Wide Awake

di valah__
(/viewuser.php?uid=215409)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Wake Me Up. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Blu Oceano ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - 11:20 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Un Anno Fa. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Cose Non Fatte ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Scelte Sbagliate ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - The Fall ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - Start Over ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 - Effetti Collaterali ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 - Another World ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 - Paparazzi ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 - Ring and Camp ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 – Teardrops ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 - SAY YES ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Wake Me Up. ***


Quando la luce della lampada sopra al mio letto mi invase gli occhi faticai a richiuderli senza aver alcun fastidio; mi sentivo come se qualcuno mi avesse appena gettato in una vasca di acqua ghiacciata ed io stessi li immersa senza poter reagire, quasi ne fossi prigioniera.
Quella luce richiamava alla mia mente solo l’ultima scena che avevo vissuto prima del buio, ovvero la luce prodotta dal furgone che alla fine di Marzo aveva sfondato la portiera dell’auto che trasportava me e la mia amica nuovamente a casa. Il sapore metallico del sangue era l’unica cosa che potevo percepire ancora seduta sul sedile, mentre dentro di me speravo che qualcuno si accorgesse dell’auto finita fuori strada in mezzo alle colline californiane; sentivo come se fosse tutto finito e qualcosa stesse per iniziare, ma dopo aver udito il suono delle sirene delle ambulanze che venivano a soccorrerci ci fu soltanto il nulla.
Quello che però tastavano le mie dita non era più la pelle dei sedili dell’auto di Hanna e persino quella luce tanto aggressiva era surreale per me che avevo riaperto gli occhi da pochi istanti.
Spalancandoli mi accorsi che mi trovavo in una stanza bianca immersa in delle lenzuola azzurre a me estranee; la camera vuota rifletteva il mio stato d’animo di quel momento, non riuscivo a provare niente, forse perché ero completamente smarrita. Forse ero morta e in realtà il mio corpo era inerme posato sul sedile di quell’auto, ma qualcosa sembrava volermi riportare a tutti i costi alla realtà: rumori e profumi invasero i miei sensi e quel forte ‘bip-bip’ echeggiava sul vociferare del corridoio, facendomi intuire che ero viva.
Sedici Febbraio. Questo era quello segnato dall’orologio posato sul comodino vicino al letto e non mi ci volle molto per capire che durante il mio sonno il mondo era andato avanti senza di me. Era quasi passato un anno, ma era difficile rendersene davvero conto.
Lungo la parete attaccata al mio letto correva una piccola corda, probabilmente l’allarme che avrebbe fatto arrivare in mio soccorso un medico, o qualcos’altro. Mentre allungavo la mano per raggiungere la corda mi guardai le dita delle mani: le mie unghie erano cresciute e avevano un aspetto sano e forte. Abbassai lo sguardo notando che il camice bianco che avevo indosso era coperto fino alla vita da ciocche di capelli castani, mossi e ben arruffati: i miei.
Suonando il campanello mi resi conto della moltitudine di flebo che avevo collegate al mio braccio destro, una che partiva dal dorso della mano e un’altra che partiva dalle vene del gomito, ma magari fossero state le uniche cose che avevo addosso. Tubi che mi terminavano nel naso e ventriloqui che mi attraversavano il petto.
Il rumore sordo provocato dalla corda fece arrivare in fretta una donna con addosso il camice da infermiera che quando mi vide sembrò attraversata da uno spasmo, tant’è che senza nemmeno rivolgermi la parola tornò di corsa indietro, probabilmente per avvisare un suo superiore.
Quando tornò indietro, circa sedici secondi dopo, era in compagnia di altre sette persone incamiciate che sbalordite mi osservavano stare seduta sul mio materasso.
Un uomo sulla cinquantina con i capelli brizzolati diede uno sguardo veloce alla cartella che teneva sotto gli occhi, poi mi osservò.
-Juliet, bentornata- disse, ma le sue parole non sembravano minimamente scuotere qualcosa dentro di me.
Mi limitai a ricambiare lo sguardo e il medico lanciando un’occhiata ai giovani di fianco a lui fece cenno loro di scrivere qualcosa su ciò che avevano davanti.
Si avvicinò a me tranquillo, poi prendendo una sedia si accomodò davanti a me e sorrise.
-Bene, Juliet. Vedo che ti sei riuscita a sedere e questo è un buon segno…- si fermò appena per vedere se avevo qualcosa da dire, ma per qualche ragione mi venne solo un piccolo cenno con il capo.
-Allora, Juliet…- accese una specie di penna con in cima una luce –ti dobbiamo fare dei controlli per vedere come risponde il tuo corpo al coma dal quale ti sei svegliata, quindi non preoccuparti- lo fissai e sentii echeggiare la parola ‘coma’ nella mia testa per qualche istante prima di riuscire ad annuire nuovamente con la testa.
I minuti seguenti li passai in compagnia di quella squadra che si preoccupava di studiare i miei comportamenti, manco fossi stata un’animale al circo che sfoggiava le proprie doti stando in piedi su un trampolino. Arco riflesso, qualche passo ed esercizi con le dita delle mani. Sembrava che andasse tutto ok, ma per qualche ragione il dottore e la sua troupe non sembravano convinti.
-Juliet. Sai dirmi il tuo cognome?- mi chiese posandomi una mano sulla spassa e attendendo una risposta.
Solo in quel momento il mio corpo fu attraversato da un brivido che sembrò accendere il cervello fino a quel momento rimasto addormentato. E potevo ricordare un sacco di cose, inclusa la notte dell’incidente.
-Wickmann- risposi a bassa voce, terrorizzata che la risposta fosse errata. Lui mostrò un sorriso e in quel momento si alzò in piedi.
-Beh, la tua famiglia sta arrivando, ma dovrai stare ancora qualche settimana in ospedale per verificare come il tuo corpo risponde al risveglio- sorrise nuovamente, poi mettendo un piede fuori dalla stanza si arrestò per un istante –Ah! Voglio che tu scriva un diario in questi giorni, un diario che ovviamente non verrà letto da nessuno, ma che può aiutarti ad allenare la mente-
Lo osservai ed osservai le infermiere che nel frattempo stavano modificando tutti i dosaggi delle endovene attualmente allacciate al mio corpo.
-Posso avere un quaderno?- questa volta parlai più forte e il medico sembrò apprezzare, ma senza rispondermi uscì dalla stanza.
Rimasi sola con me stessa per qualche ora prima che dal corridoio arrivasse un vociferare frenetico di voci a me ben note.
La prima a catapultarsi in camera fu mia madre che incredula e singhiozzando tra le lacrime si fiondò sul mio letto abbracciandomi delicatamente, quasi preoccupata di rompermi o spezzarmi.
Mio padre era quasi irriconoscibile: i capelli scuri che solo un anno prima gli coprivano la cute ora erano di un grigio incredibilmente lontano dal nero, ma nemmeno vicino al bianco: un grigio distinto, insomma. Le occhiaie gli solcavano gli occhi, così come la stanchezza che ricopriva i volti di tutti, anche di mia sorella.
E così nell’intimità della nostra famiglia ricominciai a vivere.

I ricordi della mia vita stroncata a metà riaffioravano ogni giorno di più e il giorno in cui tornai a casa mia ero quasi riuscita a recuperare tutti i vocaboli che usavo precedentemente. Lo scrivere il diario mi era servito molto e in appena tre settimane ne avevo riempiti cinque.
Passavo le giornate a scrivere e a disegnare sui fogli giallastri di quelle Molaskine spesse come mattoni, ma per ogni riga che scrivevo me ne venivamo altre tre in mente.
Pensieri e ricordi di amici a me cari e del mio ragazzo.
Subito non ricordavo il nome di coloro i quali mi erano stati vicini prima dell’incidente, ma con l’aiuto di mia sorella, che si era procurata una foto di tutti i miei contatti face book, ero riuscita a collegare i nomi ai volti e di conseguenza anche i ricordi mancanti.
Hanna non era sopravvissuta all’incidente che l’aveva fatta morire sul colpo, proprio qualche mese prima che partisse per il viaggio dei suoi sogni in Europa.
Il conducente del furgone che ci aveva prese in pieno aveva fatto qualche giorno di coma, e dopo fu condannato a otto anni di carcere, ora gliene restavano solo sette.
Il mio ragazzo, invece, si chiamava Logan, e non parlo di lui al passato perché sia morto o cosa, ma perché dopo tre mesi che aveva passato venendomi a trovare aveva ritenuto più giusto costruirsi una vita migliore, una in cui la sua ragazza non fosse attaccata a ventriloqui e flebo.
Non avevo ancora acceso il mio cellulare, e quando lo schermo si accese e comparve la foto mia e di Logan comparvero immediatamente gli avvisi di quattrocentoventisette messaggi non letti e dieci messaggi in segreteria.
Trecento di quei messaggi erano di Logan.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Blu Oceano ***


Da quando mi ero svegliata e soprattutto da quando ero ritornata a casa le uniche visite che avevo ricevuto erano state quelle dei miei famigliari; i miei genitori pensavano che fossi ancora emotivamente instabile per rivedere i miei amici, con i quali probabilmente non avrei fatto altro che discutere di tutto ciò che avevo perso: Hanna e Logan.
Così dopo altre due settimane passate a supplicare mia madre la convinsi a fare una festa la stessa sera in cui lei e papà sarebbero stati alla casa al lago.
-Ah! Non posso credere che rivedrò tutti- esclamai posando sulla lunga tavolata nel salone una delle numerose birre già disposte in ordine.
-E credimi se ti dico che i tuoi amici non vedono l’ora di rivedere te!- rispose mia sorella tirando fuori una qualche prelibatezza dal forno.
Sospirai guardando fuori dalla finestra giocherellando con una ciocca di capelli.
-Credi che verrà?- domandai sospirando osservando i lampioni in strada che si accendevano.
Mia sorella si morse un labbro, poi mi si avvicinò.
-Chi?- domandò pur sapendo la risposta.
La verità è che lei per prima soffriva vedendomi soffrire.
Dal mio rientro a casa avevo passato le giornate a guardarmi i film in cui recitava Logan e perfino i video su internet in cui le fan affermavano di amarlo sopra ogni cosa.
-Logan, ovviamente- sussurrai ripensando a com’era tutto semplice prima dell’incidente. Avevo un ragazzo che amavo e che mi amava, ma che ora non ricambiava più quel sentimento per me, tant’è che mi aveva lasciata mentre ero attaccata ad una macchina. Ma forse io avrei fatto lo stesso, anche se in quel momento i miei sentimenti erano rimasti esattamente gli stessi, anche perché per me era come se il tempo si fosse fermato, o come se fosse successo tutto in una notte di sonno.
-Io credo che dovresti andare a metterti il vestito che abbiamo deciso- disse dandomi una pacca sul sedere, ridendo, cercando di nascondere la sua risposta.
Sorrisi e dopo essermi chiusa la porta della camera alle spalle sbuffai. Qualcosa dentro di me sperava con tutto il cuore che quella sera passasse Logan, forse solo per dirgli che mi mancava, che non avevo fatto altro che deprimermi davanti ai suoi film e alle nostre foto assieme.
Indossai il vestito blu scuro senza badare troppo all’aspetto esteriore che avrei dovuto mostrare quella sera.
A Beverly Hills era importante mostrare sempre il proprio aspetto al meglio, facendo finire in secondo piano il carattere. Ma questo con Hanna e Logan non accadeva. Alla Beverly Hills High School eravamo praticamente inseparabili, Hanna e Logan migliori amici e io la migliore amica di Hanna. Persino dopo la fine del liceo eravamo rimasi uniti, tant’è che io e Logan avevamo deciso di tentare una storia, ovviamente sotto gli occhi felicissimi di Hanna.
Quando scesi le scale mi sentii come se stessi vivendo una scena in rallenty: gli sguardi fissi su di me, le urla delle mie amiche che dopo un anno mi incontravano di nuovo e i flash delle macchine fotografiche che immortalavano la mia prima ‘uscita pubblica’.
Presi fiato prima di gettarmi tra le braccia delle mie amiche ritrovate.
 
-Ho sentito che è tornato a Beverly Hills- disse Candy accendendosi una sigaretta.
Il rumore sordo della musica alta all’interno della sala era contenuto dalle finestre chiuse, così la conversazione tra me e le mie più care amiche era possibile.
-Si! Io ieri l’ho visto entrare nel suo garage- commentò Lauren guardandosi attorno furtiva.
Ovviamente l’argomento della situazione era Logan, e da quello che le mie amiche mi stavano dicendo era nel quartiere, ma non era alla mia festa.
-Dite che verrà stasera?- domandò Helen massaggiandosi i piedi dolenti reduci dai balli sfrenati di qualche ora prima.
Io mi limitai a deglutire facendo segno di no con la testa.
-Non credo. Secondo me si sente in colpa per aver lasciato Juls mentre era in coma- commentò Lauren.
-Ma mettiti nei suoi panni, ha perso la sua migliore amica e si è ritrovato con la ragazza con un piede nella fossa la stessa sera- rispose Candy mentre Helen mostrava il suo accordo con quello appena detto.
-Io non credo, insomma, la festa è iniziata alle dieci di sera e ora sono le due del mattino, dentro ci sono ancora si e no cinque persone che nemmeno conosco e dubito conoscano qualcuno. Se fosse voluto venire sarebbe passato prima- commentai smorzando il cinguettio delle mie amiche.
Rimanemmo in silenzio qualche istante, poi sospirando ripresi a parlare.
-Si sente la mancanza di Hanna- dissi –è morta sul colpo?- domandai.
Neanche facendolo apposta persino la musica all’interno della casa si fermò, segno che la festa era terminata, lasciando noi quattro ancora di più assorte nei nostri pensieri.
Nessuna quella sera aveva toccato il tasto Hanna, ma sapevamo che tutte volevamo parlarne.
-Sai, la guardia medica ha detto che prima di morire ha detto ‘non gli ho nemmeno chiesto scusa’ e poi si è accasciata sul sedile del posto guida- mi rispose Helen.
Rimasi colpita da quello che mi disse, io pensavo che Hanna non avesse sofferto, invece prima di morire era rimasta non solo viva, ma anche cosciente, a tal punto di essere in collera con se stessa per non aver fatto pace con qualcuno.
Il telefono di Candy squillò e tutte e tre risposero allo stesso modo. Era il nuovo ragazzo di Candy che avvisava tutte le ragazze di uscire fuori per essere riaccompagnate a casa.
Accompagnai Helen, Candy e Lauren fino all’uscita, conoscendo così Brody, il ragazzo di Candy e il suo amico Shawn.
Dopo averli salutati ed aver osservato l’auto allontanarsi lungo il viale alberatomi voltai per avviarmi verso la porta quando ebbi un sussulto vedendo quegli occhi azzurri a me così noti ora così vicini.
-L-Logan!- dissi sorpresa e allo stesso tempo piena di emozioni cercando di non guardarlo.
Mi sentivo come se tutto fosse rimasto irrisolto tra noi. Non avevo letto un solo messaggio delle centinaia che riempivano la scheda del mio cellulare.
Sentivo come se in quel preciso istante fossimo connessi in una qualche maniera, perché ero convinta che tutte le emozioni che mi stavano travolgendo non potevano essere tutte mie.
Lui rimase in silenzio continuando ad osservarmi con quegli occhi così azzurri che davano l’illusione di essere immersi nelle profondità dell’oceano.
-Sono venuto a sapere da Lauren che ti eri svegliata- sussurrò appena facendomi rabbrividire nonostante non stessimo avendo alcun tipo di contatto fisico.
Restai immobile osservando il vialetto di casa mia dietro di lui, poi lanciandogli un ultimo sguardo non seppi far altro che passargli oltre e camminare lungo il mio vialetto senza voltarmi. Potevo sentire il gelo del suo sguardo sulla mia schiena mentre camminavo spedita verso la porta.
-Stavi bene con i capelli lunghi- dissi voltandomi, senza rendermi conto che lo stessi davvero facendo. Come succede sempre in quelle situazioni di indecisione in cui il tuo cuore decide da solo e ti ritrovi a vivere una situazione che nemmeno avevi programmato. Era stato il massimo che mi fosse venuto in mente, ripensando ovviamente ai pomeriggi passati con i fazzoletti davanti allo schermo della televisione guardandomi la filmografia di Logan. E nel suo ultimo film stava davvero bene, peccato non l’avessi esternato esattamente come avevo immaginato nella mia testa.
Lui increspò le sopracciglia, scrutandomi con quegli occhioni lucidi che non lasciavano però trasparire una sola emozione.
In fine accennò un sorriso, poi prese a camminare nello stesso istante in cui io entrai in casa mia.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 - 11:20 ***


Capitolo 3 – 11:20
Per qualche strana ragione le mie sveglie mattutine non erano mai state dolci e tranquille come nei film, anzi, dovevo ben ringraziare se non venivo svegliata di soprassalto da un qualche fastidioso rumore. Quella, purtroppo, era proprio la classica mattina di ghiaccio.
-Si, bravo! Vai via di casa, non sai fare altro!- aprii gli occhi e lanciai uno sguardo all’orologio che ticchettava sopra il comodino: 09:30. Wow, non erano nemmeno le dieci e i miei vicini già si lanciavano i piatti addosso. Ero abituata a sentire le grida provenire dalla casa di fianco alla mia, ma stranamente ogni mattina si anticipavano sempre di più.
Mi alzai e mi avviai verso la finestra, scostando un po’ la tenda e lanciando un’occhiata al mondo esterno. Lui, il signor Wallas, stava salendo in auto e per dare un tocco finale al melodramma ripetuto ormai come un rituale quotidiano aveva pure sbattuto la portiera e partito sgommando dal vialetto di casa sua.
Mi rigirai decisa a mettermi a letto quando grattandomi la schiena qualcosa di lampante mi attraversò la mente.
Era Mercoledì e tra meno di due ore sarebbe scattata l’ora x, ovvero Logan come tutte le mattine sarebbe passato a prendere un decaffeinato al bar appena al fondo della strada in cui abitavo.
Ormai quella sarebbe stata la terza volta in una settimana in cui sarei passata casualmente li vicino per osservare cosa stesse combinando Logan.
Secondo quanto raccontavo alle mie amiche non ero mai stata tanto impegnata come in quel periodo, infatti pur di non svelar loro la mia missione di stalking avevo inventato una serie di attività che mai avevo fatto prima dell’incidente, dalla dog sitter alla patita di jogging mattutino. Ma quel mattino intendevo mirare sull’approccio diretto e, proprio come una abituale frequentatrice di quel bar, mi sarei fatta trovare all’insaputa di Logan seduta ad un tavolo a consumare un normalissimo caffè espresso.
 
11:18.
-Cosa ti porto?- Mi chiese per la seconda volta il cameriere cercando di catturare la mia attenzione fino a quel momento concentrata al di là della finestra, aspettando di avvistare il bersaglio.
-Un caffè espresso, grazie- dissi con decisione, convinta a seguire il mio infallibile piano.
Lui sembrò titubante, probabilmente si stava chiedendo se fosse davvero possibile impiegare un quarto d’ora per decidere che tipo di caffè prendere.
Ed ecco il campanello della porta avvisarmi che qualcuno era appena entrato.
Non agire come una stalker, non agire come una stalker.
Così alzai appena lo sguardo, fulminea come un cacciatore che avvista la sua preda. E Logan era in piedi davanti alla porta che con un cenno al cameriere ordinava ‘il solito’. Vestiva perfettamente quel maglioncino marroncino e le maniche alzate mettevano in risalto i suoi muscoli definiti. In quei mesi aveva fatto palestra, era chiaro, ed io per qualche strana ragione lo trovavo sempre più affascinante.
Peccato che in quel momento stavo fissando tristemente il motivo creato dal legno del tavolo e dovevo sembrare molto disperata dal momento che dei passi erano sempre più vicini.
-Juls- disse una voce. La sua voce.
Prima di alzare lo sguardo ripetei a me stessa di non agire come una mentecatta, di mantenere la calma e di far sembrare tutto perfettamente casuale.
-Logan- risposi alzando lo sguardo verso di lui.
11:20.Restò ad osservarmi per qualche istante prima di distogliere lo sguardo per posarlo sul posto libero davanti a me.
-Posso?- chiese cauto indicando con il dito la sedia libera. Io annuii, limitandomi a farmi stretta stretta sulla mia insieme alla mia vergogna.
-Non sapevo venissi qui- commentai cercando di seguire ‘lo schema’  –non ti ho mai visto prima-
Lui alzò un sopracciglio, poi sorridendo si sistemò meglio sulla sua sedia, posando le braccia sulle sue gambe semi aperte, buttando il dorso indietro.
-A dire il vero io vengo qui tutti i giorni, tu piuttosto. Sono io a non aver mai visto te- commentò compiaciuto, pensando di avermi smascherato.
-Oh beh!- dissi deglutendo agitata un sorso di caffè –in realtà di solito io vengo più tardi, ma dopo ho un impegno, quindi son venuta prima- improvvisai.
Che poi a me il caffè nemmeno piaceva, anzi. Deglutivo quella sostanza cercando di mascherare il fatto che mi facesse ribrezzo.
-Che impegno? Non ti lasciano in pace un attimo eh!- disse mettendomi in difficoltà.
E adesso cosa mi sarei inventata?. Si porse in avanti aspettando una mia risposta, poi quando il suo ginocchio sfiorò il mio sobbalzai leggermente.
-Ehm- non sapevo cosa dire –in verità preferisco non parlarne con nessuno, almeno per ora- un altro sorso di caffè. Lui si rabbuiò. Eravamo entrambi abituati a raccontarci tutto, ma ora era diverso, io ero diversa.
-Cos’è, esci con un ragazzo?- chiese assottigliando lo sguardo. Sembrava mi stesse leggendo nell’anima, sembrava cercar di capire se stessi mentendo oppure fosse tutto vero.
Conoscevo Logan, prima dell’incidente non avrebbe mai accettato che io mi vedessi con qualcun altro, ma in quell’occasione mi sembrò quasi d’obbligo mentirgli.
-Sì- dissi senza guardarlo. Mi limitavo ad osservare fuori dalla finestra i temerari che a metà Marzo rischiavano andando in giro in bicicletta.
Lui si schiarì la voce e in quel gesto lessi una nota di disappunto totale, gelosia forse.
Gli lanciai un’occhiata, stava fermo e continuava ad osservarmi senza far trapassare nulla.
-Hai letto almeno uno dei tanti messaggi che ti ho inviato in questi mesi?- mi domandò e nella sua voce captai una nota di rancore, malinconia.
-No, non li ho letti- questa volta fui sincera e forse questa mia voglia di dire la verità per lui fu quasi uno schiaffo ai suoi sentimenti.
-Te ne ho scritto uno quasi ogni giorno mentre eri in coma, ho pensato fosse meglio intasarti il cellulare piuttosto che la camera- commentò trasmettendo quella sua tristezza persino a me.
Il fatto era che forse quello che avevamo mancava anche a lui.
-Perché te ne sei andato?- chiesi quasi senza pensare.
Lui alzò lo sguardo, riabbassandolo immediatamente per nascondere i suoi occhi azzurri lucidi.
-Quale altra alternativa avevo, scusami?- mi chiese con tono acido.
Io inarcai le sopracciglia, era tipico di Logan rispondere ad una domanda con un’altra domanda.
Lui alzò lo sguardo, poi sbattendo il pugno sul tavolo prese fiato.
-Eri inerme da quattro mesi su un letto di ospedale e non davi il minimo segno di miglioramento. Io ci stavo male- disse facendomi sentire uno straccio.
-Logan…- dissi cercando di calmarlo. Sentivo che tra qualche istante i miei occhi si sarebbero riempiti di lacrime, ma non volevo farmi vedere debole, almeno quella volta.
-No, Juliet. Tu hai un impegno, spero tu ti diverta- disse alzandosi in piedi lasciando cadere sul tavolo cinque dollari per il suo caffè, poi in silenzio uscì dal locale senza voltarsi. 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Un Anno Fa. ***


La mattina di quel ventiquattro Marzo il cielo era mascherato da uno fitto schieramento di nubi nere come la pece e quel clima tiepido tipico della California aveva lasciato spazio ad un vento freddo che sembrava capace di trascinarti via in un istante.
Non era stato ancora lanciato l’allarme uragano, ma al telegiornale sin dalle prime luci dell’alba gli esperti stavano raccomandando alla popolazione di rimanere al chiuso e lontano alle finestre.
Eravamo mediamente preparati ad eventi simili, si verificavano quasi ogni anno, ma come sempre quando arrivava l’uragano tutti temevano il peggio.
Come se non bastasse sembrava che persino la natura stesse piangendo l’anniversario della morte di Hanna. Era già passato un anno e a me sembrava ancora incredibile il fatto che avessi passato gli ultimi undici mesi su un letto di ospedale, perdendomi un sacco di cose.
-Juls, è mamma al telefono, vuole parlare anche con te- mi disse mia sorella porgendomi il telefono. Afferrai il cordless sedendomi sul davanzale della finestra del salone, osservando le piante ondeggiare tremendamente lungo il viale.
-Ciao ma’- dissi appoggiando il telefono tra la guancia e la spalla, cercando di finire di mettere lo smalto sulle unghie del piede sinistro.
-Ciao tesoro, ascoltami, non uscite di casa per nessun motivo, io sono bloccata a New York e ancora non riesco a contattare tuo padre a Washington. Se doveste avere qualsiasi problema non esitare a chiamare- disse nello stesso istante in cui io roteavo gli occhi nelle orbite. Aveva appena terminato di dire quello che alla televisione ripetevano a ruota dalle cinque del mattino.
Passò altri cinque minuti a riassumermi i punti sicuri della casa e quelli più pericolosi, poi alla fine si decise a lasciare la linea libera.
Balzai in piedi non appena vidi Candy entrare in casa mia, fradicia dalla testa ai piedi.
-Candy, ma cosa ci fai qui?- esclamai andandole in contro –siamo in allarme uragano e tu decidi di girare Beverly Hills giusto per farmi un saluto?- chiesi a metà tra l’ironico e a metà tra il preoccupato.
-Non indovinerai mai chi ho visto uscire di casa proprio mentre stavo venendo qui- disse emozionata saltellando sul posto, facendomi intendere che non aveva ascoltato una sola parola di quello che le avevo appena detto.
-Chi?- dissi rassegnandomi posando un braccio sul fianco.
Lei fece un sorriso malizioso, poi ridacchiando alzò ripetutamente le sopracciglia, facendomi intendere che fosse Logan l’altro idiota uscito di casa in pieno allarme uragano.
-Non vuoi sapere dove stava andando?- mi chiese togliendosi la mantellina; io sbuffai.
-Non me ne importa un fico secco- dissi strafottente, ribadendo che la cosa non mi interessasse affatto.
-Al cimitero- disse perdendo in qualche istante ogni nota di entusiasmo prima ferrea nella sua voce.
Continuò ad osservarmi mentre a braccia incrociate facevo la disinteressata.
-Beh. In caso dovesse arrivare l’uragano è già al cimitero, non farà nemmeno molta strada- commentai acida nello stesso istante in cui lei e mia sorella ridacchiarono.
Restarono ad osservarmi maliziosamente come sempre, fino a quando non riuscirono a cacciarmi fuori casa.
 
L’alluvione che in quel momento stava scendendo dal cielo sembrava annunciarci che non ci sarebbe stato un domani e l’acqua che scorreva per le strade alimentata dal vento continuava a farmi pensare a quanto fossi stata stupida.
Certo, in fin dei conti quello era l’anniversario dell’incidente e della morte di Hanna, ma il solo fatto che Logan avesse deciso di fare lo spericolato non significava che dovessi seguirlo a ruota verso il suicidio. Eppure ero già all’ingresso del cimitero quando lo vidi incappucciato vicino alla lapide di Hanna. Gli bastò udire i miei passi sulla ghiaia per farlo voltare e restare esterrefatto; dalla nostra ultima discussione al bar non ci eravamo più visti, ne tanto meno sentiti e a quanto pare la cosa sembrava andar bene ad entrambi.
-Non sai che sta arrivando un uragano?- mi chiese in tono ironico osservandomi mentre lo raggiungevo vicino alla lapide.
-Potrei farti la stessa domanda- dissi posando un mazzetto di fiori sul marmo allagato.
Restammo in silenzio ad osservare la pioggia abbattersi sulla scritta della lapide e ad un tratto scattò l’allarme agli altoparlanti di correre al riparo.
L’uragano stava arrivando e io e Logan eravamo nel posto meno sicuro della terra. Ci volle il primo albero cadere per terra per farci sobbalzare, facendoci tornare alla realtà: dovevamo andarcene e anche alla svelta.
Cominciammo a correre veloci verso l’uscita, che fortunatamente era molto vicina e una volta fuori ci volle poco affinché Logan mi afferrasse una mano portandomi con lui. Sembrò un gesto così naturale che nemmeno quando arrivammo alla porta di casa di Logan terminò. Aprì la porta e se la chiuse alle spalle, dando un ulteriore giro di chiavi. La casa era immersa nel buio, Logan aveva già assicurato le finestre chiudendole affinché i vetri non venissero rotti e solo in quell’istante intuii che eravamo soli.
Cercai l’interruttore lungo il muro, ma quando lo trovai notai che non c’era nemmeno luce. Percepii Logan spostarsi verso la cucina e quando accese una candela riuscii finalmente a vedere il suo volto: i capelli fradici sgocciolavano lungo il suo viso incorniciandogli gli occhi azzurri e quel sorriso che quando compariva mi lasciava sempre senza fiato.
-E adesso?- chiesi avvicinandomi alla candela, rabbrividendo quando sentii uno spiffero d’aria che mi passava proprio vicino al collo. Lui notò il mio rabbrividire, così mi venne vicino posandomi una mano sul fianco.
Restai immobile con i gomiti posati sul tavolo, cercando di ignorare totalmente quel suo gesto del tutto fuori luogo.
-Beh, credo che la cosa migliore sia che tu resti qui fino a quando non sarà cessato l’allarme uragano- disse. Io mi alzai e mi sposai appena facendo così che togliesse la mano dal mio fianco.
-Sai, Logan. Io abito nella via qui di fianco, non ci metto molto ad arrivare li, nemmeno tre minuti- dissi avviandomi verso l’uscita.
Lui mi seguì a ruota, mettendosi fra me e la porta d’ingresso, fermandomi dalle spalle.
-Resta qui- sembrò più una supplica che una richiesta. Io lo osservai, osservai il suo profilo appena accennato da quella poca luce che penetrava dai legni che oscuravano le finestre.
Esitai, facendo un ulteriore passo avanti, spostandolo dalla mia direzione raggiungendo la maniglia.
Non c’erano le chiavi inserite e sostanzialmente ero chiusa dentro, ma per qualche ragione Logan si appoggiò ugualmente alla porta.
-Dai, resta- disse questa volta con dolcezza, una dolcezza che forse solo un paio di volte lo avevo sentito utilizzare e mi convinse.
 
Erano passate due ore e ancora non c’erano segni di miglioramento. Non c’era ne tv, ne internet e nemmeno qualche tacca di campo sul cellulare. Forse erano la poca luce e il silenzio che ci circondavano, ma Logan era sdraiato sul divano con la testa appoggiata sulle mie gambe che dormiva; la luce della candela lo illuminava mentre era immerso nel mondo dei sogni, mentre ogni tanto increspava le sopracciglia e diceva qualcosa di confuso a denti stretti e mi attraeva proprio come mi aveva sempre attratta prima dell’incidente. In quegli istanti ero in preda alla malinconia e passargli le dita sui suoi capelli finalmente asciutti richiamava continuamente alla mia mente i momenti felici in cui niente e nessuno si intrometteva nel rapporto tra me e lui.
Seguii con il dito il profilo del suo volto: l’incavatura degli occhi, il profilo del naso e delle labbra, per poi passare lungo la guancia e sul mento. Proprio in quel momento lui socchiuse gli occhi frastornato e mi osservò non appena intuì cosa stavo combinando con le mie dita. Fece un sorriso, poi dopo aver sbadigliato ed essersi strofinato gli occhi si schiarì la voce.
-Che ore sono?- chiese mentre io spensierata continuavo ad arricciargli i capelli castani.
-Più o meno le sei di sera- risposi con tranquillità mentre lui prendeva posto al mio fianco. Le mie gambe furono sollevate quando Logan si alzò e finalmente riuscii a raggiungere l’elastico sul tavolino. Cominciai a legarmi i capelli e quando li lasciai nuovamente cadere in una coda ordinata lui li sfiorò appena, arricciandoseli attorno alle dita proprio come io stavo facendo pochi istanti prima con i suoi.
-Ti sono cresciuti un sacco- mi sussurrò mentre con le dita passava a sfiorarmi il collo, facendomi rabbrividire. Ringraziai il fato che fosse semi buio, perché in quel momento mi sentivo la faccia bollire e io non avevo intenzione di mostrare il mio lato timido.
-Beh, è passato un anno- dissi tristemente portandomi le ginocchia al gomito, raggomitolandomi sul me stessa.
-Già, un anno- ripeté lui nello stesso istante in cui le luci si accendevano. Era tornata la luce, l’uragano era cessato.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Cose Non Fatte ***


Quel giorno di inizio Aprile fu il primo soleggiato da dopo l’uragano, il vento aveva continuato a soffiare per giorni prima che il cielo si schiarisse lasciando spazio al sole e per la prima e vera volta fu possibile dedicare il tempo libero alla ricerca di un lavoro.
A dire il vero era una cosa che mi aveva già preso diverso tempo durante le settimane precedenti, ma con la scusa dell’essere appena tornata nel mondo dei vivi non mi ero mai davvero applicata.
Dopo l’ennesimo ‘no’ alla domanda ‘siete in cerca di qualcuno che lavori?’ mi sedetti rassegnata su una panchina proprio di fronte al bar dove Logan andava solitamente.
Lanciai un’occhiata allo stabile, quando incredibilmente notai un cartello giallo appeso alla porta d’ingresso. Sembrava surreale, una di quelle classiche azioni del destino che arrivano proprio quando ne hai bisogno, così senza nemmeno pensarci troppo entrai nel locale.
 
Feci slittare nella lavastoviglie il carrello con sopra i bicchieri sporchi e poi con un colpo d’anca chiusi lo sportello. Feci partire l’aggeggio e mentre mi asciugavo le mani sul grembiule della mia divisa notai che alcuni amici di Logan stavano entrando nel locale.
Non so per quale motivo quando vidi che nel gruppo c’era anche lui avvertii un senso di terrore. Mi voltai di spalle sperando che nessuno mi notasse, ritrovandomi a fissare la macchina del caffè. Era la prima volta che vedevo Logan dal pomeriggio a casa sua e siccome nessuno dei due aveva azzardato a chiarire la situazione me ne ero sgattaiolata via dall’ingresso come una ladra senza nemmeno avvisarlo.
Ted, l’altro cameriere, lanciò un’occhiata a Logan e poi a me, girata come una stupida contro la macchina del caffè e sogghignò. Mi si avvicinò e passandomi un block notes con una penna fece la cosa più crudele che potesse fare.
-Juliet, oggi copri il tavolo sei- continuava a ridere osservando la mia espressione (sicuramente molto intelligente) e poi mi diede una spinta fuori dal bancone.
Per arrivare al tavolo numero sei feci il percorso più lungo che potessi fare, impiegandoci ben cinquanta secondi per raggiungerlo. Quando arrivai si girarono quasi tutti verso di me e quando qualcuno di loro mi riconobbe anche Logan alzò lo sguardo rimanendo perplesso.
-Cosa vi porto, ragazzi?- chiesi cercando di non fissare nessuno, tenendo lo sguardo ben saldo sopra al mio block notes bianco.
-Juls, ma… lavori qui?- mi chiese Conor, un ragazzo biondo che conoscevo dai tempi del liceo.
-Già- risposi a denti stretti. Sentivo gli sguardi di tutti addosso e questo mi faceva sentire a disagio, molto a disagio.
Ordinarono le solite schifezze da ‘pomeriggio di noia’ e quando tornai al bancone Ted sogghignò.
-E’ stato tremendo come ti aspettavi?- chiese, io lo fulminai.
-No, peggio- commentai radunando dal frigo le bibite. Lanciai un’occhiata al tavolo e notai che stavano confabulando guardandomi. Logan portò subito lo sguardo altrove, poi continuò a parlare con gli altri: avrei pregato per sapere di cosa, o di chi.
Divoravano quel cibo come se non si sarebbe stato domani, abbuffandosi come dei superstiti che non toccavano cibo da giorni.
-Hey Juls, sono felice che il capo ti abbia presa, lavori bene- disse Ted Avvicinandosi a me dietro al bancone. Restai perplessa qualche istante, in realtà era la prima cosa carina che mi diceva da quando lavoravo li e quando mi sfiorò gli orecchini assottigliai lo sguardo.
-Cosa hai intenzione di fare?- chiesi risistemando l’orecchino destro con una mano.
-Beh, potremmo uscire assieme qualche volta, ti porto in un posto dove trovi tutti gli orecchini che vuoi- disse toccandoli nuovamente. Abbassai lo sguardo verso il lavandino e mentre lo facevo lanciai uno sguardo al tavolo numero sei. Logan stava vedendo tutte le moine che Ted mi stava facendo e sembrava nero.
 
Tornando a casa l’unica cosa a cui riuscissi a pensare erano gli occhioni azzurri di Logan che mi osservavano dal tavolo numero sei, con quello sguardo tipico di quelli che vorrebbero capire una determinata situazione, con quello sguardo tipico di chi è infastidito, geloso.
-Hey Juliet!- una voce mi chiamò da dietro le mie spalle. Quando mi voltai notai Conor che correva verso di me. Non capii inizialmente, sembrava essersi fatto di corsa tutta la salita dal bar in cui tutto il gruppo era ancora seduto.
-Conor! Prendi fiato!- ridacchiai quando si fermò con il fiatone. Ci conoscevamo da quando entrambi frequentavamo la Beverly Hills High School, ma non eravamo mai stati veramente amici. Per lo più lo conoscevo perché era amico di Logan ed entrambi erano parte della stessa comunità ebrea. I nostri genitori, invece, erano amici da una vita ma mai ne io ne Conor avevamo dimostrato di voler essere amici quando eravamo più piccoli, così avevano perso le speranze.
-Stavo aspettando che uscissi dalla porta principale e invece sei uscita dal retro- commentò per spiegare perché mi stesse inseguendo –stasera i miei genitori sono a cena dai tuoi, così ora vengo a casa tua, ceno e poi esco con gli altri- disse con disinvoltura riprendendo a camminare.
-Con gli altri chi?- chiesi cercando di non fargli capire di essere nuovamente in fase stalking.
Sembrò rifletterci un attimo su, poi quando sembrò avere il lampo di genio parlò.
-Io, Dean, Logan e Larry- disse. Li conoscevo tutti, Dean era il migliore amico di Logan e Larry suo fratello. Niente ragazze, ottimo.
 
Durante la cena riuscii anche a farmi dire dove sarebbero andati e alla domanda ‘vieni?’ ci misi circa tre millesimi di secondo per rispondere un ‘si” sonoro che fece ridacchiare persino i nostri genitori.  Così quando io e Conor raggiungemmo gli altri tre mi resi conto che Logan non sembrava affatto felice di vedermi, anzi sembrava volesse carbonizzarmi con lo sguardo. Per sua fortuna non fui di peso nel corso della serata, anche perché parlò quasi tutto il tempo con Dean e dal momento che Conor e Larry sembravano chiusi in un guscio terminai con il prendere a calci le pietre per strada, camminando dietro a tutti. Solo quando uno di quei sassolini finì sulla caviglia di Logan lui si girò e volgendomi un sorriso forzato mi venne accanto.
-Ti stai divertendo?- mi chiese. Io restai allibita: come poteva porgermi una domanda simile?
-Da matti, guarda- dissi acida. Lui mi guardò.
-Quando ti ho vista non mi immaginavo proprio che ci saresti stata anche tu. Credevo che stasera saresti uscita con Ted- disse confermando così la mia ipotesi secondo la quale al bar stesse origliando tutta la conversazione.
-Ma per favore, Logan- risposi a metà tra il ribrezzo e l’incredibile. Lui rise e dopo giorni senza che mi sfiorasse mi mise un braccio intorno alle spalle.
-Sai, non volevo andarmene così quel giorno- dissi a bassa voce. Ora avevamo rallentato, tant’è che eravamo rimasti così indietro che in quel pezzo di strada eravamo soli –scusami- aggiunsi.
Lui sorrise e il suo sguardo si illuminò.
-In anni e anni che ti conosco questa è la prima volta che mi chiedi scusa- disse schioccandomi un bacio sulla fronte. Aveva un buon profumo, il profumo che aveva sempre avuto.
-Beh, mi spiace per tutto quello che è successo. Se l’incidente non fosse mai avvenuto forse noi staremmo ancora…- mi veniva quasi da piangere.
-Insieme- mi interruppe completando la frase che stavo dicendo. Si fermò e quando potei specchiarmi nei suoi occhi blu prese a parlare nuovamente –anche a me dispiace per tutto ciò che è avvenuto- disse malinconicamente.
Abbassai lo sguardo, poi gli diedi un bacio sulla guancia.
-Torniamo dagli altri ora- sussurrai riprendendo a camminare, rimpiangendo il fatto di non averlo baciato quando avrei potuto. Chissà se lui si stava rimproverando la stessa cosa…

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 - Scelte Sbagliate ***


Passarono altre settimane dalla serata che trascorsi con Logan ed i suoi amici; in quel particolare periodo dell’anno sembrava non avessi tempo per fare niente e quel poco che mi riusciva mi riusciva persino male.
-Juliet, per l’amor di Dio, è il terzo bicchiere che rompi in una settimana- mi urlò Ted nello stesso istante in cui il bicchiere si frantumava a terra dietro al bancone.
Alzai lo sguardo mortificata rendendomi conto che l’intera clientela si era voltata a fissarmi.
-Fantastico- sussurrai a me stessa –scusami Ted, questa è l’ultima volta che succede- dissi asciugandomi la fronte con la manica del grembiule.
-Ancora uno e sarò costretto a licenziarti- disse minaccioso tornando alla macchinetta del caffè.
Era il sedici di Aprile e le spiagge avevano aperto per la prima volta dopo l’inverno la stagione di vela. Infatti i miei amici erano irraggiungibili dalle prime luci del mattino, snobbandomi per dare la precedenza ad una qualsiasi barca. Ecco perché la clientela attuale nel negozio era formata prevalentemente da anziani.
Il mio cellulare vibrò in quel momento nella mia tasca. Lanciai un’occhiata a Ted per assicurarmi che non mi vedesse e veloce presi il telefono e lessi il messaggio.
"Tu, io, barca. Questa sera. L" Nonostante non avessi il numero in rubrica non mi ci volle molto per intuire che quella L stava per ‘Logan’, d'altronde avevo fatto l’abitudine ai continui cambi di numero del ragazzo. Erano gli effetti collaterali della fama, specie tra le adolescenti, che ti costringevano a vivere una vita paparazzata e precaria, in cui nemmeno il tuo numero di cellulare restava lo stesso per più di un mese.
<<Non vedo l’ora>> risposi velocemente, ricacciando il telefono in tasca nello stesso istante in cui Ted alzava la testa verso di me.
-Sai, dovremmo uscire- mi disse avvicinandosi, io con la stessa rapidità mi allontanai afferrando uno strofinaccio e passandolo sul ripiano.
-Ted, sai già qual è la mia risposta- dissi cercando di ricordargli l’esito negativo della nostra precedente conversazione sullo stesso argomento.
Lui ridacchiò, poi senza mai arrendersi fermò la mia mano che rapida faceva scorrere la stoffa dello straccio sul bancone.
-Non accetto un no come risposta- disse avvicinando le labbra al mio orecchio assicurandosi che io sentissi bene quelle parole –e poi non sei nemmeno impegnata. Che problema c’è?- chiese allontanandosi ridendo. E così mi ritrovai con un appuntamento da aggiungere nell’agenda.
Per fortuna la sera arrivò presto e una passeggiata sul molo per me non era mai stata più piacevole di quella che stavo facendo in quell’istante.
Ricordavo appena la barchetta della famiglia di Logan, tant’è che sbagliai imbarcazione ben due volte prima di avvicinarmi a quella giusta.
Lui era voltato di schiena sulla barca, controllando le luci esterne del mezzo quando mi schiarii la voce.
-Spero non affonderemo- ridacchiai quando lo vidi innervosirsi davanti alla lampadina che ostinata non si accendeva.
Lui girò appena la testa, poi facendo un sorriso si alzò in piedi.
-Se dubiti delle mie qualità di marinaio sarò io ad affondare te- rispose ironico porgendomi la mano, aiutandomi a salire a bordo. Mi diede un bacio sulla guancia ed io con un gesto spontaneo lo abbracciai.
-Andiamo allora- dissi quasi impaziente.
Il silenzio ci circondava e le luci ormai lontane della costa ci ricordavano che ormai eravamo soli nel nulla.
-Ricordi l’ultima volta che siamo venuti qui?- chiese lui sedendosi vicino a me. Anche se esitai qualche istante prima di annuire non potevo dimenticare quel pomeriggio primaverile in cui ci eravamo immersi per osservare i fondali marini.
-Mi regalasti una stella marina- confermai accennando un sorriso.
-Che tu ributtasti subito in mare- commentò con tono piatto, quasi disprezzante ma pur sempre tenero. Ridacchiammo insieme, poi per qualche istante ci fu silenzio.
-Io fra due giorni parto- commentò tamburellando con le dita sulle mie ginocchia, appoggiate sulle sue gambe.
-Film?- chiesi. Lui annuì, poi sorridendo sospirò.
-Ma non credere, ti tartasserò di messaggi, tant’è che sarai tu questa volta a cambiare numero- rise facendomi sorridere. Io mi alzai in piedi, poi senza nemmeno togliermi i vestiti mi gettai in mare. Restai sott’acqua qualche istante, poi riemersi.
-Ma cosa fai?- mi chiese affacciato dalla barca; io alzai un sopracciglio. Gli schizzai l’acqua addosso e poi gli feci un cenno.
-Vieni no?- urlai quasi. Ma bastò poco prima che anche lui si gettasse in mare.
 
-Ti prenderai un raffreddore se non ti metti qualcosa di asciutto addosso- mi suggerì gettandomi un asciugamano contro. Io alzai le spalle, al ché lui mi osservò di soppiatto. L’alzata di spalle lo aveva sempre infastidito, tant’è che per dispetto qualche tempo prima dell’incidente lo facevo di continuo.
Appena avvolta nell’asciugamano mi voltai, notando che Logan mi fissava.
-Logan- esitai un attimo prima di fargli quella domanda, ma lui rimase in attesa, forse aspettandosi in un certo senso quello che volevo domandargli –tu mi trovi ancora attraente?- chiesi vergognandomi di me stessa. Lui sorrise e prendendomi le mani appoggiò la sua fronte alla mia.
-Non mi sei mai piaciuta tanto come in questo momento- disse facendo salire le mani lungo le braccia, passando poi sulla schiena. Rabbrividii, ma nel momento in cui le sue labbra sfiorarono le mie provai quasi caldo, come se il mio cuore stesse impazzendo, lasciandomi senza un battito ogni volta che le sue dita sfioravano un nuovo lembo di pelle. Gli afferrai i fianchi e chiudendo gli occhi lasciai che tutto quello che poteva accadere accadesse.
 
Quando riaprii gli occhi mi accorsi della lieve luce che illuminava la cabina ed il letto su cui io e Logan eravamo coricati abbracciati; doveva essere molto presto, ma quello che era successo quella notte era stato estremamente sbagliato.
Mi sedetti nel letto cercando a vista i vestiti che mi ero tolta appena prima di infilarmi l’asciugamano e quando misi i piedi per terra percepii Logan muoversi tra le lenzuola. Sperando che non si svegliasse mi alzai in piedi e mi rivestii, poi furtivamente uscii dalla cabina.
Mi sentivo in trappola come una preda messa all’angolo e capendo che non potevo scappare mi limitai a sedermi nel posticino sopra il comando, osservando il sorgere del sole. Nello stesso istante in cui notai dei delfini saltare poco più lontano sentii le braccia di Logan che mi circondavano, nello stesso istante in cui posava il suo petto alla mia schiena.
Il topo era all’angolo, il cacciatore era arrivato ed io non avevo via di scampo.
-Non hai perso il vizio di svignartela, eh?- mi sussurrò intrecciando le dita delle sue mani con le mie. Per lui era sempre così facile parlare, quella con i rimorsi ero sempre e solo io. Rimasi in silenzio, continuando ad osservare il sole all’orizzonte.
-Cosa c’è che non va- mi chiese sciogliendo l’abbraccio e sedendosi vicino a me, cercando il mio sguardo.
-Niente- commentai a denti stretti, senza degnarlo di uno sguardo. Lui corrugò la fronte e prendendo la mia mano si schiarì la voce.
-Non è la prima volta che è successa questa cosa tra noi- mi sussurrò lasciandomi un bacio sulla guancia; io mi distolsi.
-Si, ma prima stavamo insieme- gli feci presente guardandolo per la prima volta da quando mi aveva raggiunto li sopra –ora cosa siamo?- gli domandai osservando la sua reazione. Era chiaramente qualcosa che non si aspettava, ma ebbe comunque la forza di rispondermi.
-Non lo so-
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 - The Fall ***


Il paesaggio si muoveva veloce fuori dai finestrini della mia auto mentre con il piede premevo ancora un po’ il pedale. In quel momento non avevo una meta, ma l’idea di allontanarmi da tutto e tutti mi piaceva e parecchio.
Era passato un mese dall’episodio della barca e da allora non avevo più rivisto e sentito Logan e la sua barca. Lui, d’altronde era tornato quella mattina a Beverly Hills dopo un mese di lontananza da casa per via delle riprese del film e dalle undici il mio cellulare non aveva smesso un attimo di squillare. Così avevo preso l’auto approfittando che i miei genitori erano via per lavoro dall’altra parte del Paese e da tre ore non avevo smesso un istante di guidare.
Los Angeles e il mare erano sparite dallo specchietto retrovisore già da qualche ora, quando oltrepassando la scritta ‘Las Vegas’ decisi di fermarmi ad una tavola calda.
-Che c’è?- chiesi rispondendo al telefono che squillava.
-Stavi forse inseguendo quello che ti aveva rubato il cellulare? No perché sono quattro ore che non rispondi al telefono- disse la voce nervosa di Logan dall’altro capo.
-No, stavo guidando- risposi scocciata. La verità è che non accettavo il ricevere un “non lo so” e un mese di assenza da un ragazzo con il quale speravo di riallacciare un rapporto. E proprio nella giornata del suo ritorno era ostinato ad intasarmi la linea telefonica.
-Ah! E dove sei ora?- mi chiese con altrettanta accidia. Esitai qualche istante, poi facendomi coraggio gli risposi.
-A Las Vegas- commentai con sicurezza, nello stesso istante in cui non sentii più il suo respiro per qualche secondo.
-E si può sapere che ci fai laggiù?- domandò alzando il tono della voce innervosito; a me veniva da ridere, ma la rabbia repressa dell’ultimo mese mi faceva restare seria.
-Pensavo di fare una vacanza. Oh! Guarda, ora devo andare!- dissi distaccando il telefono dall’orecchio, riuscendo a sentire però ancora la voce di Logan.
-Juliet, prova a chiudere la chiamata e…- chiamata terminata.
Riuscii a fare uno spuntino e a rimettermi in viaggio verso la città quando il cellulare ricominciò a squillare, ma questa volta era Candy.
-Tu vai a Las Vegas senza dire niente?- aveva già saputo e mi aveva già assordato le orecchie prima ancora che potessi aprir bocca.
-Oh, è probabile che questa sera sarò di nuovo a Los Angeles, o domani mattina- dissi fermando il telefono tra la spalla e l’orecchio.
Lei non perse fiato e tempo due minuti di chiamata mi aveva appena affidato il compito di trovare una camera per due a Las Vegas, dicendomi che  mi avrebbe raggiunta entro la mattina seguente.
La stanza non era male, certo non era un granché visto che il budget non era molto alto, ma per un paio di giorni sarebbe andata benissimo. L’albergo si trovava appena fuori dal centro cittadino, lontano dal caos tipico di Las Vegas e un piacevole silenzio era sospeso nell’aria; almeno fino al mattino successivo.
Ero immersa nell’acqua della piscina dell’albergo quando arrivando al bordo piscina notai Candy in piedi davanti a me che mi sorrideva.
-Ciao! Siamo arrivati!- urlacchiò facendomi segno di uscire dall’acqua. Appena mi sedetti sul bordo della piscina realizzai quello che mi aveva appena detto e sobbalzai.
-Siamo?- le chiesi, sperando che il mio incubo non si avverasse.
-Si, io e gli altri! Ci siamo tutti!- disse sorridendo, nello stesso istante in cui ero tentata di affogarmi da sola in piscina piuttosto di rivedere Logan, soprattutto dopo avergli chiuso la telefonata mentre stava parlando e dopo aver ignorato tutte le altre.
-Candy, come ti è venuto in mente?- le chiesi asciugandomi al sole. Lei fece spallucce.
-A dire il vero mi ha costretto lui, era vicino a me mentre eravamo al telefono ieri- disse –si può sapere cos’è successo che il vostro rapporto è mutato così dal giorno alla notte?- mi chiese sedendosi sulla seggiola vicino alla mia.
Dopo averle spiegato tutto l’accaduto lei si mostrò più comprensiva, anche se incredula. Non le avevo raccontato mai niente durante quel mese e questo l’aveva ferita.
Proprio mentre le stavo chiedendo scusa arrivarono anche gli altri, camminando in un gruppo disordinato che richiamava molto un branco di pecore.
-Accidenti, Juls. Che ci sei venuta a fare qui?- mi chiese Conor togliendosi le infradito dai piedi, pronto a tuffarsi in piscina –potevi almeno scegliere un albergo con una piscina più grande- continuò ridacchiando.
-Era tardi ieri sera. Ero molto stanca, non vedevo l’ora di andare a dormire- dissi guardando Logan in piedi dietro tutti. Stava a braccia conserte e nascondeva gli occhi con un paio di occhiali da sole.
Il gruppo si dileguò velocemente in acqua, facendo giochi di lotta e resistenza. Lui continuò ad ignorarmi per una mezz’ora buona quando decisi di rompere il ghiaccio.
-Beh. Sei venuto per tenermi il muso?- gli chiesi ruotando la testa verso lo sdraio su cui stava coricato in silenzio.
Lui fece un movimento della testa quasi impercettibile, poi sospirò.
-Ti sei comportata proprio da stupida- disse sicuro di sé. Mi aveva appena data della stupida e non sembrava esserne minimamente dispiaciuto.
-Ah! Ora sono io ad essermi comportata male!- dissi mentre lui si sedette velocemente e innervosito da coricato che era.
-Mi hai chiuso il telefono in faccia e hai ignorato tutte le mie chiamate. Sono arrivato a Los Angeles e la prima cosa che ho fatto è stata passare da casa tua dove tua mamma non sapeva nemmeno dove fossi. Eri sparita, stavi scappando da me!- disse portandosi una mano sul petto nudo; io roteai gli occhi.
-E tu non mi sembra abbia fatto i salti mortali per mantenere i contatti con me in quest’ultimo mese- dissi incrociando le braccia; lui esplose quasi in una risata irritata, poi tornò serio.
-Tu nemmeno- disse alzandosi gli occhiali da sole e io per la prima volta da quella notte in barca rividi il suo sguardo così attraente su di me.
-Si, ma non sono io quella che non aveva le idee chiare su di noi- commentai. Gli altri in acqua ormai si erano tutti messi ad ascoltare la nostra conversazione e quando me ne accorsi mi alzai in piedi –sai, io dall’incidente non sono cambiata di una virgola, i miei sentimenti non sono mai cambiati, ti amo come ti amavo la notte prima dell’incidente. Ma tu non mi sembri della stessa idea- dissi. Lui si zittì e non appena realizzai che avevo confessato di amarlo mi allontanai dalla piscina, rintanandomi nella mia camera, dove mi abbandonai al pianto.
Dopo qualche ora, o forse dopo solo qualche secondo qualcuno bussò alla porta.
-Juliet, possiamo parlarne per favore?- era la sua voce, ma io non avevo la minima intenzione di parlare con lui. Di cosa poi? Non c’era niente da discutere.
-No- dissi appoggiando la fronte contro la porta d’ingresso –non dobbiamo parlare di niente- continuai. Lui restò in silenzio qualche istante, poi mi passò un bigliettino sotto alla porta.
Afferrai il foglietto piegato in due e aprendolo lo lessi.
"Stanza 23, in fondo al corridoio. Quando vorrai ne parleremo"
E da quel momento calò di nuovo il silenzio.
Mi ci volle qualche istante per convincermi che eravamo entrambi lontani da casa e che quindi prima o poi ci saremmo incontrati in quell’albergo, così dopo essermi sistemata i capelli ed essermi lavata la faccia presi coraggio e uscii dalla mia stanza, dirigendomi verso la 23.
Quando bussai restai in attesa.
-Avanti- disse la sua voce. Feci un respiro profondo ed entrai chiudendomi la porta alle spalle.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 - Start Over ***


L’intera camera era immersa nella penombra e guardando l’orologio sul comodino mi resi conto che avevo passato in camera l’intero pomeriggio e che tra poco sarebbe stata ora di cena.
Lui era seduto sul pavimento vicino al letto, circondato da un disordine che non poteva aver creato da solo, era evidente che i ragazzi avevano passato del tempo insieme nella sua camera.
Mi avvicinai a lui e mi sedetti al suo fianco, aspettando che iniziasse a parlare.
Restò in silenzio per qualche minuto, ma in quel momento potevo sentire i suoi pensieri, come se stesse urlando all’interno della sua testa.
-Dovevi dirmelo- disse girando il capo verso di me –forse in questi tre mesi avremmo risolto qualcosa, non trovi?- continuò. La sua voce era calma e i suoi occhi brillavano nella penombra della camera.
-Hai ragione, ma forse non volevo riconoscerlo a me stessa. Mi sono sentita un’idiota per tutto il tempo- commentai riuscendomi così ad aprire per la primissima volta dal mio risveglio.
-Io non ti avrei rifiutata- mi disse e il mio cuore perse un battito. Fece un sorriso, poi con la mano mi scostò un ciuffo portandomelo dietro all’orecchio –io non ti rifiuterei mai- continuò e io sentivo di avere le guance in fiamme, tant’è che lui ci passò delicatamente un dito sopra, sfiorandole e aprendomi un sorriso che non vedevo da tempo.
-E allora perché sulla barca mi hai detto che non sapevi cosa fossimo?- gli domandai rabbuiandomi e a quel punto Logan sembrò richiamare alla mente un pensiero oscuro, tant’è che rifletté su quella domanda a lungo prima di rispondere.
-La mia carriera- disse incrociando le gambe; io alzai un sopracciglio.
-La tua carriera?- ripetei io con tono indeciso; lui mi lanciò un’occhiata, poi sistemandosi i capelli si appoggiò con la testa alla mano.
-Si. Quella sera è successo qualcosa che non sarebbe dovuto accadere, almeno non in quel momento. E l’idea che fosse accaduto proprio la vigilia della mia partenza mi turbava. Juls, per quanto ti ami io non posso darti stabilità con la vita che faccio- disse tutto d’un fiato, ammettendo che mi amava. Sorrisi come non sorridevo dal mio risveglio e lui mi guardò di soppiatto.
-La tua instabilità a me va benissimo- dissi portandogli le mani al collo, baciandolo senza esitare in alcun modo.
Fu un bacio dolce e passionale, dato senza alcun timore e senza alcuna fretta. Le sue mani sul mio viso mi facevano sentire protetta e per ogni bacio dato ne arrivavano altri due.
-Potrei quasi abituarmi a questo- disse dandomi un altro bacio sul collo, togliendomi il fiato.
In un momento del genere non sarei mai stata capace di formulare una frase sensata, ma probabilmente la mia felicità racimolava da sola insieme le parole necessarie.
-Allora abituati, perché io non me ne andrò mai- dissi soffocata tra i baci e i brividi che le carezze di Logan mi provocavano. Lui ridacchiò e mi strinse a se e solo in quel momento mi sentii al mio posto.
 
I tre giorni che programmammo a Las Vegas passarono in fretta e solo quando entrammo in auto io e lui potemmo recuperare tutte le effusioni che non avevamo potuto scambiarci in presenza degli altri.
Si perché al momento nessuno dei nostri amici sapeva di noi e probabilmente non l’avrebbero saputo per un po’. Ci rintanavamo nelle nostre camere lontani da occhi indiscreti e sperando che quegli attimi durassero in eterno assaporavamo ogni istante assieme, come non ci fosse domani.
-Ciao- mi disse schioccandomi un bacio sulle labbra sorridendomi. Non potevo vedere i suoi occhi perché li teneva coperti da degli occhiali da sole scurissimi, non lasciando trapelare la minima ombra di quel blu profondo e bellissimo.
-Ciao- ricambiai il bacio lasciando cadere il capo sullo schienale una volta che lui mise in moto la mia auto. Non avevo alcuna voglia di guidare e dall’incidente guidavo solo se strettamente necessario. Ogni volta che una luce mi passava davanti rivedevo nella mia mente le ultime immagini di quella notte in cui Hannah si voltava verso di me mentre il bagliore si avvicinava all’auto e dell’attimo in cui la stessa ragazza che conoscevo da sempre veniva ballonzolata nell’abitacolo mentre l’auto si ribaltava su se stessa nel campo adiacente alla strada.
Chiusi gli occhi massaggiandoli con le dita. Sentii la mano di Logan posarsi sul mio capo, poi udii la sua voce farsi sempre più nitida.
-Juls, stai bene?- aprii gli occhi e mi voltai verso di lui. Annuii facendo un sorriso, poi sospirai.
-Si. Stavo solo pensando- dissi allacciandomi la cintura di sicurezza. Poi partimmo in direzione di Los Angeles.
Lo osservavo ben concentrato mentre guidava seguendo le auto degli altri, poi quando se ne accorse ridacchiò.
-Hey! Ti godi lo spettacolo?- mi chiese roteando la testa verso di me, tornando a fissare quasi subito la strada. Io risi sfiorandogli il braccio teso che teneva il volante. Lui si scostò –Dai, Juls. Mi fai il solletico- disse divertito; io tornai al mio posto.
-Scusami- dissi mettendo i piedi sul cruscotto. Lui scosse la testa.
-Poi non lamentarti delle macchie che non vanno via- disse –io non ti aiuterò mai più- continuò con convinzione. Lo osservai mentre divertito pensava a qualcosa da dire.
-Dammi un bacio- gli dissi porgendogli una guancia. Lui negò con la testa –eddai, solo uno- gli dissi. Lui fece nuovamente segno di no, al ché feci la finta imbronciata. Lui rise.
 
Hannah ed io stavamo ridendo mentre lei guidava verso casa. Mi prendeva in giro perché avevo dimenticato una scarpa nel locale nel quale avevamo passato la serata.
-Secondo me l’hai regalata a quel tizio moro- rideva mentre io la imploravo di smetterla –ma questo a Logan non lo diciamo- continuava ironicamente a prendermi in giro sulle mie condizioni, e sul fatto che all’auto fossi quasi giunta strisciando.
-Tu hai dei segreti?- mi domandò voltandosi verso di me, facendosi seria improvvisamente.
-Si, ma prima che te lo dica devi dirmi il tuo- le dissi facendo un sorrisetto malizioso. Lei ridacchiò, poi sospirò.
-Sono incinta- ammise; io restai a fissarla allibita –ma ora tocca a te… anzi, aspetta, mi si è infilato qualcosa nella scarpa- disse chinandosi cercando di mantenere il volante.
Osservavo i suoi capelli biondi che a causa dell’alcool mi sembravano sfocati, così come le luci del furgone che giungevano nella nostra direzione.
-Hannah- mugugnai –quello ci viene addosso- indicai un punto oltre il vetro, poi lei capendo che eravamo bloccate nella nostra corsia e troppo vicine all’auto per tentare una qualsiasi manovra si voltò verso di me terrorizzata e al momento dell’impatto urlò come mai l’avevo sentita gridare. E con quell’urlo impresso mi svegliai di soprassalto. Quasi non rimasi strozzata dalla cintura e terrificata mi stavo reggendo al sedile della mia auto ansimando sperando che nulla fosse reale.
L’auto accostò per strada e Logan mi concesse tutte le sue attenzioni una volta che l’auto fu ferma.
Il sogno mi sembrava così reale che ora ero in lacrime, incredula d’aver rivissuto l’incidente.
-E’ stata colpa mia- dissi nascondendo la testa tra le mani –se ce ne fossimo andate quando voleva lei ora sarebbe ancora viva- continuai piangendo istericamente, mentre le braccia di Logan mi circondavano dolcemente.
-Non è stata colpa tua- mi sussurrò accarezzandomi i capelli –non è stata colpa di nessuno- continuò mentre il mio pianto si stava pian piano arrestando.
-Mi manca così tanto, Logan. È morta prima che io potessi dirle un sacco di cose- dissi e per un momento singhiozzai.
-Manca tanto anche a me. Ma lei è sempre con noi, ok?- mi rassicurò dandomi un bacio –ora ci sono io, affronteremo tutto assieme- mi disse. Ed io ebbi per la prima volta l’impressione che stesse dicendo la verità.
Le notti successive feci sempre lo stesso sogno che terminava con l’urlo di Hannah e al risveglio avevo paura ad addormentarmi, per paura di rivivere l’accaduto e di dover affrontare i segreti che lei si era portata nella tomba.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9 - Effetti Collaterali ***



Il calore del sole scaldava la mia pelle nuda, mentre il rumore delle onde cullava i miei pensieri. La sabbia rovente mi stava bollendo i piedi e quando aprii gli occhi l’unica cosa che vidi fu l’oceano che a pochi metri da me si apriva in una distesa in movimento infinita.
Mi piaceva stare in spiaggia da sola, era l’unica vera occasione che avevo per estraniarmi completamente dal mondo e di dimenticare qualsiasi cosa.
-Ragazzi, c’è Juls- udii in lontananza e capii che chiunque stesse parlando si stava riferendo proprio a me. Girai appena la testa e notai Conor che poco distante mi stava indicando. Alzai la mano e la scossi in segno di saluto e solo in quel momento mi accorsi che c’erano tutti i ragazzi, incluso il mio ritrovato ragazzo Logan. Sembrava abbastanza in incognito, con i classici occhialoni neri che indossava quando usciva in pubblico, forse per attirare meno occhi curiosi. Disse qualcosa che non riuscii a sentire, poi mi raggiunse.
-Ciao- disse sorridente, chinandosi su di me e dandomi un bacio. Lo osservai, come tutti gli altri ragazzi reggeva una canna da pesca in una mano e un retino nell’altra.
-State andando a pesca?- chiesi sapendo benissimo quanto fosse scontata quella domanda.
Lui annuii, poi sospirò.
-Scusami, ora devo andare. Pesca in barca!- commentò dandomi un altro bacio, poi si avviò verso gli altri che nel frattempo avevano proseguito di una ventina di metri. Mentre camminava si voltò.
-Poi ti devo dire una cosa- urlò per farsi sentire mentre continuava a camminare all’indietro. Io alzai un sopracciglio e annuii.
Probabilmente dormivo, o perlomeno ero in uno stato di dormi veglia quando sentii qualcosa sfiorarmi la caviglia. Quando aprii gli occhi sobbalzai e mi alzai immediatamente in piedi.
-E lei chi diavolo è?- chiesi impaurita osservando la donna che stava girovagando sotto al mio ombrellone con una macchina fotografica.
Lei colse l’occasione e scattò immediatamente una foto al mio volto terrificato, accennando un sorriso. Mi misi una mano davanti alla faccia e afferrando la borsa con l’altra mi girai e cominciai a camminare in direzione della strada.
-La smetta- dissi innervosita continuando ad udire i ripetuti click della sua macchina fotografica.
-Solo un paio di domande, tesoro- disse con voce irritante. Io cercai di mantenere la calma e senza degnarla di alcuna attenzione guadagnai terreno aumentando il passo.
-Su, carissima. Qualche dettaglio sul rapporto con Lerman e insieme fate la prima pagina di questo mese!- urlò nello stesso istante in cui io alzavo il mio medio nella sua direzione. Mi infilai la maglietta mentre camminavo sotto gli occhi curiosi dei residenti e finalmente riuscii a liberarmi della donna.
Quando la sera dopo la doccia entrai nella mia camera avvolta nell’asciugamano sobbalzai vedendo Logan seduto sul mio letto che curiosava nei cassetti del comodino.
-E tu quando sei arrivato?- chiesi stringendomi nell’asciugamano. Lui si voltò stranito dal tono di voce che avevo appena utilizzato per parlare. Il fatto è che ero ancora nervosa per l’accaduto del pomeriggio con la giornalista, tant’è che avevo saltato cena e avevo passato il resto del pomeriggio sdraiata nel letto.
-Tua sorella mi ha fatto salire- disse alzandosi venendomi ad abbracciare. Io restai immobile e rigida persino quando mi diede un bacio –stai bene?- mi chiese tenendo le sue mai sui miei fianchi.
-E’ successa una cosa oggi in spiaggia- dissi incrociando le braccia. Il suo volto cambiò espressione e il suo viso si tinse di preoccupazione –una giornalista  mi ha importunata- dissi avviandomi verso l’armadio per cercare una maglietta da mettere per dormire.
-Davvero?- chiese stupido –e cosa voleva?- continuò sedendosi sul materasso.
Trovai la maglietta e nascondendomi dietro l’anta dell’armadio mi vestii.
-Voleva sapere i dettagli sulla nostra vita privata. Mi ha anche seguita per un tratto di strada insistendo sul fatto che saremmo finiti in prima pagina- dissi raccogliendo l’asciugamano e buttandolo sulla spalliera del letto.
Guardai Logan, lui stava ad occhi chiusi con le mani sul viso, inspirando lentamente; poi alzandosi mi venne affianco.
-E’ colpa mia. Solo colpa mia, mi dispiace- disse abbracciandomi. Io appoggiai la testa al suo petto e restammo immobili per qualche istante.
-Vabbé- esclamai sciogliendo l’abbraccio –ora è passato- conclusi facendogli un sorriso. Lui sembrò sollevato e dopo aver ricambiato il sorriso si schiarì la voce.
-Per farmi perdonare voglio invitarti a venire con me ad un galà organizzato da una qualche associazione di cui non ricordo il nome, ma dev’essere importante visto che il mio manager ha accettato il compromesso di farti venire con me affinché partecipassi- disse aspettando una mia risposta.
Se avessi accettato sarebbe stata la prima e vera apparizione pubblica mia e di Logan, persino da prima dell’incidente; la nostra storia era sempre e solo stata un vociferare in cui io assumevo la parte di colei che era riuscita a rubare il cuore a Logan, ma mai nulla era stato ufficializzato.
-Ne sarei felice- dissi aprendo un sorriso sul mio volto –ma… è di questo che volevi parlarmi oggi pomeriggio?- gli domandai; lui annuì.
I giorni successivi non riuscii a fare altro che pensare a quanto sarebbe stata meravigliosa la serata con Logan, ma la discussione con Candy mi fece tornare alla realtà.
-E’ evidente che lui ti voglia presente a tutti i costi, ma sono convinta che lui non abbia pensato a tutti gli effetti collaterali che la tua apparizione porterebbe- disse con pura sincerità; era proprio quello ce rendeva Candy così particolare, il fatto che dicesse sempre quello che pensava.
-Cosa intendi?- domandai. In questi casi mi sentivo sempre l’ingenua di turno, quella che aveva sempre qualcosa da imparare. Lei sospirò, proprio come la maestra che sta per spiegare per la quarta volta la stessa cosa.
-Juls, sarà un evento importante quindi ci saranno anche persone di un certo calibro, mica bariste come te- disse indicandomi –sappiamo bene come sono quel genere di persone, perché metà di loro arrivano proprio da Beverly Hills- disse parlando scioltamente, come se si fosse studiata quello che stava dicendo –è probabile che ti attaccheranno. Non direttamente, ovviamente, ma ti potranno dire cose che magari ti faranno soffrire- concluse e controllando che lo smalto si fosse asciugato.
Aveva ragione, come sempre, ma ero sicurissima che Logan mi avrebbe difeso. E se non l’avesse fatto? Una cosa era certa, stavo diventando paranoica e in certi pensieri mi riconoscevo in Hannah e nella sua preoccupazione perenne. Chissà cosa mi avrebbe consigliato se fosse stata presente.
Uscendo da casa di Candy e nel tragitto verso casa mia non riuscivo a pensare ad altro che a quello che mi aveva appena detto. Per lo meno avevo ricevuto un consiglio da qualcuno.
Dovevo essere davvero assorta a mille nei miei pensieri, perché poco prima di svoltare l’angolo feci cadere una bicicletta che era appoggiata ad una delle tante staccionate.
Mi chinai per raccoglierla e metterla a posto quando udii una voce.
-Oh, non preoccuparti. È abbastanza rovinata da meritarsi di restare li a terra- disse un ragazzo avvicinandosi a me. Io restai in silenzio ed alzai un sopracciglio.
-Sei Juliet Wickmann- esclamò raccogliendo la bicicletta da terra. Gli lanciai un’occhiata, poi notando il mio sguardo perplesso continuò –ah, scusami. Sono Peter Gabwinn, sono il paramedico che ti ha prelevata dal sedile e ti ha portata in ospedale- commentò porgendomi la mano. Gliela strinsi, avvertendo uno strano senso di riconoscenza tra me e me.
-Tanto piacere- sussurrai timida; lui fece un sorriso.
-Beh, è bello vedere che stai bene. Ma ora devo andare- disse sistemando i pedali della bicicletta. Io feci un passo indietro e restai ad osservare il ragazzo moro con cui avevo appena parlato e che mi aveva salvato la vita mentre si allontanava nella direzione opposta alla mia.
L’incontro con Peter mi fece tornare alla sera dell’incidente, doveva essere lui quello a cui Hannah aveva detto quell’ultima frase e questo gli donava un non so chè di particolare, era l’ultima persona che aveva parlato con la mia migliore amica e a cui forse lei aveva detto qualcosa riguardo al suo segreto più grande.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 10 - Another World ***


La settimana successiva arrivò finalmente l’evento tanto atteso. Stavamo andando a Santa Monica, non molto distante da Los Angeles e in un paio di minuti saremmo arrivati in albergo.
-Che poi spiegami. Abitiamo vicino e abbiamo affittato una camera. A che scopo?- gli chiesi assottigliando lo sguardo. Lui sorrise divertito, certo per lui doveva essere uno spasso sentire le problematiche di una persona che non aveva mai visto nulla di più lussuoso di un diamante in vetrina.
-Ammetto che avrei preferito vederti subito con l’abito tanto misterioso, ma mi toccherà soffrire fino a questa sera, ma quando dovrai prepararti ti accorgerai della praticità di una camera. E poi…- fece un sorriso malizioso –in caso dovessimo annoiarci nell’attesa avremo un letto- ridacchiò posandomi una mano sulla coscia. Io gliela schiaffeggiai appena.
-Logan!- lanciai un’occhiata all’autista che sembrava non far caso a noi  -e se ti sente…?- chiesi sentendomi le guance bollire.
-Ti amo- mi sussurrò –ancor di più quando arrossisci- mi diede un bacio e questa volta non mi importò se qualcuno ci stesse osservando.
 Posai delicatamente la scatola con il vestito dentro sul letto e le scarpe vicino alla porta, in modo che fossero facilmente rintracciabili negli ultimi minuti. La stanza era spaziosa e ogni angolo sembrava esser stato collaudato alla perfezione.
Mi buttai sul materasso stropicciando la seta grigia prima stesa così perfettamente e sospirai. Logan si coricò al mio fianco e rimase a fissarmi qualche istante, giocherellando con i miei capelli scompigliati.
-Sei nervosa?- mi chiese dolcemente; io osservavo i suoi occhi azzurri che riflettevano i miei e con un dito posato sul suo labbro inferiore seguivo il movimento delle sue labbra. Feci segno di no con la testa, poi gli sorrisi.
-Finchè saprò di averti vicino non sarò mai nervosa- sussurrai, seguendo ora con il dito il profilo delle sue guance perfette. Mi sorrise, poi si chinò su di me baciandomi. Assaporai tutto di quel bacio, poi con delicatezza cominciai a sbottonargli la camicia, fino a quando le sue mani non mi fermarono.
-Cosa fai?- mi domandò retoricamente accennando un sorriso tra un bacio e l’altro. Presi lei sue mani tra le mie e le allontanai dalla camicia.
-Secondo te?- risposi, finendo gli ultimi bottoni e togliendogli l’indumento, mettendo in mostra il suo addome perfetto.
Con estrema maestria ci togliemmo il resto degli indumenti e quando non fummo che nudi mi lasciai travolgere dai suoi respiri e dai suoi baci lungo la mia pancia.
 
-Non sbirciare- rimproverai Logan quando notai che cercava di guardare l’abito nella scatola. Lui ridacchiò e dandomi le spalle per obbedirmi tirò su la zip dei suoi pantaloni eleganti neri. Stava trafficando con la cintura quando delicatamente lasciai correre l’abito color avorio lungo il mio corpo, sistemando poi i dettagli con le dita. Era un abito lungo che arrivava sino ai piedi e che ricadeva sul pavimento sinuoso. La scollatura lasciava intravedere il decolté, ma la cosa che più amavo di quel vestito era la vertiginosa scollatura che aveva sulla schiena che metteva in mostra parte del mio tatuaggio. Era un vestito elegante, perfetto per la serata che dovevo affrontare. Di solito non mi piaceva ricevere complimenti, ma mi riconoscevo che quell’abito mi rendeva femminile e bellissima; Logan non avrebbe fatto di certo brutta figura.
Mi infilai le scarpe, poi mi schiarii la voce per richiamare l’attenzione di Logan. Si stava sistemando l’orologio quando si voltò verso di me. Quando alzò la testa il suo sguardo si illuminò, sembrava non essere certo che quella che aveva davanti fosse la sua donna. Si, perché per la prima volta mi guardava come donna e non come ragazza sua coetanea.
-Allora?- domandai –come sto?- feci una piroetta su me stessa, affinché potesse ammirare lo scollo sulla schiena, ma dal suo sguardo traboccava solo stupore.
-Sei bellissima- mi disse mantenendo una certa distanza –ma credo che ti manchi qualcosa- sussurrò avvicinandosi alla sua borsa messa in un angolo.
-Conosco quel tono, cosa….- mi ammutolii appena lo vidi estrarre una scatola di velluto blu delle dimensioni di un cartoccio di latte. Mi si avvicinò delicatamente, sembrava avesse paura mi potessi spezzare con uno sguardo, poi aprì la scatola sorridendo.
-Almeno ho azzeccato il colore giusto- disse. Io restai in silenzio ad osservare la collana e gli orecchini abbinati che avevo sotto agli occhi. Erano semplici e bellissimi, una collana punto luce con quello che sembrava essere un piccolo diamante al centro e gli orecchini molto simili splendevano.
-Ti piacciono?- mi chiese terrorizzato. Io lo osservai, aveva reso tutto così perfetto, si era occupato di tutto e quest’ultimo dono mi aveva lasciata senza parole.
-Mi farai sembrare una principessa- dissi piano, come se la mia voce fosse sparita. Lui sorrise e delicatamente mi allacciò la collana al collo.
-La mia principessa- mi disse dandomi un bacio proprio vicino alla pietra.
 
Più mi guardavo attorno e più mi rendevo conto che per una volta non mi sentivo affatto fuori luogo, anzi, sembravano gli altri invitati non aver colto il codice d’abbigliamento. Logan mi era sempre stato accanto, non mi aveva mai lasciata sola, nemmeno per un minuto e tutte le volte che intratteneva una qualche conversazione mi teneva la mano, sfoggiandomi come un trofeo sullo scaffale. Stavamo condividendo qualche sorriso quando un uomo in smoking si avvicinò a lui.
-Logan, devi raggiungere Jake Abel dietro al rinfresco, da solo- specificò lanciandomi un’occhiata per farmi intendere che io dovevo restare al mio posto. Lui annuì e l’omone sparì con la stessa velocità con cui era arrivato.
-Aspettami qui, torno subito. Se hai problemi io sono proprio qui dietro per cinque minuti- disse raccomandandosi come un genitore. Io risi.
-Logan, saremo pur sempre nello stesso edificio. Starò bene- dissi spingendolo nella direzione in cui doveva andare; lui esitò, ma poi sorridendomi sparì dietro l’angolo.
Restai a guardarmi intorno, lanciando continuamente occhiate al banco con il cibo, cercando di placare il brontolio del mio stomaco.
-Ti diverti?- mi disse una voce femminile. Io mi voltai e notai davanti a me una ragazza alta e bionda che spavaldamente mi osservava dall’alto al basso. La riconobbi, era la ragazza bionda che aveva lavorato con Logan nel suo ultimo film, ma mai avrei immaginato che avrebbe parlato proprio con me.
-Si, molto- dissi cercando di non dar peso a quella conversazione, visto come la ragazza tendeva a parlarmi acidamente.
-Sei Juliet, no?- mi chiese ed io annuii –bene, allora sappi che la tua presenza qui è del tutto inopportuna- mi sussurrò mentre il resto dei presenti continuava il proprio giro.
-Qual è il tuo problema?- chiesi cercando di mantenere il confronto con la bionda.
-Il mio problema e, direi di tutti, è come tu stia manipolando il tuo ragazzo, allontanandolo dai suoi doveri. Non appartieni a quest’ambiente e mi auguro vivamente che dopo questa sera tu non ti faccia più vedere, per il bene tuo e della carriera di Logan- mi disse senza lasciarmi il tempo di ribattere; poi mentre si allontanava appena si voltò un’ultima volta e sorridendo mi sussurrò un frase che avrei capito in qualsiasi occasione: “era meglio quando eri in coma”.
La conversazione fu breve ma intensissima, e in quel preciso istante mi venne in mente quello che mi aveva detto Candy, prevedendo perfettamente quello che mi aveva appena detto la bionda. Mi aveva ferita e con quell’ultima frase, detta solo con il labiale a distanza ma con la stessa cattiveria, mi fece scendere una lacrima, tant’è che mi fece desiderare di essere tra le braccia della sola persona che in quel momento non volevo nemmeno vedere.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 11 - Paparazzi ***


Ok, ok.... nota dell'autrice: volevo ringraziare coloro le quali seguono e commentano assiduamente questa fanfiction scritta tra i sudori di un'estate snervante passata in città. Spero continuerete ad apprezzare i capitoli in arrivo e che ciò che scriverò non vi risulti noioso. In caso lo dovesse essere non fatevi problemi e ditemi pure che questa fanfiction non vi piace... ciau! Valah


---------------------------------------------------read---------------------------------------

Quando finalmente uno dei bagni si liberò mi chiusi dentro ed abbassando la tavoletta mi sedetti spensierata, desiderando di isolarmi dal mondo intero e da tutti i presenti al di là di quella porta bianca. Non passò molto tempo prima che una lacrima mi rigasse il viso, lasciando una strisciolina umida che dall’occhio arrivava fino al mento, per poi  accumularsi in una lacrima in bilico e sospesa in aria.
Non sapevo minimamente che cosa avrei fatto in quell’istante, ma probabilmente se avessi potuto sarei fuggita dal mondo intero. Appena mi calmai uscii dal buco in cui mi ero riparata e dopo essermi controllata davanti allo specchio enorme del bagno uscii nuovamente in mezzo alla bolgia di invitati. Non ci volle molto prima che Logan mi trovasse, anche se stavo passando l’intera serata in disparte, bevendo un bicchiere di spumante dietro l’altro.
-Juls, eccoti. Ti ho cercata per mezz’ora, ma dov’eri?- mi chiese togliendomi il bicchiere dalle mani, posandolo sul vassoio di un cameriere che proprio in quell’istante stava passando di fianco a noi.
Lo osservai, nonostante i diversi bicchieri ero ancora lucida, ma lui sembrava convinto del contrario.
-Ero in bagno- dissi incrociando le braccia. Lui continuava a cercare il mio sguardo e nonostante io cercassi di evitarlo, lui riusciva in qualche modo ad incontrare sempre il mio sguardo.
-Quanto hai bevuto?- mi chiese senza distogliere lo sguardo per un istante. Io lo guardai torva, notando che proprio in quell’istante la bionda stava passando li vicino guardandomi soddisfatta.
-Pensi davvero che stia così per qualche bicchiere di spumante?- chiesi infastidita, cercando di mantenere un tono calmo per non dar nell’occhio.
Lui corrugò la fronte, poi accarezzandomi una guancia sembrò illuminato.
-Ma tu hai pianto- e non era una domanda –Juls, cos’è successo?- chiese. Scostai nuovamente lo sguardo dal suo, che misto di preoccupazione e incomprensione stava fisso su di me.
-Niente- dissi convinta, ma lui non fece una piega.
-Juls- mi persuase e io capii che forse era meglio dire tutto. Lo guardai e poi lanciai un’occhiata a quella fastidiosa ragazza che finalmente aveva smesso di osservarmi.
-A qualcuno non sta bene la nostra relazione- commentai, sentendomi finalmente sollevata.
Lui fece un sorrisino, poi sospirò.
-Lo so, ma pensi che a me importi qualcosa?- mi sussurrò dandomi un bacio sulla guancia, seguito da uno leggero sulle mie labbra. Quella frase mi fece star meglio e quei suoi baci confermavano quello che aveva appena detto: non gli interessava e tanto meno si vergognava di me.
-Riuscii a sorridere, nello stesso istante in cui un flash ci abbagliava, immortalandoci su qualche cellulare, facendo sapere a tutto il mondo che io esistevo e che ero la ragazza di Logan.
-Andiamocene da qui- mi disse prendendomi per mano e camminando a slalom tra la folla, fino a quando una volta in strada non si mise a correre mentre un gruppo di fotografi ci inseguiva.
Trovammo rifugio in un fast food non molto distante dal luogo del galà, ma ben lontano da occhi indiscreti. Eravamo seduti in un tavolo isolato, con ancora indosso i vestiti eleganti e come castori rosicchiavamo patatine fritte e ingurgitavamo affamati panini oleosi ed enormi.
-Sicuro che la tua fuga non ti causerà problemi?- gli chiesi; lui bevve un sorso di coca cola e ci pensò.
-Mi sono messo nei guai dandoti quel bacetto innocente prima, la scappatella non farà molto altro. E poi fra qualche giorno sarà tutto dimenticato- disse addentando il panino.
Ci pensai su, poi decisi di lasciar perdere e di godermi quell’istante di assoluta normalità con Logan.
Nei giorni successivi non vidi Logan, impegnato nei quotidiani affari da attore, tra documenti da firmare e scene da ultimare ed io ritornai ad essere la ragazza ordinaria a cui non succedeva mai nulla.
-Juliet, te lo sto chiedendo per favore- disse paziente la voce di Ted dall’altro capo del telefono –il lavapiatti si è fratturato un braccio sugli scogli e siamo a corto di personale. Puoi per favore venire ad aiutarmi?-
Quando arrivai al locale capii immediatamente che stava succedendo qualcosa che andava ben oltre alla frattura del lavapiatti: le porte del locale erano chiuse per trattenere all’esterno una moltitudine di persone in preda all’agitazione, che sbraitando agitavano microfoni e macchine fotografiche. Ted stava appena dietro alla porta d’ingresso che sbirciava dal vetro il delirio all’esterno. Decisi che l’idea migliore sarebbe stata di entrare dal retro e così feci dopo qualche spintone a paparazzi che continuavano a chiedermi di Logan.
Entrai infuriata e veloce mi diressi verso Ted che nel frattempo per sfuggire alla mia ira si stava facendo piccolo piccolo contro una parete sul lato opposto della sala.
-Tu!- esclamai furiosa andandogli incontro –tu l’hai fatto apposta!- dissi spintonandolo contro il muro.
-Io… posso spiegarti tutto- mugugnò sperando vivamente di non riceve uno schiaffo.
-Ma che ti è saltato in mente? Chiamare tutte quelle persone? Ora mi sarà impossibile uscire da qui senza picchiare qualcuno- dissi lasciando la presa dalla sua camicia che tenevo stretta tra le mie dita.
-No. Loro erano già qui, ed è colpa tua- disse indicandomi il computer acceso al bancone. Lanciai un’occhiata e vidi che nella pagina aperta c’era una mia foto di schiena che facevo un dito medio, ancora in costume e con i capelli bagnati.
-Oh no- dissi sedendomi. Il locale era vuoto, Ted doveva aver mandato via i clienti non appena erano arrivati i primi paparazzi. Ricordai immediatamente l’episodio della spiaggia il giorno in cui Logan stava andando a pescare con i suoi amici –beh e perché mi hai fatta venire qui? È stata l’idea peggiore che potessi avere- gli dissi scontrosa osservandolo mentre preoccupata guardava fuori dalle vetrate del locale.
-Perché sono disposti a pagare per una dichiarazione- mi disse e capii immediatamente che si stava riferendo al periodo di crisi che il locale stava attraversando.
-Non ci sperare, non sai cosa significherebbe- risposi osservando oltre le tapparelle abbassate del locale.
Restò in silenzio, probabilmente stava elaborando un qualche piano stupido per far soldi e quando finalmente si illuminò venni scossa da un senso di preoccupazione.
Alzò le tapparelle della vetrata vicino al tavolo in cui ero seduta e mentre lo osservavo sbalordita venni sommersa dalle luci dei flash.
-Ma cosa fai? Chiudi! Ah, questa è la volta buona che ti ammazzo!- commentai con tono isterico mentre si avvicinava a me.
Sfortunatamente mi resi conto delle sue intenzioni solo nel momento in cui le sue labbra sfiorarono le mie in un bacio forzato, mentre i flash nuovamente mi invadevano gli occhi. Quando riuscii a liberarmi dalla presa delle sue mani dalla mia testa lo spinsi via.
-Cos’ hai fatto?- chiesi non riuscendo a credere a quello che era appena accaduto.
-Quello che dovevo fare quando hai iniziato a lavorare qui- commentò sistemandosi la camicia. Continuavo a fissarlo incredula, poi prima di dar di matto presi la borsa e mi avvicinai alla porta d’uscita.
-Beh, trovati un’altra aiutante da importunare, perché io da questo istante non lavoro più qui- e decisa uscii dalla porta, facendomi spazio tra la massa di paparazzi e le loro domande, cercando il cellulare in una delle mie tasche, sperando che Logan rispondesse alla mia telefonata. 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Logan risultò irraggiungibile per due giorni a causa delle riprese che stava girando da un paio di giorni. Candy mi aveva proposto una mini vacanza non lontano da casa per distrarmi da quanto era accaduto con Ted e in quel momento mi trovavo a Santa Monica.
Nemmeno a Las Vegas avevo avuto l’opportunità di passare del tempo con Candy  e dal momento in cui con noi era venuto anche il suo ragazzo mi capitava di passare diversi momenti della giornata da sola, cercando di lasciare la giusta intimità a loro due.
Ero sdraiata all’ombra sotto al mio ombrellone quando il mio telefono vibrò.
“Ha chiesto Logan se sei ancora viva”
Era Candy che per qualche strana ragione era riuscita a mettersi a contatto con lui, a differenza mia.
“Chiedigli piuttosto se è lui quello ancora vivo” le risposi. Ci pensai un attimo e mi resi conto che entrambi dovevamo aver cambiato il numero di cellulare: io per non essere più disturbata dai messaggi di scuse di Ted e lui per i soliti motivi.
Dopo un paio di messaggi Candy confermò la mia teoria e per la prima volta dopo giorni riuscii a parlare con Logan.
-Ciao!- dissi quando risposi alla sua imminente chiamata. Parlare con lui dopo appena cinque giorni mi fece avvertire a livello dello stomaco la stessa sensazione che mi scosse il giorno in cui lo incontrai al bar dopo il coma.
-Come mai hai cambiato numero di telefono?- mi chiese senza troppi indugi. Io sospirai, nemmeno ricordavo una qualsiasi chiamata in cui mi aveva chiesto come stavo.
-Problemi- commentai mentre muovevo i piedi nella sabbia. Lo sentii inspirare e cercai di immaginare come doveva essere la sua espressione in quel momento: certamente stava alzando gli occhi al cielo, pensando a quanto fossi idiota.
-Con Ted, immagino- disse freddo. Aveva saputo già tutto ed era evidente che si aspettasse una spiegazione. Deglutii, poi dopo essermi bagnata le labbra parlai.
-Volevo dirtelo ma non riuscivo a contattarti- decisi di essere sincera; lui rimase in silenzio.
-Dove sei ora?- mi chiese impaziente; io alzai un sopracciglio. Se me lo chiedeva significava che era tornato a Los Angeles e avevo buone ragioni di credere che in quel momento fosse davanti a casa mia.
-Santa Monica- commentai; lui sbuffò.
-Ma è possibile che tutte le volte che torno da te tu sei da qualche altra parte e io non ne so nulla?- mi chiese innervosito. Aveva ragione, ma a differenza dell’ultima volta non stavo fuggendo da lui.
-Sei alla casa vacanza di Candy?- mi domandò; io annuii, poi quando realizzai che non poteva vedermi mugugnai appena.
-Si, sai arrivarci?- gli chiesi facendogli intuire che volevo mi fosse vicino in quel momento e dopo quel suo ‘si’ non feci altro che attendere fino a quella sera.
Quando sentii bussare alla porta di Candy ci misi qualche secondo per essere davanti alla porta di ingresso. Lanciai un’occhiata allo specchio li di fianco per assicurarmi di essere presentabile e quando lo vidi con la sua valigia ai piedi davanti alla porta rimasi immobile.
Il mio cuore aveva appena perso un battito e quando mi sorrise sentii di essere entrata in un universo tutto mio, irraggiungibile da chiunque altro.
Mi si avvicinò ridendo, notando come mi risultasse impossibile muovermi e dopo avermi messo una mano su un fianco mi diede un bacio. Appoggiai le mie mani tra i suoi capelli, assaporando qualsiasi particolare di quel momento, poi quando udimmo qualcuno schiarirsi la voce ci staccammo imbarazzati.
-Oh, non volevo interrompervi- disse ridendo il ragazzo di Candy –ma la cena è pronta- concluse rientrando in casa, continuando a ridacchiare mentre lei lo scongiurava di smettere.
Mi tenne la mano sotto al tavolo per tutta la cena, poi mentre aiutavo Candy a sistemare la cucina lo vidi allontanarsi con Brody. Quando il mio cellulare squillò lasciai la pentola insaponata in bilico e corsi a rispondere, era un numero sconosciuto, ma senza indugi mi portai il telefono all’orecchio.
-Pronto?- chiesi; qualche secondo di silenzio e poi la chiamata terminò. Se qualcuno doveva parlarmi, mi avrebbe richiamato.
Tornai alla mia padella insaponata e appena prima di posare la spugna su di essa notai un ‘ti amo’ scritto con le dita tra la schiuma. Mi feci scappare un sorriso, poi notai che Logan stava in piedi appoggiato al frigorifero.
-Chi era?- mi chiese sorridendo. Io alzai le spalle, poi andandogli vicino lasciai che le sue mani corressero lungo il mio corpo.
-Non lo so- sussurrai tra un bacio e l’altro; poi, proprio quando ero intenzionata a fare più sul serio lui si fermò e stoppò le mie mani bramose di averlo.
-Dobbiamo parlare di quello successo con Ted- mi disse autoritariamente; io alzai gli occhi al cielo.
-Adesso?- gli domandai scocciata cercando di fargli notare che eravamo quasi sdraiati sul tavolo. Lui ridacchiò, poi aggiustandosi impeccabilmente la maglietta nera mi guardò.
-Si, adesso-
 
-E in cinque secondi mi ha baciata davanti a tutti i fotografi presenti- conclusi la storia con una nota di accidia e lui incredulo abbassò la testa; sembrava completamente contrariato, eppure non batté ciglio per tutto il racconto.
-E’ colpa mia- disse accusandosi, totalmente dispiaciuto. Gli strinsi una mano e sorrisi.
-No, hai solo la sfortuna di avere una ragazza stupida- commentai mentre il mio cellulare cominciò a suonare.
Risposi sotto allo sguardo curioso di Logan e non appena dissi per la quarta volta ‘pronto’ dall’altro capo terminarono la chiamata. Lanciai il cellulare sul letto, poi sbuffai. Anche nel pomeriggio era successa la stessa cosa e ciò mi infastidiva, perché avevo appena cambiato il cellulare.
Decisi di lasciar correre e spegnendo la luce mi addormentai tra le braccia di Logan, che sembravano proteggermi da ogni male.
Il mattino seguente mi svegliai da sola. La metà del letto in cui aveva dormito Logan era fredda e priva di qualsiasi tipo di profumo. Sembrava che nessuno avesse dormito da quel lato.
La casa era deserta, dopotutto era l’una del pomeriggio passata, ma uno strano senso di inquietudine mi scuoteva.
Sentii un rumore provenire dal salone e questo mi fece allarmare. Alleggerii il passo e quatta quatta mi avvicinai all’ingresso della stanza e in quel momento mi accorsi della figura coperta che camminava nel salone.
-Chi è?- domandai afferrando il primo oggetto che toccai: un libro. La figura restò immobile e quando mi accorsi che si stava muovendo gli lanciai il volume che reggevo in mano per difesa. Il libro lo sfiorò e finì contro lo schermo del televisore, rompendolo. A quel punto la figura corse nella mia direzione e, dopo avermi spintonato contro il muro, con un balzo si fiondò contro la finestra, rompendola in mille pezzi, ma riuscendo comunque a fuggire.
Restai pietrificata per qualche istante, avevo appena lasciato fuggire un ladro e non sapevo nemmeno se avesse preso qualcosa. I brividi continuarono a scuotermi per interminabili minuti, fino a quando la polizia arrivò per la mia deposizione. Ma quello che non potei dimenticare fu lo sguardo terrorizzato degli altri quando rincasarono, trovandomi con un braccio ingessato e il salotto a soqquadro. Nell’urto contro il muro mi ero fratturata il radio del braccio sinistro e il medico mi aveva detto che avrei dovuto tenerlo per circa tre settimane.
-Cos’è successo?- mi chiese Candy correndomi incontro, facendosi spazio tra i poliziotti. Restai in silenzio e lasciai che la polizia parlasse al posto mio.
-Qualcuno è entrato in casa e quando la vostra amica ha cercato di colpirlo lui per difesa l’ha spinta contro il muro- disse l’agente riassumendo quello che aveva scritto.
Presto incontrai le braccia di Logan che mi abbracciavano sperando di farmi sentire al sicuro, ma lo shock di quanto era appena accaduto era difficile da distogliere dalla mia mente.
Da quando mi ero risvegliata era stato tutto fin troppo movimentato e non ero sicura di voler continuare con quella vita, ma questo significava dir addio a Logan.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 13 - Ring and Camp ***


Quella sera la tensione era estenuante, nessuno parlava ed il massimo che mi fu possibile fu preparare la valigia per tornare a casa. Le chiamate anonime continuavano ed io continuavo a non parlarne con nessuno. Non volevo gettare alcuna preoccupazione sulle spalle degli altri e per una volta volevo risolvere da sola i miei problemi.
Sistemai l’ultimo paio di pantaloncini nel borsone, poi alzando lo sguardo notai Logan appoggiato alla porta che mi osservava in silenzio. Feci un sorriso timido nascondendo il braccio ingessato: tutte le volte che notavo Logan mi osservava miserabilmente il braccio e conoscendolo bene sapevo che dentro quel suo silenzio in realtà si stava incolpando di tutto.
-Tranquilla, non devi nasconderlo- mi disse avvicinandosi a me. Fissavo il pavimento, le dita dei miei piedi che si muovevano impercettibilmente sulle mattonelle fredde.
-Sai, ho pensato che tornare a casa sia la cosa migliore- gli dissi sedendomi sul letto. Lui mi raggiunse e sedendosi al mio fianco mi strinse la mano sana. Mi diede un bacio sulla guancia e mi sorrise.
-Secondo me invece dovresti restare- mi sussurrò all’orecchio facendomi correre un brivido lungo la schiena. Lo osservai, i suoi occhi azzurri mi stavano scrutando quasi a volermi leggere nel pensiero e per qualche istante pensai di non potermi minimamente staccare da quello sguardo magnetico. Mi aveva sempre fatto quell’effetto, sin dal primo giorno di liceo.
-Davvero?- gli chiesi. Per un momento avvertii Logan muoversi, poi vedendolo sdraiato mi coricai al suo fianco. Sul soffitto di quella camera erano stati dipinti dei magnifici cherubini che sembravano svolazzare sopra al letto osservandoti.
-Certo, anche perché c’è una grande notizia!- strillò Candy gettandosi sul letto dal nulla. Non riuscivo a capire cosa stesse succedendo, così quando notò lo sguardo interrogatorio mio e di Logan sganciò la bomba.
-Io e Brody ci sposiamo!- urlò mettendo in mostra l’anello che portava sulla mano. La guardai incredula, non potevo crederci. Stavano insieme da poco più di un anno e già stavano per compiere il grande passo. Brody, il suo ragazzo, stava immobile sorridente sulla porta della camera. A causa del mio coma non avevamo mai avuto davvero l’opportunità di conoscerci e forse anche per questo motivo la cosa mi sembrava del tutto avventata. Ma tutto sommato non avevo mai visto quella luce nei suoi occhi ed era il segno che forse era quello che davvero voleva.
-Ma è meraviglioso!- mi anticipò Logan abbracciandola, mentre io ancora paralizzata la fissavo.
-Beh, non dici niente?- chiese ridendo scuotendomi, prendendo il posto di Logan quando questo si alzò per andare da Brody.
-Ma… quando…?- risi perché non sapevo cosa fare. Era incredibile.
-Dieci minuti fa- rise. L’abbracciai affondando la testa tra i suoi capelli.
La cosa positiva era che sembrava che finalmente un’aria positiva avesse invaso la casa, forse era proprio quello che serviva per far dimenticare a tutti l’accaduto nel pomeriggio.
I giorni seguenti ripensai a quello che volevo fare e decisi per restare alla casa di Santa Monica di Candy. Tutti sembravano esser stati travolti dall’onda di allegria portata dalla notizia del matrimonio e persino le mie cupe idee degli ultimi giorni sembravano essere scomparite.
-Beh, io in questo stato non potrò che osservarvi montare le tende- dissi pensierosa sedendomi in auto, cercando di far combaciare il mio corpo con tutta l’attrezzatura da campeggio che occupava gran parte dell’auto. E l’auto di Brody era persino enorme, se avessimo preso una delle altre auto probabilmente non saremmo riusciti ad entrare tutti quanti.
Parte delle attrezzature occupavano anche il sedile centrale del passeggero, quindi di fianco non avevo nessuno, anche perché Candy era come me stipata sull’altro sedile. Insomma, avrei avuto un lungo tragitto per parlare con me stessa.
-E io ti terrò compagnia- sentii la voce di Candy dall’altro lato delle attrezzature ridacchiare. Brody e Logan erano invece seduti davanti e monopolizzavano lo stereo, facendoci ascoltare musica decisamente di cattivo gusto.
-Dobbiamo sorbirci questa roba per tutto il tragitto?- mi lamentai buttandomi contro lo schienale, cercando una posizione comoda. Logan ridacchiò e io gli scossi il sedile per zittirlo.
-Se non ti sta bene dormi- mi rispose, facendo ridacchiare Brody.
-Ringrazia che abbia un braccio monco e che sia stanca, sennò ti avrei già tirato i capelli- gli dissi guardando Santa Monica ancora immersa nel buio di quelle cinque del mattino.
-Ti amo- disse ridendo; io sorrisi, la cosa buona era che in mezzo a tutta quella cianfrusaglia non poteva vedermi nessuno.
-Anch’io- commentai acidamente, accucciandomi finalmente comoda sul sedile, addormentandomi.
Impiegammo circa tre giorni d’auto per riuscire a raggiungere il Parco di Yellowstone, distante una manciata di Stati dalla California. Ma il lungo viaggio e la stressante attesa furono subito ripagati dalla meravigliosa vista che avevamo nel punto in cui avevamo deciso di accamparci per due settimane di sano campeggio.
-Dovreste decisamente cominciare a frequentare una palestra- commentò Candy, notando gli sforzi immondi che Logan e Brody stavano compiendo per sbaraccare tutto dall’auto. D’altro canto, io e lei contribuivamo restando a guardarli sedute sul tronco di un albero caduto tempo prima al suolo.
-Perché non andate a raccogliere legna?- suggerì acidamente Logan –così vi rendereste utili-
Ridemmo, poi alzandoci ci dileguammo dietro i primi alberi.
-E fate attenzione- urlò sempre la sua voce dopo qualche istante.
-Allora?- mi chiese Candy dandomi una lieve gomitata, ovviamente accompagnata dal suo sguardo malizioso.
-Allora cosa?- chiesi, ignorando completamente la natura della sua domanda.
Lei mi guardò nuovamente con un sorriso malizioso.
-Come vanno le cose tra voi?- mi domandò.
Scrollai le spalle, in segno di indifferenza, d'altronde non era successo nulla di particolarmente entusiasmante nella nostra vita di coppia
-Beh, normale- commentai continuando a non capire dove volesse andare a parare Candy con quella conversazione.
Lei per tutta risposta sorrise, poi per un pezzo di strada abbastanza lungo tra gli alberi restammo in silenzio, fino a quando afferrandomi il braccio sano non mi fece fermare.
-Ascolta, Juls- disse a testa bassa. Le lanciai un’occhiata increspando le sopracciglia. La conoscevo abbastanza bene da dire che quando iniziava discorsi in quella maniera era perché dubitava di qualcosa.
-Che c’è?- le chiesi, poi insieme ci sedemmo sulla terra, ancora umida per la pioggia della sera precedente.
-Se venissi a sapere qualcosa su Brody…- fece una breve pausa –me lo diresti?- chiese a fiato corto. Non capivo, tra di loro le cose erano sempre sembrate a gonfie vele e il matrimonio ne era la conferma, ma qualcosa la turbava, ne ero certa.
-Certo, ma… che è successo?- le chiesi posandole la mano sulla schiena. Lei si portò le mani al volto, giusto in tempo per mascherare la prima lacrima.
Singhiozzò per qualche minuto e io non insistetti, poi quando sembrò essersi tranquillizzata prese fiato, ancora tra i singhiozzi del pianto.
-Credo di non essere sicura più di niente, di non essere sicura del matrimonio, di lui, di me, di noi!- disse. Io cercai di abbracciarla per quanto mi fosse possibile, poi dopo qualche minuto le risposi.
-Candy, è normale. Il matrimonio di solito mette in crisi diverse coppie prima di essere stipulato, ma poi si risolve tutto, sono sicura che anche per voi sarà così- le dissi accarezzandole i capelli e finalmente sembrò essersi calmata.
Quando tornammo alle tende, dopo qualche scivolata sul terriccio umido, i ragazzi erano spariti e sembrava si fossero presi anche l’automobile. Così in quel momento eravamo solo io e lei, amiche da anni che per la prima volta dopo mesi avrebbero passato del sano stare insieme.
 
-----------------------------------------------------------------
Nota mia! Mi scuso per non aver scritto per un bel po', ma vorrei davvero che qualcuna di voi lasciasse un piccolo commentino :| Anche perchè vedo che ogni capitolo ha circa un centinaio di visualizzazioni, ma se voi non mi dite se vi piace o meno come faccio a continuare? D:

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 14 – Teardrops ***


Capitolo 14 – Teardrops
Solo all’imbrunire di quella giornata Logan e Brody tornarono alle tende. Spiegarono che si erano allontanati da Yellowstone per comprare cose essenziali da campeggio che ovviamente si erano dimenticati. Accesero un fuoco con del fogliame secco che io e Candy avevamo raccolto quella stessa giornata, poi mi accoccolai tra le braccia di Logan.
-E’ bello essere lontani dai riflettori- mi sussurrò facendomi rabbrividire –solo io e te e nessuno che ci disturbi- continuò facendo scorrere il suo indice lungo il mio volto.
Mi allungai e gli diedi un bacio sulla guancia, appoggiando poi la testa contro il suo petto.
-Vorrei che questo istante durasse per sempre- dissi chiudendo gli occhi, sentendo il profumo e il calore della sua pelle così vicini.
Il momento fu interrotto dal mio cellulare che vibrava. Lo afferrai veloce e vidi che il numero era privato, così immaginando fosse il solito simpaticone chiusi la chiamata.
-Che fai, non rispondi?- mi chiese corrugando la fronte, io annuii.
-So già chi è- commentai infilando il telefono nuovamente in tasca.
-E chi è?- chiese e io chiusi gli occhi. Sciolsi l’abbraccio in cui eravamo avvolti e feci un attimo di silenzio.
-Qualche ragazzino che chiama e non dice nulla- dissi; lui si schiarì la voce.
-La prossima volta che chiamano passami il telefono che ci parlo io- disse.
Per fortuna durante i giorni successivi quel numero privato non chiamò più e finalmente potei stare tranquilla.
La serenità generale del gruppo stava rendendo quel soggiorno stranamente piacevole e persino lo scetticismo di Logan sparì del tutto.
-Sei sicuro si possa pescare in questa zona?- domandai incerta seguendo Logan che a passo spedito si avvicinava al lago del parco. Lui voltò e mi fece un occhiolino.
-Di che hai paura?- rise –non c’è mica nessuno qui- disse indicando con la testa lo spazio immenso che ci circondava, deserto.
-Candy e Brody hanno deciso la data delle nozze- commentai sedendomi di fianco a Logan, seduto con la canna da pesca al bordo del lago.
Lui accennò un sorriso, poi sospirò.
-Io non so, ma felici loro- disse mantenendo lo sguardo fisso davanti a se.
Gli lanciai un’occhiata senza capire cosa intendesse, poi aspettando che dicesse qualcos’altro incrociai le braccia.
-Cosa vuol dire?- chiesi schietta, lui sospirò.
-Sposarsi a vent’anni è un suicidio- rispose scettico, sapendo perfettamente che in quella maniera mi avrebbe fatta innervosire.
-Cosa c’è di male nel voler sposare la persona che si ama?- chiesi con accidia; lui scosse la testa.
-A vent’anni appena compiuti?- chiese lanciandomi un’occhiata nervosa; io evitai il suo sguardo e posai il mio sull’acqua che rifletteva i raggi di quel sole tanto caldo.
-Non c’è differenza tra lo sposarsi giovani o maturi se si ama davvero una persona- commentai; lui ridacchiò.
-La cosa ti fa ridere?- gli domandai ormai arrabbiata; lui alzò le spalle.
-Juls, non essere sciocca. Prima di sposarsi con una persona devi essere certo di amarla e di volerci passare assieme il resto della tua vita- rispose.
-E tu mi ami?- chiesi con voce strozzata; lui rimase in silenzio per qualche istante.
-Non stiamo parlando di noi- commentò.
-Invece si. Se tu parli così è normale che io mi faccia delle domande. Sai, arriva un certo momento in cui devi cominciare a prendere mano di quello che ti circonda- dissi alzando la voce; roteò gli occhi azzurri al cielo, poi buttando la canna da pesca che teneva in mano in acqua mi fece sobbalzare.
-E quindi? Pensi che solo perché la tua migliore amica si sta per sposare io ti chieda la stessa cosa? Che ti chieda di sposarmi? Forse non te ne sei resa conto, ma la nostra vita di coppia ha avuto diversi cambiamenti nell’ultimo anno e mezzo e forse se dubiti del fatto che io ti ami non te ne sei resa conto, perché a quanto pare è da Febbraio che tu pensi solo e soltanto a te stessa e forse è arrivato il momento di crescere e vedere il mondo con concretezza- urlò. Io mi alzai in piedi nello stesso istante in cui sentii il mio cuore rompersi in mille pezzi, poi offesa e delusa cominciai a camminare nella direzione della nostra tenda.
-Fammi il favore, Logan. Smetti di girarmi in torno almeno fino a quando non ti sarai chiarito le idee- e così camminai per due ore buone all’interno del parco, tant’è che quando tornai alla tenda Logan era li con gli altri e mi osservava in silenzio, quasi non ci conoscessimo.
Quella stessa sera tornai a casa, per tutto il tragitto in aereo ero rimasta in silenzio e non cercai di guardare Logan, seduto nella fila di fianco. Candy e Brody decisero comunque di terminare la settimana in campeggio, mentre io rimasi in camera mia troppo delusa persino per piangere.
Non lo vidi per tre settimane e quella mattina di Luglio il caldo estenuante mi costrinse a rimanere chiusa in casa. Seppi da Candy che Logan era nuovamente partito per girare il film che stavano filmando da ormai due mesi buoni e che qualche volta chiedeva di me.
Suonò il campanello di casa e mi catapultai lungo le scale per raggiungere in fretta la porta. Quando la aprii rimasi sorpresa riconoscendo Peter Gabwinn, il paramedico, in piedi davanti a me.
-Ciao- dissi stupita, lui ricambiò il saluto –entra!- commentai facendolo accomodare in salotto.
Chiacchierammo per qualche minuto, poi bevendo un sorso d’acqua allungò sul tavolo una scatoletta che teneva in tasca.
-In realtà sono passato per restituirti questa- commentò passandomela –la avevi indosso quella notte- commentò.
Aprii la scatola e rimasi stupefatta. Era la collana che Hannah mi aveva regalato il giorno del diploma che da quando mi ero risvegliata credevo di aver perso in quel locale la sera dell’incidente.
-Come fai ad averla tu?- chiesi invasa da un senso di serenità che non provavo da tempo.
-Sai, quando qualcuno arriva all’ospedale in quelle condizioni viene spogliato di tutti i gioielli che ha indosso e questi non so esattamente che fine facciano. Così siccome il ciondolo era aperto ho visto la foto che c’è al suo interno e vedendovi Hannah ho pensato che forse aveva un certo valore- commentò farneticando.
Aprii il ciondolo e vi trovai quella foto che nessuno al di fuori di me e Hannah (e Peter) aveva mai visto e le lacrime arrivarono veloci.
-Io… sono senza parole- continuai ad osservare quella piccola foto. Sembravamo felici, l’avevamo scattata appena prima della cerimonia dei diplomi con la promessa che qualsiasi cosa fosse accaduta ci saremmo sempre state l’una per l’altra.
-Sai, c’è anche altro- disse estraendo dalla tasca il ciondolo gemello che apparteneva ad Hannah, con la stessa identica foto.
-Oh mio dio- dissi in lacrime. Non potevo crederci, c’erano entrambi.
-Sai, ci ho messo un po’ di tempo per recuperare quello- commentò –era finito in mezzo a tutti i documenti delle indagini, per qualche strano motivo l’uomo che vi ha soccorse per primo lo ha trovato poco distante dall’auto sull’asfalto, per questo è graffiato-  disse mentre in mano tenevo i due ciondoli vicini, come il giorno in cui Hannah mi consegnò la scatola impacchettata. Il mio era in ottime condizioni, luccicante come il primo giorno in cui lo indossai, mentre quello di Hannah era sbiadito e graffiato. Persino la foto all’interno era sgualcita, ma pur sempre di valore.
Da quanto mi raccontò Peter quel pomeriggio, avevo appreso che il ciondolo di Hannah dopo esser stato trovato era stato conservato per qualche mese da quell’uomo che l’aveva trovato, poi alla sua morte gli oggetti tra cui il ciondolo erano stati dati ad un orefice in cambio di denaro, dove questo aveva riconosciuto i volti miei e di Hannah dai telegiornali e che aveva deciso di consegnarlo alla polizia.
In cuor mio però sapevo che quel ciondolo non mi apparteneva e che, per quanto mi dolesse ammetterlo, dovevo darlo all’unica persona che c’era davvero sempre stata per lei: Logan.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 15 - SAY YES ***


Capitolo 15.
Quell’estate passò in fretta e i ricordi di quella stagione cominciavano a sbiadire proprio come le foglie sugli alberi. Erano stati sette mesi intensi, anzi, probabilmente avevo vissuto più in quel periodo che in tutto il resto della mia vita. I due ciondoli erano rimasti sulla mia scrivania dal giorno in cui mi erano stati riconsegnati e allo stesso tempo avevo deciso di tenerli fino a quando non lo avrei tenuto inopportuno.
Quel giorno a casa di Candy c’era un via vai frenetico, la parrucchiera era arrivata all’alba per preparare gli attrezzi e fare i capelli a tutte. Ora sotto a quei ferri c’ero io, con due occhiaie che mi solcavano il volto e gli occhi stanchi: per tutta la notte avevo osservato Candy mentre dormiva per l’ultima volta nel suo letto, cercando di immaginare come ci si dovesse sentire sapendo che da li a poche ore si sarebbe ufficializzato il rapporto con la persona che ami, ma poi mi convinsi che per me c’era ancora tempo e che non sarebbe stata una semplice cotta adolescenziale a farmi smette di credere nell’amore. Eppure da Luglio ero sempre stata da sola, ripetendo il sadico rituale del guardare video e filmati dove figura la tua cotta.
In quel momento  tornai alla realtà e rimisi a fuoco la figura nello specchio di fronte a me. Candy, devono avere i capelli sciolti o legati? Chiese la parrucchiera. Candy arrivò con il volto velato di preoccupazione, poi dopo averci riflettuto per qualche secondo accennò un sorriso:
-Juls con i capelli sciolti è uno schianto- commentò posandomi una mano sulla spalla. La parrucchiera restò dubbiosa per qualche istante osservandomi la testa; doveva sicuramente pensare che Candy fosse pazza a dire una cosa del genere, d'altronde sanno tutti che in un matrimonio tutti i riflettori debbano essere puntati sulla sposa. Eppure lei non aveva nemmeno scelto un vestito orribile, anzi aveva scelto un capo che donava a tutte quante, color blu scuro e lungo fino alle ginocchia.
Dopo aver terminato i preparativi presi il bouquet della sposa e attesi insieme a tutte le altre che Candy uscisse finalmente pronta dalla camera. Quando comparve in cima alle scale restammo tutte senza fiato, con quell’abito bianco sembrava un angelo sceso in terra e i capelli biondi che splendenti le ricadevano sulle spalle e lungo la schiena la facevano sembrare una di quelle top model di Victoria’s Secret, una di quelle ragazze bellissime che io e lei guardavamo in televisione mentre spedite attraversavano una passerella davanti ad una folla di persone.
-Sei bellissima- le porsi il bouquet quando scese le scale. Mi sorrise con gli occhi lucidi e facendo ancora un passo si avvicinò a suo padre, prendendolo sotto braccio.
In chiesa stavano tutti preparando le ultime cose quando lanciando un’occhiata circa a metà delle panche lo vidi. Era seduto e parlava con delle ragazze nella panca davanti alla sua, era elegantissimo e quello smoking mi ricordò immediatamente di quando andammo insieme a quell’evento di beneficienza. Mosse il capo appena e con uno sguardo fugace mi lanciò un’occhiata. Abbassai subito la testa quando Laura mi diede una gomitata.
-Avete più risolto?- mi domandò. Io negai con la testa e non appena l’organo intonò le prime note scattammo tutte in un ordine compatto e silenzioso.
Candy era li, in piedi vicino a suo padre al fondo della chiesa e Brody dall’altare la guardava con lo sguardo più lucente di tutta la sala. Dicono che è proprio in questo momento che si capisce quanto due persone desiderino passare l’eternità insieme, e dai loro sguardi dovevano volerlo davvero. Quando lei raggiunse lui all’altare io stavo già piangendo, così come le altre ragazze e le donne attempate delle prime file.
Jason mi fece fare una piroetta e al termine della canzone avevo lo stomaco in subbuglio. Il party era cominciato e stava andando avanti da ore ormai, tant’è che quasi tutti gli invitati erano sbronzi e a malapena riuscivano a compiere movimenti di danza composti e poco volgari.
Logan era sparito; d’altronde non lo biasimavo, aveva passato la cerimonia a schivare ragazzine arrapate e zie puzzolenti. Candy, ormai con una fede d’oro brillante al dito, era stata presa in ostaggio dal fotografo che da circa due ore gli stava facendo fare il giro del parco in cerca di scatti degni di mostra fotografica.
Riuscii a scampare il ballo successivo rifugiandomi sul retro del luogo, dove ebbi l’occasione di togliermi quei tacchi vertiginosi e di prendere aria fresca.
-Stanca?- sentii la sua voce più vicina di quanto mi aspettassi e con un sobbalzo mi voltai ritrovandomi Logan più vicino di quanto mi aspettassi.
-Sei ancora vivo allora- commentai affondando i piedi nudi nell’erba. Lui sorrise.
-Credo di aver ballato con la nonna di Candy- disse dubbioso, io accennai una risata –ma credo anche che sia normale ai matrimoni. La cosa positiva è che solitamente gli invitati non ricordano metà della serata la mattina successiva- sorrise.
Restai in silenzio con il capo abbassato, poi gli lanciai un’occhiata.
-E vorrei ricordare un ballo con te- mi disse e in quel momento fui sicura che tra le sue braccia fosse l’unico luogo in cui volevo trovarmi in quel momento. 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Ok, mettiamo un paio di puntini sulle i... Sono sparita per mesi, lo so. Questa storia però ha trovato un barlume di luce. Spero vi piaccia!


Capitolo  16
 
Le dita dei miei piedi sprofondavano nell’erba passo dopo passo, mentre nervosamente cercavo di ricordare come coordinare i miei arti.
I due occhioni blu che in quel momento si specchiavano nei miei di certo non mi aiutavano, anzi, mi distraevano come niente in questo mondo.
Logan non aveva smesso di sorridermi un attimo da quando le sue mani si erano appoggiate alla mia vita e le mie alle sue spalle.
Era curioso, perché non avevamo un attimo del genere da tempo ed era una situazione bizzarra perché chiunque uscisse fuori dal capanno dove era in corso la festa post cerimonia e ci vedeva si sentiva in dovere di allontanarsi lasciandoci soli.
-Sei bellissima- mi sussurrò. Guardai alle sue spalle e notai quattro bambine sedute poco distanti da noi che ci guardavano e ridacchiavano fra loro.
-Me lo hai già detto- sussurrai pensando a quanto fosse imbarazzante quel momento per me; a giudicare dalla sua spigliatezza, per lui non lo era di certo.
-Lo fai sempre- ridacchiò lanciandomi un’altra occhiata. Cercai di capire a cosa si riferisse, ma non avendo successo lo guardai torva.
-Cosa, scusa?- socchiusi gli occhi in attesa di una risposta, lui rise.
-Non accetti mai i complimenti- commentò. Avvertii una pressione maggiore delle sue mani sopra la mia vita e mi sembrò più vicino di quanto non fosse prima.
Alzai le spalle e lui si mise a ridere.
La musica che proveniva dall’interno si fece sempre più flebile, fino a fermarsi del tutto. Noi però restammo in quella posizione per degli istanti che sembrarono infiniti, poi accennando un sorriso mi lasciò andare.
-Stavamo bene insieme- commentò sedendosi sul prato. Con quella frase una luce di nostalgia si accese nei suoi occhi –ma effettivamente doveva andare così. Ci pensi mai?- mi domandò. Rimasi lì, immobile ad osservarlo senza sapere che cosa dire: dove voleva arrivare?.
-Ah! Che stupido- disse poggiando la schiena al muro.
-Certo che ci penso. Anzi, se vuoi saperlo ci penso praticamente sempre- commentai scegliendo di essere sincera.
Mi guardò, ma fu strano, mi guardò come quando mi vide per la prima volta.
-Sai, ho ritrovato una cosa… anzi, mi è stata restituita, ma io credo debba appartenere a te- dissi con un respiro fievole in gola.
-Non so perché, ma scommetto che riguarda Hannah- commentò con aria piuttosto lugubre. Hannah era sparita da più di un anno, ma la sua assenza si prostrava su di noi come se fosse passato appena un giorno e non da tutti quei mesi.
-Ti va di passare da me più tardi? Non mi va di calarmi nella malinconia proprio ad un matrimonio- dissi, sperando di non aver creato all’invito uno sfondo sessuale.
Sorrise.
-Credi sarebbe sano?- chiese imbarazzato.
A quanto pare lo sfondo erotico era l’unica cosa ad esser passata in quella frase.
-Interpretala come vuoi- dissi avvicinandomi a lui –sai la strada- gli diedi un bacio sulla sguancia, poi mi affrettai ad entrare sotto lo sguardo di quelle quattro bambine che ancora sorridevano per il bacetto rubato a Logan.
 
***
Rientrai in camera a notte fonda quella sera, dopo aver terminato la cerimonia mi ero ancora fermata per la strada a parlare con vecchi conoscenti.
Mi aggirai a tastoni nella stanza, fino a quando non accesi la luce.
-AH!- sussultai vedendo Logan seduto in un angolo –ma cosa ci facevi al buio?- chiesi mentre mi veniva incontro.
-Shhh!-  fece posando una mano sulla mia bocca in modo che non potessi parlare. Qualche istante dopo la tolse.
-Ma che combini? Guarda che non abbiamo più quindici anni, come quando ti intrufolavi in camera mia di nascosto, mia mamma non è nemm….- fu un attimo e le sue labbra furono sulle mie.
-No davvero, Logan. Mi rendo conto che forse prima l’invito sia suonato un po’ così, ma credimi io…- un altro bacio rubato.
-Se anche il tuo intento fosse stato quello a me sta benissimo sai- disse arrivando con la mano sulla zip del vestito, cominciando a farla scorrere.
Rabbrividii.
-Non credo che sia la cosa giusta- sussurrai calandomi in ogni bacio sempre più a fondo con lui.
-Ma lo vuoi- disse. Non era una domanda.
Fu inaspettato, incredibilmente dolce e bello.
Per me però fu una sorpresa che al mio risveglio non se ne fosse andato.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1177114