Heaven's in your eyes

di Fannie Fiffi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** There's no Remedy for Memory ***
Capitolo 2: *** You Want to See me Fall ***
Capitolo 3: *** You could be Happy ***
Capitolo 4: *** Come Home ***
Capitolo 5: *** I'll Never let you Leave ***
Capitolo 6: *** All This time ***
Capitolo 7: *** This Is Love ***
Capitolo 8: *** Part Of Me ***
Capitolo 9: *** Friends Will be Friends ***
Capitolo 10: *** Help, I'm Alive ***
Capitolo 12: *** So cold and so Sweet. ***
Capitolo 12: *** This Feels like Falling in Love ***
Capitolo 13: *** You can Choose what Stays and what Fades Away ***
Capitolo 14: *** Now We're Torn apart, There's Nothing we Can Do ***
Capitolo 15: *** If you Ever come Back ***
Capitolo 16: *** Your Own Politik ***
Capitolo 17: *** Undisclosed Desires ***
Capitolo 18: *** A Revelation in the Light of Day ***
Capitolo 19: *** When you Hold me I'm Alive ***
Capitolo 20: *** Your eyes, They Shine so Bright ***



Capitolo 1
*** There's no Remedy for Memory ***


Heaven's in your eyes.


Dalla puntata 3.21 ‘ Ricorda le mie parole: ragazzo di paese, vita di paese, non sarà mai abbastanza per te.’
 
 
E così voltandomi le spalle se ne andò. Klaus se ne era veramente andato, come mi aveva detto e mentre osservavo l’ibrido non potei fare a meno di chiedermi se e quando lo avessi rivisto. Perché quei dubbi, se tutto ciò che io e i miei amici volevamo stava accadendo? Perché sentivo quello strano sentimento sconvolgermi il petto e trasmettermi l’impulso di seguirlo? Non potevo farlo, dovevo rimanere a Mystic Falls. Dovevo rimanere con Tyler, continuare a proteggere Elena, appoggiare i Salvatore in ogni loro scelta. Sapevo che questo era giusto ed era quello che dovevo fare. Eppure, ripensando alle ultime parole di Klaus non potei fare a meno di pensare: ‘è anche quello che voglio fare?’ di nuovo le parole tornarono alla mente, come se fossero state appena pronunciate: una vita anonima per una persona anonima. Era quello che veramente meritavo? Oppure lo sguardo intenso dell’uomo era riuscito veramente a comunicarmi la mia importanza?
Già sull’onda dei ricordi, rievocai alla mente il giorno in cui Tyler mi aveva morsa e Klaus era giunto per salvarmi – o per uccidermi –.
 
Sentivo freddo, molto freddo. Rannicchiata fra le tante coperte con cui m’aveva avvolta mia madre,  non smettevo di tremare. Sentivo il mio sangue caldo scendermi lentamente dal morso sulla spalla. Sapevo il significato del morso di un licantropo per un vampiro: Morte certa. Lo sapevo, sapevo che di lì a poche ore avrei chiuso gli occhi per non riaprirli più e scivolare in un eterno sonno. Un sonno senza incubi, finalmente. Un sonno tranquillo, pacifico, che solo la morte mi avrebbe concesso. La mia mente era affollata da mille rimpianti e altrettante sensazioni, dubbi, incertezze, emozioni. Che cosa ne sarebbe stato di me dopo la morte? Mi avrebbero sepolta o semplicemente avrebbero gettato il mio corpo fuori città, come uno dei tanti danni collaterali della situazione? Sapevo bene di aver commesso degli errori, di aver ucciso e di essere un mostro e volevo essere perdonata. Mi ero pentita e in punto di morte quasi pregavo affinché la pace mi trovasse. Spostando lo sguardo umido di lacrime amare, osservai le decorazioni per il mio compleanno. Ironia della sorte, stavo lasciando la vita nello stesso giorno in cui – anni prima- l’avevo raggiunta. La fine della mia breve vita da vampira e da umana. Eppure non mi sentivo nessuna delle due cose. Tutte le mie preoccupazioni erano rivolte a mia madre madre, a Tyler, ai suoi amici.
Certamente avevo avuto diversi scontri con mia madre a causa della mia natura. Eppure era l’unica che c’era sempre stata, sempre pronta ad accogliermi fra le sue forti braccia. Era una donna coraggiosa, ne aveva superate tante. Cel’avrebbe fatta anche questa volta.  E così, vicina alla morte, sentendo i battiti cardiaci della madre e di Matt nell’altra stanza, piansi. Piansi come non avevo mai fatto, come a voler finire prima il mio tempo. Non sopportavo più quell’angosciante attesa. Pensai che a volte le cose andavano in modo ingiusto: perché dovevo morire proprio ora che mi sentivo veramente viva? Portandomi la mano tra i capelli vidi il bracciale che mi aveva regalato Tyler solo poche ore prima.
I troppi pensieri e le forze che mi abbandonavano, mi impedirono di udire i passi sulla veranda. Improvvisamente mi accorsi di una nuova presenza nella camera. Tenevo gli occhi chiusi, ma sentivo uno sguardo sul mio viso. Così improvvisamente aprii gli occhi e quello che mi trovai davanti mi sorprese.  Klaus era lì che mi fissava. Senza troppa esitazione chiesi “Mi ucciderai?” e fu come se le parole mi scivolarono autonomamente dalle labbra.
“Il giorno del tuo compleanno?” chiese l’ibrido, quasi scocciato all’idea che si potesse pensar così male di lui.  “Hai così poca considerazione di me?”
-“Si” risposi senza paura.
Vidi l’ibrido avvicinarsi e pensai che fosse la fine, ma totalmente fuori dalle mie aspettative, lui sfiorò con le dita il collo scoprendo la terrificante ferita. “Oh, è bruttina” esclamò per niente sorpreso.  “Mi scuso. Sei quello che viene definito un danno collaterale. Non è niente di personale.”
Quelle parole mi impressionarono molto. Primo, perché non mi aspettavo che un uomo come Klaus potesse porre delle scuse. Secondo, perché non era la prima volta che venivo definita un ‘danno collaterale’ era questo che mi sentivo per la maggior parte del tempo. Semplicemente uno sbaglio che molti avrebbero preferito non fare. Il vampiro interruppe questi pensieri quando mi sfiorò il polso, proprio dove si trovava il bracciale donatomi da Tyler. “Amo i compleanni” confessò Klaus, prendendomi contro piede. Non potei fare a meno di pensare come mai la fine tardava tanto ad arrivare e come mai il destino mi avesse portato, come ultimo visitatore, proprio una delle persone che odiavo di più al mondo. Quando mi trovai a pensare che avrei preferito la morte pur di trascorrere ancora del tempo con Klaus, rimasi stupita dal pensiero e non riuscii a spiegarmene il motivo. Pensai che forse era arrivato il momento di parlare, quindi dissi: “Già. Ma tu non hai tipo… un miliardo di anni?” e quasi derisi me stessa e mi sentii nettamente inferiore a quella creatura che aveva superato molti più pericoli di me e ne era uscita vincitrice.
“Quando diventi un vampiro devi modificare la percezione del tempo, Caroline.” Brivido al sentir pronunciare il mio nome.
“Festeggiare il fatto che non sei più legato alle insignificanti convenzioni umane. Sei libera.”
Mi sentii in dovere di smentire la sua ultima affermazione. “No. Sto morendo.” La reazione che provocò la mia frase mi lasciò di stucco, e divenni una vera e propria statua mentre l’ibrido si sedeva sul mio letto, a pochi centimetri dal mio corpo. Mi fissò così intensamente che i brividi raddoppiarono e mi raggiunsero la nuca, i capelli, le punte dei piedi. Egli parlò, consapevole di quello che era appena accaduto. “E potrei lasciarti morire, se è questo che vuoi…Se credi davvero che la tua esistenza non abbia senso.” Non potei fare a meno di sentirmi stupida, perché Klaus aveva completamente ragione. Non ero mai stata veramente fondamentale e importante per qualcuno e mai nessuno aveva capito il mio vero essere. Come poteva riuscirci qualcuno che conoscevo da così poco tempo e che per giunta era un assassino?
“Anch’io ci ho pensato… un paio di volte nel corso dei secoli, se devo dire la verità.” Quante cose avevo ancora da scoprire su quell’uomo che era sempre sopravvissuto, ma che forse non aveva mai veramente vissuto?
Klaus si avvicinò ancora, piegandosi su sé stesso ed avvicinandosi al mio viso. “Ma ti confiderò un piccolo segreto. Là fuori c’è tutto un mondo che ti aspetta. Grandi città e arte e musica” nuovamente mi sfiorò il polso, lì dov’era il bracciale. A cosa stava pensando?
“vera bellezza.. e tu puoi avere tutto questo. Puoi festeggiare altri mille compleanni. Non devi far altro che chiedere.” E così l’ibrido terminò il suo glorioso discorso lasciandomi confusa. Cosa voleva dire? Mi stava veramente dicendo che se solo  lo avessi voluto, lui mi avrebbe salvata? Improvvisamente sentii qualcosa esplodermi nel petto, espandersi nelle vene insieme al sangue ed arrivarmi in ogni parte del corpo: Speranza. Quell’uomo che per tanto tempo avevo odiato, ora mi stava donando speranza. Così, commossa da tutti quei pensieri e spinta dalla voglia di vivere, dissi semplicemente “Non voglio morire.” Klaus mi guardò per un momento, con quei suoi occhi così espressivi, e poi si tirò su una manica mettendomi una mano dietro al collo e sollevandomi al suo petto. “Ecco qui, tesoro.” Mi rispose, con un tono molto dolce. Io non feci caso alle sue parole, poiché fissavo affamata la vena sul suo polso. Sentivo il suo sangue di ibrido scorrere caldo e non volevo fare nient’altro se non poggiare le labbra sul suo braccio, mordere e godere della vita che tornava nuovamente a scorrere in me. Aspettando silenziosamente il suo permesso, mi disse “Bevi pure” e così senza attendere oltre feci quello che desideravo di più al momento. Sentii la sua pelle fremere a contatto con la mia bocca e lasciai che fosse l’istinto a guidarmi. Appena morsi, lo sentii sospirare sulla mia testa ma ero troppo presa dalla frenesia del suo sangue misto alla mia saliva. Era il sangue più buono che avessi mai bevuto,  cento volte meglio delle poche persone di cui mi ero nutrita durante i primi giorni dalla trasformazione. Dentro di me, in quel momento stava avvenendo una grande lotta fra il mio istinto umano, che era totalmente disgustato da quello che stavo facendo, e il mio istinto animale, che mi diceva di aggrapparmi ancora più forte a quelle braccia che mi sorreggevano. Ero fra le braccia di un assassino, bevendo il suo sangue, e quello che più mi impressiono era che mi piaceva. Mi piaceva da matti e avrei voluto che quel momento non finisse mai.
 
 
 
Con un battito di ciglia, tornai al presente. Ero al ballo di fine anno che avevo organizzato insieme a Rebekah e sentivo i corpi degli altri studenti che ballavano intorno a me. Uscii dalla folla per cercare Tyler, ma ero consapevole che non era lui che volevo trovare.
Non so perché, non so per quale motivo, ma il ricordo di quella notte mi aveva colpita ora più che mai. Cercai di scrollarmi quella sensazione di dosso non appena vidi Tyler, che mi prese per i fianchi e mi trascinò nuovamente in pista. Klaus se ne era andato e noi eravamo finalmente liberi di vivere la nostra vita in pace.
Questo era quello a cui dovevo pensare, era l’unica cosa che avesse importanza.















Commento:
ok bene, so che è una follia eppure ho voluto postare ugualmente! Fatemi sapere cosa ne pensate, accetto critiche di tutti i tipi. Scusatemi se ho fatto errori grammaticali o di altro genere, sentitevi liberi di farmelo presente. 
Volevo solamente dire che non ho scritto niente di nuovo perché volevo prima introdurre la storia e posizionarla in un momento temporale preciso ed attinente alla serie, quindi: la situazione iniziale, cioè quella del presente, è ambientata nel ballo stile anni '20 della 3x21.
Ho dato molta importanza al momento in cui Klaus salva Caroline perché è stato dichiarato che è proprio quello il momento in cui l'ibrido si invaghisce della bionda e poi ho voluto dare voce ai pensieri di Caroline. Spero che vi piaccia, mi raccomando fatemi sapere le vostre opinioni!
Per quanto riguarda gli aggiornamenti penso che posterò una volta la settimana, tutte le volte in un giorno preciso che devo ancora stabilire. Probabilmente tutti i sabati a partire dalla prossima settimana :) Vi avviso già che non sarà una fic lunghissima circa 15 capitoli.
Mi sembra di aver detto tutto, il capitolo è scritto dal punto di vista di Caroline. Grazie a tutti in anticipo per le recensioni! Ci sentiamo la prossima settimana :*

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Capitolo 2
*** You Want to See me Fall ***


Heaven's in your eyes.

Pov Caroline


Aprii gli occhi nell’esatto momento in cui il primo raggio di luce entrò attraverso la tenda colorata della mia camera. Spostando pigramente lo sguardo verso la sveglia, notai che erano appena le 6 del mattino. Solo poche ore prima avevamo perso Alaric. L’ennesima sconfitta. Chi sarebbe stato il prossimo? Sembravano passati millenni dall’ultima volta in cui mi ero alzata dal letto con la sicurezza che ci sarei tornata. Ogni volta che chiudevo la porta della mia casa, non sapevo mai se sarei tornata. Ogni volta che salutavo mia madre, non sapevo se l’avrei rivista. Tutto era così sbagliato e io non riuscivo a trovare una soluzione.
Alaric, Esther, Originali, Klaus, licantropi, vampiri, streghe, doppleganger. Tutto era così innaturale e io mi chiedevo se fosse rimasto al mondo qualcosa che fosse veramente quello che sembrava. Possibile che una piccola cittadina come Mystic Falls, sempre stata innocua, ora fosse popolata da ogni sorta di animale mitologico? C’era decisamente qualcosa di sbagliato in tutto questo, e quello che più mi spaventava era che quasi nessuno oltre me sembrava accorgersene. Mi lavai e vestii in un minimo di secondo e controllando il cellulare notai un messaggio. Era di Rebekah.

- Raggiungimi a scuola alle 8.00, dobbiamo ripulire la palestra dal ballo di ieri sera.-  Esatto. Il ballo. Alzando la testa e notando il vestito anni ’20 ancora sulla sedia, non potei fare a meno di pensare a Klaus. Dov’era ora? Probabilmente fuori città. Non lo avrei rivisto più. Uno strano sentimento mi colpii nel momento in cui lo realizzai.
Costrinsi il mio corpo e la mia mente a pensare a qualcos’altro, qualcosa che conoscevo e che mi era familiare e qualcosa di cui avevo il controllo. Perché era questo il problema: quando si trattava di lui perdevo il controllo delle mie azioni, la mia testa vagava verso mondi che non avevo mai immaginato e il mio corpo reagiva di propria volontà. Era la sensazione di perdita di controllo che mi spaventava. Ero sempre stata una ragazza piuttosto impulsiva, ma ero sempre riuscita a controllarmi. Con Klaus, invece, era come desiderare la vicinanza di tutte le mie paure riunite in un'unica persona. Io desideravo la sua vicinanza e questo mi spaventava, quasi più della sua natura. Mi spaventava non saper cosa aspettarmi da me stessa. Avevo paura di lui e di quello che provocava in me. Era una sensazione molto strana poiché due stesse parti di me volevano rispettivamente averlo vicino ed averlo a centinaia di km di distanza. Nel frattempo si erano fatte le 7 del mattino e andando a fare colazione incontrai mia madre, già in divisa e pronta ad uscire.

« Buongiorno, Caroline. » Mi disse venendomi incontro e abbracciandomi. Io risposi all’abbraccio e le sorrisi. A volte mi sentivo come se fossi io l’adulta che protegge e lei l’indifesa figlia che viene protetta. Se io fossi stata ancora umana, le cose sarebbero state così. Ennesima cosa totalmente sbagliata.
« Questa mattina devo andare ad aiutare il comitato di pulizie della scuola. Mi accompagni in macchina? » dissi, concedendole quel poco di normalità di cui un essere umano aveva bisogno.
« Certamente tesoro, mangiamo qualcosa e andiamo. »
 
 
 
Quando mezz’ora dopo mi ritrovai all’entrata di scuola, che di sabato era chiusa, ricevetti un messaggio da Tyler. -Non posso venire ad aiutarti, chiamami.-  Senza aspettare un minuto, più infastidita che sorpresa lo chiamai.

« In che senso molli il mio comitato di pulizia? » chiesi non appena rispose, senza nemmeno salutarlo.
«Ha chiamato Klaus. » Sentii pronunciare. Al sentir pronunciare il suo nome, un brivido di paura mi attraversò il corpo.
« Se ne va e vuole che gli inscatoli tutta la casa. » Allora era vero. Ma al contrario delle mie supposizioni non se ne era ancora andato. Certo, perché andarsene frettolosamente quando c’è il tuo lupo schiavetto che ti fa le valigie?
Non trattenni la mia acidità.

«Bè, da quando legame di asservimento significa schiavo traslocatore? » sapevo che le mie parole ferivano Tyler, ma non potevo trattenermi.
« Da quando ha capito che non mi mollerai per lui. » Wow. Di bene in meglio. Ecco perché Klaus lo aveva costretto a preparargli la sua roba. Aveva finalmente capito, dopo il mio ennesimo rifiuto, che non c’era remota possibilità per noi due di stare insieme. Io amavo Tyler, lo avevo sempre fatto e di certo lui non avrebbe cambiato le cose.
« Che atteggiamento meschino. »
« E pensa ancora che sia asservito a lui. » Eccolo, il nostro asso nella manica.
« Va bene », continuò Tyler, « Continuerò a fingere e tutto finirà presto. Sono in ritardo, devo andare. Ti amo. » Disse velocemente. Probabilmente il capo era tornato.
« Ti amo anch’io. » Risposi convinta delle mie parole e un po’ scoraggiata dal lavoro che mi aspettava. Arrivai nella prima sala e trovai Rebekah da sola.
« Dov’è Matt? » chiesi, già consapevole che probabilmente eravamo rimaste solamente noi due.
« Ci ha dato buca. L’hanno chiamato al lavoro all’ultimo minuto. » Non potevo crederci.
« Mi prendi in giro? » dissi di tutta risposta. « Quindi siamo solo noi due? »
« Si, e sei in ritardo.»  Rispose l’originale con fare scocciato.« Il comitato di pulizia cominciava alle 8. » Continuò imperterrita mentre svuotava cestini di bicchieri vuoti.
Rimasi shockata. 
« Sono le 8 e 2 minuti. » 
« Esattamente. Sono riuscita a presentarmi in tempo e non ho potuto nemmeno partecipare al ballo che io ho organizzato. » Quasi mi fece pena per come era stata trattata dalla madre. Ne sapevo qualcosa, di odio figlio/genitore.
Quindi le dissi semplicemente quello che pensavo. 
« Mi dispiace per tua madre. Cioè, so che la odiavi e tutto il resto, però… comunque… Mi dispiace. »
 Rebekah sembrò quasi non ascoltarmi mentre svuotava l’ennesima bidoniera. Poi, però, rispose lasciandomi piacevolmente sorpresa.
« Mi dispiace per il tuo insegnante. Sembrava un tipo a posto. »  Oh, se lo era. Alaric ci aveva sempre aiutati durante le nostre molteplici battaglie ed era stato un grande amico nonostante avesse ucciso mio padre.
« Si… lo era. » Ammisi, già sentendone la mancanza.
« Comincio dalla palestra. » Rispose Rebekah, mettendo fine a quell’imbarazzante primo vero discorso fra noi due. Sentii i suoi passi allontanarsi e cominciai a sistemare qua e là.
Neanche se dovessi rivivere quella paura altre mille volte, riuscirei a capirla. Sentii i suoi passi bloccarsi e la sua voce quasi distorta dire: 
« Dovresti essere morto. » Non capii le sue parole, ma quando sentii la risposta il fiato mi si bloccò in gola. « Lo sono. » Alaric. Quella era indubbiamente la sua voce. Ma cosa era successo? Lui era morto.
Sentii rumore e poi Rebekah urlare. Mi affacciai terrorizzata alla porta e vidi che Alaric l’aveva scaraventata contro gli armadietti bloccandola per la gola. In mezzo secondo tirò fuori un paletto e in altrettanto tempo lo spostai al lato dell’Originale. Rebekah si mosse al mio fianco ed insieme spingemmo il paletto nel petto di Rick.
Non sembrava averlo nemmeno scalfito. Lo guardammo sconcertate e terrorizzate, poi ci guardammo e in un attimo fummo fuori dalla scuola. Rebekah fuggì via, verso gli alberi, mentre io mi diressi verso la mia auto. Pessima mossa. In un batter d’occhio tirai fuori le chiavi ma non riuscii ad aprire lo sportello. Improvvisamente sentii due mani sulle tempie e poi il buio.
Mi svegliai poco dopo. Sentivo un immenso dolore, così aprendo gli occhi trovai due matite conficcate sul dorso delle mie mani. Piangevo mentre Alaric mi guardava duramente. Poi, con uno sguardo che non potrei mai dimenticare, prese una benda e la bagnò con della verbena. Ne sentivo l’odore bruciare fin da lì e ero terrorizzata da come l’avrebbe usata.
Alaric si avvicinò, andò alle mie spalle e mi legò la benda proprio fra le labbra. Al primo respiro sentii l’essenza della verbena inondarmi la gola, i polmoni, il corpo. Bruciava come l’inferno e urlai.
Ad un tratto arrivò Elena, non ricordo bene con quale dinamica e lanciando uno sguardo fulmineo verso Rick e correndo verso di me esclamò 
« Caroline! » poi rivolgendosi a lui: « Lasciala andare, Alaric. » In tutta risposta, con tutta la tranquillità del mondo, egli rispose: « Liberala tu. »
Mentre sentivo le lacrime scorrermi il viso e la verbena bruciare come non mai, Elena corse da me e chiandosi mi sussurrò: « Ehi. » Poi avvicinò cautamente le mani tremanti alle matite che ancora mi trafiggevano e , fra le mie urla, cercò di estrarle dalla mia carne sanguinante.
Alaric però, vedendo Elena esitare, le strappò.

« Avevi detto che l’avresti lasciata andare!» disse Elena.
« Quante volte te lo devo dire, Elena? SMETTI DI FIDARTI DEI VAMPIRI! » le urlò duramente Alaric.
Costrinse Elena a sedersi. 
« Perché lo stai facendo? » chiese la mia amica, con un tono fra delusione e sorpresa.
« Perché hai bisogno di me. » Rispose gentilmente il vampiro. « Perché sei una ragazza di diciotto anni senza genitori e senza una guida, e non hai più il senso di ciò che è giusto o sbagliato. »
Io, che ancora non potevo parlare a causa della benda con la verbena, cominciai a piangere sempre più forte sperando di essere salvata da qualcuno. Avrei accettato chiunque. Persino Klaus. Ero talmente spaventata e provata da tanto dolore che avrei accettato di passare l’eternità con Klaus pur di non rimanere ancora un minuto di più in quella stanza.
Guardai Elena. Non sembrava spaventata. Ovviamente, per lei c’erano molte persone pronte a perdere la vita pur di proteggerla. E io? Io chi avevo?

« Ma guardati. Come può essere giusto, questo? » rispose temeraria indicandomi.
« Lei è un’assassina. » Disse Alaric con un tono di evidente disprezzo. Ed eccola, la solita frase.
« Mi ha detto di aver ucciso qualcuno e di averne tratto piacere. Ora, come può essere giusto questo? Vedi, Elena… i tuoi genitori erano al capo del consiglio. Era la missione della loro vita tenere questa città al sicuro. Dopo neanche sei mesi dalla loro morte tu hai distrutto tutto. »
Conoscevo molto bene Elena e immaginai la sua risposta prima ancora che la pronunciasse. 
« Tu non sai niente di loro. »
« Perché, mi sbaglio? Pensi davvero che sarebbero fieri di te? Se tu non ti schieri dalla parte degli umani, sei cattiva quanto loro. E ora uccidila. O lo farò io al posto tuo. E la farò soffrire. In piedi!» concluse il vampiro, trascinandola davanti a me e dandole il paletto. Mi guardò e capii che stava per attaccare lui, non me. E così fu, peccato che venne bloccata in tempo.
Rick la guardò con cattiveria e le sputò parole amare: 
« Credevo di averti insegnato meglio.”
Spostando lo sguardo notai che Elena stava prendendo la fiala con la verbena, senza essere vista.
 
« Lo hai fatto. » E dopo un secondo rovesciò l’intero contenuto sul volto di Alaric che quasi prese fuoco. Approfittando della distrazione Elena corse verso di me e mi liberò le mani e la bocca e mi urlò « Cerca aiuto! » così fui libera e senza attendere un secondo oltre mi fiondai verso la porta con tutta la velocità che avevo. Corsi fra i corridoi senza voltarmi indietro e non appena lo feci, scontrai la schiena contro qualcosa di molto duro. Velocemente una mano corse sulla mia bocca. Ero stretta fortissimo a Klaus che con una mano sulla vita mi sorreggeva, mentre io affondavo la schiena sul suo petto.
Sentii la sua voce sussurrarmi: 
« Va tutto bene, va tutto bene, sono io. Va tutto bene, sei al sicuro.”
Certo che non avessi urlato, spostò la sua mano ad accarezzarmi i capelli mentre entrambi guardavamo alle nostre spalle. 
« Gli altri salveranno Elena. »
Continuando a sussurrarmi nell’orecchio disse le parole che mi fecero tremare. « Noi ce ne andiamo subito. » Poi per fissarmi negli occhi mi fece voltare con tutta la forza che aveva. Non dissi una parola e prendendomi per mano mi trascinò via.
Via da quella scuola, via dalla paura, via da tutto. Mentre correvamo capii che non avrei resistito a lungo, così mi aggrappai a lui che immediatamente mi prese in braccio. Stretta a lui, con il viso nascosto sul suo petto, chiusi gli occhi. Non volevo più vedere.
Non volevo più essere niente.






*Commento:

Beeeeene! eccomi. So che è una specie di sorpresa dato che avevo detto che avrei aggiornato la prossima settimana.. eppure ho deciso di postare oggi! Ringrazio VERAMENTE di cuore chi ha inserito tra le seguite e chi *udite udite* ha inserito addirittura tra le preferite! Grazie, grazie, grazie infinite.  Ringrazio in particolare Ainwen e vallyjessi per aver recensito :) spero che questo capitolo vi sia piaciuto quanto e più del precedente! 

Parlando proprio del capitolo, è molto simile al precedente per l'impostazione. Dato che questi erano i capitoli introduttivi ho voluto dare un filo logico attinente alla storia, quindi nel secondo capitolo ho riportato i dialoghi della 3.21

Parlando di puntate,  la puntata del ballo è la 3.20 e non la 3.21 come avevo scritto. Scusatemi :') la 3.21 è proprio questa, in cui Alaric tortura la povera Caroline :( Avrete capito dal finale che il prossimo capitolo sarà una totale novità. E allora? che ne pensate? Fatemi sapere, vi ringrazio in anticipo per le eventuali recensioni!

 

Ps: Ho visto che alcune di voi sono fan di Lana del Rey e volevo dirvi che proprio il titolo, Heaven's in your eyes, è una frase tratta dalla canzone 'National Anthem' della bellissima Lana. 

Così come il titolo del primo capitolo, 'There's no remedy for memory' è una frase tratta dalla canzone 'Dark Paradise'. Piccola curiosità :)


 

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Capitolo 3
*** You could be Happy ***


Heaven's in your eyes.

Pov Caroline



 
Io e Klaus correvamo mano nella mano. Veloci. Liberi. Eravamo nel bosco, fra gli alberi e le felci. I raggi dorati del sole filtravano dal verde che ci circondava e donavano all’ambiente un’aria magica. C’erano dei cespugli pieni di fiori e avevo la sensazione di trovarmi nel bosco che sognavo spesso da bambina. Mi addormentavo e sognavo di vivere lì, in mezzo alla natura e ai fiori. D’un tratto Klaus si fermò. Io lo guardai interrogativa in cerca di risposte, lui mi si pose davanti. Mi accarezzò una guancia e senza dire una parola si avvicinò lentamente alle mie labbra. Non sapevo cosa fare ne cosa dire, ero totalmente stupita da quel gesto. Non ero pronta. Non riuscivo a capire se volevo veramente baciarlo. Lui prese la decisione al posto mio, chiudendo gli occhi e posando le sue labbra sulle mie. Lo sentii respirare profondamente il mio profumo. Io chiusi gli occhi, le labbra immobili che continuavano ad essere accarezzate dalle sue. Non era un bacio prepotente. Era leggero, soffice, quasi inesistente. Durò poco e quando lo sentii staccarsi da me aprii gli occhi. Quello che mi trovai davanti  mi avrebbe sicuramente fatto scoppiare il cuore, se ce ne avessi ancora uno. Klaus era sparito e al suo posto Tyler mi guardava dolcemente. Ero terrorizzata e confusa, la mia mente era a mille per riuscire a capire cosa fosse successo. Chi mi aveva appena baciata? Tyler o Klaus? Quando se ne era andato Klaus e quando era arrivato Tyler? Che diavolo stava succedendo?
Il mio fidanzato si avvicinò nuovamente e appoggiando la sua fronte alla mia – corrugata – mi sussurrò: 
« Oh, Elena..» orripilata, mi voltai alla mia destra e vidi uno specchio incorniciato da piante e fiori. Da dove era uscito? Era sempre stato lì? Raffigurava Tyler nella stessa posizione di prima ed… Elena. Dov’ero io? Dov’erano i miei capelli biondi e gli occhi azzurri? Cosa mi era successo? Feci una prova e quasi morii di nuovo quando anche il riflesso nello specchio alzò la mano destra nello stesso momento in cui lo feci io. Tyler era silenzioso al mio fianco e forse aspettava che fossi io a dire qualcosa. Ma cosa potevo dire? La mia mente stava impazzendo. Io stavo impazzendo. Forse lo ero già da molto tempo. Chiusi gli occhi, ero troppo stanca. “Non può essere, non può essere, non può essere.” Continuavo a ripetermi.
 
 
 
 
Spalancai gli occhi e finalmente mi trovai al chiuso. Era solo un sogno. Solo uno stupido sogno. Ma cosa voleva dire? La notte (e i sogni) dovrebbe portare consiglio, allora perché io mi sentivo ancor più confusa di prima? Cosa diavolo mi stava succedendo?Qual era il significato di quello strano sogno? Mi persi in mille elucubrazioni e solo dopo qualche minuto mi resi conto del posto in cui mi trovavo: una camera che non avevo mai visto. Indossavo gli stessi vestiti di poche ore prima, quando Klaus mi aveva salvato per la secondo volta la vita e mi aveva trascinata via, lontano. Ero in un letto da due piazze con delle lenzuola profumatissime. La stanza era molto equilibrata e armoniosa. La porta si trovava  sulla parete destra, mentre quella sinistra era interamente occupata da grandi finestre che conferivano alla stanza un’aria luminosa che si rifletteva sulle pareti color crema. Davanti al letto c’era una piccola tv e alla sua sinistra un armadio di medie dimensioni in legno chiaro. Tutti gli oggetti in quella stanza erano in armonia fra loro. Osservando bene le pareti notai diversi quadri appesi raffiguranti enormi distese di fiori. Mi alzai dal letto pronta a trovare Klaus e a chiedergli spiegazioni per quel “rapimento”. Appena uscita dalla camera mi trovai davanti un breve corridoio. Lo percorsi e finalmente arrivai in salotto. C’era un divano per due, una televisione, un tavolino con su delle riviste. Il tutto era separato dalla cucina attraverso un’arcata in pietra. La cucina era piccola, c’erano dei fornelli in legno chiaro, un frigorifero e un tavolo con due sedie; sopra al tavolo c’era un vaso pieno di fiori colorati ed entrambe le stanze erano illuminate dalla luce naturale che filtrava dalle molteplici finestre, posizionate in ogni angolazione per far arrivare la luce in ogni punto della casa. Ero apparentemente sola, così mi diressi verso quella che probabilmente era la porta di ingresso. La spalancai e feci un passo in avanti ma rimasi bloccata all’interno. Un muro invisibile non mi permetteva di attraversare la porta e di andarmene da quella casa. Perché non riuscivo ad uscire? Le parole ‘strega’ ed ‘incantesimo’ sembravano essere le risposte. Stanca e incazzata decisi di aspettare che Klaus tornasse. Perché sarebbe tornato, giusto? Oppure mi aveva lasciata lì, sola, in quella casa che non potevo abbandonare? Avevo bisogno di risposte ma allo stesso tempo volevo dimenticare le domande. Tutto era così confuso. Forse era solamente il riflesso di quello che provavo dentro di me? Volevo solamente delle certezze. Qualcosa di solido su cui basare la mia vita. Non potevo continuare a nutrire la mia mente di false speranze e di dubbi. Avevo anch’io bisogno di stabilità nonostante tutto. Decisi che forse era meglio abbandonare i pensieri e sedermi sul divano. Sebbene avessi dormito per alcune ore, non era stato certo un sonno ristoratore. Senza rendermene conto scivolai in un sonno senza incubi. Nemmeno lo sentii rientrare, mi accorsi della sua presenza solo quando si avvicino e mi carezzò la fronte per svegliarmi. Aprii subito gli occhi e lo fissai. Lui mi fissava di rimando senza parlare, così decisi che era ora di ricevere qualche risposta. Mi misi seduta e fissandolo duramente gli dissi: 
« Allora? Dove sei stato fino ad adesso? Dove siamo? Perché mi hai portata qui? Perché non posso uscire di casa?»  le parole sgorgavano automaticamente come un fiume in piena e non potei trattenerle. Lui si mise tranquillamente seduto, pronto a rispondermi pacatamente. La sua calma mi faceva salire la rabbia ed ero impaziente di sentire le sue ragioni.
« Vedo che hai provato a scappare. Ti disgusta tanto passare il tuo tempo con me? Potrei offendermi. Ero nell’ospedale della città a rubare un po’ di nutrimento per noi. »  Disse indicandoci come fossimo una sola persona.
« Dovresti ringraziarmi. Siamo molto lontani da Mystic Falls, ti basti sapere questo. Ti ho portata qui per proteggerti perché Alaric era fermamente intenzionato ad ucciderti. Rimarrai qui, con me, fino a quando lo riterrò opportuno. »  Concluse finalmente, con tutta la tranquillità del mondo e sorridendomi gentilmente come se mi avesse appena offerto un tè. Ma cosa diamine si era messo in testa? Pensava veramente che sarei rimasta lì, con lui, per un tempo ancora indeterminato? Non volevo stare lì, mi mancavano i miei amici. Mi mancava Tyler. Non capivo perché ancora nessuno era venuto a salvarmi.
Stanca, arrabbiata e delusa mi feci trasportare dall’istinto, mio unico compagno. In un minimo di secondo scattai. Tutto era successo così velocemente e io non mi ero nemmeno accorta di essere appiccicata al muro con la sua mano al collo che stringeva e i nostri ringhi felini che si mischiavano.

« Non attaccarmi mai più. »  Mi ringhiò ferocemente, rendendomi immobile. Non mi si era mai rivolto in quel modo e il suo sguardo pieno d’odio mi fece sentire ancora peggio di prima.
« Potevi semplicemente lasciarmi lì a morire, tanto vedo che per te non c’è differenza. »  Sputai staccandomelo di dosso e voltandogli le spalle.
« Forse avrei dovuto farlo. »  Disse ancora e le sue parole mi procurarono più male della stretta al collo. Ma cosa diavolo gli stava succedendo? Perché prima aveva detto quelle parole se mi odiava?
« Lo potresti fare adesso, dato che sembri molto pentito. »  E lasciandolo con queste parole corsi in camera “mia”. Se ci fosse stato un premio per l’ibrido più incoerente dell’anno certamente l’avrebbe vinto lui. Perché tenermi lì e volermi proteggere se poi voleva vedermi morta? A quale strega aveva chiesto aiuto per imprigionarmi lì? Lo odiavo immensamente. Lo odiavo con tutte le mie forze, con tutta la mia volontà e non volevo passare con lui un secondo di più. Chiusi gli occhi. Li serrai con tutta la forza che avevo perché non volevo più trovarmi in quella realtà in cui a nessuno importava di me. Non volevo più avere paura ed ero stanca di tutto quello che stava succedendo. Ero stanca di dovermi sempre preoccupare e, a dirla tutta, anche della fame di sangue che cominciava ad istigare l’animale che era in me. Pensandoci bene non mi nutrivo dal pomeriggio prima. In una giornata erano cambiate così tante cose e io non ce la facevo più. Ero semplicemente stanca di tutto e tutti, me compresa. Volevo fuggire ma ogni posto sembrava sempre la stessa identica trappola infernale che era diventata la mia vita. Mi ritrovai a pensare che forse quella era semplicemente la mia punizione.  Ero un mostro, un’assassina, proprio come mi aveva definito Alaric quella mattina. Non volevo essere un vampiro ma non volevo nemmeno essere quello che gli altri si aspettavano da me. Volevo solo trovarmi ed essere me stessa.  Volevo essere una ragazza normale e spensierata che va a scuola, esce con le amiche e si diverte. Volevo che i miei dubbi fossero: “Quali università frequenterò fra un anno?” E non: “sarò viva fra un anno?” Le mie aspettative e quelle di Elena in quel momento mi sembrarono distanti anni luce.
Ripensando ad Elena non potei fare a meno di ripensare al sogno. Perché avevo assunto le sue sembianze? Perché proprio lei? E altre mille domande: perché mi trovavo proprio nel luogo che ritrovavo sempre nei miei sogni di infanzia? Cosa avevano a che fare Klaus e Tyler? Perché non avevo rifiutato di baciare Klaus? Certo, non lo avevo assecondato ma non lo avevo nemmeno respinto. Eppure, dentro di me, ero stata felice di vedere Tyler. Di aver trovato i suoi occhi e non quelli dell’ibrido famelico. Se avessi aperto gli occhi e avessi incontrato i suoi, la mia opinione di lui sarebbe cambiata?
In preda a tutte queste domande, che sembravano chiamate una dall’altra, presi sonno e finalmente riuscii a spegnere il cervello.
 
 
 
 
 
 
 
POV Klaus
 
Dopo pochi minuti di corsa, Caroline si appoggiò a me evidentemente esausta. Le torture di quel pazzo maniaco di Alaric l’avevano palesemente destabilizzata così, senza il minimo sforzo, la presi in braccio prima che cadesse rovinosamente a terra. Mi ci volle poco per decidere e ancor meno per mettere in atto il mio piano: l’avrei portata nella vecchia casa che avevo recentemente comprato e l’avrei tenuta al sicuro fino a che non fossi riuscito ad uccidere Alaric. Tenerla al sicuro era la cosa più importante da fare, al momento. Arrivati in macchina l’adagiai sul sedile del passeggero e la guardai per qualche istante. Vagai nella sua mente e non vidi niente, segno che stava riposando senza sognare. Mi misi al posto di guida e tirai fuori il telefono. Dovevo chiamare Keila e farle fare un incantesimo per impedire a Caroline di fuggire. Sapevo che non sarebbe rimasta con me di sua spontanea volontà nemmeno per 2 minuti di fila.
Al terzo squillo la strega rispose: 
« Klaus. » 
Bene, evitiamo gli stupidi convenevoli. « Keila, ho bisogno che ripaghi il vecchio favore. Raggiungimi alla casa appena fuori il confine della Virginia. Ci vediamo lì tra un’ora. » 
Chiusi la chiamata senza attendere risposta. Se non si fosse presentata, l’avrei uccisa. Iniziai a guidare confortato dal lieve respiro di Caroline che ancora dormiva al mio fianco. Dovevo trovare una soluzione al più presto, lo sapevo, ma non volevo pensarci ora. Tutto quello che volevo fare era portarla in un luogo sicuro. Arrivammo prima del previsto. Parcheggiai l’auto e, non volendo svegliare Caroline, la presi di nuovo in braccio senza alcuno sforzo. Le accarezzai i capelli e a velocità vampiresca entrai nella casa. La portai immediatamente nella camera più luminosa della casa. La stesi dolcemente sul letto, le tolsi le scarpe e la coprii con le lenzuola. Intanto sentii dei passi sulla veranda e capii che la strega era arrivata. Percorsi nuovamente l’intera casa e in un secondo fui fuori.
« Salve, Keila. E’ un piacere rivederti. Ti ringrazio per essere venuta. »  La strega annuii e senza altri indugi mi chiese il suo incarico. Cominciò subito e con 15 minuti finì.
« Ho fatto. Solo tu potrai uscire ed entrare da questa casa. Nessun altro vampiro. »  Le sorrisi gentilmente e lei se ne andò, voltandomi le spalle.
Tornai nuovamente da Caroline che ancora dormiva. Era giunto il momento di farle capire realmente quello che provava. Nuovamente entrai nella sua testa e cominciai a proiettare l’immagine di noi due che correvamo. Tutto era riprodotto nella sua mente nei minimi dettagli: la corsa, il bosco, il bacio, Tyler, lo specchio, Elena.
Perché avevo scelto Elena? Semplice. Per l’affinità delle loro situazioni. Elena era consapevole della scelta a cui era sottoposta: Stefan o Damon, il vero amore o l’amore consumatore. Quale avrebbe scelto?
E Caroline, così perdutamente innamorata di quell’insulso Tyler. Sicuramente avrebbe riflettuto parecchio su quel sogno e sul suo significato. Magari avrebbe pensato che il suo inconscio le stesse suggerendo i suoi sentimenti per me. Perché anche se ora non provava niente, le cose sarebbero cambiate. Sentivo la confusione ronzarle in testa e fui quasi dispiaciuto dell’effetto che avrebbe creato quel sogno indotto. Ma la mia dolce bionda avrebbe dovuto capire, prima o poi, che non era un Lockwood quello che meritava. Con mio grande dispiacere dovetti lasciarla per andare a rubare del sangue. Non volevo che nessuno sapesse di quella casa né di come raggiungerla.
Quando tornai, un paio d’ore dopo, la trovai appisolata sul divano. Doveva essersi svegliata, arrabbiata e poi di nuovo addormentata. Le sfiorai delicatamente la fronte e subito aprii quegli occhi che molte volte avevo raffigurato nei miei disegni. Mi fissava senza dire niente e lo stesso facevo io. Capii che era pronta a parlare quando si mise seduta. Dal suo sguardo capii inoltre che aveva molte domande da farmi.

« Allora? Dove sei stato fino ad adesso? Dove siamo? Perché mi hai portata qui? Perché non posso uscire di casa? »  Attesi pazientemente che finisse e mi misi tranquillamente seduto, pronto a risponderle. Era più arrabbiata di quanto pensassi. Inoltre aveva già capito che non poteva fuggire. Non da me. Ora le restava solo da capire che non ce ne era motivo, io non le avrei mai fatto del male.
« Vedo che hai provato a scappare. Ti disgusta tanto passare il tuo tempo con me? Potrei offendermi. Ero nell’ospedale della città a rubare un po’ di nutrimento per noi. Dovresti ringraziarmi. Siamo molto lontani da Mystic Falls, ti basti sapere questo. Ti ho portata qui per proteggerti perché Alaric era fermamente intenzionato ad ucciderti. Rimarrai qui, con me, fino a quando lo riterrò opportuno. »  E con queste parole conclusi. Se fosse stato possibile, sarei rimasto in quella casa con lei per altri mille anni. Ma, ovviamente, questo non era il momento adatto per dirglielo. E forse non ero nemmeno pronto.
Vidi l’azzurro dei suoi occhi sciogliersi e avrei preferito non farlo. Ogni volta che mi specchiavo in quegli occhi, perdevo un piccolo pezzo di me stesso; dell’assassino che ero stato.
Aveva un’espressione accigliata, triste, confusa. Vidi i suoi occhi iniettarsi di sangue e probabilmente prima che lei stessa capisse, si catapultò verso di me. Finimmo contro la parete adiacente alla porta di ingresso e non potei fare a meno di trattenere un ringhio e la rabbia cieca e pura che circolava nelle vene. Insulsa ragazzina, come si permetteva?

« Non attaccarmi mai più.” Sputai ferocemente, immobilizzandola. Non mi ero mai rivolto a lei in quel modo e potevo sentire il mio sguardo inondarsi d’odio.
« Potevi semplicemente lasciarmi lì a morire, tanto vedo che per te non c’è differenza. »  Disse in un sussurro, lasciandomi il collo e voltandomi le spalle.
Non controllai le mie parole: 
« Forse avrei dovuto farlo. »  Dissi ancora.
« Lo potresti fare adesso, dato che sembri molto pentito. »  E così dicendo mi voltò le spalle. Una parte di me mi diceva: “seguila, vai da lei, fatti perdonare. Dille che non vorresti mai ucciderla e che tutto quello che fai è per proteggerla.” Avrei voluto seguire quel consiglio ma non ero ancora pronto. Così feci quello che mi suggerì la parte opposta di me: rimasi fermo. Lasciai che ci rimanesse male e non feci niente nemmeno quando la sentii singhiozzare. Perché continuavo ad interessarmi alla sua vita e a proteggerla se sapevo di non essere ancora in grado di avvicinarmi ulteriormente? Perché ogni volta che parlavo con lei mi spingevo fino al limite se sapevo che non ero disposto a superarlo? Con queste domande in testa me ne andai. Non potevo più stare in quella casa con lei. Caroline mi destabilizzava, spostava i miei confini e i miei limiti. Dovevo chiarirmi le idee, riflettere attentamente su quanto rischiavo. Così scrissi un sintetico biglietto: “ Nel frigorifero troverai tutto quello di cui hai bisogno, fai come fossi a casa tua- K.”
Osservando un’ ultima volta la casa uscii nella notte, senza sapere quando sarei ritornato.  
 
 
 
*Commento:
Okay ragazze, eccoci qui con il terzo capitolo!   
Intanto vorrei ringraziare i lettori silenziosi, chi ha inserito tra le seguite, chi tra le preferite e chi ha recensito: in particolare  Amber94, vallyjessi (di cui sto leggendo ‘Born to die’ ed attendo il nuovo capitolo :P) e AmoTVD98 .
Siete la mia gioia! Vi ringrazio di cuore e le vostre recensioni positive mi spronano a scrivere sempre meglio! Grazie mille J
Se avete qualsiasi domanda e/o critica non esitate a parlarmene!
Parliamo del capitolo… le cose fra Klaus e Caroline non vanno molto bene e ci vorrà molto tempo prima che entrambi capiscano realmente i loro sentimenti.
Che ne pensate del POV Klaus?? Vi è piaciuto? Ho voluto riflettere un po’ i suoi pensieri ma non penso che ricapiterà spesso. Francamente è difficile entrare nella mente degli uomini x°D
E invece il sogno indotto di Caroline? A proposito, vorrei dare una spiegazione in più su questo ‘potere’ di Klaus. Come abbiamo visto nelle prime due stagioni i vampiri potenti possono riuscire a controllare i sogni altrui. Esattamente nella 2 stagione Stefan viene indotto da Katherine a sognare un loro bacio.
Il titolo è tratto dalla canzone ‘You could be happy’ degli Snow Patrol. Chi di voi ricorda la famosa ‘Chasing cars’ che fece da colonna sonora nella 5 stagione di Grey’s anatomy? Io si :P
E un In bocca al lupo va al nostro amatissimo cast che domani parteciperà ai Teen Choice awards. Ovviamente ho votato per loro <3
 
Ps. Vorrei scusarmi per eventuali fraintendimenti da parte di Seizerus di cui oggi pomeriggio ho incominciato a leggere ‘Shh, it’s okay, it’s me, it’s okay. You’re safe.”
Il fatto è che leggendo sono arrivata al capitolo in cui Klaus blocca Caroline in una casa con un incantesimo. Ecco, ho notato questa somiglianza con il capitolo e vorrei scusarmi se potesse sembrare un “plagio”. Ho scritto questo capitolo molto prima di cominciare a leggere la fic, quindi chiedo scusa all’autrice se leggerà la mia storia e fraintenderà. L’affinità non era assolutamente voluta. E’ stato un puro caso J
 
 
Cooooomunque penso di aver detto tutto, fatemi sapere cosa ne pensate! Alla prossima :)

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Capitolo 4
*** Come Home ***


Heaven's in your eyes.

Pov Caroline


 
4 giorni. 17 ore. 9 minuti. 22 secondi.
Questo era il tempo trascorso da quando, la mattina dopo essere stata rapita, mi ritrovai sola in quella strana casa. Di nuovo.  Mi ero svegliata con un senso di spossatezza che poco dopo cedette il posto all’incredulità. Andando in cucina avevo trovato quello stupido biglietto. Ero ancora arrabbiata con lui per avermi trattata così male ma non potevo negare di essere spaventata dal fatto che Alaric potesse trovarmi e torturarmi di nuovo. Se fosse arrivato non avrei avuto le forze necessarie per affrontarlo, considerando il fatto che non mi nutrivo ormai da due giorni. E poi, dovevo ammetterlo, avere vicino un ibrido indistruttibile era un’ottima protezione. Almeno finché il pericolo proveniva dagli altri e non da lui.
Rilessi quel biglietto e decisi che avrei fatto veramente come a casa mia. Mi diressi al frigorifero ricordando le sue parole. Proprio come aveva detto, l’intero frigo era pieno di sacche di sangue di tutti i tipi. Ne presi una e mi accomodai sul divanetto che ormai conosceva bene la mia solitudine.  Strappai il tappo di plastica con i denti che al dolce richiamo del sangue si tramutarono in due zanne animali. Cominciai a vedere rosso e senza  aspettare oltre bevvi e, trasportata dalla frenesia, persi di vista i problemi. Purtroppo quella sensazione di benessere durò meno del previsto e nuovamente mi trovai a pensare a tutte le cose assurde che stavano accadendo. Ero in una casa, chissà dove, senza poter fuggire, prigioniera di qualcuno che voleva vedermi morta e che probabilmente mi aveva lasciata lì, in balìa del pericolo e abbandonata a me stessa. Ero lontana da due giorni e nessuno era ancora venuto a salvarmi. Iniziai quasi a chiedermi se si fossero almeno accorti della mia assenza.
Perché Tyler non mi aveva ancora trovata? In quel momento di fragilità paradossalmente umana mi domandai se la persona a cui importasse più di me fosse proprio Klaus. Certo, si era pentito di avermi salvata e probabilmente mi odiava più di quanto lo odiassi io, ma almeno era qualcosa. In quel momento preferivo l’odio all’indifferenza più totale. Decisi che gli avrei chiesto spiegazioni quella stessa sera, al suo ritorno.
 
Ed eccomi, 4 giorni dopo, senza nessuna sua notizia. Ma si erano per caso organizzati? C’era in palio il premio “Ignora Caroline e falla uscire fuori di testa” ? Dove diavolo era finito Klaus?
Avevo passato 4 giorni da incubo, totalmente sola. Non mi ero mossa dal divano, mi alzavo semplicemente per prendere delle sacche di sangue e nutrirmi. Continuavo a fissare la porta aspettando il suo ritorno. Non perché volessi averlo vicino, ma più per il fatto che volevo parlare. E possibilmente non con me stessa. Si era appena fatto buio così decisi che stare ferma ad aspettare era inutile. Ancora non avevo esplorato l’intera casa. Mi alzai e andai verso la libreria che si trovava a poca distanza dal televisore. Chissà che genere di libri interessavano Klaus. Facendomi quella domanda,  riflettei. Io non sapevo niente di Klaus. O almeno non sapevo niente che non sapessero tutti. Per noi era l’ibrido originale crudele e assassino che non si faceva scrupoli pur di ottenere quello che voleva. Era un arrogante, prepotente ed egoista. Ma su queste basi, potevo dire di conoscerlo realmente? Non sapevo niente di lui.  Quale musica ascoltasse, che genere di film vedesse. Con mille anni di vita ne doveva aver viste di cose. Incuriosita e annoiata, iniziai a far vagare lo sguardo fra i libri. Una raccolta delle maggiori opere di Shakespeare mi impressionò. C’erano tutte le sue opere più famose: Otello, Amleto, Sogno di Una notte di  mezza estate… Romeo e Giulietta. Okay, quella libreria decisamente non era stata riempita da lui. Non credevo possibile che un tipo come Klaus potesse amare una delle più belle storie d’amore. Non avrebbe capito le loro scelte, le loro sensazioni. Lui non poteva provare i loro stessi sentimenti. Era un mostro. Forse aveva semplicemente comprato dei libri affascinanti per accalappiare le infinite amanti che sicuramente portava in quella casa magica.
Decisi che non erano affari miei e continuai. Trovai Cime tempestose, Orgoglio e Pregiudizio, Il ritratto di Dorian Grey e varie opere di Oscar Wilde ed Edgar Allan Poe.

« Letture leggere insomma » mormorai sarcasticamente fra me e me.
Spostandomi fra gli scaffali notai un’altra raccolta, questa volta di opere classiche. Precisamente Seneca, Cesare, Cicerone, Saffo, Epicuro. Quante cose avevo da scoprire su quell’uomo? Li aveva realmente letti o solamente comprati e messi lì a prendere polvere? C’erano anche altri libri, tutti di autori contemporanei a me sconosciuti. Mi sentii quasi ignorante di fronte a tutta quella cultura. Quante cose non conoscevo? Quante città non avevo ancora visitato? Cosa ne sapevo io del Mondo? Il Mondo quello vero, quello che ti tiene viva. Non una piccola cittadina maledetta. Non sapevo niente del Mondo né della vita. Avevo mai realmente vissuto? Io volevo la vita, volevo sentire il vento contro di me. Volevo camminare per le strade di Roma, avventurarmi nel deserto africano, osservare gli enormi grattacieli del Giappone. E potevo avere tutto questo. Bastava una scelta, un rischio, una parola e io avrei avuto tutto quello che desideravo. Lui me lo aveva fatto presente in più di un’occasione, consapevole che avrei sempre risposto ‘no, grazie.’ Ma io non volevo più farlo. Non volevo più precludermi niente. Cosa accadrebbe se invece dicessi ‘si, portami ovunque.’ ? Sarebbe disposto a farlo per… me?
In quel momento volevo averlo vicino. Se allora mi avesse chiesto di rimanere lì, con lui, probabilmente avrei detto si. Ero stanca di essere quello che gli altri volevano che fossi, ero stanca di non dover mai deludere le aspettative. Volevo semplicemente che qualcuno tenesse a me, che per una volta fossero i miei, i desideri da avverare. Improvvisamente sentii dei passi fuori la veranda e il sangue ghiacciò nelle vene. Spensi tutte le luci della camera e mi appostai vicino la porta. Sapevo che non ero al sicuro poiché la casa non apparteneva a nessun umano. Alaric sarebbe potuto entrare e farmi nuovamente del male e io non avrei potuto far niente per impedirlo. O forse si? Forse non ero più la piccola biondina bisognosa d’aiuto. Forse era arrivato il momento di proteggermi. Ero un vampiro, un’arma letale, una macchina per uccidere. Dovevo solo tirar fuori l’istinto. Sentii la maniglia girare lentamente. Chiunque fosse, gli sarei saltata alle spalle e gli avrei rotto l’osso del collo. Passarono alcuni secondi che ai miei sensi potenziati parvero secoli. Poi un’ombra entrò in casa e io mi avventai su di essa. Nemmeno il tempo di pensare che sentii le zanne sfiorarmi le labbra e gli occhi iniettarsi di sangue. Agganciai le gambe alla vita dell’uomo e tirai con forza all’indietro. Sentii il suo respiro accelerare, ma non per la paura. Con due secondi chiuse la porta con la gamba, girò la posizione prendendomi per le gambe e trasportandomi davanti a lui spinse la mia schiena contro la porta.

« Klaus »  sussurrai con gli occhi praticamente fuori dalle orbite. Le mie braccia erano intorno al suo collo, le gambe ancorate alla sua vita e i respiri si mischiavano.
« Caroline, non si prende un Originale alle spalle. »  Mi disse serio ma senza allontanarsi. I suoi occhi trapelavano un uragano di indecisione e potenza. Avvertivo le forze abbandonarmi ad ogni secondo passato a guardare i suoi occhi. Era come se un filo invisibile ci legasse l’uno all’altra senza vie di fuga. Il mio corpo reagì molto prima della mia mente e senza rendermene conto lo abbracciai. Nascosi il mio viso nell’incavo del suo collo e strinsi forte le braccia e le gambe. Lui rimase immobile continuando a sorreggermi ma senza ricambiare. Nonostante questo non mi staccai, ero felice di aver finalmente qualcuno lì con me. Non m’importava che fosse un assassino o un ibrido o un originale. Appoggiai placidamente le labbra sulla sua mascella e quel gesto parve risvegliarlo. Strinse le braccia dietro la mia schiena e appoggiò il mento sulla mia spalla. Quel momento mi commosse. Una lacrima solitaria scese dai miei occhi e si posò delicata sul suo collo. Lui si staccò leggermente per guardarmi.
« Perché piangi? »  disse, catturando alcune lacrime che ancora scendevano.
« Piango perché avevo paura. Avevo paura che Alaric mi trovasse e finisse il lavoro e non sono in grado di proteggermi. Se fosse arrivato io sarei morta ed avrei perso tutto. » 
Non volevo farmi vedere debole da lui che sicuramente mi avrebbe derisa. Lui non era debole e certamente vedeva in me nient’altro che una ragazzina viziata a cui era stato donato un dono che non era in grado di sfruttare. Eravamo rimasti in quella posizione assurda e quando ce ne rendemmo conto mi portò sul divano, dove si accomodò al mio fianco.
« Avevo paura di rimanere sola. »  Continuai, terminando il mio patetico discorso. Klaus continuava a guardarmi senza parlare, probabilmente stava pensando a un modo per liquidarmi.
« Io non ti abbandonerei mai. Non avrei permesso ad Alaric di sfiorarti di nuovo. E’ per questo che ti ho portato qui: per proteggerti. Ho dovuto fare delle cose… perdonami. Non avrei dovuto lasciarti qui da sola e impaurita. Puoi farlo? Puoi perdonarmi? »  e dicendo così avvicinò la sua mano tremante alla mia guancia. Potevo quasi toccar con mano lo sforzo che gli costava pronunciare quelle parole ad alta voce. Sfiorò delicatamente la mia guancia. Sembravo creta pronta a sgretolarsi fra le sue mani.
« Io… io penso… insomma, ti perdono. Ma non andartene più. Non senza di me. » Ma cosa avevo appena detto? Subito dopo averle pronunciate mi resi conto della serietà di quelle parole e di quanto significassero.
“Perché nessuno è venuto a cercarmi? Dov’è Tyler? Lo hai visto o sentito?
 »  dissi preoccupata.
« No, mi dispiace. »  Disse abbassando lo sguardo. Non lo avevo mai visto in quel mondo. Sembra come se si sentisse… in colpa. Ma per cosa poi? Non pensavo nemmeno che potesse appartenergli, un sentimento del genere. Rimorso. Quanti ne avevo io?
Avvertii la sensazione di rottura, di vuoto. Volevo piangere di nuovo ma probabilmente non era una buona idea. Decisi di distrarmi… per quanto saremmo rimasti in quella casa?
Ero stanca. L’emozione e l’adrenalina di quella sera non fecero che aumentare questa sensazione, così mi stesi. Appoggiai la testa al petto di Klaus che ancora mi guardava con quell’aria a metà fra il dispiaciuto e il pentito.
Lui poggiò lievemente la mano sulla mia spalla, ma era come non sentirla. Con l’altra mano mi accarezzava i capelli.

« Dormi, Caroline. Ci sono qui io. Va tutto bene. »  Quelle parole mi confortarono e mi diedero l’autorizzazione per cadere nelle braccia di Morfeo.
Avevo ancora moltissime cose da chiedergli, ma lo avrei fatto domani. C’era tempo. Avevamo tempo.
 
 
 
 
 
 
*Commento:
Eccoci qui con il nuovo capitolo! Il titolo è tratto dalla canzone ‘Come Home’ dei One Republic.
Se volete leggete il testo, è molto attinente alla storia (:
Grazie ad Amber94, vallyjessi, winner_ ed AmoTVD98 per le recensioni e anche a chi continua ad inserire fra le seguite e le preferite. Un grazie immenso anche ai lettori silenziosi!!
Mm.. diamo qualche risposta:
AmoTVD98: Diciamo che Klaus non sa per certo le emozioni di Care, ma riesce ad immaginarle a causa della confusione che potrebbe scaturire quel sogno!
Fidati, anch’io sono una romanticona cronica, ma per il momento è ancora troppo presto! Sebbene in questo capitolo ci sia un enorme avvicinamento, per loro è solamente l’inizio di un’amicizia. E le cose non sono tutte rose e fiori come appaiono! Ti garantisco però che arriverà un punto in cui Caroline farà molto più che sognare! (:
 
 
Insomma, Klaus nasconde qualcosina. Si capisce.. ma cosa sarà? Cosa avrà fatto in questi giorni?
Forse ci vorrebbe un POV Klaus, che ne dite? :P
Sono contenta che il sogno sia piaciuto a tutti, avevo paura fosse troppo confusionario!
Il capitolo è un po’ cortino, ma non sapevo proprio come terminarlo! Fatemi sapere, a presto <3

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Capitolo 5
*** I'll Never let you Leave ***


Heaven's in your eyes.


Pov Caroline



 
Mi svegliai lentamente, nel letto della mia camera. Il sole entrava armoniosamente dalla finestra aperta. Indossavo gli stessi vestiti del giorno prima. Sentii un odore di caffé provenire dalla cucina così mi alzai e mi diressi allo specchio. Avevo gli occhi gonfi, ma tutto sommato era meglio di quanto mi aspettassi. Mi legai i capelli in uno chignon ma qualche ciocca ribelle cadde sulle mie spalle. Avvicinandomi all’armadio che non avevo ancora aperto, trovai centinaia di vestitini, pantaloni di tutte le lunghezze e maglie di ogni tipo. C’erano almeno una decina di paia di scarpe: tacchi vertiginosi, ballerine e un paio di converse. Optai per dei jeans grigi, una felpa verde e le converse nere. Pronta, uscii dalla camera e andai in salone. Klaus era di spalle e guardava fuori dalla finestra, pensieroso.

« Buongiorno. » Mi disse senza voltarsi. La sua voce aveva qualcosa di strano. Come se volesse nascondere qualcosa. Non ci feci molto caso, non ero ancora in grado di capire molti dei suoi comportamenti.
« Ehm, buongiorno. »  Dissi schiarendomi la voce, imbarazzata al ricordo della notte precedente. Mi ero aperta in un modo strano e non mi ero mai esposta a lui in quel modo. Finalmente si girò ma senza guardarmi negli occhi.
« Ho bisogno di spiegazioni » , continuai, “Possiamo parlare? » .
Lui prese una tazza e versò il contenuto della moca al suo interno. Il caffé ancora caldo era molto allettante, così presi la tazza e mi misi seduta al tavolo.

« Certo. Cosa devi chiedermi? » Non sembrava irritato, ma nemmeno disposto a parlare.
« Mi spiace per l’ultima volta che ci siamo visti. Non avrei dovuto attaccarti e non avrei dovuto risponderti in quel modo. Avevo solo paura ed ero arrabbiata. Scusami. »  Ammisi con un sorriso imbarazzato.
Lui mi fissò intensamente negli occhi e poi disse: 
« Non devi scusarti, sono io che devo farlo. Non sono affatto pentito di averti salvata, anzi, penso che sia una delle poche cose giuste che ho fatto finora. Perdonami. E neppure adesso vorrei ucciderti. Non vorrei mai farlo, e vorrei non essere mai costretto a farlo. » 
Non riuscii a rispondere, così feci un’altra domanda.
« Dove sei stato per tutto questo tempo? »  diretta e coincisa, forse avrei avuto maggiori risposte rispetto a ieri notte. Evidentemente mi sbagliavo.
« Ho dovuto fare delle commissioni. Parlare con i miei fratelli, organizzare alcune cose. Non ero intenzionato a mancare per 4 giorni, ma le mie questioni mi hanno trattenuto oltre. » 
« Hai per caso visto i Salvatore? Elena? Bonnie? Alaric? Tyler…? »  Ero ancora molto ferita dal comportamento di tutti i miei amici. Sicuramente si erano accorti della mia scomparsa. Perché non facevano niente?
Di botto, persa nel suo silenzio, ricordai i miei pensieri del giorno prima, quando avevo desiderato la sua vicinanza. Ricordai i miei pensieri: Se allora mi avesse chiesto di rimanere lì, con lui, probabilmente avrei detto si.
La verità era che ero confusa. Ero confusa da tutto quello che stava succedendo, da lui, da me, dai miei amici, dai miei sentimenti, ero confusa dalla mia stessa confusione. Non sapevo quello che volevo, non sapevo dove volevo stare, con chi volevo stare. Ora che ci pensavo, a mente lucida, consapevole delle infinite scelte che avevo, non avrei saputo rispondere alla domanda. Se in quel preciso momento mi avesse chiesto di rimanere lì, che cosa avrei risposto? Si, come pensavo ieri oppure no, come pensavo giorni fa? Ero stanca di cambiare decisione, della mia insicurezza. Come mai ieri ero così convinta – chissà da cosa, poi – di voler rimanere con lui e ora non lo ero più?
Cosa provavo per lui? Sicuramente non potevo ignorare gli avvenimenti del giorno prima e le sensazioni che gli erano conseguite. Lo avevo abbracciato e gli avevo detto di non andarsene più, poi mi ero addormentata sul suo petto. Questo doveva pur significare qualcosa. Non potevo far finta di niente, ma non potevo nemmeno dare troppa importanza a quei gesti. Soprattutto ora che lui era così strano, di poche parole ed aveva quello sguardo misterioso negli occhi. Dovevo parlargli, sapere a cosa stava pensando. Ero l’unica confusa in quella situazione? Lui che cosa pensava? Che cosa provava ?

« Allora… dimmi. Sei ancora intenzionato a voler rimanere qui, con me, fino a che sarà opportuno? »  dissi spezzando il silenzio e citando le sue parole, risalenti al primo giorno passato in quella casa.
Era anche possibile che mi stessi facendo mille castelli in aria per niente. Magari nei giorni di assenza aveva pensato al rischio che correva a rimanere lì con me. Magari voleva fuggire, scegliere un qualsiasi posto lontano da qui e sparire. Lui poteva farlo. Lui l’aveva già fatto secoli prima. Niente gli impediva di andarsene. Non c’era niente che lo trattenesse, e io lo sapevo bene. Aveva già in precedenza fatto riferimento alla sua assoluta e totale indipendenza. Non gli importava di cosa pensassero le (poche) persone che gli erano vicine. Se voleva fare una cosa, la faceva senza troppi problemi.

« Certamente. Ti proteggerò fino a che Alaric sarà ancora una minaccia. »  
Appena pronunciò quelle parole pensai al legame fra Alaric ed Elena. Solo al termine della vita umana della mia amica, Alaric sarebbe morto. Questo ci dava mezzo secolo. Mezzo secolo in quella casa, con lui. Il tempo non poteva essere di meno, poiché Elena non era intenzionata a diventare un vampiro. Non lo era mai stata e avrebbe preferito sottostare agli ordini di Alaric per un’intera vita piuttosto che cedere la propria anima pura per una dannata, da immortale.

« Ma… Alaric vivrà ancora per molto tempo. Dovremmo rimanere qui per tutta la durata della vita di Elena? » 
Appena pronunciai quelle parole, i suoi occhi gelarono. Divennero cristallo, ghiaccio. Le sue labbra carnose si dischiusero leggermente, appena di qualche millimetro. Il suo sguardo divenne vitreo, poi arrabbiato, poi deluso, infine arreso. C’era decisamente qualcosa che non andava, lo capii senza nemmeno una sua parola. Non servivano le parole, avevo capito già dai suoi occhi. Mi chiesi quando avevo sviluppato la capacità di carpire i suoi pensieri semplicemente dal suo sguardo. O era forse stato sempre così?
« Caroline, è inutile torturarti con le domande. Risolverò la questione, ne parleremo. Ma non ora, non oggi. Ti prego fidati di me, ti darò tutte le risposte che cerchi. »  Le parole giunsero alla mia mente soavi e pacate. Decisi di credergli. Questo, però, non diminuì la confusione nella mia testa.
Girai lo sguardo per la stanza e vidi la libreria.

« Ho visto i tuoi libri. Li hai letti davvero? »  gli chiesi mentre si metteva seduto davanti a me.
« Certamente. Perché non avrei dovuto? »  rispose confuso.
« Non ti facevo tipo da… tragedia Shakespeariana o da autori classici. » 
« Ci sono molte cose che non sai di me. »  Così dicendo mi sorrise soprappensiero, ma con un’aria triste.
« Ad esempio? »  lo sfidai.
« Amo molto la lettura. E circa una decina dei libri che hai trovato in quella libreria, bè… li ho scritti io. » 
La mia bocca si aprì in una ‘o’ di stupore. Non potevo crederci.
« Ovviamente » , continuò, « non ho potuto usare il mio nome reale. Certamente avrebbe destato sospetti un Klaus Mikaelson che scrive libri a distanza di centinaia d’anni l’uno dall’altro.
Non mi ritengo certo uno scrittore dei migliori, ma durante il corso dei secoli ho avuto modo di dilettarmi in diverse attività.
 » 
« Cos’altro hai fatto? »  chiesi meravigliata.
« Diciamo che alcune mie opere sono all’ Hermitage di San Pietroburgo. »  Spalancai gli occhi. Chi era veramente l’uomo che mi trovavo davanti? « … e al Louvre di Parigi. »  Concluse, sorridendomi affabile.
« Per caso sei stato anche il primo uomo ad andare sulla Luna? »  chiesi meravigliata. Lui scoppiò in una risata fragorosa, come non aveva mai fatto.
« No, purtroppo no. Ma se così fosse stato, ti avrei sicuramente portata con me. »  Smise di ridere ma un leggero sorriso rimase sulle sue labbra. Io mi impietrii e divenni rigida, perdendomi per l’ennesima volta nei suoi occhi. Cosa avrei dovuto rispondere? Ogni tentativo di parola andava fallito, poiché la voce mi moriva in gola. Lui capì il mio disagio e, alzandosi verso il televisore, disse: « Potremmo provare ad essere amici. » 
Quelle parole mi spiazzarono. Cosa voleva dire?
« Cosa? »  lo stupore nelle note della mia voce era palpabile.
« Ti trovo una persona veramente… particolare. Sei l’unica che abbia risvegliato in me un po’ di interesse per le persone. Come saprai, non ho una vita sociale particolarmente sviluppata. Le uniche persone con cui interagisco sono i miei fratelli, con cui litigo, e le persone di cui mi nutro e che faccio soffrire. » 
Parlava con il suo solito modo tranquillo, come se quelle parole non fossero quantomeno strane.
« E vorresti che fosse così? »  dicendo quelle parole mi alzai e mi voltai nella sua direzione.
In un attimo fu a pochi centimetri da me.

« No. »  I suoi occhi assunsero un’espressione di dolore. In essi vedevo quel dolore di cui si sente solamente parlare e che molte persone nemmeno riescono a provare.
« Ma è così difficile per me lasciarmi andare. E’ così difficile amare qualcuno. E non solo nel lato passionale dell’amore. Non riesco a provare amore per un amico, non sono sicuro di riuscire a provare amore nemmeno per i miei fratelli. » 
I suoi occhi andavano a fuoco, niente a che vedere con l’azzurro glaciale di poco prima. Erano come divorati dall’interno. Nelle sue parole potevo sentire lo sforzo sovrumano che stava compiendo. Era come se le parole fossero rinchiuse sotto chiave in lui da troppo tempo, e ora lo divorassero per uscir fuori. Come se quelle parole lo uccidessero lentamente, succhiandogli via la linfa vitale. Quanto tempo aveva aspettato per dirle? Quante occasioni aveva perduto per l’orgoglio e la paura di non essere capito?
E come facevo a dirgli, invece, che io lo capivo più di chiunque altro? Lo fissavo senza dire una parola, ma probabilmente in quel momento non servivano. Dai suoi occhi capii che aveva compreso. Che non c’era stato bisogno di parole, perché i miei sentimenti erano lì, nei miei occhi.

« E poi sei arrivata tu…il tuo odio per me alimentava una fiamma che fino ad ora ero riuscito a controllare. Tu, i tuoi occhi, avete risvegliato in me un antico dolore che ero riuscito a nascondere fin troppo bene. Quando ti sei nutrita di me, in quel momento di paradossale connessione fra noi due, io ho capito che qualcuno ti doveva aver mandato da me. Ho visto dentro di te. E ora sei qui e io sto zitto, non ti parlo. Ma che diavolo mi salta in testa? Vorrei raccontarti tutto. Non sai quanto mi dispiace. Io vorrei parlarti. Veramente. Perdonami. » 
Non capii il senso delle sue ultime parole, ma probabilmente era l’impeto del momento che aveva parlato per lui. Non avevo mai sentito nessuna persona rivolgersi così a me, darmi tutta questa importanza e non avevo mai visto degli occhi guardarmi come facevano i suoi. Non mi guardavano semplicemente, mi vedevano. Mi vedevano dentro e io mi sentivo contemporaneamente indifesa, preda e cacciatrice. Cosa potevo dire, se le sue parole avevano già detto tutto? Lui continuava a guardarmi con quegli occhi e io andai completamente in tilt. Non sapevo cosa fare, non sapevo cosa dire. Lo odiavo ancora? Certamente no.
« Io non ti odio. Non più, almeno. »  Dissi sorridendo rassicurante.
Lui preferii rispondere con i gesti. Mi prese il viso con entrambe le mani. I miei occhi continuavano ad essere incatenati ai suoi, mentre avvicinava le labbra alla mia fronte.

« E accetto volentieri di esserti amica. »  Tutta quella vicinanza però non lasciava presagire a nulla di amichevole. Non era il tipo di situazione in cui solitamente si trovano due amici. Inoltre, come se non bastasse, la travolgente attrazione che avevamo provato uno nei confronti dell’altra per tutto quel tempo, non poteva essere ignorata.
Eppure decisi di volermi sforzare. Ora che avevo visto realmente quello che Klaus era, ora che si era aperto con me in quel modo, ora che avevo visto, forse per la prima volta, con attenzione i suoi occhi, non volevo lasciarlo solo. Non potevo. Lui si staccò da me e mi sorrisi e io spontaneamente feci lo stesso.

« Vediamo un film? »  propose, prendendomi alla sprovvista.
« Certo! » 
Klaus si spostò verso la libreria in cui c’era uno scaffale apposito per i film. Ne prese uno, lo inserii nel lettore e accese la tv. Si accomodò sul divano e tamburellando il posto vicino al suo mi suggerì di accomodarmi al suo fianco. Quando mi sedetti prese la mia mano fra le sue, giocherellandoci.
Mentre il film iniziava mi diedi della stupida per aver pensato di dover essere salvata da quel luogo. Non ce ne era bisogno, perché io ero già salva.
 

 


*Commento:
Eccoci qui con un nuovo capitolo!! la confessione di Klaus, i confronti, la sincerità.
Sono SUPER FELICISSIMA delle recensioni al capitolo 4, sono state le più belle secondo me! Siete fantastiche e bellissime voi che mi spronate! Vi giuro ragazze, senza di voi io non avrei continuato.
Grazie, grazie, grazie infinite per tutti i complimenti che mi fate! Siete grandissime ragazze, le migliori! <3
Ho letto praticamente tutte le vostre storie, ma connettendomi spesso e volentieri dal cellulare non riesco mai a recensire! ): Vi prometto che appena avrò tempo le commenterò tutte, siete bravissime!<3
Qui ci sono un po’ delle mie reazioni ai vostri commenti ahahahahaha:
 
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Mi avete resa super felice, grazie immensamente!
E un grazie anche a chi continua a mettere fra le seguite e le preferite, fatemi sapere cosa ne pensate <3

Il titolo del capitolo è tratto dalla canzone 'Walk Away' dei The Script. (band che amo e che significa molto per me)
Qui potete leggere il testo tradotto della canzone che secondo me è perfetta per i due vampiri :') http://angolotesti.leonardo.it/traduzioni/5/traduzione_testo_canzone_tradotto_walk_away_script_the_5167.html
 
Come ultimo avviso, tenetevi pronte a un pov Klaus per il prossimo capitolo! Un bacio immenso, a presto (:

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Capitolo 6
*** All This time ***


Heaven's in your eyes.


Pov Caroline



Maledetto temporale. Maledetto ‘Nightmare’. Maledetto Klaus che aveva scelto un film horror. Maledetta me che avevo accettato di vederlo, senza fare parola della mia fobia per gli horror.

Erano le 2.43 di notte e io ero sveglia, angosciata, sudata e mi rigiravo fra le coperte in cerca di sonno. Cercai di distrarmi pensando ad enormi distese di prati fioriti, unicorni, palloncini a forma di cuore e coniglietti rosa, ma non funzionò. Un tuono improvviso mi fece letteralmente balzare dal letto. Non potevo rimanere lì da sola un momento di più.
Senza pensarci due volte mi fiondai verso la camera di Klaus, l’unica stanza della casa che non avessi controllato. Appena entrai notai l’enorme letto a baldacchino che occupava la metà della stanza. Vicino all’unica finestra della camera c’erano una cassettiera e uno specchio, mentre appesi alle pareti si trovavano quadri nello stesso stile di quelli appesi nella mia camera. Mi avvicinai al letto e vidi Klaus riposare in una strana posizione. Era steso in pancia in giù ed entrambe le braccia abbracciavano i cuscini ai loro lati. Mi fece tenerezza.
« Klaus!»bisbigliai piano, ai piedi del letto. Lui si svegliò di soprassalto e si mise seduto. Era a petto nudo.
« Che succede?!»esclamò con la voce impastata dal sonno. Ora come glielo dicevo che avevo paura di dormire da sola? Mi avrebbe sicuramente presa per una bambina. E poi quei temporali mi avevano sempre terrorizzata.
« Non riesco a dormire. Ho paura dei temporali.»Ammisi sussurrando e abbassando gli occhi. Sebbene la camera fosse quasi totalmente buia, lui sicuramente lo percepì. E scoppiò in una risata. Continuava a ridere in modo sguaiato, tenendosi la pancia per lo sforzo. Non sarei mai dovuta andare lì. Così come ero arrivata me ne andai, ma lo sentii muoversi sul letto e afferrarmi il polso. Mi fece voltare e me lo ritrovai vicino, in ginocchio sul letto.
« Scusami, ma sei buffa. Puoi rimanere qui. C’è tanto posto.»E così dicendo mi lasciò il posto e si sdraiò, aspettando che io facessi lo stesso. Lo osservai per qualche istante, poi salii sul grande letto e mi stesi al suo fianco. La pioggia continuava a fare un gran rumore e i tuoni non accennavano a diminuire. Tremai sotto le coperte e lui se ne accorse. Si girò verso di me e mi trascinò davanti a lui. Eravamo distesi su un lato, uno nella direzione dell’altra. Poggiai i miei piedi freddi fra le sue gambe e  le sentii sfrigolare a contatto con le mie. Infine avvicinai il visto al suo collo e mi rannicchiai contro di lui. Klaus prese ad accarezzarmi la schiena per tranquillizzarmi, mentre sobbalzavo ad ogni minimo rumore. Dopo qualche minuto mi calmai definitivamente, poiché la pioggia era finita ed ero sicura che niente e nessuno mi avrebbe fatto del male. Ero in dormiveglia e stavo quasi per addormentarmi del tutto, quando sussurrò: « E comunque, dolcezza, non c’era bisogno della scusa della pioggia per passare una notte nel mio letto.»
Anche se avrei voluto colpirlo non dissi niente, ero troppo stanca. O forse non c’era nient’altro da dire…
 
 
 
Il mattino seguente mi svegliai in quel letto per la prima volta. La notte prima non me ne ero accorta, ma c’era un lieve profumo di sandalo e muschio che inebriava l’intera stanza. Lo stesso odore che aveva la pelle di Klaus. Pensando a lui abbassai lo sguardo e mi ritrovai il suo braccio sulla pancia. Il suo peso era totalmente addossato alla mia schiena, mi schiacciava. Mi sorpresi, però, di non provarne alcun fastidio. Le nostre gambe erano ancora intrecciate in un nodo umano e sentivo il suo respiro addormentato dietro il collo. Cosa avrei fatto ora? Le opzioni erano due. Primo: andarmene e sgattaiolare via senza svegliarlo. Decisamente no, avrebbe pensato che quella notte aveva significato qualcosa per me. Ma non era così, no. Avevamo deciso di essere amici, e due amici si tengono compagnia l’un l’altro. Si stanno accanto nei momenti difficili.
Secondo: rimanere lì ed aspettare il suo risveglio. Ma quanto ci sarebbe voluto? Sicuramente meno del previsto, poiché lo sentii muoversi e mormorare al mio orecchio: « Stai pensando ad un modo per fuggire dal lupo cattivo?»Bene, era sveglio. Colsi l’occasione per girarmi verso di lui.
Mi guardava con quell’aria angelica e un po’ confusa, tipica delle persone appena sveglie. Se adesso dovessi trovarmi davanti al Klaus di qualche settimana prima, l’assassino e il crudele ibrido, penserei che sia un'altra persona.
« No, sono abbastanza forte da affrontarti.»Risposi facendo una linguaccia.
« Ah si?» sussurrò avvicinandosi molto lentamente. Posò le mani ai lati della mia testa e si mise sopra di me, senza però lasciare completamente il peso. Mi sorrideva mentre io lo fissavo senza dire una parola. Avvicinò il viso così tanto al mio che sentii la sua leggera barba pizzicarmi la guancia. Temevo che potesse fare qualcosa di avventato, ma in realtà ero io quella di cui non mi fidavo. Ero spaventata dalla mia reazione. La tensione sparì quando mi posò un bacio sulla guancia e cominciò a farmi il solletico. Questo proprio no, non potevo accettarlo. Cominciai subito a ridere compulsivamente, senza riuscire a fermarmi. Lui faceva scorrere le sue mani sui miei fianchi mentre rideva assieme a me. Cercavo di allontanarlo con le mie mani ma ogni tentativo andava fallito, non potevo niente contro la sua estrema forza. Quando pensò che fosse abbastanza si allontanò, ancora ridendo, e si mise seduto sul letto. Io abbracciai il cuscino e chiusi gli occhi per qualche istante, ringraziando che la tortura fosse finita.
« Si, se non sbaglio stavamo dicendo che sono nettamente più forte di te.»Mi canzonò.
Non risposi a parole, ma in un secondo aprii gli occhi e slanciai il braccio per colpirlo. Lui però mi fermò per il polso e, scorrendo la sua mano verso la mia, aggrovigliò le nostre dita. Rimanemmo per qualche istante a fissare quell’unione, poi sospirò: « Vado a preparare la colazione. Caffé?»chiese alzandosi.
« Si, grazie. Ti raggiungo fra un momento.»E con un battito di ciglia fui sola.
Presi il cuscino e me lo premetti in faccia, per reprimere l’entusiasmo che quel momento mi aveva provocato. Non sapevo perché ma mi sentivo elettrizzata, pronta a far tutto. Mi alzai dal letto a velocità vampiresca e arrivai in salone, dove trovai Klaus intento a preparare delle uova… senza maglietta.
« Potresti vestirti per favore? Devo ancora mangiare.»
« Non sembrava che stanotte ti desse problemi.»Disse indicandosi il petto. Ora che lo scrutavo non era niente male. Spalle larghe, braccia muscolose ma non troppo, addominali appena pronunciati e quella leggera peluria che scendeva sempre più verso…
« Allora?»disse, probabilmente riferendosi ad una domanda che non avevo sentito. Morii di imbarazzo.
« C- co-cosa?»
« Preferisci le uova con o senza bacon?»chiese nuovamente, con un sorrisetto che la sapeva lunga.
« Senza, grazie…»risposi scossa e ancora imbarazzata.  
 
 
 
Pov Klaus
 
 
 
5 giorni prima
 
Erano ormai due ore che vagavo nella foresta. Per mia sfortuna non c’era nemmeno un escursionista da prosciugare. Non sapevo cosa fare. Non ero ancora pronto a tornare in quella casa, a tornare da lei. Mi sentivo bloccato. Decisi di tornare a Mystic Falls per avere delle notizie da mia sorella. Non presi nemmeno la macchina, volevo correre. Volevo sentirmi l’ibrido potente che ero e non un debolissimo umano. Perché era quello che risvegliava Caroline in me: il mio patetico lato umano. Ogni volta tentavo di reprimerlo, proprio come mio padre mi aveva insegnato. Ma non ci riuscivo. 
Arrivai davanti la mia enorme villa ed entrai dalla finestra della mia camera. Tutto era proprio come lo avevo lasciato quella mattina. Compresi i disegni. Rebekah si accorse della mia presenza e in un secondo fu lì con me. « Klaus, possiamo andarcene da qui una volta per tutte.»
« Cosa dici? Devo uccidere Alaric.»Mia sorella, che conoscendomi non si era sorpresa di fronte alla mia assenza mattutina, mi scrutò attentamente. Poi disse le parole che non avrei voluto mai sentire:
« Ci ho pensato io.»
« Cosa? Ma questo vuol dire che la mia doppleganger…»
« è morta. Proprio così. Peccato che avesse in circolo sangue di vampiro. I Salvatore la stanno vegliando in attesa del suo risveglio.»Terminò con un sorriso maligno.
Non ci vidi più dalla rabbia, mi catapultai semplicemente contro di lei.
« CHE DIAVOLO HAI FATTO? NON POTRO’ PIU’ CREARE IBRIDIlei si rialzò dalla scrivania contro cui l’avevo buttata.
« Nick, l’ho fatto solamente per noi. Ora potremo tornare ad essere una famiglia felice!»disse con le lacrime agli occhi.
« Cosa ti frulla in quella testa bacata, sorellina? Non siamo mai stati una famiglia felice e non lo saremo mai. Hai rovinato tutti i miei piani! Non trascorrerò con te un minuto di più e ritieniti fortunata ad essere ancora viva. Faresti bene ad andartene adesso.»
Lacrime amare iniziarono a scorrerle sul viso, ma non ci badai. Quella volta mi aveva fatto davvero incazzare. Una volta solo cominciai a pensare a una soluzione. Ecco perché nessuno era ancora venuto a cercare Caroline. In quel momento era l’ultimo dei loro problemi. Bastardi. Pensai che la cosa migliore fosse trovare Tyler e soggiogarlo. Lo avrei convinto a dire ai Salvatore che Caroline era al sicuro, che sarebbe tornata presto ma che al momento voleva stare da sola. Mentre pensavo a lei, per un attimo tutta la rabbia si dissolse. Rebekah, ibridi, doppleganger… non contavano più niente. In quel momento, lontano da lei, riuscii a pensare lucidamente: tutto quello che avevo fatto, tutto quello che ero, aveva una ragione. E la ragione era lei.
 
 
1 giorno prima
 
Erano passati due giorni dal mio ritorno in quella casa e non avevo ancora trovato il modo per dirle la verità. Ogni volta che provavo anche solo a dirle quello che era successo, la guardavo e subito cambiavo idea. Ero così codardo quando si trattava di lei. 
« Ma… Alaric vivrà ancora per molto tempo. Dovremmo rimanere qui per tutta la durata della vita di Elena?»
Quando pronunciò quelle parole, sentii il sangue ghiacciarsi nelle vene. Era il momento giusto per dirle la verità, per dirle che Alaric era giàmorto… e con lui la doppleganger.
Aprii le labbra pronto a parlare, pronto a vederla urlare e arrabbiarsi con me e cercare di andarsene in tutti i modi, ma non riuscii a parlare. Le parole si bloccarono per la strada. Rimasi a guardare il vuoto, sentendo due voci ben distinte nella mia testa. La prima mi diceva di dirle tutto, chiamare Keila, spezzare l’incantesimo e farla andare via. Ma questo avrebbe significato andar via da me. E io non volevo rimanere solo. Non di nuovo. O forse semplicemente non volevo rimanere senza di lei. La seconda vocina mi diceva di far silenzio, tenerla lì con me per sempre.  La parte di me che prevalse, però, fu quella mostruosa. Il mio egoismo era ancora tutto lì, in fondo al mio cuore e la cosa non poteva cambiare da un momento all’altro. Sapevo che non appena avesse saputo la verità mi avrebbe odiato. Ne ero consapevole, ma non riuscii a dirgliela. Non volevo perderla.
« Caroline, è inutile torturarti con le domande. Risolverò la questione, ne parleremo. Ma non ora, non oggi. Ti prego fidati di me, ti darò tutte le risposte che cerchi. »
Il discorso finì così, ma io continuai a pensarci. Quella notte stessa, mentre Caroline riposava inconsapevole nel suo letto, chiamai Keila. Le dissi di raggiungermi con urgenza e appena arrivò, un’ora dopo, le feci rompere l’incantesimo. Ero stanco di mentire. Il giorno dopo avrei detto la verità a Caroline e l’avrei lasciata libera di andarsene. 
 
 
 
 
 
 
« Klaaaaaaauuuuuuuuus?» urlò Caroline, sventolandomi una mano davanti gli occhi. Mi ero nuovamente distratto, ripensando agli ultimi giorni. Non potevo più mentire, non dopo la conferma della sua fiducia in me.  Era venuta nella mia stanza in piena notte e aveva cercato protezione. Da me! Da un mostro come me. Si fidava di me e io ero così stanco di mentirle che preferivo vederla andarsene, piuttosto che alimentarla di false speranze. Io non ero quello di cui aveva bisogno, non lo ero mai stato. Sentivo ancora dentro di me l’egoismo e la rabbia che erano stati miei compagni per tutta la vita. Sebbene lei avesse scavato e trovato un lato di me che nemmeno io conoscevo, non potevo continuare a essere quello che lei voleva che fossi. Il mostro era ancora lì, dentro di me, e non potevo ignorarlo. Non potevo nemmeno combatterlo. Mi ero semplicemente illuso che una cotta passeggera avrebbe potuto cambiarmi. Io non potevo essere cambiato, non potevo essere curato. Dovevo rimanere solo per l’eternità, così come mi aveva giurato Esther.
Così presi fiato e la interruppi proprio mentre stava cercando di dire qualcosa.
« Caroline, devo dirti una cosa.»
 



Bene, per oggi chiedo solo scusa ad AmoTVD98 per aver fatto morire Elena! :') ahahahahahaah
ringrazio comunque tutte le splendide ragazze che inseriscono recensioni e mettono fra le preferite/ seguite.
Non immaginate neanche quanto il vostro supporto mi sia d'aiuto e quanto siate meravigliose ** Vi voglio bene!
ps. Ho cambiato stile di scrittura, vi piace? (: 

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Capitolo 7
*** This Is Love ***


Heaven’s in your eyes.

 
Pov Caroline
 


« Caroline, devo dirti una cosa.» Il tono serio di Klaus mi fece preoccupare, così feci silenzio e attesi. Eravamo seduti sul divano e le nostre posizioni erano rigide, sostenute.

« Certo, dimmi tutto. » Dovette percepire la preoccupazione nella mia voce, poiché mi sfiorò leggermente la mano che tenevo appoggiata al ginocchio.

« Questa notte, mentre dormivi, ho chiamato la strega che ti aveva bloccato qui e le ho detto di spezzare l’incantesimo. Sei libera di andartene. Devi andartene. » Quelle parole mi confusero parecchio e non realizzai subito il loro significato.

« Cosa? Perché? E’ successo qualcosa? » dire che mi sentivo spiazzata e confusa era dire poco. Non avevamo problemi da due giorni, le cose sembravano andar bene.  Si era già dimenticato della notte e della mattina appena trascorse? Cosa gli stava succedendo? Cosa era successo? Improvvisamente ricordai il suo atteggiamento dopo essere tornato. Era freddo, non mi aveva detto niente delle “questioni” che l’avevano tenuto impegnato durante quei giorni. Che si trattasse proprio di quelle?

« Penso che sia ora per te di tornare a Mystic Falls, e per me di trovare un altro luogo in cui stabilirmi. Non c’è niente  che mi trattiene qui. Mia sorella se ne è già andata. Non vi disturberemo più. » 

Non potevo credere che stesse dicendo quelle parole, soprattutto dopo la nostra decisione di essere amici. D’un tratto quella settimana trascorsa in quella casa perse importanza, poiché i suoi occhi sembravano aver già dimenticato tutto.
« Ma io… tu… noi avevamo deciso di essere amici. Avevamo deciso di provarci. Mi sono fidata di te.  Per te non conta più niente tutto questo? Non conta niente stanotte? E il tuo ritorno? Cosa mi dici di noi? » 
« Non c’è alcun ‘noi’ a cui pensare. Sono stati dei bei momenti, ma niente di più. E inoltre, quando arriverai in città ti dimenticherai di me. Fidati. » 
Le sue parole mi straziarono. Mi fecero male perché avevo cominciato veramente a credere in lui. Sembrava cambiato, sembrava diverso. Forse, dopotutto, vedevo di lui solo quello che decidevo di vedere. Il resto, lo ignoravo.  A cosa si riferiva riguardo Mystic Falls? Cosa era successo? Perché semplicemente non veniva con me e non continuava a sforzarsi di essere migliore? Poi l’illuminazione arrivò: forse non voleva essere migliore. Forse ci aveva provato per accontentarmi, ma non gli andava bene. Forse per lui non ero abbastanza importante.

« Perché mi hai tenuta qui per quasi una settimana se non ti importa niente di me? » 

Non rispose a parole, ma i suoi occhi ci riuscirono benissimo. Mi accarezzò una guancia e guardandomi fisso negli occhi sussurrò semplicemente: « Vai… »
 
Io non me lo feci ripetere due volte, a velocità vampiresca uscii da quella casa maledetta. Non volevo più stare lì, non volevo più vederlo. Mi aveva illusa e aveva sfruttato la mia fiducia in lui. Mi  aveva tenuta lontana dai miei cari.  Ma allora perché stavo piangendo?

Non riuscivo più a trovare risposte, non riuscivo a ragionare lucidamente. Mi fermai e decisi di prendere subito la strada per la città. Conoscevo quella zona, distava circa un’ora da Mystic Falls; con la mia velocità ci avrei messo la metà del tempo. Iniziai a correre senza curarmi di nient’altro.
Appena arrivai in città mi fiondai subito in casa mia. Mia madre non c’era, probabilmente era a lavoro. Entrai nella casa silenziosa e mi diressi verso la mia stanza. Provai una strana sensazione. Avrei dovuto sentirmi felice di essere di nuovo a casa. Perché allora odiavo quelle stanze vuote? Perché provavo fastidio? ‘Perché lui non c’è’ disse una vocina nella mia testa. Caccia immediatamente via quel pensiero, da qualsiasi parte provenisse.
Non appena entrai nella mia camera vidi Tyler, di spalle, che guardava fuori dalla finestra. Senza pensarci due volte urlai: « Tyler! » e lo abbracciai.
« Caroline! Finalmente hai deciso di tornare. Sei riuscita a riflettere? » 
« Cosa? » 
« Si, Klaus mi aveva detto che stavi bene ma volevi rimanere sola per riflettere. » Disse con un sorriso, come fosse la cosa più naturale del mondo.

« Tyler, io… penso che Klaus ti abbia soggiogato. Mi aveva portata via lui, una settimana fa. Non sarei mai rimasta lontano da voi così a lungo! Lontano da te… » dissi avvicinandomi e baciandolo. Lui rispose al bacio ma si staccò subito, tenendomi ancora tra le sue braccia. 

« Oh Caroline… mi sento così stupido per averci creduto. Però ora devo dirti una cosa, ed è meglio che ti metta seduta. » 
La sua espressione e il tono preoccupato mi fecero rabbrividire. Si sedette accanto a me e cominciò a parlare. 
« Mentre eri via… bè, è successo qualcosa. Diamine, non so davvero come dirtelo… » 
Lo vedevo seriamente in difficoltà, così lo incitai. « Tyler, puoi dirmi tutto. Su, continua. » 
« Lo dirò e basta. Alaric è morto. »  

Disse semplicemente abbassando lo sguardo per non incontrare i miei occhi. In quel momento la testa cominciò a girarmi furiosamente e in un attimo non vidi più niente, colpa delle lacrime che mi accecavano. Sapevo bene cosa volevano dire quelle parole, ma avrei voluto che non fosse così. Doveva essere un incubo, quello. Oppure era semplicemente la mia vita.

« Dov’è lei? » chiesi con un filo di voce, mentre tutto il mio mondo crollava lentamente.« E’ a casa dei Salvatore. » Cosa? Non avevano ancora fatto il funerale? Perché? Come stava Jeremy? Fu allora che capii.
« Oh mio dio… Elena è un vampiro? » non potevo crederci. Non avrebbe mai voluto essere come noi.
« Ti prego Tyler, dammi qualche spiegazione o rischio di impazzire. » 
« Il giorno in cui te ne sei andata, Matt ed Elena erano in macchina. Rebekah li ha mandati fuori strada e la loro auto è caduta dal ponte. Stefan è arrivato subito, si è tuffato e li ha trovati. Ha salvato prima Matt, come gli aveva chiesto Elena. Quando è tornato da lei era affogata. L’ha subito portata in ospedale da Meredith. Stefan era disperato, non lo avevo mai visto così. E allora Meredith gli ha detto la verità. Quando Elena era svenuta, aveva avuto un’emorragia interna e la dottoressa l’aveva guarita con sangue di vampiro. » Il mio cervello stava andando decisamente in tilt da sovraccarico di informazioni. Non riuscivo nemmeno ad elaborare quello che Tyler mi aveva appena detto. Elena era un vampiro più o meno da una settimana, era la cosa che meno desiderava di tutte e io non ero stata lì con lei. Non ero stata lì al suo risveglio e non l’avevo aiutata. Mi odiai immensamente per questo e odiai Klaus per avermelo impedito. Non appena pronunciai il suo nome mentalmente, un brivido mi percorse la schiena. Lo ignorai e dissi a Tyler « Devo andare immediatamente da lei. » e alzandomi lo presi per mano. Ci guardammo qualche istante negli occhi e poi ci incamminammo verso casa Salvatore.

 

Un quarto d’ora dopo eravamo nella grande tenuta. Mi strinse forte la mano e ci dirigemmo verso l’ingresso. Appena entrammo, il mio udito eccezionale percepì le voci di Elena e di Stefan provenire dal salone.
« Stefan, ti ho già detto che non ho intenzione di mangiare un coniglio. » la voce di Elena mi fece sussultare e, ricordando i primi tempi dopo la trasformazione, capii perfettamente il suo attuale stato d’animo.
« Elena, tel’ho già ripetuto un centinaio di volte. Non posso andare a rubare del sangue in ospedale perché non posso lasciarti sola! Per oggi dovrai accontentarti. Su, non fare la sostenuta. Non vorrai fare arrabbiare Damon? » La voce di Stefan, pacata come sempre e con un filo di rassegnazione, tentava di convincere Elena. Sembrava una mamma che, esasperata, cercava di far mangiare verdure al figlio. Io e Tyler facemmo il nostro ingresso, mano nella mano, e gli sguardi dei due vampiri – era ancora strano pensare alla mia migliore amica in quel modo – si posarono su noi due.
«Elena » sussurrai debolmente, vedendola così diversa e uguale allo stesso tempo.
«Caroline, oh mio Dio!» appena mi vide fu davanti a me in un secondo. Dovevo ancora abituarmi all’idea che da quel momento sarebbe stata come me, Stefan e Damon.
Si buttò fra le mie braccia e ci stringemmo forte.
«Oh Elena, mi dispiace così tanto. Non riesco ad esprimere a parole il mio dolore. Mi dispiace per non esserci stata al tuo risveglio, per non esserti stata vicina, per non averti insegnato a controllare le tue emozioni. So come ti senti, lo so perfettamente e se tu mi perdonerai ti aiuterò ad affrontare l’uragano che hai dentro ora. Da adesso in poi ci sarò, te lo prometto. » Iniziammo entrambe a singhiozzare e a piangere, come  quando da piccole litigavamo e poi facevamo la pace.
«Certo che ti perdono, non dire sciocchezze. Non sono arrabbiata con te. Ma dove sei stata? È tutto così nuovo per me e mi sento felice e triste contemporaneamente. Sento come se dentro di me ci fossero più persone, ognuna con la propria emozione e ognuna pronta a combattere per essere quella emergente. » mentre pronunciava quelle parole, Elena si staccò da me ma mi tenne le mani.
« È una lunga storia, poi ti racconterò. È normale, stai tranquilla. Ci siamo noi qui » e così dicendo guardai Stefan e gli sorrisi, lui ricambiò. «e ti aiuteremo durante questo strano periodo. Ora che ne dici di andare a parlare da sole? Ci sono troppe cose che devi raccontarmi.»  Elena annui e, girandoci verso Tyler e Stefan che fino a quel momento erano stati silenziosi e si erano tenuti in disparte, ci dirigemmo verso di loro. Io posai un bacio sulle labbra di Tyler e gli sussurrai all’orecchio: « Ci vediamo dopo, ok? Ceniamo insieme. »
Elena intanto aveva detto le stesse parole a Stefan e lo aveva baciato su una guancia. Mi avrebbe dovuto parlare anche di quello. Prendendoci per mano ci dirigemmo al piano di sopra, pronte a parlare delle tante novità.
 
 
 
 
 
 
 
Pov Klaus
 
 
Se ne era andata. Non ci credevo ancora, ma non era rimasto più niente con me in quella casa. Era vuota, proprio come me. Non avrei mai creduto che quelle parole sarebbero state così difficili da pronunciare, eppure cel’avevo fatta. Mi ero imposto di mandarla via e ci ero riuscito. Perché allora non mi sentivo bene? Conoscevo la verità, ma non volevo fosse così. Mi ero imposto di dirle la verità, ma non l’avevo fatto. In realtà c’era qualcosa che mi tratteneva lì, in quel posto: lei. Non l’avrei dimenticata, questo era certo. Sarebbe rimasta nei miei pensieri. Il suo odore sarebbe rimasto in quel maledetto letto e il suo ricordo sarebbe rimasto incastrato dentro di me, in un luogo che solo lei aveva trovato. Lei e solo lei. Nemmeno Tatia, secoli prima, era riuscita a vedere dentro di me e a capirmi. Per lei era semplicemente un gioco, come per tutte le Petrova.
E alla sua domanda non avevo risposto. “Perché mi hai tenuta qui per quasi una settimana se non ti importa niente di me?”. A quella domanda non avrei saputo dare una risposta falsa. Se solo avessi provato a mentire, l’avrebbe scoperto. Così mi limitai a guardarla negli occhi, già distanti km da me.
 
Erano passati giorni da quando se ne era andata e una notte perenne era calata. Sapevo che avrei dovuto andarmene, sapevo che rimanere in quella casa faceva solamente più male. Ma in quei momenti scoprii il mio lato autolesionista. Tutto in quella casa mi ricordava lei, ma non potevo andarmene. Mi alzai dal divano e mi diressi verso lo stereo. Premetti play e in quel momento le dolci note di You could be happy si dispersero lentamente nella stanza. Io tornai seduto e mi perdetti in quelle parole che parlavano di me, di noi.
 
 
Potresti essere felice, e io non lo saprei
Ma non lo eri il giorno che ti ho vista andartene
 
E tutte le cose che ho desiderato non aver mai detto
Sono rappresentate nella mia testa ciclicamente
 
E’ troppo tardi per ricordarti come stavamo?
 
Potresti essere felice, spero che tu lo sia
Mi hai reso più felice di quanto non fossi mai stato prima 
 
In qualche modo tutto ciò che ho profuma di te
E per un attimo mi sembra che tutto ciò non sia accaduto sul serio
 
 
 
 
 
*Commento*
Ringrazio le splendide ragazze che recensiscono, inseriscono tra i preferiti/ seguiti e anche i lettori silenziosi!
Non so più come dimostrarvi il mio reale affetto per voi, siete fantastiche! <3
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, il titolo è tratto dalla canzone ‘This is Love’ dei The Script.
Fatemi sapere cosa ne pensate, a presto!! :D

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Capitolo 8
*** Part Of Me ***


Heaven’s in your eyes.
 
Pov Caroline
 
«.. e così mi sono risvegliata. Ma non lo considererei proprio un risveglio. Mi riesce meglio definirla una rinascita. È  stato come se venissi al mondo per la prima volta. Come se guardassi, ascoltassi e vivessi per la prima volta. Tutto quello che avevo provato da umana non aveva più significato. È stato come tornare al mondo dopo un lungo viaggio nel buio, si. Lo definirei così. Pochi secondi dopo aver aperto gli occhi, ho sentito la consistenza del tavolo dell’obitorio sulla pelle. Era come se non avessi vestiti, riuscivo a percepire quella superficie anche attraverso loro. Ero molto confusa, perché sentivo nella mia testa milioni di suoni. Il battere dei cuori in ospedale, i passi delle infermiere, le auto fuori in strada. E poi, come un suono salvatore, ho udito il sangue fluire nel corpo di Meredith, che era vicina a me. La mia vista era cento volte migliore, riuscivo a catturare ogni piccolo colore, sfumatura e dettaglio. Sentivo i miei capelli schiacciati sulla testa e li percepivo uno ad uno, come se pesassero tonnellate. Nemmeno il tempo di elaborare il comando dal cervello, che mi alzai di scatto. Sbarrai gli occhi. Poi vidi Stefan e Damon. Mi arrabbiai così tanto e piansi. Poi distrussi quella camera, prendendo a calci e pugni ogni cosa si trovasse davanti ai miei occhi. Ed eccomi qui, dopo una settimana. Sono passati semplicemente sette giorni, ma non riesco nemmeno più a ricordare la mia vita prima di questo. E’ come se non fossi mai stata diversa, mai stata umana. Sto cercando di accettarlo. Ci sto convivendo. Ma è stato molto brutto per tutti noi, soprattutto per Jeremy e Bonnie. Dovevi vederla, ha passato due giorni a cercare incantesimi sul suo grimorio per farmi tornare umana. Ovviamente la natura è irreversibile, ma lei non lo accetta ancora. Non ci siamo ancora parlate.»
Così dicendo Elena terminò il suo racconto. Eravamo nella stanza di Stefan, sdraiate sul suo letto. Mi ero commossa un paio di volte sentendola parlare di quello che stava passando. Mi sentivo in colpa per non esserci stata, ma ero anche arrabbiata. Anzi, ero furiosa con Rebekah e la sua dannata propensione a rovinare qualsiasi cosa sfiorasse. Avrebbe pagato caro per questo, poco ma sicuro.
« Parlerò io con Bonnie. La conosci, non ti odia. Odia solamente i vampiri e vuole proteggerti. È normale che si comporti in questo modo, l’ha fatto anche con me ricordi? » e così dicendo le sfiorai una mano per infonderle coraggio. Avremmo superato anche quello. Ci saremmo salvate l’un l’altra come facevamo da sempre. Cel’avremmo fatta.
 
 
 
 
 
Erano passati ormai tre giorni dall’ultima volta che avevo avuto notizie di Klaus. L’ultima volta che lo avevo visto, era in quella casa. Non mi ero permessa di pensarci, poiché ogni volta che  mi sfiorava il pensiero di lui e di quella settimana lontani da tutti, stavo male. Stavo male per l’ennesima delusione. Andava sempre a finire così: decidevo di fidarmi delle persone, di andare oltre le loro apparenze, e loro si dimostravano sempre le stesse stronze approfittatrici che sembravano. Certo, ora avevo imparato la lezione. Se un giorno l’ibrido fosse tornato nella mia vita, avrei saputo come comportarmi.
Avevo già appurato la sua assenza da Mystic Falls, poiché mi ero appena recata nella grande villa Mikaelson e l’avevo trovata vuota. Proprio come aveva detto suo fratello, la stronzetta se ne era andata. Improvvisamente mi arrivò un’idea geniale. Presi il telefono e digitai il numero di Bonnie, che rispose al terzo squillo.
« Care?? Sei tornata? » la sua voce era un misto fra sorpresa e felicità.
«Bonnie! Si, sono tornata. È una storia lunga, poi ti spiegherò. Ho saputo di Elena. Mi ha detto come l’hai presa… Bonnie, ti prego, vediamoci. Sai che questa era l’ultima cosa che voleva. Elena sta malissimo e ha bisogno di noi; non possiamo abbandonarla proprio adesso. »
« Hai ragione. Anche se la cosa ancora non mi sta bene, cercherò di accettarla. Dove ci vediamo? »
Osservando la casa davanti a me con un sorrisetto diabolico dissi: « vediamoci fra 15 minuti alla villa Mikaelson, io sono già qui. Ho in mente un bel piano per vendicarci. A dopo! » e così senza attendere risposta, attaccai. Poi fu il turno di chiamare Elena.
«Elena, sono io. Ho chiamato Bonnie e vuole incontrarti, è molto dispiaciuta. So già come potremo trascorrere il pomeriggio, e sarà mooolto divertente. Raggiungimi alla villa Mikaelson fra 15 minuti. » la risposta della mia amica non tardò ad arrivare:
« è tempo di vendetta. Sarò lì fra pochissimo. » e riagganciò.
Mi guardai intorno in cerca di eventuali testimoni e, quando appurai che non ci fosse nessuno, mi avvicinai alla porta. Diedi un calcio che fece tremare la struttura e la porta si aprì. Feci un passo in avanti ed entrai. ‘Perfetto, non credevo fossero così ingenui.’ Pensai malvagiamente ed attesi le mie amiche. Dopo cinque minuti arrivò Elena, a piedi. Una delle comodità dell’immortalità.
 «Allora? Cosa hai in mente? » mi disse a mo’ di saluto, con un sorrisino simile al mio.
« Inizialmente avevo pensato di dar fuoco a quest’ammasso di legno, ma poi ho pensato a qualcosa di davvero molto più crudele. »
«Tieniti pronta, mia cara Elena, perché oggi ci divertiremo con il guardaroba di Miss ‘Mi- piace- rovinare- le vite- altrui’. » E così dicendo mi diressi verso la cucina, seguita da Elena. Presi due paia di forbici, uno per me e uno per lei.
« Dato che quella stupida originale tiene ai suoi vestiti più di qualsiasi altra cosa, oggi li distruggeremo. Taglieremo bratelline, maniche e dipingeremo i suoi bellissimi capi francesi. Ci stai? » e porsi la mano alla mia amica vampira che, sorridendomi, rispose alla stretta con forza.
« Puoi scommetterci. »
In quel momento sentimmo dei passi fuori dalla casa e, affacciandoci dalla porta che era rimasta spalancata,da lontano vedemmo Bonnie arrivare. La chiamammo e quando arrivò si diresse verso Elena e l’abbracciò. Rimasero così strette per qualche minuto, senza dire una parola. Poi si rivolse a me e mi baciò la guancia, sorridendoci.
« Allora? Perché siamo qui? » chiese curiosa la nostra strega.
« Sei pronta al divertimento estremo di distruggere l’intero armadio di un’oca originaria? » disse Elena dopo aver fatto silenziosamente pace con Bonnie. Quest’ultima, capendo le nostre intenzioni, sorrise e annuì convinta.
Io presi un altro paio di forbici e gliele porsi, dicendo: « Che la festa abbia inizio! »
Correndo ci dirigemmo verso il piano superiore, dove si trovavano le stanze da letto.  Capimmo subito quale fosse quella di Rebekah ed entrammo. Tutto era in ordine, un letto enorme dalle lenzuola rosa si espandeva al centro della stanza. C’erano miliardi di cuscini di tutti i tipi di rosa. Le pareti erano chiare e le finestre in stile fiabesco. Alla nostra destra c’era una porta ed io immaginai conducesse alla stanza-armadio in cui erano contenuti tutti i preziosi abiti. Guardai le mie amiche e vidi riflessa nei loro occhi la mia stessa eccitazione. Da quando la vendetta era così buona da gustare?
« Bè, io direi di cominciare dal letto. » disse Elena e ci si fiondò sopra. Prese due cuscini e ce li lanciò. Io lo intercettai e riuscii a scansarlo, mentre Bonnie fu colpita in piena faccia. Iniziammo tutte e tre a ridere come delle pazze.
« L’avete voluto voi! » disse Bonnie e con la sua magia fece fluttuare il cuscino in aria, al centro della stanza. Poi, con un leggero boato, questo esplose indirizzando migliaia di piume in ogni angolo della stanza. Era arrivato il mio turno, così presi le forbici e mi buttai anch’io sul letto. Presi a tagliare le lenzuola a zig zag e a ridere come una bambina. Facevo diverse smorfie per far divertire le mie amiche, che intanto cominciarono a saltare sul letto.  Erano anni che non passavamo momenti del genere insieme, a divertirci come delle ragazze normali. Certo, per quanto potesse essere normale distruggere la camera di una vampira che avrebbe potuto ucciderci senza esitazione. Ma anche noi eravamo forti, e unendo le forze avremmo potuto combatterla.
Una volta distrutto completamente il letto, ci guardammo complici e con passo felpato raggiungemmo la porta.
« A te l’onore, cara.  » dissi guardando Elena. Lei girò la maniglia dorata e spalancò la porta. La stanza era decisamente più grande di quanto ci saremmo mai aspettate e milioni – se non miliardi – di vestiti erano appesi ordinatamente per colore. Una sezione rosa, una viola, una blu, una rossa. Era presente ogni tonalità cromatica esistente.
« Io mi occupo dei pantaloni.  » asserì Bonnie.
« Io delle magliette.  » affermai io.
«Io voglio i vestitini. » sussurrò Elena, agguerrita più che mai. Ognuna di noi si diresse in un angolo della stanza.
Quando arrivai alle magliette sorrisi malignamente. Presi una maglietta fiorata con delle spalline rigide, l’imbottitura al seno e un’interminabile numero di pailletes. Cominciai tagliando le spalline. Poi tagliai all’interno e tolsi l’imbottitura. Infine sminuzzai qui e là, fiera del mio lavoro. Passai ad un altro capo mentre vedevo Bonnie far esplodere pantaloni a destra e manca ed Elena sfigurare bellissimi abiti d’epoca. Quasi mi dispiaceva rovinare quel ben di Dio, ma non potevo proprio farne a meno. Era solo il minimo per il comportamento crudele della stronzetta. Dopo un’ora e mezza di distruzioni, tagli e accorciamenti decisi che con le forbici avevamo finito.
«Ragazze, che ne dite di usare qualche altro metodo oltre alle forbici? » Elena e Bonnie si fermarono per un istante dalle loro attività e mi guardarono.  Poi scoppiarono in fragorose risate e annuirono.
«Io vado a cercare qualcos’altro con cui divertirci. Bonnie, ho visto una radio, potresti accenderla per favore? » Così dicendo uscii dalla stanza di Rebekah. Dopo qualche minuto sentii le note di Raise Your Glass di P!nk espandersi per la casa e le voci delle mie amiche che urlavano: ‘Why so serious?!
Risi e mi incamminai per il corridoio del primo piano. Entrai nella prima stanza che incontrai. Alle pareti erano appesi moltissimi quadri raffiguranti animali, in particolare cavalli, fantastici paesaggi e donne eleganti. Il letto era di dimensioni più modeste rispetto a quello di Rebekah, ma sempre molto elegante. Le lenzuola erano in diverse tonalità di marrone e oro. Alla mia sinistra c’era una porta che dava al bagno personale, mentre alla mia destra c’erano un caminetto e un grazioso tavolo da scrittura. Mi avvicinai a quest’ultimo e notai un grande quaderno foderato da una spessa copertina di pelle nera. Spinta dalla curiosità lo aprii e quello che vidi mi stupì. Nella prima pagina, in primo piano, c’era un mio ritratto. Il mio viso era riportato in ogni minimo dettaglio su quel foglio leggermente ingiallito, e sembrava una fotografia. Riconobbi lo stile di Klaus. Quella doveva essere la sua stanza.
Impressionata, continuai a girare le pagine. La maggior parte erano miei ritratti, ma ce ne erano anche di Rebekah e di Katherine. Mi soffermai parecchio su quel disegno ma solo dopo qualche istante lessi la data. Oh, non era Katherine. Era Tatia. La prima Petrova, la prima doppleganger. Doveva essere veramente importante per lui se ancora teneva il ritratto. Forse più importante di quanto fossi io… abbandonai subito quei pensieri, mi stavo divertendo e non era giusto intristirmi.  
Improvvisamente sentii il rumore di una macchina nel vialetto di quell’enorme villa. Doveva essere Rebekah. Se ci avesse trovate lì dopo il casino che avevamo appena combinato, ci avrebbe uccise. Mi precipitai dalle mie amiche e, guardando Elena che come me aveva sentito, dissi: « Ragazze, il divertimento è finito. È arrivato qualcuno, dobbiamo andarcene. Elena, tu prendi Bonnie. Dobbiamo uscire dalla finestra e prendere la via del bosco. Subito. »
Le mie amiche fecero come dissi, Elena prese Bonnie sulle spalle e ci buttammo dalla finestra del primo piano. Poi cominciammo a correre più velocemente possibile, fino ad arrivare a casa mia, dove invitai Elena ad entrare. Lì saremmo state al sicuro.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*Commento:
Buonasera ragazze! (: eccoci qui all’ottavo capitolo! Ma ci credete? A me ancora non sembra vero. Veramente, senza di voi questa storia non sarebbe andate avanti. È grazie a voi se ogni giorno trovo la voglia di scrivere, siete f a n t a s t i c h e **
Ringrazio Amber94vallyjessi e AmoTVD 98 per recensire sempre ogni capitolo, e ringrazio anche le splendide ragazze che inseriscono tra le seguite e preferite!
Allora in questo capitolo ho voluto dare molta importanza all’amicizia di Care, Bonnie ed Elena! Cosa ne pensate? Bè, meritavano un po’ di sano divertimento :P
E chissà chi era arrivato in casa Mikaelson?? Fatemi sapere cosa ne pensate!
A presto <3

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Capitolo 9
*** Friends Will be Friends ***


Heaven’s in your eyes.
 
 
Pov Caroline
 
 
Una settimana dopo essere tornata a Mystic Falls, tutto sembrava essere di nuovo normale. Scuola, amici e Tyler scorrevano lentamente giornata dopo giornata e Klaus e la sua casa erano ormai ben lontani dalla mia mente. Certo, la sua assenza dalla città mi aiutava molto. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore.  Ovviamente non riuscivo a mentire a me stessa. A volte, mentre mi fermavo a riflettere o smettevo di pensare, il suo ricordo si infiltrava nelle pieghe dei miei pensieri e l’unico modo possibile per allontanarlo era il sonno.
Io, d’altro canto, cercavo in tutti i modi di tenermi sempre costantemente occupata per evitare di pensare. In quel momento ero sdraiata sul mio letto e fissavo il soffitto. Avevo appena terminato di cenare e non avevo la minima voglia né di uscire né di dormire. Sentivo che i pensieri cominciavano ad accerchiarmi, a mettermi con le spalle al muro e io non volevo. Così, di botto, qualcosa dentro di me mi disse che c’era una persona che poteva aiutarmi. Presi il cellulare e cercai il suo numero nella rubrica.
« Pronto? » Rispose una voce pacata e rassicurante.
« Ei, Stefan. Sono Caroline. »
« Ehm, ciao Care. Vuoi che ti passi Elena? » la voce del vampiro aveva una leggera nota di sorpresa.
« Oh no, non preoccuparti. In realtà cercavo te. »
 
 
 
 
Pov Klaus
 
 
«Nik, vieni qui, guarda come questo color pesca si intona perfettamente alla mia pelle nella stagione estiva! »
Non volevo crederci. Non potevo crederci. Erano ormai 10 ore consecutive che mia sorella si intratteneva nei più svariati negozi di alta moda. Avevamo visitato boutique di ogni genere. Certo, dovevo ammettere che la cara Bekah si era ripresa piuttosto in fretta dopo lo shock iniziale nel vedere ogni suo capo rovinato.
 
 
Ero ancora nella casa fuori città. Non riuscivo ad andarmene da quella maledetta casa. Una parte di me sapeva perfettamente che la cosa migliore da fare era impacchettare tutte le mie cose, plastificare i mobili, chiudere la porta a chiave e poi bruciare l’intera struttura. Era inutile rimanere rinchiuso fra quelle mura che avevano assistito all’ennesimo abbandono. Me ne stavo sul divano quando sentii dei passi sulla veranda e la porta aprirsi. Che la fortuna girasse finalmente dalla mia?
« Nik, mi dispiace. » Rebekah. Avrei dovuto ucciderla prima o poi.
« Cosa vuoi? »
« Ti prego perdonami. Quando ho ucciso Elena non pensavo di causare tutti questi danni. Sai come sono fatta, sono impulsiva. Non penso mai prima di agire. Non vorrai tenermi il muso per il resto dell’eternità? In fondo sono tua sorella. Abbiamo superato problemi peggiori di questi. »  se ne stava lì, con quell’aria afflitta e gli occhi supplicanti. Come fai a non perdonare l’unica persona che non ti ha mai tradito?
« Va bene. Ti perdono.  » e così dicendo le presi la mano, senza però guardarla negli occhi. 
« So quello che è successo. Torniamo a casa, prendiamo le nostre cose e poi andiamocene.  » cosa intendeva con ‘so quello che è successo’ ? sapeva forse di Caroline? Decisi di non dare importanza alla cosa e, insieme alla persona che non mi avrebbe mai voltato le spalle, me ne andai da quella casa. Chiusi la porta a chiave, sicuro di non tornarci mai più.
 
 
Dopo un’ora e più di viaggio arrivammo finalmente alla nostra elegante tenuta. Rebekah aveva le cuffiette e dormiva, per questo non sentì quello che invece io udii alla perfezione.
Qualcuno era nella nostra villa. Scesi dalla macchina pronto ad uccidere chiunque si fosse permesso di entrare di soppiatto nella miaproprietà. Feci un passo ma una voce mi impedì di proseguire. L’avevo sentita come fosse a un centimetro da me, come se si rivolgesse a me. Una voce che avrei riconosciuto sempre, una voce simile al canto delle sirene.
Caroline.
« Ragazze, il divertimento è finito. È arrivato qualcuno, dobbiamo andarcene. Elena, tu prendi Bonnie. Dobbiamo uscire dalla finestra e prendere la via del bosco. Subito. »
Se solo avessi voluto, le avrei raggiunte in un secondo e gli avrei strappato il cuore. Ero ferito, e un uomo ferito non è mai solo quello. Quando ferisci un uomo lo fai sentire inferiore, debole, sottomesso. E così si arrabbia. 
Io, però, a quella strana creatura bionda ci tenevo e proprio non mi andava di ucciderla. Così la lasciai scappare insieme alle sue amiche. Intanto mia sorella si svegliò e guardandomi mi chiese: «Nik tutto bene? Sembra che tu abbia visto un fantasma. »
«Non preoccuparti Beks, tutto bene. Sbrighiamoci a prendere le nostre cose e andiamocene. Questa cittadina mi annoia. »
Detto ciò mi diressi in casa, seguito da Rebekah. Io mi fermai per bere un drink mentre lei si diresse su per le scale, verso la sua stanza. Nemmeno il tempo di versare il liquido caldo che tanto agognavo, che un urlo disumano si espanse per la casa.
In un attimo fui al suo fianco. La scena non era delle migliori: i cuscini erano stati tutti ridotti a un ammasso di piume e le pregiate lenzuola ridotte a brandelli. 
« Brutte puttanelle inutili sgualdrine, squallide accompagnatrici di uomini! »
Seguii la sua voce provenire dalla porta alla mia destra. Entrai in una stanza che non avevo mai visto. Il pavimento era zeppo di vestiti di tutti i colori ridotti a stracci. 
Bekah era seduta per terra e singhiozzando abbracciava un abitino rosa confetto. 
« Cosa è successo qui dentro?  » chiesi tranquillamente.
« NON VEDI?! È UN DISASTRO. UNA TRAGEDIA. SONO PIU’ CHE SICURA CHE SIA STATA QUELLA MALEDETTA DOPPELGANGER. ORA LA UCCIDO! » rispose lei urlando, scalciando i vestiti, strappandosi i capelli e cominciando a piangere.
«Bekah, ti prego calmati. Non capisco perché te la prendi così tanto. »
« Calmarmi?! Come faccio a calmarmi? È ovvio che non capisci, sei un uomo! Non ho più neanche un vestito. Qualcuno ha rovinato tutto il mio guardaroba. E ora come farò?! Oh mio Dio, ora non potrò più uscire né farmi vedere in pubblico.. La mia vita è finita! »
Guardando mia sorella disperarsi e scalpitare per dei semplici vestiti, pensai che dopotutto non era male essere un ibrido assassino affetto da manie di protagonismo. 
 
 
 
 
 
POV Caroline
 
Erano le 23 quando raggiunsi il campo di football della scuola. Era lì che avrei dovuto incontrare Stefan. Era stato così gentile da accettare di incontrarmi.
Mi sedetti su una panchina ad aspettarlo e pochi minuti dopo lo vidi avanzare tranquillamente nella mia direzione. Quando fummo abbastanza vicini, lo salutai sorridendogli.
«Ciao! »
« Ei » rispose piuttosto sorpreso, sedendosi.
 Mi sedetti anch’io e fra noi calò un imbarazzante silenzio. Fortunatamente fu lui a spezzarlo.
« Come mai mi hai chiamato? È successo qualcosa? » mi chiese comprensivo.
« oh no, non preoccuparti. Non ho ancora combinato qualche guaio.» annunciai con una risata isterica.
« Volevo solo chiederti… si, insomma. Ti va di parlarmi di… Klaus? » mi riusciva difficile fargli quella domanda ad alta voce. Lui mi fissò negli occhi, alzando un sopracciglio.
« C’è qualcosa che vuoi sapere in particolare? » era questo che mi piaceva di Stefan. Anche se la situazione era strana, lui non faceva domande. Se avevi qualcosa da dire o da confessare a lui non importava che fosse qualcosa di grave, serio o stupido. Non ti giudicava, semplicemente ti ascoltava e, se poteva, ti aiutava.
« Ti va di parlarmi del vostro periodo di amicizia negli anni ’20? » mi sentivo un po’ in colpa a rievocargli ricordi che sicuramente avrebbe voluto eliminare per sempre, ma avevo bisogno di risposte.
« Oh… bè, cosa posso dire. Ho incontrato Klaus in un periodo molto buio della mia vita. Ero un vampiro da poco e l’immortalità era come una droga per me. Ero entusiasta, elettrizzato dalla vita che mi aspettava. Ero semplicemente inebriato dal sangue. »
Sorrise amaramente, poi continuò. « in quel periodo si faceva la bella vita, soprattutto nei locali più in di Chicago. Gli uomini erano belli, ricchi e intraprendenti. Le ragazze erano inebrianti e disinibite. Erano coraggiose, spavalde e sapevano veramente divertirsi. Ballavano fino a notte fonda, fino allo svenimento. » Quelle parole mi riportarono improvvisamente indietro di qualche tempo. Erano molto simili a quelle che mi aveva detto Klaus durante il ballo a tema.
« Inoltre ero completamente perso. Ogni volta che un nuovo giorno iniziava, mi domandavo: cosa ne sarà di me quando tutto questo non sarà più abbastanza?
Poi incontrai Klaus e Rebekah. Erano le uniche persone con cui trascorressi il mio tempo, perché con loro non mi sentivo un mostro. Non mi sentivo solamente lo “Squartatore”, mi sentivo come se anche per me ci fosse un posto. Come se anche a me fosse permesso di essere accettato. A quel tempo non si incontravano molti vampiri in giro, così quando scoprii la loro vera natura mi sentii sollevato. Anche se era un relazione malsana, in qualche modo non ero più solo. Per quanto possa sembrarti strano, amica mia, in quel periodo mi sentii felice per la prima volta dopo tanto tempo. E così Klaus divenne il mio migliore amico e Rebekah la mia amante. »
« Wow. Insomma, non ci avevi mai raccontato queste cose. Ti ringrazio per esserti confidato con me e mi dispiace per averti costretto a rievocare questi ricordi. » e così dicendo gli presi una mano e lui mi sorrise per l’ennesima volta.
« Stefan, c’è qualcosa che devo dirti. Non l’ho detto a nessuno, nemmeno ad Elena. Però sento di volertelo dire perché mi fido di te.  » lui non rispose, si limitò a fissarmi a mo’ di incoraggiamento.
« Ricordi che poco tempo fa sono scomparsa per una settimana? »
« Si, certo. Tyler ci aveva detto che avevi bisogno di riflettere. Pensavamo sapessi di Elena e che fosse per questo. »
« In realtà non è stata una mia decisione. Quando Alaric mi aveva trattenuta a scuola per torturarmi… bè, Klaus mi ha salvata. E non solo. Mi ha portata in una casa fuori città. »
Lo sguardo di Stefan passò in un secondo da attento a furioso.
« Oddio, Care. Cosa ti ha fatto? » disse ruggendo. Aveva totalmente frainteso.
«No, no, no. Non è come pensi. Non mi ha fatto del male. Mi ha portata lì per proteggermi. Anzi, è stato… gentile. Non mi ha sfiorata. Però sono successe delle cose.» dissi abbassando il capo, colpevole.
« Continua » asserì Stefan, che nel frattempo si era calmato.
« Insomma, io l’ho abbracciato. Abbiamo dormito insieme. » Gli occhi di Stefan si aprirono a dismisura e la mascella gli cadde per terra.
«NO! Oddio no… non in quel senso. Avevo paura di un temporale e lui mi ha fatto dormire nel suo letto. Ma non è successo assolutamente niente. Lasciamo stare. Non ha importanza, davvero. Forse non avremmo dovuto parlarne. »
« Caroline, io non ti giudico. Di certo ho commesso errori ben più gravi di questo, non sarei mai così ipocrita da criticarti. Però, permettimi di dirlo, se ne hai voluto parlarne – con me, per giunta – vuol dire che per te un significato deve pur avercelo. » disse Stefan, improvvisamente dolce.
« Io… non lo so. Credimi, davvero, non so più cosa pensare. Non ho idea di cosa mi sia capitato. Tutto quello che so è che un giorno era il solito pazzo assassino di sempre e il giorno dopo… non lo era più. In quella casa, da soli, ho conosciuto un lato di lui che non pensavo nemmeno esistesse. Si è aperto e confidato con me, mi ha raccontato fatti della sua vita. Per quel poco tempo trascorso assieme, lui era… normale. Umano. »
Stefan sorrise come se sapesse esattamente di cosa stessi parlando.
« Credimi, da quando lo conosco ho trascorso parecchio tempo a cercare di analizzare il suo comportamento. A cercare di capire se quello che faceva vedere agli altri di sé non fosse semplicemente una maschera. Ogni volta, però, che cercavo di parlare veramente, lui cambiava discorso. Non si è mai mostrato meno del bastardo che sembra. Fino ad ora, almeno.  »
« E cos’è cambiato ora? » chiesi disorientata.
Stefan alzò gli occhi verso di me e parlò come se la cosa fosse evidente. «Ha incontrato te. »







*Commento.
Ciao a tutti :) Ed ecco qui il nono capitolo. Che ve ne pare? vi comunico che scriverlo è stato un vero e proprio parto, UNA TORTURA insomma. Qui troviamo il riavvicinamento dei fratelli Originals ma anche una cosa molto importante: Un momento di confidenza fra Caroline e Stefan! Come avevo già detto ad alcuni di voi, ho sempre voluto approfondire la loro amicizia e in questo capitolo l'ho fatto :) ovviamente non sarà l'ultima volta che i due si confrontano. Posso confermarvi che questo è l'inizio di una grande amicizia ^^
Come sempre ringrazio tutti quelli che recensiscono, inseriscono tra i preferiti/ seguiti e anche i lettori silenziosi :* Siete fantastici. 

Inoltre dedico questo capitolo alla mia dolcissima, fantastica e bellissima Eleonora che si è autoproclamata mia fan numero 1 :')
Non sai quanto sia importante per me il tuo sostegno, amore <3

Che altro dire, GRAZIE A TUTTI, VI VOGLIO BENE!

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Capitolo 10
*** Help, I'm Alive ***


Heaven’s in your eyes.
 


 Pov Caroline
 

« signorina Forbes? » chiese la mia professoressa di matematica, interrompendo il flusso distratto dei miei pensieri.
« Si? »
« Dato che sembra molto attenta alla lezione potrebbe dirci lei la risposta del quesito n. 50?  » mi riprese con finta gentilezza e una pesante nota di sarcasmo. Avevo sempre odiato la matematica e chiunque la insegnasse. Ovviamente non sapevo nemmeno il testo di quel maledetto quesito n. 50 perché, inutile dirlo, ero stata assente mentalmente per tutta la lezione.
Aprii la bocca per inventare qualche scusa quando la campanella mi salvò. Ringraziai mentalmente tutti i santi mentre, sotto lo sguardo irritato della professoressa, mi dirigevo all’aula successiva. Controllai il telefono per vedere se qualcuno mi avesse cercato, ma niente. Appena rialzai lo sguardo mi bloccai in mezzo al corridoio beccandomi qualche spallata.
Una spigliata e felice Rebekah passeggiava per i corridoi a braccetto con un altrettanto spensierato Kol. Ma da dove diavolo usciva? L’ultima volta che lo avevo visto era al ballo organizzato da Esther.
La mia attenzione cadde nuovamente su Rebekah, che si girò verso di me e mi salutò teneramente con una mano, come se fossimo vecchie amiche che si rincontrano per una piacevole chiacchierata. Io, dal canto mio, mi trattenni con tutte le forze dall’alzare il mio dito medio. Piuttosto la guardai malignamente. Non se ne era andata? Aveva capito che eravamo noi le autrici del casino a casa sua? Perché si faceva vedere a scuola? Che cosa c’entrava Kol? Si sarebbero stabiliti qui, a Mystic Falls?
Osservando i due fratelli originali procedere tranquillamente per i corridoio, non potei fare a meno di pormi la domanda fondamentale: Sarebbe rimasto anche Lui ? Dov’era ora? Le mani cominciarono a sudarmi e la fronte si imperlò di sudore, mentre un brivido mi attraversava l’intera spina dorsale.
Aveva detto che se ne sarebbero andati, che non c’era più niente a trattenerlo in una piccola cittadina. E forse era così, forse se ne era veramente andato. Forse erano rimasti solo loro due. Era inutile preoccuparmi, erano solo Rebekah e Kol. Niente di più. Nessuno di più. Con questi pensieri nella mente, proseguii il viaggio verso la prossima lezione sconvolta più che mai.
 
 
Due ore più tardi, quando anche l’ultima ora era volata via, mi diressi verso l’uscita. Ormai non c’era più nessuno, solamente qualche auto sparsa qui e lì. Gli ultimi rimasti si accingevano a lasciare quell’edificio il prima possibile mentre io attendevo Tyler. Ero appoggiata ad una colonna quando sentii dei passi e delle voci avvicinarsi sempre di più. Non appena entrambi girarono l’angolo, le risate di Rebekah e Kol si fecero cristalline. Mi passarono davanti senza degnarmi di uno sguardo e scesero la breve scalinata. In quello stesso momento una fiammeggiante decappottabile rossa fece il suo ingresso nel parcheggio della scuola, ruggì un rombo di motore e sgommò a pochi metri da loro. Un raggiante Klaus con indosso una maglietta grigia e un paio di rayban scurissimi, fece segno ai due giovani – si fa per dire – ragazzi. Appena lo vidi il mio cuore morto fece un tonfo, come una specie di capriola. Ma cosa diavolo stava facendo qui? Che cosa voleva dire tutto questo? Era tornato o era solo di passaggio? Da quando faceva il bravo fratello maggiore che va a riprendere i fratelli a scuola? Vederlo così indifferente e felice da far schifo mi riportò alla mente la nostra piccola fuga. Cioè, il rapimento. A quanto vedevo era tornato lo stesso arrogante e presuntuoso di sempre. Provai una sensazione strana. Mentre era via, o almeno pensavo lo fosse,  era diventato come una presenza nebbiosa nella mia mente. Non aveva contorni definiti e nemmeno un volto. Era solo una sagoma che ogni tanto faceva capolino nei pensieri comuni. Era astratto. Ora che lo rivedevo, invece, mi accorsi di quanto fosse presente e dannatamente reale. Potevo percepirlo con ogni senso.
Chissà se mi aveva vista. Io me ne stavo tranquilla nella stessa posizione di pochi secondo prima del suo arrivo. Mi stupii di quanta calma e razionalità dimostrassi. Deve essere lo shock, pensai. Non potevo vedere il suo sguardo da dietro gli occhiali neri, così sperai non mi avesse notata. Un colpo di clacson interruppe il flusso dei miei pensieri. Voltai la testa a sinistra e notai Tyler appoggiato alla macchina. Ovviamente quello che era appena successo non era passato inosservato agli occhi degli Originali. In un secondo fui al suo fianco con un grande sorriso. Non perdemmo tempo, lui prese il mio viso fra le mani e mi baciò. Io mi aggrappai alle sue braccia e ricambiai il bacio. Mi strinsi ancora di più a lui, che mi mise una mano dietro la nuca. Non era la prima volta che ci baciavamo in quel modo in pubblico, ma in quel momento era diverso. Lo facevo perché volevo che Klaus vedesse. Quando ci staccammo, ruotai leggermente lo sguardo e vidi la decappottabile sfrecciare via. 
 
 
 
 
 
«Questo film mi annoia. » mugugnò Tyler, spostando la leggera coperta che ci copriva. Eravamo sul divano del mio salotto, io accoccolata contro di lui, e vedevamo ‘Dear John’.
« Oh mio Dio, Tyler. Come non può non piacerti una tale storia d’amore? » dissi shockata, staccandomi dalla sua spalla e alzando lo sguardo verso di lui. La mia espressione accigliata e scandalizzata lo fece ridere, così mi diede un buffetto affettuoso sulla guancia.
« Sei proprio bella quando fai così… » il suo sguardo si fece da giocoso a serio.
« Smettila, non è vero. » risposi io, coprendomi la faccia e arrossendo.
« Si è vero, vieni qui. »
Così dicendo mi cinse le spalle e mi avvicinò a lui. Poi mi baciò lentamente la mascella, la guancia, il naso, fino ad arrivare alla bocca. Appoggiò la fronte alla mia e mi fece sdraiare. Poi, dolcemente, si stese sopra di me. Tutto il suo peso era addossato contro di me e respiravo a fatica. Feci una smorfia buffa e sussurrai:
« Mi vuoi spappolare? »
Lui sorrise e si alzò subito. « Non ti ho detto di smettere. »
Tyler riassunse la posizione iniziale, tenendosi però con le braccia. Mi era mancato moltissimo e averlo vicino mi trasmetteva sicurezza. Con lui non dovevo essere niente di diverso da me stessa. Potevo essere un mostro. Era il mio porto sicuro, la coperta calda a fine giornata, il riparo dalle intemperie. Era il posto in cui mi rifugiavo quando mi odiavo. Era l’appiglio a cui mi aggrappavo. Quando pensavo a Tyler, le prime parole che mi venivano in mente erano sicurezza, protezione, casa, calore, abitudine. In fondo ci conoscevamo da quando eravamo piccoli, eravamo cresciuti insieme. Sapevo tutto di lui, conoscevo ogni singola sfumatura del suo carattere, ogni sua abitudine. Intuivo i suoi pensieri da un semplice gesto delle mani. Per noi era facile capirci senza parlare. Ci guardavamo negli occhi e tutto veniva da sé, semplice e spontaneo. Lui mi bastava e non avevo pretese alcune.
Si fermò.
« A cosa pensi? Sei distratta. » chiese senza muoversi.
« Penso che ti amo. »
I suoi occhi si illuminarono di gioia.
« Era da tanto che non me lo dicevi. » disse baciandomi la guancia.
« Mi dispiace. Dovrei farmi perdonare, allora… » risposi cominciando a baciargli languidamente il collo. Lui si avvicinò più a me, premette per qualche istante il corpo contro il mio.
Il desiderio si fece forte, fin troppo. Con lui, anche quell’ aspetto era semplice. Ci bastava poco per divertirci.
Il tutto, però, fu interrotto dal rumore dell’auto di mia madre che parcheggiava nel vialetto.
Due minuti dopo, quando mia madre entrò in casa, noi eravamo nuovamente seduti – a debita distanza – e vedevamo il film.
« Ciao ragazzi! Che guardate? »
« Dear John. » risposi io, mentre entrambi sorridevamo angelici a mia madre.
« Salve signora Forbes. »
« Ciao Tyler, torno proprio ora da un colloquio con tua madre. Ti andrebbe di restare a cena con noi? »
« Certamente signora, ma solo se posso aiutarla a cucinare. Come sa, Care è un po’ impedita in queste faccende. »
Entrambi scoppiarono a ridere, mentre io mi finsi offesa.
« Va bene, capisco. Mentre voi parlate vado un attimo in camera, torno subito. »
Arrivata in camera, controllai il mio cellulare. Avevo un messaggio da parte di Stefan.
 
         Klaus è al Grill. Cosa faccio? -
         Cazzo. Anch’io l’ho visto questa mattina, ma pensavo fosse di passaggio. –
         Vuoi che ci parli? – 
         No, fa niente. Sei con Elena? Ti prego non dirle quello che è accaduto. -
         Sono solo. Ok, ci risentiamo. Un abbraccio. -
 
 
Cosa aveva in mente Klaus? Perché si faceva tranquillamente vedere in pubblico? Voleva far finta di niente? Fare il bravo cittadino?
Poteva far l’indifferente riguardo  tutti i drammi che aveva causato, ma non poteva ignorare quello che entrambi sapevamo. Non poteva ignorare quello che era successo. Non gli avrei permesso di rimanere e di far soffrire la mia migliore amica.  Per quanto una parte di me lo volesse aver vicino, volesse smettere di essere arrabbiata con  lui, non potevo voltare le spalle ai miei amici. Lo dovevo a Elena, a Tyler e a Stefan. Lui aveva fatto soffrire tutte le persone che amavo e io non potevo dimenticarmene. Per quanto fossi sicura che in lui ci fosse qualcosa di più, dovevo avere delle priorità. E lui non rientrava nella lista.
 
 
 
 
 
Due giorni dopo
 
 
« Ei, Care! »
Elena mi corse incontro nel parcheggio della scuola.
« Elena! » mi avvicinai sorridendole.
« Scusami se questi giorni non ci siamo viste, sono stata sommersa dalle prove d’esame. »
« Figurati, anch’io. La professoressa di matematica, quella del mio corso, mi tiene sotto controllo. » sbuffai ricordando l’avvenimento di pochi giorni prima.
« Quindi pensavo… quale cosa migliore, per superare lo stress, di una serata fra ragazze? Io, te e Bon. Stasera, al Grill. Ci stai? » propose la neo vampira, sorridendomi.
« Altrochè! Ma dobbiamo convincere Bonnie a bere o non ci divertiremo. »
Entrambe scoppiammo in una fragorosa risata.
 
 
Appena rientrai a casa, un paio d’ore dopo, mi concessi un lungo bagno caldo. Quando uscii erano le 17.30. Avevo esattamente un’ora e mezza per prepararmi. Troppo poco.
Mi diressi verso l’armadio sperando di trovare qualcosa di decente. Fortunatamente lo trovai subito: un vestito nero con dei fiorellini bianchi e rossi, piuttosto corto e con delle spalline sottili. Ai fianchi erano ricamati dei fiori in pizzo nero, che lo impreziosivano. Decisi di abbinare un paio di tacchi a zeppa marroni. Aggiunsi una giacca di pelle nera e una borsetta a mano anch’essa nera. Mi truccai leggermente gli occhi e misi del rossetto rosso. Lasciai i capelli sciolti a ricadere sulle spalle. Alle 18. 45 decisi che ero pronta e mi incamminai al Grill a piedi.
 
 
 
«Alla felicità! » gridò Elena.
«All’amicizia! » aggiunsi io.
« Alla vodka! » urlò Bonnie.
Dopo aver brindato, buttammo subito giù gli shottini che Matt ci aveva preparato.
Appena ci eravamo incontrate, al Grill, ci eravamo abbracciate. Ci eravamo sedute, avevamo ordinato la cena ed eccoci, qualche ora più tardi e molti drink dopo, completamente ubriache. Non smettevamo un minuto di ridere, eravamo completamente partite.
Poi arrivò Matt a controllarci e a portarci tre bicchieri d’acqua fresca.
« Ragazze, tutto bene? Vi sento fin dal bancone. Per fortuna che avete preso un tavolo nascosto, altrimenti ora il ristorante sarebbe vuoto. » scherzò lui, scompigliando i capelli a Bonnie.
« Stiaaaamo mooolto beeeene » rispose Elena, con un tono di voce che faceva intendere l’esatto opposto.
« Matt, vieni qui, devo dirti una cosaaaa » urlai io.
« Ok Care, basta che la smetti di urlare! Ti sento benissimo. »
Matt si avvicinò e io gli feci segno di accostare l’orecchio.
« Ehm, io penso… si penso di essere un pochino ubriaca. » sussurrai, cercando di reprimere l’ennesimo impeto di risate.
« Va bene ragazze, la festa è finita. Elena, ora chiamo Stefan e ti faccio venire a prendere. Care, tu esci a prendere una boccata fresca, fra poco Tyler sarà qui. Bonnie, tu aspetta dieci minuti e ti accompagno io a casa. »
Noi tre, deluse dalla fine della “festa”, dicemmo: «Nooo » in coro, ma Matt non voleva sentire ragioni. Così ci alzammo – per quanto fosse difficile camminare in equilibrio ubriache e con quei tacchi – e ci dirigemmo fuori. L’aria pungente della notte mi fece rabbrividire le spalle, ricordandomi che avevo dimenticato la giacca dentro.
« Ragazze, io ho dimenticato la giacca dentro. Torno subito. Aspettatemi!»
Quando tornai, però, di loro nemmeno un’ombra. Il cellulare mi squillò nella borsa: un messaggio di Elena.
 
       Sono arrivato  mentre eri dentro, Bonnie è con noi. Avvisa Matt, un bacio.  S. –
 
Stringendomi nella giacca, inoltrai il messaggio a Matt, poi infilai il cellulare nella borsa e cominciai a camminare per cercare di smaltire la sbronza. Fissavo il marciapiede e le mie scarpe, sbandando ogni tanto ma attenta a non cadere rovinosamente a terra. Mentre camminavo sotto un lampione, esso improvvisamente si spense. Mi ritrovai a camminare nel buio quasi totale, interrotto a volte dalle luci delle poche auto che ancora circolavano. Continuai a camminare a testa bassa, quando mi scontrai con qualcuno. Alzai lo sguardo e mi ritrovai davanti un Klaus evidentemente sorpreso.
« Caroline » sussurrò.
Io lo guardai di rimando, confusa per via dell’alcol e della sua vicinanza, e subito mi accorsi di una presenza al suo fianco. Una bellissima ragazza dagli occhi grandi e verdi e dai capelli marroni, stava al suo fianco, silenziosa. Abbassai lo sguardo e notai le loro mani intrecciate. Bene, era in dolce compagnia. Decisi di togliere il disturbo e di andarmene, ma quando fui in procinto aggirarli, sentii fischiare e urlare il mio nome. Tyler era arrivato. Li guardai  un’ultima volta,lanciando un’occhiata fugace a lei e una di odio a lui. Poi mi girai verso il mio fidanzato e gli feci un cenno. Non volevo più vedere Klaus, non volevo più guardare le sue mani intrecciate a quelle della mora, così a velocità vampiresca fui al fianco di Tyler. Evidentemente lui non si era accorto delle loro presenze.
Mi prese per le spalle, baciandomi la fronte e mi adagiò sul sedile. Appoggiai la testa al finestrino freddo della macchina e, troppo confusa e ubriaca per riuscire a pensare lucidamente a quello che era appena accaduto, caddi in un sonno profondo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*Commento.
Ciao a tutti! (: Ecco arrivato il nuovo capitolo. Ringrazio di cuore tutti coloro che recensiscono e inseriscono tra le preferite/seguite/ ricordate. Come sempre il vostro affetto e sostegno mi motivano a fare del mio meglio. 
Che dire, questo capitolo non mi piace granché. Non succede niente di nuovo, tranne il finale, e diciamo che è un capitolo di passaggio.
Chi sarà mai la brunetta che accompagna Klaus? Tutto quello che posso dirvi è che io la immagino come la bellissima Phoebe Tonkin. Scoprirete di più nel prossimo capitolo, non uccidetemi :P
 
NOTE:
- Il vestito che indossa Caroline è praticamente questo:
http://www.asos.com/it/Free-People-Vestitino-a-fiori-con-spalline/254ug/?iid=2165856&mporgp=L0ZyZWUtUGVvcGxlL0ZyZWUtUGVvcGxlLVN0cmFwcHktRmxvcmFsLU1pbmktRHJlc3MvUHJvZC8.
 
-         Il titolo del capitolo è tratto dalla canzone ‘Help i’m alive’ dei Metric e sono piuttosto sicura che sia stata utilizzata come colonna sonora della serie stessa.
Avviso: Ho una notizia un po’ bruttina da darvi. Dato che siamo ad Agosto e il mio esame di riparazione di matematica si avvicina inesorabilmente, credo che gli aggiornamenti saranno meno frequenti. Diciamo che pubblicherò un paio di volte la settimana, se tutto va bene. Scusatemi davvero.
 
Bè mi sembra di aver detto tutto, alla prossima. <3

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Capitolo 12
*** So cold and so Sweet. ***


Heaven’s in your eyes


Pov Caroline
 
 
Erano ormai due giorni che io ed Elena non ci parlavamo.
Mi sentivo in colpa per non averle detto la verità e per averla praticamente cacciata da casa mia, ma non potevo ancora dirle quello che era successo e stava succedendo fra me e Klaus. Avevo paura del suo giudizio non perché l’ibrido aveva praticamente distrutto le nostre vite, ma perché io ero riuscita a trovare in lui qualcosa che valesse la pena di essere trovato. Elena mi aveva sempre rimproverato per la mia ingenuità, diceva che io vedevo del buono in tutte le persone e che non mi rendevo conto di quanta ipocrisia e cattiveria ci fosse nel mondo. Forse era vero, ma preferivo soffrire piuttosto che lasciarmi scappare le persone per i miei pregiudizi. Io ero fatta così, credevo nelle persone. Mi ci immergevo. A volte rimanevo delusa, a volte sorpresa.
 
Stanca di tenermi tutto dentro, decisi di andare da Bonnie e sentire il suo parere. Sebbene la strega avesse sempre odiato i vampiri e qualsiasi cosa fuori il suo controllo, era una mia grande amica e aveva sempre accettato tutte le mie scelte. Anche quelle sbagliate.
Uscii di casa distrattamente, senza chiudere a chiave e mi diressi alla macchina. La casa di Bonnie era poco distante dalla mia, così ci impiegai nemmeno cinque minuti. Da quando sua nonna era venuta a mancare, qualche anno prima, Bonnie aveva deciso di andare a vivere nella sua casa.
Scesi dall’auto e mi incamminai tranquillamente verso il portico in vecchio stile di quella casa che mi aveva sempre affascinato, fin da piccola. Bussai e dopo pochi istanti la mia amica mi venne ad aprire.
«ei Care, che ci fai qui? » mi sorrise dolcemente.
«Bonnie! Passavo da queste parti e ho deciso di farti una sorpresa.  » mi avvicinai per entrare ma una forza invisibile bloccò il mio passaggio.
«Oh, scusami. Non ti avevo ancora invitata ad entrare. Quanto tempo è passato dall’ultima volta che sei venuta?  » chiese in modo retorico, ma sapevo che ci stava male. Era passato così tanto tempo da quando ci incontravamo a casa sua, ci preparavamo una cioccolata calda e passavamo un po’ di tempo semplicemente chiacchierando come tutte le ragazze normali.
La guardai dispiaciuta per un breve momento, poi dissi: «Sicuramente troppo. »
«Dai su, entra. »
 
La casa della nonna di Bonnie era regolata in modo molto armonioso. C’era un piccolo ingresso che, percorso fino alla fine, portava all’ambiente del salotto. Alla destra c’era una scala semplice in legno chiaro che portava alle stanze da letto. Il soggiorno era composto da un divano a 3 posti, una tv non troppo grande posizionata al lato più a nord della casa e finestre dai vetri colorati che filtravano la luce del sole in modo molto suggestivo. Sulla sinistra c’era un tavolo di legno molto scuro, probabilmente ebano,  con quattro sedie imponenti e, appoggiata alla parete, si trovava una grande libreria piena di volumi spessi e antichi, che dovevano essere i Grimori di famiglia.
 
«Allora, immagino che tu debba dirmi qualcosa.  » Come faceva a saperlo? Mh, cose da streghe.
«Immagini bene…  » dissi distogliendo lo sguardo e abbassando la voce.
«Tu siediti sul divano, io metto a scaldare un po’ di tè.  » e così dicendo si avviò nella stanza adiacente, la cucina.
«Bonnie, ti ricordi quando in terza elementare ero diventata amica di Seth, quel bambino che ti aveva rubato la merenda e che tu odiavi? » chiesi in modo vago, mentre le mani cominciavano a sudarmi. In quel momento fui grata che si trovasse in un’altra stanza e che non potesse guardarmi negli occhi.
« Continua… » mi incoraggiò lei, sporgendosi per un istante attraverso la porta.
« Tu poi ti eri arrabbiata con me, ma quando ti spiegai che lui non era cattivo, ma solo, lo perdonasti per essersi comportato male con te. »
«Si, perché venne da me e mi chiese scusa. Ci fidanzammo anche, in seconda media. E dopo tanti anni mi offrì un pranzo per farsi perdonare. »
«Appunto. La pensi ancora così? Cioè, pensi ancora che… che, uhm » feci una pausa e sospirai, «pensi ancora che una persona si possa costruire una maschera e fingere di essere qualcuno che non è? Fingersi… cattivo?  » terminai il mio impacciato tentativo di tirar fuori il rospo.
«Caroline, mi stai confondendo, ma si. Penso ancora che dietro le apparenze possa nascondersi qualcosa che non è come sembra. Penso che a volte le persone abbiano paura di essere se stesse e non essere accettate e si fingano diverse. Penso che spesso le persone allontanino tutti per non essere ferite. »
Wow, non avrei mai pensato che Bonnie potesse pensarla così. Si era sempre mostrata impavida e pronta a sparare sentenze casuali.
«Bonnie, è successo qualcosa?  » In quel momento la mia amica arrivò in salotto con un vassoio e due tazze di tè fumanti.
«In realtà anch’io devo parlarti di una cosa. » ammise lei, concentrandosi più del dovuto nel girare lo zucchero.
«Parlamene. Non ti giudicherò.  » confermai premurosa.
« Ecco, lo scorso pomeriggio io ero al Grill e… e… insomma, voglio dire… »
«Riprendi fiato. » suggerii.
«Ero al Grill, stavo studiando, quando ad un tratto… un ragazzo, un ragazzo che entrambe conosciamo, mi si è avvicinato. » confessò timorosa lei, sempre senza guardarmi.
«E…? » la incoraggiai.
«E mi ha chiesto aiuto con lo studio. » Non capivo il senso delle sue parole, cosa c’era di tanto importante? Bonnie era sempre stata molto brava a scuola e spesso alcuni nostri amici le avevano chiesto aiuto. L’avevo fatto anch’io, lo scorso anno, in prossimità del mio test di recupero.
«Non capisco, cosa c’è di tanto rilevante? Cosa ti turba? »
La mia amica prese un respiro profondo e parlò velocemente. Se fossi stata umana non avrei capito una singola parola.
«Kol. Kol, l’Originale che ha tenuto Jeremy sotto controllo a Denver, l’Originale che per poco non ha ucciso Damon, Kol, il fratello di Klaus e Rebekah, Kol mi ha chiesto aiuto per lo studio. Kol!  »
 
«Okay Bon, ora smettila di ripetere il suo nome e non farti prendere dal panico. »
 
«Ti rendi conto? Un vampiro con migliaia di anni di vita, presumo, ha chiesto aiuto a me per uno stupido test di chimica. »
«Probabilmente ha solo bisogno di aiuto. Forse non ha mai frequentato il liceo, forse vuole solamente farsi qualche amico. »
Lei mi guardò scettica, come se non fosse possibile che un membro della famiglia Mikaelson avesse bisogno di aiuto o di amici. Loro avevano la stronzaggine nel patrimonio genetico.
«Tu comunque cosa gli hai risposto?  » le chiesi curiosa di sapere come si era comportata di fronte a quell’insolita richiesta.
«Gli ho detto di sì…  » abbassò la testa dispiaciuta.
«Bonnie, nessuno ti giudica per questo! È normale che tu abbia degli amici e che le persone ti chiedano aiuto con la scuola, insomma, sei un genio. »
La sua risata contenuta mi fece star bene, ero contenta di averla fatta ridere.
«Ma Care, andiamo, come faccio a dare ripetizioni a un membro della famiglia che ci ha rovinato la vita? » chiese esasperata, sprofondando fra i cuscini del divano.
« Ti stai ponendo degli ostacoli da sola. Andiamo, devi solo dargli ripetizioni. Non devi mica uscirci a cena, a meno che… »
Lei si alzò di scatto guardandomi con gli occhi spalancati.
« A meno che cosa? » chiese spaventata, con una smorfia in viso.
« A meno che lui non ti interessi. Oh mio Dio è così! Ti piace! Non ci credo. » urlai sorpresa, guardandola arrossire e portarsi il cuscino sulla faccia.
« No, ma cosa dici, non mi piace. Ci ho solamente cenato una volta… »
« Coooosa?! Raccontami tutto. »
« Non c’è niente da raccontare. Quel pomeriggio, quando mi ha chiesto aiuto, mi ha offerto un panino. »
« Bon, cosa ti ha convinto a dire sì? Tu odi i vampiri. »
« Sai Care, sono stanca di vivere secondo i pregiudizi. Sono stanca di dover sottostare alle stupide regole delle mie stupide antenate. Certo, è vero, mia madre è diventata un vampiro per tutta questa storia. Per colpa di Klaus, di Kol e della loro famiglia. Eppure anche per colpa nostra sono morte persone innocenti. Vicki è morta. Tutti abbiamo sbagliato in questa faccenda, siamo tutti colpevoli. Non voglio più vivere in questo modo. Kol mi piace. È gentile, molto simpatico e anche se fa lo sbruffone… io ho visto qualcosa in lui. E nemmeno se parlassimo per il resto della nottata saprei spiegarti cosa sia precisamente. È stata come una luce, una scintilla che ho colto nel suo sguardo. C’era qualcosa in lui, nel modo di trattarmi… nessuno mi aveva mai trattata così. Non so proprio come spiegartelo e sicuramente penserai che sono pazza. »
« Se ora tu sapessi quant’è buffa questa situazione, rideresti come sto facendo io. »
Era incredibile che per tanto tempo avessi temuto il giudizio della mia amica, quando in realtà lei poteva capirmi benissimo.
« Quello di cui volevo parlarti è molto attinente a questo. »
« Davvero? Continua.  »
« Ricordi quando, prima di sconfiggere Alaric vampiro, ero scomparsa per una settimana? »
« Certo, avevo fatto degli incubi terribili. Le streghe mi avevano contattato nel sonno per dirmi che qualcosa di terribile stava accadendo. Inizialmente mi ero preoccupata, ma quando Tyler ci aveva detto che eri al sicuro, ho solamente creduto che le mie antenate mi stessero avvisando di quello che sarebbe successo ad Elena. »
« In realtà qualcosa è successo. »
La mia amica mi guardò con uno sguardo serio e mi fece cenno di continuare.
« Klaus mi aveva rapita. Mi aveva portato in una casa appena fuori al confine. »
« Per quale motivo? Ti ha fatto del male? » chiese Bonnie preoccupata, giungendo alla stessa conclusione di Stefan.
« No, no, no. Certo che no. Mi aveva portata lì per tenermi al sicuro da Alaric. Aveva persino chiesto aiuto ad una strega per fare un incantesimo alla casa, penso fosse una Bennet. »
« Forse so chi è, mia madre mi ha parlato di una strega che intrattiene rapporti piuttosto amichevoli con Klaus. »
« Oh… comunque, insomma, in quella casa è successo qualcosa. Lui mi ha mostrato un lato di sé di cui io non avrei mai immaginato l’esistenza. Mi ha chiesto di essere amici, mi ha detto di tenere a me. E io ho accettato la sua proposta. »
 
« Quindi ora siete amici? Perché non me lo hai detto subito? » chiese Bonnie dolcemente, prendendomi la mano.
« Non tel’ho detto perché pensavo mi avresti giudicata e ti saresti arrabbiata per la mia ingenuità. » ammisi sconfortata.
« Ora le cose sono diverse » continuai « quando Elena venne trasformata, io non lo sapevo. Lui invece si, e continuò a tenermi in quella casa, impedendomi di precipitarmi qui. Quando mi ha lasciata andare, io non sapevo ancora cosa fosse successo qui, così pensai che si fosse stufato di me. Mi ha detto di non aver più bisogno di me, che non sarebbe più tornato a Mystic Falls. Ora invece è qui, due giorni fa si è presentato in camera mia, l’ho incontrato anche dopo che io, tu ed Elena abbiamo ‘festeggiato’. Non so perché sia rimasto, non so perché continui a cercarmi. Ha perfino una ragazza. »
Bonnie, che fino a quel momento era stata in silenzio, mi strinse più forte la mano prima di parlare.
« Forse ti ha detto di non aver più bisogno di te perché sapeva che solo così te ne saresti andata. Potrebbe averlo fatto per il tuo bene. » ipotizzò lei.
« Ma allora perché non mi ha detto di Elena? Ogni volta che gli chiedevo spiegazioni lui si scusava e cambiava argomento. Si scusava! Riesci a crederci? Klaus che si scusa. Pazzesco.»
« Sappiamo com’è fatto, o almeno come fa finta di essere, forse non sapeva e non sa ancora come comportarsi. In fondo non ha avuto molti rapporti. Forse ha solo bisogno di sapere che a te importa di lui quanto a lui importa di te. Dovresti parlarci, dirgli tutto quello che hai detto a me. Lui, se ci tiene veramente, ti ascolterà e ti capirà. Ne sono più che convinta.»
Non potei fare a meno di trattenere qualche lacrima che scendeva dai miei occhi, mentre sussurravo: «oh, Bonnie… » e abbracciavo quell’amica così speciale che anche ora mi era vicina.
« Sono contenta di avertelo detto. Mi sento molto più sollevata, un tuo giudizio negativo mi avrebbe uccisa. »
« Anche per me è la stessa cosa. » mi sorrise allegramente, libera dal suo segreto.
 
Il suo sguardo però divenne serio. « Caroline, tu cosa provi per Klaus? »
Avrei voluto saperlo anch’io. « Non lo so. Quello che sentoè che ogni volta che lo vedo le mie gambe vorrebbero staccarsi dal corpo e correre per fatti loro. E quando lo vedo con lei, vorrei ucciderla. Nel vero senso della parola. Quando lui mi ha detto quelle cose, alla casa, mi ha fatta sentire speciale. Mi ha fatta sorridere. Lui è qualcosa di totalmente inaspettato, è piombato nella mia vita senza preavviso e ha sconvolto tutto quello che prima era importante. Con lui non so mai che succederà, è tutta una scoperta e una sorpresa. È imprevedibile. E questo mi piace. Ma tutto ciò non ha importanza, sono arrabbiata con lui. Non avrebbe dovuto tenermi nascosta la verità. E poi siamo entrambi impegnati, quindi il problema non si pone. »
« Farai quello che ti ho suggerito? Gli dirai quello che hai detto a me? »
« Certo, Bon. Lo farò per aggiustare la nostra amicizia. » dissi cercando di apparire il più convinta possibile.
« Amicizia. » marcò lei, alzando un sopracciglio.
« Si, certo, amicizia. In fondo è come hai detto tu, dobbiamo dargli una possibilità. »
« E cosa farai con Tyler? »
Non ebbi il tempo di rispondere alla sua domanda che il mio cellulare iniziò a vibrare. Frugai nella borsa per qualche secondo prima di trovarlo e, appena lessi sul display il nome del mio ragazzo, riagganciai.
« Chi era? » chiese Bonnie facendo finta di non saperlo già.
« Lo sai. Comunque non capisco, cosa intendi? »
« Tyler non accetterà la vostra “amicizia”. » mimò lei con le mani, « lui odia Klaus. Lo ha asservito e trattato come uno schiavo per tantissimo tempo. »
« Tyler si fida di me. Inoltre se farà qualche storia, gli dirò che i miei amici non sono affari che lo riguardano. »
« E lui, da gelosone qual è, ti risponderà che sono esattamenteaffari che lo riguardano. » rispose la mia amica.
« Bon, smetti di mettermi ansia. Se ci sarà qualche problema lo affronterò a tempo debito. »
« Questa è la prima volta. »
« Cosa? »
« è la prima volta che non gli rispondi. »disse la mia amica con fare ovvio.
« Smettila. Fra me e Klaus non c’è niente. » alzai gli occhi al cielo.
« E chi lo ha mai detto. » era furba la ragazza.
« Comunque, ti va di cenare insieme stasera? Offro io. »
« Allora sì! Mi passeresti a prendere? Ho prestato la macchina ad Elena. »
« Certo. Ti passo a prendere alle 20, okay streghetta? » dissi dandole un buffetto sulla guancia.
« Va bene, ma questa sera non beviamo! »
 
 
 
 
Appena arrivai a casa, quel pomeriggio, trovai una piccola busta sul tavolo della cucina. Mi avvicinai incuriosita e sbirciai dentro. C’era un pacchetto che non esitai a scartare. Al suo interno, un morbidissimo foulard di seta rossa. Non c’era nessun bigliettino o mittente, così pensai fosse un regalo di Tyler. Portai il tessuto al viso e annusai quella perfetta fragranza. Decisi che lo avrei richiamato più tardi, prima avrei fatto una doccia.
 
Dopo esser uscita dal bagno, mi diressi come al solito nella mia camera per decidere cosa avrei indossato quella sera. Optai per dei semplici jeans, una canotta rossa dello stesso colore del foulard, una giacca nera non troppo elegante e gli immancabili tacchi.
Lasciai come sempre i capelli nella loro forma naturale, mi truccai leggermente e decisi di chiamare Tyler.
Purtroppo c’era la segreteria.
In quel momento sentii il passo sicuro di mia madre sulla veranda e mi avviai in cucina. La vidi rientrare con parecchie buste della spesa, così le andai incontro e l’aiutai.
« Mamma, hai per caso fatto rifornimento per un eventuale guerra dei mondi? »le chiesi scherzosamente, vedendo quanto effettivo cibo avesse comprato.
« Ma no, sciocchina. Domani sera avremo ospiti. » disse sorridendomi.
« E questi preziosi ospiti non mangiano da qualche settimana? »
« Voglio solamente fare una bella figura. I Mikaelson si sono da poco trasferiti e, dopo l’aiuto che ti ha dato Klaus, mi sembra proprio doveroso invitarli da noi. »
Ovviamente mia madre sapeva di Klaus solo quello che lui voleva, non era a conoscenza delle sue malefatte.
« Cosa, cosa, cosa, cosa? Inviti i Mikaelson da noi? A cena? Nella nostra casa? »
« Proprio così Caroline e tu dovrai esserci. Verranno Elijah, Klaus, Kol e la dolce Rebekah. Quella ragazza è un tale tesoro! Sareste perfette amiche. » Si, come no, e io non avevo letto l’ultima edizione di Vogue.
« Ma bene. Ci divertiremo da impazzire. » dissi priva di entusiasmo.
Mia madre mi sorrise, evidentemente non cogliendo il mio sarcasmo. « Stavi uscendo? »
« Si, vado al Grill con Bonnie. Non aspettarmi alzata. » le dissi baciandola sulla guancia, afferrando le chiavi e dirigendomi fuori.
 
 
Arrivai davanti la casa di Bonnie in perfetto orario e appena accostai lei uscì di casa. Era molto bella, aveva piastrato i capelli e indossava una canotta bianca e una lunga gonna blu che le arrivava fin sotto i piedi. Chiuse a chiave la porta di casa e si diresse verso la mia macchina. Appena montò, esplosi: « Non ci crederai, ma domani mia madre ha inviato l’intera famiglia Mikaelson a casa nostra. Ti rendi conto? Senza nemmeno chiedermi il permesso. »
La mia amica sembrava a disagio, cercò di giustificare mia madre. « Magari pensava che ti avrebbe fatto piacere. »
« Ma scherzi?! Non voglio Klaus e Rebekah in casa mia. » dissi furiosa.
Bonnie mi lanciò un’occhiata severa. « Okay, rettifico, non voglio Rebekah in casa mia. E mia madre pensa addirittura che potremmo essere amiche. Incredibile. »
La mia amica non proferì più parola, così accesi lo stereo e mi concentrai sulla canzone.
In pochi minuti fummo al Grill, ormai il sole era tramontato e l’aria si faceva fresca.
Scendemmo dalla macchina e ci incamminammo verso l’entrata del locale.
Appena entrammo, non mi guardai intorno, mi diressi semplicemente al bancone mentre Bonnie lanciava occhiate furtive qui e là. Ci sedemmo al bancone e pochi minuti dopo arrivò Matt.
« Ciao ragazze! » ci sorrise teneramente.
« Matt, sei la mia salvezza, io prendo una vod.. » non terminai la frase che Bonnie mi diede una gomitata proprio fra le costole.
« Ehm, dicevo, io prendo una coca cola con ghiaccio. Grazie! »
« Per me lo stesso, per favore. »asserì Bon.
Matt, che aveva assistito alla nostra scenetta, cominciò a preparare i nostri drink fra le risate.
« Guarda guarda… » sentii una voce poco familiare alle nostre spalle, così mi voltai.
Kol Mikaelson, in tutta la sua bellezza, sorrideva sornione alla mia amica.
« Kol!» accennò lei, sorridendogli.
« Bonnie! »
« Santo il Messia! » esclamai io per sdrammatizzare.
L’Originale mi sorrise, tendendomi una mano. « Non ci siamo ancora presentati ufficialmente. Io sono Kol Mikaelson. »
« Piacere Kol, sono Caroline. La migliore amica di Bonnie. »
« Lo so. » disse lui, sempre sorridendo. Ma aveva una paralisi facciale?
« Ragazze che ne dite di aggregarvi al nostro tavolo? » disse indicando un punto alle sue spalle. Mi sporsi attraverso la sua figura e, non molto lontano, vidi Klaus che mi guardava. Accennò un cenno della mano a cui io non risposi. Al suo fianco Shannon mi guardava seria, ma non sembrava ostile. Erano seduti vicini, fin troppovicini. Davanti a loro Rebekah mi guardava con la sua solito aria da superiore a cui risposi con una smorfia.
« Preferirei essere scuoiata viva e poi arsa dalle fiamme dell’inferno. » dissi io, lugubre.
Klaus, che probabilmente aveva sentito la mia risposta, scattò e si diresse verso il bagno degli uomini.
Bonnie mi pestò il piede e disse: « Sei molto gentile Kol, grazie, ma non è una buona idea. Ci vediamo dopo.»
La strega mi prese per il gomito e mi trascinò al nostro tavolo abituale mentre Kol tornava al suo tavolo.
« Hai dimenticato tutto quello che avevamo detto oggi pomeriggio? » sibilò lei, arrabbiata per la mia scortesia.
« Scusa Bon, ma non penso sia la cosa giusta da fare. Comunque Kol mi piace, anche se sorride un po’ troppo. » dissi io, guardando nella sua direzione e strizzandogli l’occhiolino. Stavano ascoltando tutto.
« Lo dici tu che prima di tutta questa faccenda sorridevi ininterrottamente anche nel sonno. » proferì lei delusa.
« Su, Bon, non roviniamoci la serata. Se vuoi andare da Kol vai, veramente, io mangerò qualcosa e poi me ne andrò a casa. Magari mi fermo a vedere un film con Tyler. » sorrisi incoraggiandola.
« Non ci provare, non ti lascio sola. Ora ordiniamo. »
Nel frattempo Klaus era tornato e non mi aveva degnato di uno sguardo.
 
Durante la cena lanciai diverse occhiate nella loro direzione, sempre vedendoli ridere e scherzare. Non ci fu una volta in cui rincontrai il suo sguardo.
« Hai un nuovo foulard? » chiese Bonnie d’un tratto, studiandomi.
« Si. È un regalo di Tyler, l’ho trovato questo pomeriggio in casa mia. Non ho ancora chiamato per ringraziarlo. » e così dicendo lasciai correre pigramente lo sguardo per il ristorante, capitando casualmente al loro tavolo. Klaus mi fissava con gli occhi spiritati. Non gli avevo mai visto quello sguardo. Era tradito, arrabbiato, deluso.
Ma per cosa poi?
« Bon, vado a prendere una boccata d’aria. Torno subito. »
Mi alzai e mi diressi verso l’uscita. Passai accanto al loro tavolo senza degnarlo di uno sguardo ed uscii. I miei sensi percepirono l’arrivo di un temporale.
Sia dentro che fuori me.
 
Sentii dei passi alle mie spalle ma non mi voltai, sapevo chi fosse.
« Sta per piovere. »
« Spero proprio che i miei capelli non si rovinino. » dissi freddamente senza voltarmi nella sua direzione.
« Perché non mi guardi? » chiese avvicinandosi ancora.
Mi girai di scatto e lo fissai. « Sei qui con Shannon. » non era una domanda.
« e con Kol e Rebekah. Abbiamo deciso di svagarci. »
« Wow. » dissi solamente questo, incapace di proferir più parola.
Imponenti tuoni cominciarono a squarciare il cielo e l’aria pesante intorno a noi. Si poteva percepire l’elettricità e la calma prima della tempesta.
« Domani sera dovrai sopportarci. » affermò lui, alzando lo sguardo alla volta stellata.
« Non credo. Riuscirò a convincere mia madre, in un modo o nell’altro, a farmi saltare quella stupida cena. Vi conosco già tutti, molto meglio di lei. »
« Ne sei proprio sicura? » pronunciò solenne.
« Quel che basta. »
Le prime gocce di pioggia mi colpirono il viso, così dovetti abbassare lo sguardo. Le percepii anche lui.
« Forse dovremmo rientrare. » spezzai il silenzio.
« Tu vuoi? »
« No» dissi alzando lo sguardo per fermarlo nel suo.
Lui annuì sorridendo.
« Perché mi hai detto che te ne saresti andato da Mystic Falls e poi sei rimasto? »
« Le prospettive cambiano. »
« Non è una risposta. »
« Non volevo lasciarti. »
Oh, questa si che lo era. Rimasi interdetta per un attimo, poi continuai, decisa ad ottenere le mie tanto agognate risposte.
« Io con te non ci capisco niente. Prima ci tieni, poi non ci tieni. Prima mi dici che non c’è nessun noi e poi ci definisci tali. Prima dici che te ne andrai e poi rimani. Non so mai cosa aspettarmi da te. »
La pioggia intanto si era fatta molto più fitta e battente di prima. In pochi secondi fummo completamente bagnati, travolti dal temporale che infuriava sopra le nostre teste. Sbattevo le palpebre velocemente per vederlo al meglio. Agli occhi umani la sua figura sarebbe apparsa sfocata per la forza della pioggia, ma ai miei occhi era perfetto.
« Dammi una risposta. » chiesi implorante, notando il suo persistente silenzio.
« Non ne ho nemmeno per me. »
« Allora credo che non sia rimasto più niente da dirci. »
Lo vidi avvicinarsi a me e sentii alla perfezione la sua mano appoggiarsi sulla mia guancia. Mi aggrappai al suo braccio fermo sul mio viso come se da lui dipendesse la mia vita.
« Ti dona molto il rosso. » disse guardandomi per un istante e scomparendo il secondo dopo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*Commento.
Ciao a tutti! Vi ringrazio per recensire e inserire tra le preferite/seguite/ ricordate.
Con immensa gioia vi comunico che la storia è stata ciccata quasi duemila volte!
Siete splendidi, ognuno di voi, uno ad uno.
Oggi vado di fretta quindi mi dileguo velocemente, fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo, se volete c:
Ps. Il foulard è un regalo di Klaus, ma lui preferisce non dirlo alla dolce biondina.
 
Per qualsiasi cosa potete trovarmi qui: https://twitter.com/sayUremember 

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Capitolo 12
*** This Feels like Falling in Love ***


Heaven's in your eyes.

Pov Caroline



« Caroline? Caroline! » una voce piuttosto irritata chiamava il mio nome. Aprii gli occhi di botto, pentendomene all’istante. Elena aveva appena aperto interamente la tenda della mia camera, facendo entrare la luce calda di quella mattina. Io, a pezzi per la sbronza della sera precedente, mi tirai la coperta fin sopra la testa.

 
« Andiamo tesoro, è mezzogiorno! Sai che la Domenica è giornata di shopping. Forza, ti ho portato la mia crema contro le occhiaie. Fa miracoli. » suggerì la mia amica, massaggiandomi la spalla attraverso la stoffa.
« Non mi sento bene, non ho voglia di uscire. Ho un mal di testa atroce. »
« Nemmeno se ti dico chi ho visto oggi mentre venivo da te? »proferì Elena con un tono preoccupato.
Mi scoprii la faccia.
 
« Forse, potrei…  »
 
« Klaus. » confessò preoccupata. Appena udii il suo nome (anche se ero già sicura che fosse lui) scattai in piedi e corsi in bagno, chiudendo la porta a chiave.
 
Mi guardai allo specchio. Occhiaie violacee si ergevano sul mio viso, gli occhi rossi erano gonfi e la testa mi pulsava come un martello pneumatico. D’un tratto, ricordai. Lo avevo visto, ci eravamo parlati. O almeno lui aveva tentato di farlo. Io mi ero limitata a guardarlo. Poi avevo visto lei. Non ricordavo molto bene il suo volto, ma immaginai dovesse essere molto più della perfezione. In fondo lui aveva sempre il meglio del meglio, come spesso aveva dichiarato.
Ma come si permetteva? Prima mi rapiva, poi mi mostrava un lato di sé di cui non sapevo nemmeno l’esistenza e ora si ripresentava a Mystic Falls a turbarmi la vita e per di più con una gallina da quattro soldi. Cos’avevo fatto per meritarmi tutto questo?
L’incessante bussare di Elena e il suo urlare il mio nome  mi riscosse dai pensieri. Dovevo farle smettere di bussare o la mia testa sarebbe esplosa. Mi legai i capelli alla meglio e uscii dalla camera.
 
« Scusa, dovevo andare in bagno.  » mentii spudoratamente.
« Caroline Forbes, non mentirmi mai più. Cosa ti succede? Da quando sei tornata sei strana.  »
« Scusami Elena, hai ragione. Ma ci sono ancora molte cose che non potresti capire. Ora devi lasciarmi sola, ho molte cose da sbrigare. Prometto che ti dirò tutto. Prima o poi…  »
Non le diedi nemmeno il tempo di controbattere che eravamo già all’ingresso di casa mia e pochi secondi dopo lei era fuori. Mi lanciò uno sguardo dispiaciuto e se ne andò.
Grandioso, come se non avessi abbastanza cose da risolvere, pensai abbattuta.
Non volevo certo tener fuori Elena dalla mia vita e non volevo nemmeno continuare a tenerle nascosta la verità. Ma avevo paura del suo giudizio, di quello che avrebbe potuto dire o fare. Se solo avesse saputo quello che era successo fra me e il nostro eterno nemico, mi avrebbe odiata.
 
Scossa da quei brutti pensieri, tornai indietro. Passando per il corridoio osservai il mio riflesso allo specchio. Pessimo.
Abbassai lo sguardo, sconfitta, e arrivai in camera mia. Un’ombra possente se ne stava sdraiata sul mio letto. Appena focalizzai chi fosse, le ginocchia tremarono, come se volessero staccarsi dalle gambe.
 
« Buongiorno. »
 
« Klaus? Da dove sei entrato? »
Il biondo fece un ghigno divertito per poi fare un cenno verso la finestra.
 
« Sei l’evoluzione cattiva di Edward Cullen? Non ti facevo tipo da bad romance. » chiesi scettica.
 
« Sebbene mia sorella sia fan sfegatata della saga, preferisco ritenermi unico nel mio genere. Non copierei mai un tale rammollito.  » disse lui.
 
« E poi, » aggiunse impertinente, « non volevo turbare la dolce Gilbert. Scommetto che non le hai ancora detto di noi. »
 
« Smettila, non c’è nessun ‘noi’ di cui parlare. L’hai detto tu stesso. » dissi duramente, ricordando(mi)gli la nostra ultima chiacchierata.
Il suo sguardo si fece improvvisamente serio e si avvicinò a me. Pericolosamente, direi.
 
« Mi dispiace. » le sue parole sembravano sincere, ma io non lo guardavo negli occhi. Avevo paura di sapere cosa si nascondeva in quelle iridi attente, osservatrici.
 
« Per cosa, esattamente? » iniziai a torturarmi le mani, in preda a un nervosismo inaudito.
« Per tutto. Per il mio comportamento, per essere rimasto qui.»
« Non vedo perché tu debba dispiacerti di qualcosa che hai deciso tu stesso. Se non volevi che le cose andassero così, potevi evitarlo. Se fossi in te riconsidererei la mia posizione. »
 
Ero furiosa.
 
« Ieri sera, quando ci siamo incontrati… »
« Ero ubriaca, non ricordo niente. » troncai freddamente.
Lui portò gentilmente due dita sotto il mio mento per alzarmi il viso mentre io rabbrividivo al suo tocco.
« La ragazza che era con me… »
« Non sei tenuto a darmi spiegazioni sulla tua vita personale. » dissi flebilmente, ma convinta.
« Potresti smettere di interrompermi? » la sua voce si alzò di qualche tono, svelando il suo solito modo da dittatore.
Non dissi niente, lo guardai sprezzante e gli feci un leggero cenno per proseguire.
 
« Lei è una vecchia amica. È una vampira piuttosto anziana, ma non si direbbe a vederla. »
Ammise sorridendo, come al pensiero di un ricordo felice. Ma bene, era anche una vampira.
« Il suo nome è Shannon. L’ho incontrata circa duecento anni fa. »
« Cosa c’è tra voi? » la domanda che fin dalla sera prima mi ero posta, era sfuggita dalle mia labbra senza che me ne rendessi conto. Lui se ne accorse.
« Lei è molto simile a me. È sempre riuscita a capirmi, fra noi c’è stata sin da subito una forte empatia. Per me è molto importante… » immaginai che questo fosse il massimo che potessi ottenere. Dopo tutto, la difficoltà che provava nel parlare di sentimenti era tangibile nell’aria.
« E averla rivista dopo tanto tempo ha scombussolato i miei piani. » ammise Klaus.
« Perché? »
« Perché c’era qualcun altro nella mia mente. » e così dicendo fermò i suoi occhi nei miei. Come sempre durante quegli incontri clandestini di sguardi, io ebbi paura. Non di lui, però, ma di me. Non sapevo mai cosa avrei fatto.
Lui si avvicinò, sempre senza spostare il suo sguardo dal mio, fino a che i nostri corpi non si sfiorarono. Mi sentii come una preda che è perfettamente consapevole dell’avvicinarsi della propria fine. Senza scampo, indietreggiai ancora fino ad incontrare la parete fredda della mia stanza.
Il suo sguardo variò in un attimo, da assorto a stralunato.
« Questa è la terza volta che il tuo inutile fidanzato ci interrompe. Non vorrei proprio essere costretto a fargli male. »
Effettivamente, durante il suo avvicinarsi pericoloso e frenetico e il mio momentaneo stordimento, non avevo sentito i passi di Tyler sulla veranda e la sua voce che mi chiamava. Spostai velocemente lo sguardo fuori dal corridoio per captare qualche suo movimento.
Quando mi voltai nuovamente, ero sola nella stanza. Tirai un sospiro di sollievo, ancora sconcertata da quello che era appena accaduto. Mi sedetti sul letto, confusa e sconvolta dal turbinio di emozioni che mi scuotevano il petto. Perché reagivo così ogni volta che lui mi parlava o semplicemente mi guardava?
Come aveva suggerito Stefan durante la nostra chiacchierata, per me Klaus significava qualcosa. Mi costava molto ammetterlo a me stessa e ora che lo stavo facendo sentii qualcosa sgretolarsi dentro di me. La consapevolezza si fece largo e ormai non potevo più negare quello che stava succedendo: mi importava di Klaus. Avevo imparato da tempo ad essere sincera con me stessa e ora lo stavo facendo.
Non sapevo in che misura, quantità o maniera mi importasse di lui, lo sapevo e basta. Non potevo ignorare l’emozione che avevo provato nel vederlo poco fa in casa mia, davanti scuola e fuori il Grill. Sebbene amassi Tyler e questo era ovvio, e sebbene lui avesse certamente una ragazza, non potevo più fingere.
 
Due parti di me, egualmente grandi e nella stessa misura opposte, si diedero battaglia.
La prima, quella razionale, mi diceva di scappare finché ero in tempo. Ma scappare da cosa? Non si sfugge ai sentimenti. Quello l’avevo imparato a mie spese. Quella parte mi diceva, inoltre, di non fidarmi, di lasciar perdere, di rinunciare. Klaus mi aveva ferito una volta e aveva dimostrato di non tenerci a me, lo avrebbe potuto fare di nuovo.
L’altra parte, invece, lottava e scalciava con tutte le forze per opporsi alla razionalità. Era la parte di me che più mi aveva dato problemi, il lato da cui traevo la forza per andare avanti e per credere e amare le persone.Non puoi ignorare quello che c’è dentro di te. Sussurrava il Sentimento.
Prese voce anche la Ragione, poi. Lui ti farà soffrire. Non è in grado di amare come lo sei tu. Non ti merita. Se ne andrà. Lo ha già fatto! Non ci tiene a te, sta con la mora. 
 
In quel momento pensai alle sue parole nella nostra casa, a come si era rivolto a me. Alla sua opinione di me. Mi aveva davvero dimenticata in così poco tempo? Mi aveva mentito. Evidentemente non ero così importante come mi aveva fatto credere.
Eppure, le sue parole di poco prima mi tornarono alla mente, ancora vivide e vive. 
 
C’era qualcun altro nella mia mente.  Che cosa voleva dire? Cosa significava quel ‘passato’ ? cosa provava? Mi aveva chiaramente detto che stava con Shannon. Non c’erano speranze per me.
 
Almeno torna indietro e inventati un addio. 
 
I pensieri si annodarono uno con l’altro, la confusione si fece padrona della mia mente e io dovevo smettere di pensare, se volevo evitare che il mio cervello si squagliasse e colasse fuori dalle orecchie.
 
 
 
***
 
 
Pov Klaus
 

Ero stato solo per centinai e centinai di secoli e mi era sempre andato bene poiché ero sicuro che non sarei mai riuscito a trovare qualcuno alla mia altezza, qualcuno la cui esistenza fosse importante quanto la mia.
Ora, invece, mi trovavo davanti a una scelta.
Io! Io che avevo sempre avuto tutto chiaro. Io che avevo sempre visto ogni cosa o nera o bianca, senza mai coglierne le sfumature. Non avevo mai avuto problemi con le persone, tanto meno con le donne. Se volevo qualcosa (qualcuno), mi impegnavo un poco e riuscivo ad ottenerlo e non servivano nemmeno troppi sforzi. Ma come facevo ora ad ottenere quello che volevo, se non sapevo cosa fosse? Avevo negato, rinnegato, scacciato con tutte le forze di avere una debolezza, ma quella continuava a persistere.
La mia debolezza si chiamava Caroline.
Come se non bastassero tutti i problemi con lei, ora si aggiungeva anche Shannon. L’avevo incontrata per la prima volta anni prima, a Roma. Mi godevo uno dei miei tanti viaggi nel mondo quando lei era entrata nella mia vita d’improvviso. Era molto simile a me: impetuosa, passionale, folle, una vampira. Era una donna molto forte e non si lasciava condizionare da niente e da nessuno. Ci prendemmo subito e io le raccontai la mia storia. Fu molto colpita ma quello che mi piacque più di tutto fu che non provò compassione. Quando mi guardava, non lo faceva come si guarda un malato o un ferito, ma lo faceva come se guardasse un eroe, un vincitore. Era questo che mi faceva stare bene quando stavo con lei: era una continua vittoria. Ovviamente i litigi non mancavano. Ricordo ancora le nostra urla furenti e burrascose. Ricordo ancora meglio, però, le riappacificazioni istantanee che le seguivano. Non ci annoiavamo un attimo, sempre a litigare o a fare l’amore. Avevo bei ricordi di quel periodo nella capitale italiana. Vivevamo insieme in un piccolo appartamentino che si affacciava proprio davanti al Colosseo, uno degli spettacoli mozzafiato più belli che abbia mai visto.
Come tutte le belle storie, però, anche quella ebbe una fine. Una mattina mi svegliai e lei non c’era più. I suoi vestiti, le sue cose, erano sparite insieme a lei. Non ci soffrii molto, abituato com’ero all’abbandono, però la cosa scalfì un piccolo angolo del mio cuore morto.
 
Avevo avuto altre donne dopo allora, ma nessuna come lei e nessuna che mi avesse colpito con la stessa intensità.
Almeno fino a qualche mese prima.
 
Caroline era entrata nella mia vita in uno dei periodi più bui che avessi passato,e l’avevo sempre considerata uno spiraglio di luce. Era così pura, soffice,sacra. Mi ero sentito quasi in colpa, inizialmente, per aver deciso di contaminarla con tutto l’odio e la rabbia della mia vita. Non volevo rovinarla, eppure, constatai liberamente, era lei che aveva rovinato me.
 
Ed ora eccomi ad un bivio. Potevo tornare indietro, sulla strada di casa, ed essere sicuro di quello che avrei trovato. Oppure potevo continuare per quella strada sconosciuta, senza sapere dove e a chi sarei arrivato. Avevo le stesse possibilità di vincere o perdere. La mia predisposizione ad essere un buon calcolatore e allo stesso tempo un amante del rischio, non fu mai d’intralcio come in quel momento.
Per la prima volta dopo millenni, non avevo la più pallida idea di cosa fare.
 
 
 
« Ti fai un drink e non offri niente alla signora? » la voce suadente di Shannon interruppe i miei pensieri.
« Le mie scuse, lady. » la mora si avvicinò a me e si versò da sola lo scotch che stavo gustando. Bevve un sorso e poi, languidamente, si appoggiò al mio petto. Dio, quegli occhi…
Le sue labbra trovarono subito le mie, senza bisogno di dilungarci.  Mi impossessai della sua bocca famelica e fu un rincorrersi, un controllarsi e prendersi senza tregua. Il desiderio si fece ingombrante, tangibile e ossessivo, così la portai al piano di sopra, spegnendo il cervello e concentrandomi solo su quel momento.
 
 
 
 
 
*Commento.
Buongiorno a tutti! Come sempre vi ringrazio per recensire,inserire tra le preferite e le seguite e supportarmi costantemente <3
Allora, parliamo del capitolo. So che è un po’ più lungo rispetto ai precedenti, ma spero vi piaccia ugualmente. È molto introspettivo, poiché volevo descrivere bene la confusione di Caroline e Klaus. Ci sono riuscita? Vi sono piaciute le loro riflessioni? Fatemi sapere :D
 
Ps. Il ragionamento di Klaus potrebbe essere frainteso. Shannon rappresenta la strada sicura, di casa, perché lui la conosce perfettamente e sa come vanno le cose fra loro. La strada che, invece, è ignota e pericolosa rappresenta Caroline, perché lei per lui è ancora un mistero da scoprire.
 
Note:
- “Almeno torna indietro e inventati un addio.” È una citazione del fantastico film ‘Eternal sunshine of the spotless mind.’ (tradotto malamente in italiano con Se mi lasci ti cancello.)
 
- la Ragione e il Sentimento di Caroline sono tratti dall’omonimo romanzo di Jane Austen, un mito.
 
- Il titolo del capitolo è tratto dalla canzone Kiss Me, di Ed Sheeran. Sinceramente penso proprio che userò altre frasi di questa canzone nei prossimi capitoli, perché sembra scritta per il Klaroline.
 
- Il nome Shannon l’ho scelto per rendere onore alla protagonista di ‘Invisible Monsters’, un capolavoro di Chuck Palahniuk che io AMO alla follia. Per me quell’uomo è un genio. Mi piacerebbe inserire anche delle citazioni tratte dai suoi libri :)

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Capitolo 13
*** You can Choose what Stays and what Fades Away ***


Heaven’s in your eyes
 
Pov Klaus


Rimasi fuori tutta la notte dopo aver parlato con Caroline. ‘Parlato’ era un eufemismo, in realtà. Mi ero esposto. Avevo lasciato Shannon e i miei fratelli e l’avevo seguita fuori. Perché l’avevo fatto? Perché non potevo sentirla così lontana, in ogni senso. Mi ero avvicinato e questo lei non lo aveva capito. Perché non riusciva a capire tutti i miei sforzi? Per lei stavo facendo molto più di quello che avevo fatto per qualsiasi altra persona: stavo migliorando. O perlomeno ci provavo. E tutto era per lei, ogni cosa, ogni gesto, ogni sguardo. Avevo creduto che Shannon potesse curare la mia rabbia ma non era così. La stavo semplicemente usando e sfruttando, così come avevo fatto con molte persone prima di lei. Non che non mi importasse niente di lei, una piccola parte di me ancora l’amava e probabilmente lo avrebbe sempre fatto, fino alla fine, fino alla mia fine, ma non la desideravo. Non sentivo quel desiderio consumarmi e divorarmi da dentro. Lo stesso desiderio che, invece, provavo per la giovane vampira che era entrata improvvisamente nella mia vita. Non mi riconoscevo più. Se da un lato ero determinato a farla mia, in ogni senso, in tutti i sensi, dall’altro ero spaventato.
Non avevo mai provato quel tipo di sentimento, fino a qualche mese fa nulla mi intimoriva. Ero forte, il più forte, ed ero un capo. Qualsiasi essere si opponesse alla mia potenza veniva abbattuto al suolo dalla mia forza. Ma come facevo, ora, a combattere – e a vincere – qualcosa che agognavo con tutto il corpo e la mente?
 
Camminavo per il bosco, riflettendo, quando le prime luci del mattino  cominciarono a filtrare attraverso la coltre di alberi sotto cui mi rifugiavo. Decisi che era giunto il momento di tornare a casa. A velocità sovrumana raggiunsi la mia tenuta, affidandomi ciecamente al mio perfetto senso d’orientamento.
Appena entrai mi diressi verso le scale, ma una voce mi fermò.
« Sapevo che saresti rimasto fuori tutta la notte. Fai sempre così quando hai bisogno di pensare. Chissà perché, le mura di casa ti opprimono. Almeno sei giunto alla conclusione che cercavi? » Shannon era sdraiata sul divano e mi guardava attenta. Non era arrabbiata o delusa. Vedevo solo rassegnazione nel suo sguardo, che forse era anche peggio.
« Purtroppo no. Mi dispiace per essermene andato senza dirvi niente. »
Lei sorrise senza allegria. « Non preoccuparti. Lo so. Non è andata bene? » capii immediatamente che si riferiva a Caroline. Aveva capito tutto.
Sapevo che dietro quell’atteggiamento distaccato e disinteressato si celava un profondo dolore.
« Perché vuoi parlarne? Io non voglio ferirti. »
« Voglio capire. Voglio sapere perché io non ti basto. »
« Il problema non sei tu. »
« Si, ovvio. È così che si dice, no? »
« Non so cos’altro dire. »
« Dimmi che cos’ha che io non ho. » sussurrò lei e la sua voce si incrinò. Non l’avevo mai vista così debole di fronte ai miei occhi.
Si alzò dal divano e venne verso di me. Io la accolsi nelle mie braccia e mi persi nei suoi capelli, mentre lei mi stringeva fortissimo.
« Tienimi con te. » implorò scoppiando definitivamente a piangere. Sentivo la mia maglietta inumidirsi e il suo respiro mozzato farsi sempre più veloce.
Anche se ora non la desideravo più, quella straordinaria creatura aveva lasciato un segno indelebile nella mia vita e io l’avrei sempre portata con me, nei miei ricordi. Al pensiero di tutto il dolore che le stavo provocando una lacrima scese involontariamente dai miei occhi. Una sola, unica lacrima. Era tutto ciò che potessi darle di me.
« Avrai sempre un posto speciale dentro di me, lo sai vero? Sei stata la prima. Non ti dimenticherò mai. »
« Oh Klaus, vorrei aver fatto abbastanza. »
Non potei accettare quelle parole; lei mi aveva dato tutto! Ero io quello sbagliato. La presi dolcemente per le spalle e l’allontanai il sufficiente per guardarla negli occhi.
« Piccola, non provare nemmeno per un istante a pensare che la colpa sia tua. Non lo è. Tu mi hai amato come mai nessuno ha fatto, sei stata la mia compagna di vita. Io ti sono grato. E anche se per tutti questi secoli siamo stati lontani, sei sempre stata nel mio cuore. E avrai sempre un posto speciale dentro di me. »
Lei si morse il labbro inferiore e mi accarezzò dolcemente il viso.
« Non nasconderti dietro le tue maschere. Tu sei questo Nik. Non sei cattivo. Svelati a lei per quello che realmente sei e non potrà fare a meno di innamorarsi di te. » disse premurosa.
« Per quanto mi riguarda, credo che partirò. La mia presenza qui potrebbe essere compromettente. » proferì tornando ad essere la solita ironica donna che ormai conoscevo alla perfezione.
« Sai che puoi rimanere in questa casa anche per il resto dell’eternità, vero? »
« Certo, chèrie, ma penso che sia meglio per entrambi se io parta.» In effetti aveva ragione. Ne avrebbe solo sofferto e io non volevo che stesse ancora male.
« Come vuoi. Ma resta almeno un altro giorno, sai quanto ci tiene Rebekah. »
« Partirò questa notte. » disse guardandomi un’ultima volta e avviandosi verso le scale.
Anche se avevo appena spezzato il cuore a una delle persone più importanti per me, mi ero avvicinato di un altro piccolo passo alla vittoria. A Caroline.
 
 
 
 
Pov Caroline
 
 
Stavo beatamente dormendo quando la mia fastidiosa suoneria interruppe la quiete nella mia stanza.
Senza aprire gli occhi, avanzai a tentoni con la mano sul comodino e trovai il cellulare.
« Chi diav… » non feci in tempo a finire la frase che una voce preoccupata mi interruppe.
« Care, sono Matt, so che stavi dormendo perché oggi non c’è scuola ma devi farmi un favore. L’altro cameriere che lavora con me si è sentito male e io sono da solo, non riesco ad occuparmi di tutto. Potresti venire ad aiutarmi? Ti prego.»
Come facevo a dire di no all’amico che mi aveva sempre aiutato? Glielo dovevo.
« Okay Matty. Mi vesto e sono lì fra qualche minuto. »
 
Era un’ora che pulivo tavoli e c’era ancora parecchio da fare, quando notai che Shannon era appena entrata nel ristorante. Non le diedi molta attenzione e tornai al mio lavoro ma dovetti fermarmi. La mora stava venendo proprio da me.
« Ciao! » disse leggermente in imbarazzo.
« Non prendo ordinazioni. Devi andare da… »
« Oh no, non sono qui per questo. » mi sorrise genuinamente. Era molto bella, niente al mio confronto.
« Non ci siamo ancora presentate. Io sono Shannon, un’amica di… »
« So chi sei. Ciao, sono Caroline. » risposi scocciata continuando a pulire e spostandomi ad un altro tavolo. Lei mi seguì.
« Allora Caroline, è molto che vivi qui? »
Interruppi il suo patetico tentativo di conversazione e sbottai: « Perché mi stai parlando? »
Lei abbassò lo sguardo, forse in cerca delle parole.
« Immagino che dovremo saltare i convenevoli. Volevo parlarti di Klaus. »
« Non devi darmi spiegazioni, veramente. Siamo solo amici. »
« Caroline, non per mancarti di rispetto, ma questo lo pensi solo tu. » disse con tono gentile. La stavo cominciando ad odiare. Come si permetteva?
« Sai, » continuò « posso dire di conoscere molto bene Nik. Lui è quel tipo di persona a cui ti leghi irrimediabilmente dopo un’occhiata. Lo guardi, guardi i suoi occhi tremendamente profondi e neri pece, e pensi che da allora ogni cosa che vedrai sarà solamente un'eco debole di quello che hai visto dentro di lui. Èil tipo di persona che non ha bisogno di nessuno, nemmeno di sé stesso. Ma non si può non andargli vicino e assorbire l'energia che emette, non si può  farne a meno. Ècosì e basta, ci si deve arrendere. Lui è così. Lui prende tutto quello che una persona ha e non glie lo rende, mai più, lo fa suo; e così porta in sé tutte quelle persone che ha catturato. Lui non aveva mai avuto bisogno di nessuno e paradossalmente si finiva con l'aver bisogno di lui. Ora però è diverso. È cambiato. Ha bisogno di te. Anche se non te lo dimostra, anche se non lo dice, lui ha bisogno di averti al suo fianco. »
Perché mi stava dicendo tutte quelle parole? Che cosa volevano dire? Perché mi stava dicendo di avvicinarmi al suo fidanzato? Mi stava confondendo.
« Non capisco perché tu mi stia dicendo queste cose. » sbottai infastidita.
Lei mi guardò comprensiva e posò delicatamente una mano sulla mia. Io mi fermai e la guardai. Nel suo sguardo c’era molto più di quello che le parole intendessero.
I suoi occhi nascondevano una tristezza che non ci si aspetterebbe di vedere riflessa in due gemme verdi.
« Ho visto come ti guarda. Non l’ha fatto mai con nessuna. »
« Ma… »
« E ho visto come tu guardi lui. Non si può scappare da qualcosa del genere, non si può tenere dentro. Prima o poi vi consumerà. Dovete essere sinceri l’un con l’altra, ma soprattutto con voi stessi. Smettete di allontanarvi. » e così dicendo mi sorrise dolcemente, si voltò e se ne andò.
 
 
 
 
 
 
***
 
 
« Caroline Forbes, parteciperai a questa cena che tu lo voglia o meno. Sono pronta ad incatenarti alla sedia, se necessario. » La voce autoritaria di mia madre non ammetteva repliche. Erano circa 20 minuti che cercavo di convincerla in tutti i modi possibili. Avrei potuto fingere un’influenza… se solo i vampiri potessero prenderla.
« Fai entrare Rebekah Mikaelson in casa nostra e mi impaletto una gamba. »
« Su, smettila! Se solo tu fossi un po’ più matura sareste delle grandissimi amiche. » Immatura? Io? Mi stava dando dell’immatura?
« Sai benissimo quanto io sia matura, ma quella lì non la sopporto. Non puoi pretendere che io sia amica di Rebekah solo perché in città è l’unica, oltre me, a sapere cosa sia una Christian Louboutin.»
« Una che?! »
« Come immaginavo. Lascia stare, non mi aspetto che tu capisca qualcosa di moda. Insomma, hai guardato la tua divisa? » chiesi shockata alzando un sopracciglio.
« Non cambiare argomento. Stasera ci sarai, ad ogni costo, indosserai un bel vestitino, metterai su un gran sorriso e farai la perfetta padrona di casa. Intesi? » disse lei minacciosa.
« Non ho comunque scelta. » ruggii e mi defilai in camera mia. Fra due ore gli “ospiti” sarebbero arrivati e io non ero ancora pronta.
Decisi che non mi sarei vestita in modo troppo formale così indossai dei jeans stretti, una maglietta a righe senza spalline e delle ballerine. Raccolsi i capelli in un pratico chignon e mi truccai con rossetto rosso e mascara.
Quando la rabbia si fu sbollentata uscii dalla mia stanza e mi diressi verso quella di mia madre.
« Mamma! I tuoi ospiti saranno qui fra dieci minuti e non ti sei ancora vestita! »
« Non so cosa indossare! » confessò isterica. In quell’esatto momento il campanello della porta d’ingresso suonò. In un istante guardai mia madre, poi la porta, poi di nuovo mia madre e poi l’orologio. Erano in dannato orario.
« Vado ad aprire, tu cerca qualcosa nel mio armadio. » dissi esasperata.
« Okay, grazie. Cerca di farli sentire a loro agio. »
 
Mi diressi verso la porta e attraverso il vetro vidi Klaus, Kol e Rebekah perfettamente agghindati e sorridenti. Attesi qualche istante prima di aprire, poi lo feci di scatto.
« Buonasera Caroline. » il primo a parlare fu Kol che mi riservò un ampio sorriso.
Era decisamente l’unico con cui avessi piacere ad intrattenere una conversazione.
Il più piccolo di casa Mikaelson indossava una camicia nera molto elegante e dei jeans scuri.
« Ciao Kol. » dissi affabile mentre spostavo lo sguardo verso Klaus. Anche lui era molto elegante, indossava una camicia bianca arrotolata fino ai gomiti e una semplice cravatta nera. Era molto attraente.
« Salve » disse lui con un sorriso che non illuminò gli occhi. Io abbozzai un cenno imbarazzato e mi morsi le labbra.
« Ciao. » puntualizzò acida Rebekah e io la guardai in cagnesco.  Indossava una canotta bianca e una gonna a vita alta nera che le conferiva una figura slanciata.
Klaus spezzò quel momento facendo un passo avanti ed entrando in casa sotto il mio sguardo allibito. Si posizionò al mio fianco e fece una linguaccia ai fratelli. Klaus che faceva una linguaccia succedeva con la stessa regolarità con cui mia madre indossava i tacchi: mai.
« Avanti, entrate. » dissi io tentando di mantenere un tono educato.
 
Ci dirigemmo verso la sala da pranzo. Guardandoli un’altra volta mi accorsi che mancava qualcuno.
« Dov’è Elijah? » chiesi a Kol.
«Ha avuto da fare, si scusa profondamente per non essere potuto venire. »
Rispose Klaus al suo posto.
Gli rivolsi un’occhiata e gli sussurrai: « Dobbiamo parlare. » nello stesso istante in cui mia madre fece ingresso in cucina. Indossava un vestito nero che arrivava sotto al ginocchio e delle ballerine nere.
« Benvenuti ragazzi! Siete così belli. » disse mia madre sorridendo apertamente e abbracciandoli e baciandoli tutti.
« Salve signora Forbes, io e i miei fratelli siamo molto onorati del suo invito. Inoltre le porgiamo le scuse di Elijah per non poter essere venuto, aveva affari in sospeso da sbrigare. » disse affabile ed educato Klaus, sfoderando il suo perfetto lato da gentleman.
« Non preoccupatevi. Mettetevi pure a vostro agio, Caroline vi farà vedere la casa mentre io comincio a preparare la cena. »
 
 
***
 
 
« E questa è la mia camera. » dissi in tono apatico mentre facevo vedere la porta chiusa dell’ultima stanza ai nostri ospiti.
« Non ci fai entrare? » chiese Kol scherzoso.
« Lo farei, ma poi dovrei uccidervi. » risposi io, stando al gioco.
« Uuuh che paura! » mi canzonò Kol mentre io scoppiavo a ridere.
Mi stava cominciando a piacere sul serio, molto più di quanto mi aspettassi da un Originale.
« La cena è pronta! » urlò mia madre interrompendo quel momento di svago.
Rebekah e Kol andarono per primi, io aspettai che Klaus si voltasse verso di me e gli sorrisi, poi insieme ci incamminammo verso la cucina.
Il piccolo tavolo era ben apparecchiato con posate eleganti – di cui non sapevo l’esistenza – e gremito di tante porzioni diverse. Mia madre sedeva a capo tavola, Rebekah si era sistemata ad un lato del tavolo e Kol dalla parte opposta. Ovviamente mi sedetti vicino a quest’ultimo mentre Klaus prendeva posto davanti a me e vicino alla bionda.
Mia madre ci sorrise guardandoci uno ad uno e disse: « Prima di cominciare la cena vorrei ringraziarvi per essere venuti. So che non avete molti amici in città per cui potete contare sull’appoggio mio e di mia figlia per qualsiasi cosa. »
Entrambi sorrisero e Rebekah prese parola per la prima volta nella serata, o almeno mi sembrò così. « La ringrazio signora Forbes, è sempre così gentile con noi. »
Solo a me suonava incredibilmente falsa?
« Direi di cominciare a mangiare. » suggerii a bassa voce mentre mia madre stringeva amicizia col nemico.
Kol, al mio fianco, mi sorrideva genuinamente e nel frattempo sentivo lo sguardo di Klaus su di me mentre prendevo l’insalata e mi versavo dell’acqua.
Tutti cominciarono a prendere qualcosa dalle tante portate mentre la cena procedeva in silenzio.
I due Originali più piccoli cominciarono a parlare con mia madre di cose di cui non mi importava, così concentrai la mia attenzione su Klaus. Per tutta la serata aveva parlato poco, mi aveva semplicemente fissata per la maggior parte del tempo.
« Non sei riuscita a scapparmi. » mimò con le labbra per non interrompere la conversazione degli altri tre.
« Forse non lo volevo. » sussurrai debolmente e accennando un sorriso.
« Sei bellissima stasera. » ricambiò il sorriso e mi fece un occhiolino mentre io arrossivo in grande stile.
« … un filmino di quando era piccola. » la voce di mia madre interruppe il nostro breve scambio.
« Cosa? » dissi confusa mentre le risate di tutti riempivano la stanza.
« Tua madre ha appena proposto di vedere un filmino di quando eri piccola. » mi informò Kol scoppiando nuovamente a ridere.
« No! Assolutamente, definitivamente, totalmente no. Non farlo, ti prego. » implorai mia madre mettendo su un finto broncio.
« Va bene ragazzi, aspettiamo che vada a dormire. » pronunciò mia madre fra l’euforia generale.
« Vi ricordo che sono ancora qui e posso sentirvi. » proferii guardando male Klaus che se la rideva di gusto.
« Avrei bisogno del bagno, potete indicarmi dove sia? » chiese quest’ultimo gentilmente.
« Ma certo, caro. Caroline, perché non mostri la strada a Klaus? » rispose affabile mia madre.
Io mi alzai e feci un cenno nella direzione dell’ibrido che mi seguì.
Mi incamminai verso il bagno ma lui mi trascinò nella mia camera, richiudendosi la porta alle spalle.
« Elijah ha accompagnato Shan all’aeroporto. » sputò fuori, dandomi le spalle.
Oh… cosa voleva dire questo? Se ne era andata per sempre? Aveva a che fare con la nostra chiacchierata di quella mattina? Aveva capito che tra me e il suo ragazzo c’era qualcosa?
« Perché? » chiesi semplicemente.
« Ha notato qualcosa.  Caroline, Shannon non è stupida. Si è accorta di questo ancora prima di noi. Penso sia giunto il momento di essere sinceri una volta per tutte. » pronunciò voltandosi e fissandomi. Io annuii semplicemente.
« Se ti ho salvata da Alaric, se ti ho portata alla nostra casa, se ti ho chiesto di essere mia amica, se mi arrabbio con te, se sono rimasto qui è solo perché mi importa di te. Perché ogni volta che ti vedo sento che io posso farcela. Posso migliorare, posso essere qualcuno alla tua altezza. Prima di te niente aveva mai messo in dubbio la mia forza e invece ora mi sento così fragile.  Quando non c’eri tu nella mia vita io avevo il controllo di tutto quello che mi capitava. Non c’erano mai imprevisti, casualità. Ero un freddo calcolatore. Tutto quello che succedeva, succedeva perché ero io a volerlo. Adesso è diverso, io non ho più il controllo di niente, non so cosa aspettarmi da ogni nuovo giorno. È tutto una nuova scoperta, tutto così imprevedibile. »
Non potevo credere a quello che avevo appena sentito. Aveva descritto esattamente quello che provavo io.
« Anch’io ci tengo a te. Mi dispiace di essere sempre scontrosa nei tuoi confronti, è solo che per me tutto questo è nuovo e tu non ti eri mai comportato così con qualcuno e… »
In un decimo di secondo si avvicinò e le parole mi morirono in gola. Lessi nel suo sguardo il desiderio, forse lo stesso che provavo io, e in quell’istante non pensai a niente. La mia mente era completamente vuota mentre lo vedevo eliminare le distanze fra noi due. Se da una parte si era svolto tutto nell’arco di pochi secondi, dall’altra avevo sentito  ogni singolo momento ed era parsa un’eternità. Chiudemmo gli occhi nello stesso istante e le nostre labbra si sfiorarono leggermente, quasi senza sentirsi. Ancorò la mano sinistra al mio fianco e io mi avvicinai ancora.
Un bussare frenetico alla porta di casa interruppe quel momento idilliaco.
Entrambi ci immobilizzammo ed aprimmo gli occhi, scossi da quello che era appena accaduto.
Con il mio udito perfetto sentii la sedia di mia madre grattare il pavimento, poi i suoi passi percorrere la breve distanza verso la porta di ingresso e aprirla.
«Carol, che succede? » sentii chiedere da mia madre con voce preoccupata.
Un’altra voce, tremante, si insinuò nella mia mente e pronunciò le seguenti parole: « Liz, devi aiutarmi. Tyler è scomparso. »




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Capitolo 14
*** Now We're Torn apart, There's Nothing we Can Do ***


Heaven’s in your eyes
 
 
Pov Caroline
 
 
« Liz, devi aiutarmi. Tyler è scomparso. »
La voce spaventata di Carol Lockwood mi giunse perfettamente mentre Klaus si staccava da me. Aveva sentito tutto anche lui.
Mi guardava con un’aria seria e consapevole. Io mi allontanai da lui e passai distrattamente davanti la cucina, dove Kol e Rebekah erano seduti senza dire niente. Non gli prestai molta attenzione poiché mi diressi subito verso la porta di casa mia. Mi sporsi attraverso mia madre e vidi il sindaco in pessime condizioni. I capelli erano scompigliati, il trucco inesistente e gli occhi umidi ed arrossati. L’espressione del terrore.
« Carol, per favore, calmati. Entra. » disse mia madre in tono fermo. Conoscevo quel tono, era il tono da sceriffo.
La signora Lockwood si appoggiò alle spalle di mia madre ed entrò con gli occhi bassi. Io richiusi la porta e le seguii.
Passammo davanti la cucina e ci dirigemmo in salone.
Mia madre fece sedere Carol mentre io me ne stavo sull’ uscio della porta senza nemmeno respirare.
Avevo assistito alla scena ma era come se non potessi parlare, come se fossi una semplice spettatrice dietro le quinte.
Mi riscossi quando sentii una mano sulla mia spalla. Mi voltai di scatto e trovai Klaus. Il suo sguardo era serio e determinato.
« Ti aiuterò a trovarlo. » disse solenne, continuando a guardarmi negli occhi.
Io annuii semplicemente e misi la mano sopra la sua.
« Carol, calmati. Devi raccontarmi dettagliatamente cosa è successo. » disse mia madre, accarezzando la spalla del sindaco.
Lei tirò su con il naso e fece un grande respiro, poi cominciò a parlare.
« Sono due giorni che non lo vedo. La scorsa notte mi aveva detto che sarebbe andato ad una festa, non so dove. Mi ha detto che sarebbe rimasto a dormire lì e che poi sarebbe andato direttamente a scuola. “Stai tranquilla mamma, sono degli amici.” Aveva detto. E io non ho fatto niente, non gliel’ho impedito. Oggi non è tornato a casa, l’ho chiamato al cellulare ma non risponde. L’ho cercato per tutta Mystic Falls, sono passata al Grill, a casa di Matt, da tutti i suoi amici. Poi sono venuta da te. »
« Carol, sai almeno dove si svolgeva questa festa? » chiese mia madre, cercando di carpire qualche informazione.
« No, mi ha detto solamente che erano amici fidati. » sussurrò la signora Lockwood e scoppiò nuovamente a piangere. Tyler era sempre stato un tipo piuttosto ribelle, ma dopo la morte del padre aveva cominciato a fare tutto quello che voleva senza rendere conto alla propria madre, molto impegnata a causa del lavoro.
Mia madre si rivolse a me: « Care, tesoro, sai per caso se nei dintorni ci sono state feste? »
« No, mi dispiace. Io… io… io non lo sento da qualche giorno. Insomma sono stata impegnata con la scuola, io… mi dispiace, è colpa mia. » dissi afflosciandomi a terra e scoppiando a piangere. Fra i singhiozzi potei sentire le braccia di Klaus prendermi e tirarmi su. Mi attirò a lui ma io mi spostai e in un attimo fui dal lato opposto della stanza. In quel momento anche solo guardarlo mi faceva sentire schifosamente in colpa.
Era tutta colpa mia, avevo trascurato Tyler, ero stata così presa da non sentirlo per giorni. E chissà dov’era ora, chissà cosa gli era successo.
« Piccola, ti prego, calmati. Non piangere, lo troveremo. Sono sicura che la situazione è molto meno grave di quanto sembri.  » mia madre cercò di tranquillizzarmi, senza risultato.
« Signora Lockwood, ci permetta di andare alle ricerche di Tyler. Noi siamo vampiri, riusciremo a trovarlo. » per la prima volta prese parola Klaus, ancora leggermente provato dal mio atteggiamento, e lasciò tutti a bocca aperta.
« Io e i miei fratelli saremo a disposizione per aiutare nelle ricerche. » continuò lui.
Alle sue spalle vidi Kol e Rebekah raggiungerci e affiancarsi al fratello. Si stavano mettendo in gioco, ci volevano aiutare. Perché? Rebekah mi odiava.
« Devo chiamare Elena. » dissi tra le lacrime, staccandomi dallo sguardo indagatore di Klaus e dirigendomi in camera mia per prendere il telefono. Composi il numero della mia amica e aspettai. Rispose al secondo squillo.
« Che c’è? » disse scontrosa, probabilmente ancora arrabbiata per il mio comportamento.
« Elena… » sussurrai piangendo e sperando che capisse.
« Caroline, cosa è successo? » sentì subito che si trattava di qualcosa di molto serio.
« Si tratta di Tyler, è… è scomparso. La signora Lockwood è qui, dice di non vederlo da due giorni. Ti prego, so che sei arrabbiata, ma ho veramente bisogno del tuo aiuto. » dissi singhiozzando e riprendendo fiato di tanto in tanto.
« Arriviamo. » disse lei seria e riattaccò.
Io intanto tornai nel salotto dove la madre di Tyler bevevo un tisana e gli Originali erano in disparte, in piedi e molto probabilmente a disagio.
« Potete sedervi… » sussurrai indicandogli il divano. Loro si accomodarono, Klaus continuava a guardarmi preoccupato ma io non riuscivo a stargli vicino. Mi sentivo maledettamente in colpa per aver pensato sempre a lui mentre il mio ragazzo probabilmente era nei guai.
Il campanello suonò e io mi ridestai dai pensieri. Andai ad aprire e mi trovai davanti Stefan ed Elena. Mi buttai fra le braccia della mia amica, che mi strinse forte a sé, e sussurrai: « Grazie di essere venuta. »
Appena ci staccammo mi carezzò la guancia, poi mi voltai verso Stefan e abbracciai anche lui. Quell’abbraccio mi ricordò il mio primo giorno da vampira, quando mi aveva raccolta dall’oscurità e mi aveva salvata.
Mi strinsi forte a lui e lui restituì la stretta con vigore, accarezzandomi i capelli. « Grazie » dissi staccandomi e guidandoli dentro. Appena entrammo mia madre tornò e disse:
« Ragazzi, non dovete preoccuparvi. Probabilmente stiamo sopravvalutando la cosa. »
« Mamma, a Mystic Falls niente succede per caso. »
Ci dirigemmo tutti in salone e ci sedemmo per attuare un piano.
« Allora » dissi, attirando l’attenzione di tutti su di me « penso che dovremmo dividerci. Gli Originali vanno verso sud. »
« Io vengo con te. » disse sicuro Klaus, trapassandomi con un’occhiata.
« No. » dissi secca e guadagnandomi un’occhiata sorpresa da tutti.
« Voglio dire… è meglio se con me vengono Elena e Stefan. Insomma… »
« Conosciamo meglio la foresta e risparmieremo tempo. » disse Stefan con fare ovvio, salvandomi dal mio balbettio.
« Quindi, insomma, voi Originali dirigetevi verso sud. Io, Stefan ed Elena controlleremo la foresta a nord. Bonnie controllerà la città e le chiederò di fare un incantesimo di localizzazione. Pensi che Damon potrebbe aiutarci? » chiesi ad Elena.
« Proverò a chiedere… »
« Bene. Bonnie e Damon terranno d’occhio la città. Avete suggerimenti? »
Carol parlò dopo un lungo silenzio. «Vi sono molto grata per quello che state facendo, ma state attenti, vi prego. » e così dicendo si commosse nuovamente.
« Lo siamo sempre. Lo troveremo, le do la mia parola. » pronunciai guardandomi le mani.
Guardai un’ultima volta tutti i volti in quella stanza – tranne uno – e mi alzai.
« Dove vai tesoro? » chiese mia madre.
« A cambiarmi. Vado a cercarlo subito. » e così dicendo mi diressi verso la mia camera. Sentivo le loro voci sovrapporsi e lasciai che rimanessero solo un brusio di sottofondo. Non volevo sentire niente, volevo solo trovare il mio ragazzo e farmi perdonare.
Mi infilai una felpa grigia, una comoda tuta e delle scarpe da ginnastica. Levai il trucco e mi legai i capelli. In due minuti ero pronta.
Tornai in salone e vidi che Kol, Rebekah ed Elena se ne erano andati.
« Kol passava a salutare Bonnie e Rebekah si andava a cambiare. » mi disse Stefan.
« Elena? » chiesi io distaccata.
« Verrà con noi domani, doveva aiutare Jeremy con una cosa. Siamo io e te. » Stef mi sorrise per infondermi coraggio, ma l’unica cosa che volevo fare era mettermi in un angolo e piangere. Mi odiavo per il mio comportamento e per quello che avevo quasi fatto.
Stavo per baciare il nostro nemico mentre il mio ragazzo era disperso chissà dove. Ma cosa diavolo mi era saltato in mente? Provavo solo disgusto per me stessa.
Girai lo sguardo e notai Klaus di spalle, vicino al camino. Osservava una fotografia: Io a dieci anni vestita da principessa. Avevo un gran sorriso e delle lentiggini molto pronunciate. Ero così felice.
Si voltò di scatto e i nostri occhi si incontrarono per un millesimo di secondo ma io voltai subito lo sguardo.
« Signora Lockwood, non si preoccupi. Ci penseremo noi, ora può andare. Vada a casa e si riposi. » dissi premurosa verso di lei.
« Si, mia figlia ha ragione. Andiamo Carol, ti accompagno io. » confermò mia madre avvicinandosi a lei.
 Il sindaco si alzò e mi abbracciò forte. Io la strinsi a me e lei sussurrò: « Mio figlio è veramente fortunato ad avere al suo fianco una ragazza come te. »
Io chinai lo sguardo colpevole, “non sa quanto si sbaglia” risposi con il pensiero. Poi, attraverso le spalle della donna, vidi Klaus che mi fissava. Ancora.
Mia madre accarezzò la spalla della signora Lockwood e mi si rivolse a me: « Care, puoi aspettare che ritorni io prima di andare? Sarò qui tra poco. »
Io annuii semplicemente e le vidi avvicinarsi alla porta ed uscire.
In casa, ormai, eravamo rimasti solo io, Stefan e Klaus.
Quest’ultimo si avvicinò a Stefan e gli posò una mano sulla spalla: « Amico mio, puoi lasciarmi per qualche istante con Caroline? »
Stef guardò me in cerca di una risposta. Io annuii scocciata e lui silenziosamente si alzò e andò in cucina.
Non incontrai lo sguardo di Klaus finché non si avvicinò a me.
« Non allontanarmi proprio ora… »
« Klaus, questo è sbagliato. È tutto sbagliato. Non sento il mio ragazzo da giorni e ora vengo a sapere che è scomparso! Io non l’ho cercato. Te ne rendi conto? » sbottai arrabbiata.
Lui irrigidì la mascella e affilò lo sguardo.
« Non sembrava che pensassi a lui, prima, nella tua stanza. »
« E infatti è stato un errore. Un terribile errore che non mi perdonerò mai. »
Vidi i suoi occhi allargarsi e la bocca aprirsi leggermente.
« Smetti di mentire, lo volevi quanto me. Puoi negarlo a me, alle tue amiche, agli altri, ma non puoi negarlo a te stessa. » era arrabbiato.
« Non è successo niente. » cercavo di negare tutto quanto, di respingerlo, ma una parte di me sapeva che aveva ragione.
« Ma stava per succedere. E tu non me lo avresti impedito. »
Improvvisamente mi prese il viso fra le mani e io rabbrividii.
« Questo lo senti. Perché hai i brividi se non ti importa niente? » urlava furiosamente.
« Ti prego lasciami. » sussurrai cominciando a piangere. Lui continuava a fissarmi e io cercavo di divincolarmi dalla sua presa.
« Guardami. »  Non obbedii e lui si avvicinò ancora.
« Ti ha detto di lasciarla. » Stefan ringhiò selvaggiamente contro l’ibrido e lo prese per una spalla.
Klaus mi guardò un’ultima volta, non più arrabbiato, ma ferito. Strattonò Stefan per allontanarlo da sé e in un secondo sparì dalla stanza.
Sentii la porta d’ingresso sbattere e mi accasciai sul divano. Piansi per aver quasi tradito Tyler, per non aver impedito a Klaus di baciarmi, piansi perché distruggevo ogni cosa che toccavo.
« La colpa è tutta mia. » dissi abbracciando Stefan e lasciandomi cullare dalle sue braccia.
« No, non è vero. Sai com’è fatto Klaus, non sopporta di perdere il controllo delle cose.
 Andrà tutto bene, vedrai. Te lo prometto. »
Quel momento venne interrotto da mia madre che entrò in casa e ci raggiunse.
« Caroline, tesoro, smetti di piangere per favore. Così ti fai solo del male. Ti stai preoccupando troppo, magari Tyler ha solo dimenticato di avvisare Carol. Andrà tutto bene. »
« Vorrei che fosse così… » sussurrai alzandomi e facendomi forza.
« Stef, vuoi venire con me o preferisci cominciare da domani? »
« Vengo con te. » disse lui sorridendomi.
« Ma tesoro, è quasi mezzanotte, è buio. » si mise in mezzo mia madre cercando di farmi calmare.
« Mamma, sono un vampiro. Ho una vista perfetta e il buio non mi è di intralcio. Poi ci sarà Stefan con me. »
« Ok, ma sta’ attenta. »
« Ci vediamo domani. » dissi abbracciandola.
 
***
 
« Caroline, sono passate 4 ore. Abbiamo cercato in lungo e in largo! » mi informò Stefan, che camminava a pochi metri dietro di me.
« Voglio fare altri giri. » dissi sicura e saltando da una roccia all’altra. Non ero mai stata contenta di essere un vampiro come in quel momento.
« Il suo odore non porta qui »
« Lo so, Stefan, ma non porta nemmeno da nessun altra parte. »
« Forse dovresti riposarti… » mi suggerì lui, mettendomi una mano sulla spalla.
« Non sono per niente stanca, voglio continuare a cercare. Prima o poi fiuterò qualcosa. Davvero, puoi andare a casa. Io ce la faccio. »
« Non ti lascio sola. »
 
Era vero, ormai giravamo da parecchio, ma non avevamo trovato nessuna traccia o pista e io non ero intenzionata ad arrendermi. La foresta era piccola e con la nostra velocità avevamo impiegato pochissimo, avendo così il modo di fiutare bene tutti gli odori. Quasi tutti umani.
Io e Stefan procedevamo in silenzio fra gli alberi e le felci, ero più che determinata a trovare Tyler il prima possibile così mi impegnai mente e corpo nella ricerca di qualsiasi cosa mi conducesse a lui.
« Sai che non è colpa tua, vero? » il vampiro dietro di me spezzò per l’ennesima volta la quiete mattiniera.
« Lo è invece. Ho passato giorni interi a pensare al comportamento di Klaus, a cosa fare per sistemare le cose tra noi, e ho trascurato il mio ragazzo. E ora lui è scomparso… Chissà dov’è, se qualcuno gli sta facendo del male giuro che… »
« Nessuno gli farà del male, te lo prometto. Lo ritroveremo. »
 
 
 
Pov Tyler
 
 
Due giorni prima
 
 
« Potete andare! » urlò il coach nella nostra direzione. Finalmente anche quest’ allenamento era finito. Io e i miei amici, fra cui Matt, ci dirigemmo negli spogliatoi chiacchierando del più e del meno.
« Stasera mi vedo con Amber, quella del tuo corso di francese. » mi disse Matt mentre si toglieva la maglietta.
« Sei proprio disperato » risposi scoppiando a ridere e immaginandomi la scena.
« Ah – ah, molto spiritoso Lockwood. Tu, piuttosto, quando passi al Grill con Caroline? »
Entrammo nella doccia e continuammo a parlare.
« Non lo so, amico. È un po’ che non la sento. » confessai concentrandomi su quale shampoo usare.
« Avete problemi? » chiese comprensivo Matt, che ancora mi guardava.
« No, certo che no. Siamo solo entrambi impegnati con la scuola. »
« Capisco. Bè, in ogni caso la stagione di football sta per finire quindi avremo molto più tempo. »
« Già! » confermai sciacquandomi per l’ultima volta e uscendo. Presi un asciugamano e mi vestii velocemente. Ero molto stanco: gli allenamenti e la scuola richiedevano molto più tempo di quanto fossi disposto a sprecare, ma in qualche modo dovevo farcela.
« Io vado, sono stanchissimo! Divertitevi » dissi ai miei compagni di squadra ed uscii dalla scuola.
Arrivai nel parcheggio ormai deserto della scuola quando il sole stava tramontando. Mi avvia verso la macchina e, mentre stavo aprendo lo sportello, fui colpito da qualcosa che mi stordii. Mi accasciai alla macchina, confuso e disorientato da quello che era appena successo. Qualcuno mi prese per il collo e mi schiacciò contro il cofano. Un uomo più alto e muscoloso di me mi teneva fermo, mentre una donna gli faceva da palo.
« Chi diavolo sei? » ringhiai contro l’uomo che mi impediva ogni movimento; aveva sicuramente una forza soprannaturale.
« Ciao, Tyler. » si avvicinò e potei vedere le sue iridi dorate. Era lo stesso colore che avevano anche le mie quando mi trasformavo. L’unica cosa che riuscii a pensare era la parola ‘licantropo’.
« Come sai il mio nome? » tossii per la forte stretta al collo.
« So molte cose di te. Ora hai due scelte: opzione numero uno, ci segui lentamente senza fare scherzi di qualunque genere. Opzione numero due, la mia amica corre a uccidere Caroline Forbes. A te la scelta. »
« Non osare toccarla! » urlai cercando di divincolarmi ma la sua presa era troppo forte.
«  Hai fatto la scelta giusta. Ora seguici! » mi intimò lui, girandosi per un attimo e vedendo i miei amici uscire dalla palestra.
Mi prese per la manica e mi portò verso un fuoristrada nero. La donna ci seguì senza dire una parola.
Fu proprio lei ad aprire la portiera con un gesto secco. Io entrai e l’uomo mi seguii.
L’auto aveva i vetri oscurati e questo significava niente possibilità di essere visto da qualcuno.
« Sai che farai ora? Chiamerai tua madre e le dirai che vai a una festa. Prova a dirle qualcos’altro e Caroline ne paga le conseguenze. »
Io obbedii e digitai il numero di mia madre, che rispose al secondo squillo. « Tyler? »
« Ei, ma’, stasera vado ad una festa. Rimango a dormire lì. » dissi cercando di mascherare il nervosismo.
« Come farai con la scuola? » chiese lei, abituata al mio atteggiamento.
« Non preoccuparti, ci vado direttamente da lì. »
« Oggi ho incontrato Matt ma non mi ha detto di una festa…  » disse lei dubbiosa.
« Non esco con loro. Sta’ tranquilla, sono amici fidati. » e dicendo questo attaccai, non potevo perdere tempo.
Nello stesso istante in cui mi voltai per guardare l’uomo al mio fianco, vidi il suo pugno fendere l’aria e abbattersi contro di me. Poi il buio.













*Commento.
Cominciamo come sempre col ringraziare tutti coloro che inseriscono tra le preferite/ricordate/seguite e recensiscono assiduamente la storia, siete magnifici, meravigliosi, fantastici, tenerissimi e vi adoro da morire :)
Bene, da questo capitolo so che mi odierete lol So che molte di voi mi hanno chiesto esplicitamente di voler vedere i Klaroline insieme e che avevano buone aspettative su di loro in questo capitolo,e so anche che sarete rimaste dispiaciute da come siano andate le cose, però vi prego di fidarvi di me. Sto solo seguendo il filo conduttore della storia e cercando di dare il meglio di me stessa. Spero di non deludervi, ma vi dico già da ora che le cose si complicheranno. 
Nonostante questo NON temete, ripeto la storia è una Klaroline quindi i due staranno sicuramente insieme. E' solo che non mi piace fare le cose di fretta xD Spero che con questa mia scelta la storia continui ad appassionarvi :)
Detto questo, mi scuso per non aver soddisfatto le aspettative, non era mia intenzione.

Ps. Il Pov Tyler è stato difficilissimo da scrivere ma non potevo evitarlo se volevo farvi sapere come sono andate le cose! Io ci ho provato, però, e spero che non sia uscita del tutto una schifezza.

Grazie e alla prossima!

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Capitolo 15
*** If you Ever come Back ***


Heaven’s in your eyes 
 
Pov Caroline
 
 
« Riprova.  » dissi con voce ferma e decisa.
 
« Care, abbiamo provato tre volte. Non funziona.  » mi informò Bonnie, come se non lo sapessi.
Io,  la strega, Stefan ed Elena ci trovavamo nel salone della casa di quest’ultima. Avevamo tentato un incantesimo di localizzazione per Tyler ma non avevamo ottenuto risultato.
 
«  Bonnie, hai la potenza di uccidere un  Originale e non riesci a fare un fottuto incantesimo di localizzazione?  » chiesi sprezzante verso di lei.
 Da quando avevamo saputo della scomparsa di Tyler, ben quattro giorni fa, il mio umore era intrattabile. Saltavo la scuola, rispondevo male a chiunque mi parlasse, trascorrevo tutto il mio tempo alla ricerca di possibili tracce. Avevo costruito un muro tra me e tutte le altre persone, respingendo ogni tentativo di conversazione dei miei amici.
 
« Caroline calmati. Non è colpa di Bonnie. » rispose Elena al suo posto.
 
« Il problema, » disse la strega, « è che c’è qualcosa che mi blocca. Come se qualcuno avesse creato una barriera e stesse respingendo l’incantesimo. »
 « Non c’è nessun modo per abbattere questa barriera? » domandai freddamente.
 
« Questo qualcuno dev’essere una strega molto potente. Non riesco ad eliminare l’ostacolo. »
 
« Non c’è nemmeno un modo per oltrepassarla? Non puoi trovare una falla? » non volevo darmi per vinta. Doveva esserci qualcosa, qualsiasi cosa, che potesse dirci dove si trovava Tyler.
 
« Ho bisogno di tempo e concentrazione per questo. »
 « Hai tutto il tem… » azzardai alzando la voce.
 « E anche di silenzio. » aggiunse lei, guardandomi male.
 
« Caroline, perché non facciamo una passeggiata? » propose Stefan, prendendo parola per la prima volta e salvando Bonnie dalla spiacevole situazione che stavo creando.
Senza dire una parola mi alzai e uscii da quella casa. Avevo bisogno d’aria ed ero maledettamente incazzata.
 
« Non capisco! Sembro essere l’unica a voler ritrovare Tyler! » urlai raggiungendo la mia macchina e dando un calcio alla ruota.
 « Sai benissimo che è l’obiettivo di tutti noi ritrovarlo. Ma tu devi avere pazienza. Non ti fa bene tutta questa rabbia. » disse pacatamente Stefan, raggiungendomi e mettendomi una mano sulla spalla.
Stranamente era l’unico che riuscisse sempre a calmarmi, l’unico con cui avessi voglia di parlare.
« Non so più cosa devo fare. » confessai con la voce rotta e abbassando la testa.
« Stai facendo tutto il possibile, andrà tutto bene. »
 
Lo squillo del mio cellulare interruppe quel momento. Lo tirai fuori e senza leggere il nome sul display lo portai all’orecchio.
« Pronto? »
 « Ei, biondina, ci vediamo al Grill fra dieci minuti. »
 « Ci sarò. » e così dicendo chiusi la telefonata.
 « Da quando ti incontri con Damon? » chiese il minore dei Salvatore, alzando un sopracciglio e guardandomi con sguardo indagatore.
 « Da quando mi sta aiutando alla ricerca di Tyler. » 
«Lo sai, vero, che Damon non fa mai niente per nulla? »
« Non c'è prezzo, di qualsiasi valore, che non pagherei per riavere il mio ragazzo indietro. » dissi consapevole dell'effettiva importanza delle mie parole. «Ma ti ringrazio comunque per l'avvertimento. Ora, se mi vorresti scusare, devo proprio andare. Salutami Elena e Bonnie. » dissi lanciando uno sguardo distratto verso la casa e salendo nel veicolo.

 
Guidai per poco e giunsi puntuale all'appuntamento. Entrai nel ristorante e mi sedetti in un tavolo in disparte, leggermente nascosto dagli assi di legno della struttura.
Dopo pochi secondi, ventitrè per la precisione, Damon fece ingresso al Grill e, guardandosi intorno, mi localizzò.
Gli feci un cenno e lui si avvicinò. Lo guardai spostare la sedia e sedersi, poi parlai.
« Bonnie non riesce a produrre un incantesimo di localizzazione. C'è qualcosa che la blocca, così dice. » affermai con tono apatico. «Tu, invece? »
« Ho qualcosa che potrebbe interessarti. » rispose lui con uno dei suoi soliti sorrisini compiaciuti.
« Parla. »
« Ho contattato Katherine. » disse con noncuranza, come se parlasse di una vecchia amica. Io non mi stupii dell'informazione, d'altronde la seconda Petrova era una dei vampiri più informati che conoscessimo.
« E? » chiesi impaziente di avere notizie.
« Dice che potrebbe avere qualcosa di interessante. Ma non mi ha detto cosa.  » proferì lui.
Capii immediatamente a cosa di riferisse. « Cosa vuole in cambio? » chiesi arrivando dritta al punto.
Lui sorrise, soddisfatto dalle mie veloci conclusioni, e aggiunse: « Vuole un po' del sangue di Klaus. »
« Che se ne fa del sangue di un ibrido? » riflettei ad alta voce, confusa da quella rivelazione.
« Mi ha detto che sta... intrattenendo, diciamo così, rapporti con dei licantropi. » disse lui in modo vago, facendo segno ad una cameriera di avvicinarsi.
« Che genere di rapporti? »

« Cosa posso portarvi?  » la pimpante cameriera, quella nuova, interruppe il nostro scambio di informazioni.

« Un bourbon. » rispose Damon ammiccando verso di lei.
« Due.  » aggiunsi io, fissando gli occhi nelle iridi piacevolmente sorprese dell'uomo davanti a me.
La cameriera ci sorrise nuovamente e si allontanò, lasciandoci di nuovo soli.
« Sai com'è fatta quella stronza. Doppiogiochi, bugie, inganni. Si starà tenendo informata sulla fazione nemica. » disse lui muovendo la mano in modo annoiato.
« E ha paura di bruciarsi col fuoco. » terminai io. Il moro mi sorrise languido e io annuii.
« Posso procurarmelo. » proferii convinta e guardai la cameriera tornare al nostro tavolo e porgerci i drink. 

« Perché mi stai aiutando? » chiesi nuovamente, dopo aver bevuto un sorso del whiskey.
« Ho promesso di fare beneficenza. Sai, aiutare i più deboli e gli indifesi. Gli inferiori. » mi fece l'occhiolino e apprezzai quel gesto. Certo, mi stava aiutando, ma era pur sempre Damon Salvatore. Non era abituato a confessare i propri sentimenti alla leggera, così si nascondeva dietro al sarcasmo.
« Deve rimanere una cosa fra noi due. » dissi fissandolo un'ultima volta e alzandomi. Quando fui quasi alla porta mi ricordai  di una cosa.
« Ah, Damon? » il moro si voltò nella mia direzione. « Grazie. »


***


Dopo aver fatto la solita ronda nel bosco e in città mi diressi a casa di Bonnie. Bussai e lei mi aprì.
« Sto ancora provando. » disse freddamente, immaginando il motivo della mia visita.
« Bon, tranquilla. Mi dispiace per prima, non è colpa tua. Sono solamente tesa. » dissi guardandola il più teneramente possibile e sperando in un suo perdono.
Lei non disse niente, mi sorrise e spalancò la porta per farmi passare. 
Procedetti verso il divano e mi sedetti, seguita dalla mia amica. « Senti... per caso hai ancora il sangue di Klaus? » domandai  vagamente, cercando di comportarmi in modo disinvolto. Una minima parte di me, quella che non era ossessionata dal ritrovare Tyler, si chiese come stesse Klaus. Dall'ultimo nostro incontro - o meglio, scontro - non ci eravamo più parlati. Avevo saputo, però, che lui e i suoi fratelli avevano aiutato nelle ricerche. Quella stessa parte di me sapeva che avrei dovuto ringraziarlo per l'aiuto, ma ero ancora arrabbiata per il suo comportamento arrogante di quella sera. Il mio buonsenso soffocò quei pensieri prima che l'ennesimo problema facesse capolino nella tempesta che avevo dentro.

« Si, perché? » la voce confusa di Bonnie mi riportò alla realtà. Avevamo tenuto al sicuro il campione di sangue di Klaus per tutto quel tempo, lo stesso sangue che avevamo usato per curare Damon.
« Nulla, pura curiosità. Vado un attimo in bagno. » le sorrisi falsamente e mi diressi su per le scale. Mi accertai che Bonnie non potesse vedermi e mi diressi verso la sua camera. A velocità vampiresca aprii e richiusi tutti i cassetti, ma non trovai nulla. Continuai a cercare, perdendomi nei pensieri, ma ancora niente.
« Cercavi questo? » chiese duramente Bonnie, guardandomi seria e mettendo in bella mostra la piccola fiala contenente il sangue di Klaus.
Io abbassai lo sguardo, imprecando fra me e me per essermi fatta scoprire, ed annuii.
« Che cosa sta succedendo, Caroline? » domandò nuovamente la mia amica.
« Non capisco di cosa... »
« Elena ha sentito parlare te e Stefan, prima. » Merda. « Non dovresti fidarti di Damon. »
« Bonnie, ascoltami, so quello che faccio. Potrei essere vicina a ritrovare Tyler, a sapere quello che gli è accaduto. Ma tu devi fidarti di me. »
La mia amica mi guardò delusa senza proferire parola, allungò la mano verso di me e fece cadere la fiala nella mia.
« Grazie. » sussurrai debolmente e alla massima velocità uscii dalla casa. 
Non volevo tenere ancora all'oscuro i miei amici, ma ero troppo determinata nei miei intenti per lasciarmi fermare da loro.
Mi diressi verso casa mia e cercai di pensare a quale sarebbe stata la prossima mossa.
Dopo una doccia fredda cercai di rilassarmi ma non ce ne fu modo, così mi sedetti sul letto e presi il cellulare.
Nessun messaggio. Decisi di contattare Damon. Feci partire la telefonata ma al secondo squillo attaccai, non volevo che qualcuno potesse sentire. Negli ultimi giorni mi ero sentita continuamente osservata e la mia paranoia era arrivata alle stelle.
Optai, quindi, per un sms.
Ho il sangue. 
Scrissi semplicemente questo e mi limitai ad attendere una risposta che non tardò ad arrivare.
Allora chiamo Katherine. 
Mandale un messaggio, non voglio che qualcuno ascolti. Fammi sapere.

Buttai il cellulare in un angolo del letto e sprofondai fra le lenzuola.  Era stata una giornata parecchio movimentata e io ero troppo debole, in tutti i sensi, per non risentirne la stanchezza.
Avevo mille preoccupazioni e pensieri a cui dover rendere conto e tutto quello che volevo fare era cadere in un profondo sonno, risvegliarmi e capire che era stato tutto un brutto sogno e che la vita era migliore di così.
Senza nemmeno rendermene conto scivolai nel mondo dei sogni in cui, per un attimo o per poco più, tutto era facile.



Il giorno dopo fui svegliata dal vibrare del mio cellulare. Ancora confusa, presi l'oggetto in mano e notai un messaggio di Damon.

Ti passo a prendere fra dieci minuti, fatti trovare pronta. 

Guardai l'ora in cui era arrivato il messaggio. Dieci minuti fa. Perfetto, grandioso.

« Sapevo che non avresti fatto in tempo. » parlò una voce alla mia sinistra. Il più grande dei Salvatore se ne stava sull'uscio della porta della mia camera e mi guardava con aria scocciata.
Io mi guardai intorno disorientata, ancora mezza addormentata, e mi stropicciai gli occhi. Non gli risposi, mi alzai e mi diressi verso l'armadio.
Un fischio di approvazione giunse dalla direzione di Damon. Mi girai e lo scoprii a guardarmi le gambe. Effettivamente il mio non era un abbigliamento consono: indossavo una semplice maglietta e delle mutande. Non mi preoccupai più di tanto, in fondo Damon mi aveva vista in maniere decisamente peggiori. Questo non mi impedì, però, di tirargli un cuscino.
« Ahia! » esclamò lui, fingendosi offeso.
« Esci, devo vestirmi! »
« Ti aspetto in macchina. Sbrigati. » rispose lui e in un attimo restai sola.
 
 
« Mh, dove siamo diretti precisamente? » chiesi entrando in macchina e guardando Damon.
« Charlottesville. »
« Charlottesville?! »
«Si, proprio così. Vuoi che ti faccia lo spelling? »  Si girò per un attimo verso di me, poi riportò gli occhi sulla strada.
Io gli lanciai un'occhiata omicida e continuai: « Perché? »
« Abbiamo appuntamento con Katherine. Hai portato il sangue? »
«Si. » risposi confusa. « Quindi lei abita lì, ora? »
« No. Non sarebbe così stupida da rivelarci dove risiede. Charlottesville è solo il punto di incontro. »
Io annuii semplicemente e mi abbandonai al sedile, conscia del lungo viaggio che ci aspettava.



Erano passati solamente quarantacinque minuti dall'inizio del viaggio, quando un auto bloccò il nostro passaggio. 
Era stata parcheggiata perpendicolarmente alla strada, in modo da evitare il passaggio di qualsiasi altro veicolo.
Damon imprecò pesantemente. « Rimani qui, vado a vedere chi è quell'idiota che ha lasciato la macchina per strada. »
Lo vidi avvicinarsi all'auto e dire: « Ma che diav... » prima che un uomo uscisse dal nulla e lo attaccasse. In un secondo l'uomo tirò fuori dalla tasca una siringa e la puntò dritta al collo di Damon. 
Quest'ultimo chiuse gli occhi, come addormentato, e smise di divincolarsi. Scioccata e spaventata scesi dall'auto e feci un passo verso Damon. Sentii una presenza alle mie spalle e, mentre mi giravo, avvertii qualcosa pungermi il fianco. Mi voltai e, prima di svenire sotto l'effetto della verbena, vidi il volto di una giovane donna. 
 
 
« Cazzo, cazzo, cazzo. » il rumore delle imprecazioni di Damon mi risvegliò dal torpore in cui ero caduta.
« Cosa... Cosa ci è successo? » sussurrai rialzandomi dall'asfalto e appoggiandomi alla macchina. Mi sentivo ancora molto debole e i ricordi erano sfocati.
« Qualcuno ci ha attaccati. » rispose lui ruggendo e scalciando.
« Per quale motivo? » chiesi disorientata, mettendo una mano nella borsa per cercare il cellulare. Non trovandolo spostai lo sguardo nella borsa e mi impietrii.
« Non ne ho la min... »
« Damon  » sussurrai allarmata.
« Che c'è? » chiese lui in tono sospetto, notando il mio tono di voce.
« Il sangue di Klaus è sparito. »
« Maledetta! » urlò lui, qualche secondo dopo. « Non avrei dovuto darle tutta questa fiducia. Quella dannata stronza ci ha imbrogliati! »
Io rimasi in silenzio, ancora scioccata da quello che era appena successo. Non potevo crederci, l'unica pista che avevamo per ottenere informazioni si era appena volatilizzata nel nulla.
Ero nuovamente al punto di partenza: nessun indizio. Ma cosa diavolo era successo al mio ragazzo?
L'amarezza e la frustrazione si impossessarono di me. « Non fa niente, Damon. » sussurrai ormai sconfitta.
« Torniamo a casa... »
Salimmo silenziosamente sull'auto e tornammo a Mystic Falls.
Tutto quello che volevo fare era  smettere di soffrire, smettere di avere problemi, smettere di pensare. 
Ero stanca di tutta quella situazione e del fatto che ogni via d'uscita sembrasse solo un'altra parte della trappola.* Era tutto un inutile, insulso, schifoso vicolo cieco.
Persa nei miei pensieri mi resi conto che il viaggio era finito solo quando Damon parlò. « Siamo arrivati. » disse in tono apatico. Spostai lo sguardo e notai la mia casa. 
« Grazie, Damon. Anche se è tutto saltato, tu mi hai aiutato. Non avrei potuto chiedere l'aiuto di nessun altro. »
Lui mi fece l'occhiolino e annuì.
Scesi dalla macchina con le spalle chine e lo sguardo basso, volevo solamente crollare sul mio letto.
Appena entrai in casa, però, appurai che l'incubo era solo cominciato.
Mia madre e la signora Lockwood sedevano sul divano, gli occhi dell'ultima spenti e tristi. Teneva fra le mani una lettera.
« Cosa è successo? » chiesi allarmata dalla situazione.
« Caroline, piccola,  siediti. Carol deve dirti una cosa. » mia madre si avvicinò premurosa e mi fece sedere su una poltrona.
Il mio sguardo inquieto vagava velocemente tra le due figure femminili davanti a me.
In quel momento la signora Lockwood alzò lo sguardo verso il mio e capii che non si trattava di niente di buono.
Prese un respiro profondo e parlò: « Caroline, non so come dirtelo ma... Tyler non è scomparso e non è stato rapito. »
parlò flebilmente, tutto d'un fiato. Non capii le sue parole, ero spaesata e spaventata.
« Se ne è solo andato. » E così dicendo la sua mano tremante mi porse il foglio di carta spiegazzato.





*Commento.
Allora, eccoci qui con il nuovo capitolo. Siamo già al quindicesimo, ci credete? Ricordo di aver detto che la storia sarebbe durata solamente 15 capitoli ma, come potrete notare, ho cambiato idea. Non so bene quanto manchi ancora, ma per ora c'è questo mistero da risolvere e non ho intenzione di sverlarvi la verità molto presto :P
Prima di tutto mi scuso se ci sono errori, ho scritto il capitolo in 3 ore e mezza e quando ho finito volevo solamente postarlo, quindi ho riletto solo una volta. 
Spero che vi piaccia anche se Klaus non è presente! Succedono un po' di cosine, quindi penso di essere perdonata! Muahahahha la mia mente malata vi farà impazzire, lo so! (?)
Ebbbeeeeene, Damon è molto presente in questo capitolo. Vi è piaciuto?!
Il mistero si infittisce, Tyler se ne è volontariamente andato oppure c'è qualcosa dietro? Fatemi sapere le vostre opinioni inserendo una recensione, se vi va :D

Note:
* frase ispirata dal romanzo Invisible Monsters, di C. Palahniuk. 
Titolo del capitolo tratto dall'omonima canzone degli Script, so che il testo non c'entra niente ma ero a corto di fantasia! LOL

Alla prossima e GRAZIE A TUTTI!

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Capitolo 16
*** Your Own Politik ***


Heaven’s in your eyes PT 16 
 
Pov Klaus
 
Una settimana prima    (  ndA. Questa scena si svolge nello stesso giorno in cui Shannon va via da    Mystic Falls, prima della cena a casa Forbes.  )
 
 
 
Il rumore della valigia di Shannon mi risvegliò dai pensieri in cui ero caduto. Pensieri senza fondo, senza significato.
La luce del tardo pomeriggio si divulgava in tutto il salone, proiettando strani ghirigori sulle pareti.
«Nik, vieni qui.  » disse lei calorosamente, lasciando il grande borsone ai piedi delle scale.
Mi alzai dal divanetto in pelle per due e  mi diressi verso la donna. Ella mi sorrise in modo genuino e le piccole fossette sulle sue candide guance le illuminarono il volto.
Si avvicinò fino a posare il capo sulla mia spalla destra e cingere le mie spalle.
«Ci rivedremo presto, non è vero?  » chiese, la voce ovattata contro il mio collo.
«Di questo puoi esserne certa, sweetheart.»
Il momento fu interrotto dall’entrata di Elijah nella stanza.
«Non vorrei davvero interrompere, ma se non partiamo ora faremo tardi.  » disse guardando con calma prima me e poi Shan.
Lei annuì in modo fermo e si staccò da me, lasciandomi un lieve bacio sulla guancia. Ci saremmo rivisti, prima o poi, e di questo ne ero certo.
Le nostre strade non avrebbero potuto fare a meno di rincontrarsi, un giorno.
 
 
 
 
Non avrei mai pensato, però, che quel momento sarebbe giunto così presto.
La prima cosa che vidi non appena riaprii gli occhi fu proprio il suo viso. Quello che ne rimaneva, almeno. Ci trovavamo in una cella piuttosto piccola, le pareti erano ricoperte di muschio e doveva essere molto sottoterra.
Anche Shannon era legata ad una specie di trono di metallo puro. Alle giunture degli arti superiori e inferiori, oltre le forti e robuste catene di ferro, erano legate corde imbevute di verbena. Le stesse che legavano anche me.
Ogni centimetro della sua pelle era ricoperto di escoriazioni, bruciature e ferite dovute probabilmente all’uso ripetuto di impacchi alla verbena.
Mossi debolmente la testa verso l’alta finestra della cella e notai che il sole stava tramontando.
Solo poche prima avevo fatto lo sfortunato incontro del mio “collega d’affari”.
 
 
 
 
 «Buon pomeriggio, Niklaus.  » una voce cavernosa e tetra mi giunse chiara alle orecchie  mentre uscivo dalla mia residenza.
Un uomo alto, ben piazzato e con lunghi capelli fino alle spalle mi si parò davanti. Lo conoscevo bene, era il capo branco a cui mi ero affidato per far sparire Tyler.
«Blaze, amico mio, cosa ti porta qui? Problemi?  » chiesi affabile, celando una gentilezza che, lo sapevamo entrambi, non era sentita. Quell ’insulso licantropo era solamente una pedina, una stupida vita che ero pronto a sacrificare per raggiungere il mio scopo. Non aveva valore, per me, la sua misera esistenza.
Lui, in tutta risposta, sorrise e spostò lo sguardo alla sua sinistra. Dal veicolo con i vetri oscurati uscirono quattro  persone, tre uomini e una donna, e lo affiancarono.
Intuii che stava per succedere qualcosa e l’adrenalina cominciò a circolare possente nelle vene.
Sentii la voglia di combattere crescere a poco a poco, formarsi ed espandersi attraverso migliaia di terminazioni nervose.
Non avevo la minima paura di quei quattro ragazzini, avrei potuto massacrarli senza dargli il tempo di accorgersene.
« Sai, Niklaus, non avrei mai immaginato che un Originale potesse essere così stupido.»
«Non rischiare grosso, Blaze. Fare accordi con te è stato facile, ma disfarli potrebbe esserlo ancor di più.» stavo già perdendo fin troppo tempo prezioso dietro a quei due idioti, non volevano mica farmi arrabbiare?
« Non ti temiamo.  » per la prima volta prese parola la donna al loro fianco. Il suo sguardo era temerario, fiero, e la sua bellezza particolarmente esotica.
Blaze fece un cenno ammonitore verso di lei e i tre uomini le si pararono davanti, a mo’ di scudo.
« Per metà sei come noi,  » disse l’alpha rivolgendosi a me « avresti dovuto considerare i rischi.  »
«Quali rischi?  » chiesi impaziente di concludere quella conversazione, domandandomi in cuor mio perché non avessi ancora ucciso quegli esseri.
« Quando ci hai chiesto di portare via Tyler ti è sfuggita una piccola cosa.» sorrise Blaze sornione, facendo pause ad effetto.
«In gruppo siamo più forti. Pensi che dopo aver conquistato un nuovo membro ce ne saremmo andati senza dire una parola?»
«Sto cominciando a spazientirmi, arriva al dunque.  »
« Il fatto è, mio caro ibrido, che ci hai fornito su un piatto d’argento l’occasione di ucciderti una volta per tutte. E Tyler ci aiuterà, dopodichè si riprenderà la sua ragazza. Ma presumo che  quel momento per te non conterà più niente, dato che il tuo corpo sarà già sotto terra. »
«Vorresti davvero veder morire tutto il tuo branco, cane? Li ucciderò tutti davanti ai tuoi occhi e poi toccherà a te. Non pensare di potermi sconfiggere.  »
«Questa volta ti do ragione. Non ho la presunzione, a differenza tua, di credermi forte. So che in una guerra ad armi pari vinceresti mille volte tu. Ma, come puoi vedere  » disse indicando gli uomini silenziosi dietro di lui, « non lo è. Non posso sconfiggerti, è vero, ma loro sì.  »
e così dicendo si fece da un lato mentre la donna e altri due uomini avanzavano.
In un secondo mi ritrovai ansimante a terra, colpito dai miliardi di aneurismi ripetuti ossessivamente nella mia testa.
Un urlo scappò dalle mie labbra e si disperse nella quiete attorno a noi.
Certo, il potere di una sola strega non mi avrebbe scalfito, ma ben tre streghe erano un altro paio di maniche.
Potevo chiaramente sentire le piccole esplosioni sanguigne nel mio cervello, una dopo l’altra, infinito dopo infinito. Lanciai un’occhiata disperata alla donna e, non appena il suo sguardo incontrò il mio, il mio sguardo si iniettò di sangue e percepii i capillari scoppiare.
Blaze scoppiò in una risata trionfante e si avvicinò, sollevandomi e posando le mani sulle mie tempie. Mi guardò per un breve attimo e girò forte il mio collo, spezzandolo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
« N… Ni… » la voce di Shannon mi svegliò nuovamente. Non avevo la minima idea di dove ci trovassimo, né di come quei patetici licantropi avessero intenzione di agire. Tentai con tutte le forze di liberarmi dalle catene, ma non ce ne era modo.
« Dove… dove siamo? »
« Non lo so. Ma perché sei qui? Quando ti hanno presa? » chiesi flebilmente alla mia amica. Shan era in condizioni pessime: gli occhi erano arrossati, gonfi, così come le guance e la faccia. I suoi perfetti lineamenti erano distorti dalle tante contusioni che ricoprivano anche il resto del corpo.
« Emily aveva detto che… che… io non ricordo. »
« Emily? Chi è Emily? »
« è una ragazza che ho conosciuto al check in per la Spagna, quando… quando stavo lasciando Myst… » fece un lungo sospiro e gemette pesantemente per il dolore.
« Che cosa ti ha fatto? »
« L’ultima cosa che ricordo è il suo viso… lei mi stava facendo vedere una collana, poi una sua amica è arrivata e da lì non ricordo più niente. » concluse chiudendo gli occhi e stringendo i denti.  «Credo di avere un paio di costole rotte. »
« Passerà. E loro pagheranno per averti presa, ti tirerò fuori di qui. » alzai la voce per farmi sentire.
Lei accennò un fragile sorriso e in quel momento due uomini entrarono nella cella. Cercai nuovamente di muovermi, ma qualcosa mi bloccava. Un incantesimo.
Uno dei due si parò davanti a Shannon mentre l’altro mi si affiancava.
« Tu pensa all’ibrido, è il più forte. » disse il primo senza guardarci e tirò fuori dalla giacca un paletto di legno. Simultaneamente nuovi migliaia di aneurismi fortissimi cominciarono a ripetersi nella mia testa.
Urlai mentre una scena raccapricciante si parava davanti ai miei occhi.
Il primo uomo aveva ficcato un paletto proprio nel polmone destro della mia amica.
Ella non urlò, bensì sbarrò gli occhi e si piegò in avanti, per quanto le catene potessero permetterle. « No! » gridai mentre il dolore emotivo nel vederla in quelle condizioni superava di gran lunga quello fisico.
Il primo uomo uscì a velocità sovrumana dalla cella mentre il secondo rimase a torturarmi ancora per qualche istante.
Non appena anch’egli uscì dalla stanza, gli aneurismi cessarono.
Fissai lo sguardo sulla figura ansante di Shannon, il paletto rimasto conficcato nel petto.
« Me la pagheranno. Li ucciderò tutti. »
« Klaus, per fav… calmati… »
« Ascoltami, Shan ti prego, ascoltami. Andrà tutto bene. Ti tirerò fuori di qui. Fai dei lenti respiri. » la mia voce assunse un tono di supplica.
Lei tentò ma al primo tentativo un urlo disumano straziò il silenzio.
« FA MALE! »
« Lo so, è dovuto al paletto. Il legno impedisce che la ferita guarisca e si rimargini. »
« Non ce la… » non terminò la frase, la testa si afflosciò su sé stessa e perse conoscenza.
Il dolore doveva essere infernale.
Fissando la mia migliore amica dormire e respirare malamente, la stanchezza ebbe di meglio anche su di me e così, lentamente, scivolai nell’incoscienza totale.
 
 
Non sapevo per quanto dormii, se le visioni terrificanti fossero proiettate dal mio inconscio o dagli stregoni, la sola cosa che riuscivo a vedere era il vuoto sotto i miei piedi mentre precipitavo da una scogliera.
Ignoravo dove mi trovassi o cosa ci facessi al mare, tutto quello che percepivo era il senso di caduta e la vertigine. Il mare impetuoso infuriava sotto di me, attendendo il mio arrivo.
Quando mi sentii vicino all’acqua chiusi forte gli occhi.
Avvertii alla perfezione il mio corpo freddo infrangersi contro l’acqua padrona. La prima sensazione fu quella di smarrimento, il silenzio tombale e la pressione fecero fischiare le mie orecchie mentre il bisogno d’aria si faceva ingombrante.
Ero un vampiro, non avevo bisogno di ossigeno, allora perché il mio corpo emetteva forti tremiti derivati dal soffocamento?
Sentii la gola chiudersi, un po’ d’acqua entrarmi nel naso. Tossii e altra acqua cominciò a scorrere nel mio organismo. Era come se il mio corpo volesse ospitare l’intero mare al suo interno.
Tutto ad un tratto la corrente cominciò a trascinarmi in diverse direzioni. Iniziai a nuotare per riemergere ma ad ogni movimento l’acqua bruciava sempre di più.
Ero confuso, la mia mente lavorava a mille per cercare di trovare una soluzione logica a quella situazione, quando percepii migliaia di formicolii in tutto il corpo.
La strana sensazione divenne presto sempre più opprimente e, ad ogni bracciata per arrivare in superficie, il mio corpo bruciava un po’ di più.
Un urlo sfuggì dalla mia bocca – facendo entrare ancora acqua – quando sembravo essere arrivato alla superficie. Vedevo il cielo nuvoloso attraverso lo specchio dell’acqua, sapevo di essere vicino ma  quando credetti di riemergere il mio corpo prese letteralmente fuoco.
 
Aprii gli occhi boccheggiando e riprendendo aria mentre Blaze rovesciava su di me l’ennesima cascata di acqua mista a verbena. Capii immediatamente da dove derivasse il senso di bruciore del sogno.
« Sveglia, è l’ora della colazione! » mi canzonò l’uomo davanti a me.
Non lo degnai di uno sguardo mentre oltrepassavo la sua figura per vedere le condizioni di Shan. Era ancora svenuta.
« Lasciala andare. Non è colpevole.  » dissi con tono duro, alzando finalmente lo sguardo verso di lui.
« Oh, non penso proprio. È colpevole quasi quanto te. »
« Perché proprio lei? » chiesi in un sussurro, indebolito dalla verbena.
« Penso di doverti rinfrescare la memoria. » asserì lui e si appoggiò alla parete sulla destra.
« Ricordi Savannah (*), la donna che era con me prima? » continuò lui, tirando fuori l’ennesimo paletto di legno e cominciando ad intagliarlo. Io annuì semplicemente.
« Le avete rovinato la vita! » sputò fuori lui, indicando con un unico gesto me e Shannon.
« Ho rovinato parecchie vite nel corso dei secoli. » tossii ridendo.
Lui si avvicinò, furioso più che mai, e mi ficco il paletto nella milza. Imprecai dal dolore.
« Tu e questa puttanella  » disse ridendo amaramente, rivolgendosi a Shan, «avete ucciso sua nonna. Esattamente cento anni fa, a Roma. »
All’improvviso ricordai tutto. La mia convivenza con Shannon non era  sempre stata esattamente pacifica: avevamo avuto uno o due problemi nel corso degli anni. L’ultimo di questi fu proprio una donna, quella che avevo appena scoperto essere la nonna di Savannah.
 L’avevo ammaliata, sedotta e poi usata per riuscire a spezzare la maledizione del sole e della luna, ma quando realizzò di essere stata solamente sfruttata mi aizzò contro quasi la sua intera famiglia di streghe. Stanco di quella situazione, avevo deciso di chiedere aiuto a Shan per liberarmi di lei, ma non avrei mai pensato che ora, cent’anni dopo, qualcuno sarebbe venuto a vendicarne la morte.
Feci un cenno per far capire a Blaze che avevo compreso quello di cui parlasse.
« Evelyn… »
« Vedo che ora ricordi, bastardo. »
« Perché la famiglia della tua amichetta ha aspettato cento anni per vendicarsi? » chiesi io, fintamente curioso.
« Savannah è orfana di padre e sua madre non sarebbe mai riuscita a sconfiggerti con le sue sole forze. Non appena sua figlia fu cresciuta, però, la madre le raccontò la storia e, in punto di morte, le trasmise i suoi poteri. Savannah giurò di vendicarsi. » spiegò lui allontanandosi nuovamente.
« E ora cos’è cambiato? »
« Quando ci siamo conosciuti, tempo fa, Savannah mi raccontò la sua storia. Mi confessò di essere una strega e io le confessai di essere un lupo mannaro. Le giurai, in nome del nostro amore, che ti avrei trovato e ucciso. »
« E così, quando ti ho contattato per sbarazzarmi di Tyler e promettendoti un nuovo membro, tu hai colto l’occasione. » terminai al suo posto.
« Proprio così, l’hai reso maledettamente facile. » scoppiò in una risata, soddisfatto.  C’era ancora qualcosa, però, che non mi quadrava. Una persona in particolare mi aveva messo in contatto con questo branco di Charlottesville. Una persona che, non l’avrei creduto, aveva avuto il coraggio di tradirmi per la seconda volta.
« Katerina. » sussurrai ricollegando l’intera faccenda e inserendo l’ultimo pezzo mancante del puzzle.
« Cosa? »
« è stata lei a suggerirmi il vostro branco. Scommetto che è al corrente della tua storia e che l’ha fatto per farmi uccidere. E scommetto anche che ti ha convinto di avere i tuoi stessi ideali. Ma permettimi di infrangere i tuoi sogni: non appena sarò morto, si libererà anche di voi.  »
« Non so di cosa tu stia parlando, non conosco nessuna Katerina. » rispose lui, tutto a un tratto confuso dalla piega della conversazione.
In quello stesso momento udimmo entrambi dei passi fuori la cella e la porta di questa cigolare e aprirsi, rivelando una figura femminile.
« Ciao, Niklaus. » la sua voce suadente e profonda fece crescere ancora di più la mia rabbia. Entrò definitivamente nella cella e si chiuse la porta alle spalle. Mi sorrise vittoriosamente.
« Emily, sei sicura che Savannah non lo stia più influenzando con le visioni? Continua a parlare di una certa Katerina. » chiese Blake al suo indirizzo, leggermente disorientato.
Emily? Perché l’aveva chiamata Emily? La stessa Emily di cui aveva parlato Shannon?
Questa volta l’astuta Petrova aveva fatto le cose dannatamente bene.
In un attimo i suoi occhi si iniettarono di sangue, i canini sporsero e si fiondò verso il licantropo. Egli urlò impaurito, evidentemente non era al corrente della vera natura della donna.
« Dimentica quello che hai appena visto o sentito. Vai dalla tua ragazza e falla preparare per il rituale.  » ordinò soggiogandolo e spingendolo verso la porta.
Rimanemmo soli.
« Sai, vero, che sono il capostipite della tua linea di sangue? Se muoio io tu vieni dritta con me. »
Ella non rispose subito, si avvicinò a Shannon e sfilò il paletto. La forza che impresse fece svegliare la mia amica, che sussultò sbarrando gli occhi.
« Em… Emily » disse lei, fissando confusamente prima la Petrova e poi me.
« Shan, lei non è Emily. Il suo vero nome è Katerina Petrova. » le risposi io guardando con astio la vampira divertita.
« Il mio nome è Katherine Pierce, my lord. » rispose lei scoppiando a ridere.
« Che cosa vuoi da noi? » sussurrò Shannon ,ancora indebolita.
« Vuole uccidermi. » parlai al posto suo. « Peccato che questo ucciderà anche Stefan, il suo eterno amore. »
Nominare Stefan mi fece pensare automaticamente a Caroline. Non parlavamo da più di una settimana. Sarebbe morta anche lei, non potevo accettarlo.
« Mi credi davvero così ingenua, Klaus? Pensi che Tyler mi aiuterebbe ad ucciderti se significasse far morire anche la sua amata? O dovrei dire… vostra? »
« Sentiamo, allora, cos’hai intenzione di fare? » chiesi mentre Shannon cercava di liberarsi in tutti i modi. Sembrava aver ripreso le forze.
« Ho fatto un patto con questo branco. » rispose Katherine con un’espressione vittoriosa.
« Mi hai suggerito di rivolgermi a loro per liberarmi di Tyler perché sapevi della loro antica rivalità nei miei confronti.
Tutto era perfettamente incastrato nel tuo piano. Come sempre i doppiogiochi sono il tuo forte. » ipotizzai io, cominciando a dare una forma al pazzo piano della donna.
« Sai come sono fatta, tesoro. Ottengo sempre quello che voglio. Quando ti sei rivolto a me –mossa davvero stupida, devo ammetterlo – ho colto l’occasione.
Contavo sul fatto che non avresti sospettato di me e ho tirato fuori qualche asso nella manica. Io ho aiutato i licantropi e le streghe ad averti e loro hanno aiutato me.
Savannah, come avrai intuito, è una strega molto potente e, insieme ai suoi fratelli,  salverà tutti i discendenti della tua linea di sangue. Tutti, tranne te. Io mi libererò finalmente di te e non dovrò più scappare. Savannah riceverà la sua agognata vendetta. Tyler avrà la dolce Caroline tutta per sé e tu morirai. Sai che è l’interesse di tutti vederti marcire sotto terra.  » esclamò Katherine battendo le mani come una bambina felice.
« Hai organizzato proprio tutto, che dire. C’è una piccola cosa che ti sfugge, però.
Stanotte ci sarà la luna piena. Come farà un vampiro come te ad evitare un morso di licantropo? » per la prima volta Shannon parlò.
Katerina si girò verso di lei e la schiaffeggiò.
« Pensi che non l’abbia calcolato, stupida? Ho la cura per un morso di licantropo, non mi importa. E comunque li ucciderò tutti dopo il rituale, impedendogli di trasformarsi. » asserì lei decisa.
« Hai il mio sangue? Ma Come… » interruppi il breve scambio.
La Petrovasi girò verso di me e mi sorrise innocente.
« Sai, dovresti sapere che Caroline farebbe di tutto per salvare coloro che ama.
E’ stato facile prometterle di riavere Tyler in cambio di una fiala del tuo sangue. Ne uscirò comunque vincitrice. »
 
Tutti e tre sentimmo dei passi scendere le scale e dopo poco un altro uomo, evidentemente un membro del branco, aprì la porta.
« Emily, Savannah dice che è tutto pronto. La donna rimane qui. » disse apatico lui, facendo un cenno verso Shannon.
Quest’ultima mi guardò con un misto di paura ma senza rassegnazione. Si assicurò di non essere vista e, annuendo, mimò con le labbra: « Non morirai. »
Io la guardai serio e intuii che avesse qualcosa in mente.
Nello stesso momento Katherine parlò: « Va bene, Brad, ma dovrete caricarlo sulle spalle.
È ancora sotto l’incantesimo di immobilizzazione. »
L’uomo annuì semplicemente, quasi annoiato dalla faccenda, e si avvicinò a me.
Cominciò a slegare le catene e le bende mentre Shannon mi guardava sicura. Quando fui libero tentai un qualsiasi movimento, ma il solito muro invisibile me lo impediva.
Il tipo mi caricò sulle spalle e uscì dalla cella, seguito dalla Petrova che cominciò a camminare trionfante al nostro fianco.
Percorremmo due rampe di scale, la struttura era molto antica, e uscimmo da un piccolo cancello piuttosto rovinato.
Ci ritrovammo in uno spiazzo circolare piuttosto simmetrico, circondato da alberi e dalla fitta vegetazione. Dovevamo trovarci nei dintorni della foresta a sud di Charlottesville.
Al centro della radura si ergeva una grande pietra ben intagliata che doveva avere la funzione di altare. Quando giungemmo a pochi passi dalla roccia, Brad mi buttò a terra come un sacco di patate.
L’impossibilità di movimento mi rendeva nervoso, impotente.
Dalla mia posizione vidi obliquamente le figure di Tyler e Savannah. Il mio primo ibrido non mi guardava, sembrava decisamente teso.
« Mi devi la libertà, Tyler! » gridai al suo indirizzo, cercando di sdraiarmi meglio su un fianco.
Lui si voltò verso di me e mi guardò arrabbiato. « Senza di me a quest’ora ti staresti contorcendo dal dolore! Ti ho liberato dalla maledizione! »
« Sarà pure così, ma hai rovinato le nostre vite. Mi hai minacciato e hai fatto soffrire chiunque ti stesse vicino. Devi morire. » rispose lui non troppo convinto delle sue parole. Sembrava combattuto, fece qualche passo indietro.  Il suo atteggiamento di difesa stonava con le sue parole.
Katherine, Brad e Tyler si allontanarono verso un’altra struttura, evidentemente utilizzata per trattenere i licantropi durante le lune piene.
Savannah era l’unica rimasta, se ne stava in piedi a pochi centimetri da me. Leggeva silenziosamente un Grimorio e armeggiava con diversi calici. Il suo sguardo era concentrato e la mascella era contratta, la mia vicinanza doveva renderla nervosa.
« Katherine vi ucciderà. » le dissi, ma lei non mi degnò di uno sguardo.
 
Nello stesso momento in cui lei alzò gli occhi dal Grimorio, le urla disperate di cinque uomini cominciarono a squarciare l’aria notturna.
Katherine ci raggiunse nuovamente e parlò alla strega. « Ho aiutato il branco a legarsi, la trasformazione sta cominciando. C’è possibilità che si liberino? »
« No, » rispose la strega assorta nei suoi pensieri, « ho fatto un incantesimo che non gli permetterà di uscire. »
« Bene. » rispose la Petrova sorridendo e alzando lo sguardo alla luna. « Manca poco, circa un’ora. È tutto pronto? »
« Si. Abbiamo tutto quello che ci serve: il sangue dell’ibrido da sacrificare, quello di un vampiro discendente dalla sua linea di sangue e quello di un licantropo. » Savannah era totalmente determinata a togliermi la vita.
« Non avevo mai sentito che un incantesimo del genere fosse possibile. Almeno non senza uccidere la strega che lo pratica… » disse Katerina pensosa.
« Ed è così. La natura non permetterebbe un tale incantesimo. Uccidere un ibrido è quasi impossibile, ma sono pronta a sacrificarmi. »
« Quindi fare questo rituale ti ucciderà? » chiesi alla strega che immediatamente spostò il suo sguardo su di me.
Mi osservava dall’alto con un’espressione schifata.
« Il rituale ucciderà tutti gli esseri che hanno fornito il loro sangue per compierlo. Tranne, ovviamente, i tuoi discendenti. Un accordo è pur sempre un accordo.» disse guardando Katherine.
« E per vendicare tua nonna, a distanza di tutto questo tempo, saresti pronta a sacrificare la tua vita e quella del tuo ragazzo? » chiesi scioccato dalla sua rivelazione.
« Sapevo che non avresti compreso la forza dell’amore. Blaze sa tutto, lo sa fin dall’inizio, ed è pronto a sacrificarsi. Tu hai distrutto la mia famiglia, hai rovinato le nostre generazioni. Devi pagare e noi siamo disposti a tutto pur di fermare la tua scia di morte. »
 
Non risposi, era inutile. Quindi stavo davvero per morire?
Tentai nuovamente di muovermi, liberarmi in qualche modo. Niente. L’istinto di sopravvivenza mandò l’adrenalina in circolo per tutto il corpo e cominciai a fremere di impazienza. Molte sensazione diverse e contrastanti si impossessarono della mia mente, diversi flash della mia lunga vita mi passarono davanti agli occhi.
Era questo, dunque, che si provava in punto di morte. Pensai a tutte le persone che avevo conosciuto, ai miei fratelli, a Michael, a mia madre. Pensai alla mia vita da umano, al mio primo giorno da vampiro.  
Chi avrebbe accompagnato Rebekah a fare shopping? Per quanto superficiale fosse, questa era una delle mie preoccupazioni.
Pensai a Shannon, a Stefan, alla doppelganger.
 
« Possiamo cominciare. » ci informò la voce assorta di Savannah.
 
Non badai molto a quello che stava succedendo fuori di me, bensì tornai a concentrarmi sui miei pensieri.
Pensai a quante lotte avevo affrontato per rimanere vivo, a quante insicurezze avevo dovuto sorpassare per far emergere il mio lato indifferente. Pensai, poi, a tutte le vite che avevo stroncato per perseguire i miei intenti.
Tutto quello che avevo fatto ora non aveva più senso. Per la prima volta dopo tanto tempo, forse troppo, mi rassegnai passivamente al destino che mi aspettava. Qualunque  esso fosse.
 
La voce della strega cominciò a recitare formule in latino mentre una leggera foschia cominciava ad aleggiare nello spazio in cui ci trovavamo.
 
La mia esistenza era davvero stata solamente un grande errore?
Come  un fulmine a ciel sereno, poi, un’immagine mi colpì. Caroline.
No, la mia vita non poteva essere un completo errore se mi aveva condotto a lei. L’unica cosa pura che non ero riuscito a intaccare con il mio odio. L’unica cosa che mi dava un po’ di pace prima di lasciare questo mondo che tanto mi aveva disprezzato.
Cominciai a sentire freddo, il gelo si fece largo fra le mie ossa, in profondità, e gli occhi cominciarono a bruciare. L’incantesimo doveva aver cominciato a fare effetto.
Pian piano cominciai a perdere sensibilità ai piedi, il formicolio continuava e tutto cominciava ad essere confuso e annebbiato.
Chiusi gli occhi abbandonandomi completamente all’ intorpidimento dei sensi, ma da un lato percepivo ancora alla perfezione i suoni e i movimenti delle cose che mi circondavano. Sentivo la silenziosa presenza di Katherine nella radura, la voce sicura e decisa di Savannah che ancora pronunciava l’incantesimo. Le urla dei licantropi erano diventate più rade, ma riuscivo a percepire comunque la loro presenza, più in là, nella seconda struttura.
Mi sembrò quasi di sentire il respiro accelerato di Shannon, ancora rinchiusa nella cella.
Per quanto mi fosse possibile riaprii gli occhi e la prima cosa che vidi fu la volta stellata, circondata dalle alte punte degli alberi.
La luna sovrana sembrava molto più grande del solito e le stelle, sue piccole figlie, la accerchiavano come piccoli sudditi.
Mi sentii un po’ come la luna. Entrambi eravamo sempre osservati a debita distanza, brillavamo e bruciavamo di un’intensità incomparabile. Entrambi eravamo eternamente soli, sebbene accerchiati da migliaia di puntini che, al nostro confronto, non erano niente.
Sbattei più volte le palpebre lentamente e pesantemente.
Era quella l’ultima cosa che avrei sempre voluto vedere prima di andarmene per sempre.
Chiusi di nuovo gli occhi, stanco come non mai.
Mi sentivo come se tutto il sonno arretrato di cui non avevo più avuto bisogno durante l’immortalità, ora pesasse sulle  mie palpebre troppo deboli per opporvi resistenza.
 
 
« No, non è possibile. NO! » la voce attonita e sbigottita di Katerina mi risvegliò dalla trance in cui ero caduto.
Aprii nuovamente gli occhi e la guardai mentre le sue pupille si allargavano a dismisura. In un secondo un’ombra fu davanti a lei. Da quel che potevo vedere dalla posizione supina in cui mi trovavo, era un uomo.
Improvvisamente l’ombra portò le mani ai lati della vampira e tirò forte, spezzando il collo. Il  corpo inanimato della vampira stramazzò subito al suolo mentre spostavo lo sguardo disorientato verso Savannah. Ella si guardò intorno spaventata e, abbandonando l’altare, cominciò a correre verso la foresta. Un’altra ombra, però, che non potei riconoscere, la immobilizzò, bloccandole le braccia dietro la schiena.
La mia vista si era fatta decisamente più debole mentre la testa continuava a girarmi.
Sentii una voce urlare: «Nik! » e dei passi frettolosi accorrere verso di me.
In quel momento vidi il volto di un angelo, o almeno così mi sembrò.
La straordinaria creatura si inginocchiò al mio fianco e, poggiando la mia testa sulle sue
ginocchia, mi accarezzò il viso. « Fratello mio… »
Udendo quelle parole, la mia mente acquisì una leggera lucidità e riconobbi il volto di Rebekah.
« Be… Bekah… » sussurrai, lasciandomi andare definitivamente al suo corpo, prima che le forze mi abbandonassero del tutto.














-Commento.
*Savannah è in nome della protagonista femminile di Dear John. Se non si fosse capito, amo quel film! ahahah *-*

Il titolo del capitolo è tratto  dalla canzone "Politik" dei Coldplay. <3

Chiarimenti:
-Allora, non so se a sud di Charlottesville ci sia una foresta, però insomma mi sono presa questa piccola licenza. LOL
- Diciamo che un'altra cosa che mi sono permessa di fare è aumentare la crescita demografica di streghe e licantropi.
- Non so se esista o sia possibile un incantesimo simile o uguale a quello che Savannah ha intenzione di fare, però ecco dato che la sua famiglia - come ho precisato - era una famiglia molto potente di streghe, ho immaginato che nel suo Grimorio ci fosse un rituale del genere.
-La nonna di Savannah che viveva cento anni prima. Mi serviva un motivo per far tornare Shannon e per inserire un po' di mistero, quindi anche qui ho ipotizzato che Evelyn fosse una strega tipo Gloria, cioè che avesse fatto un incantesimo per prolungare la vita e rallentare l'invecchiamento.
Lo so, magari non quadra molto bene, ma mi sono presa ugualmente questo "permesso" LOL

E poi non saprei, sicuramente ho dimenticato di dirvi qualcosa. Comunque vi ringrazio in anticipo come sempre, abbraccio forte tutti quelli che seguono la storia e spero di avervi soddisfatto! :) 
AVVISO: Il prossimo capitolo sarà altamente Klaroline <3

Mando un particolare saluto alle mie Sisters di cui vi nomino anche le storie:
- Vallyjessi, autrice di Born to Die.  Ciaaao Valeeee <3
-Winner, autrice di Always and Forever e di Seriously. Ti mando un bacione Giù! <3
- Ivy C. Rae, autrice di Bittersweet Downfall. Grazie di tutto Ivy <3
- AmoTVD98, autrice di Everybody told me love was blind, then i saw your face and you blew my mind. Ciaoo Sasi <3
- ultima, ma non meno importante, Amber94. Un abbraccio Ambraa <3

E saluto calorosamente anche tutte le altre Sisters, sono felicissima di avervi conosciuto. Siete le migliori del mondo e vi adoro tutte <3

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Capitolo 17
*** Undisclosed Desires ***


Heaven's in your eyes.

        
How can I love when I'm afraid to fall? 

But watching you stand alone 
All of my doubt suddenly goes away somehow 
One step close

        (Christina Perri - A thousand years)





Pov Klaus
 
 
Aprii gli occhi d’improvviso, trovandomi di fronte uno scenario inaspettato.
Le pareti della mia stanza non erano mai state così accoglienti come in quel momento, peccato che l’intera camera girasse vorticosamente su se stessa.
O forse era solo la mia testa?
Feci scorrere il braccio destro lungo le profumate e pregiate lenzuola, tastando con le dita il delicato tessuto.
L’ultima cosa che ricordavo era il volto di Bekah piegato sul mio e il chiarore della luna riflesso sul suo viso.  Improvvisamente sentii dei passi salire le scale e la porta cigolare.
Shannon, senza guardarmi, entrò e la chiuse delicatamente, probabilmente per paura di svegliarmi.
« Buongiorno! » dissi mettendomi seduto e osservando la docile figura della mia amica.
« Ah, sei sveglio. » rispose lei sorridendomi e accomodandosi al bordo del letto.
Mi avvicinai e la tirai per la manica, traendola a me e abbracciandola energicamente.
Strinse forte le braccia dietro al mio collo e io le accarezzai i capelli.
« Ho davvero, davvero temuto di perderti. » disse contro il mio collo.
Io la strinsi ancora più forte, se possibile, e sussurrai: « Non mi perderai mai. »
Restammo stretti in quella maniera per un tempo indeterminato, finché lei non si staccò e mi fece sistemare meglio sui cuscini. Si sedette al mio fianco, incrociando le gambe sul materasso e mi guardò.
« Devi riposare, quell’incantesimo era davvero potente. »
« Che cosa è successo a Katerina e alla strega? »
« Ci hanno pensato Kol ed Elijah quando sono venuti a salvarci. Katerina per ora è stata rinchiusa nella cripta, la discendente Bennet ci ha aiutato. La strega, invece, è stata soggiogata a dimenticare l’accaduto. »
Bonnie aveva aiutato a rinchiudere Katherine? Questo voleva dire che era al corrente di tutto, così come Elena, i Salvatore… Caroline.
« Come avete convinto Bonnie ad aiutarvi? »
« Le abbiamo assicurato che tenere Katherine segregata era la cosa migliore per tutti.
Devo avvisarti però, ci sono un paio di persone leggermente arrabbiate con te. E con leggermente arrabbiate intendo pazzamente furiose. Caroline è venuta qui circa tre volte, e in ognuna di queste aveva con sé un’arma diversa per ucciderti.
Perché hai fatto portar via Tyler? Non hai pensato che, forse, lei avrebbe dovuto scegliere di sua spontanea volontà con chi stare? » disse Shannon rimproverandomi.
« Shan, ti prego, non voglio parlarne. » risposi incupendomi e aggrottando le sopracciglia.
« Va bene, va bene. » alzò le spalle con aria di resa.
« E i licantropi? » chiesi tornando alla questione più importante.
La mia amica abbassò gli occhi, osservando i complessi disegni sulle lenzuola, e dopo alcuni attimi di silenzio parlò.
« I tuoi fratelli li hanno uccisi quasi tutti. »
« Penso che fosse la cosa migliore da fare. » affermai con sicurezza, ringraziando dentro di me che una minaccia fosse stata eliminata.
Ripensando ai nostri momenti di prigionia però, mi tornò alla mente quello che Shannon aveva detto.
« Quando eravamo in quella cella hai detto che hai conosciuto Katherine all’aeroporto, mentre stavi per tornare in Spagna…
Shan, è passata più di una settimana. Ti hanno torturata per tutto quel tempo? » chiesi orripilato d aquello che poteva esser successo.
« No, hanno cominciato a torturarmi solo qualche giorno fa. Inizialmente mi avevano solo rinchiusa nella cella. Pensavo che mi avrebbero uccisa… » sussurrò, stringendosi nelle spalle e abbassando gli occhi.
Quando li rialzò verso di me erano lucidi.
Avvicinai la mano alla sua guancia e la accarezzai. Lei sorrise, ma non poté fare a meno di trattenere alcune lacrime.
« Mi dispiace così tanto, non avrei mai dovuto coinvolgerti. È tutta colpa mia. » le dissi realmente affranto per quello che le avevo fatto passare.
« Ma che dici, sciocco…  Sai che per te farei qualunque cosa. E inoltre ero preoccupata più per te che per me. »
« Non merito di avere qualcuno come te al mio fianco. »
Lei non rispose, scosse semplicemente la testa e sorrise guardandomi affettuosa. Era una delle persone migliori che avessi mai conosciuto e non potevo credere alla grande fortuna che avevo avuto incontrandola.
« Non capisco una cosa, però… » chiesi assorto nei miei pensieri « come hanno fatto i miei fratelli a trovarci? »
« In Spagna, ad aspettarmi, c’era una mia amica strega. Sapeva che sarei dovuta rientrare a giorni e, quando non mi ha vista tornare, ha fatto un incantesimo di localizzazione.
A quel punto ha chiamato Rebekah, come le avevo detto di fare in caso non fossi tornata… »
« Come sapevi che non saresti tornata? » chiesi dubbioso, scrutandola.
« Non lo sapevo. Ma sai, durante il corso degli anni ho cercato di assicurarmi sempre un’ancora in caso mi succeda qualcosa. Rachel è la mia ancora. »
Così dicendo mi sorrise e si stese al mio fianco. Entrambi stavamo in silenzio, fianco a fianco, fissando il soffitto.
 
« Non puoi pretendere di farla innamorare semplicemente eliminando la concorrenza, lo sai Nik? » disse improvvisamente senza guardarmi.
Io cercai di parlare, ma lei lo percepì e mi zittì con una mano.
« Pensavi davvero che lei si sarebbe svegliata, avrebbe accettato la scomparsa del suo ragazzo e si sarebbe buttata fra le tue braccia? »
Sospirai, arrendendomi alla testardaggine di Shannon. Non c’era niente da fare, quando voleva fare qualcosa, non importava quanti ostacoli ci fossero, lei lo faceva.
« Lo speravo. Speravo che mi vedesse per una volta. » confessai in fine, arrendendomi.
« Non è così che funzionano le cose, Nik. Non puoi semplicemente costringere qualcuno ad amarti. Devi mostrarti per quello che sei, aprirti, denudarti completamente da tutte le maschere. Devi permetterle di capirti, di guardare dentro di te. »
« Se lo facessi sarei vulnerabile. Se lei vedesse realmente quello che c’è in me, chi dice che non potrebbe usarlo per farmi soffrire? » dissi sbuffando e affilando lo sguardo.
« L’amore ha i suoi rischi. La probabilità che lei ti faccia bene è uguale a quella che lei ti faccia male. Non c’è un modo per evitare il dolore. »
« Perché dovremmo amare, allora? » chiesi aggrottando la fronte e interrogandomi.
« Perché ne vale la pena. Perché tutto il dolore del mondo non vale quanto lo sguardo della persona che ami.
Perché alla fine, secondo me, l’amore è l’unica cosa che ci tiene vivi. » terminò il suo discorso con una scrollata di spalle, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
« L’amore è la più grande debolezza di un vampiro. » ribattei io, fissandola per un momento e riportando poi lo sguardo al soffitto.
« Ognuno di noi ha qualche debolezza. Prendiamo te, ad esempio. Non ami, quasi mai e quasi nessuno, perlomeno. Eppure non sei completamente invincibile, c’è qualcosa che ti abbatte, qualcosa che cerchi di combattere ma che non puoi respingere. Tu hai paura di restare solo, Klaus, e questo fa sì che allontani le persone.
Preferisci mandarle via prima che siano loro ad andarsene, ma quello che non riesci a capire è che non tutti se ne vanno. C’è anche chi resta.
Questa è la tua debolezza e non riuscirai mai a liberartene, almeno non finché rimarrai così incatenato ai tuoi ideali. Dimentica tutto. Dimentica la sofferenza, l’abbandono, la paura. Tu puoi essere amato, per te c’è ancora speranza. Non abbandonarti alla solitudine e al tormento eterno, tutto quello che devi fare è amare e lasciarti amare. »
Riflettei qualche istante sulle parole che Shannon aveva appena detto e giunsi ad una conclusione che non avrei ammesso davanti a nessun altro.
« Ho paura. »
Lei mi prese la mano e la strinse forte, affiancandomi un po’ di più e poggiando la testa sulla mia spalla. « Lo so. Ma non devi farlo per me, né per Caroline, né tanto meno per nessun altro. Devi farlo solo per te stesso, in fondo te lo devi.
E comunque io sarò sempre al tuo fianco qualsiasi cosa accada. »
« Fidati quando dico che non capirò mai perché. Io sono un essere abominevole, un assassino, un senza cuore. »
« Non so spiegarti l’origine o il motivo del mio affetto per te. So solo che quando sei con me, io non sono più sola. O forse sono semplicemente pazza. » proferì scoppiando in una fragorosa risata e sedendosi sul letto. Mi guardò un’ultima volta e si alzò definitivamente.
« Dove vai? » domandai osservandola avviarsi verso la porta.
« Vado a fare una passeggiata con Bekah, per qualsiasi cosa ci sono Kol ed Elijah. Ci vediamo stasera. » e così dicendo mi fece un cenno della mano e uscì dalla porta.
Rimasi a letto per qualche minuto, poi decisi di fare una doccia.
 
Venti minuti dopo ero pulito, vestito e molto, molto affamato. Uscii dalla mia camera e percorsi il breve corridoio fino alle scale.
Giunto al piano inferiore, notai sull’orologio in cucina che erano le 17 del pomeriggio. Solo un giorno prima stavo per morire ed ora ero tornato alla perfetta e usuale quotidianità.
« Ehilà, fratello! » fece Kol entrando nella stanza e sedendosi al bancone, io lo imitai.
« Ciao, Kol. Dovrei proprio ringr… » lui non mi fece terminare, agitò una mano e scosse la testa.
« No, no, non pensarci nemmeno. Niente smancerie del tipo “mi hai salvato la vita, ti sarò eterno debitore, ti amo sangue del mio sangue” » rispose alzandosi, avviandosi al frigo e chiedendomi: « Sangue? » mentre io lo guardavo, annuivo e pensavo “What’s wrong with you, man?”
« Siamo pari. Veramente, è stato figo accorrere come un eroe per salvare la vita del mio stupido fratello. » continuò, cominciando a versare il sangue in due bicchieri di vetro.
Mi porse il mio e sorrise.
« Immagino che sia più di quello che potessi aspettarmi. Comunque grazie, non avrei dovuto esporvi ad un tale pericolo.  »
« Nah, in fondo è stato divertente salvare il tuo culo Originale! » disse scoppiando a ridere e bevendo nuovamente un altro sorso di sangue. Feci anch’io lo stesso e lo guardai, notando qualcosa di diverso.
« Sei particolarmente esuberante oggi, devo dedurre che sei felice? » chiesi sorridendo al suo indirizzo.
« Bè, diciamo che fra me e te sono quello che se la cava meglio con le donne » disse con un grande sorriso, punzecchiandomi.
« Chi è la poverina? »
« Non ci crederai ma… Bonnie Bennet. » quella rivelazione mi sorprese non poco. Come aveva fatto una donna intelligente come Bonnie a cadere ai piedi del mio fratellino?
« Quante volte ti ho detto di non soggiogare a sproposito? » dissi rimproverandolo. Il controllo mentale era l’unico modo in cui una come lei avrebbe potuto apprezzare uno come lui.
Kol fece una smorfia e si portò teatralmente una mano al cuore. « Mi ferisci nel profondo dell’anima, fratello! »
« Andiamo, Kol. Non è una cosa giusta e lo sai bene. »
Lui si fece serio per un attimo, guardandomi attentamente negli occhi.
« Primo: perché stai facendo proprio tu il moralista? Secondo: il tuo bacato cervello da ibrido non riesce ad immaginare che esista una persona che mi apprezzi senza che io la soggioghi? »
« Una persona qualunque, sì, potrebbe farlo. Ma non Bonnie Bennet. Non staremo mica parlando di due ragazze diverse? » chiesi accigliandomi e guardando verso l’alto.
« Non so tu, ma io sto parlando della Bonnie determinata, forte e orgogliosa che tutti conoscono. Sto parlando della Bonnie che mi piace da impazzire. »
Ma cosa stava succedendo al mondo? Kol aveva per caso bevuto del sangue avariato?
« Ah, si. Bè, hai dimenticato una cosa: la Bonnie che odia i vampiri e che è tua nemica naturale. Oh, non dimentichiamoci che potrebbe anche ucciderti nel sonno. Sei sicuro che quello che stai bevendo sia solo sangue? Bekah non ti avrà mica drogato? »
« Sei sempre così… malfidato. Non pensi che potrei piacerle? Secondo te l’unico motivo per cui mi frequenta è per potermi uccidere? Fattelo dire, fratello, hai dei seri problemi di fiducia. » e così dicendo mi schioccò l’occhiolino e si dileguò, lasciandomi a riflettere sulle sue parole. Certo, aveva usato il suo solito modo da giocherellone ma nel suo discorso c’era un gran fondo di verità.
 
 
 
 
 
 
Pov Caroline
 
« Non riesco davvero a credere che tu abbia potuto fare una cosa del genere. »
Da quando avevo saputo la verità riguardo la sparizione di Tyler e la folle idea di Katherine, non riuscivo più a ragionare lucidamente e a trovare una spiegazione
logica alla pazzia che aveva colpito tutti.
« L’ho fatto per noi, non lo capisci? L’ho fatto per te. » rispose lui amaramente, voltandosi verso di me e guardandomi duramente negli occhi.
« Forse non riesci a capire quanto io abbia avuto paura. Ti costava tanto avvisarmi? Che so, lasciarmi qualche segno e farmi capire che stavi bene. Ho temuto di averti perso, ho passato giorni e notti a cercarti, a trattare male i miei amici e a pensare al peggio. »
Mi sedetti sul mio letto e mi strinsi nelle braccia, il dolore di quegli interminabili giorni ancora forte e pulsante.
Tyler si avvicinò e si accomodò al mio fianco.
« Se ti avessi avvisato loro avrebbero capito » sussurrò prendendo la mia mano. Io mi scansai e mi allontanai verso il lato opposto del letto.
« Non puoi immaginare quanto io mi sia sentita sola.
 Avresti potuto trovare un modo, avresti potuto pensare anche a me almeno un po’ invece di lasciarti accecare dalla frenesia di uccidere Klaus. » questa volta non alzai la voce, non ero arrabbiata. Ero ferita. Sebbene mi fossi tenuta lontana dal pronunciare o dal solo pensare quel nome, ebbi un brivido non appena lo dissi.
Ricacciai tutti i pensieri indietro e guardai Ty. Lui aveva in viso un’espressione dispiaciuta, afflitta, ma ero comunque molto ferita dal suo atteggiamento menefreghista.
Come si sa, la fiducia è alla base di ogni rapporto e questa volta aveva proprio esagerato.
Non rispose alle mie accuse, così continuai.
« E se… e se quella strega, sì insomma… se quella strega vi avesse fregato? Cosa avresti fatto? Se avesse fatto morire tutti i vampiri discendenti dalla linea di sangue di Klaus?
In fondo lo sappiamo, le streghe ci odiano. Avrebbe potuto farlo, no?
Ti rendi conto che saremmo potuti morire? »
Lui scattò a quelle parole, alzò lo sguardo e mi guardò freddamente.
« E tu ti rendi conto che Klaus è ancora qui e c’è un particolare motivo per cui continua a rimanere? »
Non appena pronunciò quelle parole, un flash mi colpì improvviso.
 
 
« Perché mi hai detto che te ne saresti andato da Mystic Falls e poi sei rimasto? »
« Le prospettive cambiano. »
« Non è una risposta. »
« Non volevo lasciarti. »

 
 
« Penso che stia tramando qualcosa. » la voce di Tyler mi riportò alla realtà. « C’è qualcosa qui a Mystic Falls che ha attirato la sua attenzione. Hai per caso dimenticato che ottiene sempre ciò che vuole? Care… ei Care, mi stai ascoltando? »
Distolsi lo sguardo dalle lenzuola, dove si era bloccato, e mi riscossi da quei pensieri.
Le parole di Tyler erano molto più vere di quanto pensasse.
« Sì, sì… ti sto ascoltando. Senti, io non lo so. »
« Ti comporti come se non fossi arrabbiata con lui. » disse il mio fidanzato con tono sospettoso.
« Perché dovr… no, cioè… io sono arrabbiata  con lui per averti fatto portare via, per averti ricattato, per averci rovinato la vita ma… senti, non so cosa dire, va bene? Ho bisogno di riflettere. »
E così alzandomi dal letto mi diressi fuori dalla mia camera e poi fuori dalla casa.
La confusione e l’insicurezza mi stavano mangiando da dentro, lacerando ogni mia certezza e facendomi dubitare di qualsiasi azione.
Non sapevo più cosa provare né tanto meno cosa pensare.
 Ero furiosa con Klaus : mi aveva mentito per la seconda volta, aveva allontanato il mio fidanzato per chissà quale motivo e mi aveva fatta soffrire. In fondo tutto quel grande guaio era accaduto a causa sua. Dovevo ammettere però, che sapere della sua quasi morte mi aveva colpita e non poco.
Che cosa avrei fatto se fosse veramente morto? Cosa avrei provato?  In quel momento al solo pensiero della sua scomparsa la pelle si accapponava, un vuoto tremendo si espandeva in  tutto il corpo e un inaspettato dolore mi colpiva.
Non sapevo più cosa fosse giusto, cosa dovessi fare. Da una parte mi sentivo totalmente in colpa per aver quasi tradito Tyler, la rabbia non aveva cancellato i sentimenti che avevo provato inizialmente, la vergogna per aver violato la fiducia che il mio ragazzo riponeva in me era ancora viva nella mia testa ma, d’altra parte, la paura di aver quasi perso per sempre Klaus era altrettanto forte.
Il mio cervello si spense per un attimo e senza accorgermene mi ritrovai diretta verso casa Mikaelson.
Era già la quarta volta quella mattina che mi recavo nella grande villa, sebbene le prime tre volte non fossero state proprio “pacifiche”. Anzi, a dirla tutta, avevo tentato più volte di irrompere nell’abitazione e uccidere Klaus nel sonno. Purtroppo – o per fortuna – per me, c’era sempre un Originale  pronto a bloccarmi.
 
 
Arrivai dinanzi alla porta principale e bussai tre colpi.
In un batter d’occhio mi ritrovai Kol davanti e, con la stessa velocità, mi bloccò sul posto stringendomi forte le braccia intorno alla schiena. Quello che da fuori poteva sembrare un abbraccio amichevole, era in realtà un modo per immobilizzarmi.
« No, no, no, no. Non provarci! Cos’hai questa volta? Una balestra? Una spada medievale? » disse il più piccolo degli Antichi, staccando le braccia dalla mia schiena, richiudendosi la porta alle spalle e intralciando il passaggio.
« Non ho niente con me. Vengo in pace, vuoi perquisirmi? » domandai con voce scocciata.
« Per quanto la proposta sia allettante » annunciò con voce maliziosa, « non ce ne è bisogno. In fondo non saresti così stupida da tentare di ucciderlo. » continuò lui sorridendo e scompigliandomi i capelli come se fossi un cucciolo di cane appena arrivato.
Io lo guardai infastidita, lo sorpassai e mi infilai nel piccolo varco che aveva creato la porta aperta.
Cercai di essere il più silenziosa possibile mentre spegnevo ogni emozione e ogni pensiero logico, mi abbandonavo all’istinto animale e sentivo gli occhi iniettarsi di sangue e le zanne affiorare sulle mie labbra. Mi lasciai semplicemente trasportare dalla rabbia che provavo per Klaus perché era più facile che cercare di spiegarmi tutte le altre emozioni che mi suscitava.
Mi diressi furtivamente verso la sua camera e, non appena entrai, mi ritrovai catapultata al muro. Lo guardai per un secondo negli occhi e ribaltai la situazione, schiacciando il suo corpo alla parete e tirando fuori le zanne.
« Come hai potuto! » urlai verso di lui mentre stringevo la presa ferrea sul suo collo.
Lui portò lentamente una mano sulla mia e senza troppi sforzi la allontanò. Poi sussurrò: « Calmati, per favore.»
Io non lo ascoltai, ruggii sommessamente e lo scaraventai nella direzione opposta, afferrandolo per il colletto della camicia bianca.
Lui si rialzò immediatamente e mi fiondai contro la sua figura.
Klaus mi catturò nelle sue braccia ma sfruttai la sua leggera debolezza per portarmi alle sue spalle e colpirlo con un pugno.
Non sapevo bene perché lo stessi attaccando così selvaggiamente e impetuosamente, l’unica cosa di cui ero sicura era la rabbia che pian piano cresceva sempre di più.
Si girò nuovamente verso di me e mi guardò un attimo negli occhi, poi parlò nuovamente: « Smetterai di combattere e ti siederai sul letto. »
Senza sapere per quale motivo, sentii i miei muscoli agire da soli e mi sedetti sul letto.
« Non vale il controllo mentale! » ringhiai verso di lui.
« Era l’unico modo per farti smettere di attaccarmi. »
 
Si sedette in una poltrona poco distante dal letto e mi fissò.
« Mi hai ferita. » sussurrai guardandolo dritto negli occhi, sperando di riuscire a comunicargli quello che mi affliggeva.
Lui non rispose, così continuai. « Perché l’hai fatto? Perché hai allontanato Tyler e poi hai finto di aiutarmi nelle ricerche? Non pensavo che avresti tradito la mia fiducia per la seconda volta. È così facile per te mentirmi? Su cos’altro mi hai mentito? »
« Caroline, Caroline, fermati. Lasciami parlare. »
Io mi zittii e lo guardai in attesa di risposte. Nel frattempo Klaus si alzò e cominciò a girare nervosamente per la stanza sotto il mio sguardo attento e indagatore.
« Quando ho fatto quello che ho fatto, non ho minimamente pensato che la cosa potesse ferirti. Ho semplicemente ragionato d’istinto e ho valutato che quella fosse la cosa migliore da fare per averti. »
Io sgranai gli occhi per quello che aveva appena detto e rimasi interdetta per qualche secondo. Poi parlai: « Non puoi pretendere di agire senza ragionare e di essere anche scusato. Tu non puoi immaginare quanto questa tua… scelta mi abbia ferita. Non hai pensato minimamente a come potessi starci io? »
« Io non sono bravo in queste cose. Io ho bisogno di te. »
La sorpresa mi travolse completamente così come le sue parole, ma non potei crederci.
« No, tu non hai bisogno di me. Tu hai bisogno di qualcuno che continui a compiacere il tuo ego smisurato e a soddisfare la tua predisposizione a rovinare la vita delle persone, e io non ho più intenzione di essere questo qualcuno. »
Lui si fermò, bloccandosi sul posto e fissando lo sguardo nel mio.
Aprii la bocca per parlare ma lui mi interruppe. « Io credo di provare qualcosa per te. »
A quella rivelazione la mascella mi cadde per terra e sbarrai gli occhi. Non potevo credere a quello che avevo appena sentito, l’unica cosa che riuscivo a percepire era la grande rabbia che lentamente cresceva dentro di me e mi dava la forza di ribattere.
« No, tu non provi niente. » risposi freddamente. « Tu non sai nemmeno cosa sia l’affetto. Tenere a qualcuno è sacrificio, responsabilità, è l’annullamento totale di se stessi per fondersi con qualcun altro. »
Presi una piccola pausa per riprendere fiato e continuai, mentre lui mi guardava serio senza fare nulla.
« Tu sei solo un egoista,se ti importasse di me veramente mi avresti lasciata con Tyler. Avresti voluto la mia felicità anche con qualcun altro.
Se davvero tenessi a me avresti pensato al mio bene. » terminai fiera di me stessa ma, quando incontrai il suo sguardo, non ero più tanto sicura di quanto credessi.
« No, non è vero. Mi prendo il permesso di contraddirti: solo perché voglio vederti al mio fianco, e solo al mio fianco, non vuol dire che non tenga a te. E non puoi immaginare quanto mi costino queste parole e quanto io abbia annullato me stesso per dirtele.
Io ti sto regalando il mio meglio, il mio peggio. Io voglio stare con te e voglio vederti al mio fianco perché io non ti lascio andare, mi dispiace. Anzi no, a dire il vero non mi dispiace affatto. Pensa di me quel che vuoi ma io voglio perdermi nei tuoi capelli, voglio vedere il tuo sorriso ogni giorno. Voglio essere il tuo mostro, il tuo migliore incubo e voglio soddisfare i desideri nascosti del tuo cuore (*), quelli che non hai mai confidato a nessuno, quelli di cui a volte ti vergogni, beh io voglio anche quelli.
Non puoi respingermi, Caroline, perché noi siamo uguali. Io sono quello che hai sempre temuto di diventare, sono la parte di te che odi ma che non puoi fare a meno di amare. Io sono te, sono in te. E tu sei dentro di me, incancellabile e proibita. »
 
Terminò il suo discorso venendo verso di me e tirandomi su dalla posizione in cui mi ero immobilizzata.
Non capivo più niente, le sue parole continuavano a rimbombarmi prepotenti nella testa ed ero confusa e disorientata da tutto quello che era appena successo.
Non sapevo se un vampiro potesse svenire per sovraccarico di informazioni, ma in quel momento era esattamente come mi sentivo io.
Non riuscivo a fornirmi una spiegazione logica a quello che aveva detto, l’unica cosa di cui ero consapevole era che, nel preciso momento in cui aveva terminato il suo discorso, qualcosa dentro di me si era incrinato. Una piccola parte, un piccolo tassello, un ingranaggio si era azionato e aveva messo in moto qualcosa che finora avevo ignorato, nascosto e ripugnato persino a me stessa.
 
« Penso che sia giunto il momento di sciogliere i tuoi dubbi. »
 
E così dicendo si avvicinò a me, questa volta senza esitazioni e senza paura, fino a posare le labbra sulle mie. Inizialmente rimasi immobile, anzi cercai di allontanarlo con tutte le mie forze, scalciando e graffiandolo. Lui costrinse il mio viso a rimanere immobile, posizionando una mano ferma dietro la nuca e impedendomi ogni movimento.
D’istinto chiusi anch’io gli occhi, rimanendo ferma e chiedendomi quando  sarebbe terminata quella strana situazione. Il mio cervello lavorava all’impazzata alla ricerca di risposte alle milioni di domande che mi frullavano per la testa in quel momento.
Dopo qualche secondo di lucida razionalità, persi ogni controllo e ogni freno inibitore che mi urlasse di combattere contro la forza di Klaus. Mi abbandonai all’impeto, all’istinto naturale che tanto avevo cercato di controllare e, in un attimo di pazzia, aggrappai le mie mani alle sue, ancora sul mio viso, e schiaccia le sue labbra tra le mie. Non era un bacio delicato ma nemmeno passionale. Era un bacio carico di bisogno, come a voler trovare la parte mancante di sé stessi. Era quel tipo di necessità che si sente nel petto quando si è in apnea e si vuole aria. Io cercavo il contatto con le sue labbra come aria, come sole. Era solamente il tenersi stretti per non cadere a pezzi.
I pensieri si bloccarono, sentivamo solamente il bisogno e la necessità di salvarci l’un l’altro.
Ci fu un momento durante quel bacio in cui sentii chiaramente la mia frustrazione e la confusione salire dalla bocca dello stomaco e attanagliarmi la gola.
Fermai quel lento gioco e mi staccai da Klaus, che nello stesso momento aprì gli occhi.
Fissai impaurita i suoi occhi vivaci e mi allontanai di scatto, realizzando quello che era appena successo.
Lo guardai allarmata mentre le poche sicurezze che mi erano rimaste crollavano fragilmente dal filo del rasoio su cui da troppo tempo mi aggrappavo.
Caddi anch’io con loro, abbandonandomi al vuoto che era venuto a crearsi sotto i miei piedi mentre tutte le mie convinzioni morivano lentamente.
 




Commento:
Eccomi qui con un grandissimo ritardo! Mi scuso per avervi fatto aspettare così tanto ma sono stata fuori e non avendo internet non ho potuto scrivere. Mettendoci anche che non avevo ispirazione, è uscito fuori questo casino!
Vi ringrazio come sempre del supporto, un grazie di cuore  chi recensisce e inserisce fra le seguite/preferite/ ricordate.
Fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo tramite una recensione, se vi va! :)
Un bacio a tutti e a presto <3

Note:
(*) Frase e titolo del capitolo tratte dalla canzone Undisclosed Desires dei Muse, che io a m o!



Quasi dimenticavo! Un ringraziamento speciale va alla mia cara Ivy che ha betato la prima parte del capitolo. Grazie davvero tesoro <3

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Capitolo 18
*** A Revelation in the Light of Day ***


Heaven’s in your eyes.
 
 
 
 
Pov Caroline
 
 
 
 
Mi rigirai per l’ennesima volta fra le leggere lenzuola bianche, arrotolandole fra le gambe e sbuffando pesantamente.
Era la seconda notte consecutiva che passavo senza chiudere occhio, troppo occupata a crogiolarmi nei pensieri senza fine. Quando questo non accadeva, ci pensava il senso di colpa nei confronti di Tyler a mangiarmi lo stomaco.
Perché tutto doveva essere così stupidamente ed enormemente difficile?
Fissavo il soffitto bianco come se improvvisamente ci si potesse proiettare sopra la soluzione a tutti i miei problemi. Sfortunatamente per me però, questo non accadeva mai.
Rimaneva sempre quel bianco troppo opprimente.
 
Erano passati due giorni dall’ultima volta che lo avevo visto e sentito. Dopo quello che era successo – non osavo nemmeno chiamarlo con il suo nome – ero immediatamente scappata.
Ero scappata da lui, da quella casa, dalla sua presenza così maledettamente ingombrante.
Ero arrivata a casa e mi ero chiusa dentro, sperando di lasciare fuori i pensieri che lo riguardavano.
Mi ero resa conto però che potevo perfino arrivare in Alaska: non mi sarei liberata di quel
sentimento sconosciuto e al contempo familiare.
“Quello da cui scappi non fa che rimanere con te più a lungo.” * pensai sconfortata dalla consapevolezza di quanto potesse essere vero.
Avevo sempre desiderato cose buone e giuste, cose che era lecito ricercare e che potevo conquistare facilmente. Per tutta la mia vita avevo voluto cose semplici, niente che mettesse in pericolo me o le persone che amavo.
Cosa dovevo fare ora che quello che desideravo era quello a cui non avrei mai dovuto pensare?
È strano come a volte i nostri desideri siano capaci di distruggerci, annientarci ed essere contemporaneamente giusti e sbagliati. Dopo quello che era accaduto fra me e Klaus la confusione aveva cominciato a prendere posto fisso nei pensieri, giungere anche nei momenti in cui cercavo di distrarmi e portarmi in un vortice di macchinazioni e propositi a cui non  avrei mai dovuto ambire.
Non sapevo più cosa fare, come agire, a chi dare ragione. Come sempre due parti di me si sfidavano e io me ne stavo ferma e immobile mentre le emozioni prendevano il sopravvento su tutto il resto. Da quando avevo conosciuto Klaus era come se fosse nata una nuova me, come se fosse emersa una persona totalmente diversa da quella che ero prima ed ora questa nuova Caroline cercasse di far sprofondare la vecchia me: non riuscivano ad andare d’accordo, ognuna determinata a prevalere sull’altra.
 
“Sto impazzendo.” Pensai ancora mentre cambiavo nuovamente posizione. Mi stesi su un lato e guardai fuori dalla finestra, il cielo ancora buio e la luna alta in cielo.
 
 
Pov Klaus    
 
 
« Pensavo che con i secoli avresti imparato, ragazzo.  »
Non appena udii quella voce mi girai di scatto, sorpreso e spaventato allo stesso tempo di rivederlo dopo tanto tempo.
Incontrai subito il suo sguardo duro, arrabbiato e deluso che mi scrutava con un’aria di superiorità e disgusto.
« Cosa avrei dovuto imparare? » chiesi titubante, piegando la testa da un lato e osservandolo bene. Era esattamente uguale all’ultima volta che lo avevo visto, ma c’era qualcosa che mi suggeriva che la sua presenza non poteva essere reale. Mi concentrai nuovamente sul suo viso a cui avevo imparato a tener testa, ma che in fondo ancora temevo.
« Nessuno ti amerà mai, rimarrai solo per il resto del tuo inutile tempo. » disse l’uomo davanti a me scoppiando a ridere e guardandomi come fossi l’essere più stupido sul pianeta.
« Ho smesso di credere alle tue parole quando hai giurato di uccidermi. Purtroppo non ci sei mai riuscito. » risposi a tono, seppure dentro di me qualcosa si fosse irrimediabilmente spezzato. Non ero mai stato indifferente ai continui insulti di quell’uomo che per tanto tempo avevo considerato un modello da seguire, ma che poi si era dimostrato semplicemente qualcuno di cui mi sarei sbarazzato.
« Sei solo un illuso, lei non ti amerà mai. » questa volta non c’era traccia di sarcasmo nella sua voce, il suo sguardo fiero e tagliente mi perforava e pian piano sentivo tutte le mie difese crollare.
« Se avessi saputo subito che non eri mio figlio biologico, avrei ucciso te e il tuo schifoso padre fin da subito.  » continuò pronunciando le parole che distrussero definitivamente tutte le maschere e le mura che avevo creato per proteggermi. Ero indifeso di fronte alla forza del suo sguardo e delle sue parole. Rimasi impassibile mentre lui continuava a scrutarmi con aria di sfida. Involontariamente una lacrima scese dai miei occhi, sola, com’ero io. Fu quello forse a darmi la spinta per abbattermi contro Mikael e colpirlo
Direttamente  nel cuore con il pugnale che era appena apparso dal nulla nella mia mano destra.
Restai a vederlo bruciare e consumarsi per un tempo infinito, mentre con lui morivano nuovamente tutte le mie debolezze.
Chiusi gli occhi fra le sue urla agghiaccianti che si ripetevano continuamente nella mia mente
 
Li riaprii in quelli che sembravano i secondi successivi a quello che era accaduto.
Questa volta mi trovavo nel mio letto, il silenzio era tangibile ed era rimasta solo un’eco lontana delle grida dell’uomo.
“Solo un incubo, era solo un incubo.” Mi ripetei mentre mi muovevo lentamente fra le lenzuola completamente bagnate dal mio sudore.
Mi girai verso il comodino d’ebano e controllai la sveglia: le 4. am.
Strinsi forte il tessuto cercando di far sparire lo sgradevole panico che ormai avevo imparato a controllare. Lo stesso incubo che tormentava tutte le mie notti da fin troppo tempo si era ripresentato e io non potevo far altro che aspettare che il dolore passasse.
 
 
 
Pov Caroline
 
Fin da piccola mi ero sempre chiesta perché i secondi scorressero così lentamente ma allo stesso tempo così velocemente.
Il tempo e il suo incessante fluire avevano suscitato in me una sincera curiosità: spesso nei pomeriggi estivi mi ritrovavo a fissare l’orologio e lo scorrere delle lancette. Non avrei mai pensato che, per me, quell’orologio non si sarebbe mai fermato.
Il tempo avrebbe continuato a scorrere per sempre, le città sarebbero cambiate e qualsiasi cosa intorno a me sarebbe mutata inesorabilmente.
Io invece sarei rimasta la stessa per l’eternità.
 
Un’ansia indefinibile mi attanagliò lo stomaco, la sensazione di panico che provavo ogni qualvolta mi avventurassi in pensieri del genere era viva e forte.
Mi alzai dal letto e, comandata da qualche strano impulso che non provavo da tempo, mi diressi verso la camera di mia madre.
La porta era socchiusa e un leggero spiraglio di luce entrava dalle finestre aperte. Il letto matrimoniale in cui mia madre dormiva sola da più di dieci anni mi invitava ad accomodarmi.
Entrai sulle punte e guardai l’ora sulla sveglia: le 4.05 am.
Sospirai il più silenziosamente possibile ed entrai nel letto. Il corpo addormentato di mia madre si mosse leggermente mentre io posavo i piedi nudi fra i suoi.
 
« Hai i piedi freddi. » sussurrò senza voltarsi, la voce ancora impastata dal sonno.
« Non sento più freddo. » marcai le parole ricordandole che la mia temperatura non sarebbe mai più scesa o salita.
« Vuoi parlarne? » chiese lei girando il volto verso di me ma senza guardarmi.
« Cosa? » capii che non si riferiva alla mia temperatura corporea.
« Quando c’è qualcosa che ti spaventa vieni sempre qui. Ormai non succedeva da anni. »
« Va tutto bene… » sussurrai stringendomi ancora più nelle coperte.
Lei non rispose, annuì semplicemente e mi diede di nuovo le spalle.
Dopo pochi minuti di silenzio parlai: « Mamma? »
« Dimmi. »
« Sono quattro giorni che non vado a scuola. » confessai subito, anche se non era quello il peso che mi opprimeva.
Passarono alcuni istanti in cui temetti che si fosse riaddormentata, chiusi gli occhi cercando di prendere sonno e poi la sentii dire semplicemente: « Lo so. »
Io sorrisi anche se non poteva vedermi e circondai i suoi fianchi con un braccio, appoggiando il volto alla sua schiena e annusando lo stesso profumo che ormai conoscevo da diciassette anni.
Lei strinse forte le mie mani e le accarezzò. In quel gesto c’era più di quanto potessi pensare.
 
 
 
 
La mattina seguente mi svegliai ancora nel letto di mia madre.
Lei ovviamente non c’era, ma stare semplicemente fra le sue braccia mi aveva aiutato più di qualsiasi altra cosa. Lentamente spostai lo sguardo verso la sveglia e notai due cose:
primo, l’orario indecente. Erano le 10 del mattino e per l’ennesimo giorno avevo saltato la scuola. Secondo, un post – it di mia madre mi avvisava che per oggi sarei potuta rimanere a casa ma che al più presto avrei dovuto ricominciare a frequentare assiduamente i corsi scolastici se volevo diplomarmi con il minimo della decenza.
Era incredibile quanto la scuola nel giro di pochi anni avesse perso importanza: quando ero più piccola la mia più grande preoccupazione era prendere voti alti e prestare attenzione alle lezioni, ora ricordavo a malapena di doverci andare.
Mi stiracchiai per l’ultima volta e mi alzai, dirigendomi in cucina e riordinando le idee dei giorni passati.
Tranne la famiglia Mikaelson, dopo le ricerche di Tyler non avevo più visto i miei amici.
Dovevo scusarmi con tutti loro per il mio stupido comportamento e per averli ignorati.
Improvvisamente un pensiero mi colpì: Elena non era ancora venuta a sapere di quello che c’era tra me e Klaus.
Ero riuscita a confidarmi con Bonnie, la sostenuta per eccellenza nei confronti dei vampiri, ma non con lei. Mi sentii profondamente colpevole per aver omesso alla mia migliore amica quel piccolo dettaglio che pian piano era diventato sempre più grande, coinvolgendo una parte sempre più importante di me.
La realtà era che avevo paura: ero spaventata da come avrebbe potuto reagire, dall’odio che sicuramente avrebbe provato nei miei confronti dopo quella terribile rivelazione, dal disgusto che avrebbe provato sentendosi tradita. Perché in fondo era questo che avevo fatto: avevo tradito la mia migliore amica, mi ero schierata dalla parte del nemico.
Ma Klaus era davvero un nemico? O solo io riuscivo a percepire l’infinita gamma di emozioni che sprigionava con ogni gesto?
Sebbene non avessi dimenticato tutti gli errori che aveva commesso, in qualche modo ero riuscita a perdonarlo ancor prima di interiorizzare razionalmente i guai che aveva provocato. La strana connessione che c’era fra noi due aveva creato un altrettanto strano moto di empatia. Avevo imparato a filtrare l’odio e la rabbia dai suoi occhi, riuscendo a vedere realmente quello che nascondevano: dolore, frustrazione, redenzione, pentimento, solitudine.
Era questo che mi aveva sempre colpito nei suoi gesti e nei movimenti involontari del suo corpo: immediata, profonda e incomparabile paura di rimanere solo.
In quel contatto che riuscivamo a mantenere anche da lontano, riuscivo a percepire le motivazioni che l’avevano spinto a creare un esercito di ibridi e distruggere la propria famiglia, e in qualche modo le avevo accettate e comprese.
In lui percepivo quel bisogno d’amore potente come una fiamma sempre viva. Vedevo che stava cercando di nasconderlo,di celarlo in ogni modo perché in fondo la sua umanità era sempre restata intatta e viva dentro di lui, e la verità era che temeva la sua stessa paura.
 

Quando giustifichiamo i suoi malumori, il suo cattivo carattere, la sua indifferenza o li consideriamo conseguenze di una infanzia infelice e cerchiamo di diventare la sua terapista, stiamo amando troppo.
(Robin Norwood, Donne che amano troppo.)
 

 
***
 
 
Dopo un’attenta riflessione su tutti i pro e i contro che sarebbero derivati dal dire la verità ad Elena, avevo deciso di rischiare il tutto per tutto.
Senza pensarci avevo indossato la prima tuta che avevo trovato – indumento che un anno fa non avrei nemmeno avuto nell’armadio – e mi ero incamminata verso la tenuta dei Salvatore, dove ero sicura di trovare la mia amica.
Davanti all’imponente porta in legno scuro, la mia convinzione era vorticosamente scesa e non mi sentivo per niente sicura. Presi un bel respiro e bussai, ma sfiorando la porta questa si aprì rivelandomi l’ingresso della villa.
Feci un passo avanti sentendo delle voci provenire dalla cucina e, incamminandomi, mi schiarii la voce e mi feci coraggio.
Una volta arrivata nella stanza, quello che vidi mi sconvolse e non poco: una sorridente e impeccabile Shannon se ne stava comodamente appoggiata al piano cucina mentre  Damon, a pochissima distanza dal suo volto, la guardava con il suo solito sguardo da stallone.
Da quanto si conoscevano? Mi ero evidentemente persa qualche passaggio.
Li osservai per qualche altro secondo e poi decisi di parlare.
« Ciao a voi » dissi spiazzata e imbarazzata, spostando velocemente lo sguardo tra i due.
Damon si limitò a uno dei suoi sorrisini compiaciuti e ad un gesto della mano, mentre Shannon si voltò, mi sorrise amabilmente e rispose con imbarazzo: « Eih Caroline! »
Io ricambiai con un sorriso leggermente tirato e, cercando un espediente per rimediare all’imbarazzo generale, chiesi: « Da quanto vi conoscete? » ma cambiai subito rotta cercando di essere il più naturale possibile.  « Ehm, no, volevo dire… come va? »
« Diciamo che a quanto pare rimarrò in città per un po’, quindi girando per la zona ho conosciuto i famosi fratelli Salvatore… In ogni caso va tutto bene! » rispose Shannon riprendendosi egregiamente dall’impaccio iniziale.
Io annuii alla meglio e cercai di tirarmi fuori da quella situazione: sebbene stessero solo parlando, vederli così intimi aveva suscitato una strana sensazione.  La cosa strana era vedere come Damon guardasse la vampira vicino a noi, come se ne fosse totalmente preso. Cosa praticamente impossibile – o quasi – dato il suo platonico amore per Elena.
Accantonai questi pensieri e chiesi semplicemente: « Stef ed Elena sono in casa? »
Questa volta fu il moro a rispondere e a prendere parola per la prima volta. « Sì, sono nella camera di Stefan. »
Io assentii e, rivolgendogli un ultimo cenno, mi diressi verso la camera del più piccolo dei Salvatore. Non mi preoccupai di bussare ed entrai come se niente fosse.
Purtroppo la scena che mi si parò davanti non era proprio delle più caste: i corpi di Elena e Stefan, coperti (solo) dalle lenzuola, si muovevano piuttosto velocemente fra loro mentre mugolii e risatine si diffondevano per l’intera stanza.
Per mia fortuna si resero conto della mia presenza e si bloccarono subito, mentre Elena si copriva il viso dalla vergogna e Stefan sbuffava imbarazzato.
« Oh. Mio. Dio. » sibilai schifata girandomi di scatto e dando le spalle ai due fornicatori, fornendogli così modo di ricomporsi.
« Caroline! Ma non sai cosa vuol dire bussare?! » urlò quasi Elena in preda alla vergogna mentre io uscivo dalla stanza e mi richiudevo la porta alle spalle.
« DAMON! » Urlai arrabbiata verso il maggiore dei Salvatore che, sebbene parecchio lontano, avrebbe sicuramente udito il mio rimprovero. Gli costava tanto avvisarmi?!
Mi appoggiai al muro aspettando che i due si vestissero e riprendessero un aspetto decente.
Dopo circa cinque minuti uscirono entrambi dalla stanza.
« Siete tornati insieme? Seriamente?! » chiesi felici di rivederli finalmente assieme e uniti, così come avevo sempre sperato.
Da un lato avevo anche invidiato il loro amore, capace di sopportare qualsiasi ostacolo e pericolo. Un amore più forte del dolore, della separazione… perfino della morte.
Niente e nessuno era mai riuscito a separare quelle due anime che si appartenevano inesorabilmente.
Elena annuì commossa e rivolse uno sguardo pieno d’amore a Stefan, anch’egli sorridente.
« Voglio sapere i dettagli! » esclamai battendo le mani e saltellando felice.
Stefan scoppiò in una risata e disse: « Li saprai… prima o poi ».
 
Io annuii sinceramente felice e mi fiondai tra le loro braccia, stringendo entrambi con mia presa ferrea.
« Woh! » esclamò Elena felice di quel mio slancio di dolcezza.
« Ho bisogno di parlarti… » proferii staccandomi dai due e assumendo un’espressione seria.
« Si tratta di…? » chiese Stefan lasciando in sospeso la domanda e facendomi capire di aver compreso.
Io annuii senza dire niente e lui aggiunse: « Beh, vi lascio sole. » sorrise ad entrambe e, dandomi una pacca sulla spalla per infondermi coraggio, si avviò verso il piano inferiore.
Io con un cenno del capo indicai alla mia amica lo studio di Stefan ed entrando nella stanza mi sedetti sul divano a due posti. Tamburellai il cuscino vicino a me per farle capire di raggiungermi e lei si sedette. La sua espressione era tranquilla, probabilmente non immaginava che quello che stavo per dire avrebbe distrutto per sempre la nostra amicizia.
« Prima di cominciare, » parlò Elena « volevo sapere come stai… è un po’ che non ci sentiamo e non mi hai raccontato del ritorno di Tyler. » chiese premurosa.
Io la guardai per un attimo cercando le parole giuste e infine spostando lo sguardo sulle mie mani intrecciate.
« E’ tutto molto difficile, devo ammetterlo, ed è un po’ che non ci parliamo. Abbiamo discusso e al momento non sono pronta a rivederlo. »
Elena annuì dispiaciuta e mi accarezzò il braccio cercando di confortarmi.
« Allora? Cosa volevi dirmi? »
« Prima di tutto sappi che io ti voglio bene. Ti voglio così tanto bene che sto per distruggere tutto pur di essere sincera con te… » le mie parole fecero subito breccia in lei, poiché la vidi sbarrare gli occhi e deglutire. Non rispose, così continuai.
« Sei la mia migliore amica e con te ho superato quasi tutti i miei problemi: l’abbandono di mio padre, la mia nuova natura, Tyler, Matt, la morte di mio padre…
Ci siamo sempre aiutate l’una con l’altra perché sapevamo di essere una famiglia. Tu sei la mia famiglia e non so dove stia trovando il coraggio per dire quello che sto per dire…
Ho commesso un grave errore. Un errore imperdonabile per cui pagherò per il resto della mia vita. L’errore che mi ha portato alla perdita della mia migliore amica, un errore che però non posso fare a meno di continuare a ripetere. »
« Caroline mi stai seriamente spaventando. Cosa è successo? » chiese la mia amica con un’espressione impaurita e confusa.
Io che ancora non l’avevo guardata negli occhi, alzai lo sguardo e osservai bene quelle iridi in cui avevo visto amore, dolore, felicità. Sentii le lacrime salire agli occhi e cominciai a percepire quella fastidiosa sensazione di sofferenza: la mia umanità stava cercando di prevalere mentre il mio istinto di vampiro cercava di sopprimerla.
Scoppiai a piangere e non potei fare niente per impedirlo. Mi passai una mano sul volto per cercare di rimuovere i residui di tutto quel dolore, ma più cercavo di rimuoverle e più nuove lacrime giungevano sulle mie guance.
« Mi dispiace così tanto, Elena. » sussurrai nel pianto, cercando di trasmetterle il vero rammarico che stavo provando.
Presi un respiro profondo e parlai, era giunto il momento di dirle la verità una volta per tutte.
« Credo di provare qualcosa per Klaus. »
 
 
 
 
 
 
Commento:
Salve a tutti miei amati lettori!
Come posso farmi perdonare per l’incredibile ritardo con cui pubblico?
Sappiate che non mi sono affatto dimenticata né di voi né della storia, sono semplicemente super impegnata con la scuola e non ho avuto il tempo materiale per scrivere.
Spero che durante la mia assenza non abbiate abbandonato la storia T.T
Non ho niente da dire su questo capitolo, lascio a voi le opinioni… fatemi sapere cosa ne pensate così saprò se sto andando nella direzione giusta o meno (:
 
Ringrazio i lettori silenziosi, coloro che recensiscono, coloro che inseriscono fra seguite/preferite/ ricordate.
Un ringraziamento speciale va alla mia amata beta Ivy che sopporta i miei scleri e migliora i capitoli, correggendo lì dove la mia distrazione fa degli errori. Grazie veramente tesoro mio!
Un grande bacio va ad Ambra, mia moglie, che mi manca tanto tanto :’( I always love you, sis.
Saluto anche tutte le altre sisters, NON VI HO DIMENTICATE <3
 
Ultima cosa e poi mi dileguo.
Tutti coloro che leggono la mia storia e di cui leggo le storie, spero che leggano questa cosa: ho letto tutti i vostri capitoli e sono tutti meravigliosi, purtroppo non ho avuto tempo di recensire ma provvederò a farlo nel weekend.
 
Un grande bacio e ancora grazie per tutto quello che fate!

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Capitolo 19
*** When you Hold me I'm Alive ***


Heaven’s in your eyes.
 
 
 
Pov Caroline.
 
 
« Cosa? Cosa hai detto? » la voce allarmata di Elena mi arrivò come un’eco lontana, o forse erano solo le mie orecchie a fischiare come non mai.
Dopo le parole che avevo singhiozzato, lei era scattata alzandosi dal divano e arrivando dalla parte opposta della stanza. Si era rannicchiata in un angolo come scottata e ora mi guardava con un’espressione di terrore e disgusto. Sembrava quasi spaventata.
« Hai sentito perfettamente. » sussurrai singhiozzando e guardandomi le mani, le spalle basse.
« No. » centomila stilettate nel cuore mi avrebbero ferito meno della sua voce disgustata.
« Non è possibile. Non è vero. No, no, no. Ti ha soggiogata. Ti sta usando per arrivare a me, vuole uccidermi per non essere più umana. Non sei tu, lui non vuole niente da te. Sta controllando la tua mente, non permetterglielo. E Tyler? Cosa mi dici di lui? Tu ami lui. Tyler. Hai sempre amato lui e amerai sempre lui. Klaus ti sta controllando. Ti sta usando. Tu non provi niente per lui.  » Non potevo credere che Elena potesse essere così egoista proprio in questo momento.
« Co- cosa stai dicendo? Elena, non gira tutto intorno a te. Non sei al centro del mondo. » risposi alzandomi dal divano e andandole incontro; lei corse a velocità vampiresca verso il lato opposto in cui si trovava. Mi girai di scatto per guardarla negli occhi: erano rossi e iniettati di sangue.
« Elena, calmati. Stai avendo una reazione amplificata per via del tuo istinto di vampiro. Lo so, è difficile le prime volte, ma devi cercare di rimanere te stessa e di ragionare lucidamente. » cercai di tranquillizzarla, di farle capire che non volevo farle del male.
« Mai stata me stessa più di adesso. » pronunciò con ribrezzo.
Mi avvicinai nuovamente alla sua posizione ma il suo urlò mi bloccò: « Ferma! Non ti avvicinare, Caroline! »
Rimasi immobile mentre nuove lacrime cominciavano a scendere copiose sul mio viso. Cosa avevo fatto?
« Mi dispiace, Elena… possiamo superarla. Sei la mia famiglia, mi dispiace. »
« Tu non sei più niente. » disse lei totalmente apatica, guardando il vuoto e voltandomi le spalle.
Non potevo credere a quello che stava succedendo. Non avrei mai previsto una reazione del genere. Non che mi aspettassi un incoraggiamento, ma sentirla parlare in quel modo faceva dannatamente male.
« Se le parti fossero scambiate, io non avrei reagito in questo modo. Sappilo. » rimandai io, sussurrando e lasciando posto a un breve silenzio.
« Io non avrei mai provato qualcosa per un assassino! » urlò nuovamente lei, girandosi e fissando lo sguardo inceneritore nel mio.
« Tu ami Damon, Elena! » risposi a tono, sottolineando la sua totale ipocrisia.
« Come osi? Io amo Stefan. »
« Oh, non provarci… Tu hai scelto Stefan, ma ami anche Damon. » le misi la realtà sotto gli occhi e lei non poté negare. Non riuscivo a credere che potesse provare tanto disgusto, ribrezzo e odio per una delle persone che l’aveva amata di più al mondo.
« Vattene. » rispose lei, tornando ancora una volta totalmente inerte.
« E’ questo il tuo modo di risolvere le cose, Elena? Mi cacci di casa e mi ignorerai per il resto dell’eternità, eh? Fattelo dire, da umana non eri così senza palle. » proferii con rabbia e delusione.
« Esci da quella porta e non tornare mai più, Caroline. »
Non dissi più niente e lei mi voltò le spalle un’altra volta.
Non c’era più niente che potessi dire per sistemare le cose. Avevo perso per sempre una parte di me, e per sempre sarei rimasta inconsolabile.
Come un’automa uscii dalla stanza e, trascinando i piedi pesanti come macigni, mi diressi verso l’uscita di quella grande casa in cui probabilmente non avrei più messo piede. Aprii la porta dell’ingresso senza incontrare nessuno ma, prima di uscire definitivamente, qualcuno mi prese il polso.
Mi voltai in balia del torpore causato dalla sofferenza di quell’addio e trovai davanti a me Stefan.
« Mi dispiace per quello che ho detto. » sussurrai senza guardarlo negli occhi. Sapevo che lui fosse perfettamente cosciente dell’amore di Elena per suo fratello ma, presa dalla rabbia, non avevo controllato le mie parole.
« Non fa niente. » la sua voce lasciava trapelare il senso di colpa e il dispiacere che stava provando.
« Non è colpa tua » dissi alzando lo sguardo e incontrando i suoi occhi limpidi. « Va tutto bene. » continuai alzando le spalle e fingendo un sorriso che molto probabilmente divenne una smorfia.
Lui cercò di parlarmi ma io lo interruppi: « Va’ da lei, ha bisogno di te. Prenditi cura di lei, io sto bene. Va tutto bene. »
« Ce la farai? » chiese lui abbracciandomi. Io mi strinsi alle sue spalle per cercare un po’ di calore per curare quel freddo che avevo dentro.
Vorrei tanto saperlo anch’io.” Pensai mentre mi preparavo ad affrontare le ondate di dolore che cominciavano ad riaffiorare.
 
 
 
Pov Klaus.
 
 
Erano passati alcuni giorni dall’ultima volta che avevo visto Caroline.
I ricordi erano ancora vivi in me e non riuscivo a smettere di pensare a lei. Le sue labbra, il suo calore, la sua vicinanza. Tutto si era scolpito a fuoco nella mia mente, trasformandosi in un pensiero quasi nocivo.
Se da un lato volevo sentire di nuovo la sua voce e assaporare il profumo della sua carne, proprio lì, vicino al collo, dall’altro ero sollevato da quella lontananza. Avevo bisogno di riflettere,di stabilire delle priorità, di affrontare quella cosa che mi era stata sempre estranea ma che ora faceva indissolubilmente parte della mia persona.
Sentivo come se una parte di me, estranea a quello che mi ero abituato ad essere, scalciasse per uscire fuori e prevalere sul mostro che mi ero costretto a diventare.
Questa parte di me bramava di avvicinarsi a Caroline, scoprirla, capirla, darle il meglio che si potesse offrire.
L’altra parte di me, il mostro, l’assassino, il crudele angelo nero, voleva semplicemente lasciar perdere quella bionda ragazzina perché sapeva che avrebbe portato solo guai.
Il risentimento però era celato solo dalla paura di essere abbandonato, paura irrazionale che avevo cercato di scacciare ma che – come legata da un filo invisibile ma indistruttibile – tornava da me ogni qualvolta me ne distaccassi, o tentassi di farlo.
Per la prima volta dopo tanto tempo ero confuso, non sapevo chi ascoltare né cosa sarebbe stato giusto fare.
Ero solo in casa e i secondi passavano come ore. Tutto era così accelerato e veloce e io invece mi sentivo terribilmente bloccato in qualcosa più grande di me.
Dei passi fuori la porta catturarono la mia attenzione. Dalla cadenza potei percepire dubbio e indecisione. I passi cessarono, poi un sospiro. La persona si girò su sé stessa e fece un passo avanti, allontanandosi dalla porta. Un altro passo più lontano, un altro sospiro. Altri passi indietro, verso la porta e poi un unico colpo sul legno. Basso, leggero. Un essere umano non l’avrebbe sentito, ma io mi alzai e mi diressi alla porta.
Aprii senza esitazione e mi trovai davanti Caroline. Proprio lei, in carne ed ossa. Non mi guardava, si stringeva le braccia al petto e aveva un’espressione di terrore mista a dolore.
« Caroline… »
« Non so nemmeno perché sono qui. » parlò velocemente e con la stessa isteria entrò in casa. Non si accomodò, bensì cominciò a girovagare per la stanza senza darsi pace.
« Cos’è successo? » chiesi dubbioso mentre mi avvicinavo. Finalmente alzò lo sguardo e incontrò il mio.
« Ho fatto una cosa orribile. » parlò velocemente e cominciò di nuovo a girovagare per la casa.
« Non so nemmeno perché sono qui! » aumentò il tono di voce e alzò le mani in aria, ripetendo la stessa frase di prima. Sebbene stesse praticamente avendo un attacco di panico, era molto buffa. E bella.
Mi sorpresi del mio pensiero e lo ricacciai immediatamente indietro.
« Perché sei venuta qui? » domandai nuovamente, accostandomi al divano e sedendomi.
Lei mi guardò stralunata e, come qualcosa di ovvio, si batté il palmo sulla fronte.
« Hai ragione, non sarei mai dovuta venire. » puntò la porta con lo sguardo e ci si diresse.
A velocità sovrumana mi fiondai davanti all’uscita, intralciandole il passaggio.
Lei non si accorse della mia presenza e sbatté contro il mio petto.
La presi per i fianchi e la tenni salda per impedirle di cadere. Lei spalancò gli occhi impaurita e io la lasciai immediatamente. Che fine aveva fatto la sua sfacciataggine?
Mi ricomposi e parlai: « Non intendevo questo. »
Per la prima volta da quando era arrivata la osservai accuratamente. Gli occhi erano visibilmente stanchi e arrossati, i capelli legati alla meglio in modo disordinato e la tuta le dava un tocco di sportività. Non l’avevo mai vista in quella maniera, lei che era sempre attenta al suo aspetto.
« Resta. » chiesi semplicemente, avvicinandomi senza staccare lo sguardo dal suo.
Lei mi guardava di rimando come una bambina affascinata ma allo stesso tempo spaventata.
Non riuscivo a controllarmi, volevo baciarla ancora e ancora senza averne mai abbastanza. Mi avvicinai fino a poggiare la fronte sulla sua, lei sbatté velocemente gli occhi e si allontanò. Mi diede le spalle e fuggì verso la cucina.
« Non puoi farlo un’altra volta. » sussurrò appoggiandosi al bancone e dandomi le spalle.
 
« Perché no? » chiesi sfidandola e raggiungendola.
« Perché la testa mi scoppia e non sono venuta per questo. » si piegò su sé stessa, abbassando le spalle e prendendosi il viso fra le mani.
« Parliamone, se vuoi. »mi sorpresi della mia proposta subito dopo averla detta. Cosa diavolo mi stava succedendo? Non mi era mai importato dei problemi altrui né delle  sofferenze delle persone . Cosa era cambiato ora?
Mi trovai realmente volenteroso di aiutarla, di ascoltarla. Volevo sapere tutto di lei, i suoi pensieri, le sue paure, le sue gioie. Volevo essere per lei qualcuno sempre pronto a prestare attenzione alle sue esigenze.
Lei si girò dopo alcuni secondi, mi guardò e annuì. Si sedette al bancone, dove pochi giorni prima si era seduto Kol per rimproverarmi della mia poca fiducia.
Io mi accomodai davanti a lei e aspettai che parlasse. Lei poggiò la testa fra le mani e fissò il liscio marmo bianco.
« Avevo bisogno di stare con qualcuno che sia orribile quanto mi sento io adesso. »
« Beh, che dire, grazie. » dissi sarcastico, guardandola alzare la testa e abbozzare un sorriso.
« Hai capito cosa intendevo. »
La osservai per un po’, cercando di capire come lei potesse essere orribile. Semplicemente non ce ne era modo, una creatura del genere non poteva esserlo.
« So cosa vuol dire quando tutte le persone che ti circondano sono migliori di te, e avresti semplicemente bisogno di sentirti abbastanza. Ma non è mai così, non lo sei mai. »
Parlai senza pensare, facendomi trascinare dai ricordi, dal dolore.
« Io non volevo sbagliare, non volevo che succedesse questo. Non ho mai pianificato di deludere le persone che amo, è successo e basta. » disse lei guardandomi e io annuii.
Non credevo che qualcun altro si potesse sentire come mi ero sentito io per tanto tempo. Credevo di essere solo, di essere l’unico a provare quelle emozioni.
E invece lei era esattamente come me.
« Ma tu non sei orribile» continuai, « tu sei buona, forte, solare. Hai solo bisogno di qualcuno che ti capisca. »
« Sai qual è la parte peggiore, Klaus? » domandò lei con la voce rotta.  « Non riesco a pentirmene. » e così dicendo scoppiò in un pianto liberatorio, coprendosi il viso con le maniche della felpa.
In un secondo fui dal lato opposto del bancone, al suo fianco, e lei fu tra le mie braccia.
Annusai il dolce profumo dei suoi capelli e la strinsi a me.
« Non devi pentirtene. Solo perché qualcuno pensa che le tue azioni siano sbagliate, non vuol dire che esse lo siano. A volte anche il giusto è sbagliato. E poi cos’è il giusto? e cos’è sbagliato? Nessuno può affermarlo con certezza. A volte dobbiamo semplicemente seguire il nostro istinto e agire di conseguenza. Vuoi qualcosa? Prendila senza curarti degli altri.
Nessuno può dire che i tuoi sentimenti sono sbagliati. »
« Non so cosa devo fare. » disse staccandosi da me e asciugandosi le lacrime.
Vederla così debole e indifesa mi aveva impressionato fin da subito, in fondo lei era sempre stata forte, coraggiosa e piena di allegria.
« Quando sono confuso giro per il mondo. »
Lei scoppiò a ridere e mi guardò: « Sai, non credo che partire sia una buona idea. »
« Io lo farei subito, ma so che non sei ancora pronta. Per questo c’è una soluzione. »
Avevo bisogno di connettermi fisicamente a lei per riuscire nell’intento, così portai il polso alle labbra e morsi.
In seguito lo avvicinai a lei e le feci segno di bere.
Lei mi guardò perplessa e, dopo un mio cenno, si avvicinò lentamente.
Fremetti al contatto con la sua bocca e sentii i suoi denti perforare la mia carne. Gli occhi si annerirono e vene scure spuntarono sul suo volto angelico.
Sospirai e chiusi gli occhi, totalmente preso da quell’atto così intimo e dannatamente eccitante.
Dopo qualche secondo di silenzio, spezzato solo dai nostri sospiri, staccai il polso e le sorrisi. Caroline mi guardò quasi spaventata e con uno sguardo interrogativo.
« Perché l’hai fatto? »
« Avevo bisogno di connettermi al tuo corpo. » sorrisi enigmaticamente e l’osservai.
« Perché mi sento… così? »
« È qualcosa di molto personale. *» dissi sorridendo e avvicinandomi. Posai le mani sulle sue tempie e mi concentrai sul suo sguardo e sui miei pensieri, focalizzai un luogo e lo scelsi.
« Che stai facendo? » chiese confusa, cercando di muovere la testa.
« Chiudi gli occhi. » sussurrai guardandola e lei seguì il mio consiglio. Feci lo stesso e in un attimo fu tutto finito.
Sentivo il sole pungermi il viso in una sensazione di totale calore, un calore che mi era sempre mancato. Aprii gli occhi e mi guardai intorno.
Decine di persone passavano al nostro fianco senza curarsi di noi, mentre alla nostra sinistra si ergeva la Tour Effeil.
Finalmente Caroline aprì gli occhi e si guardò intorno shockata.
« Ma questa è… Siamo… » Girò ancora la testa a destra e a sinistra, gli occhi illuminati e un grande sorriso sulle labbra.
« Sì, siamo a Parigi. » le sorrisi mentre un dolce profumo di bioches inebriava l’aria parigina.
« Ma come è possibile?! » si portò le mani alla bocca e cominciò a ridere sommessamente.
« E’ un’illusione? » chiese strabiliata.
« Solo se vuoi che resti tale. » ribattei beandomi delle sensazioni che non provavo da millenni.
 
Lei si rabbuiò improvvisamente e un’espressione di orrore le si dipinse sul volto.
« Dov’è il mio anello diurno? » sussurrò terrorizzata guardandosi la mano destra.
Io mi rilassai e feci un respiro, poi le risposi sorridendo:
« Non ne hai bisogno, qui siamo umani. »
« Cosa vuol dire? » domandò affascinata, senza smettere di guardarsi intorno.
« Non senti il calore del sole sulla pelle? Percepisci il caldo? » le presi la mano e cominciai a camminare per il marciapiede, guardandomi attorno e proiettando persone, negozi e strade.
Volevo creare la giornata e il luogo perfetto. Lo avrei fatto per veder sorridere Caroline, solo per lei.
 
 
 
 
 
 
*Commento:
 
Eccomiii quiii :)
Diciamo che vi ho fatto una sorpresina, vi sareste immaginate che avrei aggiornato così “presto” ? Ahahahahah
Intanto vorrei ringraziare tutti i lettori, chi continua ad inserire tra le preferite/seguite/ricordate, i lettori silenziosi e le amabili persone che recensiscono!
Il vostro supporto per me è fondamentale, senza di voi la storia non sarebbe quello che è, e lo dico sinceramente.
Un grazie speciale va alla mia amata beta Ivy, senza la quale avrei perso la testa.
Vi voglio davvero bene ragazzi ^^
Allora, bè, che dire del capitolo? L’ho scritto istintivamente e sono piuttosto soddisfatta. Sebbene ci siano molte altre questioni da risolvere, mi sono voluta soffermare su due importanti avvenimenti:
La reazione di Elena e l’incontro con Klaus. Credo che siano due scene fondamentali ed è per questo che il capitolo è leggermente più corto dei precedenti, non volevo inserire tante cose. Questo è un momento delicato per Caroline quindi credo di dover rallentare un po’ xD
 
*Citazione dalla 4x02. E in generale: Cosa ne pensate della quarta stagione? Fatemi sapere i vostri pareri tramite una recensione, se volete :D
Ovviamente ho descritto una scena particolare, Klaus che con i suoi poteri trasporta Care in una diversa dimensione in cui proietta Parigi. Ovviamente per far sì che ciò avvenga, Klaus ha bisogno di connettersi a Care.
 Che ne pensate? Una delle mie folli idee xD
Titolo del capitolo tratto dalla canzone “Diamonds” di Rihanna.
Ultima cosa: nel testo c’è una citazione “nascosta” dei Coldplay. Sapete trovarla e dirmi da quale canzone è tratta? Come disse Klaus: I dare you! u.u

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Capitolo 20
*** Your eyes, They Shine so Bright ***


Heaven’s in your eyes.
 
Pov Klaus
 
« Salve, fratello. » una voce profonda ed elegante attraversò il silenzio della casa, tuttavia senza sorprendermi.
« Elijah. » osservai noncurante, prendendo i bicchieri di cristallo e versandone all’interno il liquido ambrato di cui avevo tanto bisogno in quel momento.
« Non sapevo ti saresti trattenuto in città così a lungo. » aggiunsi voltandomi verso la sua direzione e porgendogli il bicchiere.
« Sono qui di passaggio, proprio come la scorsa volta, non trovo assolutamente nulla di interessante in una piccola cittadina come questa. E ammetto, mi sorprende parecchio scoprire che, invece, tu ne sei molto affascinato. » Elijah e le sue argute osservazioni non erano mai cambiati, sempre pronti nel momento meno opportuno.
« Ucciderei ogni abitante di quest’inutile borgo. Tuttavia…»
« Tuttavia qualcosa, o per meglio dire qualcuno, ha catturato la tua attenzione e, come sappiamo entrambi, non ti fermerai fino a quando non avrai ottenuto ciò a cui aspiri. » concluse lui al mio posto, sorridendomi beffardamente ma mantenendo sempre un portamento raffinato.
Bevemmo quasi contemporaneamente e, guardandolo, annuii.
« Hai ragione, è proprio così. E a quanto pare non sono l’unico. » affermai alludendo alla strana relazione tra la stregha Bonnie e Kol, che proprio in quel momento stava scendendo dalle scale con aria assonnata.
Elijah seguì il mio sguardo e, per niente sorpreso, disse: « La vostra indole infantile non è cambiata nemmeno dopo mille anni. »
Kol, sentendosi punzecchiato, rispose a tono: « Ehi, se avessi voluto un padre oppressivo sarei rimasto con Michael. Ho un mal di testa da sbronza epocale, ragazzi, non ho proprio voglia di ascoltarvi. »
Cercando di non pensare alle sensazioni che il nome di Michael avevano riportato a galla, osservai il nostro fratellino giungere in cucina e prepararsi un caffè.
« Sei ubriaco alle quattro del pomeriggio, Kol? » chiese sorpreso – ma non troppo – Elijah, che d’altronde non si era mai lasciato trasportare dai vizi della bella vita ed era sempre rimasto con i piedi ben ancorati a terra.
« Dovreste sentirvi. » una nuova voce si aggiunse, questa volta femminile, ai profondi discorsi che stavano intrattenendo i due Originali.
« Bekah, sorellina, hai finalmente finito di metterti lo smalto? » chiesi beffeggiandola e accomodandomi sul divano.
Lei si sedette sulla sua poltrona e mi guardò con aria scocciata.
« No, Niklaus, ma fra qualche minuto ti solleverò dall’opprimente peso della mia presenza, non preoccuparti. » rispose lei acidamente, guardandomi con aria superiore e offesa.
« Ancora con i vostri complessi di inferiorità reciproci, fratelli? » questa volta fu Kol a rispondere e a spalmarsi su un’altra poltrona alla mia destra.
« Non ho nessun complesso di inferiorità. » esclamammo simultaneamente io e Rebekah, guadagnandoci un ghigno da parte del nostro fratello più piccolo e un cenno indifferente dal più grande.
« Non ho intenzione di sentirvi battibeccare come bambini, perciò me ne vado. » disse affabile Elijah, mal celando l’ironia di fondo.
Kol e Rebekah alzarono gli occhi al cielo mentre io sorridevo di quanto le cose non fossero affatto cambiate.
« Ah, Niklaus, potresti accompagnarmi alla porta? » chiese cortese lui. Assunsi una faccia seria e mi alzai, già prevedendo che non sarebbero state buone notizie.
« Dimmi, Elijah. »
« Sei sempre stato un bravo calcolatore e non ti sei mai lasciato coinvolgere. So che sei innamorato di Caroline, ma non tutti in questa città sono benevoli quanto lei. »
Udite quelle parole ne rimasi sconvolto, non riuscivo a credere che Elijah potesse pensare una simile cosa e per un momento tentennai, ma poi mi ripresi.
« Io non… »
« Niklaus, » mi interruppe, «  il tuo cuore avrà anche smesso di battere, ma non è morto. » e così dicendo si dileguò in un attimo, lasciando dietro di sé un vuoto che quelle sue stesse parole avevano scavato nel mio petto.
 
Pov Caroline.
 
Drin. Drin. Drin. Drin.
C’era forse rumore più molesto e dannatamente irritante di un cellulare che squilla ininterrottamente?
Beh, forse il mio respiro.
Volevo semplicemente smettere di respirare, chiudere gli occhi e sognare. Ok, forse non era proprio quello che volevo, ma dopo tre giorni passati a letto e una buona dose di The Notebook – lo stesso film che guardai insieme a Tyler – non avevano di certo contribuito al mio buonumore.
Buonumore che, ne ero sicura, sarebbe tardato ad arrivare.
Finalmente il telefono smise di suonare e con lui per poco più di un attimo anche i miei mille pensieri fecero silenzio.
Respirai profondamente portandomi la coperta fin sulla testa e chiusi gli occhi cercando di prendere sonno. Forse c’era qualcosa di sbagliato in me: ogni qualvolta tentassi di svuotare la mente, questa rievocava immagini e sensazioni che non avrei mai dovuto sentire.
Brividi che solo una persona aveva provocato: Klaus.
Sì, doveva esserci definitivamente qualcosa di folle in me. Ma cos’era? Cos’era che mi spingeva inesorabilmente verso di lui e mi portava a desiderarlo, ad averne bisogno ma ad odiarlo al tempo stesso così intensamente e dolorosamente?
Tra le tante insicurezze che mi affliggevano – come il litigio con la mia migliore amica, o l’indifferenza che riservavo al mio ragazzo – questa era quella che mi tormentava di più, forse perché non sapevo da dove derivasse né cosa potessi fare per scacciarla.
Tutto quello che sapevo era che stargli lontana faceva dannatamente male e stargli vicina portava sensi di colpa che le mie spalle erano troppo fragili per sopportare. Ma allora qual era la soluzione? Cosa fare quando la stessa cosa che ti uccide è la medesima che ti tiene in vita?
Appesa a un sottilissimo filo, in bilico sulla lama di un rasoio, sarei comunque caduta nell’immenso vuoto che mi sottostava sia che avessi deciso di lasciarlo in pace, sia di stargli vicina.
Trasportata dalle macchinazioni che la mia povera mente era stanca di formulare, non mi ero nemmeno accorta dell’intermittenza e della fastidiosa insistenza con cui il mio telefono cellulare aveva ripreso a squillare.
Desiderosa di un po’ di pace, afferrai l’apparecchio e senza nemmeno guardare accettai la chiamata.
« Pronto? » brontolai infastidita al telefono facendo invidia all’uomo delle nevi.
« Non sei venuta a scuola. » una voce calma ma nello stesso momento preoccupata mi riprese.
« Buongiorno anche a te, Bonnie, e sì, devo dire che è davvero una pessima giornata. » risposi velocemente per evitare che la mia amica cogliesse nel mio tono di voce più tristezza del dovuto.
« Non è il giusto modo di affrontare le cose, lo sai bene. »
« Non so proprio di cosa parli, ho l’influenza. » non appena risposi, mi diedi dell’idiota per aver inventato una scusa tanto stupida quanto decisamente inverosimile.
« I vampiri non possono prendere l’influenza, Care. » disse Bonnie scocciata ma, prima che potessi rispondere, continuò addolcendo di parecchio il tono di voce: « sono solo in pensiero per te. »
« Presumo che Elena ti abbia raccontato tutto. » sbuffai scompigliandomi i capelli già annodati.
« Già. È così. » il suo tono neutrale mi fece pensare che non si sarebbe schierata.
« E…? »
« Devi darle tempo. Elena è… oh, Elena è qui. Sta arrivando, devo attaccare. Ti richiamo alla fine della lezione! » disse le ultime parole velocemente senza darmi il tempo di rispondere.
Mi sentivo malissimo. Mi sentivo come se tutti cercassero e si sforzassero di vivere al massimo le loro vite e io fossi perennemente bloccata e congelata in un tempo che non mi aveva riservato alcuna fortuna.
Non riuscivo più ad andare a scuola, ero chiusa in me stessa e ogni azione mi sembrava sempre troppo stupida o scontata per essere compiuta. Senza rendermene conto una lacrima calda mi bagnò gli occhi e percorse lentamente il profilo del mio volto, scivolando sulla guancia destra e perdendosi fra le labbra.
Piangevo, piangevo tanto in quel periodo. Forse perché era l’unico modo per buttar fuori tutto quello che mi faceva male o forse perché non c’era nessuno pronto ad accogliere i miei tormenti. Rimasi immobile nel letto per alcuni minuti, il sole del mattino che lasciava posto a quello del primo pomeriggio e l’aria che si faceva sempre più opprimente.
Improvvisamente sentii dei passi sulla veranda di casa mia che, poco dopo, vennero sostituiti da un forte bussare alla porta. Riflettei un istante: non poteva certamente essere mia madre, aveva le chiavi, e nemmeno Bonnie, poiché era ancora a lezione. Che fosse… ?
Mi alzai di scatto dal letto e ravvivai i capelli spenti e opachi. Le mie condizioni erano pessime ma il mio bisogno di vederlo era divenuto troppo forte, ora che sapevo che l’avrei incontrato di lì a poco.
Mi forzai un falso sorriso sulle labbra ed aprii sicura di me. Quello che mi ritrovai davanti, però, non era proprio tra le mie aspettative.
Due occhi neri mi fissavano imperturbabili, scuri e determinati.
« Tyler… »
« Dobbiamo parlare. » rispose lui serio come non l’avevo mai visto. Ero perfettamente consapevole che le cose tra noi dovessero essere risolte a ogni costo. L’unico modo per cui questo sarebbe potuto accadere però, era finirla una volta per tutte con la finzione e le bugie che ormai erano alla base del nostro rapporto corroso.
Senza voltarmi mi diressi in salone, ascoltando attentamente i suoi passi e percependo la sua presenza dietro di me. Mi sedetti e lo guardai in attesa che parlasse. Se ne stava lì, fermo, le mani tremanti e gli occhi persi nel vuoto.
In quel momento ripercorsi mentalmente tutte le tappe del nostro rapporto: mi sembrava ieri quando, confuso sulla sua natura di licantropo, mi aveva accusata di essere come lui.
In quello stesso salone avevamo visto il filmato della prima trasformazione di Mason e l’avevo abbracciato, stringendolo teneramente al mio petto e assicurandogli che sarebbe andato tutto bene, che non l’avrei mai abbandonato.
L’avevo visto urlare, piangere, contorcesi nel dolore senza fine di perdere se stesso e la sua umanità. L’avevo visto sorridere e lottare. Avevamo lottato insieme, avevamo programmato di fuggire. Quelli erano i tempi in cui eravamo così convinti di poterci bastare, che potesse bastare il nostro amore, da dimenticare tutti i guai che ci avevano sempre rincorso.
E ora eravamo lì, entrambi consapevoli che a tenerci uniti era rimasto solo il vecchio ricordo dei gloriosi anni passati.
Tyler si mosse impercettibilmente e mi guardò negli occhi.
Aspettavo il momento in cui sarebbe esploso, gridando che non era possibile. Che, no, diamine, non eravamo finiti. Lo vidi raccogliere il respiro e quasi percepii già la sua voce arrabbiata.
 « Da quanto tempo? » un sussurro quasi nemmeno pronunciato.
Sospirai pensando che forse quello era il momento più serio che avessimo mai condiviso. Era quasi buffo che riuscissimo ad avere una tale intimità solo nel momento in cui ci stavamo dicendo addio.
« Un po’. » confessai guardandolo e cercando di prevedere le sue azioni.
« Perché? È colpa mia? »
Mi alzai e mi avvicinai a lui, ma si scansò.
« Non ci sono colpe. Semplicemente non posso andare avanti così, mi dispiace. Tra noi… andiamo, Ty, ci conosciamo dalla prima elementare. Non c’è più niente da scoprire dell’altro, ci conosciamo alla perfezione. Tutti i giorni sono uguali, la nostra relazione non va né avanti né indietro. Niente ha più senso… » balbettavo, cercando in qualsiasi modo di fargli capire che non c’era più niente da sapere l’uno dell’altra perché ormai conoscevo le sue abitudini, capivo i suoi gesti e non c’era più niente da offrirci.
« Oh, ma andiamo! Sono davvero stanco di ascoltare tutte queste cazzate. La verità è che non sai nemmeno quale scusa inventare. Ho fatto il possibile per noi e tu stai lasciando andare tutto questo per niente! Ti credevo diversa, Caroline. » disse interrompendo il mio pessimo tentativo di spiegargli come mi sentissi.
Mi guardò per un’ultima volta, lo sguardo amareggiato e deluso.
In un attimo non c’era più.
Rimasi ferma in quel salone per un tempo che sembrò infinito, cercando in tutti i modi di elaborare quello che era appena successo. L’avevo perso e, per quanto non l’amassi più, una parte di me sentiva già la sua mancanza. Sentivo dolore in ogni parte del corpo e della mente, non riuscivo più a trovare un senso a tutto quello che mi stava accadendo.
Avevo bisogno di smettere di pensare e così feci quello che avrebbe fatto la vecchia me: mi diressi in bagno e cominciai a pettinarmi. Dopo aver ordinato alla perfezione i capelli, passai al trucco. In mezz’ora ero truccata e pettinata a meraviglia. Mi avviai, poi, verso il grande armadio della mia stanza e scelsi un vestitino nero e le mie Jimmy Choo preferite.
Da una parte mi sembrava quasi assurdo che con tutto quello che stava succedendo io riuscissi ad agire in quella maniera, comportandomi come se fosse tutto estremamente normale, dall’altra mi sentivo sempre più bisognosa di shopping curativo e prepararmi per le grandi feste aveva sempre avuto un effetto molto simile.
« Sei bellissima. » il pensiero di una voce, la sua voce, mi arrivò come se Klaus fosse veramente lì.
Vidi il suo riflesso nello specchio e, con tutta la tranquillità del mondo, mi voltai verso la sua figura.
« Bene, ora ho anche le allucinazioni. » dissi più a me che a lui, guardandolo dalla testa ai piedi, meravigliandomi di quanto la mia fantasia riuscisse a riprodurlo con così tanta perfezione.
Sembrava quasi reale.
« Allucinazioni? Ti senti bene? » chiese alzando un sopracciglio e guardandomi interrogativo.
« Io e Tyler ci siamo appena lasciati e la mia migliore amica mi odia, non so ancora esattamente come sentirmi. » ammisi voltandomi di nuovo verso lo specchio e osservandomi, piegando le leggere pieghe sul vestito.
« Oh, capisco… » disse l’allucinazione di Klaus in tono falsamente dispiaciuto. Stavo davvero impazzendo, il mio bisogno di averlo accanto era diventato così forte da farmi credere che fosse qui.
« Dovrei proprio smetterla di parlare da sola. Ora chiuderò gli occhi e tu non ci sarai più. » senza aspettare oltre li chiusi e, contando mentalmente fino a tre, li riaprii poco dopo. Era ancora lì.
« Sul serio?! » esclamai sorpresa ritrovandomelo ancora più vicino.
« Non sono né un’allucinazione, né una proiezione aliena, Caroline. Sono qui. » disse Klaus sorridendomi e facendo dei leggeri passi verso di me. Io assunsi un’espressione confusa e lo guardai senza accennare a muovermi.
« Non ci credo. » proferii ferma nelle mie idee. Non era possibile che fosse qui, con me. Era una cosa troppo bella per essere vera.
« Posso dimostrartelo, amore. » disse sorridendo maliziosamente e avvicinandosi molto, molto più del dovuto. Arrivò a pochi centimetri da me, e, ancora senza sfiorarmi, mi guardò negli occhi. Risposi al suo sguardo senza paura che potesse succedere qualcosa, in fondo era solo la mia sadica immaginazione che giocava a farmi perdere il controllo.
Klaus continuava a sorridermi e a guardarmi senza però fare niente, fino a quando non lo intravidi alzare una mano e posarla sulla mia guancia. Il contatto con la sua pelle mi fece fremere e, istintivamente, gli sorrisi. La sua mano continuò il percorso del mio viso fino a posarsi sul collo. A quel punto i brividi erano diventati incontrollabili, troppo forti perché potessero essere frutto della mia sola inventiva.
In un istante realizzai tutto e in ancora meno tempo indietreggiai barcollando.
« Oh mio Dio, sei veramente tu! » dissi alzando di parecchi toni il mio timbro di voce.
« Finalmente te ne sei resa conto. » rispose Klaus ridendo e schernendomi. Continuai a guardarlo ancora per qualche momento, poi mi avvicinai nuovamente fino a scontrarmi contro il suo petto.
Questa volta fui io, spontaneamente, ad alzare la mano per accarezzargli la leggera barba incolta sulla sua guancia. Klaus poggiò una mano alla base della mia schiena e fui grata di quel contatto.
« Si può sapere perché credevi che fossi un’allucinazione? » chiese divertito piegandosi verso il mio volto, arrivando a una manciata di millimetri dalle mie labbra.
« Perché volevo davvero che fossi qui. » sussurrai abbozzando un sorriso e avvicinandomi ancora.
Avevo bisogno di lui, di sentirlo vicino e non avevo più forze per negarlo.  Avevo lottato e combattuto contro me stessa e i miei sentimenti per paura di soffrire e di sbagliare, ma non volevo più negarmi l’unico modo per essere felice.
Ed era proprio questa la verità: in quel periodo così buio, in cui non facevo altro che sentirmi sbagliata e perennemente nel torto, tutto quello che mi impediva di abbandonarmi completamente era lui, Klaus.
Chiusi gli occhi, pregustando già il sapore delle sue labbra e dandogli il permesso di fare quello che entrambi anelavamo. Contai i secondi – tre e mezzo – che passarono prima di sentire quel contatto e, quando la sua bocca si posò sicura sulla mia, fu come ricevere un battito di vita.
Allacciai le braccia al suo collo, lui abbracciò la mia schiena e poi sorridemmo sinceramente entrambi, l’uno sulle labbra dell’altra, liberi di esserci trovati.
Quel contatto durò ancora e si ripeté una, due, tre volte fino a quando soddisfatti ci staccammo. Lo guardai per un istante negli occhi e, forse veramente per la prima volta, vidi il vero Nik.
« Questo doveva essere il nostro primo bacio. » disse trionfante stringendomi in un forte abbraccio mentre io, scossa per quello che era appena successo, poggiavo la testa sulla sua spalla.








 
 
*Commento*
Ebbene sì, ragazzi e ragazze, finalmente dopo tanto (troppo) tempo SONO TORNATA :DD
credevate di esservi liberati di me, eh?
Non so davvero come farmi perdonare ma spero che voi lo facciate lo stesso! Mi dispiace per tutto il tempo che vi ho fatto aspettare ma la scuola e la poca ispirazione non sono proprio una coppia vincente! Spero che qualcuno si ricordi ancora di me xD
Vorrei chiedere scusa a tutte le autrici per essermi dimenticata di recensire le vostre storie, vi voglio davvero bene e prometto che mi rimetterò in pari con i vostri meravigliosi aggiornamenti :D
Riguardo il capitolo non ho molto da dire, lascio a voi i commenti.
Tanti baci e grazie mille per il supporto. <3

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