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di DirtyWriter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap.1 ***
Capitolo 2: *** Cap.2 ***
Capitolo 3: *** Cap.3 ***
Capitolo 4: *** Cap.4 ***
Capitolo 5: *** Cap.5 ***
Capitolo 6: *** Cap.6 ***
Capitolo 7: *** Cap.7 ***



Capitolo 1
*** Cap.1 ***


Nota dell'Autrice:
Questa storia nasce dal desiderio di raccogliere in una long fic le storie nate nella community di Gdr su Saint Seiya a cui appartengo. Siate benevoli, sto per narrarvi parte di ben quattro anni di scene di gioco. Per questo motivo mi sento di avvisare che, vista la sorgente da cui ho attinto per scrivere, i personaggi sono estremamente OOC. Sebbene così diversi dagli originali, comunque, restano sempre e (purtroppo) "figli" di Masami Kurumada.
Buona lettura a chiunque si avventuri!!



CAPITOLO 1

Spalancò gli occhi di colpo e si sollevò celermente, ansimando. Lo sguardo si perse immediatamente nel vuoto lasciato dal ricordo del sogno appena fatto, ed il sinistro rettile dell’ansia le avviluppò le membra lasciandola senza forze.

Le ginocchia volarono al petto e le braccia le strinsero, mentre la testa si eclissava in quel nascondiglio improvvisato. Erano giorni, se non settimane, che il suo sonno era turbato da visioni, sogni, incubi di varia natura, tutti comunque accomunati da un unico dettaglio: l’acqua…
Si alzò lentamente, cercando di riprendere possesso di se stessa. Quando si guardò allo specchio ciò che vide non le piacque affatto: la pelle, solitamente fresca e vitale, ora era spenta ed emaciata, mentre il vivido scintillio che aveva sempre colorato i suoi occhi azzurri ormai sembrava quasi un ricordo. Fissò per un istante la maschera, adagiata sullo sgabello accanto al letto, e ringraziò gli dei di avere l’obbligo di indossarla così da coprire la vergogna di quello stato.
Si lavò accuratamente, pettinando i lunghi capelli biondi e componendoli in una coda morbida che le cadeva lungo la schiena ed infine indossò gli abiti da allenamento.
Quando uscì dalla sua camera, situata presso gli alloggi riservati alle donne, la prima cosa che notò fu che era appena l’alba. Non una delle sue compagne era ancora sveglia, non l’ammirata e dotata Marin dell’Aquila, né l’eccentrica e scalmanata Shaina dell’Ofiuco, né l’anticonformista e vitale Yuzuria della Gru, né, cosa più strana, la ligia e severa Yuuri del Sestante.
Uscì dalla costruzione e si ritrovò nel cortile che dava su una grandissima balconata. Da quel punto si godeva una panoramica mozzafiato delle Dodici Case del Santuario, della Meridiana dello Zodiaco e della statua crisoelefantina di Athena Nike. Sospirò pensando quanto le fosse ancora estraneo quel luogo.
Non era giunta da molto al Grande Tempio ed anche se ormai qualche mese era passato faticava ad abituarsi. Il suo addestramento presso l’isola di Andromeda con il maestro Albione di Cefeo era stato lungo, intenso e sfiancante. Eppure alla fine ce l’aveva fatta ed era fiera di essere potuta entrare a testa alta al Santuario per reclamare l’armatura di bronzo del Camaleonte.
Il giorno dell’investitura, ricordava, avrebbe dovuto essere il più emozionante della sua vita… Ma così non era stato. Solo Shun di Andromeda se n’era accorto, ed aveva provato a chiederle cosa le capitasse, quelle rare volte che i suoi compiti di Saint tra i prediletti di Saori Kido gli permettevano di incontrarla per le vie tortuose del Grande Tempio. Nemmeno al suo più caro e vecchio amico aveva saputo dare una risposta. E come avrebbe potuto, se non riusciva a giustificare quello stato d’animo nemmeno con se stessa?
Ad accrescere ancora di più quel senso di oppressione ed inadeguatezza che la tormentava ormai da giorni, poi, c’era il fatto di non essere riuscita ad instaurare rapporti umani definibili quantomeno come decenti. Tra le altre guerriere l’unica con cui riusciva a scambiare qualche parola cordiale era paradossalmente Shaina, dotata di un’esplosiva personalità ma dai modi rudi ed alquanto bizzarri per una donna, anche se amazzone. Per quanto riguardava gli altri Saint, invece, in ben pochi di loro aveva riscontrato la predisposizione giusta ad accogliere persone che non fossero nate, cresciute ed addestrate al Santuario. Il solo rapporto vero, che era nato sulla base di una subitanea simpatia e stima reciproca, era riuscita ad instaurarlo con il Gold Saint del Leone, Aiolia. Il ragazzo l’aveva presa sotto la sua ala protettrice, forse spinto da un sentimento di empatia proveniente dagli anni bui che lo avevano visto emarginato a causa delle menzogne che giravano attorno alla figura di suo fratello Aiolos del Sagittario. June era diventata per Aiolia una specie di sorella minore.
Insieme a lui unicamente un’altra persona aveva dimostrato di avere veramente a cuore la sua persona, e questa era la giovanissima sacerdotessa di Athena, la venerabile Teano di Cisseo. Alla morte di Sion e con la redenzione di Saga, il quale era tornato a coprire solo la sua carica di Gold Saint dei Gemelli, la dea non aveva più un sacerdote che la celebrasse e che guidasse il Tempio. Poi, dal nulla, Saori si presentò alla Tredicesima Casa accompagnata da una fanciulla misteriosa, dai poteri taumaturgici ed il volto di una bellezza disarmante. Anche lei, tuttavia, era stata accolta con reticenza e forse era stato questo punto in comune ad averle portate ad avvicinarsi, sebbene Teano fosse più giovane di lei.
E poi… Quel richiamo. Quel senso di attrazione così forte che la spingeva a volersi allontanare da quella realtà. Quel canto soffuso e magico che, ormai l’aveva capito, solo lei udiva. Ed i sogni…
Scosse la testa, confusa, mentre i primi raggi del sole illuminavano la conca naturale che teneva celato il Tempio di Athena al resto del mondo. In quel momento, alle sue spalle, udì una voce che la fece sobbalzare, tanto le giunse inattesa.
-Di nuovo il vostro cosmo è in fermento, June. Una cosa che accede un po’ troppo spesso per essere così poco tempo che siete qui… Se non fossi la persona che sono penserei che dubitiate della nostra dea e della vostra missione… Saint del Camaleonte-.
Quando si voltò la vista del suo interlocutore la fece trasalire. Albafica dei Pesci! 
Lo vide muoversi lentamente da un cono d’ombra camminando nella sua direzione, bellissimo e serio come un angelo della morte.

Il Saint dei Pesci, per lei, rappresentava un serio enigma. Di fatti, come molte voci che circolavano nel tempio le avevano confermato, Albafica aveva fama di essere un personaggio solitario, schivo e scontroso. L’unica compagnia che sembrava allietarlo era quella delle sue rose venefiche, le quali gli avevano trasmesso la loro mortale caratteristica, motivo al quale tutti imputavano il voluto isolamento del Saint dal resto del mondo che lo circondava. Con questi assunti, perciò, le veniva da domandarsi, come mai le capitasse così spesso di notare la presenza di lui nelle proprie vicinanze.
Inizialmente non aveva dato peso alla cosa, imputandola al fatto che il Gold Saint fosse particolarmente guardingo con i nuovi arrivati, ma col passare del tempo quello che era un sospetto si era mutato in una certezza: Albafica la osservava, la scrutava tenendosi comunque lontano e, probabilmente, la valutava.
Si chiese se tutta quell’attenzione avesse a che fare con l’episodio che l’aveva coinvolta nei pressi della Dodicesima Casa, pochissimo tempo dopo essere giunta al Santuario ed aver ricevuto l’investitura,  ma subito allontanò il pensiero dalla sua mente. Che senso avrebbe avuto tutto ciò, quando il cavaliere d’Oro avrebbe potuto limitarsi a suo tempo a redarguirla per qualsiasi cosa avesse reputato sbagliata nelle sue azioni? No, doveva trattarsi di qualcos’altro, anche se non capiva bene cosa.
Quella, ai fatti, era la prima volta che le rivolgeva la parola e lei si sentì travolta da una ridda indescrivibile di emozioni, prime tra tutte il senso di inadeguatezza e il timore. Quando lui le fu vicino, perciò, abbassò lo sguardo al suono di quelle parole.
-Occhi bassi ed un silenzio che ha il sapore amaro di un assenso… Ditemi, ragazza: cosa mai dovrei pensare? Diventata Saint da così poco e già l’animo tentennante…-.
Lentamente June alzò nuovamente il volto verso di lui, incontrando due occhi seri, profondi e indicibilmente belli. Fu così che capì: Albafica la stava provocando. Con modi eleganti, voce suadente e distacco adamantino, ma la stava comunque spingendo ad avere una reazione.
Di colpo quella consapevolezza fece crollare tutte le sue reticenze.
-E’ un onore incontrarvi, nobile Albafica… Di nuovo-.
Non riuscì ad impedirsi di camuffare nelle parole ossequiose una frecciata: indubbiamente era ancora giovane e piena di incertezza, ma di certo né una donna senza orgoglio e dignità tanto da permettere a chicchessia, anche un superiore in grado, di bistrattarla sebbene con eleganza.
Il volto del Saint dei Pesci non tradì alcuna emozione mentre non staccava gli occhi dal suo volto coperto dalla maschera.

-Sapevo che non ci avreste messo molto a capire che vi stavo osservando, June… E spero caldamente che non me ne vorrete per questo. A mia discolpa posso dire che era da tanto tempo che non mi capitava di incrociare il cammino con una persona che stimolasse la mia curiosità come voi, fanciulla…-.
-Cavaliere... Vi prego di appellarvi a me in questo modo, nobile Albafica. Sono, si, una donna ma questa maschera che indosso fa di me un guerriero come voi-.
Non riuscì ad impedirsi di prendere un tono duro e la sua voce, in quel momento, vibrò di indignazione.
Notò le membra del Gold Saint irrigidirsi appena, ma solo un istante prima che l’uomo si prodigasse in un compito gesto di scuse portandosi la mano al petto e chinando il capo.

-Chiedo perdono, June. Non era mia intenzione mancarvi di rispetto…-.
Quella conversazione la stava mettendo a disagio, così cercò di accantonare la sua insicurezza e calarsi nel ruolo che il suo status le imponeva, ovvero quello dell’amazzone fiera e pragmatica.
-Ditemi, avete bisogno di qualcosa da me, Albafica, oppure devo interpretare questo vostro approccio come un mero filosofeggiare alla luce del sole che sorge?-.
Cercò con tali parole di arrivare ad un punto, che fosse sapere le ragioni della comparsa di lui oppure il riuscire a sfuggire alla sua presenza. Quell’incertezza la dilaniava e, dal momento che nella sua vita c’erano fin troppi arcani, almeno quelli a cui poteva porre fine di sua volontà li avrebbe dissipati senza indugio.
Gli occhi cerulei del Saint si assottigliarono appena, mentre di nuovo la avviluppavano in una morsa che non le diede scampo. Infine, dopo una lunga pausa, egli rispose.
-Era mia intenzione sincerarmi della vostra salute, June. Sebbene non ci conosciamo affatto, già da un po’ ho percepito qualcosa che turba il vostro cosmo e mi sorprende il fatto che nessun altro oltre me l’abbia fatto…-.
Mosse un passo verso di lei, e poi un altro ed un altro ancora, mettendola in condizione di indietreggiare fino a che la balaustra della balconata le tagliò completamente la fuga. In lei si scatenò una commistione di terrore e stizza quando si vide braccata a quel modo, e quel sentimento ibrido prese forma in parole che sottintendevano una velata minaccia ed una sottile provocazione.
-Ditemi cosa volete, Albafica, oppure cedetemi il passo. A breve l’intero Santuario si sveglierà ed entrambi avremo dei compiti da assolvere… O almeno così è per me-.
Un lieve sorriso si materializzò sulle belle labbra di lui, ed i suoi occhi scintillarono di una luce ferina. Quando parlò la sua voce era un sussurro, a poca distanza dal suo volto coperto.
-Io sono l'estremo difensore del Tempio... Cavaliere. A me non sfugge il dettaglio che potrebbe rivelarsi fatale per la sicurezza di questo posto e della nostra Dea. E se la mia attenzione è catturata da qualcosa di così anomalo da poter essere annoverato come minaccia, il mio compito è di andare fino in fondo...-.

-Io... Non capisco cosa c'entri questo discorso con me, venerabile Albafica...-.
Il volto di lui si avvicinò ancora. In quel momento  il Saint sembrava essersi trasformato nel più bello e letale tra i predatori. -Si che lo sapete, June... Come sapete che quella notte vi ho vista. Mi dovete una spiegazione, donna, e me la dovete in fretta prima che la mia mente, non avendo trovato alternative razionali, sia spinta ad inquadrarvi come minaccia per il Santuario...-.
Il respiro le mancò. Ma cosa stava dicendo? Un pericolo? Lei? Perchè mai sosteneva ciò? Perché non aveva denunciato la ragazza alla venerabile Teano affinchè prendesse provvedimenti?
La confusione ruppe la sua voce e balbettò nel tentativo di giustificarsi. -Io... Io... Non credevo che l'omessa denuncia di una tentata uscita non autorizzata fosse una cosa così grave, Cavaliere... Ho ritenuto che lo spavento per l'accaduto fosse sufficiente come lezione, per quell'ancella...-.

Albafica interruppe la sua elucubrazione con un soffio, digrignando i denti come fosse un felino pronto ad attaccare. Le fu evidente come il sole che l'intoccabile Saint dei Pesci stava perdendo la sua calma glaciale.
-Smettetela di fingere di non capire a cosa mi riferisco, June! Quanto accaduto, per me, ha dell'impossibile: avreste dovuto essere morta, ed invece siete qui, davanti a me e a distanza di giorni, in perfetta salute come se nulla fosse successo!-.
-Ma cosa...-.

Il suo tentativo di chiedere di nuovo spiegazioni venne interrotto bruscamente da un gesto che da lui non si sarebbe mai aspettata. Di fatti, senza preavviso alcuno, Albafica le prese il braccio sinistro e le strappò le bende con cui si era fasciata mano ed avambraccio. Da sotto le strisce di stoffa scomposte, subito, comparvero a segnare le sue carni eburnee dei segni di ferite e lacerazioni recenti che si stavano evidentemente rimarginando.
Tremò al contatto violento con il Gold Saint e per il timore di quello che lui avrebbe potuto farle. Alzò rapida gli occhi sul viso di lui, che pure in quell'istante le apparve come esitante e confuso ma che subito si riprese strattonandola per mostrarle i suoi stessi segni.

-Sto parlando di questi! E ora parlate o mi vedrò costretto a...-.
-June, sei tu?-.
La voce di Shaina giunse provvidenzialmente dall'interno, rompendo un momento di tensione altissima e dando a June la possibilità di svincolarsi dalla morsa che Albafica esercitava sul suo polso e fuggire, rapida ed impaurita.
Il Cavaliere d'Oro non si mosse per qualche istante, nemmeno per voltarsi e guardare dove la ragazza stesse scappando. I suoi occhi rimasero persi nel vuoto fino a quando non sollevò una mano per osservarla con occhi colmi di sconcerto e stupore.
Era sconvolto, anche se non l'avrebbe ammesso mai. Quella era la prima volta, dopo dieci lunghi anni, in cui toccava nuovamente una persona... Il calore della pelle, la morbidezza e il brivido del contatto umano... Erano cose alle quali, a causa del suo sangue velenoso, aveva dovuto rinunciare per l'altrui sicurezza. Fino a quel momento, in cui aveva rinunciato ad ogni precauzione per avere la conferma di un sospetto. Conferma che, come aveva previsto, era giunta.
Quello che non aveva previsto il solitario ed asociale Cavaliere dei Pesci, però, era l'effetto devastante che il tremito scaturito da quella piccola amazzone avrebbe avuto su di lui.



L'Angolo di June
Ebbene... Faccio subito una premessa. Se c'è qualcosa che non capite, non è una falla della trama. Ogni cosa verrà spiegata a tempo debito.
Sarò breve, stavolta... Salvo disastri naturali (tra cui tsunami di pigrizia o terremoti di noia, che nel mio mondo sono assai frequenti) conto di aggiornare con cadenza settimanale.
Spero vivamente che siate in molti a leggere questa fic, se non altro perchè è frutto di uno sforzo congiunto di più menti unite dalla passione per Saint Seiya.
Approfitto della sede per dedicare quest'opera alla community facebookiana di Gdr "GT", dove in quattro anni ho conosciuto persone che ad oggi sono tra i miei amici più cari: ragazzi, senza di voi tutto questo non esisterebbe. Vi voglio bene.
Concludo ringraziando in modo speciale la persona che mi beta, ovvero un ragazzo eccezionale che ho avuto l'onore di conoscere sempre in ambito facebook/Saint Seiya e con cui, da ormai quasi quattro anni, ho l'onore ed il privilegio di condividere passioni, casa e vita... Il mio fidanzato e presto marito Ivano.
Non ho altro da aggiungere, se non che spero in un'alta aderenza... Perchè ne vale la pena. Lo giuro sui Beatles!


June di Dolphin

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Capitolo 2
*** Cap.2 ***


CAPITOLO 2
 

 
Il coordinamento della ronda di guardia notturna del Santuario era uno dei compiti più ingrati spettanti ai Bronze Saints. E June, in quanto Saint del Camaleonte ed appartenente a quella categoria, sebbene amazzone non era affatto esente. Così, in quella calda notte di luna nuova, la giovane neo investita si trovava a camminare lungo il perimetro murario della cittadella che comprendeva le Dodici Case per controllare che nessun nemico turbasse la quiete dei luoghi sacri alla Dea della Giustizia. La tenue illuminazione delle fiaccole non era sufficiente a squarciare il velo buio di quella nottata, in cui il faro della luna era spento e le stelle sembravano quasi intimidite da quel velluto denso e scuro.
La figura della ragazza solcava le ombre con decisione e, intenta com'era a non lasciarsi sfuggire alcun dettaglio al fine di svolgere il suo lavoro nel modo più inappuntabile possibile, volgeva lo sguardo in ogni direzione con perizia.
Era ormai notte inoltrata e ci si stava avvicinando sempre più ai fuochi dell'aurora. Fino a quel momento la situazione era stata estremamente tranquilla ma, evidentemente, era destino che lo stato di cose non dovesse perdurare. Infatti, d'improvviso, un movimento lesto tra le ombre richiamò l'attenzione di June, che si trovava a stazionare sulle mura che perimetravano l'ultimo tratto della scalinata bianca tra l'Undicesima e la Dodicesima casa. Rapida come solo un Saint di Athena riusciva ad essere, la guerriera si confuse nei giochi di buio e luce, avvicinandosi sempre più alla fonte dei rumori sospetti. In breve, alla fine, si trovò a costeggiare le merlature al di sopra dei roseti della Casa dei Pesci, e fu proprio lì che la vide: una fanciulla completamente incappucciata in nero, nella quale non faticò a riconoscere una delle giovani ancelle della Tredicesima Casa di nome Katleya, stava cercando di superare non notata il muro di cinta, presumibilmente per lasciare il Tempio senza che nessuno la vedesse. Per fare ciò stava percorrendo la muraglia fino a giungere nei pressi della Dodicesima, dove le merlature erano più basse. Ma solo l'apparenza faceva di quel tratto il punto debole delle difese del Santuario: infatti il motivo per cui esse erano state così costruite era che la Dodicesima Casa sorgeva su uno sperone roccioso che si affacciava su un baratro di diverse decine di metri d'altezza, invalicabile ed inattaccabile dall'esterno. La parte interna, invece, era resa impervia da un camminatoio strettissimo, che permetteva appena di superarlo camminando lentamente e rasente il basso muro del bastione. Sotto quel tratto, per altro, si apriva a dismisura il roseto rampicante di Albafica.
June trasalì immaginando l'intenzione della fanciulla e, sicura che non avesse stimato con esattezza né la pericolosità di una discesa a mani nude su una parete che lei stessa in allenamento aveva superato a malapena, né tantomeno quella del superare il camminatoio con il costante pericolo di mettere un piede in fallo e ritrovarsi a giacere tra i pericolosi fiori, decise di intervenire per evitare il peggio. Ma la mancanza di esperienza della giovane Saint le fece commettere un enorme errore, ovvero quello di agire d'impulso in preda alla buona intenzione di non far correre pericoli ulteriori alla giovane. Fu proprio tale mancanza ad essere fatale, di fatti June si palesò improvvisamente dall'ombra alla piccola ancella mentre questa si trovava a metà dell'impervia passerella e si stava apprestando a scavalcare la bassa merlatura. Fu un attimo, e si trovò ad assistere alla scena come se si svolgesse a rallentatore: Katleya, sbarrando gli occhi dalla sorpresa ed il panico di essere stata colta in flagrante, aveva perso la presa e l'equilibrio, finendo per cadere all'indietro verso il giardino.
In quel preciso momento la mente di June smise di funzionare in maniera razionale e la giovane amazzone divenne una creatura di puro istinto. La frusta del Camaleonte schioccò duramente, andandosi ad incuneare tra una feritoia ed una sporgenza, e divenne la sua fune di sicurezza quando si lanciò incoscientemente nel vuoto. Percepì immediatamente la presa salda sul corpo della ragazzina e subito dopo un tonfo sordo ed un acuto dolore alla schiena. Quando riaprì gli occhi si ritrovò appesa alla sua frusta con il braccio sinistro, mentre con l'altro sosteneva la fanciulla che la fissava con tanto d'occhi e singhiozzando. Il rumore sordo che aveva percepito poc'anzi non era altro che l'impatto della sua schiena contro il muro, ed il dolore che le stava ancora stilettando le membra derivava da una commistione tra il colpo secco ed il fatto che le acuminatissime spine degli arbusti rampicanti le avevano lacerato i punti lasciati scoperti dall’armatura conficcandolesi nella carne. Immediatamente la sua preoccupazione si incentrò sullo stato di Katleya, ma la ragazzina sembrava non aver subito il minimo danno fisico, sebbene tremasse ancora per la paura e piangesse calde lacrime, mentre farfugliava scuse sconnesse.
June si fece forza, cercando di ignorare lo stato di torpore che sentiva pervadere il suo corpo ad ogni secondo che passava, e con voce suadente intimò alla fanciulla di tenersi stretta alle sue spalle. Poi, dando fondo a tutte le energie residue, iniziò la scalata.
Ignorò stoicamente le ferite che le spine continuavano ad infliggerle alle braccia mentre si issava sulla frusta, metro dopo metro. In un tempo che le parve infinito, ma che comprese subito trattarsi di pochissimi minuti, riuscì a riportare Katleya al sicuro. Sfinita si sedette con la schiena appoggiata al bastione, mentre la ragazzina piangente le si affaccendava intorno, tamponandole le ferite con il mantello, pregandola di perdonarla e scongiurandola di non denunciarla all'Alta Sacerdotessa.
Debolmente June si guardò intorno: l'episodio si era consumato talmente tanto in fretta ed in un punto tanto improbabile che, a quanto pareva, nessun abitante del Tempio si era accorto di nulla. La voce di Katleya iniziò a giungerle ovattata, mentre la ragazza le spiegava che il suo ruolo di ancella apprendista le impediva di abbandonare il Santuario fino alla fine del suo apprendistato, ma che le era giunta notizia da uno sguattero di cucina che il suo fratellino, rimasto nel villaggio di Rodorio con la sua famiglia, si era gravemente ammalato. Così, presa dalla preoccupazione, si era messa in testa di fuggire scendendo il dirupo della Dodicesima Casa, il punto meno controllato dalla ronda e più facile da valicare, sebbene anche il più pericoloso.
Il viso sconvolto e le lacrime di quella ragazzina, che non doveva avere più di tredici anni, intenerì il cuore dell'amazzone. Delicatamente allontanò le mani che si adoperavano per coprire le lesioni che i letali arbusti avevano lasciato sulla sua pelle e intimò alla fanciulla di allontanarsi e guadagnare di nuovo i suoi appartamenti. Le promise che di quell'episodio non avrebbe fatto menzione a nessuno e che, una volta ripresasi, si sarebbe interessata in prima persona della salute del suo fratellino. La ragazzina, titubante ed evidentemente lacerata dal senso di colpa, era poco dopo scomparsa tra le ombre delle mura, ma non prima di averle riservato uno sguardo di profonda gratitudine ed immenso rispetto.
June, dal canto suo, era scivolata progressivamente in un torpore avvolgente che l'aveva condotta in un ovattato oblio. Quando aveva ripreso i sensi era in infermeria, ed ai piedi del suo letto aveva immediatamente visto la venerabile Teano accompagnata da Marin e Yuzuriha. La sacerdotessa le aveva riservato il suo sorriso più caldo, e le aveva subito chiesto come stesse. Mentre le porgeva una scodella contenente del brodo caldo, poi, le aveva spiegato che i soldati di guardia l'avevano trovata malconcia e svenuta sul camminatoio delle mura e che subito avevano pensato ad un'intrusione esterna, sebbene un'approfondita ispezione del Santuario avesse smentito tale ipotesi. Ora, però, era il momento che spiegasse almeno a lei cosa fosse accaduto. E se non voleva farlo da subordinata a superiore, Teano le chiese di farlo da amica ad amica.
E fu così che June mestamente aveva mentito, dicendole che il suo stato non era stato altro che il risultato di una sua mancanza, dell'imperizia messa nello svolgere il suo compito, che l'aveva spinta a distrarsi ed a mettere un piede in fallo, cadendo dal camminatoio tra la Dodicesima e la Tredicesima casa.

Aveva omesso l'intenzione della piccola Katleya e la promessa che le aveva fatto. Ma, soprattutto, aveva omesso la reale natura delle sue ferite. Ed il motivo per cui l'aveva fatto era che la paura per ciò che le sarebbe accaduto di lì a breve l'aveva messa nella condizione di pensare che "se non lo ammetto neppure con me stessa, non è mai successo". Sciocco, immaturo... Eppure così reale.
E così aveva fatto. Non ci aveva più pensato. Non ci aveva pensato nel pomeriggio, quando era stata in grado di alzarsi ed uscire dal Santuario per portare soccorso alla famiglia di Katleya. Non ci aveva pensato quando, a sera, era andata a trovare la fanciulla per dirle che i medicinali e l'assistenza data al suo fratellino avevano sortito il loro effetto. Non ci aveva pensato andando a dormire quella notte, sfinita per l'intensità delle ultime ore.
Ma si era ritrovata costretta a pensarci la mattina successiva quando, contro ogni sua aspettativa, il veleno delle rose di Albafica non aveva sortito alcun effetto. Nessuno. Terrorizzandola.
Non c'era altra scelta... 
"Se dimentico, non sarà mai accaduto".

Teano spalancò i suoi immensi occhi verdi, mentre con compostezza depositava la tazza di thè che fino a quel momento aveva sorseggiato sul tavolino che separava le loro due sedute. Il suo sguardo sondò stupito quello blu oceano di June, la quale in sua presenza si era tolta la maschera e le aveva narrato dettagliatamente tutto. Di fatti l'amazzone, sconvolta dall'incontro avuto con il Saint dei Pesci e dopo un'intera giornata passata a rimuginare sulle contingenze che la riguardavano, non era più riuscita ad ignorare tutti quegli episodi sconcertanti che si stavano vorticosamente susseguendo nella sua vita ed era giunta alla conclusione che il tempo dei silenzi era ormai giunto al termine. Così si era recata dall'unica persona che in quel luogo sentisse di avere vicina, chiedendole di ascoltarla. Non da sacerdotessa, ma da amica.
-June... Io non so cosa dire-. La voce di Teano sfiorò il suo orecchio come il suono di un battito d'ali di farfalla. -Spero comprenderete che se questa conversazione fosse di carattere formale, la gravità di quello che mi avete appena narrato sarebbe incommensurabile...-.
-E' per questo che sono venuta qui in veste di vostra amica... Perdonatemi, Teano, se vi sto mettendo in una scomoda posizione, ma sento che il filo della mia esistenza mi sta sfuggendo di mano e non credo di essere in grado di poter sopportare il peso di tutto questo da sola...- e nel dire ciò, l'amazzone abbassò gli occhi in terra, evidentemente sconsolata ed impaurita.
La giovane sacerdotessa sospirò, mentre un groppo in gola le rendeva evidente il conflitto interiore che il racconto dell'altra le aveva provocato. Da officiante della Dea, ovviamente, sia il fatto di aver coperto un tentativo di fuga che quello di essere perseguitata da incubi, visioni e richiami interiori rendevano June passibile di un processo da sottoporre addirittura al Chrysos Synagein. Non che la lealtà e la buona fede della ragazza potessero essere messe in discussione ma la natura dei fenomeni che la stavano riguardando, non ultimo il fatto che il veleno delle rose dei Pesci su di lei non avesse avuto effetto alcuno, poteva essere annoverata come potenziale minaccia per la sicurezza del Santuario e di Athena stessa.
D'altro canto, però, Teano sapeva bene come ci si potesse sentire a vivere eventi soprannaturali ed inspiegabili senza essere in grado di spiegarne l'origine. Questo, unitamente alla forte empatia che aveva sempre provato per l'altra, la spinse a valutare attentamente come comportarsi con lei in quel delicato momento. Fu per questo che un silenzio denso di significati cadde tra le due.
Poi, d'improvviso, fu June a rompere la stasi. Infatti alzò di nuovo gli occhi e, con una decisa rassegnazione che in essi si annidava, chiosò -Credo che la scelta sia obbligata, Teano. Vi prego, in nome della nostra amicizia: accompagnatemi da Athena-.
Di nuovo la sacerdotessa sospirò ed infine, stancamente, accennò un lieve assenso con il capo. In silenzio, quindi, fece strada all'amazzone per i corridoi della Tredicesima casa, dirette verso gli appartamenti privati di Saori Kido.
Quando alla fine di un silenzioso tragitto giunsero davanti alla porta, Teano guadagnò nuovamente gli occhi di June. Un prato verde smeraldo in un profondo abisso blu cobalto.
-Solo una cosa vi chiedo, June: abbiate fiducia nella nostra Dea-.
-Me lo chiedete da sacerdotessa o da amica?- fu la risposta che June le diede mestamente.
Teano si limitò a sorriderle caldamente, per poi bussare all'uscio.
 



L'Angolo di June
Approfitto di nuovo di questa sede per tentare un esperimento "visivo" che già ho intavolato su facebook, ovvero quello di dare le sembianza di gente famosa ai personaggi, in modo che il lettore possa figurarseli anche in carne ed ossa. Quindi, a seguire, una carrellata dei personaggi comparsi e nominati finora e che nella mia fantasia hanno queste fattezze:
 
June del Camaleonte:Evan Rachel Wood - http://misterarcadia.altervista.org/evan-rachel-wood.jpg
Albafica dei Pesci: Gabriel Aubry - http://gossipario.com/wp-content/uploads/2010/05/gabriel_aubry000x0432x6582.jpg
Teano di Cisseo:Taylor Swift - http://www.songslover.pk/english/t/taylor-swift/images/Taylor-Swift-b03.jpg
Yuzuriha della Gru: Kirsten Dunst - http://www.filmovie.it/wp-content/gallery/kirsten-dunst/kirsten-dunst-11.jpg
Shaina dell'Ofiuco:Jessica Alba - http://thumbs.ifood.tv/files/images/editor/images/Jessica%20Alba%20Diet.jpg
Yuuri del Sestante:Kate Bosworth - http://images.fanpop.com/images/image_uploads/Kate-kate-bosworth-264937_1024_768.jpg
Marin dell'Aquila:Blacke Lively - http://images4.fanpop.com/image/polls/701000/701908_1303945229962_full.jpg
Aiolia del Leone: Jake Gyllenhaal - http://images4.fanpop.com/image/photos/17700000/Jake-jake-gyllenhaal-17728948-1230-998.jpg
Aiolos del Sagittario: James Franco - http://blog.zap2it.com/kate_ohare/jamesfranco_generalhospital_2.jpg
Saga dei Gemelli:Mattew McConaughey - http://imstars.aufeminin.com/stars/fan/matthew-mcconaughey/matthew-mcconaughey-20050216-25617.jpg
Shun di Andromeda: Logan Lerman - http://media.vogue.com/files/filecheck/2011/10/24/img-logan-lerman_124759425110.jpg_article_singleimage.jpg
Albione di Cefeo: Jared Leto - http://www.celebs101.com/gallery/Jared_Leto/211799/Jared_Leto_50.jpg
 
Nei prossimi capitoli farò delle implementazioni man mano che i personaggi compariranno. Fatemi sapere cosa ne pensate!
Saluti a tutti (cattivi, belli e brutti) da

June

 

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Capitolo 3
*** Cap.3 ***


CAPITOLO 3

 
L'ennesima folata di vento gelido le sferzò le membra, facendole ringraziare i Numi per averla ispirata a mantenere l'obbligo morale della maschera che stava preservando il suo viso dai fendenti acuminati dei cristalli di ghiaccio che in aria danzavano.
Lenta procedeva lungo una distesa innevata, che ai suoi occhi sembrava infinita. All'orizzonte il paesaggio era stato immutato per giorni: il bianco della neve in terra unito all'orizzonte al grigio cupo e plumbeo del cielo nuvoloso. Da poco, tuttavia, in lontananza aveva iniziato a distinguere la fisionomia di quella che poteva essere una foresta di conifere. Per questo motivo aveva allungato il passo, per quanto le condizioni del tempo le permettessero.
Ripensò ai due mesi appena trascorsi e si disse che mai come in quel momento il suo viaggio era stato così duro...

 
Athena l'aveva ricevuta senza esitazioni una volta che Teano le ebbe annunciato le motivazioni che spingevano la giovane Saint del Camaleonte a chiedere udienza alla propria Dea. Quando fu condotta al suo cospetto, Saori accolse June sulla sua terrazza privata, la quale dominava il Tempio come a volerle offrire la possibilità di abbracciare con il suo benevolo sguardo tutti coloro che a lei avevano votato la vita.
La Dea fanciulla era in piedi, la sua esile figura si stagliava contro la luce fulgida del sole infuocato dal tramonto. Tanta era la forza e la speranza che da lei provenivano che June non riuscì a trattenere un fremito di commozione mentre già si inginocchiava al suo cospetto.
-Alzatevi, amazzone, e lasciate che io possa guardarvi-.
Obbedì istantaneamente a quell'ordine che tale non le sembrò, visto il tono di voce caldo e rassicurante con cui venne emesso. Subito si ritrovò avvolta dallo sguardo cordiale e puro di colei sulle cui spalle giacevano i destini e le speranze di così tante persone.
Athena si prese il suo tempo, silente, mentre la osservava nel profondo del suo essere, allungando una mano e carezzandole dolcemente il viso. Sebbene fosse solo di qualche anno più grande di lei, June ebbe la sensazione di essere come cullata in un abbraccio materno. Ah, questa era senz'altro il fondamento del potere della Dea Vergine, ciò che motivava schiere di uomini e donne a dare tutto per lei...
A rompere quell'incanto fu un sussurrò che sfuggì flebile dalle belle labbra di Saori. -Così presto giunse il momento...-.
Quelle parole appena accennate la lasciarono perplessa. Ma non ebbe tempo per porsi ulteriori quesiti dato che la sua Signora subito sorrise di nuovo, rivolgendosi nuovamente a lei.
-June, Bronze Saint del Camaleonte ed amazzone del Grande Tempio... Teano mi ha spiegato i motivi che oggi vi spingono a chiedermi udienza. Ed il mio cuore è triste...-.
Rimase mortificata, tanto da non riuscire più a sostenere lo sguardo della sua divina interlocutrice. E così la gravità della sua situazione era tale da ferire la sua Dea... Quella consapevolezza la raggiunse con la durezza della più impietosa punizione.
Una mano delicata le sollevò il mento e di nuovo si ritrovò a tuffarsi nelle ormai familiari iridi violacee.
-State fraintendendo le mie parole, fanciulla... Ad attanagliare il mio cuore è la consapevolezza che presto ve ne andrete, June-.
L'amazzone sbarrò gli occhi. Come poteva essere che Athena sapesse già quali fossero le sue intenzioni?
In effetti, durante il suo colloquio con Teano era addivenuta all'unica soluzione che per lei avesse un senso. Non poteva più ignorare il senso terribile di disagio che le attanagliava le viscere da qualche tempo, la pressante sensazione di essere in un luogo al quale non apparteneva. E poi quel richiamo, quel canto, che da dentro le sussurrava di cercare... Ma cercare cosa non le era dato capire.
E per quel motivo aveva deciso di incontrare Athena, ovvero per chiederle di perdonarla e di dispensarla dalla sua carica di Cavaliere. Perché il senso di vergogna e di fallimento sarebbe sicuramente stato forte, ma quel doloroso vuoto che aveva dentro lo era e lo sarebbe stato molto di più.
-Io imploro il vostro perdono, mia Signora. So che rinunciare alla Cloth è un gesto leggibile come segno di vigliaccheria, di faziosità o di irriconoscenza, ma vi giuro sulla mia vita che non è così! Io sono grata in modo indicibile sia alla Fondazione per avermi accolto, orfana com'ero, e di avermi dato una possibilità ed un futuro. Ma soprattutto lo sono a voi per avermi concesso l'onore di aspirare e guadagnare il ruolo di vostro difensore, Athena! Eppure...-.
La sua disquisizione venne interrotta da un delicato gesto della Dea.
-Tranquillizzate il vostro animo, amazzone... Io so cosa risiede nel vostro cuore e capisco il dilemma interiore che vi sta dilaniando. Non dovete aggiungere altro, perché né la vostra devozione e né la vostra fermezza verranno messe in discussione. Io vi dispenso da ogni obbligo verso di me e verso il Santuario: siete libera-.
Con gli occhi traboccanti di lacrime di gratitudine, June si inchinò di nuovo ai suoi piedi.
-Grazie, Divina... Io... Non dimenticherò mai ciò che avete fatto per me. Voglio che sappiate che qualsiasi sia l'esito di ciò che mi attende, in me troverete sempre un'amica ed un'alleata del Grande Tempio- e così dicendo si congedò, con il cuore traboccante di emozione.
In questo modo, guidata dall'impeto dei suoi sentimenti, lasciò frettolosamente la Tredicesima Casa. Fu per quel motivo che le sfuggirono le ultime parole che la Dea le dedicò. -Buona fortuna, June... Che il fato vi protegga in questo viaggio che vi attende...-.
E così dicendo, Saori aveva rivolto un'occhiata preoccupata a Teano, per poi congedarla e ritirarsi in una profonda meditazione. 
Dopo aver riconsegnato a Mu la sua Cloth, perciò, aveva lasciato il Grande Tempio con i suoi pochi averi. Inizialmente aveva vagato in modo confusionario, cercando di capire cosa realmente la aspettasse e cosa avrebbe dovuto fare. Il suo caotico peregrinare l'aveva spinta ad attraversare i Balcani e spingersi verso i brulli territori della Germania. Solo quando si trovò nel cuore della Bavaria, però, riuscì finalmente a capire: quel richiamo la stava guidando. Poteva percepire la sua intensità diminuire od aumentare a seconda della direzione che prendeva, e non le ci volle molto ad intuire che più quel canto misterioso giungeva nitido e forte alla sua anima più era certo che stesse seguendo la via giusta per giungere...
Non aveva idea dove. Ma sapeva che, forse, in quel luogo avrebbe trovato delle risposte.
E così, seguendo quella scia segreta, era giunta nelle fredda Danimarca fino a toccare l'estremo capo settentrionale della penisola. Quando tuffò i suoi occhi blu nell'oscurità torbida del Mare del Nord ebbe, però, la conferma che il suo viaggio non si sarebbe concluso lì. No, il canto continuava incessante ad irretirla, a farle sentire quel tormento insoddisfatto che solo il mancato perseguimento di un obiettivo dà. Più avanti, ancora oltre…
Si imbarcò clandestinamente su una nave diretta in Artide, il quale avrebbe fatto scalo per rifornirsi sulle coste della Norvegia centrale. Il viaggio durò cinque giorni e per lei fu paragonabile alla peggiore delle torture. Questo non perché non fosse abituata alla vita sul mare, dato che i lunghi anni del suo addestramento avevano avuto come scenario un'isola lavica dispersa chissà dove nel sud dell'oceano Atlantico, ma perché mentre la nave solcava le onde ghiacciate del mare del Nord la misteriosa voce che dentro di lei sussurrava era esplosa, martoriandola dall'interno. Mai come in quelle lunghe ore passate nell'angolo della stiva adiacente alla cambusa, cercando di trovare conforto dal gelo tra le casse dei viveri ed i tubi del cucinotto, si era sentita così sola e disperata. E nei momenti di insonnia era arrivata persino a maledire la sua stessa vita, che era finita per essere un susseguirsi di azioni finalizzate a qualcosa di imponderabile e non scibile sulle quali lei sembrava non avere più potere decisionale.
Non che prima della sua investitura, quando tutta quella storia aveva avuto inizio, le cose fossero state diverse. Fondamentalmente, riflettendo su se stessa in quel tempo solitario che la traversata le aveva imposto,  era giunta alla conclusione di aver perennemente e semplicemente “esistito”. Ripensando al suo passato, alle sensazioni provate e alle emozioni che avrebbero dovuto segnare gli anni addietro, si accorse drammaticamente di averli vissuti quasi vedendoli dall'esterno, come uno spettatore passivo sul quale la sferzata emotiva di ogni attimo non aveva avuto effetto alcuno. Realizzò traumaticamente di aver imparato il reale significato dei sentimenti e delle sensazioni solo dopo essere giunta al Santuario, ma che la sua infanzia ed il suo addestramento rappresentavano nella sua memoria come una sequenza indefinita di fatti di cui lei era stata semplicemente una presenza e non una parte integrante.
Pianse di rabbia, di frustrazione e di sconforto quando questa ennesima conferma le giunse nitida al cuore. Ma con il passare dei giorni lo smarrimento ed il dolore sembravano sempre più lasciar posto ad una sensazione di benessere e sollievo...
"Sono viva! E mi sento tale! Per questo adesso provo tutto ciò…" si disse in un momento in cui sembrò giungere una sorta di illuminazione. E fu proprio allora che un tonfo sordo la scosse: avevano finalmente attraccato.
Quando era scesa, aveva respirato a fondo l'aria ghiacciata della Norvegia, mentre una nuova serenità ed una nuova decisione la pervadevano insieme al richiamo che la spingeva a riprendere il suo viaggio. E così, sebbene la mèta finale fosse ancora un mistero, ebbe chiaro almeno cosa stesse cercando. Sé stessa.
Nel mese successivo si era spostata con un'enorme lentezza a causa del clima rigidissimo a cui non era abituata e della morfologia di quell'impervia tundra innevata che avrebbe messo alla prova la resistenza di combattenti ben più esperti di lei. Ma non si era mai fermata, spinta da quell'impeto di rivalsa e quella nuova sete di conoscenza, mentre il richiamo le indicava diligentemente il cammino.
E alla fine, era approdata nella regione del Nordkinn, la parte più settentrionale della Norvegia. 


Una volta giunta ai margini della foresta si rese subito conto che l'avanzamento, da quel punto in poi, sarebbe stato molto più agevole dato che i fitti alberi impedivano al vento tagliente di penetrare nel loro folto. Nonostante ciò ebbe comunque le sue difficoltà, date principalmente dal fatto che la già flebile luce del lungo giorno del Nord non filtrava a sufficienza dalle chiome per rendere ben visibile la via.
Dopo un tempo lunghissimo, in cui si mosse a tentoni cercando di non mettere i piedi in fallo e di seguire almeno una direzione sensata, giunse in un piccolo slargo tra i tronchi. 
"Ho come l'impressione di girare in tondo. Sono quasi certa di essermi persa..." rifletté, sconfitta. "Ma non posso fermarmi, le vesti imbottite che indosso non basteranno a difendermi dalla morsa di questo freddo. Devo quanto meno cercare un posto più riparato per riposare o rischio l'assideramento".
Si spronò per far sì che lo sconforto non l'avesse vinta sulla determinazione e si impose di procedere, avanzando così un passo all'interno dello spiazzo. Ma il suo proposito venne immediatamente vanificato.
Un rombo sordo esplose facendo tremare la terra, gli alberi e probabilmente anche il cielo. Il tetto naturale formato dalle chiome delle conifere sembrò squarciarsi, rivelando delle nubi nere più della notte.
June sollevò lo sguardo terrorizzata ed affascinata al tempo stesso, poiché in quel momento stava percependo un cosmo di proporzioni smodate avvicinarsi inesorabilmente.
Alla fine con uno schianto un fulmine viola si abbatté al centro della radura. Il rimbombo la mandò a sbattere con la schiena contro un tronco e poi crollò in terra, senza però riuscire a distogliere lo sguardo da quel fenomeno incredibile: un sfera di fulmini viola pulsava rumorosamente a poca distanza da lei, avvicinandosi lentamente.
Non riuscì a mentire a sé stessa: quel fulcro di energia emanava un potere arcano e la sua natura era distintamente ostile tanto che tra i crepitii delle scariche elettriche la giovane amazzone riuscì a cogliere rabbia, astio, dolore e, appunto, una sconfinata ostilità. Vide la sfera avanzare lentamente e mutare progressivamente forma, allungandosi ed assumendo man mano tratti sempre più... antropomorfi.
Si schiacciò contro le radici dell'enorme albero alle sue spalle quando quell'essere le fu a meno di un passo, scioccata e ammaliata allo stesso tempo.
Improvvisamente, con un'ultima esplosione viola, la barriera di fulmini che circondava la figura si dissolse e, da essa, si erse di fronte a lei un'imponente figura di donna che fluttuava a pochi centimetri da terra. Le prime cose che June notò di lei, nonostante il pesante elmo di foggia vichinga che cingeva il suo capo, furono l’innaturale bellezza dei suoi tratti e i suoi occhi profondi come un pozzo senza fine, i quali non nascondevano un'espressione gelida, feroce ed accusatoria. Il suo corpo, alto e flessuoso, era coperto da un'armatura purpurea che recava fregi sconosciuti, probabilmente rune, e alle sue spalle spiccavano... Due immense ali nere, che svanirono non appena i suoi piedi toccarono in terra, scuotendola come un terremoto.
La guerriera, lentamente, sollevò il braccio destro verso di lei e, nello stesso istante in cui ebbe raggiunto l'altezza del collo di June, una spada le si materializzò nella mano. La punta acuminata dell'arma sfiorò delicatamente la pelle della fanciulla, lasciandole un minuscolo graffio che non mancò di zampillare un'impudente goccia di sangue scarlatto. Alla vista di quel bocciolo di linfa vitale, gli occhi della donna si fecero se possibile ancora più cupi e dalle labbra le sfuggì un sibilo minaccioso.
Il tempo attorno a loro sembrava essersi fermato e June temette che la sua fine fosse giunta. Eppure una parte di lei si ribellò all'evidenza di quello che sembrava essere il suo destino: non poteva morire in quel momento, non poteva morire lì!
Il cuore, la mente e l'anima le gridavano che non mancava molto per giungere alla fine del suo viaggio... E proprio allora una guerriera sconosciuta, incollerita e con evidenti intenzioni ferali si era frapposta tra lei e la prosecuzione del sentiero, e lei le stava permettendo di farlo!
Una vibrazione atona scandì da un punto profondissimo dentro di lei e fu come se i riverberi minuscoli ed oscillanti di una goccia d'acqua caduta nell'oceano si fossero propagati a dismisura a creare un maremoto. Fu così che June percepì il cosmo iniziare a crescerle dentro, sempre più forte, sempre più furioso, finché sentì che la minaccia della guerriera non la spaventava più. I suoi occhi scintillarono di orgoglio ribelle, fermo in quello della sua contendente, ed il respiro le accelerò.
Dal canto suo, l'altra continuava a fissarla con gelido risentimento, senza accennare a voler abbassare la spada. Poi, senza preavviso, parlò: la sua voce era talmente algida da ricordare il clangore di due spade che si incontravano in battaglia. L’evidenza fu schiacciante: colei che le era di fronte non era umana.
-Come hai osato profanare i confini del bianco regno di Asgard, essere estraneo? Il tuo fetore e la tua emanazione cosmica si percepiscono a pelle fin dalle radici più alte di Yggdrasyl... Togliti la maschera, dichiara la tua identità e lascia questo posto, prima che decida che non mi importi chi tu sia e ti serva la giustizia del Padre Odino a priori!-.
La spada toccò di nuovo la sua gola e June non riuscì ad impedirsi di deglutire. Ma neppure sotto quella minaccia abbassò lo sguardo o si mostrò di nuovo intimorita. Prima di rispondere un pensiero le sfiorò la mente: "Dunque sono ad Asgard..."
-Placate il vostro astio, guerriera, che mai intenzioni bellicose furono nel mio cuore. June è il mio nome e non posso accontentarvi riguardo al togliere la maschera. Essa è retaggio di ciò che ero e di come venni addestrata, ovvero come guerriera amazzone nel nome di Athena Dea della Giustizia... Giungo qui non per turbare la pace del regno del Nord, ma in cerca di qualcosa che...-.
Non poté terminare di parlare. La sua aguzzina le colpì il volto con un manrovescio di forza inaudita.
Strabuzzò gli occhi e rimase qualche secondo con la testa reclinata da un lato, prima di tornare a guardare l'altra con rabbia ed orgoglio ferito.
Nelle iridi della guerriera colse immediatamente un furore selvaggio di cui non riuscì a spiegare l'origine.
-Tu menti! Potrai anche ingannare un semplice essere umano, ma non una figlia di Odino, creatura estranea! Io sono Hrist*, sono una Valchiria, dea della Morte e dispensatrice di gloria ed onore per coloro che cadono in battaglia! Te lo intimo per l'ultima volta: dimmi cosa ci fa qui una come te oppure ti troverai ad incontrare ben presto il Signore dei tuoi Inferi!-. 
Frustrazione. Sgomento. Ribellione. Rabbia. Confusione. Il turbinio di sentimenti la travolse in pieno, tanto che si sentì mancare per un istante, sebbene si stesse imponendo di non farsi sopraffare da una miriade di interrogativi.
“Una Valchiria? Ma… Perché? Cosa vuol dire Una come te? Cosa sta succ..” ma la riflessione non terminò di concretizzarsi.
Improvvisamente tutti i pensieri sgomberarono la sua mente e si sentì vuota tanto da avere paura. Poi anche il timore scomparve, seguito dalla coscienza e da tutti i sensi.
Stralci confusi di scene vissute. La Valchiria… Il suoi occhi prima gelidi, poi incerti, ed infine tristi e confusi. Un movimento rapido tra le ombre ed una figura maschile sprigionante fascino e carisma. Un potere sconfinato e l’emanazione di una saggezza ancestrale. Paura… Passione… Smarrimento… Onore.
Tutto si confondeva, le immagini si susseguivano come a prendere forma da un turbinio di nebbia bianca e densa, concretizzandosi e disfacendosi prima che riuscisse a coglierne morfologia e significato.
Non era padrona né della sua mente né del suo corpo. Non provava nulla. Poi percepì qualcosa di incredibilmente potente dipanarsi dal profondo dentro di sé e le proprie membra levitare. Infine udì la propria voce che le giunse distorta, atona e metallica. Ultraterrena.
-…Ti perderai… Tu… Sentirai…-.
Ciò che Hrist si trovò davanti non la sorprese. Il suo potere di Valchira divampò dirompente mentre già risollevava l’arma, puntandola verso l’altra.
-Ora morirai, invasore!- gridò, e la sua voce risuonò come una carica di cavalli in battaglia.

 
Spalancò gli occhi. Stava succedendo qualcosa, qualcosa di incredibile e non era molto lontano da lì. Si alzò di scatto, distogliendo la sua attenzione dall’ immagine bellissima che aveva di fronte.
Era il suo turno di perlustrazione dei confini e, come sempre negli ultimi mesi, aveva approfittato di quell’occasione per fermarsi al tempio della divina Freya, Dea dell’Amore, della Magia e della Morte, che aveva eletto a suo nume tutelare, sebbene la sua esperienza lo avesse condotto a diffidare di tutte e tre le sfere di cui la Dea era patrona. Aveva anche smesso di chiedersi il perché di quella scelta quando aveva realizzato il fascino magnetico che quella divinità aveva cominciato ad esercitare su di lui subito dopo… quel fatto. Nel suo cuore di guerriero, ligio al dovere ed efficiente come una macchina, si era riaffacciata la speranza circa il fatto che forse per lui non tutto fosse perduto…
Generalmente nulla era capace di smuoverlo dalla contemplazione della sfolgorante bellezza e del mistico potere che la Dea sembrava emanare solo a suo esclusivo beneficio, neanche la percezione di qualche pericolo che giungeva a minacciare i confini della sua amata Asgard. La sicurezza nei suoi mezzi lo aveva sempre spinto a terminare i suoi tributi a Freya e poi ad intervenire. Ad onor del vero era sempre stato in grado di risolvere ogni cosa…
Che la Dea lo avesse forse eletto a suo campione, donandogli quelle capacità in battaglia in onore di quella sua così profonda abnegazione? Non avrebbe saputo dirlo, e neppure gli importava. Ciò che contava era la coscienza di ciò che era in grado di fare e della sua abilità.
Eppure, alla luce di tutto ciò, questa volta non riuscì comunque a rimanere indifferente.
La portata del primo cosmo ad essersi manifestato lo aveva distolto, lasciandogli dentro un senso di incertezza e curiosità. Non era la prima volta che percepiva la manifestazione di una Valchiria, di quella in particolare, ma ogni volta che era accaduto era stato durante una qualche battaglia o campagna di guerra. Che motivo poteva aver spinto la divina Hrist a manifestarsi in un periodo di pace?
Poi, la scossa. Il fragore emotivo. E lo sconcerto. Il potere che aveva sentito dipanarsi in seguito lo aveva lasciato di pietra, sebbene in esso non avesse colto sfumature di minaccia od ostilità.
Non aveva altra scelta, e la cosa non gli pesò neppure. Senza porre ulteriori indugi, spense con uno dei suoi colpi congelanti le torce che aveva acceso nel tempio e si dileguò nella foresta per intervenire. Qualsiasi cosa stesse accadendo.
 
June tornò in sé, spalancando gli occhi e boccheggiando come se fino a quel momento avesse trattenuto il fiato. Non ebbe tempo di porsi domande su ciò che aveva appena vissuto, perché immediatamente inquadrò la Valchiria che, con sguardo ferreo e minaccioso, si stava apprestando a sferrare su di lei un colpo mortale con la sua spada potenziata dal cosmo divino.
L’evidenza le fu lampante: era finita. Abbassò le palpebre e si preparò ad accettare il colpo che l’avrebbe trapassata. Ebbe un sussulto interdetto quando realizzò che il suo ultimo pensiero era per due occhi azzurri di bellezza incredibile…
Ma la ferale stoccata non giunse. Al posto del dolore mortale sentì sopraggiungere la sensazione tumultuosa dell’accendersi di un nuovo cosmo la cui natura la lasciò ulteriormente confusa. Non v’era solo ghiaccio, in quell’emanazione, ma anche fuoco…
“Ma cosa…”
-Cosa ci fate qui, voi? E cosa state facendo? Toglietevi, in nome degli Aesi e lasciate che il fato di questa… Creatura si compia!- udì ruggire la Valchiria, evidentemente rivolta a qualcuno che non fosse lei.
Aprì gli occhi e la prima cosa che vide fu, in piedi davanti a lei, un uomo. Un guerriero, che nella sua scintillante corazza rossa e grigia si era frapposto tra lei e Hrist. Subito lo vide profondersi in un inchino e parlare alla Dea con deferenza.
-Divina Hrist, chiedo il vostro perdono… Ma sebbene io abbia percepito nitidamente il potere che si è scatenato qui poco fa, credo che sia impietoso infliggere a questa ragazza addirittura la morte. Non v’era ostilità nell’emanazione di costei… Non è questa la giustizia che impera in Asgard, mia Signora-.
June vide Hrist digrignare impercettibilmente i denti e poi abbassare la spada. –Come osate, umano, impartire lezioni di moralità a me? Voi per primo, che siete paladino e difensore di queste terre, dovreste sapere che qui gli estranei non sono bene accetti! A maggior ragione estranei che si mostrano delle minacce… Come costei ha dimostrato di essere! Fatevi da parte…-.
Ma il guerriero non si mosse. –Garantirò io per lei, divina. Lasciate che la porti a Palazzo, dalla Regina… Lasciate che Asgard pensi autonomamente alla sua difesa…-.
La Valchiria tacque, fissandolo con risentita stizza. –E sia… Tendenzialmente non ho l’abitudine di intervenire in faccende umane che esulino la morte di impavidi guerrieri da condurre alla dimora di Odino… Ma rimango pur sempre un nume tutelare di questa terra, e vi avverto: in costei c’è qualcosa… Diffidate, e fatelo di più rispetto a quanto fareste con un estraneo qualsiasi che varca i confini di Asgard. Oppure fate come preferite, l’avvertimento è dato-.
Con quelle parole la divinità rinfoderò la spada e spiegò le grandi ali nere. Prima di spiccare il volo per tornare da dove era venuta, tuttavia, non si astenne dal lanciare una velenosa ed eloquente occhiata al suo indirizzo.
Quando il rombo di tuono che accompagnò l’uscita di scena della Valchiria si dissolse in un’impercettibile eco tra i ghiacci, finalmente il guerriero si volse verso di lei.
June, quando riuscì a guardarlo in faccia, si ritrovò a smarrirsi in due pozze colore del ghiaccio, algide eppure intense come una fiamma. I lineamenti di lui erano aggraziati ma saldi, ed il volto giovane e fiero era incorniciato da lisci capelli biondi come il grano acconciati in un foggia probabilmente tipica di quelle terre, ovvero lunghi sulle spalle e corti sulla nuca.
Si sentì terribilmente esposta mentre subiva il gelido vaglio di quegli occhi seri. Una volta di più fu felice di indossare la maschera, perché si sarebbe sentita umiliata dal mostrare il disagio che in quel momento percepiva.
Lentamente lo vide raccogliere le sue cose e caricarsele in spalla, allungando poi una mano verso di lei e  incitandola a farsi aiutare ad alzarsi. Senza dire una parola lui le fece segno di precederlo, indicandole la direzione di marcia.
Camminavano già da un po’ quando June, non avvezza a silenzi simili e soprattutto non dopo circostanze come quelle che aveva appena vissuto, si volse verso di lui e parlò.
-Vi ringrazio, guerriero di Asgard… Non eravate tenuto ad intervenire in mio soccorso-.
-Hagen di Merak. E’ il mio nome e sono God Warrior di Odino al servizio della Regina. E no, è vero: non ero tenuto a salvarvi, soprattutto in virtù del fatto che ad Asgard gli stranieri non sono ben visti… Se poi dispongono di poteri come i vostri, fanciulla, la situazione peggiora esponenzialmente. Fatto sta che, nonostante non sembri, non siamo dei barbari e, a meno che non vi sia una schiacciante evidenza di minaccia per la nostra pace, concediamo sempre agli estranei l’opportunità di spiegare chi siano e cosa ci facciano in questa terra inospitale-.
Ora camminavano appaiati, uno di fianco all’altra, e June lo osservava mentre le parlava con quello che sembrava essere un tono distaccato e senza guardarla. Calò di nuovo il silenzio, mentre la ragazza ragionava su quello che lui le aveva appena detto e tornando a guardare il sentiero che si stagliava di fronte a loro.
Dopo qualche istante, però, lo udì schiarirsi la voce e continuare in tono irritato e… Si, imbarazzato. –Ignoro da dove proveniate, fanciulla, ma qui abbiamo l’usanza di presentarci a nostra volta quando il nostro interlocutore ci dice il proprio nome… Nel vostro caso a maggior ragione, visto che la maschera mi cela anche le vostre fattezze-.
Trasalì e, se lui avesse potuto guardarla in faccia, avrebbe notato che era vistosamente arrossita per la vergogna. –Perdonate le mie maniere, Cavaliere…Non sono usa a tali mancanze di forma, di solito. June è il mio nome, e al momento non mi fregio di titolo alcuno se non quello di ex Bronze Saint di Athena. E’ per questo che ancora indosso questa maschera…-.
Se rimase sorpreso da tale affermazione, Hagen non lo diede a vedere, così lei continuò –Non ho omesso di svelarvi la mia identità per diffidenza o mancanza di buona creanza… E’ soltanto che non capisco cosa mi sia successo e perché addirittura una Valchiria, una Dea, si sia accorta della mia presenza in queste terre e mi abbia minacciata! Voi tutti parlate di “potere come il mio”, ma io ignoro di che cosa stiate parlando! Mi è stato detto di andarmene, ma se io sono qui è perché…-.
Venne interrotta dalla brusca fermata di Hagen, il quale la fissava con sguardo distaccato.
-Non serve che sprechiate fiato ora, June. Darete le vostre giustificazioni davanti alla corte, alla regina ed al consiglio dei God Warriors miei pari. Sappiate solo che, per ora, non avete più nulla da temere… A meno che non siate voi a darci adito a minacciare la vostra incolumità. Ora andiamo, il cammino per Palazzo Polaris è ancora lungo-.
June abbassò la testa e, come lui, riprese a camminare in silenzio. Mille pensieri le affollavano la mente, mille domande senza risposte possibili e mille dubbi sull’immediato futuro. Tanto era presa da tali elucubrazioni mentali da non accorgersi che ormai erano fuori dalla foresta. Ora, davanti a loro, si apriva l’immensa distesa dello scuro Mare del Nord: erano nei pressi del Picco della Preghiera.
Improvvisamente, senza preavviso alcuno, la sua mente ed il suo cuore furono come avvinti e il canto, il richiamo che fino a quel momento sembrava essersi come chetato, esplose nuovamente dentro di lei con un fragore tale da farla gridare. Cadde in terra, presa da uno spasmo dato dall’intensità di quello che nuovamente stava vivendo: le sembrava come se fosse andata in mille pezzi e il canto stesse facendo di tutto per rimettere ogni parte di lei nella giusta collocazione. Fu troppo per la sua anima ed il suo corpo già duramente provati: l’ultima cosa che vide ed udì prima di perdere i sensi fu Hagen chinarsi su di lei e la sua voce preoccupata chiederle di non lasciarsi andare. Poi, il buio.
 
 
 
*Nota: Per chi non ne fosse a conoscenza Hrist non è un OC, bensì il personaggio protagonista del videaogame Valkyrie Profile. Ci tengo a questa specifica, perché sarà un personaggio che prima o poi si riaffaccerà in questa storia (nel gdr questo cross-over l'ha resa parte integrante delle scene giocate ed ha perciò un peso piuttosto rilevante), quindi è giusto che le sia tributata la giusta provenienza e la giusta importanza.
 


 
L'Angolo di June
Apro questo mio angolo autrice per effettuare l'ennesima dedica. Premesso che questi primi capitoli saranno delle implementazioni alle scene di gioco di ruolo che nel mio gruppo svolgemmo anni fa (in poche parole: le sto aggiungendo io per dare un senso alla trama, in realtà non furono mai giocate), voglio ringraziare sentitamente in questa sede i miei amici Jul, PalladeDidy, Cavallo e la Sacra Miciona, nell'ordine Teano, Athena, Hrist, Hagen e la dea Freya. E poi di nuovo il mio fidanzato KillerKing, che nel gioco è, tra gli altri, Albafica.
Ripeto, sebbene tutte le scene comprese tra il capitolo 1 ed il capitolo 3 non sono state mai giocate, nell'improvvisare la narrazione che le collega a quelle effettivamente esistenti mi è stato necessario e indispensabile tenere a mente i personaggi come sono stati trattati da loro.
Un OC come Teano, il cui fascino in questa fan fiction non si evincerà del tutto ma che spero di poter rendere pubblico se Jul vorrà scrivere un'opera su di lei e pubblicarla (perché io ritengo che la sua storia sia particolarissima, ben studiata e geniale). 
Un'Athena completamente OOC, la quale spazza completamente via l'essere amorfa dell'originale Saori, che la mitica Pallade è riuscita a sviluppare negli anni come quello che io reputo uno dei pg più riusciti del nostro fandom.
A seguire il personaggio cross-over che per primo è stato inserito nel nostro gioco, ovvero la Valchiria Hrist del videogame Valkyrie Profile: un'idea estremamente felice della bravissima Didy per implementare un ambito un po' povero, un personaggio giocato con estrema coerenza e che si sposa perfettamente con le ambientazioni ed il contesto di Asgard.
Un Hagen dannatamente IC, giocato magistralmente e con coerenza estrema da un Cavallo ispiratissimo e sempre fonte di role fighissime.
Una Freya fascinosa e conturbante, sebbene per il momento il suo ruolo sarà molto marginale, in cui la Sacra Miciona ha mostrato all’intero fandom che per ruolare dignitosamente una Dea non bisogna essere necessariamente dei dissociati mentali, ma delle persone con una testa sulle spalle che amano divertirsi in compagnia.
Concludendo, infine, con un Albafica strepitoso, così simile eppure così diverso dal personaggio originale, capace di far girare la testa anche senza l'aiuto delle sue rose venefiche!!
Tributo a loro questo capitolo, in primo luogo per sottolineare l'apprezzamento che sempre ho nutrito per il loro modo di ruolare, ed in seconda battuta perché... Bhè, perché sono persone che nel mio cuore hanno un posto tutto loro e si sono decisamente guadagnate una palma come autori e persone speciali! (...e adesso criticate pure per la sviolinata... Su, su: fatelo! >:) )
 
E ora il "visual matching" tra persone famose e personaggi della fan fiction:
Athena/Saori Kido: Charlize Theron – http://www.wallpaperweb.org/wallpaper/babes/1920x1200/charlize_theron_20080312_0226.jpg
Hrist Valkyrie: Mila Kunis - http://www.yidio.com/images/article/images/mila-kunis.jpg
Hagen di Merak: Paul Walker – http://imstars.aufeminin.com/stars/fan/paul-walker/paul-walker-photo.jpg
Freya dei Vanir:  Olivia Wilde - http://www.thewallpapers.org/photo/37320/Olivia-Wilde-052.jpg
 
Fatemi sapere cosa ne pensate!!!
Un bacio solo a quelli simpatici,
 
June

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Capitolo 4
*** Cap.4 ***


CAPITOLO 4
 
Quando aprì di nuovo gli occhi si sentì più spaesata e confusa che mai. Per un attimo non ricordò cosa fosse successo con esattezza, né dove si trovasse, ma subito il ricordo degli ultimi accadimenti la sommerse come un’onda anomala. Deglutì, poi si sforzò di muovere le membra per controllare che tutto fosse a posto: stava bene e a parte la spossatezza le sembrò quasi che nulla fosse successo.
Lentamente si sollevò a sedere e si accorse di essere sdraiata su di un enorme letto. Si guardò attorno, sorpresa. Era in una stanza arredata in torbido stile gotico, con mobili di legno scuro e pesanti tappezzerie dai colori cupi ed intensi, dalle coltri rosso cremisi, ai tappeti violacei, alle spesse tende grigie con impuntature blu e bronzo. L’ambiente era fiocamente illuminato da numerose candele sparse sui mobili, le quali creavano in realtà più ombre che luce con il risultato che una stanza che avrebbe dovuto risultare accogliente ed ospitale metteva addosso un profondo senso di disagio. Sulla parte di fronte al letto, infine, un enorme camino acceso proiettava anch’esso l’ombra dell’imponente scranno che gli si ergeva davanti con lo schienale rivolto all’interno della camera.
-Finalmente vi siete svegliata, June-.
La voce provenne calma dalla grande seduta e la fece trasalire, tanto suonò inattesa. Lenta, vide sollevarsi le figura familiare di un uomo, il quale prese le sue fattezze definitive ai suoi occhi quando essi si furono abituati al forte bagliore del fuoco. Hagen di Merak, God Warrior di Asgard. Colui a cui doveva la vita.
Si sorprese a constatare come prima cosa quanto fosse assurdo che lui riuscisse a stare così vicino al ruggente ed enorme fuoco del camino senza alcuna difficoltà. Poi, immediatamente, si riscosse quando percepì i suoi occhi celesti su di lei e le sue mani volarono convulsamente al viso.
-State tranquilla, la maschera è al suo posto. Mi sono limitato a condurvi a Palazzo ed a farvi riposare. Mi perdonerete se ho avuto l’ardire di scegliere la stanza dove di solito risiedo quando mi trovo qui, ma non ce n’erano altre pronte. Sapete… Non riceviamo quasi mai “ospiti” inattesi- le spiegò placidamente lui, senza preoccuparsi di nascondere l’accento di ironico rimarco che aveva messo sulla parola ospiti.
Lo vide avvicinarsi al letto e piantarsi ai suoi piedi con le gambe divaricate e le braccia conserte. Non ne riusciva a scorgere bene l’espressione, trovandosi lui contro luce rispetto al camino, ma avrebbe scommesso che la stava fissando con sospetto. Per quel motivo non riuscì a fare a meno di ritrarsi, intimorita.
-Percepisco la vostra tensione, June, e non nascondo che essa è motivata. Sappiate che ho convocato il Consiglio e che non appena sarete in grado di camminare, vi condurrò al cospetto della… Regina-.
L’esitazione di Hagen nel nominare la sua sovrana le parve come una nota stonata in quel discorso, ma non diede peso alla cosa. Ora un’altra urgenza occupava completamente i suoi pensieri: cosa avrebbe fatto, una volta condotta davanti al Consiglio Reale di Asgard? Come avrebbe giustificato l’episodio intercorso tra lei, una semplice estranea mortale, ed una Valchiria, Dea e Nume tutelare di quelle terre?
Sospirò, dicendosi che cercare di prepararsi preventivamente un discorso non aveva senso. Non poteva immaginare come sarebbe stata accolta, cosa le sarebbe stato chiesto né tantomeno poteva prevedere come lei stessa si sarebbe sentita di fronte alle massime cariche di quel luogo.
Fece per scendere dal letto, ma la voce di Hagen la bloccò. –Prima di andare, June… Volete dire a me cosa è successo là fuori? Vi aiuterò, se posso, ma dovete mettermi in condizione di farlo-.
La maschera inespressiva si voltò verso di lui, ma il tono di voce della ragazza lasciò trasparire la sorpresa e la perplessità. –Aiutarmi? Io… Io vi ringrazio, Cavaliere, della vostra premura, davvero… Eppure perdonatemi se non comprendo per quale motivo voi dovreste farlo…-.
Hagen tacque come a voler riordinare le idee, ma non abbassò gli occhi. Non v’era incertezza nel suo sguardo, soltanto il dubbio.
-Ad essere sincero non saprei rispondervi. Non sono conosciuto per essere un tipo particolarmente altruista, per altro. Eppure qualcosa dentro me mi dice che non siete un pericolo per Asgard e che in voi c’è molto di più di quello che traspare. Ed io ascolto sempre il mio istinto-.
June si alzò, calzando gli scarponi riposti ordinatamente in terra. Poi gli si avvicinò ed osò toccargli un braccio.
-Mi spiace, Hagen, ma… Io non so cosa rispondervi. Ciò che posso dirvi, però, è che finora siete stato l’unica persona a mostrarmi comprensione e questo non lo dimenticherò. Spero di non deludervi. Ora andiamo: l’ultima cosa che desidero è dare ulteriore disturbo a questa Corte…-.
Lui tacque guardandola in modo neutro, sebbene il tocco di lei lo avesse impercettibilmente turbato. Poi fece un lieve cenno di assenso e, così, le indicò la porta chiedendole silenziosamente di precederlo.
 
-Voi, misera femmina: non penserete che crederemo ad una sola parola delle vostre insulse ciance, vero?!-.
La voce roboante e furiosa dell’immenso vichingo dai capelli grigi che le era a pochissima distanza risuonò in ogni angolo, facendola trasalire.
Dopo aver lasciato la camera da letto, Hagen l’aveva condotta alla Sala del Trono di Palazzo Polaris. Quando entrarono dall’immenso portone in pesante legno, borchiato con ferro lavorato a foggia runica, percepì subito una sensazione di gelo non solo sul corpo, ma anche nell’anima. Austerità, severità, freddezza: era ciò che il pavimento di pietra e le gigantesche colonne, fiocamente illuminati da numerosi bracieri accesi, dicevano a colui che si avventurava all’interno. Né i drappi alle pareti o i broccati dei tappeti riuscivano a rendere meno evidente il senso di oppressiva durezza che da quel luogo proveniva. Mentre proseguivano, alla fine della lunga navata June scorse quella che pareva essere una fontana di fuoco, ma che si rivelò semplicemente un enorme braciere scavato nel pavimento nel quale un altrettanto enorme falò bruciava, in guizzi alti e scintillanti. Dietro di esso, infine, scorse una scalinata di circa 10 gradini che conduceva ad una piattaforma rialzata. Su di essa, circondato da due grandi grifoni, il Trono di Asgard. Così finalmente, superata la fontana di fiamme, giunsero al cospetto del Consiglio.
I suoi occhi, in pochissimi attimi, catturarono la scena che la attorniava. L’imponente seduta del trono era occupata da una fanciulla, la quale avrà avuto approssimativamente la sua stessa età, abbigliata in modo sobrio con vesti bianche e dorate, che mettevano in risalto il candore della sua pelle, il chiarore dei folti e ricci capelli biondi, nonché la limpidezza delle sue iridi azzurrine e scintillanti. Alle sue spalle, in piedi, scorse un’altra figura, una donna alta e sobria di una bellezza innegabile, drappeggiata in quella che era sicuramente una veste sacerdotale azzurra ornata da catenine d’oro ed una spessa collana a collare. I suoi occhi grigi facevano risaltare ancor di più i tratti del viso cesellati ed incorniciati da lunghi e lisci capelli chiarissimi acconciati in un taglio sfilzato.
A seguire, sulla scalinata, cinque uomini occupavano progressivamente ogni gradino alternandosi sui due lati della loro regnante. Tre postazioni, lo notò subito, erano vuote ma prontamente vide Hagen sorpassarla e prendere posto sul secondo gradino, alla destra del Trono. Il Consiglio di Asgard.
Deferente, abbassò il ginocchio in terra e, chinando la testa, si portò una mano al petto. –Mia Signora… June è il mio nome. Giungo in pace dalla lontana terra di Grecia, in cui fui Bronze Saint in nome di Athena che ivi regna. So che il God Warrior di Merak, a cui devo la vita, vi avrà narrato le vicende che mi hanno riguardato e per questo chiedo il vostro perdono, Sovrana di Adgard. Lo chiedo per qualsiasi cosa io possa aver involontariamente fatto per arrecare offesa a queste terre. Giuro sul mio onore che non era mia intenzione e che comunque i motivi che mi spinsero fin qui non rappresentano minaccia alcuna per il vostro popolo o il vostro Regno…-.
Era stato allora che il gigante che stazionava sull’ultimo gradino alla destra del trono l’aveva aggredita.
Immediatamente ed inaspettatamente, però, una voce di donna dal tono delicato ed accomodante si andò a sovrapporre alla eco della frase di accusa pronunciata dall’uomo.
-Placate il vostro ardore, Thor di Pecda. Non ammetto tali modi durante un Consiglio, a maggior ragione se la nostra ospite non vi concesse pretesto alcuno per subire un tale attacco! Moderatevi, perciò, Cavaliere e provvedete piuttosto a presentarvi come la qui presente June ha fatto a nostro uso. E voi, miei God Warrior, fate lo stesso: che non si dica mai che Asgard non sia in grado di accogliere chicchessia nei suoi confini senza farlo sentire poco più di un prigioniero…-.
June sollevò la testa, sorpresa. A parlare era stata la giovane Regina, che ora aveva posato i suoi espressivi e rassicuranti occhi su di lei.
Dopo un piccolo momento di stasi, in cui nessuno parlò o si mosse, vide il guerriero sul primo gradino portarsi una mano al petto e chinare appena il capo verso di lei.
-Siegfried di Dubhe. Primo Cavaliere di Asgard e comandante in capo dell’Esercito del Nord-. Siegfried era alto e molto affascinante. Gli ondulati capelli biondissimi e lunghi ricadevano sugli spallacci della sua armatura scura dalla foggia di drago, ed i suoi occhi sembravano due pozze ghiacciate. In essi June riuscì a leggere una forza ed una sicurezza senza pari, qualità che lo avevano di certo condotto meritatamente ai ruoli che ricopriva.
-Hagen di Merak, vice comandante dell’Esercito e… Guardia personale di Sua Maestà-.
Dal secondo gradino, Hagen le diede la sua presentazione formale. E nella sua voce, di nuovo, poté cogliere un’incrinazione quando il Cavaliere fece accenno alla persona della Regina, e per la seconda volta le venne da domandarsi come mai proprio colui che si fregiava del titolo di Guardia personale non facesse nulla per velare i tentennamenti verso colei che doveva proteggere.
Quelle domande si dissiparono al suono di una nuova voce, melodica ed armoniosa. –Mime di Benetnash, bardo di Corte-.
Dopo aver pronunciato quelle parole, il biondo Mime le puntò addosso i suoi occhi malinconici e pizzicò una serie di delicate note sulla cetra che teneva tra le mani. La sua armatura color del rubino parve vibrare come le corde dello strumento, e June si sentì come rapita dalla malia che la melodia sprigionava.
-Perdonate l’ardire di Mime, damigella… Ha un vero talento per mettersi in mostra-.
L’incantesimo che la stava avvincendo fu spezzato da una voce tagliente, dal tono irrisorio e provocatorio, la quale si mostrò appartenere all’ennesimo God Warrior. Un giovane non troppo alto, esile, le cui membra erano fasciate da un’armatura indaco la cui foggia ricordava dei cristalli di ametista. La sua espressione era indecifrabile, sebbene se ne cogliesse la sfumatura irriverente ed astuta in quel poco che si intravedeva negli occhi verde prato coperti dall’incolta zazzera.
-Mi presento, il mio nome è Alberiech di Megrez, signora. E sono consigliere reale nonché… stratega, se così vogliamo definirmi- concluse la frase con una risatina soffusa, accolta da una serie di borbottii degli altri.
Gli occhi di June colsero un movimento sul gradino sotto quello dove Alberiech troneggiava e notò immediatamente le selvagge sembianze di un altro God Warrior. Nella sua armatura nera dai riflessi blu cupo si riconosceva distintamente la forma di un lupo. E proprio al ringhio di un lupo assimilò la sua voce quando, dopo aver appena chinato il capo verso di lei ed averla inchiodata con iridi di un castano così chiaro da sembrare giallo, disse asciuttamente –Fenrir di Alioth, difensore dei confini-.
Rabbrividì e poi trasalì. Il senso di oppressione che le giunse dall’immane figura che si stagliava sull’ultimo gradino poco lontano da lei le addossò un tale senso di nausea che ebbe l’impeto di arretrare. Soffocò l’impulso appena in tempo: che immagine avrebbe dato delle donne  del Santuario se avesse mostrato incertezza in quel momento e proprio davanti alla rappresentanza di un paese che giocoforza possedeva una tradizione guerriera di stampo unicamente maschile? No, piuttosto che mostrarsi vulnerabile si sarebbe fatta mozzare un arto.
Così si fece forza e, sollevando il mento, simulò una sicurezza che non aveva in attesa che il gigante che già all’inizio l’aveva aggredita parlasse di nuovo.
-Come già detto da Sua Maestà, io sono Thor di Pecda e la mia vita è al servizio di Hilda di Polaris- furono le parole ringhiate dal guerriero con un neppure troppo velato tono astioso.
A June venne spontaneo voltare lo sguardo verso la donna che, silenziosa, fino a quel momento era stata in piedi al fianco della Regina. Sentitasi evidentemente chiamata in causa aveva mosso un passo in avanti, profondendosi in un’elegante riverenza. Tutto nel suo portamento dichiarava il rango nobile a cui apparteneva, e la sua bellezza fredda ma sfolgorante nella semplicità del suo abbigliamento non ne era altro che un’ulteriore conferma.
-Che gli Aesi ed i Vanir siano benevoli con voi, fanciulla, finchè i vostri passi solcheranno le bianche nevi di Asgard sotto la protezione della Casa Reale. Io sono Hilda, primogenita della famiglia regnante di Polaris ed officiante del culto di Odino, nostro Padre  protettore-.
C’era diffidenza nelle parole della donna, ma era evidente che la forma imponeva cautela, cosa che Hilda non ignorava affatto.
Solo alla fine la bella fanciulla che sedeva sul trono si alzò in piedi, con un mite sorriso dipinto sulle labbra. –Io sono Flare, secondogenita della casata Polaris e Regina di Asgard, fanciulla. Ti porgo il mio benvenuto nelle mie terre…-.
La sua voce era delicata come una pennellata di rifinitura di un pittore sulla sua opera magna, e June se ne sentì rapita. Lentamente la osservò discendere la gradinata sotto lo sguardo attento e vigile dei suoi paladini e raggiungerla mentre ancora era inginocchiata. Le porse la mano senza smettere di sorridere e la aiutò a sollevarsi. Un senso di quiete, serenità e bontà sprigionava dall’esile figura della Regina, talmente intenso che la piccola amazzone non ebbe fatica a comprendere quale fosse la fonte del carisma di colei alla quale quei guerrieri truci e diffidenti sembravano essere così devoti.
-Ora, June: Hagen ci ha già riferito dettagliatamente ciò a cui ha assistito oggi. Il suo è un rapporto di parte, sebbene io confidi in moto particolare nell’obiettività del mio God Warrior, quindi gradirei che voi, ora, spieghiate a me ed a questo Consiglio chi siete realmente, cosa ci fate qui e… Si, magari ci esponiate le motivazioni per le quali non dobbiamo considerarvi una minaccia per il popolo e le terre del Nord. In nome dei buoni rapporti che intercorrono con Atene, June… Ve ne prego-.
Quello che ai fatti era un ordine suonò come una cortese richiesta. Anche se fosse stata maldisposta, June comprese che non si sarebbe comunque tirata indietro dopo un approccio così coinvolgente.
Con un sospiro iniziò il suo racconto, dalla partenza dal Santuario fino al momento in cui i suoi occhi si erano arresi all’avanzare dell’oblio sulla scogliera. Sentiva di potersi fidare della giovane Flare, eppure una parte di sé era rimasta all’erta sin dal primo momento che aveva poggiato piede sulle granitiche pietre di Palazzo Polaris. Aveva come l’impressione che, sebbene Asgard fosse diplomaticamente in pace con Atene, in quelle terre non tutti vedessero di buon occhio quell’alleanza che ai fatti relegava le terre del Nord sempre e comunque in un angolo del globo terracqueo dimenticato dagli altri pantheon che non fosse quello norreno. Fu per quei motivi che, prudentemente, decise di omettere dettagli sui suoi sogni, sul canto e sul fatto che la sua crisi finale avesse avuto luogo proprio nel loro luogo di culto più importante, il Picco della Preghiera. La versione ufficiale che fornì, perciò, fu che qualcosa dentro di lei, probabilmente il suo cosmo ancora instabile, l’aveva spinta ad abbandonare il Grande Tempio in cerca del suo reale posto nel mondo. Per quanto riguardava l’esplosione di potere che da lei era provenuta, poi, dovette dare fondo a tutta la sua inventiva, imputando quel fenomeno ad una forma difensiva propria della Costellazione del Camaleonte la quale, sebbene avesse abbandonato il servizio di Athena, sembrava in qualche modo vegliare ancora su di lei. Quando pronunciò tale argomentazione, sotto la maschera si morse appena il labbro inferiore, pregando la Dea della Sorte di assisterla in quel momento. Non era mai stata brava a mentire, ma in quel frangente c’era in gioco probabilmente la sua incolumità.
-… E questo è quanto, mia Signora Flare. Alla fine il mio lungo peregrinare mi condusse qui ad Asgard dove, come ben saprete, ho ricevuto la calda accoglienza della Valchiria Hrist per delle motivazioni che al momento mi rimangono oscure… Ripeto che le mie intenzioni sono meramente di natura conoscitiva, Regina. Vi prego quindi di credermi se vi dico che sono qui semplicemente come visitatrice e non come nemica…-.
Con quelle parole terminò il suo racconto. Un pensoso silenzio cadde nella sala del trono, e durante quei lunghi istanti June ebbe come l’impressione che le ombre gettate sui muri dalle lunghe lingue di fuoco alle sue spalle stessero prendendo le sembianze di maligni spiriti, pronti a sussurrare all’orecchio della Regina condanne inappellabili per la sua persona. Temette, inoltre, che non fosse poi tutta suggestione, visto che Flare, nell’istante in cui si volse a guardarla di nuovo, la stava scrutando con occhi dubbiosi e pensosi.
Ma i timori si dissiparono quando, di colpo, la giovane regnante volse appena la testa sulla propria spalla ed interpellò la sorella.
-Tutto ciò è davvero singolare, non trovi anche tu, sorella mia? Le Divinità del Vallhalla non si sono mai disturbate ad intervenire in faccende apparentemente futili come questa, men che meno le Valchirie, il cui compito è da sempre così singolare ed unico… Hai interrogato le rune, Hilda? Cosa puoi dirmi in merito a tutta questa faccenda?-.
Dal mezzo delle scale si percepì una risatina irriverente e, in un sussurro volutamente udibile, una voce scandire –Come se l’evidenza non fosse già schiacciante…-.
-Alberiech, non abusate della mia pazienza o della vostra posizione per dare giudizi non richiesti- disse Siegfried avanzando di un passo minacciosamente verso il God Warrior di Megrez, il quale non apparve affatto impressionato e sfidò l’altro a proseguire con sguardo irrisorio.
La bella sacerdotessa scese anche lei le scale, con le mani compostamente intrecciate davanti a sé e, passando davanti al comandante, gli rivolse uno sguardo eloquente che raggiunse il suo scopo: il silenzio tornò a regnare nella sala. Quando poi ella giunse di fronte alla sorella minore le rispose in tono basso e apparentemente costernato –Sono dolente, Flare… Gli Dei rimasero silenti alle mie preghiere di illuminazione… Credo che la Valchiria abbia detto il vero: hanno lasciato a noi l’arbitrio per discernere come comportarci in questo singolare frangente-.
La Regina apparve confusa, ma fu solo un attimo. Tornò immediatamente padrona di sé e, con occhi speranzosi e scintillanti, tronò a rivolgersi a June.
-A quanto pare siamo di fronte ad una situazione che non ha precedenti qui ad Asgard… Probabilmente in altri tempi i miei predecessori non avrebbero avuto dubbi sul fatto che allontanarvi sarebbe stata l’unica via da intraprendere. Eppure io sono convinta che questa sia un’occasione unica che le Norne hanno intessuto nel filo del destino di Asgard, una via alternativa che potrebbe costituire il primo spiraglio di apertura di queste fredde terre al resto del mondo-.
-Ma, mia Regina…-.
-Per favore, Thor! Non ho intenzione di trattare, stavolta. Tutti voi sapete quanto io tenga in considerazione l’opinione di tutti voi che siete difensori dei nostri confini, ma non possiamo ignorare il fatto che per troppo tempo Asgard ha costruito autonomamente il suo esilio. Ritengo che offrire asilo a questa ragazza potrebbe essere il primo passo verso un nuovo contatto con le assolate terre del Sud-.
Dopo aver detto quelle parole, Flare risalì le scale al fianco di sua sorella e riprese posto sul trono. Infine chiosò –Chi è con me, dunque, miei fedeli amici?-.
Subito Siegfried e Mime si fecero avanti, inchinandosi lievemente per dare man forte alla Regina. Dopo qualche istante anche Alberiech si fece avanti, assecondando la decisione con l’ormai consueto ghigno furbesco dipinto sulle labbra. Anche Hagen, dopo qualche momento in cui a June parve di veder scorrere sul suo viso una vasta gamma di stati d’animo tra cui il fastidio, l’indignazione, la rassegnazione, per finire con la consapevolezza della giustizia della decisione presa, si mostrò favorevole. Fenrir lo seguì immediatamente dopo, non lasciando trasparire emozione alcuna.
Inevitabilmente tutti gli sguardi furono calamitati dalla massiccia figura di Thor. Il gigante non si scompose minimamente, ma si limitò a dire –Il Consiglio non è al completo, mia Regina. La decisione andrebbe presa all’unanimità-.
Flare, sorprendentemente, gli dedicò uno sguardo materno e conciliante. –La vostra preoccupazione per il protocollo è ammirevole, Thor, ma come potete notare la decisione va presa ora mentre i vostri compagni potrebbero rientrare fra molto tempo…-.
-Ma potremmo…-.
Fu Siegfried di nuovo a prendere in mano le redini della situazione. –Proponete di imprigionare la ragazza, Thor? O magari, nell’attesa, relegarla in qualche tugurio fuori dai confini, a farla morire di freddo e fame? E con quale motivazione? Ragionate, ammesso e non concesso che la qui presente June possa essere un pericolo, non sarebbe preferibile tenerla qui con noi per poterla controllare? Come se non bastasse, poi, dobbiamo tenere a mente che comunque in questo paese vige una monarchia: avere la nostra opinione è una forma di cortesia delicata che la Regina Flare ci riserva, ma tutti noi sappiamo bene che non sarebbe affatto necessario!-.
Motivazioni inattaccabili. Ed anche il God Warrior di Pecda dovette pensarla allo stesso modo perché di lì a qualche momento chinò il capo e dette, sebbene con riluttanza, il suo assenso.
Lo sguardo compiaciuto di Flare si posò nuovamente su June. –La decisione è presa, fanciulla… Siete la benvenuta nelle gelide terre del Nord. Inoltre, provenendo voi dal Santuario di Athena, con il quale la mia casata mantiene pacifici rapporti diplomatici, sappiate che le porte di Palazzo Polaris per voi saranno sempre aperte. C’è soltanto un dettaglio da definire, per concludere…-.
June abbassò deferentemente il capo. –Vi ringrazio, mia Signora. Di qualsiasi cosa si tratti farò del mio meglio per venire incontro alle usanze del popolo di Asgard per non essere per voi un peso-.
Le parve di udire, proveniente da Fenrir, una sorta di ennesimo ringhio sordo, come a volerla sfidare soltanto a pensare di poter arrecare danno, ma subito Flare chetò gli animi.
-Come avrete ormai capito, June, in questo luogo l’ospitalità in quanto tale non è contemplata. Le persone sono abituate a darsi da fare per la sopravvivenza e ciò implica che sia impensabile non avere un fine, uno scopo, un’occupazione entro i nostri confini. Ebbene, cosa pensate di poter fare voi, qui?-.
La domanda sopraggiunse inaspettata e lì per lì non seppe cosa rispondere. La sua mente lavorò febbrilmente per trovare la miglior soluzione. Vagliò tutti i risvolti della faccenda: era ormai chiaro che Asgard rappresentava la fine del suo viaggio. Là, di sicuro, avrebbe trovato delle risposte ai suoi quesiti, ma le ci sarebbe voluto parecchio per capire cosa cercare e dove di preciso. Inoltre avrebbe avuto bisogno di una certa libertà di movimento ed imbarcarsi in una qualche attività di cui non aveva rudimenti le avrebbe fatto sprecare tempo prezioso. I pezzi si ricomposero da soli in un sol colpo, illuminandole la via.
-Maestà, God Warriors tutti… Come ho specificato all’inizio sono in viaggio per ritrovare me stessa, e la me stessa che ho smarrito è un’amazzone guerriera che non ha trovato la sua collocazione al Santuario di Grecia. E’ evidente proprio in questa sede, presieduta da voi che dell’arte del combattimento e del potere bellico siete maestri, che mai in luogo migliore sarei potuta approdare. In queste fredde lande auspico di ritrovare e collocare il mio ego guerriero, perciò sono qui di fronte a voi a chiedere di essere istruita alla via del combattente del Nord. Mi offro come allieva, e ciò che chiedo è soltanto qualcuno che mi insegni-.
Flare guardò Hilda, la quale le fece un lieve cenno d’assenso, e poi Siegfried che fece altrettanto. Così, cosciente dell’assenso delle due persone a lei più vicine domandò –Qualcuno di voi, miei fidati God Warriors, accetterà l’incombenza e la sfida che costei rappresenta?-.
Non vi fu risposta subitanea, ma la stasi venne rotta da un arpeggio, e fu in quel modo che Mime richiamò l’attenzione degli astanti su di sé. –Come bardo di corte uno dei miei compiti è rammentare le tradizioni della mia terra natale… Qui ad Asgard vige il precetto per il quale “Ciò che troviamo ci appartiene”. In virtù di questo, quindi, direi che la responsabilità di questa ragazza non deve essere affidata ad un volontario, ma che è già di competenza di uno tra noi-.
-Starete scherzando, vero? Sono un guerriero, dannazione, ed uno dei migliori che questo posto possa offrire. Sono stanco di fare da balia!-.
Hagen eruppe in uno sfogo d’ira con quelle parole, e June se ne sentì in qualche modo toccata: in fondo lui le aveva salvato la vita, sarebbe stato così terribile farle da maestro? Non gli si stava chiedendo di prendersi cura di lei, ma da come il combattente aveva reagito sembrava quasi che si fosse sentito investito di tale onere.
-E sia. La decisione è presa. Con questo dichiaro sciolto il Consiglio, almeno per il momento-. Flare freddò l’inizio di un’eventuale discussione in tono autoritario, non lasciando possibili spazi per eventuali repliche.
Al suono di quella frase, Hagen la soppesò con occhi di ghiaccio. Ma alla fine si inchinò rigidamente e, senza aggiungere altro, lasciò la sala a grandi passi.
June lo scrutò di sottecchi andarsene, mentre la sua figura trasudava ira, disappunto e frustrazione. Possibile che quella reazione fosse legata solo a lei? No, doveva esserci dell’altro e, visto ciò che aveva potuto osservare, la Regina c’entrava in qualche modo. Cercò conferma di quell’ipotesi sul volto della giovane sovrana e, in effetti, la sorprese ad osservare l’uscita di scena del Cavaliere di Merak con una strana espressione addolorata e triste. Infine la vide sospirare e tornare a parlare a lei.
-E’ stata una giornata lunga, June, credo sia il caso che tutti ci congediamo e ci prendiamo del tempo per riordinare i nostri pensieri. Verrete scortata presso il vostro alloggio e sappiate che per qualsiasi cosa potrete venire da me… Benvenuta ad Asgard-.
 
Di nuovo camminava per i corridoi del palazzo reale, ma stavolta le spalle del God Warrior che fissava di fronte a sé erano altre. L’uomo che la scortava fino a quel momento era stato in silenzio, ma June aveva avuto l’impressione che tra tutti fosse quello meno mal disposto verso di lei. Dopo qualche tempo che procedevano, il Cavaliere si fermò davanti una grande porta che aprì, invitandola ad accomodarsi.
-La Regina Flare mi ha ordinato di scortarvi fin qui, fanciulla. Questi saranno i vostri appartamenti, almeno finché non vi sarete sistemata completamente ed avrete trovato la vostra giusta collocazione in Asgard-.
June entrò con titubanza, ma cercò di non dare a vedere lo stato di avvilimento e tristezza in cui versava. La maschera una volta di più la aiutò, mentre sistemava i suoi pochi averi nella stanza fingendo di non dare peso al fatto che l’alto e biondo guerriero fosse ancora lì, intento ad osservarla.
-Perdonatemi se vi sembrerò inopportuno, fanciulla, ma prima di congedarmi da voi vorrei chiedervi… Come dire… Un favore personale, se possibile-.
Si bloccò al suono di quelle parole, poi si volse al suo indirizzo e rispose –Consideratelo fatto per ciò che sarà in mio potere, nobile Siegfried-.
Ebbe come l’impressione che in quel momento il comandante delle truppe del Nord fosse in difficoltà, ma che non potesse esimersi dall’affrontare un argomento che in realtà non avrebbe voluto prendere.
-Si tratta di Hagen. So bene di non essere nella posizione di fare un discorso del genere, essendo io per voi un estraneo, e soprattutto visto che lui è un mio subordinato. Ma quel ragazzo, oltre ad essere il mio secondo è prima di tutto un mio amico e non voglio che debba patire ulteriori sofferenze come già gli è capitato…-.
-Sofferenze, Siegfried? Io non capisco…-.
-Un sorriso mesto si dipinse sulle labbra dell’uomo. –Vedete, fanciulla… Noi non siamo solo letali strumenti di morte nelle mani della Regina. Prima di tutto e cosa più importante, siamo uomini. Ed in quanto tali disponiamo di un punto debole che nemmeno mille battaglie ed i più duri allenamenti potranno mai eliminare. Sto parlando dei sentimenti… Certo, non per tutti noi potrei dire lo stesso, ma almeno per Hagen mi sento di poter affermare che sia così. Impeccabile e letale in battaglia, fragile e ferito nel cuore…-.
June reclinò il capo da un lato, ora fortemente confusa ma decisa a venire a capo di quell’ennesima stranezza. –Se posso azzardare un’ipotesi, nobile Siegfried… Ciò di cui state parlando ha qualcosa a che vedere con la Regina, vero? Sarò anche una ragazzina, ma ho ancora occhi per vedere e sufficiente discernimento per capire…-.
-Siete un’acuta osservatrice-.
-Capisco. Tuttavia mi è difficile comprendere come potrei mai essere io causa di qualsivoglia sofferenza per Hagen… E poi, perdonatemi, Siegfried: sebbene sia lodevole l’interessamento che un amico possa avere verso un altro, ho difficoltà  a collocare questo vostro intervento all’interno delle ferree meccaniche marziali di Asgard-.
Il comandante sospirò, massaggiandosi gli occhi. Poi si voltò e chiuse la porta. –Sappiate che questa conversazione che stiamo per avere, June, ufficialmente non sarà mai avvenuta. Ma ritengo sia corretto che una richiesta al limite dell’intimidatorio pari alla mia debba essere giustificata e spiegata. Vedete, fanciulla, una delle granitiche leggi che regolano Asgard lega l’erede al trono all’obbligo di congiungersi con un suo pari, un discendente di sangue reale per perpetrare la linea di sangue dei Polaris, l’unica famiglia in grado di “parlare” con gli Dei-.
Tacque un istante, come a volerle far metabolizzare l’informazione, poi continuò riprendendo la narrazione da un altro punto. –Hagen ed io apparteniamo a due importanti famiglie della casta militare ma, sebbene siamo nobili, nelle nostre vene non scorre sangue reale. Questo non ha impedito che crescessimo fianco a fianco con le due figlie del precedente Re, nei panni di loro guardie personali. Non credo che ci sia bisogno che vi dica come, nel tempo, il rapporto tra noi e le sorelle Polaris abbia preso una piega diversa rispetto a quello che dovrebbe legare due principesse ai loro sorveglianti…-.
Cadde qualche istante di silenzio, pregno di riflessioni e di amarezza. Poi, di colpo, June si portò istintivamente la mano alla bocca della maschera: aveva capito.
-Ci siete arrivata da sola, noto… Comunque credo sia giusto che lo sentiate dalla mia voce. Si, Hilda ed io ci innamorammo perdutamente l’uno dell’altra, sebbene consci che la sua posizione di erede al trono non ci avrebbe mai permesso di vivere a pieno la nostra storia d’amore. Fu così che la principessa, per amor mio, abdicò in favore di Flare. Ma…-.
-Ma il problema era che anche Hagen era innamorato di Flare…- lo interruppe June, involontariamente.
Siegfried, troppo preso dalla sua elucubrazione, sembrò non dare peso alla cosa e si riagganciò alla sua osservazione. –Esattamente. Ed il Fato avverso volle che nello stesso periodo in cui io feci la mia proposta di matrimonio ad Hilda anche lui dichiarasse i suoi sentimenti a Flare. Fu una tragedia. E non solo perché la principessa si trovava ormai ad essere vincolata ad accettare il trono, stroncando a priori ogni velleità di unirsi a lui… Lo fu principalmente, invece, perché al contrario di Hagen, Flare non provava amore per colui con il quale aveva condiviso buona parte della sua vita-.
-Per tutti gli Dei…- mormorò June.
-Flare vedeva Hagen come un fratello maggiore e, nel suo candore di ragazza, non mancò di confessarglielo quando lui gli aprì il suo cuore. Il peso di quel doppio smacco gravò su di lui come un macigno, tanto che neppure il suo spiccato senso del dovere e della moralità riuscì a sostenerlo in quel momento-.
-Cosa intendete?-.
-Hagen abbandonò Asgard. Partì per un viaggio e stette via svariati mesi. Poi, un giorno, senza preavviso si ripresentò chiedendo venia per le sue azioni. Flare, sebbene con riluttanza, decretò che su di lui ricadesse la pena marziale per diserzione: Hagen incassò cinquanta frustate nella piazza d’armi del Palazzo, senza che dopo potesse ricevere assistenza. Mi sembra ancora di vedere lo scintillio fiero dei suoi occhi mentre la frusta calava sulla sua schiena sebbene dalla sua bocca non uscisse neppure un suono…- concluse il guerriero, abbassando dolentemente gli occhi.
-Fu dura per voi assistere a quella scena…-.
Lui alzò lo sguardo, ora duro e severo. –Lo fu principalmente perché in cuor mio sapevo che in qualche modo quella situazione era stata causata da me. Se non fossi stato così egoista, così accecato dai miei sentimenti, avrei visto a cosa avrebbe portato la mia unione con Hilda. Non ho valutato affatto la situazione di Hagen, ma ormai ciò che è fatto è fatto. Non posso cambiare lo stato delle cose, visto che ormai Hilda ed io siamo sposati, lei è l’officiante del culto divino e Flare è regina. Però una cosa ancora è in mio potere, ovvero provare a schermare il mio amico da un papabile nuovo dolore-.
June fece un passo indietro e percepì una sorta di indignazione crescerle dentro. –Nobile Siegfried, sebbene trovi le vostre intenzioni molto onorevoli, non credo che lo stato delle cose meriti un simile avvertimento nei miei confronti. Io sono qui con uno scopo preciso e lungi da me voler ferire chicchessia. Per altro fate questo discorso senza considerare che io sono una misera ragazzina: come potete temere che Hagen possa avere attrattiva nei miei confronti? E’ assurdo…-.
Gli occhi grigi di Siegfried divennero due fessure. –Difficilmente il mio sesto senso sbaglia, fanciulla. Dal primo istante che vi ho vista ho percepito in voi qualcosa di… Particolare. Non saprei ancora dire cosa, visto che non vi conosco affatto e non vi ho mai neppure vista in faccia. Ma già il fatto che Hagen vi abbia salvata crea tra di voi un legame che qui in Asgard può essere considerato sacro ed il fatto che sarete sua allieva implica che passerete assieme molto tempo. Lui uomo, voi donna. Non vi sto minacciando, June: vi sto chiedendo cautela-.
La ragazza sollevò il capo e cercò fieramente di ergersi al massimo delle possibilità concesse dalla sua statura. –L’avrete, Siegfried. Siete stato molto chiaro. Vi ringrazio per avermi messa al corrente dei fatti, ma una cosa mi sento di dirvela: placate il vostro senso di colpa. Hagen ha affrontato viso a viso una Valchiria… Non credo che abbia bisogno di essere difeso, men che meno se la motivazione sia un discutibile e tardivo lavarsi la coscienza da parte vostra. Perdonate la franchezza, ma credo che fosse doverosa. Ora vi prego, lasciatemi… Ho bisogno di stare sola-.
Siegfried spalancò gli occhi, ma incassò il colpo con signorilità. Si portò la mano al petto e con un lieve cenno di cortesia lasciò la stanza.
Una volta sola, June si tolse la maschera e si lasciò cadere sul letto. Sospirò. –Oh Numi, perché vi state accanendo a giocare con il mio Fato? Cos’altro dovrò aspettarmi, ancora?-.
Non giunse risposta alcuna e, nel fragoroso silenzio che la avvolse, si lasciò cadere tra le braccia di Morfeo.
 
 
Note dell’autrice:
Segnalo che in questa sede Flare è l’unica a non essere stata appellata con il nome originale per un motivo. Nell’anime, infatti, il pg è Freya Polaris. Ma essendo presente nella mia storia anche la Dea Freya, temevo che si creasse confusione ed ho optato per questa soluzione.

 
 
 
L’Angolo di June:
Inizio con il dire che sono una persona orribile, lo so. Questo capitolo era infinito e vi avrà tediato a bestia: perdono!! Ma era necessario… Cercherò di essere più morigerata nel capitolo 5, anche se ho già dei dubbi circa il riuscirci. Infatti il prossimo capitolo sarà ricco di interessanti avvenimenti che meritano di essere affrontati con il debito modo!
Questo capitolo lo voglio dedicare alla mia “figlia” preferita, ovvero la puccia-pink Fler, che nel mio gruppo di role gioca Flare. Spero di essere riuscita a non discostarmi troppo dal suo roseo modo di ruolare questa dolce principessina: figlia, non volermene, spero che ti sia piaciuta la Princy (anche se per me il tuo reale pg è un altro, lo sai)!!!
Tributo anche la citazione della frase “Se posso azzardare un’ipostesi” alla cara Jul… Non ce l’ho fatta, ho dovuto mettercela!!! XD (mamma mia, oggi il mio livello di plagio e furto di idee è alle stelle!!).
 
 
E adesso… “Visual matching time”!
Flare di Polaris:  Hilary Duff –
 http://www.videomusic.tv/wp-content/uploads/2007/06/hilary-duff-cute-look.jpg
Hilda di Polaris: Abbie Cornish – http://www.altezzaepeso.com/images/stories/famosos14/abbie_cornish.jpg
Siegfried di Dhube: Alexander Skarsgard – http://images.movieplayer.it/2008/09/15/alexander-skarsgard-in-una-foto-promozionale-della-serie-true-blood-88422.jpg
Mime di Benetnash:William Moseley – http://image.qpicture.com/image/w/artist-william-moseley/william-moseley-384923.jpg
Alberiech di Megrez: Ben Barnes – http://benbarnesfan.com/gallery/albums/photoshoots/professional/Set_004/normal_002.jpg
Fenrir di Alioth: Taylor Kitsch – http://images4.fanpop.com/image/photos/23200000/Taylor-Kitsch-taylor-kitsch-23298054-416-625.jpg
Thor di Pecda: Dirk Nowitzki – http://images.starpulse.com/pictures/2011/02/21/previews/Dirk%20Nowitzki-ABE-005983.jpg

Spero sia stato di vostro gradimento! A venerdì prossimo!
Un saluto solo a quelli che si lavano,
 
June

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Capitolo 5
*** Cap.5 ***


CAPITOLO 5
 
 
Il freddo era terribile ed ancora faceva fatica a sopportarlo. L’unico conforto che riusciva a trovare era nei momenti di riposo nella sua nuova dimora, la Grotta del Meriggio.
Si era trasferita in quel singolare posto circa tre giorni dopo il suo arrivo, quando Hagen si era presentato negli alloggi concessigli dalla Regina per comunicarle telegraficamente che da quel momento era sotto la sua completa responsabilità e che per quel motivo avrebbe dovuto risiedere sotto il suo stesso tetto come allieva.
Così, chiuso in un mutismo ostile, l’aveva condotta ai piedi di una montagna e l’aveva fatta entrare in una caverna.
Sceso un tratto che le parve infinito finalmente davanti a loro si stagliò un lago di lava vulcanica e, tramite un tunnel che si apriva al lato di esso, raggiunsero una serie di piccoli antri che, a ben vedere, erano abitabili ed arredati. La Grotta del Meriggio, il luogo più caldo di Asgard. La casa di Hagen.
Nel corso dei giorni successivi, durante le pause tra gli sfiancanti allenamenti a cui lui la sottoponeva, mentre mangiavano June era riuscita a strappare al ragazzo qualche rada informazione relativamente quel posto. In realtà la casata dei Merak non disponeva più di una magione propria, dato che la grande villa che ospitava la famiglia era arsa in un rogo appiccato da dei ribelli che ad Asgard era ancora ricordato come terribile e nel quale l’intera famiglia di Hagen aveva perso la vita. Lui si era salvato solo per puro caso, saltando in groppa al cavallo di suo padre che nella ressa si era dato alla fuga. Era stato inseguito da una banda di quei riottosi e, ad un certo punto, si era gettato da cavallo, rotolando dentro un cunicolo nascosto. La paura lo aveva spinto ad addentrarsi nell’oscurità ed alla fine si era ritrovato davanti alla pozza di fiamme liquide. Lì aveva avuto come la visione di un cavallo rampante che stesse sbucando dalle fiamme, ma le confessò che ancora in quel momento si chiedeva se se lo fosse immaginato, visto che subito dopo era crollato.
La rivolta fu poi sedata, ma un alone di mistero girava attorno a quell’episodio, visto che l’incendio sembrava essersi propagato sulla neve da Villa Merak fino al villaggio da dove i ribelli provenivano, radendolo al suolo. Tra le guardie reali che quella volta intervennero serpeggiava la diceria che tra le fiamme si intravedesse la sagoma di uno stallone ottopode. Con un bagliore ferino negli occhi Hagen le aveva detto che lui immaginava quell’episodio soprannaturale come una sorta di vendetta da lui stesso perpetrata.
Una volta conclusasi la bagarre, la famiglia reale si era offerta di accoglierlo a palazzo, ma lui si era opposto, facendo della caverna che l’aveva salvato la sua nuova casa e ribattezzandola Grotta del Meriggio. Era stato lì che aveva imparato a domare le energie calde, in una combinazione letale con quelle fredde proprie dei guerrieri di Asgard.
June aveva assimilato ogni parola con avidità, essendo lui così restio al dialogo. E una volta di più si era detta che in quel giovane uomo c’era una forza abbacinante che chiunque avrebbe dovuto invidiargli.
In questo modo, tra allenamenti massacranti durante i quali lui si era mostrato inflessibile e dimentico della sua condizione di donna, tra lunghi silenzi e brevi dialoghi grazie a cui però lei stava imparando ad apprezzarlo, e tra profonde riflessioni in cui lei si immergeva quasi sempre andando al Picco della Preghiera nella speranza di avere qualche segnale che puntualmente non arrivava, passò più di un mese.
In quel lungo tempo June aveva avuto modo di riscoprire in sé stessa una determinazione all’obiettivo che non pensava di avere, e ciò sia in relazione all’impegno che metteva nel tentativo di migliorarsi nel combattimento ma anche nella ricerca spirituale che stava operando nel suo stesso animo.
I rapporti con alcuni membri del Consiglio si erano man mano evoluti, giacché Mime si era dimostrato una persona piuttosto piacevole, colta e dal carattere mite, mentre Alberiech ostentava verso di lei una sorta di interesse che le parve sostanzialmente finalizzato a qualcosa che ignorava. Fenrir non ebbe più occasione di incontrarlo, mentre Thor sembrava non aver cambiato idea su di lei e sulla sua permanenza,
dimostrandolo con un atteggiamento freddo sebbene formale. Dal canto suo June aveva scoperto che, a dispetto della loro prima conversazione, Siegfried era un uomo decisamente ammirevole: comandante inappuntabile, guerriero indomito e una piacevole compagnia. Qualche volta si era recata con Hagen a Palazzo per degli incontri di corte ed in quelle occasioni aveva diviso il desco con il suo maestro, la Regina Flare, Hilda ed il prode Siegfried. Con sua grande sorpresa aveva apprezzato quei momenti e quelle persone come non faceva da molto tempo con qualcuno.
Era immersa in una riflessione proprio su quell’argomento quella sera in cui, come spesso accadeva, si ritrovava da sola seduta sulla penisola rocciosa del Picco. Guardava l’oscuro mare del Nord, attendendo che dopo tutti quei giorni di silenzio il canto tornasse a farsi sentire e ad indicarle una nuova direzione verso cui indirizzare il suo interesse.
Nulla.
Sospirò e nascose la testa tra le gambe raccolte al petto. Un rumore di passi la distrasse e, quando alzò il capo, si accorse che Hagen l’aveva raggiunta sedendosi al suo fianco. Guardava anch’egli dritto di fronte a sé e per un po’ stettero così, senza bisogno di parlare, capendo vicendevolmente cosa servisse all’altro.
Fu lui a rompere la stasi.
–Francamente non so da dove cominciare. Non sono abituato a conversazioni di questa natura, ma immagino che in qualche modo io ti debba una sorta di spiegazione. Lo credo perché, dopo tutto questo tempo in cui abbiamo vissuto braccio a braccio ed in cui mi hai dimostrato il tuo valore umano, non ti reputo più un’estranea e… Bhè, credo che tu abbia la mia fiducia-.
Ormai da parecchio tra loro le formalità erano cadute, passando per esempio dal voi al tu, ed in quella sede Hagen stava mostrando di voler probabilmente abbattere l’ultima barriera che li separava.
June reclinò il capo senza smettere di guardarlo, con la maschera inespressiva che comunque non riuscì a tradire la curiosità che il resto del corpo denunciava. Non dovette attendere molto.
-Mi dispiace per essere stato così… Rigido, finora. La verità è che ti ho fatto scontare una colpa che non hai…-.
La scrutò per un secondo di sottecchi, poi continuò.
–Siegfried mi ha detto della conversazione che avete avuto e che quindi sai tutto… Mi ha irritato non poco il fatto che si sia arrogato il diritto di venirti a spifferare i fatti miei, ma sono certo che l’abbia fatto con tutte le migliori intenzioni. E’ un buon amico e, nonostante io abbia deciso di tenerlo un po’ sulla corda per dargli una lezione, non gliene voglio. Per quanto ti riguarda, invece, ho apprezzato molto che in tutto questo tempo tu non abbia mai cercato di farmi parlare della cosa, né ponendo domande inopportune, né tantomeno trattandomi con condiscendenza o ancor peggio: pietà. Di questo ti sono riconoscente. La cosa la dice lunga sul tipo di donna che sei, June…-.
Provò uno strano piacere nel sentire la parola “donna” uscire dalle labbra di lui, quasi quanto ne provò nel constatare che quella era la frase più lunga che lui le avesse mai rivolto.
-Ti ringrazio per queste belle parole, ma sappi che non è stata solo la virtù a muovermi. In realtà temevo la tua reazione se mi fossi permessa qualsiasi tipo di confidenza verso di te: non dimentico che la mia presenza ti è stata imposta, in fondo. Ciò non vuol dire, comunque, che io non sia curiosa di sapere di più…- azzardò, nascondendo una certa incertezza.
Hagen sorrise appena senza guardarla, poi disse –Chiedi pure allora. Approfittane ora, perché non ho intenzione di tornare sull’argomento, in futuro-.
June si prese qualche istante per riflettere su cosa fosse giusto dire e come dirlo.
-A dire il vero il racconto di Siegfried mi ha reso bene l’idea di come siano andate le cose, perciò posso anche immaginare come ti possa essere sentito in quel momento… Non ho intenzione di entrare nel merito della tua intimità, Hagen, eppure una curiosità ce l’ho…-.
Lui si voltò verso di lei, aggrottando la fronte in una muta domanda, così concluse –Cosa hai fatto in quel lungo periodo in cui avevi lasciato Asgard?-.
Lo vide sospirare mentre tornava a fissare un punto indefinito di fronte a sé. –Non credo ci sia bisogno che ti dica che non fu un viaggio, ma una fuga. Scappai letteralmente da qui, pensando che lasciando Asgard avrei lasciato anche quella storia incredibile alle mie spalle. La verità è che il problema era dentro di me e, ovviamente, mi seguì in modo spietato ovunque andassi. In un primo periodo non feci altro che spostarmi, forse immaginando che se mi fossi permesso il lusso di fermarmi avrei avuto tempo di pensare a ciò che era successo, mentre io volevo solo dimenticare… Poi arrivò un momento in cui compresi che non sarei potuto fuggire per sempre. Fu allora che mi fermai-.
-Dove?-.
-Letteralmente dall’altra parte del mondo. Nel mio lungo peregrinare, infatti, era giunto nelle Terre del Fuoco. Fu proprio quel luogo a farmi capire l’ineluttabile realtà dello stato delle cose. Il villaggio in cui ero arrivato in quel momento, infatti, assomigliava in modo incredibile ad Asgard, sebbene fosse dal lato opposto del globo. Decisi di stabilirmi lì per qualche tempo e venire a patti con me stesso e la mia rabbia, forse nell’infantile speranza che stando in un posto così familiare l’impatto con la presa di coscienza non mi avrebbe ulteriormente devastato…- confessò lui.
June sentì un moto di empatia nei suoi confronti perché, sebbene le loro vicissitudini fossero estremamente diverse, in qualche modo erano entrambe legate alla riscoperta di sé stessi. Le venne spontaneo domandarsi se l’Hagen precedente a quel viaggio le sarebbe piaciuto come stava scoprendo piacerle quello di quel momento, ma represse subito il pensiero con imbarazzo. Cercò di dissipare quella sensazione ponendogli un’altra domanda -E le cose andarono come ti aspettavi?-.
-Sinceramente no. Mi ritrovai a vivere delle vicende piuttosto singolari… Eppure furono proprio queste ad aiutarmi a capire quello non riuscivo più a vedere per colpa della rabbia e della delusione-.
-Sarei troppo indiscreta se ti chiedessi di raccontarmi?- tentò June, ormai completamente rapita.
-Siamo in vena di confidenza solo per stavolta, no? Perciò non lo sei. Accadde questo: non appena giunto a Ushuaia, così si chiamava quel posto, mi stabilii nel misero rifugio che chiamavano locanda. Vivendo ad Asgard non farai fatica ad immaginare come anche lì gli stranieri non fossero visti di buon occhio, perciò una volta che ebbi capito di non essere benvenuto mi cercai un altro posto dove stare. Fui fortunato: a poche miglia dal centro abitato, tra la costa ed un bosco, trovai una bettola abbandonata e lì mi fermai. Non fu facile, all’inizio: trovare il cibo e i beni di prima necessità mi risultò molto complicato, ma quegli impegni finivano per riempirmi delle giornate che, altrimenti, sarebbero state lunghe e solitarie. Forse i pensieri e la rabbia mi avrebbero schiacciato, ma non fu così. Sai, non so come spiegartelo… Ma in quei momenti sentivo come di non essere affatto solo…-.
-Evidentemente i vostri Dei ti tengono in considerazione. Forse era la loro presenza che sentivi…- azzardò lei.
Hagen emise una soffusa risata amara. –Lì per lì non l’avrei pensato, sai? Per tutta la vita ho creduto che gli Aesi ed i Vanir considerassero esclusivamente i miei parigrado: il dio Tyr ha sempre privilegiato Mime così dotato artisticamente. Balder ha sempre rivolto il suo sguardo benevolo su Siegfried, come Siph su Fenrir. Thor non porta quel nome per puro caso, e Alberiech… Bhè, non ci vuole molto a comprendere come Loki lo favorisca in tutto e per tutto. Per quanto riguarda le Valchirie ed Heimdallr, loro hanno occhi per ben altri guerrieri che non siano me. E, nonostante la mia fedeltà verso di lui mai abbia vacillato, neppure il Padre Odino sembra avere grande considerazione di me… Ma le vie degli Dei sono imponderabili, sai? Lascia che finisca di narrare-.
Lei assentì appena con il capo così lui continuò. -Passò parecchio tempo in cui le mie giornate erano scandite dalla necessità di sopravvivere. Eppure ogni secondo che passavo laggiù avevo come la sensazione che ogni cosa riprendesse il suo senso primordiale ed iniziai a sentirmi meno inquieto. Credevo che la fine del mio autoimposto esilio stesse lì per giungere, ma evidentemente le Norne non erano d’accordo. Fatto sta che un giorno dal bosco udii provenire delle grida alla quali a breve fecero eco degli ululati inferociti. Non stetti lì a ragionare, il mio istinto prese il sopravvento e mi addentrai tra gli alberi. La trovai lì, riversa al suolo di una radura, circondata da un branco di lupi affamati: una donna. Lì per lì non diedi troppo peso a chi fosse e cosa ci facesse in quel posto, pensai solo a trarla in salvo. Non mi ci volle molto a mettere in fuga le fiere e così potei avvicinarmi a lei per sincerarmi delle sue condizioni. Quando le arrivai ad un passo la vidi alzare il capo verso di me e, istintivamente, indietreggiare come se mi temesse più dei lupi. Io, invece, rimasi piuttosto incuriosito da lei…-.
-Incuriosito? Non era esattamente il termine che mi sarei aspettata… Comunque doveva essere un tipo interessante se riuscì a catturare l’attenzione di un uomo come te che, solitamente, è imperturbabile…- intervenne June.  Ma nel dire quelle parole evidentemente non riuscì a privare la frase di un certo qual tono canzonatorio. Si accorse subito dello scivolone e capì che anche Hagen aveva colto dallo sguardo in tralice che le lanciò e il tossicchiare infastidito che ne seguì. Così abbassò la testa costernata e tornò ad ascoltare.
-Si, certo… Comunque così su due piedi non direi che interessante sia la parola adeguata. Ma “misteriosa” si… Era abbigliata in abiti neri dalla foggia sontuosa e dal taglio di chiaro valore ed il suo volto era nascosto da un velo pesante e fumoso che ne lasciava appena intravedere i contorni del viso. Quando provai ad avvicinarmi ancora mi urlò di starle lontano e che piuttosto che tornare indietro si sarebbe uccisa. Era sconvolta. Ci misi un po’ a farle capire che non avevo intenzione di riportarla proprio da nessuna parte e che l’unica cosa che volevo da lei era sapere se stesse bene o meno. Quando, poi, finalmente si calmò la portai nel mio rifugio perché si rifocillasse-.
-Chi era? E cose le era accaduto?- chiese June con foga, ormai totalmente immersa nel racconto.
-Mi disse di chiamarsi Shir’ Hin e di essere la sorella del signore di quelle terre, il Lord Shir’ Kayn. Accettò il mio aiuto, ma a quanto parve non mi accordò la sua completa fiducia visto che non tolse il velo. Mi confessò di provare un forte dolore alla caviglia e così, mentre controllavo l’entità del danno, mi raccontò di essere in fuga. Effettivamente il piede era tumefatto e gonfio, una brutta distorsione che non le avrebbe permesso di fare molta altra strada. Così presi una decisione e le promisi che l’avrei curata a patto che lei mi dicesse tutta la sua storia, così che io potessi valutare cosa farne di lei. Se non l’avesse fatto la minacciai che l’avrei riconsegnata seduta stante a suo fratello senza darle altra scelta. Si mostrò restia ad accettare l’accordo, ma quando comprese che facevo sul serio si arrese e, mentre la medicavo, mi raccontò le sue vicende-.
-Diplomatico…- mormorò la ragazza.
-Non diplomatico, ma pratico: non avevo altra scelta. Se proprio dovevo esser lì per infilarmi in qualche losca faccenda almeno avevo il diritto di stabilire se le motivazioni che la stavano provocando fossero valide o meno. E valide, infine, le reputai.
Shir’ Hin mi disse che suo fratello era un perverso bastardo e misogino, il quale non aveva la minima intenzione di prendere una moglie per assicurare una discendenza alla casata. A detta di lei la popolazione non si lamentava di tale scelta: io stesso avevo sentito mormorii sull’incommensurabile barbarie di cui era capace quell’uomo, ed il fatto che la dinastia sarebbe terminata con lui rendeva alla gente più sopportabile l’attesa della sua dipartita. Tuttavia Shir’ Kayn non sembrava essere così stolto: dal momento che lui non aveva il minimo interesse a perpetrare la sopravvivenza della stirpe al comando di quelle terre, aveva deciso che sua sorella lo facesse in sua vece. E per questo motivo aveva indetto un torneo per decretare l’uomo più forte in assoluto, il quale avrebbe vinto la mano di Shir’ Hin ed il possesso del titolo. Ovviamente, viste le tinte fosche con cui era dipinto quell’uomo, era ovvio che quel torneo fosse pianificato come all’ultimo sangue e privo di qualsivoglia limite morale. Semplicemente: l’ultimo a sopravvivere avrebbe vinto. E Shir’ Hin sarebbe stata sua-.
Tacque e June non disse nulla a sua volta. In quel silenzio v’era più pienezza che in mille discorsi articolati.
-Stai pensando che è disgustoso, vero? Ho percepito un tremito nel tuo cosmo e non posso biasimarti, l’ho pensato anche io. E, a quanto pareva, anche Shir’ Hin lo pensava. Anzi, ne era talmente convinta che mi confessò che se la sua fuga non fosse andata a buon fine si sarebbe tolta la vita: non poteva accettare di essere sfruttata come carne da macello e di farsi tramite di un gioco che avrebbe spinto il popolo dalla graticola che era suo fratello ad un falò vero e proprio che avrebbe potuto essere il suo futuro sposo. In quel momento mi venne da chiedermi se fosse pazza, terrorizzata, stolta o semplicemente orgogliosamente coraggiosa. Mi risposi subito che era una commistione della seconda e dell’ultima caratteristica… E l’ammirai. L’ammirai perché, sebbene stesse fuggendo, a differenza mia non era per una motivazione puramente egoistica. L’ammirai perché a differenza… Delle donne di Asgard non stava lasciando che il destino la travolgesse, ma si stava strenuamente opponendo-.
Di nuovo un’interruzione, dovuta al riferimento alla sua regina. Sospirò, rannuvolato, poi riprese.
-La nascosi finchè la sua caviglia non si fu rimessa del tutto. Shir’ Hin non mi mostrò mai il suo volto, ma in compenso ci ritrovammo a condividere pensieri e ragionamenti. Ebbi, comunque, sempre l’impressione che lei cercasse perennemente di tenersi a distanza, non entrando mai nel dettaglio dei racconti sulla sua vita. Mi fece uno strano effetto. In un modo che non so spiegarti finii per reputarla molto simile a me, per stimarla e per desiderare che non dovesse subire quel destino così truce. Fu per questo che, quando mi disse che ormai era in grado di camminare, fui colto da dubbi e non seppi cosa fare esattamente…-.
-Capisco quali pensieri ti tormentarono, sai? Immagino che fossi combattuto tra il lasciarla andare per la sua strada, abbandonandola ad un fato incerto, e l’aiutarla ad opporsi attivamente alla sua condanna, così da non dover più fuggire e vivere nei pericoli…- disse June.
Hagen la guardò con un guizzo sorpreso negli occhi chiari. –Esattamente. Il problema era che i residui della mia rabbia e della mia frustrazione non mi aiutavano a risolvermi a fare ciò che poteva essere la cosa giusta. Fu così che, quella sera stessa, decisi di addentrarmi nel bosco, forse per cercare risposte nella solitudine…-.
-E cosa accadde?-.
-Accadde un miracolo. Non solo allora trovai la risposta che cercavo, ma ebbi finalmente la certezza che gli Dei non mi ignoravano come avevo sempre creduto…- mormorò pensosamente lui.
La ragazza piegò interrogativamente la testa di lato. –Che intendi dire?-.
-Lei mi apparve per la prima volta…-.
-Lei chi?-.
Lo sguardo di lui si perse verso il mare. –La Dea Freya Vanir, signora della magia, dell’amore e della morte… Colei che tutt’oggi veglia sul mio cammino. Colei che venero con anima e corpo…-.
June fu colpita dal tono con cui Hagen pronunciò quelle parole: c’era in esse un trasporto, un calore che mai in lui aveva riscontrato. Non faticò a capirne i motivi più superficiali: in tutte le immagini in cui l’aveva vista raffigurata, Freya era ritratta come una giovane donna talmente splendida da far cadere nel dubbio sul proprio aspetto anche le fanciulle più affascinanti. Inoltre, scandagliando eventuali motivazioni più profonde, era evidente che ciò che univa il ragazzo alla Dea era qualcosa di primordiale, profondo ed arcano. Inconcepibile per chiunque altro. Provò uno strano senso di rifiuto a quel pensiero ma lo represse subito, vergognandosi anche un po’ per essersi lasciata prendere da esso. Riprese ad ascoltarlo parlare per fugare quelle sensazioni.
-Mi apparve nel bosco, avvolta da una luce meravigliosa, calda e fredda insieme, bianca e nera allo stesso tempo. Bella da non potersi paragonare a nessun’altra cosa o persona che il Padre Odino abbia messo su questa Terra… Capii subito che si trattava di Freya, non poteva esserci dubbio. Quello che invece non capii era il perché proprio lei stesse rispondendo alla supplica del mio animo. Ma quando mi parlò, ogni tentennamento svanì e la comprensione calò su di me: lei, come le altre divinità avevano fatto con i miei compagni, mi aveva scelto. E per sua natura aveva deciso di non mostrarmi mai apertamente il suo favore: il culto di Freya è misterico e lei è una divinità molto altera ed esigente con coloro che nascono sotto la sua stella. Evidentemente fino a quel momento mi aveva messo alla prova e lì, ormai, si era resa conto del mio essere degno di lei. Fu per questo che venne in mio soccorso: fu lei stessa a dirmelo quando le chiesi il perché, nonostante tutte le difficoltà che avevo affrontato in tutta la mia vita, si fosse manifestata solo allora…- mormorò Hagen, con un estatico tono di voce.
La giovane guerriera sopirò, sconcertata. Si rese conto che, una volta di più, il modo divino di approcciarsi al genere umano rimaneva per lei qualcosa di imponderabile. Non riusciva, infatti, a comprendere la contraddizione intrinseca nel comportamento della dea Vanir ed ingenuamente lo disse al suo maestro.
Hagen assunse un’espressione pensosa nell’udire quella perplessità. June pensò che, probabilmente, lui per primo non aveva mai ragionato su quel punto, probabilmente troppo preso dal giubilo di aver finalmente ottenuto la considerazione degli dei che tanto aveva bramato.
-Non so spiegarti bene, June. So solo quello che la splendida dea Freya mi disse quella volta… Mi confessò di aver scoperto come io fossi un paradosso umano, dal momento che il mio animo non aveva mai realmente bramato aiuto nei momenti in cui nella mia esistenza sembrava non esserci più speranza, mentre in quella occasione, dove praticamente il mio cuore aveva già tutte le risposte e si sarebbe trattato solo di agire, il cosmo di Merak si era infiammato di bisogno di una guida. Non dimenticherò mai come mi fece sentire quando mi guardò con i suoi occhi meravigliosi e mi disse, in un tono che non avevo mai sentito usare da nessuna donna, che erano secoli che un essere umano non attirava così tanto il suo interesse…- di nuovo si perse.
June tossicchiò, imbarazzata: quella conversazione iniziava a crearle malessere, anche se il perché era sostanzialmente un’incognita. Fortunatamente lui si rese conto dello stato delle cose e, tentennando un po’ mentre riprendeva contegno, riprese.
-Si, ecco… Le sarò per sempre grato e devoto. Mi guidò verso l’angolo più riposto di me, nel quale scoprii che le decisioni sul mio avvenire le avevo già prese da parecchio…-
-E quali erano, se posso?- intervenne lei, il tono di voce forse un po’ troppo acuto a svelare la stizza che la maschera ben celava.
Lo vide aggrottare la fronte, forse perplesso per quella aggressività. –Ormai da un po’ ero pronto per tornare a casa. Mi serviva solo di chiudere i conti con la fase della mia vita che avevo aperto in quel luogo per poi tornare alla mia realtà… E quella chiusura contemplava l’aiuto a qualcuno che ne aveva disperato bisogno…-.
-Quindi… Alla fine aiutasti Shir’ Hin?!- proruppe la ragazza, esternando un tono fin troppo sorpreso.
-Così gretto mi reputi, eh? Bhè, da come ti ho trattato fin ora non stento a crederlo… Comunque si, June: il giorno successivo la riportai da suo fratello e gli dissi che avrei partecipato al torneo per la sua mano. E così feci. Non dimenticherò mai lo sguardo di puro livore che Shir’ Kayn mi riservò quando, una volta spazzati via tutti gli altri contendenti, accettai Shir’ Hin come premio e davanti a tutto il villaggio la liberai dal giogo del suo aguzzino…-.
Nelle sue iridi brillava un’impudente soddisfazione che, misteriosamente, colpì June con forza, facendole dolere la bocca dello stomaco.
-Così tornasti qui… Il resto lo conosco dal racconto di Siegfried. Però adesso, Hagen, ho l’ultima domanda da farti: quando ti accorgesti di aver ritrovato davvero te stesso e di essere finalmente pronto ad affrontare il tuo mondo di nuovo?-.
In quel quesito lei ripose tutte le speranze di trovare un appiglio per sé stessa, uno spunto al quale ispirarsi.
-Lo capii quando, dopo pandemonio che seguì la mia dichiarazione pubblica, Shir’ Hin mi pregò di portarla lontano. La accontentai e, una volta imbarcatici verso il vecchio continente, lei mi mostrò finalmente il suo volto: era bellissima, pelle d’alabastro, occhi viola come ametiste e lunghissimi e serici capelli neri. Mi colpì ancora di più di quanto la sua personalità da sola avesse già fatto. Fu in quel momento che compresi che i motivi che mi tenevano lontano da casa, ormai, avevano perso di importanza- rispose lui, guardandola sereno.
-Perdonami, allora perché tornasti? Perché non scegliesti l’alternativa che il Wyrd ti stava prospettando?- si stupì lei, mormorando dentro sé una muta preghiera affinchè la risposta fosse quella che lei sperava.
Lo vide alzarsi in piedi e porgerle la mano per aiutarla a fare altrettanto. Si lusingò del tocco gentile che lui le lasciò sulla schiena come ad invitarla ad incamminarsi, e lo seguì senza nemmeno accorgersi di stare pendendo dalle sue labbra.
-Per un attimo fui tentato, ma poi mi sovvenne di nuovo l’incontro con Freya. La mia Dea, in quell’occasione, mi aveva offerto consiglio e… Una divinazione. Le sue rune le parlarono di come la mia vita sarebbe stata sempre e comunque segnata dall’amore, quello passionale. E ciò che stavo vivendo ne era la prova. Mi parlò della compagna della mia vita, sai? Mi disse che la coscienza di amarla mi avrebbe sconvolto e che lei sarebbe stata la scelta più improbabile e più difficile del mondo. E che sarebbe comparsa dalle nevi di Asgard a scaldare la mia vita… Quella profezia mi spinse a decidere che la strada mia e quella di Shir’ Hin non si sarebbero unite, sebbene quella donna mi avesse colpito in modo profondo. E alla fine, a ben vedere…- si interruppe, senza però smettere di avanzare.
-Cosa?- chiese con impeto June, mordendosi immediatamente la lingua per aver dato a vedere l’ansia di sapere dove quel discorso avrebbe portato.
Lui le riservò una fugace occhiata obliqua, poi tornò l’algido signore delle nevi che sempre era stato. –Nulla, non importa. Questo è quanto, June. Per quanto mi riguarda questo discorso si chiude qui e non cambia lo stato delle cose tra me e te. Spero che tu capisca… Ora andiamo, ci attendono a corte per la cena. Sembra che la Regina debba fare un annuncio-.
Con quelle parole June vide Hagen riprendere quel cipiglio che sperava di aver cancellato dopo quella conversazione. Se ne sentì ferita, forse anche più di quanto il decoro imponesse al suo cuore di guerriera.
Anche lei si chiuse in un triste mutismo, che mantenne anche una volta giunti al banchetto che Flare aveva indetto. Tenne la testa bassa per tutto il tempo, rispondendo a monosillabi e distrattamente a chiunque le si rivolgesse. Non capiva perché, ma ciò che era successo quella sera le aveva aperto uno scenario completamente nuovo e a cui lei mai aveva dato peso in vita sua, quello dei sentimenti…
-…e avrei piacere che ci foste anche voi, June. Va bene? June? Mia cara, vi sentite bene?-.
La voce della Regina la distolse dai suoi pensieri e dalla contemplazione vacua del suo desco ancora imbandito.
-Come? Perdonatemi maestà, ero distratta…- balbettò, alzando il volto coperto verso l’altra fanciulla che la stava fissando con espressione ansiosa.
-Dicevo al Consiglio che tra due giorni è previsto l’annuale incontro diplomatico con la delegazione di Atene. Per questa occasione stiamo quindi organizzando un ricevimento a cui prenderà parte tutta la corte e la nobiltà di Asgard. Dal momento che ospiteremo di certo perone a voi ben note, June, credo sia opportuno che anche voi prendiate parte all’evento in qualità di legame tra i due paesi. Cosa ne pensate?- spiegò Flare con enfasi.
Teano, Aiolia, Aiolos!
I nomi dei suoi amici le risuonarono nella mente come la musica più dolce ed il cuore iniziò a batterle per l’emozione. Mai come in quel momento si era sentita bisognosa di avere vicino delle persone amiche e, a quanto sembrava, le Parche le stavano arridendo benevole.
Alzò il capo e lasciando trasudare gioia dalle sue parole rispose –Grazie, maestà. Ci sarò-.
E si lasciò pervadere dal senso di aspettativa, tralasciando la delusione che la stava consumando fino a qualche istante prima. Forse fu per quello che non si accorse della rapidissima, calda occhiata che il guerriero di fronte a lei, colui che involontariamente era causa della sua precedente tristezza, le aveva lanciato.
 
Quando la sua mano artigliò il cuore pulsante dell'ultimo nemico fronteggiato, un impeto di follia lucida lo colse. Strattonò con tutta la forza che aveva in corpo e, con un grido animalesco, strappò il suo trofeo dal petto del nemico, fregiandosi del riconoscimento bellico del sangue sulla sua armatura.
Quella battaglia lo aveva sfiancato come non succedeva da parecchio tempo. Quando la missione era cominciata, più di un mese prima, mai avrebbe immaginato quale sarebbe stato il suo epilogo, né tantomeno l'impegno sul campo che quello sparuto gruppo di stranieri privi di vestigia avrebbe richiesto per essere spazzato via dalla faccia del sudicio pianeta. Un caso singolare che avrebbe meritato una riflessione più accurata una volta che avesse avuto tempo e voglia di dedicarvisi. Ora era il momento di godersi la ferale estasi della vittoria conseguita nel sangue...
Percepì un guizzo bianco alla sua destra e lo vide eclissarsi immediatamente quando il silenzio cadde sul campo di battaglia. Sogghignò: la vittoria era sua anche quella volta. 
I suoi occhi scintillarono sotto l'elmo mentre si guardava intorno, avvolto da un silenzio che forse era l'unica cosa ad essere rimasta candida attorno a lui. Si mosse lentamente, camminando sulla neve rossa, senza minimamente badare a dove mettesse i piedi e calpestando impunemente ossa fracassate, corpi smembrati e organi maciullati. Si fermò soltanto quando ebbe raggiunto i resti infranti di quel pernicioso oggetto che quella marmaglia custodiva e che lui aveva seguito come fosse la chiave del Valhallah, ma che sul finire si era rivelato poco meno di nulla. Quanto tempo sprecato...
Ringraziò le Valchirie, una in particolar modo, per aver vegliato su di lui ancora una volta ed avergli offerto la possibilità di partecipare all'ennesima, gloriosa battaglia che, tuttavia, lo aveva designato come ancora non pronto a varcare la soglia del Palazzo del Padre Odino.
Fece un cenno con il capo e di nuovo alle sue spalle intravide un movimento furtivo. Inspirò con tracotanza e, finito di esaminare il campo di battaglia, si strinse nelle spalle e si incamminò lasciandosi dietro una scia scarlatta.
Ah, la mia fame di gloria non è ancora paga... E le Divine Guerriere lo sanno, non c'è limite oltre il quale io non possa spingermi per ottenerne ancora ed ancora! Non ci sarà mai ostacolo abbastanza alto o nemico abbastanza forte. Non temo nulla ed abbraccio l'idea della morte come il migliore dei premi... Ciò mi rende il migliore, inarrestabile, ed anche questi miserabili ne hanno avuto la prova. Eppure questa storia mi da dell'assurdo. Ma non credo sia questo il momento di pensarci. Ora è il momento di godere dell'ebbrezza del trionfo e di riprendere la via di casa. Onori ed allori mi attendono. Ad Asgard…
 
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L’Angolo di June:
Inizio con il chiedere perdono a tutti voi miei lettori per il mostruoso ritardo con cui pubblico questo capitolo. Tra le ferie ed un burrascoso ritorno alla vita di tutti i giorni ho avuto pochissimo tempo per scrivere, quindi… Me scuserete popo. XD
Approfitto della sede per comunicarvi che abolisco la pubblicazione settimanale: ormai ho capito che non ce la faccio a tenere il ritmo, quindi diciamo che farò del mio meglio per pubblicare il più possibile (i miei amici di FB verranno aggiornati sul nostro gruppo! ^^)
Questo capitolo lo dedico tutto alla coppia di presto sposi Cavallo-Sacra Miciona: come regalo di nozze fa un po’ cagare, lo so, ma mi rifarò quanto prima!!!!
Piccolo spoiler: il prossimo capitolo sarà figo. Si, pecco di presunzione e me lo dico da sola: sarà una cannonata.
Sicchè: LEGGETE! Mwahahahah!!!
Un saluto a tutti,
in particolar modo a quelli che si mettono le dita nel naso ma non lo ammettono!
 
June

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Capitolo 6
*** Cap.6 ***


CAPITOLO 6
 
Disagio. Imbarazzo. Timidezza. Speranza. Terrore. Solitudine.
Non riusciva ad inquadrare neppure una delle sensazioni che stava provando in quel momento, in un angolo appartato della chiassosa sala dei ricevimenti.
Dal primo istante che aveva messo piede dentro la sala si era resa conto che forse partecipare a quell’evento non era stata affatto una buona idea. Forse si era lasciata prematuramente trasportare dall’entusiastico pensiero di rivedere le persone a cui voleva bene, oppure aveva temuto di mancare in modo eccessivo di rispetto alla sua regale ospite con un diniego, fatto sta che si era pentita di aver accettato l’invito non appena era sopraggiunta. Anzi, se possibile ciò era avvenuto ben prima, nella stanza che Flare le aveva di nuovo assegnato per prepararsi degnamente all’incontro diplomatico, in cui la regina si era preoccupata di farle trovare abiti ed accessori adeguati per l’occasione. Una tipologia di vestiario che, ovviamente, le era del tutto estranea. Abiti adatti ad un evento di corte. Abiti da donna, estremamente femminili ed elaborati. Per lei che tutta la vita era stata abituata ad indossare soltanto gli spartani capi da allenamento e combattimento, perciò, fu difficile e imbarazzante identificare sé stessa nella giovane donna fasciata dal sontuoso e lungo abito di broccato blu notte con fregi di raso turchese che le lasciava le spalle scoperte. E questo suo imbarazzo sarebbe stato palese a tutti a causa del  rossore del suo volto, se la sovrana non avesse avuto la delicatezza di farle pervenire un’elaborata maschera di foggia veneziana i cui colori si accordavano perfettamente con quelli dell’abito e che avrebbe sostituito la sua da amazzone, ormai logora e consunta.
Nel tragitto tra la stanza ed il salone dei ricevimenti era stata tentata di tornare indietro e non presentarsi almeno un centinaio di volte, l’ultima proprio mentre stava varcando la soglia ed un numero imprecisato di occhi curiosi circa la sua identità si era posato su di lei. Si era fermata di colpo, pietrificata dal terrore e dall’imbarazzo mentre stringeva convulsamente tra le mani il lungo lembo dello strascico, legato in modo frivolo e mondano al suo polso. Accennò un passo indietro con la chiara intenzione di darsi alla fuga, ma in quell’istante percepì un tocco gentile sulla schiena. Era trasalita e si era voltata subito alla sua sinistra, incontrando due occhi color del ghiaccio, che in quel momento trasudavano tutto fuorché gelo.
Si era rilassata immediatamente ed un sorriso nascosto le aveva increspato le labbra sotto la maschera, mentre Hagen le prendeva delicatamente la mano e la traeva in salvo da quel terribile imbarazzo conducendola al suo fianco dentro la sala gremita.
-Immagino che questa gente ti sembri più spaventosa di un nemico assetato di sangue vero? Ma stai tranquilla, saranno meno feroci di quanto credi: sei elegantissima, June, ed ineccepibile in questo contesto… Non dar loro peso- lo aveva udito mormorare, lievemente inclinato al suo indirizzo sebbene, come lei, guardasse davanti a sé.
Era avvampata, sia per il gesto di estrema cortesia che lui le aveva poco prima riservato che per quelle parole nelle quali, non voleva illudersi, aveva colto un accento casuale ma intenso in relazione alla sua eleganza.
Che sia un complimento? No, non può essere… L’avrà detto per mettermi a mio agio, tutto qui…
Aveva allontanato ogni sciocco pensiero dalla sua mente e si era lasciata condurre per il salone. Poi Hagen le aveva riservato un compito baciamano e sussurrato appena prima di congedarsi –Ora devo lasciarti, il mio posto è accanto alla sovrana almeno durante i colloqui ufficiali. Cerca di non agitarti, ti terrò d’occhio per tutto il tempo…-.
Ed ora era lì, da sola in un angolo appartato, cosciente dei molti sguardi curiosi che gli esponenti dell’altera nobiltà nordica le stavano riservando mentre si domandavano di certo chi potesse essere la misteriosa fanciulla mascherata. Dopo che il suo maestro l’aveva lasciata per raggiungere il palco d’onore dove era stato allestito il tavolo per la delegazione visitatrice e quella ospite, aveva vagato discretamente per la sala in cerca di qualche faccia nota. Tra la folla aveva scorto Mime e Alberiech, i quali le riservarono un sorriso ed un cortese gesto di saluto ma nulla più, essendo intenti a conversare con potenti membri dell’elite nobiliare di Asgard. Di Fenrir non scorse neanche l’ombra, supponendo che l’indole del God Warrior fosse fin troppo ferale per farlo sentire anche un minimo a suo agio in quel contesto. Thor, dal canto suo, non appena la scorse le voltò le spalle, preoccupandosi di lasciarle intendere che lo stesse facendo in via del tutto intenzionale. Perciò, avvilita e sempre più imbarazzata, aveva guadagnato un posto semi nascosto sul lato ovest della stanza e lì era rimasta, appoggiata al muro, troppo in preda a mille emozioni anche per poter solo pensare di fare qualcosa d’altro.
Dopo un tempo che le era sembrato eterno, però, la sua attenzione fu reclamata dalla squillante voce di un ciambellano di corte il quale annunciava cerimoniosamente l’ingresso in sala della delegazione del Grande Tempio di Grecia. Gli occhi di June erano volati all’entrata e subito, in un caldo scintillio dorato, era riuscita a scorgere l’alta e dignitosa figura di Aiolos nell’imponente splendore dell’armatura del Sagittario. Al braccio del cavaliere, abbigliata con sobria eleganza in una tunica rosata ed un mantello cremisi, camminava con compita regalità la bella Teano la quale quel giorno sembrava voler rivaleggiare in beltà e dignità con le dee tutte dell’Olimpo. Il cuore di June sentì un tuffo e l’emozione crebbe ancora di più quando, dietro l’Alta Sacerdotessa ed il Comandante, comparve Aiolia del Leone con l’elmo sotto il braccio ed il bel volto atteggiato in un’espressione seria e formale. Eccoli lì, gli unici che nella sua vita si erano maggiormente avvicinati al concetto di “famiglia”.
Stava per compiere un passo per cercare di avvicinarsi al gruppetto e farsi vedere prima che raggiungessero la delegazione di Asgard, quando notò qualcosa che la gelò sul posto come fosse una statua: Aiolia non era l'ultimo appartenente al gruppo ateniese che aveva raggiunto il regno del Nord. Di fatti, qualche passo dietro di lui come a volersi tenere in disparte, a chiudere il piccolo corteo diplomatico June riconobbe niente meno che Albafica dei Pesci, serio, altero e bellissimo come un fiore di brina. La ragazza sentì il respiro mozzarsi nella sua gola ed inconsciamente si portò una mano al petto, indecisa se sentirsi spaventata a morte, visto il pregresso che li legava, o irrimediabilmente attratta da quel simulacro di pericolo e splendore che il Saint della Dodicesima casa rappresentava.
Quasi le avesse letto nel pensiero, in quello stesso istante Albafica volse lo sguardo e la vide. June non ebbe il minimo dubbio che gli occhi adamantini di lui l'avessero catturata, sebbene l'espressione del suo volto fosse rimasta ferma e composta come se il vederla lì fosse la cosa più normale del mondo. La qual cosa avrebbe potuto anche essere normale, visto che probabilmente la notizia relativa il suo abbandono del Santuario ed al luogo dove si era insediata avrebbe dovuto essere di dominio pubblico al Grande Tempio, ma visto che tra loro due non vi era mai più stato un contatto dopo il violento dialogo risalente a due mesi prima, la ragazza aveva sempre immaginato che il giorno in cui si sarebbe imbattuta di nuovo in Albafica nello sguardo di lui avrebbe colto biasimo, ira e sospetto. Invece, nulla.
Inspirò a fondo e decise che, in fondo, a lei doveva importare ben poco di quella faccenda, dal momento che quel fattivo esilio autoimpostosi poteva essere considerato la più alta forma di espiazione per qualsiasi azione manchevole il Saint avesse giudicato di imputarle.
Comunque, a causa di quell'esitazione, aveva perso la sua occasione per offrire un gesto di saluto ai suoi amici ed ormai le due delegazioni avevano preso posto al tavolo dando il via ai colloqui diplomatici ufficiali, che si svolsero in concomitanza con la cena. La sala non era stata allestita per un vero banchetto, fatta eccezione che per il tavolo d'onore della regina, dell’officiante sua sorella, del suo Primo Cavaliere, della sua Guardia personale e dei suoi ospiti, mentre le libagioni erano state offerte agli altri invitati su lunghe tavolate a formare un succulento buffet dal quale nessuno sembrava farsi scrupolo a servirsi. Nessuno tranne una piccola amazzone che in mezzo a quella folla stava sentendosi più sola che mai, rintanata com'era in un angolo, appoggiata al muro con le mani dietro la schiena e lo sguardo fisso in terra.
Il tempo passava e June ne aveva perso ormai la cognizione. Si era resa conto che, probabilmente, per quella sera sarebbe stato impossibile parlare con i suoi amici, così prese l'estemporanea decisione di abbandonare la festa e dismettere quell'abbigliamento che la stava facendo sentire la protagonista di una ridicola farsa. Era in procinto di staccarsi dal muro ed incamminarsi fuori della sala quando, preceduta da un immane senso di avvolgente calore, una voce familiare le carezzò la coscienza.
-Buonasera, June. Finalmente riesco a ritagliare qualche istante dai miei doveri per venire a salutarvi...-.
Istintivamente la ragazza sollevò di scatto la testa ed io suoi occhi affondarono in uno sguardo di velluto castano. Sentì il bruciore delle lacrime di gioia premerle sulle pupille e, sebbene riuscì a dominarne la caduta, non riuscì ad impedire a quell'emozione di trapelarle dalla voce.
-Aiolos... Sono lieta di rivedervi, Comandante...-.
La voce le tremava di felicità per il fatto di rivederlo dopo tanto tempo e per il gesto di cavalleresca cortesia che il suo buon amico le aveva riservato, eppure era riuscita a mantenere una parvenza di formalità ad uso e consumo di chi li circondava, appellando il giovane con il suo ruolo. 
Quell'iniziativa sortì un effetto imprevisto nel Saint del Sagittario, che le riservò un fraterno sorriso conciliante e le disse -Credevo che avessimo superato questo livello di ufficialità, June... Rivedervi dopo tutto questo tempo, e consapevole di ciò che vi ha allontanata dal Santuario, rallegra ed alleggerisce il mio cuore, mia giovane amica... Mia amata sorella-.
E con quelle parole appena bisbigliate lui le prese la mano e gliela sfiorò con un bacio casto e denso di affetto fraterno. In quel momento June provò una sensazione di completezza e serenità che da tempo non le apparteneva più. Degli anni dell'infanzia passati al Grande Tempio come orfana della Fondazione Kido destinata all'addestramento da Saint ricordava ben poco, eppure una cosa le era rimasta scolpita nel cuore: l'affetto fraterno che aveva provato per Aiolia, di poco più grande di lei, che si era nuovamente saldato quando lei era tornata per l'investitura, nonché l'ammirazione e l'idolatria per il più grande Aiolos. Nel suo immaginario di bambina, il giovane prodigio Aiolos era l'uomo perfetto e l'idea che si era fatta di lui era quella del padre che non aveva mai avuto. Era per quel motivo che si era sempre sentita lusingata e fiera del fatto che il Comandante in capo dell'esercito di Athena l'avesse sempre guardata con occhi diversi e che, ai fatti, la considerasse come una vera consanguinea al pari di Aiolia.
Si perse, perciò, in quello sguardo buono e limpido quando lui tornò a guardarla. -Perdonatemi se non sono venuto prima a salutarvi ed a sincerarmi della vostra condizione di salute e di ciò che vi è accaduto in questo lungo tempo, ma come vedete il protocollo richiede che almeno finché il sovrano ospite non sciolga la seduta diplomatica ufficiale, la delegazione ospitata non lasci il tavolo d'onore. Ed anche ora che i colloqui sono terminati insieme alla cena, non ci si può allontanare tutti insieme. Teano ed Aiolia hanno mandato me a salutarvi anche da parte loro e reco un messaggio dalla nostra Sacerdotessa: vorrebbe incontrarvi nei suoi alloggi privati domattina, prima che riprendiamo la strada di casa-.
June fece guizzare uno sguardo verso il palco, cogliendo un fugace sguardo sia della sua amica Teano che del Saint del Leone, e poi garbatamente abbozzò un inchino marziale che male si sposava con il suo abbigliamento all'indirizzo del suo adorato interlocutore.
-Potete riferire che ci sarò, Aiolos... E a voi dico che anch'io sono estremamente felice nell'incontrarvi!-. Non riuscì a reprimere l'incrinazione di gioia nella voce.
Parlarono amabilmente per qualche minuto ancora. Il Grande Sacerdote le chiese come si trovasse in quel posto e se qualche spiraglio si fosse aperto nella ricerca della soluzione dei suoi problemi. La giovane si trovò a dover dare una mesta spiegazione di come ancora la sua situazione rappresentasse un mistero persino per sé stessa e di come il suo inserimento nel contesto nordico fosse complesso, soprattutto a causa del fattore umano rappresentato dagli abitanti di Asgard.
Proprio in quel momento l'attenzione della sala intera fu calamitata dalla voce cristallina della regina Flare, la quale si era alzata ed avvicinata alla gradinata discendente dal palco.
-Nobiluomini e nobildonne... Dame e cavalieri... Si dia inizio alle danze-.
E con quelle parole alzò il braccio destro al suo fianco. Per un istante non accadde nulla ed un baleno di gelo attraversò l'altrimenti serafico volto della sovrana, ma immediatamente le cose ripresero il corso del protocollo e la sua candida mano venne presa con tocco leggero da Hagen. Insieme i due scesero i pochi gradini che li separavano dalla sala seguiti immediatamente da Teano ed Aiolia e, serena lei e teso lui, iniziarono a ballare sulle note di un valzer.
June, a quella vista, non riuscì a controllare la reazione delle sue membra le quali si irrigidirono di colpo, mentre i suoi pugni si stringevano convulsamente. Senza volerlo si accorse di sentirsi terribilmente male, schiacciata tra un recondito senso di fastidio e la vergogna di provarlo.
Ma durò poco, perché subito una voce la distrasse da dissertazioni mentali che non avrebbe mai voluto fare sul motivo per cui si sentisse in quel modo. -A quanto pare tuttavia, sorella, non tutto il fattore umano è così discutibile in queste terre...-.
Quando spostò lo sguardo coperto dalla maschera dalla sala da ballo al suo fianco, ciò che incontrò furono i caldi ed indulgenti occhi sorridenti di Aiolos. Avvampò per essersi mostrata così limpida sebbene il suo volto fosse comunque nascosto.
-Io... Non capisco a cosa vi riferiate...- tentò, ma con scarso successo.
Il Saint del Sagittario le riservò il più amorevole dei suoi sorrisi e scosse la testa. -A nulla, mia cara. A nulla... Ora, però, gradirei danzare con una fanciulla leggiadra vostra pari, sorella mia. Mi farete questo onore?-.
Lei era lì per accettare con gioia, ma non ne ebbe il tempo. La sua mano sinistra venne catturata da una più grande e salda in una presa che la costrinse a girarsi appena. E lì il respiro le morì in petto.
-Chiedo venia, Comandante, ma il primo ballo della fanciulla è riservato-.
Due occhi azzurri e travolgentemente belli calarono su di lei come un rapace su una preda. -In realtà lo è da parecchio tempo...-.
Albafica non attese la risposta di Aiolos e, con quelle parole, trascinò delicatamente la ragazza con sé in mezzo alle altre coppie danzanti e, una volta al centro della sala, la strinse al suo petto fissandola seriamente negli occhi vacui della maschera. Erano talmente vicini che June poteva percepire il battito del cuore del Saint attraverso la scintillante Cloth che lui indossava... O forse era il proprio?
Fece fatica a realizzare che stavano danzando, con lui che la portava come fosse leggera al pari di una piuma. Era confusa, non riusciva a focalizzare cosa stesse accadendo e dove Albafica volesse arrivare. Di una cosa era certa, però: la presa salda della mano di lui sulla sua la terrorizzava e la ammaliava allo stesso tempo. Alla fine, però, l’irritazione ebbe la meglio sulla soggezione e quando parlò il tono di voce che le uscì non lasciava adito a quale fosse il suo stato d’animo.
-Ebbene, Cavaliere? Spiegatemi cosa significa questo teatrino e fatelo in fretta prima che decida di lasciarvi qui in mezzo da solo!-.
Nulla. Ci sarebbe voluto altro per scalfire quel blocco di meraviglioso marmo pregiato che lui rappresentava che una battuta tagliente, neppure supportata da uno sguardo della medesima risma. Di fatti i lineamenti perfetti di Albafica non si alterarono affatto mentre continuava a fissare la maschera.
-Non mi stupirei affatto se lo faceste, visto l’innato talento per la fuga che già quella volta al Santuario avete dimostrato di possedere, mia signora. Tuttavia desidero rammentarvi che abbiamo una conversazione in sospeso noi due ed ho reputato che questo fosse l’unico modo per terminarla. Non tentate di negare, June: se non vi avessi messa davanti al fatto compiuto trascinandovi qui, sareste fuggita come la scorsa volta se solo avessi provato ad avvicinarmi…- replicò secco.
Un attimo dopo le sue iridi cerulee ebbero un guizzo ed un sorriso beffardo gli piegò appena le belle labbra. –Siete una fonte continua di sorprese, fanciulla… Ed il fatto che non vi arrendiate neppure davanti alle evidenze più schiaccianti non fa altro che avvalorare la mia convinzione-.
-Che intendete?- sobbalzò lei, stupita da tale asserzione.
-Intendo che la minaccia di lasciarmi qui da solo in pista è chiaramente un bluff. Siete stata tutta la sera in disparte in un vano tentativo di non farvi notare da nessuno, fallendo miseramente visto che siamo in una corte in cui curiosità e pettegolezzo sono la regola quotidiana. Vi ho osservata per tutto il tempo, sapete? Ebbene, su questa base voi mi vorreste far credere che fareste una scenata come quella promessami, attirando così le attenzione di tutti? Guardatevi attorno June: già il fatto che stiate danzando con me non è passato indifferente a questa masnada di nobili annoiati…-.
La ragazza, con un gesto accennato della testa, lanciò uno sguardo attorno a sé e constatò che le parole di Albafica erano vere: i ballerini attorno a loro riservavano a lei ed al cavaliere occhiate eloquenti, seguite subito dopo da mormorii. Infine, senza volerlo, i suoi occhi incrociarono quelli di ghiaccio di un giovane uomo che, dall’altra parte della sala, danzava con la regina: anche Hagen la stava guardando e la cosa le fece mancare il fiato.
Tornò di colpo a guardare il viso del suo compagno di ballo, imponendosi di non lasciarsi colpire dal fatto di essere al centro di quell’indesiderata attenzione da parte della corte e di quella del suo maestro che la stava stordendo e confondendo allo stesso tempo. Così si arrese.
Stancamente alzò di nuovo il viso verso quello di lui e abbandonò ogni resistenza, lasciando finalmente che il loro danzare divenisse fluido ed armonico. -Cos'è che volete da me, Albafica? Volete sapere come sia possibile che sia sopravvissuta al vostro veleno quella notte? Ebbene, Cavaliere: io non lo so, non ne ho la più pallida idea! E' uno dei tanti motivi per cui mi sono vista costretta ad abbandonare il Santuario... Io non so più chi sono e cosa accada nella mia vita, quindi no: non ho risposte per placare i vostri dubbi e rendervi le cose più semplici!-.
Il valzer terminò il quell'istante e, compitamente, Albafica si profuse in un'elegante riverenza, spingendola a fare altrettanto. Eppure non lasciò la sua mano come June si era aspettata che avrebbe fatto, ma la tenne nella sua mentre con garbo la conduceva di nuovo al limitare del salone. Quando furono soli in un angolo il giovane si schiarì la voce e la fissò accigliato.
-Sapevo già le cose che poc'anzi mi avete detto. La vostra partenza dal Grande Tempio ha destato un grande stupore in tutti e molte congetture sono corse nelle fila dei cavalieri per cercare di indovinare quali potessero esserne i motivi, visto che né la venerabile Teano né il Grande Sacerdote Aiolos hanno dato spiegazioni a chicchessia- spiegò il Saint dei Pesci in un tono indecifrabile.
Grazie agli Dei! pensò June, in un moto di gratitudine verso la discrezione che aveva mosso la giovane celebrante ed il massimo portavoce del Santuario, a lei entrambi così cari.
Poi un dubbio la fece parlare. -E voi cosa avete pensato?-.
Albafica inspirò profondamente assumendo un'aria grave.
-Ho pensato che la vostra "fuga" fosse il chiaro sintomo di qualche macchinazione da parte vostra. Chiunque lo avrebbe fatto al mio posto: dopo il nostro affatto piacevole colloquio siete letteralmente scappata dal Grande Tempio... Anche qualcuno meno sveglio di me ci vedrebbe un'implicita ammissione di colpevolezza, soprattutto in virtù del fatto che vi ho detto che vi avrei potuta considerare una minaccia... Poi per due mesi più nessuna vostra notizia, almeno finchè non abbiamo messo piede in questa sala, vedendovi-.
La ragazza strinse convulsamente la stoffa della gonna tra le mani lasciando intravedere un certo nervosismo. Il cavaliere notò la cosa così si affrettò ad aggiungere -Sono certo che voi sapeste del nostro arrivo come delegazione diplomatica, ma nonostante ciò non siete fuggita. Ebbene, per me ciò è stato sufficiente per scagionarvi da ogni accusa-.
Lei abbassò lo sguardo in terra, titubante. -Forse se avessi saputo che anche voi avreste fatto parte della delegazione avrei evitato di farmi notare. Ma a questo punto, e ripeto forse, devo ammettere che è andata meglio così. Sono lieta che vi siate ricreduto su di me... Ora, se non vi dispiace, io andrei...-.
Albafica la interruppe mentre stava voltandosi per allontanarsi, prendendole di nuovo la mano. -C'è un'altra cosa che debbo dirvi, June, poi sarete libera di piantarmi in asso qui-.
La situazione si stava facendo esasperante e notevolmente fuori dalla portata del suo limite di sopportazione. Non solo il solitario, misantropo e taciturno Cavaliere dei Pesci quella sera era incredibilmente loquace, ma il fatto che la stesse toccando così frequentemente la stava mettendo in uno stato d'agitazione che sfuggiva al suo controllo. Ma il suo carattere, sebbene fragile e spesso impressionabile, non era poi così remissivo: infatti, dopo aver deglutito un paio di volte a vuoto, le era venuto spontaneo parlare al Saint con una franchezza smarrita che sapeva di disperazione.
-Albafica, io davvero non riesco a capire quale sia il vostro gioco... Cos'è che volete da me? Siete famoso per essere uomo solitario, schivo e distaccato, ma verso di me mostrate un interesse che non riesco a spiegarmi! Vi prego...-.
Il giovane aggrottò la fronte assumendo un'espressione sconcertata che mal si combinava con l'immagine che da sempre dava all'esterno. 
-Non riuscite a spiegarvelo? June, io sono velenoso! Il contatto fisico con me rischia di essere letale a causa del mio sangue! E' da quando venni investito Cavaliere che non ho mai più neppure sfiorato un essere umano e questo perchè l'ultima persona che ha subito il mio tocco è morta: era il mio maestro, Lugonis. E poi dopo tantissimi anni di isolamento… Ecco che sulla mia strada compare una ragazzina che inspiegabilmente è immune al siero letale delle mie rose e che non subisce il minimo influsso al mio tocco! June io… Io sono rimasto sconvolto! Capite cosa voglia dire dopo tanto tempo trovare un essere che in un modo contorto mi è complementare? Vuol dire non essere più solo…-.
Qualcosa si sciolse nell’anima della ragazza quando comprese che le parole di lui non avevano il sapore della minaccia, come aveva creduto in quell’incontro al Santuario che aveva scatenato la sua decisione di andarsene, bensì quello della speranza.
-Io non so cosa dire, Albafica…-.
-Non dovete dire niente, perché niente c’è da dire. Ma una cosa dovete saperla: quello che è accaduto quella mattina al Grande Tempio ha sancito tra noi un legame che trascende qualsiasi cosa, sacra o meno che sia. Voi mi avete reso la speranza e la fiducia nella vita e, per ciò, non mi sento più solo. Sono in debito con voi, fanciulla, e voglio che teniate a mente che in me avrete un leale amico e sostenitore. Sempre e comunque…- chiosò lui, fissando uno sguardo limpido ed intenso sugli occhi inespressivi della maschera.
Tacquero e June ebbe come l’impressione che in quell’istante, sebbene fossero circondati da decine di persone, loro due fossero soli. Si sentì boccheggiare per l’impetuosità di quella sensazione e le venne un’istintiva voglia di piangere per l’emozione e fuggire. E stava davvero per farlo, ma uno schianto provocato dallo spalancarsi improvviso delle porte ed un intenso vociare attirarono la sua attenzione sul fondo della sala.
Poi il tramestio fu interrotto dal suono squillante e nitido di una voce appena fuori l’entrata della stanza.
-Noto con piacere che state facendo festa, popolo di Asgard. Male, molto male. Molto poco riguardoso verso di me che ero in missione per far dormire a voi, opulenti smargiassi ingrati, sonni tranquilli. Vi perdono soltanto perché, a quanto pare, non vi state neppure un gran che divertendo… Tranquillizzatevi cortigiani, ospiti stranieri e Vostra Graziosissima e Leggiadrissima Maestà: sono tornato e tutto ora sarà decisamente migliore!-.
La voce maschile e profonda era risuonata di un tono irriverente, presuntuoso e tutt’altro che deferente. June fu subito colpita da ciò, dal momento che da quando viveva ad Asgard non aveva mai udito nessuno rivolgersi alla Regina ed alla corte in quella maniera. Curiosa, quindi, fece qualche passo verso il capannello che si era formato al centro della stanza e si alzò in punta di piedi.
La folla si era aperta formando un corridoio umano che congiungeva l’ingresso con il centro della pista da ballo dove Flare, Hilda, i God Warriors e la delegazione ateniese erano rimasti fermi ad assistere alla scena del nuovo arrivato. Dall’uscio, poi, June vide farsi avanti una figura scura, avvolta in un mantello cremisi che si spalancò di colpo rivelando un’intricata armatura verde cupo, sporca di quelli che parevano essere sangue e polvere, a fasciare le alte membra del guerriero che aveva appena fatto il suo ingresso.
L’uomo avanzava con andatura sicura, incurante del vociare della corte che lo circondava, fiero e sprezzante nella sua camminata marziale. Mentre procedeva si portò le mani alla testa e si sfilò l’elmo la cui foggia era inequivocabilmente quella della testa di una tigre dai denti a sciabola. La luce immediatamente si riflesse nel guizzo ammiccante e spregiudicato dei suoi occhi, due stille intense di miele scuro grondanti sagacia, ambizione e sfrontatezza. Come se fosse perfettamente a suo agio in quella situazione, poi, il cavaliere sorrise sornione mentre si passava una mano nei bizzarri capelli a spazzola che terminavano in un lungo ed insolito codino.
Giunto a pochi passi dalla Regina, infine, l’uomo si fermò e senza smettere di sogghignare disse –Grazie, Maestà, per aver omaggiato il ritorno dell’eroe con quest’inattesa festicciola. Non incontra molto il mio gusto personale, vista l’eccessiva quantità di maschi presenti, ma diciamo che in sostanza posso farmela andare bene… D’altro canto, in mezzo ad un branco di pecoroni un ariete finisce sempre per distinguersi…-.
Quasi non finì di proferire tali parole che il guerriero si voltò alla sua sinistra, prese il polso di una giovane cortigiana che lo fissava con estatica ammirazione e, senza preoccuparsi minimamente di dove fosse, la strinse a sé e la baciò sulle labbra.
June trasalì, sconvolta dalla visione di tanta sfrontatezza, mentre nella sala il brusio aumentò di colpo di intensità. Ma non durò molto, perché una seconda voce furente sovrastò il mormorio e lo azzerò.
-Questo è troppo, insolente bifolco! E’ l’ultima volta che infanghi l’onore della casa regnante e di questa corte con i tuoi comportamenti da bamboccio viziato. Se gli astanti una volta di più saranno disposti a passarci sopra, beh: io no e dovrai rendermene conto, qui e ora!-.
Era Hagen, il quale aveva raggiunto i due a poca distanza, aveva strattonato la giovane cortigiana dall’altro guerriero ed ora lo fronteggiava a pochissimi centimetri di distanza, contrapponendo un’espressione feroce a quella sprezzante dell’altro.
-Ed ecco a voi tutti il Ronzino Plurizampato, protettore dell’inesistente virtù di questa corte! Ci avrei giocato l’armatura che saresti scattato come una molla… Rilassati, equino: l’invidia è una brutta bestia, rischi di avere un travaso di bile. E sono certo che la nostra venerata Maestà non vorrebbe mai che tu ne avessi uno… Ops, o forse sì?!-.
La reazione di Hagen alla provocazione fu immediata, tanto che caricò il colpo con l’intenzione di fargli quanto più male avesse potuto. –Maledetto figlio di…-.
-Adesso basta-.
La voce calma e serafica di Siegfried richiamò immediatamente l’attenzione di tutti, anche dei due contendenti. Il comandante supremo impose la sua alta figura immettendosi tra i suoi subordinati e fissandoli entrambi con occhi glaciali. Hagen non disse niente e si limitò a lanciare prima al generale ed infine all’altro God Warrior un’occhiataccia gelida, per poi ritirarsi compostamente in direzione della Regina.
Dal canto suo, il nuovo arrivato si ricompose e, portandosi una mano al petto, abbozzò un saluto marziale a Siegfried, assumendo un tono completamente diverso da quello sino a quel momento tenuto. Si notò subito che, con grande probabilità, il suo generale era l’unica figura gerarchicamente superiore che egli riconoscesse, a discapito persino di quella della Regina che aveva sbeffeggiato fino a qualche istante prima.
-Salute, comandante. Sono ora di ritorno dalla missione e…-.
Siegfried lo interruppe con un gesto secco. –Non è questo il momento di fare rapporto, come vedi siamo nel pieno di un incontro diplomatico e di una festa. Perciò, ora, pensiamo solo a goderci la serata. Parleremo in seguito…-.
A quelle parole la festa riprese quasi come se nulla fosse accaduto.
June era interdetta mentre osservava attorno a sé qualcosa che davvero non capiva: Asgard era un luogo dove l’onore, il rispetto e la legge marziale prevalevano su tutto. Ed in virtù di questi motivi si sarebbe aspettata che l’irriverente guerriero fosse giustiziato su due piedi dallo stesso Siegfried solo per aver guardato in modo non consono la Regina e la Celebrante di Odino. Invece quel guerriero non solo non aveva subito l’ira funesta né del generale né della sovrana, ma ora si stava godendo la festa tracannando vino da grossi corni vichinghi che due prosperose e starnazzanti cortigiane gli porgevano di continuo, strusciandoglisi addosso in modo lascivo e permettendogli di palparle impunemente di fronte a tutti.
Sentì le gote bruciargli per l’imbarazzo e l’umiliazione oggettiva che una qualsiasi donna con un briciolo di dignità avrebbe provato assistendo a quell’infimo teatrino. E la sua indignazione crebbe quando pensò al modo in cui Hagen, l’unico che aveva provato a riportare un po’ di decoro e giustizia, era stato gelato e relegato ad un angolo. Sentì le unghie penetrarle nel palmo tanto stava stringendo i pugni.
Un movimento alla sua sinistra la distrasse e, quando si volse, incontrò di nuovo gli occhi di Albafica ora calmi ed interrogativi.
-Cos’avete, June?- le domandò perplesso.
-Cos’ho mi chiedete? Ma non avete visto cos’è appena accaduto?! E’ un’indecenza, Albafica! Neppure al Tempio, luogo notoriamente meno rigido rispetto a  questa corte, un episodio del genere sarebbe passato in sordina e sarebbe stato punito seduta stante! Quell’uomo è un… Un…-.
-E’ uno dei migliori combattenti che Asgard abbia mai annoverato nelle sue file, fanciulla-.
La risposta serafica eppure categorica del Gold Saint la lasciò senza fiato.
-Come potete elogiare un uomo dalla condotta tanto riprovevole?- domandò indignata.
Albafica stava guardando l’oggetto della loro conversazione ed un sorriso appena accennato gli incurvò le labbra. –Non lo sto elogiando, sto semplicemente esponendo un dato di fatto. La Tigre del Nord è tra i guerrieri più forti, feroci, efficienti e potenti di queste terre. Senza di lui Asgard accuserebbe una perdita notevole in ambito bellico e solo gli Dei sanno quanto debbano scongiurare un’eventualità simile, viste le dimensioni già esigue dei loro possedimenti. E’ per questo che il suo carattere eccentrico viene tollerato: sarà anche uno sbruffone presuntuoso, ma sul campo di battaglia è implacabile e letale. Ed anche se non sembra, possiede un senso dell’onore, dell’amicizia e del dovere profondissimi. E’ un guerriero implacabile ed un vero uomo-.
-Lo conoscete bene, a quanto vedo-.
-Io sono l’Ambasciatore del Grande Tempio costantemente inviato in questa terra, June. Conosco i God Warrior da molti anni e devo ammettere che tra tutti lui è quello che ho sempre preferito, con tutti i suoi limiti…-.
-Ma si può sapere chi è?- domandò infine lei, irritata.
Albafica sogghignò, notando il guerriero fracassare un corno contro un muro e prendere una fanciulla per i glutei, baciando selvaggiamente anche lei. –Lui è Cyd di Mizar, June. La Tigre del Nord-.
In quel preciso momento una voce alle loro spalle li distolse dal discorso.
-Perdonate se interrompo questa rimpatriata ma… Ho dei doveri verso la mia allieva che per troppo tempo questa sera ho trascurato. Permettete che la porti via, nobile Albafica?-.
June si volse per incontrare lo sguardo di Hagen che le porgeva galantemente una mano. Il cavaliere sembrava essere ancora irritato, ma nel suo tono la ragazza colse un disperato bisogno di abbandonare quella condizione, perciò gli concesse la mano e lo seguì verso la pista da ballo in preda ad un’incredibile emozione.
Albafica li osservò allontanarsi, accigliato, e non tolse loro per un attimo gli occhi di dosso anche mentre ballavano e poi chiacchieravano amabilmente dall’altra parte della stanza.
-Chi non muore si rivede, vero Albafica dei Pesci?-.
Trasalì quando si sentì appellare da una voce ormai familiare. Sorrise e, senza voltarsi, rispose.
-Di certo quello meno morto tra i due, qui, sono io quindi se proprio non avessimo dovuto rivederci non sarebbe stata certo colpa mia…-.
L’interlocutore rise veracemente e gli si accostò. Albafica si volse appena nella sua direzione, riservandogli uno sguardo obliquo.
-Se non date scandalo almeno una volta al giorno il vostro ego ne risentirebbe, Cyd? Ve lo chiedo perché, inesorabilmente, ogni volta che mi trovo qui ad Asgard assisto a qualche interessante scena che casualmente vi vede sempre come protagonista…-.
-C’è chi nasce per essere un vincente e chi è destinato all’oblio per tutta la sua esistenza, cavaliere. Nella fattispecie il sottoscritto appartiene alla prima categoria, quindi è inevitabile che io sia perennemente alla luce dei fuochi sacri! Al contrario c’è gente mia parigrado che, inesorabilmente, per quanto ci provi non riesce a tenere la scena per più di qualche misero secondo… Onde non l’aveste capito mi riferisco al caro cavallino. Povera anima infelice… Nemmeno mio fratello Bud che è un’Ombra vive più nell’ombra di lui! Mi fa quasi pena… Anzi no, non me ne fa-.
Albafica pensò che la Tigre del Nord non si smentiva mai: Cyd era proprio uno spaccone pieno di prosopopea, ma chissà per quale assurda alchimia lo trovava piacevolmente divertente. Fu per quel motivo che decise di provocarlo.
-Voi dite che vive nell’ombra, eh? Beh, amico mio, al momento direi che il cavaliere di Merak è l’uomo più chiacchierato della sala…-.
Gli occhi ambrati di Cyd si tuffarono nei suoi, colmi di sospetto e curiosità. –Che intendete?-.
Il Santo dei Pesci fece un gesto con la testa in direzione del lato opposto della sala, poi elucubrò –Intendo che in questo momento lui è in compagnia di una misteriosa e fascinosa fanciulla di cui tutti vorrebbero sapere di più. Voci di corte la vogliono come sua allieva, residente con lui nella Grotta del Meriggio… Vi lascio immaginare il fervore che circola intorno a quei due, probabilmente non si parlerà d’altro per un bel po’…-.
Lo vide fissare i suoi particolarissimi occhi su di loro e seguire i loro spostamenti per un po’. E notò anche che, quando Hagen si allontanò da lei per qualche motivo, gli occhi di Cyd rimasero però immobili sulla figura di June. Un insolito brivido gli corse lungo la schiena ma si riscosse subito quando il God Warrior parlò di nuovo.
–Niente male la bambina, quel vestito lascia intuire un corpicino davvero interessante. Ed il fatto che porti la maschera, poi, è seriamente stuzzicante… Tutte attrattive in più rispetto al fatto che lampantemente la piccola piace all’equino… Bene-.
Le parole uscirono dalla bocca di Albafica quasi senza che lui se ne accorgesse, intrise di una punta di velenoso monito. -Vi consiglio prudenza, Cyd, sebbene io sappia quanto amiate il rischio. La ragazza è un’ex Saint di Athena ed ora è sotto la protezione della Regina…-.
Cyd ghignò, fissandolo obliquamente. –Oh, ma io non ho nessuna cattiva intenzione, amico mio. Non temete… Sono un cavaliere e come tale, prima o poi, mi limiterò ad offrirle i miei omaggi-.
Albafica si rilassò, constatando che il tono di voce di Cyd non era beffardo, ma serio. Quello che non colse, invece, fu il lampo che attraversò i suoi occhi all’ultima occhiata che riservò a June prima di congedarsi da lui e tornare dalle rumorose cortigiane che lo reclamavano.
Certo che le offrirò i miei omaggi, pensava Cyd mentre beveva e camminava verso le impudiche ed appariscenti fanciulle.Può starne certa come altrettanto potrà esserlo il suo amato maestro… Ah, che bello essere a casa.

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Capitolo 7
*** Cap.7 ***


CAPITOLO 7
 

Sebbene l’inverno asgardiano constasse di quasi sei mesi di buio completo, June non ci aveva messo molto ad abituarsi alla mancanza di punti di riferimento per la scansione del tempo. O, almeno, non essendo in grado di trovarne in natura si era da subito affidata al suo spirito di osservazione che in breve tempo aveva soddisfatto le sue necessità. Non essendo mai stata un’amante dei sonni prolungati, sin dai primi giorni in cui aveva risieduto nella Grotta del Meriggio si era alzata nel cuore dell’oscurità per recarsi al Picco della Preghiera a osservare il mare in cerca delle tanto agognate risposte. Di quelle, purtroppo, non ne aveva trovate ma non tutto era stato vano: da quel punto, di fatti, aveva una visuale nitida di Palazzo Polaris dal basso, anche di punti che frontalmente non si vedevano come, ad esempio, le finestre delle cucine e dei locali di servizio. Frequentando il castello era venuta a sapere che i lavori iniziavano a fervere più o meno nel lasso temporale che in Grecia avrebbe potuto essere definito come l’alba. Fu in quel modo che imparò a scandire il tempo laggiù, ossia osservando come e quando le attività della popolazione si avvicendavano.
La mattina successiva alla festa fu esattamente uguale a tutte le altre dell’ultimo mese. Seduta mestamente sulla piattaforma rocciosa del Picco, June ripensava a quanto accaduto la notte precedente in attesa di vedere Palazzo Polaris rianimarsi di vita e raggiungere così le stanze della delegazione di Atene per poter finalmente parlare in pace con i suoi amici.
Quando aveva aperto gli occhi nel suo letto nella Grotta, subito era stata invasa dalla fugace speranza che quel giorno avrebbe portato enormi novità nella sua vita. Non avrebbe potuto essere diversamente: avrebbe rivisto le persone a lei più care dopo un lungo periodo in cui aveva sentito terribilmente la loro mancanza e inoltre la sera precedente aveva passato momenti piacevoli ed intensi con il suo maestro, il quale le sembrava stesse mostrandole un’attenzione e una premura così particolari da farle pensare che, forse, avesse iniziato a guardarla con occhi diversi. Con gli occhi con cui, probabilmente, lei aveva già da qualche tempo iniziato a guardarlo a sua volta. Quel pensiero le aveva scaldato le membra recando un sorriso sornione sulle sue labbra che però si eclissò subito quando un altro dettaglio le sovvenne alla memoria: Albafica e le parole che le aveva detto. Il ricordo le fece provare un’intensa fitta allo stomaco: come avrebbe dovuto porsi davanti ad una tale profondità di sensazioni? Ciò che il Gold le aveva rivelato non aveva nulla di frivolo ed assumeva i contorni di una situazione estremamente seria ed ineluttabile. Si chiese, altresì, se quell’uomo nella sua effimera ricerca di riempire la solitudine della sua vita le stesse affidando un ruolo eccessivo per il quale lei non fosse né all’altezza né tantomeno realmente idonea. Decise di scacciare l’ansia che quel senso di responsabilità le aveva recato addosso e, vestendosi in silenziosa fretta per non disturbare il riposo di Hagen che dormiva in una nicchia della Grotta non lontana da quella occupata da lei, si legò la sua frusta alla cintola e uscì di corsa convinta che quel giorno il mare oscuro le avrebbe recato delle risposte e che il Canto sarebbe tornato a guidarla verso il suo destino.
Eppure era lì ormai da un tempo indefinito e nulla era capitato. L’oscurità rimaneva fitta e densa sulle acque del Mare del Nord ed il Canto che per tanto tempo aveva albergato dentro di lei era rimasto una volta di più silente. Un senso di sconfitta le calò addosso come una scure ed improvvisamente l’entusiasmo per l’incontro con Teano ed i Gold Saints svanì, lasciando il posto ad un amaro senso di fallimento ed inadeguatezza che la fece vergognare di presentarsi al loro cospetto dopo tutto quel tempo e con tutti i presupposti con cui aveva lasciato il Santuario senza risultato alcuno.
“Eppure sono qui orientata all’obiettivo… Credevo che qualcosa si sarebbe smosso grazie alla predisposizione spirituale ottenuta grazie alla vicinanza con persone con un così alto codice etico e d’onore…”
Immediatamente, però, a quel pensiero non riuscì a contenere un moto di autocensura.
“Non tutti, comunque, hanno dimostrato di possedere queste qualità che io ho bisogno di apprendere per qualificarmi. La Regina, sua sorella, Siegfried, Hagen e gli altri God Warriors sono sicuramente gente degna di essere stimata e guardata come esempio. Ma quell’uomo… Quel Cyd di Mizar… É davvero ripugnante, tutto quello che ho sempre cercato di evitare. Albafica può dire o pensare ciò che vuole ma per quel poco che ho visto ho capito che quell’uomo porta con sé una lordura interiore contagiosa. Devo starne alla larga, l’ultima cosa di cui ho bisogno sono guai…”
Talmente era presa da quegli sdegnosi pensieri da non essersi accorta che le luci di Palazzo Polaris si erano accese da un bel pezzo. Quando realizzò il tenue vacillare dei guizzi luminosi, perciò, si riscosse e sorrise, alzandosi velocemente e avviandosi verso il maniero.
C’era un appuntamento al quale mai e poi mai avrebbe voluto mancare.

 
Aiolia si alzò bruscamente dalla sedia e, con espressione torva, si avvicinò alla finestra dell’anticamera degli appartamenti riservati a Teano.
Alle sue spalle, seduti a un tavolino sul quale era imbandita una sontuosa colazione, suo fratello Aiolos e la Celebrante di Athena osservavano la sua reazione alle constatazioni fatte poc’anzi. Ma non fu nessuno di loro due a prendere la parola per primo: dall’ombra di un separé, semi sdraiato su un sofà accanto al ruggente fuoco del camino, Albafica parlò con voce calma e quasi asettica.
-Non capisco che bisogno tu abbia di agitarti in questo modo, Aiolia, ogni volta che si tocca l’argomento “Cyd di Mizar”. E poi, perdonami, ma qui ognuno è libero di avere le proprie opinioni in merito e tu non hai certo diritto di profonderti in queste scene da osteria di quart’ordine-.
Il Leone Dorato si volse di scatto con la mascella serrata.
-Non farmi la morale, Albafica. Da te, che non so per quale motivo non fai mistero della tua simpatia per quel ripugnante ratto di fogna, proprio non l’accetto!-.
-Non sarà forse che vi brucia ancora l’umiliazione inflittavi da Cyd un paio di anni fa durante quel duello, Aiolia?-. Teano proferì quelle parole in tono leggero ma evidentemente provocatorio, mentre con un gesto casuale sorseggiava un infuso caldo senza guardarlo.
Il Saint avvampò in una commistione di vergogna, rabbia e amor proprio ferito. L’episodio si ripresentò alla sua memoria vivido e bruciante come non mai…
Un paio d’anni addietro in occasione di un’altra visita diplomatica della delegazione del Grande Tempio ad Asgard, la sua prima ufficiale da Guardia personale di Teano, Aiolia non era riuscito a trattenere l’impeto del suo fervido carattere iracondo. Di fatti, proprio in un contesto simile a quello della sera precedente, lo scellerato ed irriverente Cavaliere di Mizar aveva osato avvicinare la bella Teano sottoponendola a delle avances a sfondo fisico talmente esplicite da non poter essere fraintese con galanti tentativi di corte. Era stato così che Aiolia si era lasciato prendere la mano, perdendo il lume della ragione ed aggredendo fisicamente il giovane God Warrior nel bel mezzo del banchetto, appellandolo con epiteti indegni di un Gold Saint di Athena.
La situazione avrebbe preso una piega diplomaticamente disastrosa se, come sempre, Siegfried non fosse intervenuto nell’alterco proponendo che l’offesa recepita dal Leone Dorato fosse lavata nel modo più onorevole che un asgardiano conoscesse: un duello al primo sangue, trattandosi di fattispecie di entità non gravissima, ma pur sempre uno scontro che avrebbe portato alla stilla atta a purificare l’onore lordato della bella Sacerdotessa.
Teano aveva provato ad opporsi, liquidando il comportamento del Mizar come un goliardico tentativo di metterla a suo agio, ma Aiolia non aveva voluto sentire ragioni, conscio invece della reale natura delle rudi attenzioni che l’altro aveva dedicato alla giovane donna: era stato così che, a seguito della proposta del Comandante del Nord, si era avvicinato alla Tigre e lo aveva schiaffeggiato, sancendo la sua sfida.
Cyd, dal canto suo, non si era scomposto minimamente e si era limitato ad accettare il duello con un ghigno feroce dipinto in faccia.
Il Gold Saint non volle attendere l’indomani così, sotto gli occhi preoccupati di Teano, Flare e Hilda, quelli severi di Siegfried ed Aiolos, quelli divertiti di Hagen, Albafica e degli altri God Warriros e quelli eccitati dell’intera corte, si erano spostati tutti nella piazza d’armi sotto la statua di Odino per procedere al combattimento.
Una volta che tutti ebbero preso posto nel colonnato sovrastante l’arena, nella quale i due contendenti già si fronteggiavano, Siegfried aveva dato il via libera allo scontro.
Aiolia si era voltato per porgere cavallerescamente i suoi omaggi ai presenti, come sarebbe stato confacente per ogni cavaliere degno di quel nome, ma proprio in quel momento aveva sentito un rapido spostamento d’aria nei suoi pressi. Non aveva fatto in tempo a girarsi che il suoi occhi si erano trovati davanti quelli sprezzanti e avvolgenti del suo avversario.
Fu un secondo: un lieve senso di bruciore gli pervenne dal proprio zigomo e subito la voce di Siegfried a decretare la fine dello scontro.
Il Leone di Grecia era rimasto annichilito, ad occhi sbarrati per qualche istante, poi si era portato la mano al volto: sulla guancia destra percepì nitidamente al tatto un piccolo taglio che stillava sangue.
Nel silenzio sorpreso che era calato sugli astanti che avevano assistito alla scena, il ruggito indignato di Aiolia aveva risuonato come una sentenza di morte. Ma il cavaliere di Dubhe non si era fatto impressionare ed aveva sottolineato nuovamente la vittoria del suo compagno.
A nulla erano valse le proteste di Aiolia, il quale aveva gridato al comportamento disonorevole ed all’inganno. Le parole dello stesso Cyd, il quale gli si era avvicinato e gli aveva messo una mano su una spalla in modo beffardo, erano valse come una doccia più fredda del clima di Asgard.
-Non è colpa di noi asgardiani se non siamo usi a tutte le moine di voi ateniesi, Leone. Il via alla lotta era stato dato ed io sono il guerriero più veloce di questo paese… Non c’è trucco né inganno, non ho colpa io del fatto che “voi abbiate presupposto bisognasse onorare i presenti”. Io sono responsabile per le mie azioni, non per i vostri pensieri. Osereste accusarci di essere dei guerrieri senza onore proprio entro i nostri confini e davanti a un’evidenza così schiacciante? Fatevi un favore, cavaliere: evitatevi lo scherno di parlare ulteriormente e fatevi da parte…-.
Era stato così che, travolto dall’ineluttabilità della situazione, Aiolia aveva dovuto ingoiare l’amaro boccone della sconfitta chinando la testa, con l’aggravante di aver pubblicamente fatto la figura dello sciocco.
Da quel giorno in avanti lui ed il cavaliere di Mizar si erano reciprocamente riservati un particolare sprezzo reciproco, il quale aveva dato adito quella mattina all’invettiva sdegnata del Leone relativa alla scena consumatasi la sera prima nel salone da ballo.
Eppure Aiolia si sarebbe aspettato tutto tranne che Teano lo rimbrottasse in modo così sottile, soprattutto perché quella volta lui si era esposto solo ed esclusivamente per salvaguardare il suo onore di fanciulla. Almeno questa era la versione che lui stesso si raccontava…
Fu per questo che il giovane, punto nel vivo, si chiuse in un offeso mutismo guardando fuori dalla finestra e dando le spalle agli altri, paonazzo in volto per lo scorno.
-Suvvia, dolce Teano, ed anche voi, Albafica… Non credete di essere troppo severi con il mio giovane ed avventato fratello? Dovete ammettere che, a prescindere da quel famoso precedente, va riconosciuto in favore di Aiolia che il cavaliere di Mizar è un personaggio quanto meno… “colorito”…- esordì Aiolos, cercando di smorzare l’atmosfera che si stava facendo tesa.
-Non sempre l’integerrima rettitudine è sinonimo di onore e valore, Comandante… I costumi pubblici di Cyd non fanno di lui un guerriero ed un difensore di Asgard meno valoroso di quello che in effetti è. Possiamo limitarci a giudicare un uomo soltanto per ciò che agli altri dà a vedere? Se così facessimo io stesso non risponderei ai canoni del paladino dell’amore e l’altruismo che la nostra Dea incarna… Eppure voi tutti sapete che c’è ben altro dietro tale apparenza-.
La dissertazione tranquilla e cristallina di Albafica fece cadere un silenzio denso. Evidentemente il Cavaliere dei Pesci aveva centrato un punto su cui i suoi parigrado non si erano mai soffermati e su cui ora, almeno Aiolos, stava ragionando. Teano, dal canto suo, annuiva con serietà continuando a sorseggiare la sua bevanda calda.
La stasi, però, venne rotta proprio in quell’istante da un lieve bussare proveniente dall’uscio: la Sacerdotessa diede assenso all’ingresso e così la porta si aprì lentamente.
 
 
Non fece in tempo a chiudersi il battente alle spalle che si ritrovò investita dal massiccio e caloroso abbraccio di Aiolia il quale, non appena l’aveva riconosciuta, si era staccato dalla finestra e le era corso entusiasticamente incontro.
-Sorella mia, è bello poterti finalmente abbracciare di nuovo senza tutti quei fronzoli!- aveva mormorato con trasporto il giovane mentre già si staccava da lei per riservarle uno dei suoi travolgenti sorrisi.
June sentì il cuore stringerlesi in petto e gli occhi formicolarle dalla commozione. E quel senso di calore aumentò quando anche la bella Teano le si avvicinò e la abbracciò entusiasticamente, invitandola a sedersi tra lei ed Aiolos. Il Sagittario, dal canto suo, le riservò un galante sorriso mentre si alzava e la aiutava a prendere posto.
Si sorprese, tuttavia, di come quel senso di euforia si fosse trasformato di colpo quando si accorse che dietro al separè sul fondo della stanza vi fosse anche Albafica, il quale non si alzò e non la salutò. Improvvisamente sentì un brivido di fastidio e, in qualche modo, percepì la sua spontaneità incrinarsi. E fu la sua stessa voce a tradirla quando, quasi inconsciamente, fu lei a prendere l’iniziativa di rivolgergli un rispettoso saluto.
-Buongiorno anche a voi, nobile Albafica- balbettò in un sussurro.
-June...- fu la secca e circostanziale risposta di lui.
Fortunatamente a dissipare immediatamente la probabile tensione che sarebbe potuta calare pensò la giovane Sacerdotessa di Athena, la quale la riempì di domande accorate sul suo stato di salute e sulle novità della sua vita ad Asgard.
June, allontanando subito dalla sua mente l’atteggiamento del Gold dei Pesci, si profuse in un dettagliato racconto degli ultimi mesi ed in pochi minuti il suo animo si sentì nuovamente rinfrancato. Per la prima volta dopo tanto tempo si sentì completamente serena e protetta.


-Tutto questo non ha senso-.
La sfumatura di preoccupata riflessività nella voce di Siegfried non lasciò dubbio alcuno sul fatto che il comandante supremo di Asgard trovasse ai limiti dell’assurdo il rapporto da poco presentatogli.
Cyd, in piedi di fronte a lui, passò il peso da un piede ad un altro in un inequivocabile atteggiamento di insofferenza.
–Sembra quasi che mettiate in discussione le mie parole, Comandante…- sibilò, lasciando che la sua stizza trapelasse dalla risposta comunque rispettosa.
Gli occhi argentei del God Warrior di Dhube affondarono seri in quelli d’ambra del suo subordinato.
-Avete frainteso, Cyd. Conosco bene il vostro lato goliardico, ma so altrettanto con certezza che esso non inficia mai la vostra serietà relativamente ad una missione. Credo a tutto ciò che mi avete riportato circa l’ultimo mese, eppure perdonate se non riesco a trovare una spiegazione logica a tutto ciò…-.
La Tigre sospirò frustrata. Poteva dargli torto visto che lui stesso aveva fatto fatica a realizzare la portata degli avvenimenti che l’avevano coinvolto?
Quella mattina, riluttante, si era svegliato presto ed aveva abbandonato il letto della prosperosa giovane dama che gli aveva allietato la notte dopo il ritorno, mentre lei e la sua migliore amica che si era impudicamente unita al festino dormivano ancora nude.
Aveva evitato di fare colazione, ancora troppo frastornato dall’eccesso d’idromele ingollato la sera precedente, ma si era limitato a sorseggiare una birra densa e scura per rimettersi in piedi e riacquistare le forze. Poi, dopo un bagno per rendersi presentabile, aveva raggiunto la sala d’armi dove a colloquio privato senza che fosse presente neppure suo fratello Bud avrebbe fatto rapporto a Siegfried. Così era stato.
  
L’ordine di partire gli era giunto circa un mese prima, quando una sentinella dei confini aveva mandato un messaggio al Comandante informandolo che aveva riscontrato del movimento anomalo nella zona ghiacciata a est-nord-est del limitare del regno: si trattava di un gruppo di stranieri, in apparenza degli esploratori. Tuttavia la sentinella, che li aveva tenuti sotto osservazione per qualche tempo, si era insospettita nell’intravedere per puro caso sotto il pesante mantello di uno di loro delle armi pesanti che mal si sposavano con la prima impressione che il gruppo aveva dato di sé.
Siegfried aveva rotto gli indugi non appena ebbe finito di leggere la missiva ed immediatamente aveva inviato a monitorare la situazione il più letale ed esperto cacciatore tra i God Warriors, cioè Cyd.
Così la Tigre, tallonata dall’ombra dal suo schivo gemello, era partita per eseguire gli ordini. Per settimane, dopo aver varcato i confini del Regno del Nord, era stato alle costole degli stranieri, osservandoli. Da principio gli erano sembrati dei semplici viandanti e, anzi, aveva avuto come l’impressione che si fossero smarriti, poiché continuavano a spostarsi in modo disordinato e cercando quasi ossessivamente tutte le caverne e le fenditure rocciose della zona. Ma la prima impressione venne subito sfatata dall’occhio esperto sia suo che di suo fratello: era un piccolo drappello di soli uomini, abbigliati in modo troppo sciatto per non essere voluto, come fosse un tentativo per non attirare l’attenzione di eventuali altri viandanti. Eppure, sorvolando su questo dettaglio, anche una disamina un po’ meno acuta avrebbe avuto come risultato che quelli erano tutti, senza esclusione, degli energumeni. Gli stracci che li coprivano non riuscivano a dissimulare del tutto le corporature massicce e tornite che solo dei guerrieri avrebbero potuto avere. Questi due dettagli, unitamente all’essere riuscito anch’egli a cogliere il possesso di armi tutt’altro che di fortuna da parte di quegli uomini, ed il fatto che il gruppo si avvicinasse sempre più ad Asgard, fece decidere Cyd di braccarli cercando di cogliere il minimo accenno di intenzioni bellicose verso la sua terra.
Il pedinamento era stato estenuante e difficile, soprattutto perché quegli uomini sembravano quasi delle macchine infaticabili e, oltre a ciò, non interagivano quasi mai tra loro, impedendo a Cyd e Bud di capire quale potesse essere la mèta di quell’ormai evidente loro cercare. Era stato solo dopo l’intero mese che, finalmente, si era giunti ad un atto risolutivo: da circa quattro giorni il drappello aveva varcato i confini del Regno e si erano spinti fino alle scogliere dell’estremo nord, entrando ad esplorare un’insenatura che probabilmente neppure l’esperto Fenrir conosceva. I due God Warrior, sebbene estremamente provati e nervosi, li avevano tallonati e la loro abnegazione alla caccia aveva finalmente dato i sui frutti. Di fatti, dopo un’interminabile attesa, i due fratelli avevano visto il drappello uscire dalla grotta e recare con loro un grosso oggetto dalla forma ellittica. Una giara, non potevano esserci dubbi. Ma non fu quello il dettaglio che fece scattare in Cyd la molla che lo spinse non meno di qualche istante dopo a rivelarsi, bensì il fatto che uno degli uomini non indossasse più la cappa, avvolta intorno alla giara, lasciando che sulla sua schiena si intravedesse un grosso scudo recante un’effige. E tale effige, per un guerriero di qualsiasi paese dell’Europa, era inconfondibile: Sparta.
Cyd non aveva perso tempo a porsi troppe domande, spinto com’era stato dall’urgenza data dal fatto che se i guerrieri della città devota per antonomasia al dio ellenico della Guerra, Ares, si fossero spinti così lontano per trovare quell’artefatto la possibilità che un grande pericolo stesse per concretizzarsi si era fatta pressoché tangibile. Di primo impatto aveva tentato un approccio calmo, chiedendo in tono autoritario chi fossero e cosa fosse quell’oggetto che stavano palesemente trafugando in pieno territorio asgardiano. La risposta era stata perentoria: lo avevano attaccato senza proferire verbo.
Era stato un massacro. I guerrieri spartani erano senza dubbio molto forti ed abili in battaglia, ma rimanevano pur sempre dei meri esseri umani e contro di lui e Bud, combattenti divini in nome degli Aesi e dotati di cosmo, non avevano avuto scampo.
Cyd si era fermato soltanto quando l’ultimo spartano era caduto ai suoi piedi con la carotide squarciata e zampillante linfa vitale. Tuttavia, dopo aver tributato quel sangue ad Odino, immediatamente si era accorto del particolare dissonante in tutto quel delirio: la giara trafugata era in terra, in mille pezzi, probabilmente distrutta durante il combattimento.
  
-No, è assurdo… É inconcepibile che un drappello di ellenici si sia spinto fin quassù affrontando non solo il clima rigido di Asgard ma presumibilmente sfidando l’egida del nostro Regno che rinomatamente punisce in modo durissimo gli stranieri che dissacrano i nostri territori, per una giara… vuota- dissertò Siegfried.
-Ve lo ripeto, Comandante: all’interno dell’orcio non c’era nulla. L’unica cosa che forse potrebbe avere una qualche rilevanza è questa pergamena che ho trovato attaccata in prossimità della chiusura- rispose Cyd, traendo da una tasca un pezzo di pergamena liso, scolorito e strappato in più punti. Su di esso, sbiadito dal tempo e dalle intemperie ma comunque appena riconoscibile, v’era un simbolo che sembrava richiamare la lettera Ψ dell’alfabeto greco.
Siegfried analizzò l’oggetto. –Potrebbe essere una sorta di sigillo, ma la simbologia non è tra i miei campi di competenza. Domanderò a mia moglie. Dobbiamo capire perché gli spartani volessero quella giara e cosa essa rappresenti per loro, così da sapere cosa aspettarci ora che un intero drappello dei loro soldati è stato giustiziato. Potrebbero esserci delle ritorsioni e non si può escludere che le conseguenze potrebbero essere dure… Dobbiamo essere vigili-.
Tacquero entrambi per qualche istante, poi il cavaliere di Dhube tornò a fissare il suo subordinato. –C’è qualcos’altro di rilevante che puoi dirmi sullo scontro?-.
Cyd ripensò immediatamente ad un singolo istante che aveva seguito la fine della battaglia: quando si era avvicinato alla giara in frantumi aveva provato la spiacevole sensazione che qualcuno lo stesse osservando molto da vicino. Si era voltato di scatto, ma aveva visto soltanto Bud aggirarsi tra i cadaveri per sincerarsi che fossero effettivamente tali. Poi, di colpo, un dolore lancinante al petto e subito a seguire un senso di dissennata euforia che l’aveva spinto nel vortice di un grido animalesco e di una risata feroce. Però quel vortice di sensazioni come era sopraggiunto lo aveva abbandonato, tanto che non aveva dato alla cosa alcun peso. Come se non bastasse, la furia della battaglia lo aveva più volte spinto ad avere tali reazioni al che anche in quel momento non si sentì di riferire la cosa, non attribuendole importanza alcuna per i fatti circostanziali che erano di loro interesse.
-No, Siegfried. Vi ho detto tutto- chiosò deciso.
-Bene, allora potete andare. Prendetevi qualche giorno di meritato congedo, Cyd, ma tenetevi sempre pronto per ogni evenienza. Siamo di fronte ad avvenimenti arcani e la prudenza, mai come oggi, è essenziale-.
-Agli ordini-.
Con un inchino marziale il cavaliere di Mizar prese congedo dal suo superiore, imboccando la strada per tornare ai piani delle camere private della corte.
“Ah, meritato riposo… Privilegio spettante agli eroi che come tali meritano di essere acclamati e riveriti. E sono sicuro che le due pulzelle che ho lasciato stamane a letto saranno perfettamente d’accordo con me se mi sbrigo a tornare da loro…”
Ma le sue laide elucubrazioni mentali vennero interrotte. Un concitato rumore di passi si avvicinava lungo il corridoio in penombra.
 
 
Si maledisse. Da un po’, di fatti, si era resa conto di aver perso l’orientamento all’interno di Palazzo Polaris e ora non aveva la più pallida idea di dove fosse.
Era rimasta per parecchio tempo negli appartamenti di Teano, ascoltando dai suoi ex compagni le novità del Santuario e narrando loro delle sue vicissitudini. Le aveva fatto bene quel poco di tempo in loro compagnia, il sentirli così vicini le aveva dato un nuovo slancio per continuare a resistere in quella ricerca di sé stessa che le stava iniziando ad apparire sempre più infruttuosa. Inoltre i loro sproni e il loro calore le avevano scaldato l’animo a sufficienza per resistere in quel luogo che tutto appariva fuorché ospitale.
Si era schermita alle battute di Aiolia circa la sua fortuna nel disporre dell’aiuto di un così valido maestro che, oltre ad essere un inappuntabile guerriero, era anche piuttosto affascinante e protettivo nei suoi confronti. A toglierla d’impiccio era accorso Aiolos il quale, bonariamente, aveva sentenziato che anche Teano avrebbe dovuto benedire la sua fortuna ad avere proprio lui nelle vesti di protettore e che quindi le donne del Santuario potevano ritenersi benedette dal Fato. Nonostante le proteste imbarazzate del giovane Leone, corollate dall’argentina risata della bella Sacerdotessa, a June non era tuttavia sfuggito uno sbuffo spazientito proveniente dal separé durante discorsi di quella natura frivola. La cosa l’aveva colpita: perché Albafica stava tenendo quell’atteggiamento così distaccato e risentito nonostante le belle parole che le aveva riservato la sera precedente? Non era forse chiaro quanto lei avesse bisogno di distrarsi dal peso che la sua situazione le faceva gravare addosso?
Aveva cercato di non pensarci per tutto il tempo che era rimasta con loro ma, quando si congedò per tornare alla Grotta del Meriggio e lasciare tutti loro agli impegni diplomatici con la promessa di rivedersi quella sera per salutarsi prima della partenza, dovette fare i conti con lo sguardo abbacinante del Saint dei Pesci il quale, senza che lei se ne avvedesse, si era alzato ed avvicinato per aprirle la porta. Si erano fissati in silenzio per un istante e nei suoi occhi la ragazza aveva letto tutto tranne che distacco e risentimento, anzi…
Cos’è che voleva veramente da lei quell’uomo così misterioso?
Mentre si avviava verso i locali di servizio per prendere l’uscita della servitù ed accorciare il percorso che dal palazzo portava alla Grotta, non aveva fatto altro che domandarsi come mai finisse sempre per trovarsi invischiata in situazioni strane di cui non riusciva a capire l’origine né la finalità, per altro in modo del tutto inconsapevole. Forse era per questo che aveva sbagliato a svoltare in un punto imprecisato dei piani superiori ed aveva finito per perdersi.
Si sentiva una perfetta inetta e, come se non bastasse quella pesante autocritica, si ritrovò a constatare che per l’ennesima volta il Fato le si stava dimostrando avverso non facendole incontrare una sola persona lungo il percorso a cui chiedere indicazioni.
Poi, da lontano, lungo il corridoio semi buio che stava percorrendo, aveva sentito una porta aprirsi e delle voci, così aveva affrettato il passo gioendo di quell’inaspettato colpo di fortuna.
Il pensiero non fece in tempo a materializzarsi nella sua testa che subito dovette sopprimerlo, mentre soffocava un’imprecazione alla vista della persona che con passo deciso le stava venendo incontro.
Un’agitazione incontrollabile la prese quando si rese conto che lo sguardo irriverente, corollato da un sogghigno compiaciuto, del God Warrior di Mizar si era ancorato alla sua figura.
Respirò a fondo, nuovamente grata alla maschera che la stava riparando dal mostrare quanto lui effettivamente la turbasse, ed aumentò l’andatura, decisa a passargli accanto porgendogli soltanto un educato cenno di saluto.
Così fece.
Stava per tirare un sospiro di sollievo, mentre lo affiancava nell’atto di superarlo, quando percepì un rapido movimento e sentì subitaneamente una grande mano posarlesi all’altezza del ventre nell’atto chiarissimo di fermarla. Sentì quasi le gambe cederle quando la voce di lui le sfiorò falsamente melliflua l’orecchio.
-No, no, no: quanta fretta, fiorellino! So perfettamente che tu sai chi sono, ed io so chi tu sei, ma non credi sia il caso di formalizzare questa conoscenza in modo… Come dire… Adeguato?-.
Si impose di non tremare né di timore né di sdegno mentre sollevava lo sguardo inespressivo della maschera sul viso di colui che aveva osato quel che altri non avevano neppure lontanamente auspicato dopo anni di conoscenza, ovvero toccarla.
-Non credo che possa definirsi adeguata ad un guerriero del vostro rango una tale confidenza con una fanciulla innocente ospite della corte… Signore- azzardò in tono duro, sottolineando la rigidità dell’ultima parola come a volerlo sfidare.
Una risatina gutturale uscì dalla gola di Cyd e i suoi occhi presero inequivocabilmente la foggia di quelli di una fiera pronta a balzare sulla sua preda.
-Non credi di essere un po’ troppo superba nell’affermare di sapere cosa possa essere adeguato a me o meno, ragazzina? E poi, perdonami, ma che tu sia innocente è tutto da vedere, fiorellino…-.
Abituato com’era alle frivole e starnazzanti reazioni delle cortigiane e delle popolane alle sue rudi attenzioni, la Tigre del Nord si apprestò a godersi la scena di lei che tentava di schermirsi dando il via al gioco della seduzione in cui lui tanto si vantava di eccellere. Fu per questo che si trovò impreparato quando lei, con un movimento fluido, si voltò nella sua direzione e senza remora alcuna lo colpì in pieno volto con malcelata stizza.
Sgranò gli occhi, Cyd di Mizar, portandosi la mano alla gota resa incandescente dal colpo. “Come osa questa piccola femmina ribellarsi a me?! A ME!”
Digrignò i denti mentre il suo bel viso virile si distorceva in una smorfia d’ira e con la mano destra cercava di afferrarle il polso. Di nuovo si ritrovò spiazzato da lei: la ragazza evitò la sua presa con grazia per poi prodigarsi in due capriole all’indietro che la portarono a ragionevole distanza.
-Piccolo demonio isterico! Come hai osato colpirmi?- sibilò Cyd, muovendo un passo nella sua direzione.
Fu un battito di ciglia: lo schiocco di una frusta echeggiò nella penombra del corridoio e il cavaliere si trovò l’estremità dell’arma arrotolata intorno al polso. Dall’altro capo dell’arma, June lo strattonò interpellandolo con tono irato.
-Non osate fare un passo di più! Non so a quale tipo di donne siate avvezzi qui in Asgard, ma da dove provengo io noi siamo abili nel combattimento quanto gli uomini… Quindi non prendetevi gioco di me chiamandomi “fiorellino”, perché onde non lo sappiate anche la più bella delle rose possiede le spine!-
A quelle parole di colpo l’espressione di Cyd cambiò, tornando sprezzante e ironica.
-Si vede che sei allieva di quella nullità di Hagen, il suo influsso rigido come un iceberg ti fuoriesce da tutti i pori…- la sfidò, opponendo resistenza allo strattonare di lei.
-Non osate nominare il mio maestro, vile damerino da quattro soldi…- ruggì lei, cercando di liberare la frusta per colpirlo di nuovo. Ma non vi riuscì.
Cyd, infatti, aveva stretto la frusta con la mano imprigionata e con quella libera aveva iniziato a trascinarla verso di lui.
-Ora sei tu ad aver fatto male i tuoi conti, ragazzina: non so a quale tipo di uomini siate abituati ad Atene, ma qui da che mondo è mondo una donna non ha mai sottomesso un uomo… In nessun ambito-.
Sebbene lei cercasse di opporre resistenza, puntando i piedi e tirando la frusta con tutta l’energia che aveva in corpo, alla fine dovette cedere alla manifesta superiorità di lui ed in breve tempo si ritrovò stretta nella morsa delle possenti braccia del cavaliere, che la superava in altezza di tutta la testa e le torreggiava sopra come un’ombra dell’Ade. Eppure, nonostante dentro di lei fosse terrorizzata per quello che sarebbe potuto accadere di lì a qualche istante, non si volle arrendere e cercò di liberarsi con tutta sé stessa. I suoi sforzi, tuttavia, valsero solo a ritrovarsi inchiodata contro una parete semibuia con i polsi bloccati dalle mani di lui contro la pietra e l’intero peso dell’uomo schiacciato contro il suo corpo ad impedirle qualsiasi movimento.
-E ora come la mettiamo, fiorellino?!- mormorò lui sardonico, ad un soffio dal volto coperto che lei orgogliosamente si rifiutava di abbassare.
-Non. Chiamatemi. Fiorellino, stupido barbaro infoiato! Il mio nome è June e fui amazzone vergine nel nome di Athena. Ora sono ad Asgard ospite della casata dei Polaris e non credo proprio che alla Regina farà piacere sapere che la sua protetta sia stata molestata nel suo castello proprio da uno dei suoi paladini!-
-Dunque è così che ti chiami: June, eh?! Bhè, queste “piccole e frivole cortesie” sarebbero molestie, secondo te? Fiorellino, lascia che ti illustri l’idea che mi sono appena fatto di te: tu sei una piccola fanatica, frustrata dal fatto che ad Atene vi illudono che voi fanciulle potrete raggiungere l’eccellenza bellica che di norma spetta sempre e comunque agli uomini. Frustrazione che sfoghi contro chiunque ti si avvicini in una maniera che la tua alterigia, amplificata dall’influsso che quel bacchettone di Hagen ha su di te, non reputi consona… Sii indulgente con te stessa, June: riconosci questa verità e accetta le cose come stanno. Vivrai di certo meglio e ti godrai di più i piaceri della vita! Sai, così rischi che la tua condizione verginale resti permanente…- fu la risposta tagliente di lui.
-Come vi permettete! E non osate neppure parlare di ciò che non conoscete, sciocco idiota! La maschera che porto è per tradizione ciò che mi pone allo stesso livello di un qualsiasi guerriero maschio…- sentenziò lei, tentando ancora invano la ribellione.
Cyd rise. –Si, tradizione che per altro è obsoleta ed irrispettosa verso coloro che ti ospitano, visto che non appartiene al bagaglio culturale di Asgard! E sono sicuro che questa cosa la sai bene anche tu, ragazzina. Per questo credo di aver compreso il reale motivo per cui la porti anche se non dovresti, fiorellino: ti vergogni del tuo aspetto, non c’è altra spiegazione. Ordunque, appurato tutto ciò, voglio vedere quanto sono bravo e quanto ho ragione!-.
-NON FATELO, VI PREGO!-.
L’urlo disperato e rotto dalle prime lacrime di umiliazione che uscì dalla gola di June non servì a fermare il God Warrior: con luce ferina che gli scaturiva dalle iridi ambrate, Cyd bloccò entrambi i polsi di lei con la mano sinistra, mentre con la destra arrivava a toccare il freddo metallo della maschera.
-Perché lo fate? Perché?- mormorò con voce tremante la ragazza, ormai sconfitta.
-Perché, piccola furia, da che mondo è mondo ad Asgard non c’è mai stata femmina che si sia arrogata il diritto di tenere testa ad un Guerriero Divino… Ma tu non sei una di noi, quindi il tuo atteggiamento per me non costituisce un motivo di ira, ma una sfida. E Cyd di Mizar non perde mai, ragazzina… Mai. E ora vediamo quest’orrido musetto che cerchi da troppo tempo di celare…-.
Così Cyd si leccò le labbra, ormai esaltato dall’effetto quasi estatico che quella situazione così assurda stava avendo su di lui e che lo spinse a premere ancora di più il suo corpo su quello florido e morbido di lei come a sancirvi su un ormai ineluttabile possesso, ed apprestandosi a godere dello spettacolo che si era convinto gli sarebbe apparso.
Infine, con un unico gesto secco, strappò via la maschera. Ed immediatamente il sorriso trionfante gli morì sulle labbra, come il respiro affannato gli si spense nei polmoni.
-Soddisfatto, adesso che avete avuto la vostra conferma?- furono le uniche parole che lei proferì in un mormorio rotto.
Lui non rispose. Non si mosse. Non fece assolutamente nulla.
Tutto ciò perché per la prima volta nella sua vita si era perso. E l’aveva fatto in due profondissimi zaffiri scintillanti incastonati in un volto di porcellana cesellata resa rosea dall’emozione, la cui luce lo aveva investito in pieno senza che se lo aspettasse.
June distolse lo sguardo reclinando di lato il volto, non sopportando l’espressione smarrita del suo aguzzino che aveva interpretato come repulsione. Nel fare ciò i biondi capelli le scivolarono davanti alla faccia come una tenda d’oro colato.
Solo allora Cyd riuscì a muoversi di nuovo e, dopo averle scostato la ciocca ribelle, le prese il mento tra le dita e le riportò gli occhi nei suoi.
“Ma chi diavolo è costei? Il temperamento è sicuramente quello di un’Amazzone, ma le sue fattezze sono tutt’altro che mascoline come credevo… È bella da mozzare il fiato e la cosa straordinaria è che lei sembra ignorarlo del tutto! Dei del Valhalla, vi state prendendo gioco di me...”
Non era lucido né in sé, tanto che invece di prorompere in qualche dileggiante asserzione di trionfo, i suoi occhi vennero calamitati dalle labbra della fanciulla come un’ape da un bocciolo. Una tentazione troppo forte perché proprio lui non vi indulgesse, così, lentamente, abbassò la bocca su quella di lei che lo fissava sconvolta con le sue due pozze cobalto spalancate.
-Cos’erano quelle urla? CHE DIAVOLO SUCCEDE QUI?!-.
L’esclamazione proveniente dalle sue spalle lo interruppe un istante prima che potesse saggiare la morbidezza di quei petali che lo invitavano tentatori. Alzò gli occhi al cielo e colse la testa di scatto: alle sue spalle, ritto come un faro nella tempesta e con occhi di brace, Hagen lo soppesava con sospetto.
Probabilmente diretto a colloqui con Siegfried, doveva aver sentito le urla della ragazza e in uno dei suoi slanci di cavalleria era corso a controllare. In quell’istante Cyd riprese completamente possesso delle sue facoltà mentali e fisiche, ritornando a ghignare come suo solito.
“Non posso credere che il Wyrd mi favorisca così tanto! Oh,  fu mai occasione più propizia di questa?!”
-Succede, ronzino, che una volta di più ti sei impicciato di qualcosa che non ti compete, interrompendo il mio diletto!- rispose derisorio.
Poi riservò al suo parigrado uno sguardo di puro scherno e con una mossa veloce si voltò verso di lui, facendo si che June lo seguisse, stringendola per la vita e tenendola con la schiena contro il suo petto.
Hagen rimase dapprima perplesso poi, quando ebbe inquadrato la situazione e si fu reso conto di chi fosse la bellissima fanciulla in lacrime che lo fissava implorante e sconvolta tra le braccia del suo rivale, spalancò gli occhi e barcollò appena.
Cyd ne approfittò ed infierì.
–O forse ti sei impicciato proprio perché ti compete… Cos’è, equino, ti brucia che io sono riuscito in dodici ore dove tu hai fallito per un mese intero?! Devi accettarlo, povero caro: non tutti nascono vincenti, te l’ho detto sempre! A proposito: è graziosa la fanciulla, non credi?!- e con quelle parole fece scorrere la mano verso l’alto lungo il torace della ragazza, le toccò la guancia girandole il viso e, riservando un’ultima occhiata obliqua ad Hagen, la baciò.
-MALEDETTO BASTARDO FIGLIO DI UN CANE RABBIOSO!-.
Il grido furioso del God Warrior di Merak risuonò probabilmente per tutto Palazzo Polaris, mentre il ragazzo si scagliava in una carica furiosa contro il suo odiato compagno d’armi.
Cyd non si scompose. Spingendo June da un lato e mandandola carponi in terra senza degnarla più di uno sguardo, parò il colpo che Hagen ciecamente gli aveva scagliato in pieno viso.
-Brucia, eh ronzino?! Allora vediamo di estinguere una volta per sempre questo fuoco!- sibilò quando furono faccia a faccia.
-Stavolta ti ammazzo, Cyd di Mizar, e finalmente libererò Asgard dalla tua lurida presenza!- ruggì di rimando Hagen, travolto da un’ira inarrestabile.
Il duello tra i due esplose ferocemente. Entrambi si muovevano ad una velocità incredibile e i colpi che si riservavano erano senza risparmio, senza esitazione, scagliati con un unico intento: colpire a morte l’avversario.
E inizialmente sembrava che l’esito non dovesse essere positivo per nessuno dei due, tanto le loro capacità di equivalevano: le tecniche infuocate di Hagen venivano sistematicamente spente dai Ghiacci Eterni manipolati da Cyd, i quali a loro volta in fase d’attacco evaporavano a contatto con il Fuoco del Meriggio. Poi, di colpo, il cavaliere di Merak riuscì a riprendere il controllo di sé e decise di cambiare tattica.
“Ghiaccio contro ghiaccio. Vediamo chi di noi due è il più forte, bastardo di un felino…”
E lo scontro divampò di nuovo, stavolta tra due guerrieri le cui tecniche erano pressoché identiche, come in sostanza lo era la loro forza.
Eppure, alla lunga, qualcosa sembrò fare la differenza. I colpi di Hagen divennero più forti, più precisi, e finivano sistematicamente per eludere la difesa del suo avversario, facendolo arretrare.
“Maledizione, ma cosa mi succede?! Dev’essere colpa dei bagordi di ieri notte e la stanchezza accumulata nella missione…”
Cyd non fece in tempo a focalizzare quel pensiero che Hagen prese il sopravvento, facendolo crollare in terra e montandogli sopra, percuotendolo violentemente all’addome.
-È finita, “Tigre”…- lo sbeffeggiò, sottolineando ironicamente l’ultima parola e continuando a colpirlo.
In quel momento, però, accadde qualcosa.
Nell’instante esatto in cui Cyd realizzò che sarebbe stato sconfitto sentì dentro di lui qualcosa rompersi, come se in un angolo remoto del suo spirito uno squarcio si fosse aperto. E qualcosa da lì dilagò, denso, vischioso, oscuro. Doloroso.
Un grido inumano eruttò dalle sue labbra, il quale nulla aveva a che fare con il dolore innescato dai colpi del rivale. Una patina rossa gli calò sugli occhi, come se tutta la furia, la violenza e la ferocia del mondo si fossero concentrate in un unico, minuscolo punto nella sua testa, esplodendo di colpo. La sua razionalità si spense e l’ultima cosa che visualizzò fu il fatto che le forza gli stavano tornando.
Quello che accadde dopo, nel gioco di ombre di quel corridoio sperduto, fu qualcosa generato dal caos e dall’odio. Fiotti di sangue imbrattarono la pietra millenaria delle pareti, i colpi inferti rimbombavano come percosse su tamburi inesistenti e grida di dolore sfumavano in un’aria che sembrava essersi improvvisamente rarefatta.
Poi, rotolando in terra, i due contendenti avvinghiati ricomparvero in un cono di luce. Stavolta era Hagen a sottostare a Cyd, il quale si piantò sopra di lui. Il suo volto era completamente deformato in una maschera di ira, furore e qualcosa d’altro. Il Merak non riusciva a capire bene, confuso dai terribili colpi ricevuti e con la vista annebbiata dal sangue che gli colava dalle innumerevoli ferite infertegli, ma quando il suo avversario calò il volto sopra il suo ne percepì la voce come estranea, diversa, corrotta.
-Cosa sarebbe finito, eh?! Spregevole ammasso di carne putrida e fatiscente, qui l’unica cosa ad essere finita è la tua inutile esistenza! Muori, miserabile- sibilò con tono atono ed innaturale Cyd, alzando i suoi micidiali artigli e pronto a sferrare il colpo mortale.
Hagen chiuse gli occhi raccomandando l’anima alla dea Freya quando vide che la mano del rivale stava già calando su di lui. Eppure il colpo non giunse, sostituito da un rapidissimo e gelido spostamento d’aria seguito da una sensazione di leggerezza sul proprio corpo. Spalancò gli occhi e si accorse che Cyd non era più sopra di lui. Un guizzo bianco attirò la sua attenzione, poi due figure identiche, strette in una reciproca morsa, si materializzarono del suo campo visivo.
“Bud…” pensò.
Il gemello di Cyd, di bianco corazzato, era intervenuto un istante prima che suo fratello uccidesse l’altro God Warrior, ed ora lo teneva stretto in una presa micidiale contro il muro. Eppure il cavaliere di Mizar non sembrava voler desistere, dimenandosi come un demone inferocito e sputando frasi velenose e minacciose.
-Che diavolo stai facendo, fratello?! Sei forse impazzito?! Calmati e torna in te… CALMATI, CYD!- gridò alla fine Bud di Alcor, assestando al gemello una potente manata alla gola.
Cyd sembrò rimanere senza fiato ed i suoi occhi, che si erano trasformati in due fessure iniettate di sangue, si spalancarono tornando di colpo limpidi. Fu allora che il fratello mollò la presa su di lui, che crollò in terra come una marionetta.
Bud rimase a fissarlo, serio, senza scomporsi. Poi si volse verso Hagen e, avvicinandoglisi, gli allungò impassibile una mano per aiutarlo ad alzarsi. Il cavaliere di Merak sputò in terrà, puntellandosi sui gomiti con le poche forze che gli rimanevano.
–Non ho bisogno di aiuto da te…- sibilò senza guardarlo.
Bud non sembrò essere colpito da quelle parole.
–Forse avrei dovuto lasciare che mio fratello finisse quello che aveva iniziato, dopotutto… Magari avreste finito con lo scannarvi a vicenda come porci, liberandoci una volta per tutte dalla vostra stupidità. Dannato il mio senso del dovere che mi impone di proteggere Cyd e l’onore dei Mizar- replicò senza particolari inflessioni vocali, ma dando le spalle ad Hagen in un gesto di puro disprezzo.
Il God Warrior di Merak abbassò lo sguardo in terra, vergognandosi per un istante del suo comportamento: in fondo Bud non era Cyd sebben fossero fisicamente due gocce d'acqua e, innegabilmente, se non fosse intervenuto poco prima probabilmente lui sarebbe morto. -Hai ragione. E, anzi, ti ringrazio… È che non capisco cosa sia successo…-.
-Non so cosa risponderti. Ho assistito dalla scena sin dall’inizio, da ben prima che tu arrivassi, e fino ad un certo punto non c’è stato niente di strano… Ma poi…- non terminò la frase, Bud, mentre guardava Cyd che andava riprendendosi scuotendo la testa confuso.
In quel momento una voce altisonante squillò dall’ombra. -Che cosa è successo qui, per tutti gli Dei Oscuri del Niffleheim?-.
Siegfried comparve dall’ombra, probabilmente richiamato dal clamore della lotta. I suoi occhi grigi osservarono severi e glaciali la scena che gli si parava davanti.
-Comandante, noi…- azzardò Hagen, confuso.
Il God Warrior di Dubhe alzò la mano e lo zittì. –Non dire nulla. Ora andremo da un cerusico per farci controllare, poi indirò una riunione dell’Alto Consiglio: quello che è successo qui è grave e dovrete rendermene conto. Bud, conduci tuo fratello dal medico di Corte, mentre io aiuterò Hagen a fare altrettanto. Subito-.
I quattro guerrieri si mossero,due a sorreggere e altrettanti sorretti dai primi. Dopo qualche istante, nel silenzio, il corridoio tornò silenzioso. Neppure della giovane fanciulla greca v’era più ombra.
 
 
 



 
L’Angolo di June
Sarò breve, perché dopo quasi un anno che non pubblico un capitolo ogni scusa sarebbe proprio inutile. Che dire se non “PERDONOOOOOOOOOOOOOO!!”
Miei adorati puffoli lettori, sono troppo pigra. Troppo. In maniera davvero esasperante (anche per me). Ma dato che ogni tanto la voglia di scrivere mi si riaffaccia alle mani e al cervello, approfitto… Voi non scoraggiatevi: prima o poi ne verrò a capo!
Vi amo incondizionatamente!

June di Dolphin




 

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