L'Alchimia del Fuoco

di La Sarus
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Un temporale ***
Capitolo 2: *** L'erede ***
Capitolo 3: *** Una scienza che intrecciò due destini ***
Capitolo 4: *** L'alchimista e il cecchino. ***
Capitolo 5: *** Saggio alla fiamma ***



Capitolo 1
*** 1. Un temporale ***


“La tua Leggenda Personale è quello che hai sempre desiderato fare

 

 

 

“La tua Leggenda Personale è quello che hai sempre desiderato fare. Tutti, all'inizio della gioventù, sanno qual è la propria Leggenda Personale. In quel periodo della vita tutto è chiaro, tutto è possibile, e gli uomini non hanno paura di sognare e di desiderare tutto quello che vorrebbero veder fare nella vita. Ma poi, a mano a mano che il tempo passa, una misteriosa forza comincia a tentare di dimostrare come sia impossibile realizzare la Leggenda Personale. Sono le forze che sembrano negative, ma che in realtà ti insegnano a realizzare la tua Leggenda Personale. Preparano il tuo spirito e la tua volontà. Perché esiste una grande Verità su questo pianeta: chiunque tu sia o qualunque cosa tu faccia, quando desideri una cosa con volontà, è perché questo desiderio è nato nell'anima dell'Universo. Quella cosa rappresenta la tua missione sulla terra.
l'Anima del Mondo è alimentata dalla felicità degli uomini. O dall'infelicità, dall'invidia, dalla gelosia. Realizzare la propria Leggenda Personale è il solo dovere degli uomini. Tutto è una sola cosa. E quando desideri qualcosa, tutto l'Universo cospira affinché tu realizzi il tuo desiderio.

Paulo Coelho _ L’alchimista

 

 

 

 

 

Un temporale

 

“Prima viene la pietra che non beve e non mangia, 
poi viene il cielo, il cielo che non ha la forma, 
poi viene l'albero che non teme l'inverno, 
poi viene il sole, il sole che mai si spegne, 
poi una lucertola che sta su un muro in campagna 

In quel piccolo paesino dell’est, la villa Hawkeye era forse l’abitazione più grande. Peccato che la famiglia che ci abitava era parecchio strana: la madre e la figlia sembravano solari ma il padre, “l’Alchimista”, non si faceva quasi mai vedere in paese e le finestre del suo laboratorio al primo piano erano perennemente accese anche nella notte.

 

Riza era una bambina educata e graziosa con tutti ma comunque abbastanza solitaria. Viveva da sola col padre in una grande casa con un grande giardino. Eppure, da quando sua madre era morta, quella casa era un po’ vuota e il padre, alchimista, sempre rinchiuso nel suo studio, dava poche attenzioni alla piccola. La mattina la piccola andava a scuola e passava i pomeriggi girovagando nei prati dietro casa. Pensava tanto alla mamma e proprio per quello preferiva uscire a giocare da sola piuttosto che restare nella grande dimora che le ricordava la madre in ogni sua caratteristica.

Un giorno di primavera arrivò un ragazzino al cancello della proprietà ed entrò raggiungendo la porta di casa; bussò. Naturalmente Riza andò ad aprire perché suo padre era nel suo studio. Si chiamava Roy ed era lì per l’apprendistato. Nel mentre il padre di Riza si era materializzato alle spalle della piccola per accogliere il nuovo arrivato. Riza non sapeva nulla di questo Roy ma il padre, quella sera, le spiegò che sarebbe rimasto lì con loro per qualche tempo perché voleva imparare ad usare l’alchimia e lui gli avrebbe fatto da maestro. Gli occhietti ambrati di Riza si illuminarono subito a quella notizia e si sentì felice, quella felicità improvvisa dei bambini che compare senza un perché. Il padre capì perfettamente che lei si sarebbe sentita meno sola e avrebbe pensato un po’ meno alla madre scomparsa; in fondo anche se lui non si occupava molto della bambina, intuiva che Riza soffriva un po’ di solitudine.

Da quel giorno Riza si divertì molto ad osservare da lontano il padre e Roy che si esercitavano nell’alchimia, ma lei non si avvicinava mai perché non voleva interrompere le lezioni. Quando Roy arrivò, Riza aveva più o meno otto anni e non le importava più di tanto dell’alchimia, anzi non gliene era mai importato un granchè per il semplice motivo che il padre non aveva mai fatto nascere nella piccola alcun interesse per la disciplina: il suo studio era sempre chiuso a chiave come a significare che l’alchimia dimorava lì e lì doveva restare. Roy era di qualche anno più grande di Roy ed era anche uno studente modello: leggeva sempre i suoi libri di alchimia e si esercitava spesso. I due andavano d’accordo: quando c’era bisogno di qualcosa in casa, andavano insieme al mercato a fare compere; d’estate, la sera quando faceva più fresco, andavano dietro la villa, nei campi, a cercare le lucciole. Berthold era felice perché Roy era l’unico amico della figlia: potevano sembrare due fratelli.

Gli anni passarono e quando Roy, all’età di quindici anni, terminò l’apprendistato, se ne andò da casa Hawkeye. Mentre preparava le valigie nella sua stanza, penso che quegli anni passati lì erano stati piacevoli; a volte aveva sentito la mancanza della sua matrigna ma quella casa era sempre stata molto accogliente. Era felice di saper padroneggiare l’alchimia e di essere entrato in una nuova famiglia perché in fondo lui non ne aveva mai avuto una. I suoi genitori erano morti quando lui aveva dieci anni: ricordava che gli erano mancati moltissimo nei mesi successivi. Però la sua matrigna gli voleva bene e il bambino si era presto abituato alla nuova vita. Da quando poi era arrivato a casa Hawkeye si sentiva sempre meno solo e sempre più circondato da persone che gli volevano bene.

            La notte prima della sua partenza ci fu un temporale; i tuoni e i fulmini riportarono alla mente di Roy una delle prime notti che aveva passato lì. Da piccolo aveva paura dei temporali e una delle prime notti che dormiva nel suo nuovo letto proprio non riusciva a prendere sonno. Allora era sceso in cucina a bere un thè accendendo una candela per non restare al buio. Dopo poco Roy vide sbucare nel buio corridoio la figura minuta di Riza che lo aveva sentiti scendere:

-Che cosa succede?

-Ho paura dei temporali.

Non era proprio una cosa da dire davanti ad una ragazzina: che “uomo” stava dimostrando di essere?Si vergognò un po’. Ma lei non lo aveva giudicato. Aveva spento la candela e lo aveva portato nel grande salotto al buio. Si erano seduti in terra e si erano avvolti in una coperta calda davanti alla grande finestra osservando il temporale che imperversava sulla campagna. Eppure là fuori la natura non sembrava opporsi a quella violenta tempesta: sembrava che fosse qualcosa di normale, qualcosa che faceva parte della natura stessa.

-Se vuoi diventare un alchimista non devi avere paura di nulla. Stanotte starai qui, sveglio, con me, finchè non ti sarà passata la paura del temporale.

In fondo, forse, quella di Riza era stata un’iniziativa molto infantile eppure quella sera a Roy passò la paura per il temporale, a forza di guardarlo. Era solo una faccia della natura, quella che lui avrebbe imparato a scomporre e ricomporre attraverso lo Scambio Equivalente; era vero: un alchimista non poteva avere paura della natura stessa! Quella notte era stata la prima occasione in cui Riza aveva aiutato Roy e mai lui si sarebbe immaginato che i loro destini, in futuro, si sarebbero di nuovo intrecciati a causa dell’Alchimia.

 

 

 

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Capitolo 2
*** L'erede ***


L’erede

L’erede

 

“Non delenda, non creanda lux est

et mutantur proprium

lux natura;

est lex primus

 

Da quando Roy se ne era andato, Riza aveva di nuovo iniziato a percepire quanto vuota fosse quella casa, come quando era piccola. Il giardino pareva enorme per non parlare di tutti quei campi che si estendevano nella campagna: ospitavano ad anni alterni coltivazioni di grano color oro, oppure di girasoli. Lei amava tanto quei fiori e li osservava per giornate intere: quelle piante seguivano il sole con la loro testolina come se volessero raggiungere decise un preciso obiettivo. Però la ragazza era felice di aver conosciuto Roy ed infatti, prima che lui partisse, gli aveva lasciato una foto in cui loro due e Berthold erano tutti e tre belli sorridenti.

Riza stava per compiere diciotto anni quando suo padre iniziò a passare sempre meno tempo nel suo studio. Sapeva che stava portando avanti degli studi sull’Alchimia del Fuoco ormai da anni, ma nulla di più dettagliato le era mai stato detto. Un giorno, a pranzo, all’improvviso l’alchimista le aveva rivelato di aver terminato la sua ricerca. Lei si sentì sollevata perché le sembrava che quello studio così lungo per suo padre stesse diventando una sofferenza. Gli domandò:

-Sei felice?

Ma lui rispose:

-Non proprio…

Berthold allora cominciò a raccontare alla figlia delle sue ricerche sull’Alchimia del Fuoco; lei non capì proprio tutto perché di scienza non se ne intendeva ma comprese che suo padre aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno per cui continuò ad ascoltarlo. Quell’alchimia che era stata oggetto delle sue ricerche si era rivelata essere un’arma a doppio taglio: utile sì, ma anche dannatamente potente. Riza sapeva che suo padre viveva per quella ricerca, per raggiungere la sua verità, quella verità che adesso si rivelava molto pesante e pericolosa.

            Adesso padre e figlia potevano passare più tempo insieme ma Berthold sembrava ogni giorno più triste e deperito; Riza un giorno ebbe il coraggio di chiedergli se stava bene e lui rispose:

-Quando capisci che tutti i tuoi ideali sono ormai infranti, è impossibile sentirsi in pace con se stessi; sono sicuro che un giorno lo capirai anche tu.

La figlia si sentì molto a disagio per quella risposta: veramente lei non poteva far nulla per suo padre? Veramente lei valeva così poco? Accorgendosi dell’amarezza che velava gli occhi della figlia, Berthold riprese:

- Piccola mia, tu sei la mia unica speranza, l’unica che potrà custodire il nostro segreto.

            Riza capì ben presto cosa intendeva suo padre: quella verità non poteva finire in mani sbagliate, altrimenti la sua forza distruttrice avrebbe potuto causare qualche catastrofe. Così lei sarebbe diventata l’erede dell’Alchimia del Fuoco che le sarebbe rimasta tatuata e impressa sulla schiena per tutta la vita. Quel tatuaggio Riza lo conosceva a memoria, anche se non poteva comprendere tutte le formule che conteneva: con uno specchio lo esaminava curiosa, soprattutto i primi tempi che lo aveva addosso. Oltre alla curiosità, la ragazza capì l’importanza di quel codice: lei non era solo l’erede di una ricerca alchemica ma la guardiana di una verità che aveva occupato tutta la vita di suo padre. Col passare del tempo, quel codice divenne una parte di sé e lei capì lo scopo di Berthold: se lui non le avesse spiegato il significato di tutti quei simboli, lei non avrebbe mai capito cosa significasse quel tatuaggio; ecco perché aveva preferito convertire in codice quella verità, così solo un Alchimista veramente meritevole e arguto avrebbe potuto interpretare l’Alchimia del Fuoco e farne un uso corretto. Si ricordava spesso delle solenni parole del padre:

- Io credo in te Riza: se mai incontrerai la persona giusta, le mostrerai la verità; ma sarai anche capace di tenere tutto questo celato, se necessario. E’ vero, tu non hai mai studiato l’alchimia ma credo che tu possa capire il potere che può scaturire da questa scienza: la natura e i suoi elementi possono passare così facilmente da una forma all’altra, così come dalla luce fioca di una candela possono scaturire le fiamme

 

 

NOTA: Sì, questo è un capitolo alquanto barboso (almeno a me sembra così)… Le citazioni in latino che ho usato e che userò le ho prese da un forum di FMA in cui una ragazza ha descritto e analizzato il tatuaggio di Riza (traducendo tutto ciò che è riuscita a vedere ingrandendo varie immagini del manga e dell’anime).

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Capitolo 3
*** Una scienza che intrecciò due destini ***


Una scienza che intrecciò due destini

Una scienza che intrecciò due destini

 

“Gli alchimisti sono esseri viventi che, durante tutta la loro esistenza, non possono fare a meno di andare alla ricerca della verità. Quando essi smettono di credere nei loro principi, allora l’ “Alchimista” muore.”

 

Era iniziato l’autunno: le foglie gialle, rosse e marroni cadevano già da qualche giorno dagli alberi del giardino per creare un tappeto soffice e scricchiolante sul terreno. L’aria era sempre più fresca e prima o poi sarebbe diventata fredda. Ma a Riza piaceva anche quella stagione, le piacevano più che altro i colori di quel periodo: erano caldi nonostante le temperature si abbassassero col passare del tempo. Quella mattina, la ragazza era poi ancora più serena perché suo padre si era alzato dal letto ed aveva ripreso a leggere qualche libro nel suo studio. Ormai da qualche tempo alla depressione di Berthold si era anche aggiunta una tosse invadente; il padre non aveva voluto vedere dottori benché la figlia lo avesse supplicato, infatti sosteneva che gli fosse rimasto poco da vivere e quel poco che restava voleva viverlo serenamente.  Riza si era presa un’ora di relax leggendo anche lei un libro nel grande salotto anche se non riusciva a scacciare del tutto le preoccupazioni riguardo alla salute del genitore. Sentì cigolare il cancello del giardino e dopo pochi secondi, qualcuno bussò alla porta; chi poteva essere? Lei di amici non aveva, solo qualche conoscenza; di vicini non ce n’erano perché la loro casa era abbastanza isolata; non si aspettava visite. Aprì subito e si trovò davanti un giovane poco più alto di lei, forse di qualche anno più grande, indossava una divisa blu scuro. Per un attimo Riza si chiese cosa potesse volere un militare da loro ma poi incrociò lo sguardo del soldato: occhi scuri e brillanti, gli occhi di un ragazzo che aveva conosciuto anni fa.

- Buongiorno Signor Mustang!

Nel suo saluto c’era una nota di felicità malinconica: quella era proprio una bella sorpresa e in pochi secondi Riza realizzò quanto il suo unico amico le fosse mancato in quegli anni. Roy si rese conto che quel sorriso era proprio il sorriso della bambina che aveva conosciuto anni addietro; aveva ancora un taglio di capelli corto, come una volta, e gli occhi grandi da cerbiatto, ambrati. Anche se la casa cadeva a pezzi e il giardino poteva essere definito una giungla, Roy si sentì a casa quando Riza lo accolse.

-Ciao Riza, è un piacere vederti

-Entri pure, a cosa devo questa visita?

-Tuo padre non ti ha detto che oggi sarei venuto?

Lei era perplessa:

-No

Disse semplicemente senza rancore né rabbia. Per qualche secondo, i due rimasero nell’ingresso della casa, in penombra, a scrutarsi in silenzio. Riza ruppe quel momento vuoto con molta naturalezza:

-Prima di salire da Berthold, vuole una tazza di thè? così possiamo parlare un po’.

-Volentieri…

            La ragazza pensò che era incredibile quanto Roy fosse rimasto il solito: lo sguardo deciso e il sorriso tranquillo; era come accogliere in casa un parente che non si vede da anni. I due parlarono per una buona mezz’ora e Roy si accorse che Riza continuava a dargli del “lei”, forse perché lui indossava un’uniforme, ma non se ne curò poiché era preso dalla chiacchierata. Il giovane le raccontò che con Berthold erano rimasti in contatto via lettera, ma Riza precisò che non ne sapeva nulla. Roy aveva deciso di arruolarsi e diventare un Alchimista di Stato. Lei ne aveva sentito parlare qualche volta da suo padre che li definiva i “Cani dell’Esercito” perché costretti ad usare l’alchimia anche per scopi militari. Quel giorno Roy si era recato a casa Hawkeye perché il suo maestro gli aveva scritto di dovergli parlare di una questione urgente: forse era semplicemente per il fatto che lui si fosse arruolato e a Berthold non era mai andata a genio la cosa. Prima che Roy si avviasse verso lo studio, la ragazza gli rivelò che suo padre non stava molto bene negli ultimi tempi ma la sua visita gli avrebbe sicuramente dato un po’ di vitalità.

            Roy si era già avviato verso scale che portavano al piano superiore, quando si fermò all’improvviso voltandosi con uno sguardo divertito verso Riza:

-Ho ancora quella foto che mi hai dato anni fa. Anche se sono passati tanti anni questo posto sa ancora di casa per me!

Riza non disse nulla limitandosi ad un’espressione soddisfatta. In fondo per Roy quella era proprio la verità. Si voltò e salì le scale con passo svelto: non vedeva l’ora di parlare col maestro.

            Nella mezz’ora successiva, Riza sfaccendò un po’ per casa udendo soltanto qualche stralcio della conversazione fra i due: naturalmente parlavano di alchimia e Roy voleva imparare qualcosa di più. La ragazza s’incuriosì: non è che per caso suo padre volesse svelare a Roy la sua verità? Da una parte si sentì sollevata: se così era, suo padre era in pace con se stesso; dall’altra si sentì un’idiota: un enorme tatuaggio le sarebbe rimasto inutilmente addosso per tutta la vita e suo padre non si sarebbe dimostrato coerente. Avvicinandosi alle scale, Riza intuì Berthold continuava a tenere un tono contrariato, sostenendo la sua argomentazione: l’Alchimia di Fuoco sarebbe rimasta segreta e non sarebbe mai stata rivelata, a maggior ragione ad un “Cane dell’Esercito”. Quando Riza udì quell’espressione dispregiativa, percepì un peso sulla sua schiena, come un masso che la stesse schiacciando: allora suo padre non voleva rivelare il suo segreto neppure al suo allievo? Anche se Roy fosse diventato un Alchimista di Stato, lei era sicura che avrebbe sempre fatto il bene per il popolo di Amestris e mai avrebbe usato in altro modo quella Verità. Forse era influenzata dal suo sguardo, lo sguardo di quel soldato che le aveva trasmesso una fiducia quasi fraterna e una stima profonda.. Mentre era persa nei suoi ragionamenti, Riza udì Roy strepitare dallo studio di sopra:

-Presto, qualcuno chiami un dottore!

            E fu in quel momento che la ragazza si sentì ancora più oppressa da un invisibile fardello sulla sua schiena, quasi fosse un presagio. Sapeva che suo padre si stava sentendo male, se lo sentiva. Corse su per le scale e spalancò la porta della stanza dove si trovavano i due. Troppo tardi: vide Roy che sorreggeva il corpo del suo maestro senza vita e con il volto intriso di sangue. Le gambe di Riza divennero di pietra ed anche tutto il suo corpo.

            Quello che successe dopo fu un tornado di eventi freddi e formali durante i quali Riza se ne restò rinchiusa nella sua camera, a sedere sul letto, con i muscoli di tutto il corpo irrigiditi e lo sguardo vuoto: per fortuna c’era Roy che si stava occupando di tutto. Sì, lei si era rivelata inutile in quel baccano perché sembrava quasi paralizzata e aveva perso momentaneamente l’uso della parola. Dopo qualche ora, la casa ricominciò a tacere. Sentì dei passi nel corridoio e poi la porta aprirsi lentamente. Le luci della sera fecero comparire sul pavimento un’ombra lunga e scura.

-Riza

Lei sollevò lo sguardo senza mostrare alcuna espressione sul volto, se ne restò seduta sul letto. Roy avrebbe voluto dirle che il giorno dopo si sarebbero tenuti i funerali ma non ne ebbe il coraggio: lo sguardo vuoto della ragazza conficcato nel suo, quasi lo spaventò. Era peggio delle lacrime, delle urla e di qualsiasi altra manifestazione di dolore, quello sguardo. Riza si alzò: sentì dentro di sé uno scricchiolio, come una diga che cede all’improvviso. Iniziò a piangere piano perché non voleva che Roy la vedesse troppo giù. Lui si tolse la giacca perché era sporca di sangue, la poggiò su una sedia, si avvicinò alla ragazza e la cinse in un abbraccio: voleva semplicemente nascondere le sue lacrime per non peggiorare la situazione. Roy chiuse gli occhi e capì che Riza era per lui un frammento scintillante, l’ultima traccia di una famigli che lui aveva trovato in quella casa anni fa. Restarono lì, fermi, in silenzio per un po’ perché a volte neanche il miglior oratore può esprimere a parole certi pensieri che si accalcano confusionari dentro di noi.

            Scese la notte. I due cenarono senza parlare molto e poi si spostarono nel salotto accanto alla cucina. Roy seduto su una poltrona con ancora addosso la camicia bianca da lavoro e i calzoni dell’uniforme, Riza sul divano. Restarono entrambi in silenzio guardando il cielo dalla grande finestra senza pensare a nulla. Poi la ragazza parlò con voce decisa:

-Lei ha sempre avuto nella mia vita un ottimo tempismo. Si è presentato qui nei momenti in cui mi sentivo sola. Grazie.

Roy non sapeva che rispondere quindi si limitò ad un profondo sospiro. Riza si sdraiò sul divano e chiuse gli occhi addormentandosi e non sognando alcunché: un sonno profondo e massiccio la trascinò giù, giù da qualche parte.

            La luce dell’alba era entrata dalla finestra a vetri e le aveva solleticato gli occhi per cui Riza si svegliò prestissimo la mattina dopo. Si ritrovò sul divano con addosso una coperta pesante e troppo corta per lei: era la sua coperta di quando era piccola; forse Roy non aveva trovato nulla di meglio in giro per coprirla: le venne da ridacchiare senza un motivo. Il Signor Mustang stava ancora dormendo. Riza lo osservò: era ancora sulla poltrona e si era lasciato scivolare un po’ giù allargando le gambe per stare più comodo, la testa piegata da una parte. Sembrava un bambino. Poteva quell’alchimia nelle sua mani diventare una terribile arma? Eppure il sesto senso di Riza le diceva che lui era la persona giusta, forse perché era uno dei pochi che era riuscito a penetrare nella sua vita.  L’Alchimia, la scienza che più di tutte si avvicinava alle leggi perfette e supreme della natura, aveva intrecciato i loro destini. Riza se ne accorse quella mattina, all’alba.

 

 

NOTA: Unica definizione che mi viene in mente per questo capitolo? Una mattonata! xD

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Capitolo 4
*** L'alchimista e il cecchino. ***


Riza doveva decidersi a mettere ordine in quella casa: cominciò dalla sua camera. Aprì uno dei cassetti del suo comodino e rimase un attimo stranita: era vuoto e conteneva solo un piccolo biglietto. Lo sollevò e vide che era ricoperto di polvere. Soffiò per mandarla via. “Roy Mustang”. Adesso ricordava: era il biglietto da visita che gli aveva lasciato il giorno del funerale di suo padre. “Per qualsiasi cosa puoi rivolgerti alle autorità in qualunque momento” così le aveva detto. Restò un attimo ferma, in piedi, con quel fogliettino in mano e le tornarono in mente ancora le parole di Roy. “Se potrò essere utile a questo paese e riuscirò a proteggere la gente con queste mani allora credo che ne varrà la pena”. E lei? Che cosa avrebbe fatto della sua vita? Decise di conservare quel biglietto. “I suoi sogni sono meravigliosi” aveva risposto lei stessa a Mustang. Quel pomeriggio fu la prima volta che ci pensò: arruolarsi, ricominciare tutto da capo, poter essere utili al proprio paese… non era opzione da scartare.

L’alchimista e il cecchino.

Era un altro villaggio di Ishbar. “Sparare, metterli con le spalle al muro e bruciarli”, questo era quello che faceva ormai da tempo e che anche quel giorno avrebbe dovuto fare la squadra dell’Alchimista di Fuoco. Sì, ogni squadra ne aveva uno di alchimisti: erano una sicurezza in più, delle vere e proprie armi umane. La squadra avanzava nei vicoli facendosi terra bruciata attorno: gli spari riuscivano pure a coprire le urla degli abitanti. Il maggiore era indietro e seguiva la squadra un po’ più da lontano: a lui sarebbe spettato il lavoro sporco. Disfarsi degli ultimi, quelli che avevano fatto resistenza. Roy camminava nelle strade percependo l’odore pungente del sangue; l’unica consolazione era quella di non avere ancora l’uniforme impregnata del fetore di fuoco e carne umana bruciata. Dovette d’un tratto accelerare il passo e poi correre perché aveva senti che i suoi reclamavano il suo aiuto.. Abbandonò una delle strade principali per affacciarsi nel vicolo da cui proveniva il richiamo. Una decina dei suoi erano con le spalle al muro, senza via di fuga, accerchiati da una ventina di ishbariani, armati. Non avrebbe di certo potuto utilizzare le fiamme perché se non le avesse controllate perfettamente avrebbe rischiato di carbonizzare anche i suoi uomini. Iniziò a percorrere a grandi passi il vicolo lungo e stretto delimitato da abitazioni ormai vuote. Poi sentì il flebile rumore di uno sparo, come se provenisse dall’alto e da lontano. Alzò automaticamente lo sguardo per cercare l’appostamento del cecchino e subito dopo guardò in fondo al vicolo, dove quelli di Ishbar cadevano uno dopo l’altro. I nemici apparvero disorientati e cinque di loro si diressero correndo verso la fonte di quegli spari: la più alta torre del villaggio. Adesso i suoi potevano cavarsela perché gli Ishbariani continuavano a cadere sotto i loro colpi e quelli del cecchino. Il maggiore non esitò sul da farsi e si precipitò ad inseguire gli altri che si dirigevano verso la torre. Li avrebbe sorpresi con una fiammata alle spalle. Peccato solo che quelli erano già arrivati alla torre e, dopo aver abbattuto una porta di legno, forse chiusa dall’interno, iniziarono a salire verso la cima. Roy arrivò in quel punto dopo pochi secondi e si affacciò sulle scale che salivano a chiocciola. Portò avanti entrambe le braccia e schioccò le dita in modo che le sue fiamme potessero iniziare a salire su. Sperò solo che quei bastardi non fossero già arrivati in cima, almeno sarebbero potuti bruciare prima che le fiamme raggiungessero anche il cecchino.

L’afa del deserto arrivava fino alla cima di quella sporca torre, ma il cecchino doveva concentrarsi sui suoi obiettivi Inginocchiato prendeva la mira neanche in un secondo e sparava, ripetendo l’azione a continuativamente, come se si fosse fuso con la sua arma. Smise di sparare: quelli sotto adesso potevano cavarsela. Più di dieci li aveva buttati giù con i suoi proiettili. Sospirò, come se respirare profondamente potesse alleggerire il suo corpo vessato dalle fatiche di quella guerra. Tap, tap, tapSubitò tornò sull’attenti, voltandosi assieme al suo fucile: qualcuno stava salendo e sicuramente aveva sfondato la porta giù; non si preannunciava niente di buono.

Le gambe del maggiore seguirono il suo schiocco dita e così anche lui cominciò a salire il più velocemente possibile. Attorno a lui tutto era avvolto dalla luce rossa e intensa delle fiamme e faceva un caldo tremendo: si aprì la giacca dell’uniforme per non soffocare. Quel fuoco gli bruciava l’ossigeno e qualsiasi altra cosa si trovasse davanti. Voleva verificare che i nemici fossero stati uccisi. Sentì delle urla più in su e poco dopo ne vide tre agonizzanti nel fuoco. Li scavalcò con agilità per non incendiarsi lui stesso. Ne mancavano due all’appello: sfregò di nuovo il pollice e il medio per generare nuove fiamme alchemiche.

Delle urla tremende ruppero il ritmo dei passi degli sconosciuti. Sentì la temperatura della stanza innalzarsi vertiginosamente e il suo respiro si fece più affannoso. Prima che potesse muoversi la porta che dava sulle scale si spalancò violentemente e due corpi in fiamme sfiorarono la punta del suo fucile. Uno si accasciò subito a terra ma l’altro procedeva nella sua direzione. Con freddezza gli sparò in fronte e quell’uomo, se uomo poteva ancora dirsi, cadde di schiena. Il respiro era sempre più affannoso e la stana in fiamme. Doveva fuggire o sarebbe stata la fine.  

Roy continuò a correre ma le fiamme non avevano mutato di intensità: sicuramente erano arrivate in cima. Ed infatti un groviglio di fuoco avvolgeva l’angusto spazio che seguiva le scale: un ottimo appostamento per un cecchino, un pasto veloce per le sue fiamme. Tra quei guizzi rossastri il maggiore sentì tossire forte e intravide un corpo che ancora si muoveva avvolto da un’uniforme militare. Afferò il braccio del cecchino e lo tirò forte a se’, buttandosi giù a capofitto per le scale fino a raggiungere il vicolo lì sotto.

Cercava di stare al passo con lui ma quelle falcate erano troppo lunghe in confronto alle sue. Rischiò di cadere più volte ma il braccio del maggiore sostenne quel corpo scoordinato. In quei pochi secondi in cui scese le scale, avrebbe voluto avere la forza di impugnare meglio il suo fucile per ficcare una pallottola in testa a quel bastardo che la precedeva. Sì, le stava salvando la vita ma dentro di lei bruciava una delusione senza fine. Quell’Alchimia alla fine chissà contro quanti nemici era stata usata e chissà quanti ne aveva uccisi! Ma lei lo sapeva che fra i due la colpa era solo sua: l’ingenua ragazzina incantata da un cane dell’esercito che si spacciava per un eroe. Quella ragazza adesso non esisteva più: adesso dentro di lei c’era una donna, spietata e fredda. Carambolarono entrambi a terra quando arrivarono giù nel vicolo. Il cecchino si tirò subito in piedi, animato da una rabbia violenta e strattonò il maggiore per un braccio per alzarlo. Per un attimo il suo viso fu a pochi centimetri da quello di Roy. Gli stessi occhi del bambino di molti anni fa: non sarebbe riuscita a torcergli neppure un capello. Quando lui fu in piedi, sbigottito, se la ritrovò davanti mentre esibiva il suo saluto militare.

“Signore, le devo la vita, ma sappi che se lei non fosse un mio superiore avrei preferito prenderlo a pugni per ore.”

I muscoli di Roy si contrassero tutti contemporaneamente: due occhi color del grano segnati dalla forza bruta della guerra, ma comunque quegli occhi nocciola che lui già conosceva. Se ne era già scappata. Rimase lì, solo, con le narici piene dell’odore di fuoco, sangue e cenere, mentre un’onda di tristezzagli invadeva la mente trascinando via qualsiasi pensiero positivo. Si portò una mano guantata sul viso. “Sono un’idiota: ho deluso lei. Ho deluso il mio maestro”.

Riza correva anche se non vedeva dove si stava dirigendo. Nella sua mente aveva soltanto l’immagine dei suoi guanti d’accensione con il cerchio alchemico del fuoco, sentiva il suo braccio dolorante per la stretta ferrea di Roy, percepiva il suo sguardo ancora conficcato nel suo. Si era fatta ingannare: lui era come gli altri, come lei, un assassino. Continuò a correre finche non le scivolò via tutta quella rabbia di dosso.

Nota: non ho mai narrato scene d’azione perciò non so quale sia il risultato xD L’episodio me lo sono inventata di sana pianta e rappresenta l’incontro alternativo di Roy e Riza a Ishbar

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Capitolo 5
*** Saggio alla fiamma ***


Saggio alla fiamma

Una decina di piccoli fuochi d’artificio erano allineati uno accanto all’altro in un campo e Roy stava per dar fuoco alle micce con il suo “guanto d’accensione”. Un semplice guanto sul quale, poco prima, aveva scarabocchiato in fretta e furia il cerchio dell’Alchimia del Fuoco. Il giovane era elettrizzato perché finalmente, dopo mesi di studi, era riuscito a cavar fuori qualcosa dal codice del suo maestro. Dopo aver sparato fiamme a destra e a manca nel giardino, sentiva il bisogno di “bruciare qualcosa” quindi si era recato nello studio di Berthold  per procurarsi il necessario. Riza se ne era rimasta lì fuori ad osservarlo. Il corpo di Roy era in fibrillazione: non riusciva a star fermo. Sentì che tornava dal piano di sopra scendendo le scale con poca grazia. Uscì in giardino e si sedette a gambe incrociate: aveva portato uno scatolone pieno di boccette contenenti ognuna delle polveri colorate.

“Ti hanno mai detto che i fuochi d’artificio sono enormi saggi alla fiamma?”

Riza lo fissò interrogativa, come se avesse davanti un pazzo. Lui sembrò un po’ scocciato.

“Insomma, ogni elemento chimico, se sottoposto alla combustione, produce una fiamma di colore diverso, no?”

Riza accennò un sorriso e l’altro riprese a smanettare con tutti i suoi attrezzi; il risultato furono, appunto, quei dieci piccoli fuochi d’artificio che aspettavano di essere accesi. Le aveva rovinato un guanto, rischiato di mandare in fiamme il giardino… sperava solo che non causasse altri danni con quei salsicciotti informi che aveva costruito. Poco più avanti, Roy si chinò, avvicinò il pollice all’indice, schioccò le dita e le fece scivolare lungo l’apice di tutte le micce. Il risultato fu una fiamma di proporzioni titaniche che fece schizzare in alto i razzetti. Roy corse indietro, avvicinandosi alla ragazza. La camicia bianca era tutta macchiata di nero e pure il viso appariva sporco.

“Credo che lei debba imparare a regolare la potenza di quelle fiamme…”

Ma Riza fu interrotta: i fuochi d’artificio terminarono il loro tragitto luminescente a zig zag nel cielo per aprirsi in un ventaglio di colori.

“Litio, sodio, bario e rame.”

Borbottò fra se’ Roy. E’ impazzito, pensò lei. S’accorse che lo stava guardando male.

“Il litio sprigiona il colore rosso, il sodio il giallo, il bario il verde,  il rame il blu!”

I suoi occhi neri brillavano d’eccitazione illuminando le sue guance sporche. Riza non immaginava certo che lui avrebbe reagito così alla fine dei suoi studi; quella situazione era alquanto strana e le veniva da ridere. Roy le appoggiò la mano guantata sulla spalla e si sentì un attimo in colpa per tutto il putiferio che aveva scatenato.

“E comunque non preoccuparti: ti regalerò un nuovo paio di guanti…”

Riza gli sorrise, sollevata del risultato di tutte quelle ore trascorse a scervellarsi. Una sola cosa le dispiaceva: adesso quell’Alchimista  se ne sarebbe andato e chissà se si sarebbero più rivisti.

 

Nota: l’ispirazione per questo capitolo mi è venuta guardando uno spettacolo pirotecnico a Forte dei Marmi per la Festa di Sant’Ermete (la fiera della città). Una mia amica mi dice sempre “i fuochi d’artificio sono solo dei saggi alla fiamma ma sono proprio belli”. Non so perché, ma quella sera mi è venuta in mente questa scenetta abbastanza irreale.  Comunque quello che avete letto è l’ultimo capitolo di questa raccolta di episodi perché Roy è appunto venuto a conoscenza dell’Alchimia del fuoco. Grazie a chi ha recensito (Hummingbird <3) e a chi ha letto! Alla prossima!

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