A volte le persone possono cambiare idea ...

di EleRigoletto
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 2 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** A volte le persone possono cambiare idea ... ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15- Ultimo capitolo! ***



Capitolo 1
*** 1 ***


 Ciao ragazzi, sono tornata dalla mia vacanza al mare.
Mi sono divertita un mondo, ma questo non mi ha impedito di continuare a scrivere, così ho avuto un’idea su questa F. F
Se leggete, capirete tutto …
 
Il mare, le onde, il caldo che ti accarezza la pelle, i nuovi amori, le nuove amicizie … tutte cose fantastiche che trovi solo al mare.
Già, il mare, quel posto in cui mi sono sempre rifiutata di andare, però ora è tutto cambiato, ho incontrato una persona speciale e le cose hanno preso, diciamo, una piega diversa.
Ok, la smetto di fare la vaga e arrivo subito al succo …
No, visto che mi sto divertendo a scrivere, vi racconterò tutto dall’inizio, però, commentate alla fine, così vi godrete la storia.
Oh, scusate, mi sono persa così tanto in chiacchere, che non mi sono presentata.
Mi chiamo Avril Leen, ho vent’ anni e vivo in Quebec con mia madre, mentre mio padre vive a Montreal con mio fratello maggiore, che ha venticinque anni.
Hanno divorziato appena avevo compiuto cinque anni.
Mia mamma lavora in un ristorante, dove è la titolare, mentre mio padre ha uno studio discografico di cui si occupa di cercare nuovi talenti.
Ora basta raccontarvi dalla mia vita, ripartiamo dal giorno in cui tutto ha preso una via diversa …
22 Luglio ---
Ero in camera mia ad ascoltare la musica, non mi interessava nulla di quello che c’era fuori, la cosa importante era restare fissa dentro casa, tanto lì, nessuno mi avrebbe ferito.
Stavo mettendo a posto le pareti piene di poster dei miei gruppi rock preferiti, buttando qualche gingillo vecchio, cercando di riordinare la scrivania.
Di colpo, aprì la porta mia mamma con un sorriso radioso e restò ferma sullo stipite della porta.
Mia mamma ha quarantasette anni, è molto bella, ha i capelli biondo cenere, gli occhi celesti, veste sempre elegante, simpatica, gentile, sempre ordinata, tutto il contrario della figlia.
Io ho i capelli rosso fuoco, presi da mio padre, occhi verdi e porto l’apparecchio; solitamente cerco di apparire una persona più ordinata, ma non ci riesco, il disordine è parte di me.
Non mi accorsi subito della sua presenza, così per qualche minuto restai con gli occhi chiusi, distesa sul letto, fino a quando mia madre non emise uno strano rumore, il solito che usava per chiamarmi.
Mi tolsi le cuffie dell’I pod, la guardai per capire cosa volesse, ma non parlava, così decisi di incominciare io la conversazione.
“Cosa c’è? Se cerchi, di nuovo di costringermi ad uscire per strada, sai come la penso.
Non concluderesti niente.” Incrociai le braccia, alzandomi più su, verso i cuscini.
“No, non è per quello, anche se ti farebbe molto bene.
Sono qui perché tuo padre deve andare via per un mese in Inghilterra per questioni di lavoro.
Marc è da solo in casa e, visto che deve andare al mare in California con degli amici, ha chiesto se vuoi andare anche tu … Non rispondere subito, pensaci.” Indicò il telefono che aveva in tasca, un altro dei suoi modi bizzarri per dire di avvisarla.
Ci pensai su.
“Odio il mare, nessun posto è brutto come le spiagge, ma ti prometto che farò del mio meglio per valutare la situazione.” Gli sorrisi, lei corse ad abbracciarmi.
“Grazie. Oh, guarda che ora si è fatta, devo correre al lavoro, non andare a letto tardi, ok?”
Prese la giacca e  mi baciò la fronte, io la salutai ridendo e andai in sala a guardare la televisione.
Non c’era niente di bello in tv, tutto noioso come al solito, quando vidi sullo schermo, guarda caso, il mare della California.
Io adoro tutti i posti del mondo, tranne quelli che hanno il mare; Mi fa ricordare il giorno in cui i miei genitori hanno iniziato a litigare in una stanza di un Albergo.
Non so il posto, ma mi ricordo solo che feci dei tuffi in mare con mio fratello.
Ero molto piccola e non sapevo bene che cosa dicessero, ma sapevo che non prometteva nulla di buono.
Tutti pensieri ricorrenti a quel giorno, a quell’anno in cui divorziarono.
Dopo qualche minuto spensi la tv e mi squillò il telefono.
Era mio fratello.
“Che vuoi Marc?” sghignazzai leggermente.
“Hey pulce, sempre educata, eh?”
“Certo, con il mio stupido fratellone, non potrei fare di meglio.
Comunque, hai bisogno di qualcosa?” ritornai seria.
“No, tranquilla, solamente un’informazione, la mamma ti ha avvisato di papà e del mio programma?”
“Si …” tossì all’idea.
“No, non fare così, può dimostrarsi un’opportunità nuova, provaci.
Io e i miei tre amici, quelli del rolling, partiamo il ventisei, se te la senti vieni, se no amen.” Gli piaceva sempre mettermi alle strette con i suoi convincimenti.
Non risposi.
“Avril, devi dirmelo in questo preciso momento che vado a prendere i biglietti in stazione.
Posso contare su di te? Sai, in California ci sono tanti ragazzi carini e anche tanti ristoranti di suschi.”
“In tutti i posti ci sono ristornanti che fanno il suschi.
Cavolo, lo sai che adoro la cucina giapponese e non direi mai di no ad un assaggio.”
“Allora vieni, dai, alloggeremo in casa di Darker, il mio amico … sono simpatici e molto sexy, se ti interessa.” Ci mettemmo a ridere.
“Quando sei scemo? Allora, non lo so, non ne sono convinta del tutto.”
“Non voglio sforzarti, però ti chiedo solo di provare a venire, poi se ti annoi ti riaccompagno a casa.”
Mio fratello aveva sempre fatto tanto per me, dirgli di no, non mi andava.
Decisi di approvare la “cosa”.
“Prepara i biglietti che tra quattro giorni si parte!” urlai dal telefono.
“Davvero ti ho convinto? Oh grazie, ora scappo che sono arrivati i ragazzi; prendo i biglietti, ciao, ti voglio bene.” Attaccò rumorosamente.
Rimisi il telefono al suo posto e avvisai mia madre con un messaggio che, ovviamente, mi scrisse tante serie di domande, eccone alcune:
‘ Dov’è finita mia figlia? Chi sei? Ne sei sicura, non è che dopo mi chiami per farti venire a prendere?
Che metodi di ipnotizzazione ha usato Marc per farti cambiare idea?’
Gli scrissi il necessario e gli dissi che entro il giorno dopo avrei fatto la valigia.
Corsi sotto le coperte, lasciando sulla scrivania il cellulare di modo da non usarlo per tutta la notte.
Il sonno non arrivava, così, decisi di pensare a tutte le cose positive che potevano esserci nel andare via per solo un mese.
Alla fine mi addormentai tra questi pensieri tanto rassicuranti.
Il giorno dopo, mi svegliai con un tocco di qualcuno.
Mia madre mi toccava le spalle per cercare di “rianimarmi” come diceva sempre.
Mi alzai da sotto le coperte e la guardai, io dovevo avere tutti i capelli arruffati e delle borse sotto gli occhi, lei era impeccabile in tutto.
Avete presente le pubblicità del Mulino bianco dove c’è la mamma di diecimila bambini che si alza alle tre del mattino per imbandire la tavola per la colazione?
Sì, quella che anche appena sveglia è già tutta truccata e senza un capello fuori posto.
Ecco, mia madre è uguale, solo che lei si alza e si prepara per essere così.
“Tesoro, ti sei ripresa dallo shock di ieri?” mi diede un colpo sulla spalla.
Io la fulminai con lo sguardo.
“Mamma, alla fine non volevi che partissi?” gli chiesi, naturalmente la domanda era retorica.
“Si, certo, solo che da quando è successo quel che è successo, tu non ci sei più voluta andare ed è strano che solamente Marc sia riuscito, in un tentativo, a convincerti.” Mi guardò seria.
Io le sorrisi leggermente “Non è stato Marc, o almeno non direttamente.
Lui ha sempre cercato di farmi venire con papà, ma ho sempre rifiutato; Mi ha aiutato in qualsiasi situazione ed il minimo che possa fare è accontentarlo per un mese.” Mi alzai e mi preparai i vestiti,andai in bagno a lavarmi, chiudendo la conversazione con mia madre.
Indossai gli unici panni che volevo lasciare a casa per il viaggio, dei pantaloni strappati di jeans sbiaditi e una maglietta nera con su uno scheletro.
Andai in cucina a preparare la colazione, mia madre si sedette e, prima che potessimo parlare, suonò il telefono di casa.
Rispose mia madre, doveva essere qualcuno di importante per farla girare verso di me con uno sguardo sorpreso.
“ Ti vogliono al telefono.” Mi porse l’aggeggio elettronico e andò via, lasciandomi parlare.
“Chi parla? Sono Avril.” Risposi educatamente al mittente.
Con un tono altezzoso, mi rispose una voce maschile “Lo so chi sei, se no non ti avrei mica chiamato.
Ciao, sono David, un amico di tuo fratello, mi ha detto di dirti che la partenza è posticipata al venticinque a causa dei ritardi dei voli.”
“Cosa? Ma mi stai dicendo che dopodomani dobbiamo partire?” gli domandai, senza ombra di apparire sconvolta.
Lui sorrise dall’altra parte della linea “ Sì, ti veniamo a prendere noi e partiamo dall’ AEREOPORTO alle dieci del mattino.”
“Ok, dove mi passate a prendere e a che ora?”
“EMH. Alle sette ti fai trovare sotto casa tua, verrò io e poi andremo a raggiungere gli altri.
Ora devo andare, Ciao Avril, ci vediamo dopodomani!”
“Ciao.”
La telefonata terminò nel migliore dei modi.
Mia mamma sbucò dalla porta scorrevole della cucina.
“Che ha detto l’amico di tuo fratello?” mi sorrise.
Mi grattai la testa “Partiamo tra due giorni e mi viene a prendere sotto casa.”
Mi sedetti e gli spiegai tutto quello che mi aveva detto il ragazzo, parola per parola.
Dopo di che, andai in camera a preparare la valigia.
Mia madre mi portò dal garage, una valigia nera a trolley; ci misi tutti i vestiti e le scarpe, fino a riempirla quasi del tutto.
La lasciai vicino alla porta di casa.
Mentre mia madre era a lavoro, restai in casa a scrivere.
Ormai il grande giorno era vicino, lasciai stare la mia mente e riposai, fino ad addormentarmi in un sonno profondo.
Andai a letto presto quella sera, verso le dieci e trenta, ma lo stress era troppo e decisi di porre fine a tutti quei pensieri inutili.
La giornata seguente, passò lentamente, con mia madre che mi avvertì di tutti i plausibili pericoli da evitare e delle discussioni sui soldi; si assicurò perfino di chiamare personalmente Marc per dirgli di tenermi d’occhio.
Era più stressata mia madre che io, così la rassicurai e la mandai a lavorare sollevata, salutandola, visto che non l’avrei rivista per più di un mese.
Non riuscii proprio a dormire per l’agitazione di non svegliarmi in tempo per la partenza e le solite pare mentali che si possono avere prima di un viaggio.
 
 
 
Ciaoo, siate clementi vi prego, questo è il primo capitolo di una storia che continuerà …
Se tutto andrà bene e se sarete così gentili da esprimere un parere, continuerò con questa F. F
 Ringrazio  chi  commenta sempre o chi semplicemente legge!!
Un bacio da Ele!! ;)

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Capitolo 2
*** 2 ***


 Il grande giorno era arrivato, mi alzai malvolentieri con la sveglia del cellulare e andai in bagno in punta di piedi, senza fare rumore, per non svegliare mia madre.
Guardai l’ora dall’orologio in bagno che segnava le sei e quaranta,iniziai a vestirmi e truccarmi per poi andarmene sul divano a controllare tutto il necessario per la partenza.
Decisi di non pensare a quei ricordi dolorosi e di concentrarmi solamente sulla partenza e alle tante cose che avrei fatto appena arrivata là, una di quelle, magiare in un ristorante giapponese.
Aspettai fino alle sette e venti, distesa sui cuscini morbidi, fino a che non mi arrivò il messaggio di mio fratello che mi avvisava di scende che sarebbe arrivato il suo amico in meno di un quarto d’ora.
Presi la valigia e uno zaino in mano chiudendo la porta dietro le mie spalle, salutando sottovoce mia madre che dormiva nella sua camera.
Mi sedetti sul muretto vicino al parcheggio del palazzo, ascoltai un po’ di musica, guardando le macchine uscire dal vialetto per andare al lavoro.
Notai una macchina scura parcheggiare vicino all’altro condominio; dalla macchina scese un ragazzo con i capelli scuri, gli occhiali neri e vestito con una maglietta bianca, un gilet nero e dei pantaloni rossi abbinati a delle converse nere.
Venne verso di me con un sorrisetto e mi salutò con un gesto della mano.
“Ciao, io sono David, l’amico di Marc, sei pronta a partire?” indicò le mie valigie.
Io sorrisi “Certo, mi aiuti con la valigia?” gli chiesi, convinta che mi avrebbe aiutato.
“Ti porto lo zaino.” Me lo tolse dalle mani e andò al volante.
Trascinai fino al baule il roller e salii in macchina sbuffando.
“Ora andiamo da tuo fratello … ma da quanto non lo vedi?” La sua domanda mi colpì.
In effetti Marc,non lo vedevo da qualche mese, precisamente dalla metà di Maggio, perché non potevo andare a trovarlo a causa dei problemi con la mia auto.
Aspettai qualche secondo, poi, mi decisi a rispondere.
“Beh. Da un po’ … però ora sono qui e passerò più tempo con lui e con i suoi amici.” Cercai di sembrare più entusiasta di quanto la ero.
Mi scrutò incerto se credermi o no, fin che non decise di lasciare stare.
Il suo sguardo vagava dalla strada a me, questo mi metteva agitazione, così mi decisi a chiedere spiegazioni.
“Che hai tanto da fissare?” gli chiesi un po’ scocciata.
Lui fece un sorriso beffardo “Ma come siamo acidi questa mattina … non ti stavo guardando, se non lo sai, devo controllare le macchine che arrivano da tutti e due i lati.”
Accelerò per parcheggiare l’auto vicino a tre macchine, del quale una mi parve famigliare.
“Siamo arrivati, prego, scenda pure signorina!” Mi invitò a scendere, aprendomi la portiera.
Scesi e lo guardai storto.
Aprì il baule e mi porse lo zaino, mentre lui prese la mia valigia più la sua.
Camminammo fino a dentro la sala d’aspetto, cercando gli altri per fare il check in.
Mi fermai di colpo, con le braccia incrociate.
“Non c’è bisogno che fai tanto il gentile, non sono una bambina.”
Una risposta degna di una quindicenne.
Lui alzò le spalle “Non cerco di fare il gentile, solamente che mi hanno insegnato a fare il gentil’uomo.”
Continuò a camminare nel lungo corridoio pieno di persone che arrivavano o che partivano.
Alla fine, dopo tanta strada, li trovammo seduti su delle sedie ad aspettare il volo.
Ci sedemmo vicino a loro.
“Hey sorellina, fatti abbracciare!” mi saltò a dosso senza darmi il tempo di reagire.
Lo strinsi forte, mi era mancato molto.
Ad interrompere i nostri saluti, fu quell’antipatico del suo amico David.
“Ragazzi, tra un po’ si parte, andiamo a fare il check in.” Si alzò e prese le valigie.
Mio fratello si staccò dalla mia presa e ci incamminammo verso gli uomini in divisa.
“Dave, noi lo abbiamo già fatto prima che arrivaste.
Tocca a voi.”
Posammo i vari oggetti nelle scatoline e i bagagli sul nastro, passando avanti per controllare se avevamo “qualcosa” che non andava.
Dopo i vari controlli, ci lasciarono riprendere le nostre cose e andammo ad aspettare l’arrivo del  volo.
“Bene, ora posso partire con le presentazioni.” Iniziò mio fratello, mettendomi a lato ed indicandomi i suoi tre amici.
“… Lui lo conosci già, è quello che ci ospiterà nella sua villa; questo qui è Mike … e lui  è David ,ma noi lo chiamiamo Dave.
Vi siete già presentati perché è quello che ti ha portata qui.”
Indicò il ragazzo.
“Lei, invece, è mia sorella Avril, è più piccola di voi per cui trattatela bene.” Scherzò strizzando l’occhio verso di me.
“Ciao Ragazzi!” li salutai sorridente, loro ricambiarono il saluto.
“Adesso mettiamoci le nostre cose in spalla e aspettiamo, tra pochi minuti saliremo su quell’aereo!” ci incitò Marc.
Quasi tutti i ragazzi erano euforici ed agitati, parlarono sempre, tutti tranne quel David che se ne stava lì, fermo, senza emettere un suono, magari annuiva alle espressioni in cui era citato.
Lo guardai attentamente, fino a che non si girò verso di me e, perciò distolsi lo sguardo.
Finalmente annunciarono agli auto parlanti il numero del nostro volo, così le signorine ci aprirono le porte e andammo a prendere i posti.
Visto che i sedili erano da  due, ognuno si sedette al proprio posto; rimanemmo in piedi io e David.
Non mi andava di mettermi seduta accanto a lui per tutto il viaggio,ma non avevo altra scelta.
Non potevo rifiutarmi, se no gli avrei dato ragione sul fatto della bambina; Decisi di sedermi accanto a lui, cercando di ignorarlo il più possibile con la musica.
Non mi disturbò,non successe niente, anzi, si addormentò su un lato del sedile  con il  suo ciuffo ricadente sugli occhi.
Stanca di ascoltare la musica, spensi l’ I pod e mi concentrai su quell’orso che avevo di fianco.
Era quasi adorabile, tranne per il fatto che aveva un caratterino al quanto insopportabile.
Mio fratello mi aveva parlato di lui come di un tipo “forte”, sempre attento al proprio carattere, dolce e molto sexy; questo lo diceva scherzando, ovviamente!
Più lo guardavo e più non riuscivo a non notare il sorriso che aveva nonostante stesse dormendo.
Scacciai dalla mente quei pensieri oscuri e trovai un punto comodo su cui appoggiare la testa e riposarmi.
Mi addormentai su qualcosa di morbido, indefinito; sapeva di profumo ed era ricoperto da piccoli filtri.
 
Mi svegliai con uno strattone di David che mi ritrovai così vicino da poter notare le sue paiuzze castane.
“Se non ti dispiace dovrei prendere le valigie …” mi disse lui.
Spostai, imbarazzata, la mia testa dalla sua spalla per aiutarlo.
Quando tutti scendemmo dall’aereo, ci precipitammo subito su un taxi, chiedendo indicazioni sulla via del ragazzo.
“Deve essere una bella villa … ci divertiremo un mondo!” Mike si mise a parlare per tutto il viaggio, dava così tanto fastidio che il taxista lo fece smettere, mettendogli una caramella in bocca.
“Ecco a voi via Splings” pagammo il taxista e ci avviammo verso le scalette della porta.
Era magnifica, molto spaziosa, aveva un colore sul tono del marrone, le vetrate ricoperte di tende di vari colori, con un terrazzo grande quando un intera piazza cittadina.
“Accomodatevi … mio padre ci ha detto di andare in comune a dichiarare il gas e la luce per un intero mese.
Io devo restare qui a riordinare la casa, chi può andarci per me?” si fermò a guardare tutti.
Mi sentii osservata, così decisi di propormi io.
“Vado io!” gli sorrisi spensierata.
“Grazie, però ci vuole qualcuno che venga con te.
Marc non può perché si è già proposto di aiutarmi.”
Rimasero solamente Mike e David.
Non sapevo chi scegliere, così decisi di chiamare il ragazzo che mi incuriosiva.
“David o Dave, come preferisci tu, mi accompagni?” mi grattai il braccio, mi sentivo a disagio.
Lui fece un cenno con il capo ed iniziammo a camminare per le vie del centro.
Mi stupii di quanta gente potesse esserci; persone che andavano a lavoro, ragazzi che erano in costume e giravano per le vie a raggiungere le spiagge, ogni angolo che giravi, trovavi persone.
Un paio di volte, persi David, però lo ritrovai subito ad un passo da me.
Arrivammo davanti alla facciata di questa palazzina.
“Entro io, tu stai fuori ok?” cominciò a guardarmi con una faccia da superiore, io sbuffai rumorosamente, ma entrò senza darmi importanza.
“E va bene, vai … IO TI ASPETTO QUI.” Urlai senza imbarazzo, sedendomi su una panchina lì vicino.
Passarono diversi minuti, poi, uscì con un foglio in mano ed uno dei suoi due soliti sorrisi.
“Che ti hanno detto, cos’è quel foglio? È  tutto in regola?” gli domandai senza fiato.
Alzò le braccia mettendosele attorno alla nuca, camminando a passo veloce.
“Piano, non sono mica un computer, comunque, è tutto in regola, ora puoi rilassarti.”
Non risposi a quell’affermazione, qualcosa mi impedì di continuare, forse il suo sguardo buio o forse il mio mancato senso di interesse, fatto sta che ritornammo a casa e se ne andò in un angolo della stanza.
I ragazzi prepararono il pranzo con degli avanti della spesa.
Eravamo a tavola, i ragazzi parlarono tra di loro, io me ne stetti buona a pensare a che ristorante sarei potuta andare nei seguenti giorni.
“ Allora, vieni?” Marc mi strinse per la manica chiamandomi.
Non avevo ascoltato nulla di quello che avevano detto, cercai di capire dalle loro facce quello che potevano avermi proposto,ma ci rinunciai senza trovare nessun risultato.
“Scusate, mi ero distratta … potete ripetere?”
David si alzò sbattendo la sedia contro il tavolo, alzando lo sguardo verso di me.
“Hanno chiesto se oggi pomeriggio vai con loro a girare la città … Te lo devo ripetere un’altra volta per caso?” Se ne andò lasciandoci tutti stupiti della sua reazione nervosa.
Iniziava davvero a stufarmi quel ragazzo, sembrava che mi odiasse.
“Lascialo stare,sarà nervoso per le sue cose … pensa, invece, alla nostra proposta, ti và di venire?” Mike mi passò un catalogo del posto, della spiaggia e mi sentii un po’ male.
Tutti i soliti ricordi, i soliti pensieri, mi ritornarono alla mente; cercai di rimuoverli e risposi di no con la testa.
Marc mi venne accanto “Ragazzi è meglio per oggi di no.
Andiamo noi, David e mia sorella se la caveranno da soli.”
Prese dalle mie mani il volantino e se lo mise in tasca.
Uscirono salutandoci, andando per chissà quali vie della California.
Visto che avevamo scelto le nostre stanza, andai nella mia, aprii la valigia e misi a posto le mie cose.
Restai davanti alla finestra per più di un’ora a guardare i bambini di fianco schizzarsi con delle pistole ad acqua, mentre ascoltato la musica.
Non sentendo nessun rumore, andai a controllare come stesse David.
Lo trovai nella sua camera sdraiato con gli occhi chiusi, restai davanti alla porta senza fare nessun tipo di rumore.
Notai una piccola foto ed un foglietto accanto, andai più  vicino per guardarla meglio.
Era lui con Marc in Giappone, quando ci erano stati tre anni fa.
Il suo volto era molto più felice di quello di adesso, sembrava quasi diverso.
Ad un tratto mi sentii tirare il braccio, stringendomi sempre di più.
Talmente era forte la stretta, che inciampai e caddi sul materasso, finalmente mi liberai e restai immobile senza dire una parola, senza emettere un suono.
Ciao, questo è il secondo capitolo …
Non credo sia piaciuto il primo, perché non lo ha commentato nessuno, ma credo continuerò perché significa molto per me questa storia.
Beh, grazie in anticipo a chi leggerà e mi scuso per gli eventuali errori (Non ho riletto!)
Un bacio Ele! ;)

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Capitolo 3
*** 2 ***


 “Dovresti stare più attenta la prossima volta … non si conquista di certo così un bel ragazzo.”
David mi tenne la mano per poi posarmela sulla gamba emettendo un piccolo risolino.
Mi fece sussultare, mi alzai e abbassai lo sguardo.
“S- scusa, non volevo farmi gli affari tuoi, davvero …” mi agitai, senza sapere bene come spiegargli la mia reazione.
Lui mi venne in contro e mi toccò i capelli, accarezzandomi la fronte in un modo rilassante.
Quando mi calmai, iniziò a parlare.
“Va tutto bene, tranquilla … Stavo scherzando …” si sdraiò sul letto e mi porse il foglietto.
“Non era nulla di poi così importante … se vuoi leggilo.”
Non riuscii a capire la sua gentilezza, alcune volte sembrava mi odiasse ed altre volte sembrava mi volesse aiutare.
Posai il foglio sul tavolino dov’era all’origine e andai verso la porta.
Mi girai verso di lui.
“Vado di là, se ti serve qualcosa, io ci sono.”
Gli girai le spalle e non aspettai la risposta, andai nel salone e accesi la tv.
Inutile dire che di programmi decenti non c’erano, così girai su un documentario molto interessante.
Stavo per cadere in un sonno profondo causato dalla voce del tipo troppo monotona, quando,venne David e si sedette vicino a me prendendo il telecomando.
“Oh. Guarda, ci sei tu … non mi avevi detto che eri famosa.”
Indicò, ridendo come un pazzo, una scimmietta che mangiava delle foglie su dei rami.
Gli tirai un pugno sulla spalla, con il risultato di farmi male al polso.
“Quando sei stupido!” gli sorrisi, poi mi girai il polso che mi faceva male.
“Tutto bene? Aspetta, vado a prendere dei fazzoletti e dell’acqua, così tamponiamo bene ed il dolore sparisce.”
Andò in cucina e prese il necessario, per poi tamponarmelo sul punto in cui faceva più male.
Era talmente vicino a me che sembrava una scena di quei film poco banali.
Lo guardai negli occhi, stavo sopportando quel dolore mentre lui cercò di distrarmi cantandomi delle canzoni buffe.
All’improvviso si aprì la porta, erano i ragazzi appena tornati, avevano delle buste in mano.
Marc corse da me prendendomi il polso.
“Che cosa ti sei fatta?”
“Tranquillo, è tutto passato … piuttosto, che avete lì?” indicai quelle borse piene di roba.
Mike diede una pacca sulla spalla a Marc e insieme svuotarono il contenuto.
“Abbiamo fatto la spesa, tutte le scorte per stasera, poi abbiamo preso un dvd da guardare tutti insieme.”
Guardai l’orologio, erano le sette e trenta, era passato così tanto velocemente il tempo?
Mi persi, come sempre, tra i miei pensieri, che non mi accorsi che i ragazzi stavano già tutti cucinando.
Li seguii incuriosita, osservando quanto buon cibo c’era in tutta la cucina.
“Adesso voglio farti una sorpresa, stasera si mangia cucina italiana, ma domani potrai andare a mangiare suschi.” Marc mi accolse con dei coltelli poco piacevoli da vedere, sorridente, il che metteva ancora di più i brividi.
“Bene, se non ti dispiace, accomodati in salone, noi ti prepareremo un cibo squisito.”
Certo che mio fratello era troppo cocciuto, fin da piccolo, quando voleva a tutti i costi qualcosa, non rinunciava finche non la aveva ottenuta.
Tutt’ora è così ed è per questo che ammiro il suo coraggio.
Andai a chiamare mia madre, che da quella mattina non mi aveva chiamato.
Il telefono squillò per un paio di minuti, fino a che non mi rispose.
“Pronto, chi parla?”
“Ciao mamma, sono io, tua figlia hai presente?” mi indicai, anche se mi accorsi della cattiva idea, visto che lei non poteva vedermi.
“OOh ciao tesoro, come stai, tutto bene? Marc come sta?” sentii dei rumori strani.
“Bene, tutti noi ce la stiamo cavando … ma, toglimi una curiosità, cosa sono questi rumori?” Gli chiesi preoccupata.
“Niente, sono a lavoro, appunto adesso devo lasciarti.
Salutami Marc e il resto della banda … adoro quei ragazzi … Ciao, ci risentiamo!” attaccò senza darmi il tempo di ricambiare i saluti.
Mi misi il cellulare in tasca e andai in cucina.
“TADAN!” Tutti e quattro i ragazzi  mi accolsero con una tavola imbandita di spaghetti, pasta, dessert e tante altre cose deliziose.
Iniziammo a magiare, tutto veramente molto buono.
“Allora, come ti sembra, siamo stati bravi?” Mike mi tirò una gomitata per chiamarmi                    all’ ”appello”.
“Buono … Complimenti a tutti.”Mugugnai un qualcosa di incomprensibile, infondo, avevo la bocca piena e si sa, non è educato mostrare agli altri il proprio cibo mentre lo si sta masticando.
Finito la pesantissima cena, andarono tutti sul divano a mettere il dvd.
“Io passo, ragazzi … non me la sento, vado in camera, a domani!” David si dileguò per andare in camera.
“Anche io, sono piuttosto stanca, credo mi farò una bella dormita … ciao.”
Raggiunsi Dave per la camera.
“COME VOLETE, MA NON SAPETE COSA PERDETE.”
Marc urlò dall’altra stanza per farsi sentire.
Mi ritrovai vicino alla sua stanza, lui era davanti alla porta e mi fissava.
“Cosa c’è, vuoi entrare?”
Le sue solite cavolate mi fecero sentire a disagio, così da arrossire leggermente.
“Mmh. Va beh, Ci vediamo, ciao Scimmia!” Chiuse la porta beffardo, lasciandomi là senza nessuna risposta.
Che mi succedeva? Non riuscivo neanche a rispondere alle battutine stupide di quel ragazzo … Tutto così, così diverso da casa.
Presto andai a letto anche io, addormentandomi quasi subito al rumore delle macchine che andavano e venivano per la strada.
 
Il mattino seguente mi svegliai dal suono del mio cellulare.
Lo cercai sotto il letto e, dopo averlo trovato, mi sedetti di scatto e risposi.
“Chi è che mi disturba alle otto del mattino?” Dissi io, in un modo non molto gentile.
“Sono io,  noi siamo andati fuori dalla spiaggia, se vuoi raggiungici più tardi … provaci almeno.”
“Credo andrò a fare un bel giro in centro,ma voi restate lì anche tutto il pomeriggio, io me la caverò.”
“Avril Lee, cara sorellina, ne sei convinta oppure devo mandarti a casa qualcuno che ti controlli?”
Non lo potevo vedere, ma avrei scommesso stesse alzando un sopracciglio nel suo solito modo.
“Si, sono sicura, non preoccupatevi per me, andrò da qualche parte.
Ora vado, ciao Marc, ci vediamo dopo.”
“Ciao peste!”
Mi lavai e mi preparai, presi il cellulare ed i soldi ed uscii, chiudendo la porta di casa con tutti gli allarmi possibili ed immaginabili.
Camminai senza meta per un bel po’, finche non trovai una libreria dall’aspetto antico.
Fuori poteva sembrare molto piccola e bruttina, ma dentro era spaziosa e magnifica.
C’erano tantissimi libri, di dimensione altrettanto stupenda; Ne tolsi uno dallo scaffale e iniziai a leggere la trama.
Parlava dei sentimenti che solitamente si provano toccando sabbia, rocce e quant’altro.
I sentimenti che provavo io erano ben diversi da quelli descritti sul libro, però continuai a leggere fino alla chiusura della libreria, scoprendo nuove emozioni.
Avevo appena finito di leggerlo tutto, lo posai sullo scaffale e notai una voce famigliare.
“Salve, potrei prendere in prestito questo libro?”
“Certamente, entro due settimane c’è da riportarlo indietro.”
Spostai la testa dal lato dello scaffale per vedere chi potesse essere e rimasi sconvolta dalla persona che se ne stava andando.
David aveva appena pagato la libraia per prendere un libro, non potevo crederci.
Guardai l’orologio e mi accorsi di quanto si era fatto tardi e salutai il personale andandomene.
Pochi passi più avanti a me c’era lui.
 Guardavo, distrattamente, da tutt’altra parte che non vidi Dave che si fermò di colpo facendomi cadere.
Mi porse una mano e mi aiutò a rialzarmi.
“Certo che sei proprio sbadata …” Sghignazzò prendendosi gioco di me.
“Hey, non è vero!” Rivendicai il mio potere di donna.
“Allora … che ci fai qui, mi stavi per caso seguendo?” Cambiò argomento,mentre camminava con le mani in tasca e la busta sulla spalla.
 
“… Ma cosa dici? Sono andata in libreria questa mattina per leggere un libro.”
Dissi tutto di corsa.
“Mmh …” si toccò il mento con fare teatrale “ … Almeno lo hai letto?”
I suoi commenti mi innervosivano.
“Certo che l’ho letto … Solo che mi sono dimenticata di pranzare e di prepararvi la cena.”
Si mise a ridere di gusto.
“Davvero hai passato tutto il giorno a leggere?” si fermò per ricevere conferma, poi proseguì.
“Tranquilla, i ragazzi sono andati a mangiare fuori … io non ho ancora mangiato, che ne dici se ce ne andiamo da qualche parte io e te?”
Io e lui da soli, in un ristorante, senza nessuno come una coppietta?
Non ascoltai la mia mente e risposi un sì con la testa.
Lui strinse i pugni e cominciò a correre.
“Bene, andremo a cenare in un ristorante giapponese … forza, andiamo a cercarlo!”
Corse sempre più forte, io mi tolsi le scarpe e lo raggiunsi, rincorrendolo come una pazza.
La serata iniziava a movimentarsi.
Forse quel ragazzo iniziava a starmi simpatico …
 
Eccomi qui! Premetto che l’ho scritta di getto e non ne sono affatto convinta, però sarete voi a giudicare, giusto? Ditemi di sì, vi prego, mi sento una nullità …
Beh, chiedo scusa per gli eventuali errori, in questi tre giorni sono stata molto presa da altre cose …
Spero vi piaccia.
PS. Ringrazio a chi recensisce, ai lettori e a chi ha messo la storia tra  le preferite/Ricordate/seguite.
Vi adoro *_* -à(?)
Un bacio Ele! ;)

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Capitolo 4
*** 4 ***


 Ciao, oggi sono veramente depressa … è così brutta la mia storia che nessuno la vuole recensire?
… Ma scherzo, sono felice che quei pochi che leggono sono presenti.
Beh, ci si accontenta di quel che si può …
Ci si vede sotto …
 
Girammo per tutte le vie possibili ed immaginabili, fino a trovarne uno piccolino ed accogliente.
“Entriamo qui … è perfetto.” Mi prese per una mano e mi strattonò per farmi entrare dentro.
Ci accolsero due camerieri che ci fecero accomodare ad un tavolo vicino ad una finestra.
Ordinammo degli involtini e cose tipiche della cucina e iniziammo a mangiare.
Stavo finendo i miei involtini, quando iniziò a parlare.
“Ti piace proprio la cucina giapponese, eh?”
Intanto lui sorseggiò un bicchiere d’acqua.
Io ingoiai il cibo e mi affrettai a rispondere.
“Si, mi piacerebbe andarci un giorno … Ma purtroppo per ora non posso.”
“Come mai ti piace così tanto?” Si rigirò nel piatto quello che ne era rimasto.
Ci pensai un po’ su.
“Beh … perché mi rispecchia parecchio, mi piace la loro cultura e i loro ambienti.”
Mi fermai per guardarlo negli occhi “ … Invece te? Perché ti sei spinto così intanto in là da andarci?”
Gli sorrisi, senza mostrare alcun segno di imbarazzo, anche se ne avevo tanto.
Notai il suo sguardo farsi più cupo, abbassò gli occhi e restò fermo così per qualche secondo.
“Ho detto qualcosa di sbagliato, per caso?”
Gli sfiorai il braccio, ma lui lo ritrasse lentamente.
“No, tranquilla … nulla di che … continua a mangiare, così poi ce ne andiamo da qualche parte.”
Fece un finto sorriso per poi tornare a guardare il suo piatto vuoto.
Quando finii il tutto, pagammo il conto ed uscimmo dal locale.
“Dove vuoi andare?” Gli chiesi, un po’ preoccupata.
Alzò le spalle dirigendosi verso il portico illuminato.
“Andiamo in spiaggia, lì alla sera non gira nessuno …”
“Ma non si può entrare alla sera, in spiaggia.”
Gli dissi, ripensando agli avvisi della televisione ed ai numerosi cartelli appesi per tutto il viale.
Lui andò più svelto, per poi girarsi verso di me.
“Hai paura? Sai, se è così torniamo a casa …” digrignò i denti emettendo un rumore soffocato.
Io mi agitai.
“No, non ho paura … Andiamo!”
Lo presi per il colletto della maglia nera che indossava e cominciai ad entrare vicino agli scogli.
Ci sedemmo sotto ad un masso, nascosti dalle numerose sdraio.
La luna brillava quella sera,  le onde si rifrangevano sugli scogli e il mare emetteva una titubanza.
Fissai la sabbia su dove ero seduta, passandomela tra le mani.
“Che c’è, non ti piace stare vicino al mare?” Mi chiese, con un volto serio.
Cercai di nascondere i miei occhi lucidi, ma invano, perché lui si avvicinò a me e mi prese il volto con una mano, facendomi guardare verso di lui.
“Rispondimi, ti prego.”
Mi lasciò andare, allentando la stretta, finendo per diventare una carezza morbida e setosa.
Guardai oltre gli scogli, ignorando il tempo che stava scorrendo.
Mi decisi a spiegargli tutto, pur facendomi del male.
Alla fine della mia confessione, lui si spostò più in là.
Nel suo sguardo era cambiato qualcosa, sembrava più impetuoso e triste.
Stetti zitta, aspettai una sua risposta o qualche commento.
“Avril, sai, anche io ho i genitori divorziati e non è stato facile convivere con questo peso …
Ho sofferto molto e c’è voluto del tempo prima che mi ci abituassi, questo è normale, ma mi sono sempre detto che non ne valeva la pena mollare di fare le cose mi piacevano solo per un fatto spiacevole.
Questo è quello che devi pensare tu ora … che dovevi pensare tanti altri anni fa.”
Colpita dalle sue parole, iniziai a versare qualche lacrima, senza preoccuparmi del suo volto compassionevole.
“Non posso, non ci riesco … è più forte di me, i ricordi sfiorano la mia mente ed io non posso cancellarli o tenerli a bada, perché sarebbe inutile.
Ti prego, non ne riparliamo più … andiamo a casa.”
Annuì leggermente, porgendomi una mano per alzarmi.
Prima di andare via mi avvicinò a sé.
“Capisco come ti senti e per questo ti dico che se ora non sei pronta fa lo stesso … quando tutto sarà finito, vieni da me che ne riparliamo e potrai stare meglio.”
Andò avanti senza aspettarmi, io restai un attimo ferma e lo raggiunsi come ogni singola volta.
Camminammo più lenti, quella sera, godendoci quel magnifico panorama illuminato dalle luci delle case e dal riflesso argento della luna.
Entrammo in casa senza fare rumore e trovammo i ragazzi sul divano addormentati.
“Andiamo a letto, si saranno buttati subito lì!” sussurrò, quasi non riuscivo a sentire le sue parole.
Andai in camera mia e mi misi il pigiama dopo essermi lavata.
Restai a scrivere su un foglio tutto quello chi mi passò per la mente quella sera, dopo,  cedetti tra uno sbadiglio e l’altro, buttandomi sul materasso.
Un sogno magnifico riportò il mio risveglio; Un anima leggiadra e infantile che correva per le scogliere scalza, pronta ad abbracciare i suoi genitori.
L’amore si espande, sempre di più, fino a cedere in un abisso illimitato di discussioni e di separazioni … La separazione, quella letale.
Un dolore atroce batte sul cuore della bimba, riportandogli ferite interne in una lacerazione senza via d’uscita, non risvegliandosi più.
Cerca in tutti i modi di reagire, di tornare ad essere la stessa, ma ormai è finita, gli sforzi sono inutile ad una potenza così … così impressionante da non potersi svegliare più.
 
Mi alzai dal letto urlando, sudavo tantissimo ed il mio cuore batteva come non mai.
Che cos’era  quel sogno maledetto?
Non ci pensai e andai in bagno a sciacquarmi il viso.
Sentii scricchiolare la porta.
Entrò Dave con una camicia sbottonata e uno spazzolino tra i denti.
“Ciao!” Mi salutò, sentendo poco e niente del suo saluto.
“Ciao … Oggi che fate, voi?” Indicai la finestra per via del vento che accarezzava i vetri.
Si guardò attorno.
“Mmmh. Non ne ho idea, forse andrò a fare un giro.”
Finì di lavarsi i denti e se ne andò dal bagno , lasciandomi sola.
Che aveva al posto del cervello, quello?
Le risposte gli si dovevano tirare fuori a forza!
Andai giù in salone e vidi Mike con un cappello, vestito a dir poco ridicolo.
“Cosa sono questi vestiti?” Gli indicai la camicia a quadri e i pantaloni colorati.
Lui si guardò confuso.
“Beh. Puoi chiamarlo un nuovo cambio di look.”
Mi misi a ridere, rigirandomi per terra.
“Che c’è, non sono carino?” Mi guardò con degli occhioni giganteschi.
“ … Ma sì che sei bello!” Lo accarezzai in modo spiritoso e notai che Marc e David stavano assistendo alla scena.
Girai lo sguardo verso di loro, andando a prendere una ciotola di latte e dei biscotti, sedendomi accanto al mangiatore di suschi.
“Non dovete scambiarvi fusioni davanti a noi poveri bambini …” Marc ci prese in giro.
Lui si limitò a dargli un pugno, io resistetti e contestai.
“Caro il mio dolce ragazzo, voi non siete più dei bimbi indifesi.
Siete degli uomini, dei ragazzi forti e dotati di un cervello.” Mi fermai per guardarli.
“… Oh, scusate, mi dimentico con chi sto parlando; naturalmente tranne te, Mike!”
Ci mettemmo a ridere senza fermarci un attimo.
Poco più avanti, andai di sopra in camera a sistemare l’armadio.
Bussarono alla porta.
“Avanti.” Urlai, come se fossero tutti sordi.
“Hey, che ne dici se ce ne adiamo a fare un giro?”
“Dico che è perfetto … Dave, per ieri ti devo ringraziare.”
Gli toccai la spalla in segno di affetto, lui mi sorrise e basta.
Sapevo che qualcosa stava cambiando in me, in lui … in noi.
Come non notarlo, ci stavamo avvicinando, forse era la volta giusta per fare amicizia.
Lo guardai senza staccargli gli occhi di dosso.
“Ci vediamo sotto tra mezzora.”
Se ne uscì, camminando a testa alta, dirigendosi verso il salone.
Presi tra le mani il primo paio di scarpe accessibili e me le misi a dosso, andando a mettermi un poco di trucco.
Mi suonò il cellulare e restai a parlare più del dovuto con mia madre.
Finito di rassicurarla di ogni piccola preoccupazione, spensi il cellulare e scesi, legandomi i capelli ricadenti sulle spalle.
Lo vidi appoggiato alla ringhiera del portico, con un cappellino grigio.
Aprii la porta e si girò subito, senza darmi il tempo di scendere gli scalini, mi trascinò per le strade sorridente.
“Rallenta, dove  vuoi andare?” gli chiesi, sbuffando per quanto forte andavamo.
Lui alzò le spalle e si toccò i capelli.
“Andiamo al mare, io e te … forza, che aspetti, muoviti!” Mi urlò, prendendomi il polso e facendomi correre come una squilibrata.
Ecco, lo sapevo, andare in California è come andare dentro i miei incubi più peggiori.
Non potevo dirgli di no, dovevo affrontare la mia paura, lo avrei fatto in quel momento, con lui.
Cercai di sfoderare un bel sorriso, abbastanza convincente e continuai a correre.
 
Ciaoo, questo è il quarto capitolo e spero sia di vostro gradimento.
C’ è voluto un po’ perché sono stata occupata tra leggere e scaricare anime ed il capitolo l’ho interrotto un po’ di volte …
Fatemi sapere com’è, se vi è piaciuto e come pensate che siano i protagonisti.
Ringrazio chi legge e chi ha recensito, davvero, ne sono onorata!!
Un bacio Ele! ;)

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Capitolo 5
*** 5 ***


 PRECISAZIONE: Il mare della California non è come il mare dell’Italia, non ci sono le file di ombrelloni, non si fanno i giri in lungo mare; Il massimo che si può fare è osservare i surfisti accavallarsi un’onda.
(Mi sono informata  sui vari pareri delle persone e volevo precisare.)
 
“Siamo arrivati a Santa Barbara!” Uscii dalla macchina che avevamo noleggiato e appoggiò un telo sopra la sabbia, sedendoci per terra.
Il sole era di un giallo pallido, sembrava un puntino, il vento tirava  forte e le poche persone che si trovarono lì, furono costrette ad andarsene.
Noi no, eravamo gli unici in quella spiaggia, seduti a parlare e a ridere, sapendo che da un momento all’altro sarebbe arrivata la folata fatale.
“Vieni, voglio farti vedere una cosa.” Mi trascinò per un bel pezzo, fermandosi dove, ormai, le palme erano sparite.
“Cosa vuoi farmi vedere se qui c’è il nulla?”
Si fermò e protese un orecchio verso di me, mettendosi una mano sulla fronte.
“Sentito?” Mi chiese.
Nessuno parlava, non si sentivano le persone parlare perché non ce ne erano, allora cosa poteva essere?
“No, veramente io non sento nulla.”
Dissi infine.
Lo vidi sorridere, spostò la mano verso la mia spalla e si girò completamente.
“Ecco, non si sente niente.
Nessun rumore di città, nessun clacson, niente rimproveri da sconosciuti, niente di niente; Solamente l’assoluto silenzio di una spiaggia isolata dal resto del mondo.”
L’idea non mi dispiacque, così alzai lo sguardo verso le onde che andavano e venivano in una danza incontrollabile.
Restammo in silenzio per un po’ a goderci quello spettacolo magnifico; Non servivano parole, l’Oceano parlava per noi, senza mai smettere di farmi battere il cuore.
Quel posto era diverso, ci stavo bene, mi sentivo a mio agio, senza preoccupazioni.
Ad interrompere i miei dubbi, fu lui che con un colpo di tosse mise fine ai miei pensieri.
“Avril, senti, a te piace stare qui?” Si grattò la nuca senza mollare la presa.
“Beh. Non mi dispiace affatto.” Sorrisi leggermente.
In fondo era vero, non gli mentivo.
“Tu invece, spiegami una cosa, quale sarebbe la  ragazza ideale per un tipo come te?”
Lo guardai imbarazzata della domanda che mi pentii subito di aver fatto.
Ci pensò un attimo e poi rispose.
“Tanto per cominciare deve essere carina, simpatica, dolce e  soprattutto, deve saper apprezzare la mia perfezione.”
Naturalmente scherzò e ci mettemmo a ridere.
“Che scemo che sei, dicevo sul serio.”
“Cosa vuoi, io sono realista, non c’è niente da fare.”
Mi tirò il salviettone con fare scherzoso e ci mettemmo a correre per tutto il tragitto di ritorno alla macchina.
Quando rinunciai a prenderlo, lui entrò in auto.
“Basta rincorrerci, per oggi ne abbiamo avuto abbastanza.”
Entrai in macchina ed iniziò a guidare per tornare a casa.
Mi stupii del fatto che in quella giornata non avevo quasi mai pensato ai ricordi del passato; forse perché ero occupata a rincorrere David.
Restai in silenzio per tutta la durata del viaggio e quando arrivammo, entrai subito in casa per fiondarmi nella mia camera.
Come un peso morto, mi buttai sul morbido letto ed accesi il cellulare che per tutto il giorno avevo lasciato spento.
Una chiamata persa ed un messaggio, aprii prima il messaggio e per poco non buttai a terra l’aggeggio che tenevo tra le mani.
“Avril, sono papà, volevo solamente sapere come procede la vacanza e se ti stai divertendo.
Ho già sentito Marc e mi ha detto che è tutto a posto, per cui, quando hai tempo, chiamami, a qualunque ora, non ho orari.
Ciao piccola!”
Mio padre non lo sentivo da una settimana, più o meno da quando ero partita e sapere che mi aveva cercato, mi metteva in agitazione.
Chiusi il messaggio e guardai tra le chiamate perse; per fortuna era mia madre, decisi di chiamarla subito.
“Pronto?”
“Ciao mamma, ti devo dare una grande notizia!” Le dissi.
“Oh ciao Avril, comunque, come sei dolce, mi hai comprato il vestito che indosserò per l’uscita di domani sera con i miei colleghi, vero?”
Ci mettemmo a ridere.
“No mi dispiace, a quello dovrai pensarci tu, ma è una cosa che ti renderà fiera di me.”
“Dimmi, devo saperla ora, non ho tanto tempo per parlare, tra un po’ inizio il servizio.”
Respirai a fondo “Oggi sono andata al mare con David e non mi sono chiusa e né ho protestato per tornare a casa.”
Non sentii nessun rumore.
“Mamma, ci sei?” Urlai dall’altro lato della cornetta.
“S –si, è una notizia meravigliosa, vedrai che pian piano si risolverà del tutto.
A proposito, mi ha cercato tuo padre chiedendo di te, forse è il caso di chiamarlo, mi sembrava preoccupato.
Beh. Fai quello che vuoi, scusa ma ti devo lasciare, vado a servire i clienti, ci sentiamo.
Ciao amore.”
“Ciao, ti voglio bene!”
Riattaccai e sentii le urla di Marc e di Mike che mi avvertivano che la cena era pronta.
Mi legai i capelli e andai in cucina, nascondendo il mio senso di dubbio verso le parole di mia madre su mio padre.
Mi sedetti al solito posto e Marc mi fissò per tutta la durata della cena.
Alla fine non resistetti e gli chiesi qual’era il problema.
“Che hai da fissarmi?” Usai un tono calmo.
Lui arrossì, segno che si trovava in imbarazzo e che tramava qualcosa.
“Niente, volevo solo dirti che oggi mi ha chiamato papà e ti cercava.”
Ecco, appunto, quando vuoi evitare una cosa, stai pur certo che ti salterà fuori in ogni discorso.
“Si lo so, mi ha avvertito, più tardi lo chiamo.”
Feci finta di niente e andai a sedermi sul divano accanto a Mike e Darker, il santo che ci ospitava in questa stupenda villa.
“Hey, noi ci facciamo un giro per la città, vuoi venire con noi?” Mike mi propose ad andare con loro.
“No, non mi sento molto bene oggi, andate voi.”
Darker si alzò e mi toccò la fronte.
“Sei un po’ calda, è meglio che ti riposi.
Se hai bisogno chiama.”
Andò verso la porta, seguito da Mike e David che andarono via, mentre mio fratello si sedette accanto a me.
Aveva uno sguardo triste, forse per il tono che avevo usato per rispondergli.
Non gli dissi niente, me ne stetti buona con lo sguardo perso nel vuoto.
“Mi dispiace.” Disse, prendendomi la mano.
“ … Scusa, non dovevo tirare fuori quell’argomento, lo so che fa male.
Io non voglio che ti senta a disagio, visto che ti ho costretto a venire qui solo per uno stupido capriccio.”
 Abbassò lo sguardo, sempre più marcato.
Gli strinsi la presa e lo guardai dritto negli occhi.
“Marc, ma che dici? Non mi hai costretto, davvero.
Sono io che ho deciso di affrontare una volta per tutte le mie paure e sapere che il papà mi ha cercata dopo una settimana è il modo giusto per arrivare al traguardo.
Sei sempre paziente con me e ti preoccupi, non voglio che tu stia in pensiero.”
“Io mi preoccupo perché per me resterai sempre la mia sorellina.
Ti voglio bene.”
“Anche io.”
Lo abbracciai forte, in una stretta piena di fratellanza.
Durò più del normale; Dopo me ne andai in cucina a chiamare mio padre.
“Buona fortuna!” Mi gridò dall’altra stanza.
Il telefono squillava ed io aspettai sospirando silenziosa.
“Pronto sono Matteo, chi parla?” sentii la solita voce.
“Sono io Avril, tua figlia.” Mi grattai nervosamente la manica della canotta.
“Ciao piccola, hai ricevuto i miei messaggi?”
“Si, mi ha anche avvisato la mamma.”
Lo sentii più strano, come se qualcosa nelle mie parole lo avesse turbato.
“ … Tutto bene, papà?” Gli chiesi, preoccupata.
“Si si, scusami … Comunque, ti stai divertendo lì con Marc ed i suoi amici?”
Non sapeva proprio di che parlare, è?
“Si, molto.”
“Sono più tranquillo adesso, pensavo non ti trovassi bene …”
“Invece ti sbagli, mi trovo a mio agio.” Sorrisi, per fargli capire che non ce l’avevo con lui.
“ … Ora devo proprio andare, sono occupato con un mucchio di contratti, ti chiamo io, OK?”
“Certo, ci sentiamo, ciao.”
“Ti voglio bene.”
“Ciao.”
Andai sopra in camera, chiudendomi nella stanza e sprofondando tra i  morbidi cuscini.
Non sapevo che mi stesse succedendo, ma il sentire mio padre così turbato, mi aveva messo in pensiero.
Bussarono alla porta.
“Entra.” Sussurrai, senza alzare la voce di un centimetro.
Lo feci sedere sulla sponda del letto e mi sedetti.
“Allora, com’è andata?”
“Bene, mi ha chiesto come stavo e le solite cose … dopo ha staccato perché aveva del lavoro da sbrigare e mi ha detto che mi avrebbe cercata lui.”
“Bene, tutto sommato si è comportato come sempre, no?”
Ci pensai su; No, non si era comportato come sempre, nel suo tono aveva una nota diversa dalla solita “melodia”.
Decisi di non  far preoccupare mio fratello con le mie stupide paranoie ed annuii.
“Già, tutto normale.”
“Adesso vado a dormire che domani vado insieme a Mike in centro, tu riposati e stai a letto.”
Mi baciò sulla fronte e se andò nella sua stanza.
Mi misi il pigiama e andai sotto le coperte, riposando come tutti mi avevano chiesto di fare.
Però, che barba, pensai.
Decisi di alzarmi e, sentendo dei rumori provenire dalla sala, scesi  dal letto in punta di piedi, vedendo nelle camere dei ragazzi la luce accesa, andai nel punto del rumore.
Lo vidi coricato sul divano senza maglietta e con in mano un panino.
Quanto mangiava quel ragazzo?
Pensai tra me e me, per poi andargli alle spalle, sentendo il su respiro farsi più regolare.
“Ciao, ti ho vista.”
Mi liquidò lui, accennando un segno con la mano.
Mi appoggiai sul bracciolo vicino a lui e restai in silenzio.
“Quanto sei rossa in viso, ma senti caldo?”
Mi sentii in imbarazzo dalla sua domanda, con lui senza maglietta era difficile esprimere i miei pensieri.
Si alzò di scatto e mi venne davanti, sbottonandomi piano, piano la canottiera che usavo per dormire.
 
Ciaoo a tutti, chiedo subito perdono ( ancora una volta) per gli eventuali errori di ogni genere … non ho avuto tempo di rileggere.
Spero vi sia piaciuto questo capitolo e sapere che ne pensate mi renderebbe felice.
Naturalmente ringrazio chi legge, chi recensisce e chi ha messo la storia come Preferite/Seguite/Ricordate.
Un bacio Ele! ;)

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Capitolo 6
*** A volte le persone possono cambiare idea ... ***


 Finalmente ho scaricato l’anime, mi sento rinata!!
Per festeggiare il compimento dei 51 episodi scaricati di quest’anime, ho deciso di postare il sesto capitolo in anticipo.
Buona lettura.

Al tocco delle sue flebili braccia che mi sfioravano il torace, arrossii sempre di più, distogliendo lo sguardo dal suo.
Lasciai scorrere tutto il sangue e l’agitazione che erano in me, per poi indietreggiare leggermente.
Lui si spostò di un passo in dietro e non mollò lo sguardo dal mio.
“Ti senti meglio?” Mi chiese.
“S si … cioè, non mi sento male.” Dissi, abbassando lo sguardo.
Volevo evitare i suoi  occhi, quelli che mi scrutavano con perseveranza, senza decifrarne bene il loro significato.
Così belli.
“Non voglio che ti senta male, per cui è meglio se la maglia la lasci sbottonata, così non sudi.”
Arrossii di più, stringendo le mani in un pugno, graffiando il divano in una presa docile e tesa.
Non dissi niente, non mi osservai, non feci nulla.
Si avvicinò ancora, mostrandomi i suoi denti perfetti e i suoi capelli sbarazzini.
Il suo corpo accogliente si insinuò in me, mi strinse le spalle e con la mano mi toccò la fronte.
“Scotti, sei bollente!” Sussurrò lui.
“No, non tanto.”
Andò in cucina e prese uno straccio, bagnandolo con dell’acqua fredda.
“Sdraiati che ci penso io.”
Tolse i cuscini e mi indicò il punto in cui prima era accovacciato lui.
Ubbidii senza contestare, ora mi girava la testa e non mi sembrava il caso di ribattere.
Mi appoggiò lo strofinaccio e si sedette accanto a me, stringendomi la mano.
“Aspetta un pochino, poi ti porto a letto.”
Improvvisamente mi sentii debole, senza forze, non riuscii nemmeno a parlare.
 Il caldo si impossessò di me ed iniziai a sudare; Gli occhi iniziarono a lacrimare e un gemito mi uscii dalla bocca, tremando senza sosta.
“Avril, che ti succede?” Disse, preoccupato.
Lottai con tutta la mia forza e riuscii a dire poche parole.
“Ho caldo.”
Si alzò di scatto ed iniziò a togliermi la maglietta,sfilandomela da sopra la testa, per poi  gettarla per terra.
Si inginocchiò e spostò il panno sulla mia pancia, strizzandolo e facendo ricadere tutti gli schizzi d’acqua su di me.
Un sollievo aleggiò e mi ritrovai in pace con la temperatura del mio corpo.
“Adesso ti porto in camera.”
“No, ce la faccio ad alzarmi.” Feci per sollevarmi, per non farmi portare da lui, ma mi venne un capo giro e mi toccai la testa con la mano.
“Quanto sei testarda, ci sono qui io.”
Mi sollevò, cingendomi la pancia contro il suo petto scoperto; Una stretta calorosa mi fece venire i brividi e restai immobile.
Mi appoggiò lentamente sul letto e mi aiutò a rimettere la maglietta.
Mi toccò, nuovamente, la fronte e sorrise.
“Ora non sei più bollente, dormi pure.”
“Grazie, davvero.” Mi nascosi tra le coperte.
“Di niente.
A proposito, sei bellissima quando ti senti indifesa.” Mi salutò con un gesto della mano ed uscì dalla stanza, lasciandomi imbarazzata dalle sue parole.
Caddi subito in un sonno profondo, lasciando da parte i miei innumerevoli pensieri.
Il mattino seguente, andai subito in bagno per lavarmi e vestirmi.
Raggiunsi gli altri in cucina che mi prepararono la colazione.
“Ti senti meglio, oggi?” Mike mi guardò.
“Si, ora sono in gran forma.” Presi una fetta biscottata ed accolsi David che si sedette vicino a me, sporca di marmellata.
Lui sorrise e fece una smorfia strana.
“Sei sporca proprio qui …” Con l’indice mi toccò la parte destra del labbro.
“Oh. Grazie!” Presi il fazzoletto ed iniziai a togliere via la macchia.
“Che ne dite se oggi andiamo a fare un giro per il centro e pranziamo lì?”
Propose Mike, tutto entusiasta.
“Per me va bene.” Marc si alzò in piedi.
“Io ci sto.” Lo accompagnò Darker  con un pugno sul tavolo.
Io mi guardai intorno, non mi andava di andare, non mi sentivo a mio agio là fuori.
Guardai David che stava giocando a quei giochi spastici per bambini e lo vidi invogliato a non rispondere.
“ … Tu vieni, Avril?” Marc mi si avvicinò.
“Io passo, devo andare a San Diego perché ho scoperto che mio padre è lì e passeremo due giorni insieme.”
Si intromise David spegnendo il videogioco, lasciandomi sbalordita dalla  notizia.
Cioè, ero contenta per lui, ma allo stesso tempo non volevo che ci lasciasse.
Guardai mio fratello ed annui.
“Beh. Allora buon viaggio, quando parti?” Chiesi io.
Si grattò la testa, pensando.
“Verso mezzogiorno, circa tra due ore.”
“Non fare il cattivo e mandaci delle foto carine.
Anche se starai via per solo due giorni, vogliamo tante foto.”
Mike si divertì ad imitare passanti che giravano con la macchinetta, rivolgendosi a Dave.
“ … David deve andare via, ma tu? Resterai da sola o verrai con noi?” Insistette, mio fratello.
Mike si inginocchiò e mi prese la mano, iniziando a pregarmi di andare con loro.
Stufa delle sue preghiere, annuii e andai a prendere il cellulare che avevo lasciato in camera.
Raggiunsi gli altri fuori da casa; Aspettai che il mitico gruppetto si salutasse e gli sorrisi, per poi continuare a saltellare con Mike a braccetto.
“Fermiamoci, sono esausta!” Mi lamentai, appoggiandomi ad una panchina per allacciarmi le converse.
Guardai lo sfondo del mio cellulare che indicava l’una e tre quarti.
“Andiamo a mangiare.”
“Ok, che ne dite se andiamo qui?” Darker indicò un bar piccolo ma dall’aria accogliente.
Entrammo, ordinando dei panini e delle bibite.
Quando ci arrivarono le nostre cose, mio fratello iniziò a parlare.
“Dopo aver finito di mangiare, dove andiamo?”
Io e Mike ci guardammo, pensando esattamente la stessa cosa.
“Andiamo in un negozio di Cd” Gridammo all’unisono, mettendoci a ridere come pazzi.
“Calma ragazzi, ci andiamo, ci andiamo!”
Marc sorseggiò un goccio di Coca-Cola.
Finito di mangiare, pagammo il conto e ci dirigemmo verso un centro commerciale.
“Ci dividiamo in due gruppi, io e Marc e Mike ed Avril.”
Acconsentimmo tutti, presi il mio compagno e corremmo per tutti i negozi di musica accessibili ai nostri occhi.
Ne trovammo uno enorme, stupendo, pieno di scaffali con tutte le band dell’intero mondo.
A me e a Mike piaceva la stessa musica, così andammo a guardare il genere rock.
C’erano davvero delle belle cose, però non prendemmo niente ed andammo via salutando il negoziante.
Girammo un po’ per le vetrine imitando i manichini esposti, facendo i cretini davanti alla gente che ci fissava.
Non sapendo più cosa fare, dopo aver girato tutto il centro commerciale, andammo a sederci su una panchina, iniziando a prendere il tempo con la gamba ed intrattenendo un gruppetto di bambine che si era avvicinato per sentirci.
Non mi importava se la gente ci squadrava o se eravamo ridicoli,perché questa era la volta giusta per divertirmi, senza preoccuparmi delle conseguenze.
Cantando tra una nota e l’altra, ritrovammo gli altri due che ci guardarono urlando frasi del tipo       ‘ Siete fantastici, vogliamo il bis.’ Prendendoci in giro.
Passarono delle ore e decidemmo di ritornare a casa; Salutammo il gruppetto, ringraziandolo e uscimmo.
“Come siamo bravi, dovremmo partecipare ad un concerto.”
“Sì certo, così vi sbatterebbero via.”
Mi misi a ridere, vedendo la reazione di Mike all’affermazione di Darker.
Arrivammo sotto casa, aprii la porta e mi buttai sul mio materasso, togliendomi le scarpe.
Che sollievo per i miei poveri piedi.
Improvvisamente mi squillò il cellulare, lo tirai fuori dalla tasca dei jeans e rimasi sbalordita.
Un’altra volta? Era passato solo un giorno e mio padre mi aveva  ancora chiamata.
Non era da lui, strano, di solito non mi chiamava due volte di seguito.
Decisi di rispondere, trattenendo il fiato.
“Ciao.”
“Ciao piccola, come stai, che hai fatto oggi?”
Sapeva solo chiedermi questo?
“Sto bene … Sono andata con i ragazzi a fare un giro.”
“Mi fa piacere.”
“Devi dirmi qualcos’altro?” Dissi, invogliandolo a continuare.
“No … Beh. Sì, volevo avvisarti che io e  tua mamma abbiamo parlato e volevo chiedere la custodia per essere il tuo tutore al posto della mamma.”
Rimasi paralizzata.
Cosa? Come, voleva essere il mio tutore? Non potevo crederci, mi sentivo male.
La mamma  non glielo avrebbe mai permesso … Spero.
Ecco perché ti comporti sempre così, si spiega tutto delle tue chiamate.
Solo un pretesto per addolcirmi, per convincermi che di te ci si può fidare; Mi hai deluso è come se di me non conoscessi niente.
Non sai né i miei gusti né le mie abitudine.
Come fai ad essere il mio tutore se non sai quasi nulla di me?
 
“Avril, ci sei? Rispondi.”
 
 
Ciaoo gente, spero che questo capitolo vi abbia schiarito le idee sul fatto del comportamento del padre di Avril.
Beh. Che dire, fatemi sapere com’è e soprattutto cosa ne pensate.
(Mi farebbe piacere.)
Ringrazio sempre chi legge, chi recensisce e chi ha messo la storia tra Preferite/Ricordate/Seguite.
PS. Dedico questo capitolo alla Marty e a _inlovewithSP.
Un bacio Ele! ;)

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Capitolo 7
*** 7 ***


 “Eh? Sì ci sono …”
Dissi imbarazzata e con la voglia di prenderlo e scaraventarlo giù dal balcone.
“Allora, cosa ne pensi?”
Cosa ne penso? Beh. Mio caro papà, penso che sia un’idea di m …. non vado oltre.
“Vuoi davvero che te lo dica?” Iniziai veramente ad arrabbiarmi.
“Si, forza …”
Afferrai bene il cellulare.
“Penso che sia uno dei tuoi stupidissimi capricci; Perché dovresti tenermi in custodia se per te sono solo un peso? Io non voglio lasciare la mamma.”
Iniziarono a scendere quelle maledette lacrime che puntualmente scendono nel momento meno opportuno, sempre!
Mi buttai a terra, appoggiata al muro vicino alla porta.
“Avril, non è un mio capriccio … io voglio solo …”
Non lo lasciai finire ed iniziai ad urlare.
“Risparmia la sceneggiata del ‘voglio iniziare una nuova vita’ con me, perché non funziona.
Tu ti sei preso Marc e la mamma si è presa me, basta.
Spero che non andrai oltre e che  lascerai fuori me e Marc dalle vostre discussioni.
Mi hai deluso!”
Attaccai il cellulare e lo buttai sul letto, continuando a colpirmi.
Poco dopo entrò Marc che si protese verso di me per bloccare i pugni che mi stavo dando.
“Che fai, sei impazzita?”
Mi scostò una ciocca di capelli dal volto, accarezzandomi la testa.
“Che è successo?”
Si sedette accanto a me e lo abbracciai.
Finito di piangere e di sfogarmi, gli  raccontai l’accaduto e alzai gli occhi al cielo, rilassando le mani.
“Avril, non credo che papà voglia prenderti solo per una sua idea, Credo che voglia riallacciare i rapporti iniziando a capire come sei fatta.”
“Io non voglio andare con lui, voglio restare con la mamma.”
Mi asciugai gli occhi con un fazzoletto trovato in tasca.
Mi sorrise e mi prese le mani.
“Forza è ora di andare a mangiare.” Mi alzò, ma io esitai.
“Non mi và.” Mi sedetti sul letto.
“Ok.” Si fermò per raggiungere la maniglia “ … Pensa a quello che ti ho detto, magari non è per sempre ma solo per un breve periodo.”
Se ne andò, chiudendo la porta alle sue spalle.
Mi sentivo a pezzi, distrutta, come se qualcuno mi avesse investito o mi avesse riempito di insulti.
Iniziai a pensare  a quello che avevo detto.
In fondo, forse, ero stata troppo cattiva con lui, non lo avevo lasciato finire e mi ero subito messa sulla difensiva.
Guardai il display del cellulare, ma non c’erano nuove chiamate.
Mi faceva male sapere tutta quella verità.
Mi aveva delusa ma allo stesso tempo tirata su.
Smisi di pensare e scacciai di mente quei dolorosi ‘spilli’ che mi davano tanta preoccupazione.
Bussarono.
“Avanti.” Abbassai la voce in un sussurro.
Si spalancò la porta e davanti a me, trovai Mike che mi guardava con la faccia da cucciolo.
Si sedette accanto alla sbarra del letto e mi sorrise leggermente.
“Hey, anche se so che io per te sono solo l’amico di tuo fratello, sappi che su di me potrai sempre contare.”
Iniziai ad essere confusa, molto.
Da quando pensava queste cose? Non era assolutamente vero.
Abbassò lo sguardo, rigirandosi tra le mani un bracciale.
Io lo presi e lo strinsi forse, sussurrandogli “Grazie.”
Quando lasciai la presa, diventò tutto rosso e mi fece l’occhiolino.
“Ora scendo, se ti và raggiungici.”
Annuii e gli aprii l’uscita.
Non mi andava, ero stanca e stressata; Andare di sotto con gli altri non era proprio quello di cui avevo bisogno.
Mi sdraiai sul letto, continuando a rigirare il cellulare per aspettare una chiamata, di chiunque.
Improvvisamente iniziò a piovere e decisi di fare una passeggiata, forse mi avrebbe schiarito le idee.
Mi misi addosso la mia felpa rossa con i jeans neri e le converse abbinate, presi un ombrello e mi diressi verso il portone.
“Dove vai con questa pioggia?” Marc era appoggiato al divano, indicando il tempo fuori.
“Vado a fare una passeggiata fuori per restare da sola.”
Mi grattai la testa, accennando un ‘si’ con il capo.
“Tu non te ne vai là fuori da sola, ti accompagnerà Maike.”
Indicò il ragazzo che era appena entrato nel salone che ci guardava con aria confusa.
“Cosa devo fare io?”
Si indicò, sorridendo come uno scemo.
“Mi accompagnerai da bravo cavaliere.” Lo afferrai ed uscimmo da casa.
Fortunatamente aveva già a dosso una felpa, così iniziammo a camminare per quelle vie deserte.
L’unico rumore che si sentiva era quello della tettoia accanto che gocciolava.
Restammo zitti per un bel po’, finche non  si fermò del tutto.
“Che hai?” Gli chiesi preoccupata, non capendo il perché del suo gesto.
“Posso farti una domanda?” Mi chiese, liquidando la mia.
“Certo.”
“A te piace Dave?”
Arrossi, tossendo per la domanda assurda che mi aveva fatto.
“NOO, cosa vai a pensare …”
Si grattò la testa e mi raggiunse.
“Sarà, ma pensavo che tra di voi ci fosse un’intesa particolare … infondo io non me ne intendo di queste cose.”
Sorrisi alla sua affermazione, mettendogli un braccio intorno al collo.
“Sì, io e te siamo una coppia.”
Scherzai, ridendo a crepapelle.
Andammo su e giù per tutte le strade, saltando le pozzanghere e urlando come forsennati.
Non ci importava di cosa pensasse la gente, era l’unico momento dove potevo essere me stessa senza nascondermi sotto un velo di insicurezze.
Ci fermammo in un parco e andammo a sederci su una panchina.
“Odio le cose bagnate.” Dissi, pulendomi tutte le foglie che mi ero beccata.
“In effetti non è il miglior posto in cui sedersi.”
Mi guardò, accennando un piccolo ghigno.
“Non lamentarti,tu.”
Gli tirai un colpo sul braccio, sdraiandomi sul lato opposto della panca.
“Hey,  perché odi così tanto tuo padre?”
La sua domanda mi arrivò dritta in faccia, facendomi sentire una figlia indesiderata.
“Io non lo odio, solo che non mi capisce … Non può fare parte di me, perché io non sono di certo la figlia che voleva.”
Mi tirai su e mi appoggiai allo schienale.
Ormai la pioggia non mi faceva nessun effetto.
“Come fai ad esserne sicura? Magari lui lo fa solo per te.”
Non mi andava di parlarne, solamente David sapeva come potevo sentirmi e in quel momento mi serviva proprio, però lui non c’era.
“Ne sono sicura.”
Non dissi nient’altro, restai muta guardando le strade vuote.
Mike si alzò in piedi, mi porse una mano e mi tirò su.
“Forza, andiamo che è tardi; Domani io e tuo fratello  facciamo surf in mare.”
“Và anche Darker?”
“No, lui preferisce andarsene per conto suo a cercare videogiochi per la sua PS3.”
Tipico dei maschi.
Corremmo per tutta la strada, ritornando a casa tutti fradici.
Andai in camera mia, mi asciugai e corsi sotto le coperte.
Mi vibrò il cellulare.
Chi poteva essere a mezza notte?
Presi il cellulare e guardai il messaggio.
“Ciao Avril, non chiedermi come ho fatto ad avere il tuo numero, però ce l ’ho ed è questo quello che conta.
Ho saputo quello che è successo e mi dispiace.
Io sono impegnato, ma domani sera parto e ritorno, per cui resta sveglia che parleremo un bel po’ e mi racconterai tutto.
Ti ho fatto una sorpresa.
Un saluto.
David ( il mangiatore di suschi.) :D”
Chiusi il cellulare e lo misi sul comodino.
Non riuscii a contenere un sorriso increspato sulle labbra; Non sapevo perché ero così contenta di aver ricevuto un suo messaggio, ma questo mi bastava per ricominciare a credere, a sperare in un giorno migliore.
Spensi la lampada che avevo acceso prima ed iniziai ad addormentarmi.
Tutti i problemi, i pensieri, le grandi emozioni che avevo vissuto in quel giorno, tutti quelli, erano spariti in un colpo, lasciando il posto ad una me più serena.
La notte iniziò a scolorirsi e le stelle iniziarono a brillare di più, mentre il cielo si fece più cupo.
 
Ciao Ragazzi, devo dirvi che questo capitolo non mi piace tanto, ma sarete voi a giudicare, no?
( Vi prego come una disperata!) XD
Ringrazio chi ha messa lo storia tra le Preferite/Seguite/Ricordate e a chi legge.
Questo capitolo lo dedico ad un mio amico che in questo periodo è stato male … ( M.)
Spero vi sia piaciuto.
Un bacio Ele! ;)
 

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Capitolo 8
*** 8 ***


 NOTE: Ciao ragazzi, ne approfitto per scusarmi dell’eventuale ritardo dello scorso capitolo e avviso il gentile pubblico (?) di sedersi comodo e di continuare tranquillo.            
 
Il mattino seguente mi alzai un po’ indolenzita, andai in bagno e come tutte le mattine mi lavai.
Mi misi dei vestiti vecchi, a caso, senza mettermi niente di speciale.
Avevo una maglia larga grigia, dei pantaloncini sbiaditi per i troppi lavaggi e le mie converse nere.
Uscii dal bagno senza fare rumore e andai in cucina vedendo, con mio grande stupore, che i ragazzi avevano bandito la tavola per me.
Mangiai tutta sola e sparecchiai, mettendo a posto.
Andai in camera, presi il mio cellulare e uscii.
Passeggiai per un bel po’, per poi ritrovarmi in una via deserta ed isolata.
“Dove mi trovo?” pensai, stringendo la borsa tra le mani, indietreggiando.
Talmente ero spaventata che non notai che dietro di me c’era una parete, ci finii contro.
Sentii un rumore sospetto e andai a vedere.
Con la coda dell’occhio controllai e vidi due mici che si protendevano un residuo di carne,
tirai un sospiro di sollievo e cercai di uscire dal vicolo; Per mia grande fortuna ci riuscii e continuai per la mia strada, andando avanti per la via piena di gente.
Mi sentivo così insignificante davanti all’immensità di quel posto, di quella gente.
Ero talmente immersa nei miei pensieri, che non mi accorsi di dove stavo andando.
Controllai l’ora e decisi di cercare un pullman che portava nella mia stessa via.
Corsi dall’altra parte della strada e presi un biglietto, aspettando.
Arrivò dopo un quarto d’ora, salii insieme a tutta l’altra gente e mi sedetti in un posto libero.
Iniziò a squillarmi il cellulare, lo presi e rifiutai la chiamata,
era mio padre, non volevo sentirlo né  starlo ad ascoltare.
Tornai per un pezzo a piedi, beccandomi tutti i ragazzini che passavano di lì in costume, pronti per salire e andare al mare.
Entrai in casa ed iniziai a cucinare un pasto surgelato.
Tutto sembrava tranquillo, finche non mi arrivò un altro messaggio da parte di David.
Diceva:
“ Ciao, sono appena partito con un taxi, tornerò prima del previsto così non sarò stanco come un sasso.
Ho portato un piccola sorpresa per tutti voi, l’ho detto anche ai ragazzi.
Ora scappo che non prende nelle gallerie.
Sempre tuo, lo scemo del gruppo.
Ciao Avril! J “
Che voleva dire quel messaggio? Di quale sorpresa parlava?
Non riuscivo a capire di cosa si trattasse.
Rimisi il cellulare in tasca e continuai a pranzare.
Passarono circa tre ore dopo il pasto, me ne stavo sdraiata sul divano a leggere un libro istruttivo.
Quel pomeriggio era abbastanza afoso, ormai le pozzanghere erano sparite e si era inumidito tutto.
Mi sentivo sola senza quegli stupidi per casa, specialmente Marc, che con la sua allegria riusciva a tirare su il morale delle persone.
Restai immobile per tutto il pomeriggio, quando  bussarono alla porta; Mi alzai e con cautela aprii senza dare nell’occhio.
“Ciao, hai bisogno di qualcosa?” Chiesi alla bambina che mi aveva appena salutato.
“Vuoi giocare con me? I tuoi amici ti aspettano insieme a mio fratello.”
Non potevo credere che quei disgraziati stavano giocando con due bambini.
La feci entrare un attimo e andai in cucina a prepararmi.
“Adesso arrivo, ci metto solo un attimo.
A proposito, come ti chiami?”
Lei si alzò e venne vicino a me.
“Io mi chiamo Laly e ho sette anni, domani io e la mia famiglia partiamo, visto che i miei genitori sono dovuti andare a preparare tutto, i tuoi amici si sono offerti di badare a noi.”
Mi sorrise, un sorrisetto familiare.
Mi ricordava   quando ero piccola io, quando giocavo e mi divertivo con mio fratello e correvamo al mare, con mio padre che ci portava in spalla.
Bei ricordi!
“Forza allora, dammi la manina che andiamo.”
Me la strinse forte e saltellammo verso il suo giardino.
Li vidi combattere con le pistole ad acqua e mi accasciai a terra schivando gli schizzi.
“Oh ciao Avril, aggiungiti anche tu.”
“No grazie, per questa volta passo … voi continuate pure, io intanto chiedo il nome a questo bel ragazzino.”
Gli andai vicino e gli accarezzai i capelli biondi.
“Io … Io mi chiamo Alex.”
“Un bel nome, proprio come quello di tua sorella.
Bene Alex, voi fate i buoni e mi raccomando, controlla questi tre scimmioni; Noi andiamo a preparare la merenda.”
Presi per mano la mia compagna e mi portò dentro la sua cucina.
Preparai del latte con i biscotti, aiutata dalla bambina e la consegnammo al gruppetto fuori.
“Adesso dove mi porti?” Le chiesi mentre mi trascinava per le scalette dentro casa.
“Ti faccio vedere la mia cameretta.”
Aprì la porta e corse sopra il suo letto.
Era una cameretta davvero graziosa, c’erano delle foto attaccate alle pareti di lei e suo fratello, un comodino, l’armadio ed una scrivania.
Improvvisamente mi ritornò alla mente la mia vecchia cameretta, era simile ed era così bella.
“Ti piace, ti piace?”
Mi strinse un braccio e continuò a saltellare.
“Sì, è davvero bella.”
“Bene, ora scendiamo, divertiamoci insieme agli altri.”
Corse giù in tutta fretta, per poi andare a dosso a suo fratello.
“Non bisogna correre per le stanze.”
La rimproverai io.
“Scusa.”
 Abbassò la testa e si sedette vicino a me, sull’erba rigogliosa.
Dopo una mezzoretta a divertirci e a parlare, arrivarono i loro genitori.
“Salve io sono Avril Lee, la sorella di uno dei ragazzi che si è proposto di badare ad Alex e Laly.”
Mi strinsero la mano.
“Ciao io sono Loredana e lui è mio marito Lorenzo, grazie mille per averci fatto questo grandissimo favore.”
“Si figuri, i ragazzi hanno giocato tutto il tempo, mentre io e Laly abbiamo parlato di  quello che le piace fare; Insomma, sono stati dei bravi angioletti.”
Conclusi io, accarezzando la piccola accanto a me.
“Ne sono felice, l’anno prossimo sappiamo su chi contare.”
“Giusto, potete sempre chiamarci.” Scherzai, io.
“Quanto vi dobbiamo per il disturbo?”
“Niente, è stato un piacere conoscere questi demonietti.”
Marc si intromise, sfoggiando il suo sorriso migliore.
Guardai l’orologio dal polso e notai che erano quasi le otto.
“Ora vi lasciamo agli ultimi preparativi, mi ha fatto piacere fare la vostra conoscenza.
Salve e alla prossima.”
“Siete veramente quattro ragazzi meravigliosi, i vostri genitori dovrebbero essere orgogliosi di voi.”
Ci salutarono i due.
Stavamo per tornare a casa, quando arrivarono i due bambini.
“Ragazzi aspettate!” Dissero all’unisono, facendoci fermare del tutto.
“Oh. Ragazzi scusate, non vi abbiamo salutato, venite qui.” Corsero ad abbracciarci, formando un grande cerchio.
Quei due ragazzini mi avevano ricordato un aspetto fondamentale dell’essere bambini : Non bisogna mai mollare davanti a niente e ci si deve divertire finche si può.
Dopo esserci salutati, andammo a casa a preparare la cena.
“Ragazzi, cos’è tutto questo silenzio? Forza, fate gli stupidi come sempre …”
Mi intromisi, spezzando quel silenzio fastidioso.
“Hai ragione, oggi ci siamo divertiti con Alex.”
“Già, quel bambino è molto bravo, diventerà uno di noi.”
Scherzò Mike.
“Speriamo di no, è ancora giovane ce la può fare.” Tirai un colpetto sulla spalla del ragazzo che avevo interrotto e ci mettemmo a ridere.
“A proposito ragazzi, sapete qual’ è la sorpresa di David?” Provai a chiedere.
Marc si avvicinò, versando la pasta nei piatti.
“Sì ce lo ha detto, ma non possiamo dirtelo.
Non è niente di speciale è un cosa che piace a noi. ”
Mi buttai sulla sedia scocciata ed iniziai a mangiare.
“Piano, piano, sembri una forsennata!” Mi rimproverò dall’altro lato Mike.
“Spiritoso lui.” Mi fermai per mandare giù un sorso d’acqua e ricominciai “Allora quando ti butti sopra ai panini e alle patatine, cosa ti devo dire?”
Gli lanciai un pezzo di formaggio in piena fronte, godendomi la sua faccia da finto offeso.
I ragazzi iniziarono a parlare tra loro ed io smisi di ascoltarli, andando in oca come quasi tutte le volte della mia vita.
Controllai l’orologio ed il cellulare ogni minuto, ma nulla, nessuno mi cercava e lui non arrivava.
Finito l’ultimo boccone, mi alzai in piedi.
“Ci pensate voi a sparecchiare? Io me ne vado in camera.”
“Non puoi andartene, tra un po’ arriva David con la sorpresa.” Disse mio fratello.
“Non mi piacciono molto le sorprese, lo sai …”
Con questa frase finii il discorso e me ne andai dritta nella mia stanza.
Presi il mio ipod e  mi sdraiai sul letto, ascoltando la musica, l’unica cosa di cui non potevo fare a meno.
Non so con precisione quanto tempo era passato,forse un paio di ore, ma dopo l’ultima canzone della mia lista bussarono alla porta di colpo, interrompendo il suono della musica.
Mi tolsi le cuffiette e spensi l’aggeggio, posandolo con cautela sul comodino.
“Si?” Chiesi con una voce rauca.
“Sono io, David … sono tornato, ti prego aprimi.”
Guardai l’orologio, erano le undici di notte, aprii piano e lo feci entrare.
“Ciao, la sorpresa che piace tanto ai ragazzi dov’è?”
“ Domani mattina la vedrai, ora se mi fai sedere possiamo parlare meglio.”
“Accomodati.”
Si sedette a metà letto, guardandomi dritta negli occhi.
“Allora, sei venuto qui per parlare o per guardarmi?”
Scherzai.
“Se dico la seconda opzione, tu mi credi?”
Diventai tutta rossa, cercando di non darlo a vedere.
“Com’è andata da tuo padre?”
Cambiai argomento.
“Bene, ho ritrovato un mio amico caro e niente … ma non sono qui per parlare del mio viaggio, bensì per parlare del tuo problema.”
Distolsi lo sguardo dal suo, mi agitava; Mi guardai in giro per tutta la stanza sentendo il cuore battere a mille.
Lui mi prese la mano e me la strinse.
“Non devi imbarazzarti a parlare della tua famiglia con me, perché io ti capisco.
Adesso ti senti amareggiata, non capita, come se fossi l’unica al mondo in una bolla di vetro,
non sai cosa fare e di chi fidarti, vuoi solo addormentarti e non svegliarti mai più sperando che i problemi svaniscano, ma non è così, i problemi resteranno e spetta solo a noi decidere di annientarli, affrontandoli.
Questo è quello che devi fare, se tuo padre vuole la tua custodia e tu non vuoi, spiegagli la ragione per cui vuoi restare con tua madre e falli capire che anche se non otterrà quello che vuole, tu ci sarai sempre per lui.”
Il mio cuore smise di battere e cominciarono  a scendere quelle pozze cristalline, mi strinsi forte a lui, bagnandoli tutta la maglia.
Lui mi accarezzo le spalle e mi sussurrò
“Tranquilla ci sono io qui.”
 
Ciao gente, spero che questo capitolo soddisfi il vostro piacere e che almeno un pochino, vi abbia incuriosito sulla “sorpresa.” (?)
Ringrazio come sempre chi ha messo questa storia tra le Preferite/Seguite/Ricordate e a chi legge e recensisce.
Ringrazio anche vegeth, che segue questa F.F ed è così gentile da recensire ogni volta.
PS Voglio dedicare questo capitolo a _inlovewithSP.
 

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Capitolo 9
*** 9 ***


 Restammo in silenzio per un po’, fin che non mi decisi a lasciarlo andare a riposare.
Quando uscì da quella porta, mi venne istintivo andare sotto le coperte e addormentarmi, come se  presto,la giornata avrebbe preso una piega diversa.
Il mattino seguente mi svegliarono le urla di mio fratello e degli altri scimmioni che mi pregavano di raggiungerli in sala.
Scesi con il pigiama ed i capelli ancora un po’ arruffati.
“Alla buon’ora, ma sai che sono quasi le dieci?” Mi rimproverò David.
“Non posso neanche dormire un po’? Che scocciatori.” Scherzai io.
“Bene, adesso ti faremo vedere la sorpresa del piccolo genietto.”
Prese parola il mio caro e stupido fratellino.
“Ok. Chissà cosa sarà … un giocattolo … un libro … una cavolata, sì, una cavolata!”
“ … E qua ti sbagli, sono sicuro che ti piacerà.”
Si mise a ridere e quando i nostri occhi si incrociarono, lui distolse subito lo sguardo da un’altra parte.
“Me la fate vedere o devo aspettare ancora?”
Dissi io, ormai esausta dell’attesa.
“Ecco!”
Dave tirò fuori dal suo borsello una carta luccicante e ricoperta da un solido strato di polistirolo, me lo porse delicatamente.
Restai immobile, senza dire niente, con questo pacchetto tra le mani.
“Aprilo, avanti … i ragazzi hanno già aperto i loro.”
Mi incitò, lui, sorridendomi radiosamente.
Iniziai a scartare tutta la carta e rimasi stupefatta da quello che avevo trovato,l’oggetto tanto desiderato e sperato, ora era nelle mie flebili mani.
Quella piccola sfera colorata con dentro onde ed onde che si infrangono sugli scogli lisci e levigati, era tutta mia.
“Grazie … Mi ricorda quando da piccola cercavo in tutti i modi di prenderlo, ma era impossibile trovarlo in giro.
Come facevi a sapere che mi piaceva?”
“ Marc mi ha dato qualche spunto per il tuo regalo.”
Lo ringraziai di nuovo e lo portai in camera, sul comodino.
“Ora vado a farmi una bella passeggiata, chi viene con me?”
Mike si guardò in giro, in cerca di compagnia.
“Vorrei, ma io vado al mare perché devo incontrare il mio capo redattore e resterò con lui fino a sera.”
“Marc che lavora in vacanza, da quando?”
Lo prese in giro Dave.
“Sei un coglione.”
Si misero a ridere tutti.
Io, che fin ora ero stata zitta, presi parola alzando la mano.
“Vengo io, non ti lascio solo, mio amore.”
Corsi verso di lui, ridendo come una cretina.
David in quel momento, ci guardò e fece una smorfia.
“Ah. I due piccioncini”
“Sì, almeno non siamo soli e disperati come te!” Disse il mio compagno, andando a tirare dei pugni sul torace del ragazzo.
“Forza, vieni dobbiamo andare … dobbiamo passare a fare la spesa.”
Lo rimproverai, mentre giocava con gli altri alla lotta.
“Ok. Ci vediamo dopo ragazzi.
Tu non lavorare troppo, eh?”
Indicò mio fratello, prima di uscire e correre per la strada.
“Aspettami! Sei peggio di un bambino.”
Lo presi per il collo della maglietta, andando dentro al supermercato.
“Dobbiamo decidere che prendere per pranzo e per cena.”
“Prendiamo le crocchette di topolino.”
Mi indicò il frigo pieno di quelle confezioni per i bambini.
Io dico, ‘Cosa ti sei bevuto per chiedermi una cosa del genere?
È proprio vero che i ragazzi non maturano neanche un po’.’
Pensai tra me e me.
“No, piuttosto prendiamo le spinacine.”
Misi dentro il cestello le porzioni e andai avanti.
Quando arrivammo alla cassa, pagammo il conto ed uscimmo.
Mi squillò il cellulare, era mio padre, non mi andava di rispondergli, così di istinto  lanciai il cellulare a Mike.
Fortunatamente lo prese e decise di rispondergli.
“Salve signor Lee come sta? Ah mi fa piacere …  EMH. Avril?”
Si fermò per chiedermi cosa dire.
“Digli che sono impegnata.”
“Dice che è impegnata e al momento non può rispondere.
Ok senz’altro, glielo dirò … Arrivederci, a presto.”
Riattaccò e mi porse il cellulare.
“Ma sei impazzita? Cosa credi di fare ignorandolo?”
Abbassai lo sguardo, me ne andai avanti,senza degnarlo di una risposta.
“Fermati, non volevo essere duro, solo che non è giusto nei confronti di tuo padre … andiamo a casa.”
Per tutto il tragitto di ritorno, restammo zitti.
Mi dispiaceva non parlare con Mike, ma ero troppo pensierosa.
Arrivati all’abitazione, aprimmo la porta, io posai le buste sul tavolo in cucina e me ne andai in camera.
‘ Possibile che ogni disgrazia capiti sempre e solo a me?’
Mi affacciai alla finestra, tentando di prendere vento, ma di vento non ce n’era.
Cominciai a chiudermi in un guscio di pensieri, quando sentii delle braccia stringermi i fianchi.
Mi girai e vidi David che mi sorrideva con la sua solita dolcezza.
“Che ti succede?” Mi chiese, allentando la presa e sedendosi sul letto.
Lo raggiunsi dopo poco e cominciai a dirgli tutto.
“Non riesco più a chiamarlo, a guardarlo o solo a sentire la sua voce.” Urlai, non rendendomi conto di quello che stavo dicendo.
Lui mi accarezzò le guance e mi toccò i capelli, facendomi andare a fuoco le gote.
“Non dire così, lui ha bisogno di te, per parlare e per chiederti consigli.
Non chiuderti in quella bolla come sempre ti capita di fare, perché presto diventerà un’abitudine.”
“Non riesco a dimenticare, solamente il pensiero mi crea preoccupazioni.” Dissi, rilassando i muscoli delle braccia.
“Provare non costa nulla, vedrai che ci riuscirai.”
Mi strinsi nelle braccia e fissai il comodino dove era appoggiato il suo regalo.
“Ti piace?” Cambiò argomento e mi indicò lo stesso punto.
“Sì, ma non dovevi disturbarti.”
“Per te questo ed altro …”
Si alzò e andò verso la porta, portando con sé il mio stupore.
“Che vorresti dire?” Restai sul letto immobile come una statua.
Si grattò la testa e sghignazzò.
“Lo scoprirai presto.”
Aprì la porta e andò via, chiudendosela alle spalle.
‘Perché mi deve sempre tenere in sospeso?
Forse è uno dei compiti dei mangiatori di suschi.’
Mi alzai e andai a raggiungere i ragazzi di sotto.
Tutto era pronto, la tavola era apparecchiata e i ragazzi erano a tavola.
Mancava qualcuno …
Mi sedetti al mio solito posto e scrutai tutti con lo sguardo.
“Che c’è?” Mi chiese mio fratello.
“Mike?”
“Mike è di là, è stato male per via di qualcosa.”
Divorò l’intera cotoletta in un secondo, lasciandomi allibita da quanto spazio potesse entrare in quel corpo.
“Ah. Ok.”
Continuai a mangiare senza parlare con nessuno.
Finito il pranzo, aiutai a  sparecchiare e andai di corsa in camera di Mike.
Bussai ed una voce calma mi disse di entrare.
Quando aprii piano la porta, mi ritrovai il ragazzo appoggiato al letto, con le cuffie nelle orecchie e senza maglietta.
Appena notò la mia presenza, si rimise la maglietta e si tolse la cuffiette.
“Che ci fai qui?” Cercò di essere spiritoso, ma nel suo tono non ce n’era neanche una briciola.
“Marc mi ha detto che stai male per qualcosa.”
“No, lo sai che è il solito esagerato.”
Improvvisamente, si strinse il braccio sinistro e fece una smorfia.
Forse era quello che causava il suo dolore.
“Fammi vedere il braccio.”
Gli ordinai.
“Perché? Non ho niente.”
“Fammi vedere quel braccio, quello che ti stringi.”
“No.”
Alla sua risposta, presi il suo braccio con la forza e tolsi via la mano.
Aveva un incisione, un po’ di sangue scendeva dal braccio, trattenuto da un piccolo polsino nero.
“I ragazzi lo sanno?” Dissi io, alludendo alla ferita.
“No e non devono saperlo.”
Mi alzai e scalciai sul suo letto.
“Ma sai che quella che hai fatto è una grande cavolata? Perché ti sei fatto male da solo, eh?”
“Sono stufo dei miei problemi.”
“Anche io, ma mica per questo mi incido il braccio.
Tu sei un ragazzo intelligente e pieno di qualità, non fare queste cose da ragazzino depresso.
Vali molto di più.”
Lui mi guardò e si alzò, andandomi vicino.
“Lo pensi davvero?”
Sussultai un po’ e risposi un ‘sì’ con il capo.
Chinai la testa e gli strinsi la mano.
“Ricordatelo.”
Andai verso la porta e lo salutai, per poi ritrovarmi giù in salone a guardare la tv con gli altri tre.
“Allora, che ha Mike?” Mio fratello si buttò vicino a me.
“Niente di che, deve solo riposare.”
Cambiai canale.
“Meglio per lui.”
Suonò il cellulare di Marc, tutti lo guardammo zitti abbassando il volume della “Scatola magica.”
“Chi è?”
Dissi io, notando la sua faccia preoccupata.
Lui mi passò il telefono e mi fece segno di stare calma.
Presi il telefono, feci un respiro profondo e mi decisi a rispondere.
“Pronto?”
“Avril, è da giorni che ti chiamo e te non ci sei mai.”
Eccolo che ricomincia.
“Ero sempre impegnata.”
Si, impegnata a scappare dalle tue chiamate.
“Senti, io e tua mamma ne abbiamo discusso e andremo in tribunale per gli Assistenti Sociali.”
Cosa? Allora era una situazione seria.
“In che senso, perché dovete chiamare gli Assistenti Sociali?”
Marc mi guardò preoccupato, anche David.
“Ci servono perché dobbiamo confrontare le carte, le spedizioni e le altre cose di cui ci siamo occupati per voi.”
“Il giudice per la tua proposta che ha detto?”
Stranamente non ero arrabbiata, anzi, parlavo con tutta tranquillità.
Le parole di David mi avevano aiutato a non chiudermi più in me stessa.
Ho capito che devo affrontare le mie paure.
“Il giudice deve ancora decidere.”
“Ok. Qualunque sia la sua scelta, ormai tu hai deciso e la mamma è d’accordo con te.”
“Veramente è un po’ contraria, ma io credo in questo progetto e vorrei farlo fruttare nel migliore dei modi.”
Certo, per poi farmi affezionare a te e restare delusa dal tuo comportamento.
“Come dici tu …”
Risposi, senza aggiungere altro.
“Ora devo andare, ci sentiamo e ti farò sapere.
Vedrai che sarà tutto a posto.
Ciao piccola.”
“Ciao.”
Attaccai e diedi l’aggeggio al suo proprietario.
Non mi sentivo per niente tranquilla, però non dovevo farlo vedere agli altri.
Mi sdraiai sul divano ed iniziai a fare zapping per i canali.
“Come ti senti?” Mi venne vicino Darker.
Sfoderai un bel sorriso e cercai di essere più convincente che mai.
“Bene, quello che accadrà, accadrà!”
Non riuscii nel mio intento, ma lasciai perdere.
“Se lo dici tu …
Se hai bisogno io ci sono.”
Se ne andò in camera, lasciando me e David vicini.
“Sicura che ti senti bene?” Il suo sguardo mi trapassò come una lama.
“Si.” Dissi, infine.
 
Ciaooo, finalmente ho finito questo capitolo!
Non riuscivo più ad andare avanti, ma poi ci sono riuscita.
Ringrazio come sempre tutti quelli che hanno messo la storia tra le Preferite/Seguite/Ricordate e a chi legge e recensisce.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto.
Un bacio Ele! ;)
 

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Capitolo 10
*** 10 ***


 Lui mi scrutò dall’alto verso il basso, mettendomi a disagio con i suoi continui respiri.
“Non devi mentire con me … Ti ho detto mille volte che devi lasciarti andare, di non rinchiuderti in quella bolla.”
Stavo iniziando ad innervosirmi, la telefonata mi aveva reso più suscettibile; Mi alzai di scatto e strinsi i pugni lungo i fianchi.
“Ora basta, finiscila!
Non mi rinchiudo in quella ‘bolla’ come la chiami tu e nemmeno cerco di farlo.
Piantala di continuare a controllarmi come se fossi una bambina, perché non la sono più.
Questi problemi devo risolverli da sola, non ho bisogno di qualcuno che mi dica costantemente cosa fare.
Sto bene, riesco a cavarmela.
Perché lo fai, perché fai il gentile con me, eh?”
Mi girai dall’altra parte fingendo di essere arrabbiata, mentre il cuore rimbombava all’impazzata, quasi volesse uscire dal petto.
Sentii un gemito provenire dalla sua bocca, fermandosi all’istante.
“Perché io mi preoccupo per te anche se non ci conosciamo da molto.
Credevo che ti facesse piacere fare amicizia con me, avere qualcuno con cui parlare e che ti capisse, ma invece, vedo che mi sono sbagliato.
Prego, continua la tua vita, però cerca di non rovinarti.
Io non so perché fai così, ma quando ti sarai calmata, ne riparleremo.
Ora ho cose più importanti che una litigata del genere.”
Abbassai lo sguardo e rilassai i pugni.
Se ne andò passandomi accanto come se non ci fossimo mai conosciuti, a passo veloce, andando verso camera sua e sbattendo la porta.
Che avevo combinato?
Stupidi impulsi nervosi che mi fanno dire stupide frasi.
Avevo rovinato tutto, come sempre.
Ogni persona che voleva avvicinarsi alla mia vita, finiva sempre per allontanarsi, ma questa volta era diverso.
Ero io che lo stavo perdendo, senza lasciargli la possibilità di farmi aiutare.
Chiamatelo orgoglio, ma era così.
Mi accasciai sul divano stringendomi intorno alla fodera, fingendo che accanto a me ci fosse qualcuno di raggiungibile.
‘Il primo che vedo che si preoccupa per me, lo sposo!’ Pensai tra me e me, sistemandomi meglio.
Sentii una presenza farsi sempre più vicina, i passi rimbombavano nel silenzio fino ad arrivarmi accanto.
 Mi ritrovai la faccia di Mike a pochi centimetri dalla mia, sorridendo.
Lui, il mio compagno di avventure e sventure, il migliore amico di mio fratello, quello che ogni volta che lo sentivo, ci parlavo per delle ore fino a scoppiare, quello che avrebbe fatto di tutto per me e mio fratello,Quel ragazzo, lui?
“Che ti succede? Ho sentito che hai litigato con David.”
Abbassai lo sguardo.
Lui mi prese il mento con un dito, accarezzandomi le guancie, ormai andate a fuoco.
“Hey, ho detto qualcosa di male? Scusa, volevo sapere solo come stavi.”
Stava per alzarsi, quando lo bloccai e lo feci sedere vicino a me, in una stretta leggera.
“Scusami è solo che sono una stupida, litigo con persone che vogliono solo aiutarmi.
Ha ragione, non devo fare la bambina, devo reagire.”
Lo guardai dritta negli occhi, sentendo un formicolio nello stomaco.
“Devi imparare a lasciarti andare e non a seguire solo il tuo istinto.
Lo so frasi da cioccolatino, ma che ci vuoi fare? Quando si ha ragione, si ha ragione.”
Con la sua aura calorosa, fece sparire tutti i problemi, lasciando solo un piccolo spazio tra di noi.
Lui diventò di colpo serio, si disperse nel guardare fuori, non sentendo il mio respiro calmarsi del tutto.
Misi una mano sul suo torace e chinai il capo in un segno di ringraziamento.
Non servivano parole, perché lui le sapeva ancor prima che le pensassi.
“Di niente, io per te ci sarò sempre.”
Annuì e si alzò, andando via, sparendo dietro alla porta di una stanza.
Non sapevo come sentirmi, non sapevo cosa fare, l’unica cosa che desideravo era parlare con mia madre e chiarire tutto.
Non la sentivo da un po’ e questo mi preoccupava ancora di più.
Decisi di cercarla.
Presi il telefono e digitai  il numero.
Suonava, suonava davvero.
“Pronto, chi è?”
“Ciao mamma.”
“Amore, ciao, come ti senti piccola? Mi dispiace, ti sentirai male e questo non fa che peggiorare il tuo stato d’animo.”
“Mamma, no, non ne hai colpa, neanche per idea.” Feci un mezzo sorriso.
“Se non mi hai chiamato per insultarmi, allora per cosa?”
 Sorridemmo entrambe.
“Volevo solo sapere come ti senti tu.”
“Io non posso dire di stare bene, ma se adesso ti è passata quasi tutta la rabbia e ti senti in pace con te stessa, mi sento benissimo anche io.”
“Ti voglio bene.”
“Anche io e lo sai che l’altro giorno mi ha chiamato Mike per informarmi dell’accaduto?
Quel ragazzo è bravo, quasi quanto David.”
Perché devi incasinarmi la vita? Lo so che sono entrambi bravi e carini e … oddio, basta Avril concentrati sulla chiamata, che è meglio.
“Ah. Già.”
“Ora devo andare che devo pulire i tavoli e il resto, però ci sentiamo presto.”
“Ciao mamma.”
Attaccai, sospirando e facendo scomparire la mia aura grigia e viola.
Decisi di andare in bagno e farmi una doccia fredda.
Mi tolsi i vestiti e  restai in biancheria, preparai le cose e le appoggiai su uno sgabello e aspettai seduta, il momento giusto per entrare.
Stavo per alzarmi, quando sentii aprire la porta di colpo.
‘Maledetta me che non chiudo mai le porte a chiave.”
David si piazzò davanti  a petto scoperto e in boxer, pettinandosi i capelli con una delle sue spazzole sparse per il ripiano dello specchio.
Non mi aveva ancora notato, quando mi scappò una risata.
Si girò e sobbalzò, agitando le braccia.
“Che ci fai tu qui?” Restò senza parole.
Io mi coprii con l’asciugamano, un po’ imbarazzata.
“Io devo farmi la doccia, ma se vuoi aspetto.”
Si grattò la testa.
“No, aspetto io.”
Si girò, dandomi le spalle, con un’espressione cupa.
Mi alzai e lasciai cadere l’asciugamano, toccandogli con una presa forte la spalla.
“Senti mi dispiace averti trattato così. Non lo meriti perché tu mi hai sempre aiutato, come voi tutti del resto.
Davvero, hai ragione, mi sono comportata da bambina.”
Lui sorrise e mi toccò la fronte.
“Tu non sei più una bambina, questo rende tutto più complesso ma bisogna imparare a controllarsi.”
“Questo cosa vorrebbe dire?” Feci una faccia un po’ buffa, perché lui si mise a ridere subito.
“Vuol dire che ti perdono.”
Mi fece l’occhiolino e uscì dal bagno in silenzio, senza aggiungere altro.
Entrai nella doccia rilassata e sollevata, sentendomi finalmente in pace con me stessa.
Mi lavai bene, facendo scivolare via tutto quel peso represso che si era accumulato dentro di me, uscendo dalla doccia più decisa che mai.
Mi rivestii, questa volta misi dei pantaloni lunghi di una tuta e una maglia a maniche corte grigia.
Scesi di sotto e guardai l’orologio, erano le sette passate, decisi di andare in cucina e lo vidi intento a ritagliare qualcosa.
“Che fai?”Chiesi al ragazzo davanti a me, sul tavolo.
“Avril ciao, hai già finito con la doccia?”
Fece un sorrisetto sospetto, troppo.
“Ci siamo visti un’ora fa … non mi sembra poco.
Che cosa ritagli?”Con il capo gli indicai il foglio pieno di colori.
“Lo scoprirai questa notte, nel salotto verso mezzanotte.”
Restai stupefatta della sua serietà nel dirlo, senza far trapelare nessuna emozione se non un piccolo ghigno indifferente.
“Sai solo dire quella frase?” Alludi al ‘Lo scoprirai presto.’
Incrociai le braccia, andandomi a sedere su una seggiola.
Lui si girò per guardarmi, prese le sue cose e andò via, sorridendomi.
Incominciai ad apparecchiare e cucinai delle uova con salsa piccante e della macedonia.
“È pronto ragazzi, scendete!” Urlai ai tre che erano in stanza separate.
Me li ritrovai seduti in pochi secondi, incominciando a prendere tutto quello che c’era in tavola.
Mio fratello era ancora assente, Darker e David parlavano su dei bassi che aveva visto l’ultimo, mentre io me ne stetti a guardare Mike mangiare in costante silenzio.
Doveva essere ancora giù di morale, ma sembrava essersi calmato.
“Che hai?” Gli rivolsi un gesto con il capo.
Lui alzò la testa dal piatto e mi sorrise.
“Niente, stavo pensando che forse mi piace …”
Venne interrotto da un urlo di felicità di uno dei due ragazzi.
“Stavi dicendo?” Dissi, ignorando la distanza che ci separava.
Lui schioccò le labbra e si avvicino di  più a me.
“Stavo dicendo che sono un po’ stanco.”
Non era questo quello che stava per dire prima di essere interrotto, ne ero sicura.
Lui voleva farmi sapere qualcosa di più, ma si era ritirato indietro prima di affrontare la verità.
Annuii facendogli credere di essermela bevuta e dopo aver finito di mangiare, sparecchiammo e pulimmo insieme.
“Sono le nove, io me ne vado a fare un giro, vuoi venire?” Mike propose a Darker di uscire.
“Sì, andiamo al pub e restiamo fino a tardi.”
“Già, per cui non aspettateci in piedi, arriveremo a casa tardi questa notte.”
Scherzò quest’ultimo.
Presero due felpe ed uscirono, lasciando me e Dave davanti ad un televisore.
Lo guardai, così immerso dalle immagini di quella scatola che non si rese conto del mio continuo tic per richiamarlo.
“Non puoi darmi adesso quel foglio di prima?” Ormai impaziente di aspettare, gli andai vicino.
Lui mi fissò con i suoi occhi incoraggianti e rinnegò.
“Perché scusa?”
“Perché è più bello a mezzanotte … fa più fico.”
Si alzò e mi lasciò il telecomando, andando verso camera sua.
Certo che i cretini esistono da tutte le parti, ma avercene uno anche in casa era troppo.
Sospirai e cambiai canale, passando da un cartone animano ad un noiosissimo film d’amore.
Le ore passarono veloci e finalmente arrivarono le undici e trenta.
Spensi la tv, andai in camera e mi cambiai.
Invece della tuta che portavo prima, mi misi una maglietta nera della marca ‘Role Mode’ comprata da mio fratello e dei jeans azzurri.
Raccolsi i capelli da un codino blu e restai in infradito, non curandomi della parte più odiosa del corpo, i piedi.
Arrivata l’attesissima mezzanotte, andai in salotto come detto e non ci trovai nessuno, solo un enorme buio.
Restai immobile per qualche secondo ad aspettarlo, fino a che non sentii due mani appoggiarsi delicate sulle mie palpebre.
“Che fai?” Incominciai a ridere, togliendo le sue mani dal mio viso e guardandolo.
Era più carino del solito, portava dei pantaloni neri lunghi, una maglia blu e  delle converse grigie.
Stavo per chiedergli di dirmi che stava succedendo, quando mi fece sedere per terra e mi porse il foglio colorato, piegato ordinatamente.
“Leggi.” Mi incoraggiò lui.
Strinsi il biglietto ed iniziai a leggerlo:
“Avril, non riesco più a mentirti, non riesco più a vederti triste e non riesco più a vivere con questo peso …
Posso dirti finalmente che il vero regalo non è quell’oggetto che ti piaceva tanto, ma è la seguente verità:
Sei una persona fantastica, carina, bella, gentile, educata, severa e molto permissiva, ma sei la migliore che abbia mai conosciuto e ti sarò grato per tutto.
Spero che questa confessione, che sarà rarissimo che capiti in futuro,  ti piaccia.
Un bacio David.”
Lasciai cadere la busta e ammirai le sue pozze castagna e rimasi stupita da tutta la luce che emanavano nonostante fossimo al buio.
“Grazie è bellissima questa lettera e mi è piaciuta moltissimo.”
Sorrisi, rendendomi conto che il mio tono non era da meno.
Lui restò muto senza parlare a guardarmi.
Mi toccai l’angolo del labbro, visto che puntava lì.
“Che cos’ho, sono sporca per caso?” Dissi io.
Spostò gli occhi verso di me.
“No no, sei perfetta … solo che vorrei tanto fare una cosa ma prima devo chiederti il permesso.”
Arrossì leggermente e pensai al significato delle sue parole.
“Certo, ma non capisco quello che vuoi dire.”
“Adesso capirai.”
Alzò un braccio e mi strinse verso il suo torace, abbracciandomi in una stretta fugace.
Iniziò ad accarezzarmi le guance ormai rosee e poi sentii il suo soave profumo, le sue carnose labbra appoggiarsi sulle mie, finendo con un piccolo gemito da parte mia.
 
Ciaoo ragazzi, come state?
Siamo già a Settembre … lascio a voi i commenti!
Beh. Spero che questo capitolo vi soddisfi e spero anche che il bacio tra i due piccioncini vi abbia chiarito tutto.
Ringrazio come sempre tutte le persone che leggono, che leggono ma non recensiscono, chi recensisce e chi ha messo questa storia tra le Preferite /Seguite/Ricordate.
Un bacio da Ele! ;)


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Capitolo 11
*** 11 ***


 Stavamo iniziando a prolungare quel bacio rendendolo più profondo, quando lui si scostò e mi accarezzò i capelli.
“Che c’è, ti sei già pentito?” Dissi preoccupata.
“No, anzi mi è piaciuto … ma prima devi dirmi se ti piaccio e cosa vorresti fare.
Io non mi offendo se ti piace un altro o se non ti piaccio io, davvero.”
Si spostò la frangia in alto.
“Certo che mi piaci e molto … sento di provare qualcosa di profondo per te.”
Mi sedetti tra le sue gambe incrociate, baciandogli il collo.
Lui sorrise, mi prese per i fianchi e mi trascinò dalla sua parte, unendo le mie labbra umide con le sue.
Uno scambio di baci e un intreccio di lingue, ricorsero alla serata rendendola più significativa.
C’eravamo detti tutto con questi gesti.
Mi piaceva un sacco e volevo essere qualcosa di più che una semplice amica.
Mi addormentai piano, piano tra le sue forti braccia, accarezzandogli la gamba.
Era caldo, rilassante e niente poteva separarci.
Iniziai a stendermi, fino a non pensare più a nulla.
Passò un po’, quando sentii scuotermi in una presa decisa e per niente calma.
Mi svegliai di malavoglia e stropicciai gli occhi, vedendo David accanto a Marc già vestito, andarsene lungo il corridoio.
“Che c’è?” Mi trovai sul divano con mio fratello sulle ginocchia.
“Presto, vestiti, non abbiamo tempo da perdere.”
“Perché che è successo?” Mi alzai di scatto, preoccupata.
“Vestiti e quando vieni dalla porta ti spiegherò tutto.
Aah. Vestiti un po’ normale, possibilmente non con le tue solite magliette a maniche corte nere o di colori scuri.”
La sua precisazione mi incuriosì parecchio, così, quando mi ritrovai davanti all’armadio, cercai un abbinamento adeguato alla sua richiesta.
Un quarto d’ora dopo ero già pronta.
Mi misi dei pantaloncini di stoffa neri luminosi con abbinato un top azzurro turchino, con delle converse bianche.
I miei capelli erano legati da un elastico dello stesso colore del top e il mio viso aveva un filo di trucco.
Uscii di casa e seguii mio fratello che mi aspettava dentro ad un taxi parcheggiato all’angolo.
Chiusi la portiera e restai per un attimo in silenzio, facendomi portare dall’autista in un posto abbastanza strano.
Non riuscivo a capire, ero confusa.
Dopo qualche esitazione, decisi di chiedere spiegazioni a Marc.
“Dove stiamo andando?”
“In un posto.”
“Oh. Grazie, senza questa tua affermazione non me ne sarei accorta!” Dissi sarcasticamente.
Lui ridacchiò e si mise una mano tra le ciocche dei capelli, ritirandola lungo il fianco.
Non disse nient’altro, di sicuro non voleva aggiungere nessun dettaglio.
Il taxista sboccò lungo una via mai attraversata, ormai era già da più di dieci minuti che continuavamo a vagare per le strade, fino a quando non si fermò.
“Siete arrivati.” Ci disse sorridente.
Mio fratello tirò fuori il portafoglio e gli porse una banconota, scendendo lentamente dall’auto.
Lo seguii e restai sbalordita dall’enorme palazzo che era davanti a me.
Un grattacielo altissimo, con appese bandiere di nazioni diverse.
Stavo ammirando tutto quello che mi circondava, immersa nei miei pensieri, ma mio fratello mi prese per un braccio e mi portò dentro.
“Forza, siamo già in ritardo!”
Entrammo nel grande ascensore e schiacciò il tasto scelto.
Ritrasse dalle tasche un biglietto spiegazzato, aprendolo per bene.
Appena si aprirono le porte, fece un respiro profondo e mi guardò.
“Che succede? Dove siamo?” Ripetei io.
Lui aprii la porta, senza rispondere e ci trovammo davanti un uomo con una tunica nera.
“Salve ragazzi, io sono Armey Barcs e sono il giudice affidato al vostro caso.”
‘Quale caso? Perché siamo venuti qui a parlare con un giudice? Cosa sta tramando mio fratello?’
Queste domande mi rimbombarono subito.
“Prego, accomodatevi nel mio studio, io arrivo tra un minuto.”
Ci sedemmo su due sedie accanto ad una scrivania enorme colma di carte e documenti, mentre il signore uscì dalla stanza.
Guardai mio fratello che sembrava tranquillo.
“Che succede Marc? Di quale caso parla?”
“Adesso ti spiegherà tutto il giudice è inutile che te lo spieghi io.”
Aspettammo in silenzio il suo arrivo, sorridendogli cortesemente.
Si accomodò sulla sua poltrona e iniziò a parlare.
“Voi dovete essere Avril e Marc Lee, giusto?”
“Sì, figli di Matteo Lee.” Prese parola mio fratello.
“Bene, ora vi spiego perché vi ho mandato a chiamare nel mio studio.”
Tirò fuori due foto dei nostri genitori e le rivolse dalla nostra parte.
“Io conosco molto bene vostro padre è un mio carissimo amico e, visto che la mia sede si trova qui in California dove siete in vacanza voi, mi ha chiamato per trattare con voi per la questione della tutela della signorina Avril.”
Mi guardò, porgendomi un mano.
Sorrisi un po’ imbarazzata, poi ritrassi il braccio e fissai mio fratello che ascoltava attentamente le parole del giudice.
“Vi dico con onestà che non sappiamo da dove iniziare, innanzi tutto perché la sede propria del caso era affidata alla vostra città, ma gli assistenti sociali hanno cambiato la tutela  a vostra madre.
Il giudice mi ha chiamato per affidarmi questo incarico che prendo con grande interesse, perciò vorrei sapere cosa ne pensate.”
Iniziò a parlare mio fratello.
“Io credo personalmente, che la faccenda non disturbi in alcun modo il mio modo di essere; Mi spiego meglio, anche se la tutela di mia sorella verrà data a mio padre, non mi dispiacerebbe.
Anche perché non sarà per tanto tempo, ma piuttosto per ristabilire un vero rapporto.”
Il giudice annuì con un atteggiamento interessato.
“Tu, invece, cosa ne pensi della cosa, Avril?”
Passò qualche secondo prima di rispondere.
“Devo ammettere che non ne ero accorrente di questa visita, mio fratello mi ha tenuto all’oscuro di tutto.
Comunque, all’inizio, quando mio padre mi aveva proposto quest’idea, ero molto contraria e non volevo assolutamente andare con lui.”
“… E adesso?” Mi interruppe lui.
“Adesso che ho capito dove sbagliavo, mi è del tutto indifferente, anche perché potrò sempre vedere mia madre quando voglio e non sarà per tanto.”
Sorrisi leggermente, un po’ preoccupata.
“Ragazzi, ora che ho sentito la vostra opinione e al telefono quella dei vostri genitori, sono pronto per iniziare il percorso.
Ormai siete qui da più di una settimana e per cui cercherò di fare il più in fretta possibile, ma vi chiedo, se è possibile, di rincontrarci ancora per farvi altre domande e per mettervi a disposizione del nostro comune.”
“Certamente, noi saremo disposti a tutto.”
Confermò mio fratello, io mi limitai ad annuire.
Detta la data del prossimo appuntamento, ci accompagnò all’uscita del palazzo e ci chiamò un taxi, salutandoci e ringraziandoci di essere venuti.
Saliti sull’auto, restai zitta per tutto il viaggio, pensando alle parole dette dal giudice.
Tornati a casa, andai in camera e mi chiusi dentro.
Era quasi ora di pranzare, ma gli altri non erano ancora presenti, così andai in cucina ed iniziai ad apparecchiare e preparai le pietanze che si trovavano in frigo.
“Come mai gli altri non arrivano?” Proferii parola per la prima volta da quando eravamo tornati a casa.
“Oggi non ci sono.”
“Dove i trovano?”
“Sono andati a mangiare fuori che si trovavano con un amico di David che si è fermato due giorni vicino a noi, Chuck.”
“Ah capito, allora siamo solo noi due?”
Sorrisi.
“Credo proprio di sì.”
Ci sedemmo sulle sedie e mangiammo lentamente.
La casa sembrava più tranquilla del solito, forse perché non c’erano Marc e David a fare i cretini tutto il tempo.
Quei ragazzi riuscivano a farti innervosire in una frazione di secondo,tanto da continuare a chiedersi il perché della loro stupidità.
“Oggi che farai?”
“Non lo so, credo uscirò … sai, Chuck lo voglio vedere anche io.”
“Cosa? Mi lasci da sola?” Urlai io, un po’ preoccupata.
Lui si mise a ridere.
“Ma che dici? Tornerà a casa Dave, mi ha mandato un messaggio.”
“Tu li raggiungi?”
“Sì, anzi, ora vado a prepararmi che sono quasi le quattordici.”
Andò via prima che rispondessi, entrando nella sua camera con una velocità mai vista da lui.
Alzai le spalle e andai a sedermi sul divano.
Un quarto d’ora dopo, scese mio fratello che mi salutò correndo verso la porta.
Visto che non sapevo cosa fare, decisi di prendere un succo alla pesca e mi sdraiai prima di berlo.
Accidentalmente me lo versai tutto sulla maglietta, macchiandomi tutta.
Posai il bicchiere in cucina e mi tolsi la maglia, strizzandola e mettendola da lavare.
Andai sul divano e mi sdraiai, aspettando che la maglia si asciugasse per rimetterla.
Chiusi gli occhi per rilassarmi, quando sentii una mano accarezzarmi dolcemente la pancia, facendomi sussultare.
Aprii gli occhi e vidi di fronte a me, lui.
Diventai tutta rossa dalla vergogna, cercando di coprirmi in vano.
Mi guardò con uno sguardo malizioso, avvicinandosi a me.
“Te l’ho mai detto che sei meravigliosa?”
“Che cretino che sei … che ci fai già di ritorno?”
“Sono venuto per te.”
Si toccò i capelli con una presa e li lasciò ricadere lentamente.
“Certo come no … David piantala, me lo ha detto mi fratello che tornavi.”
Ridacchiai, scherzosamente.
Mi alzai e lo guardai negli occhi.
Avevo una voglia matta di baciarlo ancora, ma non potevo perché non sapevo se per lui era lo stesso, se quello di ieri non contava niente.
Confusione, ecco quello che provavo.
“Che ne dici di fare qualcosa?” Disse lui, con lo sguardo vagabondo per la casa.
“Tipo?” Chiesi io interessata.
Fissò la porta della sua camera, per poi ritornare al mio sguardo.
“Che hai in mente mangiatore?”
“Se vieni in camera mia ti spiego che gioco voglio fare.”
Si mise a ridere, alzandosi e prendendomi leggermente per un braccio.
Io mi unii alla risata e andammo nella sua camera, chiudendo la porta.
Mi fece sedere sul suo letto, mentre lui si sdraiò e si tolse la maglietta, restando con il torace scoperto.
In quel momento mi ricordai che anche io ero senza maglietta e abbassai lo sguardo per l’imbarazzo.
Lui mi prese il viso tra le mani e fece un piccolo risolino.
“Hey, ora anche io sono a pancia scoperto, siamo pari.”
Mi accarezzò i capelli, lisciandomeli di più, fino ad arrivare sotto il mento e da lì le sue labbra si avvicinarono alle mie per finire in un bacio.
Non era un bacio a quello di ieri, questo era più deciso, più definito e durò di più.
Ci baciammo ripetutamente tante volte, prima di sdraiarci sul letto e rimanere immobili a guardarci.
“Quanto sei bella.” Mi disse, accarezzandomi con la mano il mio braccio.
“Tu sei molto più bello.”
Insieme ci alzammo e stavo per sbottonargli i pantaloni, quando suonò il mio telefono e dovetti rispondere.
“Pronto chi parla?” Mi schiarii la voce.
“Pronto Avril, sono Mike, potete venire tu e David in piazza che Darker si è fatto male?”
“Certo, arriviamo subito.”
“Grazie e scusa per l’interruzione.”
Attaccai e avvertii dell’accaduto a Dave che si stava rimettendo la maglia.
Andai a cambiarmi e uscimmo di corsa per le strade, fino a trovarci quattro ragazzi davanti, del quale uno mi era del tutto sconosciuto, doveva essere quel ‘Chuck’ che aiutava a tamponare un fazzoletto sulla mano del nostro amico.
“Eccovi, forza, riportiamolo a casa.” Disse Mike.
“Ma cos’è successo?” Chiese David, prendendo per un braccio il ragazzo ferito.
“Vedi, lui ha avuto un attacco, diciamo che …”
 
Ciaoo ragazzi, come state?
Ho cercato di finire il capitolo in un tempo stabilito, chiudendomi sigillata nella mia “bolla” per trovare ispirazione, solo per voi.
Se vi è piaciuto questo capitolo, vi pregherei di farmelo sapere con una recensione perché ne sarei veramente contenta.
Ringrazio sempre tutti quelli che leggono, recensiscono o che leggono in silenzio e chi ha messo questa storia tra le Preferite/Seguite/Ricordate.
Un bacio da Ele! ;)
 
 

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Capitolo 12
*** 12 ***


 “Diciamo che, cosa?” Lo interruppi bruscamente.
“ … Che ha bevuto un pochino ed è andato fuori di testa in pieno pomeriggio.”
Disse Mike, un po’ indeciso.
David andò da Darker, inginocchiandosi accanto a lui.
“Come hai fatto a farti male ad un braccio?”
Chiese dolcemente, rivolgendogli uno sguardo di comprensione.
“Io … sono andato contro ad un muretto e mi sono buttato di spalla, colpendolo forte.”
“Perché lo avresti fatto?”
Non rispose, abbassò lo sguardo.
“Doppia D, ricordati che ha alzato un po’ il gomito e non sapeva cosa stava facendo.”
Giustificò Chuck.
“Hai ragione.
A proposito, ti presento la sorella di Marc, Avril.”
Mi porse una mano che strinsi velocemente, facendo un sorriso.
“Ciao, io sono Chuck e conosco tuo fratello e questo sciagurato da quando andavo al liceo.”
Indicò il ragazzo accanto a me, mettendosi a sospirare scherzosamente.
“Buono a sapersi.”
Ridemmo tutti insieme, avanzando verso casa nostra, aiutando il povero Darker a tornare indietro.
“Vuoi restare a mangiare con noi stasera? Tanto tra un paio d’ore si cena.”
Chiese Marc.
“Non lo so, non vorrei disturbare.”
“Ma quale disturbo, saremmo tutti felici di averti con noi, tanto per farci compagnia, dopo ti chiamiamo un taxi che ti riporti dove alloggi.”
“Ok, grazie mille.”
Finalmente arrivammo a casa, appoggiammo Darker sul divano e gli bendammo il braccio con una garza, per bloccare il graffio, mentre si coricava.
Io e gli altri ci sedemmo in cucina; I ragazzi parlarono tra loro ed io me ne stetti da parte, senza ascoltare nessuna parola.
“ … Giusto e tu Avril?” Mi sentii chiamare da Chuck che mi sorrideva.
“Cosa scusa? Non ho capito bene.” Mi grattai la testa.
“Ha chiesto se sai suonare qualche strumento o ti piacerebbe suonarne uno.”
Spiegò mio fratello.
“No, strimpello qualche volta la mia chitarra, ma non più di un tanto.
Mi piacerebbe suonare la batteria, mi sembra uno strumento molto bello.”
Lui sorrise, tutti sorrisero e mi incuriosirono molto.
Dopo capii.
“Io suono la batteria e diciamo che è la mia seconda vita; Mi aiuta a sfogarmi quando sono triste o arrabbiato e la suono ogni giorno.
Se vuoi qualche volta puoi venire a casa mia che ti insegno.”
“Vacci piano Chuckless, lei è quasi impegnata con Dave.”
Urlò mio fratello, sorridendo leggermente.
“Ah, te la  fai con la sorella del tuo migliore amico.
Beh. Guarda che non volevo mica provarci, mi credi vero?” Mi rivolse uno sguardo carico di assoluto rispetto.
Mi venne quasi da ridere per la domanda che mi aveva appena fatto.
“Certamente, tu non sei uno scempiato come questi quattro ragazzi.” Dissi sarcasticamente.
David si alzò e mi guardò facendo una faccia tenera.
“Guarda che uno di questi scempiati è  quello che ti fa impazzire.”
Mi misi a ridere, insieme agli altri.
“Certo, mi hai fatto impazzire come mi fanno impazzire i broccoli.”
“Che cattiva che sei.”
“Lo so, ma una ragazza si deve fare rispettare.”
“Dave, tienitela stretta questa ragazza che non se ne trovano molte in giro.”
“Grazie Chuck, tu si che sai capirmi alla perfezione.” Dissi io, posandogli una mano sulla spalla.
“Veh che sono geloso.”
“Io e la tua Avril, siamo compatibili, non ci puoi fare niente.”
“Bene, ora che sappiamo che il nostro ospite vuole provarci con David, possiamo decidere la specialità di questa sera.”
“Marc, che baggianate dici? Io l’ho sempre amato.”
Chuck si mise a ridere.
“Io stasera ho voglia di una pizza.”
Si intromise Mike, aprendo per la prima volta bocca.
Lo guardai e notai che nel suo sguardo c’era qualcosa di strano, come se i nostri discorsi lo avessero turbato in qualche modo.
“Deciso, ordineremo sei pizze.”
Rispose Marc.
Mike si alzò dal tavolo e andò verso la porta, lasciandomi perplessa.
“Io salgo in camera, vado a rilassarmi e poi quando è ora di cena chiamatemi che scendo.”
Se ne andò, ignorando la risposta.
“Che gli è preso?”
“Non lo so, ma io vado da lui.”
Mi alzai e andai davanti alla sua stanza.
Bussai rumorosamente.
“Mike aprimi, ti devo parlare.”
“Se proprio devi …”
“Devo.”
“Entra.”
Aprii piano la porta e restai sullo stipite.
Se ne stava sdraiato a fissarmi, con le mani incrociate.
“Cosa c’è? Perché non sei restata giù con il tuo nuovo ragazzo?”
Disse bruscamente.
Mi colpì la sua affermazione.
“… Ma che ti prende? Che ti ho fatto di male per rispondermi così?”
“Mi chiedi anche perché? Non è evidente?”
“No, non lo è per niente … spiegami, ti prego.”
Mi sedetti vicino allo spigolo del letto, guardandolo incuriosita.
“Vedi, io … io non posso dirtelo.”
“Perché no? Dai, lo sai che a me puoi dire tutto.
Che cos’è che ti ha fatto arrabbiare?”
Lui si grattò il braccio innervosito dalla domanda, abbassando lo sguardo.
“Se te lo dico, prometti di non giudicarmi?”
Mi chiese, senza guardarmi negli occhi.
“Certo.” Lo rassicurai.
“Prima di cominciare, posso farti una domanda?”
“Sì.”
“A te piace David? È vero quello che ha affermato Marc, prima?”
La sua domanda mi lasciò perplessa, non capendone il significato.
Decisi comunque di rispondere.
“Sì, mi piace e vorrei essere più di un’amica per lui.
Anche lui prova lo stesso per me, da quanto ho capito, ma perché lo chiedi?”
“Sai …” Ignorò la mia domanda ed iniziò a spiegare “ … Quando Marc ha detto quelle parole, ci sono rimasto male, non pensavo che ci fosse qualcosa tra  voi due.
Avril, ci sono rimasto male perché mi piaci!”
Tirò un pugno sul materasso ed iniziò a contrarre i muscoli della mascella, sbalordendomi delle sue parole.
Mi avvicinai a lui e gli accarezzai una guancia, asciugandogli qualche lacrima che era appena caduta.
“Mike, lo sai che ti voglio bene e che in nessun modo vorrei causarti problemi, ma io e te siamo …”
“Siamo solo buoni amici lo so , non c’è bisogno che me lo dici.”
Mi interruppe lui.
“Non fare così, non arrabbiarti con me … Io non voglio ferirti, ma non posso farci niente se mi piace lui.”
Bussarono alla porta ed entrò Dave.
“Mike, ho sentito tutto … perché non me ne hai parlato prima? Perché non me lo hai detto?”
Il suo volto era tutto rosso e il collo si era gonfiato un po’, come era solito fare quando si arrabbiava.
“Tu non me lo hai mai chiesto.”
“Non è una scusa … merda, ma scherzi? Io non voglio mica perdere un amico.”
“Ragazzi nessuno litigherà, non voglio questo perché non vi meritate una stupida ragazza come me.
Mike guardami, non prendertela con David, perché sono io che l’ho baciato.”
Mike si alzò e restò in piedi davanti a me e David, poi, improvvisamente, abbracciò forte David e gli sussurrò “Non ce l’ho con te, tranquillo, mi passerà.”
Si strinsero forte.
Quando si staccarono, Mike si rivolse a me.
“Non badare a me, mettevi insieme, se siete felici per me va bene.”
“Mike, io …”
Stavo per dirgli quanto mi dispiaceva, ma lui non mi lasciò parlare e continuò ad andare avanti.
“Stai calma Avril, non c’è bisogno che tu mi dica niente, davvero.
Stasera uscirò con Chuck e gli altri e cercherò qualche ragazza per dimenticare e per svagarmi.
Tutto come prima.
Scusate, ma ora scendo che preparo, visto che manca pochissimo all’ora di cena, venite che ordiniamo le pizze.”
Scendemmo tutti e tre, ma le sue parole mi colpirono tanto, non immaginavo che Mike avesse tanta forza per dimenticare subito e per sopportare il dolore che aveva dentro.
Lo ammiravo, sì, tanto.
Ora potevo mettermi finalmente con David, cercando di non ferire lui.
Ordinammo le pizze e aspettammo in cucina, chiacchierando; Darker si era ripreso e adesso parlava più di prima.
Tutto procedeva per il verso giusto.
 
Ciaoo come state?
Sono stata brava a pubblicare il dodicesimo capitolo così in fretta?
Se vi è piaciuto o se avete da chiedermi spiegazioni e quant’altro, scrivetemi o recensite, io cercherò di esserci spesso.
Ringrazio come tutte le volte chi ha messo questa storia tra le Preferite/Seguite/Ricordate.
Un bacio da Ele! ;)

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Capitolo 13
*** 13 ***


 Quando arrivarono finalmente le pizze pagammo il tipo ed iniziammo a mangiare, tutti i ragazzi sembravano maialini.
Io ero composta e ferma, concentrata a distruggere quel cartone e quell’impasto così duro e sottile da sembrare quasi gomma pane.
“Ragazzi, questa pizza non era niente male … qui in California ci sono dei bei ristoranti.”
Disse Chuck toccandosi la pancia gonfia dopo aver finito di mangiare, no anzi scusate, di divorare la pizza.
‘Dici sul serio?’ Pensai tra me e me.
“Già, siamo fortunati a restare qui per un altro po’.
Dopo si ritorna alla solita routine e ai soliti luoghi di lavoro.”
“Come sei profondo mister Lee, ti dovrebbero fare un monumento per la poesia e il modo poetico in cui parli.”
“Oh grazie Chuck, ne sono onorato.
Però lo farò io a te, così potranno cagarti in testa i piccioni.”
Si misero a scherzare come dei bambini, saltandosi a dosso e facendo la lotta.
Io li guardai divertita, notando che Chuck si sentiva un po’ impotente di fronte a mio fratello che al posto del cervello, aveva una patata.
Giocarono come se stessero per gridare da un momento all’altro, trattenendo le risate.
Finito lo spettacolino, i restanti ragazzi, decisero di uscire fuori in un locale a divertirsi.
“Noi andiamo in un locale in centro, volete venire con noi?”
Propose mio fratello a me e David.
“No è meglio di no, i due piccioncini devo restare soli per fare cose poco immaginabili.”
Disse Darker ridendo come uno stupito, facendo allarmare Mike che abbassò lo sguardo.
“Piantala, pensa per te che stasera non devi massacrarti.
Non bere assolutamente, se no quando torni ti spezzo le ossa.”
David lo fulminò con lo sguardo, io non dissi niente.
“Stai calmo era solo uno scherzo, davvero!”
“Ok ora dobbiamo andare, tra un po’ inizia lo spettacolo al locale.” Si fermò per guardare l’orologio del telefono e continuò “… alle dieci e trenta inizia, muoviamoci.”
Marc prese per un braccio Darker, accompagnato da Chuck e da Mike.
Appena chiusero la porta, David si avvicinò a me e mi prese per i fianchi, stavamo per darci un bacetto, quando entrò dalla porta Mike che rimase paralizzato.
Dave si allontanò e tossì rumorosamente, io diventai tutta rossa e abbassai lo sguardo.
“scusate mi ero dimenticato la felpa.” La prese e rinnovò le sue scuse, andando via.
Maledette interruzioni, non potevamo mai approfondire la “conversazione” che dovevano subito interromperci.
“Che hai?” Mi chiese.
“Niente è che sono stufa di queste interruzioni.”
Lui si mise a ridere e mi prese per mano, portandomi nella mia stanza.
“Che ci facciamo qui?” Domandai perplessa.
“Visto che l’ultima volta ci hanno interrotto in camera mia, forse è meglio se stiamo qui.”
Si mise una mano in tasca ed estrasse il cellulare, lo spense e lo buttò giù dal letto, sedendosi.
“Sei proprio scemo, tu.
Cosa vorresti mai fare adesso?” Dissi davanti a lui, con le mani sul bacino, guardandolo sorridere.
“Un’idea ce l’avrei.”
Mi attirò a lui facendomi sedere sull’altra parte del materasso ed iniziò a prendere le ciocche dei capelli e arrotolarsele sulle dita.
“Sei così bella e così dolce, mi viene voglia di …”
Si fermò, guardando fisso nel mio sguardo.
“Ti viene voglia di far cosa?” Sorrisi.
“Di mangiarti.”
Ridemmo ed iniziai a baciarlo più approfonditamente, incontrando piano, piano la sua lingua e avvicinandola contro il palato.
Continuammo così per un po’, finche  lui non appoggiò la sua mano sulla mia spalla, mentre io gli baciai il collo.
Lui mi toccò la fronte e poi mi prese la mano, baciandomela.
“Cosa vorresti fare?”
Mi chiese.
“Vorrei diventare finalmente tua.”
Non lo feci rispondere e si sdraiò, togliendosi la maglietta e  lo baciai sul torace.
Dopo poco lui mi tolse la maglia e i jeans e restai in biancheria, poi lui si tolse i  rispettivi pantaloni e mi strinse forte, appoggiando le sue labbra contro il mio petto.
Io presi i suoi capelli tra le mani ed iniziammo a sdraiarci l’uno sull’altro fino a dominare la situazione.
Restammo uno sopra l’altro, andando avanti ed indietro con movimenti fluidi e del tutto naturali.
La biancheria era per terra sul mio pavimento e nessuno ci era venuto a disturbare.
Era la mia prima volta e stranamente non mi fece male, anzi, mi aiutò a concentrami su tutto quel sentimento che provavo per Dave.
Dopo qualche ora, mi misi accanto a lui, ansimando e sudando come una stupida.
Notai che anche lui stava sudando e a stento riusciva a respirare.
“Che c’è?” Mi chiese lui, notando la mia faccia un po’ spenta.
“Niente è solo che … che non so se sono stata brava e questo mi disturba, perché tu avrai già fatto le tue esperienze, mentre per me è la prima volta.”
Lui mi fissò e mi strinse a sé, ricoprendosi con il lenzuolo.
“Non devi pensarlo neanche per un momento, tu sei stata perfetta e non perché sei andata bene, ma perché ti amo e non conta nient’altro.
Ti sbagli riguardo alle mie esperienze, questa è la prima volta anche per me e ti dirò, io mi aspettavo qualcosa di male, ma invece è stato tutto bellissimo con te.”
Con tutta la forza che mi rimaneva per muovermi, mi alzai e lo baciai, accarezzandogli la fronte.
“Mi piaci molto.”
“Anche a me piaci, Avril.”
Ci addormentammo insieme, stando accanto, accarezzandoci e pensando alla magnifica nottata.
Il mattino seguente ci svegliò un rumore strano.
Aprii gli occhi e vidi davanti a noi Darker e mio fratello che ridevano, ridacchiando felici.
“Che ci fate voi due qui?” Urlai, coprendomi di più con il lenzuolo  e facendo alzare David.
“Oh scusate, siamo venuti per guardare se ieri sera vi eravate divertiti.”
“Darker io ti spacco la faccia!” Dave si mise i vestiti e andò verso la porta, buttando fuori i due ‘intrusi’.
Mi rivolse uno sguardo.
“Io inizio a fare colazione, tu mi raggiungi?”
“Sì.”
Lo vidi andare, chiudendo la porta.
Andai a fare una doccia e misi i vestiti di ieri da lavare e ne presi degli altri.
Indossai una maglia rossa, dei jeans e delle converse nere.
Mi legai i capelli e andai in cucina, dove trovai tutti i ragazzi abbuffarsi sulla colazione.
“Ciao Avril!” Mike mi accolse con un bombolone in bocca e un sorriso a trentadue denti.
“Ciao Mike, come mai così felice?”
Ricevette una gomitata da mio fratello che iniziò a spiegare.
“Vedi, il nostro boy ieri ha incontrato una giovincella e hanno parlato un po’.”
“Hanno fatto molto più che parlare!” Puntualizzò Darker.
Guardai il ragazzo in questione che diventò tutto rosso ed iniziò a mandar giù i bocconi di pasta.
Mi sedetti al mio solito posto e presi del caffè con una brioche.
“Spero almeno che prima di fare determinate cose, tu la conosca bene.”
Gli rivolsi un sorrisetto da amica e lui capì il significato delle mie parole.
“Bene, invece di parlare della scorsa serata che per noi è stata abbastanza tranquilla, parliamo di oggi … cosa si fa?”
Darker si alzò in piedi ed indicò la porta.
“Io vado in piscina, Chuck è l’ultimo giorno che resta qui e ci ha proposto di andare nel suo albergo.”
Disse mio fratello, accompagnato da Mike.
“Allora è deciso, tutti in hotel da Chuck con il costume, voi due venite o restate a casa come sempre?”
“Io passo, scusa Darker ma oggi devo fare altre cose.”
Risposi io.
“Avril, se devi fare sempre qualcosa non è una vacanza.
Tu, invece, vieni?”
Si rivolse a David.
“Potrei andare, così mi posso divertire.”
Mi guardò e con una faccia tenerissima, mi chiese il permesso.
“Sì, certo che puoi andarci.”
“Grazie tesoro.”
Corse ad abbracciarmi, per poi lasciarmi andare.
“Bene, prepariamoci che andiamo subito da lui, così mangiamo là.”
Marc trascinò gli altri ragazzi a preparare la borsa, lasciandomi in cucina da sola.
“Possibile che mi lascino sempre sola e per di più con la tavola da sparecchiare?”
Ripetei tra me e me, cominciando a pulire tutto.
Appena finii tutto, mi squillò il cellulare.
“Pronto, chi è?”
“Ciao Avril, sono papà.”
Oh eccolo che rompe ancora.
“Ciao, cosa c’è?”
“Volevo chiederti com’è andata con il mio amico.”
“Quello che fa il giudice? Sì, entro la fine della nostra vacanza, ci farà sapere sulla faccenda.”
Cercai di usare un tono delicato.
“Vedrai che andrà tutto bene, in fondo è solo per poco.
Tu cosa ne pensi?”
“Penso sia una faccenda che riguardi più te e la mamma; Hai sentito Marc?”
“Sì poco fa, gli ho chiesto cosa faceva oggi e mi ha detto che con gli altri andava da un loro amico in piscina, ci vai anche te?”
“No, io ho da sbrigare alcune faccende per quando tornerò a casa.”
“Ora vado che ho dei lavori da sbrigare in studio, ci sentiamo presto.
Ciao piccola.”
“Ciao.”
Misi via il telefono e corsi in camera dei ragazzi, chiamando mio fratello.
“Che vuoi Avril? Adesso andiamo.”
“Senti, ti devo chiedere una cosa.”
“Dimmi.” Si avvicinò a me, lasciando i ragazzi sul letto a chiudere le sacche.
“Mi ha appena chiamato papà e volevo sapere se anche a te ha chiesto dell’avvocato.”
“Oh no, non ricomincerai a dubitare di papà e della sua proposta.”
“No, ormai non spetta a me decidere, però mi è sembrato un po’ sulle sue.”
Lui fece una faccia strana.
“Cosa intendi?”
“Intendo dire che sembrava come se sapesse di più su quella faccenda.”
“Non farti tante pare per niente, entro domani proverò a chiamare il giudice per il prossimo appuntamento, poi ci rincontreremo e aspetteremo il nostro ritorno per la conclusione dei fatti.”
Mi strinse per le braccia e mi diede un buffetto sulla guancia per poi ritornare dai ragazzi e andare verso la porta di casa.
“Ora andiamo e non pensarci più di un tanto, noi saremo di ritorno per cena.”
Mi fece l’occhiolino, aprendo la maniglia e uscendo insieme agli altri.
“Ciao, noi ci vediamo stasera.”
David mi venne vicino e mi diede un bacio sulla guancia.
“Tranquilla, te lo riporteremo in tatto e lo terremmo d’occhio.”
“Darker devi rovinare sempre tutto.”
Disse lui,accarezzandomi la mano, allontanandosi verso l’uscita.
“Ciao ragazzi, ci vediamo stasera.”
Li vidi salire su un taxi chiamato poco tempo prima, per poi sparire nell’immensità della strada.
Mi portai la borsa a dietro ed uscii per le vie del centro, andando in un bar, ordinando qualcosa da mangiare, per poi restare lì.
“Ecco a lei signorina.”
Un cameriere di mezza età mi portò il mio panino, sorridendo gentilmente.
“Grazie mille.”
“Si figuri, mi spiace vederla qui da sola senza nessuno a farle compagnia.”
Con uno straccio preso dalla tasca, pulì un tavolo accanto a me.
Mi guardai attorno prima di rispondere e notai che in quel bar non c’era quasi nessuno.
“Oggi mi sono presa un po’ di tempo per me.”
“Lei è di qui?”
“No sono venuta in vacanza.”
“Le piace questo posto?”
“Sì, abbastanza.”
Sorrisi, iniziando a mangiare.
“Lei mi sembra una brava ragazza, non se ne trovano tante in giro.”
“Grazie per il complimento è fin troppo gentile.”
“Ora la lascio in pace, le ho fatto perdere un tempo prezioso, però le dico solo che può restare quanto vuole.”
Stava per andarsene, quando lo fermai per dargli i soldi.
Il cameriere li rifiutò.
“No, ad una ragazza così carina e buona bisogna offrire il pasto.”
Se ne andò dietro al bancone, lasciandomi perplessa.
Consumai l’ordinazione e mi alzai dal tavolo, cercando il signore.
Appena mi avvicinai, lui comparve con delle casse di succhi e mi sorrise.
“Ciao cara, spero che prima che partirai, mi verrai a trovare.
Mi sembri una ragazza forte ma anche molto indecisa, avresti bisogno di una spinta per prendere più coraggio, così da ricordare il passato come buone esperienze.
Ora ti saluto, ciao.”
“Salve a presto.”
Lo salutai e mi trovai per strada a ripensare alla sua ultima frase, pensando che forse aveva ragione.
Dovevo decidermi a prendere una decisione, forse David poteva essere una di quella.
Andai a prendere dei fogli, per poi ritornare a casa e prepararmi tutti i discorsi possibili sui lavori da visitare.
 
Ciao a tutti, questo capitolo non mi convince molto e mi vergogno un pochino di averlo scritto.
Se sareste così gentili da farmi sapere com’è, ne sarei felice.
Ringrazio chi recensisce e chi legge.
Vi adoro anche se siete in pochi a commentare.
Un bacio da Ele! ;)

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Capitolo 14
*** 14 ***


Tornata a casa, presi dei giornali che erano accatastati in una cesta e cerchiai i lavori più possibili.
Rimanevano meno di tre settimane e dovevo decidermi a fare qualche extra.
Arrivata una certa ora, scesi dal letto su cui ero appoggiata e andai in cucina a preparare da mangiare.
Apparecchiai e poi mi sedetti sul divano ad aspettare i ragazzi.
Mi arrivò una chiamata.
“Pronto?” Dissi io.
“Hey, ciao!”
“Ciao, perché mi hai chiamato adesso? Non siete di ritorno?”
“Sì, in teoria.”
“Cosa vorresti dire?” Alzai la voce preoccupata.
“Avril è una cosa da nulla …”
“Marc, ora ti do cinque secondi per aprire quella bocca e illuminarmi con una spiegazione diretta e per niente insensata!”
“Ok, siamo andati da Chuck oggi e ci siamo divertiti …”
“Arriva al punto!” Lo interruppi, io.
“… Stavo dicendo, che eravamo tranquilli, tutto procedeva bene, solo che David si è buttato in piscina e ha sbattuto contro il bordo.”
“Cosa? Come sta? Dove siete adesso?” Mi alzai bruscamente.
“No, non pensarci nemmeno! Non verrai qui, noi siamo al pronto soccorso e David sta bene.
Arriveremo entro le undici, credo, per cui tienici pronto da mangiare e non preoccuparti.”
“Ma …”
Quella volta, lui mi interruppe.
“… Niente ma! Rilassati, noi arriveremo tra due orette.”
Attaccammo e, con uno sbuffo rumoroso, mi lasciai cadere sul soffice cuscino e chiusi gli occhi.
Possibile che quel cretino del mio “quasi ragazzo” abbia avuto un incidente del genere? Neanche fosse un bambino.
Certo che David è proprio una scimmia, hanno ragione i ragazzi.
Scacciai dalla mente quel pensiero e mi abbandonai piano, piano al fresco vento che faceva sbattere le finestre.
Stavo lì, sul divano a riposare, svuotando completamente la mia mente.
Non so quanto tempo passò, ma l’unica cosa che ricordo è che sentii un rumore provenire dalla porta del soggiorno ed entrò qualcuno che si avvicinò a me e mi accarezzò una guancia.
Aprii gli occhi velocemente, spaventata dai passi che si facevano più svelti di altre persone e mi ritrovai davanti Dave bendato in testa.
“Ciao!” Mi sorrise un po’ intimorito dalla mia reazione nel vederlo.
Gli altri si fiondarono sulla tavola ad ingozzarsi.
“Come stai?” Gli chiesi.
“Bene, credo …”
Ridemmo entrambi.
Raggiungemmo gli altri in cucina.
Quella sera a tavola non parlai, non dissi niente.
Poi, dal nulla, mio fratello mi chiamò.
“Oggi mi ha avvisato l’avvocato che domani dobbiamo raggiungerlo.”
“Ok.”
Semplicemente ok.
Dovevo stare proprio male per dire solo un ‘ok’ per quella faccenda che mi faceva gelare il sangue ogni volta.
Marc continuò.
“Al mattino ci prepariamo e andiamo là, poi ha detto la segretaria che verrà un’ altra persona in causa.”
Mi alzai dalla tavola mettendo in lavastoviglie il mio piatto.
Mi girai verso di lui e dissi “Va bene” E  me ne andai in camera, con la musica alta e le cuffie.
Può sembrare il tipico comportamento di una ragazzina che non sa quello che vuole, ma quella sera, in quell’esatto istante che David mi accarezzò la guancia, mi accorsi di quanto ho sempre cercato di respingerlo e che adesso mi piace più che mai.
Sorrisi al pensiero dei nostri momenti o quando andavo a trovare mio fratello a casa e lui iniziata a parlarmi di loro … dei suoi amici.
Guardai il display del mio cellulare che si illuminò subito.
Un messaggio.
“Hey, vieni a farmi compagnia giù di sotto, nei gradini fuori casa?
David. J”
Posai  il telefono e andai fuori dalla porta.
Lo trovai lì appoggiato al muretto, che si premeva la fasciatura con la mano destra.
Mi sedetti accanto a lui.
“Devo chiederti una cosa.”
Mi guardò negli occhi.
“Sì, dimmi.”
“Hai paura di questa storia? Sei preoccupata per quello che succederà da quell’incontro con l’avvocato?”
Mi grattai la testa.
“Un po’, ma non ci faccio caso … cioè ci penso, sì, solo che tutto dipende da domani,
cosa deciderà il giudice, l’avvocato … ma sono rilassata perché anche se starò con mio padre, potrò stare accanto a Marc.”
Sorrise.
“Te l’ho mai detto che sei pazzesca?”
“No, ma dovrai ripetermelo continuamente.”
Appoggiai la mia testa contro la sua spalla.
Un silenzio aleggiò su di noi, mostrandoci i reali fatti.
Ad un tratto, qualcosa scattò in me e decisi di chiederglielo.
Sì, dovevo farlo.
“David senti, noi due siamo … cioè, non riesco a capire cosa siamo.”
Feci una faccia buffa.
Insomma, non potevo rimanere con il dubbio.
Alzai la testa e mi misi composta, aspettando la sua risposta.
“Io mi trovo bene con te e vorrei passare ogni giorno accanto alla persona che mi piace.”
Non dissi nulla, sorridemmo insieme e ci fermammo a guardare le stelle.
Non c’era bisogno di parlare, era tutto chiaro.
Io e lui eravamo fidanzati, nessuno poteva negarlo.
 
 
 
 

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Capitolo 15
*** 15- Ultimo capitolo! ***


Sono tornata con un nuovo capitolo dopo un secolo che  non scrivevo!
Beeh. Vi avverto che siamo al termine di questa F.F e spero sia stata bella per voi, quanto lo è stata per me da scrivere.
Ci vediamo sotto …


Le settimane passarono velocemente: Chuck tornò a casa,  Avril decise di dare un' opportunità a suo padre e tornati a casa, sarebbero andati  da un  giudice per le questioni burocratiche e tutto il resto.
Alla fine si era promessa di cambiare atteggiamento e di accettare la tutela.
La storia con David si era fatta seria e lui sarebbe andato a stare da lei come prova.
Mike si fece passare un po’ di gelosia per la coppietta, ma la verità era che, anche se non voleva ammetterlo, le piaceva ancora molto Avril.
Darker chiamò il padre per avvisarlo che tra due giorni sarebbero tornati e che avrebbero chiuso tutto e preso il volo per casa.
Era triste da dire, ma tutto doveva ritornare alla ‘normalità’, ma con qualche risvolto positivo.

Mi risvegliai dopo una lunga nottata passata a dormire sopra Marc ed ai ragazzi, tutti buttati sul divano.
Ah. Mi sarebbe mancato tutto questo! Ogni singolo momento con quelle scimmie dei miei compagni di viaggio.
Mike si svegliò muovendosi e togliendo la gamba di David sulla fronte.
Si alzò e stropicciò gli occhi per abituarsi alla luce che filtrava dalle finestre.
“Hei.” Mi disse, con  voce flebile.
“Hei.” Mi alzai, notando che avevo ancora i vestiti della sera prima, come tutti.
“Come ti senti all’idea che tra circa 24 ore dobbiamo sgomberare da qui e partire?” Mi chiese.
Ci pensai un po’, prima di rispondere.
“Non lo so. Mi sono divertita e non vorrei mollare tutto questo, ma … la verità è che prima o poi dovevamo aspettarcelo, in fondo le vacanze non durano per sempre!
Questa mi ha aiutato a rendermi conto degli sbagli che ho commesso per tutti questi anni ed è servito ascoltare voi e mio padre.”
Lui fece un sorrisetto e venne ad abbracciarmi.
David e gli altri due si svegliarono in quel momento.
“Cosa state facendo voi due?” David si arruffò i capelli e, con uno scatto poco atletico, si alzò in piedi, aiutando quello scansafatiche di mio fratello e Darker insieme.
“Niente, dai forza, andiamo a preparare la colazione che sarà l’ultima!” Disse Marc, mentre mi prese per una spalla e mi lisciò i capelli.
“Non voglio essere smielato, ma … mi mancherete!” Disse Darker.
“Sei scemo? Io, te e David ci incontreremo tutti i giorni a lavoro e per Avril, beh. Basta che vi fermerete a casa e ci sarà.”
Marc mi sorrise.
Quella mattina mangiammo tutti in silenzio, forse pensando alla nostra piccola comunità che si era fatta più unita in un mese.
Vedevo Mike che si sforzava di restare zitto, ma sapevo benissimo che moriva dalla voglia di parlare.
Decisi di venirgli incontro.
“Mike, oggi cosa avete in mente di fare?” Chiesi.
“Io niente, preparo le valige insieme a Darker.”
“Niente di niente?” Chiesi stupita.
“Beh. Vedi … è ora di farle.” Continuò.
“In più dobbiamo fare le sacche degli slip sporchi e pulire, abbassare le tapparelle e tutte le cose per lasciare la casa come il padre di Darker ci aveva consegnato.” Disse mio fratello.
Avevano l’aria un po’ malinconica.
“Ok, te Dave?”
Distrattamente mi fissò, con lo sguardo più assente di tutte le milioni di volte che ero andata ‘in oca’.
“Mmmh.?”
“Cosa fai oggi?” Ripetei.
“Chiamo Chuck e sento com’è là … poi aiuto i ragazzi.”
“Te invece?” Chiese Marc.
“Preparo le mie cose e chiamo la mamma … il papà l’avrà sicuramente chiamata per dargli la notizia.”
Marc mi venne accanto accarezzandomi la spalla.
“Hai preso la decisione giusta, vedrai che andrà tutto bene.”
Le sue parole mi diedero conforto.
Appena finito di mangiare sparecchiammo tutto e andammo in camera a fare le valigie.
Passarono circa due ore ed io avevo appena finito di riempire la mia.
Nella stanza, fino a poche ore prima piena delle mie cose, ora c’era il nulla più assoluto, spoglia di ogni piccolo segno di abitazione.
Tutto come quando eravamo entrati.
Sorrisi all’idea di quella giornata, quando sentii una presenza alla spalle.
Mi girai di scatto e vidi Mike appoggiato allo stipite della porta.
“Cosa fai qui?” Chiesi con un tono ironico.
Si avvicinò a me.
“Ho finito di fare i bagagli e ho pensato di vedere a che punto eri …”
Il solito.
“Tutto bene.”
“Sicura?”
Ci pensai.
“Sì.”
Ero finalmente felice, mi erano successe tante cose e mi avevano aiutato a togliere i ‘paletti’ che mi limitavano lo spazio della mia vita.
Non avevo paura più del mare grazie alla presenza di tutti loro, mia madre non era arrabbiata con me anche se andavo a vivere con mio padre, ci saremmo viste ogni volta che volevamo e la prossima estate avevo promesso ai ragazzi che saremmo tornati ancora in California.
Cosa più importante: Non odiavo più così tanto mio padre.
“Ne sono felice.” Le sue parole mi riportarono alla realtà.
“A cosa pensavi?” Aggiunse.
“A questa partenza, sarà dura chiudere questa casa.”
Sorridemmo tutti e due.
“Già … ma guarda il lato positivo, quando scenderemo dall’aereo andremo subito in una pizzeria a pranzare tutti insieme!”
Tra me e Mike c’era un’amicizia veramente solida, lo conoscevo da tanto e …
È inutile raccontarvelo da capo, perché lo sapete già, tra di noi c’è una grande reciprocità di fiducia.
Poco dopo andammo a mangiare : finimmo tutto ciò che conteneva il frigo, poche cose, e insieme riempimmo un borsone con le stoviglie lavate da portare al padre del proprietario che ce le aveva gentilmente offerte.
Inutile dire che le ore a venire furono un vero ed unico divertimento.
Guardammo un film d’amore e David pianse insieme a Mike, sembravano due femminucce e questo mi rallegrò ancora di più.
Alla fine del film, suonò il mio cellulare.
Mia madre mi chiamò.
“Mamma, volevo giusto chiamarti.”
“Amore! Come stai? Domani partite, giusto?” Si sentivano i rumori dei piatti.
“Io bene … già domani abbiamo il volo alle sei.”
“Ti sei divertita?” Mi chiese.
La sua voce era normale.
“Molto.
Ah. Mamma, volevo dirti che anche se andrò dal papà, ti verrò sempre a trovare!”
“Lo so che lo farai.
Hai fatto bene a prendere questa decisione, ormai sei grande e so che sarai in buone mani.”
“Già.”
“Ora vado, ci sentiamo quando torni.
Ciao piccola, salutami tuo fratello e i suoi amici.
Ti voglio bene.”
“Anche io!”
Attaccai e guardai i ragazzi che erano intenti a costruire una torre con gli stuzzicadenti.
Guardai l’orologio del display: 19:00
Dovevamo cenare.
“Per cena cosa c’è?” Chiesi.
I ragazzi si guardarono.
“Non ne abbiamo la minima idea.
Abbiamo sgomberato tutto, non ricordi?”
Già è vero.
“Stasera si sta a digiuno!” Dissi io.
“Lo dici te che non ti fai problemi, ma noi uomini abbiamo bisogno di nutrimento per i nostri muscoli.” Disse Marc.
“Sì, pensate al muscolo dei vostri cervelli che è meglio!
Naturalmente Mike è escluso.”
Ridemmo tutti.
La serata passò a giocare a dire le battute più stupide e, con mio grande stupore, vinse Mike.
La battuta vincente?
“Sapete cosa ci fanno due squali in una gara? Vengono squalificati.”
Rimanemmo tutti così sconcertati che decidemmo che il vincitore doveva essere senz’altro lui.
Alle due di notte ci addormentammo ancora sul divano, visto che i letti erano tutti guastati.
Io e David da un lato e gli altri tre dall’altra, con eccezione per il piede di Marc.
La nottata non fu delle migliori, perché continuavo a rigirarmi e con me anche gli altri.
Quando le flebili luci della mattina iniziarono ad entrare, ci svegliammo.
Ci mettemmo circa un’ora prima che tutti e cinque fossimo preparati.
Io mi misi dei jeans corti, una maglia  blu pulita, una delle poche e le mie solite converse.
Prendemmo le nostre borse e, facendo un ultimo giro in bagno, andammo fuori dalla casa.
Chiamammo un taxi e prima di arrivare Darker chiuse la porta.
“Mi mancherai!” Disse Mike con un tono da telenovela.
“Anche a me e tanto!”  Disse David.
Arrivò l’auto.
“Ora che tutti abbiamo salutato, saliamo?”
Con un sorriso feci una domanda retorica.
Tutti si piombarono sul taxi, io restai sulle ginocchia di David perché non c’era posto.
Quando arrivammo all’aeroporto e aspettammo due ore per fare tutto il check- in da capo, riuscimmo a salire sull’aereo.
Io, come all’inizio di questa avventura, mi sedetti accanto a David e questa volta da fidanzata e con un giudizio decisamente diverso da com’era all’inizio.
Insomma, io ero cambiata.
Non mi sembrava vero ritornare, ma era la cosa più giusta.
Il viaggio passò velocemente, David si addormentò  e dovetti svegliarlo per fargli rendere conto che eravamo atterrati.
Si giustificò dicendo che non aveva dormito bene, ma sapevo che lui aveva sicuramente dormito meglio di me.
Ci ritrovammo davanti alle macchine parcheggiate in mezzo al caos di tutte le persone.
David ci guardò per un momento, poi aprì la sua macchina e disse :” Andiamo?”
Scattammo per ritornare da dove, al principio di tutto, eravamo prima che ci fosse stata la vacanza.
Ed ecco che la normalità non la sottovalutai più come una volta.
 
Adesso non ero più sola al pomeriggio; ci vollero due settimane, ma riuscii a traslocare da mio padre e Marc, portando tutte le mie cose là.
Anche se era un po’ distante da dove ormai ero cresciuta, non mi importava perché ero comunque felice.
Quando andammo dal giudice, papà non la smetteva un attimo di abbracciarci e , dopo essersi messo in contatto con il suo amico per  informare questo giudice, dopo una lunga conversazione e facendogli firmare carte e pile di documenti, dichiarò che la tutela era stata data a lui.
Passarono i vari ringraziamenti e  poi …
Tutto finì per il meglio.
La vita non è orribile come mi ero sempre riproposta di dire all’inizio.
La vita è fatta di cambiamenti ed io riuscii ad accoglierli senza schivarli, imparando a farne buon uso.
 
 
Ciaoo, come state?
Parte la canzoncina malinconica per segnare l’ora della fine.
Ecco terminata una F.F che non mi sarei mai aspettata di portare avanti.
Grazie a coloro che hanno reso possibile tutto ciò.
Ringrazio specialmente una mia cara amica: “Skizzata98”, Martina.
Spero che il finale vi sia piaciuto e, in tal caso vogliate chiarimenti o dirmi semplicemente come vi è sembrato il capitolo, beeh. Non potete fare altro se non commentare.
Ancora mille grazie a tutti.
Ele! ;)
 

 

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