Lo Spirito del Salice

di tenshina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Per chi non fraintenda,
narra la leggenda*
degli sposi Higo ed Heitaro
che gli uomini separaron.
Higo era lo spirito del salice
Heitaro nel villo viveva felice.
L’uomo dal taglio il vecchio albero salvò,
lo spirito per ringraziarlo lo sposò.
Venne poi il tempo in cui
l’imperatore un tempio costruì.
In una bianca notte d’inverno freddo,
i villani tagliaron il vecchio ceppo.
Higo scomparve,
Heitaro pianse.
Per chi non fraintenda,
narra la leggenda
degli sposi Higo ed Heitaro
che gli uomini separaron,
ma nell’aldilà si ritrovaron.
Quando la bianca neve scende,
una dolce melodia si sente.
Higo ed Heitaro vagano felici
per render tali gli innamorati divisi.
                            Un anonimo saggio
                            Periodo Nara, anno 18

Maya lesse con commozione la storia narrata nella breve filastrocca appesa all’ingresso della pensione dove avrebbe alloggiato.
Era scesa alla stazione di Nagano e per mezz’ora aveva atteso l’autobus che l’avrebbe condotta a destinazione. Nozawaonsen era famosa per lo sci e le sedici stazioni termali gratuite che offrivano ristoro dopo la giornata passata all’aria aperta. Probabilmente non avrebbe provato lo sci, ma sicuramente si sarebbe dedicata a dei bagni rilassanti nelle calde acque delle sorgenti.
Nei novanta minuti d’autobus che la separarono dal suo albergo aveva riflettuto sugli eventi che avevano caratterizzato gli ultimi mesi. Sicuramente il fatto che il signor Hayami non si fosse più sposato l’aveva tranquillizzata, ma il dolore sordo che avvertiva nel suo cuore non era mai scemato perché aveva sempre vividi dentro l’amore per quell’uomo gentile che mai una volta aveva neanche provato a farsi ringraziare per quello che le aveva donato; la passione per quell’uomo forte che l’aveva difesa da tutti, compresa se stessa; il desiderio per quell’uomo che le procurava brividi con una sola parola sussurrata, le scaldava il cuore con uno sguardo, la gettava nella più cupa disperazione quando le si allontanava indifferente.
Ora era arrivata nell’Honshū e non sarebbe tornata a casa prima di un mese. Per tutto quel tempo sicuramente non l’avrebbe visto. Era partita una settimana prima per passare il Natale nell’ambiente accogliente di quella pensioncina di cui le aveva parlato Rei. Ne avrebbe approfittato per stare sola con il suo cuore ed i suoi pensieri. Non avrebbe avuto necessità di fingere un’allegria che non provava.
Fu richiamata al presente dalla signora Fujiwara che la condusse nella sua camera: era un ampio ed accogliente spazio rivestito in tatami, con una porta scorrevole che separava la camera da letto dalla piccola cabina armadio. Il futon era stato preparato insieme al leggero yukata in dotazione. Dalla finestra si vedevano le bianche distese delle montagne innevate con gli abeti che si stagliavano contro il cielo terso.
Si svestì degli abiti da viaggio ed indossò il leggero kimono. Prendendo l’occorrente per il bagno si avviò verso la sorgente termale propria dell’albergo. Pensava di ristorarsi dal viaggio immergendosi nelle sue calde acque. Arrivata nell’antibagno, poté constatare che era pressoché deserto: ne fu felice ché non aveva voglia di scambiare sciocchi ed inutili convenevoli con emeriti sconosciuti.
Completamente nuda entrò nella pozza. Appoggiando la testa sul bordo si rese conto che il soffitto era costituito da una grande vetrata che lasciava scorgere il cielo. Pensò a quanto dovesse essere bello andare lì a sera inoltrata e potersi godere il firmamento immersi nelle calde acque della sorgente.
Perdendosi in tali fantasie, giunse a riflettere sulla poesia che aveva letto pochi attimi prima. Pensava alla povera Higo, spirito del vecchio salice, strappata dalle braccia di Heitaro per soddisfare il bisogno dell’imperatore. Pensava al povero Heitaro, che nulla aveva potuto per proteggere la sua amata. Pur con delle differenze, la storia sembrava molto simile a quella della Dea Scarlatta. In quella era il popolo che abbatteva il salice mentre Heitaro tentava di difenderlo; in questa era lo stesso Isshin che per la pace dell’uomo abbatteva il susino millenario e, con esso, lo spirito di Akoya. Entrambe le storie erano fondate sul principio delle anime gemelle: Isshin ed Akoya, Heitaro ed Higo.
Si riscosse dai suoi pensieri quando un’altra donna entrò nei bagni termali. Subitamente Maya uscì dalla vasca, si asciugò approssimativamente e tornò in camera per prepararsi per la cena.
Scese nella sala comune e consumò una cena frugale: del riso e un po’ di ramen. Li aveva sempre adorati e ogni volta che entrava in un nuovo ristorante non riusciva a fare a meno di ordinarli, se erano nel menù. Era molto presto quando si ritirò per la notte: l’indomani sarebbe stata la vigilia di Natale ed aveva intenzione di passarla visitando Nozawaonsen ed i boschi del circondario. Avrebbe voluto sentire la melodia di cui parlava la leggenda di Higo ed Heitaro, ma era solo un vano desiderio: lei non aveva un innamorato a cui ricongiungersi.
Dormì profondamente per tutta la notte. Venne svegliata dalla sfolgorante luce del sole nascente che si rifrangeva sulla neve. Solo la neve era capace di dare origine a quella luce tanto chiara e brillante. Con entusiasmo si alzò e velocemente si vestì preparandosi ad affrontare una giornata passata all’insegna del turismo.
Un paio di giorni di svago poteva anche permetterseli. Per la fine dell’anno sarebbe arrivato anche il resto della compagnia e, a quel punto, sarebbe dovuta tornare ad essere la Maya controllata e felice.
Salutò la signora Fujiwara all’ingresso ed uscì nel freddo di Nozawaonsen. Parecchia gente aveva avuto la sua stessa idea e vi erano lunghe code per l’accesso agli impianti sciistici. Per un attimo rifletté se accingersi o meno a fare un giro all’Higake Course, le piste per principianti, ma poi si disse che, imbranata com’era, avrebbe combinato un disastro anche lì. Si diresse pertanto verso l’ingresso del bosco e ne imboccò lo stretto sentiero segnato dalle staccionate laterali. Una lunga passeggiata tra gli alberi innevati sotto il brillante sole invernale le avrebbe sicuramente temprato lo spirito.
Camminò per un paio d’ore, mentre era accompagnata dal suono della neve gelata schiacciata sotto il peso dei suoi scarponcini. Osservò la candida coltre stesa sui rami degli abeti e degli aceri spogli. Brillanti gocce d’acqua si infrangevano al suolo quando il sole baciava il gelo. Si udivano da ogni parte i segni del disgelo diurno: le gocce che inesorabilmente precipitavano in terra producevano una tintinnante musica.
Giunta in una radura, scorse tra gli alberi quello che doveva essere un lago gelato. Si avvicinò e vide alcune coppiette che stavano pattinando sopra la lastra traslucida. Le loro risate le risvegliarono la malinconia e provò una leggera invidia osservando quei ragazzi che, felici, trascorrevano la vigilia di Natale mano nella mano.
Si riscosse da quei tristi pensieri e si rese conto che quel luogo le era stranamente familiare. Mentre si sforzava di ricordare a cosa somigliasse, le venne incontro un simpatico vecchietto vestito di pesanti abiti tradizionali.
Con voce gentile l’apostrofò: “Signorina, non è bello vedere un’espressione tanto triste sul suo grazioso viso!”
Le espressioni nel volto della giovane si rilassarono. Il modo in cui il vecchio si esprimeva le ricordava il suo docente di letteratura giapponese all’Itotsuboshi, così arcaico e compito.
“Non si preoccupi, signore, mi passerà!” – tentò di rassicurarlo lei.
“Allora mi vuol dire che il suo gentil innamorato giungerà presto?”
Gli occhi di Maya si incupirono. Il vecchio se ne avvide perché continuò:
“Mi scusi, sono forse stato inopportuno?”
“No, è solo che…” – si interruppe, ma poi riprese, in fondo era solo un simpatico vecchietto sconosciuto – “il mio è un amore impossibile. Chi mi ha rubato il cuore mi vede e non mi vede. A volte mi sembra di essere invisibile, altre volte invece… ma non ne sono sicura…”
Il vecchio stette un po’ in silenzio, come a riflettere sulle parole che la giovane gli aveva riservato. Poi, mentre entrambi tenevano lo sguardo fisso sul lago, l’anziano disse:
“Che ne dice di passeggiare un altro po’? Avremo modo di parlare un po’ meglio!”
Maya si ritrovò a seguirlo senza aver capito bene il perché. Le sembrava quasi di aver risposto ad un bisogno impellente. Stavano camminando affiancati ormai da una mezz’ora. Si stava avvicinando l’ora del pranzo, ma Maya non aveva fame. Stava ascoltando con vivo interesse i racconti di vita dello strano vecchio. Non le aveva ancora detto come si chiamava, ma le sembrava di conoscerlo da sempre: i suoi genitori erano stati dei poveri contadini e lui aveva seguito il loro esempio. Giunto all’età giusta aveva incontrato, sotto un vecchio salice, una graziosa fanciulla di cui si era follemente innamorato. I suoi occhi e la sua grazia erano ancora fissi nella sua mente. Avevano vissuto insieme felicemente per molti anni, poi lei era scomparsa.
Maya si disse vicina al suo dolore, mentre il vecchio, guardandola dal basso con occhi dolci e soddisfatti, semplicemente le disse:
“Gentile signorina, io ho vissuto felicemente e tuttora vivo felicemente perché la mia sposa è con me sempre. Sono invece più in ansia per lei. Il suo cuore grida tristezza, il suo animo è in tempesta. Vorrei veramente che il suo non fosse un amore impossibile!”
Un lieve sospiro sfuggì dalle labbra della ragazza.
Presi da quei discorsi non si erano avveduti che il cielo si era coperto ed il freddo vento aveva iniziato a sferzare i rami con crescente intensità. Il vecchio propose di ripararsi in una grotta vicina dove avrebbero potuto attendere che il tempo migliorasse.
Mentre si avvicinavano iniziò anche una fitta nevicata. La visibilità iniziava ad essere ridotta e solo fortunosamente riuscirono ad individuare la stretta apertura. Si accomodarono sulla nuda roccia con il volto rivolto alla bufera. Solo grazie al fatto che si trovasse lì con il vecchio riuscì a non farsi prendere dal panico: il tempo passava ed in silenzio continuavano a guardare la tempesta che non accennava a placarsi.
Ormai era scesa la sera ed il freddo le era entrato nelle ossa. Pensava che ormai fossero partite le ricerche, ma chi avrebbe pensato di trovarla in quella buia caverna? Il suo accompagnatore appariva stranamente calmo ed insensibile al freddo. Non un solo brivido l’aveva colto dacché Maya aveva iniziato a battere rumorosamente i denti.
Mentre lo osservava, il vecchio si voltò dalla sua parte. I suoi occhi apparivano gioiosi e saggi anche in quella situazione. Le poggiò una mano segnata dalle rughe e dagli affanni sulle sue e in un sussurro le disse:
“Maya, quando giungerà il momento, abbia fiducia nel suo amore e coraggio nel cuore…”
“Come fa a sapere il mio nome? Chi è lei?” – già il sonno sembrava requisirla. Sapeva che non doveva addormentarsi, ma le sembrava impossibile resistere: gli occhi le sembravano così pesanti…
“Si rilassi Maya. Si fidi di me. Io sono Heitaro.” – furono queste le ultime parole che la ragazza riuscì a comprendere prima di arrendersi.
 
****
* "Per chi non fraintenda, narra la leggenda" sono due versi della canzone "Figlio della Luna" dei Mecano.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Era la vigilia di Natale e l’unica cosa che Masumi Hayami era stato in grado di fare era stata quella di andare nella sua villa nella prefettura di Nagano. Era inutile restare a Tokyo perché non aveva affetti che gli avrebbero scaldato il cuore in quei giorni di festa. Aveva dato qualche giorno di riposo ai suoi più stretti collaboratori, aveva avvisato i custodi del suo arrivo ed era partito. Di notte aveva lasciato la sua casa a bordo di una delle auto della Daito Art Production ed era arrivato alla villa alle prime luci di quel giorno. Pur con tutta la neve che era caduta, il tragitto si era svolto abbastanza tranquillamente. Conosceva la strada a memoria, pur non essendoci tornato per molti anni.
Inserì la chiave nella serratura del portoncino d’ingresso e per un attimo attese. Entrò spalancando l’uscio. Sapeva che era ridicolo ma, per un attimo, si era aspettato di vedere la stessa distruzione che vi aveva lasciato anni prima. All’epoca aveva disposto a malincuore che tutto fosse risistemato, ma ancora ricordava lo stato di devastazione in cui versava la casa quando era andato a controllare Maya durante le sue prove per Helen Keller: cuscini sventrati, cocci in terra, tende usate come appiglio completamente strappate, residui di cibo nei posti più impensati e lei, sola, sorda e cieca a quello che la circondava. Sembrava sul punto di togliersi le bende sconsolata. Aveva atteso e l’aveva vista provare a rialzarsi: testarda come al solito! Ricordava di essere stato pronto ad afferrarla, altrimenti sarebbe precipitata di nuovo sul pavimento. Il suo sorriso aveva illuminato l’oscurità del suo cuore quando la ragazza non più bambina ma non ancora donna aveva capito chi l’aveva soccorsa. Letteralmente era volata tra le sue braccia e lui, protetto dalle sue bende, l’aveva stretta a sé, talmente forte da stupire perfino se stesso.
Era tornato per l’unico motivo che riusciva a smuoverlo dai suoi intenti in ogni situazione: Maya era partita il giorno prima per Nozawaonsen e lui voleva sentirla vicina. Non l’avrebbe vista, ma sapeva che sarebbe stata a pochi chilometri di distanza: più vicina di quanto lo sarebbe mai stata se entrambi fossero rimasti a Tokyo.
Entrò nel soggiorno e lo trovò addobbato per le feste imminenti: i custodi, come al solito, erano stati più solerti di quanto richiesto. Il fuoco era acceso e scoppiettava nel caminetto; l’albero di Natale brillava pieno di luci ed addobbi colorati in un angolo; il tavolo era imbandito con un centrotavola formato da pigne dorate, bacche rosse e rametti di pungitopo.
Si diresse verso la camera da letto per disfare la valigia e farsi una doccia calda: il lungo viaggio la reclamava. Si tolse i vestiti mentre faceva arrivare l’acqua. Si tuffò sotto il getto che scorreva fluido e caldo lungo il suo corpo portando sollievo ai suoi muscoli affaticati. La sua mente tornava, come sempre, ai momenti rubati passati con la sua ragazzina: in fondo quell’abbraccio innocente avvenuto lì a Nagano non era altro che la scintilla che gli aveva acceso il fuoco dentro.
C’era stato il momento in cui Maya aveva perso la voglia di vivere, così come quella di recitare. A causa sua. Aveva promesso a se stesso che le avrebbe ridato tutto: la gioia di vivere e la passione per il teatro. E come al solito, aveva corso il rischio fondato di essere odiato. Quando l’aveva trovata, febbricitante sotto la pioggia, portarla a casa sua e curarla era stato un tutt’uno; come lo era stato ammettere di amarla e baciarla.
Aveva paura dei suoi occhi. Ogni volta che aveva avuto un contatto più intimo con lei era stato perché i suoi occhi erano chiusi. A Nagano… a casa sua… nel vecchio tempio della Dea Scarlatta.
L’aveva avuta tra le braccia per tutta la notte. Maya si era stretta a lui per il freddo, sembrava tanto rilassata ed inerme contro il suo petto. Alle prime luci dell’alba si era concesso quello che probabilmente sarebbe stato l’ultimo bacio rubato al suo sogno, alla sua anima, alla sua amata. Aveva assaggiato le sue dolci labbra con lentezza, piano, con il timore che si svegliasse. Il suo addio. Lui era fidanzato e presto si sarebbe sposato. Quanto tempo sarebbe passato prima che Maya conoscesse l’amore?
Quando aveva visto lo spettacolo dimostrativo era giunto alla conclusione che il momento era giunto. Non sapeva di chi si fosse innamorata, ma doveva esserlo di qualcuno. Aveva visto i suoi occhi bruciare d’amore, passione e desiderio; li aveva visti sciogliersi nella tenerezza di un abbraccio; li aveva visti infrangersi nel dolore dell’addio al suo amato Isshin.
Quel giorno aveva deposto le armi. E la speranza.
Suo padre era morto prima che potesse compiersi la sua vendetta. Era riuscito a non sposarsi, ma non aveva più approcciato Maya in modo diverso da quello che si conveniva tra un produttore ed un’attrice di successo. Non era più una ragazzina; non vi sarebbero più stati battibecchi; non vi sarebbero più stati baci rubati.
Immerso nei suoi pensieri, aveva terminato la doccia, aveva indossato un morbido ed avvolgente accappatoio in spugna e si era affacciato alla finestra della camera.
A chi voglio darla a bere? Se sono qui oggi è perché lei non è lontana!
Non sarebbe mai riuscito a lasciarla andare. Gli aveva ridato la vita, non poteva morire di nuovo. Sarebbe stato sempre con lei tramite l’ombra scarlatta che l’aveva sostenuta quando Masumi Hayami non poteva farlo. Chiuso nel suo dolore non vedeva gli sguardi sofferenti che Maya gli lanciava, non poteva comprendere né concepire che la giovane donna si sentisse strappare il cuore ogni volta che l’incontrava.
Osservava le cime montuose completamente innevate. Alcuni puntini in movimento in lontananza testimoniavano che la stagione sciistica di Nozawaonsen era nel suo pieno fervore. Forse uno di quei puntini era Maya. Scosse il capo rassegnato. Era ridicolo! Se i suoi concorrenti avessero conosciuto il contenuto dei suoi pensieri avrebbe perso tutto il suo potere.
Sotto il sole invernale gli alberi brillavano per i cristalli di ghiaccio e per le gocce d’acqua che cadevano in terra. Tutto era così quieto, bianco e pulito!
Si stese sul letto e, nel tepore della camera, si lasciò andare ad un inquieto sonno.
Si svegliò in un bagno di sudore: l’aveva sognata, come sempre, ma stavolta Maya era in pericolo. L’aveva vista in una grotta esposta alla neve ed al gelo; stava cedendo al sonno. No… Non poteva essere! Era solo uno stupido sogno generato dai rumori della tempesta che infuriava fuori dalla finestra! Le cime degli alberi erano scosse fortemente dal vento; la neve cadeva fitta; la temperatura doveva essere scesa considerevolmente. Non si vedeva nulla a pochi metri dalla casa.
Scese nel soggiorno e ravvivò la fiamma nel caminetto. Restò in ginocchio lasciandosi ipnotizzare dalla ritmica eppur caotica danza delle fiamme. I loro bagliori rossi e gialli mandavano caldi riflessi alle pareti e si univano a quelli delle illuminazioni dell’albero. Sentiva il volto scottare, ma era una sensazione piacevole dopo il gelo che aveva provato durante quell’incubo.
Fu tentato di chiamare Mitsuki per scoprire in quale albergo Maya alloggiasse e sapere così se fosse o meno al sicuro: riconobbe che sarebbe stato da pazzi.
Appoggiò le due mani alla mensola del caminetto e, facendovi forza, si alzò. Si guardò intorno in cerca di un diversivo. Dopo un attimo di incertezza si diresse verso il tavolinetto dei liquori e si versò un dito di brandy. Forse sarebbe riuscito a tranquillizzarsi.
Mentre rigirava il liquido ambrato nel bicchiere e ne beveva un sorso di tanto in tanto udì un leggero bussare. Inizialmente pensò di essersi sbagliato, in fondo i rumori della tempesta di neve erano tanto forti da indurlo a credere di essersi confuso. Facendo più attenzione, tuttavia, si rese conto che il rumore si stava ripetendo con maggiore energia.
Si alzò pigramente dal divano di fronte al caminetto dove si era seduto e si diresse alla porta d’ingresso chiedendosi come mai i custodi fossero venuti a disturbarlo. Con noncuranza aprì l’uscio, accostandosi al collo i lembi del pesante maglione che indossava. Il vento lo investì in volto ed alcuni fiocchi di neve si impigliarono tra i suoi biondi capelli sciogliendosi quasi immediatamente.
Contrariamente a quello che si attendeva, si trovò di fronte un’anziana donna, di statura minuta, vestita con un pesante kimono, un cappello ed una sciarpa che dovevano proteggerla dal freddo. La sua prima, istintiva reazione fu chiedersi come avesse fatto ad oltrepassare il cancello che lui stesso aveva chiuso quando era arrivato. La seconda fu chiederle il motivo della sua venuta e se non avesse bisogno di riparo.
“La prego!” – iniziò la vecchia signora – “mi aiuti! Mio marito Heitaro ha trovato una giovane donna che si era rifugiata in una grotta per la tempesta. Noi siamo vecchi, non riusciamo a trarla in salvo. Venga con me!”
Masumi, con il gelo dell’incubo ancora nel cuore, velocemente prese il cappotto, si chiuse la porta alle spalle e seguì la vecchia. L’uomo teneva lo sguardo fisso sulla schiena della sua accompagnatrice che gli stava facendo strada. Pensava che doveva essere una coincidenza e che avrebbe sicuramente scoperto che non si trattava di Maya. Tuttavia, non poteva fare a meno di tremare con il cuore pesante ed oppresso.
Se l’avesse persa… se l’avesse persa senza aver mai veramente lottato… che ne sarebbe stato di lui?! Come avrebbe potuto continuare a vivere?
A margine notava il passo svelto dell’anziana donna. Aveva una postura ingobbita, si accompagnava con un bastone, eppure l’uomo faceva quasi fatica a tenerne il passo. In una decina di minuti raggiunsero una piccola grotta. Dalla cavità giunse la voce flebile di un uomo che chiamava: “Higo!”
“Siamo qui!” – rispose la vecchia.
Si avvicinarono e quello che Masumi vide all’interno lo immobilizzò! Maya era seduta con la testa appoggiata ad un fianco della grotta: sembrava dormire serenamente. Il colorito era buono, ma doveva comunque soffrire enormemente il freddo. Chissà da quanto tempo era in quello stato! Rischiava di andare in ipotermia!
Guardò l’anziano con espressione interrogativa. Il vecchio gli disse:
“Si è addormentata da poco. Gliel’ho concesso solo perché sapevo che mia moglie sarebbe tornata presto. La porti in casa, la riscaldi! Non corre nessun pericolo!”
Masumi non seppe perché, ma si fidò delle sue parole. Semplicemente gli sembrava che fosse necessario. Si inginocchiò vicino alla ragazza, la scosse provando a svegliarla, ma non sembrava voler sentire ragione. Continuava a dormire. La prese in braccio, se la strinse al petto e percorse a ritroso la strada che aveva fatto poc’anzi.
Non aveva tempo per pensare: se la sua mente avesse pensato che aveva in braccio il suo amore con un principio di ipotermia ne sarebbe uscito completamente pazzo.
Non pensava. Metteva semplicemente un piede davanti all’altro. Ancora. E ancora.
Non aveva neanche badato se i due vecchi coniugi l’avessero seguito o meno. Aveva dimenticato tutto! Tutto, tranne quel corpo immobile e muto tra le sue braccia. Gli sembrava indifesa come non lo era mai stata.
Un piede davanti all’altro. Ancora. E ancora.
Cosa sarebbe successo se non fosse riuscito a riscaldarla? Non poteva chiamare un medico perché, con quella bufera, non avrebbero funzionato nemmeno le linee telefoniche. Iniziò a pensare a come riscaldarla.
Un piede davanti all’altro. Ancora. E ancora.
Le avrebbe tolto gli abiti freddi. L’avrebbe avvolta in una calda coperta, abbracciata e sistemata vicino al fuoco. Non poteva fare altro.
Un piede davanti all’altro. Ancora. E ancora.
Sì, avrebbe funzionato! Doveva funzionare. Nient’altro importava!
Finalmente scorse le luci di casa sua! Aveva avuto l’accortezza di lasciarle accese, altrimenti in quel buio avrebbe trovato difficoltà ad individuarla.
Sempre tenendola stretta, entrò in casa e si chiuse la porta alle spalle. L’adagiò temporaneamente sul divano mentre ravvivava ancora il fuoco. La coprì con un plaid mentre lui arrivava in camera per prendere un suo pigiama.
Tornò in soggiorno. La osservò con più attenzione: indossava l’equipaggiamento completo da montagna. Sicuramente il berretto e l’abbigliamento pesante avevano contribuito a proteggerla dal freddo. Le gote erano fredde, come anche le mani una volta tolti i guanti. Tuttavia la situazione non gli sembrava più grave come aveva temuto. Forse era perché ora erano al caldo; forse perché, dalla sua espressione, sembrava semplicemente che dormisse; forse perché, ora, l’aveva lì con lui.
Iniziò a toglierle gli strati sovrapposti di vestiario. Ad ogni movimento, Maya sembrava emettere dei leggeri mugugni, ma non si svegliava. Alla fine restò solo con una semplice canotta bianca e la biancheria intima. Masumi arrossì portandosi una mano alla bocca: si rese conto che se voleva scaldarla avrebbe dovuto passare del tempo abbracciato con lei. L’aveva già fatto nella notte al tempio, ma erano passati due anni e Maya non gli era mai apparsa tanto sensuale e desiderabile: il piccolo corpo snello e proporzionato, la leggera curva dei fianchi, il seno piccolo ma stranamente invitante, la dolce linea del collo, la pelle vellutata. Tutto concorreva a renderla seducente.
Maya si mosse leggermente. L’uomo si riscosse dalla sua contemplazione e fugò ogni dubbio che l’aveva colto in quei pochi attimi. La vestì con il suo pigiama riscaldato dal fuoco e l’avvolse in una coperta. A sua volta, tolse gli abiti con cui era uscito, indossò un morbido paio di pantaloni di felpa e si adagiò con lei sul divano, coprendo entrambi con la coltre.
Se l’era sistemata sopra, petto contro petto; le sue braccia che l’allacciavano; le sue gambe che l’accoglievano; il suo cuore che batteva per lei; i suoi occhi che scrutavano ogni singolo e minuscolo movimento che aleggiava sul suo viso.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Era ormai giunta la notte: Masumi non aveva tolto gli occhi dal suo volto. La teneva, ogni tanto le dava una leggera carezza lungo la schiena. Sembrava dormire un sonno tranquillo, ignara di cosa la circondava e di dove si trovava. L’uomo osservava i lunghi capelli scuri sparsi intorno al suo volto e sul suo petto: lo solleticavano  appena ad ogni lieve movimento. Scrutava le lunghe ciglia adagiate sulle gote rosate. Vedeva il lieve sorriso sulle sue morbide labbra: quanto avrebbe desiderato assaggiarle ancora! Gli sembrava che fosse passata un’eternità dalla notte al tempio. Ascoltava il tenue respiro del suo riposo: era un suono che lo tranquillizzava nel silenzio della stanza interrotto solo dal crepitio del fuoco che ogni tanto provvedeva a ravvivare cercando di muoversi il meno possibile.
In quelle ore in cui l’aveva riscaldata e tenuta al sicuro tra le sue braccia si era interrogato spesso su cosa sarebbe successo al suo risveglio. Come avrebbe reagito Maya ritrovandosi a dormire tra le sue braccia? L’avrebbe allontanato e disprezzato? Forse l’avrebbe anche schiaffeggiato. Avrebbe ricordato cosa stava facendo prima di cadere nel sonno indotto dal gelo? E… avrebbe riconosciuto l’ambiente in cui si trovava?
Erano tutti interrogativi che lo stavano assillando e a cui non sapeva dare risposta. Quando si sarebbe svegliata, avrebbero dovuto affrontare tutto quanto c’era di sospeso tra loro: il segreto dell’ammiratore… i reciproci sentimenti.
Preso da quelle riflessioni le diede un’altra carezza inconsapevole lungo la schiena. La ragazza si mosse leggermente e mugugnò qualcosa. Il momento stava per giungere. I suoi occhi, che tanto lui temeva, si stavano infine per schiudere.
Masumi fuggì come aveva sempre fatto in quegli anni: chiuse i propri e finse di dormire. Sperava che, mostrandosi inoffensivo, almeno non lo prendesse a schiaffi!

“Maya, quando giungerà il momento, abbia fiducia nel suo amore e coraggio nel cuore. Si fidi di me. Io sono Heitaro.”
Mentre Maya tornava ad essere cosciente, dopo quello che sembrava essere stato un lungo sonno ristoratore, fu questa frase il primo ricordo che la colse. Subito dopo ricordò l’immagine del vecchio che se ne stava tranquillo nella bufera di neve che li aveva colpiti. Ricordò di essersi addormentata nel freddo della caverna. Ebbe l’impressione che qualcosa l’avesse riscossa dal sonno. Come mai non sentiva freddo? Ancora immersa nelle brume del sonno, si aggiustò meglio nel bozzolo protettivo in cui si trovava.
Pian piano che la coscienza prendeva il posto del vuoto, si rese conto di varie cose. Non si trovava all’aperto ma in una stanza calda, dove sembrava crepitare allegramente un fuoco: ne sentiva il calore lieve e ristoratore sul viso. Sentiva due braccia che la tenevano ed un lieve respiro che non era il suo: con chi era? Chi l’aveva tratta in salvo?
Allarmata si puntellò con i gomiti su quello che scoprì essere un divano e si alzò con il busto aprendo gli occhi. Quello che vide le tolse il fiato.
Era tra le braccia del signor Hayami: dormiva mentre l’abbracciava. Arrossì vistosamente e distolse lo sguardo. Si trovava di fronte ad un caminetto acceso, in un soggiorno addobbato a festa che le giungeva familiare. Cercò di concentrarsi su quello, tentando di non pensare all’uomo. Perché le sembrava familiare? Osservò meglio il tavolo, le tende, gli scaffali, le scale, i quadri alle pareti: era la villa di Nagano dove aveva conosciuto Helen Keller. Ecco perché anche il lago le era familiare! L’aveva visitato anni prima, in quella lunga estate, prima di rifugiarsi in un mondo buio e silenzioso.
Tornò a voltare lo sguardo verso l’uomo. Sovrappensiero fece scorrere la punta delle dita lungo il contorno del suo viso, dalla tempia al mento.
Senza saperlo, villeggiando a Nozawaonsen, si era avvicinata al luogo in cui l’aveva abbracciato per la prima volta. I suoi occhi si illuminarono di tenerezza. Come mai si trovava lì? Come aveva fatto a trovarla e a trarla in salvo?
Nella sua mente risuonarono chiare le parole del vecchio Heitaro: “Abbia fiducia nel suo amore e coraggio nel cuore!”. Si chiese se il vecchio non fosse veramente lo spirito della leggenda e se non avesse creato quell’occasione per farli incontrare. Doveva scoprirlo.
Osservava il volto dell’uomo addormentato sotto di lei. Ne guardava i capelli biondi leggermente sparsi sul cuscino, le labbra morbide appena socchiuse, gli occhi abbassati. Provò il desiderio irresistibile di baciarlo. Chissà come si sarebbe sentita…
Con una mano si spostò una ciocca ribelle di capelli dietro l’orecchio. Inspirò indecisa. Si avvicinò lentamente al volto del giovane e piano, senza fretta, appoggiò le sue labbra su quelle dell’altro. Si staccò per qualche secondo.
Voleva un altro piccolo assaggio, ma cosa sarebbe successo se il signor Hayami si fosse svegliato? Come avrebbe reagito? L’avrebbe derisa? Memore del dolore che aveva patito fino a quel momento, decise di correre il rischio. Almeno per qualche altro minuto.
Dolcemente assaggiò le sue labbra ancora, e ancora. Un lungo sospiro la interruppe.
Si stava svegliando! Doveva smettere o sarebbe stato troppo tardi! Fece per allontanarsi, ma una grande mano si era alzata fino alla sua nuca, intrecciandosi ai suoi capelli e trattenendola vicina.
“Ti prego… non fermarti! Non lasciarmi…” – si sentì dire. Come era calda e carezzevole la sua voce! Sembrava manifestare un’urgenza che la ragazza ancora non conosceva.

Masumi rimase immobile mentre sentiva i lievi movimenti della ragazza che tornava alla realtà. Finalmente si stava svegliando. Era stato in ansia temendo che il freddo avesse fatto più danni di quelli apparenti.
La sentì respirare profondamente mentre, piano, si svegliava. Colse bene il momento in cui Maya si rese conto di non essere da sola: la sentì alzarsi di scatto puntellandosi sul divano. Ora sarebbe giunto il terremoto: lo sapeva, non poteva sfuggire. Attese, ancora immobile, l’arrivo delle sue vivaci proteste. Attese, ma non arrivò nulla.
Si chiese quale poteva essere il motivo. La sentiva sempre nella stessa posizione. Forse si stava guardando intorno. Avrebbe riconosciuto la villa dove aveva provato anni prima?
E questa? Cos’era, una carezza?
Un tocco gentile aveva percorso il suo volto. Non riusciva a crederci. Maya non solo non lo stava aggredendo, ma lo stava addirittura carezzando in un muto ringraziamento.
Continuò a far finta di dormire. Non voleva rompere quell’incantesimo. Non voleva bisticciare. Non voleva incontrare i suoi occhi. Non ancora.
La sentì muoversi ed avvicinarsi. Colse il suo respiro sul volto. Le lunghe ciocche dei capelli gli solleticavano la pelle. Non sapeva cosa aspettarsi, ma quello che accadde non sarebbe stato neanche in grado di immaginarselo. Sentire le dolci labbra della ragazza, che in due occasioni aveva assaggiato di nascosto, posarsi sulle proprie in un timido bacio lo emozionò ancor più della dolce carezza di poco prima.
Il suo povero cuore perse un battito per poi iniziare a correre all’impazzata. Lo sentiva battere contro il petto e tuonare nelle orecchie. Come era successo? Maya lo stava baciando. Perché? Possibile che anche la giovane fosse presa dai suoi stessi timori e che, per questo, stava ricorrendo a quell’attimo rubato?!
La sentì scostarsi e avvertì amara la perdita di quel contatto. Voleva baciarla ancora, ma non sapeva come fare. Mentre ancora si interrogava sul da farsi, Masumi capì che la donna stava riavvicinandosi.
Assaggiò le dolci e timide labbra che lo accarezzavano e si lasciò sfuggire un lento sospiro di insoddisfazione: voleva di più. E quel sospiro fu la causa del suo allontanamento: doveva essersi spaventata. Ormai incapace di trattenersi, allungò una mano per afferrarle la nuca e con voce implorante la supplicò:
“Ti prego… non fermarti! Non lasciarmi…”
Sentì che Maya non si stava più allontanando, ma non sembrava avesse intenzione di baciarlo ancora. Provò a socchiudere leggermente gli occhi, senza incrociarli con quelli di lei. Tenendo salda la stretta della sua mano, avvicinò il proprio volto a quello della ragazza. Questa volta fu lui a baciarla, assaporandola, accarezzandole le labbra con dolci baci brevi e delicati. Maya non si ribellò, anzi. Masumi sentiva che stava rispondendo, prima timidamente e poi sempre più appassionatamente. L’udì gemere appena. Si fermò e si scostò, la mano sempre al suo posto, mentre con lenti movimenti le solleticava il collo.
Finalmente aprì gli occhi, trovando il coraggio di affrontarla. Quelli zaffiro si tuffarono in quelli di caldo cioccolato: i due desideri si fusero. Quello che riconobbero, l’una negli occhi dell’altro, erano i propri sentimenti: emozioni soppresse, desideri svelati, passioni indomabili, fuoco dirompente.
“Maya…” – gemette l’uomo ed iniziò un morbido nuovo bacio. Un leggero tocco umido che si approfondì rapidamente, stimolato dalla risposta passionale della donna. L’altra mano di Masumi si insinuò sotto il pigiama della ragazza ad accarezzare i lembi di pelle bollente che riusciva a raggiungere.
Maya si rilassò sul suo petto, incapace di resistere oltre a quell’assalto di passione. Le piccole mani che fino a quel momento erano puntate sul divano, ferme ed immobili, inesperte ed inconsapevoli si spostarono sul suo petto liscio.
Lo sentì sospirare. Era stata lei? Le sue carezze avevano avuto quell’effetto?
Mentre rispondeva al suo bacio, schiuse leggermente le labbra: era il segnale che l’uomo attendeva per approfondire il contatto. Con emozione, Maya sentì la lingua del signor Hayami farsi strada e cercarla in un duello sensuale.
Le sue braccia lo allacciarono intorno alle spalle, aggrappandosi a lui; un gemito; un sospiro; un lungo bacio.
“Signor Hayami…” – Maya sembrava non avere più forza.
“Il mio nome… Ti prego, chiamami.”
La sua richiesta era tanto dolce che fugò ogni imbarazzo… ogni formalismo.
“Masumi…” – sospirò. Lo guardò negli occhi: quello sguardo, di solito tanto scostante, era una fucina incandescente! Si chiese dove avesse nascosto tutta quella passione e come poteva essere stata lei a risvegliarla.
“Ancora!” – le ingiunse dolcemente.
“Masumi…” – lo pregò di rimando.
Mentre una mano continuava ad accarezzarle la schiena, quella ferma sulla sua nuca si spostò fino alla guancia. Il pollice sfiorò appena le sue labbra rosse e gonfie dei loro baci. Ancora uno ed un altro ancora.
“Cosa vuoi, Maya? Dimmelo! Ho bisogno di sentirtelo dire…” – la sua voce, un dolce e roco comando.
Maya vi sentiva l’urgenza che era nel suo stesso cuore:
“Voglio te! Amo te! Sempre… solo te!” – sospirò sulla sua bocca.
Una lacrima si affacciò negli occhi di zaffiro dell’uomo. Era la sua anima che manifestava la sua gioia.
“Maya, ti ho aspettata una vita intera!” – e prese a divorarle le labbra. Gli argini erano rotti. Non era tempo di parlare, né di chiarire. La passione ed il desiderio reciproci li stavano divorando. Con un movimento fluido, Masumi si girò sul divano portandola con sé. Ora Maya sentiva gravarle teneramente addosso il peso dell’amato. Sentiva le sue mani carezzarle la nuda pelle che veniva gradatamente scoperta, sentiva i loro respiri affannati confondersi nel silenzio della stanza. Sentiva la sua bocca percorrere strade infuocate sulle sue spalle, lungo la linea del collo, tra i suoi seni. Ad ogni carezza, Maya rispondeva con un brivido. Ad ogni carezza della ragazza, Masumi dava un sospiro. I loro corpi sembravano conoscersi meglio di quanto non si conoscessero loro stessi. Come avevano potuto ignorarsi per tutto quel tempo e come erano riusciti a non ascoltare il richiamo del loro cuore e dei loro sensi erano domande che non trovavano risposta.
Si amarono con tutta la frenesia del bisogno, prima, e con tutta la tenerezza della scoperta, poi.
Rimasero allacciati: le dita intrecciate, le gambe fuse, petto contro petto, i respiri univoci.
Si addormentarono senza proferir parola, finalmente certi che il nuovo giorno sarebbe giunto finalmente sereno.

Qualche ora dopo, Masumi aprì gli occhi svegliato dal bagliore delle prime luci dell’alba che entravano dalle grandi vetrate sul terrazzo. Il suo sguardo corse al volto di Maya, ansioso di ricevere conferme su quello che era avvenuto in quella notte di Natale. Come era stato possibile quel miracolo non riusciva a capirlo. Con la mano le scostò alcune ciocche di capelli dal viso. Dormiva serena, con un dolce sorriso che le aleggiava sul volto.
Continuò ad accarezzarla finché non vide il capo alzarsi dal suo petto ed i suoi occhi schiudersi lentamente.
“Ragazzina…” – disse solo, la voce carezzevole come le sue dita.
Maya mise a fuoco e si aprì ad un sorriso abbagliante quanto la neve colpita dal sole.
“Masumi…” – chiamò semplicemente.
“Cosa c’è?! Non ti dà più fastidio che ti chiami in quel modo?” – chiese ammiccante.
La ragazza, presa da una nuova sicurezza, rispose:
“No. Ho capito stanotte…” – si bloccò arrossendo – “che ogni ‘ragazzina’ è stata una tua dichiarazione d’amore. Non dovresti più nasconderti, ormai, no?”
Il grande palmo della mano dell’uomo le accolse il volto in una calda carezza:
“E’ così allora. Hai capito? Sapevo che non avrei dovuto portarti in questa casa. Ma ieri sera… non ho avuto altra scelta!”
“Mi spiace deluderti… ma già da un bel pezzo sapevo chi eri. Non hai notato come non ti abbia più attaccato nell’ultimo anno? E anche prima, era più la gelosia a farmi parlare, che l’astio vero e proprio…” – confessò d’un fiato.
“Ah sì?” – si avvicinò al suo viso, divorandone ancora una volta le labbra. Non voleva correre il rischio di dimenticarne il sapore.
“Sì” – sospirò. Poi Maya ricordò un particolare e si staccò d’un baleno.
“A proposito” – chiese – “come mi hai trovata?”
“E’ una cosa strana. Una vecchina è venuta a bussare alla mia porta dicendo che suo marito aveva trovato una ragazza in una grotta. Ora che mi ci fai pensare, dopo che ti ho preso in braccio non li ho più visti. Chissà dove si sono rifugiati…”
Presa da un dubbio, Maya l’interrogò: “Ti ha forse detto come si chiamava?”
“Non posso dirlo con certezza” – rispose lui portandosi una mano ad accarezzarsi il mento con fare pensieroso – “ma mi pare che il marito l’abbia chiamata ‘Higo’!”
“Allora… erano veramente loro!!” – disse incredula la giovane donna.
“Di chi parli?” – chiese curioso.
Maya gli recitò la filastrocca che aveva letto alla pensione.
“Magari è stata una coincidenza…” – cercò di ragionare l’uomo.
“No, non penso. Troppe cose sono andate bene per essere una coincidenza. Io che ho raccontato inconsapevolmente il dolore del mio cuore infranto” – la sua piccola mano cercò quella grande di lui – “e mi sono convinta a seguirlo anche quando il tempo non prometteva niente di buono; la caverna vicino alla villa…”
“Va bene, va bene, mia sognatrice. Hai ragione tu!” – e l’attirò a sé.

Una settimana dopo, Nagano, Teatro Centrale Daito…    
Il sipario si alzò per la ribalta dei protagonisti de ‘La Dea Scarlatta’.
Era stato un successo apprezzato da tutto il pubblico, che si era alzato in piedi in una lunga ovazione. Maya era stata sublime. Ora guardava raggiante un posto nella fila S che di solito era deserto, contrariamente a quella sera.
Sakurakoji seguì il suo sguardo e, stupito da quel che vide, l’interrogò:
“Ma quello non è il posto che riservi sempre invano al tuo ammiratore?”
Senza distogliere lo sguardo dagli occhi felici di Masumi rispose:
“Infatti!”
“Come mai stasera non l’hai riservato a lui? Hai finalmente rinunciato?” – chiese speranzoso.
“No, Sakurakoji. Il posto è riservato anche stasera al mio prezioso ammiratore…”
“Ma allora…” – si interruppe lasciando scorrere più volte lo sguardo da Maya al signor Hayami e viceversa – “Ma veramente?”
La sua domanda non trovò risposta. D’altra parte, non ve n’era bisogno.

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