How will we sleep tonight? di Willy Wonka (/viewuser.php?uid=110281)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo brandello di storia (o vista di un folle sulla collina) ***
Capitolo 2: *** Secondo brandello di storia (o profumo di un folle sulla collina) ***
Capitolo 3: *** Terzo brandello di storia (o sussurro di un folle sulla collina) ***
Capitolo 4: *** Quarto brandello di storia (o carezza di un folle sulla collina) ***
Capitolo 5: *** Quinto brandello di storia (o dolcezza di un folle sulla collina) ***
Capitolo 1 *** Primo brandello di storia (o vista di un folle sulla collina) ***
Primo
brandello di storia (o vista di un folle sulla collina)
-You live
with straights who tell you you was king
Jump when your momma tell you anything
The only thing you done was yesterday
And since you're gone you're just another day
Ah, how do you sleep?
Ah, how do you sleep at night?-
In
un morbido materasso, fra lenzuola
candide e pulite, John respirava piano. Una mano sotto al cuscino,
l'altra
abbandonata a pochi centimetri dal viso inespressivo. Non dormiva,
rifletteva
in silenzio. Nella sua amata pace mille colori e suoni attraversavano
la sua
mente, senza che lui potesse farci niente. Ogni tanto corrugava la
fronte
quando qualcosa lo coglieva di sorpresa, e sembrava essere ritornato
bambino
con quelle labbra sottili appena socchiuse. I suoi lunghi e liberi
capelli
erano tanti piccoli fiumiciattoli che solcavano il cuscino, e
chissà, magari
John stava proprio sognando di navigare in qualche mondo dove niente
è reale.
Yoko era uscita giusto un attimo per sbrigare delle faccende, e lui si
era
addormentato fra quelle lenzuola che avvolgevano i suoi pensieri. Ogni
tanto si
soffermava su cose insensate, altre volte sulla sua adorata ragazza,
altre
ancora, anche se ciò gli faceva ribollire il sangue nelle
vene, su Paul. Non
era molto che aveva composto quella canzone in suo onore. “How
do you sleep?”
incoronava a dovere quel figlio di puttana, era la ciliegina sulla
torta di
gloria e meriti che quei pazzi dei suoi fans gli avevano costruito. Si
girò su
un fianco, un po' stizzito dall'idea che la sua mente potesse anche
solo
posarsi su quel bastardo che credeva amico. Si sistemò per
bene sul cuscino nel
vano tentativo di riuscire a dormire sul serio, quando qualcuno
bussò alla
porta. Fece finta di non sentir nulla, ma i rimbombi aumentavano sempre
più
veloci e così, stiracchiandosi e sbadigliando,
inforcò gli occhiali che teneva
sul comodino ed andò ad aprire a Yoko. Ondeggiò
leggermente per la casa, fino a
quando non scese le scale borbottando fra sé ed alcuni
poster di Elvis che teneva
in casa.
“Arrivo
arrivo” mugugnò in risposta a
quel rumore che la sua futura moglie faceva alla porta. Sì,
l'avrebbe sposata,
sarebbe stato fiero di prendere il suo cognome e lei il suo, e
sì, avrebbero
avuto un bel bambino o una bella bambina. Tutto loro, figlio del loro
amore.
L'avrebbe coccolata tutte le notti, l'avrebbe baciata ogni volta che ne
avesse
avuto l'opportunità, le avrebbe accarezzato i morbidi
capelli. Le avrebbe
dedicato delle canzoni, e le avrebbe finalmente sussurrato all'orecchio
che l'amava.
“Yoko
Cristo santo, certo che ogni tanto
le chiavi di casa te le puoi anche portar dietro...” disse
distogliendosi un
attimo da quei travolgenti pensieri d'artista.“E poi
amore” proseguì aprendo
l'uscio “devi spiegarmi perché diavolo
cont-”
“Ciao John”.
John si irrigidì.
John
Lennon e un folle sulla collina.
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Capitolo 2 *** Secondo brandello di storia (o profumo di un folle sulla collina) ***
Secondo
brandello di storia (o profumo di un folle
sulla collina)
John
in un primo momento non spiaccicò parola, né si
mosse. Lo fissava con la bocca
semi aperta e quello sguardo tagliente e dolce insieme di chi non
capisce e ha
paura.
E
come lui, Paul aveva paura. Nelle sue labbra serrate e nelle sue
palpebre
appena abbassate, lui aveva paura. Si mise le mani in tasca,
continuò a fissare
John negli occhi all’apparenza inespressivi, poi gli chiese
di poter entrare.
“Tu
scherzi vero?” si sentì rispondere con una mezza
risatina.
Continuò
a guardarlo, sempre con quell'espressione in volto difficile da
analizzare
persino quasi per lo stesso, profondo Lennon.
“John”
esclamò dunque nel tono più calmo possibile
“vorrei entrare un momento. Solo un
momento. E questa volta non è per litigare. Sul
serio”.
Un momento, solo un momento. John si rigirò quelle parole
nella mente, come se
dietro quell’insieme di suoni ci fosse un enigma da
risolvere.
“Ok
Paul” rispose appoggiandosi allo stipite della porta come per
sbarrargli il
percorso “mettiamo subito in chiaro le cose: se vuoi farmi le
tue scuse, puoi
farmele. Le accetterò. Ma non puoi entrare in casa mia. I
vecchi tempi sono
finiti, e credo di averlo ribadito già troppe volte. Quindi,
se vuoi dirmi
qualcosa, fallo adesso, e poi sei pregato di andartene via e di vivere
la tua
vita come meglio credi”.
Paul
si rigirò quelle parole nella mente, ma dietro
quell’insieme di suoni, nessun
enigma.
“E'
quello che intendo fare John” proseguì sempre
controllando le sue emozioni.
Sapeva fin troppo bene che quel testone avrebbe reagito
così. “Ma per farlo,
devo prima parlarti. Ti prego John, fammi entrare. Su tutto
ciò che ho, ti
prometto che non alzerò la voce, e se lo farai tu ti
ascolterò. Non dirò nulla
su Yoko, o su di te, o su qualsiasi altra scelta tu abbia intenzione di
fare. Davvero
John, per quanto tu mi possa odiare, mi conosci bene e sai che non ti
sto
prendendo per il culo. Ti prego”.
Lennon
e una domanda assillante: accontentarlo oppure no?
“Sei tu che non mi conosci bene Paul, io non ti odio. E' che
con la tua seppur
carina faccia tosta mi hai ferito. Mi sono sentito offeso, mi sono
sentito come
un povero idiota che si è fatto fregare per tutto questo
tempo. Ma questo tu
non lo capisci. E qualsiasi disco schifoso che tu possa
comporre non ha
il diritto di giudicarmi. Non ce l’ha affatto”.
“Mi
dispiace” fu l'unica cosa che riuscì a dire Paul
guardandosi la punta delle
scarpe come un adolescente in imbarazzo. “Mi dispiace John.
Ma abbiamo
sbagliato entrambi”.
In
un attimo, silenzio. Poi un sospiro profondo. Ecco, lo aveva fatto, si
era
lasciato trasportare dalla rabbia e dal dolore che provava.
Il
bassista strinse gli occhi, li strinse in attesa di sentirsi la porta
sbattergli
in faccia o la puntura di altre parole pulsanti di veleno.
“Che
siano solo un paio di minuti”.
John
si tolse di mezzo ed entrò in casa sua, davanti
all'espressione stupita di Paul
che non credeva di avercela davvero fatta. Questo, mezzo intimidito
come non lo
era mai stato, si rimise le mani nelle tasche dei pantaloni ed
entrò
nell'appartamento di Lennon e Ono, un luogo caldo ed accogliente,
semplice e
sopra le righe allo stesso tempo. I suoi passi risuonarono sul parquet
rigato
in qualche punto, e si guardò intorno quasi spaesato, come
se quel posto non lo
avesse mai visto.
Lennon,
dopo aver chiuso la porta di casa, si appoggiò ad un tavolo
lì vicino e lo
fissò a braccia incrociate, in attesa che facesse la prima
mossa. Sotto agli
occhiali, uno sguardo nocciola e brillante.
L'altro
smise di guardarsi attorno e un po' a disagio cominciò a
parlare.
“John,
ecco io... io sono qui per farti le mie dovute scuse. Ma queste te lo
già fatte
pochi secondi fa e-e quindi siamo a posto”
“Caspita Paul, hai la stessa profondità che avevi
nel tuo bel disco. Per
davvero, riconosco la firma!”
“No ehm, John, aspetta un momento. Io sono venuto qui
perché vorrei, ehm..., io
vorrei solo per un po' smetterla di punzecchiarci ed insultarci a
vicenda”
“Hai cominciato tu caro”
“Non mi interessa chi diavolo ha cominciato, mi interessa
solo che tu mi stia a
sentire e che io possa parlare con la persona brillante e matura che ho
sempre
conosciuto!”
Non
si accorse nemmeno che aveva cominciato ad alzare la voce. Chiese
nuovamente perdono.
John
si ammutolì di tutta fretta, anche se Paul poté
giurare che nei suoi pensieri lo
stava prendendo per un povero ruffiano e niente di più.
“Sono venuto qui John, per chiederti un favore, un ultimo
favore”
Gli si avvicinò impaurito, come se quella stanza vuota fosse
piena di mille
persone e volesse fargli una confidenza in privato.
“Cosa
ti fa pensare che io voglia accontentarti?”
Paul
deglutì, serrò gli occhi e cercò di
raccogliere tutto il coraggio che poteva
avere in quella situazione.
“un
ballo John” riuscì a dire con fatica. Ma gli
uscì dalla gola quasi come un
bisbiglio, un miscuglio di parole dette troppo velocemente per essere
capite. Tremava,
tremava così tanto, come se avesse dimenticato il cappotto
in una serata di
temporale.
“Come
hai detto?!”
“Un b-ballo John” balbettò appena, ma
questa volta fu più chiaro.
“Tu
devi essere proprio suonato!!!”
“Ti prego John, solo questo favore. Non ti costa niente, Yoko
non c'è, non
dovrai dare spiegazioni a nessuno.”
L’altro
non poté fare niente se non scoppiare in una risata che
sapeva di disperazione,
si passò le dita fra i capelli lunghi non credendo a quello
che stava sentendo.
Yoko non c’è. Incredibilmente patetico!
Paul
si avvicinò ancora.
“Se
fai questo per me, ti giuro, io ti giuro che sarà l'ultima
volta che mi vedrai.
Se fai questo per me, sparirò per sempre dalla tua vita, e
se lo vorrai, dai
tuoi ricordi. Se fai questo per me, io dopo uscirò di qui, e
non ti disturberò
più, non ti offenderò più, non ti
attaccherò mai più. Potrai vivere la tua vita in
pace con la tua Yoko, un'esistenza come meglio sogni. Ma fa questo per
me John,
solo questo. Fallo per tutto ciò che ricordi di bello con
me” esplose
implorante Paul afferrandolo per le spalle. “John... per
favore”. I suoi occhi
luccicavano, in un modo che non aveva mai visto, e quel lieve nodo alla
gola
che aveva bastò per convincere quel cocciuto di Lennon che
stava dicendo la
verità.
“Paul…
sei davvero serio?”
“Sì” disse con il cuore che gli
impazzava dentro.
John
indugiò ancora, guardò qualsiasi cosa che non
fosse quell’essere tremante
davanti a lui, ma era difficile. Troppo difficile.
“D'accordo”
rispose infine.
A
Paul venne spontaneo di sorridere, sorridere come un bambino al parco
giochi, e
lo ringraziò con lo sguardo. Corse al giradischi di fianco
al quale stavano una
miriade di dischi, e chissà quanti altri erano nascosti in
quella casa. Prese
il primo 33 giri che gli capitò sotto mano. E come c'era da
aspettarselo, era
un lp di Elvis Presley. Ciò lo riportava indietro, a quando
era poco più che un
ragazzo, a quando entrambi erano poco più che dei ragazzi.
Lo
mise sul piatto con cura, fece attenzione a posizionare la puntina, poi
si
rallegrò sentendo la prima canzone partire.
La
musica risuonava in tutta la stanza, era una melodia dolce, non troppo
esuberante né romantica, era semplicemente perfetta.
John
si spostò dal tavolo e si vergognò sentendosi
così impacciato. Paul gli stava
di fronte, guardava per terra giocherellando con le dita e tentava di
dire
qualcosa che combattesse l’imbarazzo. Lo fece Lennon.
“Dio
tutto ciò è ridicolo...”
borbottò. “Allora... c-chi guida?”
chiese rendendosi
conto che non sapeva da che parte cominciare.
“Guidami
tu”.
Il
bassista rabbrividì quando percepì John
prendergli la mano e condurlo a pochi centimetri
dal suo corpo magro. Sentì l’altro suo braccio
cingergli la vita, ma guardava
per terra, ancora per terra.
Come
gli era vicino Paul, si ritrovò a pensare il cantante. In meno di un
secondo, si riempì del
suo profumo, un'essenza leggera, così piacevole. Sapeva di
gocce di pioggia, di
pane, di un timido sorriso, di una chitarra accordata, di miele, di
neve, di
biscotti la mattina presto. Quell’odore gli faceva sparire la
rabbia, lo
purificava.
I
due cominciarono a ballare piano.
“Non
sono bravo in queste cose” aggiunse Lennon maledicendosi
della sua goffaggine.
“Ma
come, vuoi dirmi che con Yoko non hai mai ballato?” gli
rispose l’altro con un
sorrisetto e il cuore che gli faceva male.
“Ma certo, certo”
“E
comunque vai molto bene”
“Ti ringrazio”
Trascorse
ancora qualche istante, e nessuno dei due capiva davvero che stava
capitando.
“Perché
hai voluto ballare con me? Avresti potuto chiedermi qualsiasi altra
cosa”
“Ma lo sai John, che io in fondo sono un po' matto”.
Ancora
quel semplice profumo, ancora quel formicolio che non sapeva descrivere.
John
e il profumo di un folle sulla collina.
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Capitolo 3 *** Terzo brandello di storia (o sussurro di un folle sulla collina) ***
Terzo
brandello di storia (o sussurro di un folle sulla collina)
Paul
e John continuarono a ballare in silenzio, cullati solo dalla musica
che usciva
dal giradischi e dal lieve profumo di entrambi. Ogni tanto capitava che
Paul si
perdesse a fissare i magnetici occhi nocciola dell’altro, e
quando quest’ultimo
se ne accorgeva, il bassista distoglieva immediatamente lo sguardo
arrossendo
come una ragazzina. Ballavano piano, senza alcuna fretta, ognuno perso
nei
propri pensieri, talmente tanto dispersi in una selva intricata di
domande e
speranze che a nessuno venne in mente che Yoko sarebbe potuta tornare
da un
momento all’altro. Che avrebbe detto se li avesse visti
così? Che scusa avrebbe
potuto inventare John? Ma dopotutto, nulla è reale.
Paul
si sorprese a desiderare di potersi accoccolare sulla spalla di John
per
ascoltare il suo respiro, ma si sarebbe minimo beccato un cazzotto in
faccia,
dunque, era meglio rimanere a sognare.
“Paul…”
Si
sentì risvegliare come da un lunghissimo sogno ad occhi
aperti.
“Mmmh?”
mugugnò lui distrattamente.
“La
canzone è finita un minuto fa…”
“Oh” rimase stupito l’altro.
“Non
credi che dovremmo…”
“Sì?”
“…fermarci…”
indugiò John.
“Oh… certo certo”
Il
volto del cantante si allargò in un piccolo sorriso, in
qualche modo adorava
vedere Paul in quello stato quasi da trip allucinante. Smisero di
danzare, ma
Paul era rimasto lì, e sembrava non voler lasciare la mano
di John. Lo guardò
con gli occhi quasi sorpresi, sorpresi che tutto fosse finito
così velocemente.
E non era solo alla canzone che si riferiva.
“Beh?”
chiese John sempre con il sorriso.
“Beh
cosa?”
“Il
ballo è finito… non mi fai
l’inchino?”
Paul si illuminò a sua volta di un sorriso, lo
osservò beffardo e fece un
inchino solenne.
“Molto
bene” scherzò l’altro.
“Grazie…”
disse semplicemente. Poi si voltò, ma John aveva capito fin
troppo bene che
qualcosa non andava, che non era così che dovevano finire le
cose. Così gli
mise una mano sulla spalla per invitarlo a voltarsi, ma
l’altro sembrava non
volergli dare retta. Gli si parò dunque di fronte per poter
scherzare ancora un
po’, quando scoprì i suoi occhi essere lucidi per
quelle che sembravano
lacrime. Le sue iridi erano diventate ancor più verdi da un
pianto che voleva
uscire, ma Paul cercava di far di tutto pur di non coprirsi, a suo
parere, di
ridicolo.
“Che
stai facendo?” chiese il più grande.
Paul
non gli rispose, anzi, tentò inutilmente di fargli credere
che non stava per
scoppiare a piangere. Sbatté le palpebre più
volte, stese un falso sorriso e si
diresse un po’ traballante verso il mangiadischi per
interrompere la canzone
seguente. Alzò la puntina, ma le sue mani tremavano e il
disco per poco non gli
scivolò per terra. Lo prese al volo e lo rimise a fatica
nella custodia. Era
proprio un pessimo attore.
Anche
se gli dava le spalle, percepiva addosso a sé lo sguardo
penetrante di Lennon,
quello sguardo che in quel momento lo metteva così tanto a
disagio. Cercò di
sorridergli ancora, tirò su col naso e si diresse verso la
porta, non riuscendo
comunque a smettere di tremare come una foglia d’Autunno. Fu
una fortuna il
fatto che riuscì ad aggrapparsi al corrimano delle scale
quando inciampò
proprio sotto agli occhi dell’altro. Lennon continuava a
stare zitto, ma la sua
espressione parlava per lui. “So che stai pensando”
disse un Paul a testa bassa
“sì, mi comporto da quindicenne sentimentalista e
dovrei crescere…”
“Sì
Paul, dovresti”
L’altro scoppiò in un sorriso amaro.
“Non
ti vedrò più John. Forse a te non te ne frega
più nulla, ma per me è
c-come…”
“Piantala di tremare Mccartney!!!”
scoppiò John a pugni serrati.
“So
che non basta” Paul alzò lo sguardo e Lennon
sobbalzò quando gli vide le guance
arrossate e le lacrime che gli imperlavano le lunghe ciglia
“ma mi dispiace
davvero… per tutto quello che…”
“Ti ho detto di piantarla! E smettila anche di piangere!!!
Che cosa sei una
donnicciola??”
Aveva
cominciato ad alzare la voce, ma questo sembrava non urtare
più di tanto
quell’essere sull’orlo del caos. Passò
qualche istante nel silenzio più totale,
con una tensione che si tagliava col coltello. Il respiro di John era
diventato
irregolare, la voce di Paul ostacolata dal pianto minaccioso.
Paul
non si muoveva, non parlava, non riusciva nemmeno a guardarlo. Avrebbe
dovuto
andarsene, ma il suo corpo sembrava non reagire alla propria mente.
“Cazzo
dì qualcosa!!!” esplose infine il cantante.
“Te ne stai lì come un imbecille e
non capisco che cazzo tu voglia fare!”
Non
udendo risposta, John perse quel poco di pazienza che gli era rimasta,
strinse
ancora di più i pugni e si fece trasportare dalla rabbia che
aveva accumulato
da mesi.
“E’
perché non mi rivedrai più Mccartney?? Eh??? Ma
non spariamo puttanate, è ovvio
che ci rivedremo! Nemmeno volendo riusciresti ad uscire dalla mia vita
o io
dalla tua! Perciò smettila di piangere!!”
Ma Paul scosse la testa arreso, e in un attimo, un singhiozzo lo
tradì.
Maledisse mentalmente sé stesso per questo. Pregò
con tutto il cuore che fosse
sfuggito all’attenzione e alla collera del più
grande, ma purtroppo, non era
andata così. La voce dell’altro si
tramutò in un vero e proprio grido.
“SMETTILA
DI PIANGERE HO DETTO!!!”
“PERCHÉ????” urlò a sua volta
Paul senza più un briciolo di controllo su sé
stesso. Ora le lacrime scendevano libere, così come la sua
rabbia nei confronti
di quelle urla insensibili.
“PERCHÉ
NON RIESCO A
GUARDARTI PIANGERE!!!!”
gridò l’altro a rimando.
Paul
sgranò gli occhi, e fu di nuovo silenzio.
Lo
vide dirigersi verso di lui, probabilmente per andare ad aprire la
porta ed
invitarlo ad uscire da casa sua. Ma quando gli fu vicino, le parole del
bassista uscirono dalla gola senza che potesse farci niente.
“Perché
ci siamo fatti questo?” sussurrò piangendo.
Lennon
rabbrividì
sul posto.
Il
sussurro di un folle sulla collina.
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Capitolo 4 *** Quarto brandello di storia (o carezza di un folle sulla collina) ***
Quarto
brandello di storia (o carezza di un folle sulla collina)
“Come
hai detto?” chiese John con la voce leggermente tremante.
“T-ti
ho chiesto… perché ci siamo fatti così
tanto male” ripeté piano Paul, lasciando
che un altro singhiozzo lo tradisse.
“Sei
stato tu” esclamò il cantante con la testa bassa
“tu mi hai fatto del male!!!”
E
prima che Mccartney potesse replicare o perlomeno realizzare che cosa
stesse
accadendo davanti a se, si sentì spingere violentemente
all’indietro, perdendo
l’equilibrio e precipitando a terra. Cadde sul pavimento
freddo con un tonfo
sordo e sembrava non avere alcuna intenzione di guardare in faccia
Lennon, o
alzarsi, o fare qualsiasi altra cosa che non fosse tentare di
nascondere le
lacrime.
“Alzati”
ringhiò l’altro “Avanti!
Alzati!”
Paul
puntò una mano a terra nel tentativo di accontentare John,
ma fu proprio
quest’ultimo ad afferrarlo per la felpa e a farlo tornare con
poco garbo in
piedi.
Lo
scaraventò contro alla parete lì vicina facendolo
gemere appena per l’urto.
“Sentimi
bene!” gridò continuando a tener serrati i pugni
nella sua felpa “Io ho deciso
di farmi una vita dove tu non sei previsto!!! Hai capito
bene!?”
“J-John…”
“NON SEI
PREVISTO!”
“J-John-“
“TU…
Non sei…”
Ma
John lo guardò piangere senza sosta, lo guardò
versare lacrime nelle sue mani e
sussurrare implorante il suo nome. Guardò quello sguardo
disperato, quel cuore
spezzato, quegli occhi verdi fissarlo e scavarlo dentro alla ricerca di
qualcosa che brillasse. Guardò le sue labbra serrate cercare
di reprimere i
gemiti e i sussulti per il pianto, guardò le sue guance
arrossate rigarsi di
lacrime salate. Lo guardò tremare e respirare velocemente.
John,
come se per la prima volta potesse vederci chiaro, mollò
improvvisamente la
presa e si gettò addosso a Paul in un abbraccio quasi
violento che lo fece
sussultare. Il bassista spalancò gli occhi avvertendo il
corpo dell’altro stringerlo
con tale energia, sentendo le sue dita affusolate strette alla sua
schiena. Guardando
gli occhiali tondi da vista giacere a terra a pochi centimetri da loro.
Sentendolo
piangere piano.
Paul
gli accarezzò dolcemente i capelli e premette il palmo della
sua mano contro la
sua bocca in modo da non tradire altri singhiozzi. Per una volta,
almeno per
una volta, voleva dimostrarsi forte nei suoi confronti.
“Pauly…”
bisbigliò John appoggiando il capo al petto
dell’altro. E non appena sentì le
morbide labbra di Paul stampargli un bacio sui capelli, lo strinse
ancor più
forte a se e scoppiò in un pianto a singhiozzi. Voleva dire
qualcosa, voleva
spiegare, ma il dolore non glielo permetteva. Strinse gli occhi
piangendo come
un bambino a cui hanno portato via il giocattolo preferito, e
né Cynthia, né Yoko,
né nessun altro nella sua vita lo aveva mai visto piangere
in quel modo. Aprì
la bocca nel tentativo di liberare un urlo che non voleva uscire.
Paul
si avvicinò al suo orecchio quanto poté,
nutrendosi del suo profumo, del suo
respiro irregolare, di quella sensazione strana che lo aveva colpito
sentendo
la sua felpa bagnarsi a poco a poco. “Ti amo”
soffiò semplicemente.
A
John mancò un battito. Alzò la testa verso di
lui, guardandolo dal basso come
un bambino può contemplare il suo giocattolo ritrovato dopo
tanti anni. Cercò
di rimettersi completamente in piedi, avvicinò il suo volto
a quello di
Mccartney e non osò perdere un solo secondo a non guardarlo
negli occhi, con
quell’espressione disperata e stupita che sapeva tanto di
zucchero. Prese il
viso dell’altro fra le mani, entrò a contatto con
la sua pelle accaldata, e continuò
a perdersi in quei due universi brillanti colmi di lacrime. Percorse i
suoi
zigomi, lo sfiorò con il suo respiro caldo… poi
schiuse le labbra sottili come
se fosse il gesto più naturale del mondo. Inclinò
il volto abbassando le
palpebre… e…
Paul
non poté far altro che posare le mani sulla sua schiena,
facendolo rabbrividire
appena. Avvertì la punta della sua lingua sfiorare timida la
propria, poi piano
piano la accarezzò dolcemente, impadronendosi del suo amore
e dei suoi
tormenti. Le ciglia di John gli solleticarono appena gli zigomi, ma era
così
piacevole, così dannatamente perfetto e magico. Significava
forse questo salire
sull’agognato Magical Mistery Tour? Paul gemette dal piacere.
I
due abbandonarono quel bacio con un lieve schiocco, ma nessuno dei due
aveva
voglia di riaprire gli occhi alla realtà. Il più
grande si accoccolò sull’incavo
dell’altro e si lasciò trasportare dalle dita del
bassista che avevano ripreso
ad accarezzargli i lunghi capelli.
“Who knows how long I've loved you…you
know I
love you still…” sussurrò
Paul riducendo la voce quasi ad un bisbiglio.
Quella voce leggera, adorabile, dolce come il miele.
“…will
I wait a lonely lifetime… if you want me to, I will.”
John
avvicinò le labbra al suo collo e lasciò a Paul
un bacio che lo fece sorridere.
“…
Love you forever and forever… love you with all my
heart… love you
whenever we're together… love you when we're apart...”
John
serrò gli occhi mandando giù un’amara
verità, una dolorosa realtà che voleva
strapparlo via da quel bellissimo sogno. Il fatto era che non potevano
stare
insieme. Non più, non potevano. Lo sapeva Paul, lo sapeva
ancora meglio lui
stesso. Lo sapevano gli altri due.
E
Paul lo capì, capì a cosa stava pensando John.
Così smise di cantare il suo
amore e si limitò a stringerlo per quanto tempo gli era
concesso farlo,
lasciando che il più grande gli accarezzasse possessivo i
fianchi.
“Ti
amo tanto Pauly, e non te l’ho mai
dimostrato…” ruppe il silenzio il cantante.
Sentì
il suo Paul spostargli il volto con una mano e condurlo verso la sua
bocca in
un altro tenero bacio. “Tutti i giorni…”
gli soffiò poi all’orecchio. John si
fece scappare altre lacrime silenziose, mentre si lasciava trasportare
dalle coccole dell'altro. La carezza di un folle sulla collina.
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Capitolo 5 *** Quinto brandello di storia (o dolcezza di un folle sulla collina) ***
Quinto
brandello di storia (o dolcezza di un folle sulla collina)
“Vieni
qui” gli disse Paul frugando nella tasca dei suoi pantaloni.
Lennon
inizialmente non seppe esattamente che stava per fare, fino a quando
non lo
vide tirar fuori un bianco fazzoletto di carta. Rimase fermo immobile a
fissarlo mentre con cura gli asciugava le lacrime dalle guance.
“Non vogliamo
che Yoko ti veda così…”
esclamò il bassista nascondendo meglio che poteva il dolore che
provava nella sua anima. Continuò a picchiettare sul volto
dell’altro, che
arrossì appena e stese un sorriso affettuoso, quello che
faceva per le persone
speciali. Amava Paul, ma lo amava ancora di più quando si
prendeva cura di lui.
Quando finì, si rimise il fazzoletto stropicciato nella
tasca, guardò ancora
una volta quell’uomo che amava ed infine si spostò
verso il tavolo del salotto.
Sopra di esso stava un piccolo cesto con dentro frutta varia, profumata
e
succosa.
“Cosa
farai adesso?” chiese John già immaginando quale
sarebbe stata la dura
risposta.
Paul
si voltò con un piccolo sorriso. “Mantengo le
promesse”
Allungò
furtivo la mano verso quel cesto.
“Quindi
q-questo è un addio, non è
così?”
“Sì… ma sai una cosa? La parola addio
mi ha sempre fatto un po’ schifo…” disse
Paul nascondendosi qualcosa dietro alla schiena.
Si
avvicinò verso di lui facendo scricchiolare il pavimento
sotto ai suoi piedi.
“Non
so proprio perché tu dica arrivederci… io
preferisco dire ciao” esclamò
tirandogli qualcosa di tondo e maturo. John lo afferrò al
volo, e guardando
incuriosito fra le sue mani, non riuscì proprio a non
sorridere. Quante cose
riflessero i suoi occhi nocciola.
“Ciao
Pauly”
Questo
gli rispose con uno dei suoi soliti occhiolini, mentre John
già stava affondando
i denti in quella mela verde. E ne sentiva tutta la dolcezza. La stessa
di quel
folle, folle Mccartney.
Attimi
dopo il folle sulla collina scese dall’autobus magico e
sparì dietro la porta
pieghevole. John non lo rivide più.
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Non
posso crederci. Ho portato a termine una storia!!!!!!!!!!!!!!! Non ci
avrei mai scommesso X°D
Beh
che dire, un grazie grande così a tutti quelli che hanno
recensito questa piccola raccolta, che l'hanno seguita, che l'hanno
inserita fra i preferiti o le ricordate, o che semplicemente l'hanno
letta. Vi voglio bene, davvero! Se non ci fosse qualcuno che leggesse
quello che scrivo o che lo commentasse, credo che a quest'ora avrei
già abbandonato la scrittura (ma mai l'immaginazione!)
Quindi
un abbraccio forte forte a chi ha amato o detestato questa
storia, ai fans dei Beatles, ai Beatles (compresi quei due angioletti
lassù) e, perchè no, anche a chi ancora aspetta
di ricevere una bella mela verde!
Hugs
and biscuits!
Ciocco
Songs:
"How do you sleep?" - John Lennon, "Imagine"
"I
will"- Lennon/Mccartney, "The Beatles" (White Album)
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