Beyond the distance

di Rain Princess
(/viewuser.php?uid=140945)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Clouds - Nuvole ***
Capitolo 2: *** Power - In potenza ***
Capitolo 3: *** For you - Per te ***
Capitolo 4: *** It's not too late for us - Non è troppo tardi per noi ***



Capitolo 1
*** Clouds - Nuvole ***


Ciao a tutti! Se siete qua beh, o amate rischiare o l'introduzione non era tanto male.
In ogni caso, benvenuti!
Come altri prima di me, ho voluto inventare un piccolo seguito alla storia per dare ai nostri amanti una possibilità, vedremo se saranno in grado di coglierla. Sarà una cosa un po' sui generis però, nel senso che ho scritto questi 4 capitoli di getto, dopo aver visto il film qualche mese fa, e quasi 10 anni dopo aver visto la serie, quindi troverete delle cose un po' strane e diverse, dovute alla scarsa memoria e alla "licenza narrativa", vi avviso! XD
E che altro dire se non... Buona lettura! :)


Clouds - Nuvole

Hitomi - Luna dell’Illusione

Guardo il cielo. È nuvoloso. Odio quelle nuvole, e se mi stessero nascondendo Gaea? Se proprio stanotte fosse riapparsa sulla mia testa e io non la potessi vedere?

Abbasso la testa. Faccio sempre così quando il cielo è coperto. E lo so che non mi fa bene, ma è più forte di me. Passo più tempo col naso in su che a guardare per terra.

Cado spesso.

So che dovrei rassegnarmi al fatto che i miei giorni su Gaea sono finiti, ma come posso farlo quando lì ho lasciato il mio cuore, la mia vita? Nel prato soffice di quei capelli neri come la notte, nel velluto marrone e denso dei suoi occhi ho perso la parte migliore di me. Quella capace di sorridere, di godere della carezza inaspettata del sole a primavera.

Da quando sono tornata, da quando mi sono condannata a questa triste esistenza – perché è esistenza la mia, non vita – non ricordo di aver mai sorriso, non davvero, almeno.

Alzo di nuovo il viso nella speranza che il cielo si sia liberato, ma ovviamente non è cambiato nulla. Sfido con lo sguardo le coltri grigie, odiandole. Se fosse possibile, il mio sguardo le trapasserebbe, tanto è duro e tagliente.

Le odio, stasera più che mai, queste maledette nuvole.

Quanti giorni sono passati? Esattamente 365. Ecco perché le odio.

Perché i giorni sono passati e non è mai successo nulla. E allora, pur di avere una speranza a cui aggrapparmi, mi sono ripetuta, giorno dopo giorno, che forse Gaea mi sarebbe riapparsa a distanza di un anno, per una sorta di ciclicità o che so io.

Ho vissuto in funzione di questo maledetto giorno, vi ho riposto le mie più nascoste speranze. E invece quelle maledette nuvole stanno distruggendo tutto. Il castello di carte che mi sono costruita si sta sfaldando secondo dopo secondo, l’illusione sta svanendo.

E con essa le mie forze.

Van non verrà. Non rivedrò quel ragazzo straordinario, il suo sorriso raro ma indimenticabile, le sue ali bianche spiegate in volo verso di me. Non mi perderò nel suo sguardo profondo e indagatore, non lo abbraccerò.

Mi dovrei rassegnare ma il cuore si oppone, pur nell’agonia, e un lungo urlo disumano di dolore mi esce dalla gola – il suo nome – lasciandomi stordita, affannata e senza più la forza di reggermi in piedi. Mi accascio accanto alla finestra mentre lacrime di dolore e frustrazione mi bagnano il viso e i singhiozzi mi scuotono e mi fanno male per l’urlo di prima, che ancora mi rimbomba dentro prolungandosi.

Incuranti di tutto il mio dolore, le nuvole, beffarde, stanno ancora lì, nemmeno un alito di vento a muoverle; l’aria è immobile in un modo così innaturale da essere quasi spaventoso.

Se non avessi visto molto di peggio mi impressionerei. Ma ho visto il cielo andare a fuoco, l’acqua rosseggiare del sangue dei soldati, la terra scossa e spaccata dal fragore della battaglia; ciò che mi circonda non mi può toccare più.

Ed è in questo istante che realizzo che non avrò mai pace, perché la mia vera dimora mi è inaccessibile, mentre mi trascino su una terra che dovrebbe appartenermi, ma che invece sento forestiera come mai prima.

“Van, perché mi hai abbandonata qui? Perché non mi porti via? Salvami, ti prego”. Il mio è nient’altro che un sussurro, una preghiera bisbigliata, il desiderio del condannato. Ormai ho capito che lui non verrà più.

E l’orologio del mio cuore si ferma qui.

Non va più né avanti né indietro, schiacciato dal troppo dolore. Muovo gli occhi ma mi rendo conto che le immagini di ciò che vedo non mi colpiscono, mi sento come se mi stessi vivendo dall’esterno. Nulla mi tocca più, non mi ricordo di respirare, nel petto nemmeno un rumore.

Vedo tutto al rallentatore e sbiadito e capisco, dev’essere così che ci si sente quando si muore.

È bello così, non si soffre, non c’è dolore. Ed è vero, si può morire d’amore.

Perdo la presa sul davanzale e mi lascio andare all’indietro, piano. Il cielo, oltre la finestra, si carica di elettricità mentre le palpebre diventano inesorabilmente pesanti e non trovo un solo, valido motivo per contrastarne la chiusura.

L’ultima cosa che vedo è un lampo che, vicinissimo, squarcia il cielo in due, un’ombra bianca e poi il buio.

Il mio ultimo pensiero è ancora lui – Van! – penso, e poi mi lascio andare definitivamente all’oscurità.




Bene, e questo è il primo! Spero vi sia piaciuto e se vorrete scrivermi ne sarò felice!
A presto col prossimo capitolo! :)

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Power - In potenza ***


Ed ecco il secondo capitolo. Devo dire la verità, è molto breve ma mi piaceva lasciarlo da solo, senza attaccarlo al prossimo, è nato così. Forse lo troverete un po' strano, non lo so. 
Vi auguro buona lettura!



Power – In potenza


Hitomi – Luna dell’Illusione
 

Oh, com’è tutto leggero una volta che ci si lascia andare! Quanto peso in meno ci si porta addosso, quali voli si possono spiccare!
Sono ad occhi chiusi ma so che non c’è nessuna luce abbagliante attorno a me, di qua non è come pensavo o come molti immaginano. Mi sento.. piccola, piccola e avvolta. Avvolta in una morbida ombra incolore, ma soprattutto mi sento serena, non ho paura.
Non so da cosa derivi questa sensazione, ma mi sento protetta.. amata! Non c’è dolore, non c’è perdita. Solo una completezza umanamente incomprensibile, perché i miei vecchi sensi non avrebbero mai potuto apprezzare così a fondo la portata delle emozioni che sto vivendo.
È tutto semplicemente.. giusto.
Probabilmente questo è il Paradiso.
Mi rendo conto di essere rannicchiata su me stessa, come un feto, e sento un tonfo leggero, come ovattato. Sembra un cuore che batte, ma non è il mio.
Non mi interessa, sto così bene qui!
Mi stendo nell’ombra vellutata e capisco: sono un essere “in potenza”, l’amore che sento tutto intorno a me è la possibilità di scegliere, posso essere finalmente ciò che voglio, quando voglio, dove voglio.
Ed è una sensazione incredibile, perché potrei essere una stella o una goccia d’acqua, un raggio di sole o una costellazione, o qualcosa che l’uomo non conosce, un essere di luce e potere. Potrei perfino scegliere di essere malvagia.
È indescrivibile la forza che da la possibilità di scegliere.
Il tonfo in sottofondo è continuo, anzi, accelera gradualmente.
Non mi appartiene, il mio cuore è in pace, non può battere, non mi interessa.
Sento il potere della scelta pervadermi, e più mi penetra dentro e più mi da forza.
Pensavo di avere un tempo infinito per scegliere, ma mi sbagliavo. Oppure il tempo è stato infinito e infinitesimale insieme, come un’immensa spirale avvolta su sé stessa.
Il cuore batte più veloce.
Mi rannicchio di nuovo su me stessa per allontanare un po’ questo rumore che mi vuole strappare alla mia pace, ma non serve a nulla.
Flash. Un viso.
Chi è?Non me lo ricordo.
Flash. Una voce.
“Hitomi!”
Il rumore incalza, la mia pace mi sta abbandonando, fluendo via come acqua.
Flash. Buio.
Aiutatemi!
Flash. Di nuovo quel viso, più vicino.
Il cuore batte al ritmo di una danza sfrenata, caotica.
Flash.
“Hitomi!”
Mi manca l’aria, non respiro!
Quel volto, mi è familiare.
 
All’improvviso mi piego di più su me stessa, percepisco per la prima volta la materialità del mio corpo.
Il cuore ormai va a un ritmo insostenibile, primordiale. E fa male e bene insieme.
Nello stesso istante so esattamente cosa voglio farne del mio essere in potenza, cosa voglio essere, senza realmente rifletterci su. So quando voglio esistere, e dove.
E quel volto e quella voce diventano concreti, assumono un nome.
Spalanco gli occhi alla potenza e grido “Van!”




Non avevo programmato di pubblicare così presto ma ormai la storia è scritta, l’estate è in corso e a breve partirò, quindi mi sono detta “perché no?”
Spero che non sia troppo male, ad ogni modo si accettano critiche costruttive!
A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** For you - Per te ***


Ed eccoci al terzo e penultimo capitolo di questa breve avventura. :)
Vi lascio alla lettura, a più sotto!




For you – Per te
 

Hitomi – Luna dell’Illusione
 

La prima cosa che sento è l’aria. È tagliente e dolorosa nei polmoni. Brucia e ha un odore malinconico.

Un attimo dopo ritorna il tatto. Percepisco il freddo e il caldo in punti imprecisati del mio corpo, non so dire dove, ma ci sono.

Poi l’udito si risveglia, sento un rumore incalzante, ruvido, graffiato, è aria che entra ed esce da una bocca.

Infine, con uno sforzo che mi sembra sovraumano, apro di poco gli occhi. La luce mi stordisce. Li richiudo immediatamente.

Non capisco.

“Hitomi!”

Di nuovo quella voce. Mi sento scuotere.

Piano, fai piano, mi fai male. Per favore..

“Hitomi!, Hitomi apri gli occhi! Hitomi! Torna qua, non te ne andare!”

Quanto dolore c’è in quella voce.

No, non devi soffrire, non farlo. Non per me.

“Hitomi!”

Ancora una scossa.

Piano, te l’ho detto, mi fai male..

“Non mi lasciare!”

No, non ti lascio, non ti voglio lasciare. Non soffrire, aspettami.

Con un altro sforzo enorme riapro gli occhi, e so che bruceranno. Davanti a me è tutto sfocato.

“Hitomi!”

Ora nella voce c’è una punta di sollievo.

Sbatto ripetutamente le palpebre e sento caldo dove credo di avere la guancia. Mi beo di quel calore, di quella voce, quanto li ho attesi. Metto a fuoco la vista e il cuore riprende a battermi, o io sento un battito più forte.

Davanti a me il prato soffice di capelli neri come la notte, il velluto marrone e denso dei suoi occhi, il suo sorriso raro e indimenticabile, ma spezzato da una lacrima.

Ed è bellissimo.

Sei qui, davanti a me.

Forse sono morta, oppure no.

Se mi chiedessero come voglio morire, risponderei che è così che voglio andarmene, guardando te.


“Hitomi! Sei tornata, sei tornata da me!”

Le sue mani sul mio viso, e gioia in quegli occhi ancora cerchiati dalla paura. Vorrei dirgli che sì, sono tornata per lui, ma non riesco ad articolare alcun suono.

Stai tranquillo, sono qui. Non avere più paura.

Le parole ancora non escono, e allora riesco ad alzare una mano e, anche se con fatica, la poggio sul suo viso tanto amato. Lui immediatamente la afferra, la tiene stretta senza farmi male, sempre lì, sul suo viso. Sotto la sua mano muovo le dita, all’angolo del suo occhio destro.

In un attimo, senza capire come, mi ritrovo stretta tra le sue braccia, la testa sul suo petto, l’orecchio sul suo cuore che batte forte, così simile a quel battito primordiale che mi ha risvegliata.

“Sei viva, Hitomi! Sei.. sono.. Non ci credo! Sei tornata! Sei tornata..”

Van cantilena piano nel mio orecchio, mentre ci dondola leggermente. Annuisco, ancora incapace di emettere suono, e mi stringe più forte.

“Ho avuto paura, così tanta paura.. Il tuo grido, il tuo dolore..”

Non sto capendo, ma se ancora non ho detto una parola?

Mi allontano leggermente da lui per guardarlo in viso e mi fa male mettere distanza tra i nostri corpi, ce n’è stata già troppa e per fin troppo tempo, ma devo poterlo guardare.

“Ma sei tornata..”

L’incredulità chiara sul suo volto per ciò che è appena avvenuto e che ancora non ho ben capito. Poi dei flash.

Le nuvole.

Io che guardo il cielo.

Il mio grido.

Le lacrime.

Il lampo.

La potenza.

Il suo viso.

“Parlami Hitomi, ti prego, dì qualcosa.”

È spaventato adesso, lo vedo da come mi percorre il corpo con gli occhi che si muovono frenetici, come alla ricerca di qualcosa che mi faccia stare male, di un malessere.

Ora capisco che devo essere finita in una sorta di limbo, volevo lasciarmi morire ma lui mi ha riportata indietro.

Lo guardo anch’io, ora con occhi nuovi. Voglio accertarmi che sia vero, prima che l’illusione mi uccida di nuovo, stavolta sul serio.

Di nuovo, una mia mano sale avida al suo viso, ma stavolta lo tengo con forza, voglio che i sensi mi aiutino.

Lo guardo, ascolto il suo respiro, sento il calore della sua pelle sotto le mie mani e, più in profondità, il suo cuore che batte per me. Tutto è una manciata di secondi.

E capisco.

È vero, sei qui, posso crederci davvero, non sei un’altra illusione!

Lo guardo negli occhi e lo salvo dalla sua agonia.

“Sono tornata per te.”

Ed è luce sul suo viso, è gioia incommensurabile, è un sorriso indimenticabile.

“E io sono tornato per te, per sempre.”
mi giura quasi sulle labbra. Il suo viso si avvicina e si sfuoca, chiudo gli occhi e lo sento che marchia a fuoco su di noi la sua promessa con un bacio.




Bene, che ve ne pare? Spero sia stato di vostro gradimento. :)
Il prossimo, nonchè ultimo capitolo, sarà dal punto di vista di Van e sarà decisamente più lungo, probabilmente quanto i tre capitoli precedenti messi insieme.
Dovrei essere veloce nella pubblicazione, spero di farcela per domani. :)
A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** It's not too late for us - Non è troppo tardi per noi ***


Ed eccomi qua, finalmente! Mi scuso per l'enorme ritardo, avrei voluto pubblicare entro la fine di luglio ma sono partita, e il quaderno con l'ultimo capitolo è involontariamente rimasto a casa. E, una volta tornata, sono stata risucchiata dalla spirale degli esami, per cui solo ora trovo il tempo di pubblicare.
Vi ringrazio immensamente per la pazienza e spero che gradiate l'ultimo capitolo!
Giusto un appunto: volevo che si vedessero tutti i personaggi più importanti della serie, per cui non picchiatemi, ho dato a Dryden un ruolo che probabilmente non è alla sua altezza, ma non potevo fare a meno di lui. :)
Ancora una volta, per l'ultima volta: Buona lettura!




Van – Gaea
 
Guardo fuori dalla finestra. È primavera, e i prati rigogliosi di Gaea sono una gioia per gli occhi. In un anno la natura è rinata e ora fa bella mostra di sé, e gli uomini affascinati di perdono a guardarla.
Anche io la guardo, ma fa più male.
Vedo il verde dei prati e penso a un altro verde, più intenso, più scuro, il verde dei suoi occhi.
L’azzurro del cielo è il colore dei suoi abiti, i fiori hanno il colore delle sue labbra e sono di colori che mi piacerebbe vederle addosso.
È un’agonia continua e una gioia immensa allo stesso tempo: l’ho persa, ma per farlo ho provato la felicità assoluta di averla avuta al mio fianco, di averla protetta, di averla vista sorridere per me e con me, di averla amata.
Ha fatto bene ad andarsene, in fondo questo non è il suo mondo, e cosa avrei potuto offrirle io in cambio? Lei è la Dea Alata, io sono solo un re che sta dedicando tutto sé stesso a salvare il suo regno, chissà se con qualche risultato.
Lei deve essere felice, e se la sua felicità è altrove, ebbene sia.
Se la sua felicità deve passare per il vuoto che mi sento dentro per l’eco di ogni attimo in cui la rivoglio, se deve avere il prezzo della mia solitudine e dei miei giorni più neri, del mio dolore più sordo quando la immagino a casa sua, a sorridere alla vita e alla gente, magari a un altro uomo e non a me, ebbene sia. La sua felicità è più importante di tutto e non potrò mai odiarla per avermi lasciato.
Eppure, quante volte ho sperato di rivedere quel fascio di luce in mezzo al cielo, di rivederla correre verso di me sorridendo, con quei suoi vestiti buffi, di riascoltare la sua voce.
Ma non è mai successo.
Se avessi saputo come fare, sarei andato da lei milioni di volte, anche solo per guardarla da lontano e vedere che sta bene; ma non ci sono mai riuscito.
E d’altronde lei non è arrivata qua grazie a me, ma grazie a mio fratello Folken.
Come avesse fatto a richiamarla qui su Gaea per me è rimasto un mistero, e se l’è portato nella tomba il suo segreto.
Chiudo gli occhi mentre un pensiero va a lui.
Fratello. Vorrei fossi qui a condividere con me tutte queste difficoltà, la mia fatica.
Ma non è così. Gaea sta lentamente rifiorendo, la pace regna da un anno sul pianeta.
A breve so che mi chiederanno di più, si aspetteranno di più da me.
Hitomi non è mai tornata, perciò dovrò sposare una donna che non amo e non amerò mai come amo lei.
Per il bene del mio popolo avrò con lei una discendenza che non avrà mai i suoi occhi verdi, ma che sarà comunque mia e mi darà gioia e un po’ di sollievo. Ma la pienezza, l’amore che vedevo negli occhi dei miei genitori da piccolo, quelli no.
Ma per il bene della mia gente lo farò. È questo che fa un sovrano, vive in funzione del suo popolo. È così che mi hanno insegnato e così agirò.
Riporto l’attenzione alla conversazione che sta avvenendo nella stanza: un ministro e un consigliere di un regno confinante sono venuti per sottoporre e firmare degli accordi commerciali che saranno vantaggiosi per tutti. Il mio consigliere sta seguendo personalmente le trattative, mi fido di lui.
E come non potrei, è Dryden. L’ho nominato consigliere alla fine della guerra e si è sempre dimostrato all’altezza della situazione: mercanteggiare è la sua arte, oltre alla musica, s’intende.
Normalmente non sono così distratto quando ci sono di mezzo gli affari di stato, ma sapevo che oggi sarebbe stata una giornata difficile, ed è per questo che ho chiesto a Dryden di riempirmela di impegni, per non pensare. Lui non ha fatto domande, ha capito e ha eseguito.
Devo molto a questo principe brigante, ha fatto un  buon lavoro per oggi: il ministro, la delegazione del regno di Freid, l’incontro coi rappresentanti del popolo, la cena coi dignitari di corte.
Ha fatto l’impossibile per trovarmi impegni che mi occupassero la mente.
Peccato che a volte mi allontani lo stesso, come in questo momento.
L’incontro col ministro volge al termine.
“Sua Maestà, sono lieto di aver raggiunto questo accordo col Suo regno. È bello rivedere la pace in queste terre. Ci auguriamo di poter festeggiare altri lieti eventi in un tempo non molto lontano. Le rinnovo gli omaggi del mio sovrano.”
Stringo i denti e mi comporto da re.
“Sono lieto anch’io del nostro accordo, signor ministro. Sono sicuro che ne trarremo tutti dei vantaggi. Porti gli omaggi miei e del mio popolo al Suo sovrano, con l’augurio che la prosperità possa albergare presso di voi.”
I due dignitari fanno un inchino, poi escono dalla stanza.
Ho evitato l’argomento matrimonio, ma ho i nervi a fior di pelle. Oggi è così.
Mi allontano da Dryden e guardo di nuovo fuori.
Oggi è un anno e va così.
 
La giornata prosegue, ho incontrato la delegazione del regno di Asturia e mi è stato consegnato un messaggio personale molto affettuoso da parte di Allen e Millerna, ma l’ho letto solo dopo aver incontrato i rappresentanti del mio popolo.
Sono stato un buon sovrano.
Ora sto indossando l’abito della festa per la cena di stasera e sto facendo di tutto per non pensare a quanto sia tutta questa euforia sia stonata, a quanto mi senta un fantoccio. Mi guardo allo specchio: i pantaloni scuri, gli stivali bassi e la camicia bianca, elegante. Tra le mani stringo la giacca lunga del mio abito, azzurra coi ricami dorati.
Azzurro come i suoi abiti.
Dorato come i suoi capelli.
La devo smettere, accidenti! Sembro un rammollito!
Alzo la giacca e faccio per infilarla quando..
Flash.
Hitomi, lo sguardo rivolto verso il cielo.
Ma cosa..?
Scuoto il capo con forza, come a scacciare un’immagine indesiderata e ovviamente irreale, prodotta dalla mia mente. Infilo la giacca e mi sistemo, volto le spalle allo specchio e mi dirigo verso la porta. Afferro la maniglia e...
…un urlo spaventoso mi ghiaccia: è dolore, dolore puro, e ha la forma del mio nome.
È la sua voce. Sta soffrendo, sta male e grida il mio nome.
Poi silenzio, un silenzio fastidioso, mi sento stordito e non capisco nulla.
Che le sta succedendo? Perché soffre tanto? Ha chiamato me!
Pensieri sconnessi mi attraversano la mente mentre mi rendo conto che, mentre assistevo impotente al dolore di Hitomi, ho stretto a tal punto la maniglia da staccarla dalla porta.
In un attimo esco e vado a sbattere contro Merle, sempre appostata fuori le mie stanze.
“L’hai sentito?” le chiedo nervoso e spaventato appena la vedo.
“Sentito cosa?” mi chiede lei, perplessa.
“L’urlo, quell’urlo! Hitomi...” grido a mia volta, preda di un’ansia crescente, per poi sussurrare l’ultima parola, il suo nome. Lo sguardo di Merle diventa immediatamente triste.
“No, signorino Van, non ho sentito nulla. Forse sarà stata la vostra immag-”
Ma non le do il tempo di finire la sua frase, non voglio sentirle dire quelle parole che mi farebbero sentire un pazzo, ancora più disperato e commiserato di come io sia stato finora.
“No! Io l’ho sentito!” le urlo, e corro via, ma non so che fare, dove andare, a chi chiedere.
Corro per i corridoi del mio palazzo cercando di farmi venire un’idea, ma niente. Sbatto di nuovo contro qualcuno, stavolta è Dryden.
“Dryden, tu l’hai sentito?” gli chiedo.
“Cosa, Maestà?” e già la sua risposta mi scoraggia.
“Quell’urlo spaventoso!”
Dryden scuote il capo. “No, Maestà, non ho sentito nulla.”
Ma al suo “no” sto già andando oltre e gli grido “Scusami con i miei ospiti, Dryden!” e lo lascio lì, interdetto, a dire qualcosa che già non ascolto più.
Continuo a correre, urtando persone e rovesciando oggetti, ma niente mi ferma, anche se non so che fare.
Com’è possibile che l’abbia sentito solo io?
Poi ho una specie di illuminazione, forse disperata perché è l’unica idea che mi è venuta: devo andare al luogo del nostro primo incontro su Gaea, sotto il grande albero.1
Prendo un cavallo e lo sprono al galoppo, lo spingo a dare sempre di più, a correre come non ha mai fatto in vita sua, ma mi sembra di non arrivare mai. Quando, alla fine, intravedo l’albero, di nuovo la sua voce mi da i brividi.
“Van.. Perché mi hai abbandonata qui? Perché non mi porti via? Salvami, ti prego.”
È un sussurro il suo, ma la sua voce non mi è mai sembrata così chiara.
Raggiungo l’albero nel momento in cui la sua voce svanisce e un cerchio di luce si apre sotto i miei piedi.
Aspettami Hitomi, sto arrivando!
 
Sono nel fascio di luce, per la prima volta faccio con consapevolezza il percorso che ha fatto lei. Sto andando da lei.
Hitomi, ti prego, aspettami!
Tutto intorno è solo luce, ma è come se fosse densa, è diverso da come lo immaginavo. Poi la luce svanisce e ho solo un secondo per capire che sono sospeso nel cielo e sto cadendo velocemente. La giacca l’avevo già gettata via mentre correvo a palazzo, ora le mie ali candide riducono a brandelli la camicia e si spalancano, dandomi il tempo di guardare dall’alto un piccolo gruppo di casette.
Quale sarà la sua? Come posso capire?
Ma poi decido di lasciarmi guidare dall’istinto, che mi guida verso una casetta esattamente sotto di me, e atterro sul suo tetto.
Con un salto raggiungo la finestra che si apre sotto di me, poco più in là, guardo dentro e
Sono arrivato tardi.
Hitomi è stesa a terra, gli occhi chiusi e le braccia scomposte. Con un salto entro nella stanza e le sono accanto. La tocco, è ancora calda ma non sento il suo cuore battere. La afferro con forza per le spalle e la scuoto.
“Hitomi!”
Se il suo cuore non batte, il mio sta impazzendo.
“Hitomi!”, la chiamo a voce più alta tenendole la testa che, altrimenti, si riverserebbe all’indietro. “Non puoi morire, non ora! Ti prego!”
Non so perché, ma mi ritrovo a fare dei movimenti circolari sul suo petto, senza nemmeno un’ombra di malizia, solo per far sentire al suo cuore che sono qua.
E lui mi risponde, con un solo battito. Con un minimo di coraggio in più, continuo a muovere la mano e a chiamarla.
“Hitomi!”
Mi sembra di cogliere un movimento impercettibile delle palpebre, come se avesse provato ad aprirle.
“Hitomi! Hitomi, apri gli occhi!”
Riprendo a scuoterla, forse con un po’ troppa forza, ma deve assolutamente riaversi.
“Hitomi! Torna qua, non te ne andare!”
Ma non li apre. Forse mi sono sbagliato, non li a mai aperti. Il suo cuore da un altro paio di battiti aritmici e ho paura che siano il suo canto finale.
“Hitomi! Non mi lasciare!”
Ancora una scossa, ma niente. La guardo inerte tra le mie mani furiose e sento la paura strisciarmi gelida nelle vene.
L’ho persa. Non sono arrivato in tempo. È colpa mia.
La consapevolezza di essere il responsabile della sua morte mi scava un dolore improvviso nella carne, mentre la mia mente si rifiuta di considerare anche solamente possibile la tragedia che ho davanti. Cingo con un braccio le spalle esili di quel corpo che amo alla follia, mentre con la mano libera accosto il suo capo al mio petto, proprio sul mio cuore impazzito. È così bella la mia Hitomi, che sembra semplicemente addormentata. Ed è solo così che riesco a considerarla, mentre con la punta delle dita seguo le linee del suo viso, dei suoi occhi chiusi, delle sue morbide labbra. Non l’avevo mai accarezzata prima, che folle.
Come ho potuto rinunciare a questo privilegio? Non importa, il mio amore dorme e io la sfiorerò fino al suo risveglio e poi, se me lo permetterà, continuerò a farlo anche dopo, guardando i suoi splendidi occhi verdi.
Con la punta dell’indice arrivo sotto i suoi occhi, a toccare con mano i segni scuri che li circondano e testimoniano il dolore che l’ha logorata.
Il dolore che io le ho inflitto.
La verità mi si palesa all’improvviso davanti agli occhi e mi ferisce col suo colpo più duro, ed è come se l’avessi vista solo ora. Il corpo esanime di Hitomi giace tra le mie braccia, la colpa è mia ed è chiaro che sto impazzendo.
Che senso ha adesso tornare a casa, guidare il mio popolo, fare il bene del mio regno senza nemmeno il pensiero che da qualche parte, su un mondo diverso, lei almeno possa essere felice? Che senso ha parlare, volare, ridere, guardare il cielo, l’alba e il tramonto, respirare, se lei non può farlo più?
Non mi sento più. Non ci sono più. Portate via questa carcassa vuota, a me non serve più.
Il mio intero universo collassa dentro di me e mi accascio sul tempio che avrei adorato a vita, il corpo della mia Dea Alata. Voglio solo fondermi con la sua pelle, diventare con lei un’unica cosa, e dimenticarmi chi sono, perché esisto. Le sfioro ancora una volta il viso e mi azzardo a farlo anche con le labbra. Le poggio una volta sulla sua guancia, timoroso, come se davvero stessi violando qualcosa di sacro, e nemmeno mi accorgo di dar voce al mio desiderio più profondo.
“Tienimi con te… portami con te…” sussurro.
E in quel momento il miracolo accade. Sento le sue ciglia solleticarmi la pelle mentre sbattono piano. Incredulo mi allontano subito dal suo viso, il tanto necessario per poterlo guardare bene, e posso ammirare la cosa più meravigliosa dell’intero universo: i suoi occhi che piano si riaprono, e sembra che le costi una fatica enorme.
“Hitomi!” la chiamo, la voce strozzata dall’emozione così forte che quasi mi gira la testa. Non mi accorgo nemmeno della mano che, da sola, si è poggiata sulla sua guancia, così pallida e piccola.
Le palpebre le sfarfallano mentre mi mette a fuoco e mi perdo nell’attimo in cui quelle foreste verdi mi fissano. Continuo a non sentirmi più, la paura di perderla è stata devastante, riesco solo a pensare che è viva, che è bellissima, che sono quasi morto insieme a lei.
“Hitomi…”
Che bello poter dire il suo nome senza che mi causi la solita fitta all’anima.
“Sei tornata, sei tornata da me…”
Piano e a fatica una sua mano si alza e raggiunge tremando la mia guancia.
Allora ce l’ho una guancia, ce l’ho perché me la sta toccando lei.
Spingo la sua mano sul mio viso per averla ancora più vicina, ho anche un altro braccio, quello che la sostiene.
Sento i suoi polpastrelli accarezzarmi piano accanto all’occhio, quasi come ho fatto io prima con lei, ed è un’altra parte che riscopro di me.
E mi rendo conto che ho bisogno di riscoprire lei, di ritrovare me stesso, e il mio corpo sa già cosa fare: la abbraccio forte, la tengo stretta a me e tutto riprende vita mentre la cullo. Sono felice, ancora terrorizzato, incredulo.
“Sei viva, Hitomi! Sei…”
Sei viva con me.
“… Sono…”
Sono arrivato giusto in tempo.
Sono stato un pazzo a lasciarti andare via.
Sono quasi morto con te.
“… Non ci credo!”
Dimmi che non è un sogno.
“Sei tornata! Sei tornata…”
Sei tornata nella mia vita e mi sembra impossibile.
Con un movimento appena percettibile della testa mi fa cenno di sì con la testa e, per la gioia, se possibile la stringo ancora di più. Così posso saggiare con mano quanto sia smunta e rimpicciolita. Ho paura di farle male adesso, in tutti i sensi. Deve saperlo.
“Ho avuto paura, così tanta paura! Il tuo grido, il tuo dolore…” e mentre lo dico risento quell’urlo straziante, quella sofferenza insopportabile, e mi fa male di nuovo.
La sento respingermi piano con le mani appena premute sul mio petto. Mi ritrovo scosso da brividi potenti, se adesso non mi volesse più credo che impazzirei davvero.
“… ma sei tornata…” dico, più per convincere lei che me.
Ma lei non parla. Non ha detto una parola finora, e il suo silenzio mi stordisce e mi uccide. Può star pensando qualsiasi cosa, magari pensa che sia sbagliato che io sia qui e non lo posso sapere. Ma devo, anche se ho paura di subire il suo colpo.
“Parlami Hitomi, ti prego, di’ qualcosa.”
Non uccidermi, ti prego. Dimmi che stai bene, dimmi che mi vuoi, dimmi che non è troppo tardi per noi.
La guardo tutta, rannicchiata contro di me, debole e fragile, e mi rendo conto che mai nessuno ha avuto tanto potere su di me, tanta possibilità di decidere di me. Proprio lei, un essere così indifeso e innocuo, col suo silenzio e le sue parole può decidere se farmi morire o vivere.
Una mano lascia il mio petto e risale sul mio viso, con più forza stavolta, e non so cosa pensare. Mi guarda, mi studia, passa una manciata di secondi in cui muoio e rinasco mille volte, fino a quando il suono della sua voce lascia le sue labbra e mi invade contemporaneamente mente e cuore.
“Sono tornata per te.” Sussurra.
Ci metto meno di un attimo e tutta la vita a capire il senso di quello che ha detto, ed è come volare a tutta velocità nel cielo limpido, con la libertà e la leggerezza dei pensieri; è il bacio del sole sulla pelle, è la primavera dei nostri cuori, è la carezza di mia madre che non ricordavo di aver avuto; è la certezza di non essere più solo, tutto sublimato in un attimo.
È lei, qui, tra le mie braccia, e la amo, la amo da impazzire.
Spinto da un bisogno così grande che mi chiedo come ho fatto a ignorarlo per un anno – per tutta una vita – mi avvicino al suo volto e, a pochi millimetri dalle sue labbra rosa le faccio la promessa più solenne della mia vita, quella che manterrò a qualsiasi costo perché sarà naturale farlo.
“E io sono tornato per te, per sempre.”
E poggiando le mie labbra sulle sue con devozione, amore e passione, mi sento davvero vivo per la prima volta.




Che altro dire? Grazie a tutti voi che siete passati, avete letto, avete recensito, avete seguito o ricordato, forse addirittura preferito. E' stato il mio primo tentativo e non sapete quanto io abbia apprezzato la vostra presenza. :) e.. beh, per la frutta marcia c'è un secchio apposito, se volete sono qua! XD
Spero a presto!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1169073