Lo Spirito del Salice di tenshina (/viewuser.php?uid=99302)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Per chi non fraintenda,
narra la leggenda*
degli sposi Higo ed Heitaro
che gli uomini separaron.
Higo era lo spirito del salice
Heitaro nel villo viveva felice.
L’uomo dal taglio il vecchio albero salvò,
lo spirito per ringraziarlo lo sposò.
Venne poi il tempo in cui
l’imperatore un tempio costruì.
In una bianca notte d’inverno freddo,
i villani tagliaron il vecchio ceppo.
Higo scomparve,
Heitaro pianse.
Per chi non fraintenda,
narra la leggenda
degli sposi Higo ed Heitaro
che gli uomini separaron,
ma nell’aldilà si ritrovaron.
Quando la bianca neve scende,
una dolce melodia si sente.
Higo ed Heitaro vagano felici
per render tali gli innamorati divisi.
Un anonimo saggio
Periodo Nara, anno 18
Maya lesse con commozione la storia narrata nella breve filastrocca
appesa all’ingresso della pensione dove avrebbe alloggiato.
Era scesa alla stazione di Nagano e per mezz’ora aveva atteso
l’autobus che l’avrebbe condotta a destinazione.
Nozawaonsen era famosa per lo sci e le sedici stazioni termali gratuite
che offrivano ristoro dopo la giornata passata all’aria
aperta. Probabilmente non avrebbe provato lo sci, ma sicuramente si
sarebbe dedicata a dei bagni rilassanti nelle calde acque delle
sorgenti.
Nei novanta minuti d’autobus che la separarono dal suo
albergo aveva riflettuto sugli eventi che avevano caratterizzato gli
ultimi mesi. Sicuramente il fatto che il signor Hayami non si fosse
più sposato l’aveva tranquillizzata, ma il dolore
sordo che avvertiva nel suo cuore non era mai scemato perché
aveva sempre vividi dentro l’amore per quell’uomo
gentile che mai una volta aveva neanche provato a farsi ringraziare per
quello che le aveva donato; la passione per quell’uomo forte
che l’aveva difesa da tutti, compresa se stessa; il desiderio
per quell’uomo che le procurava brividi con una sola parola
sussurrata, le scaldava il cuore con uno sguardo, la gettava nella
più cupa disperazione quando le si allontanava indifferente.
Ora era arrivata nell’Honshū e non sarebbe tornata a casa
prima di un mese. Per tutto quel tempo sicuramente non
l’avrebbe visto. Era partita una settimana prima per passare
il Natale nell’ambiente accogliente di quella pensioncina di
cui le aveva parlato Rei. Ne avrebbe approfittato per stare sola con il
suo cuore ed i suoi pensieri. Non avrebbe avuto necessità di
fingere un’allegria che non provava.
Fu richiamata al presente dalla signora Fujiwara che la condusse nella
sua camera: era un ampio ed accogliente spazio rivestito in tatami, con
una porta scorrevole che separava la camera da letto dalla piccola
cabina armadio. Il futon era stato preparato insieme al leggero yukata
in dotazione. Dalla finestra si vedevano le bianche distese delle
montagne innevate con gli abeti che si stagliavano contro il cielo
terso.
Si svestì degli abiti da viaggio ed indossò il
leggero kimono. Prendendo l’occorrente per il bagno si
avviò verso la sorgente termale propria
dell’albergo. Pensava di ristorarsi dal viaggio immergendosi
nelle sue calde acque. Arrivata nell’antibagno,
poté constatare che era pressoché deserto: ne fu
felice ché non aveva voglia di scambiare sciocchi ed inutili
convenevoli con emeriti sconosciuti.
Completamente nuda entrò nella pozza. Appoggiando la testa
sul bordo si rese conto che il soffitto era costituito da una grande
vetrata che lasciava scorgere il cielo. Pensò a quanto
dovesse essere bello andare lì a sera inoltrata e potersi
godere il firmamento immersi nelle calde acque della sorgente.
Perdendosi in tali fantasie, giunse a riflettere sulla poesia che aveva
letto pochi attimi prima. Pensava alla povera Higo, spirito del vecchio
salice, strappata dalle braccia di Heitaro per soddisfare il bisogno
dell’imperatore. Pensava al povero Heitaro, che nulla aveva
potuto per proteggere la sua amata. Pur con delle differenze, la storia
sembrava molto simile a quella della Dea Scarlatta. In quella era il
popolo che abbatteva il salice mentre Heitaro tentava di difenderlo; in
questa era lo stesso Isshin che per la pace dell’uomo
abbatteva il susino millenario e, con esso, lo spirito di Akoya.
Entrambe le storie erano fondate sul principio delle anime gemelle:
Isshin ed Akoya, Heitaro ed Higo.
Si riscosse dai suoi pensieri quando un’altra donna
entrò nei bagni termali. Subitamente Maya uscì
dalla vasca, si asciugò approssimativamente e
tornò in camera per prepararsi per la cena.
Scese nella sala comune e consumò una cena frugale: del riso
e un po’ di ramen. Li aveva sempre adorati e ogni volta che
entrava in un nuovo ristorante non riusciva a fare a meno di ordinarli,
se erano nel menù. Era molto presto quando si
ritirò per la notte: l’indomani sarebbe stata la
vigilia di Natale ed aveva intenzione di passarla visitando Nozawaonsen
ed i boschi del circondario. Avrebbe voluto sentire la melodia di cui
parlava la leggenda di Higo ed Heitaro, ma era solo un vano desiderio:
lei non aveva un innamorato a cui ricongiungersi.
Dormì profondamente per tutta la notte. Venne svegliata
dalla sfolgorante luce del sole nascente che si rifrangeva sulla neve.
Solo la neve era capace di dare origine a quella luce tanto chiara e
brillante. Con entusiasmo si alzò e velocemente si
vestì preparandosi ad affrontare una giornata passata
all’insegna del turismo.
Un paio di giorni di svago poteva anche permetterseli. Per la fine
dell’anno sarebbe arrivato anche il resto della compagnia e,
a quel punto, sarebbe dovuta tornare ad essere la Maya controllata e
felice.
Salutò la signora Fujiwara all’ingresso ed
uscì nel freddo di Nozawaonsen. Parecchia gente aveva avuto
la sua stessa idea e vi erano lunghe code per l’accesso agli
impianti sciistici. Per un attimo rifletté se accingersi o
meno a fare un giro all’Higake Course, le piste per
principianti, ma poi si disse che, imbranata com’era, avrebbe
combinato un disastro anche lì. Si diresse pertanto verso
l’ingresso del bosco e ne imboccò lo stretto
sentiero segnato dalle staccionate laterali. Una lunga passeggiata tra
gli alberi innevati sotto il brillante sole invernale le avrebbe
sicuramente temprato lo spirito.
Camminò per un paio d’ore, mentre era accompagnata
dal suono della neve gelata schiacciata sotto il peso dei suoi
scarponcini. Osservò la candida coltre stesa sui rami degli
abeti e degli aceri spogli. Brillanti gocce d’acqua si
infrangevano al suolo quando il sole baciava il gelo. Si udivano da
ogni parte i segni del disgelo diurno: le gocce che inesorabilmente
precipitavano in terra producevano una tintinnante musica.
Giunta in una radura, scorse tra gli alberi quello che doveva essere un
lago gelato. Si avvicinò e vide alcune coppiette che stavano
pattinando sopra la lastra traslucida. Le loro risate le risvegliarono
la malinconia e provò una leggera invidia osservando quei
ragazzi che, felici, trascorrevano la vigilia di Natale mano nella mano.
Si riscosse da quei tristi pensieri e si rese conto che quel luogo le
era stranamente familiare. Mentre si sforzava di ricordare a cosa
somigliasse, le venne incontro un simpatico vecchietto vestito di
pesanti abiti tradizionali.
Con voce gentile l’apostrofò:
“Signorina, non è bello vedere
un’espressione tanto triste sul suo grazioso viso!”
Le espressioni nel volto della giovane si rilassarono. Il modo in cui
il vecchio si esprimeva le ricordava il suo docente di letteratura
giapponese all’Itotsuboshi, così arcaico e compito.
“Non si preoccupi, signore, mi passerà!”
– tentò di rassicurarlo lei.
“Allora mi vuol dire che il suo gentil innamorato
giungerà presto?”
Gli occhi di Maya si incupirono. Il vecchio se ne avvide
perché continuò:
“Mi scusi, sono forse stato inopportuno?”
“No, è solo che…” –
si interruppe, ma poi riprese, in fondo era solo un simpatico
vecchietto sconosciuto – “il mio è un
amore impossibile. Chi mi ha rubato il cuore mi vede e non mi vede. A
volte mi sembra di essere invisibile, altre volte invece… ma
non ne sono sicura…”
Il vecchio stette un po’ in silenzio, come a riflettere sulle
parole che la giovane gli aveva riservato. Poi, mentre entrambi
tenevano lo sguardo fisso sul lago, l’anziano disse:
“Che ne dice di passeggiare un altro po’? Avremo
modo di parlare un po’ meglio!”
Maya si ritrovò a seguirlo senza aver capito bene il
perché. Le sembrava quasi di aver risposto ad un bisogno
impellente. Stavano camminando affiancati ormai da una
mezz’ora. Si stava avvicinando l’ora del pranzo, ma
Maya non aveva fame. Stava ascoltando con vivo interesse i racconti di
vita dello strano vecchio. Non le aveva ancora detto come si chiamava,
ma le sembrava di conoscerlo da sempre: i suoi genitori erano stati dei
poveri contadini e lui aveva seguito il loro esempio. Giunto
all’età giusta aveva incontrato, sotto un vecchio
salice, una graziosa fanciulla di cui si era follemente innamorato. I
suoi occhi e la sua grazia erano ancora fissi nella sua mente. Avevano
vissuto insieme felicemente per molti anni, poi lei era scomparsa.
Maya si disse vicina al suo dolore, mentre il vecchio, guardandola dal
basso con occhi dolci e soddisfatti, semplicemente le disse:
“Gentile signorina, io ho vissuto felicemente e tuttora vivo
felicemente perché la mia sposa è con me sempre.
Sono invece più in ansia per lei. Il suo cuore grida
tristezza, il suo animo è in tempesta. Vorrei veramente che
il suo non fosse un amore impossibile!”
Un lieve sospiro sfuggì dalle labbra della ragazza.
Presi da quei discorsi non si erano avveduti che il cielo si era
coperto ed il freddo vento aveva iniziato a sferzare i rami con
crescente intensità. Il vecchio propose di ripararsi in una
grotta vicina dove avrebbero potuto attendere che il tempo migliorasse.
Mentre si avvicinavano iniziò anche una fitta nevicata. La
visibilità iniziava ad essere ridotta e solo fortunosamente
riuscirono ad individuare la stretta apertura. Si accomodarono sulla
nuda roccia con il volto rivolto alla bufera. Solo grazie al fatto che
si trovasse lì con il vecchio riuscì a non farsi
prendere dal panico: il tempo passava ed in silenzio continuavano a
guardare la tempesta che non accennava a placarsi.
Ormai era scesa la sera ed il freddo le era entrato nelle ossa. Pensava
che ormai fossero partite le ricerche, ma chi avrebbe pensato di
trovarla in quella buia caverna? Il suo accompagnatore appariva
stranamente calmo ed insensibile al freddo. Non un solo brivido
l’aveva colto dacché Maya aveva iniziato a battere
rumorosamente i denti.
Mentre lo osservava, il vecchio si voltò dalla sua parte. I
suoi occhi apparivano gioiosi e saggi anche in quella situazione. Le
poggiò una mano segnata dalle rughe e dagli affanni sulle
sue e in un sussurro le disse:
“Maya, quando giungerà il momento, abbia fiducia
nel suo amore e coraggio nel cuore…”
“Come fa a sapere il mio nome? Chi è
lei?” – già il sonno sembrava
requisirla. Sapeva che non doveva addormentarsi, ma le sembrava
impossibile resistere: gli occhi le sembravano così
pesanti…
“Si rilassi Maya. Si fidi di me. Io sono Heitaro.”
– furono queste le ultime parole che la ragazza
riuscì a comprendere prima di arrendersi.
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* "Per chi non fraintenda, narra la leggenda" sono due versi della
canzone "Figlio della Luna" dei Mecano.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Era la vigilia di Natale e l’unica cosa che Masumi Hayami era
stato in grado di fare era stata quella di andare nella sua villa nella
prefettura di Nagano. Era inutile restare a Tokyo perché non
aveva affetti che gli avrebbero scaldato il cuore in quei giorni di
festa. Aveva dato qualche giorno di riposo ai suoi più
stretti collaboratori, aveva avvisato i custodi del suo arrivo ed era
partito. Di notte aveva lasciato la sua casa a bordo di una delle auto
della Daito Art Production ed era arrivato alla villa alle prime luci
di quel giorno. Pur con tutta la neve che era caduta, il tragitto si
era svolto abbastanza tranquillamente. Conosceva la strada a memoria,
pur non essendoci tornato per molti anni.
Inserì la chiave nella serratura del portoncino
d’ingresso e per un attimo attese. Entrò
spalancando l’uscio. Sapeva che era ridicolo ma, per un
attimo, si era aspettato di vedere la stessa distruzione che vi aveva
lasciato anni prima. All’epoca aveva disposto a malincuore
che tutto fosse risistemato, ma ancora ricordava lo stato di
devastazione in cui versava la casa quando era andato a controllare
Maya durante le sue prove per Helen Keller: cuscini sventrati, cocci in
terra, tende usate come appiglio completamente strappate, residui di
cibo nei posti più impensati e lei, sola, sorda e cieca a
quello che la circondava. Sembrava sul punto di togliersi le bende
sconsolata. Aveva atteso e l’aveva vista provare a rialzarsi:
testarda come al solito! Ricordava di essere stato pronto ad
afferrarla, altrimenti sarebbe precipitata di nuovo sul pavimento. Il
suo sorriso aveva illuminato l’oscurità del suo
cuore quando la ragazza non più bambina ma non ancora donna
aveva capito chi l’aveva soccorsa. Letteralmente era volata
tra le sue braccia e lui, protetto dalle sue bende, l’aveva
stretta a sé, talmente forte da stupire perfino se stesso.
Era tornato per l’unico motivo che riusciva a smuoverlo dai
suoi intenti in ogni situazione: Maya era partita il giorno prima per
Nozawaonsen e lui voleva sentirla vicina. Non l’avrebbe
vista, ma sapeva che sarebbe stata a pochi chilometri di distanza:
più vicina di quanto lo sarebbe mai stata se entrambi
fossero rimasti a Tokyo.
Entrò nel soggiorno e lo trovò addobbato per le
feste imminenti: i custodi, come al solito, erano stati più
solerti di quanto richiesto. Il fuoco era acceso e scoppiettava nel
caminetto; l’albero di Natale brillava pieno di luci ed
addobbi colorati in un angolo; il tavolo era imbandito con un
centrotavola formato da pigne dorate, bacche rosse e rametti di
pungitopo.
Si diresse verso la camera da letto per disfare la valigia e farsi una
doccia calda: il lungo viaggio la reclamava. Si tolse i vestiti mentre
faceva arrivare l’acqua. Si tuffò sotto il getto
che scorreva fluido e caldo lungo il suo corpo portando sollievo ai
suoi muscoli affaticati. La sua mente tornava, come sempre, ai momenti
rubati passati con la sua ragazzina: in fondo quell’abbraccio
innocente avvenuto lì a Nagano non era altro che la
scintilla che gli aveva acceso il fuoco dentro.
C’era stato il momento in cui Maya aveva perso la voglia di
vivere, così come quella di recitare. A causa sua. Aveva
promesso a se stesso che le avrebbe ridato tutto: la gioia di vivere e
la passione per il teatro. E come al solito, aveva corso il rischio
fondato di essere odiato. Quando l’aveva trovata,
febbricitante sotto la pioggia, portarla a casa sua e curarla era stato
un tutt’uno; come lo era stato ammettere di amarla e baciarla.
Aveva paura dei suoi occhi. Ogni volta che aveva avuto un contatto
più intimo con lei era stato perché i suoi occhi
erano chiusi. A Nagano… a casa sua… nel vecchio
tempio della Dea Scarlatta.
L’aveva avuta tra le braccia per tutta la notte. Maya si era
stretta a lui per il freddo, sembrava tanto rilassata ed inerme contro
il suo petto. Alle prime luci dell’alba si era concesso
quello che probabilmente sarebbe stato l’ultimo bacio rubato
al suo sogno, alla sua anima, alla sua amata. Aveva assaggiato le sue
dolci labbra con lentezza, piano, con il timore che si svegliasse. Il
suo addio. Lui era fidanzato e presto si sarebbe sposato. Quanto tempo
sarebbe passato prima che Maya conoscesse l’amore?
Quando aveva visto lo spettacolo dimostrativo era giunto alla
conclusione che il momento era giunto. Non sapeva di chi si fosse
innamorata, ma doveva esserlo di qualcuno. Aveva visto i suoi occhi
bruciare d’amore, passione e desiderio; li aveva visti
sciogliersi nella tenerezza di un abbraccio; li aveva visti infrangersi
nel dolore dell’addio al suo amato Isshin.
Quel giorno aveva deposto le armi. E la speranza.
Suo padre era morto prima che potesse compiersi la sua vendetta. Era
riuscito a non sposarsi, ma non aveva più approcciato Maya
in modo diverso da quello che si conveniva tra un produttore ed
un’attrice di successo. Non era più una ragazzina;
non vi sarebbero più stati battibecchi; non vi sarebbero
più stati baci rubati.
Immerso nei suoi pensieri, aveva terminato la doccia, aveva indossato
un morbido ed avvolgente accappatoio in spugna e si era affacciato alla
finestra della camera.
A chi voglio darla a
bere? Se sono qui oggi è perché lei non
è lontana!
Non sarebbe mai riuscito a lasciarla andare. Gli aveva ridato la vita,
non poteva morire di nuovo. Sarebbe stato sempre con lei tramite
l’ombra scarlatta che l’aveva sostenuta quando
Masumi Hayami non poteva farlo. Chiuso nel suo dolore non vedeva gli
sguardi sofferenti che Maya gli lanciava, non poteva comprendere
né concepire che la giovane donna si sentisse strappare il
cuore ogni volta che l’incontrava.
Osservava le cime montuose completamente innevate. Alcuni puntini in
movimento in lontananza testimoniavano che la stagione sciistica di
Nozawaonsen era nel suo pieno fervore. Forse uno di quei puntini era
Maya. Scosse il capo rassegnato. Era ridicolo! Se i suoi concorrenti
avessero conosciuto il contenuto dei suoi pensieri avrebbe perso tutto
il suo potere.
Sotto il sole invernale gli alberi brillavano per i cristalli di
ghiaccio e per le gocce d’acqua che cadevano in terra. Tutto
era così quieto, bianco e pulito!
Si stese sul letto e, nel tepore della camera, si lasciò
andare ad un inquieto sonno.
Si svegliò in un bagno di sudore: l’aveva sognata,
come sempre, ma stavolta Maya era in pericolo. L’aveva vista
in una grotta esposta alla neve ed al gelo; stava cedendo al sonno.
No… Non poteva essere! Era solo uno stupido sogno generato
dai rumori della tempesta che infuriava fuori dalla finestra! Le cime
degli alberi erano scosse fortemente dal vento; la neve cadeva fitta;
la temperatura doveva essere scesa considerevolmente. Non si vedeva
nulla a pochi metri dalla casa.
Scese nel soggiorno e ravvivò la fiamma nel caminetto.
Restò in ginocchio lasciandosi ipnotizzare dalla ritmica
eppur caotica danza delle fiamme. I loro bagliori rossi e gialli
mandavano caldi riflessi alle pareti e si univano a quelli delle
illuminazioni dell’albero. Sentiva il volto scottare, ma era
una sensazione piacevole dopo il gelo che aveva provato durante
quell’incubo.
Fu tentato di chiamare Mitsuki per scoprire in quale albergo Maya
alloggiasse e sapere così se fosse o meno al sicuro:
riconobbe che sarebbe stato da pazzi.
Appoggiò le due mani alla mensola del caminetto e, facendovi
forza, si alzò. Si guardò intorno in cerca di un
diversivo. Dopo un attimo di incertezza si diresse verso il tavolinetto
dei liquori e si versò un dito di brandy. Forse sarebbe
riuscito a tranquillizzarsi.
Mentre rigirava il liquido ambrato nel bicchiere e ne beveva un sorso
di tanto in tanto udì un leggero bussare. Inizialmente
pensò di essersi sbagliato, in fondo i rumori della tempesta
di neve erano tanto forti da indurlo a credere di essersi confuso.
Facendo più attenzione, tuttavia, si rese conto che il
rumore si stava ripetendo con maggiore energia.
Si alzò pigramente dal divano di fronte al caminetto dove si
era seduto e si diresse alla porta d’ingresso chiedendosi
come mai i custodi fossero venuti a disturbarlo. Con noncuranza
aprì l’uscio, accostandosi al collo i lembi del
pesante maglione che indossava. Il vento lo investì in volto
ed alcuni fiocchi di neve si impigliarono tra i suoi biondi capelli
sciogliendosi quasi immediatamente.
Contrariamente a quello che si attendeva, si trovò di fronte
un’anziana donna, di statura minuta, vestita con un pesante
kimono, un cappello ed una sciarpa che dovevano proteggerla dal freddo.
La sua prima, istintiva reazione fu chiedersi come avesse fatto ad
oltrepassare il cancello che lui stesso aveva chiuso quando era
arrivato. La seconda fu chiederle il motivo della sua venuta e se non
avesse bisogno di riparo.
“La prego!” – iniziò la
vecchia signora – “mi aiuti! Mio marito Heitaro ha
trovato una giovane donna che si era rifugiata in una grotta per la
tempesta. Noi siamo vecchi, non riusciamo a trarla in salvo. Venga con
me!”
Masumi, con il gelo dell’incubo ancora nel cuore, velocemente
prese il cappotto, si chiuse la porta alle spalle e seguì la
vecchia. L’uomo teneva lo sguardo fisso sulla schiena della
sua accompagnatrice che gli stava facendo strada. Pensava che doveva
essere una coincidenza e che avrebbe sicuramente scoperto che non si
trattava di Maya. Tuttavia, non poteva fare a meno di tremare con il
cuore pesante ed oppresso.
Se l’avesse persa… se l’avesse persa
senza aver mai veramente lottato… che ne sarebbe stato di
lui?! Come avrebbe potuto continuare a vivere?
A margine notava il passo svelto dell’anziana donna. Aveva
una postura ingobbita, si accompagnava con un bastone, eppure
l’uomo faceva quasi fatica a tenerne il passo. In una decina
di minuti raggiunsero una piccola grotta. Dalla cavità
giunse la voce flebile di un uomo che chiamava:
“Higo!”
“Siamo qui!” – rispose la vecchia.
Si avvicinarono e quello che Masumi vide all’interno lo
immobilizzò! Maya era seduta con la testa appoggiata ad un
fianco della grotta: sembrava dormire serenamente. Il colorito era
buono, ma doveva comunque soffrire enormemente il freddo.
Chissà da quanto tempo era in quello stato! Rischiava di
andare in ipotermia!
Guardò l’anziano con espressione interrogativa. Il
vecchio gli disse:
“Si è addormentata da poco. Gliel’ho
concesso solo perché sapevo che mia moglie sarebbe tornata
presto. La porti in casa, la riscaldi! Non corre nessun
pericolo!”
Masumi non seppe perché, ma si fidò delle sue
parole. Semplicemente gli sembrava che fosse necessario. Si
inginocchiò vicino alla ragazza, la scosse provando a
svegliarla, ma non sembrava voler sentire ragione. Continuava a
dormire. La prese in braccio, se la strinse al petto e percorse a
ritroso la strada che aveva fatto poc’anzi.
Non aveva tempo per pensare: se la sua mente avesse pensato che aveva
in braccio il suo amore con un principio di ipotermia ne sarebbe uscito
completamente pazzo.
Non pensava. Metteva semplicemente un piede davanti
all’altro. Ancora. E ancora.
Non aveva neanche badato se i due vecchi coniugi l’avessero
seguito o meno. Aveva dimenticato tutto! Tutto, tranne quel corpo
immobile e muto tra le sue braccia. Gli sembrava indifesa come non lo
era mai stata.
Un piede davanti all’altro. Ancora. E ancora.
Cosa sarebbe successo se non fosse riuscito a riscaldarla? Non poteva
chiamare un medico perché, con quella bufera, non avrebbero
funzionato nemmeno le linee telefoniche. Iniziò a pensare a
come riscaldarla.
Un piede davanti all’altro. Ancora. E ancora.
Le avrebbe tolto gli abiti freddi. L’avrebbe avvolta in una
calda coperta, abbracciata e sistemata vicino al fuoco. Non poteva fare
altro.
Un piede davanti all’altro. Ancora. E ancora.
Sì, avrebbe funzionato! Doveva funzionare.
Nient’altro importava!
Finalmente scorse le luci di casa sua! Aveva avuto
l’accortezza di lasciarle accese, altrimenti in quel buio
avrebbe trovato difficoltà ad individuarla.
Sempre tenendola stretta, entrò in casa e si chiuse la porta
alle spalle. L’adagiò temporaneamente sul divano
mentre ravvivava ancora il fuoco. La coprì con un plaid
mentre lui arrivava in camera per prendere un suo pigiama.
Tornò in soggiorno. La osservò con più
attenzione: indossava l’equipaggiamento completo da montagna.
Sicuramente il berretto e l’abbigliamento pesante avevano
contribuito a proteggerla dal freddo. Le gote erano fredde, come anche
le mani una volta tolti i guanti. Tuttavia la situazione non gli
sembrava più grave come aveva temuto. Forse era
perché ora erano al caldo; forse perché, dalla
sua espressione, sembrava semplicemente che dormisse; forse
perché, ora, l’aveva lì con lui.
Iniziò a toglierle gli strati sovrapposti di vestiario. Ad
ogni movimento, Maya sembrava emettere dei leggeri mugugni, ma non si
svegliava. Alla fine restò solo con una semplice canotta
bianca e la biancheria intima. Masumi arrossì portandosi una
mano alla bocca: si rese conto che se voleva scaldarla avrebbe dovuto
passare del tempo abbracciato con lei. L’aveva già
fatto nella notte al tempio, ma erano passati due anni e Maya non gli
era mai apparsa tanto sensuale e desiderabile: il piccolo corpo snello
e proporzionato, la leggera curva dei fianchi, il seno piccolo ma
stranamente invitante, la dolce linea del collo, la pelle vellutata.
Tutto concorreva a renderla seducente.
Maya si mosse leggermente. L’uomo si riscosse dalla sua
contemplazione e fugò ogni dubbio che l’aveva
colto in quei pochi attimi. La vestì con il suo pigiama
riscaldato dal fuoco e l’avvolse in una coperta. A sua volta,
tolse gli abiti con cui era uscito, indossò un morbido paio
di pantaloni di felpa e si adagiò con lei sul divano,
coprendo entrambi con la coltre.
Se l’era sistemata sopra, petto contro petto; le sue braccia
che l’allacciavano; le sue gambe che
l’accoglievano; il suo cuore che batteva per lei; i suoi
occhi che scrutavano ogni singolo e minuscolo movimento che aleggiava
sul suo viso.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Era ormai giunta la notte: Masumi non aveva tolto gli occhi dal suo
volto. La teneva, ogni tanto le dava una leggera carezza lungo la
schiena. Sembrava dormire un sonno tranquillo, ignara di cosa la
circondava e di dove si trovava. L’uomo osservava i lunghi
capelli scuri sparsi intorno al suo volto e sul suo petto: lo
solleticavano appena ad ogni lieve movimento. Scrutava le
lunghe ciglia adagiate sulle gote rosate. Vedeva il lieve sorriso sulle
sue morbide labbra: quanto avrebbe desiderato assaggiarle ancora! Gli
sembrava che fosse passata un’eternità dalla notte
al tempio. Ascoltava il tenue respiro del suo riposo: era un suono che
lo tranquillizzava nel silenzio della stanza interrotto solo dal
crepitio del fuoco che ogni tanto provvedeva a ravvivare cercando di
muoversi il meno possibile.
In quelle ore in cui l’aveva riscaldata e tenuta al sicuro
tra le sue braccia si era interrogato spesso su cosa sarebbe successo
al suo risveglio. Come avrebbe reagito Maya ritrovandosi a dormire tra
le sue braccia? L’avrebbe allontanato e disprezzato? Forse
l’avrebbe anche schiaffeggiato. Avrebbe ricordato cosa stava
facendo prima di cadere nel sonno indotto dal gelo? E…
avrebbe riconosciuto l’ambiente in cui si trovava?
Erano tutti interrogativi che lo stavano assillando e a cui non sapeva
dare risposta. Quando si sarebbe svegliata, avrebbero dovuto affrontare
tutto quanto c’era di sospeso tra loro: il segreto
dell’ammiratore… i reciproci sentimenti.
Preso da quelle riflessioni le diede un’altra carezza
inconsapevole lungo la schiena. La ragazza si mosse leggermente e
mugugnò qualcosa. Il momento stava per giungere. I suoi
occhi, che tanto lui temeva, si stavano infine per schiudere.
Masumi fuggì come aveva sempre fatto in quegli anni: chiuse
i propri e finse di dormire. Sperava che, mostrandosi inoffensivo,
almeno non lo prendesse a schiaffi!
“Maya, quando giungerà il momento, abbia fiducia
nel suo amore e coraggio nel cuore. Si fidi di me. Io sono
Heitaro.”
Mentre Maya tornava ad essere cosciente, dopo quello che sembrava
essere stato un lungo sonno ristoratore, fu questa frase il primo
ricordo che la colse. Subito dopo ricordò
l’immagine del vecchio che se ne stava tranquillo nella
bufera di neve che li aveva colpiti. Ricordò di essersi
addormentata nel freddo della caverna. Ebbe l’impressione che
qualcosa l’avesse riscossa dal sonno. Come mai non sentiva
freddo? Ancora immersa nelle brume del sonno, si aggiustò
meglio nel bozzolo protettivo in cui si trovava.
Pian piano che la coscienza prendeva il posto del vuoto, si rese conto
di varie cose. Non si trovava all’aperto ma in una stanza
calda, dove sembrava crepitare allegramente un fuoco: ne sentiva il
calore lieve e ristoratore sul viso. Sentiva due braccia che la
tenevano ed un lieve respiro che non era il suo: con chi era? Chi
l’aveva tratta in salvo?
Allarmata si puntellò con i gomiti su quello che
scoprì essere un divano e si alzò con il busto
aprendo gli occhi. Quello che vide le tolse il fiato.
Era tra le braccia del signor Hayami: dormiva mentre
l’abbracciava. Arrossì vistosamente e distolse lo
sguardo. Si trovava di fronte ad un caminetto acceso, in un soggiorno
addobbato a festa che le giungeva familiare. Cercò di
concentrarsi su quello, tentando di non pensare all’uomo.
Perché le sembrava familiare? Osservò meglio il
tavolo, le tende, gli scaffali, le scale, i quadri alle pareti: era la
villa di Nagano dove aveva conosciuto Helen Keller. Ecco
perché anche il lago le era familiare! L’aveva
visitato anni prima, in quella lunga estate, prima di rifugiarsi in un
mondo buio e silenzioso.
Tornò a voltare lo sguardo verso l’uomo.
Sovrappensiero fece scorrere la punta delle dita lungo il contorno del
suo viso, dalla tempia al mento.
Senza saperlo, villeggiando a Nozawaonsen, si era avvicinata al luogo
in cui l’aveva abbracciato per la prima volta. I suoi occhi
si illuminarono di tenerezza. Come mai si trovava lì? Come
aveva fatto a trovarla e a trarla in salvo?
Nella sua mente risuonarono chiare le parole del vecchio Heitaro:
“Abbia fiducia nel suo amore e coraggio nel
cuore!”. Si chiese se il vecchio non fosse veramente lo
spirito della leggenda e se non avesse creato quell’occasione
per farli incontrare. Doveva scoprirlo.
Osservava il volto dell’uomo addormentato sotto di lei. Ne
guardava i capelli biondi leggermente sparsi sul cuscino, le labbra
morbide appena socchiuse, gli occhi abbassati. Provò il
desiderio irresistibile di baciarlo. Chissà come si sarebbe
sentita…
Con una mano si spostò una ciocca ribelle di capelli dietro
l’orecchio. Inspirò indecisa. Si
avvicinò lentamente al volto del giovane e piano, senza
fretta, appoggiò le sue labbra su quelle
dell’altro. Si staccò per qualche secondo.
Voleva un altro piccolo assaggio, ma cosa sarebbe successo se il signor
Hayami si fosse svegliato? Come avrebbe reagito? L’avrebbe
derisa? Memore del dolore che aveva patito fino a quel momento, decise
di correre il rischio. Almeno per qualche altro minuto.
Dolcemente assaggiò le sue labbra ancora, e ancora. Un lungo
sospiro la interruppe.
Si stava svegliando! Doveva smettere o sarebbe stato troppo tardi! Fece
per allontanarsi, ma una grande mano si era alzata fino alla sua nuca,
intrecciandosi ai suoi capelli e trattenendola vicina.
“Ti prego… non fermarti! Non
lasciarmi…” – si sentì dire.
Come era calda e carezzevole la sua voce! Sembrava manifestare
un’urgenza che la ragazza ancora non conosceva.
Masumi rimase immobile mentre sentiva i lievi movimenti della ragazza
che tornava alla realtà. Finalmente si stava svegliando. Era
stato in ansia temendo che il freddo avesse fatto più danni
di quelli apparenti.
La sentì respirare profondamente mentre, piano, si
svegliava. Colse bene il momento in cui Maya si rese conto di non
essere da sola: la sentì alzarsi di scatto puntellandosi sul
divano. Ora sarebbe giunto il terremoto: lo sapeva, non poteva
sfuggire. Attese, ancora immobile, l’arrivo delle sue vivaci
proteste. Attese, ma non arrivò nulla.
Si chiese quale poteva essere il motivo. La sentiva sempre nella stessa
posizione. Forse si stava guardando intorno. Avrebbe riconosciuto la
villa dove aveva provato anni prima?
E questa?
Cos’era, una carezza?
Un tocco gentile aveva percorso il suo volto. Non riusciva a crederci.
Maya non solo non lo stava aggredendo, ma lo stava addirittura
carezzando in un muto ringraziamento.
Continuò a far finta di dormire. Non voleva rompere
quell’incantesimo. Non voleva bisticciare. Non voleva
incontrare i suoi occhi. Non ancora.
La sentì muoversi ed avvicinarsi. Colse il suo respiro sul
volto. Le lunghe ciocche dei capelli gli solleticavano la pelle. Non
sapeva cosa aspettarsi, ma quello che accadde non sarebbe stato neanche
in grado di immaginarselo. Sentire le dolci labbra della ragazza, che
in due occasioni aveva assaggiato di nascosto, posarsi sulle proprie in
un timido bacio lo emozionò ancor più della dolce
carezza di poco prima.
Il suo povero cuore perse un battito per poi iniziare a correre
all’impazzata. Lo sentiva battere contro il petto e tuonare
nelle orecchie. Come era successo? Maya lo stava baciando.
Perché? Possibile che anche la giovane fosse presa dai suoi
stessi timori e che, per questo, stava ricorrendo a
quell’attimo rubato?!
La sentì scostarsi e avvertì amara la perdita di
quel contatto. Voleva baciarla ancora, ma non sapeva come fare. Mentre
ancora si interrogava sul da farsi, Masumi capì che la donna
stava riavvicinandosi.
Assaggiò le dolci e timide labbra che lo accarezzavano e si
lasciò sfuggire un lento sospiro di insoddisfazione: voleva
di più. E quel sospiro fu la causa del suo allontanamento:
doveva essersi spaventata. Ormai incapace di trattenersi,
allungò una mano per afferrarle la nuca e con voce
implorante la supplicò:
“Ti prego… non fermarti! Non
lasciarmi…”
Sentì che Maya non si stava più allontanando, ma
non sembrava avesse intenzione di baciarlo ancora. Provò a
socchiudere leggermente gli occhi, senza incrociarli con quelli di lei.
Tenendo salda la stretta della sua mano, avvicinò il proprio
volto a quello della ragazza. Questa volta fu lui a baciarla,
assaporandola, accarezzandole le labbra con dolci baci brevi e
delicati. Maya non si ribellò, anzi. Masumi sentiva che
stava rispondendo, prima timidamente e poi sempre più
appassionatamente. L’udì gemere appena. Si
fermò e si scostò, la mano sempre al suo posto,
mentre con lenti movimenti le solleticava il collo.
Finalmente aprì gli occhi, trovando il coraggio di
affrontarla. Quelli zaffiro si tuffarono in quelli di caldo cioccolato:
i due desideri si fusero. Quello che riconobbero, l’una negli
occhi dell’altro, erano i propri sentimenti: emozioni
soppresse, desideri svelati, passioni indomabili, fuoco dirompente.
“Maya…” – gemette
l’uomo ed iniziò un morbido nuovo bacio. Un
leggero tocco umido che si approfondì rapidamente, stimolato
dalla risposta passionale della donna. L’altra mano di Masumi
si insinuò sotto il pigiama della ragazza ad accarezzare i
lembi di pelle bollente che riusciva a raggiungere.
Maya si rilassò sul suo petto, incapace di resistere oltre a
quell’assalto di passione. Le piccole mani che fino a quel
momento erano puntate sul divano, ferme ed immobili, inesperte ed
inconsapevoli si spostarono sul suo petto liscio.
Lo sentì sospirare. Era stata lei? Le sue carezze avevano
avuto quell’effetto?
Mentre rispondeva al suo bacio, schiuse leggermente le labbra: era il
segnale che l’uomo attendeva per approfondire il contatto.
Con emozione, Maya sentì la lingua del signor Hayami farsi
strada e cercarla in un duello sensuale.
Le sue braccia lo allacciarono intorno alle spalle, aggrappandosi a
lui; un gemito; un sospiro; un lungo bacio.
“Signor Hayami…” – Maya
sembrava non avere più forza.
“Il mio nome… Ti prego, chiamami.”
La sua richiesta era tanto dolce che fugò ogni
imbarazzo… ogni formalismo.
“Masumi…” –
sospirò. Lo guardò negli occhi: quello sguardo,
di solito tanto scostante, era una fucina incandescente! Si chiese dove
avesse nascosto tutta quella passione e come poteva essere stata lei a
risvegliarla.
“Ancora!” – le ingiunse dolcemente.
“Masumi…” – lo
pregò di rimando.
Mentre una mano continuava ad accarezzarle la schiena, quella ferma
sulla sua nuca si spostò fino alla guancia. Il pollice
sfiorò appena le sue labbra rosse e gonfie dei loro baci.
Ancora uno ed un altro ancora.
“Cosa vuoi, Maya? Dimmelo! Ho bisogno di sentirtelo
dire…” – la sua voce, un dolce e roco
comando.
Maya vi sentiva l’urgenza che era nel suo stesso cuore:
“Voglio te! Amo te! Sempre… solo te!”
– sospirò sulla sua bocca.
Una lacrima si affacciò negli occhi di zaffiro
dell’uomo. Era la sua anima che manifestava la sua gioia.
“Maya, ti ho aspettata una vita intera!”
– e prese a divorarle le labbra. Gli argini erano rotti. Non
era tempo di parlare, né di chiarire. La passione ed il
desiderio reciproci li stavano divorando. Con un movimento fluido,
Masumi si girò sul divano portandola con sé. Ora
Maya sentiva gravarle teneramente addosso il peso dell’amato.
Sentiva le sue mani carezzarle la nuda pelle che veniva gradatamente
scoperta, sentiva i loro respiri affannati confondersi nel silenzio
della stanza. Sentiva la sua bocca percorrere strade infuocate sulle
sue spalle, lungo la linea del collo, tra i suoi seni. Ad ogni carezza,
Maya rispondeva con un brivido. Ad ogni carezza della ragazza, Masumi
dava un sospiro. I loro corpi sembravano conoscersi meglio di quanto
non si conoscessero loro stessi. Come avevano potuto ignorarsi per
tutto quel tempo e come erano riusciti a non ascoltare il richiamo del
loro cuore e dei loro sensi erano domande che non trovavano risposta.
Si amarono con tutta la frenesia del bisogno, prima, e con tutta la
tenerezza della scoperta, poi.
Rimasero allacciati: le dita intrecciate, le gambe fuse, petto contro
petto, i respiri univoci.
Si addormentarono senza proferir parola, finalmente certi che il nuovo
giorno sarebbe giunto finalmente sereno.
Qualche ora dopo, Masumi aprì gli occhi svegliato dal
bagliore delle prime luci dell’alba che entravano dalle
grandi vetrate sul terrazzo. Il suo sguardo corse al volto di Maya,
ansioso di ricevere conferme su quello che era avvenuto in quella notte
di Natale. Come era stato possibile quel miracolo non riusciva a
capirlo. Con la mano le scostò alcune ciocche di capelli dal
viso. Dormiva serena, con un dolce sorriso che le aleggiava sul volto.
Continuò ad accarezzarla finché non vide il capo
alzarsi dal suo petto ed i suoi occhi schiudersi lentamente.
“Ragazzina…” – disse solo, la
voce carezzevole come le sue dita.
Maya mise a fuoco e si aprì ad un sorriso abbagliante quanto
la neve colpita dal sole.
“Masumi…” – chiamò
semplicemente.
“Cosa c’è?! Non ti dà
più fastidio che ti chiami in quel modo?”
– chiese ammiccante.
La ragazza, presa da una nuova sicurezza, rispose:
“No. Ho capito stanotte…” – si
bloccò arrossendo – “che ogni
‘ragazzina’ è stata una tua
dichiarazione d’amore. Non dovresti più
nasconderti, ormai, no?”
Il grande palmo della mano dell’uomo le accolse il volto in
una calda carezza:
“E’ così allora. Hai capito? Sapevo che
non avrei dovuto portarti in questa casa. Ma ieri sera… non
ho avuto altra scelta!”
“Mi spiace deluderti… ma già da un bel
pezzo sapevo chi eri. Non hai notato come non ti abbia più
attaccato nell’ultimo anno? E anche prima, era più
la gelosia a farmi parlare, che l’astio vero e
proprio…” – confessò
d’un fiato.
“Ah sì?” – si
avvicinò al suo viso, divorandone ancora una volta le
labbra. Non voleva correre il rischio di dimenticarne il sapore.
“Sì” – sospirò. Poi
Maya ricordò un particolare e si staccò
d’un baleno.
“A proposito” – chiese –
“come mi hai trovata?”
“E’ una cosa strana. Una vecchina è
venuta a bussare alla mia porta dicendo che suo marito aveva trovato
una ragazza in una grotta. Ora che mi ci fai pensare, dopo che ti ho
preso in braccio non li ho più visti. Chissà dove
si sono rifugiati…”
Presa da un dubbio, Maya l’interrogò:
“Ti ha forse detto come si chiamava?”
“Non posso dirlo con certezza” – rispose
lui portandosi una mano ad accarezzarsi il mento con fare pensieroso
– “ma mi pare che il marito l’abbia
chiamata ‘Higo’!”
“Allora… erano veramente loro!!”
– disse incredula la giovane donna.
“Di chi parli?” – chiese curioso.
Maya gli recitò la filastrocca che aveva letto alla pensione.
“Magari è stata una
coincidenza…” – cercò di
ragionare l’uomo.
“No, non penso. Troppe cose sono andate bene per essere una
coincidenza. Io che ho raccontato inconsapevolmente il dolore del mio
cuore infranto” – la sua piccola mano
cercò quella grande di lui – “e mi sono
convinta a seguirlo anche quando il tempo non prometteva niente di
buono; la caverna vicino alla villa…”
“Va bene, va bene, mia sognatrice. Hai ragione tu!”
– e l’attirò a sé.
Una settimana dopo,
Nagano, Teatro Centrale Daito…
Il sipario si alzò per la ribalta dei protagonisti de
‘La Dea Scarlatta’.
Era stato un successo apprezzato da tutto il pubblico, che si era
alzato in piedi in una lunga ovazione. Maya era stata sublime. Ora
guardava raggiante un posto nella fila S che di solito era deserto,
contrariamente a quella sera.
Sakurakoji seguì il suo sguardo e, stupito da quel che vide,
l’interrogò:
“Ma quello non è il posto che riservi sempre
invano al tuo ammiratore?”
Senza distogliere lo sguardo dagli occhi felici di Masumi rispose:
“Infatti!”
“Come mai stasera non l’hai riservato a lui? Hai
finalmente rinunciato?” – chiese speranzoso.
“No, Sakurakoji. Il posto è riservato anche
stasera al mio prezioso ammiratore…”
“Ma allora…” – si interruppe
lasciando scorrere più volte lo sguardo da Maya al signor
Hayami e viceversa – “Ma veramente?”
La sua domanda non trovò risposta. D’altra parte,
non ve n’era bisogno.
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