Vite Incidenti

di Daniele_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pioggia ***
Capitolo 2: *** Diavolo ***



Capitolo 1
*** Pioggia ***


 Pioggia
 
Una mattina di fine giugno una torrenziale pioggia cominciò a cadere sull’Europa fin dall’alba. Il cielo plumbeo inglese impedì al sole di inizio estate di irraggiare gli splendidi monumenti della capitale e di altre città storiche. A Manchester in una lussuosa villetta di periferia i raggi non penetrano attraverso le finestre di vetro smerigliato, lasciando il proprietario dormire su un soffice letto stile tardo Ottocento.
Quel mattino nessuno aveva intenzione di alzarsi, indossare un impermeabile e aprire un logoro ombrello. Tuttavia il proprietario di quella villa alle dieci di mattina venne destato da un terribile suono, di gran lunga peggiore di quello di una sveglia: il suo Blackberry, fiammante d’acquisto, stava suonando senza fornire la minima speranza di vederlo interrompere quel dannato rumore.
«Chi cazzo è a quest’ora del mattino?».
Lanciata una sfuggente imprecazione, il robusto uomo dalle larghe spalle e da un’abbronzata carnagione spostò il proprio corpo verso la sua destra per poter afferrare l’odiato cellulare. Appena dopo aver scorto il nome di colui che aveva interrotto il suo sonno, imprecò nuovamente e rispose adoperando il vivavoce.
«Luke, che diamine vuoi? Non avresti potuto chiamarmi più tardi?»
Dal nero Blackberry uscì fuori una voce squillante, dal tipico accento americano al cui suono chiunque avrebbe rabbrividito. «Che diamine voglio, Axel? Ti rammento che, se non ti avessi offerto ogni aiuto possibile, adesso non avresti mai potuto ascoltare ciò che sono in procinto di annunciarti».
A quel punto l’attenzione di Axel crebbe, al punto tale da disattivare il vivavoce e porre il suo fiammante cellulare, con un rapido movimento, all’orecchio destro. Anche quella volta Luke aveva pertanto compiuto il suo lavoro, come sempre. Anche se meglio di quanto il muscoloso uomo potesse mai immaginare.
«Mi hai già trovato una squadra? Bene. Anzi, direi ottimo, se non mi avessi svegliato. Mi ero tranquillamente appisolato dopo una faticosa nottata. Forza, dunque. Spara questo nome. Spero che tu possa non deludermi. Sai, dopo aver militato in una squadra come…».
Luke interruppe il monologo del suo assistito pronunciando un nome che, quasi come il solo udirne fosse in grado di sterminare interi eserciti pronti alla guerra, fece rabbrividire Axel, che per la prima volta nella sua vita si sentì piccolo.
«Come è possibile?» disse, agitato ed emozionato al tempo stesso, «Dopo tutto quel che è successo appena un mese fa? E i giornali hanno scritto che sono interessati ad acquisire anche Sanchez e Drago, oltre al già tesserato Fabregas. Dai, è impossibile».
«È più che possibile, Axel. Credimi. Sempre se deciderai di farla finita con queste serate in discoteca fino a notte fonda e a questi festini che hanno quasi rovinato la tua reputazione» tuonò Luke.
«Ma è nel mio DNA. Non potrò mai rinunciarvi».
«Dovrai farlo invece. O cambi o cambi».
 
 
Numerose primavere erano trascorse lentamente ma inesorabilmente da quando Gustavo, settantenne in pensione da dieci anni, era nato un lontano giorno piovoso di fine autunno. La grande passione del calcio lo aveva infettato fin da giovane età, quando il suo unico passatempo non era terminare l’ultimo sparatutto rinunciando perfino di uscire, ma organizzare una partitella con quanti ragazzi possibili. Il tempo passò. Anno dopo anno la condiziona fisica di Gustavo peggiorò. Il suo sogno di diventare calciatore professionista si era interrotto all’età di quattordici anni, quando più nessun club lo promosse ad un provino.
Tuttavia un sogno non può essere trascurato. Gustavo adorava il calcio e voleva lavorare in quel mondo che poteva assaporare soltanto andando allo stadio alla domenica o guardando 90° Minuto. E riuscì a diventare un osservatore di giovani talenti.
Passò intere giornate, afose e tempestose, sotto il cocente sole d’estate o la neve d’inverno ad osservare la nascita di nuove stelle o il flop di promesse rivelatesi meteore.
In pensione continuò a seguire il calcio internazionale, specialmente quello giovanile. Sua moglie Ottavia gli aveva sempre permesso, da quarant’anni, di dedicarsi alla sua unica, non misurabile passione.
Il 22 giugno 2011 era seduto sulla sua soffice poltrona di seta verde, intendo ad osservare il telegiornale delle 13. Un’avvenente donna sulla trentina, terminato di illustrare le problematiche finanziarie degli ultimi giorni, mostrò ai telespettatori un servizio sugli esami di maturità che la mattina i giovani liceali avevano affrontato.
« “Una dura prova è stata sottoposta oggi agli aspiranti maturandi, costretti a doversi districare fra diverse tracce. Molti ragazzi hanno preso la decisione di svolgere un saggio breve partendo dalla frase Nel futuro ognuno sarà famoso per 15 minuti di Andy Warhol, ma i più arditi hanno osato cimentarsi nell’analisi della poesia Lucca di Giuseppe Ungaretti o ad affrontare l’intricata traccia storica Destra e sinistra. Oltre a ciò, sono stati proposti anche il saggio Amore, odio, passione, presentato con brani di Verga, D’Annunzio e Svevo e i tre dipinti Il bacio di Klimt, Ettore e Andromaca di De Chirico e Gli amanti di Picasso; chiude la prima prova la tematica alimentare con la domanda Siamo quello che mangiamo?.
« “Sentiamo ora però i commenti di alcuni giovani.”
« “Le tracce della prima prova hanno soddisfatto le tue aspettative?”
« “Sinceramente pensavo che sarebbe stata proposta una traccia sui 150 anni dell’Unità d’Italia o sulla beatificazione di papa Giovanni Paolo II, ma tutto sommato è stato interessato svolgere un tema su forti tematiche come l’amore e la passione, unite all’odio.”
« “Quale traccia avete scelto?”
« “Senza dubbio quella sulla celebrità dei 15 minuti. Non ho neanche letto le altre, spero di uscire con un bel 60”
« “Ho cercato di scrivere il saggio sulla destra e la sinistra, ma infine ho preferito analizzare la poesia di Ungaretti, avendola già letta in classe durante l’anno.”
« “Sei soddisfatto della tua prova?”
« “Diciamo abbastanza, ho avuto qualche difficoltà ma tutto sommato ho avuto più paura di quanto fosse necessario.”»
Gustavo aveva sempre odiato la scuola. Allo stesso tempo, tuttavia, sosteneva che senza un’istruzione nemmeno un calciatore avrebbe potuto sfondare. Si può tranquillamente essere in grado di compiere rovesciate a mezz’aria o finte e doppie finte, ma senza educazione, buone maniere e consapevolezza del vivere insieme nessuno nel mondo trova una lunga strada da percorrere; anzi, viene ben presto fermato e costretto alla retromarcia.
« “Fra gli aspiranti maturandi siamo riusciti ad incontrarne uno particolare, un diciannovenne che, a differenza dei suoi coetanei, è ormai conosciuto in mezza Europa. Parliamo di Paolo Drago.”»
 
 
«Ti farò avere notizie appena possibile, te lo assicuro».
«Ok, grazie Luke. Ci sentiamo».
Axel pose termine alla telefonata e appoggio il suo Blackberry nuovamente sul tavolino. Non aveva la forza di alzarsi e di guardare la pioggia.
Era già passato quasi un mese da quel 28 maggio, data in cui aveva giocato la partita d’addio con il suo attuale club che, tuttavia, lo teneva vincolato fino al 2016 con un contratto di ferro. La possibilità che in quel momento gli si presentava davanti era davvero l’unica per lasciare l’Inghilterra e tentare una nuova avventura. Però Luke era stato chiaro.
«O cambi o cambi».
Luke però non desiderava cambiare. Assolutamente.
Secondo lui la vita di ogni persona è come una retta disegnata con una matita su un foglio bianco di dimensioni infinite. È compito di ciascuna persona definire la linea personale, rendendola retta il più possibile grazie alle sue qualità e abilità.
Fino a quel momento Axel si era dimostrato all’altezza: non aveva mai permesso alla sua retta di prendere una direzione differente da quella che le aveva imposto. Adesso però tutto era diverso. Tutto.
 
 
Gustavo si accorse che la fronte era improvvisamente diventata madida di sudore.  Istintivamente si alzò, permettendo al morbido cuscino rosa di riassumere la forma naturale conferitagli da una macchina e non dalla natura, e si diresse verso la finestra. La aprì, benché piovesse a dirotto, porgendo la testa al suo esterno e lasciando scorrere gocce d’acqua lungo il proprio viso, sconvolto. Il nome pronunciato dalla giornalista aveva rovinato quella giornata iniziata così bene al bar, accompagnata da un caldo croissant e da un caffè amaro.
Il suo lavoro gli aveva insegnato come nessun altro quanto nella vita fosse semplice scegliere una strada sbagliata e dirigersi verso un dirupo. Sfortunatamente, come un esperto di casistica, se interpellato, potrebbe affermare, solitamente la via che conduce al dirupo viene costruito ad arte da alcune persone che non si intendono affatto di arte e il cui unico scopo è di pensare al lato economico della propria arte.
In quel frangente sua moglie non era in casa ma era uscita in direzione del mercato rionale mattutino in compagnia di una sua cara amica e con ogni probabilità si era trattenuta in una conversazione senza limite. Fu l’unica nota di sollievo, in quanto nessuno avrebbe potuto prenderlo per pazzo.
Perché egli pazzo non era. O forse lo era.
Però sapeva due cose.
La prima, che quella prima intervista a Paolo Drago non sarebbe stata l’ultima ma il principio della strada ciottolata che avrebbe condotto al dirupo.
La seconda, che Paolo Drago era suo nipote.
 
 
Indossare i Ray-ban in una giornata piovosa purtroppo non avevano consentito al giovane Paolo di sfuggire inosservato ai pressanti giornalisti, che affamati di prede come avvoltoi avevano riconosciuto sine mora la succulente carne da gustare e vi si erano fiondati ad ali spiegate. Il ragazzo, stressato per le quattro ore consecutive seduto a scrivere un saggio breve riguardo alla breve popolarità di ogni persona nel futuro, tolse sconsolato gli occhiali da sole, attendendo l’arrivo dei cacciatori.
L’agente Mario D’Angeli era stato preciso nelle sue raccomandazioni: avrebbe dovuto evitare di fornire qualsiasi sicurezza percentuale su un suo approdo in un club di Serie A o di Liga Spagnola. Era ovvio che i meglio informati fossero a conoscenza di dove si sarebbe recato appena fosse stato possibile, ma niente era stato ufficializzato e l’improvviso intervento nei giochi da parte della squadra campione d’Europa in carica aveva agitato le acque della piatta marina.
Il desiderio della fama ha preso il sopravvento, al giorno d’oggi, sulla felicità per la gratificazione dei propri valori; quindici minuti trascorsi nella sala centrale della casa del Grande Fratello sono diventati un traguardo per ogni giovane. La situazione non appare così diversa dalla corruzione dei costumi di Roma che portò all’insorgere di uomini politici come Catilina.
Quella mattina aveva iniziato così il suo saggio. Senza alcuna citazione al mondo del calcio.
«Buongiorno, Drago. Siamo lieti di incontrarla».
L’entrata nell’occhio del ciclone interruppe i suoi pensieri.
 
 
Axel odiava la pioggia. Cadere nel fango dei campi inglesi e rialzarsi sporco di melma marrone era un’esperienza terribile da vivere ogni volta che in Inghilterra la legge della condensazione trasformava le nuvole in acqua. Nel giardino interno alla sua villa, adorno con statue bianche di armo costruitegli personalmente da rinomati artisti internazionali, si era concesso per una volta il lusso di guardare il cielo. Non lo aveva infatti più osservato da una lontanissima notte a Monaco di Baviera nel 1997.
Quella mattina a Manchester scese più acqua di quanto fosse prevista.
 

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Capitolo 2
*** Diavolo ***


Diavolo
 
«Avete forse intenzione di vincere le Olimpiadi di lentezza? Diamine, sembra che stiate passeggiando con la vostra fidanzata per le strade di Barcellona».
Ventitré ragazzi di circa quattordici anni erano al quindicesimo giro del campo da calcio e il loro allenatore non era ancora soddisfatto del loro riscaldamento. La pioggia del giorno prima aveva reso il terreno un teatro da battaglie di fango e non era raro che quel giorno alcuni giovani scivolassero durante la loro irrefrenabile corsa e venissero puniti con una serie aggiuntiva di addominali da scontare al termine dell’allenamento.
Yago era la riserva del difensore titolare della squadra ed era definito da tutti i conoscenti il giocatore che non era e non sarà. Peccava in doti tecniche ed atletiche e non sarebbe stato visto in alcuna altra panchina se non in quella della squadra del suo piccolo borgo vicino a Barcellona, dove poco numerosi erano i bambini prodigio. Poco numerosi, ma non assenti. Il suo compagno e migliore amico, Rey, aveva già attirato le attenzioni del Real Madrid, ma difficilmente il giovane avrebbe voluto tradire la propria fede calcistica, specialmente dopo quanto accaduto nel maggio dello stesso anno.
Quel giorno Yago era già rovinosamente caduto a terra due volte e altrettante volte era stato severamente redarguito dall’allenatore dall’accento basco. Quando venne spinto da un compagno piuttosto spiritoso e non fu in grado di evitare l’ennesima pozzanghera di fango, con la testa immersa nella melma udì il rumore dei passi del suo mister farsi sempre più nitidi finché il suo sedere si trovò a resistere alla forza dei piedi stessi del robusto e possente uomo. Egli non riuscì tuttavia a sferrare più di tre colpi; prima del quarto Rey lo aveva già scaraventato a terra nella stessa fanghiglia e gli aveva afferrato il collo.
 
 
«Non agitatevi, se avete prenotato il posto non avete nulla da temere. Calma, calma. Rispettate la fila e sarete sicuri di entrare prima che Goily inizi la conferenza».
Neanche in occasione di una finale di Champions League si era mai vista una tale orda di giornalisti come quella presente alla conferenza dello scrittore Dean Goily, il quale aveva recentemente pubblicato il suo ultimo capolavoro, Daimon, dopo essere diventato noto in tutto al mondo per i bestseller Scream e Fighting. La minuziosa analisi psicologica di ogni personaggio, sia i protagonisti sia le comparse, aveva colpito anche i lettori dai palati più fini; su Internet la pagina di Wikipedia a lui intitolata riceveva ogni giorno migliaia di visite e su ogni sito recensioni dai voti straordinariamente alti erano scritti riguardo alle sue opere. Era apparso sulla scena mondiale da oltre dieci anni ma la sua fama non pareva arrestarsi né diminuire.
I poliziotti londinesi odiavano le conferenze stampa di presentazione degli scritti di Dean: ogni volta si verificano risse fra giornalisti e mantenere l’ordine risultava un compito estremamente difficoltoso. Due o tre ambulanze erano sempre allarmate per eventuali interventi che solitamente dovevano essere effettuati.
Dopo che il 23 giugno 2011 la folla riuscì ad entrare nell’ampia sala che tuttavia pareva piccola rispetto all’esagerato numero delle persone lì radunate, un grido di acclamazione si levò non appena Dean Goily, vestito come suo solito con una camicia a strisce blu e azzurre e una cravatta viola, apparve al cospetto dei presenti.  Il silenzio venne ottenuto soltanto quando lo scrittore si fu seduto ed ebbe sarcasticamente pronunciato: «Ma in quanti diavolo siete venuti per un libro che avete appena comperato in libreria qualche giorno fa e che non avete nemmeno letto visto il poco tempo disponibile?”.
Dopo una risata distensiva, i giornalisti abbandonarono fra i ricordi i recenti litigi che avevano turbato i loro animi ed estrassero da zaini e marsupi i fedeli blocnotes e le penne dalle tinte più variegate, ma con l’unico scopo di essere funzionanti.
«Allora?» chiese il sagace Dean, «Vi siete menati per restare zitti o per sentire parlare uno che non è in grado di mettere in fila quattro parole consecutive? Suvvia, lei in prima fila, lei che si sta asciugando i sudori con quel fazzoletto a pois giallorossi. Si alzi e ponga una domanda. La ponga ora o mai più. Il suo vicino già scalpita per rubarle tale privilegio – o sfiga, a seconda dei punti di vista».
Mentre una seconda e non ultima risata si diffondeva nella sala conferenze, il giornalista di mezz’età, non più abituato a sostenere una rissa iniziale per ottenere l’accesso e stanco del lavoro che da giovane aveva sognato, riposto il fazzoletto diventato oggetto di ilarità nella tasca destra dei suoi jeans, si alzò e si rivolse al sorridente scrittore: «Signor Goily, innanzitutto…».
«Una persona che inizia un discorso con un innanzitutto sciuperà un sacco di tempo prezioso che sarebbe stato utile per altri. Si sieda e si alzi lo scalpitante vicino».
In un’occasione diversa il giornalista avrebbe lanciato una bestemmia e si sarebbe avventato sul volto del suo antagonista, ma di fronte al più famoso autore britannico fu costretto a sedersi rosso in volto, pronto a subire altre ingiurie senza potersi difendere, mentre il resto del pubblico si divertiva come se fosse in un circo durante lo spettacolo di un clown.
 
 
Paolo sentì il suo Nokia 500 emettere un lieve bip e, dopo averlo preso in mano, lesse il messaggio che aveva appena ricevuto.
Stasera vieni in disco? Potrai pur chiedere al mister un giorno libero, no? Ti aspettiamo. Rob.
Il solo pensiero di quanto quel cellulare potesse essere costato a suo nonno trattenne la sua mano dallo scagliarlo a terra e vederlo frantumarsi in vari pezzi. Digitò rapidamente un Mi dispiace ma il calcio per me è lavoro. Parto da Torino. Ci si rivede all’esame. Ciao. e tentò di dimenticare, quella volta come le precedenti. Era sicuro che nessun ragazzo avesse mai rifiutato a partecipare a tante feste e serate in discoteca come lui, ma il calcio da passione si stava trasformando a mestiere e, se fosse sceso dal treno in quel momento, non lo avrebbe più rivisto a nessuna stazione.
Il treno di cui Torsi gli aveva procurato il biglietto sarebbe partito fra mezz’ora da Porta Nuova e, benché si trovasse già sul luogo, Paolo era agitato come se fosse in ritardo di due ore. Non riusciva a rimanere seduto come gli altri presenti, che talvolta lo osservavano un po’ accigliati; su consiglio del procuratore, aveva cercato di vestirsi in modo da non essere riconosciuto ma allo stesso tempo di non dare nell’occhio. Elegante ma non ai limiti dell’eccesso; in fin dei conti, un diciannovenne con un abito che si addice ad un sessantenne è notato da chiunque.
Fino a poche ore prima il suo destino era incerto, ma infine il cuore aveva prevalso sul denaro. Aveva stretto un patto di sangue con il diavolo, che per una volta aveva sconfitto la pecunia.
Poteva tuttavia essere considerata una vittoria? Paolo aveva a lungo riflettuto sulla vicenda, consapevole che un suo acquisto, in aggiunta ad un altro giovane proveniente da Genova, avrebbe impedito alla sua squadra del cuore l’acquisto della stella internazionale del Manchester United, Axel Hunt.
Però egli desiderava essere protagonista. Il tempo di essere tifoso era finito; era giunto il momento di adoperare la prima persona per scrivere la storia della propria vita.
 
 
«Perché ha scelto il termine latino daimon come titolo della Sua opera, Mr Goily? Benché ci abbia appena spiegato che il protagonista Lenny sia animato da intenzione tutt’altro che maligne, Lei stesso ritiene forse che è un demone colui che è reputato tale anziché colui che lo è veramente?».
Dean osservò con estrema attenzione la sua nuova interlocutrice, che sembrava reggersi a stento sulle scarpe rosse con i tacchi alti che indossava. Come è diventata giornalista, costei? si chiese stupito, evitando di elargire a tutti i suoi pensieri, consapevole che chiunque fosse presente in quella sala si stesse rivolgendo la stessa domanda.
«Gentile signora» osò infine dire, dopo un prolungato momento di reale incertezza, alquanto raro durante le sue conferenze, «forse nella sua istruzione scolastica e professionale le è sfuggito che il vocabolo daimon nella lingua latina non indichi il demone, bensì la divinità in generale, positiva o negativa. La mia intenzione era semplicemente evidenziare come un dio possa essere buono ma al tempo stesso considerato malvagio poiché non è possibile identificarlo come benigno; in ugual modo  sentendo pronunciare daimon non possiamo sapere senza ascoltare il seguito se tale divinità sia benevole o perfida.
«Lenny, come ho già accennato prima, viene additato come un diavolo nella stessa comunità in cui aveva contribuito ad aiutare coloro che erano in difficoltà. Un uomo all’apparenza benefattore ed altruista, la cui natura era tuttavia a lui nota, rendeva vani i suoi sforzi, che si tramutavano dunque in pecche non rimediabili».
«Mi scusi, signor Goily» lo interruppe la stessa signora dalle scarpe rosse con i tacchi alti, desiderosa di ottenere nuovo prestigio presso i colleghi, dopo la rovinosa uscita precedente, se Lenny conosceva tale uomo e, da quanto mi pare di comprendere, fosse in una stretta relazione con lui, perché non lo uccise né rivelò a tutti la verità?».
 
 
Nella sua carriera da allenatore non si era mai ritrovato in una situazione del genere, nonostante avesse avuto in rosa elementi poco tranquilli e piuttosto agitati. Quel giovane aveva sfoderato una forza impressionante nel gettarlo nel fango e la vigorosità con cui gli stringeva il collo gli consentiva uno stentato respiro che non gli avrebbe permesso di resistere a lungo.
Dopo alcuni secondi, tuttavia, Rey lasciò la presa, osservando il malcapitato massaggiarsi il collo e tossire ripetutamente finché la sua situazione respiratorio fu ripristinata alla normalità. Dopodiché, alzandosi, osservò biecamente il ragazzo, mentre quest’ultimo sorrideva ironicamente. Irritato, infine, gli si rivolse con aspre parole: «Sei soddisfatto, piccolo coglione, di avermi quasi ucciso? Perché non hai osato farlo? Così adesso il tuo amico frignone sarebbe libero dal suo padrone, dal suo demonio che lo tormenta ogni giorno!».
Il sorriso sparì dall’espressione di Rey, che si avvicinò per una seconda volta al suo antagonista, creando un’atmosfera dove nessuno potesse elevarsi ad una posizione superiore alla sua. Portò l’anulare destro alla bocca e con i denti aprì una ferita dalla quale cominciò a scendere sangue. Alla sua vista Yago, ancora carponi nella melma, iniziò a tremare: l’emofobia lo tormentava fin da quando aveva visto suo fratello minore ricoperto di sangue dopo essere caduto dalla casa dell’albero su cui erano soliti salire per giocare insieme nel più oscuro segreto dei loro genitori. Il suo amico non mostrava invece alcun terrore nel lesionarsi da solo e, ponendo il dito sanguinante dinanzi agli occhi del perplesso allenatore, pronunciò ciò che più gli era caro con tono chiaro e comprensibile a tutti: «Perché soffrire rende più forti le persone; non esiste alcun’altra via da percorrere per giungere ad una morte gloriosa. Se infine si è criticati per ciò che non si è fatto, nel proprio animo perdurerà il ricordo dei motivi che hanno portato a compiere quella determinata scelta. Se io non ti ho ucciso né racconterò ai nostri genitori quanto successo, esiste un motivo ben preciso, che non ho intenzione di rivelarti. Comprendilo da solo, se ne sai in grado. Per oggi è tutto, vado a cambiarmi. A domani, stessa ora, esatto?».
 
 
Dean abbassò per un istante lo sguardo, apparentemente irritato per la domanda; in cuor suo tuttavia dominava un sentimento completamente contrastante all’ira. Dopo essere rimasto seduto per due intere ore, si alzò e pronunciò le ultime parole della conferenza, in risposta alla questione posta dalla petulante donna: « Perché soffrire rende più forti le persone; non esiste alcun’altra via da percorrere per giungere ad una morte gloriosa. Se infine si è criticati per ciò che non si è fatto, nel proprio animo perdurerà il ricordo dei motivi che hanno portato a compiere quella determinata scelta. Se Lenny non ha ucciso colui che lo ha rovinato né ha raccontato alla comunità quanto successo, esiste un motivo ben preciso, che non ho intenzione di rivelarvi. Provare a comprenderlo da solo, se ne siete in grado. Il tempo a mia disposizione è scaduto. Vi saluto e vi raccomando di non alzare le mani anche uscendo. Grazie e arrivederci».

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