How will we sleep tonight?

di Willy Wonka
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo brandello di storia (o vista di un folle sulla collina) ***
Capitolo 2: *** Secondo brandello di storia (o profumo di un folle sulla collina) ***
Capitolo 3: *** Terzo brandello di storia (o sussurro di un folle sulla collina) ***
Capitolo 4: *** Quarto brandello di storia (o carezza di un folle sulla collina) ***
Capitolo 5: *** Quinto brandello di storia (o dolcezza di un folle sulla collina) ***



Capitolo 1
*** Primo brandello di storia (o vista di un folle sulla collina) ***


Primo brandello di storia (o vista di un folle sulla collina)

                                

 

-You live with straights who tell you you was king
Jump when your momma tell you anything
The only thing you done was yesterday
And since you're gone you're just another day
Ah, how do you sleep?
Ah, how do you sleep at night?-

 

In un morbido materasso, fra lenzuola candide e pulite, John respirava piano. Una mano sotto al cuscino, l'altra abbandonata a pochi centimetri dal viso inespressivo. Non dormiva, rifletteva in silenzio. Nella sua amata pace mille colori e suoni attraversavano la sua mente, senza che lui potesse farci niente. Ogni tanto corrugava la fronte quando qualcosa lo coglieva di sorpresa, e sembrava essere ritornato bambino con quelle labbra sottili appena socchiuse. I suoi lunghi e liberi capelli erano tanti piccoli fiumiciattoli che solcavano il cuscino, e chissà, magari John stava proprio sognando di navigare in qualche mondo dove niente è reale. Yoko era uscita giusto un attimo per sbrigare delle faccende, e lui si era addormentato fra quelle lenzuola che avvolgevano i suoi pensieri. Ogni tanto si soffermava su cose insensate, altre volte sulla sua adorata ragazza, altre ancora, anche se ciò gli faceva ribollire il sangue nelle vene, su Paul. Non era molto che aveva composto quella canzone in suo onore. “How do you sleep?” incoronava a dovere quel figlio di puttana, era la ciliegina sulla torta di gloria e meriti che quei pazzi dei suoi fans gli avevano costruito. Si girò su un fianco, un po' stizzito dall'idea che la sua mente potesse anche solo posarsi su quel bastardo che credeva amico. Si sistemò per bene sul cuscino nel vano tentativo di riuscire a dormire sul serio, quando qualcuno bussò alla porta. Fece finta di non sentir nulla, ma i rimbombi aumentavano sempre più veloci e così, stiracchiandosi e sbadigliando, inforcò gli occhiali che teneva sul comodino ed andò ad aprire a Yoko. Ondeggiò leggermente per la casa, fino a quando non scese le scale borbottando fra sé ed alcuni poster di Elvis che teneva in casa.
“Arrivo arrivo” mugugnò in risposta a quel rumore che la sua futura moglie faceva alla porta. Sì, l'avrebbe sposata, sarebbe stato fiero di prendere il suo cognome e lei il suo, e sì, avrebbero avuto un bel bambino o una bella bambina. Tutto loro, figlio del loro amore. L'avrebbe coccolata tutte le notti, l'avrebbe baciata ogni volta che ne avesse avuto l'opportunità, le avrebbe accarezzato i morbidi capelli. Le avrebbe dedicato delle canzoni, e le avrebbe finalmente sussurrato all'orecchio che l'amava.
“Yoko Cristo santo, certo che ogni tanto le chiavi di casa te le puoi anche portar dietro...” disse distogliendosi un attimo da quei travolgenti pensieri d'artista.“E poi amore” proseguì aprendo l'uscio “devi spiegarmi perché diavolo cont-”
“Ciao John”.
John si irrigidì.
John Lennon e un folle sulla collina.
 

 

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Capitolo 2
*** Secondo brandello di storia (o profumo di un folle sulla collina) ***


Secondo brandello di storia (o profumo di un folle sulla collina)

 

John in un primo momento non spiaccicò parola, né si mosse. Lo fissava con la bocca semi aperta e quello sguardo tagliente e dolce insieme di chi non capisce e ha paura.
E come lui, Paul aveva paura. Nelle sue labbra serrate e nelle sue palpebre appena abbassate, lui aveva paura. Si mise le mani in tasca, continuò a fissare John negli occhi all’apparenza inespressivi, poi gli chiese di poter entrare.
“Tu scherzi vero?” si sentì rispondere con una mezza risatina.
Continuò a guardarlo, sempre con quell'espressione in volto difficile da analizzare persino quasi per lo stesso, profondo Lennon.
“John” esclamò dunque nel tono più calmo possibile “vorrei entrare un momento. Solo un momento. E questa volta non è per litigare. Sul serio”.
Un momento, solo un momento. John si rigirò quelle parole nella mente, come se dietro quell’insieme di suoni ci fosse un enigma da risolvere.

“Ok Paul” rispose appoggiandosi allo stipite della porta come per sbarrargli il percorso “mettiamo subito in chiaro le cose: se vuoi farmi le tue scuse, puoi farmele. Le accetterò. Ma non puoi entrare in casa mia. I vecchi tempi sono finiti, e credo di averlo ribadito già troppe volte. Quindi, se vuoi dirmi qualcosa, fallo adesso, e poi sei pregato di andartene via e di vivere la tua vita come meglio credi”.
Paul si rigirò quelle parole nella mente, ma dietro quell’insieme di suoni, nessun enigma.
“E' quello che intendo fare John” proseguì sempre controllando le sue emozioni. Sapeva fin troppo bene che quel testone avrebbe reagito così. “Ma per farlo, devo prima parlarti. Ti prego John, fammi entrare. Su tutto ciò che ho, ti prometto che non alzerò la voce, e se lo farai tu ti ascolterò. Non dirò nulla su Yoko, o su di te, o su qualsiasi altra scelta tu abbia intenzione di fare. Davvero John, per quanto tu mi possa odiare, mi conosci bene e sai che non ti sto prendendo per il culo. Ti prego”.
Lennon e una domanda assillante: accontentarlo oppure no?
“Sei tu che non mi conosci bene Paul, io non ti odio. E' che con la tua seppur carina faccia tosta mi hai ferito. Mi sono sentito offeso, mi sono sentito come un povero idiota che si è fatto fregare per tutto questo tempo. Ma questo tu non lo capisci. E qualsiasi disco schifoso che tu possa comporre non ha il diritto di giudicarmi. Non ce l’ha affatto”.

“Mi dispiace” fu l'unica cosa che riuscì a dire Paul guardandosi la punta delle scarpe come un adolescente in imbarazzo. “Mi dispiace John. Ma abbiamo sbagliato entrambi”.
In un attimo, silenzio. Poi un sospiro profondo. Ecco, lo aveva fatto, si era lasciato trasportare dalla rabbia e dal dolore che provava.
Il bassista strinse gli occhi, li strinse in attesa di sentirsi la porta sbattergli in faccia o la puntura di altre parole pulsanti di veleno.
“Che siano solo un paio di minuti”.
John si tolse di mezzo ed entrò in casa sua, davanti all'espressione stupita di Paul che non credeva di avercela davvero fatta. Questo, mezzo intimidito come non lo era mai stato, si rimise le mani nelle tasche dei pantaloni ed entrò nell'appartamento di Lennon e Ono, un luogo caldo ed accogliente, semplice e sopra le righe allo stesso tempo. I suoi passi risuonarono sul parquet rigato in qualche punto, e si guardò intorno quasi spaesato, come se quel posto non lo avesse mai visto.
Lennon, dopo aver chiuso la porta di casa, si appoggiò ad un tavolo lì vicino e lo fissò a braccia incrociate, in attesa che facesse la prima mossa. Sotto agli occhiali, uno sguardo nocciola e brillante.
L'altro smise di guardarsi attorno e un po' a disagio cominciò a parlare.
“John, ecco io... io sono qui per farti le mie dovute scuse. Ma queste te lo già fatte pochi secondi fa e-e quindi siamo a posto”
“Caspita Paul, hai la stessa profondità che avevi nel tuo bel disco. Per davvero, riconosco la firma!”
“No ehm, John, aspetta un momento. Io sono venuto qui perché vorrei, ehm..., io vorrei solo per un po' smetterla di punzecchiarci ed insultarci a vicenda”
“Hai cominciato tu caro”
“Non mi interessa chi diavolo ha cominciato, mi interessa solo che tu mi stia a sentire e che io possa parlare con la persona brillante e matura che ho sempre conosciuto!”

Non si accorse nemmeno che aveva cominciato ad alzare la voce. Chiese nuovamente perdono.
John si ammutolì di tutta fretta, anche se Paul poté giurare che nei suoi pensieri lo stava prendendo per un povero ruffiano e niente di più.
“Sono venuto qui John, per chiederti un favore, un ultimo favore”
Gli si avvicinò impaurito, come se quella stanza vuota fosse piena di mille persone e volesse fargli una confidenza in privato.

“Cosa ti fa pensare che io voglia accontentarti?”
Paul deglutì, serrò gli occhi e cercò di raccogliere tutto il coraggio che poteva avere in quella situazione.
“un ballo John” riuscì a dire con fatica. Ma gli uscì dalla gola quasi come un bisbiglio, un miscuglio di parole dette troppo velocemente per essere capite. Tremava, tremava così tanto, come se avesse dimenticato il cappotto in una serata di temporale.
“Come hai detto?!”
“Un b-ballo John” balbettò appena, ma questa volta fu più chiaro.

“Tu devi essere proprio suonato!!!”
“Ti prego John, solo questo favore. Non ti costa niente, Yoko non c'è, non dovrai dare spiegazioni a nessuno.”

L’altro non poté fare niente se non scoppiare in una risata che sapeva di disperazione, si passò le dita fra i capelli lunghi non credendo a quello che stava sentendo. Yoko non c’è. Incredibilmente patetico!
Paul si avvicinò ancora.
“Se fai questo per me, ti giuro, io ti giuro che sarà l'ultima volta che mi vedrai. Se fai questo per me, sparirò per sempre dalla tua vita, e se lo vorrai, dai tuoi ricordi. Se fai questo per me, io dopo uscirò di qui, e non ti disturberò più, non ti offenderò più, non ti attaccherò mai più. Potrai vivere la tua vita in pace con la tua Yoko, un'esistenza come meglio sogni. Ma fa questo per me John, solo questo. Fallo per tutto ciò che ricordi di bello con me” esplose implorante Paul afferrandolo per le spalle. “John... per favore”. I suoi occhi luccicavano, in un modo che non aveva mai visto, e quel lieve nodo alla gola che aveva bastò per convincere quel cocciuto di Lennon che stava dicendo la verità.
“Paul… sei davvero serio?”
“Sì” disse con il cuore che gli impazzava dentro.

John indugiò ancora, guardò qualsiasi cosa che non fosse quell’essere tremante davanti a lui, ma era difficile. Troppo difficile.
“D'accordo” rispose infine.
A Paul venne spontaneo di sorridere, sorridere come un bambino al parco giochi, e lo ringraziò con lo sguardo. Corse al giradischi di fianco al quale stavano una miriade di dischi, e chissà quanti altri erano nascosti in quella casa. Prese il primo 33 giri che gli capitò sotto mano. E come c'era da aspettarselo, era un lp di Elvis Presley. Ciò lo riportava indietro, a quando era poco più che un ragazzo, a quando entrambi erano poco più che dei ragazzi.
Lo mise sul piatto con cura, fece attenzione a posizionare la puntina, poi si rallegrò sentendo la prima canzone partire.
La musica risuonava in tutta la stanza, era una melodia dolce, non troppo esuberante né romantica, era semplicemente perfetta.
John si spostò dal tavolo e si vergognò sentendosi così impacciato. Paul gli stava di fronte, guardava per terra giocherellando con le dita e tentava di dire qualcosa che combattesse l’imbarazzo. Lo fece Lennon.
“Dio tutto ciò è ridicolo...” borbottò. “Allora... c-chi guida?” chiese rendendosi conto che non sapeva da che parte cominciare.
“Guidami tu”.
Il bassista rabbrividì quando percepì John prendergli la mano e condurlo a pochi centimetri dal suo corpo magro. Sentì l’altro suo braccio cingergli la vita, ma guardava per terra, ancora per terra.
Come gli era vicino Paul, si ritrovò a pensare il cantante. In meno di un secondo, si riempì del suo profumo, un'essenza leggera, così piacevole. Sapeva di gocce di pioggia, di pane, di un timido sorriso, di una chitarra accordata, di miele, di neve, di biscotti la mattina presto. Quell’odore gli faceva sparire la rabbia, lo purificava.
I due cominciarono a ballare piano.
“Non sono bravo in queste cose” aggiunse Lennon maledicendosi della sua goffaggine.
“Ma come, vuoi dirmi che con Yoko non hai mai ballato?” gli rispose l’altro con un sorrisetto e il cuore che gli faceva male.
“Ma certo, certo”

“E comunque vai molto bene”
“Ti ringrazio”

Trascorse ancora qualche istante, e nessuno dei due capiva davvero che stava capitando.
“Perché hai voluto ballare con me? Avresti potuto chiedermi qualsiasi altra cosa”
“Ma lo sai John, che io in fondo sono un po' matto”.

Ancora quel semplice profumo, ancora quel formicolio che non sapeva descrivere.
John e il profumo di un folle sulla collina.

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Capitolo 3
*** Terzo brandello di storia (o sussurro di un folle sulla collina) ***


Terzo brandello di storia (o sussurro di un folle sulla collina)

 

Paul e John continuarono a ballare in silenzio, cullati solo dalla musica che usciva dal giradischi e dal lieve profumo di entrambi. Ogni tanto capitava che Paul si perdesse a fissare i magnetici occhi nocciola dell’altro, e quando quest’ultimo se ne accorgeva, il bassista distoglieva immediatamente lo sguardo arrossendo come una ragazzina. Ballavano piano, senza alcuna fretta, ognuno perso nei propri pensieri, talmente tanto dispersi in una selva intricata di domande e speranze che a nessuno venne in mente che Yoko sarebbe potuta tornare da un momento all’altro. Che avrebbe detto se li avesse visti così? Che scusa avrebbe potuto inventare John? Ma dopotutto, nulla è reale.
Paul si sorprese a desiderare di potersi accoccolare sulla spalla di John per ascoltare il suo respiro, ma si sarebbe minimo beccato un cazzotto in faccia, dunque, era meglio rimanere a sognare.
“Paul…”
Si sentì risvegliare come da un lunghissimo sogno ad occhi aperti.
“Mmmh?” mugugnò lui distrattamente.
“La canzone è finita un minuto fa…”
“Oh” rimase stupito l’altro.

“Non credi che dovremmo…”
“Sì?”
“…fermarci…” indugiò John.
“Oh… certo certo”

Il volto del cantante si allargò in un piccolo sorriso, in qualche modo adorava vedere Paul in quello stato quasi da trip allucinante. Smisero di danzare, ma Paul era rimasto lì, e sembrava non voler lasciare la mano di John. Lo guardò con gli occhi quasi sorpresi, sorpresi che tutto fosse finito così velocemente. E non era solo alla canzone che si riferiva.
“Beh?” chiese John sempre con il sorriso.
“Beh cosa?”
“Il ballo è finito… non mi fai l’inchino?”
Paul si illuminò a sua volta di un sorriso, lo osservò beffardo e fece un inchino solenne.

“Molto bene” scherzò l’altro.
“Grazie…” disse semplicemente. Poi si voltò, ma John aveva capito fin troppo bene che qualcosa non andava, che non era così che dovevano finire le cose. Così gli mise una mano sulla spalla per invitarlo a voltarsi, ma l’altro sembrava non volergli dare retta. Gli si parò dunque di fronte per poter scherzare ancora un po’, quando scoprì i suoi occhi essere lucidi per quelle che sembravano lacrime. Le sue iridi erano diventate ancor più verdi da un pianto che voleva uscire, ma Paul cercava di far di tutto pur di non coprirsi, a suo parere, di ridicolo.
“Che stai facendo?” chiese il più grande.
Paul non gli rispose, anzi, tentò inutilmente di fargli credere che non stava per scoppiare a piangere. Sbatté le palpebre più volte, stese un falso sorriso e si diresse un po’ traballante verso il mangiadischi per interrompere la canzone seguente. Alzò la puntina, ma le sue mani tremavano e il disco per poco non gli scivolò per terra. Lo prese al volo e lo rimise a fatica nella custodia. Era proprio un pessimo attore.
Anche se gli dava le spalle, percepiva addosso a sé lo sguardo penetrante di Lennon, quello sguardo che in quel momento lo metteva così tanto a disagio. Cercò di sorridergli ancora, tirò su col naso e si diresse verso la porta, non riuscendo comunque a smettere di tremare come una foglia d’Autunno. Fu una fortuna il fatto che riuscì ad aggrapparsi al corrimano delle scale quando inciampò proprio sotto agli occhi dell’altro. Lennon continuava a stare zitto, ma la sua espressione parlava per lui. “So che stai pensando” disse un Paul a testa bassa “sì, mi comporto da quindicenne sentimentalista e dovrei crescere…”
“Sì Paul, dovresti”
L’altro scoppiò in un sorriso amaro.

“Non ti vedrò più John. Forse a te non te ne frega più nulla, ma per me è c-come…”
“Piantala di tremare Mccartney!!!” scoppiò John a pugni serrati.

“So che non basta” Paul alzò lo sguardo e Lennon sobbalzò quando gli vide le guance arrossate e le lacrime che gli imperlavano le lunghe ciglia “ma mi dispiace davvero… per tutto quello che…”
“Ti ho detto di piantarla! E smettila anche di piangere!!! Che cosa sei una donnicciola??”

Aveva cominciato ad alzare la voce, ma questo sembrava non urtare più di tanto quell’essere sull’orlo del caos. Passò qualche istante nel silenzio più totale, con una tensione che si tagliava col coltello. Il respiro di John era diventato irregolare, la voce di Paul ostacolata dal pianto minaccioso.
Paul non si muoveva, non parlava, non riusciva nemmeno a guardarlo. Avrebbe dovuto andarsene, ma il suo corpo sembrava non reagire alla propria mente.
“Cazzo dì qualcosa!!!” esplose infine il cantante. “Te ne stai lì come un imbecille e non capisco che cazzo tu voglia fare!”
Non udendo risposta, John perse quel poco di pazienza che gli era rimasta, strinse ancora di più i pugni e si fece trasportare dalla rabbia che aveva accumulato da mesi.
“E’ perché non mi rivedrai più Mccartney?? Eh??? Ma non spariamo puttanate, è ovvio che ci rivedremo! Nemmeno volendo riusciresti ad uscire dalla mia vita o io dalla tua! Perciò smettila di piangere!!”
Ma Paul scosse la testa arreso, e in un attimo, un singhiozzo lo tradì. Maledisse mentalmente sé stesso per questo. Pregò con tutto il cuore che fosse sfuggito all’attenzione e alla collera del più grande, ma purtroppo, non era andata così. La voce dell’altro si tramutò in un vero e proprio grido.

“SMETTILA DI PIANGERE HO DETTO!!!”
“PERCHÉ????” urlò a sua volta Paul senza più un briciolo di controllo su sé stesso. Ora le lacrime scendevano libere, così come la sua rabbia nei confronti di quelle urla insensibili.

“PERCHÉ NON  RIESCO A GUARDARTI PIANGERE!!!!” gridò l’altro a rimando.
Paul sgranò gli occhi, e fu di nuovo silenzio.
Lo vide dirigersi verso di lui, probabilmente per andare ad aprire la porta ed invitarlo ad uscire da casa sua. Ma quando gli fu vicino, le parole del bassista uscirono dalla gola senza che potesse farci niente.
“Perché ci siamo fatti questo?” sussurrò piangendo.
Lennon  rabbrividì sul posto.
Il sussurro di un folle sulla collina.
 

 

 

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Capitolo 4
*** Quarto brandello di storia (o carezza di un folle sulla collina) ***


Quarto brandello di storia (o carezza di un folle sulla collina)

 

“Come hai detto?” chiese John con la voce leggermente tremante.
“T-ti ho chiesto… perché ci siamo fatti così tanto male” ripeté piano Paul, lasciando che un altro singhiozzo lo tradisse.
“Sei stato tu” esclamò il cantante con la testa bassa “tu mi hai fatto del male!!!”
E prima che Mccartney potesse replicare o perlomeno realizzare che cosa stesse accadendo davanti a se, si sentì spingere violentemente all’indietro, perdendo l’equilibrio e precipitando a terra. Cadde sul pavimento freddo con un tonfo sordo e sembrava non avere alcuna intenzione di guardare in faccia Lennon, o alzarsi, o fare qualsiasi altra cosa che non fosse tentare di nascondere le lacrime.
 “Alzati” ringhiò l’altro “Avanti! Alzati!”
Paul puntò una mano a terra nel tentativo di accontentare John, ma fu proprio quest’ultimo ad afferrarlo per la felpa e a farlo tornare con poco garbo in piedi.
Lo scaraventò contro alla parete lì vicina facendolo gemere appena per l’urto.
“Sentimi bene!” gridò continuando a tener serrati i pugni nella sua felpa “Io ho deciso di farmi una vita dove tu non sei previsto!!! Hai capito bene!?”
“J-John…”
 “NON SEI PREVISTO!”
“J-John-“
“TU… Non sei…”
Ma John lo guardò piangere senza sosta, lo guardò versare lacrime nelle sue mani e sussurrare implorante il suo nome. Guardò quello sguardo disperato, quel cuore spezzato, quegli occhi verdi fissarlo e scavarlo dentro alla ricerca di qualcosa che brillasse. Guardò le sue labbra serrate cercare di reprimere i gemiti e i sussulti per il pianto, guardò le sue guance arrossate rigarsi di lacrime salate. Lo guardò tremare e respirare velocemente.
John, come se per la prima volta potesse vederci chiaro, mollò improvvisamente la presa e si gettò addosso a Paul in un abbraccio quasi violento che lo fece sussultare. Il bassista spalancò gli occhi avvertendo il corpo dell’altro stringerlo con tale energia, sentendo le sue dita affusolate strette alla sua schiena. Guardando gli occhiali tondi da vista giacere a terra a pochi centimetri da loro. Sentendolo piangere piano.
Paul gli accarezzò dolcemente i capelli e premette il palmo della sua mano contro la sua bocca in modo da non tradire altri singhiozzi. Per una volta, almeno per una volta, voleva dimostrarsi forte nei suoi confronti.
“Pauly…” bisbigliò John appoggiando il capo al petto dell’altro. E non appena sentì le morbide labbra di Paul stampargli un bacio sui capelli, lo strinse ancor più forte a se e scoppiò in un pianto a singhiozzi. Voleva dire qualcosa, voleva spiegare, ma il dolore non glielo permetteva. Strinse gli occhi piangendo come un bambino a cui hanno portato via il giocattolo preferito, e né Cynthia, né Yoko, né nessun altro nella sua vita lo aveva mai visto piangere in quel modo. Aprì la bocca nel tentativo di liberare un urlo che non voleva uscire.
Paul si avvicinò al suo orecchio quanto poté, nutrendosi del suo profumo, del suo respiro irregolare, di quella sensazione strana che lo aveva colpito sentendo la sua felpa bagnarsi a poco a poco. “Ti amo” soffiò semplicemente.
A John mancò un battito. Alzò la testa verso di lui, guardandolo dal basso come un bambino può contemplare il suo giocattolo ritrovato dopo tanti anni. Cercò di rimettersi completamente in piedi, avvicinò il suo volto a quello di Mccartney e non osò perdere un solo secondo a non guardarlo negli occhi, con quell’espressione disperata e stupita che sapeva tanto di zucchero. Prese il viso dell’altro fra le mani, entrò a contatto con la sua pelle accaldata, e continuò a perdersi in quei due universi brillanti colmi di lacrime. Percorse i suoi zigomi, lo sfiorò con il suo respiro caldo… poi schiuse le labbra sottili come se fosse il gesto più naturale del mondo. Inclinò il volto abbassando le palpebre… e…
Paul non poté far altro che posare le mani sulla sua schiena, facendolo rabbrividire appena. Avvertì la punta della sua lingua sfiorare timida la propria, poi piano piano la accarezzò dolcemente, impadronendosi del suo amore e dei suoi tormenti. Le ciglia di John gli solleticarono appena gli zigomi, ma era così piacevole, così dannatamente perfetto e magico. Significava forse questo salire sull’agognato Magical Mistery Tour? Paul gemette dal piacere.
I due abbandonarono quel bacio con un lieve schiocco, ma nessuno dei due aveva voglia di riaprire gli occhi alla realtà. Il più grande si accoccolò sull’incavo dell’altro e si lasciò trasportare dalle dita del bassista che avevano ripreso ad accarezzargli i lunghi capelli.
Who knows how long I've loved you…you know I love you still…” sussurrò Paul riducendo la voce quasi ad un bisbiglio. Quella voce leggera, adorabile, dolce come il miele.
“…will I wait a lonely lifetime… if you want me to, I will.
John avvicinò le labbra al suo collo e lasciò a Paul un bacio che lo fece sorridere.
… Love you forever and forever… love you with all my heart… love you whenever we're together… love you when we're apart...
John serrò gli occhi mandando giù un’amara verità, una dolorosa realtà che voleva strapparlo via da quel bellissimo sogno. Il fatto era che non potevano stare insieme. Non più, non potevano. Lo sapeva Paul, lo sapeva ancora meglio lui stesso. Lo sapevano gli altri due.
E Paul lo capì, capì a cosa stava pensando John. Così smise di cantare il suo amore e si limitò a stringerlo per quanto tempo gli era concesso farlo, lasciando che il più grande gli accarezzasse possessivo i fianchi.
“Ti amo tanto Pauly, e non te l’ho mai dimostrato…” ruppe il silenzio il cantante.
Sentì il suo Paul spostargli il volto con una mano e condurlo verso la sua bocca in un altro tenero bacio. “Tutti i giorni…” gli soffiò poi all’orecchio. John si fece scappare altre lacrime silenziose, mentre si lasciava trasportare dalle coccole dell'altro. La carezza di un folle sulla collina.

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Capitolo 5
*** Quinto brandello di storia (o dolcezza di un folle sulla collina) ***


Quinto brandello di storia (o dolcezza di un folle sulla collina)

 
“Vieni qui” gli disse Paul frugando nella tasca dei suoi pantaloni. Lennon inizialmente non seppe esattamente che stava per fare, fino a quando non lo vide tirar fuori un bianco fazzoletto di carta. Rimase fermo immobile a fissarlo mentre con cura gli asciugava le lacrime dalle guance. “Non vogliamo che Yoko ti veda così…” esclamò il bassista nascondendo meglio che poteva il dolore che provava nella sua anima. Continuò a picchiettare sul volto dell’altro, che arrossì appena e stese un sorriso affettuoso, quello che faceva per le persone speciali. Amava Paul, ma lo amava ancora di più quando si prendeva cura di lui. Quando finì, si rimise il fazzoletto stropicciato nella tasca, guardò ancora una volta quell’uomo che amava ed infine si spostò verso il tavolo del salotto. Sopra di esso stava un piccolo cesto con dentro frutta varia, profumata e succosa.
“Cosa farai adesso?” chiese John già immaginando quale sarebbe stata la dura risposta.
Paul si voltò con un piccolo sorriso. “Mantengo le promesse”
Allungò furtivo la mano verso quel cesto.
“Quindi q-questo è un addio, non è così?”
“Sì… ma sai una cosa? La parola addio mi ha sempre fatto un po’ schifo…” disse Paul nascondendosi qualcosa dietro alla schiena.

Si avvicinò verso di lui facendo scricchiolare il pavimento sotto ai suoi piedi.
“Non so proprio perché tu dica arrivederci… io preferisco dire ciao” esclamò tirandogli qualcosa di tondo e maturo. John lo afferrò al volo, e guardando incuriosito fra le sue mani, non riuscì proprio a non sorridere. Quante cose riflessero i suoi occhi nocciola.
“Ciao Pauly”
Questo gli rispose con uno dei suoi soliti occhiolini, mentre John già stava affondando i denti in quella mela verde. E ne sentiva tutta la dolcezza. La stessa di quel folle, folle Mccartney.
 
 



Attimi dopo il folle sulla collina scese dall’autobus magico e sparì dietro la porta pieghevole. John non lo rivide più.

















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 Non posso crederci. Ho portato a termine una storia!!!!!!!!!!!!!!! Non ci avrei mai scommesso X°D
Beh che dire, un grazie grande così a tutti quelli che hanno recensito questa piccola raccolta, che l'hanno seguita, che l'hanno inserita fra i preferiti o le ricordate, o che semplicemente l'hanno letta. Vi voglio bene, davvero! Se non ci fosse qualcuno che leggesse quello che scrivo o che lo commentasse, credo che a quest'ora avrei già abbandonato la scrittura (ma mai l'immaginazione!)
Quindi un abbraccio forte forte a chi ha amato o detestato questa storia, ai fans dei Beatles, ai Beatles (compresi quei due angioletti lassù) e, perchè no, anche a chi ancora aspetta di ricevere una bella mela verde!
Hugs and biscuits!
Ciocco




Songs: "How do you sleep?" - John Lennon, "Imagine"
           "I will"- Lennon/Mccartney, "The Beatles" (White Album)

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