrideva.
«Congratulazioni Jessica: è riuscita a superare un periodo duro, non si è buttata giù. Ora la sua vita sarà migliore. Spero di ricontrarti un giorno, ma in occasioni migliori.» concluse, avvicinandosi a me e stringendomi la mano.
Sorrisi anche io e annuii. «Bè, è tutto grazie a lei e a Wendy. Non ci sarei riuscita da sola.»
«Tieniti stretta la tua vita, ragazza. Ricorda sempre che è tutto quello che hai, è tutto quello che possiedi e sei tu a decidere come va, solo tu.»
Rimasi a pensare a quelle parole, anche se all’inizio furono solo sussurri confusi dentro la mia testa.

***
 

«Accetta!» esclamò Marcus, facendomi sobbalzare dalla sedia.
«Come?» chiesi, fissandolo scetticamente.
«La promozione. Ho sentito che borbottavi al telefono poco fa e non ho resistito a parlarne.»
«Sì ma io… dici che dovrei farlo?»
«Jessica, mia cara, chi se lo merita più di te? Sei sempre puntuale, precisa, educata. Certo, sei leggermente, e dico leggermente, isterica, ma chi non lo è? Pensaci: è una cosa bella dopo tanto tempo. Io non rinuncerei.» spiegò come uno psicologo durante una seduta.
«Sai come sono fatta. Ho sempre quella paura di sbagliare, quella paura che il passato si ripercuota su di me e mi porti via tutto di nuovo, stavolta per sempre, e io non voglio.» ammisi, abbassando lo sguardo.
Sentii la sedia di Marcus spostarsi e, quando alzai gli occhi, vidi che stava cercando qualcosa nella libreria. Mi alzai e mi avvicinai a lui, per cercare di capire cosa stesse facendo. Quando si voltò vidi che aveva tra le mani un piccolo libricino impolverato con il simbolo del nostro vecchio liceo.
«L’annuario?» chiesi.
«Esattamente.» rispose lui, sedendosi sul divano. Presi posto al suo fianco ed iniziai a sfogliarlo, fino ad arrivare alla mia foto.
«Vorrei dimenticarlo quel periodo…» sospirai, continuando a fissare la figurina ingiallita che mi ritraeva. I capelli lunghi e rossicci mi ricadevano morbidi sulle spalle, l’apparecchio ai denti si scorgeva appena tra quella minuscola fessura che erano le mie labbra, rivolte in un timido sorriso serrato e falso. Gli occhi brillavano, ma sapevo benissimo che era solamente il riflesso della luce che avevo puntata contro.
Quella foto fu scattata un mese esatto prima che mio padre mi richiudesse in quel maledetto collegio. Che poi continuo a chiamarlo maledetto quando mi ha reso la persona “forte” che sono.
«Non devi dimenticarti di lei. Vedi: siete diverse. Ma non per l’apparecchio, per il colore e la lunghezza dei capelli… siete diverse perché quella era la vecchia te, la ragazzina succube di una bambina viziata, la dolce ragazza che tentava sempre a rimanere nella penombra per la sua insicurezza.» disse, richiudendo l’annuario. «Ed ora sto vedendo quella ragazzina riemergere.» concluse.
«Cosa vuoi dire?»
«Lo sai che intendo, Jess! Lo vedo che ti manca Niall e lo vedo che sei più debole, anche se non so il perché. Ma non puoi condizionare la tua vita per una vecchia cotta.»
«Non è una vecchia cotta! Mi ha sconvolto la vita quel ragazzo!» esclamai, quasi urlando.
Marcus si avvicinò nuovamente a me, prendendomi per i polsi e fissandomi negli occhi.
«Non so se crederci, ma non voglio vedere che stai male o che sei triste. Ti sei fatta un tatuaggio riferito a lui, continui a scrivere lettere che dovresti spedirgli ma che poi butti nel cassonetto davanti casa e non credere che io non me ne sia accorto! Però, ti prego, non lasciare a niente e nessuno di fermarti. Sei un treno in corsa, ma sei in fase di risalita. Se ti fermi ora è finita per te, cerca di capirlo.»
Sospirai e distolsi lo sguardo dai suoi occhi.
Centrava sempre il punto. E per una tipa orgogliosa come me era difficile da accettare.
«Accetterò la promozione. Ma ti prego, non parliamo più di lui.»
«Potremo anche non farlo noi due, ma dentro la tua testa ci saranno sempre i ricordi che ti ha lasciato a tormentarti.» rispose, voltandosi dall’altra parte e dirigendosi verso la sua stanza. «Spegni la luce del salotto quando vai a dormire!» esclamò infine, richiudendosi la porta alle spalle.



 


Spazio ai pinguini!
Macciao a tutti!
Okay, mi odierete e ne sono - purtroppo - consapevole.
E' passato più di un mese da quando ho postato l'altro capitolo e... sono successe tantissime cose!
Ho avuto una 'crisi' se così posso chiamarla, ovvero ho smesso per un po' di seguire i One Direction.
No, non sono una bimbaminchia o una fan occasionale. Ho semplicemente smesso perché i miei genitori non volevano ficcarsi in quel cazzo di cervello che io senza di loro non riesco a stare bene! Diciamo quindi che è stata una sfida... Ho smesso di scrivere, ho iniziato a stare di meno su twitter ed ho trascurato per un periodo di circa due settimane i ragazzi.
Il risultato? Un vero e proprio macello! :)
E quindi ora sono qui per dirvi che - scuola permettendo - tornerò ad aggiornare ogni quattro o cinque giorni.
Ma, dato il fatto che io mi voglio tanto male e ho scelto il liceo classico, non vi prometto che ci riuscirò.

AAAAAAAAAAAAAAAANNNNNNNNYYYYYYWAAAAAAAAAAAAAAY...
Vi sono mancata? E i miei pinguini? E la mia storia?
Ditemi di si, vi prego. Non fatemi deprimere più di quanto io non sia già. :'(
Allora... non ve la ricordavate che figona era Jessica se non vi sparavo la gif qui sopra, vero?
MUAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH LA MIA 'CATTIVERIA' NON SE N'E' ANDATA!
Ovviamente scherzo, come sempre. :)

Devo dire che questo capitolo ci ho messo cuore e anima per scriverlo perché volevo farmi perdonare... 
MI PERDONATE?! :'(
Spero per voi che lo farete o Rico... ehm... Dinamite... BOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOM!

Okay. Sì. Sclero. 
I ragazzi vengono in Italia per la terza volta e io - da tale sfigata - non li vedrò e questa cosa - sommata ad altre che non vi sto a raccontare perché non voglio passare per la scrittrice depressa che sono lol - mi rende davvero triste e... INFURIATA. :D
Ma voi sapete che io vi voglio bene e che non vi farei mai del male! u.u

Poi, l'ultima cosa poi vi metto una delle mie solite e stupide gif e uno spoiler eheheheheheh...
Allora, avevo promesso ad alcuni di voi di passare a leggere le vostre storie e - non per cattiveria ma per il motivo che vi ho detto sopra - non sono più passata.
Appena avrò un attimo di tempo vi prometto che passerò!
Okay, lasciatemi qualche recensione anche per mandarmi profumatamente a fanculo perché me lo merito (me lo merito?), ma fatemi sapere che ne pensate :)
Sapete che ci tengo...

Bien, vi tiro un bascio e vi dico che se non volete rovinarvi la sorpresa potete fermarvi anche qui, ma se volete sapere cosa accadrà di bello potete scendere sotto alla gif e troverete uno spoiler mini-mini-mini, uno di quelli che fa crescere l'ansia ma non risolve niente AHAHAHAHAHAHAHAH.

Quindi...
Al prossimo capitolo, bellezze!
Un bacio, Serena xx 






PER LO SPOILER VAI GIU'.
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SPOILER: 
1) Il famoso 'personaggio che avrebbe sconvolto la storia' non è Matilde (ovvero la ragazza che compare in questo capitolo), ma vi verrà svelato in uno dei prossimi capitoli e sarete voi a dover capire chi sarà.
2) Niall e Louis potrebbero litigare.
3) Potrebbe succedere qualcosa di brutto a Harry.


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Capitolo 18
*** 17. The end? ***


Okay lo ammetto: sono stata una perfetta stronza. Non mi sono fatta viva per un altro mese, ma vi premetto che questo capitolo è moooooolto più lungo degli altri. Significa molto per me, spero solo che lo leggiate con attenzione.
Lo spazio autrice come al solito lo trovate giù :)





Chapter 17

The end?

 
«Accetto la promozione!»
Il signor Bennett alzò il capo e mi guardò, facendomi cenno di sedermi. Obbedii ed attesi una sua risposta, quando ricevetti solamente una domanda: «Perché?»
Sgranai gli occhi e sospirai, spostando lo sguardo su alcuni fogli di carta.
«Ho… ho valutato tutte le agevolazioni e ho capito di meritarmelo. Credo sia tutto.» risposi, cercando di soppesare ogni minima parola uscita dalla mia bocca.
Il signore Bennett era un tipo strano ed intelligente, difficile da ingannare. Era alto e panciuto, sulla sessantina, con quei pochi capelli grigi rimasti in testa che si tenevano per miracolo e due occhialoni neri che se ne stavano fermi a pochi centimetri dai suoi occhi azzurri e si reggevano sul suo enorme nasone a patata.
«Signorina Parker, lei sa che la rispetto e sa che nutro un profondo senso di ammirazione nei suoi confronti, tanto che le ho concesso tempo per pensarci. Molto tempo. E mi sembra strano che mi stia dando una risposta solamente due giorni dopo l’offerta.» affermò lui, intrecciando le dita delle mani come se stesse pregando.
«Se si sta chiedendo se sarò coerente e se avrò ripensamenti, le prometto che manterrò la mia parola.»
«Di questo ne sono certo, voglio solo accertarmi che la sua scelta sia stata spontanea, tutto qui.»
Annuii, trattenendo appena un sospiro. Con quello avrei potuto perdere tutto: avrebbe capito che ero stata “spinta” a farlo. E forse era sbagliato, ma non potevo andare avanti in quella maniera. Non era nel mio stile, e lo sapevo perfettamente.
«Se la mettiamo così va bene. Vada dalla mia segretaria e si faccia dare le chiavi del suo nuovo ufficio, liberi la sua vecchia scrivania ed infine le dirò cosa dovrà fare.»
Sorrisi ed annuii, ringraziandolo e dirigendomi verso la porta, ma fui interrotta. «Oh, signorina Parker: non mi deluda.»
«Non lo farò, signore. Grazie.»
 
 
Girai la chiave nel chiavistello tre volte e spinsi la porta col ginocchio, assicurandomi che Marcus non avesse messo anche la catena. Era paranoico: aveva una paura ingiustificabile per i furti. Non che io non l’avessi, ma ero abituata a persone che frugavano tra le mie cose e che se ne appropriavano: era quello che succedeva nei collegi. Ma lui, tale riservato perfettino dei quartieri alti era, nonaccettava che nessun conoscente – me inclusa – toccasse le sue cose: figuriamoci uno sconosciuto con cattive intenzioni.
Tornando a quel momento: entrai in casa e lanciai di malavoglia la borsa sopra la poltrona, tolsi il giubbotto ed andai in cucina, dove trovai un post-it giallo attaccato al frigorifero: “Non aspettarmi per cena: sono fuori con Melanie. Marcus.”
Sorrisi tra me e me, pensando a quanto quella ragazza lo rendesse felice. Ero contenta per loro: erano una bella coppia, andavano d’accordo e lei era seria, delicata e gentile, tanto che ci trovammo subito in armonia. Accettò maturamente il fatto che vivessi con Marcus, ma mi ritrovo ancora a cercare un perché. Forse aveva capito che tipo ero, oppure si fidava ciecamente di lui.
Tuttavia, era una brava ragazza e a me piaceva il modo in cui quei due si guardavano, parlavano e vivevano in generale. E non mi ricordavano affatto me e Niall: noi eravamo diversi. Spesso incompleti, il nostro ‘amore’ era nato da un odio profondo e potevamo fare a meno l’una dell’altro, almeno per me. Appunto per questo avevo un pretesto bello e buono per dimenticarlo: potevo fare a meno di lui. E faceva male dirlo, questo è vero, ma perché preoccuparsi tanto di una cosa che tanto oramai non c’è più?
Se lo avessi rincontrato lo avrei salutato, abbracciato e ringraziato, ma avrei visto nei suoi occhi tanto rancore e mi avrebbe fatto tante, troppe domande per uscirne viva. Troppi perché, e quelli mi spaventavano da morire. Ma uno in particolare: “Perché te ne sei andata senza più tornare?”
Non avrei saputo rispondere, sarei scoppiata a piangere e sarei finita per urlargli uno “Scusa!” da classica tragedia romantica e non sarebbe stato bello né dolce come finale. Ma non potevo neanche pretendere che, in un casuale incontro, mi avrebbe aperto le braccia e mi avrebbe sussurrato all’orecchio un “Mi sei mancata” perché, per quanto dolce potesse essere quell’irlandese, stupido non era ed odiava essere preso in giro, soprattutto da me.


Harry’s p.o.v
 
 
Aprii gli occhi e sbuffai: non volevo che un altro giorno ricominciasse con le solite cantilene e i soliti compiti da portare a termine, non volevo sentirmi dire da Niall, per l’ennesima volta, “Dov’è Jessica?” e soprattutto non volevo andare avanti senza avere notizie di lei. Dov’era? Con chi era? Cosa faceva? E soprattutto: stava bene?
Sbuffai nuovamente e mi alzai dal letto, infilai un paio di pantaloni e mi avvicinai alla finestra: il sole era già alto. Evidentemente i ragazzi, essendo a conoscenza di tutto lo stress del quale mi facevo carico, avevano deciso di lasciarmi riposare.
Così scesi in cucina per mangiare qualcosa e, guarda caso, trovai a sedere a capotavola Niall, con la testa tra le mani e il volto basso, fisso sul legno scuro e liscio di quella superficie, a pensare a lei.
Mi avvicinai piano per evitare che mi facesse domande alle quali non avrei potuto rispondere e feci per aprire il frigorifero.
«Non fare come se io non esistessi, Styles.» mugugnò, attirando la mia attenzione su di lui.
«Pensavo stessi dormendo e non volevo disturbarti.»
«No, pensavi stessi pensando a lei e non mi hai disturbato per evitare che ti facessi domande inutili. Ma so che non sai nulla, non preoccuparti.» ribatté, alzando il volto.
Chissà come mai non mi stupii dei suoi occhi arrossati e gonfi per le troppe lacrime vomitate.
Sospirai e presi posto davanti a lui, fissandolo e tamburellando insistentemente le dita sulla superficie del tavolo, pur sapendo che lo irritava tantissimo.
«Dio Harry, te la smetti?» sbottò di punto in bianco.
«Sai che probabilmente ti ha già dimenticato, vero?»
«E se non fosse così?» cercò di contrattare lui, ma lo ripresi.
«Non rispondere a una domanda con un’altra domanda: trova una soluzione alla prima piuttosto!» esclamai, senza spostarmi da quella posizione.
«Lo so. – prese un lungo respiro – Spero solo che non sia così. Non voglio che sia così. Io la amo, Harry, e lei lo sapeva. E aveva detto di amarmi!» concluse la frase urlando e questo mi alterò, molto.
«Ed è così, imbecille!»
Indietreggiò con la sedia e fece per alzarsi, mentre scuoteva la testa, ma lo presi per i polsi e lo fermai.
«Non se n’è andata per colpa tua o per un altro ragazzo, né per quella zoccola di Jamie o quant’altra roba. Se n’è andata perché non ne poteva più, era stanca.»
«Di aspettare me, ovvio.» cercò di concludere, ma scossi bruscamente la testa.
«Ascoltami una buona volta! – urlai, facendolo tremare. Poi ripresi – Lei ti ama, io lo so, e se fossi in te la cercherei. Non la obbligherei a tornare, ma almeno la cercherei.» lo consigliai.
«L’ho fatto!»
«Oh, davvero? Su facebook? Che razza di uomo sei, Horan, EH? Vuoi tirarle fuori quelle palle una volta tanto?»
«Ma non so dov’è! E non so come reagirebbe!» cercò di confermare.
«Niall, no! Lei vuole te allo stesso modo in cui tu vuoi lei! Lo sai questo! Continui a dire di stare bene, di potercela fare senza di lei ma poi arrivi e mi fai mille domande! Non so nemmeno io dov’è, ma se davvero l’amassi come dici di amarla tu la cercherei e farei di tutto e giuro di tutto pur di riaverla indietro, pur di riaverla tra le mie braccia anche solo un istante. – mi fermai e lui abbassò lo sguardo, tirando su col naso: evidentemente voleva evitare che qualche altra lacrima scendesse dai suoi occhi. Ma poi ripresi. – Non lasciarla andare come hai fatto con Kathelynn, non lo fare.» conclusi, dandogli una pacca sulla spalla e lasciandolo lì.
 
 
«Harold
Sentendo la voce di Louis richiamarmi in quel modo mi voltai, cercando di fingere un sorriso a fior di labbra.
«Cosa c’è?» risposi pacatamente, contrastando il suo tono.
«Hai detto a Niall che Jessica se n’è andata per colpa mia?» disse infuriato, avvicinandosi pericolosamente a me. Louis non mi aveva mai fatto tanta paura.
«Come ti salta in mente? Secondo te sono così infantile da fare una cosa del genere?»
«Da fare cosa?» disse una voce dietro di noi e ci voltammo. Niall.
«Niente biondino, non ti intromettere e va’ a nanna.» comandò Louis, riconcentrandosi su di me.
«Uno: non parlarmi così. Due: sono le tre di pomeriggio, non ho voglia di dormire. Ora, dato che prima ho sentito casualmente il mio nome, voglio sapere cosa succede qui.» contrattò l’irlandese avvicinandosi.
«Davvero Niall: non è niente. Solo una questione tra me e Louis, ma risolviamo tranquillamente da soli.» cercai di ingannarlo io, ma evidentemente aveva sentito anche un altro nome oltre al suo: quello di Jessica.
Infatti scosse la testa capricciosamente e non si spostò di lì. Louis sbuffò e gli mise una mano sulla spalla.
«Forse è giusto che tu sappia, ma… - si interruppe, guardandomi – non voglio che tu soffra.»
Stava mentendo.
«Sbrigati Louis o mi prenderà fame e finirò nuovamente per non sapere niente
Il rosso sospirò e lanciò un ultimo sguardo a me, come se c’entrassi qualcosa. Infine prese un respiro profondo e guardò Niall.
«Jessica se n’è andata per colpa mia.» ammise, tutto d’un fiato.
Vidi gli occhi dell’irlandese spegnersi e di colpo tornare a scintillare di rabbia.
«Tu. Mi hai quasi ucciso con un pugno, ma questo va bene, l’ho passato. Adesso, per colpa tua, la ragazza che amo se n’è andata senza più tornare e io non so se sia viva o morta o tantomeno se sia tornata in quella porcilaia di collegio che l’ha trasformata in una persona apatica! Una persona che io stavo facendo rinascere!» urlò, fuori contegno.
Volli intervenire, ma non riuscii.
«Ma Niall, io non potevo sapere…» cercò di calmarlo Louis, che venne interrotto di nuovo dal biondo.
«Tu non puoi mai sapere! Tutto quello che fai è giustificabile mentre io non posso nemmeno piangere che subito eccoti pronto a ridere di me! Mi dici chi sei tu per entrare così nella mia vita e cambiarla a tuo favore?!»
«Ragazzi, ora basta.» dissi calmo io, osservandoli entrambi.
«No. Io vado a cercare Jessica, ovunque sia.»
Cercò di allontanarsi ma lo afferrai per la maglia e lo tirai verso di me.
«Nessuno si muove di qui, a parte me. Io vado a cercare Jessica e voi due chiarite. Faccio entrare i ragazzi e dico loro di non farvi muovere di qui fino a quando io non sarò tornato, con o senza di lei. Sono stato chiaro?»
Entrambi sospirarono ed annuirono, anche se poco convinti. Così feci un passo verso di Niall e gli sussurrai ad un orecchio: «Farò di tutto per ritrovarla, te lo prometto.»
Lo sentii sospirare nuovamente, ma meno convinto di prima.
Scossi la testa ed afferrai le chiavi dellaRange-Rover, per poi uscire di casa, richiamare i ragazzi e partire. Sarei arrivato a Londra pur di ritrovarla. E non solo per Niall: per tutti noi, Jamie e Louis inclusi.
 
 
Jessica’s p.o.v
 
 
Finii di cenare e mi misi seduta sul divano, stringendomi su me stessa per riscaldarmi, poiché la mia pigrizia mi impedì di raggiungere la poltrona affianco al divano per prendere la coperta.
Accesi la tv: il notiziario.
Iniziai a fare zapping tra i canali, ma la cosa più interessante che trovai fu un documentario sull’accoppiamento delle scimmie e non ero davvero dell’umore giusto per sapere che delle piccoli, esili e orripilanti scimmie urlanti del Madagascar erano più fortunate di me.
Così tornai al canale dove davano il notiziario ed iniziai a seguire le notizie, anche se il mio cervello era da tutt’altra parte. Poi, però, un annuncio attirò la mia attenzione.
«La prossima notizia è sconvolgente: un terribile incidente sulla statale che collega Doncaster a Sheffield. Scontro frontale tra un van di trasporti pesanti con una Range-Rover pilotata da un ragazzo di diciotto anni.»
Nel sentire quell’informazione il mio stomaco si richiuse. “Ci saranno milioni di diciottenni in Inghilterra che hanno una Range-Rover, non può essere lui!” cercai di convincermi.
Ma tutto quello che pensai svanì quando la giornalista riaprì bocca.
«Il responsabile dell’incidente sarebbe il conducente del van, il quale guidava superando i limiti di velocità consentiti. Harry Styles, il conducente dell’auto vettura, è ora gravemente ferito ed è stato portato all’ospedale di Doncaster.»
L’intero mondo si fermò.
Un brivido corse lungo tutta la mia schiena e rimasi paralizzata a fissare le immagini alla tv, con le lacrime agli occhi. Ma poi lo squillo del telefono mi fece sobbalzare.
«P-pronto?» balbettai.
«Jess, sono Marcus. Sono in ospedale, Harry ha avuto un incidente e ci sono…»
«C’è Niall?» chiesi, interrompendolo.
Lui sospirò dall’altro capo della linea e sussurrò un “Sì.”
«Non dirgli niente di me.» risposi, per poi riagganciare.
Lanciai il telefono sulla poltrona e lasciai che i singhiozzi invadessero il mio petto e costringessero il mio diaframma a fare movimenti veloci e dolorosi per riprendere fiato.
Ma ero pronta a superare tutti i dolori possibili ed inimmaginabili. Tutto, pur di non dover affrontare la realtà e non dover dire a Niall il perché di quello che avevo fatto.
 
 
Marcus’s p.o.v
 
 
Sospirai e riagganciai la telefonata, infilando il cellulare in tasca.
«Non cede?» chiese Melanie, guardandomi ed io scossi la testa.
«Cosa devo fare, secondo te?» le chiesi.
Lei era il mio unico punto di riferimento, l’unica persona sulla quale potevo davvero contare.
«Devi fare cosa potrebbe essere più giusto per lei. Tu lo sai, lo sai addirittura meglio di quanto lei non sappia perché la conosci e sai quanto sia vulnerabile quando è da sola e le manca qualcuno.»
Sospirai e mi voltai a guardare Niall: il volto solcato dalle lacrime, gli occhi rossi e gonfi, il viso pallido. Un ragazzo raramente piange per un incidente: doveva essere un pretesto, una scusa per tirar fuori tutte le emozioni e tutti i sentimenti. Una scusa per piangere per qualcos’altro.
Annuii e tornai a guardare Melanie, che sorrise. Così mi feci coraggio e mi avvicinai al ragazzo.
Mi schiarii la voce e lui si voltò verso di me.
«Sei Niall Horan, giusto?» chiesi e lui annuì, terrorizzato.
Lo afferrai per un braccio e lo portai in un luogo appartato.
«Sono Marcus Tanner, ti ho seguito quando eri ricoverato qui da noi e conosco una persona che stai cercando.»
«Se è uno scherzo lasciamo perdere, okay?» disse, irritandosi appena.
«No, non è uno scherzo. Assolutamente no. – mi interruppi e lo guardai negli occhi: era vuoto. – Jessica è la mia coinquilina.» confessai e vidi i suoi occhi prendere a scintillare.
«Ma allora lei… lei è…»
«Lei è viva, sta bene, ha un lavoro ma è più o meno come te: triste e vuota.»
«Devo vederla!» esclamò, agitandosi e strappandomi un sorriso.
«Prima o poi verrà. Spesso veniva a fare visita a te, ma tendeva a farlo quando non c’erano gli altri ragazzi. Quindi sta’ certo che verrà. Puoi aspettare?» gli chiesi.
«Sei sicuro che verrà?» chiese nuovamente lui ed io annuii, convinto. «Farò tutto per lei.» rispose, sorridendo appena. Ricambiai il sorriso e gli diedi qualche indicazione su qualche B&B del quale avrebbe potuto usufruire quella notte. Fu bello aiutarlo, ma ora c’era un altro passo da fare: Jessica.



 



Spazio ai pinguini!

TAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAKEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE MEEEEEEEEEEE HOOOOOOOOOOOOMEEEEEEEEEEEE IS OUUUUUUUUUUUUUT, BITCHEEEEEEEEEEEEEEEES!


Lalalalalalala gente, eccomi qui!
Piaciuta la sorpresa? Ovvvvvvvvvvvvviamente no, e io già lo so u.u
Ma so già che sarete felicissimi di sapere che giusto stamattina (dato che me ne sto a casa con un mal di pancia teeeeeeerribile) ho iniziato a scrivere la nuova storia!
Ma non vi dico niente, piuttosto passo al capitolo! u.u

Allora, è diverso. Magari voi non la pensate come me, ma io credo sia così. 
Ci sono molti punti di vista diversi. Prima d'ora tutto era concentrato su Jessica, ma per dare un senso a questo capitolo dovevo assolutamente 'cambiare pedina'.
Vi avevo promesso un personaggio sconvolgente e non vi dico ancora chi è, nemmeno se è già apparso in questo capitolo o deve ancora fare la sua entrata spettacolare lol
Aspettatevi solamente tante altre sorprese e, conoscendomi, immaginate da soli che sorprese saranno! u.u

Ma quanto sono cattiva?! lool

AAAAAAANNYYYYYWWAAAAAAAAAAYYY...
siccome ultimamente non mi riesce bene fare la trasgry - anzi, sono depressa - non potrò mantenere la promessa che vi avevo fatto nello scorso capitolo, ovvero quella di aggiornare un giorno sì e un giorno no.
Motivo?
Quella bellissima e gioiosissima nonché tranquillissima scuola che è il liceo classico ʘ‿ʘ
Quindi perdonatemi e non odiatemi, ma non so quando riuscirò a riaggiornare.
E la cosa più divertente è che non ho ancora iniziato a scrivere il prossimo capitolo e non ho la più pallida idea di cosa potrebbe succedere quindi, come sempre, vi lascerò patire l'ansia fino al mio ritorno MUAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH.
No, stavo scherzando. Appunto per questo cercherò di aggiornare il prima possibile, anche perché è mooooooolto angosciante questo capitolo qui, giàgià.
Bene, insultatemi, mandatemi profumatamente a quel paese oppure tiratemi un pugno, ma reeeeeeeeeeeceeeeeeeeensite. :)
Sapete che ci tengo tanto tanto a sapere cosa ne pensate, quindi ditemi tutto, tutto, tutto! Vabbene? Ma certo che va bene! u.u

Okay, io ho svolto il mio compito. Ora vi lascio una solita gif sbellicosa (baaaattutaaaaa!) e mi dileguo nella nebbia. :')
Bye bye!

Un bacio, Serena ♥ (ho deciso che basta con le 'xx' perché ricordano troppo la Peazer D':)




Ciccine vi ho trollate :P
Andate sotto che c'è lo spoiler!














 


SPOILER: 
1) Niall e Jessica capiranno una cosa molto importante.
2) Potrebbe succedere qualcosa tra Jamie e Louis.
3) Harry potrebbe cambiare radicalmente.

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Capitolo 19
*** 18. Over Again. ***





Chapter 18

Over Again.

 
 
Jessica’s p.o.v
 
«Marcus, te l’ho detto: sto andando a lavoro! Non stressarmi l’anima, verrò a trovare Harry quando ne avrò tempo. – smisi di parlare un secondo e lo sentii sospirare dall’altra parte. – E verrò quando non ci sarà nessuno.» conclusi, accentuando quella parola nonostante mi si strozzasse in gola.
«Va bene, ho capito. Ma verrai?» chiese nuovamente lui, quasi ne volesse conferma.
«Ti ho detto di , e ora smettila di rompere. Ci vediamo a casa.»
Riattaccai. Era noioso quando voleva, ma non aveva tutti i torti. Me n’ero andata di quella casa piena di rabbia verso tutti loro, Harry incluso, quando invece era quello che non aveva fatto nulla.
Scossi la testa per scacciare quei pensieri e continuai a camminare spedita fino al palazzo dell’agenzia dove lavoravo: entrata lì dentro non pensai più a niente se non al lavoro che mi aspettava.
 
 
Mancavano venti minuti circa alla fine della giornata. Erano le sei e mezza di sera e non ne potevo letteralmente più. Fuori era già buio e tutte le luci della città erano accese, facendo venire i capogiri solamente affacciandosi dalla finestra.
Sentii qualcuno bussare alla porta e, senza alzare gli occhi dai curriculum delle nuove ‘reclute’, azzardai un “Avanti” atono e svogliato.
«Signorina Parker, c’è una ragazza che vorrebbe sapere se riceve ancora a quest’ora.» disse la mia segretaria.
Alzai gli occhi e la guardai. «Dov’è?» le chiesi e lei mi mostrò il telefono che aveva sulle mani.
«Dille di passare domattina, stasera ho una commissione da fare.» risposi vaga, riportando lo sguardo sui documenti sotto di me.
«La ringrazia molto.» disse la ragazza, abbozzando un sorriso. Cercai di ricambiare ed annuii vaga, come per mandarla via. Ma poi mi ricordai di una cosa.
«Scusami Celine, – questo era il suo nome – potresti per caso informarti su un certo Niall James Horan? Vorrei sapere dove risiede.»
Lei annuì e richiuse la porta dietro le sue spalle, trascinandosi dietro la scia del suo profumo alla lavanda e il rumore dei suoi tacchi.
Guardai l’orologio e decisi di chiamare Marcus per sapere la situazione in ospedale.
Composi il numero, aspettai un po’ e mi rispose la segreteria.
Riprovai: di nuovo la segreteria.
Sbuffai e mi buttai all’indietro, sprofondando in quella comoda sedia nera in pelle e aspettando che arrivassero le diciotto e cinquanta per uscire da quella tana di ufficio.
Ma poi qualcuno bussò nuovamente alla mia porta: Celine.
«Ecco qua, signorina Parker, l’indirizzo e il numero telefonico del signor Horan. Posso fare qualcos’altro per lei?» chiese cortesemente, posando un post-it sulla scrivania con su scritti i dati.
Lo afferrai e lessi: era sempre quell’indirizzo. Era chiaro che non se ne sarebbe andato di lì.
Scossi la testa e la guardai sorridendo.
«No, grazie. Vai a casa e riposati.» le concessi, alzandomi dalla sedia.
«Grazie, buona serata.» disse lei dileguandosi. La guardai andare via e mi ricordò molto i miei vecchi modi di fare: essere sottomessa e obbedire ad ogni ordine non è una bella cosa.
Ma almeno quella ragazza lo faceva per sua scelta, attendendo una promozione, mentre io ero stata obbligata a farlo.
 
Marcus’s p.o.v
 
Vidi la chiamata persa da parte di Jessica e decisi di richiamarla.
Mi rispose subito dopo.
«Jess, che succede?» le chiesi, a bassa voce.
Mi guardai intorno in cerca di Niall che era rimasto lì tutto il giorno, in speranza di una comparsa di quella rossa tinta che era la mia coinquilina.
«Niente, ti ho chiamato per sapere come va lì.» mi rispose. Sentii il rumore di un motore e arrivai alla conclusione che doveva essere in autobus.
«Qui va, anche se non molto bene. Ero in sala operatoria: hanno operato Harry ma ora è fuori pericolo.»
«Come sarebbe che l’hanno operato? Che gli è successo?» ribatté lei, alzando la voce.
Vidi Niall camminare lungo il corridoio e guardarmi e io gli feci segno di avvicinarsi in silenzio.
«Lo sapresti se fossi venuta.» continuai.
Lei sbuffò e si schiarì la voce.
«Sai che non posso.»
«No, so che sei stupida. Ti avevo detto che non c’era nessuno e tu mi hai detto “Faccio tardi per il lavoro” e ho lasciato stare. Vieni adesso almeno, ti prego.» nel concludere quella frase non potei far a meno di guardare Niall. Si stava mordendo insistentemente il labbro e i suoi occhi si erano riempiti di lacrime e speranza, di nuovo.
Dall’altra parte della linea si sentì un sospiro rassegnato e un piccolo istante di silenzio, ma poi finalmente si decise a parlare.
«Va bene. Ma giuro che se c’è qualcuno di loro ti ammazzo.» mi minacciò, con le parole che le si strozzavano in gola.
«Bene, a tra poco.» risposi, sorridendo e chiudendo la chiamata. «Sta arrivando.» affermai poi, rivolgendomi a Niall.
Accennò un sorriso e si strofinò il viso tra le mani, sospirando.
«Non ci riuscirò.» confessò, mettendosi a sedere. Sbuffai e mi avvicinai a lui.
«Siete uguali! – sbottai e lui alzò il viso e mi fece segno di non capire – Tu e lei! Siete uguali! Sempre ad autocommiserarvi, a convincere voi stessi di non essere abbastanza! Ma perché lo fate? Cosa c’è che non va in voi?» chiesi, alzando le braccia al cielo.
Il biondo sembrò pensarci su un momento e poi si strinse nelle spalle, guardando la porta d’ingresso del corridoio.
«Ti consiglio di metterti dove non può vederti o si arrabbierà moltissimo, inizierà a piangere e scapperà.» dissi, allontanandomi da lui e lasciando che si preparasse.
 
Jessica’s p.o.v
 
Entrai nell’ospedale e rabbrividii: ero troppo vulnerabile in quel posto.
Scossi la testa diverse volte e salii diretta le scale fino al piano della riabilitazione, un piano che conoscevo molto bene.
Abbassai la maniglia della porta gialla e camminai lungo il corridoio, dove Marcus si avvicinò a me e mi abbracciò.
«Lui è là.» disse poi, indicandomi una porta bianca con su scritto ‘125’.
Sospirai e, dopo avergli lanciato un ultimo sguardo, entrai.
Sentii un’ondata di caldo sparata sul mio viso e mi venne naturale chiudere gli occhi, per poi riaprirli, con un minimo desiderio di non trovarmi lì ma a casa mia, non quella di Marcus. Quella casa dove avevo conosciuto quei cinque ragazzi, quella casa che mi aveva aiutata a diventare una persona migliore ma che ora mi metteva paura più della mia stessa vita.
Ma mi ritrovai lì, in una piccola stanza con un angelo dai riccioli color ebano sdraiato su un letto bianco. Aveva la testa fasciata, il viso contornato da lividi e, per un attimo, mi ricordò Niall, le notti passate in ospedale con lui, tutte le lacrime, la rabbia, l’amore e l’odio che avevo provato nei confronti di quel luogo. Sospirai rumorosamente e mi avvicinai a lui piano, per raggiungere la sedia a fianco al letto e mettermi a sedere. Il perpetuo ticchettio del conta-battiti mi alterava i nervi, ma mi spaventava allo stesso modo. Avevo paura che potesse fermarsi, proprio in quel momento, con me lì e che lui non si sarebbe svegliato mai più.
Era sospeso su un filo leggero, fragile e sottilissimo, troppo facile da spezzare. E se quel ticchettio si fosse fermato e quel filo si fosse spezzato, l’ultima speranza che avevo nell’essere ancora amata da qualcuno sarebbe svanita. E non volevo che svanisse. Non volevo, perché Harry mi era mancato tantissimo, forse più di tutti gli altri, Niall incluso. Avrei voluto vedere il suo sorriso, sentire la sua risata e sapere che per una volta le cose andavano finalmente per il verso giusto. Ma questo no, non era possibile. Per l’ennesima volta stavo chiedendo troppo.
 
Niall’s p.o.v
 
«Niall, che stai facendo ancora qui? Sbrigati ad entrare prima che se ne vada!» mi rimproverò Marcus.
Rimasi a fissare la figura di quella bellissima ragazza attraverso il vetro della porta d’ingresso alla stanza di Harry e non riuscii a fare altro che schiarirmi la voce e tirar su con il naso pur di non piangere.
Mi voltai verso Marcus e lo guardai, scuotendo la testa.
«Non ci riesco.» abbassai gli occhi.
«Non è vero, invece. “Non ci riesco” è una frase che solo i disabili possono permettersi di dire! Tu puoi farlo ed hai tutte le motivazioni per entrare lì dentro, sbatterla contro il muro e baciarla fino a quando non riuscirete a respirare entrambi. Se non lo fai è perché non vuoi, e il discorso è diverso.»
«Io voglio, però…»
«No che non vuoi o saresti già lì dentro. – fece una pausa ed iniziò a camminare intorno a me, grattandosi la nuca come se stesse facendo una profonda riflessione. – Ora dimmi, a te basta vederla e sapere che sta bene oppure vuoi tornare a sentirti dire “Ti amo, non lasciarmi mai più”?» mi chiese, piegando appena la testa verso destra.
«Non lo so. So solo di amarla ma di non avere il coraggio di affrontarla.» ammisi, tornando a fissare la punta delle mie scarpe. Lui sospirò e si avvicinò nuovamente a me.
«Lei è cambiata, molto. Però è cambiata in meglio: è così fragile e inerme che non avrebbe il coraggio di uccidere una mosca, ora come ora. Figuriamoci se ha il coraggio di dire di no a te!» sbottò, rimanendo sempre col tono della voce basso e pacato.
Sospirai e lui poggiò una mano sulla mia spalla.
«Puoi farlo.»
«Avevi ragione: non voglio.»
Tirai su nuovamente con il naso e, dopo aver afferrato il mio cappotto dalla sedia, corsi per le scale fino ad uscire.
Iniziai a camminare verso il centro, in un lungo marciapiede circondato da villette che sembravano tutte uguali in quel momento. Affondai una mano nella tasca dei pantaloni e tirai fuori una sigaretta e l’accendino. Non fumavo, ma quando ero stressato, solo, triste oppure solamente confuso lo facevo per rilassarmi e, magari, per trovare delle risposte. Accesi la sigaretta e la portai alla bocca con fare “esperto”, continuando a camminare senza meta in giro per Doncaster.
Più fumo usciva dalla mia bocca tutto insieme, più una sensazione di vuoto e tranquillità mi avvolgeva, come se tutto il resto del mondo sparisse ed io rimanessi lì, a guardarlo andare via, senza il potere di fermarlo o di far qualcosa, qualsiasi cosa per svanire con lui.
Avevo sbagliato nell’andarmene via in quel modo: avrei dovuto affrontarla ed affrontare la realtà. E sì, forse anche sbatterla contro il muro e baciarla, ma prima avrei dovuto dirle che l’amavo e che non mi importava niente di quello che era successo. Io l’amavo e basta.
Ma se davvero l’amavo, l’errore di perdere un’occasione un’altra volta l’avevo fatto io.
 
Jessica’s p.o.v
 
Rimasi lì a lungo, a pensare e a parlare con Harry, pur sapendo che non mi avrebbe sentita.
Quando uscii Marcus mi si precipitò letteralmente addosso.
«Andiamo a casa?» mi chiese, come se avesse dimenticato il fuoco acceso e avesse paura che scaturisse un incendio.
«Io torno a piedi.» risposi e lui mi guardò come se fossi pazza. Sorrisi.
«Ma è…»
«… notte, e lo so. – lo interruppi, per poi continuare sulla mia strada. – Però ho bisogno di stare da sola.» mi giustificai, sospirando.
Socchiuse gli occhi e mi osservò attentamente.
«Tu speravi ci fosse qualcuno
Roteai gli occhi e sbuffai. Non lo avrei mai ammesso, ma era la verità. Volevo rivedere Niall e sapere che stava bene, ma non ci sarei mai riuscita. Non potevo guardarlo negli occhi senza provare rimpianti o sensi di colpa dopo tutto quello che gli avevo fatto passare.
Marcus sorrise tra sé e sé e si avviò verso l’ascensore.
«Ci vediamo a casa ma non fare tardi.» si raccomandò. Io annuii vaga e scesi per le scale, per poi uscire ed iniziare a camminare lungo il marciapiede che portava al centro.
Io e Marcus abitavamo vicini all’ospedale, poco distanti dal centro. Per arrivare a casa avrei dovuto attraversare il parco e poi la piazza, luoghi tranquilli e popolati, soprattutto in quel periodo, quando Natale era alle porte.
Era freddo.
Non appena arrivai al parco sentii qualcosa di ghiacciato posarsi sulla mia guancia ed alzai gli occhi al cielo: milioni di piccoli, candidi e freddi fiocchi di neve cadevano incessantemente a terra.
Dei bambini poco distanti da me iniziarono ad urlare e saltare di gioia e anche io sentii una strana felicità avvolgermi, ma non riuscii nemmeno a sorridere. E non era per il freddo.
Era soltanto la consapevolezza che sarebbe passato un altro Natale triste e che lo avrei passato da sola o in ufficio.
Scossi la testa e ripresi a camminare a testa bassa, osservando come quei fiocchetti aderissero perfettamente al suolo. Ma poi mi arrivò una spallata fortissima e la borsa mi cadde.
 

Niall’s p.o.v

 

Stava nevicando.
Sbuffai e continuai a camminare, a testa bassa, senza badare a niente e nessuno. Continuavo a fissare le mie scarpe senza importarmene del mondo. Ma poi, per sbaglio, urtai qualcuno e sentii delle cose cadere.

 
Sbuffai e mi chinai a raccogliere la mia roba, seguita da colui o colei che mi aveva quasi fatta cadere.
«Scusami, non volevo..»
Sentii quella voce e rabbrividii. Alzai il viso e mi trovai davanti a due occhi azzurri e arrossati, stanchi. “Non può essere” pensai, senza riuscire nemmeno a respirare.
 

Quando alzai il volto mi ritrovai davanti due occhi verdi contornati da matita nera. Rabbrividii.

 
Rimanemmo in quella posizione a guardarci per un tempo che sembrò interminabile, fino a quando lui non si schiarì la voce e si rialzò. Anche io mi ricomposi, ma non sapevo davvero cosa fare.
 

Quando mi alzai lei fece lo stesso. Non riuscivo a respirare, il mio cuore era fuori controllo. Sarei morto se non fosse stato che avevo voglia di vederla sorridere.

 
«Le tue cose. Scusa ancora.» disse, porgendomi alcuni fogli caduti dalla mia borsa.
«Grazie.» risposi io, alquanto fredda e imbarazzata.
Sospirò. Perché non parlava? Perché non diceva niente che potesse sciogliere la situazione?
 

«Sono felice di rivederti.» ammisi dopo un po’.

 
Sentendo quelle parole alzai di nuovo il viso e sorrisi.
 

La vidi sorridere e il cuore perse un battito, forse anche due.

 
 Sentii un rossore invadermi le guance ma non mi importò, a dire la verità.
«Anche io.» risposi e lo vidi sorridere.
Gli occhi si riempirono subito di lacrime.
 

Sentii gli occhi bruciare di nuovo e mi venne una voglia immensa di abbracciarla.

 
Mi ritrovai stretta tra le sue braccia e un singhiozzo mi scappò via. Non so ancora perché mi abbracciò, ma mi rese felice.
 

Quando la sentii singhiozzare contro il mio petto rabbrividii e la strinsi ancora di più a me. “Non ti lascerò andare questa volta, te lo prometto” pensai, ma il coraggio di dire quelle parole andò a farsi una gita in campagna in quel momento.
 



 


Spazio ai pinguini!
Buonassssssera cente! (?)
Avete visto 'sto tizio qui sopra? Jdfghjkjhgvfcdxfghjk è la cosa più bella che io abbia mai visto. :')
Vorrei raccontarvi una cosa... (Se non avete tempo per leggere andate direttamente all' "anyway", ma spero rimaniate a leggere anche quello che ho scritto qui!)

Stanotte non riuscivo a dormire, così mi sono messa a sentire una canzone (http://www.youtube.com/watch?v=Ie9VxRF7ucM&feature=g-all-u ma sappiate che crea dipendenza lol) e ho pensato a taaaaaaaaaaante cose, ma soprattutto ai ragazzi, a come mi abbiano cambiato la vita, al Larry Stylinson che questi giorni sta destando molte polemiche (tanto che LouLou è arrivato a rispondere male a una fan), a come mi abbiano fatto conoscere delle persone fantastiche, tra cui voi, e a come mi abbiano fatto capire che non c'è niente di sbagliato nel sognare e nel credere nei propri sogni.
Vedete, io prima di conoscerli non ero così. Chiedete anche in giro ai miei amici, genitori, parenti o chi volete (anche ai pinguini eh, non si offendono lol) ma da quando ho premuto per sbaglio quel 'watch now' sul video di Gotta Be You la mia vita è cambiata.
Non so perché, ma ho sorriso.
Da quel giorno non sono riuscita ad andare avanti senza una loro foto, senza sapere che stavano bene o senza vedere uno dei video diary.
Ho provato a parlarne con molte persone, mia madre inclusa - che continua a dirmi che sono malata -, ma nessuno mi capisce.
E bè, questa notte mi sono ritrovata con le lacrime agli occhi a fissare il vuoto e con la mente invasa da loro.
Devo ammetterlo: ho avuto il mio periodo bimbominchioso e se potessi cancellerei quell'arco di tempo dalla faccia della terra, ma tutto serve per migliorare, non credete?
Tutto serve per capire. Loro mi hanno fatto capire che non occorre avere un fisico perfetto, un viso senza difetti o il make-up sempre su per essere bellissime, loro mi hanno fatto capire che sono speciale e unica così come sono, senza tanti accessori frivoli. E soprattutto mi hanno aiutata a crescere. Non nego di avere forti disturbi mentali (basta guardarli per capirne il motivo AHAHAHAHAHAHAHAHAH) ma non me ne vergogno: loro sono il mio sorriso. Gli altri potranno anche criticare, ma non sapranno mai cosa significa amare qualcuno tanto quanto io - e credo anche voi - amo quei cinque coglioni. :')
Il tutto era solo per dire grazie. A loro e a voi. Molte e molti di voi mi hanno vista crescere da Broken, altri mi seguono da Before the rain, altri direttamente da questa storia ma non importa, perché se ci siamo "conosciuti" è stato grazie ai ragazzi e credo sia la cosa più bella che potesse accadere.
Ora me la faccio finita e passo al capitolo. u.u

AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAANNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNYYYYYYYYYYYYYYYYWWWWWWAY...
(molto faiga come cosa lol)
allora, contente? Si sono ritrovati! loool
No bellezze, non credete che le cose miglioreranno. Sapete che con me tutto è possibile muahahahahahah.
Poi non ho seguito molto la traccia degli spoiler dell'altra volta perché - dato che in questo capitolo non ne metterò u.u - quelli valevano per questo, il prossimo e forse anche il prossimo ancora :)
La storia si sta dilungando, ma sinceramente non mi importa. Non farò una cosa lunghissima, ma nemmeno corta come le altre.
Vi ricordo solo che la nuova è già in cantiere (loool) e che sarà molto diversa da questa e, secondo me, anche dalle altre due precedenti. 
Se vi piacciono i miei monolighi la amerete! (?)
AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH no.
Allora, vorrei solamente una cosa.. Siccome sono indecisa tra due nomi per la protagonista della nuova storia, vorrei che voi mi diceste quello che vi piace di più così facciamo una cosa interattiva (wtf?!) yeeeeah!
Le proposte sono:
1)
Hope
2) Cassie

A me piacciono tutti e due e non so davvero quale scegliere!
Okay, detto questo io vi lascio perché devo ripassare Greco çwç
A volte mi chiedo cosa mi fumai la sera che scelsi il liceo classico. Dev'essere stata una droga più pesante di quella di Jawaad, sisi. lol




Uh yeah! 

Bene bellezze, lasciatemi qualche recensione e fatemi sapere che ne pensate. :')
Cercherò di aggiornare presto com'è successo per questo capitolo!
Un bacione grande grande a tutte! Sciau!

Serena ♥





#SoProudof1D

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Capitolo 20
*** A letter for you. ***


Ciao a tutte ragazze, ragazzi, cani, gatti, pinguini e tutti gli altri che sono là fuori ad aspettare un mio segno di vita.
EBBENE ECCOMI QUI, ma non per fare quello che voi sperate - o, meglio: che io spero voi speriate io faccia. (?)
Okaaaaay, la faccio breve e senza troppi giri di parole: non sono qui per aggiornare.
Perché? Eh, eheheheh, bella domanda e brutta risposta: non ho più continuato a scrivere.
Sono passati ben 5 mesi dall'ultima volta che sono entrata qui su EFP, e vi avevo promesso che avrei continuato ad aggiornare con frequenza e coerenza, come facevo più o meno questa estate. Ma, vedete, non è facile come sembra.
E il problema non è lo studio, è una scusa troppo usuale. Il problema sono io.
Da quando è iniziata la scuola mi sono allontanata dai ragazzi, da Glee, da Demi e, per quel poco che mi piacevano, anche da Justin e dalle Little Mix.
So che sono stupida, so che ora mi direte 'non sei una vera fan, sei solo una bimbaminchia e ci fai schifo' e credetemi che per me non è facile dirvi che mi sono allontanata da loro.
Non apro twitter da mesi, e poiché oggi ho deciso di farlo per guardare un po' al mio 'recente passato', ho deciso anche di passare qui da voi (per quanto potrete notare che io sia ancora viva ahahah) e darvi una spiegazione plausibile (e anche di merda, lo so bene) sul perché della mia luuuunga assenza.

Tornando al discorso di prima... non li ho abbandonati, affatto. Ma in questi mesi mi sono sentita sputare in faccia i peggiori insulti, mi sono vista essere considerata una sfigata per la musica che ascolto e questo non mi sta bene. E tanto meno lo sopporto quando lo vedo sulle altre ragazze, quando le vedo piangere, tagliarsi o vedo che vengono picchiate per esprimere un semplice gusto.
Tutti dovremmo essere liberi di sentirci chi siamo veramente e tutti dovremmo tirar fuori chi siamo veramente, ma io non ci sono riuscita.
Credevo di essere forte abbastanza da superare gli insulti, forte abbastanza da dire 'se a me fanno stare bene allora mi piace così', ma semplicemente non lo sono.
Le uniche 'cose' in cui ho trovato rifugio sono Ed e Taylor, ma vi giuro che ogni volta che alla riproduzione casuale di iTunes partono canzoni come Moments o Same Mistakes io scoppio a piangere.
Potrete anche non credermi, ma penso che tutte voi là fuori sappiate quanto i nostri idoli significhino per noi. E svegliarsi una mattina e decidere di punto in bianco di cambiare - com'è successo a me - non è affatto la sensazione più bella e piacevole del mondo.
Li sento lontani, sento che sono uno dei miei soliti sogni irrealizzabili, sento che non li vedrò mai al di fuori di uno stupido computer e soprattutto so quanto mi hanno fatto stare bene.
E sono certa che questa cosa continuerà. Magari è solo un momento, un periodo di cambiamento adolescenziale dove non capisco cos'è che mi manca e cos'è che ho, magari domattina mi sveglierò e dirò 'basta, torno da loro, mi mancano e non riesco più ad andare avanti', ma per ora è diverso. Mi mancano, è verò: mi mancano i sorrisi che solo una loro foto mi strappava, mi mancano le ore di fila fatte alla biglietteria per cercare di prendere uno di quei biglietti, anche se invano, mi mancano le meravigliose Directioners che mi hanno fatto conoscere... ma soprattutto mi mancherà il fatto di sentirmi a casa ascoltando le loro voci e mi mancherà scrivere su di loro, pregando di incontrarli un giorno.
E se mi avete mandato a quel paese con i miei stupidi pinguini vi capisco.
Voglio solo che sappiate che io non me se sono ancora andata, che li ascolto ancora e che rido ancora per le loro bambinate. E che mi dispiace di avervi deluse, davvero. Spero di poter tornare un giorno, trovarvi ancora qui e dirvi 'ECCO IL NUOVO CAPITOLO'. Lo spero davvero tantissimo. Siete libere di credermi come siete libere di non credermi, siete libere di insultarmi, di mandarmi a cagare, siete libere di chiamarmi bimbaminchia, siete libere di fare qualsiasi cosa, ma non incolpateli. Se dovete incolpare qualcuno, allora incolpate me.

Scusate davvero, davvero tantissimo.
Un bacio, Serena.

 

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