Gothic and Punk

di Lady Nobody e Pankun
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non è un piacere ***
Capitolo 2: *** "MAI!!" ***
Capitolo 3: *** Tristezza negli occhi ***



Capitolo 1
*** Non è un piacere ***


Stivali neri alti ad anfibio, autoreggenti viola con rose nere, vestito completamente nero con la gonna leggermente più ampia, il corpetto, che metteva in risalto una buona terza, aveva dei lacci viola incrociati che lo stringevano, altri fiocchi dello stesso colore tiravano su dei lembi della gonna, lasciando scoperta la sottogonna viola, le maniche lunghe finivano a pipistrello e come ogni bordo di quell’abito terminavano con del pizzo. A terminare l’abbigliamento un collarino in pizzo nero con la striscia centrale viola.
 
Ecco, era più o meno questo l’abbigliamento che aveva quella sera. Non che dovesse andare da qualche parte, solo che quello era il suo modo di vestire, un perfetto stile Gothic Lolita. Sciolse i lunghi capelli castano chiaro, leggermente mossi, dopo che si fu truccata. Una cosa leggera, non gli piacevano i mascheroni, solo del fondotinta, del rimmel ed ombretto viola.
 
Certo, dietro quei vestiti così carini non si nascondeva una persona dal bel carattere. Se gli giravano sapeva essere acida e di lingua tagliente, l’ironia ed il sarcasmo erano il suo pane quotidiano, diventava violenta se la facevano incazzare e non si vergognava a sparolacciare. Ma prevalentemente adorava far sentire le altre persone mentalmente inferiori nelle discussioni, cosa che riteneva vera, lei era più intelligente di quegli idioti che giravano per strada. Certi giorni cambiava umore troppo in fretta, altri sembrava una sfinge e quell’apatia faceva impazzire la gente, cosa che non le dispiaceva affatto. Attenzione, se gli state antipatici vi tratterà come la merda.
 
Signore e signori, vi presento…Ella.
 
***
 
girava per le strade di quella grande città senza sapere esattamente dove andare. La gente si voltava a fissarla per il suo abbigliamento…particolare. Li ignorava, erano solo mosche fastidiose, non meritavano un briciolo della sua attenzione. Erano solo persone comuni.
Svoltando prima qui e dopo poco lì doveva arrivare…infatti, eccolo lì!
Un locale abbastanza decente. Non era il tipo da frequentare pub o roba simile, ma in quel periodo della sua vita…non le andava di rimanere a casa. La scuola non andava un granché, i genitori litigavano, il fratellino era in età di sviluppo e quindi pure più scemo del solito e poi…a nessuno sarebbe dispiaciuto se  fosse uscita per qualche ora, non avrebbero sentito la sua mancanza.
 
Volete la verità?
Lei non lo avrebbe mai ammesso, ma si sentiva sola, per questo cercava dei luoghi frequentati, sperava di trovare qualcuno con cui parlare oppure si sarebbe potuta limitare ad osservare le altre persone. Ecco, quella era un’altra cosa che le piaceva, osservare gli altri e cercare di capire cosa gli passasse per la testa, che vita facevano.
 
 
Spinse leggermente la porta di quel pub, “Incubus”. Appena fu dentro si guardò intorno. Luci soffuse ai tavoli del piccolo salottino d’ingresso, circondati da divanetti neri ed un bancone con dietro il bar. Le sembrava strano che fosse tutto lì e infatti…in fondo c’era una porta e da dentro provenivano rumori di voci, risate, musica, tutto molto soffuso. Appena si decise ad aprirla tutto il rumore la investì e venne risucchiata dal buio e dalle luci colorate ad intermittenza. Vedeva tanti corpi che si muovevano a ritmo con la musica. Gli sembrava tutto così informe e distorto, doveva essere l’effetto delle luci oppure del fumo di una canna che era andato a solleticargli il naso e l’aveva nauseata.
 
Si addentrò ancora di più, alla ricerca del bancone bar. Doveva andare avanti a gomitate, perché la gente non la sentiva chiedere “permesso”. La musica accelerò e con essa anche i movimenti della folla. Venne sballottata da tutte le parti fino a che non si ritrovò fuori da quella massa informe per ritrovarsi vicino ai bagni. Decisamente non era doveva voleva andare lei. Sbuffò seccata e stava per rientrare quando si sentì afferrare per un polso. Si girò di scatto, irritata per quel contatto non autorizzato. Davanti a lei una figura chinata in avanti, doveva essere un ragazzo, al buio non sapeva dire bene che età avesse né quale fosse il colore dei capelli o degli occhi. Sapeva solo che il suo alito sapeva d’alcol e che aveva uno sguardo da pesce lesso.
 
“Hei piccola, ti sei persa?”
chiese con voce distante.
 
Diventò di tutti i colori possibili di rosso. L’aveva appena chiamata piccola?? Stava certamente cercando una morte dolorosa. Nessuno, ma proprio nessuno, poteva azzardarsi a chiamarla in quel modo! Lei non era piccolo, solo un poco bassa…ok era un metro e sessanta a diciotto anni e ALLORA??
 
“No che non mi sono persa! Tu piuttosto, se cerchi una con cui spassartela l’autostrada è dall’altra parte.”
Sputò tra i denti mentre cercava di scrollarselo di dosso. Il tipo sembrò capire in ritardo le sue parole perché all’inizio aveva una tale faccia da ebete…poverino doveva avere due neuroni, uno nascosto e l’altro che lo cercava disperato.
 
“Non mi serve andare fino a lì…”
e la fece indietreggiare.
Ma prima di raggiungere il muro si ritrovò una ginocchiata ben assestata alla bocca dello stomaco. Fu abbastanza forte da permetterle di liberarsi dalla presa fastidiosa. L’idiota non si dava per vinto e si rialzò, questa volta una smorfia irritata sul volto. Si avvicinò di nuovo.
“Brutta puttana!”
si mise in posizione di difesa. Doveva ammettere però che un tipo ubriaco le faceva più impressione di uno sobrio.
 
Quando ormai era a poca distanza da lei però…si fermò. Qualcuno stava picchiettando sulla sua spalla.
 
“Mi scusi, lei ora deve seguirmi fuori dal locale. È vietato importunare gli altri clienti.”
 
 
***
Maglietta nera ma maniche corte con un teschio bianco sopra, jeans scuri strappati qua e là, mezzi guanti a rete neri, anfibi, cintura e collarino con borchie. Un trucco scuro, nero, che metteva in risalto gli occhi di quel verde particolare, misto a nocciola chiaro, indefinibili. Capelli rossi che arrivavano alle spalle, con qualche ciocca sul viso.
 
Carattere da duro, non permetteva agli altri di mettergli i piedi in testa. Ma in fondo, era gentile con il prossimo se ne aveva bisogno, anche se il suo aspetto punk non aiutava molto le persone a fidarsi.
Poteva esserti amica come distruggerti la vita, a seconda di come ti comportavi ovviamente. Per il resto, era una persona che sapeva essere anche simpatica. Ma la sua parte “migliore” non l’aveva vista nessuno. Nella vita ne aveva passate parecchie e ormai, all’età di diciotto anni si fidava poco o niente delle persone che la circondavano. Non provava più ad avere una relazione perché poi veniva delusa e non le andava di soffrire inutilmente. Ah già, era meglio non incontrarla quando la sua vena sadica veniva fuori.
 
Madame et Monsieur ecco a voi…Kate.
 
 
Quella sera era andata a lavorare come al solito al pub. Faceva la buttafuori e se serviva aiutava nell’angolo bar. Quel lavoro era stato provvidenziale, stava mettendo da parte i soldi per un bel viaggio, dopo tutto, se lo era meritato. La scuola era praticamente finita, mancavano gli orali e poi sarebbe stata libera, la sua prima estate da sola. E visto che andava piuttosto bene si voleva regalare una vacanza all’estero.
 
Così eccola lì, con la sua fascia con scritto “Buttafuori”, pronta per ogni emergenza. Anche se, a dire la verità, lì non accadevano spesso casini e quindi passava la maggior parte del tempo dietro il bancone. Certo che la gente beveva! Bhe, anche lei ogni tanto si faceva un drink ma, insomma, a tutto c’era un limite. Però come diceva il capo “Se vogliono ubriacarsi facciano pure, più devono e più noi incassiamo”. Certo, era una cosa crudele, ma in quell’ultimo periodo non ci faceva caso, pensava solo a dare il meglio di sé.
 
C’era un unico lato negativo in tutto quello. Con le luci a intermittenza, la penombra ed il fatto molto rilevante che a stento raggiungeva la prima…veniva spesso e volentieri scambiata per un ragazzo!
 
Comunque, quella sembrava esser una serata noiosa come tutte le altre e invece…
 
Durante i suoi cinque minuti di pausa per caso le cadde l’occhio sulla porta d’ingresso che veniva aperta. Dal salottino principale sbucò fuori una ragazza di…chissà, quindici anni vista l’altezza…non troppo sviluppata. La cosa che la incuriosiva era il bizzarro modo di vestire, non che il suo fosse normale, semplicemente le sembrava esagerato per una bimba di quell’età.
“Ecco un’altra di quelle montate che si credono grandi!”
pensò distrattamente mentre la seguiva con la coda dell’occhio. Si era addentrata nella folla danzante e decise di seguirla, metti caso si faceva male? Era pur sempre una ragazzina.
 
Così lo vide.
Quell’idiota era di nuovo ubriaco fradicio. Vide che ci stava provando con lei e la sua forte irritazione e disgusto. Seguì tutto lo svilupparsi degli eventi, quasi imbambolata, poi però quando vide che non era finita e che Slim si rialzava decise di intervenire.
 
“Mi scusi, lei ora deve seguirmi fuori dal locale. È vietato importunare gli altri clienti.”
 
 
Lo aveva portato di peso verso l’uscita sul retro e lo aveva sbattuto fuori.
Dopo qualche minuto era di ritorno dalla ragazzina. Doveva ammetterlo, l’aveva stupita, non si aspettava una reazione del genere.
“Pensavo ti saresti messa a strillare”
disse una volta vicino a lei.
Questa la guardò con aria stranita.
“Io.non.strillo.”
scandì bene incrociando le braccia al petto.
 
A quel punto l’occhio di Kate dovette per forza cadere lì. Ne rimase sorpresa. Come faceva quella bambinetta ad avere…una terza??
 
“Però…per la tua età sei ben dotata, ecco perché Slim ti si è avvicinato…”
disse con aria distratta mentre si costringeva a spostare lo sguardo sul suo volto.
Un lampo di luce bianca glielo illuminò per qualche istante. Quanto bastava per capire ce aveva gli occhi di un marrone scuro, le ricordarono la cioccolata…
 
La sua espressione cambiò rapida. Ora era indignata e quasi furiosa. Distese le braccia e strinse i pugni, voltandosi del tutto verso di lei. Poteva giurare che il suo viso fosse paonazzo.
“IO HO DICIOTTO ANNI, CAPITO?? NON SONO PICCOLA!!”
 
Ecco, si era sfogata, adesso stava meglio, anche se per l’energia che aveva messo in quel grido ora ansimava leggermente. Cazzo, perché la gente doveva essere così irritante? Non potevano farsi gli affari loro?
“E poi, sarai solo dieci centimetri più alta di me!”
affermò poi mettendo su un broncio stizzito.
 
Rimase sconvolta da quell’affermazione. Non…non avrebbe mai creduto che potesse avere sul serio diciotto anni. Si riscosse sorridendo. Però, che bel caratterino che aveva…
“Quanto sei alta?”
le chiese mordicchiandosi il labbro per non ridere. Quell’espressione era veramente buffa.
La ragazza aprì di nuovo gli occhi, degnandola solo di un’occhiata di sufficienza.
“Uno e sessanta…e non ridere!”
la minacciò lanciandole saette con gli occhi.
“Allora sono dodici centimetri, sono uno e settantadue…e perché dovrei ridere, sei così carina bassina come sei.”
Non resistette dallo sfotterla un pochino e gli posò una mano sulla testa facendole pat pat.
“Non…non dire cretinate! E non toccarmi i capelli!”
era diventata di nuovo rossa, ma questa volta dubitava per la rabbia, visto che il suo tono non si era alterato.
“Ok, ok…”
ritirò la mano e le alzò entrambe in segno di resa.
“Comunque, piacere, sono Kate.”
Disse continuando a sorridere. Chissà perché ma le sembrava naturale farlo, eppure non era una che sorrideva spesso, anzi, ormai non lo faceva quasi più.
 
La squadrò con diffidenza, dalla punta dei capelli a quella degli anfibi neri. Sbuffò, quel sorriso la irritava, la faceva sentire a disagio.
“Sono Ella...e non è un piacere.”
 
  

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Capitolo 2
*** "MAI!!" ***


Da quell’incontro al pub non si erano più viste. La cosa era naturale, perché mai sarebbe dovuto accadere? Mica erano amiche e per di più c’era da studiare per gli orali.
Quella mattina ad esempio Ella se ne stava seduta sulla terrazza della scuola a gambe incrociate, il libro di storia sulle gambe. Una leggera folata di vento le smuoveva la coda di cavallo. Era praticamente irriconoscibile con i pantaloncini, la canottiera bianca e gli occhiale dalla montatura nera. Non l’avrebbe riconosciuta nessuno.
Una volta deciso che la storia le stava facendo venire il mal di testa ed avendo calcolato di essere arrivata molto prima, chiuse il volume nero e lo gettò accanto alla borsa. L’orologio del campanile batteva le dodici.
 
Si leccò le labbra, aveva un certo languorino, così decise di tirare fuori il suo pranzo. Una scatola blu scuro, sollevò il coperchio e…
Annusò deliziata l’odore del sushi e del tramezzino al tonno. Prese le bacchette e cominciò a mangiare avidamente. Puntò lo sguardo al cielo azzurro, qualche batuffolo bianco era l’unica decorazione che aveva. Gli piaceva il cielo, era una delle poche cose che gli piaceva davvero, insieme a tutto ciò che riguardava il Giappone ed allo stile Gothic Lolita.
 
Qualcosa però interruppe quella pace perfetta. Il cigolio della porta la strappò al suo mondo di fantasticherie. Non si degnò di girarsi a vedere chi fosse arrivato. L’aveva distratta e questo l’irritava profondamente. Ma tutto quello non bastava, no. La persona incriminata di tale misfatto si stava appoggiando al parapetto, a poca distanza da lei e poco dopo avvertì lo sgradevole odore di fumo. Che oltraggio, le stava rovinando il pranzo con quella puzza!
Arrabbiata si voltò verso l’intruso.
“Hei tu, io starei mangiando!”
 
 
 
Che stress! Mancava ancora molto al suo turno d’esame e gli si era chiuso lo stomaco sentendo l’interrogazione di un suo compagno di classe. Ci andavano giù pesante…
Così, senza il benché minimo appetito, declinò l’invito di un’amica, se così si poteva definire, ad andare a pranzo insieme.
Nervosa com’era la cosa che poteva fare era una sola:
fumare!
 
Decise quindi di salire fino alla terrazza, in modo tale da potersene stare in completa serenità e distendere i nervi.
 
Una volta lì non fece caso più di tanto a quella figura raccolta da un lato, che stava consumando allegramente il suo pasto, si fiondò direttamente al parapetto per accendere poco dopo la sigaretta.
Ora si che stava bene, il cielo azzurro, un paesaggio niente male, il silenzio, la sua valvola di sfogo preferita…
 
Qualcosa però distrusse la perfezione di quel momento. Anzi, per essere più precisi, qualcuno.
Esatto, la persona a cui prima non aveva fatto caso stava accennando, con tono poco gentile, al fatto che il suo fumo le disturbasse il pranzo.
Stava per voltarsi e rispondere con acidità quando un pensiero la folgorò. Dove aveva già sentito quel tono irritato, velenoso ed insopportabile?
Trovato!
 
Si voltò di scatto e si meravigliò del fatto che aveva ragione. Infatti a poca distanza da lei, a fissarla con istinto omicida, c’erano gli occhi scuri di Ella. Di nuovo quello strano sorriso. Ma davvero vederla la faceva divertire così tanto?
Però a guardarla bene non sembrava lei. Era vestita in modo così normale, non assomigliava per niente alla ragazza Gothic di qualche sera prima. Lei invece era sempre coerente con il suo stile. Indossava pantaloni alla pinocchietto neri, una catena alla fibbia, maglietta bianca a righe nere, un polsino ed il collarino borchiati.
 
“Ciao Ella! Non pensavo fossi anche tu di questa scuola!”
disse pimpante.
 
 
Quando si girò restò di stucco, non se l’aspettava proprio. Era vero che lei a scuola se ne stava sempre per conto suo e non usciva dalla classe…però non avrebbe proprio mai pensato di ritrovarsi Kate fra i piedi!
 
Probabilmente era rimasta a bocca aperta, perché vedeva un sorriso divertito sul suo volto.
Si riscosse, non rispondendo alla domanda, limitandosi ad alzare le spalle e a guardare male la sigaretta che teneva fra le mani.
Doveva essersene accorta.
“Oh, scusa, ora la spengo. Ma sai, il fumo mi rilassa…”
tirò un’ultima volta e poi spense la sigaretta. Buttò via il fumo e si diresse verso di lei.
Senza chiedere il permesso si sedette proprio lì accanto. Sbuffò per tornare a concentrarsi sul suo pranzo. Si era tenuta da parte un po’ di sushi ed ora addentava il tramezzino al tonno. Si sentiva osservata e la cosa la faceva sentire a disagio.
 
“Ma insomma, che vuoi??”
chiese irritata voltandosi verso Kate. Aveva la faccia rossa, come tutte le volte che si sentiva in imbarazzo.
 
Vederla in quello stato la faceva ridere, però cercò di trattenersi, mordendosi il labbro inferiore. Però anche qualcos’altro si sovrapponeva e mescolava al divertimento…la tenerezza…? Effettivamente era una figura, in quei ovviamente rari momenti, veramente tenera, veniva quasi voglia d’abbracciarla.
 
Vedendo il suo imbarazzo farsi più consistente capì che era rimasta imbambolata a fissarla per troppo tempo. Si riscosse, ricordandosi che le era stata posta una domanda.
“Niente, niente. Non posso sedermi dove mi pare?”
 
Sbuffò rassegnata e con più voracità di prima addento il suo pranzo. Perché si era seduta vicino a lei? Non lo faceva mai nessuno…forse perché aveva un pessimo carattere e negava l’accesso nella sua vita a chiunque…oppure perché erano tutti stronzi con la puzza sotto il naso. Qualunque fosse stata la realtà (lei credeva tutte e due), non cambiava il fatto che qualcuno aveva appena violato il livello massimo di distanza e la cosa la disturbava.
 
Poi accadde qualcosa di buffo. Sentì uno stomaco gorgogliare, ma non era certo il suo. Si girò con occhi sgranati verso Kate che divenne un peperone ed iniziò a farfugliare qualcosa sull’aver saltato il pranzo mentre si passava una mano fra i capelli rossi. A questo evento ne seguì un altro, decisamente sconvolgente per gli equilibri del cosmo.
 
Fissò la sua bella scatola blu, dove c’era ancora metà del sushi. Sospirò leggermente.
“Sto impazzendo…”
e porse la ciotola a Kate, senza guardarla.
“Tieni, io non ho più appetito…”
biascicò per poi dare un ultimo morso al tramezzino e finirlo.
 
Portò le ginocchia al petto stringendo le gambe con le braccia. Nella sua testa continuava a ripetersi di stare impazzando e che la colpa era tutta di quel sorriso.
“Stupido sorriso, stupido, stupido, stupido sorriso da ebete!!”
strillò nella sua testa mentre affondava sempre di più la faccia fra le gambe, lasciando in vista solo gli occhi che fissavano di tanto in tanto nella direzione di Kate.
 
 
Dal canto suo quel gesto gli parve gentile ed inaspettato. Ma non ci pensò neanche per un secondo a rifiutare. Così afferrò la scatoletta blu e cominciò a mangiare, impiccandosi per tenere bene le bacchette. Alla fine ci rinunciò e cominciò ad afferrare i rotolini di sushi con le mani, facendo attenzione a non sembrare troppo un animale.
 
La scena era talmente comica che osservandola…Ella scoppiò a ridere. Appena notò cosa stava facendo smise subito, tappandosi la bocca con una mano. Perché aveva riso? Lei non rideva!
“Aiuto sto impazzendo davvero!”
 
“Perché hai smesso? Sei più carina quando ridi.”
Osservò Kate fissandola con un’espressione mista tra sorpresa e divertita.
Per tutta risposta Ella si alzò di scatto, lanciandole un’occhiataccia ed andando a raccattare la sua borsa ed il libro di storia.
 
 
Se ne stava andando, ma che aveva fatto di male? Mentre la mano di lei abbassava la maniglia si decise a buttarsi.
“Ti va di essere mia amica?”
lo disse con il tono intriso di speranza. Non sapeva bene perché glielo avesse chiesto. Forse perché non aveva mai avuto un amico vero e con lei si sentiva bene…chissà…
 
Si immobilizzò con la porta aperta davanti a sé. Forse non aveva capito bene. Amica?
A quella parola sentì il cuore accelerare. Stava per girarsi e rispondere, ma non lo fece. Si fiondò giù per le scale, gridando a squarciagola
“MAI!!”
 
Kate sorrise appena, guardando prima la porta spalancata e poi la scatola del pranzo.
“Prevedibile…”
mormorò fra sé e sé.
 
Si sarebbero viste di nuovo, quello era certo. 

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Capitolo 3
*** Tristezza negli occhi ***


~Piccola nota prima del capitolo~
 
Salve, volevo avvertirvi che a mio parere questo capitolo fa proprio schifo! Ma che ci volete fare? L’ho scritto di giorno…
se avete comunque voglia di leggerlo, prego accomodatevi, ma gradirei non ricevere recensioni negative o neutre.
Ciao ciaoooo!! 













Fantastico! Per colpa di quell’accollo si era ritrovata a studiare in biblioteca, dove un’altra massa di studenti faceva un casino infernale. Dire che li avrebbe uccisi tutti uno dopo l’altro non rendeva abbastanza bene l’idea.
Fece appello a tutto il suo autocontrollo e in quella situazione fu molto impegnativo.
Finalmente, per così dire, era arrivato il suo turno di essere messa sotto esame. Aveva troppe cose che le ronzavano per la testa e fece fatica a rimanere un minimo concentrata.
 
Confece poi così schifo, era stata…accettabile…dopo che si era spaccata la schiena per andare bene era stata solo accettabile!
Adesso era veramente arrabbiata.
 
Non voleva vedere nessuno, fino al giorno dei quadri non aveva alcuna intenzione di avere alcun contatto con altri esseri viventi, specialmente se erano alti uno e settantadue e si chiamavano Kate. Una volta a casa non controllò neanche se ci fosse qualcuno, andò dritta in camera sua, attivò lo stereo con il disco di Marilyn Manson e si buttò sul letto.
La canzone d’apertura era “Sweet Dreams”.
Magari riusciva ad addormentarsi…
 
 
Fantastico! Era stato tutto semplicemente fantastico!
Aveva una scusa per incontrare Ella e convincerla definitivamente ad essere sua amica, aveva lo stomaco pieno, si era fumata altre due sigarette che l’avevano calmata ed il suo orale era andato liscio come l’olio.
Diciamo che non se lo aspettava, visto che non aveva studiato poi molto, ma che ci poteva fare? Aveva un talento naturale per andare bene senza il minimo sforzo.
 
Così, una volta fuori dall’aula cominciò la fase uno del suo piano, ossia: trovare l’aula dei registri.
Scese al piano terra e girò per qualche minuto, fino a quando non si ritrovò di fronte alla sale insegnanti. Entrò dopo aver controllato che non ci fosse nessuno né lì né nel corridoio. Ci mise un po’ a trovarlo, per fortuna aveva visto dopo Ella era entrata per l’esame e sapeva la classe.
Ed infine, eccolo, in cima ad una pila, il registro del terzo E.
Sorrise appena, Ella si trovava nella sezione E.
 
Lo sfogliò rapidamente fino alla fine dove…
“BINGO!”
esclamò tutta soddisfatta. Proprio lì, davanti a lei c’era il foglio con tutti i dati personali degli alunni. Fece passare febbrilmente il dito su tutto l’elenco dei nomi, con l’ansia che qualcuno potesse entrare. Finalmente la trovò.
“Demon Ella”…che strano cognome…però le si addiceva perfettamente. Tirò fuori il telefono e salvò il numero di cellulare, il fisso, l’indirizzo e-mail e la via dove abitava.
Chiuse il registro e si fiondò fuori dall’aula.
 
Una volta fuori però vide che una bidella le si avvicinava con aria minacciosa.
“E tu che ci fai lì, signorinella?”
chiese puntandogli contro un dito. Cominciò a sudare freddo, doveva trovare una scusa, credibile e alla svelta.
IDEA!
“Io…io stavo cercando la professoressa Ortensia, sa, le dovevo chiedere una cosa..”
“Non è certo qui, è andata a prendersi un caffè.”
Le rispose senza smettere di guardarla male.
E che non lo sapeva che non c’era? L’aveva vista lei stessa uscire dall’edificio.
“Ehm…allora sarà per la prossima volta!”
e scappò via.
 
Mentre correva teneva stretta sotto braccio la scatola del pranzo blu. Controllò un attimo la via sul cellulare e si rallegrò del fatto che un autobus la portava proprio lì vicino. Una ventina di minuti al massimo e sarebbe stata sotto casa di Ella.
 
 
Per quanto la riguardava, la nostra cara Gothic Lolita si era completamente dimenticata della propria scatola del pranzo. Da quando era tornata a casa si era fatta prima una doccia e poi messa in veste da camera.
Stava in quel momento ritornando nella propria stanza quando…
 
Dlin dlon!!
 
Inveì mentalmente, chi era che osava interrompere la propria pace solitaria?
A piedi scalzi arrivò fino alla porta guardò dallo spioncino.
Per poco non svenne. Lì, con il suo sorriso ebete, se ne stava Kate. Appoggiò la schiena alla porta in legno, gli occhi sgranati. Cosa diavolo voleva?
Il campanello suonò ancora, con insistenza. Alla fine smise ed Ella trasse un sospiro di sollievo, finalmente aveva desistito. In quel preciso istante squillò il proprio telefono. Corse verso la sua stanza e vide un numero sconosciuto. Non rispose, aveva un brutto presentimento. Smise di suonare il suo e partì il fisso, stesso numero. Non rispose neanche a quello. Si avventò verso la porta e la spalancò. Davanti a lei Kate con il cellulare in mano si voltò a guardarla.
 
“COSA CAZZO VUOI?”
 
 
Che strano, chissà per quale oscuro motivo nessuno le veniva ad aprire. Allora provò a chiamarla sul cellulare. Niente. Quindi provò sul fisso. Ancora niente. Era lì lì per andarsene quando la porta le si spalancò davanti e sulla soglia apparve Ella.
Non badò minimamente alle sue parole, né al tono con cui le aveva pronunciate. La sua attenzione era tutta per l’abbigliamento.
Indossava un vestitino nero, che arrivava poco sopra le ginocchia, tutto bordato di pizzo viola, con la scollatura a V adornata sulla punta da un fiocchetto.
In quel momento, ma solo per qualche istante, le attraversò la mente una strana quanto malsana idea.
Ma fu veramente questione di un attimo che già l’aveva scacciata via, chiedendosi come potevano venirgli idee simili.
 
Sfoggiò quindi uno di quei sorrisi che ormai erano riservati solo ad Ella.
“Sono venuta a restituirti una cosa.”
E fece un passo in avanti, aggirando un’Ella alquanto perplessa che cercava di ricordarsi cosa mai le avesse prestato.
 
 
Riscuotendosi da quello stato di concentrazione si rese conto che Kate stava procedendo per casa sua, in direzione della sua stanza. Si affrettò a chiudere la porta ed a inseguirla.
“Hei, aspetta! Non puoi entrare in casa degli altri così!”
le disse una volta che ebbero raggiunto il suo piccolo antro, come chiamava suo padre la sua stanza, visto che per lui Ella era un vampiro.
“Si invece, se è la casa di un’amica.”
Disse porgendogli la scatola blu e cominciando ad aggirarsi per quella stanza.
Ecco che cosa le aveva prestato! E dire che lo aveva completamente rimosso…Alla parola amica sollevò di scatto la testa, diventando rossa.
“I-io…non sono tua amica…!”
 
Appena si entrava la prima cosa che colpiva l’occhio era il letto ad una piazza e mezza appoggiato orizzontalmente alla parete di fronte alla porta, completamente nero con unica nota di colore il cuscino viola scuro. Due librerie di legno scuro erano poste accanto alla testata ed ai piedi del letto, erano piene zeppe di libri, prevalentemente di fantasy. In mezzo a loro, che le collegavano, c’erano due mensole, dove in ordine alfabetico erano sistemati i manga. Sulla parete della porta invece a sinistra c’era una scrivania con il computer e lo stereo, fatta dello stesso legno scuro, invece a destra un armadio.
Per finire una finestra dava sulla strada, ma in quel momento non entrava luce visto che le tende a scacchi neri e viola la coprivano.
 
Quella stanza sembrava il ritratto di Ella.
 
“Mi stai ascoltando? Kate? Kate?”
 
Fu riportata sulla terra da una mano che aveva preso a scuoterle la spalla e dalla voce della ragazza dietro di lei.
 
“…Ah si, scusa, ero presa ad osservare la tua stanza. Molto carina…”
disse voltandosi verso di lei sorridendo.
In risposta al complimento si beccò un pugno all’altezza dello stomaco che la fece piegare in due. Sollevò la testa con aria smarrita e trovò con gli occhi il volto rosso di Ella.
“Nessuno può entrare in camera mia…”
borbottò con il volto corrucciato.
Stava per aprire bocca ma lei l’anticipo.
“…E non dire che tu puoi perché sei mia amica, perché non è vero! Lo hai deciso tu da sola! Io non ho bisogno di amici!!”
 
Evitava il suo sguardo, non voleva incontrare quegli occhi così strani che le mettevano addosso una strana sensazione. Parlava, sentiva la sua stessa voce, era quella di sempre, eppure…notava che qualcosa…qualcosa di diverso c’era…lo aveva detto con poca enfasi, come se per una volta lei stessa…non avesse creduto a ciò che diceva.
Ma era strano, quella frase l’aveva sempre ripetuta a tutti, era la sua parola d’ordine.
“Io non ho bisogno di amici”…
se ne era convinta in fretta, probabilmente per darsi conforto mentre tutti la ignoravano. Era vero che per carattere era una che tendeva a starsene per i fatti suoi, però…faceva comunque male sentirsi rifiutata più e più volte e perché poi?
Perché era strana.
E allora si era autoconvinta di esserlo davvero e aveva cominciato a ripetere il suo mantra:
“Io sono diversa dagli altri e non ho bisogno di nessuno, sto bene da sola!”
 
“Hai ragione”
disse sollevandosi. Aveva visto come un lampo di tristezza in quegli occhi scuri ed aveva provato una strana sensazione alla bocca dello stomaco.
Ci volle un attimo. La afferrò per un polso e la trasse a sé stringendola in un abbraccio. Si sentiva in dovere di farlo, forse perché quando lei ne aveva avuto bisogno non c’era stato nessuno a darle conforto e non voleva che lei si sentisse sola. Perché lo aveva capito che era quello il problema.
“Hai ragione, io non sono tua amica, perché non ne hai bisogno…”
continuò poggiandole una mano sulla testa e parlando a bassa voce, per calmarla.
 
Non capiva, veramente, non stava capendo niente!
Perché la stava abbracciando? Perché si era arresa così facilmente? Un po’ si sentiva delusa. Alla fine si era rivelata anche lei come gli altri e ora se ne sarebbe andata. Cercava di convincersi che era meglio così, una seccatrice di meno, ma quella sensazione di avere torto non la voleva proprio lasciare.
Poi, disse qualcosa che la lasciò di stucco.
 
“…ma sarò la tua migliore amica.”
  

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