Rain. C. Holmes - L'unica consulente detective

di Padmini
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The choise ***
Capitolo 2: *** My New Life ***
Capitolo 3: *** Shot and Awards ***
Capitolo 4: *** Trust ***
Capitolo 5: *** A study in pink ***
Capitolo 6: *** The house by the sea ***
Capitolo 7: *** Rape's confession ***
Capitolo 8: *** My pain ***
Capitolo 9: *** A Thin Line Between Love and Hate ***
Capitolo 10: *** The first consultant detective ***
Capitolo 11: *** The Truth ***



Capitolo 1
*** The choise ***


* Dunque… non so bene come incominciare a descrivere questa “storia” scritta a due mani: da Padmini e da me, Bbbgster. Siamo le autrici di:

  • Come essere la figlia dell’unico consulente detective ed essere felice” anche questo in via di proseguimento e direi che sta facendo un ottimo lavoro!

  • Violet” non ho commenti su questo. Dateci un’occhiata, se vi capita. Merita davvero molto. E sottolineo molto.

  • Il mio giocattolo preferito” e qui dico solo: Stupendo!

  • Ritorno a Saint-Malo”, anche questa bellissima ed emozionantissima, soprattutto per la sua originalità!

Le mie “storie”, invece, sono:

  • Apocalypse”, di cui vado molto fiera e orgogliosa (in futuro spero di trasformarla in un fumetto). Qui vengo aiutata da Ipols878, mio beta di fiducia.

  • Una strana storia” in via di proseguimento insieme alla bravissima Rora17.

  • E la one shot “Believe”, scritta con divertimento.

 

Per Padmini ho citato solo i racconti più importanti e che, secondo la mia modesta opinione, sono i migliori. Se andate a sbirciare il suo profilo ne ha scritte davvero un sacco! Una moltitudine direi (rispetto alla sottoscritta). Ma che cavolo di ispirazione hai, tu?! Ti ammiro molto per questo, sappilo!

Comunque, tornando a noi…

Abbiamo deciso di “provare” ad immischiarci in un opera (oddio, la si può definire tale?) scritta a due mani. L’idea è, ovviamente, opera di Padmini (poteva essere altrimenti con tutta la fantasia di questa ragazza?) che un bel giorno mi ha candidamente suggerito di fare un sequel di: “Come essere la figlia dell’unico consulente detective ed essere felice”, con protagonista la figlia di Violet, Rain Cumberbatch Holmes. Il nome della protagonista, ovviamente, riporta alla storia “Apocalypse” (quell’angelo ha voluto omaggiarmi cosi e ti ringrazio ancora). Ovviamente Rain ha lo stesso identico carattere del nonno e ci saranno dei risolvi piuttosto… interessanti. Speriamo che vi piaccia =)

Buona lettura, si spera!

Xoxo

Bbbgster & Padmini. *

 

 

The Choice

 

 

Mi svegliai, disturbato dall'odiosa suoneria del mio cellulare. Che bel modo di incominciare la giornata.

"Elisabeth, mia moglie, rantolò nel sonno.

Dovrò cambiarla prima o poi. Non la sopporto più. L’ho sentita troppe volte.

Ovviamente intendo la suoneria. Ovviamente.

Guardai il display, era mia sorella dall'Italia.

"Valery! Ciao! Come stai?”

"fratellone, eccoti qui! Ti avrò chiamato almeno cinquanta volte! Dov’eri finito?”

"abbassa il tono di voce… "

Mi alzai a fatica dal letto, molto lentamente per non svegliare Elisabeth.

"sei ancora insieme a quella rompi palle di Elisabeth?! Quando ti deciderai a mollarla?”

Fra loro non scorreva buon sangue. Valeria l’aveva sempre definita una sanguisuga che mi aveva obbligato a creare una vita, non voluta, insieme a lei. Una pazza ossessiva, cosi la definisce.

"si e, per favore, piantala di chiamarla in quel modo. Che vuoi?”

"ehi! Non ti azzardare a parlare cosi con tua sorella! Ti ho chiamato per avvisarti che ti arriverà una sorpresa fra poco. Non posso dirti altro. Adesso scusami ma il mio adorato maritino mi sta chiamando. Credo che sti ancora litigando con il pc. Incredibile come sia incapace con quell’affare. Ti saluto fratellone!”

Breve e concisa. Un aspetto che amo di mia sorella.

 

Mi ero trasferito da un paio d'anni a Londra con la mia fidanzata Elisabeth attratto da una proposta di lavoro molto accattivante. Un certo dottor Gregory Pratt aveva risposto ad una mia richiesta di lavoro per il Saint Bartholomew's Hospital.

Così iniziai il mio lavoro al Bart's. Non era così male come me lo immaginavo. Squartare cadaveri dalla mattina alla sera può anche essere considerato … poetico. Sì, poetico! Considerando che per la maggior parte dei corpi che esaminavano, i referti erano destinati alla polizia scientifica, potevo ritenermi uno degli ultime persone in grado di dare giustizia a dei poveri morti ammazzati. Ho sempre avuto un senso di giustizia molto forte, devo ammetterlo. Non mi sono mai piaciuti i soprusi e soprattutto il più forte di tutti: l'omicidio. Come può un essere umano permettersi di uccidere un suo simile? Eppure ogni giorno mi ritrovavo cadaveri sotto le mie mani e la maggior parte delle volte erano vittime di morti violente. La consapevolezza di essere un aiuto per rintracciare l'assassino mi riempiva di orgoglio e mi faceva sopportare meglio quel lavoro che mi era capitato, quasi per caso.

Non sapevo, però, che proprio quel lavoro mi avrebbe portato a incontrare lei.

 

Accadde una sera d'estate. Ovunque si vedevano numerosi cartelloni pubblicitari di spettacoli teatrali e musical. Paolo, grazie al suo lavoro, se li vedeva tutti e accompagnava la fortunata consorte con sé. Anche Elisabeth, la mia fidanzata, voleva a tutti i costi vederne uno. Mi stressava in ogni momento disponibile.

Ti pare possibile Max che tuo cognato sia un giornalista che si occupa di teatro e che tu non sia ancora riuscito ad ottenere neanche un misero posto in galleria per uno spettacolo?”

Non posso farci nulla, Beth” le rispondevo io ogni volta “Non me l'ha mai proposto … Inoltre lui vive in Italia, non può mica procurarmi biglietti per teatri qui a Londra!”

Dovresti chiederglielo! Magari ha degli agganci con qualche regista ...” mi sgridava lei.

Avrei potuto, è vero, ma non me la sentivo. Non mi andava di sfruttare la sua posizione per un misero posto in un teatro. L'occasione arrivò comunque, ma non per merito di Paolo.

Stavamo facendo colazione al Bart's dopo un estenuante turno di notte. Ero in compagnia di Gregg Pratt e Daphne Gray *

Dovrò andare dal parrucchiere” disse Daphne, all'improvviso, valutando la consistenza delle sue ciocche specchiandosi come poteva nel vetro della finestra “Questi capelli sono un disastro!”

Chi vuoi che se ne lamenti!” disse Gregg scherzando “Siamo in un obitorio!”

Sarà!” rispose lei stringendosi sulle spalle “Ma questo sabato ho un impegno importante! Sono stata invitata ad assistere alla prima di Frankenstein al Globe Theatre. Reciterà anche mio cugino Ben, perciò ci tengo ad andare!”

Davvero recita anche Benedict?” chiese Gregg “Avevo sentito parlare di Johnny Lee Miller!”

Reciteranno insieme” spiegò Daphne, continuando a torturarsi i riccioli “Uffa! Non ne posso più di questo capelli! Tra l'altro, siete interessati?” chiese poi, guardandoci “Ho due biglietti in più. Dovevano venire due mie amiche ma mi hanno tirato bidone all'ultimo momento! Allora?”

Gregg e io ci guardammo a lungo prima di rispondere.

Non mi interessa” rispose Gregg per primo “Sai che mi annoiano certe cose! Non so come tu faccia ad andare a teatro così spesso! È talmente noioso!!”

Li prenderei io” risposi timidamente, attirando l'attenzione dei due, che si girarono di scatto a guardarmi.

Non sapevo che il teatro ti interessasse” disse Gregg.

Infatti mi interessa fin là” ammisi io, distogliendo lo sguardo “Ma sono mesi che Beth mi stressa perchè vuole andare a vedere uno spettacolo, così ...”

Deve essere destino!” proruppe Daphne prendedomi per un braccio “Se la tua fidanzata è così appassionata di teatro posso addirittura farle conoscere gli attori nel backstage! Sono sicura che Ben non avrà problemi a farci passare alla fine della rappresentazione! Prima è meglio non disturbare gli attori, ma vedrai che dopo farai un figurone con la tua bella! Potrai farle raccogliere gli autografi di tutto il cast!”

 

Vidi Elisabeth solo la mattina dopo. Ero tornato a casa molto tardi e lei già dormiva. Volevo farle vedere subito i biglietti, ma mi rassegnati ad aspettare il giorno dopo. La trovai in cucina. Mi stava preparando la 'colazione' e sembrava piuttosto allegra. Bene.

Ciao amore!” mi salutò cinguettando “Hai dormito bene?”

Sì, grazie” dissi frugando nelle tasche della mia giacca “Ho una sorpresa per te!”

Cosa, tesoro?” mi chiese lei, con una voce oltremodo mielosa.

Daphne mi ha dato due biglietti per il teatro”

Sul serio?!” mi chiese lei, guardandomi con gli occhi sgranati “Ma è meraviglioso! Finalmente riesci a combinare qualcosa di utile!”

A malapena riuscii a trattenere una risposta non proprio gentile.

"hai intenzione di andarci davvero?”

"abbiamo intenzione di andarci, Max.”

Ecco, un’altra cosa decisa di testa sua che riguarda entrambi. A volte ha proprio ragione mia sorella. Io non governo la mia vita. È lei a governare la mia.

"ho già in mente il vestito che indosserai! Vedrai, sarai stupendo! Faremo tantissime foto cosi i nostri figli saranno orgogliosi di noi!”

"quali figli, Elisabeth?!”

"i nostri futuri figli! Quelli che faremo insieme, amore mio!”

Un’altra delle sue idee inconcludenti, ormai ci ero abituato. Non ribattei nemmeno.

"preparo la colazione, intanto tu vai pure a farti una bella doccia, cosi dopo potremo andare a trovare mia madre.”

Chi diavolo le ha detto che ho intenzione di farlo?!

"certamente. Va bene.”

Non ne vale la pena Maximillian. Non ne vale la pena.

Sconfitto andai in bagno.

Guardai il mio riflesso allo specchio. Chi avrebbe mai immaginato di abitare a Londra, avere una moglie che programma ogni istante della tua vita ed avere un lavoro come medico legale?

In effetti avrei preferito chiacchierare con i miei amici morti, piuttosto di andare ad una prima di teatro lei. Sperai di non addormentarmi durante la rappresentazione.

 

Non avevo un’aria molto riposata. I capelli biondi erano sparpagliati e gli occhi, che avrebbero dovuto essere verdi smeraldo, erano verde scuro, quasi spenti.

Forse mia sorella aveva ragione. Questa donna mi stava sfibrando.

Forse avrei dovuto farmi una nuova vita.

Forse avrei dovuto cercarmi una nuova casa e forse dovrei accettare quell’invito di Greg per uscire stasera a cena.

L’acqua fresca della doccia sciacquò via tutti questi pensieri, donandomi un momento lieve di pace e tranquillità. Un momento molto effimero, dato che mia moglie mi chiamò per avvisarmi che la colazione era pronta.

Mi vestii, pronto per un nuovo giorno (con lei).

"questa non si può definire colazione, Elisabeth.”

Guardai piuttosto rammaricato il mio piatto composto da un’arancia tagliata a spicchi e un tea rigorosamente senza zucchero.

"è salutare, amore mio. Non vorrai mangiare della pancetta e delle uova per colazione, vero? –

"in effetti mi piacerebbe, si.”

Un’altra discussione sulla colazione no, ti prego. Non sarei in grado di gestirla nuovamente.

Mi alzai, non toccando cibo (si può definire tale?) e raggiungendo la cucina. Ci sarà qualcosa di commestibile in questa casa!

La mia ricerca non diede risultato, dato che nel frigorifero riesco a trovare solo cose che Elisabeth definisce non grasse e piene di vitamine.

Cristo, quanto volevo una bistecca.

 

La giornata passò in maniera caotica, tra le urla di mia moglie e delle sua amiche che aveva invitato a casa nostra. Ovviamente senza chiedere nulla al sottoscritto.

Le otto sono arrivate e noi due eravamo pronti.

Io indossavo un elegante smoking grigio, con camicia bianca e cravatta color panna, mentre Elisabeth un abito da sera rosso che contrastava con i suoi capelli corvini e con uno spacco vertiginoso che iniziava da metà coscia.

"non sarà un po’ troppo quello spacco?”

Dissi, preoccupandomi. Stupidamente. Chi diavolo potrebbe portarmela via? Cinque minuti di conoscenza e chiunque vorrebbe commettere un omicidio.

"ma no, figurati! È il minimo per una serata cosi importante! Hai ringraziato Daphne come si deve?”

Ovviamente no.

"ovviamente si, amore.”

Sputai con amarezza l’ultima parola dalla mia bocca.

Entrammo nel teatro senza troppa difficoltà, i nostri biglietti ci permisero di oltrepassare la coda con le esclamazioni infastidite degli altri spettatori.

Prendemmo posto dentro a questo immenso insieme di modernità e antichità. Mi avevano detto che il teatro era magnifico, ma non avrei mai sospettato di trovarlo cosi affascinante.

Riusciamo a sederci, dopo che una ragazza ci accompagna gentilmente ai nostri posti.

La rappresentazione fu meravigliosa. I due attori principali, Johnny e Benedict, recitarono divinamente. Mi fecero perfino commuovere! Gli applausi durarono un quarto d'ora mentre gli attori, imbarazzati e grati, uscivano e rientravano dalle quinte per raccogliere il meritato ringraziamento dal pubblico.

Daphne ci aveva raccomandato di non andarcene subito perché, una volta andata via la maggior parte della gente, ci avrebbe portati nei camerini degli attori per conoscerli e per chiedergli gli autografi.

Eccovi!” disse quando ci vide, facendosi largo tra gli ultimi spettatori rimasti, che stavano appunto andando via “Vi stavo cercando! Venite! Voglio farvi conoscere mio cugino Ben!”

Entrammo nel camerino di Benedict e Johnny. I due attori erano seduti stancamente su una poltrona e indossavano ancora i costumi di scena. Chiacchieravano tra di loro scherzosamente e ogni tanto ridevano. La tensione per la serata era ormai sparita e i due si stavano proprio rilassando!

Oh!” esclamò Ben vedendoci “Benvenuti! Ciao Daphne! Hai fatto bene a portarli! Piacere, sono Benedict!” disse poi, allungandomi la mano.

Sono Maximillian Webb, piacere. Lei è la mia fidanzata Elisabeth”

Sono onoratissima di potervi conoscere” disse lei, stringendo la mano a entrambi, dopodiché si immerse in una fitta discussione con Johnny, dimenticandosi di tutti gli altri.

Che ne dici di andare a fumarci una sigaretta?” mi chiese Ben, prendendo un astuccio di tabacco dalla tasca della giacca.

Con molto piacere” risposi io, afferrando il mio pacchetto di sigarette.

Mi accompagnò in un vicolo laterale, sul quale si poteva accedere da una porta appena fuori dai camerini.

Sei stato molto bravo, stasera” gli dissi io “Scusa se ti parlo con franchezza, ma se non fosse stato per la mi fidanzata non sarei mai venuto a vedere lo spettacolo. Non mi interessa il teatro ...”

Sei più un tipo d'azione, vero?” mi interruppe lui “Si vede!”

Come, scusa?” chiesi io, sorpreso dalle sue parole.

Ti ho visto un po' in imbarazzo, prima. In effetti mi sembri imbarazzato anche adesso. Si vede che non sei nel tuo ambiente e che sei un po' scocciato di stare qui. Per questo ti ho proposto di uscire” disse lui, rigirandosi la sigaretta tra le dita.

Hai ragione” ammisi “Il teatro mi annoia”

In effetti il teatro può dare questo effetto” disse lui espirando una sottile nube di fumo “A me, personalmente, piace molto, però mi occupo anche di televisione e di cinema!”

Davvero?” chiesi io, improvvisamente interessato “Ultimamente cosa stai facendo?”

Una cosa di cui vado molto orgoglioso!” disse lui con un sorriso “Un telefilm sulla vita di mio nonno”

Tuo nonno?” chiesi io, che ormai pendevo dalle sue labbra “ Chi sarebbe? Un attore famoso?”

Attore?” chiese lui, riflettendo “In effetti, nel suo lavoro, ha anche dovuto recitare, ma non era un attore. No. Lui era un detective privato. Meglio, un consulente detective”

Come quel famoso Sherlock Holmes?” chiesi io, ricordando le avventure di quel detective, cosi brillantemente raccontate sul blog del dottor Watson.

Non come, è proprio lui. Io sono il nipote di Sherlock Holmes!”

Lo guardai con gli occhi spalancati. Lui nipote di Sherlock Holmes! Il detective di cui tanto avevo letto? Era un'occasione straordinaria! Avevo un sacco di domande che avevo voglia di fare, soprattutto una.

Davvero le avventure che il dottor Watson ha descritto sono autentiche?” chiesi, guardandolo di striscio “Mi sembrano così inverosimili!”

Hai per caso letto il libro di mia madre?” mi chiese lui “Anche lì sono descritte avventure che sembrano inventate, eppure ...”

Non l'ho letto” risposi io “Non sapevo neppure che avesse avuto una figlia!”

Il libro si intitola 'Come essere la figlia dell'unico consulente detective ed essere felice'” rispose lui “L'ha scritto parlando della sua vita con suo padre, cioè con mio nonno. Ora ci sono due registi, certi Gatiss e Moffat, che vogliono farne una miniserie di tre puntate. Non ho nemmeno dovuto fare un provino per la parte, sono stato scelto immediatamente!” **

Un po' raccomandato?” chiesi io, senza preoccuparmi di essere maleducato.

Un po'” ammise lui ridendo “Comunque tanti mi dicono che gli somiglio parecchio, perciò … visto poi che sono pure attore, la cosa è sembrata più che naturale! Chiaramente hanno chiesto la sua opinione prima di decidere e lui ha accettato”

Scusami” dissi io ridendo “Ho letto le storie di quel dottore, quel John Watson … mi sembrano così inverosimili … non posso credere che sia esistita una persona con me lui!”

A parte il fatto che mio nonno è ancora vivo” disse Benedict spegnendo la sigaretta con la punta della scarpa “Mia sorella Rain gli somiglia più di chiunque altro. Non fisicamente, questo no, ma come carattere sono due gocce d'acqua. Dovresti conoscerla!”

Proprio in quel momento uscì Elisabeth, accompagnata da Johnny. Evidentemente era riuscita a stressarlo ben bene perché lui cercava in ogni modo di cacciarla dal camerino, mentre lei continuava a parlargli e a fargli domande su domande.

Ora dobbiamo proprio andare, Beth!” la richiamai ma, visto che non si degnava di rispondermi, dovetti passare alle maniere forti e la afferrai per un braccio “Andiamo!” dissi più risoluto.

La ringrazio ancora!” continuava a dire, rivolta all'attore “Verrò sicuramente a vedere tutti i suoi prossimi spettacoli!”

Ci conto” rispose lui, ma era evidente che avrebbe preferito un attacco di diarrea fulminante proprio in quell'istante.

Arrivederci anche a lei, signor Cumberbatch” disse poi rivolta a Benedict “Spero di poter rivedere anche lei sul palco”

Ciao Max” disse rivolto a me “Spero di vederti presto” e mi porse un biglietto da visita.

Non feci in tempo a leggerlo perché mia Beth mi trascinò via. Aveva appena ricevuto un sms dalle sue amiche che la aspettavano al Criterium Bar a Piccadilly Circus. Almeno un'ora e mezza – almeno! "costretto ad ascoltare le inutili chiacchiere delle sue amiche! D'altra parte le aveva appena conosciute, non poteva certo perdere ogni singola occasione di parlare con loro! Doveva farsi conoscere, rispettare e, soprattutto, evitare che sparlassero di lei. Infilai il biglietto da visita nel portafogli e la seguii fuori dal vicolo, mentre Benedict mi salutava con un cenno della mano.

 

Era passata una buona mezz'ora da quando eravamo seduti in quel tavolino del Criterium, ma a me sembrava passato molto più tempo. Guardai l'orologio. Solo le undici e mezza! Diavolo! Siamo qui solo da mezz'ora? Guardai agli altri tavoli, per distrarmi. Mi piaceva osservare le persone. Sia da vive che da morte.

Quando arrivavano sul mio tavolino delle autopsie le vedevo messe a nudo e mi chiedevo come potesse essere stata la loro vita. Come mai erano arrivati lì? Perché i loro giorni erano finiti? Se si trattava di anziani o di gente malata potevo anche immaginarlo, ma spesso mi capitavano mogli uccise da mariti gelosi, uomini d'affari uccisi dai loro soci, ragazzi spericolati che non tenevano conto delle regole alla guida di costose macchine di lusso. Ogni volta la domanda era la stessa: perchè?

Perché, Max?” mi domandò Beth, interrompendo i miei pensieri “è più di mezz'ora che ti parlo, perchè non mi rispondi? Caroline ti ha chiesto che lavoro fai!”

Aprii la bocca per parlare, ma in quel momento qualcuno mi afferrò per un braccio e mi fece alzare bruscamente dalla sedia. Rimasi intontito per qualche istante e alla fine riuscii a mettere a fuoco il mio assalitore … no, la mia assalitrice. Era una donna … e che donna!

La prima cosa che mi colpì furono i suoi capelli. Ricci, rossi, come un cespuglio infuocato. Al di sotto di quella massa vermiglia due occhi grigi, chiari e penetranti, si guardavano intorno preoccupati. Aveva un fisico invidiabile. Alta, magra ma non troppo, le sue curve perfette comodamente avvolte da un completo elegante grigio scuro e da una camicia bianca candida.

Andiamo, amore” mi disse con noncuranza “Domani devi alzarti presto e anch'io non posso fare tanto tardi. Andiamo!”

Cosa diavolo stava dicendo? Chi accidenti era quella donna così invadente? Guardai Beth. Anche lei era sconvolta, ma vidi nei suoi occhi un'aspettativa, una certezza così lampante e prepotente che non potei fare a meno di ridere. Lei si aspettava una mia reazione. Sapevo cosa voleva che facessi.

Se ne vada al diavolo, signorina! Io sono fidanzato con questa meravigliosa donna e lei deve essere ubriaca!”

Ecco, questa era la scena che vedevo già proiettata nei suoi occhi.

Non so perché lo feci, forse giusto per il gusto di deludere le sue aspettative, per portare un po' di trambusto in quella sua vita così monotona e già prestabilita. Quella vita che lei voleva anche per me. Forse furono gli occhi così intensi di quella donna che mi stava trascinando via, con la stessa impetuosità di un fiume in piena. Mi aveva detto quelle parole, ma era evidente che stava recitando. Era evidente per me, almeno. C'era qualcosa nei suoi modi del gatto selvatico. Mi sentii rapito dalla sua energia così travolgente.

Sorrisi e mi sistemai la giacca.

Hai ragione, tesoro” risposi, sistemando la sedia sotto il tavolino “Andiamo. Signore” dissi poi rivolto alle donne che mi guardavano come se fossi un alieno “Vi auguro una buona serata”

Mi aspettavo un attacco isterico da parte di Elisabeth, ma doveva essere così sconvolta da essere rimasta senza parole. Mi girai solo una volta raggiunta la porta e la vidi ancora lì, immobile, a bocca aperta, come una statua in un parco. Le mancava solo un piccione appollaiato sulla testa e sarebbe stata perfetta!

 

Uscimmo in strada e cominciammo a camminare velocemente verso Trafalgar Square.

Fai presto” mi disse “Cammina svelto e non voltarti”

Chi sei?” chiesi “Cosa vuoi da me?”

Lei si voltò per un istante a guardarmi, ma fu solo un momento.

Non ora” rispose lei “Avremo tempo per le spiegazioni. Adesso, se vuoi vivere, ti conviene seguirmi e fare tutto quello che ti dico!”

Di cosa stai …”

Non c'è tempo!” rispose lei e riprese a correre.

Mi prese per un braccio e mi trascinò via verso le scale della metropolitana. Provai ad aprire la bocca per chiederle dove mi stava portando, o anche solo per protestare, ma ogni parola mi morì in gola. Sentii degli spari. Chiarissimi, vicinissimi. Tutti i peli che avevo in corpo si rizzarono per lo spavento.

Corri!” urlò lei e mi guidò attraverso un intricato percorso tra le varie linee che si incrociavano alla stazione di Charing Cross. Finalmente, dopo una corsa che mi parve interminabile, si reputò soddisfatta.

Dovremmo averli seminati!” disse, lasciandomi il braccio e appoggiando la schiena alla parete della banchina”

Chi dovremmo aver seminato?” chiesi furioso “Perché mi ha trascinato fuori dal bar in quel modo?”

Io non ho trascinato proprio nessuno” rispose lei, come se fosse la cosa più ovvia del mondo “Tu mi hai seguita!”

Non è vero!” protestai.

Avresti potuto mandarmi al diavolo come voleva la tua fidanzata” disse lei con uno sbuffo di impazienza “Invece sei stato al gioco. Non sapevi nulla di me eppure mi hai seguita. Devi avere un temperamento decisamente orientato al rischio, è evidente!”

Aprii la bocca per ribattere ma la richiusi subito. In effetti aveva proprio ragione. L'avevo seguita perchè il mio istinto mi diceva che sarebbe stato bellissimo correre con lei. Certo non potevo immaginare che saremmo stati seguiti da degli assassini armati di pistole e … un momento! Assassini armati di pistole?!

Vuoi dirmi chi sei?!” chiesi, rendendomi conto solo in quell'istante che non sapevo nemmeno il suo nome “e perché hai trascinato via proprio me?”

Allora Ben non ti aveva detto nulla, eh? Meglio così! Io sono ...”

Provò a presentarsi, ma proprio in quell'istante sentimmo le voci dei nostri inseguitori che si coordinavano per poterci trovare. In quel momento arrivò anche la metropolitana.

Vieni” mi disse andando verso la fine della banchina e tieniti pronto a saltare!”

La guardai con gli occhi sbarrati. Cosa aveva intenzione di fare?

Dal treno scesero due o tre persone e dopo pochi istanti questo ripartì, avvolgendoci con un vento caldo.

Ora!” gridò lei prendendomi il polso e facendomi cadere sui binari, all'altezza del tunnel.

Feci appena in tempo a rialzarmi e lei mi riafferrò il braccio – sarà pieno di lividi domani, me lo sento – e mi spinse contro la parete del tunnel.

Ora sta' zitto e immobile” disse appiattendosi contro la parete.

Sentimmo le voci dei nostri inseguitori.

Devono aver preso la metro!” disse uno, evidentemente seccato “Li abbiamo mancati di pochissimo!”

Dove va questa linea?” chiese un altro.

A Euston” rispose il primo “Manda un uomo in ogni stazione fino a lì. Dobbiamo prenderli ad ogni costo! Non so chi sia quell'uomo, ma li voglio tutti e due, soprattutto lei. Di lui non mi interessa, potete anche solo spaventarlo. Lei, invece, la voglio morta!”

Rabbrividii. Chi avevo affianco? In quel momento mi ricordai di dove ci trovavamo e mi prese il panico.

Sta' fermo ti ho detto!” disse lei con un sussurro, quando sentì che i due uomini se n'erano andati “Tra poco arriverò un altro treno, non possiamo muoverci!”

Dopo neanche un minuto, infatti, sentii un vento fortissimo arrivare dai binari. Lei mi appiatti ulteriormente contro la parete, premendo sul mio torace con un braccio.

Stavamo per morire? Sentii la pressione dell'aria passarmi affianco e mi sentii schiacciare. Chiusi gli occhi e pregai di riuscire a uscire vivo da quella notte così strana. Quando l'aria tornò normale, vidi che la donna misteriosa era rimasta calmissima. Tolse il braccio dal mio torace e alzò il palmo della mano verso di me, come ad intimarmi di stare ancora fermo. Sentimmo il rumore del treno che ripartiva e alla fine si decise a muoversi.

Seguimi” disse camminando lungo i binari.

Tornammo all'altezza della banchina e lei con un agile salto risalì sul marciapiede e mi tese la mano per fare altrettanto.

Si può sapere chi diavolo sei?”

Sono Rain Cumberbatch Holmes” rispose lei, togliendosi la polvere dalla giacca “Mio fratello Ben non ti ha parlato di me?”

In effetti ...” dissi.

In quel momento mi tornò in mente il biglietto da visita che mi aveva passato. Presi il portafogli e lo cercai disperatamente. Quando lo trovai lo portai immediatamente sotto la luce, per vederlo meglio.

 

Rain Holmes

Consulting detective

 

La guardai incredulo. Una consulente detective? Non era che per caso lei …

Sì” rispose lei, come se avesse letto il mio pensiero “Sono una consulente detective e porto avanti il lavoro di mio nonno Sherlock. Il mio cognome è Cumberbatch, ma nei miei biglietti da visita preferisco usare il cognome di mia madre. Sai, è molto utile portare il nome Holmes quando si è in un certo ambiente, è come una garanzia! Mi ha aperto parecchie porte. Mi è stato molto utile per farmi un nome”

Prese il cellulare e mandò una serie di messaggi con una velocità incredibile.

Mi vuoi spiegare perché diavolo mi hai trascinato via stasera?” le chiesi infine. Era l'ultimo punto oscuro.

Ben mi ha detto che, secondo lui, avresti bisogno di una vita un po' più movimentata. So che sei un medico legale, ma ti annoi e vorresti una vita un po' più vivace di quella che la tua fidanzata a scelto per te. Io ho bisogno di un assistente per i miei casi e tu saresti perfetto. Tra l'altro sto cercando un coinquilino. Se ti interessa l'indirizzo è 221 B di Baker Street. Potremo incontrarci domani sera alle sette lì. Buonanotte!”

Detto questo si infilò il cellulare in tasca, mi fece l'occhiolino e si girò di scatto e se ne andò. Lasciandomi solo con i miei pensieri.

Ora l'unico problema sarebbe stato la reazione di Elisabeth alla mia piccola fuga.

Cosa dovevo fare? Mi trovavo di fronte ad un bivio. Che strada dovevo scegliere?

Da una parte c'era la strada lastricata, pulita, precisa, decorata con fiori e lampioni luminosi, progettata e accuratamente mantenuta da Elisabeth, della quale riuscivo a vedere ogni singolo metro, fino alla fine. Matrimonio, carriera, figli, vacanze al mare, nipoti …

Dall'altra parte c'era un sentiero in un bosco, un sentiero intricato, pieno di spine e curve, di cui difficilmente si vedeva il percorso.

So che è un cliché fino troppo abusato, ma era esattamente così che mi sentivo. Un passo, un solo passo avrebbe deciso il mio destino.

Elisabeth o Rain? Normalità o pericolo? Morte o vita?

La scelta sembrava così ovvia! La risposta era giusto davanti a me, dovevo solo fare un passo per decidere. Sarebbe stato il passo giusto?

Alla fine presi la mia decisione. Sarebbe stata dura affrontare Elisabeth, ma ne sarebbe valsa la pena.

Ho deciso!” urlai dal nulla.

Due minuti dopo arrivò un altro treno. Lo presi, deciso ad andare fino in fondo con la mi a scelta.

 

 

* In realtà sarebbe Daphne Watson, la terza figlia di John e Mary, ma si è sposata anche lei!

** è vero! È successo così anche nella realtà!

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Capitolo 2
*** My New Life ***




My new life

 

 

 



 

Il tragitto dalla stazione della metropolitana a casa mia fu breve. Troppo breve. Non avevo ancora messo in ordine tutti i pensieri. Non avevo ancora idea di come dover affrontare Elisabeth. Di sicuro l’avrei trovata arrabbiatissima con me.

Furiosa.

La cosa, devo ammetterlo, mi riempiva di ansia, ma anche di eccitazione. Non vedevo l’ora di affrontarla ma allo stesso tempo avevo rallentato il passo. Se avessi creduto ad un Dio lo avrei pregato per tutto il tempo del tragitto.

 

La trovai in camera, distesa sul letto, ancora vestita di tutto punto. Aveva le braccia incrociate sul petto e mi guardava con aria truce. Era esattamente così che me l’ero immaginata.

“Era ora che tornassi” mi dice, guardando ostentatamente l’orologio “Hai idea di che ore sono?”

“Anche tu sei tornata da poco, immagino” risposi io, cercando di comportarmi come se non fosse successo niente. Lei, naturalmente, non era della stessa opinione.

“Maximillian!” mi riprese urlando letteralmente il mio nome “Non hai niente da dirmi?”

“No” risposi guardandola “Che cosa dovrei dirti?”

“Che ne so?” rispose lei sarcastica “Forse ‘Scusami tanto amore mio per quello che ti ho fatto stasera, non te lo meritavi’? Mi hai fatto fare una figura di merda con le mie amiche, sai? Andartene in quel modo con quella sgualdrina!”

“Hai ragione tesoro” risposi io tranquillamente. Era l’occasione che aspettavo.

“Bene” riprese lei “Sto aspettando”

“Scusami tanto tesoro” cominciai, cercando di trattenere le risate “Avrei dovuto dirti prima quello che penso di te …” mi interruppi, per vedere che reazione avrebbe avuto. Mi guardava con la bocca spalancata per lo stupore.

“Sono mesi che voglio dirtelo” ripresi poi, incrociando le mani dietro la schiena e cominciando a camminare avanti e indietro per la stanza, davanti al letto “Sono stanco di te, del tuo controllo, di come vuoi programmare ogni singolo minuto della mia vita. Non voglio figli da te, non voglio sposarti, non voglio passare neanche un minuto in più in tua compagnia!”

Lei mi guardò attonita. Non si sarebbe mai aspettata una reazione simile da me. A mia volta la guardai, restituendole uno sguardo sereno. Ero sicuro di me e della mia scelta. Non sarei tornato indietro.

“Adesso” disse lei alzandosi “Ritiri subito tutto quello che hai detto e non dormiremo finché non avremo risolto questa situazione!”

La guardai e non potei fare a meno di scoppiare a ridere.

“Ti rendi conto di quello che dici?” le chiesi “Hai capito quello che ho detto?”

“Tu non puoi …” rispose lei, sull’orlo delle lacrime.

“Chiedilo pure a chi vuoi” le dissi io “Tutti i miei amici ti considerano petulante e anche un po’ oca”

“Cosa ….”

“Comunque se non vuoi dormire, peggio per te. Io sono stanco e vorrei …”

“Te lo impedirò!” urlò lei “Ti impedirò di andartene! Ti impedirò di dormire! Non puoi farmi questo! Non puoi!”

Ormai stava gridando e mi chiesi quanto tempo ci avrebbero messo i vicini a chiamare la polizia. Non volevo avere a che fare con le forze dell’ordine, quindi presi alla svelta una seconda decisione importante.

“Bene” dissi infine “Se non vuoi che dorma, non dormirò. Non qui almeno”

Detto questo aprii l’armadio e presi una grande valigia, quella che mi aveva regalato mia sorella, e cominciai a riempirla con cura con tutti i miei vestiti. Quelli belli, intendo, non quelli che mi aveva regalato lei! I completi eleganti, le cravatte, le camicie, le magliette, i maglioni, i calzini, le mutande … in breve tutto fu dentro. Andai in bagno e presi le mie cose. In una mezz’oretta ero pronto a partire. Lei, in tutto quel tempo mi aveva guardato sconvolta. Non poteva credere a quello che vedeva e ogni tanto si pizzicava la guancia, come per verificare di essere sveglia veramente.

Quando infine mi vide uscire dalla stanza con la valigia in mano si ridestò.

“Dove vai?” chiese, con una voce lamentosa e supplichevole.

“Te l’ho detto” le risposi “Me ne vado”

“Non puoi!” mi disse lei, cominciando a piangere “Non così all’improvviso! Se mi avessi detto … avrei potuto … se mi avessi detto i problemi che avevi con me … avrei potuto cambiare!”

“Ci ho provato” dissi “Più di una volta, ma tu non hai mai capito. Addio”

Così, senza darle il tempo di ribattere, uscii dall’appartamento. Non sapevo bene dove andare, ma avevo solo un indirizzo in mente.

 

Per mia fortuna la fermata di Baker Street non era tanto lontana dal numero 221, così in pochi minuti mi trovai sotto la sua porta. La luce, al piano di sopra, era accesa. ‘Bene! È ancora sveglia!’ mi dissi prendendo coraggio e suonando il campanello. Aspettai. Niente da fare. Mi misi in ascolto. Dall’appartamento proveniva il suono malinconico e romantico di un pianoforte. Forse non aveva sentito. Suonai con più entusiasmo e sentii il rumore metallico del campanello sovrastare quello dello strumento musicale. Dopo qualche istante la vidi scostare una tenda e guardare fuori. Immagino che per una donna come lei dovesse essere fondamentale tenere sempre la guardia alta.

Mi riconobbe e, rassicurata, venne ad aprire.

La porta scattò e si aprì con un cigolio. Entrai e, con un senso di reverenziale timore, salii i gradini che mi avrebbero portato al suo appartamento. Lei era lì, in piedi, davanti alla porta, e mi aspettava.

Era bellissima.

Indossava una vestaglia blu scura che le arrivava fino alle caviglie sotto la quale si poteva intravedere una camicia da notte di seta bianca, lucida e sensuale. Aveva i capelli più spettinati di quando l’avevo incontrata al Criterium bar e mi guardava con sospetto.

“Immaginavo che ti avrei rivisto” disse, incamminandosi verso la stanza “Benedict aveva proprio ragione sul tuo conto. Così hai lasciato la tua fidanzata, eh?”

“Sì” risposi, senza appoggiare la valigia, ma tenendola stretta al corpo. Non sapevo bene perché, ma mi intimoriva. Mi attirava e mi intimoriva.

“Hai intenzione di rimanere lì ancora per molto?” mi chiese spostandosi dalla porta per farmi entrare “La tua stanza è al piano di sopra” disse poi indicando le scale con un cenno del mento.

“Spero che il suono del mio pianoforte non ti disturbi”

La guardai qualche istante prima di riprendermi. Presi un bel respiro e guardai la soglia. Una volta fatto quel passo non sarei più tornato indietro. Lei non poteva saperlo, o forse lo sapeva meglio di me, ma quel passo era molto importante per la mia vita, per come avrei affrontato i problemi in futuro.

Mi feci coraggio ed entrai.

Spalancai la bocca attonito.

“Cos’è successo qui?! È scoppiata una bomba?!”

Non smise di suonare mentre mi rispose. “Ovviamente no. Se fosse successo tutta la casa non esisterebbe più”

Aprii gli occhi (stava suonando con gli occhi chiusi), si girò verso di me con lo sguardo perso nel vuoto.

“Oh, sarcasmo. Capisco.” E si rimise a suonare.

Non ci potei credere. Aveva davvero capito a scoppio ritardato che stavo scherzando? Probabilmente mi stava solo tirando in giro.

Presi la mia valigia, salì nella mia stanza e sistemai tutte le mie cose in fretta. Volevo conoscerla immediatamente, anche se capii che non sarebbe stata un’impresa cosi facile.

C’era un divano in fondo alla stanza, dopo aver messo in ordine alcune carte e oggetti scientifici, presi posto e iniziai ad ascoltare con più attenzione. Riconobbi la melodia: Moonlight sonata di Beethoven.

“Sei molto brava a suonare”

Non mi rispose, era troppo concentrata. Credo. Il sonno incominciava a prendere possesso della mia mente, quindi cercai di salutare Rain, prima di crollare.

“Io andrei a letto, Rain. Ti ringrazio per l’ospitalità… potremmo parlare dell’affitto domani e…”

Non riuscii a finire la frase perché mi interruppe.

Si fermò ancora. Aveva smesso di suonare. Prese un pacchetto di sigarette da sotto la testa di un teschio (non volevo sapere perché era li, infatti evitai domande) e se ne accese una.

Si sporse dalla finestra, osservando la folla serale.

“Le vedi, Maximillian?”

“Cosa?”

Un alone biancastro ondeggiò sopra le nostre teste.

“La domanda più appropriata sarebbe: chi?”

Sospirai, stando al gioco.

“Chi?”

“Tutta quella gentaglia comune… ecco, vedi quella ragazza col tweed?”

Mi avvicinai a lei tagliando la distanza che ci allontanava.

“Si, ora la vedo.”

“Sta pensando alla persona con cui ha passato la giornata oggi, probabilmente un’amica, e a cosa preparare domani a colazione. Per lei, ovviamente. Per il suo cane ha comprato del cibo in scatola. È single”

La guardai, stupefatto. Quella donna era sempre piena di sorprese.

“Come…?”

“Come ho fatto? Tu guardi, ma non osservi, Maximillian”

Un altro alone bianco.

“Ha una borsa della spesa in mano, con dentro delle scatolette per cani, quindi deve averle comprate ancora quando i negozi sono aperti, cioè prima delle sette. Dunque: perché a quest’ora, di sera, torna a casa? Non poteva portarle a casa prima? Ovviamente no, perché è stata da una sua amica che l’ha chiamata senza preavviso mentre era al negozio di animali. Non è truccata e non è vestita elegante, se fosse stato un ipotetico fidanzato sarebbe tornata a casa per truccarsi e cambiarsi, cosa che non ha fatto. Sto notando ora che non ha anelli ne sulla mano sinistra ne sulla mano destra.”

“ Non potrebbe essere andata dai suoi genitori?”

“Non credo proprio ci vada in quelle condizioni. Ha un lavoro con stipendio minimo, di ufficio a giudicare dalla corporatura. Non ha un’intelligenza fuori dal comune cosi cerca di fare buona impressione esteticamente. No, non sarebbe andata da loro in jeans, scarpe sportive e maglione da due soldi”

Non sapevo che dire.

“Sei...”

“Strana? Un fenomeno da baraccone?”

“Sei stata incredibilmente magnifica!”

Dissi io, prendendola per le spalle. Subito dopo mi resi conto di ciò che avevo fatto, staccandomi nervosamente da lei e forse arrossendo anche un po’.

“Davvero?”

Era realmente incredula a quello che le avevo appena detto?

“Certo, lo penso seriamente! Non ho mai conosciuto una persona più arguta e intelligente di te!”

Mi guardò perplessa, come se non capisse la mia ultima osservazione.

“Ovviamente.” Rispose alla fine.

Non capii esattamente cosa volesse dire, ma il sonno in quel momento, era mio nemico e cercai subito di andare a riposare.

“Buonanotte Rain. A domani”

Aspettai per qualche secondo la sua risposta che, naturalmente, non arrivò.

Mi sarebbero capitate interessanti giornate, in sua compagnia. La mia decisione di andare a vivere in Baker Street avrebbe dato i suoi frutti. Me lo sentivo.

Il mio risveglio fu straordinario, l’indomani. Il suono del pianoforte mi svegliò lentamente.

Nel susseguirsi degli anni quasi tutte le sveglie furono cosi, e io ne fui davvero tanto felice.

Scesi fino ad incontrarla nel salotto. Credo non fosse andata a dormire, giudicando dalla veste e dai capelli identici alla sera prima.

“Buon giorno, Rain…”

Ovviamente non mi aspettai una risposta, che infatti non arrivò.

Si voltò solo verso di me e mi rivolse un sorriso appena accennato.

“ Preparo la colazione, vuoi qualcosa?”

“ Quello che mangi tu andrà benissimo. Ma la porzione dev’essere la metà. “

Si alzo di scatto e si incamminò verso il bagno. Riuscì a distinguere il rumore dell’acqua della doccia.

Incominciai a preparare la mia colazione preferita: uova, bacon e della spremuta d’arancia.

Finito di preparare apparecchiai la tavola.

“ Avrei dovuto dirti di preparare anche il tea. “

Il suo viso fu annoiato dall’affermazione che fece.

L’ho indispettita solo per non aver preparato il tea?!

S’incamminò verso la cucina per mettere a bollire dell’acqua. Sbuffò sonoramente mentre io mi sedetti porgendole il piatto.

“ ho visto Elisabeth.”

In quel momento rischiai di strozzarmi con della pancetta.

“Cosa?!”

Bevvi un sorso d’arancia per ingurgitare il boccone di bacon e per non strozzarmi.

“ D-dove? C-come?! Che ti ha detto?! “

Mi guardò come se parlasse ad un bambino. Adoro quell’aria da saccente. Non dovrei, vero?

“ come sei noioso, Maximillian. L’ho vista dalla finestra di sfuggita. Abbiamo un caso, dobbiamo andare a Scotland Yard oggi.”

“ davvero? Fantastico! “

Liquidai tutti i pensieri su Elisabeth. Non avevo voglia che rovinasse anche i miei pensieri, aveva già fatto un buon lavoro con la mia vita. Mi bastava questo.

Non ci feci ancora caso ma, era già vestita di tutto punto, non era truccata e aveva ancora i capelli coperti da un asciuga mano ma… era davvero stupenda.

Credo che arrossii in quel momento, vedendola bene.

“ finisci di mangiare, piantala di fissarmi e vai a vestirti. Dobbiamo essere la entro quaranta cinque minuti.”

Scoperto in pieno.

Fini la mia colazione in un tempo da record per poi vestirmi in ancora meno tempo. Quando tornai la ritrovai perfettamente truccata e con dei capelli ricci che rasentavano la perfezione.

Chiudemmo la porta dietro di noi, dopo di che Rain cercò di chiamare un taxi. Non riuscendoci perché…

“ Maximillian! Come diavolo ti sei permesso brutto… ah. Chi si rivede. La donna del bar. “

Elisabeth squadrò da capo a piedi Rain che, di canto suo, non se ne curò affatto.

“ cosa diavolo vuoi ancora?! “

Ero davvero spazientito da quella donna. Era orribilmente appiccicosa e irritante.

“ voglio che tu torni da me e molli questa sciacquetta! “

All’ultima parola gli occhi grigi di Rain vacillarono di collera per pochissimi secondi.

Non disse nulla, si girò dalla parte opposta per chiamare un taxi ma ancora una volta non potè farlo. Elisabeth le bloccò il polso sinistro.

“stagli lontano, chiaro?! “

“ non mi sembra che io lo stia obbligando a fargli far nulla. È stata una sua decisione venire qui, a Baker Street. Quindi cerchi di non disturbare oltre e di andarsene. Prego. “

Con una mossa secca e decisa, Rain, si staccò dalla presa e incominciò a guardare Elisabeth con aria di superiorità.

In effetti nessuno poteva ammettere che Elisabeth era superiore di Rain in qualsiasi cosa.

“ come ti permetti?! “

Elisabeth aveva tutta l’intenzione di mollare un bellissimo schiaffo al viso di Rain. Ovviamente non arrivò mai, i riflessi della rossa erano decisamente superiori. Le prese il polso e si avvicinò a lei, con fare minaccioso.

“ è cosi che risolve i suoi problemi? Prendendoli a schiaffi? Ho intuito che il suo quoziente intellettivo fosse basso, ma non pensavo cosi basso. “

 

Credo che questa mia nuova vita mi ucciderà prima del previsto.

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Capitolo 3
*** Shot and Awards ***



Ciao a tutti. Ecco un altro capitolo della nostra bellissima storia *si applaudono e si inchinano l'un l'altra*.
Speriamo che vi piaccia e che continuate a seguirci, anche se pubblicheremo a singhiozzo ... scrivere una storia a due mani non è così semplice. Verrà fuori u bel lavoretto, però. Un bacio e un abbraccio a tutti, sia chi commenta che ci ci segue silenziosamete. Padmini e Bbbgster







 

Shot and Awards








Rain stringeva il polso di Elisabeth con decisione. La guardò a lungo negli occhi poi, all'improvviso, forse annoiata da quella vista, la lasciò bruscamente andare.

“Non ti conviene metterti contro di me” la minaccio Elisabeth guardandola male “Ho delle conoscenze … conoscenze molto influenti ...”

Rain le fece un sorriso irriverente.

“Che paura ...” mormorò e le voltò ostentatamente le spalle per chiamare un taxi che, nel giro di pochi istanti, accostò al marciapiede.

Rain aprì lo sportello e si sedette, lasciandolo aperto per me. Era ovvio, per lei, che l'avrei seguita. Elisabeth mi guardò torva.

“Se salirai in quell'auto” mi disse con tono minaccioso “Te ne pentirai. Non scherzo, Max. Te ne pentirai”

La guardai con apprensione. Il suo sguardo non prometteva nulla di buono. Posai poi lo sguardo su Rain. Lei stava seduta, tranquillamente, sul sedile del taxi. Non mi guardava. Stava mandando un messaggio a chissà chi. Elisabeth, in piedi sul marciapiede, mi dominava. Incombeva su di me come una nuvola di temporale. Rain, senza il minimo sforzo, mi attirava a sé, come una calamita.

Non c'erano dubbi. Ormai avevo preso la mia decisione. Salii sul taxi e mi chiusi bruscamente la portiera alle spalle, mentre quella donna demone cominciò a lanciarmi i più terribili improperi.

“Ci porti a Scotland Yard” disse Rain al tassista, che rispose con un cenno del capo e avvio l'auto.

Restammo in silenzio per quasi tutto il tragitto. Rain, però, era ad un tratto diventata inquieta. Non posso dire che fosse preoccupata, ma le parole di Elisabeth dovevano averla colpita.

“Rain ...” sussurrai “Cos'hai? Se è per quello che ha detto la mia ex … non devi preoccuparti. Insomma, tu sei Rain Holmes, no? Di cosa devi aver paura? Di quella ignorante e petulante donnetta che mi sono portato dietro per tutti questi anni? È innocua … can che abbaia ...”

“Piantala con le frasi fatte” mi disse lei e scese dal taxi che, nel frattempo, aveva accostato davanti a New Scotland Yard “Richard Brook era solo un povero programmatore gay … eppure sai anche tu come è andata a finire. Sono abituata a non sottovalutare mai i miei avversari, chiunque siano. È un atteggiamento stupido e fa perdere un sacco di tempo”

“Ma è .. è solo Elisabeth! Cosa ci può fare di male?”

“Non lo so” rispose lei mandando un altro messaggio, prima di riporre il cellulare in borsa “Ma tendo a non abbassare mai la guardia. Mai. Con nessuno”
La guardai ammirato. Non era nervosismo o preoccupazione ciò che la scuoteva, ma semplice osservazione. Una informazione aveva preso posto nel suo cervello e lei la stava valutando, catalogando e posizionando con meticolosa precisione. Se Elisabeth fino a ieri era stata per lei solo una donna come tante, ora era parte di un problema. Non un problema immediato, ma lei guardava più avanti, non voleva essere colta di sorpresa.

“A proposito” domandai all'improvviso “Chi è Richard … Brook hai detto?”

Lei mi fissò con commiserazione per qualche istante, poi mi voltò le spalle ed entrò nell'edificio.

“Rain!” insistetti correndole dietro “Non mi hai risposto, Rain!”

“Non ora” mi rispose lei dirigendosi verso l'ufficio dell'Ispettore Gregson.

L'ispettore era tremendamente indaffarato, preso di mira da tre agenti e due telefoni che squillavano contemporaneamente, ma lasciò tutto quando vide Rain avvicinarsi.

“Rain!” esclamò, come se la sola visione della donna potesse aiutarlo a calmarsi “Finalmente sei arrivata! Siamo nella merda fino al collo, letteralmente”

“Questo perché non mi avete ascoltata fin da subito” rispose lei placida “Se mi aveste dato retta ...”

“Chiudi il becco, Freak” la interruppe un agente con fare scocciato “Stiamo lavorando, noi”

Rain lo guardò con sufficienza per un istante, poi tornò a rivolgersi a Gregson.

“Ho trovato il gruppo dei sicari” disse estraendo il cellulare dalla sua elegante borsetta “Si trovavano tutti insieme al Criterium Bar, ieri sera. Queste sono le foto che sono riuscita a scattare. Alcune non sono molto definite, ma si riconoscono perfettamente ...”

L'ispettore prese il cellulare e cominciò a scaricarle sul computer.

“Stai scherzando, spero” borbottò Gregson osservando le foto con apprensione “A parte il fatto che sono praticamente perfette … questi sono tutti gli uomini di White, il candidato premier per le prossime elezioni. Non puoi accusarli così. Servono le prove, Rain!”

“Prove ne ho a sufficienza” rispose lei riprendendo il cellulare “Inoltre, se fossero stati davvero innocenti, non mi avrebbero inseguito fino alla metropolitana per uccidermi. Non credi?”

“Tutto questo non ha senso” disse l'ispettore scuotendo la testa “Sono pezzi grossi, gente conosciuta! Perché dovrebbero rischiare di compromettersi per uccidere degli avversari politici?”

“Scusate” intervenni a quel punto “Non capisco ...”

In quel momento Gregson si accorse della mia presenza.

“Chi è lei?” mi chiese sorpreso “Cosa ci fa qui?”

“Lui è con me” rispose Rain al posto mio “Il dottor Maximillian Webb. È il mio assistente”

“Non sapevo che avessi bisogno di un assistente” disse l'uomo che l'aveva interrotta prima.

“Ora lo sai, Anderson*” rispose lei gelida.

“In queste ultime due settimane sono morti tre politici coinvolti nelle prossime elezioni” mi spiegò Gregson “Sono stati tutti uccisi nelle proprie abitazioni da dei cecchini esperti, a quanto abbiamo potuto appurare”

“Erano tutti appartenenti alla stessa corrente politica, giusto?” chiesi pensieroso.

“No” rispose Gregson scuotendo la testa “Il problema sta proprio qui. Erano avversari. Non abbiamo diffuso la notizia per non allarmare la cittadinanza, ma credo che ora sia il caso di farlo. Piuttosto, Rain. Gli uomini che hai accusato erano coinvolti nella campagna elettorale con quelli che sono stati uccisi … che senso avrebbe avuto ucciderli?”

“Se vuoi nascondere qualcosa” disse lei, sibillina “Mettila ancora più in evidenza”

“Parla come mangi, per favore” intervenne Anderson sbuffando.

“Scusa tanto, Anderson” rispose lei “Dimentico sempre che devo abbassarmi al tuo quoziente intellettivo per farti comprendere ciò che dico. Dunque, i fatti sono questi. Hope, Striker e Law sono politici attivi, che partecipano con fervore alla campagna elettorale del loro rappresentante”

“Questo lo sappiamo!” la interruppe Anderson, ma lei non lo calcolò.

“Questo potrebbe far pensare che dovrebbero tenersi lontani da qualsiasi tipo di scandalo … proprio per questo ho cominciato a sospettare di loro tre”

“Non ti seguo ...”

“Tra tutti i politici che sono più in vista in questo periodo, sono gli unici che abbiano seguito un addestramento militare e, per questo, possono essere degli abili cecchini”

“Perché non pagare qualcuno per farlo al posto loro, allora?” chiese Gregson “Di solito non si fa così?”

“Un cecchino pagato è un mercenario” rispose Rain con un sospiro spazientito “Non sta dalla parte di nessuno e se trova qualcuno che lo paga di più è più che disposto a voltare le spalle a chi lo ha ingaggiato. Per questo, soprattutto se non si vuole attirare l'attenzione, è sempre meglio agire da soli. Questi tre” riprese indicando i volti sul video “Lavoravano per conto di Sanderson” aggiunse indicando una quarta foto “C'era anche lui al Criterium Bar e sono più che certa che stessero pianificando un altro omicidio”

“Quindi, ora ...”

“Ora saranno nascosti. Sanno che li ho visti e che so la verità – è per questo che hanno provato ad uccidermi – quindi dovremo aspettare qualche giorno. Non dovrete agire in nessun modo evidente, ma vi consiglio di fare intervenire degli agenti in borghese durante il comizio previsto per la settimana prossima. In quell'occasione si affronteranno i candidati premier, faccia a faccia, non potranno esimersi dal comparire in pubblico. Sarà quella l'occasione che avremo per coglierli sul fatto. Ora, se volete scusarmi, ho di meglio da fare” e, senza nemmeno guardarli, uscì dalla stanza, con me che la seguivo come un cagnolino, cercando di scusarmi come meglio potevo per il suo comportamento così instabile.

“Sei davvero sicura di ciò che hai detto?” le chiesi mentre uscivamo “In fondo quei tre sono sui giornali un giorno sì e l'altro pure …”

“Ascolti quando parlo?” mi domandò lei, spazientita “Un cecchino, a meno che non sia un uomo di fiducia, può voltare le spalle al suo capo in qualsiasi momento, o peggio, potrebbe cominciare a ricattarlo. Questi tre politici, in questo momento, sono molto ricattabili, non sarebbe stato saggio mettersi nelle mani di un mercenario”

“Capisco che abbiano deciso di uccidere i loro avversari politici” aggiunsi dubbioso “Ma gli alleati! Hanno ucciso anche chi stava dalla loro parte!”

“Per sviare ogni sospetto” mi rispose lei, come se fosse ovvio “Dovevano far credere che fosse qualcuno che non aveva scopi politici, in modo da essere gli ultimi sospettati”

“Tu, però, hai sospettato subito di loro”

“Ma io sono più intelligente” mi rispose lei senza falsa modestia. Lo disse con naturalezza perché era una cosa in cui credeva davvero e … era vero, cominciavo a rendermene conto anch'io.

“Hai voglia di un caffè?” le chiesi indicando con un cenno della testa un bar poco distante “Lì fanno anche i bagel … ho proprio voglia di un bagel ...”

“Un bagel?” mi domandò lei “Hai fatto colazione prima! Non sei sazio?”

“Mi hai fatto fare colazione in fretta e furia per venire a Scotland Yard con te, ricordi?” le domandai mettendo il broncio “Ho fame!”

Lei borbottò qualcosa di incomprensibile a proposito del cibo e dell'inutile bisogno di mangiare, ma mi seguì ugualmente nel locale. No, non mi seguì. Fu lei a farmi strada e io la assecondai. Entrammo e ci accomodammo su un tavolino che dava sulla strada. Ordinai un cappuccino e un bagel con la marmellata e cominciai a mangiare.

In quel momento le squillò il cellulare e cominciò una serie di botta e risposta. Con la coda dell'occhio riuscii a leggere i messaggi che le arrivavano e ciò che lei rispondeva. So che non avrei dovuto farlo, ma ero così curioso …

 

Verrai stasera? Ben

 

Devo proprio? RH

 

Continui a firmarti con la H? Sei una Cumberbatch, bella mia!

 

Non ha importanza. Devo proprio venire? RH

 

Ti preeeeego!

 

Come sei seccante. RH

 

Allora? Verrai?

 

Non ti prometto niente. RH

 

Inviò l'ultimo messaggio e restò a soppesare il cellulare per qualche minuto, infine mandò un altro messaggio.

 

Fammi sapere se L va a SA. RH

 

Non riuscii a vedere a chi mandava il messaggio. Mise a posto il cellulare e si alzò.

“Scusami” disse, anche se in realtà non vedeva l'ora di andarsene “Devo andare ora, non ho tempo da perdere, anche perché stasera …” si interruppe e mi guardò per un istante “Stasera usciamo. Vestiti bene, devi essere elegante”

“Non cominciare anche tu come Elisabeth, ti prego!” sbottai io con un sospiro.

Errore. Errore madornale. Lei mi fulminò con lo sguardo. Mi sentii incenerire. L'avevo appena paragonata alla mia ex … come avevo potuto paragonarla a qualcuno?

“Vedi di venire presentabile” mi disse gelida “Nel mio lavoro è di fondamentale importanza la presentazione. Se vuoi lavorare con me devi stare alle mie regole, è chiaro?”

“Certo, certo ...”

Si alzò e uscì dal bar senza nemmeno salutarmi. La guardai allontanarsi. Di certo non mi aveva raccomandato di prepararmi in tiro senza un motivo preciso. Finii il mio bagel in santa pace e andai a lavoro.

 

La giornata proseguì nella noia più totale. Non sapevo, povero ingenuo, che era solo la calma prima della tempesta. Morti, morti, morti. Tanti morti. Be', certo, lavorando in un obitorio …

Pensavo che Rain si sarebbe fatta viva, ma non la vidi per tutto il giorno. Arrivai a casa molto tardi rispetto al solito, mi feci una doccia e indossai il pigiama. Quando sprofondai sulla poltrona, mi ricordai dell'impegno. In quel momento entrò Rain.

“Muoviti, Max” disse “Dobbiamo prepararci”

Era spettinata fino all'inverosimile e sporca di polvere e fango. Mi guardò con disapprovazione e svanì in bagno. Dopo pochi istanti sentii il rumore della doccia. Mi alzai con un sospiro e andai a scegliere i vestiti da indossare in camera mia. Scelsi un completo nero con camicia bianca e cravatta bordeaux. Bene, poteva andare. Mi ero anche rasato e sembravo molto elegante. Scesi e la trovai già pronta, intenta ad allacciare un bracciale d'oro al polso. Era stupenda. No, stupenda è riduttivo. Era splendente.

Indossava un tubino blu scuro che le faceva risaltare le forme perfette e le lasciava scoperta la schiena. Al collo portava un collier d'oro, sottile ed elegante, in coordinato con un paio di orecchini a goccia. Scrollò il braccio e prese il cellulare.

“Dovrebbe arrivare tra poco” disse guardando l'ora.

“Chi?” domandai.

“Eccolo” disse guardando fuori dalla finestra, ignorando la mia domanda. Mi sporsi anch'io e vidi una limousine parcheggiata fuori dalla nostra porta.

“Quella … quella è per noi?” chiesi incredulo.

“Per chi, altrimenti?” disse lei “Muoviti, siamo già in ritardo”

Afferrò una pochette di brillantini, una stola color avorio e si avviò verso le scale. La seguii come ipnotizzato. Si muoveva agilmente su un paio di scarpe con un tacco vertiginoso e il movimento delle sue curve mi ipnotizzava. Salì con grazia sull'auto e la seguii come un marinaio attirato dal dolce canto di una sirena.

“Smettila di fissarmi così” mi disse “Cerca di mantenere un contegno, per favore!”

“Si può sapere dove stiamo andando?” domandai esasperato.

“Satellite Awards” mi rispose lei lapidaria.

“Cosa sarebbe?”

“Come sei seccante! Già mi scoccia dover venire qui … anche se potrebbe rivelarsi interessante ...”

 

La limousine arrivò davanti ad un auditorium. Uno sciame di giornalisti presidiava l'entrata. L'autista accostò sul marciapiede.

“Come pensi di entrare?” domandai “Non siamo mica invitati … sembra che ci sia una festa ...”

“Io sono stata invitata” mi rispose lei mentre l'autista scendeva per aprirle la portiera “Tu sei con me, non ci trovo niente di male”

Scendemmo. Subito fummo attaccati da decine e decine di flash. Rain sembrava esserci abituata. Sul red carpet c'erano alcuni attori conosciuti, intervistati da dei giornalisti.

“Questa è una cerimonia di premiazione cinematografica?” domandai “Cosa ci facciamo qui?”

“Mi ha invitata Ben” rispose lei avviandosi verso l'entrata “Eccolo”

Benedict Cumberbatch era in piedi vicino alle porte dell'auditorium e rispondeva alle domande di una giornalista ma, appena vide la sorella, si scusò e ci raggiunse.

“Ciao Rain!” disse prendendola per una spalla “Sono felice che tu sia qui!”

“Non penserai che sia venuta per te, vero?”

“Ah, allora sei qui per il rinfresco?” domandò lui, sarcastico.

“Molto spiritoso … Vogliamo entrare?”

“Venite” ci disse, facendoci strada “Il nostro tavolo è davanti ...”

“Sei stato nominato per ...” gli domandò Rain con un sussurro.

“The last enemy … attore protagonista” rispose lui, sorridendo sornione.

Ci sedemmo su un ampio tavolo rotondo e presto ci raggiunsero anche Anamaria Marinca, Eva Birthistle, Max Beesley e Robert Carlyle **. Benedict li salutò cordialmente.

“Non vincerai” disse Rain, lapidaria.

“Smettila”

“Lo sai bene. Sei un perdente”

“Ma … ma …Rain!”

“Non hai mai vinto un BAFTA” riprese lei, implacabile.

“Non mi serve un BAFTA per provare di essere un grande attore!”

“Come vuoi, tesorino … continua a ripetertelo ...”

Ridacchiai. Era bello vederli bisticciare. Benedict era rosso dalla collera mentre Rain rideva soddisfatta.

“Adoro prenderlo in giro” mi disse con un sussurro e mi fece l'occhiolino. Risi anch'io, poi cominciò la premiazione. Prima di cominciare a consegnare i premi, il presentatore invitò sul palco Ian Law. Con lui salì anche un rappresentate del partito avversario, un certo Garrideb. Sicuramente si erano auto invitati per farsi pubblicità, visto che la campagna elettorale era nel suo culmine. Dissero due o tre parole di rito e tornarono a sedersi sul tavolo delle autorità.

Vennero consegnati molti premi. Attori, attrici, miniserie, film. Arrivò il turno del premio per il miglior attore in una miniserie o film per la televisione. Ben era evidentemente teso. Venne nominato con altri cinque attori e vedemmo uno spezzone del suo telefilm.

“E il vincitore del Satellite Award è …” annunciò la presentatrice, con una pausa ad effetto.

Ben fremeva. Era teso come la corda di un violino. Rain sbadigliò.

“Paul Giamatti! Per John Adams”

Un applauso riempì la sala. Paul si alzò dal suo tavolo e andò verso il palco per ritirare il premio. Ben si accasciò sulla sedia. Guardò un punto indistinto davanti a sé. Non sembrava particolarmente turbato. Sorrideva, ma si vedeva che era deluso. Rain ridacchiò al suo fianco, poi si sporse verso di lui e gli sussurrò qualcosa all'orecchio. Non so cosa gli disse, ma di certo fece effetto perché Ben sembrò riprendersi. Rain prese due calici di Prosecco***, ne porse uno al fratello e insieme brindarono allegramente.

Le premiazioni proseguirono. Ben, superata l'ansia per il premio, aveva cominciato a bere con disinvoltura, mentre Rain sembrava tesa. Osservava il tavolo delle autorità.

“L stava per Law” mi disse senza guardarmi, lo sguardo fisso sul tavolo di fronte al palco “SA per Satellite Awards”

“Cosa?” domandai, preso alla sprovvista.

“Il messaggio che hai letto stamattina” mi spiegò lei “So che hai letto i miei messaggi” mi spiegò “Ho chiesto a una mia fonte se Law sarebbe stato presente. Se non ci fosse stato lui non sarei di certo venuta, ma ora ho la possibilità di incastrare lui e il suo complice”

“Cosa?!” domandai, shockato “Dovevi avvertire la polizia!”

“Avrei rischiato per niente” mi rispose lei, continuando a guardare il politico “Non sanno che sono qui anch'io e pensano di essere al sicuro”

“Ma … ma … stamattina hai detto altro a Gregson!”

“Ho mentito”

“Ma ...”

“Dovevo pur dire qualcosa, no?” mi disse lei, impaziente “Sto preparando questa trappola da più di una settimana. Ho sentito che parlavano di questo attentato ieri sera al Criterium bar. Se solo non mi avessero beccata ieri sera … pazienza. È stato un errore che non ripeterò più. Mi ero distratta”
“Cosa?” domandai, al massimo della sorpresa “Ti eri distratta?”

“Sì” rispose lei “Li stavo spiando, ma mi sono distratta … così mi hanno scoperta”

“Cosa ...”

Non feci in tempo a terminare la frase perché Rain si alzò di scatto. Corse veloce come una gazzella verso il tavolo delle autorità e la stola avorio le scivolò lungo la schiena.

Vidi ciò che lei stava aspettando da tutta la sera. Law aveva appena riposto il cellulare e guardava verso l'alto. Rain si avvicinò e con uno scatto felino, gli afferrò il polso e guardò anche lei nella stessa direzione. Seguii il suo sguardo. Su una balconata vuota, vidi due ombre. Erano due uomini. Uno vestito di nero e l'altro di bianco. Non capii chi potessero essere. L'uomo in nero, che teneva in mano quello che sembrava essere un piccolo fucile di precisione, era tenuto fermo da quello vestito di bianco.

L'intera sala era ammutolita di fronte a quello spettacolo. Qualcuno mormorava. Rain aveva attirato a sé l'attenzione di tutti. Sentii qualcuno invocare la polizia e Rain sorrise. Era proprio quello che voleva. Appoggiò la pochette al tavolo, ne estrasse il cellulare e chiamò qualcuno, evidentemente l'uomo in bianco.

“William non farlo scappare” disse “Bene, appena puoi portalo giù”

“Signorina, mi lasci!” protestò Law “Potrei farla arrestare per questo! Ecco! È arrivata la polizia!”

Alla premiazione era presente una squadra mobile, chiamata per mantenere la sicurezza. Sentii uno degli agenti parlare al cellulare.

“Ispettore, è meglio che venga anche lei. C'è qui la Freak che ha combinato un bel casino ...”

“Non ho combinato nessun casino” disse Rain “Comunque ha fatto bene a chiamare Gregson, tra poco ci sarà più di un politico corrotto da arrestare. Tra poco William porterà giù il tu complice. Chi è stasera? Hope? Striker? Scommetto che ci sono anche loro qui, nascosti da qualche parte ...” disse stringendo di più il polso di Law.

Prese il cellulare e richiamò William.
“William, ci sei?” chiese “Portalo giù. Usa la forza, se proprio devi. Se ci scappa non avremo prove per ...”

Si ammutolì. La sua pelle già bianca, impallidì ulteriormente.

“Come sarebbe a dire? Dov'è William? … Bastardo, tu ...”

Non riuscì a finire la frase. Sentii un sibilo. Rain vacillò per un istante. Lasciò la presa su Law e fece cadere il cellulare, che si fracassò a terra con un rumore di plastica rotta. Mi sembrò che il mondo si fermasse. Tutto stava andando al rallentatore. Sentii solo la mia voce, distorta e rallentata, chiamare il suo nome … Rain …

Mi alzai mentre notai, con orrore, che una macchia vermiglia si stava pian piano allargando sulla sua stola chiara ...


 


 

*Parente di quell'Anderson che tutti noi odiamo

**Tutti attori di The Last Enemy

***Il Prosecco è molto apprezzato a Londra

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Capitolo 4
*** Trust ***





Trust

 

 

 

 

 

Non ci potevo ancora credere.

Ieri sera dei medici portarono Rain all’ospedale… le avevano sparato.

Ricordo ancora la scena come fosse successa cinque minuti fa.

Io che cerco di chiamarla tenendola fra le mie braccia, ma è tutto inutile perché lei non riprende conoscenza.

Chiamo un’ambulanza immediatamente. Ci mette un secolo ad arrivare…

Il mio cuore si era fermato, continuavo a chiamarla. Non dava segni di sentire ciò che le stavo dicendo ed ora eccomi qui.

Seduto su una sedia d’acciaio, scomoda ma non mi importa. Posso rimanerle acanto e questo mi basta.

È ancora incosciente, il medico ha parlato con me, suo fratello, i suoi genitori e persino con suo nonno.

Le hanno sparato, ha subito un’operazione che, grazie a Dio, è andata benissimo (parole sue).

Se non fossimo stati cosi tempestivi a chiamare i soccorsi forse lei… basta. Non ci voglio nemmeno pensare. No.

“ Svegliati, Rain. Per favore… svegliati…” non so se fosse il sonno a parlare (ero stanchissimo, più di due giorni dormendo si e no un’ora) oppure io stesso ma… non potevo sopportare di vederla in quello stato. Non potevo.

Aveva un viso cosi angelico e tranquillo… come se stesse solo dormendo.

“ Se solo mi avessi messo al corrente del tuo piano. Se solo sapessi fidarti di me, Rain! Che diavolo…”

Mi stavo forse incolpando per quello che era successo?

Sapevo benissimo che non era colpa mia, ma c’era qualcosa che mi impediva di pensarlo…

Ero arrabbiato. Arrabbiato e frustrato perché avrei potuto aiutarla se solo mi avesse detto cosa aveva intenzione di fare. Ma nel contempo ero triste perché mi incolpavo dell’accaduto.

Non fare l’idiota, Max. È l’ultima cosa di cui hai bisogno… Maledizione.

Senza pensarci afferrai la mano di Rain. Era cosi fredda… appoggiai la mia fronte su quella morbida e splendida mano. Anche in un momento come questo riesce ad essere cosi bella.

Cosa diavolo vai a pensare, Max?! figurati se una come lei…

Mi alzai di scatto dalla sedia, facendola barcollare un poco. Incominciai a camminare per la stanza avanti ed indietro. Non riuscivo a non pensarci.

Possibile che io mi stia…

I miei pensieri furono interrotti da Benedict che entrò in silenzio nella stanza.

“ Benedict…”

“ Ciao Maximillian. Non pensavo fossi ancora qui, vuoi che ti dia il cambio? Non hai una bella faccia, dovresti riposare…”

“ Non preoccuparti per me, lo faccio volentieri. “ gli porgo una sedia, che accetta volentieri.

“ Ho parlato col dottore… dice che non dovrebbe mancare molto al suo risveglio.”

Mostrò il suo miglior sorriso, a parer mio.

“ Spero sia davvero cosi. “ gli sorrisi, sedendomi a mia volta.

“ Max… posso chiamarti cosi? “

“ Certo, dimmi pure.”

“ Tu…” in quel momento notai i suoi occhi, di un azzurro paragonabile a quello del cielo spoglio di nuvole. Non potei fare a meno di rabbrividire un poco.

“ … provi qualcosa per mia sorella?”

Nonostante la domanda seria, Benedict era cosi calmo e pacato nel parlarmi. Come se mi avesse chiesto se volessi del tea. Credo di essere arrossito un bel po’ in quel momento.

Non sapevo proprio cosa rispondere, ma non ce ne fu il bisogno, dato che continuò a parlare lui.

“È una tua decisione. Ovviamente non interferirò, ma sappi che mia sorella non è una persona cosi facile… anche se, devo dire la verità, non vi trovo una brutta coppia. Anzi, credo staresti bene con lei. “

Un altro sorriso, ora mi stava mettendo in soggezione, almeno un pochino. Credo sia un vizio di famiglia.

“ Sono lusingato che tu la pensi cosi, ma… io e lei… vedi, non… “

Non riuscivo assolutamente a comporre una frase dal senso compiuto.

“ Non ancora, Max. non ancora. “

Si alzò dalla sedia di scatto, come se si fosse ricordato qualcosa di importante da fare.

“ Caspita me ne stavo completamente dimenticando! Devo proprio scappare ora, questo è il mio numero di cellulare. Nel caso ti occorra qualcosa. Non sai quanto si sono grato. “

Mi prese le mani, guardandomi e sorridendo.

“ Te l’ho detto lo faccio più che volentieri.”

Mi sorrise ancora e mi ringraziò uscendo dalla stanza.

Mi ritrovai ancora solo con Rain. Le strinsi ancora più forte la mano e per un momento credetti che…

No, impossibile. Non può avermi stretto la mano.

Con questo dubbio lasciai la stanza, l’orario delle visite era concluso.

 

Erano le otto e mezzo di sera nel 221b di Baker street.

Le stanza della casa erano vuote senza di lei.

Notavo il pianoforte senza la sua pianista, decisi di accendere la tv per non sentirmi oppresso da tutto quel silenzio. Odio il silenzio.

Accesi la televisione e capitai per caso sulla BBC one. Ci furono molte interviste, quella che mi colpì di più fu quella di Matt Smith. Una brava persona, ultimo Dottore della serie “Doctor Who”.

Tempo fa seguivo questa seria, mi piaceva.

Poi arrivò quell’intervista. L’intervista a Benedict Cumberbatch.

“Ho sentito dire che lei ha una sorella che ha ripreso in mano il lavoro di famiglia, è vero?”

In quell’occasione Ben era vestito di tutto punto.

“Certamente! È verissimo! E l’unica consulente detective al mondo. Sono molto orgoglioso di lei.”

“Recentemente ha anche assunto un medico legale come assistente, me lo conferma?”

Sputai il tea che stavo bevendo.

“Ovviamente. È una gran brava persona, una delle poche in grado di essere all’altezza di mia sorella. Non so se mi spiego”

Una risata echeggia nell’appartamento.

“Sua sorella adesso si trova in ospedale. Cos’è successo esattamente?”

Lo sguardo di Benedict si rabbuiò immediatamente.

“Stava seguendo un caso, quando qualcuno le ha sparato. Ma non si preoccupi, mia sorella è forte e accanto a lei c’è il migliore assistente del mondo! “

Il suo sguardo ridiventò solare anche se riuscii ugualmente a notare una nota di tristezza dentro di esso.

Non posso nemmeno immaginare quanto sia dura vedere la propria sorella in un letto d’ospedale…

Non sapevo bene il perché ma un senso di colpa mi stava divorando da dentro… non riuscivo a non pensare al fatto accaduto a lei.

Se fossi stato più attento non sarebbe successo… se le fossi stato più vicino avrebbe sparato a me e non a lei.

Dannazione, non ne posso più.

Questa sensazione opprimente mi ucciderà, lo sento. Nemmeno fosse una mia parente stretta o una persona che conosco da anni… Non potevo essermi innamorato di lei. Era l’unica frase di senso compiuto che continuavo a ripetermi e ripetermi senza sosta. Non ne potevo davvero più.

Guardai l'ora. Era passato troppo tempo e io non sapevo ancora nulla.

Non essendo suo parente, non avevo il diritto di rimanerle accanto fuori dall'orario delle visite e non mi avrebbero chiamato per informarmi sulle sue condizioni. C'era poco da fare. Dovevo aspettare.

I minuti passavano come ore e io non riuscivo a darmi pace. Andavo avanti e indietro per l'appartamento come una belva in gabbia.

Non avevo fame, non avevo sonno. Volevo solo andare da Rain.

Mi sedetti sulla sua poltrona e mi raggomitolai, avvolto nella coperta di lana. Ero al caldo, eppure non riuscivo a smettere di tremare.

Alla fine, vinto dal sonno, chiusi gli occhi e dimenticai, per poche ore, tutto quello che era successo.

 

Mi svegliai la mattina seguente con il suono del traffico. Mi sgranchii per bene. Avevo dormito raggomitolato nella poltrona e ciò non aveva fatto bene alla mia schiena. Il dolore mi riportò alla mente Rain. Guardai il cellulare. C'erano cinque chiamate perse, tutte da parte di Benedict.

Non lo avevo sentito. Come avevo fatto? Mi diedi mentalmente dello stupido e richiamai Ben, che mi rispose dopo molti squilli a vuoto.

“Scusami Max” mi disse parlando velocemente “Sono impegnato, ora. Ci vediamo tra due ore al Bart's, va bene?”

Chiuse la telefonata senza darmi la possibilità di ribattere. Sospirai. Tra due ore l'avrei vista. Tra due ore avrei saputo la verità.

Quelle furono le due ore più lunghe della mia vita. Mi feci una doccia, feci colazione … tutto con estrema calma, eppure era passata solo mezz'ora da quando avevo telefonato a Ben.

Decisi di andare al Bart's a piedi. Era piuttosto lontano, ma in questo modo avrei occupato il tempo.

Fu un errore. Camminando per le strade di Londra, tutto mi riportava alla mente lei. Ogni vicolo, ogni angolo. Tutto. Tutti i luoghi che lei conosceva così bene me la portavano alla mente.

Camminai più velocemente e presto arrivai davanti al Bart's. Non fu difficile trovare la stanza giusta.

Nel reparto regnava il silenzio, rotto solo da qualche colpo di tosse e il moromorio sommesso delle infermiere.

Quando arrivai davanti alla porta di Rain il mio cuore saltò un battito.

Rain era distesa sul letto d'ospedale. Il lenzuolo la copriva fin sopra il seno e il braccio sinistro era scoperto, infilzato con una flebo. Seduto accanto a lei, piegato dal dolore, c'era Benedict. Le teneva la mano e piangeva piano.

“Ben ...” sussurrai.

Lui non si voltò.

“Sai a cosa penso quando devo piangere in una scena?” mi domandò all'improvviso.

Io scossi la testa. Lui non poteva avermi visto, ma immagino che non gli importasse molto della mia risposta.

“Penso a lei” rispose infine, posando la fronte sulla mano della sorella, ancora addormentata “Penso a lei e al suo lavoro … al suo lavoro e a tutte le volte che l'ha portata in ospedale. Non è la prima volta, sai?”

A questo punto si girò. Il suo viso era rigato di lacrime.

“Non è la prima volta … né sarà l'ultima immagino” disse e rise piano, per scacciare la malinconia, che purtroppo riprese presto il sopravvento “Mi fa sempre preoccupare. Vorrei poterla proteggere, metterla sotto una campana di vetro … ma so che ne morirebbe. Dimmi, cosa è peggio? Vederla mentre rischia la vita ogni giorno o vederla morire per il troppo controllo? Io ho scelto la prima opzione. Preferisco che sia libera e poi … ora ha te!”

Annuii, troppo imbarazzato per rispondere. Benedict continuò.

“Qualche anno fa conobbe Andrew. Le piaceva molto. Andrew è un attore, come me. Lo conobbe ad una premiazione. Si innamorò subito. Forse perché lui era così dolce e premuroso … Mia sorella è una forza della natura. Va sempre contro le convenzioni e guai a contraddirla! Così lo invitò a cena. Uscirono per qualche tempo insieme e lei era sempre più felice … ma alla fine … alla fine scoprì che il vero obiettivo di Andrew ero io. Andrew si era innamorato di me e sperava di potermi raggiungere tramite lei.

Le si spezzò il cuore. Da quel momento si chiuse ancora di più in se stessa e perse la fiducia negli uomini. Per questo dico che sono felice che ti abbia incontrato. Ti ha visto per caso al Bart's, qualche tempo fa. Se ispiri fiducia a lei, non posso che fidarmi anch'io. So che le starai sempre vicino e la proteggerai. Perché … lo farai, vero?”

Mi guardò con due occhioni pieni di supplica.

“Lei ha bisogno di qualcuno che le voglia bene e che la protegga. Ha già la famiglia” disse poi, scuotendo la testa “Ma non è la stessa cosa. Non lo è”

“Ci sarò” dissi semplicemente “Ci sarò sempre per lei”

Ben mi guardò. I suoi occhi traboccavano gratitudine. In quel momento Rain si svegliò.

“Bentornata Rainy!” le disse passandosi la mano sugli occhi, ancora bagnati di lacrime.

“Il solito sdolcinato piagnucolone” borbottò lei, ridacchiando. Strinse gli occhi, sorpresa da una fitta di dolore. Quando li aprì mi vide.

“Vai a lavarti il viso, piagnucolone!” disse al fratello, che si alzò ubbidiente, capendo ciò che Rain voleva in realtà.

Benedict uscì dalla stanza e io mi sedetti al suo posto. Feci per prenderle la mano, ma lei mi anticipò.

“Scusa” mi disse semplicemente “Scusa. Non avevo previsto … tutto questo”

“Non preoccuparti” le dissi io, stringendole la mano “L'importante è che tu stia bene!”

“Dovevo fidarmi di te!” disse poi “La prossima volta mi fiderò … ma è nuovo per me, sai?”

Rain parlava a fatica, ancora intontita per l'anestesia, ma era ugualmente energica e vivace. Non la interruppi, mi limitai ad annuire.

“Per me è la prima volta … la prima volta che provo … a fidarmi di qualcuno … la prima volta … Sei il primo di cui … di cui mi fido totalmente. Ti affiderei la mia vita. Non so perché, ma lo sento … Io vorrei … vorrei fidarmi, ma ho ancora qualche resistenza ...”

“Non importa” le dissi con voce calma e ferma “Non devi sforzarti. So che ti fidi e questo mi basta. Rispetterò i tuoi tempi e, quando vorrai, potrai darmi la tua fiducia completa”

Ripensai a ciò che mi aveva detto Ben, ma non affrontai l'argomento.

“Ora pensa solo a riposare” dissi osservando l'infermiera che batteva l'indice sull'orologio “Devo andare … ma tornerò stasera … promesso!”

Lei mi sorrise, rincuorata.

Dopo poco rientrò Ben. La salutammo e uscimmo insieme dal reparto e incontrammo il primario, che ci fermò.

“Signor Cumberbatch, mi scusi, dovrei dirle due parole su sua sorella”

“Ah, grazie!” disse, rivolto al medico “Ci vediamo stasera, Max” aggiunse poi, rivolgendosi a me.

Lo salutai con un sorriso tirato. Non vedevo l'ora di tornare da Rain. Mi sembrava assurdo non poterle stare vicino in un momento come quello. Avrei voluto portarmela a casa e curarla personalmente.

Sospirai. Non potevo fare altro che aspettare e avere fiducia … e sperare che lei, un giorno, ne potesse avere altrettanta in me.

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Capitolo 5
*** A study in pink ***






 

A study in pink











Tornai a casa. Era così vuota … come il mio petto. Mancava qualcosa. Qualcosa che non riuscivo ad identificare, ma sicuramente doveva averla Rain. Ero rimasto con Rain in quella camera d'ospedale.

Tutto mi sembrava così banale … eravamo lontani da poche ore, eppure già mi sentivo perduto. Sapere che era lontana e stava male … era tremendo per me.

Ormai era sera. Mi preparai una cena frugale e la mangiai guardando la televisione. Avevo bisogno di qualcosa che riempisse quel silenzio.

Spensi il televisore e mi sedetti sullo sgabello di Rain, davanti al pianoforte. Non ero in grado di suonarlo ma provai ugualmente a cimentarmi in qualche pezzo improvvisato.

Era tremendo, un'accozzaglia di note senza significato. Però mi stavo divertendo. Il suono del piano sembrava evocare l'energia di Rain e la sentivo presente, vicina a me.

Ero al culmine della mia performance, quando un suono estraneo si unì alla mia 'melodia'.

Il campanello.

Maledizione! Chi diavolo poteva essere, a quell'ora? Ci pensai. I giornalisti? L'appartamento al 221 B di Baker Street era già famoso per Sherlock Holmes e Rain aveva risolto alcuni casi importanti che le avevano dato notorietà, al di là del cognome materno che usava per lavoro.

Il suo incidente era stato ripreso dalle telecamere del Satellite Awards, perciò non era così innaturale che i giornalisti venissero a parlare con me della sua situazione, soprattutto dopo l'intervista di Benedict.

Andai alla porta, pronto ad affrontare microfoni e telecamere invece …

C'era solo Elisabeth.

Digrignai i denti. Non avevo proprio voglia di vederla.

Lei sembrava felice di rivedermi. Sorrideva.

“Non mi inviti ad entrare?” mi domandò e, senza aspettare la mia risposta, si fece strada ed entrò di forza in casa.

“Vattene, Elisabeth” dissi “Sono stanco e ...”

“Non mi sembravi stanco mentre suonavi il pianoforte” mi rispose lei, ridendo per denigrarmi.

“Vattene. Non è il momento”

“So cosa è successo alla tua Rain” mi disse “Stavo guardando anch'io la premiazione … povero Ben.

“Già!” esclamai seccato “Povero Ben. Sua sorella è in ospedale e ...”

“Non mi interessa nulla di quella detective fallita” mi interruppe lei “Mi dispiace perché, a mio parere, si meritava di vincere ...”

“Sicuramente lui ora non sta pensando al premio che non ha vinto” la rimbeccai “Sta pensando a sua sorella. Ora è fuori pericolo, ma ...”

“Dovresti andartene finché sei in tempo” mi disse lei, cambiando repentinamente discorso “Piuttosto … dove sono le buone maniere? Una tazza di tè, no?”

Sbuffai dal naso, ma andai ugualmente a prendere il bollitore. Lei mi seguì.

“Questa Rain è troppo pericolosa per te, devi fartene una ragione. Lo sai come si dice, no? Chi lascia la via vecchia per la nuova ...”

“Finiscila” la interruppi. Odio i modi di dire. “Se vogliamo esprimerci come fai tu … be', non so cosa ho trovato … non completamente almeno, ma sono sicuro di ciò che ho lasciato. Te”

“Non puoi essere serio” mi rispose lei con una lieve sfumatura di panico nella voce.

“Perché no?”

“Tu mi ami!” protestò lei, quasi urlando “Mi ami e … non puoi vivere senza di me!”

Era isterica. Continuando così avrebbe svegliato tutto il quartiere.

“Ho provato tante volte a capire perché stavo con te” le spiegai “Pensavo di amarti, davvero. Ti ho amata, in realtà … ma ...”

“Ma ...” continuò lei, speranzosa.

Quasi mi dispiaceva spezzarle il cuore, ma non potevo mentirle. Non provavo più amore per lei. Quando avevo iniziato a non amarla più? Non lo sapevo.

“Mi hai aiutato tantissimo quando … be', sai come stavo in quel periodo, no? Tu sei stata il mio sostegno, la persona che mi ha aiutato ad uscire da quella situazione ma … non ti amavo. Ero dipendente da te e dal tuo aiuto. Tutto qui”

Mi guardò come se mi avesse visto per la prima volta. Anch'io, in effetti, ero diventato consapevole di quel fatto proprio in quel momento. Non ci avevo mai pensato, prima. Eppure era così.

Elisabeth mi era stata molto vicino in un periodo buio della mia vita. Mi aveva riportato in salute e mi aveva accolto in casa sua. Non avevo lavoro, non avevo dimora. I miei genitori, che ormai non avevano la benché minima fiducia in me, mi avevano sbattuto fuori di casa.

Ero allo sbando. Solo lei, tra tutti gli ex compagni di scuola, aveva avuto pietà di me. Le ero grato per quel gesto di spontanea generosità. Le ero grato e lo sarò per sempre.

Proprio per questo non potevo trattarla così, non potevo mentirle. Non l'amavo. Provavo un forte senso di riconoscenza, ma ormai consideravo il mio 'debito' pagato.

Vivere con lei era come stare in una prigione. Soffocavo lì dentro.

“Ho confuso la dipendenza con l'amore e la gratitudine con l'affetto, non avercela con me. Preferisco essere sincero che starti vicino e mentirti per tutta la vita. Non sarebbe giusto per nessuno dei due”

“Sei crudele, invece” sibilò lei “Dopo tutto quello che ho fatto! Dopo tutto quello che ho sacrificato per te ...”

“L'ho apprezzato” dissi io, cercando di calmarla. L'afferrai per le braccia e la guardai negli occhi. Volevo che mi credesse, che capisse che ero in buona fede.

“So perfettamente che quel periodo è stato difficile per te. Lo è stato per entrambi e ti ammiro moltissimo per quello che hai fatto. Sei stata straordinaria. Davvero. Lo credo veramente. Ciò non cambia i miei sentimenti per te, purtroppo. Non ti amo. Mi dispiace”

Lei mi guardò a bocca aperta per qualche istante, indecisa su come rispondermi. Alla fine si decise e mi fissò con gli occhi ridotti a due fessure, traboccanti di risentimento. Quanto può essere sottile il confine tra amore e odio Può sembrare una frase fatta, ma in quel momento lo vidi con i miei occhi.

Fu come guardare il negativo di una foto.

Dove c'era luce ora vedevo le ombre più nere e, devo dirlo, mi spaventai.

Le donne sono capaci di provare emozioni fortissime, quasi devastanti. In quel momento fui testimone della nascita del suo odio per me.

“Te ne pentirai” mi disse con un sibilo “Ti pentirai di quello che mi hai fatto. Mi hai ingannata per anni. Tieniti pure le tue scuse e usale per pulirti il culo! Sappi che sei solo un codardo. Un lurido codardo!”

Pronunciò l'ultima frase quasi urlando, poi mi lasciò solo. Uscì dalla stanza sbattendo violentemente la porta.

Sospirai. Era stato difficile per me affrontarla. Avevo dovuto affrontare nuovamente ricordi spiacevoli, ricordi ingombranti e difficili da gestire, che non avrei più voluto nella mia mente. Eppure dovevo chiudere un cerchio. Non potevo lasciarla così, senza una spiegazione. Per trovarla dovevo riaffrontare i miei demoni. Sarebbe stato meno difficile se ci fosse stata Rain, con me. Scossi la testa.

No. Non potevo essere debole. Non ora. Rain … era Rain ad avere bisogno di me.

Quando sarebbe uscita dall'ospedale avrebbe avuto bisogno di sostegno fisico e morale.

Mi stropicciai i viso, come se quel gesto potesse darmi la carica per andare avanti, per dimenticare il passato e pensare, per una volta, al futuro.

 

 

Passarono tre settimane. Rain era rimasta in ospedale tutto quel tempo per potersi riprendere al meglio. L'avevano curata, le avevano fatto fare fisioterapia. In tutto quel tempo le ero stato molto vicino, nei limiti che lei mi concedeva. Sembrava infastidita dalla mia presenza. Sembrava preferisse stare sola, così andavo a trovarla saltuariamente, ma i miei pensieri, tutti i giorni, erano rivolti a lei.

Ero andato a prenderla una mattina molto presto. Non volevo che rimanesse in quel posto un minuto di più.

Da quando avevo confessato a Elisabeth i miei veri sentimenti nei suo confronti mi sentivo meglio. Ero … euforico. Mi sembrava di essermi liberato di un peso.

Inoltre la sola idea di poter portare a casa Rain, dopo la lunga degenza in ospedale, mi riempiva di energia. Erano anni che non mi sentivo così.

Rain era tornata in forma perfetta. Benedict mi aveva detto che in passato era già stata vittima di attentati simili e molto probabilmente il suo corpo era abituato ad essere maltrattato.

Così cominciò la nostra routine e, devo ammetterlo, mi ero fatto un'idea totalmente sbagliata su di lei.

 

Rain era molto abitudinaria. Raramente usciva di sera e, se lo faceva, era sempre e solo per seguire un caso. Quando non era occupata in casi particolari o se ne stava tutto il giorno distesa sul divano o si dedicava anima e corpo al lavoro al Bart's.

Venni a sapere, chiacchierando distrattamente con Daphne, che aveva una cattedra all'università di Medicina e che insegnava chimica. Quindi durante il giorno era impegnata con le lezioni e, appena poteva, si ritagliava degli spazi tutti suoi per sperimentare in laboratorio. Anche in casa teneva provette e microscopio e ogni tanto portava resti di cadaveri che analizzava minuziosamente e che, con mio disappunto, trovavano posto in frigorifero tra le uova e il formaggio.

Per il resto dovetti abituarmi anche alla vita mondana. Molto spesso venivamo invitati a cene, presentazioni di film, cene di beneficenza. Il tutto con l'intermediazione di Ben. Non sempre ci andavamo, ma ogni tanto anche Rain si toglieva quella maschera di ascetismo e si trasformava. Buttava la sua solita mise di giacca e pantaloni e cambiava completamente. Se era già sexy con quei completi di pelle, con i vestiti da sera era a dir poco divina; allora diventava addirittura allegra e rideva e scherzava con tutti.

 

Una sera eravamo comodamente seduti sul divano. Io cercavo di guardare la televisione mentre lei era immersa nella lettura dell'ultimo libro di sua madre Violet, accoccolata nella poltrona e avvolta solo dalla sua camicia da notte e dall'immancabile vestaglia blu.

Non aspettavamo visite così ci stupimmo quando sentimmo il rombo di un'auto proprio sotto le nostre finestre.

Meglio. Io mi stupii. Non avevo idea di chi potesse essere., ma lei lo sapeva già perché aveva riconosciuto il suono del rumore della Jaguar di suo fratello.

Chissà cosa vorrà” disse sbuffando e alzandosi dalla poltrona per andare a guardare fuori dalla finestra il fratello che, dopo aver parcheggiato, stava giusto scendendo dall'auto “Sua Maestà Sir Benedict ci degna della sua presenza!”

Risi a quella sua reazione. In effetti Ben era molto impegnato a causa del suo lavoro, ma non si poteva certo definire un presuntuoso. Mi avvicinai a Rain e guardai giù. In pochi passi aveva raggiunto la nostra porta e un secondo dopo il suono del campanello risuonò nella stanza.

“Immagino che debba andare ad aprire io, vero?”

Lei nemmeno rispose e tornò ad acciambellarsi nella poltrona.

Risi nuovamente e andai ad aprire. Quando mi trovai Benedict di fronte restai a bocca aperta.

Lo avevo conosciuto castano e con i capelli corti. Negli ultimi mesi i capelli gli erano cresciuti parecchio, ma erano pur sempre lisci e castano chiaro. Ora erano … neri. Neri e ricci.

“Ben?” chiesi “Sei proprio tu?”

“No” rispose lui sorridendo e superandomi per entrare “Sono Sherlock Holmes” e lanciò alla sorella uno sguardo divertito.

Rain sollevò appena lo sguardo dal libro ed ebbe la mia stessa reazione. No, fu peggiore.

“Che razza di buffonata!” esclamò chiudendo di scatto il libro “Cos'hai intenzione di fare?”

“Nonno Lock ha dato l'ok per girare il telefilm” annunciò lui orgoglioso “A dire il vero ha accettato per sfinimento” soggiunse poi, con un sussurro “Ma tra una settimana cominceremo a girare le prime scene di 'Uno studio in rosa'”

Sorrisi. Avevo già visto delle foto di Sherlock Holmes da giovane e la somiglianza tra nonno e nipote, soprattutto conciato in quel modo, era sorprendente.

“Complimenti!” esclamai, dandogli una pacca sulla spalla “Sei orgoglioso, vero?”

“Un sogno che si avvera” rispose lui, chiudendo gli occhi per l'emozione “Da quando ero bambino sognavo di poterlo fare”

“Ridicolo!” esclamò Rain, girando intorno al fratello per guardarlo bene “Mi meraviglio del nonno, fossi stata in lui non avrei mai accettato”

“Te l'ho detto, l'ha fatto per sfinimento. Erano quasi cinque anni che Moffat e Gatiss gli stavano dietro”

Rain sbuffò di nuovo e incrociò le braccia al petto. La ignorai.

“Qualche spoiler sul cast?” chiesi, trepidante di curiosità “Chi farà John Watson?”

“Martin Freeman” rispose lui.

“Quello di 'Guida galattica per autostoppisti?” domandai eccitato. Adoravo quel film.

“Proprio lui” mi rispose con un sorriso “Martin è fantastico. Penso che lavorerò proprio bene con lui”

“Moriarty? Chi interpreterà Moriarty?”

Ben mi guardò per un attimo a disagio, poi sussurrò un nome, ma non capii.

“Chi?” chiesi “Non ho capito”

“Andrew Scott” ripose alla fine, con un sospiro e sentii Rain sbuffare.

In quel momento mi ricordai di ciò che Ben mi aveva raccontato in ospedale, così cercai goffamente di cambiare argomento.

“Irene Adler?” chiesi, cercando di sviare la conversazione “Immagino che sarà una donna molto affascinante”

“Sarà interpretata da Laura Pulver. In effetti è proprio una bella donna. Assomiglia molto a nostra nonna”

“Voi l'avete conosciuta?” domandai. Sapevo che era morta da qualche anno.

“Di striscio” rispose Rain “Ogni tanto veniva a trovare il nonno e nostra madre, ma l'abbiamo conosciuta quando eravamo molto piccoli. Una gran donna” continuò lei “Mi è piaciuto come è riuscita a fregare mio nonno e mio zio. Una donna sexy e intelligentissima”

La guardai e non potei fare a meno di ridere.

“Anch'io conosco una donna super sexy e intelligentissima” dissi, senza potermi trattenere, e le lanciai un'occhiata più che significativa.

Lei capì. Era molto sensibile ai complimenti e notai che era arrossita.

“A proposito” dissi “Quando mi farai conoscere tuo nonno Sherlock?”

“Spero presto” mi rispose lei, ritrovando il suo solito contegno “Ora sono molto impegnata con le lezioni all'università. Appena finiranno i corsi troveremo certo del tempo per andare a trovarlo. Vive in Sussex, ora, nella sua casetta sulla spiaggia”

“È un posto favoloso” spiegò Ben con sguardo sognante “Non è una casa molto grande, ma il panorama è splendido”

“Certo” gli disse Rain con una dose massiccia di sarcasmo “Per uno che è abituato a vivere da solo in una villa ...”

“Non è colpa mia se tu hai deciso di venire a vivere nella vecchia casa del nonno” rispose lui piccato “Essendo il maggiore ho ereditato Villa Holmes, ma sai che potresti venire a vivere con me in qualsiasi momento”

“Per carità, no!” esclamò lei, come se il fratello avesse pronunciato un'eresia.

Risi. Quei due, insieme, erano davvero comici. Lui così spontaneo e solare, lei fredda e distaccata. Rain riusciva a conferire all'attore e sognatore un po' di senso pratico mentre lui riusciva a scalfire la corazza della cinica detective e farla sorridere. Sembrava che il corpo e la mente di Sherlock Holmes si fossero scissi e reincarnati nei suoi nipoti.

Benedict aveva ereditato il corpo, Rain la mente.

Io mi sentivo come un nuovo John Watson e la cosa mi piaceva. La notizia del telefilm su Sherlock era fantastica. Non vedevo l'ora di poterlo vedere. Sapevo che anche Rain, nonostante fingesse di non esserlo, era contenta. Era così orgogliosa di suo nonno … un telefilm commemorativo era qualcosa di straordinario.

Continuammo a parlare fino a notte tarda e Rain ci deliziò con un brano al pianoforte. Io e Ben ci accomodammo sul divano e finimmo per addormentarci, cullati dalla sua musica.

 

Il mattino seguente mi svegliai lentamente e notai subito che c'era qualcosa che non andava. Mi girai e vidi che, nel sonno, io e Benedict avevamo finito con l'abbracciarci. Avevo dormito con la testa placidamente appoggiata sul petto dell'uomo, che mi cingeva teneramente a sé.

“Ben!” esclamai imbarazzato “Ben!”

Finalmente si svegliò. Quando si rese conto della situazione si alzò di scatto, facendomi cadere.

“Scusa!” esclamò “Io … scusa … scusa” e arrossì.

“Non fa nulla” risposi io, alzandomi e massaggiandomi il sedere ammaccato.

Ci guardammo intorno. Rain era già uscita. Andammo in cucina e scoprimmo che, prima di andare via, ci aveva preparato una colazione di tè e pane tostato.

Fu Benedict a notare il post-it appeso sul frigorifero. Appena lo leggemmo diventammo rossi come due pomodori maturi e, nostro malgrado, scoppiammo in una sonora risata.

 

Ben svegliati. Sono andata all'università. Tornerò tardi.

Buona colazione, Piccioncini! ♥

Rain

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Capitolo 6
*** The house by the sea ***





 

The house by the Sea











Era un caldissimo pomeriggio di agosto. Baker Street era un forno e Rain ed io ce ne stavamo tranquillamente seduti in poltrona, cercando un po' di refrigerio tra le mura del nostro appartamento.

Rain in particolare era molto inquieta, ma non sembrava soffrire l'afa soffocante che da giorni non lasciava Londra, avvolta nella sua camicia da notte di seta e dalla vestaglia blu.

Dal canto mio, più la guardavo, più il caldo saliva. Vedere i suoi boccoli rossi muoversi su e giù mentre lei passeggiava senza sosta per la stanza, mi faceva pensare ad un piccolo fuoco che ardeva e scoppiettava, e questo non era certo un buon modo per scacciare il caldo.

“Insomma, Rain!” le dissi infine “La smetti di andare su e giù come un'anima in pena? Mi fai venire ancora più caldo!”

Lei, naturalmente, non mi rispose, ma si diresse a grandi passi verso il pianoforte e, sedutasi comodamente sulla panca, cominciò a suonare. Era un pezzo languido e mi fece sentire ancora più sonnolenza. Lei lo suonava con trasporto, con gli occhi chiusi, dondolando la testa a tempo, immersa in chissà quali pensieri.

Improvvisamente il rumore sommesso del suo cellulare ci risvegliò. Le era arrivato un messaggio.

Ruotò elegantemente su se stessa e si diresse verso il camino, dove era appoggiato il telefono, lo prese e lesse il messaggio che le era arrivato.

Mi dava la schiena, ma lo stesso potei intuire che stava fremendo per la felicità e l'impazienza.

“Prepara una piccola valigia, Max” mi disse dirigendosi con passo svelto verso la sua camera, facendo svolazzare i lembi aperti della vestaglia.

“Per cosa?” le chiesi “Sarebbe troppo spiegarmi ...”

“Abbiamo bisogno di una vacanza, Webb” mi disse lei voltandosi e legandosi i capelli con un piccolo elastico nero “Muoviti, andiamo nel Sussex!”

Avevo intuito che qualcuno le aveva mandato un messaggio relativo ad un nuovo caso. Il problema era, chi?

I normali clienti o telefonavano oppure venivano di persona, ma non mandavano mai messaggi. Chi poteva aver attirato la sua attenzione tanto da farle dimenticare la noia?

Sapevo che aveva buoni contatti con tutti gli ispettori di polizia di Scotland Yard, facilitata anche dalla sua avvenenza, perciò mi parve ovvio che fosse qualcuno di questi ad averla chiamata.

Ma perché in Sussex? Lo scoprii presto.

 

Nel giro di un'ora eravamo pronti per partire. Ci dirigemmo verso la stazione Vittoria, dove noleggiammo una jeep e in meno di due ore arrivammo nei pressi di Brighton. Immediatamente pensai che potesse essere stata convocata da un professore universitario bisognoso dei suoi servigi, ma oltrepassammo il complesso dell'Università e ci dirigemmo verso la costa.

Rain non parlò per tutto il tempo e io non osai interrompere i suoi pensieri, distraendomi guardando il panorama fuori dal finestrino.

Finalmente arrivammo a quella che sembrava essere la destinazione finale del nostro viaggio. Ormai si vedeva già il mare della Manica e, aprendo il finestrino, si sentiva l'aria frizzante e salmastra che mi diede un po' di refrigerio, dopo tutti quei giorni nella sauna londinese.

Per un istante pensai che volesse veramente portarmi in vacanza perché nei dintorni c'era solo una vecchia casa, situata in cima ad una collina, a pochi passi dalla riva. Rain svoltò a sinistra e parcheggiò l'auto giusto davanti al cortile dell'abitazione.

In quel momento mi ricordai di quel che mi aveva raccontato qualche tempo prima riguardo suo nonno.

“Andiamo, Max!” mi disse scendendo dall'auto “Ti voglio presentare una persona”

Scesi lentamente dalla jeep e cominciai a guardarmi intorno.

La casetta, che da lontano sembrava abbandonata, era invece curata e pulita. Il giardino era piccolo ma l'erba era tagliata con precisione e sulla veranda c'era una piccola sedia di bambù con affianco un tavolino.

Rain salì i pochi gradini dell'ingresso e suonò al campanello. Mentre aspettavamo che il proprietario della casa ci aprisse, continuai ad osservare il posto. Era un luogo veramente rilassante! Stavo continuando ad ammirare il mare, quando sentii l'esclamazione di gioia di Rain.

“Nonno!” urlò quando l'uomo venne ad aprire la porta.

Mi girai e lo vidi.

Il nonno di Rain, da giovane, doveva essere stato estremamente affascinante e anche adesso era un bell'uomo. Era piuttosto alto, magrissimo ma non in modo eccessivo. Gli zigomi, alti e pronunciati, facevano da perfetta cornice per il suo volto, ancora luminoso e giovanile nonostante le rughe. Aveva un mento pronunciato che denotava un carattere forte, un naso quasi perfetto e un paio di occhi azzurro chiarissimo che sembravano penetrare l'osservatore come una lancia di ghiaccio.

Si scostò dall'ampia fronte una ciocca di capelli ricci e brizzolati e ci raggiunse, camminando lentamente e aiutandosi con un bastone dal manico argentato.

“Ciao Rain” le disse posandole una mano sulla spalla “Hai fatto presto!”

“Quando mi hai mandato quel messaggio mi sono subito precipitata qui!” rispose lei sorridendo come se avesse ricevuto un regalo “Ero curiosissima di sentire a quale caso stai lavorando!”

Mi avvicinai e, seppur con una certa riluttanza, porsi la mia mano all'uomo.

“Salve signore” dissi “Sono ...”

“Maximillian Webb, immagino!” disse l'uomo squadrandomi da capo a piedi “Il coinquilino di mia nipote. Medico legale, giusto? Sei l'allievo di Daphne, se non sbaglio. Benvenuto. Venite dentro, ho preparato un tè. Vi spiegherò i dettagli del caso con calma”

Detto questo, l'uomo si girò di scatto ed entrò in casa, seguito da Rain. Io rimasi qualche istante intontito dalle sue parole, poi li seguii nel soggiorno.

Anche l'interno della casa, come l'esterno, denotava semplicità e pulizia.

Su un tavolino, accerchiato da due divanetti di pelle, c'erano tre tazze da tè, una teiera e un vassoio pieno di biscotti.

“Servitevi” disse sedendosi e accendendosi la pipa.

Ci sedemmo e Rain fece gli onori di casa, versando il tè nelle tazze e porgendocele con grazia.

“Lei è il signor Sherlock Holmes, giusto?” domandai all'uomo, che nel frattempo era rimasto in piedi.

“Ottima deduzione” rispose lui in un tono che rasentava il sarcasmo “Sì, sono Sherlock Holmes. Ormai sono in pensione da diversi anni e mi sono ritirato qui, in Sussex. Nonostante questo, mi sembra di essere una calamita per fatti strani e omicidi” disse espirando una nuvola puzzolente di fumo “Mi è capitato di assistere ad una morte sospetta, recentemente” proseguì, rivolto alla nipote “Certamente si tratta di un caso molto interessante, ma alla mia età non ho più interesse nel mettermi ad investigare, perciò ho pensato a te, mia cara Rain”

“Di cosa si tratta?” domandò lei, sbrigativa.

Sherlock aspirò qualche altra boccata prima di rispondere. Sembrava assorto. Noi aspettammo con pazienza, fino a quando si decise a parlare.

“Due giorni fa è morto un professore universitario” disse svuotando la pipa sul camino “Stavo passeggiando lungo la spiaggia quando incontrai Harold Stackhusrt, un altro insegnante che vive a pochi chilometri da casa mia. Devi sapere che, da quando sono qui, raramente ho l'occasione di scambiare qualche parola con qualcuno, così ho stretto amicizia con i professori dell'università e molto spesso ci troviamo per passeggiare o per nuotare. Stavamo giusto cominciando una passeggiata, quando vedemmo qualcosa di strano vicino agli scogli. Era il professor Fitzroy Mc Pherson, un insegnante di scienze. Barcollava e sembrava ubriaco. Ci avvicinammo di più e riuscimmo a sorreggerlo prima che stramazzasse a terra. Era pallidissimo ed era chiaro che fosse prossimo alla morte. L'ultima cosa che riuscì a pronunciare, prima di spirare fu: 'la criniera del leone'”*

“Sembra un caso molto interessante, nonno” disse Rain avvolgendo un riccio sull'indice della mano destra “Sei riuscito a raccogliere qualche altro dato?”

“No” rispose l'uomo scuotendo la testa “Chiamammo l'ospedale e la polizia, che ci interrogò a lungo. Questa storia non mi convince del tutto. Ho trovato un biglietto sulla giacca della vittima che specificava un appuntamento con una certa Maud e la corrispondenza sulla scrivania di Mc Pherson ha confermato un rapporto con questa donna. Anderson, il poliziotto del villaggio vicino, teme che si tratti di un omicidio e ha arrestato un certo Ian Murdoch. Sostengono che avesse rapporti sia con la vittima che con Maud Bellamy, la donna in questione, e questo lo ha portato a sospettare di lui, pensando ad un omicidio di carattere passionale. C'è qualcosa, però, in tutta questa faccenda, che quadra. È vero che l'ultima parola pronunciata da Mc Pherson ha qualche attinenza con il cognome di Murdoch **, ma a parte questo dettaglio e il suo rapporto con la vittima, non ci sono indizi che avvalorino la sua colpevolezza”

Rain aveva ascoltato il nonno con estrema attenzione.

“Non hai intenzione di portare avanti il caso, nonno?” gli chiese lei, sorpresa.

“No” rispose l'uomo chiudendo gli occhi e massaggiandosi le tempie “Sono appena tornato dagli Stati Uniti, dove sono stato impegnato in una complicata missione di spionaggio e ora sono veramente stanco. Non ho più l'età per rincorrere i malviventi! Ti ricordo che tra meno di dieci mesi avrò cent'anni! Come pretendi che vada su e giù tutto il giorno in cerca di indizi? È già tanto che mi regga in piedi!”

“Sei ancora forte, nonno!” gli disse lei con un sorriso “Sei più vitale di un trentenne!”

“In ogni caso non me la sento di condurre le indagini di questo caso. Te lo affido, Rain”

“Non ti deluderò, nonno!” rispose lei sorridendo come mai le avevo visto fare.

“Ne sono più che certo” rispose lui alzandosi e andando verso una scrivania, dalla quale prese una piccola risma di fogli scritti a computer.

“Questi sono i miei appunti sul caso” disse porgendoglieli “Leggili bene. Non sono molte informazioni, ma possono aiutarti per cominciare le indagini. Per ora non sono riuscito a fare altro”

“Mi sembrano sufficienti per ora” disse lei dando una scorsa veloce agli appunti “Ma dovrò interrogare un bel po' di persone, qui in giro. Il problema è uno solo: si fideranno di me? Voglio dire, non mi hanno mai vista, riuscirò ad interrogarli?”

“Sarà sufficiente che tu faccia il mio nome” le rispose lui “Non ci saranno problemi, vedrai. Ora è meglio che ti affretti. Il cadavere di Mc Pherson, secondo il volere della famiglia, verrà cremato domani mattina. È meglio che ti avvii all'obitorio per esaminarlo”

“Bene!” esclamò Rain alzandosi di scatto “Andiamo Max! La tua esperienza come medico legale ci sarà molto utile!”

 

Uscimmo di casa e, saliti sulla jeep, ci dirigemmo verso l'università, intenzionati a recarci immediatamente all'obitorio dell'ospedale, ma una volta arrivati intravedemmo l'agente Anderson nel corridoio del dipartimento di medicina, così pensammo di fermarci per chiedergli informazioni sul caso. Scendemmo dall'auto e lo raggiungemmo all'entrata di un'aula vuota.

Non potete passare” ci disse bloccandoci con la mano alzata “Quest'aula è chiusa per un interrogatorio. Mi dispiace ma dovrete andare a studiare da un'altra parte”

“Sono Rain Cumberbatch” disse la mia compagna “La nipote di Sherlock Holmes”

“Come come?” chiese l'agente “La nipote del signor Holmes? Stupefacente! Cosa ci fa qui? L'ha mandata suo nonno?”

“Esatto” rispose lei “Anch'io sono una consulente investigatrice e dal momento che mio nonno è troppo vecchio per seguire questo caso, me ne occuperò io!”

“Certo!” rispose Anderson “Non ho ancora cominciato a interrogare i conoscenti di Mc Pherson, possiamo iniziare insieme, se vuole”

“Grazie” rispose lei andandosi a sedere dietro una lunga tavolata dove erano state predisposte carta e penna per prendere appunti.

Lei si comportava come se fosse la padrona di casa, dando ordini e ritenendo scontato che tutti le obbedissero. Cosa che, in effetti, accadeva.

“Bene” disse “Max, vieni qui e scrivi tutto quello che diranno”

 

“Ma ...” cercai di protestare, ma lei non diede segno di avermi ascoltato, quindi mi rassegnai e presi un blocco di fogli e una penna.

“Cominciamo!” disse Rain e l'agente fece entrare il primo testimone.

 

Non fu un colloquio molto lungo. Interrogammo qualche professore amico del defunto ma non riuscimmo a trarne informazioni utili. Trattenemmo invece a lungo Maud Bellamy.

Venne fuori che la giovane Bellamy e Mc Pherson erano fidanzati contro il volere del padre e del fratello di lei, che ritenevano il professore di un ceto troppo inferiore rispetto alla ragazza. I biglietti che si scambiavano e quello ritrovato sul cadavere, quindi, erano da considerare in rapporto a questo loro fidanzamento.

I sospetti di Anderson per un delitto passionale sembravano quindi avvalorati anche perché, durante l'interrogatorio prima dell'arresto, Murdoch ammise di essere innamorato perdutamente della giovane Maud.

“Questo non prova nulla” disse Rain mentre uscivamo dall'aula e ci dirigevamo verso casa di suo nonno “Non è detto che, nonostante fosse innamorato di lei, abbia voluto uccidere il suo rivale. Dobbiamo considerare ogni ipotesi”
“Questa, però, sembra la più plausibile” dissi io “Interrogando gli altri docenti non abbiamo riscontrato motivi di attrito con Mc Pherson, anche perché si occupava di una materia molto specifica e nessuno aveva motivo di odiarlo per motivi accademici!”

“Non mi convince” disse lei “Prima di dire la mia voglio esaminare il luogo dove è morto. Ora, però, è troppo tardi. Ora dobbiamo andare all'obitorio, Max” aggiunse Rain guardandomi. Muoviti. Ora tocca a te”

Anderson ci accompagnò nella sala anatomica dove, nel frattempo, il medico incaricato alle autopsie aveva tirato nuovamente fuori il cadavere per permetterci di esaminarlo. Fu un'analisi quasi del tutto inutile, dal momento che non riuscii a dedurre nient'altro che non fosse già scritto nel referto medico.

“La causa della morte è chiara” dissi mentre, chino sul cadavere, cercavo di cogliere qualche particolare sfuggito al mio collega “L'unica cosa che non mi convince è la presenza di questi segni” aggiunsi indicando delle abrasioni sul braccio destro e sul torace “Sembrano scottature, ma sinceramente non capisco come ...”

“Scottature, eh?” disse Rain, facendosi improvvisamente pensierosa “Andiamo a dormire ora, qui non c'è altro da fare. Domani mattina andremo in spiaggia”

Quella notte dormii nella stanza degli ospiti. Rain non ne volle sapere di condividere il letto con me ma preferì dormire con suo nonno. Era evidente il suo attaccamento nei confronti del vecchio detective, così la lasciai fare.

 

Il giorno successivo fui svegliato dai gabbiani. La luce del sole entrava soavemente dalla finestra e un piacevole aroma di caffè mi attirava in cucina.

Mi vestii velocemente e raggiunsi Rain e Sherlock,-che erano chiaramente già svegli e pronti per una nuova giornata.

“Ben svegliato!” mi accolse Rain con un tono non proprio amichevole “Muoviti a bere il tuo caffè” mi disse porgendomi una tazza “E mangia qualcosa ma fai presto! Dobbiamo andare subito in spiaggia e poi in prigione a interrogare il sospettato principale!”

“Buongiorno anche a te!” risposi io “Hai dormito male?”

Lei non rispose, troppo impegnata a leggere dei documenti per ascoltarmi. Suo nonno mi guardò, mi sorrise e mi fece l'occhiolino. Capiva perfettamente come mi sentivo ma mi spronava a portare pazienza. Sorrisi in risposta e mi affrettai a finire la mia povera colazione. Dopo neanche un quarto d'ora eravamo fuori casa, diretti verso gli scogli dove il professor Mc Pherson aveva trovato la morte.

“Questi scogli sono molto duri e appuntiti” dissi io osservandoli “Escluderei un colpo in testa. L'autopsia non ha rilevato segni di botte o ferite da arma contundente, solo delle abrasioni, come delle scottature e ...”

“È chiaro che è stato avvelenato, Max” mi disse lei, interrompendoli “Il problema è come e da chi”

“Sei d'accordo con Anderson?” chiesi “Sospetti anche tu di Murdoch?”

“Non lo so ...” disse lei facendosi pensierosa “Dovrei prima vederlo! Mio nonno dice che, secondo lui, non è il tipo da delitto passionale … e io mi fido ciecamente di lui! In ogni caso sarà meglio controllare di persona. Per ora, limitiamoci ad osservare questa zona. Ora c'è bassa marea, ma gli scogli sono pieni di alghe. Tra qualche ora l'acqua arriverà fino a questo punto” disse indicando con il dito il limite in cui cresceva un sottile strato di muschio “Questo avvalorerebbe una mia teoria ...”

“Quale teoria?” chiesi io, infiammandomi “Forse Murdoch ha ucciso Mc Pherosn, lo ha buttato in mare in un luogo appartato e la marea a riportato a riva il corpo?”

“Era ancora vivo quando mio nonno e il suo amico lo hanno trovato” disse lei severamente.

“Ma potrebbe essere stato ucciso con un veleno a lenta cessione” azzardai in questo modo per chi lo avesse visto da lontano sarebbe sembrato un nuotatore, mentre in realtà sarebbe morto affogato!”

Lei mi guardò e sospirò.

“Andiamo” disse girandosi e incamminandosi verso la strada dove avevamo parcheggiato la jeep “Dobbiamo andare alla prigione”

 

Ian Murdoch era un uomo piuttosto brutto e sgraziato ma, nonostante non possedesse attrattive fisiche notevoli, era dotato di uno sguardo sveglio e intelligente, capace di catturare l'attenzione dell'interlocutore. Ci sedemmo di fronte a lui. Io ero leggermente a disagio mentre Rain lo osservava con rispetto.

“Professor Murdoch” cominciò incrociando le dita in grembo “Cosa può dirmi della morte del suo amico, il professor Mc Pherson?”

“Nulla di nulla” rispose lui scontroso “Soprattutto perché non eravamo amici. Lavoravamo alla stessa università, è vero, ma non abbiamo mai avuto nulla in comune”

“Neanche una certa signorina Bellamy?” chiese lei, sorridendo.

“Chi le ha detto questa ...” cominciò lui adirato “Va bene!” concluse infine, sentendosi scoperto “Vi dirò la verità. Mc Pherson e Maud erano fidanzati e presto si sarebbero sposati. Ciò nonostante io non potevo e non posso fare a meno di amarla! È forse un crimine?”

“Purtroppo per lei” rispose Rain congiungendo le punte delle dita sotto il mento “Questo è il motivo per cui si trova è qui. Ritengono che si tratti di un delitto passionale”

“Lo so” rispose lui mesto “Finché non troveranno il vero assassino io non potrò uscire di qui! Non penso stiano cercando altri sospetti! Loro” disse indicando i poliziotti a guardia della cella con un moto della testa “Sono convinti che sia io il colpevole! La mia carriera è rovinata!”

“Non si preoccupi professor Murdoch” disse Rain “La farò uscire oggi stesso sulla fiducia e mi assumerò la responsabilità per la sua condotta. Essere la nipote di Sherlock Holmes mi da diversi vantaggi che intendo sfruttare. L'ispettore non potrà dirmi di no!”

Murdoch la guardò con infinita gratitudine e infatti, neanche un'ora dopo, uscimmo insieme di prigione. Percorremmo un breve tratto insieme, durante il quale l'ex galeotto non fece altro che ringraziarci, prima di tornare a casa.

“Sei pazza!” dissi guardandola stupito “Ti sei presa una bella responsabilità! Se poi si rivelasse essere lui l'assassino?”

“Se fosse lui lo riprenderei!” rispose lei senza scomporsi “Inoltre non penso che sia stato lui. C'è una teoria che voglio verificare e avevo bisogno che Murdoch fosse in libertà!”

“Mi vuoi spiegare ...”

“Non ora!” mi disse lei “Dobbiamo tornare da mio nonno. Devo cercare una cosa”

 

Appena tornati a casa neanche salutò il nonno e si fiondò subito in una stanza dove c'era una spaziosa biblioteca e si immerse nella ricerca di chissà quale libro. Nel frattempo io ebbi l'occasione di chiacchierare un po' con Sherlock.

Era veramente anziano ma, nonostante fosse quasi centenario, aveva il piglio e l'energia di un trentenne. Prese dal caminetto una sottile pipa di terracotta e la riempì con gesti lenti e misurati, completamente assorto in quello che stava facendo. Prese poi un fiammifero da una scatolina e l'accese, restando qualche istante ad occhi chiusi a godersi le prime boccate di fumo.

“Come vi siete conosciuti, tu e Rain?” mi chiese senza aprire gli occhi, appoggiando la testa alla spalliera della poltrona.

“Merito di suo nipote Benedict” risposi io “Diciamo che ci ha combinato una specie di incontro al buio … il problema è che io non ne sapevo nulla! Ero al bar con la mia fidanzata ...” mi interruppi. Nonostante non ne potessi più di lei, la sua recente morte mi pesava ancora “Dicevo, ero al bar, quando sua nipote mi ha preso per un braccio e mi ha letteralmente trascinato via! Sarebbe stato anche carino, se non per il fatto che lei era inseguita da una banda di assassini che ci hanno quasi uccisi!”

Sherlock si mise a ridere e aprì gli occhi.

“Sempre avventata la mia Rain” disse guardandola “Mi somiglia molto, più di quanto io sia disposto ad ammettere. In ogni caso ha un buon cuore, non dubitarne mai!”

Lo guardai e lui mi restituì uno sguardo calmo ma deciso. Rimasi quasi ipnotizzato dal colore azzurro chiaro dei suoi occhi.

In quell'istante Rain proruppe nella stanza con un libro in mano, evidentemente scocciata.

“Tutto inutile!” disse con rabbia, scagliando il libro sulla poltrona vuota “Tutto inutile! Non ho trovato ciò che cercavo!”

“Porta pazienza, tesoro” disse Sherlock aspirando una profonda boccata dalla pipa “Vedrai che presto o tardi tutti i tasselli andranno al loro posto. È solo questione di pazienza”

“Bah!” rispose lei e non ci fu modo, in tutto il resto del giorno, di farle tornare il buonumore.

Sherlock, conoscendola bene, non ci provò neppure mentre io, sempre armato di buone intenzioni, cercai in ogni modo di tirarla su di morale, esponendole le mie teorie.

Alla fine stavamo quasi per andare a dormire, quando ci raggiunse una telefonata. Era Anderson, il poliziotto che aveva arrestato Murdoch.

Rain rispose svelta al cellulare.

“Sono Rain … Sì, mi dica … Sì, in effetti … è successo qualcosa? … … Cosa? Sta scherzando? Bene, arrivo subito! Muoviti Max!” mi disse quando ebbe messo via il cellulare “Dobbiamo andare all'ospedale! Murdoch è stato ritrovato quasi morto vicino alla spiaggia!”

Mentre Rain si dirigeva a passo di carica verso la porta, vidi con la coda dell'occhio Sherlock mentre andava verso la biblioteca e si fermava a osservare i libri che sua nipote non si era presa la briga di rimettere a posto.

 

“Cosa è successo?” domandò subito quando arrivammo.

L'agente Anderson era di guardia fuori dalla stanza del malato e ci guardò con aria preoccupata.

“Lo abbiamo trovato svenuto vicino al luogo in cui è morto Mc Pherson” ci disse “La causa del suo malessere sembra essere la stessa che ha ucciso il professore! Non ci capisco più niente! Lui dovrebbe essere l'assassino, eppure ...”

“Mi pare ovvio che non sia lui l'assassino!” disse Rain, che ormai aveva perso completamente la pazienza “Curatelo e non stressatelo più. Max, andiamo alla spiaggia prima che salga l'alta marea!”
“Ma è buio!” tentai di protestare “Non potremmo ...”

“No!” ribatté lei “Muoviti, ora!”

 

Arrivammo più velocemente possibile alla spiaggia e Rain si mise subito a osservare il terreno con una grossa torcia. Io la aspettai vicino alla strada perché lei mi aveva chiesto di non disturbarla e non distruggere le impronte. Dopo una decina di minuti tornò trionfante.

“Lo sapevo!” disse “Non è lui l'assassino!”

“Come puoi dirlo?” le chiesi “Magari si è avvelenato per sbaglio cercando di eliminare le prove contro di lui ...”

“Il modo in cui cerchi di trovare delle soluzioni assurde è commovente, Max” disse ridacchiando “No. Non è così. A parte le impronte degli uomini che lo hanno soccorso, ci sono solo le sue e ci raccontano una storia ben precisa. Murdoch è tornato qui per esaminare la scena del crimine, se di crimine si può parlare. Se è lui l'assassino sarà venuto qui per distruggere le prove; se invece è innocente avrà cercato di scoprire cosa ha ucciso il suo collega. Io, sinceramente, sono convinta che si tratti della seconda ipotesi, anche perché ho già sviluppato una mia teoria in merito. Ora torniamo a casa di nonno Lock” disse avviandosi verso il villino “C'è una cosa che ...”

Non terminò la frase.

Nonno Lock la stava aspettando fuori dalla porta con un'espressione trionfante in viso.

“Cosa ...” cominciò lei, incredula.

“Per dimostrare che anche un vecchio come me può rendersi utile! Vieni!” le disse invitandola ad entrare “Cercavi questo, oggi?” le chiese porgendole un libro che stava appoggiato sopra il tavolino del salotto.

Rain prese in mano il libro e guardò il nonno.

“Nonno!” disse “Sei stupefacente! È proprio questo! Dov'era?”

“In soffitta” rispose lui “Ora cerca ciò di cui hai bisogno anche se, sinceramente, penso di essermene già fatto un'idea”

Rain sfogliò avidamente il tomo di botanica e infine indicò con un gesto deciso una pagina.

“Cyanea!” gridò felice “Cyanea!”

“Cyanea?” ripetei io, incerto di aver capito bene.

“Sì, Max” rispose lei mostrandomi la foto “Cyanea capillata. È una specie di medusa dal tipico colore rosso, che vive nei mari baltici e antartici, ma anche nel Mare del Nord”

“Dunque sarebbe lei l'assassina?” chiesi dubbioso.

“Questa è l'unica spiegazione che mi viene in mente” rispose lei stringendosi nelle spalle “Mi è venuta in mente ripensando alle ultime parole di Mc Pherson. La Cyanea viene comunemente chimata anche …”

“... criniera di leone?” chiesi, osservando la forma particolare di quell'animale.

“Esattamente!” rispose lei “Ora non ci resta che comprovare le nostre ipotesi! Andiamo …”

“Domani” la bloccò Sherlock, prendendola per una spalla “Ora è davvero troppo tardi. Sono sicuro che la Cyanea non scapperà, ma è troppo pericoloso fare questo tipo di ricerche con il buio”

Rain annuì poco convinta, ma obbedì al nonno così finalmente andammo a dormire.

 

Il giorno dopo ci svegliammo di buon mattino e, dopo una breve colazione, ci armammo per catturare l'assassina. Venne con noi anche Sherlock, sebbene facesse fatica a camminare. In pochi minuti noi eravamo già arrivati, mentre lui era ancora lontano.

“Forza, Max” mi disse lei, brandendo un lungo retino da pesca e porgendomene un altro “Diamoci da fa ...”

Non riuscì a finire la frase. Presa dal troppo entusiasmo aveva messo un piede in fallo ed era scivolata lungo un'alga. Istintivamente pose le mani avanti per attutire la caduta ma … cadde sopra di me. Lo scivolone fu così brusco che non riuscì a fermarsi e i nostri visi si ritrovarono improvvisamente vicini.

Troppo vicini.

Ci guardammo imbarazzati.

“Hem” disse lei “Grazie, ora cerchiamo la ...”

Scivolò di nuovo e stavolta ciò che accadde ebbe il potere di sconvolgermi.

Le nostre labbra si toccarono per un istante.

Mi sentii ardere di una passione che mai avevo provato in vita mia. Una passione intensa ma breve. Durò giusto un istante.

Mi passai la lingua sulle labbra. Sapevano da vaniglia.

Non posso dire che Rain potesse provare emozioni del genere, ma potrei giurare di averla vista arrossire.

Fortunatamente la tensione del momento fu spezzata dalla voce di Sherlock, che ci aveva nel frattempo raggiunto.

“La Cyanea!” disse indicando con un bastone una medusa che galleggiava a pochi metri dalla riva.

Dimenticammo subito quel piccolo incidente di percorso e ci demmo alla caccia dell'animale. La catturammo e la uccidemmo, per poterla portare in centrale di polizia come prova che la morte del professor Fitzroy Mc Pherson non era altro che il risultato di un incidente, uno sfortunato incontro in riva al mare.

Murdoch fu completamente scagionato e sia il suo fisico che la sua carriera si ripresero nel giro di poche settimane.

 

Quando la faccenda fu sistemata festeggiamo con una bella cena a base di pesce nella casa di Sherlock, il quale ci ringraziò dell'aiuto e ci rinnovò l'invito per andarlo a trovare quando ne avessimo avuto voglia.

Tornammo a Londra carichi di energia e rinfrescati dall'aria del mare. Dentro di me portavo ancora il sapore delle labbra di Rain e il desiderio di poterle sfiorare ancora.

 

 

 

 

 

 

*Questo caso è chiaramente tratto dall'avventura 'La criniera di leone'

**Riporto come dal libro: Il termine inglese per 'criniera' è mane.

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Capitolo 7
*** Rape's confession ***







Rape's confession











Quando ho cominciato questo diario, mi sono ripromesso di riportare ogni fatto. Tutto ciò che mi è successo da quando ho conosciuto Rain.

Il che comprende anche questo episodio, di cui non vado assolutamente fiero. Anzi, mi vergogno come un ladro. Eppure, se voglio essere pienamente onesto con me stesso, devo narrarlo perché è stato da quel giorno che la mia vita ha cominciato a incasinarsi e poi, grazie a Rain, a ricomporsi.*

 

Da quando eravamo tornati dal Sussex, nessuno dei due aveva più parlato di quell'episodio. Lei era scivolata su uno scoglio e le nostre labbra … le nostre labbra non avrebbero potuto essere più vicine.

Avevo sentito il sangue ribollirmi dentro, travolto da una passione pressoché incontrollabile. Per nostra fortuna era sopraggiunto suo nonno e la tensione per la caccia alla strana medusa mi aveva riportato all'ordine, ma non potei dimenticare quella sensazione.

Come ho detto, non ne parlammo più. Io ero a disagio. Non riuscivo a stare con Rain nella stessa stanza più di dieci minuti senza che mi tornasse in mente quell'episodio.

Lei sembrava averlo dimenticato, eliminato dalla sua testa come tutte le cose che non reputava importanti. Tutto ciò mi avviliva molto. Non volevo essere considerato inutile.

Inutile? Come valutare, con la testa di Rain, ciò che è utile e ciò che non lo è?

Io ero inutile, per lei? Sicuramente lo era l'amore. L'amore, come tutti i sentimenti, la urtava, la destabilizzava e questo non lo poteva sopportare.

Quello che per Rain è inutile era l'amore.

Non sembrava che evitasse le emozioni. Le scivolavano addosso come il vento, la sfioravano senza toccarla veramente. Era un mistero, per me.

 

Il tempo passava e nulla sembrava cambiare. Risolvevamo casi, io continuavo a squartare cadaveri e lei se ne stava sola in casa o in laboratorio, cercando di scacciare la noia che attanagliava la sua vita.

In quegli ultimi mesi non c'erano stati casi eclatanti, così vivacchiavamo, tra i miei stra orari in obitorio e il suo pianoforte in piena notte.

Tutto sembrava dover andare avanti così all'infinito, poi qualcosa cambiò.

Un serial killer.

I preferiti di Rain. Lei adorava i serial killer. I casi più difficili, più ricchi di imprevisti e motivazioni fantasiose. Questo, in particolare, fu piuttosto interessante, devo ammetterlo.

Aveva cominciato uccidendo un certo Andrew Adderson. Un omicidio come tanti, ma il colpevole non era saltato fuori. Questo aveva fatto infuriare Rain ma ben presto, nemmeno una settimana dopo, era morta Beatrix Brant, sempre per strangolamento. La singolare similitudine tra il metodo dell'assassino e il collegamento tra le due vittime la colpì e divenne ancora più evidente quando morì, sempre strangolato, Charlie Coster. **

Era al massimo. Da mesi non la vedevo così concentrata. Non c'era altro, per lei.

Stava tutto il giorno in giro per Londra, occupata nei suoi lunghi e complicati appostamenti. Io ero perennemente solo. Solo in obitorio. Solo in casa. L'unica compagnia che ricevevo era quella dei miei 'adorati' cadaveri e di Billy, il teschio di famiglia, grazioso souvenir di nonno Lock.

 

Non posso più temporeggiare. Ho promesso a me stesso che avrei raccontato tutto e non posso perdere tempo cercando giustificazioni. Sarebbe come nascondersi dietro un dito.

Accadde una sera di pioggia. Pioveva veramente forte. Rain non era in casa e non rispondeva al cellulare. Ero molto in pensiero per lei, ma il fatto che non si facesse viva da più di due giorni contribuì a farmi montare una rabbia mista a preoccupazione, che tentati di affogare nell'alcool.

Da qualche mese mi sentivo strano. Non sapevo a cosa imputare quel cambiamento. Pensavo che fosse la frustrazione per non riuscire a fare breccia nel cuore di Rain, ma presto scoprii di cosa si trattava. Quel giorno, naturalmente, ero ancora all'oscuro di tutto.

Bevvi un intero cartone di bianco, di quello che solitamente usavo per cucinare l'arrosto. Stavo sudando come un maiale. Faceva caldo, troppo caldo.

Mi levai la camicia e cominciai a vagare per l'appartamento a petto nudo e piedi scalzi, con il cartone di vino ancora in mano. Stavo dando uno spettacolo penoso.

Ero sicuro che Rain non sarebbe tornata, invece …

Sentii la porta al piano terra aprirsi. Era lei.

Salì velocemente le scale ed entrò come se nulla fosse, non come se fosse sparita per giorni senza dare notizie. Non mi salutò nemmeno. La guardai bene.

Era completamente fradicia e … super sexy.

I vestiti le aderivano perfettamente al corpo, evidenziando ancora di più le sue curve sensuali. Anche i capelli erano bagnati. Inscuriti dall'acqua, le si erano appiccicati al viso e le loro curve disegnavano eleganti arabeschi sulle sue guance affilate.

Non ricordo molto di quello che accadde dopo. Mi sembrava di non essere in me. Era come se stessi guardando un film. Non ero io … non ero io ad agire. Mi vedevo, eppure non riuscivo a fermarmi.

“Rain!” la chiamai, ruggendo di rabbia “Ti sembra questo il modo di tornare?”

Lei si girò lentamente verso di me. Stava andando in bagno per farsi una doccia e cambiarsi, ma si fermò ugualmente a guardarmi. Sollevò un sopracciglio, seccata, e accennò un saluto con la testa.

“Così mi saluti?” dissi rabbioso.

La mia gelosia stava avendo la meglio su di me.

“Come dovrei salutarti?” domandò lei, cercando di suonare il più ingenua possibile.

“Che ne so!” risposi, sempre urlando “Non torni a casa per due giorni, non ti fai sentire e poi ricompari all'improvviso! Un 'ciao' sarebbe gradito, sai?”

Rise. Rise di me, della mia gelosia. Della mia iperprotettività.

“Te l'avevo detto che sarei stata via per un po'” mi rispose lei come se fosse ovvio “Non devi preoccuparti … Inoltre durante gli appostamenti non posso contattare nessuno, dovresti saperlo, ormai”

“Non mi interessa!” le urlai contro “Non mi interessa! Mi stai trascurando!”

Mi guardò. Non so se fosse sorpresa o dispiacere. Tutti e due, immagino.

“Sembri una mogliettina gelosa” disse ridendo.

Non so se fu la sua risata beffarda e offensiva. Forse fu la sua battuta, così degradante per il mio orgoglio maschile. Mogliettina gelosa. Era vero, lo ero. La sua frecciatina era sicuramente azzeccata.

Era a pochi passi da me. Era rilassata. Ne approfittai.

In due passi eliminai la distanza tra di noi e l'afferrai per la gola con la mano aperta.

Non si aspettava quell'attacco. Avevo dalla mia parte l'effetto sorpresa. Sorpresa che durò abbastanza da permettermi di fare ciò di cui mi vergogno ancora oggi.

La baciai. No, violentai la sua meravigliosa bocca.

Infilai a forza la lingua tra le sue labbra di rosa e lei non reagì. Era … spaventata.

Per la prima volta la vidi spaventata. Ciò non mi fermò. Io ero lì, potevo fermarmi ma non lo volevo. L'alcool agiva per me.

Sempre baciandola, la spinsi verso la parete, verso quello smile che, tanti anni prima, aveva disegnato suo nonno.

Quando fui sicuro che non potesse più scapparmi, le lasciai la gola e con entrambe le mani cominciai a slacciarle la giacca e, eliminato quel primo ostacolo, la camicia e il reggiseno.

Lei gemeva sotto di me. Era nel panico più totale.

Non sopportava facilmente il contatto umano e quel mio attacco l'aveva totalmente atterrita. Era una facile preda tra le mie mani.

I suoi seni, i suoi meravigliosa seni erano nudi, esposti davanti ai miei occhi. Cominciai a massaggiarli. Erano perfetti. Perfetti nella forma e nella consistenza. Le mie mani danzavano sopra il suo corpo. Pian piano scesi lungo i fianchi e arrivai ai pantaloni.

Non mi fermò. Era paralizzata dal terrore. Lei che non tremava nemmeno davanti ad una pistola puntata alla tempia, non sapeva cosa fare.

Dai fianchi le mie mani passarono alla zip dei suoi pantaloni di pelle. L'abbassai con un gesto secco e lo stesso feci con quella dei miei jeans. Restai qualche istante ad osservare la sua biancheria intima. Anche le mutandine, come il reggiseno, erano di un bel bordeaux e ricamate con sottili arabeschi neri. Le adorai, ma non potei fare a meno di strapparle.

La spinsi ancora di più contro la parete mentre mi sfilavo i boxer. Feci scivolare lungo le sue gambe la pelle dei pantaloni e … lo feci.

Entrai in lei.

Non posso descrivere l'urlo che cacciò quando la penetrai. Era ancora vergine.

In quel momento le vidi.

Lacrime. Grosse lacrime le solcavano il viso. Nemmeno questo mi fermò. Ogni lacrima fu per me come un afrodisiaco. Gliele leccai via dal viso, come fossero miele dolcissimo. Continuai, spingendo ogni volta di più. Lei fremeva sotto le mie spinte e gemeva di dolore.

Non provava piacere. Era spaventata, sconvolta.

Io stavo godendo come mai in vita mia avevo fatto. Me ne vergognavo ma non potevo fermarmi. Non volevo.

Le spinte aumentarono, aumentarono … fino a quando raggiunsi il culmine.

Mi staccai velocemente da lei e macchiai la carta da parati con il frutto della mia passione.

Non più sostenuta dal mio corpo, Rain si accasciò a terra come uno straccio bagnato.

Piangeva forte, ora.

Insieme all'eccitazione, svani anche la sbronza e l'effetto malefico che aveva avuto su di me.

Ora la vedevo bene.

Era Rain.

Era Rain sotto di me.

Piangeva.

L'avevo fatta piangere io … e non me lo sarei mai potuto perdonare.

Lei stava lì, ancora bagnata per la pioggia e, ora, anche per le lacrime.

Mi vergognai come mai in vita mia.

Rain mi guardava impaurita e continuava a piangere. Ogni lacrima, che prima mi spingeva ad andare più forte, ora sembrava una lama diretta al mio cuore.

Non ce la feci.

Scappai.

Come un vigliacco.

La lasciai lì, sola, con il suo dolore.

Non mi preoccupai di pulirmi. Mi rimisi i pantaloni, afferrai al volo la giacca e uscii, incurante della pioggia. Non sapevo dove andare. Vagai senza sosta per ore, sotto la pioggia battente. Erano ore? Non lo so. So solo che, all'improvviso, mi ritrovai nel tunnel della metropolitana. Presi il primo treno e scappai.

 

 

 

 

 

 

*Mi sono ispirata ad Adso, il frate che narra le vicende di Guglielmo da Baskerville ne 'Il nome della rosa'. Chiaramente Adso non si esprimeva così. Il concetto è quello di un uomo che deve narrare un fatto di cui non va fiero.

** Non ho fantasia per quanto riguarda i casi, perciò mi affido a quelli già scritti da altri (vergonga!!) In questo caso 'La serie infernale', con protagonista Hercule Poirot. I nomi sono inventati da me, però!

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Capitolo 8
*** My pain ***








My Pain

 

 

 

 

 

 

 

Rain P.O.V.

 

Pioveva forte, quella sera. Ero in attesa del mio uomo da più di un'ora e cominciavo a perdere la pazienza.

“Maledizione” sussurrai sottovoce “Mi sa che stasera non se ne fa niente!”

Ero così vicina a casa … Mi morsi il labbro, indecisa sul da farsi. Puzzavo da far schifo, dopo tutte quelle ore sotto la pioggia. Così, non potendo raggiungere il mio nascondiglio a Brixton, optai per tornare da Max. Sarebbe stato contento di rivedermi, no?

No. No sapevo a cosa stavo andando incontro.

Entrai in fretta. Avevo i vestiti appiccicati addosso e non avevo tempo per inutili convenevoli con Max. Mi diressi subito verso il bagno, ma lui mi bloccò.

“Rain!” mi chiamò. Era arrabbiato “Ti sembra questo il modo di tornare?”

Mi girai lentamente verso di lui. Sollevai un sopracciglio, seccata e mi costrinsi a salutarlo, almeno con un cenno della testa. Ero così stanca …

“Così mi saluti?” mi domandò con ancora più rabbia nella voce.

“Come dovrei salutarti?” domandai. Stavo cominciando a spazientirmi. Ero infreddolita e l'unica cosa che volevo era una bella doccia calda.

“Che ne so!” mi rispose lui “Non torni a casa per due giorni, non ti fai sentire e poi ricompari all'improvviso! Un 'ciao' sarebbe gradito, sai?”

Risi. Non potei farne a meno.

“Te l'avevo detto che sarei stata via per un po'” gli dissi, cercando di calmarlo “Non devi preoccuparti … Inoltre durante gli appostamenti non posso contattare nessuno, dovresti saperlo, ormai!”

“Non mi interessa!” mi urlò contro “Non mi interessa! Mi stai trascurando!!”

Trascurando? Sembrava una mogliettina gelosa. Glielo dissi.

“Sembri una mogliettina gelosa!”

A quel punto presi paura.

Un lampo di rabbia gli balenò agli occhi. Si avvicinò con un solo passo a me e mi prese per il collo. La sua mano me lo stringeva e mi impediva di respirare bene. A quella distanza sentii l'alcool del suo fiato. Era ubriaco.

Senza dirmi nulla, avvicinò la sua bocca alla mia e … oh! La sua lingua … infilò a forza la sua lingua nella mia bocca. Sembrava un verme enorme e spiacevole … una sensazione orribile! Cercai di divincolarmi ma lui mi teneva stretta.

Ero paralizzata dalla paura. Non riuscivo a muovermi.

Mi spinse contro la parete, senza staccare la sua bocca dalla mia. Sentii il muro premere contro la mia schiena e i vestiti bagnati appiccicarsi ancora di più al mio corpo. Facevo fatica a respirare, con la sua mano sulla mia gola, ma all'improvviso mi lasciò e spostò le mani sui miei vestiti. Mi sbottonò la camicia e il reggiseno. Avevo paura. Tanta paura, così tanta da farmi sfuggire piccoli gemiti di terrore.

Mi sfilò il reggiseno e cominciò a palparmi il seno. Lo vedevo godere come un animale selvaggio mentre, pian piano, scendeva lungo i miei fianchi per raggiungere i pantaloni.

No! Non potevo crederci! L'avrebbe fatto davvero?

Sì, l'avrebbe fatto.

Mi abbassò la zip e fece lo stesso con la sua. Restò qualche istante ad ammirare le mie mutande e me le strappò di dosso. Sobbalzai per quella violenza, ma il peggio doveva ancora arrivare. Si sfilò i boxer e fece scendere i pantaloni, poi fece lo stesso con i miei.

Poi lo fece.

Lo fece!

Provai un dolore che mai, mai nella mia vita avevo sentito.

Avevo preso qualche pallottola e perfino una coltellata, ma mai provai tanto dolore in vita mia.

Dolore per la mia verginità perduta in un modo così barbaro. Dolore perché era stato proprio Max, il mio Max, a fare tutto ciò. L'unica persona in cui avevo riposto la mia totale fiducia mi aveva tradita.

Sentii il sangue scendere lungo la coscia e le lacrime lungo le mie guance. Non potevo resistere. Lui se ne accorse ma non si fermò. Spingeva sempre di più. Sembrava un demone assetato di sesso. Mi spingeva contro la parete e a ogni colpo accelerava.

Finalmente raggiunse l'apice. Si staccò velocemente da me e venne fuori. Libera dalle sue braccia, mi accasciai a terra. Mi sembrava di essere una marionetta senza fili. Non riuscivo a smettere di piangere.

Lui mi guardò. Era tornato in sé, finalmente. L'orgasmo doveva averlo allontanato dalla sbronza. Mi guardò con occhi carichi di sensi di colpa. Ero terrorizzata. Non riuscivo a muovermi.

Lui esitò qualche istante poi, con eccessiva fretta, si risistemò i pantaloni senza nemmeno pulirsi, prese la giacca e uscì, lasciandomi sola.

 

Avevo freddo ma non riuscivo a muovermi. Avevo paura ma non c'era nessuno ad aiutarmi.

In qualche modo riuscii a prendere il cellulare dalla tasca della giacca e premetti due volte il tasto verde. Rispose mio fratello.

“Behn ...” esclamai, con la voce rotta dal pianto.

“Mio Dio, Rain! Cosa ti è successo? Stai male?”

“Behn … vieni … vieni qui … ti prego ...”

“Dove sei?”

“A casa … vieni, ti prego ohoh h”

Chiusi la telefonata. Violenti singhiozzi mi scuotevano nel profondo. Continuai a piangere e attesi.

Minuti? Ore? No, dovevano essere passati non più di venti minuti, quando sentii il rombo della moto di Ben sotto casa mia. Il rumore delle chiavi sulla toppa, la porta che si apre … e i suoi passi su per le scale. Aprì la porta di legno con malagrazia e mi vide.

“Rain!” gridò, vedendomi “Cosa ti è successo?”

Continuavo a piangere. Non riuscivo a parlare. Mi osservò bene e capì.

“Vieni” mi disse prendendomi per le spalle “Hai bisogno di una bella doccia. No, di un bagno caldo”

Mi portò in bagno. Mi spogliò e mi fece sedere sulla vasca. Lasciai fare. Avevamo sempre fatto il bagno insieme da piccoli e non mi vergognavo a stare nuda davanti a lui, come lui non si vergognava davanti a me.

Cominciai a rilassarmi mentre lui riempiva la vasca, tenendo il getto dell'acqua calda sulla mia schiena, muovendolo su e giù per riscaldarmi. Mi lasciai andare alle sue cure.

Non voleva rompere quel momento di rilassamento, ma non poté resistere.

“Chi è stato?” mi chiese “Dimmelo, ti prego. È stato Max?”

Sobbalzai. Come faceva a saperlo?

“S … sì” risposi alla fine. Non volevo che Ben lo odiasse. Provavo sentimenti contrastanti verso di lui, ma ancora avevo paura ad ammettere ciò che mi aveva fatto.

Ben sospirò, cercando di trattenere la rabbia.

“Mi fidavo di lui!” ringhiò.

“Ben!” gridai, allarmata. La rabbia dentro di lui saliva. Lo avrebbe picchiato?

“Mi fidavo di lui!” ripeté a denti stretti “Me la pagherà! Ah! Me la pagherà!”

“Ti prego, Benny!” lo implorai “Era ubriaco! Era ...”

“Tranquilla” mi rispose lui “Tu non devi pensare a nulla, ora. Solo a stare bene. Piuttosto, lui dov'è?”

“Se n'è andato” risposi io “Non so dove. Sarà andato al Bart's, credo … che vuoi fare?”

“Nulla, nulla” mi rispose lui, massaggiandomi la schiena con la spugna insaponata “Voglio solo prendermi cura di te e portarti lontano da qui per un po'. Dove vorresti andare?”

lo guardai. In effetti aveva ragione. Dovevo andarmene da lì.

Mi venne in mente un solo posto, in tutto il mondo, dove avrei voluto andare.

“Portami dal nonno”

Furono le uniche parole che pronunciai

 

Non parlai più fino a quando raggiungemmo la casa del nonno. Benedict mi aveva aiutata ad asciugarmi e mi aveva vestita. Mi aveva anche fatto una piccola valigia, mettendo alcuni vestiti in un trolley.

Io lo guardavo spaesata. Ero ancora sotto shock. Ero sotto shock e non riuscivo a crederci. Io! Rain Cumberbatch, sotto shock! Eppure era così. Mi lasciai andare sotto le cure fraterne di Ben. Non poteva portarmi in quelle condizioni con la moto, così andò di corsa a casa a prendere la sua Jaguar e mi raggiunse nel giro di nemmeno mezz'ora.

Caricò le mie cose e mi aiutò a salire in macchina. Dopo due ore di viaggio raggiungemmo la spiaggia.

 

Mentre andava a prendere la macchina aveva chiamato il nonno, che ci aspettava in veranda, con la luce accesa e uno sguardo più che preoccupato.

“Rain” mi disse accogliendomi con un abbraccio “Entra, piccolina, entra. Grazie mille Ben” disse poi, rivolto a mio fratello “Vuoi entrare anche tu?”

“No, grazie nonno” rispose lui posando il mio trolley all'ingresso e passandogli la maniglia “Devo andare. Domani cominciano le riprese per il nuovo telefilm … sai ...”

Il nonno lo guardò e rise.

“Mi somigli proprio!” disse ridendo forte “Hanno fatto un bel lavoro, che ne dici Rain?” mi chiese stringendomi una spalla.

Sorrisi debolmente e annuii. In effetti somigliava proprio al nonno da giovane.

“Bene!” disse Ben, sfregandosi le mani “Vado. Buonanotte nonno, buonanotte Rain e … Rain?”

Alzai la testa, in ascolto.

“Stai tranquilla, sorellina. Tutto si sistemerà”

Annuii e nonno Lock mi strinse ancora di più a sé e mi aiutò ad entrare in salotto dove, accanto al camino, ci aspettavano due fumanti tazze di cioccolata calda.

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Capitolo 9
*** A Thin Line Between Love and Hate ***


Eccomi di nuovo qui. Anche questo capitolo è dedicato al punto di vista di Rain. Per stuzzicarvi vi anticipo che, nel prossimo capitolo, ci sarà un punto di vista nuovo. Vi sfido a indovinare di chi sarà! Un bel giochetto, no?

Per adesso vi auguro buona lettura.

Mini

 

 

 

 

 

A Thin Line Between Love and Hate

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rain P.O.V.

 

 

Ormai era tarda sera. L'unico rumore nella stanza era lo scoppiettio del fuoco nel camino e, in lontananza, il rombo del mare. Io e Sherlock ce ne stavamo seduti in poltrona. Lui mi aveva fatta sedere, mi aveva avvolta in una coperta e mi aveva posato tra le mani una tazza di cioccolata calda

Nient'altro.

Non aveva detto nulla. Si era limitato a sedersi di fronte a me con la sua tazza. Mi guardava senza giudizio. Aspettava che fossi io a parlare.

“Nonno ...” dissi, posando la tazza ormai vuota sul tavolino di fronte a me.

“Dimmi, tesoro” mi rispose lui, con voce bassa e rassicurante.

La sua voce, i suoi occhi, il suo viso rilassato. Tutto mi portava a confidarmi, ad aprire il cuore. Nessuno riusciva a mettermi tanto a mio agio come lui. Sentivo la mia stessa sofferenza, che mi capiva, che aveva attraversato anche lui, a suo tempo, i miei stessi drammi.

“Nonno … Si può amare qualcuno … ed esserne spaventati?”

Non mi rispose subito. Espiro dal naso e guardò lontano. Oltre me e le pareti di quella casa, forse anche oltre il mare. Guardava ai suoi ricordi, alla sua infanzia.

“Può succedere” disse semplicemente “A me è successo”

Non aggiunse altro. Avevo risvegliato in lui ricordi lontani, esorcizzati ma non del tutto cancellati. Chiuse gli occhi, travolto da chissà quante emozioni. Mi strinsi ancora di più sulla coperta, in attesa.

Sempre ad occhi chiusi, cominciò a raccontare.

“Io amavo molto mio padre, Siger” disse e notai che le sue mani intrecciate fremevano “Lo amavo, ma lui non ricambiava il mio amore. Sapeva che ero il figlio di un'amante di sua moglie e non riusciva ad accettarlo. Per questo mi picchiava”

Lo guardai con gli occhi spalancati per lo stupore. Anche lui, riaperti i suoi, ricambiò il mio sguardo. Erano fermi e sicuri, gli occhi che ben conoscevo, ma potevo scorgerci un velo di amarezza.

“Mi picchiava, ma io tentavo ugualmente di elemosinare il suo amore. Lo amavo … ma ne ero spaventato. Volevo stare con lui anche se mi faceva male. Col tempo mi chiusi sempre di più in me stesso. Scappai dal mondo e mi convinsi di non provare emozioni. Fu un errore, Rain. Un errore che spero non ripeterai anche tu”

Lo guardai. Era sereno. Mi stava raccontando una parte difficile della sua vita, ma evidentemente l'aveva trascesa perché ne parlava con distacco. Voleva farmi capire che le difficoltà si possono superare. Al momento, però, facevo fatica a crederci. È sempre più facile vedere 'rosa' quando la tempesta è passata, ma in quel momento mi sentivo nell'occhio del ciclone.

“Ma ...” cominciai io “Lui … Ben ti ha raccontato quello che mi ha fatto Max?”

Scosse la testa.

“No. Non mi ha detto nulla, ma ti ha fatto del male. Questo è evidente”

“Mi ha violentata, nonno!” dissi soffocando un singhiozzo.

Un lampo di rabbia attraversò i suoi occhi chiari, ma svanì subito per far posto al suo solito sguardo nobile e distaccato.

“Non lo sapevo” disse semplicemente “Non me lo sarei mai aspettato da lui”

“Nemmeno io!” dissi, quasi gridando.

“Com'è successo?” mi domandò. Socchiuse gli occhi e unì i polpastrelli sotto il mento. Ora ero diventata per lui un pezzo del puzzle, una elemento in un problema. Con la sua solita professionalità, aveva separato gli affetti dal 'lavoro'. Non poteva permettersi di lasciarsi coinvolgere emotivamente, altrimenti penso che avrebbe ammazzato il mio coinquilino.

Sospirai forte e cominciai a raccontare.

“Ero appena tornata a casa. Stavo seguendo il caso di un serial killer, ma potevo permettermi una piccola pausa, così sono tornata a Baker Street per una doccia veloce. Lui era lì. Era ubriaco e era arrabbiato con me. Mi ha accusato di trascurarlo”

Sherlock allungò la mano verso il camino e prese la sua pipa di ciliegio e la riempì con il tabacco che teneva in un'antica ciabatta persiana. Con gesti lenti e misurati, la pressò sul il fornelletto poi, aiutandosi con un paio di molle, prese un tizzone dal fuoco e lo usò per accenderla. Aspirò qualche boccata di fumo ad occhi chiusi, poi tornò a guardarmi.

“Il nostro è un lavoro difficile” disse infine “Non tutti riescono a capirlo. Tuo zio John … lui era fenomenale! Mi capiva senza bisogno di parlare e sopportava tutto ciò che facevo e, soprattutto, che non facevo. Tutto. Mi comprendeva veramente”

“Ma Max ...” provai a protestare.

Anche lui mi capiva, no?

“Max ti ama” disse semplicemente “Ti ama così tanto. L'ho visto subito, sai?” disse poi, facendomi l'occhiolino “Il confine tra amore e odio è qualcosa di molto sottile. Siger, mio padre, amava alla follia sua moglie, eppure non riusciva ad essere sereno. Lei era troppo libera, troppo indipendente. Lui voleva un cagnolino, invece si era ritrovato una gatta selvatica. La capisco. Io sono come lei e tu mi somigli più di quanto voglia ammettere. Sei libera, nessuno mai potrà incatenarti, nemmeno Maximillian. Cosa che, temo, dentro di sé voglia fare. Nonostante tutto ti ama e su questo non ci sono dubbi”

“Ma, se mi ama, perché mi ha fatto questo?” dissi.

Ripensando a ciò che Max mi aveva fatto e al suo sguardo, non potei fermare nuove lacrime.

“Io ho perdonato mio padre per ciò che mi ha fatto perché, sotto quella sua durezza e le botte mi amava. A modo suo mi amava. Era un amore malato, ma c'era. Devi portare pazienza ed avere fiducia in lui e aiutarlo. Ha bisogno del tuo aiuto per imparare ad amarti”

“Imparare ad amare?”

“Certo. Anch'io ho dovuto imparare, sai? Me l'ha insegnato tua madre”

“Mia madre?” chiesi.

“Quando scoprii di essere diventato padre, andai nel panico più totale. Avevo paura, sai? Tanta paura. Di non farcela, di non essere all'altezza. In più ero solo. Irene aveva lasciato nostra figlia in un orfanotrofio.La scelta era mia. Abbandonarla lì o tenerla con me? Scelsi l'opzione più rischiosa. In fin dei conti ero appena uscito da una tossicodipendenza durata anni. Ce l'avrei fatta? Avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse, ma non pensavo che quel qualcuno potesse essere proprio mia figlia”

Rise, ripensando al suo passato. Molte delle cose che mi stava raccontando non le sapevo. Fu un colpo, per me, venirle a sapere così da lui. Non sapevo nulla della sua tossicodipendenza, né del fatto che suo padre lo picchiasse. Nuove sfaccettature si stavano mostrando nella personalità di quell'uomo che ammiravo così tanto e me lo fecero amare ancora di più.

Poi, all'improvviso, qualcosa in lui cambiò. Sospirò forte e si passò la mano sul viso.

“Rain”

“Sì, nonno?”

Non mi piaceva il tono con cui aveva pronunciato il mio nome.

“Tu non vuoi vedere ...”

“Cosa?!”

Ero più che sorpresa. Lui diceva una cosa del genere a me? La sua più che degna erede?

“Tu guardi, ma non osservi”

Il colpo di grazia. Chinai il capo. Ero pur sempre una pivellina di fronte a lui, il più grande detective mai esistito. Riconoscevo la sua superiorità, ma non capivo cosa volesse dire.

“Tu … sei cieca”

“Nonno!” protestai. Ora stava esagerando.

“Non vorrei dirtelo, ma non mi lasci altra scelta”

“Cosa vorresti dire?” domandai furiosa.

“Calmati” mi disse lui, guardandomi negli occhi con determinazione “L'ho notato quando siete venuti qui, qualche tempo fa, per risolvere il caso della medusa ...”

“Cosa vuoi dire?”

Ero tesa. Aveva visto qualcosa di Max che io non ero riuscita a scorgere?

“Sono stato tossicodipendente, Rain. Ne riconosco uno, quando lo vedo”

Tossicodipendente? Max un … No! Non poteva essere! Non poteva. Sherlock vide il panico nei miei occhi e rise piano.

“Nemmeno tuo zio John ci voleva credere” mi raccontò ridacchiando “Quando Lestrade venne a casa nostra e mi ricattò con una perquisizione per droga, lui non poteva credere che potesse essere verosimile. Invece poteva esserlo. Mi drogavo e Lestrade lo sapeva. Per quanto riguarda Maximillian, anche lui deve aver avuto un passato di tossicodipendenza e non escludo che ci sia ricascato. Quando l'ho visto venire qui sembrava a posto, nonostante riuscissi a vedere in lui tutti i tipici segnali. Ha bisogno di aiuto, Rain. Lo capisco bene. Ci sono passato anch'io. Deve affrontare ciò che l'ha portato a quel punto”

“Max non è un drogato! Non lo è! Era solo ubriaco! Per questo ha ...”

Ero furiosa. Non sapevo se ero arrabbiata con Sherlock per aver detto una cosa simile o con me stessa per non essere riuscita a vederla da sola.

Respirai forte. Tutto questo era troppo. La violenza, quella nuova rivelazione su Max. Era troppo!

“Mi dispiace” sussurrò Sherlock “Dovevi saperlo”

Annuii. Aveva ragione. Era inutile rimandare.

Ora sorgeva un nuovo problema. Come aiutare Max? Inoltre io mi sentivo tanto stanca. Non avrei avuto la forza di sostenerlo, di aiutarlo.

“Non preoccuparti” mi disse lui, come se avesse letto i miei pensieri, alzandosi a fatica dalla poltrona “Parlerò io a Max. Tu pensa solo a riposare. Nient'altro, ok? Cercherò di convincere Ben a non prendere provvedimenti troppo duri nei suoi confronti. In fin dei conti è malato. Ha bisogno di cure”

Annuii di nuovo.

“Bene!” esclamò “Andiamo a dormire, ti va?”

Si avviò lentamente verso la sua camera e io lo imitai.

“Nonno?”

“Sì?”

“Posso dormire nel lettone con te?”

Sorrise e mi allungò una mano.

“Certo, Rain. Vieni”

Lo seguii in camera e lo aiutai a distendersi. Rise, leggermente imbarazzato.

“I miei quasi cento anni cominciano a farsi sentire, sai? Non sono più un giovanotto che può correre su e giù per i tetti!”

Risi di gusto e, finalmente, mi abbandonai al sonno, cullata dal suo respiro e dalla sua presenza.

 

La mattina seguente ci svegliammo presto, richiamati dal rumore del mare e dei primi gabbiani. Ci preparammo una colazione leggera e mangiammo seduti in veranda. Un tiepido venticello ci solleticava il viso.

“Una bella giornata anche oggi” disse posando la sua tazza “Ideale per viaggiare!”

“Cosa intendi dire? Vuoi andare da Max?”

“Perché no?” mi rispose prendendo un gran respiro “Voglio affrontarlo subito. È inutile rimandare”

“Allora vengo anch'io!” dissi alzandomi dalla sedia e battendo il pugno sul tavolo.

“No” mi rispose lui secco “Tu non devi assolutamente avvicinarti a lui. È troppo presto. Me ne occuperò io. Tu pensa solo a stare tranquilla. Da qui” disse poi, indicando la sedia sdraio sulla veranda “Si sente bene il mare. Fa troppo freddo per poter fare il bagno, ma il rumore delle onde è molto rilassante, te l'assicuro”

Sospirai. Non potevo certo disobbedire al nonno. Il messaggio era chiaro. Dovevo rimanere lì.

 

Finita la colazione lui si diresse pian piano verso la fermata dell'autobus che l'avrebbe portato in paese e, da lì, a Londra.

Ero inquieta. Mi distesi sulla sedia sdraio ma non riuscivo a rilassarmi. Non avevo nemmeno il pianoforte per distendere i nervi.

Mi alzai e mi diressi verso il camino. Lì, precariamente appoggiato vicino alla poltrona, c'era lo Stradivari del nonno.

Lo presi con devozione.

Mi aveva dato qualche lezione di violino, da bambina, ma avevo preferito il pianoforte. Le mie mano non potevano sopportare la delicatezza con cui dovevo maneggiare l'archetto, mentre i tasti bianchi e neri del piano accoglievano con gioia la mia passione.

In quel frangente, però, avevo solo quel violino e quell'archetto.

Ci misi un po' a prendere il ritmo, ma alla fine riuscii a suonare decentemente.

Il suono del violino mi rapì totalmente e mi ritrovai a danzare per la stanza, formando piccoli cerchi. Danzavo con me stessa, danzavo con l'aria, con la musica … Sapevo danzare benissimo perché avevo frequentato diversi corsi di ballo, ma fino ad ora non ero mai riuscita a sperimentare con qualcuno. Proprio ora che mi sembrava di aver trovato il coraggio per poter ballare con Max …

Allontanai bruscamente l'archetto dal violino e li posai con attenzione al loro posto.

Pensare a lui mi faceva stare male. Mi sembrava di affogare in sentimenti troppo grandi per me. Mi distesi sul divano e cominciai a vagare per le stanze del mio personale palazzo mentale.

Cercai la stanza 'Maximillian Webb' ma non la trovai. Vagai tra i tipi di cenere di tabacco e le lezioni di anatomia, tra gli elementi chimici e le forme delle impronte delle scarpe, senza risultato.

Non c'era. Oppure c'era, ma dispersa tra chissà quante informazioni. La mia mente si stava difendendo, facendomi perdere l'orientamento non voleva che la raggiungessi.

Alla fine la trovai.

Ricordavo quella porta. Era bella, lucida, nuova. Ci avevo messo una targhetta d'orata e la curavo, la curavo …

Ora non era più nulla di tutto ciò.

L'ingresso di una latrina in uno squallido quartiere di periferia sarebbe stata più elegante.

Una porta di legno penzolava sbilenca sull'uscio buio. Dentro sentivo il rumore di una goccia che cadeva, come di un lavandino rotto.

Mi avvicinai e aprii la porta.

Un fascio di luce illuminò l'interno … Sangue. Sangue dappertutto.

Sangue di vergine.

Il mio.

Mi svegliai.

 

Il cuore mi batteva fortissimo. Mi ero alzata di scatto dal divano. Cominciai a respirare forte per calmarmi così, quando mi tranquillizzai, realizzai di non essere sola nella stanza.

Davanti a me c'era Sherlock.

“Sei tornato ...” mormorai.

“ … e tu hai appena avuto un brutto incubo” concluse lui buttando il fiammifero sul camino dopo essersi acceso la pipa”

“Smettila di pensare a Max” mi disse “Pensa solo a te stessa, in questo momento”

“Ma ...” cercai di protestare, ma lui mi interruppe.

“Max è al sicuro, ora” mi disse “Nessuno gli farà del male. Ben, William, Hamish e tuo padre e, devo ammetterlo, anch'io, volevano fargli la festa. Volevano picchiarlo ben bene. Si erano ritrovati a casa di Hamish per decidere sul da farsi … stavano quasi per partire per la spedizione punitiva, ma sono arrivato giusto in tempo. Li ho fermati e li ho convinti a lasciarmi andare a parlare con lui”

“Dunque?” gli chiesi, la voce carica d'ansia.

“Ora ti racconterò tutto” rispose lui, ed espirò un sottile filo di fumo grigio.

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Capitolo 10
*** The first consultant detective ***


Chiedo venia per la lunga assenza con questa storia, ma per motivi tecnici è stato impossibile continuarla. Ora cercherò di essere più costante. Spero che vi piaccia e che continuiate a seguirla e, en passant, lasciate pure qualche recensioncina.

Un bacio e buona lettura



 

 

 

The First Consultant Detective

 

 

 

 

 

Sherlock P.O.V.

 

 

 

Era una sera come tante altre. La noia ormai era diventata mia amica e io cercavo di tirare avanti come potevo. Non potevo più camminare come un tempo, avevo bisogno del bastone. L'unica mia consolazione era il tabacco. Non più cerotti alla nicotina.

Rain, per il mio novantesimo compleanno, mi aveva regalato un'elegantissima pipa in ciliegio e io la fumavo ogni sera. Al diavolo i polmoni! Potevo pur permettermi una buona fumata, no? Ormai avevo raggiunto i cento anni … anno più, anno meno …

Mi sottoponevo periodicamente a visite di controllo, che dimostravano ogni volta la mia buona salute, perciò potevo lasciarmi andare almeno a questo vizio.

Me ne stavo appunto in veranda ad osservare il sole che accennava a tramontare, quando sentii vibrare il cellulare.

Da tanto non ricevevo telefonate e mi chiesi immediatamente chi potesse essere. Immaginai che fosse quel rompiscatole di Gatiss con qualche sua richiesta assurda. Presi il cellulare e mi misi gli occhiali. Ero scocciato. Chi diamine stava interrompendo la mia fumata?

Era Benedict.

“Dimmi, Ben” risposi, lievemente sorpreso.

“Oh! Nonno … c'è un problema”

Qualcosa nella sua voce mi fece preoccupare, ma cercai di non darlo a vedere.

“Rain … si tratta di Rain. Non sta bene. Posso portarla da te? Sarebbe il caso che restasse da te per qualche tempo”

Naturalmente accettai.

Nemmeno due ore dopo erano davanti a casa mia, con la Jaguar di Ben carica del bagaglio di Rain e … Rain.

La accolsi come meglio potevo. Le avevo già preparato una tazza di cioccolata calda e ce la gustammo seduti davanti al camino. Lei si confidò con me e venne fuori che Maximillian, il suo coinquilino, aveva abusato sessualmente di lei.

Che cieco ero stato! Avevo preferito non vedere, come la mia Rain, d'altra parte.

Era evidente che quel ragazzo in passato aveva avuto problemi con qualche droga … morfina? Cocaina? … e che ci stava lentamente ricascando.

D'altra parte, potevo prevedere ciò che sarebbe successo? No, no di certo. Eppure …. Maximillian aveva bisogno d'aiuto. Ne ero certo.

Mi immaginai la reazione degli uomini di famiglia, Julian per primo. Non potevo permettere che si sfogassero su di lui. Lo capivo. Da ex tossicomane lo comprendevo e sapevo che quello di cui aveva bisogno era solo un aiuto sincero.

Senza farmi vedere da Rain gli mandai un SMS. Gli consigliai di nascondersi in un mio vecchio appartamento che usavo per i pedinamenti e gli dissi dove tenevo la chiave.

Sapevo che Benedict, seguito da Hamish, William e Julian, lo avrebbero cercato per tutta Londra per potergli dare la lezione che si meritava secondo loro. Non potevo permettere che accadesse.

Non potevo nemmeno lasciare Rain sola, perciò optai per rimandare tutto al giorno dopo.

L'ascoltai, le parlai, le raccontai la mia esperienza e tutto ciò sembrò rassicurarla. Più delle parole, però, penso che fu la mia presenza a rasserenarla. Qualsiasi cosa fosse stata, ora stava meglio e solo questo contava.

 

Il giorno seguente mi alzai con la precisa intenzione di recarmi a Londra. Rain doveva starne lontana, però. La obbligai a stare in casa mia e le consigliai di provare a rilassarsi. Avevo dato appuntamento a Max al Bart's. Doveva recarvisi come se nulla fosse, come se fosse un normale giorno di lavoro. Così fece.

Dopo un lungo viaggio, tra autobus e treno, arrivai finalmente a Charing Cross e, dopo un breve tragitto in taxi, mi ritrovai davanti alla porta dell'obitorio, dopo tanto tempo.

Maximillian era lì. Aveva appena finito un'autopsia e ora stava compilando la documentazione.

Quando entrai sobbalzò. Mi aspettava, ma non era pronto a ricevermi. Non sapeva cosa aspettarsi da me. Lo avrei sorpreso.

“Maximillian ...” lo salutai con un cenno del capo.

“Signor … Signor Holmes!” mi rispose lui, gridando per la paura “Io … io ...”

Posò la cartelletta al tavolo e cercò di darsi un contegno.

“Immagino che lei sia qui per …” non resse. Si accasciò sulla poltrona e cominciò a piangere “Mio Dio! Cos'ho fatto. Io … io non ero in me. Ero ubriaco. Ero … la prego, signor Holmes! Mi perdoni ...”

“Non sono io a doverti perdonare” gli risposi gelido. Fu più forte di me. Nonostante lo capissi, facevo fatica a lasciar correre ciò che aveva fatto alla mia piccola.

“Rain deve perdonarti e, soprattutto … tu lo devi fare”

Mi guardò stranito. Non si aspettava una reazione simile.

“Ti capisco, sai?” gli dissi, ottenendo un'altra occhiata ancora più sorpresa della prima “Anch'io sono stato tossicomane”

Il colpo di grazia.

“Tossicomane?” mi domandò “Lei? Non ne avevo idea … Ma io … io non ...”

“Stai parlando con il più grande detective del mondo” dissi senza falsa modestia “Non puoi nascondermi nulla. Inoltre riconosco i sintomi. Già quando siete venuti a casa mia tempo fa, per quel caso della medusa … già allora avevo visto qualche segnale, ma avevo preferito ignorarlo. Ho preferito vedere il bene che avresti potuto fare per Rain … che potresti ancora fare, se volessi farti aiutare”

Restò qualche minuto meditabondo. Era veramente sorpreso. Questo era evidente. La cosa, naturalmente sorprese anche me. Mi ero aspettato una reazione diversa. Imbarazzo. Vergogna.

Invece era totalmente spaesato. Non capiva davvero di cosa stessi parlando.

Era davvero frustrante.

Con un movimento veloce e deciso gli afferrai il braccio e sollevai la manica fino a sopra il gomito.

“Come le spieghi, queste?” gli chiesi arrabbiato, notando i segni delle iniezioni.

“Queste?” mi domandò lui, che ora sembrava scocciato.

Si sottrasse dalla mia presa e si rimise a posto la manica e mi guardò con gli occhi ridotti ad una fessura.

“Io avrò anche fatto una cosa orrenda sua nipote” mi disse in un sibilo “Ma lei non può venire qui e darmi del tossicodipendente. Questi sono i segni delle iniezioni di insulina. Sono diabetico e devo iniettarmi l'insulina con regolarità. Contento?” mi chiese infine, sfogando in quell'ultima domanda tutta la sua rabbia.

Insulina? Poteva essere solo insulina? C'era qualcosa che non quadrava.

In quel momento, il momento più sbagliato che potesse capitare, arrivò la spedizione punitiva.

Julian, seguito da William e Hamish. Sospirai di sollievo quando vidi che mancava Benedict. Nonostante questo, però, ero accigliato.

Max, dietro di me, capì immediatamente cosa gli sarebbe successo. Non l'avrei permesso. Mi girai su me stesso e li affrontai a viso aperto, la mano tesa sul bastone, pronto a colpire se fosse stato necessario.

“Zio Sherlock!” esclamò Hamish vedendomi “Sei qui anche tu, dunque”

“Esatto” risposi “Non lascerò che gli facciate del male” dissi e alzai lievemente il bastone da terra, per dimostrare che ero pronto a combattere.

Mi guardarono allarmati.

“Ma … zio!” mi disse William “Questa bestia ha … non riesco nemmeno a dirlo ... Dopo quello che ha fatto vuoi anche difenderlo?”

“Si faccia da parte” intervenne Julian “La rispetto tantissimo, signor Holmes” mi disse facendosi avanti, minaccioso “Ma questo delinquente ha violentato mia figlia. Mia figlia, capisce? Cosa avrebbe fatto se fosse successo a Violet?”

Scossi la testa.

“Capisco benissimo come ti senti, Julian” gli dissi senza muovermi di un millimetro “Rain è mia nipote, non dimenticarlo mai. Sentiamo, cosa pensi di risolvere picchiandolo?”

Mi guardò e, per un momento, la mia domanda lo calmò.

“Mi sfogherei!” rispose poi, ringhiando “Ho bisogno di sfogare la mia rabbia su qualcuno … chi meglio di quel criminale che ...”

“Basta così” lo interruppi alzando la mano “Ciò che state per fare è inutile e dannoso. Inutile perché non cambierà le cose, dannoso perché rischiate di andare in prigione e … non migliorereste la situazione di Rain … né di Maximillian. Vi siete precipitati qui come bestie e non avete fatto l'unica cosa sensata che potevate fare. Andare da Rain. Ci avete anche solo pensato?”

Si guardarono imbarazzati. Evidentemente il loro primo e unico pensiero era andato alla vendetta.

“Cosa vuoi dire, zio?” mi domandò ugualmente William “Non vorresti picchiarlo anche tu?”

“Devo ammettere che, all'inizio, volevo” risposi serio “Ma la ragione ha sempre la meglio sulla brutalità. Maximillian è un ex tossicodipendente e ha bisogno d'aiuto. Ciò che ha fatto a Rain … ciò che le ha fatto è stato tremendo, ma ciò non deve distoglierci dal problema”

“Come fai ad essere così freddo?” mi domandò Hamish “Rain ...”

“Sono un sociopatico, Hamish” lo interruppi.

“Bella fortuna!” mi rispose William ridendo sarcastico.

“Non l'ho mai considerato un handicap” gli risposi, ignorando il sarcasmo “Non essere coinvolto dai sentimenti degli altri mi ha sempre permesso di poter esaminare i casi in modo distaccato e professionale. Per quanto riguarda Maximillian … ha urgente bisogno d'aiuto, prima che faccia del male a sé o ad altri. Tu, invece” aggiunsi poi, guardando Julian “Vai in palestra. Prendere a pugni un sacco da pugilato fa sempre bene in questi casi. Fidati. Esperienza personale” *

Mi guardarono torvi consapevoli del fatto che, nonostante la loro smania di picchiare Max, avevo ragione.

Annuii, soddisfatto.

“Bene” dissi cercando il portafogli in tasca “Ho qui il biglietto da visita di un medico che potrebbe ...”

Mi fermai. Julian, non potendo resistere alla rabbia, aveva eliminato in pochi passi la distanza tra lui e Max, urtandomi per sbaglio. Caddi a terra e sentii un forte dolore alla gamba che, dopo un veloce esame, risultò essere ancora intera, per fortuna. Non feci in tempo ad alzarmi e potei solo vedere Julian avventarsi su Max come una belva feroce.

Alzai il braccio, ingenuamente. Fu tutto inutile.

Il suono del primo pugno rimbombò nella stanza dell'obitorio come un colpo di pistola.

A fatica riuscii ad alzarmi e raggiunsi Julian prima che facesse partire il secondo.

“Fermati!” gli urlai “Non risolverai nulla, così!”

Qualcosa nella mia voce o nel mio sguardo sembrò convincerlo. Ora dovevo solo comprovare le mie teorie e c'era un solo modo per farlo. Entrando avevo visto Daphne nel suo ufficio.

Mollai la presa su Julian e mi diressi lì.

“Daphne!” gridai, aprendo la porta.

“Oh! Zio Sherlock!” mi salutò lei vedendomi “Non sapevo fossi qui … ma cosa ...”

Si alzò e guardò il piccolo gruppo che si era riunito nel suo obitorio.

“Cosa ci fate qui?” domandò ai fratelli “Maximillian sta lavorando. Lasciatelo in pace! Vedo che c'è anche lei, signor Cumberbatch. Vi devo chiedere di andarvene …”

“Non ce ne andremo finché ...” cominciò Julian, ma lo interruppi.

“Non ce ne andremo finché non avrai eseguito le analisi del sangue a Maximillian” dissi deciso.

Tutti si voltarono a guardarmi. Solo Max, però, aveva capito.

“Le ripeto, signor Holmes, che non mi drogo. Sono stato tossicodipendente in passato. Questo è vero, ma …”

“Max!” esclamò Daphne, guardandomi sorpresa “Ci sei ricascato, dunque?”

“Non è come pensi tu ...” cercò di difendersi lui.

“Se mio zio mi ha chiesto di farti fare delle analisi del sangue probabilmente è perché pensa che tu abbia ricominciato a drogarti, mi pare ovvio”

Annuii soddisfatto. In tutti quegli anni avevano imparato qualcosa da me.

“Vi ripeto che non c'è niente di vero!” esclamò lui “Quello che ho fatto a Rain è imperdonabile, ma ...”

“Cosa hai fatto a Rain?” gli domandò Daphne “È per questo che siete qui?” domandò rivolta i fratelli e a Julian “Per qualcosa che ha fatto a Rain?”

Hamish e William annuirono e Julian rispose.

“L'ha violentata”

Se le avessero dato una botta in testa non ci sarebbe stata nessuna differenza. Fece qualche passo indietro, indecisa su chi posare lo sguardo. Prima guardò Julian, non ancora certa se credergli o no; poi guardò i fratelli che, con un cenno del capo, confermarono ciò che aveva appena sentito; poi guardò Max e lui abbassò il capo, colpevole.

Alla fine guardò me. Sapeva che, se avevo difeso Maximillian, doveva esserci un buon motivo. Restò a fissarmi qualche istante a bocca aperta, poi la richiuse e annuì.

“Bene” disse infine “Max. Vieni con me. Voi” disse poi rivolta ai fratelli e a Julian “Andatevene. Zio, vieni con noi”

I tre uomini restarono a guardarsi qualche istante, indecisi sul da farsi, ma un'occhiata particolarmente decisa di Daphne li convinse ad andarsene.

La seguii con Max nel suo laboratorio.

“Siediti qui, Max” gli disse prendendo una siringa per prelievi “Ci metterò un attimo”

“Per me è solo una perdita di tempo” sbuffò lui “Sai benissimo anche tu che devo prendere l'insulina per il mio diabete!”

“Lo so” rispose lei continuando a lavorare “Ma mi fido più di mio zio che di te. Scusa” disse poi, dopo una breve pausa imbarazzata “Lui è stato il miglior detective del mondo e lo conosco da quando sono nata. Per quanto mi possa fidare di te, ti conosco solo da pochi anni. Sappi che lo sto facendo per fiducia in mio zio e non per sfiducia in te”

Maximillian annuì, ma non era molto convinto.

Pochi istanti dopo era tutto finito. Daphne contemplò il sangue che aveva raccolto in una piccola fiala.

“Bene” disse “Questo lo mando in laboratorio. Se c'è cocaina in questo sangue la troveranno. Stanne pur certo. In caso contrario … zio” mi chiamò “Pensi davvero che abbia violentato Rain sotto l'effetto della cocaina?”

Annuii.

“Temo proprio di sì” dissi guardando Max “Non giustifica completamente ciò che hai fatto, ma ci permette di capire un tale gesto. Immagino che, sotto l'effetto della cocaina, tu non sia riuscito a controllarti, vero?”

“Non so di cosa stia parlando” disse lui, ma vidi distintamente una scintilla di dubbio nei suoi occhi.

“In effetti … ero anche ubriaco … avevo bevuto parecchio … Non ricordo … Mi sentivo strano. Erano anni che non bevevo così tanto, ma non ricordo di essermi mai sentito così”

“Il mix tra cocaina e alcool può essere fatale” dissi “Sei stato fortunato”

“Le dico che …!” cominciò lui, ma lo bloccai con un gesto della mano.

“Saranno gli esiti degli esami a rispondermi” dissi con un tono che non ammetteva repliche “Ora, se non ti dispiace, vorrei riposare. Il viaggio è stato lungo”

“Certo” disse lui “certo”

“Andate pure a casa” ci disse Daphne “Vi chiamerò io quando gli esiti saranno pronti. Anzi, no. Verrò direttamente a casa”

Annuii e trascinai fuori Max, in evidente stato di confusione.

Durante il tragitto in taxi non parlammo. Lui era molto triste e fissava la strada senza in realtà vederla. Pensavo di poterlo comprendere, ma capii in quel momento che non ne ero in grado. Io ero consapevole della cocaina che prendevo. Lui no. Ero certo che da poco aveva ricominciato a farsi, ma non capivo quella sua incredulità. Come faceva a drogarsi senza saperlo? Un'amnesia selettiva era da escludere. Dunque, cosa poteva essere?

Immerso in questi pensieri non mi accorsi che eravamo già arrivati a Baker Street.

 

La mia vecchia casa. Da quando ero andato ad abitare stabilmente in Sussex non ero più entrato lì dentro. Mille ricordi cominciarono a scorrermi davanti come un film. Mi bloccai, quando vidi lo smile sporco dello sperma di Max. Rabbrividii, pensando che lì lui aveva … Chiusi gli occhi, cercando di scacciare quell'immagine dalla mente.

“Vuole un tè?” mi domandò lui, imbarazzato.

Non sapeva come muoversi, cosa dire, cosa fare. Annuii. Volevo metterlo a suo agio. Nonostante tutto, nonostante quello che aveva fatto alla mia Rain, lei lo amava. Non potevo permettere che un incidente del genere li separasse.

“Bene” disse lui meccanicamente e andò in cucina a trafficare con il bollitore e le tazze.

Nel frattempo continuai a guardarmi in giro. La stanza era disordinata come me la ricordavo. Rain aveva proprio preso da me. Fogli sparsi ovunque, lettere inchiodate al caminetto con un pugnale. Quel pugnale. Il pugnale che, per quei spaventosi giorni, mi fece credere che mio padre era morto.

Chiusi nuovamente gli occhi, cercando di dimenticare. **

Nell'angolo, vicino alla finestra, c'era il pianoforte verticale di Rain. Lo spazio era troppo poco perché potesse permettersene uno a coda, perciò aveva dovuto optare per qualcosa di più piccolo. Me la immaginai seduta lì, totalmente assorta dalla musica, e mi tornarono in mente i momenti in cui anch'io, vicino a quella stessa finestra, suonavo il violino osservando i passanti o i pensieri del

mio mind palace.

Mi sedetti sulla mia vecchia poltrona e sentii il profumo di Rain. Non c'era dubbio. Anche lei si sedeva lì. La poltrona profumava di vaniglia. In quel momento apparve Max con un vassoio e due tazze colme di tè.

Mi sforzai di bere il mio anche se, in realtà, non mi andava molto. Lui mi guardava incerto. Si fidava di me ma aveva paura di quel che le analisi avrebbero potuto portare alla luce.

Bevemmo il tè in silenzio. Non c'era nulla da dire. Quando lo finii posai la tazza sul tavolino. Quella strana situazione mi ricordò, ancora una volta, il mio passato.

L'incontro con James ***, la mela intagliata. Te ne devo una. Una caduta.

Chiusi gli occhi.

Pensavo che, ritirandomi in Sussex, avrei dimenticato tutto quello. Eppure i ricordi, piacevoli e spiacevoli, tornarono a farmi visita. Rientrai nel mind palace e, come spesso mi accade, non mi accorsi del tempo che scorreva.

Riaprii gli occhi solo quando sentii la mano di qualcuno sulla spalla e la voce di Daphne che mi chiamava.

“Zio” mi chiamò “Zio Sherlock. Torna tra di noi” disse ridendo. Una risata nervosa, che voleva solo nascondere la preoccupazione “Ho gli esiti dell'esame”

Riaprii gli occhi. Davanti a me c'erano Max, Daphne e Benedict. Ben, il più calmo della famiglia, si era probabilmente auto proclamato ambasciatore di pace. Julian e i gemelli non avrebbero esitato a picchiare Max, così aveva deciso che sarebbe stato meglio lasciarli lontani da lui, almeno finché non si fossero calmati.

Apprezzai molto il comportamento di Ben. Era arrabbiatissimo con Maximillian. Era più che evidente, eppure riusciva a controllarsi. Non per niente era un attore. Sapeva mascherare perfettamente le sue emozioni, così come sapevo farlo io. Sorrisi brevemente, pensando che più di una persona mi aveva detto che il teatro aveva perso un gran talento quando avevo deciso di dedicarmi alla carriera di detective.

“Avanti” dissi “Dimmi l'esito”

“Ancora non lo so” rispose lei “La busta è qui. Chiusa. Aprila tu”

Me la porse. Mi alzai ed estrassi il pugnale dalla mensola del camino e, con un rapido gesto, aprii la busta che tenevo in mano. Infilzai nuovamente la lama sul legno e tornai alla lettera. Feci scivolare il foglio sulla mano aperta e cercai gli occhiali in tasca. Li infilai e cercai l'esito.

Sospirai e guardai Max dritto negli occhi.

 

 

 

 

 

 

*Sherlock va in palestra a sfogarsi sul sacco da pugilato quando scopre che Arthur Watson è suo padre e che, di conseguenza, lui e John sono fratelli.

**Sempre 'Violet'.

***Chi potrebbe mai essere? James Moriarty! Ovvio, no?

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Capitolo 11
*** The Truth ***


 

 

 

 

The Truth

 

 

 

 

 

 

 

La situazione mi stava man mano sfuggendo dal controllo.

Non capivo più nulla. Avevo ricordi sbiaditi e incoerenti di quello che era successo il giorno prima, ma ora …

Ricordavo ciò che avevo fatto. Su questo non c'erano dubbi, ma avevo paura ad affrontarlo. Guardai Sherlock. Aveva appena letto l'esito dell'esame e, dal suo sguardo, capii che non erano in arrivo buone notizie. Mi sfiorai il braccio, pieno dei segni delle iniezioni di insulina, e tremai.

Mi avvicinai all'uomo, impaziente di scoprire se ciò che mi aveva detto era vero.

Sherlock non disse nulla. Si tolse gli occhiali e si massaggiò l'attaccatura del naso, poi passò il foglio a Daphne, che lo lesse con sgomento.

Guardai Sherlock e lui mi ricambiò lo sguardo. Era uno sguardo freddo, tuttavia privo di giudizio. Me lo aveva già detto, poco prima, che mi comprendeva. Vedevo nei suoi occhi pura compassione. Non era semplice pietà. Nonostante fossero passati anni, mi ricordavo ancora perfettamente il senso di frustrazione che la dipendenza mi aveva inferto e lui mi poteva comprendere.

“Vi giuro che non ne so nulla” dissi. Ero sincero e Sherlock lo lesse nei miei occhi.

“Queste analisi dicono il contrario” esclamò Daphne, sventolandomele davanti al naso.

Sherlock la fece tacere con un gesto della mano.

“Calmati, Daphne” le disse, guardandola negli occhi “Sono sicuro che Max non ne sa nulla”

“Certo!” sbuffò lei, incrociando le braccia al petto “Uno si fa di cocaina e non ne sa nulla! Ha anche la scusa perfetta. I buchi sul braccio li può giustificare con le iniezioni di insulina e … Max” disse poi, avvicinandosi a me con fare minaccioso “Sono certa che, se mio zio dice che non ne sai nulla, probabilmente sarà vero, ma devo sospenderti. Almeno fino a quando non sarai disintossicato”

La guardai sgomento. Una brutta notizia dietro l'altra.

“Ti farà bene” mi disse Sherlock “Ora hai bisogno di riposare e di riprenderti dalla probabile crisi d'astinenza che subentrerà quando smetterai di prendere cocaina. Il problema sarà identificare quando la prendi, ma su questo punto ho già più di un'idea”

“La ringrazio, signor Holmes” mormorai.

Daphne mi guardò, incerta se provare per me rabbia o pietà.

“Vattene” le disse Sherlock, senza guardarla “Abbiamo da fare”

Lei sbuffò, indecisa se sentirsi offesa o no dal trattamento dello zio. Alla fine decise per il no e ci salutò con un biascicato 'arrivederci' prima di uscire dalla porta.

Eravamo soli.

“Perché hai cominciato a drogarti, Maximillian?” mi chiese. Una domanda diretta, fredda, distaccata.

Sospirai, cercando di trovare le parole. Quante volte avevo ripetuto quella tiritera in terapia. Non ne potevo più. Ormai era quasi una recita, un copione imparato a memoria perché, quando conosci le tue ragioni, queste non cambiano. È inutile tentare di infiocchettarle o di darle una forma diversa. Tanto valeva ripetere le stesse parole che avevo per mille volte ribadito davanti all'analista.

Aprii la bocca per parlare, ma lui mi interruppe.

“Non ha importanza” mi disse.

Lo guardai a bocca spalancata. Non capivo.

“Non mi importa perché hai cominciato a drogarti” mi spiegò “Ognuno ha i suoi motivi. Io avevo i miei e immagino che la stessa cosa valga per te. Motivi seri o semplice stupidità. Non importa. L'unica cosa che voglio sapere è … che ruolo aveva la tua ex fidanzata in tutto questo?”

La domanda mi raggiunse inaspettata. Chiusi la bocca e distolsi lo sguardo.

“Rispondi, Max” mi incitò lui “Ti vergogni di più di questo che della tua dipendenza?”

“No!” esclamai “Non mi vergogno. Solo … mi sento in debito con lei, per quello che mi ha fatto, ma da quando l'ho lasciata ...”

“Ti senti in colpa” concluse lui per me.

Annuii.

“Lo immaginavo” disse lui, prendendo la pipa e cominciando a caricarla “Sei troppo sentimentale”

“Tempo fa mi ha minacciato” dissi “L'ho affrontata e le ho detto ciò che provavo per lei, che il fatto che stessimo insieme era dovuto solamente alla mia riconoscenza nei suoi confronti che io ...”

“ … hai scambiato per amore, giusto?”

Annuii di nuovo.

“Ti ha minacciato?” mi chiese poi, accendendosi la pipa e tirando una boccata profonda.

“Esatto. Io le ho detto che non l'amavo e lei … è comprensibile! Cos'avrebbe fatto lei nella sua situazione?”

“Non avrei di certo avuto una reazione così irrazionale” rispose lui, sbuffando fumo “Sbagli a chiedere una cosa del genere proprio a me”

Rise sonoramente, tenendosi la testa con la mano, ma si ricompose immediatamente.

“In ogni caso, il mio lavoro prevede il dover immedesimarmi nella mente delle persone. Elisabeth sembra una donna molto passionale e vendicativa. Non ti avrebbe mai minacciato, altrimenti. In questi ultimi tempi, però, non ha mai attuato in via diretta le sue intenzioni?”

Scossi la testa. Il grande detective aggrottò la fronte e unì i polpastrelli.

“Interessante” disse. Il suo sorriso si allargò pian piano, illuminandogli il viso.

“Una donna energica ma allo stesso tempo intelligente. Mi piacciono le persone intelligenti. Devi dirmi tutto di lei, Max. Lavoro, abitudini, istruzione. Devo cominciare a pedinarla” disse, alzandosi e cominciando a passeggiare avanti e indietro per la stanza.

Era evidente la sua eccitazione. La stanchezza dovuta all'età era stata eclissata dall'entusiasmo.

“Dovrei farlo io” proposi “Lei è troppo vecchio per ...”

“Ma quale vecchio!” gridò lui, agitando il bastone in aria “Non mi sentivo così giovane da anni! Avanti! Ora devi darmi tutte le informazioni possibili su di lei”

 

Elisabeth lavorava come segretaria nell'ufficio di un avvocato. Da quando l'avevo lasciata viveva sola nel nostro appartamento di Soho. Aveva abitudini molto regolari, per quello che potevo sapere e non frequentava molti amici, fatta eccezione per le solite amiche con le quali si incontrava per bere il tè e spettegolare. Non era molto colta, ma vantava un'intelligenza non indifferente. Era scaltra e calcolatrice. Altro, di lei, non sapevo.

Sherlock mi ascoltò con la massima attenzione. Non prese appunti, ma ero sicuro che aveva memorizzato ogni informazione.

“Molto bene” disse, sfregandosi le mani “Andrò subito allo studio dell'avvocato. Non è così difficile trovare una scusa per guardarmi un po' in giro. Andrò lì con la scusa di redigere un testamento. Ah!” esclamò, sorridendo “Non vedo l'ora di poter tornare in azione!”

“Io ora devo andare a ...” mi interruppi. Non dovevo andare a lavorare.

“Ti consiglio di startene buono a casa” mi disse “Per adesso non so che linea d'azione intraprendere. Può darsi che tu debba tornare al lavoro, almeno come copertura. So che Daphne ti ha sospeso,” aggiunse alzando le mani in aria, notando che stavo per protestare “ma dobbiamo ricreare una situazione normale. Chi ti sta sabotando non deve sospettare che ci sia qualcosa di anomalo. Ho sei idee che voglio verificare. Non so se avrò il tempo di tornare qui da te. ”

Annuii e lo osservai uscire dall'appartamento. Era totalmente diverso dallo Sherlock che era entrato in obitorio. L'uomo preoccupato e stanco che aveva incontrato solo poche ore prima si era trasformato in un segugio, attivo e teso verso il suo obiettivo.

Io, al contrario, ero distrutto. Mi sentivo veramente uno straccio. Mi accasciai sul divano, con la faccia rivolta verso i cuscini. Chiusi gli occhi e sperai di addormentarmi presto.

 

 

Sherlock P.o.V.

Ciò che Maximillian mi aveva raccontato della sua ex fidanzata mi aveva colpito. Una donna gelosa e vendicativa. Avevo già avuto a che fare con persone come lei. Anche la mia amata Irene, che ormai potevo solo rimpiangere, mi aveva spesso trattato allo stesso modo.

Non aveva usato violenza diretta. Mi aveva logorato psicologicamente, giocando con me come il gatto con il topo.

Non avevo tempo da perdere. Scesi in strada e, richiamato un taxi, consegnai all'autista il biglietto da visita dell'avvocato per il quale Elisabeth lavorava. Durante il tragitto ebbi modo di riflettere ulteriormente sui fatti. Mille ipotesi si stavano formulando nel mio cervello e cercavo di riordinarle.

Ero partito molto presto quella mattina. Non avevo avuto il tempo materiale per concentrarmi sulla città. Dalla stazione mi ero precipitato direttamente al Bart's, tanta era la mia fretta di incontrarmi con Max. Durante il viaggio in taxi, però, ebbi il modo di guardarmi in giro.

Non tornavo a Londra da molti anni, da quando Rain aveva deciso di trasferirsi a Baker Street. Le immagini e i ricordi delle mie pazze avventure con John sbucavano da ogni angolo. Già la nuca del tassista era fonte di memorie.

Mi sforzai di tornare al presente. L'età mi aveva reso estremamente sentimentale per quanto riguardava il mio vecchio lavoro, ma in quel momento non potevo permettermelo. Il mio autista, però, non era della stessa opinione.

“Mi scusi” disse, per richiamare la mia attenzione “Lei, per caso, è Sherlock Holmes?”

Sospirai. Dannazione! Purtroppo, mi aveva riconosciuto. Mi ero ritirato dall'attività da più di trent'anni e da allora le uniche immagini che di me venivano pubblicate erano quelle di quando ero giovane o, al massimo, sulla cinquantina. Se non fosse stato per l'inizio delle riprese del telefilm ispirato alla mia vita, nessuno avrebbe potuto associare il mio viso da centenario al celebre investigatore. Per mia sfortuna, Mark Gatiss aveva insistito per pubblicare qualche mia foto recente. Il risultato era questo.

Annuii distrattamente. Non volevo che cominciasse a sommergermi di domande.

“Ho letto tutte le avventure scritte dal dottor Watson, sa?” continuò l'uomo che, evidentemente, non aveva colto il mio desiderio di non parlargli “Mi dica, è vero che è morto?”

La mia mascella si contrasse involontariamente. John era morto da sei anni, ma il dolore per la sua perdita non mi aveva abbandonato del tutto. Annuii di nuovo, sperando di essere lasciato in pace. Invano.

“Anche suo fratello, Mycroft ...” continuò lui, imperterrito. Non ci vidi più.

“Mi ascolti bene” dissi, cercando di mantenere la calma “Solo perché ho quasi cento anni non significa che mi diverta a parlare di morti. Durante la mia carriera ne ho visti tanti, ma ora non ho tempo per parlare con lei dei decessi della mia famiglia. Se non le dispiace, naturalmente!” aggiunsi poi, con una forte nota di sarcasmo.

L'uomo arrossì.

“Mi scusi” si affrettò a dire “Non volevo, solo … Sa, leggendo le avventure del dottor Watson, non posso fare a meno di ripensare a tutte le altre persone che lei coinvolgeva nei suoi casi: suo fratello, Lestrade, la Donna ...”

“Pensi a guidare” dissi bruscamente “Non mi scocci, per favore!”

“Come vuole, scusi” continuò lui, sordo alle mie richieste di silenzio “Ho saputo che suo nipote interpreterà il suo ruolo in un telefilm. Bello, no? Non è fiero?”

Digrignai i denti. Quell'uomo era veramente insopportabile.

“Siamo arrivati” lo informai, notando che ci stavamo avvicinando all'edificio “Mi faccia scendere”

Lui guardò fuori dal finestrino e annuì. Era chiaramente dispiaciuto di dover interrompere la nostra chiacchierata e mi salutò con entusiasmo. Mi chiese addirittura un autografo. Gli chiusi la porta in faccia e mi allontanai.

 

Andrew Morris, l'avvocato, aveva il suo studio in un prestigioso edificio della City.

Non feci in tempo ad attraversare le porte a vetro scorrevoli dell'ingresso, che fui accolto da un mormorio eccitato. Sentivo il mio nome, sussurrato dai presenti. Li ignorai. Qualcuno provò ad avvicinarsi, ma lo evitai con lo sguardo. Non potevo permettermi distrazioni. Mi odiai per aver acconsentito a quello stupido telefilm. Mi stava rovinando la vita. Ripensai, con nostalgia, alla mia casetta in Sussex e sperai in un colpo di fortuna. Non avevo nessuna intenzione di pedinare Elisabeth per chissà quanti giorni e sentire gli sguardi dei londinesi fissi su di me.

Chiamai l'ascensore e raggiunsi il piano giusto. Sul lungo corridoio si aprivano numerose porte. Non camminai molto per raggiungere quella che cercavo. Bussai discretamente e, dopo qualche minuto, venne ad aprirmi una donna.

Non c'era dubbio. Da come me l'aveva descritta Max, riconobbi Elisabeth.

“Sto cercando l'avvocato Morris” dissi, sorridendo.

“Ha un appuntamento?” mi domandò lei, sfogliando l'agenda che teneva in mano.

“No” ammisi “ma ho urgente bisogno di parlargli. Se non ha tempo ora, potrei prendere appuntamento e ...”

Una voce maschile, dall'interno, mi interruppe.

“Lo faccia entrare, Lizzie” disse l'avvocato, raggiungendoci.

Era un uomo non troppo alto. Aveva i capelli neri, lisci, tenuti molto corti. Gli occhi erano di un nocciola scuro che avevo già visto. Entrai un momento nel mio mind palace, giusto una capatina, ma non fu d'aiuto. La voce dell'uomo mi riportò alla realtà.

“Salve, signor ...”

Sorrisi di gioia. Non mi aveva riconosciuto. Nemmeno Elisabeth, a quanto pareva.

“John” risposi, senza pensarci troppo “John Wilson” e gli allungai una mano.

“Si accomodi, signor Wilson” mi disse lui, spostandosi dalla porta per farmi entrare “Dica pure. Per il momento non ho clienti, perciò posso parlare tranquillamente con lei”

“Sono venuto qui per redigere il mio testamento” mentii.

Il testamento di Sherlock Holmes era depositato nell'archivio di un altro avocato da qualche anno, ma quello di John Wilson non esisteva ancora. Seguii l'avvocato nel suo ufficio che, per mia fortuna era comunicante con quello della segretaria. Non mi disturbai ad origliare le conversazioni che teneva quando rispondeva al telefono. Mi concentrai sull'avvocato. Quei tratti li avevo già visti. Non era un viso conosciuto. Era, piuttosto, un viso familiare. Avevo bisogno di tempo per elaborare quelle informazioni. Da qualche parte nella ma memoria c'erano, dovevo solo trovarle.

Alla fine del colloquio, mi impegnai a telefonare a prendere un secondo appuntamento per definire con maggiore precisione i dettagli. Morris mi strinse la mano con calore e ancora una volta, guardandolo negli occhi, scorsi una luce che avevo già visto.

Uscendo dall'ufficio guardai l'ora. Erano le cinque e venti passate. Di lì a poco i due sarebbero usciti per tornare a casa. Mi nascosi in uno sgabuzzino per le scope non lontano dal loro ufficio e aspettai. Dovevo pedinare lei. Non sarebbe stato facile, ma dovevo riuscirci.

Il tempo passava. Pochi minuti dopo le cinque, sentii che gli uffici si stavano svuotando. Rumore di passi, fruscii di giacche indossate, saluti, pacche sulle spalle. La giornata era finita.

Aprii lentamente la porta e sperai di potermi confondere nella massa di persone per poter seguire Elisabeth. Non fu necessario. La voce della donna proveniva ancora dall'ufficio. Non era uscita.

Non riuscivo a sentire cosa dicesse a causa della confusione, ma un minuto dopo, quando anche l'ultima persona sparì dietro le porte metalliche dell'ascensore, il silenzio tornò sovrano.

“ … ti dico che è lui!” gridava la donna. Mi accostai alla porta, in ascolto.

“Non è possibile” ripose la voce dell'avvocato “Figurati se uno come lui abbandona il Sussex solo per un motivo così banale”

“Si tratta pur sempre di sua nipote, Jim!”

“Ti ho detto di non chiamarmi Jim!” disse lui, in un'esplosione di rabbia “Sono Andrew, adesso. Andrew Morris. Non dimenticarlo”

“Scusa Jim … no, volevo dire … Scusa Andrew”

L'uomo sbuffo e percepii, dal suono dei suoi passi, che aveva cominciato a passeggiare su e giù per l'ufficio, in preda ad un'ansia incontrollabile.

“Ti sei fatta fregare, Liz” disse “Hai attirato l'attenzione di Sherlock Holmes. Non mi avevi detto che c'entrava anche lui!” aggiunse poi, con rabbia.

Perfetto. Ero stato troppo ingenuo, pensando che non mi avessero riconosciuto. Dovevo travestirmi, maledizione! Continuai ad ascoltare.

“Non potevo saperlo, Ji … Andrew. Volevo solo vendicarmi di Max e di quella troietta con la quale vive. Come potevo sapere che si trattava proprio della nipote di Sherlock Holmes?”

“Non mentire con me!” gli urlò contro “Non farlo. Lo sapevi benissimo, invece!”

Il silenzio che seguì fu rotto solo dai singhiozzi di lei.

“Non fa niente” aggiunse lui “Sono certo che non ha dedotto niente dalla sua visitina qui. Tu comportati in modo normale. Domani Max dovrà ritirare alla farmacia del Bart's la sua solita dose di insulina. Il mio contatto mi ha già confermato che la sostituirà con la cocaina, come al solito. Non dobbiamo cambiare le nostre abitudini o si insospettirà”

“Come vuoi, mi fido di te” rispose lei, con un tono che mi parve più tranquillo.

Mi affrettai a raggiungere l'ascensore. Non potevo permettermi che mi scoprissero.

Dunque era così. Il colpo di fortuna era arrivato. Anzi, la mia presenza li aveva costretti a parlare di quel loro diabolico piano, per accordarsi e definire una linea di difesa nei miei confronti.

Uscii più velocemente che potei dall'edificio e chiamai subito un taxi. Quello che volevo sapere lo avevo scoperto, potevo tornare a casa. Non prima di aver definito qualche dettaglio.

Composi velocemente il numero di Daphne e, mentre aspettavo che mi rispondesse, dissi all'autista di portarmi alla stazione. Da un po' di tempo non usavo più i messaggi per comunicare. La mia vista era troppo affaticata per poter leggere i minuscoli caratteri dei tasti, così mi sembrava più veloce chiamare.

“Zio!” mi rispose lei “Hai novità?”

Era evidentemente preoccupata per la sorte del suo dipendente.

“Molte novità” confermai “Prima di tutto, ti devo chiedere un favore. So che hai sospeso Max, ma ho bisogno che domani tu lo faccia entrare al lavoro come se niente fosse. Non lo farai lavorare veramente. Fai finta che sia lì in visita”

“Ma, zio ...” cercò di protestare lei, ma non glielo permisi.

“Fai come ti dico. Più di una vita è in gioco. Dovrai farlo tornare per qualche giorno. Ti dirò io quando non sarà più necessario”

Un piccolo silenzio seguì le mie parole. Daphne stava riflettendo sul da farsi.

“Va bene!” acconsentì alla fine “Solo perché sei tu”

Sorrisi.

“Grazie mille. A presto”

Chiusi la chiamata e selezionai il numero di Max.

“Non tornerò a Baker Street, stasera” dissi quando rispose, senza nemmeno salutare “Torno a casa. Mia nipote ha bisogno di me”

Lui sospirò. Forse non voleva stare solo.

“Come vuole, Mr Holmes” mi rispose “Vuole che l'accompagni io?”

“No, non serve. Ho chiamato Daphne. Le ho detto di farti entrare domani in obitorio. Non lavorerai, ma ho bisogno che certe persone credano che nulla è cambiato, è chiaro?”

Sentii che deglutiva a fatica.

“Non so se ...”

Ce la farò?

“Certo che ce la farai, Max” gli dissi, cercando, come potevo, di rassicurarlo “Vivi con Rain. Una prova del genere dovrebbe essere una quisquilia per te!”

Rise.

“Ha ragione. Farò come dice, mi fido di lei. Mr Holmes?” mi richiamò, prima di interrompere la chiamata “Grazie”

Non sapevo come rispondere. Raramente avevo ricevuto manifestazioni di gratitudine così sincere e commosse. Annuii, pur sapendo che lui non poteva vedermi, e chiusi il telefono.

Ora non mi restava altro da fare che trovare qualcuno per indagare al posto mio.

Non potevo continuare a farlo da solo, ora che la mia copertura era saltata, eppure c'erano tante altre informazioni di cui avevo bisogno. Chi era realmente questo Andrew Morris, tanto per cominciare. Ripensai a quello che sapevo. Il suo vero nome era James, aveva contatti all'interno del Bart's e, dal tono che aveva usato, capii che molto probabilmente ne aveva anche in altri luoghi. Tutto ciò mi riportò alla mente una sola persona.

Improvvisamente, come spesso mi capitava anche da giovane, vidi la soluzione. Era lì, a portata di mano, ma le mie vecchie braccia erano troppo stanche per raggiungerla. Avevo bisogno di qualcuno di più giovane, che portasse avanti le indagini per conto mio. Rain era fuori discussione e così pure Max. Erano troppo coinvolti. Chi poteva … Sorrisi. Sapevo chi chiamare. Era veramente un'idea geniale. Cercai il suo numero sull'agenda e lo chiamai.

“Sono alla stazione Victoria” dissi “Vieni a prendermi. Mi accompagnerai in Sussex. Ho bisogno di parlarti di una cosa”

Usai un tono così autoritario che non poté fare a meno di dirmi di sì. Gli avrei spiegato il mio piano con calma, in auto.

Ora non mi restava che tornare da Rain.

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