Lo stato delle cose

di heiligerShadowfax
(/viewuser.php?uid=48825)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


“In quello che è ormai lo stato delle cose, un uomo che dalla nascita fosse abbandonato a se stesso in mezzo agli altri sarebbe il più deforme di tutti” – Rousseau.
 
Prologo:un semplice ma curioso avvenimento che ha segnato l’inizio della nostra storia.
 
-ehi…-
-eh…?-
Due voci appena percettibili nella notte, tra sterpaglia secca e fichi d’india. Lontano il più possibile dalla città. Hanno camminato molto per arrivarci.
-che dici…me le fai vedere le lucciole?-
-siamo a ottobre, dove vuoi che le prenda? Non ce ne sono-
Due fratelli, due bambini, avvolti in vestiti troppo grandi per loro. La piccola sorellina è raggomitolata contro le gambe del fratello, lo guarda implorante, il visino corrucciato, pronta più che mai al suo ennesimo capriccio.
-lo sai che se non me le fai vedere io non posso dormire!-
-tu chiudi gli occhi, vedi che poi il sonno ti viene-, tedio nella voce del maggiore.
-eddai! Che ti costa? Solo per un po’!-
Il fratello sospira: -Cristo, Bea…ti farò crescere viziata da morire-. Accontenta i capricci della sorellina.
È lui il maggiore, è lui che deve occuparsi di entrambi, è lui che si è imposto di prendere, nel bene e nel male, nella sue scarse capacità, il ruolo che avrebbe dovuto essere di genitori ormai scomparsi. Quindi, nel bene o nel male, è lui che la deve viziare. Lei, che è tutto ciò che le resta.
Così il bambino solleva il dito indice, lo guarda annoiato. Pantomima che si ripete quasi ogni sera. Attorno al suo dito si crea un alone biancastro, formandosi da esalazioni si invisibile energia che sembra venire dalla terra. Un piccolo fuoco fatuo che inizia a svolazzare loro intorno, subito seguito da un terzo e da un quarto.
Piccole riverberi privi di significato per il ragazzetto. Grasse e divertenti lucciole per la bambina: il suo personale carillon.
I suoi occhi si fanno pesanti, il sonno arriva, ma arriva anche altro.
Cala su di loro come un’ombra.
Un’ombra che significa futuro.
Un uomo avvolto da un pastrano nero come la notte.
-tu, ragazzo, - voce ferma, autoritaria, nient’affatto sorpresa, eppure interessata, -dove hai imparato a fare quello?-
-non credo siano affari tuoi-, il ragazzino è pronto a scattare, anche a mordere se è necessario, tutto pur di proteggere la sorellina che ringhia come una cagnetta da grembo: -le lucciole lui le fa da sempre, ora vattene, o mio fratello ti fa andare a dormire con i vermi!-
-…lucciole?- L’ombra si contrae sotto quel cappuccio, forse assume la configurazione di un sorriso: -grosse minacce per dei bambini così piccoli-.
Sì, l’uomo ha sorriso.
 
Quell’uomo viene a loro con parole sconosciute.
Reclutatore: il suo incarico. Cosmo: qualcosa che, a quanto pare, il maggiore dei due possiede; la piccola forse è dotata solo di una buona dose di incoscienza.
Ed ancora…Santuario: una nuova casa. Potere, Onore, Gloria: un’offerta troppo allettante perché sia rifiutata.
 
Così accadde. Così i due fratelli si prepararono alla loro nuova vita. Così il bambino, anni dopo quell’incontro, comprese la vera natura di quei riverberi. Anni dopo ancora, il bambino divenuto ragazzo, comprese anche la natura del suo potere ed infine, il ragazzo divenuto uomo, ottenne una delle cariche più importanti alle quali potesse aspirare. Obliando il suo nome, pronto a conquistare realtà ben più alte: Death Mask. Gold Saint di Cancer.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo I ***


Capitolo I: dove meglio si conoscono i nostri protagonisti, si comprende che le apparenze ingannano e che una raccomandazione nella vita può non  essere tutto.
 
-Ci siamo. Ci siamo, fottuto bastardo. Ci siamo davvero… e non potrai fare nulla per fermarmi, non sta volta. -
Il riflesso nello specchio le rispose con un sorriso determinato. Le sopracciglia contratte, le labbra strette, gli indici pronti a compire il loro dovere: quel brufolo non sarebbe sopravvissuto un solo giorno di più.
Aveva deciso di spuntarle una settimana prima, sproprio sul mento, e che dovesse portare o meno la maschera, come era da regolamento per le aspiranti saint, Beatrix non tollerava quella puntina bianca nella maniera più assoluta.
-leva quelle mani, Bea-. La voce le arrivò da dietro le spalle ed allo specchio, accanto al suo viso, andò ad accostarsi quello del fratello. Stessi occhi, stessi capelli, stesso naso dritto, stesse labbra sottili, forse troppo sottili per una ragazza. Uguale era anche l’arco delle sopracciglia, forse, l’unica cosa che differiva erano le orecchie, Death Mask, a detta dei più, possedeva dei lobi dalla curva più tonda: le orecchie di mamma, diceva lui. Benché della madre ricordasse ben poco.
Death Mask le sorrideva, con quella solita aria beffarda e sarcastica che tanto adorava mostrare. In quegli anni di addestramento, soprattutto durante l’anno passato fuori dal santuario, era cambiato molto. Alto  più della sorella, le spalle larghe, un fisico asciutto, temprato dagli allenamenti, pronto per qualunque battaglia e dotato di un’invidiabile linea degli addominali, della quale andava molto orgoglioso. Qualche ruga in più sul volto da ragazzo cresciuto troppo in fretta ed uno squarcio sulla schiena, come se qualche belva avesse avuto la deliziosa idea di farsi le unghie sulla sua pelle e poi, non contenta, la gradita pensata di trascinarlo sulle roventi rocce delle pendici dell’Etna.
-più te li schiacci, più ti inguai. Non hai le tette, almeno cerca di non rovinarti la faccia-, a questo rilievo non molto delicato, la ragazzina arrossì visibilmente, incrociando gli occhi. Purtroppo per lei, i suoi quattordici anni le avevano offerto che un fisico immaturo, niente curve ed un accenno di seno quanto meno inutile. Eppure lei continuava ad affermare di essere la più figa del mondo…
-guarda, Bea, sei piena di chiazze rosse e croste, ringrazia che sei obbligata a portare una maschera, altrimenti nessun uomo con un po’ di cervello ti si filerebbe-.
Già, la maschera. Ne vogliamo parlare?
Inutile, puzzolente, sudicio ed insopportabile sudario da mettere in faccia. Così, tanto per farti respirare male. Il motivo? Una maschilista regola secondo la quale, essendo il mondo dei Saint riservato ai maschi, se una donna vuole entravi a far parte deve, per forza, celare la propria femminilità. Stronzate. E poi? Quella regola senza senso del “se un uomo ti vede in faccia o lo ami o lo uccidi?” Altre stronzate. Con suo fratello la regola non credeva valesse. Gli voleva abbastanza bene da amarlo e certe volte lo odiava talmente tanto da cercare di ucciderlo. Sentimenti abbastanza equilibrati. Non davano fastidio a nessuno. Ma per il resto? Inutile regola. Vecchio dogma scolpito su pietre consunte buone solo per vecchi devoti. E quella bella roba sulla parità dei sessi che andava tanto di moda nel mondo esterno?
No, a Beatrix la maschera proprio non piaceva.
Suo fratello gliela porse, Beatrix osservò insofferente il volto d’argento, tinto da una macchia blu sull’intera parte sinistra, aggraziata da una rientranza a mezzaluna sulla guancia: -e questo che significa? Me la vuoi far portare anche in casa?-
-Lungi da me costringerti a questa tortura-la rassicurò Death Mask. -ti sto solo offrendo di andare a vedere una cosa interessante-
-una cosa interessante quanto?-, Beatrice avvicinò la maschera al volto.
-un altro raccomandato come te-.
Questa sembrava una proposta allettante.
-Death, ma non te la metti la cloth?- chiese la ragazzina, quando entrambi passarono accanto all’altare della casa del cancro, prima di uscire.
-metterla?- Death Mask ne sembrava oscenamente disgustato -sei matta, Bea? La mia ragazza va protetta, se la metto tra la gente i pezzenti me la rovinano…no, assolutamente!  Vedermela addosso è un onore che va concesso solo a chi ha desiderio di morire per mano mia, eh…un po’ di cervello, insomma -.
Fu quello il momento in cui accadde uno dei tanti avvenimenti della vita che mai una persona riterrebbe davvero importante. Il caso volle che un misero pezzente avesse deciso proprio in quel momento di transitare per la loro strada. Un uomo dal portamento forse troppo fiero per quel misero mantello con il quale era vestito. Probabilmente arrancava cercando di conservare una minima parte di fierezza, nonostante la sua avvilente condizione. Urtò Beatrix, o meglio, fu lei ad urtare lui, dato la spallata che la ragazzetta rifilò al povero malcapitato. E nonostante questo, l’uomo si girò, movimenti di una controllata eleganza, il cappuccio gli scivolò di dosso: -perdonami, spero tu non ti sia fatta male-, cortesia quasi fastidiosa. Il gutturale ringhio nella gola di Beatrix non prometteva nulla di buono, ma la sua ira per essere stata così brutalmente assalita non trovò sfogo. L’uomo senza nome sollevò lo sguardo verso Death Mask, privo di nome quanto lui: -ossequi, Death Mask di Cancer-.
Quello fece spallucce, azzardò un ghigno -altrettanto…-.
E con un cenno del capo lo sconosciuto andò via. Beatrix attendeva poco pazientemente di sapere chi dunque fosse il troppo gentile tizio di prima. -niente, solo un fesso- ripose il fratello.
-direi un pezzente…- commentò Beatrix grattandosi quasi disgustata il braccio che lo aveva toccato -…però… begli occhi verdi…-.
-smettila di pensare agli occhi e restami il più vicino possibile…tutti sti masculi, ti pari attia ca mi susino a picciridda-.
 
Il raccomandato in questione era il giovane Aiolia, fratello del tanto decantato Aiolos, Gold Saint di Sagitter. Quel giorno, il rampollo doveva disputare un importante incontro nell’arena, quello che avrebbe deciso se era lui il prescelto ad indossare le sacre vestigia del leone. Per Death Mask non poteva esistere incontro più finto, e la cosa sembrava divertirlo parecchio. Mentre per Beatrix non esisteva più vivida speranza che un giorno sarebbe toccato anche a lei. Certo, nelle sue più sfrenate e modeste fantasie sognava di indossare un’armatura di pari grado a quella del fratello, e poco importava se, con Aiolia, i dodici posti alle case dello zodiaco erano tutti presi. Beatrix  non badava mai a queste sottigliezze. Prima o poi un posto si sarebbe liberato, la vita di un Saint era irta di pericoli!
La folla radunatasi quel giorno era più di quanto l’arena del Santuario potesse contenerne. Death Mask si guardava in torno ammirando quel pubblico atto di ruffianeria: -…uh, il fratello minore di Aiolos di Sagitter contro una recluta quanto meno sconosciuta. Non ho neanche mai visto il suo maestro…bah, è talmente palese a chi andrà la vittoria che mi viene da ridere…e poi fanno storia a me sull’onore a la correttezza, eh, sorellina?-
Beatrix annuì dando un calcio ad un ragazzetto seduto davanti a lei che le impediva una corretta visuale: -stai giù tu!-, gli aveva urlato. E quando quello si era girato per protestare sembrò decidere che, in fondo, non valeva la pena prendersela con una ragazzina così giovane, dopotutto, si sa, i ragazzi sono irrequieti quando attraversano la pubertà, ed è meglio lasciarli fare…soprattutto quando hanno di fianco un fratello quale Death Mask di Cancer.
-e se guardi da quella parte, sorellina…-, Death Mask avvolse le spalle di Beatrix con un braccio, accostò un sorriso mellifluo al suo orecchio, indicando gli spalti proprio di fronte a loro: -vedrai il resto dei miei esimi colleghi, tutti accorsi a fare il tifo per il futuro leoncino dorato-.
 
Se solo Death Mask non avesse mai indicato, probabilmente, il mondo intero ed un paio di persone di buon senso, si sarebbero risparmiate moltissime grande.
Purtroppo la sua sorellina guardò. Il fato volle che il suo sguardo cadesse su quello che le sembrò il più attraente pezzo di marcantonio che avesse mai visto. Volle anche che ai suoi occhi, la cloth di quel saint conferisse maestosità ed incredibile avvenenza al suo corpo. Ed infine volle che rimanesse ammaliata dai sottili occhi verdi, decisi e fermi, limpidi di una ferrea e pura determinazione che mai aveva visto negli occhi del fratello. Insomma, il fato volle troppe cose.
La bocca di quel saint si contrasse appena, un gioco di muscoli che rese ancor più decisa e virile la sua espressione. Sembrava contrariato da un suo compagno che continuava a punzecchiarlo con il gomito.
Era bello, quel ragazzo. Un’avvenente bellezza che le sarebbe rimasta impressa anche quella notte che, sicuramente, la giovane avrebbe passato totalmente insonne, abbracciata al primo cuscino che le sarebbe capitato a tiro. Era talmente bello agli occhi della ragazza che dimenticò totalmente che quella stessa mattina lo aveva chiamato pezzente…
Nella testa di Beatrix cominciò a suonare un fastidioso e ronzio accompagnato da un susseguirsi di scene smielate e romantiche, incorniciate da fiori in boccio. Scene che, ovviamente, avevano come protagonisti lei, il suo misterioso cavaliere e a tratti bianchi unicorni da cavalcare.
Non fece molto caso neanche all’incontro di Aiolia che si concluse come previsto con la vittoria di quest’ultimo.
Suo fratello, però, fece molto caso alla salivazione eccessiva che colava dai bordi della maschera e alla fastidiosa canzoncina che lei intonava.
Magari ti chiamerò trottolino amoroso, dudu-dadada…
 
Tornava saltellando verso la casa del cancro, la maschera in una mano, dimentica di ogni prudenza. Death Mask le veniva dietro poco convinto, le mani nelle tasche. Aspirava a pieni polmoni dalla sigaretta di contrabbando che si era concesso quel pomeriggio, mentre la sorellina si lanciava in piroette e volute da ballerina. Peccato che a lei la grazia mancasse di natura. Ci mancavano solo gli uccellini a cinguettarle intorno ed il grottesco spettacolo di sua sorella su di giri sarebbe stato davvero completo.
Death Mask riuscì a frenare il desiderio di prenderla a pugni fino al loro ritorno a casa:-ok…avanti, parla, cos’è successo? In questo santuario non sono ancora riuscito a trovare uno stupefacente abbastanza forte da rincitrullire in quel modo, secondo, tu non canti mai...e, per Athena…c’è un motivo se non l’hai mai fatto! Quindi…dimmi chi ti ha rincretinito in questo modo che gli cavo i denti uno ad uno…-. Tedio nella sua voce, eppure le sopracciglia aggrottate non lasciavano spazio ad immaginazione. Quando voleva Death Mask era capace anche di comportasi da bravo fratello protettivo. Forse anche troppo, dato che i suoi metodi di protezione potevano essere discutibili.
-e a te che importa?- la ragazza si lasciò andare in un sospiro. Death Mask stava per dare di stomaco. Troppo disgustoso! -Death…quando l’amore viene, viene, io che ci posso fare? Ho visto chiaramente nel mio futuro la più rosea delle felicità! E tu non spaccherai mai abbastanza denti per impedirmi di avere un ragazzo!-, lo canzonò lasciandosi andare ad un’altra piroetta. -uh, guarda, un tizio anonimo con una lettera viene da questa parte! Ah…ma è impossibile che ma la scriva già lui, ancora non sa dove abito…però, visto? È il destino! Anche lui mi avrà notata…che ti dicevo?-
-Mh…- Death Mask alzò le spalle -certo, una lettera d’amore portata da un messo del sacerdote. Mi pare sensato- . Sarcasmo puro.
Un uomo arrivò trafelato, porgendo una missiva alla fanciulla chiedendo -Siete voi Beatrice, sorella di Death Mask di Cancer?-. Beatrix, che aveva nuovamente indossato la maschera, s’irrigidì di colpo, sibilò un: -Beatrix…- ed il messo fu sicuro di vedere uscire del vapore dai piccoli fori delle narici. L’uomo si fece coraggio, la fama di quella piccola donna, troppo incline ad isterici sbalzi di umore, era arrivata fino ai limiti del santuario. Porse la pergamena, ritirandosi subito dopo, come se il rotolo tra le sue mani fosse divenuto rovente. -…questa è da parte del Gran Sacerdote, è di massima urgenza, dovete leggerla subito e organizzarvi in conseguenza agli ordini di Shion che…- non finì di parlare, Beatrix lo fece sussultare, che non fosse una lettera d’amore era di per se un fatto poco simpatico, ma che quello si mettesse a darle indicazioni su quello che doveva fare era irritante! Strappò il sigillo di lacca con impaziente violenza, srotolò e lesse biascicando un: -se se…ora lo leggo-
-uhm…vostra sorella…sembra essere serena-, si azzardò a sussurrare l’uomo a Death Mask.
-troppo-, rispose quello.
In un solo istante Beatrix capì molte cose. Prima di tutto comprese che la raccomandazione non era una cosa così scontata come aveva sempre creduto. In secondo luogo, si rese conto che quella piccola facezia delle gold cloth ormai assegnate era un ostacolo al suo piccolo ed infantile sogno di diventare la prima Gold Saint donna della storia del Santuario. Infine, con suo sommo rammarico, si rese conto che quella lettera faceva in tanti minuscoli pezzetti tutti quei sogni e fantasie sbocciate nel suo cure di fanciulla innamorata.
Unico modo per esprimere il suo disappunto per quella lettera non molto gradita era urlare: -Partire? Partire per dove? Partire quando? Quello è uscito di melone! Che minchia significa! Perché io? Perché a me? Dove minchia sta la Turingia? Che minchia è la Turingia? Death! Death! Il Sacerdote vuole spedirmi in culonia a recuperare un’armatura sepolta sotto chissà quale montagna di cacca! Death! Death! Death fai qualcosa!-
Bisogna essere comprensivi con una fanciulla in amore che vede finire di colpo tutte le sue fantasie. Bisogna essere comprensivi anche e soprattutto quando la rozza faccia del messo si trovò casualmente a sbattere contro uno dei suoi pugni. Death Mask, dal canto suo, rise. Rise di gusto. Una risata di petto. Forse per il perverso piacere di veder sfumare le speranze della sorella, oppure per la buffa scena dell’ambasciator che non porta pena, che aveva deciso così generosamente di far sfogare la povera creatura.
Perverso piacere, decisamente.
-Bea, menali più forti quei pugni, fai come ti ho insegnato! Così lo stordisci solamente!-.
 
Quella notte Beatrix non dormì. Dopo un ininterrotto pianto, un poco melodico sfogo sull’ingiustizia della vita ed una sfuriata che aveva compreso calci e pugni ai cuscini del suo letto, si era acquietata solo per mancanza di forze. Pretese di dormire accanto a suo fratello, come sempre accadeva quando era nervosa o arrabbiata con il mondo, ma non chiuse occhio.
Pensò molto, invece. Forse troppo.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo II ***


Capitolo II: Quando una ragazza innamorata prende una ferrea decisione è impossibile cambiarla.
 
E fu così che Beatrix, sorella minore di Death Mask di Cancer, decise di essere innamorata di Shura di Capricon. La cosa peggiore dell’adolescenza è che le ragazze si innamorano con la stessa avventatezza con la quale si truccano.
 
Adesso ricordava Shura, certo, suo fratello si allenava spesso con questo ragazzo appena più grande di lui. Saltava da un masso all’altro come uno stambecco sulle Alpi, con quelle gambette ossute e dinoccolate da marmocchio nel pieno della crescita. Tuttavia a quel tempo lei era troppo giovane per pensare di infatuarsi e lui troppo gracile ed insulso per attirare la sua attenzione.
Poi le cose cambiano, Shura conquista l’armatura del Capricorno, parte per un allenamento speciale in Spagna –o almeno così ricordava-, passa lì il tempo sufficiente perché lei si dimentichi della sua faccia e poi eccolo che torna. Cambiato da così a così, con spalle larghe da far invidia, torace ampio, gambe tornite come tronchi d’albero ed un sedere alto e sodo. Complimenti.
Per non parlare dei capelli, Beatrix adorava i capelli corti, secondo lei ogni bel ragazzo doveva avere capelli corti come quelli del fratello, disegnando i capelloni del santuario che, nonostante il suo giudizio, catturavano molti sguardi di deliranti fanciulle. E in altri casi anche fanciulli…
 
Inoltre Beatrix era arrivata ad un’età, nella quale, grazie ai fantasiosi racconti di suo fratello, alle barzellette oscene che sempre girano tra i ragazzi, conosceva già le basilari nozioni del sesso.
Così che, mentre si apprestava alla scalata delle Dodici Case –solo fino alla Decima, ovviamente- nella sua testa iniziava già a formarsi l’idea di quello che le sarebbe piaciuto fare con lui.
L’unico problema era arrivarci…da lui.
Beatrix scoprì ben presto che quegli infami scalini, erano una sfida molto, troppo grande per le sue capacità.
Si chiedeva chi fosse stato quell’architetto, allergico alla pianura, che aveva ideato degli scalini così alti e stretti e delle rampe così lunghe.
 
In tempo di pace poteva permettersi di transitare per le case dello zodiaco senza troppi problemi, annunciando la sua presenza. Il giovane Aiolia era troppo occupato con i festeggiamenti per la sua nuova carica per occuparsi di lei, Shaka di Virgo ignorò palesemente la sua presenza, Milo era fuori a folleggiare chissà con chi, mentre Aiolos di Sagitter si permise di rivolgerle un sorriso tranquillo quando la vide passare.
A questa gentilezza lei voltò il capo indignata, perché mai sarebbe caduta ai piedi del primo bell’imbusto che le faceva un sorriso da attore holliwoodiano. E poco importava che il sorriso in questione era un puro atto di pietà per le condizioni della ragazza, perchè arrivata alla Nona, Beatrix non era quello che si poteva dire un bello spettacolo: sudata da capo a piedi, macchiata sul petto e sotto le ascelle, i polpacci pieni di crampi, la maschera le impediva di respirare ed i capelli appiccicati sulla nuca e sulle spalle. Si trascinò a fatica verso quegli ultimi scalini infami, senza neanche rendersi conto che lo stava facendo strisciando.
 
Finalmente il piazzale d’ingresso del Decima le si palesò di fronte agli occhi. Sei colonne si dividevano l’ingresso ed il timpano triangolare, dove il simbolo del Capricorno era inciso in rilievo. Imperitura memoria di antichi retaggi.
Beatrix si scrollò un po’ di polvere di dosso, doveva fare bella figura. Si apprestava già ad avanzare baldanzosa quando vide qualcuno uscire dalla casa. Non poteva in alcun modo trattarsi di Shura, a meno che Shura non fosse rimpicciolito di quaranta centimetri, non si fosse fatto crescere dei riccioli color biondo cenere e non portasse una seconda. E i pettorali pompati non erano una scusa sufficiente.
Una bambolina di bassa statura, col faccino pulito, usciva fresca e tosta dalla casa del Capricorno. Poggiato su un fianco portava una cesta di vimini, colmo di indumenti. Questo a Beatrix non piacque.
Ritrovando di colpo tutte le energie spese per la salita, afferrò la pupetta per un braccio strattonandola violentemente.
-Ehi tu!- gracchiò, fermandola con mala grazia -che stai facendo? Che hai in quella cesta? Non credo sia roba tua! Da dove l’hai presa?-
La ragazza atterrita divenne cinerea, merda, era carina pure da spaventata. Balbettò qualcosa: -ma…veramente io…ero venuta solo a ritirare i panni da lavare, il sommo Shura aveva questi indumenti sporchi e così…-
-ah! Sono di Shura?  Quindi ti sei introdotta nella Decima Casa per rubargli i vestiti! Piccola delinquente perversa -
-…Ma me li ha dati lui, io devo solo lavarli e riportarglieli domani mattina!-
-bella scusa! Certo, ringrazia che io Beatrix, sorella del gold saint Death Mask, ti lasci andare…sono fin troppo generosa!-
L’ancella sbattè le palpebre dalle lunghe ciglia: -grazie- azzardò confusa più che spaventata.
-niente grazie! Non leccarmi il culo! Dov’è ora il sommo Shura?-
-credo…credo sia nella sua casa, io l’ho lasciato nei suoi appartamenti privati-
Beatrix la guardò a lungo, si avvicinò a pochi centimetri dal suo viso con fare minaccioso. Anche con la maschera, l’ancella Erika riusciva ad indovinare che la sua espressione non doveva essere delle migliori.
-uhm…- mugugnò Beatrix, alla fine di quello che doveva essere stato un lungo e profondo ragionamento. -…bene, piccola formica, sei fortunata che oggi non abbia voglia di sporcarmi le mani. Ma potrei cambiare idea se me ne darai ragione. Ci siamo capiti? Quindi, inutile ranocchia dalle zampe storte, adesso vattene, che ho cose più importanti per la testa, vai! E ringrazia che ti sia andata così bene…su!-
-s-sì- disse Erika, quando finalmente il braccio veniva liberato dalla morsa di Beatrix. La piccola guerriera guardò con soddisfazione il braccio dell’altra, contemplando soddisfatta i segni rossi delle sue dita che sarebbero rimasti almeno per un paio di giorni. Così imparava ad essere così carina.
-e un’altra cosa…-
Erika inchiodò, non sapeva se tremare di paura o altro.
-questo lo prendo io- disse Beatrix afferrando uno dei panni dalla cesta e nascondendoselo nel corpetto: -ed ora sparisci dalla mia vista. Fila, prima che ti ficchi ben bene un dito in un occhio!-.
E senza voltarsi indietro entrò nella Decima Casa.
 
-partirò-
-partirai?-
-sì…-
Lacrime, tante. Sia sul volto di lei che su quello di lui. Erano così tante e luminose da sembrare stelle cadenti
-tornerai presto?- la voce di lui era un sussurro, le mani stringevano quelle di Beatrix, una stretta calda, gentile, ma virile al tempo stesso.
-non lo so ma tu…tu mi aspetterai?-
-è crudele che il destino mi separi da te proprio ora che ti ho conosciuta, ma ti aspetterò, non dimenticherò mai il tuo viso-. La mano gentile di Shura le sollevò la maschera, finalmente vide il suo volto che aveva passato due interi giorni ad immaginare. Era bello, il più bello che lui avesse mai visto. -…domani partirai, ma questa notte è per noi…perciò rendiamola indimenticabile-. E con queste parola la sollevò tra le braccia possenti, tra esse Beatrix si sentiva leggera e senza peso, e quando lui la baciò lei seppe che era quella la vera ragione per cui era nata, per cui aveva atteso… era quanto di più meraviglioso potesse accaderle…
O almeno quanto di più meraviglioso stava accadendo nella sua testa.
 
-Si, succederà così…lo so, ne sono sicura-, si disse con coraggio, mentre si torturava le mani l’una con l’altra. Entrò nella casa con grande disinvoltura, lanciando qua e là qualche fugace occhiata. Durante quella lunga rampicata, si era resa conto, in maniera palese, che tutte le Case erano, a modo loro, diverse dalla Quarta. Niente volti urlanti alle pareti, niente nebbiolina evanescente che aleggia nel salone principale, niente disordine, niente mutande sparse sul mobilio. Doppi inquilini dalle pessime abitudini, doppio disordine.
Tuttavia l’ordine che Beatrix vide regnare nella casa del Capricorno aveva dell’incredibile. Non era quell’ordine mistico e minimalista della casa della Vergine. Ma un ordine maniacale…le cose sembravano disposte entro un ordine preciso, con rigore e logica. Se Bea avesse saputo far di conto come si deve, avrebbe scoperto che la distanza tra due oggetti era multiplo del perimetro delle pareti della stanza.
-¿niña, qué es lo que aquí?-.
-eh?-
La voce di Shura giunse dalle sue spalle, una voce dall’accento straniero, spagnolo. Beatrix rischiò di sciogliersi come burro. Certamente non era tipo che resisteva al fascino dell’hombre caliente*.
Si voltò, cercando di sporgere il più possibile il petto in fuori, sicura che la canotta che aveva preso dal cesto le conferisse almeno una misura in più, e che il sudore che le incollava gli indumenti al corpo la rendessero incredibilmente affascinante e sensuale.
-oh…Shura…saaalve- lo salutò con veemenza.
Il ragazzo aggrottò la fronte, ignaro del motivo che poteva spingere una ragazza a ridursi in quel misero stato di sudore e lerciume.
-ahm…salve, a cosa devo questa…ahm, visita- se di visita si poteva parlare.
-visita? O noo…sai…passavo per caso-, sospirò vaga.
-Entiendo …-, a Shura risultava difficile, molto difficile crederlo. Però risultò facile credere che Beatrix si fosse appena sottoposta ad un’estenuante allenamento. Era meraviglioso vedere una fanciulla così giovane, con un così chiaro fervore per il suo futuro ruolo di Saint! Correre lungo il percorso delle Case come allenamento era una cosa che le faceva più che onore. Era ammirevole, e Shura si sentiva onorato ad avere reclute così portate tra le schiere del Santuario!
Tuttavia non gradiva che una ragazzina così sporca ed unta avesse messo piede nella sua linda casa.
Seguì quindi un momento di totale silenzio, durante il quale Beatrix teneva lo sguardo devotamente fisso in un punto non indefinito sotto la cintura di Shura.
-posso, quindi…aiutarti in qualche modo?- chiese lui. Ecco l’occasione per Bea.
- sai…sto partendo…- un sospiro drammatico, la giusta intonazione nella voce, la mano che sale al petto, come a volersi reggere il cuore.
-… E quindi?-
Beatrix ingoiò a vuoto, il cuore iniziò a batterle non per l’emozione. Sentiva il sangue affluirle alla testa, come il vapore sale in una pentola a pressione.
-… E… E quindi… Non mi vuoi salutare?-
Shura aveva delle sopracciglia sottili, in perfetta armonia con gli occhi dal taglio allungato, un minimo cambiamento nella configurazione del suo viso ed ecco che quelle sopracciglia si incurvavano nella più disparata successione di espressioni. Tuttavia l’espressione di Shura in quel determinato momento era quanto di più differente da quella che Beatrix aveva immaginato.
-Ah, buona fortuna allora-.
No, qualcosa non quadrava. Dov’erano le lacrime? E le braccia forti e muscolose che dovevano sollevarla? Avanti, Shura, hai quei bei bicipiti, allora usali, maledizione!
Beatrix ebbe un lampo di genio. Pensò di togliersi la maschera, forse vedendo il suo viso tutto si sarebbe risolto. Certo, lui si sarebbe innamorato a prima vista, e se così non fosse stato allora c’era sempre quella famosa regola sulla faccenda della maschera. Si portò una mano al volto, afferrò il bordo del mento quando all’improvviso ricordò che c’era un validissimo motivo per cui non mostrare il suo viso: il brufolo era ancora lì. Merda.
Inoltre l’espressione di Shura tradiva un severo rimprovero. Che avesse intuito le sue intenzioni?
Bene Beatrix, mi dispiace, ma non è andata come desideravi. Niente lacrime, niente parole d’amore, niente promesse di strazianti attese nelle quale crogiolarti, niente braccia forti a prenderti in braccio e niente fare sesso nel salone dell’altare, sul letto di Shura, sul tavolo del salone o in qualunque altro luogo della casa.
Beatrix stava per esplodere, Beatrix contrasse e rilasciò le dita: rompi qualcosa, le diceva una vocina nella testa, rompi qualcosa e ti sentirai meglio.
-ah…g-grazie..- sibilò. Sentiva qualcosa nella gola. Un vipera che si dibatteva per sputare veleno addosso a quel pezzo di fesso che si era fatto così sfuggire la sua più grande occasione della sua vita. La più grande occasione della vita per LEI.
Ma si trattenne. Per chissà quale grazia divina, si trattenne.
Meglio così, le sussurrava un’altra voce nella testa, una voce che aveva lo stesso tono ed accento di quella di Shura. Meglio così, cerca di comprendere, è ancora troppo presto, la lontananza servirà a rafforzare il nostro sentimento, ed in questo periodo in cui tu sarai lontana tuo fratello non avrà nessun motivo per estirparmi i testicoli.
Beatrix sorrise da sotto la maschera, come se avesse sentito quelle parole pronunciate da Shura. Strano il fatto che ne sembrava realmente convinta.
 
La discesa sembra sempre più breve. Sempre. Allora perché Beatrix sentiva di rimanere sempre sulla stessa rampa di scale? Non si era nemmeno tolta la maschera, ma da sotto si sentiva lo scricchiolio dei denti che cozzavano gli uni contro gli altri. Dovevi rompere qualcosa per sentirti meglio.
-Beatrix!- la chiamò a gran voce Asterion, fresco fresco della sua investita a Silver Saint del Cane da Caccia. -ho saputo che domani parti! Volevo augurarti buona fortuna e…-
-Buona fortuna sta grandissima minchia!-La dolce fanciulla ringraziò sentitamente il collega e compagno di saltuari allenamenti. Anche il pugno che gli mollò in pieno muso fu molto sentito. La voce nella sua testa aveva ragione, a rompere qualcosa ci si sente sempre bene. Che sia un vaso o una mascella.
È singolare come ogni giornata di Beatrix tenda a concludersi con un pestaggio.
 
La mattina dopo Beatrix dovette svegliarsi all’alba. Ovviamente non si svegliò all’alba. Nulla avrebbe potuto farla alzare dal letto così presto, e suo fratello non era da meno. Dormirono insieme, in posizioni scomposte, lui in mutande, lei con una sua vecchia tunica troppo larga per il suo corpo acerbo. Si svegliarono a metà mattina, e Beatrix non aveva nessunissima voglia di prendere in spalla la sua sacca e di farsi mettere di peso sulla corriera di mezzogiorno.
-lo sai che così ci vado di mezzo io?-. Death Mask se la trascinava dietro, non aveva avuto il tempo di farsi la barba, le occhiaie erano più pronunciate del solito e la mascella contratta. -che figura mi fai fare…-
-non è che tu sia da meno nello svegliarti presto la mattina-
-una cosa è che lo faccio io, una cosa è che le fai tu-.
Trainata nella polvere delle strade acciottolate, Beatrix lo seguiva di mala grazia, buttando di tanto in tanto l’occhio alle sue spalle. Sulla collina il sole del meriggio picchiava sulle case dello zodiaco. Sulla collina, un puntino piccolo e bianco, la casa del Capricorno: -tanto torno- sussurrò. Una minaccia più che una promessa.
 
Così Death Mask affidò la sua sorellina a nessun’altro se non se stessa. La mise sulla corriera di puro peso, questa volta doveva comportarsi da fratello responsabile. Gli ordini non andavano mai discussi. Gli ordini dei potenti almeno, loro il potere, loro e la ragione. Loro la ragione, loro la vittoria. Questa era l’equazione da seguire per la sopravvivenza. Questo l’ideale di vita. Segui il potente per diventare potente a tua volta. E se sei potente sopravvivi.
E se questi ordini comportavano lo spedire l’adorata sorellina lontano allora così sarebbe stato. Dopo tutto anche lui si era assentato per più di un anno, per allenarsi sulle roventi pendici dell’Etna. Lui era sopravvissuto, tornato con qualche acciacco ed una visione della vita alquanto distorta, certo, ma era tornato. Beatrix aveva già una mente abbastanza perversa perché non le capitasse nulla sul piano psicologico. Era il piano fisico a preoccuparlo.
 
Prima che la corriera partisse, Death Mask prese il mento della sorellina tra le dita, sollevò la maschera dal suo volto. La piccola stupida alla fine si era schiacciata il brufolo, sfoggiando una crosta arrossata sul mento. Vi passò sopra il pollice:
-cretina-
-mi faceva male-
-perché, ora no?-
-almeno mi sono presa una soddisfazione-. Almeno una.
Studiò attentamente il profilo di quella piccola bestiolina selvatica, con un naso troppo dritto e poco grazioso, lentiggini e brufoli.
-ti mancherò?-
-Ah, non solo, mi struggerò appassionatamente per il dolore di non averti accanto-
Beatrix annuì con convinzione, le piaceva la drammaturgia usata da Death.
-Vedi di tornare con un bel paio di tette-, le sussurrò lascivo all’orecchio prima di rimetterle la maschera ammorbante di sudore. Le diede un sonoro schiaffo sul sedere, chiuse la porta del piccolo furgoncino, la marmitta scoppiettò fumo nero.
Death Mask si allontanò di qualche passo. Beatrix era appiccata al finestrino, come uno di quegli animaletti nei negozi, quei cuccioli che pregano di essere adottati con tutte le loro forze. Solo che questo cucciolo sollevò una zampetta, mostrandogli il dito medio.
Death Mask sorrise, si infilò le mani nelle tasche dei pantaloni aderenti, e attese che corriera e fumo nero divennero puntini indistinti nel paesaggio aspro e roccioso.
-O almeno torna con tutti i tuoi arti-. 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1190232