I diari della motocicletta

di frodina178
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Delineazione di una sfida ***
Capitolo 3: *** Repubblica Sudafricana - da Port Elizabeth a Mosselbaai - Km. 0 ***
Capitolo 4: *** Repubblica Sudafricana - da Mosselbaai a De Aar - Km. 750 - day 1 ***
Capitolo 5: *** Repubblica Sudafricana - Da De Aar a Johannesburg - Km. 1890 - day 2/3 ***
Capitolo 6: *** Repubblica Sudafricana - da Johannesburg a Maputo - Km. 2450 - day 4/5 ***
Capitolo 7: *** Mozambico - da Maputo ad Inhambane - Km. 3780 - day 6 ***
Capitolo 8: *** Mozambico - da Inhambane a Beira - Km. 4570 - day 7 ***
Capitolo 9: *** Mozambico - Beira - day 8 ***
Capitolo 10: *** Mozambico - da Beira a Kilimane - Km. 5100 - day 9/10 ***
Capitolo 11: *** San Francisco-Londra ***
Capitolo 12: *** Mozambico - da Kilimane a Tete - Km. 5980 - day 11 ***
Capitolo 13: *** Mozambico-Zambia-Zaire - da Tete a Kamina - Km. 10.060 - from day 12 to day 25 ***
Capitolo 14: *** Zaire - Kamina - day 26/27 ***
Capitolo 15: *** Zaire - Kamina - day 27 ***
Capitolo 16: *** Los Angeles, un anno dopo; premiere di Troy ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Nota: liberamente tratto dal libro e dal film"I diari della motocicletta" di Che Guevara. Non voglio minimamente paragonare il viaggio che mi accingo a raccontare con quello di Ernesto e Alberto Granado, ma ho cercato comunque di trarre qualche spunto. Alla fine dell'avventura entrambi i personaggi non saranno più gli stessi, il loro modo di vedere il mondo sarò cambiato, come il loro rapportarsi alla vita e al lavoro.
I protagonisti di questa storia sono Orlando Bloom e Dominic Monaghan, attori che stimo e apprezzo molto, e che desideravo da qualche tempo inserire in una fic simile.


Prologo

La discussione si stava prolungando ormai da diverso tempo, l'argomento questa volta verteva sui viaggi, fantastici o reali.
-E' possibile ma non probabile!- esclamò Andy battendo una mano sul tavolo.
-E cosa mi dici di questo ragazzo allora?- Orlando gli lanciò addosso un giornale. L'uomo lo lesse senza troppa attenzione.
-Ti ripeto che è un modo come un altro per farsi della pubblicità!- glielo riporse.
-Io sono d'accordo con lui -Elijah si accese una sigaretta - Credo che sia una cosa fattibile se hai denaro e molta voglia di farlo! -
-E io invece torno a ribadire che è umanamente impossibile!- Viggo sembrava fermo sulla sua posizione, e non accettava di muoversi.
-Hai la prova tangibile sotto i tuoi occhi, come fai ad essere così ottuso? -
-Nessuno, e ripeto nessuno, può essere riuscito a percorrere tutta l'Africa su una moto in tre mesi! -
-E invece guarda un po'! -Orlando fece una smorfia saccente -Un tale è stato meno limitato di te e oggi si trova sulle prime pagine di tutti i giornali-.
-Orlando… -sussurrò Viggo socchiudendo quasi offeso gli occhi -Proprio a me, a ME, dici che sono ottuso! Prova a ragionare un momento, non credi che sia anche possibile quest'uomo abbia organizzato tutto solo per farsi conoscere? -
-E tu invece non pensi che se fosse tutta una messa inscena si sarebbe inventato qualche cosa di più plausibile?- ora anche Dominic si era schierato dalla parte di Orlando.
-Io dico solamente che è inutile discutere su quest'argomento, tanto abbiamo capito che nessuno ha intenzione di mutare la propria idea, quindi chiudiamola qui!- Viggo era diventato nervoso, non riusciva a credere che i suoi amici si facessero intrappolare da quella rete di menzogne che, seppur tessuta alla perfezione, puzzava palesemente di bruciato.
-In fondo hai ragione -Billy, che fino ad ora non si era inserito più di tanto, prese la parola - Non sapremo mai se questa storia è vera, oppure no, o forse lo è soltanto per metà. Quindi penso anche io che bisognerebbe smetterla qui e discutere invece del vero motivo per cui ci siamo trovati!-
-Per me va bene -sbuffò un po' infastidito Orlando -Non sono stato io a tirare fuori l'argomento!-
-Se è per questo nemmeno io!- rise Viggo allargando le braccia sconsolato.
Tutti gli sguardi si volsero verso Dominic che, dal canto suo, stava ancora rileggendo quell'articolo che aveva ormai girato in tutte le mani.
-Eppure…. -disse senza interrompere la lettura -Io continuo a pensare che Orlando abbia pienamente ragione, è fattibile anche se molto difficile. Penso che piacerebbe anche a me provare un'esperienza simile, se solo avessi il tempo e il coraggio di farlo! -
-Non ti basterebbero Dom! -Viggo ormai credeva di aver raggiunto l'epilogo di quell'assurda conversazione -Perché ti dico che è talmente inverosimile credere di poterci riuscire che sarei addirittura pronto a scommetterci le palle!-
-Tanto per quello che le usi… -ogni tanto Elijah cercava di fare lo spiritoso, ma le battute pesanti proprio non gli riuscivano bene, era negato e risultava anche volgare, a volte.

La riunione post-produzione si svolse senza ulteriori diverbi, concentrata esclusivamente sull'ordine del giorno: presenza e assenza a premiere ed incontri vari. Ultimamente tutti i membri del cast erano stati subissati da questo genere di impegni, tanto che qualcuno di loro, per potervi partecipare, aveva dovuto rinunciare ad importanti avvenimenti di famiglia. Peter Jackson li aveva avvertiti che contava molto sulla presenta di tutti quanti alla premiere Londinese de "Il Ritorno del Re", così, in anticipo di un paio di mesi, gli attori principali si erano ritrovati per discutere della questione. Qualcuno di loro era dovuto venire addirittura dall'Oceania, ma non si sarebbe mai perso, per nessun motivo, quella che, più che una futile riunione lavorativa, di cui manteneva soltanto una parvenza, sembrava il pretesto per una malinconica rimpatriata.

Per i due mesi successivi pochi di loro mantennero frequenti contatti, se non per gli auguri e i complimenti d'obbligo. Elijah stava girando due film, Orlando anche, Viggo era impegnato con il suo lavoro di fotografo che sembrava fiorire, e anche tutti gli altri, chi più chi meno, aveva degli impegni. Era stato deciso che alla premiere londinese sarebbero stati tutti presenti, tranne Andy, a cui era morta da pochi giorni la madre, e nessuno se l'era sentita di rimproverarlo per la sua assenza.
Elijah e Dominic si trovarono direttamente all'aeroporto, mentre i restanti avevano raggiunto l'albergo singolarmente.
Dominic stava ancora disfando le sue valige, quando bussarono alla porta.
-Avanti è aperto!- urlò cercando di tirare fuori un paio di boxer incastrati alla cerniera del borsone.
La testa di Billy spuntò sulla soglia. Appena lo vide dom tirò un grido, gli si lanciò addosso coprendolo di baci.
-Lurido suino depravato!Finalmente ci si vede!- proclamò con la sua solita sottigliezza verbale. Alla sera ormai tutti si erano incontrati e, dopo i saluti di rito, avevano deciso di ritrovarsi tutti insieme al ristornate appena fuori dall'albergo, per fare quattro chiacchiere e rilassarsi in vista dell'imminente premiere.

-Allora Orlando! -Viggo sollevò il calice di spumante, tentando di mettere un freno al chiacchiericcio della tavolata -Abbiamo saputo del tuo colpo grosso!Addirittura con Petersen! Il nostro valoroso Paride! -
Applausi seguirono questo breve apprezzamento.
-Stai facendo passi da gigante, ragazzo mio, fattelo dire!- Dom gli batté una mano sulla spalla. Si complimentarono l'uno con l'altro per tutta la serata, che comprese lusinghe sincere e altre un po' più tirate per i capelli, ma pur sempre apprezzabili.

Da quella giornata a New York nessuno aveva più parlato, o pensato, riguardo quella questione del viaggio africano. L'uomo che si diceva aver compiuto l'impresa era scomparso rapidamente dalle pagine dei giornali, come la sua memoria. Fu proprio Viggo, il più accanito sostenitore della menzogna della notizia, a tirare fuori l'argomento.
-Ancora convinto -si riferì ad Orlando, che, dal canto suo, aveva bevuto abbastanza vino da sentirsi forte come un leone per iniziare un'assidua battaglia verbale -Che quel tale abbia attraversato l'Africa in tre mesi?-
-Convintissimo!- biascicò il giovane, chiudendo gli occhi con fare altezzoso.
Viggo scoppiò a ridere.
-Come mi fai rabbia!- Orlando strinse ironicamente i pugni, guardandolo di sottecchi.
-Posso dire che sembrate due bambini?- se ne uscì Dominic, masticando con convinzione l'ultimo boccone di gnocchi alla tirolese.
-No!TU proprio non lo puoi dire!- esclamarono quasi all'unisono scherzosamente seri.
La questione venne per la seconda volta dibattuta a lungo. Il locale solitamente chiudeva alle due di notte ma, data la particolare circostanza e il calibro degli ospiti, nessuno venne a disturbarli all'ora di chiusura.
Quell'argomento sembrava interessare molti, e alla fine si erano formate tre schiere: una formata da Elijah ,Dominic e Orlando, che credevano seriamente nella possibilità del viaggio. Un'altra composta da Viggo, Billy e Sean che sostenevano l'incontrario. E una terza, di cui facevano parte Ian e John, i quali ritenevano che la storia avesse solo un fondo di verità.
Il motivo per cui quel tema venne discusso così a lungo e così animatamente non ci è data ragione di saperlo, fatto sta che quasi si giunse a litigare. Fortunatamente Billy prese in mano le redini della situazione:
-Ma insomma basta!Siete tutti impazziti o cosa?a parte il fatto che non vedo il bisogno di tutta questa agitazione, io dico!Se voi tre siete così convinti delle vostre idee perché non fate armi e bagagli e ci dimostrate che avete ragione?-
Billy aveva detto queste parole in tono ironico, solamente per porre fine al dibattito. Ma, in quel preciso istante, nella mente d'Orlando e Dominic cominciarono a prendere forma delle immagini. Ancora troppo confuse per poter essere interpretate, ma stavano lentamente prendendo forma.
La felice serata si concluse molto tardi, prolungata per una visita notturna dei monumenti londinesi con annesse pisciate nelle fontanelle cittadine.

Orlando si stese sul letto, pensando e ripensando alle parole di Billy, "Se voi tre siete così convinti delle vostre idee perché non fate armi e bagagli e ci dimostrate che avete ragione?". Gli danzavano nella mente impedendogli di dormire. Ancora non dava particolare peso alla vocina, chiamata facoltà di discernimento, che gli consigliava a gran voce di mettersi a dormire, di non infilarsi nei guai. Ma si conosceva, e sapeva perfettamente che, se avrebbe lasciato vivere questa cosa dentro di se, non avrebbe potuto mettere a tacere per molto la sua irrefrenabile voglia di sfide.
L'Africa. Così immensa, così selvaggia e al contempo affascinante. Così ricca di storia umana e geografica, un continente precario e polemizzato, litigato e violentato. Una cultura antica, colma di tradizioni e luoghi paradisiaci.
Non gli sarebbe dispiaciuto cimentarsi nell'impresa di attraversarla in moto.
Non poteva sapere che, poche stanze più in là, un'altra persona stesse facendo simili meditazioni.
Il sonno vinse entrambi, catapultandoli in un mare d'incertezza e voglia di fare, di sete di avventura, di colori e persone solari.

-Elijah!Non mi dire che stai ancora dormendo vero?!?- Dominic batteva alla porta della stanza dell'amico, poggiando l'orecchio per sentire segni di vita.
-Dom Che cazzo fai? -la voce di Elijah gli giunse debole e impastata dal sonno -Sono le sei del mattino!- gli venne ad aprire. Indossava un pigiama nero di lino, troppo lungo per la sua statura, e un paio di ciabatte rosa con pon pon annessi.
-Dai dormiglione vestiti che sono già tutti di sotto!Manchi solo tu!-
-Manco solo io per cosa?- il ragazzo si strofinò gli occhi, unendo il suo gesto ad un immenso sbadiglio.
-Ma per andare a fare shopping no?- gli diede uno scappellotto prima di dirigersi verso l'ascensore.
-Ma qui sono tutti matti….-mormorò Elijah chiudendosi la porta alle spalle e massaggiandosi il collo.

Alle sei e mezza la combriccola si era già unita e poi subito divisa in due gruppi. Orlando aveva invitato da solo Dominic a fare colazione insieme, con la scusa di dovergli parlare privatamente riguardo la festa per qualcuno. Dopo aver ricevuto le solite battutine sarcastiche sulla loro presunta omosessualità, orami diventata affare mondiale, si ritirarono in un piccolo bar del centro, che aveva appena aperto ed era ancora vuoto.
-Senti Dom -Orlando sorseggiava il suo caffè completamente appoggiato allo schienale della sedia in legno -Forse mi prenderai per pazzo, non lo so, ma ricordi quello che ha detto ieri sera Billy?-
-Ha detto così tante cazzate che ricordarmene una in particolare sarebbe arduo…-
-Tra tutte le sue minchiate ha anche detto una cosa intelligente, qualcosa che riguardava quel fantomatico viaggio attraverso l'Africa….
-"Se voi tre siete così convinti delle vostre idee perché non fate armi e bagagli e ci dimostrate che avete ragione?"- Dominic ripeté a memoria le parole dell'amico.
-Hanno colpito anche te?- domandò Orlando stupito dall'enfasi che il suo interlocutore aveva usato nel pronunciare la frase.
-Molto, anzi a dirtela tutta moltissimo!Ieri a letto non ho fatto altro che pensarci!-
-Cosa ne dici?-
-cosa ne dico di cosa?- lo fissò interrogativo Dominic.
-Cosa ne dici di farlo!-
-Farlo?!?-il ragazzo rise nervoso, massaggiandosi un braccio e prendendo a stuzzicarsi i peli biondi.
-Sì, farlo, io e te!Avrei voluto fare questa proposta anche ad Elijah, ma non credo che accetterebbe, anzi forse non mi prenderebbe nemmeno per serio…..-
-Insomma indirettamente mi stai dicendo che solo io sono abbastanza cretino da poter solo pensare di fare una cosa simile?- replicò beffardamente stizzito Dominic.
-Più o meno è così!- scoppiò a ridere Orlando addentando la sua focaccina.
-io non so Orli…a dirti la verità ora che me lo dici la prima cosa che vorrei fare è prendere le valige e partire, ma poi se ci penso meglio mi rendo conto che forse non è….-
-Dom! -ributtò il cibo nel piatto guardandolo serio nelle palle degli occhi -Che cosa abbiamo da perdere?Cosa?Abbiamo tutto da guadagnarci!Per il nostro orgoglio e per il nostro divertimento, per l'avventura e….-
-Orlando tu sei un angelo incantatore!Mi stai attirando un una trappola!-.
-Ma trappola di cosa?Dimmi Dom, dimmi, c'è qualche cosa, qualcosa di veramente speciale che ti trattiene qui?-
-Il mio lavoro per cominciare!-
-Ma non raccontarmi cazzate per favore! -Orlando rise gettandosi all'indietro -Sai perfettamente com'è il nostro lavoro!Per di più che ora so che non hai progetti importanti in corso, e anche se ti assenti per qualche tempo ti assicuro che sarai ancora uno tra gli hobbits più ricercati!-
-E tu?Mi pare che sia assurdo che rischi di giocarti la carriera in questo modo!-.
-Ma non mi gioco un bel niente Dominic!Il prossimo contratto inzia quest'autunno!Tutto il resto sono cose a cui posso benissimo rinunciare!-
-E Kate?E tua madre?E tua sorella?E…..-
-Ascolta Dom!Non credi che questi siano problemi miei?E poi dimmi…...che differenza c'è tra l'assentarsi mesi per girare un film o l'assentarsi per andare in vacanza?-
-Ma questa non sarebbe una vacanza Orlando!Hai una visione troppo fiabesca della vita!-.
-Oh grazie!Mi stai offendendo! -aveva alzato il tono di voce, aveva cominciato ad innervosirsi, forse perché sperava di trovare un immediato consenso da parte sua -E' grazie al mio continuo sognare e sperare che sono arrivato dove sono ora!-
-Non intendevo questo!Non serve arrabbiarsi!-.
-Scusami….-si massaggiò una tempia -Scusami veramente, è che questa cosa mi ha preso, tantissimo!-.
-E quando intendevi partire?-
-Il tempo di organizzare la cosa, qualche giorno, qualche settimana al massimo!- esclamò entusiasta, forse intravedendo una minima speranza nelle parole dell'amico.
Dominic sospirò.
-Non so come tu ci sia riuscito Orlando, ma hai cancellato tutti i miei dubbi -gli porse una mano -Io sono con te!-
Orlando sorrise al massimo dell'entusiasmo, gliela strinse a sua volta, scambiandosi con lo sguardo un tacito accordo.

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Capitolo 2
*** Delineazione di una sfida ***


Delineazione di una sfida

Il giorno della premiere, momento che segava il loro ennesimo arrivederci, giunse presto. Fu una giornata particolarmente intensa, perché sembravano finire mai le sorprese a loro dedicate.
All'una di notte poterono quindi ritornare in albergo. Alcuni di loro sarebbero partiti direttamente il pomeriggio seguente, altri si sarebbero fermati ancora un giorno mentre Orlando aveva in programma di stabilirsi a casa di sua madre per qualche tempo. Questo, naturalmente, se non fosse andato in porto quel programma che aveva sommariamente tracciato nei momenti liberi. Aveva pensato che, giacché quella sarebbe stata l'ultima notte che avrebbero passato insieme prima di partire, sarebbe stato meglio rendere partecipi i compagni del suo disegno mentale.


-Vorrei fare un brindisi -come sempre fu Mortensen a cominciare con i ringraziamenti -Alla nostra ultima esibizione collettiva!-
Un coro di fischi e applausi seguì le sue parole.

Tutti, chi più sinceramente chi più perl senso del dovere, fecero un breve discorso di commiato, ricordando i tempi passati e augurando il meglio per i futuri. Quando fu il turno d'Orlando sorrise complice a Dominic prima di alzarsi in piedi.
-Bene e così è giunto anche questo momento!Se penso che pochi anni fa stavo ancora tentando di imparare a memoria le tragedie di Shakespeare per fare colpo sugli insegnanti mi sembra impossibile poter trovarmi oggi in mezzo a delle persone così speciali come voi -annuì verso Viggo -Attori eccezionali -voltò lo sguardo verso Elijah -E amici preziosi!- lanciò un'occhiata a Dominic -Tutti mi avete lasciato qualche cosa nel cuore, ho fatto tesoro di tutti i vostri consigli, anche di quelli che mi avete dato indirettamente!Per me fare questo film con voi è stata una grande esperienza di vita!Posso ritenermi una persona veramente fortunata!-

Tutti si sollevarono in uno scrosciante applauso.

-Purtroppo credo che ora sia veramente giunto il momento di salutarci, mi sembrerà molto strano svegliarmi sapendo che non ho un appuntamento o un programma di lavoro con qualcuno di voi!Io spero con tutto il cuore che nessuno si dimenticherà l'uno dell'altro e che porteremo per sempre i ricordi fantastici di questi ultimi anni, che racconteremo ai nostri figli e ai nostri nipoti!Sono nate amicizie che credo dureranno tutta una vita, anche se non ci si potrà vedere con l'assiduità a cui siamo abituati!Naturalmente queste sono solamente parole, le mie parole e le mie speranze, ma credo che da delle persone meravigliose quali siete voi non ci si possano aspettare brutte sorprese!Insomma…. -si grattò la testa distrattamente vagamente ingarbugliato dalle sue stesse frasi - Tutta questa solfa per dirvi che mi mancherete tutti quanti, fottutissima la mia educazione all'inglese….-
Le lacrime questa volta non tardarono a scendere, unite ad energici abbracci e pacche sulle spalle.
-Un momento!Un momento! -Dominic fece segno con le braccia di sedersi -Non credo che Orlando abbia finito il suo discorso!-.
Ubbidirono, lanciando uno sguardo interrogatorio verso il giovane inglese.
-Allora….per vostra immensa gioia vi stresserò ancora un attimo con il mio parlare!-
-Bando hai convenevoli Orlando! -rise urlando Sean.
-Avete ragione….vado subito al sodo!Io e Dominic abbiamo deciso di fare il tour de Africa….- Silenzio assoluto.
-Ehm…. -Dominic si avvicinò all'amico in piedi, scostandolo e prendendo il suo posto -Forse dovevi andare meno al sodo…-.
Allora continuò lui il discorso cercando di usare più tatto.
-Vedete, sin da quando è venuto fuori il discorso, sebbene mi sia schierato dalla parte di chi riteneva non fosse una bugia, dentro di me è rimasto sempre il dubbio. Ed effettivamente credo che non ci sia altro modo di chiarirlo se non provarlo sulla mia stessa pelle! Quando l'altro giorno Orlando se n'è venuto fuori con questa idea, che, lo ammetto, è alquanto azzardata e campata per aria, ho pensato che sarebbe stato veramente bello fare questa esperienza!-
-Ma voi siete pazzi!- Viggo si batté una nocca sulla tempia.
-Grazie…...-Orlando si prostrò in un eloquente inchino.
-Ma avete idea di quanto sia grande?-
-Più o meno…- fece vacillare la mano sorridendo Dom -Ma è proprio questo il bello!-.
-E come pensate di organizzarvi?- domandò ancora poco convinto Sean.
-Zaino, documenti, soldi, moto e cartina geografica!- pronunciò solennemente Orlando.
-Continuo a pensare che siate due pazzi… -si ripeté Viggo -….Ma in fondo mi piacete soprattutto per questo quindi… -si alzò poggiando una mano sulla spalla di Dominic e l'altra su quella di Orlando -Avete la mia benedizione!!-
Tutti scoppiarono a ridere.
-Però dovete prometterci una cosa! -disse serio Elijah -Che ci telefonerete almeno ogni giorno per farci sapere gli sviluppi!-
-Contaci!- alzò il pollice nella sua direzione Dominic.
-Che moto avete intenzione di usare?- si incuriosì Billy.
-La mia vecchia "Sandrina"!- esclamò soddisfatto e orgoglioso Orlando.
-Quella specie di residuato di catorcio che tieni nella rimessa!?!- se ne uscì Elijah.
-Azzardati un'altra volta ad insultare "Sandrina"che ti ritroverai con una gonade di meno!Una ripulita e una visita, la rimetteranno in pista più focosa che mai!!-.
-Focosa è proprio il termine giusto… -sussurrò Lij nell'orecchio di Sean -…perché appena la mette in moto quella prende fuoco…...-.

-Lo so che mi darete del malato! -rise John -Ma penso che qui una bella scommessa ci stia proprio bene!-.
-Per una volta non ti rimprovero il vizio del gioco -disse Viggo-Hai perfettamente ragione!Mi propongo come coordinatore delle puntate!Fate il vostro gioco!-.
-Settecento dollari che tra tre mesi saranno ancora nel mezzo del deserto a seguire le impronte dei beduini!- strillò esaltato Billy.
-Io ne scommetto mille che la moto li lascia appiedati il primo giorno!- disse Elijah, fiducioso non della possibile realizzazione dell'impresa, ma di quella che Orlando perpetrava a chiamare "moto".
-Duemila che……-
-Ragazzi, un po' di calma per favore! -Viggo si era calato perfettamente nella parte -Io non intendevo questo a dir la verità!Tra amici credo sia squallido scommettere soldi!!-
-E allora che cazzo avevi in mente? -Billy non riusciva a capire.
-Siamo più o meno tutti, escluso tu Elijah, convinti che non ce la faranno, giusto?-.
Annuirono.
-Bene, io compreso. Io propongo che se loro dopo tre mesi dalla loro partenza saranno ancora in Africa dovranno girare in boxer per tutta Londra, facendosi fotografare e intervistare come se non si rendessero conto di essere seminudi!-
-Io ci sto…- sorrise ambiguamente Orlando.
-Io pure!- proseguì Dominic -Ma se invece, come sarà, ci riuscissimo, a noi cosa ce ne viene?- -Diciamo….una settimana di vacanza a mie spese a Madrid!-
-Sai che roba Viggo! -Orlando fece roteare le mani per aria.
-Allora non so, dite voi, fate proposte!-

Dalla ciurmaglia si levarono una moltitudine di suggerimenti, ma nessuno sembrava bilanciare la sfilata nudista per Londra. Serviva loro qualche cosa di veramente speciale.
Fu proprio Elijah ha proporre una brillante idea, che fu subito accettata da entrambe le parti: -Se riuscite a vincere, per rimanere in tema "come madre natura ci ha fatti", senza nemmeno i boxer tutti noi perdenti ci prenderemo per mano e con la rincorsa ci tuffiamo davanti a tutti nel lago al centro di Central Park, anche se fa freddo!-.


E fu così che, una settimana dopo, Dominic ed Orlando si ritrovarono a casa di quest'ultimo, attorno ad un tavolo, con un'enorme cartina africana davanti a loro e una tazza di caffè bollente tra le mani.

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Capitolo 3
*** Repubblica Sudafricana - da Port Elizabeth a Mosselbaai - Km. 0 ***


Piccola digressione geo-etnografica(ce ne sarà una all'inizio d'ogni nuovo capitolo, per comprendere meglio i territori che i due errabondi si accingono ad attraversare): La zona costiera terminale dell'Africa è caratterizzata da un clima umido, afoso d'estate, con scarse precipitazioni. E' un'area mediamente popolata, principalmente da popolazioni di tipo Cafro(Bantu del Sud),a parte Port Elizabeth, porto coloniale. Le lingue ufficiali sono l'afrikaans e l'inglese, mentre quelle locali sono i vari idiomi bantu; la religione è principalmente protestante. La Repubblica Sudafricana è il paese economicamente più avanzato del continente Africa.


Repubblica Sudafricana - da Port Elizabeth a Mosselbaai - Km. 0

Orlando cercò di sistemarsi meglio su quel sedile che sembrava reduce dalla guerra di secessione. Quando aveva chiesto un modo facile e veloce per attraversare la repubblica Sudafricana direttamente dall'interno, invece che costeggiarla come facevano gli aerei di linea, non intendeva certo questo. Ma che scopo aveva lamentarsi? Probabilmente solo tra qualche giorno avrebbe dato un dito per stare comodo come in quel momento. Tanto valeva godersi il paesaggio. L'aereo planò in una pista secondaria dell'immenso aeroscalo della città Port Elizabeth, sobbalzando pericolosamente. Dominic, seduto dietro all'amico, batteva i denti involontariamente ad ogni scossone, provocando le risate degli altri passeggeri.

-Buon giorno! -un uomo sulla cinquantina gli andò incontro mentre scendevano le scalette dell'aereo -Sono Pit, voi siete Orlando e Dominic vero?-
I due, sommersi completamente dalle valige, stavano tentando di guardare dove mettevano i piedi.
-Sarà meglio sbrigarci! -continuò l'uomo senza aspettare una risposta -Ho la macchina parcheggiata vicino, seguitemi!-.
Dominic dal canto suo non si era particolarmente documentato, questo compito era toccato ad Orlando, e si stupì non poco nel vedere che Pit avesse la pelle di un colore molto simile al latte. E la sua sorpresa crebbe quando, per tutto il tragitto verso la casa dell'uomo, non vide una sola persona dalla pelle scura. Ma di fare domande proprio non se la sentiva, aveva viaggiato per due giorni senza dormire, ed era stanchissimo.

-Lei è Olga! -Pit indicò loro una vecchissima donna seduta su un dondolo in veranda.
I ragazzi le sorrisero, portando le loro valige all'interno della casa.
-La ha costruita mio nonno -spiegò Pit vedendo come i due si guardavano attorno, curiosi -Insieme agli altri coloni Francesi, ora ci abitiamo solo io e Olga, la madre di mia moglie, che è morta qualche anno fa!-
Li fece accomodare in cucina, prendendo le loro valige e trascinandole in una stanza.
-Avete già mangiato?- domandò guardando l'orologio a pendolo sul muro di legno che segnava le nove di sera.
Orlando e Dominic risposero negativamente, un pò interdetti dal comportamento così espansivo e interessato dell'estraneo.
Era stato difficile trovare qualcuno che li ospitasse la notte del loro arrivo, prima di partire per Mosselbaai, città da dove sarebbe iniziato il loro viaggio. Il prozio del marito della madre d'Orlando era stato una manna dal cielo. La vecchia Sandrina sarebbe giunta a destinazione direttamente il giorno dopo, ed Orlando non vedeva l'ora di montarci in sella.
Dopo aver pasteggiato e chiacchierato a lungo Dominic e l'amico si congedarono nella stanza a loro gentilmente offerta. Alla debole luce del lume sul comodino rimasero a parlare del giorno successivo, dando un'ultima scorsa al programma, che prevedeva di arrivare a Mosselbaai nel primo pomeriggio, caricare la moto e partire immediatamente. Avrebbero viaggiato di notte, e la mattina sarebbero arrivati alla città di De Aar, dove avrebbero fatto provviste.
Orlando stava disteso sul duro materasso, sudando e rigirandosi in continuazione: le zanzare non gli davano tregua. Dominic invece sembrava dormire beatamente, limitandosi a mugugnare parole incomprensibili ogni tanto.
Alle cinque Pit si premurò di svegliarli, trovando il giovane inglese già vestito che armeggiava tra le valige. Dominic fece qualche storia ad alzarsi, credeva ancora di essere a casa sua, ma quando realizzò la situazione si destò di colpo, sorridendo e proclamando
-Allora?Si parte?-

Pit fu così gentile da scortarli in jeep fino alla stazione dei treni, dove un interregionale li avrebbe condotti in diverse ore a Mosselbaai, dove l'attempata Sandrina probabilmente già li attendeva palpitante.
Il viaggio fu decisamente devastante: nessuno dei loro compagni di scompartimento sembrava parlare inglese, anche se non riuscirono a capirlo, visto che il tragitto fu quasi interamente caratterizzato da un silenzio impenetrabile. Orlando e Dominic ogni tanto avevano scambiato qualche parola tra loro, ma solo lo stretto necessario.
Fortunatamente il disagio svanì, lasciando invece spazio ad un sole quasi irreale e incoraggiante. La stazione di Mosselbaai era molto affollata, e finalmente Dominic poté vedere una gran quantità di persone scure. Ora sì che erano veramente in Africa. Port Elizabeth non era altro che una metropoli d'origini coloniali, abitata in sostanza solo da Inglesi e Francesi. -Credo sia di là…-Orlando lesse il bigliettino che gli avevano consegnato per andare a riprendere Sandrina. Lo scalo diciassette non era molto distante, e presto il giovane inglese poté riabbracciare il suo motociclo. Dominic pensò che ora, lavata e sistemata, faceva anche un certo effetto, ma rimaneva pur sempre perplesso sulla scelta del mezzo. Se voleva l'avventura certo Sandrina gliela avrebbe concessa.
Impresa più difficoltosa del previsto si rivelò invece sistemare le sacche di modo che ci fosse spazio anche per loro. Dopo innumerevoli tentativi falliti dovettero arrendersi ad abbandonare gran parte della roba all'aeroporto, assicurandosi che la spedissero in America. Quando infine riuscirono a guadagnare spazio prezioso sulla sella dovettero ritirare via tutto, per passare la dogana, che sembrava poco convinta del loro proposito. I loro documenti passarono in molti uffici, le loro borse frugate e anche messe a soqquadro. Quindi, non trovando un motivo valido per fermare questi "americani che non sanno più come passare il tempo", la polizia li fece allontanare.

-Mamma mia quanta burocrazia!- Dominic sbuffò passandosi una mano sulla fronte per asciugare il sudore.
-Forza forza Dom, non lasciarti scoraggiare! Abbiamo una sfida da vincere!- rispose mentre spingeva faticosamente la motocicletta stracarica.

Ancora non sapevano che, più di una sfida tra amici, si sarebbe rivelata la sfida della loro vita.

Si fermarono in un bazar a comprare qualche lattina da tenere a portata di mano, mentre Dom si comprò delle sigarette.
-Non avrai mica intenzione di ricominciare a fumare, vero?- disse Orlando vedendo gli acquisti dell'amico.
-Non credo proprio, ma averle con me mi fa sentire più sicuro, spero che non avrò bisogno di fumarle!-.
-Lo spero anche io…- lo guardò con rimprovero.

Dominic era la prima volta che saliva su una moto simile, addirittura in due, così ci misero qualche tempo a sistemarsi e a partire.
Orlando guidava molto veloce, fermandosi solamente a controllare attraverso i cartelli stradali che stessero prendendo la strada giusta. Si stavano dirigendo verso la periferia di quella grande città, la gente cominciava a scemare e le strade si facevano più ridotte.
Il povero centauro, preso com'era dall'euforia, non si accorse di una vistosa macchia d'olio nel mezzo della strada e, sfortuna volle, che la centrò in pieno. Dominic lanciò un urlo che si sarebbe potuto inserire nei guinnes dei primati, mentre la moto scivolava di fianco, lanciando i loro bagagli dappertutto. Si ritrovarono per terra, con qualche graffio ma niente di rotto.
-Certo che sei veramente deficiente!- sbraitò ancora spaventatissimo il tedesco mentre aiutava il compagno a rimettere in piedi la moto.
-Non è colpa mia! -cercò di giustificarsi Orlando -Devo ancora prenderci la mano, siamo sbilanciati con tutta questa roba addosso!-.
Recuperarono tutte le cose sparse sulla strada, sotto gli occhi curiosi e beffardi degli autisti, che rallentavano l'andatura per guardare quei due ragazzi impegnati in una strana raccolta stradale.
Dopo essersi dati una ripulita con una bottiglia d'acqua minerale rimontarono in sella, per niente scoraggiati dall'imprevisto. Questa volta, Orlando, prese a guidare con più attenzione. E così aveva inizio il lungo viaggio che vedeva questi due uomini impegnati in un'impresa considerata irrealizzabile da molti.

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Capitolo 4
*** Repubblica Sudafricana - da Mosselbaai a De Aar - Km. 750 - day 1 ***


Repubblica Sudafricana - da Mosselbaai a De Aar - Km. 750 - day 1

Viaggiarono praticamente senza sosta fino alla sera; il paesaggio era notevolmente cambiato, ora si trovavano ad attraversare un luogo caratterizzato da numerosi pascoli e allevamenti, qualche pastore e pochissime case.
Quando, assieme al caldo umido, velocemente scemò anche il sole Orlando fermò la moto.
-Cosa fai?- domandò Dominic sollevando una specie di occhiali da aviatore che aveva comprato prima di partire.
-Accendo le luci no?- rispose con naturalezza Orlando scendendo, come se fosse la cosa più logica del mondo.
-Ma le devi avviare manualmente?-il ragazzo si asciugò le mani sudate sui pantaloni del completo mimetico, tentando di far restare in equilibrio la moto facendo presa sul terreno con i piedi.
-Qualche difettuccio lo potrà anche avere, no?-.
-Se lo dici tu… -mentre aspettava, Dominic si diede un'occhiata intorno, ma il buio era calato talmente in fretta che non riusciva a vedere al di là del ciglio della strada.
-Ecco!- un potente fascio di luce illuminò il cammino davanti a loro -Così ce la caviamo anche se non ci sono lampioni di sorta!- esclamò soddisfatto rimettendosi al posto di guida.
Effettivamente la luminaria era molto scarsa, se non quasi assente, data la poco frequentazione di quella stradina secondaria che avevano volutamente imboccato per restringere le distanze. A Dominic, in ogni modo, non rimaneva altra scelta che fidarsi d'Orlando il quale, dal canto suo, sembrava molto sicuro di se stesso e delle sue scelte.
Purtroppo la vecchiaia del motociclo non tardò a farsi sentire, e la luce si affievolì notevolmente. Furono costretti a fermarsi una seconda volta. Nonostante Orlando stesse tentando in tutti i modi di aumentare l'intensità del fanalino, tutti gli sforzi risultarono vani.
-Perfetto!- esclamò l'inglese irritato.
Una macchina sfrecciò loro accanto.
-Sarà meglio toglierci dal mezzo della strada!- Dominic spinse la moto verso la sponda, socchiudendo gli occhi cercando di abituarli all'oscurità.
-Hai preso una pila, vero?- Orlando frugava nervosamente nelle borse.
-Sì, mi pare proprio di sì!Prova a guardare in quella rossa!-.
-Sono il mostro della palude…- Orlando indirizzò il fascio di luce verso la propria faccia, che contrasse in una smorfia tentando d'essere spaventoso.
-Non farmela fare sotto che non ho il pannolone per favore!- simulò l'altro un brivido di paura. -Che facciamo adesso?- domandò puntando la torcia verso l'amico.
-Quello che farebbero due raminghi, ragazzo mio!Bivacchiamo!- Dominic si accomodò per terra, in un prato proprio davanti a loro.
-Vuoi fermarti qui?- si stupì vagamente allarmato Orlando.
-O ci fermiamo o ci schiantiamo!Scegli tu per te, io non ho dubbi!- si sdraiò per terra, allargando le braccia a croce e prendendo a fissare le stelle.
Il compagno rimase qualche secondo interdetto sulla strada, poi fece spallucce e lo imitò, sistemato meglio Sandrina al margine.

-Certamente di freddo non moriremo!- dichiarò Dominic sorseggiando la lattina di Coca che si era appena preso e lanciandone un'altra sulla pancia scoperta d'Orlando, sdraiato con le mani incrociate dietro la nuca; si era levato la t-shirt restando a petto nudo, scoprendo di amare la piacevole sensazione che l'erba pungente e umida gli provocava solleticandogli la schiena.
-Io avrei paura di restare una notte da solo con me….- Orlando si sollevò un poco, appoggiandosi sugli avambracci e guardando l'amico serio.
-E perché?- fece il finto indifferente Dominic.
-Perché…ti devo confessare una cosa Dom…una cosa che deve però rimanere tra noi due….va bene?-
-Giuro mister Hide!- si portò una mano al cuore, assecondando il suo giochetto.
-Sono nato con una rarissima malformazione genetica….quando rimango, la notte, da solo con qualcuno il cui nome comincia con la lettera "d", non posso fare a meno di…" -rimase volutamente in silenzio, attendendo una parola.
-Di?- lo incitò a proseguire Dominic.
-Di fare questo!!- urlò prima di gettarsi contro il compagno facendoli il solletico ai fianchi. -Bastardo!!- tentava di liberarsi, ma inutilmente sotto la potente presa dell'amico.
Continuarono a rotolarsi, facendosi il solletico a vicenda per qualche momento, poi, sfiniti e imbrattati di terra, ritornarono sdraiati a sorridere. Qualche minuto di silenzio contemplativo.
-Sono contento di essere qui con te Orlando.- sussurrò Dom smettendo per un attimo di ispezionare il cielo.
-Anch'io Dom, anch'io….-
Si addormentarono poco dopo, tranquilli e sereni, per niente infastiditi dal piccolo inconveniente che li aveva colti impreparati.

-Quanto manca?!?- strillò nell'orecchio di Orlando, cercando di farsi sentire sopra il forte rumore del motore che rombava potente.
-Qualche chilometro ancora credo!Dovrebbe esserci un piccolo sobborgo ora!-.
Ed, infatti, fu così. Un piccolo villaggio esclusivamente rurale, i cui abitanti li seguirono con lo sguardo, smettendo per un istante di zappare o chiacchierare stupiti da quella strana novità. -Vuoi fermarti?- domandò Orlando cominciando a rallentare.
-No!Vai avanti, che se no non arriviamo più!-

Giunsero alla città di De Aar solamente verso sera, stanchi e affamati. Non si degnarono nemmeno di visitarla e si misero immediatamente alla ricerca di un albergo.

-Ho il deretano a forma di sellino!- pronunciò Dominic sfilandosi le scarpe e lanciandole oltre il letto.
-A chi lo dici…- Orlando stava seduto e si massaggiava le dita dei piedi - A me sono venuti pure i calli ad indossare quelle stupide scarpe di finta pelle!-.
-Sei tu che hai voluto bardarti come un centauro che si rispetti-.
-Senti chi parla!Ma ti sei visto?Sembri un pilota militare!-.
-Questa non è una tuta militare! -replicò quasi offeso -E' una divisa di vecchio stile che portava mio nonno quando andava in marina!-.
-Appunto Dom, dovresti imparare che non esiste differenza tra marina militare ed esercito…-. -Invece sì che c'è!!-
-Certo!Uno ammazza per mare e l'altra per terra!Gran bella differenza!- rise.
-Mio nonno non ha mai ammazzato proprio nessuno!Era obbligatorio frequentare il servizio militare, e ha scelto quella strada perché non aveva scelta!- Dominic si sentì quasi ferito nell'orgoglio.
-Hai ragione, scusami, lo sai come sono fatto riguardo a queste cose. Non ne parliamo più okay?-
-Okay….- biascicò Dom prima di infilarsi nella doccia.
Quando ne uscì trovò Orlando che già se la dormiva dalla grossa, accoccolato da un parte del letto. Si posizionò nella parte opposta, un po' a disagio perché avevano trovato solamente una stanza con letto matrimoniale;ma la stanchezza ebbe la meglio su queste assurde paranoie, e si lasciò scivolare nel dolce, tranquillo mondo delle illusioni. Ma anche questo rimase un miraggio, perché fu bruscamente destato poco dopo dal potente russare dell'amico. Cercò di farlo smettere in tutti i modi, scuotendolo piano, facendogli lo stesso verso che si fa ai gatti, fischiandogli nelle orecchie….ma il determinato Orlando non accennava a smettere, ce a diminuire. Dominic, maledicendo se stesso, non trovò il coraggio di svegliarlo, pensando che se ronfava in quella maniere doveva essere perché era estremamente stanco. In fondo loro due rimanevano due semplici ragazzi di città, non erano ancora abituati a viaggiare su una moto per un giorno intero, per di più lungo strade disseminate di buche e sassi.

Orlando si stiracchiò, intravedendo il sole attraverso le tendine. Quando focalizzò il mondo attorno a se vide Dominic seduto di fronte a lui su una sedia, con i gomiti appoggiati alle ginocchia e il mento sui palmi delle mani. Aveva gli occhi rossi e cerchiati, e lo stava fissando con aria vagamente truce.
-Cosa è successo?- domandò scendendo dal letto e facendo qualche piegamento.
-E' successo che qualcuno respira talmente forte da non lasciar dormire un ghiro imbottito di Valium!-.
-Oddio scusami Dom!Avresti dovuto svegliarmi!- Orlando era sinceramente preoccupato.
-Tranquillo…- ma il suo sguardo lasciava trafelare indisposizione.
-Senti, facciamo così!Io ora vado a fare un po' di compere, e tu ti riposi, quando torno ti sveglio!Va bene?-.
Dominic annuì, e senza farselo ripetere due volte si sdraiò, completamente vestito, chiudendo gli occhi.
Orlando stava camminando nella speranza di trovare una cabina telefonica, ma inutilmente. Aveva promesso a sua madre ti telefonarle appena arrivato, ed era già in ritardo di un giorno. Contava di poter parlare anche con i suoi amici, per informarli delle novità. Aveva lasciato il cellulare in camera, e non voleva svegliare Dominic, inoltre amante della tecnologia qual era preferiva una semplice telefono a gettoni, molto più semplice e caratteristico.
Dall'altra parte della strada vide una ragazza, che, dai lineamenti e dai vestiti, sembrava in tutto e per tutto inglese. Attraversò e l'avvicinò, un po' titubante, per chiederle informazioni. -Scusami… -le batté una mano sulla spalla per richiamare la sua attenzione -Sapresti dirmi dove posso trovare un telefono qui vicino per favore?-.
Lei lo guardò un po' stralunata, cercando di capire le sue parole, quindi cominciò a cicalare in una lingua che sapeva tanto di francese. Gli stava gesticolando davanti, era molto agitata e sembrava volerlo convincere di qualche cosa. Orlando, dal canto suo, non capiva una sola frase né i suoi gesti gli facevano intuire il messaggio. Sorrideva e annuiva imbarazzatissimo, chiedendosi come si fosse cacciato in quella situazione. La ragazza continuava il suo acceso discorso, poi si fermò ponendo un punto interrogativo. Gli aveva fatto una domanda che il giovane non aveva minimamente inteso. Lui era convinto che probabilmente gli avesse chiesto qualcosa riguardante la sua informazione, anche se non riusciva a capire cosa. Fece cenno di sì con la testa, sperando di aver imbroccato la giusta risposta. Lei sorrise evidentemente soddisfatta, e gli fece segno con una mano di seguirla. Orlando sospirò, forse lo portava da un telefono.
Un vecchio signore, appoggiato di schiena ad un muro vicino lo guardò con occhi ridenti:
-Non hai capito una sola parola di quello che ti ha detto, vero ragazzo?- gli domandò guardandolo da sotto gli occhiali da sole.
Orlando, che si era fermato, rispose esitante:
-Effettivamente no….-si massaggiò il collo.
L'anziano ridacchiò:
-Ti ha domandato se vuoi comprare un bue!-.
Orlando non sapeva se credere alle sue parole o meno, ma entrò nella piccola bottega dove era scomparsa la ragazza per chiarire la questione, qualunque fosse. Se la trovò davanti, sorridente, con un mazzo di chiavi in mano.
-Seguimi!- gli disse in un inglese molto stentato.
Orlando ubbidì, pensando che l'uomo l'aveva preso per il culo per farsi due risate alle sue spalle, e la seguì convinto che avrebbe ben presto impugnato una cornetta telefonica. Invece si ritrovò in un piccolo cortile interno, ormai in disuso, e nel mezzo di questo troneggiava un malandato manzo anoressico legato per il collo ad un paletto.
Rimase in confusione qualche secondo, poi rise irrequieto e cercò di spiegare alla giovane che aveva frainteso le sue parole. Lei lo fissava senza capire, credendo che stesse discutendo sul prezzo. Poi, vedendo che non riuscivano ad intendersi in nessun modo, la ragazza gli fece segno di aspettare e sparì nella bottega. Orlando fu tentato di scappare, ma quando si decise a farlo fu troppo tardi: la fanciulla ritornò accompagnata da un uomo di mastodontiche dimensioni, vestito da contadino e con uno stuzzicadenti in bocca. Squadrò Orlando duramente:
-Allora, quanto offri?- gli domandò secco indicando con gli occhi il povero bue, che intanto stava ruminando qualche cosa di incomprensibile.
-Guardi… -disse confuso il ragazzo massaggiandosi una tempia nervosamente -Ci deve essere stato un equivoco…io ho domandato alla signorina dove potevo trovare un telefono e lei…-.
-Non importa il perché o per come, sono mesi che devo mantenere questo residuato di carne, ora lei ha detto di voler comprarlo e lo farà!-.
-Ma non ci penso nemmeno!!- Orlando stava per andare fuori di testa, data l'illogicità e l'assurdità della situazione.
L'uomo parlò qualche istante con la ragazza, che si era fatta piccolina e ascoltava limitandosi ad annuire ogni tanto.
-Lei dice che le hai detto di volerlo prendere!-.
-Sì, è vero!Ma io non avevo capito che…-.
-Ascoltami! -si avvicinò pericolosamente -A guardarti in faccia si capisce che sei un turista, probabilmente americano, che si sente un avventuriero alternativo a venire a farsi le vacanze in Africa. La legge qui è un po' diversa, mi ha detto che c'è anche un vecchio, fuori, che ha assistito alla scena. Tu hai detto di voler comprare questo bue, e ora sganci la grana e me lo porti fuori dalle palle!-
-Ma siete tutti impazziti completamente??!Io non compro proprio un cazzo, non ci penso nemmeno!-

Fatto sta che, dieci minuti dopo, si ritrovò in mezzo alla strada, con questo ruminante che lo fissava inebetito. Ancora non era riuscito a realizzare bene ciò che era successo, ma la stazza di quell'uomo lo aveva convinto che forse era meglio assecondarlo. Nonostante tirasse la fune per farlo muovere, l'animale si era impuntato e, sebbene magrissimo, aveva pur sempre una certa consistenza.
Orlando era furioso, con se stesso e con la sua maledetta educazione che gli aveva vietato di mandare al quel paese la ragazza immediatamente. Non era riuscito a telefonare, e si ritrovava con un manzo cocciuto che non dava segno di volersi muovere. Ia sua prima tentazione fu quella di abbandonarlo dove si trovava, ma poi, per pietà verso quegli occhi scuri e tondi che lo guardavano sottomessi, non ebbe il coraggio di farlo. Il problema era molto grave, non poteva portarlo certo in albergo e non voleva lasciarlo in balia di se stesso. Non poteva permettersi di far ritardare, per la sua stupidità, la tabella di viaggio, doveva trovare il modo di sbarazzarsene mantenendo la coscienza pulita.
Aveva chiesto a vari passanti se volevano un bue in regalo, ma molti si erano messi a ridere, altri lo avevano semplicemente ignorato, prendendolo per pazzo. Era passato anche davanti ad una macelleria, e la tentazione di liberarsene così in fretta era stata veramente forte.
Erano ormai passate varie ora da quando aveva lasciato l'albergo, e il programma stava velocemente sfumando, doveva andare a chiamare Dominic per farsi aiutare. Grande fu lo stupore quando Orlando domandò al portiere se poteva controllare un minuto l'animale, mentre andava a svegliare l'amico.
Quando Dominic ebbe il ruminante di fronte dovette convincersi che l'amico non stava, come suo solito, scherzando, e cercò di convincerlo a portarlo ad una rivendita di carni, ma inutilmente. Alla fine riuscirono a trovare un vecchio pastore africano che accettò di prenderlo con se, a pagamento naturalmente. Non poterono fare altro che rassegnarsi e lasciare il bue al suo destino che, evidentemente, sarebbe stato poco felice.
Dominic era abbastanza riposato, e riuscì a persuadere Orlando a farlo sedere al posto di guida, giurando di fare attenzione e di non sforzare troppo il motore. Quando partirono Sandrina sembrava carica e pronta per costeggiare l'enorme fiume Vaal, fino alla città di Johannesburg.

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Capitolo 5
*** Repubblica Sudafricana - Da De Aar a Johannesburg - Km. 1890 - day 2/3 ***


Nota: ho contrassegnato questo capitolo con il rating NC17 non perché ci siano scene di sesso, ma solamente per la durezza d'alcune immagini.

Piccola digressione geo-etnografica: il primo tratto del fiume Vaal, diramazione dell'Orange, è caratterizzato dalla presenza di pascoli e allevamenti. E' un'area abbastanza ricca di diamanti e di miniere di carbone. Il primo tratto è contraddistinto da un clima steppico con una breve estate umida, mente il secondo da un inverno secco e un periodo estivo piovigginoso e molto lungo. Parte dell'Africa, principalmente verso occidente, abitata da Boscimani e Ottentotti, impegnati(io direi sfruttati, nda)nell'impresa diamantifera e nell'allevamento.

Repubblica Sudafricana - Da De Aar a Johannesburg - Km. 1890 - day 2/3

Dato il ritardo che la negligenza d'Orlando aveva loro procurato, viaggiarono fino a tardo pomeriggio senza fermarsi, se non per adempire le necessarie funzioni fisiologiche.
Il paesaggio che attraversavano non era particolarmente cambiato, tranne nel fatto che ora la densità di popolazione era notevolmente diminuita. Ogni tanto superavano a gran velocità dei cottage sfacciatamente sfarzosi, nei cui parchi, per quel poco che avevano potuto costatare, non si mostrava anima viva.
Dominic si sentiva euforico, era la prima volta che impugnava una moto di quella potenza. Sandrina, doveva ammetterlo, si stava dimostrando una compagna di viaggio eccezionale e affidabile. Tralasciando il piccolo inconveniente, risolto da un meccanico lungo la via, dei fari, il suo motore consumava chilometri senza dare segni di cedimento. Presto ci aveva preso la mano, e aveva cominciato a farla correre più velocemente. Orlando, se dapprima aveva avuto dei dubbi sulle capacità dell'amico, si dovette presto ricredere, vedendo come riusciva a tenere bene la strada. Avevano anche fatto delle deviazioni lungo i campi, rischiando una volta di finire in un fosso, e un'altra di investire un povero pastore che si stava tranquillamente scaccolando seduto al sole.
Johannesburg, loro prossima tappa, distava più di mille chilometri da De Aar, ma contavano di raggiungerla in un paio di giorni, viaggiando alla velocità media d'ottanta chilometri orari, per quindici o anche più ore giornaliere.
Il primo giorno venne impiegato totalmente a raggiungere il fiume Vaal, che avrebbero costeggiato per un lungo tratto. Avevano dormito in tenda in un piccolo boschetto lungo la strada, divorati dalle zanzare e disturbati da strani rumori notturni; sicuramente non si trattava d'animali, questo era certo, ma non erano riusciti a dare loro una fonte. La risposta alle loro domande non tardò a presentarsi. Alle prime luci dell'alba, già svegli, rimisero a posto le sacche e rimontarono in moto, questa volta con Orlando alla guida, contento di poter essere di nuovo lui a condurre l'aitante Sandrina, ormai intermente imbrattata di fango ed erba umida.
Ora, alla luce del sole, relativamente tranquilli e riposati, non impiegarono molto tempo a capire la natura di quei soffusi suoni notturni: nell'aria, tenendo spento il motore, potevano distintamente distinguere le note della nona sinfonia di Beethoven. Sembrò loro un fatto alquanto strano, considerando il luogo praticamente isolato in cui si trovavano, circondato da campi;tranne che alla loro destra, dove si ergeva da qualche chilometro una ruvida montagna, più lunga che alta. Con loro enorme stupore intesero che la musica proveniva proprio da quella direzione, dalla parte opposta delle rocce. Altri rumori, questi però indistinguibili, giungevano molto più soffusi.
Vinti dalla curiosità decisero di fare una breve deviazione, e raggiungere la parte antistante del monte. Ritornarono quindi indietro, imboccando il sentiero che svoltava a destra, percorrendolo lentamente, alla ricerca di una qualche presenza umana. Finalmente, dopo una curva leggermente in pendenza, si ritrovarono di fronte a quello che stavano cercando: un grande spiazzale ghiaioso, occupato da autocarri posteggiati, alcuni aperti al cielo e di legno, altri decisamente più moderni; un cospicuo gruppo di persone sembrava avere un gran daffare, caricando grosse casse nei container o scaricando sacchi. Queste erano tutte, nessuno escluso, di colore, mentre altri uomini, decisamente inglesi o americani, svolgevano altri lavori. Alcuni di questi vestivano in tuta e sembravano correre da una parte all'altra, facendo telefonate o accendendo i motori dei camion per ripararli; altri erano vestiti in giacca e cravatta, abbronzati e sudati. Sedevano sotto piccoli ombrelloni conficcati alla meno peggio nella ghiaia, conversando l'uno con l'altro, trafficando con cellulari oppure semplicemente a fissare l'attività che li circondava con fare annoiato e severo. La musica che aveva attirato i due raminghi proveniva appunto dalla radio di uno di questi, dal volume esageratamente alto, da ferire le orecchie. L'uomo era molto vecchio, vestito elegantemente di bianco, con una pancia di dimensioni spropositate, sudaticcia che trasbordava dai pantaloni.
La scena poteva risultare anche abbastanza comica ad un primo impatto, ma si resero presto conto che non c'era proprio niente per cui valeva la pena ridere. Nessuno sembrava aver fatto caso a loro, che intanto erano scesi dalla motocicletta e avevano preso a girare tra tutta quella gente. Sembrava un cantiere a tutti gli effetti, ma nessuna delle basilari precauzioni di sicurezza era stata adottata. Risultò quindi palese l'abusività del luogo.
Da un'insenatura della montagna videro delle vecchie rotaie che terminavano bruscamente sulla ghiaia, e da questa alcuni uomini uscivano spingendo vagoncini carichi di carbone, nero come il colore delle loro pelli. Con enorme stupore scoprirono che non c'era discernimento tra quei braccianti, nei quali figuravano uomini, donne e ragazzi decisamente troppo giovani per un lavoro di tal genere.
Orlando e Dominic si avvicinarono ad uno di questi, che, dopo aver riempito un sacco d'antracite, se lo era caricato faticosamente sulle spalle. Ma, dopo qualche passo incerto sotto quel peso superiore alle capacità umane, vacillò cadendo pesantemente a terra. Orlando e Dominic, istintivamente, si precipitarono ad aiutarlo, cosa che invece nessun altro sembrò aver avuto intenzione di fare, ignorando addirittura la scena.
L'uomo venne sollevato a forza dai due, che lo afferrarono da sotto le ascelle e si premurarono immediatamente di domandargli se si fosse fatto male. L'operaio si spaventò e cercò di liberarsi nervosamente dalla loro presa, senza rispondere loro e ricaricandosi il sacco sulle spalle. I due ragazzi si guardarono un po' confusi negli occhi, senza capire che cosa avessero fatto di male. Le risposta giunse repentinamente, quando uno di quei uomini felicemente seduti all'ombra li avvicinò.
-Posso fare qualche cosa per voi?- domandò tirando un sorriso tanto ipocrita quanto sporco.
-Siamo due turisti, siamo passati di qui per caso, non volevamo dare fastidio, noi….-esordì titubante Orlando.
-Voi lo sapete vero che questa è una zona chiusa?- non accennava a lasciarli passare, ponendosi di fronte con tutto il corpo, di notevoli dimensioni.
-No! -Dominic sembrava molto sicuro di se -Non lo sapevamo, ci dispiace. Vorrei però farle presente che quei sacchi sono troppo pesanti per essere portati da un uomo solo!-
Orlando gli tirò una gomitata, alla quale l'amico rispose con una smorfia seccata.
-Signor…signor?-
-Monaghan. Dominic Monaghan.-
-Bene, signor Monaghan, e io vorrei farle presente che lei non ha il diritto di esprimere giudizi, come non ha titolo per trovarsi qui! Se ora non le dispiace vorrei che mi seguiste per sbrigare alcune formalità prima di lasciarvi andare!-
-Mi dispiace, ma mi trovo costretto a rifiutare!- disse Dominic emulando il tono saccentemente ironico dell'uomo.
-Signor Monaghan, non vorrei trovarmi costretto ad obbligarla!Non si tratta che di prendere i vostri nominativi, come vuole la legge!-
-Se non erro…. -Dominic si grattò la testa lanciando un'occhiata ai manovali -La legge impone anche delle norme lavorative, tra le quali non mi pare figuri la possibilità di far trasportare carichi superiori ad un certo peso-.
L'uomo scoppiò a ridere, mentre Orlando si sentì travolgere da un forte senso di vigliaccheria, desiderando con tutto se stesso che il compagno smettesse di fare l'eroe.
-Senta, l'educazione mi impone di evitare taluni termini, signor Monaghan, ma io non credo che lei si renda conto di quello che sta facendo-.
-Lui… -Orlando afferrò per un braccio Dominic tentando di trascinarlo via -Non ha intenzione di fare proprio niente, ora ce ne andiamo!Ci dispiace di avervi causato disturbo e…..- ma le sue parole furono interrotte da un grido di donna alle sue spalle. Si voltò: uno degli uomini in tuta aveva strattonato un'operaia per i capelli, gettandola con violenza contro la parete rocciosa.
-Lurida negra di merda! -gli urlò tirandole un calcio nelle costole -La tua famiglia zulù non ti ha insegnato proprio un cazzo?-.
Orlando questa volta non si mostrò remissivo ne titubante, seguito da Dominic corse in quella direzione, fermando quell'essere che stava per sferrare un'altra pedata alla donna che, a vederla, non doveva avere più di venti anni.
-E tu chi cazzo sei?- si liberò dalla presa dell'inglese.
-Ma è impazzito o cosa? -Orlando era fuori di se -Ma le pare il modo di trattare una persona?-.
-Persona? -si guardò intorno fintamente curioso soffermandosi volutamente sulla ragazza accovacciata di fronte a lui-Io non vedo persone qui!-.
Tutto gli uomini vicini scoppiarono in una potente risata.
-QUELLA persona!- indicò irritato la giovane.
-L'animale da tiro dice?Oh mi perdoni, proprio non ci avevo fatto caso!-.
Le mani d'Orlando presero a tremare dalla rabbia, ma lui riuscì ad imporsi a stare fermo. Dominic pensava che se lui, forse, poco prima si era spinto troppo oltre il suo amico adesso l'aveva combinata veramente grossa. Ma sicuro era anche che, dopo aver assistito a quello che avevano assistito, non potevano certo andarsene indifferente.
Nessuno dei due aveva intenzione di fare l'eroe o compiere gloriose gesta, in fondo non che si sentissero estremamente coinvolti in questa faccenda, ma non si può tacere di fronte alla prepotente arroganza umana, che a volte raggiunge gli apici dell'assurdità.
L'uomo, incurante dei due, aveva afferrato nuovamente la donna per i capelli, rigettandola addosso alla roccia. Sbatté violentemente la testa, emettendo un soffocato e remissivo mugolio di dolore. Poi si era presa il capo tra le mani e si era raggomitolata su se stessa.
-Tutto bene?- Orlando, senza badare alla truce occhiata che il molestatore gli aveva lanciato, mise una mano sulla spalla della ragazza scuotendola leggermente.
-E' inutile che le parli! -l'uomo lo aveva bruscamente spinto via -Non capisce un cazzo di quello che dici!-.
-Sentimi bene tu! -gli puntò un dito contro minaccioso -Solitamente amo farmi gli affari miei, ma toccala ancora una volta che ti spacco quel brutto muso da maiale che ti ritrovi!-.
-Orlando! -Dominic lo richiamò terrorizzato.
L'uomo lo guardò mutando l'espressione in un sorrisetto vendicativo.
-Tu provaci-
-No se non mi dai una ragione per farlo!- Orlando socchiuse gli occhi in tono di sfida.
A questa esplicita provocazione lo sconosciuto sputò arrogantemente sul corpo della giovane. Non ebbe nemmeno il tempo per sorridere soddisfatto verso l'inglese che un potente pugno lo investì in piano, mandandogli una scarica di dolore direttamente al cervello. Dominic, che aveva inteso ben troppo bene le intenzioni d'Orlando, non era riuscito a fermarlo in tempo. E, in effetti, inconsciamente non aveva l'intenzione di farlo. Era convinto che la violenza, in qualunque campo venisse applicata, non risolvesse niente, e aveva la sola funzione di procurarne altra. La sua teoria venne ampiamente verificata quel giorno.
L'uomo aveva reagito alla mossa d'Orlando con tutta la rabbia che poteva mostrare, mandandolo a sbattere contro un carrello vuoto poco lontano. Dopo essersi rialzato il ragazzo non attese un solo istante e si gettò con tutto il proprio corpo contro il molestatore, ma questo fu più lesto e gli bloccò le braccia tra le sue mani, cominciando a stringergli intorno forte le dita. Sul volto d'Orlando si dipinse un'espressione di dolore e gli diede un calcio ben assestato sulla caviglia, facendogli lasciare la presa.
Dominic guardava sgomento la scena, assieme al resto dei manovali, che avevano smesso di adempire le loro attività per un istante.
La tentazione di intromettersi per correre in aiuto dell'amico era pulsante dentro di lui, ma s'impose di aspettare nella speranza che la questione non assumesse una piega peggiore di quella che si prospettava.
Quello che preoccupava Dominic sembrava invece essere fonte di divertimento per gli altri spettatori bianchi, che avevano preso ad incitare il proprio compagno nella battaglia.
Così, tra le note di Beethoven, questi due uomini si stavano malmenando, per un motivo che poteva apparire semplicemente personale, ma che sottintendeva invece una profonda ideologia socio-politica.
La testa di Orlando colpì brutalmente la roccia, facendogli perdere i sensi per qualche secondo. Questa volta l'amico non titubò e si affrettò a porsi tra lui e l'altro uomo, che intanto, aveva afferrato un badile e respirava affannosamente. Se non fosse intervenuto il tedesco probabilmente sarebbe finita molto male, per entrambi.
-Stupidi americani di merda! -sbraitò il bruto -Venite qua a cercare di fare i prodi salvatori, quando siete voi stessi a volerlo e, a casa vostra, a goderne!Volete fare gli eroi della patria, salvatori dei diritti umani, consumati tra libri sui banchi di scuola!-.
Sebbene dettate dall'ignoranza e dalla sete di vendetta quelle parole sottintendevano una sottile verità.
-Penso… -esordì Dominic stufo ed esausto -…che sarebbe meglio se ora, io e il mio amico, ce ne andassimo!-
-Credo anche io che sarebbe una buona idea!- l'uomo che prima aveva chiesto loro di seguirli aveva parlato con voce severa ed estremamente irritata. Quei due ragazzi stavano portando troppo scompiglio, rompendo quel fragile equilibrio di potere, non poteva fare altro che farli allontanare, nella sicurezza che la cosa sarebbe terminata lì.
Silenziosamente Dominic aiutò l'amico a sollevarsi e, sorreggendolo, si avviarono muti verso la moto. Orlando, dal canto suo, si sentiva umiliato e stupido.
Partirono sotto gli sguardi di tutti lasciandosi alle spalle quel piccolo scorcio del loro viaggio che li aveva colti impreparati. Avrebbero voluto fare di più, purtroppo scoprirono che non sempre il proverbio "potere è volere"era attendibile. Se avessero reagito in maniera più manifesta non avrebbero risolto niente perché, come già si è detto, non erano eroi o paladini della patria, ne avevano mai avuto l'intenzione di esserlo. Solamente che la propria impotenza spesso pesa come un macigno sulla coscienza e la consapevolezza della piccolezza di fronte alla cattiveria preme più che mai.
Costeggiarono il fiume Vaal senza nemmeno osservarlo con attenzione, come volevo inizialmente fare, pieni di un'amarezza e scoraggiamento indescrivibili. Quando giunsero a Johannesburg era ormai quasi notte, non avevano praticamente ancora parlato e mantennero questo silenzio nella ricerca di un alloggio. Trovarono un ostello e si addormentarono ancora vestiti, nella speranza che il sonno cancellasse la pessima giornata, e di svegliarsi con l'umore che li aveva accompagnati alla partenza, e che avevano sperato lo avesse fatto per tutto il viaggio.

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Capitolo 6
*** Repubblica Sudafricana - da Johannesburg a Maputo - Km. 2450 - day 4/5 ***


Repubblica Sudafricana - da Johannesburg a Maputo - Km. 2450 - day 4/5

La mattina successiva accadde effettivamente quello in cui entrambi avevano sperato: il sole illuminò la stanza, portandosi via la stanchezza e la malinconia. Sebbene il cuore non poteva non essere ancora turbato, spostarono silenziosamente questo sentimento in un angolo nascosto, decisi a non farlo fuoriuscire fino a che il loro viaggio non sarebbe giunto al termine.
Consumarono la colazione direttamente in camera, domandandosi se non fosse il caso di chiamare casa visto che, dopo l'incidente del bue, non ci avevano più particolarmente pensato. Convennero che, vista l'ora legale, probabilmente chi stava negli Stati Uniti era ancora beatamente avvolto dalle braccia di Morfeo. Siccome non sapevano dove ciascuno di loro fosse in quel momento ritennero più giusto aspettare che fossero gli altri a chiamarli, almeno la prima volta. Naturalmente telefonarono alle rispettive famiglie, ricevendo le solite raccomandazioni che, seppur ormai ripetute a memoria, davano sempre un punta di piacere.
Montarono in sella che ormai il sole era già alto, Maputo, la capitale del Mozambico, sarebbe stata la loro tappa successiva. Distava circa cinquecento chilometri, ma, essendo la strada molto diretta e relativamente scorrevole, contavano di consumarli tutti in un solo giorno.
Il paesaggio non era notevolmente cambiato, solo che ora si vedevano molti meno pascoli e più coltivazioni.
I polpacci d'Orlando, piegato sulla moto, cominciavano a bruciare ma lui non ci fece nemmeno caso. Le braccia di Dominic erano strette attorno alla sua vita, mentre il petto era appoggiato alla sua schiena. Il conducente era impegnato nella guida, mentre l'amico aveva chiuso gli occhi e si concentrava solamente sulle sensazioni che l'alta velocità e il vento, insinandosi tra i vestiti, gli provocavano.
Ma la robusta Sandrina aveva pur sempre i suoi anni, che non tardarono a farsi sentire.
-Non è possibile!- sbraitò Orlando battendo con rabbia le mani sul manubrio, scendendo.
-Lo avevo detto, cazzo!- Dominic stava cercando di mantenere in equilibrio la moto, mentre l'amico aveva preso a girare in tondo mettendosi le mani tra i capelli.
-Adesso provo a sistemare tutto!- con fare sfrontato l'inglese s'inginocchiò davanti al motore, infilandoci dentro le meni e frugando a casaccio.
-Fermati deficiente! Fai più casino che altro!-.
-Ma stai zitto un attimo! Lasciamo fare!- Orlando si era innervosito non poco.


-Forse sarebbe meglio che ti cambiassi!- Dominic lanciò un'occhiata alla camicia dell'amico che, sporca d'olio, da rossa era diventata nera.
Orlando, come nelle previsioni del compagno, era riuscito solamente a peggiorare la situazione, tanto che Sandrina ormai non si avviava nemmeno più. Le prime ombre della sera avevano intanto cominciato imperterrite a calare. Si trovavano precisamente nel nulla, ovvero in una stradina di campagna deserta e, secondo la cartina, lontana molti chilometri dal primo centro abitato. Le pile riuscivano ad illuminare la strada solo parzialmente. I due erano stanchi a forza di spingere la moto, e nonostante il sole fosse ormai completamente calato, il caldo era pressante. Si erano seduti sul ciglio della strada, tentando di accendere un piccolo falò, ma inutilmente.

-Forse me la cambio dopo. Non devo far colpo su nessuno.- Orlando aveva stretto le ginocchia al petto, appoggiandovisi sopra con il mento, e stava fissando un punto imprecisato davanti a se.
-Sai Dom… -prese l'iniziativa -A dirti tutta la verità non è che me ne sia mai fregato più di molto!-
-Lo vuoi sapere un segreto Orlando?- Dominic aveva assunto un'espressione seria.
Lui annuì.
-Nemmeno a me!- scoppiò a ridere, seguito dall'amico.
-E allora perché lo facciamo?E non dico solo io e te, ma tutti, in generale!-aveva socchiuso gli occhi pensieroso, ma sottintendendo la retorica della domanda.
-In una società in cui l'apparire è più importante dell'essere non è difficile capirlo….- Dominic si era sdraiato, incrociando le braccia dietro la nuca.
Il silenzio non era assoluto, i classici rumori notturni componevano una serena melodia africana.
-Senti che strano il verso di questo grillo!- Orlando tese l'orecchio. Dominic rimase qualche istante ad ascoltare-.
-Non è un grillo, scemo! -rise- E' il tuo cellulare!-
L'inglese si batté una mano sulla fronte prima di prendere l'oggetto e rispondere.
La conversazione con Elijah si prolungò a lungo, i due viaggiatori si allungarono in dettagliate descrizioni, dettate da un euforico entusiasmo.
Pochi minuti dopo questa chiacchierata Orlando pensò che forse era il caso di chiamare anche Kate, che aveva decisamente trascurato da quando era partito, limitandosi a mandarle sporadici messaggini freddi e banali.
La ragazza si mostrò abbastanza distaccata e anche alquanto irritata, infatti non che avesse mai particolarmente apprezzato la scelta del ragazzo, ritenendola la più grande cazzata che avrebbe mai potuto pensare di fare. Orlando non ci fece molto caso, sapendo che sarebbe bastato poco tempo perché le passasse, ma, naturalmente, si sprecò ugualmente in innumerevoli "ti amo", perché la paura di farla allontanare troppo era forte.

-Credi che questo inconveniente ci farà perdere molto tempo?- si infornò Dominic quando ebbe terminato la telefonata.
-Secondo il programma dovremmo già essere arrivati a Maputo, ma cercheremo di rifarci domani mattina. Partiamo appena c'è abbastanza luce.-
-E come conti di arrivarci? Ti ricordo che Sandrina è fusa e ha bisogno di un buon medico, se non di un miracolatore dopo che ci hai messo le mani tu! Sempre a voler fare tutto da te!-
-Caro Dom…se veramente pensi che voglia sempre fare tutto da me, credi che avrei fatto l'attore?-lo guardò sarcastico.
-Battutona Orlando! Li senti? Anche i grilli si stanno sganasciando dalle risate!-.

Sarà stata la situazione, la tranquillità che si poteva quasi palpare, quei rumori così nuovi ma allo stesso tempo già così esplorati, la malinconia, seppur priva di un'amara tristezza, che li aveva lentamente avvolti, che i pensieri si spostarono presto all'inquietudine.
-Pensi che siamo facendo una cazzata, Dom?- Orlando stava sorseggiando una birra.
-Io non penso, non ho intenzione di farlo adesso, e ti consiglierei di non farlo neppure tu!-.
-Cazzo! Ma come fai a non pensare!?!-.
-Questo è un segreto che non ti rivelerò mai, amico mio!- rise, ma senza troppa intensità.
-Sai… -continuò Orlando- Ho provato a farlo per tanto tempo, per molto tempo…-.
Dominic non capiva dove il compagno volesse arrivare con quelle parole, che sembravano a tutti gli effetti il preludio di uno sfogo psicologico.
-Quando mio padre è morto, mia madre ha fatto di tutto per non farmi pesare questa cosa, e devo dire che è stata fantastica!-.
Il tedesco si sollevò di colpo, fissando intensamente l'amico negli occhi: era la prima volta che ne parlava, e per di più spontaneamente, quindi voleva seguire il discorso con tutta l'attenzione che meritava di ricevere.
-Non mi lamento della mia vita Dom, sarei veramente un ipocrita a dire questo, ma a volte penso come sarebbe stato poter conoscere mio padre, potermi ricordare solo una parola che mi ha detto, un'occhiata che mi ha lanciato. Non ricordo nemmeno una sola volta che mi ha portato al parco o a mangiare un gelato. Mi chiedo spesso se lui sarebbe stato orgoglioso di quello che sono diventato e di quello che faccio. Non mi manca, come non rimpiango una figura patera, non si può sentire la mancanza di qualcosa che non si è mai avuto. E quindi forse è stato un bene che se ne sia andato quando ero ancora così piccolo, ma da una parte, come non ho niente per cui soffrire, non ho niente a cui aggrapparmi. Ormai non ci penso più di tanto, perché maturando ho scoperto di essere nato e cresciuto in un'oasi d'amore e serenità. Nessuno mi ha violentato, fisicamente o mentalmente, né mi ha proibito di fare le mie scelte. La mia famiglia non mi ha mai fatto mancare tutto l'amore di cui ho bisogno, e io non glielo farò mancare a mia volta. Non mi sono mai lamentato, perché credo di non avere niente da recriminare a nessuno, in primis a me stesso, però le domande rimangono sempre, aggrappate a fotografie e immagini create attraverso i racconti di mia madre e dei miei nonni-.
Sebbene stesse facendo uno sforzo inimmaginabile per trattenere un grosso lacrimone che lottava per scivolargli sulla guancia, quando Dominic, con una mossa fulminea, dettata dall'urgenza di aiutare l'amico, lo abbracciò impulsivamente, scoppiò. Rispose al gesto del compagno con slancio, stringendolo stretto a se, prendendo a singhiozzare contro la sua spalla. Dominic gli accarezzava la schiena, cercando di tranquillizzarlo, ma, al tempo stesso, di lasciare che si liberasse da quelle fruste sensazioni.
-Sono sentimenti umani Orlando… -gli mormorava sorridendo accarezzandogli la testa -E' assolutamente normale che tu provi queste cose, e sarebbe stato meglio che ne avessi parlato prima, anche con me, e non puoi sapere come sono contento che tu lo abbia fatto. Mi hai fatto sentire importante a darmi la tua fiducia….-.
-Guarda Dom che mi sono ridotto a parlare con te solo perché ora non c'è nessun altro… -Orlando aveva sollevato la testa, e sorrideva tra le lacrime che silenziose ancora scivolavano.
-Ma che bestia che sei! -gli diede uno scappellotto -Mi sono offeso!- e lasciò l'abbraccio.
-Dai! Lo sai che scherzo scemo!-
A quelle parole, che sapeva già perfettamente, Dominic lo riavvolse nell'abbraccio, sentendolo vicino a se come era mai successo.
-Come ti senti adesso?- domandò dopo qualche minuto di placido silenzio.
-Bè… - l'inglese si scrollò i pantaloni, cercando di darsi un contegno -Abbastanza stupido!-
-Ma Orlando! E' perché lo sei!-

E sì, poteva anche esserci stato un momento di debolezza da parte di entrambi, in cui avevano aperto il proprio cuore come si desidera che due amici abbiano il diritto e la possibilità di fare, ma erano pur sempre due uomini, orgogliosi, che credevano di dover dimostrare chissà cosa per quelle due ghiandole sospese prettamente maschili. Questo non era stato che il primo, piccolo ma fondamentale passo verso quel percorso, che pochi fortunati possono percorrere, volto a delineare le basi di un'amicizia degna di questo nome, fondata sul rispetto, sulla collaborazione reciproca e, soprattutto, sulla fiducia.

La mattina successiva si svegliarono abbastanza indolenziti. L'umidità li aveva avvolti nel sonno, lasciando tangibili tracce nei loro muscoli. Orlando dal manubrio, Dominic dal didietro, presero a spingere Sandrina, che, dopo qualche chilometro, si rivelò molto più pesante del previsto. Il sole ancora non era abbastanza alto da far girare la testa, ma il sudore impregnò molto presto la pelle sporca di terra dei due. Stranamente però erano armati da un ottimismo rassicurante, che venne subito esplicato in frivoli chiacchierate, su ricordi e racconti, battute e scherzi innocenti. Si resero però rapidamente conto che era un'utopia poter pensare di arrivare in quel modo al primo centro abitato. Il telefono sarebbe servito molto poco, dato che non avevano la minima idea di chi o dove dovessero chiamare per farsi mandare qualcuno in aiuto. Dovettero arrendersi alla speranza che una macchina, o simili, passasse per quella strada, e avesse la cortesia di caricarli, Sandrina compresa.
Forse la loro buona stella pensò fosse il momento di farsi sentire, e mandò loro presto il soccorso tanto agognato.
Quel camioncino malandato li aveva gentilmente accolti, lasciando però Sandrina nel retro, annusata da un gruppetto di maiali curiosi che grugnivano e la sbavavano da cima a fondo. Ma non potevano certo fermarsi a pensare a queste piccolezze, la necessità ti fa accettare tutto. Di questo se ne sarebbero resi maggior mente conto più avanti.
Riuscirono a trovare un meccanico in un piccolo villaggio, che però, non accettando valuta americana, avevano dovuto pagare aiutandolo a strigliare i suoi tre cavalli. Si fecero anche una ritemprante galoppata.
Giunsero a Maputo solamente alle ultime luci del giorno, con varie ore di ritardo sulla tabella di marcia. Erano, in ogni modo, talmente stanchi che non si preoccuparono di fare progetti per recuperare il tempo perduto, e, arrivati ad un albergo dall'insegna inglese, si fecero una doccia e si addormentarono immediatamente.

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Capitolo 7
*** Mozambico - da Maputo ad Inhambane - Km. 3780 - day 6 ***


Nota: Ieri sera mi ha telefonato un'amica(che approfitto per ringraziare per gli appunti), facendomi alcune considerazioni. Mi ha detto che le sembrava alquanto strano che proprio Orlando Bloom e Dominic Monaghan avessero deciso di fare un viaggio simile. Ecco, ne approfitto per dire una cosa che desideravo da tempo: i loro nomi sono solamente due specie di pseudonimi. Ovvero, nella mia storia sono proprio i due attori i protagonisti, ma è un racconto che si può estendere a tutta l'umanità. Ho preso in prestito la loro faccia per questioni d'immedesimazione (e anche, lo ammetto, anche di piacere), ma al loro posto potrebbe esserci qualunque altra persona. Sono convinta anche io dell'impossibilità che decidano di fare un'esperienza simile, ma in fondo è una storia, no?


Piccola digressione geo-etnografica: Lo Stato Mozambico è caratterizzato da precipitazioni periodiche, seppur non troppo abbondanti. E' un'area mediamente popolata da persone di tipo Cafro(Bantu dell'est e dell'ovest). E' stata, sin dai primi anni del colonialismo, una delle maggiori zone depauperate dallo schiavismo. Colonia portoghese detiene questa lingua come ufficiale, mentre le lingue parlate sono i vari idiomi bantu. La religione più praticata è quella animista, meno presenti sono la cattolica e la musulmana. Le maggiori colture presenti sono quelle della canna da zucchero e del cotone, dell'anacardio, della manioca e delle banane. Numerosissime sono le industrie alimentari e le multinazionali, mentre poco sfruttate sono le risorse minerarie.

Mozambico - da Maputo ad Inhambane - Km. 3780 - day 6

Quando Dominic si svegliò notò che l'amico doveva essere già uscito, e gli aveva lasciato una tazza di caffè coperto sul comodino. Sorrise, stiracchiandosi sereno.
Orlando, dal canto suo, si era alzato molto presto, con l'intenzione di fare alcune compere per il viaggio. Ma, se inizialmente l'idea era stata quella, la sua passione per l'oggettistica locale ebbe la meglio, e si ritrovò presto a curiosare per le bancarelle del mercato in piazza. Alcune erano decisamente particolari, sfoggiavano curiosi porta-fortuna tipici o indiani, altre gioielli ricavati dalle selci o dall'ambra. Dopo un'ora e mezzo di shopping sfrenato Orlando si ritrovò con due scaccia-pensieri, qualche bracciale da regalare a Kate e a sua sorella e un foular color dell'oceano. Inoltre aveva comprato numerosi regali da portare ad amici e parenti, e anche qualche cosa per se, compreso un paio di sandali ad infradito che promettevano fertilità a chi li indossava. Come se non bastasse si premurò di prendere un piccolo pensiero a Dominic, un preservativo con disegnata la faccia di un folletto dei boschi sulla confezione(paragone "rubato" a Mandy, con cui mi scuso, ma che ho utilizzato perché l'ho trovato estremamente azzeccato. nda).
Ancora non sazio stava frugando con occhi voraci tra tutte quelle particolarità indigene, quando si sentì toccare con poca delicatezza un gluteo. Istintivamente si voltò di scatto, riuscendo appena a scorgere un bambino che correva agitato attraverso la folla. Immediatamente si portò una mano sul didietro, scoprendo con disdegno di non avere più il portafogli. Preso da un impeto di proprietà cominciò a rincorrere il ragazzino, intimandogli di fermarsi. La gente non che ponesse particolare attenzione alla cosa, ma nemmeno si degnava di scansarsi per lasciarlo passare.
Continuava ad urlare -Fermatelo!- ma nessuno sembrava intendere la sua lingua, o perlomeno nessuno tentò di adempire la sua richiesta. Sebbene fosse abbastanza agile e, a modesto parer suo, allenato, le gambe di un bambino sono decisamente più scattanti e fulminee, così presto lo perse. Non che fosse grave cosa aver perso il portafogli, ma si sentiva estremamente stupido ad essersi fatto fregare in modo così manifesto. Rassegnato, e deluso soprattutto dal fatto di non poter estendere oltre i suoi acquisti, fece per ritornare in albergo, quando una donna bianca dal fare furtivo lo bloccò per un braccio.
-Posso dirti dove abita!- disse in perfetto accento americano.
-Chi?- Orlando lì per lì non riuscì a capire cosa volesse intendere.
-Quel piccolo delinquente che ti ha derubato. Conosco suo padre, un uomo della peggior specie, sfrutta i propri figli per le sue porcherie. Sarebbe un vero piacere per me vederlo sbattere dentro!-.
Il ragazzo rimase un po' interdetto da queste parole, primo per il fatto che non credeva che un bambino potesse essere considerato un delinquente, e secondo perché, in fondo, non aveva voglia né tempo di mettersi alla ricerca del denaro perso. Forse per educazione, forse per pagamento personale, si fece comunque dare le informazioni necessarie.
Fortunatamente l'abitazione del suo piccolo ladro non era molto distante, e scoprì con grande stupore che il genitore non era nemmeno minimamente coerente con la descrizione delle parole velenose della donna. Aveva bussato sperando, dentro di se, che nessuno venisse ad aprire, potendo così andarsene e chiudere quella storia che, secondo lui, era esagerata. Perdere pochi dollari non lo avrebbe certo ridotto alla miseria. Un uomo di mezz'età dall'aria stanca e onesta venne ad aprirgli, facendolo accomodare senza nemmeno prima domandargli il motivo dell'inaspettata visita. Con gran sollievo d'Orlando questo parlava qualche parola d'inglese, in ogni modo abbastanza da potersi intendere. Appena varcata la soglia, l'inglese notò il bambino fautore del furto, seduto per terra, e, appena lo vide, scappò immediatamente chiudendosi in una stanza, che Orlando immaginò essere la sua camera. Scoperto quello che il figlio aveva fatto, l'uomo non sembrava voler smettere di scusarsi, ripetendo in continuazione che non ci sarebbe stata punizione adeguata per quello che aveva fatto. Le parti s'invertirono, ed Orlando si ritrovò ad essere lui stesso quello che cercava di calmare l'uomo e di giustificare l'azione del figlio. Ma sembrava non poter sentire repliche riguardo ai provvedimenti severi che avrebbe adottato, gli fece segno di aspettare e sparì nella camera dove poco prima il bambino si era rinchiuso, terrorizzato.
Mentre aspettava Orlando si diede un'occhiata attorno; inequivocabile era che il furto non era stato commesso come bravata giovanile, ma dettato dalla necessità: l'appartamento era tanto piccolo quanto malridotto, si chiese come riuscisse ancora a non crollare, date le vistose crepe che lo attraversavano da muro a muro. I pochi mobili messi un po' alla rinfusa sapevano di vecchio solo a guardarli, niente tappeti per terra o soprammobili, nessun quadro e un piccolo lampadario che pendeva pericolosamente sopra la sua testa; la casa era composta da questo minuscolo soggiorno, con adiacente due metri quadrati che si potevo chiamare, con un eufemismo, "cucina", e la porta dove si stava svolgendo una severa disanima. Improvvisamente Orlando si sentì travolgere da un gran senso di colpa e di vigliaccheria, domandandosi cosa l'avesse spinto lì.
L'uomo uscì porgendogli sconsolato il portafogli.
-Mi dispiace, veramente, ancora non so come chiederle scusa. Non l'ha fatto con cattiveria, crede di potermi aiutare in questo modo, e io non so più cosa fare con lui!-.
L'inglese cercò di fargli capire che non aveva proprio niente per cui chiedere scusa, che capiva perfettamente, anche se questa era la più grande bugia che avesse mai detto. Gli venne offerto un caffè che lui, cordialmente, declinò dato il suo vistoso ritardo che si accumulava a quello del giorno precedente.
Fece per andarsene, l'uomo era ritornato nella stanza dove stava suo figlio, e Orlando sperò non lo picchiasse. Aveva capito per la seconda volta che la necessità a volte è più forte della lucidità di mente: il ragazzino aveva visto quell'uomo che sapeva tanto d'Americano e che puzzava lontano mille miglia di ricchezza, non ci aveva pensato due volte, nella facile opportunità di dare un piccolo aiuto quotidiano alla famiglia. Come recriminarlo? Orlando sospirò, mentre nella sua mente per un istante viaggiarono veloci le immagini del suo cottage londinese, quindi aprì senza farsi sentire un cassetto, e lì ripose il portafogli, prima di uscire.
Anche questa volta avrebbe voluto fare di più, ma sarebbe risultato invadente o stupido, perché quell'uomo non cercava sicuramente la sua pietà, ma semplicemente un modo per far vivere la sua famiglia serenamente, con le sue stesse forze. Altrettanto sicuro era che, ad Orlando, quel portafogli serviva ben poco.

Trovò Dominic che parlava animatamente al cellulare, col sorriso sulla bocca. Appena lo vide entrare, il tedesco gli fece segno di stare zitto e chiuse in fretta la telefonata.
-Alla buon'ora!- allargò le braccia con fare ironicamente sconsolato -Ma quante cose hai comprato?!?- si riferì alle due borse che l'altro teneva saldamente tra le mani.
-Alcune cosette interessanti…questo è per te!- gli lanciò addosso il preservativo con stampata la faccia di un folletto -Mi hanno detto che serve per aumentare le prestazioni sessuali!-
-E allora, Orlando, perché mi regali qualcosa che ti sei comprato per te?-.

Grazie al gentile portiere dell'albergo furono indirizzati da un buon meccanico, che promise di rimettere in sesto Sandrina per il primo pomeriggio, previo adeguato pagamento. Il problema era che dovevano percorrere più di mille chilometri e, essendo già in ritardo di quasi un giorno, avrebbero sicuramente dovuto guidare anche la notte. Decisero quindi di farsi una dormita nell'attesa che la motocicletta fosse pronta.
Alle due ritirarono Sandrina, che ora, lavata e messa a nuovo, infondeva coraggio e speranza nelle sue capacità.
Dominic si fece spazio tra la nuova valigia adibita agli acquisti d'Orlando, facendo sobbalzare la moto. Si spinse indietro per permettere all'amico di salire, inforcò i Raiban e gli cinse la vita piegandosi leggermente in avanti. Il motore ruggì potente, per riscaldarsi, qualche secondo, poi, con una sgommata, Sandrina decollò.
Il tratto che stavano percorrendo assomigliava molto ad un'autostrada a due corsie in disuso, piena di fosse e fenditure. Dopo innumerevoli sobbalzi Orlando fermò la moto.
-E adesso cosa fai?- Dominic si tolse gli occhiali, osservando l'amico scendere.
-Ho bisogno di riprendermi un attimo… -biascicò sedendosi con poca grazia sul cemento.
-Tutto bene?- si preoccupò raggiungendolo, vedendo che era molto pallido.
-Mi gira la testa… -si prese il capo tra le mani, socchiudendo la bocca in respiri profondi.
-Vuoi che chiami aiuto?- Dominic era molto agitato, se si fosse sentito male non avrebbe saputo cosa fare.
-Ma chi cazzo vuoi chiamare? -Orlando si era fatto estremamente nervoso -Per favore, lasciami un attimo in pace che mi passa!-
Il compagno obbedì, trovando la causa di quel repentino cambiamento nel sole cocente, che raggiungeva alte quote persino all'ombra. Si poggiò alla moto, chiudendo gli occhi e incrociando le braccia, paziente. Orlando non dava segni di volersi muovere, aveva sputato varie volte sentendo la bocca impastata. Dominic, dopo qualche minuto, lo avvicinò con una bottiglia d'acqua, che l'amico, senza ringraziare o attendere, afferrò, rovesciandosi il contenuto sulla testa.
-Senti, forse è meglio che guidi tu ora…- farfugliò.
-Certo, non c'è problema… -aveva inteso quell'affermazione come la fine della pausa, ma evidentemente non era così.
Orlando tentò di rialzarsi, ma un improvviso e violento giramento di testa lo fece crollare nuovamente. Dominic prontamente lo afferrò sotto le ascelle, impedendogli di farsi male, e lo fece distendere. Prese un berretto, lo intrise d'acqua, calandoglielo sulla capoccia bollente.
-Mi dispiace Dom, cazzo, siamo sempre in ritardo per colpa mia!-.
-Oh ma sei impazzito?!! -rise cercando di sdrammatizzare la situazione -In questa storia tutto il lavoro pesante te lo sei accollato tu, dovresti farti una colpa se il sole africano ti vince un momento?-
Il caldo era veramente soffocante, ora che erano fermi anche Dominic lo sentiva pressare contro il proprio cervello, così si premunì bagnandosi i capelli a sua volta. Luoghi all'ombra abbastanza vicini in cui far distendere Orlando non ce n'erano, così prese un telo e gli coprì la parte superiore del corpo, ricordandosi vagamente qualche passaggio imparato in un corso di pronto soccorso, a scuola.
Sentì l'amico ridere sotto il panno.
-Che c'è da ridere?-
-Niente…è che mi sento tanto e.r. medici in prima linea…-.
Dominic non poté fare a meno di ridere a sua volta, trovando effettivamente similarità tra le due cose.
-Se sei in grado di dire cazzate significa che sei vivo!-
Orlando si sollevò scuotendo la testa e cercando di darsi un contegno.
-Forza -disse riprendendo il telo da terra -Dottor Carter, si metta alla guida!-.
-Il paziente ha sempre ragione….- si prostrò in un inchino, facendo gesto con la mano di passare -Si accomodi sul mio modesto destriero…-.
-Concordo in tutto tranne che su quel "mia"….-.

La notte era ormai scesa, e sebbene ora i fari funzionassero alla perfezione, Dominic doveva fare molta attenzione per non investire animali che potevano, da un momento all'altro, decidere di attraversare la strada. Purtroppo tutta la sua premura non bastò a risparmiare la vita ad un povero essere, che somigliava molto ad uno scoiattolo, che venne prontamente seppellito dai due. Il tedesco si sentì in colpa, ma non poté fare altro che degnare quella povera bestia di una modesta tomba, ricavata scavando alla meno peggio alle radici di un grosso albero.
La città d'Inhambane era molto simile alle altre che avevano visto fino a quel momento, ovvero non si avvicinava nemmeno all'idea che Dominic aveva di Africa, ricordando più le grandi città Americane che i paesaggi suggestivi che aveva sognato prima di partire. Ma data la tarda ora e la stanchezza accumulata, non se ne preoccupò più di tanto, limitandosi a scaricare Sandrina e a cercare un albergo. Anche questa volta la loro ricerca si rivelò molto semplice, così si ritrovarono presto a russare profondamente, immersi comodamente in due morbidi materassi.

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Capitolo 8
*** Mozambico - da Inhambane a Beira - Km. 4570 - day 7 ***


Nota: Purtroppo, ancora, non ho avuto l'onore di poter visitare l'Africa, quindi mi scuso se qualcuno di voi è più esperto di me e troverà le descrizioni dei luoghi abbastanza azzardate. Non ho potuto fare altro che basarmi sui libri e sui racconti, quindi scusatemi! E lasciate volare la fantasia!

Nota2: In questo capitolo non accadrà niente di particolarmente entusiasmante, perché non si può pretendere che ogni giorno del loro viaggio contenga emozioni forti o nuovi insegnamenti sulla vita reale. E' solamente un piccolo scorcio di vita, di due vite, intrecciate in uno scopo comune.

Mozambico - da Inhambane a Beira - Km. 4570 - day 7

-Svegliati Dominic!- anche quel giorno Orlando era stato il primo a svegliarsi, e si era fatto un giro per la città, corredando il suo vagabondare con ulteriori acquisti.
-Ecchecazzo! Orli, che ore sono?-
-Le otto passate!- sorrise pieno d'euforia.
-Le otto?!? Ma lo sai a che ora siamo arrivati qua?!?- Dominic non riusciva a credere alle proprie orecchie, le palpebre gli si chiudevano contro la sua forza di volontà.
-Forza, forza! Non battiamo la fiacca che oggi dobbiamo fare un bel po' di strada!- Orlando si era vestito in un modo decisamente…diciamo…alternativo.
-Ma che diavolo ti sei messo addosso?- il tedesco si stropicciò gli occhi.
Effettivamente non che il suo vestiario fosse all'insegna dell'ultima moda; comprendeva bermuda psichedeliche, camicia hawaiana a fiori gialli e rosa, sandali ad infradito(quelli che dovevano aumentare le prestazioni sessuali,nda) e uno di quei vistosi cappelli di paglia tipicamente messicani.
-Mi adatto, no?-
-Se lo dici tu…- Dominic gettò per terra il lenzuolo, trascinandosi letteralmente verso il bagno e chiudendosi dentro.
Orlando aveva dei programmi precisi per quella mattinata, prima di rimontare in sella. Camminando nel centro era passato davanti ad un cinema, scoprendo, con suo enorme stupore, che il "Signore degli Anelli-Il Ritorno del Re" era ancora in proiezione. L'impulso di vedersi recitare in portoghese era stato troppo forte, ed era intenzionato a trascinare l'amico a costo di legarlo e portarcelo di forza.

-Non ci penso nemmeno!- Dominic sembrava deciso, appena aveva visto la locandina al di fuori del cinema aveva capito le intenzioni del compagno.
-Ma dai Dom! -rise -Non t'interessa sapere che razza di voce ti hanno affibbiato?-
-Nemmeno un po'! Al contrario di te non sono così egocentrico da volermi rivedere ogni volta che ne ho la possibilità!-.
Queste parole avevano leggermente messo in imbarazzo l'inglese, che, in tutta sincerità, nonostante fossero passati alcuni anni, ancora si emozionava non poco all'idea di vedersi sul grande schermo.
-E se te lo offro io?- si fece beffa Orlando, sbattendo gli occhi in preghiera. Dominic sbuffò, sapendo che, prima o poi, sarebbe comunque riuscito a convincerlo. Con gran gioia dell'amico lo seguì a passi lenti verso il botteghino. Comprati i biglietti si accomodarono nell'unica sala cinematografica, preferendo dei posti in ultima fila. Davanti a loro un gruppo di ragazzine prese a ridacchiare durante la pubblicità. Ogni tanto, tra le loro parole in portoghese, i due vagabondi riuscivano ad afferrare qualche "Orlando" e qualche sporadico "Elijah". Il tedesco, senza farsi vedere, aveva teso le orecchie, nella vana speranza di captare anche un piccolo "Dominic", ma invano. Orlando gli regalò un sorrisetto di posticcia comprensione, a cui rispose con un'evidente linguaccia indignata.
Finalmente il film ebbe inizio, le luci si abbassarono e solo un vago brusio dava ad intendere che la sala era occupata da esseri viventi. Le voci attribuite a Deagol e Smeagol fecero immediatamente scoppiare a ridere i due amici, abituati a quelle americane, ma subito furono messi a tacere da una giovane di fronte a loro, che si voltò scocciata fulminandoli con lo sguardo.
-O mio dio…- Orlando strinse le mani attorno ai braccioli della poltrona, scivolando verso il basso come imbarazzato: la voce portoghese di Legolas aveva un non so che d'effeminato e lezioso. Dominic non riuscì a trattenersi, ma cercò comunque di mantenere un contegno mordendosi un pugno, per calmare l'ilarità che lo aveva colto. Riguardo al suo doppiaggio non poteva avere niente da ridire, il suo tono era molto simile a quello reale.
-Ti prego andiamocene prima che vada fuori di matto e sfondi lo schermo a testate…- l'inglese si sentiva bollire dalla rabbia e dalla vergogna. Nessuno al di fuori di lui sembrava aver trovato divertente, o strana, la tonalità dell'elfo.
-E no caro mio… -sussurrò soddisfatto Dominic -Sei tu che sei voluto venire e ora resti fino alla fine…-
-E' una tortura!-
-Tranquillo….non credo ti cascheranno le palle, Orlando….-


Quello che seguì il primo istante di sgomento, ripagò decisamente il ragazzo dello shock iniziale. Le ragazzine davanti a loro non si risparmiavano in espliciti complimenti verso l'attore che, sebbene sussurrate in una lingua estranea, non facevano molta fatica ad essere capite. Purtroppo le lodi cominciavano ad essere troppo invadenti ed esagerate, tanto che disturbavano lo svolgimento della storia. A niente servivano gli ammonimenti degli spettatori, le giovani continuavano imperterrite a lanciare gridolini ad ogni comparsa di Legolas, Frodo o Aragorn. Mentre Orlando non ne sembrava per niente infastidito(e come biasimarlo?nda), Dominic cominciava ad irritarsi. Questa non era certo una scena nuova che gli si presentava davanti, aveva assistito ad episodi di fanatismo tali da creare ribrezzo. Poteva capire la passione per una pellicola, per la storia o per il suo messaggio; naturalmente gli facevano molto piacere tutte quelle persone che lo ammiravano e, anche, le ragazze che gli urlavano al vento quegli "I love you", dettati all'insegna della sola immagine; il mondo dello spettacolo. Non poteva certo dire che erano questi i compromessi scottanti della sua carriera, anzi, potevano essere inseriti tra le parti più piacevoli. Ma, dentro di se, non era mai riuscito a capire, forse perché non era mai stato "dall'altra parte della barricata", quando era un semplice aspirante ragazzo non aveva mai avuto un'ammirazione delirante per qualcuno che andasse al di là di sua madre. All'ennesimo gridolini estasiato, seguito dalla simulazione esagerata di un orgasmo, scoppiò, si alzò in piedi e se ne andò stringendo i pugni.
-Che ti prende?- Orlando l'aveva seguito immantinente.
-Lo sai benissimo quel che mi prende…non è possibile che…insomma! Cazzo! Ma siamo matti?!? L'hai sentita quella?!? Si stava praticamente scopando la poltrona!-
L'inglese scoppiò in una potente e genuina risata, gli poggiò una mano sulla spalla avviandosi verso l'albergo.
-Forza vieni! Sarà meglio partire!-
-Sarà meglio di sì…- borbottò Dominic, abbassando lo sguardo a disagio per la sua decisamente esagerata reazione.

Dopo aver viaggiato attraverso una via cardinale, virarono per una stradina ciottolosa. Le sponde erano costeggiate da innumerevoli alberi, tanto che era impossibile scorgere il paesaggio che nascondevano. Quando gli arbusti si diradarono Orlando fermò la moto, socchiudendo la bocca estasiato. Dominic si tolse gli occhiali, non credeva ai suoi occhi, scese lentamente dalla moto, completamente rapito da ciò che stava vedendo: davanti e alla loro sinistra si estendeva un'immensa prateria punteggiata di rosso, giallo e bianco. Qualche montagna in lontananza rendeva maggiormente suggestiva questa visione paradisiaca. Il profumo che quell'infinito manto di fiori sprigionava sembrava penetrare nella testa, per non volerla abbandonare più.
-Cazzo...- fu l'unico commento che riuscì a pronunciare l'inglese, prima di sollevare lo sguardo al cielo ceruleo.
Dominic si era voltato verso l'oceano, vellutato e abbagliante, libero.
-Ti va un tuffo?- sorrise malizioso all'amico, che si era già immerso in quel mare di carnevalesche corolle. Si scambiarono uno sguardo di tacita intesa, prima di prendere a correre verso l'oceano, lasciando man mano una scia di vestiti dietro di loro. Si lanciarono arrivati al bordo, volando dalla scogliera verso il basso….il loro urlo d'emozione si unì allo scrosciare dell'acqua. Il contatto con il gelido dell'oceano li investì come una scarica diretta al cervello, bloccando per un solo istante la muscolatura.
La scarica d'adrenalina provata ebbe l'effetto di accendere il delirio che li aveva avvolti, ancora bagnati montarono su Sandrina, con Dominic alla guida, che quasi s'impennò sotto la potenza dell'avvio.
Orlando lasciò la vita dell'amico, si sollevò cautamente sulle gambe, mentre la moto continuava la sua forsennata corsa, alzò le braccia al cielo e chiuse gli occhi, urlando con quanto fiato aveva in gola.
-Ho capito cosa ha provato Leonardo nel Titanic!- ansimò entusiasta ritornando a sedersi.
-Senti Jack! -Dominic voltò leggermente il volto -Stai fermo un po' o ci fai sbilanciare!-.
La notte non era ancora completamente calata quando giunsero a Beira; grazie all'andatura sostenuta, che avevano mantenuto per tutto il tragitto, avevano ampiamente recuperato il tempo perduto.

Si gettarono sul letto esausti ma soddisfatti.
-Merda!- Orlando balzò di scatto, dandosi una manata sulla fronte.
-Il bagno è di là….- scherzò Dominic.
-Le foto! Non abbiamo fatto nemmeno una foto oggi!-.
L'espressione del tedesco mutò improvvisamente: in preda all'emozione non ci avevano pensato. Il tragitto che avevano percorso era stato di una bellezza da togliere il fiato, non avrebbero potuto serbarne tangibile ricordo.
-Domani torniamo indietro!- pronunciò Orlando deciso.
-Ma tu sei pazzo! Non ci pensare nemmeno!Perderemmo troppo tempo!-.
Convenne che effettivamente il compagno aveva ragione, in fondo non sarebbe sicuramente stato l'unico luogo suggestivo che avrebbero attraversato. Avevano tutto il tempo per rifarsi.

-Sai…questa è la prima città dove mio padre era stato accolto quando era venuto in Africa…- Orlando incrociò le braccia dietro la nuca, poggiandosi al cuscino.
Da quella notte in cui si era sfogato provava meno disagio a parlarne, le parole gli erano uscite da sole.
-Mio padre…vabbè…lo sai chi intendo! Non mio padre biologico…-
-Capisco perfettamente Orlando!-
(Grazie a Kaori per il suo appunto nell'altra mia fic, nda)
-In ogni modo è lui che considero essere mio padre. Ho scelto di portare il suo nome perché era un uomo coraggioso che ha deciso di fare delle cose splendide e prendersi grandi responsabilità; mi ha trasmesso un grande senso morale! (queste sono le sue testuali parole, che potete trovare nel contesto originale all'indirizzo www.cinemovie.info, nda). Non lo ringrazierò mai abbastanza per quello che mi ha dato……. - continuò a parlare a lungo. Dominic lo ascoltava rapito; nonostante il sonno lottava per vincerlo lui desiderava donare all'amico tutta l'attenzione che meritava e desiderava ricevere.
Fu Orlando il primo ad addormentarsi, ancora vestito in tuta da motociclista, con un'espressione pura e distesa sul volto. Dominic si alzò, sdraiandosi sulla sdraio del piccolo balcone. Si lasciò cullare dal bagliore soffuso delle stelle, che sembravano sorridergli mentre si lasciava lentamente andare….fiducioso nel domani e sereno nei suoi pensieri….

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Capitolo 9
*** Mozambico - Beira - day 8 ***


Nota: la scena d'amore che viene descritta in questo capitolo, sia chiaro, non è fine a se stessa. Avrà un ruolo importante nello sviluppo psicologico del personaggio, come si deluciderà più avanti.

Mozambico - Beira - day 8

Dominic si svegliò anchilosato, dormire su quella sdraio non era stata una buona idea, considerando anche l'alto livello d'umidità. Si affrettò a rientrare, trovando Orlando ancora a letto, con la bocca semiaperta e le coperte gettate alla rinfusa per terra. Ne fu contento, perché per una volta non sarebbe stato lui quello a dover essere disincantato, così si prese una piccola vendetta.
-Orlando! -si mise a sbraitargli davanti, agitando furiosamente le braccia -Hanno telefonato da San Francisco! Kate è all'ospedale, ha fatto un incidente!!- si sarebbe aspettato di vedere l'amico balzare in piedi, invece questo si limitò a strofinarsi gli occhi e a sbadigliare.
-Certo che fai veramente schifo come attore… -gli sorrise.
-Ah grazie!- il tedesco incrociò le braccia al petto sarcasticamente stizzito.

-Cosa vuoi per colazione?- Orlando lo fissò, con la cornetta in mano, pronto a chiamare la reception.
-Voglio qualche cosa di tipico! Sono stufo di bacon!-.
-Ne sei sicuro? -l'inglese storse il naso -Sai, non so in cosa potresti incappare…-.
-Sono certo che non mi avveleneranno! Che gusto c'è a stare in africa e mangiare cibo d'oltreoceano??!-.
Dominic realizzò presto che la sua era stata una pessima idea; rigirava poco convinto con la forchetta quella pappetta marrone che gli avevano presentato nel piatto. Guardava con invidia Orlando, che, dal canto suo, si era ordinato una meravigliosa focaccia al formaggio.
-Te ne offrirei volentieri un pezzettino -disse soddisfatto con la bocca esageratamente piena -Ma ho paura che potresti rovinarti il palato assaggiando il gusto di questa normalissima focaccia!-
Dominic lo fulminò con lo sguardo, affrettandosi a farsi portare una colazione decente.

-Oggi, avrei voglia di visitare questa città -pronunciò Orlando dopo qualche minuto di silenzio.
L'amico annuì, intendendo le ragioni che, dopo il discorso della sera precedente, apparivano decisamente chiare.
Orlando non conosceva i luoghi in cui suo padre era stato, ma si soffermava ugualmente con vivo interesse davanti ad ogni monumento che incrociava il loro cammino. Era sicuro, infatti, che, se non poteva sapere dove suo padre fosse passato, sicuro era invece che avesse visto quelle opere d'arte. Avete presente quando due persone che si amano, e sono lontane, guardano contemporaneamente la luna e pare loro d'essere ancora insieme? Questo era quello che Orlando provava. L'idea che ciò che stava osservando avesse attraversato anche gli occhi di suo padre, lo riempiva di un sentimento indescrivibile. Dominic lo seguiva paziente, assecondando i suoi desideri e cercando di mostrarsi coinvolto dalla stessa euforia. In un primo momento aveva pensato che forse quella avrebbe potuto rivelarsi una cattiva idea, ma si dovette presto ricredere vedendo le espressioni estasiate del compagno.
Si fermarono in un bar nella Piazza della Libèration, ad assaporare quel caffè nero che li aveva conquistati sin dal primo giorno che lo avevano assaggiato. Presero a parlare del più e del meno, quando una ragazza dalla pelle così scura da potersi confondere con la notte, li avvicinò.
-Forse mi prenderete per pazza -sorrise imbarazzata in perfetto accento inglese -Ma tu sei Orlando Bloom?-.
Lui annuì abbastanza meravigliato: era la prima volta, da quando erano arrivati, che qualcuno li riconosceva.
-Me lo faresti un autografo?- domandò porgendogli un foglio e una penna.
-Con molto piacere!-.
-Posso farti una domanda indiscreta?- la ragazza diventò rossa e prese a muovere nervosamente le dita.
Orlando annuii mentre scriveva.
-Cosa ci fai qui a Beira?-.
-Io e il mio amico -indicò Dominic -Stiamo facendo una specie di vacanza!-.
-E vi fermerete tanto qui?-.
-In verità dobbiamo ripartire tra qualche ora, abbiamo fatto solo un piccolo tour turistico!-.
-Questa sera ci sarebbe la festa alla spiaggia, è solamente una volta l'anno. Se decidete di restare ancora un po' qui, magari potete farci un salto….-.
-Potrebbe essere!- disse l'inglese, ma solamente per educazione, non aveva la minima intenzione di andarci e sballare così il programma. Si fecero dare le indicazioni necessarie, quindi si alzarono e si allontanarono.
-Ma hai intenzione di andarci, Orlando?- Dominic era rimasto stupito dalla risposta dell'amico.
-Ma va là! Cosa volevi che le dicessi?-.
-Magari sarebbe carino farci una capatina…non trovi?-.
-Mamma mia Dom! -scoppiò a ridere -Non credevo ti mancasse già così tanto la vita mondana!-.
-Sì sì, sfotti tu, dicevo solo che in una settimana abbiamo già percorso un bel po' di strada, potevamo fermarci ancora oggi e divertirci un po', tutto qua!-.
Effettivamente anche ad Orlando non dispiaceva molto quella prospettiva, il suo programma era molto largo, ovvero aveva previsto delle soste lungo il percorso, ma non così presto. Però in fondo non ci sarebbe stato niente di male, avrebbero conosciuto gente nuova e si sarebbero fatti quattro chiacchiere in compagnia. Decisero così, di comune accordo, che avrebbero continuato fino a sera il tour attraverso Berna, quindi sarebbero andati a quella festa marina.

Orlando si stava osservando con occhio critico allo specchio, socchiudendo gli occhi con fare studioso. Dominic era pronto ormai da un pezzo, sulla soglia della porta con le chiavi di Sandrina in mano.
-Muoviti vanesio! Non diventerai più bello a forza di contemplarti!-.
L'inglese sbuffò, si diede un'ultima occhiata e, facendo spallucce, seguì l'amico verso la strada. Montarono in sella infilandosi, per la prima volta, i caschi, quindi partirono alla volta della spiaggia.
Già in lontananza si poteva distinguere chiaramente un grande falò, mentre i rumori erano coperti dal potente ruggire di Sandrina.
Appena fermarono la moto, sul ciglio della strada, dalla massa di gente si staccò la ragazza che avevano conosciuto quella mattina. Li corse incontro sorridente, invitandoli con una mano a scendere dalla moto e a raggiungere gli altri sulla spiaggia. Presentò loro i suoi amici uno ad uno ed alla fine i due vagabondi avevano in testa così tanti nomi da non ricordarsene nemmeno uno. Tranne quello della giovane: Mannie.
-Non esistono birre tipiche del Mozambico- Mannie indicò la bottiglia che Dominic stava sorseggiando -Quelle che puoi trovare qui sono tutte d'importazione europea. -.
Orlando era seduto accanto al fuoco, circondato da un gruppo di ragazze che, chi in inglese che in portoghese e, anche, qualcuna in francese, lo tempestavano di domande. Si stava divertendo molto, era piacevole essere così al centro dell'attenzione: gli chiedevano dei suoi film, degli attori conosciuti sul set, e si stupì che c'era anche molta gente che non aveva visto la trilogia.
Dominic, invece, aveva dovuto spiegare quale fosse il suo ruolo nella pellicola, perché nessuno sembrava averlo riconosciuto.
-Io voglio fare la sceneggiatrice!- mormorò Mannie stringendosi timidamente nelle spalle.
-Davvero??!- Dominic ne era rimasto alquanto stupito. In tutta la sua vita aveva avuto a che fare con aspiranti attrici, registe, modelle e truccatrici, ma non aveva mai conosciuto una ragazza con l'aspirazione a diventare sceneggiatrice.
-Sì, trovo affascinante l'idea che dalle mie parole si possano estrarre delle immagini. A dirti la verità io amo ogni forma d'espressione, dalla pittura alla danza, ma credo che il cinema sia molto più diretto. Ci sono molte persone "semplici" a questo mondo, persone che, per un motivo o per l'altro, non leggono, non fanno parte di quella casta, diciamo, "acculturata". E allora mi sono chiesta: come renderle partecipi? Al cinema ci vanno tutti, bene o male, quindi il mio messaggio potrebbe arrivare dappertutto, ad ogni persona, grande o piccola. -.
Mannie aveva diciassette anni, viveva con suo fratello a Beira da sette, ma era originaria del Sudafrica; aveva smesso di studiare, per motivi economici, a quindi anni, ma cercava comunque di imparare da sola, leggendo o ascoltando la gente. Dominic pensò che il suo sogno fosse alquanto utopistico ma, per non disilluderla, non le disse niente. In fondo era convinto del detto "mai dire mai".

-Questa è una boerewors -sorrise la ragazza porgendo al tedesco un piatto -E' un tipo di salsiccia importata dai coloni inglesi, ormai è diventata patrimonio dell'Africa meridionale!-.
Dominic se ne portò cautamente una forchettata alla bocca, facendo seguire il suo gesto da un'esclamazione d'assenso.

-Hai un culo sfacciato!!- Alan sbatté con stizza le carte sul tavolino di legno. Orlando sorrise compiaciuto tirando a se i soldi che aveva vinto. Aveva appena conosciuto Alan, trentenne russo che, dopo aver trascorso tre anni tra i medici di "emergency", aveva deciso di trasferirsi in pianta stabile in Mozambico. Loro e altri tre ragazzi stavano disputando l'ennesima partita a fah-fee, un gioco d'azzardo d'origine cinese, ampiamente diffuso tra la popolazione nera. Le regole erano semplici, com'era facile, per uno come Orlando, che aveva trascorso interminabili serate a fare questo tipo di competizioni, portarsi a casa l'intera puntata.
-Ricorda….fortunato al gioco sfortunato in amore!- esclamò sempre Alan, riprendendo a distribuire le carte. Orlando rise tra se e se. Il tavolino di fortuna era stato impiantato alla meno peggio nella sabbia, vicino al fuoco per poter vedere meglio, e un gruppetto di tifosi lo circondava osservando e commentando le partite. Ad ogni mano seguiva un bicchierino di liquore, sistematicamente bevuto si resta.

Dominic e Mannie avevano continuato a parlare a lungo, spostandosi sul bagnasciuga, lasciandosi sfiorare i piedi nudi dalle carezze dell'acqua. Il ragazzo, senza volerlo, aveva notato che alla giovane mancava l'alluce destro.
-Cosa ti sei fatta al piede?- domandò sorseggiando l'ennesimo sorso di Kaffirbeer.
-Ah già! Il mio bel pollicione… -scoppiò a ridere lei, ruotando la caviglia -Me l'hanno spappolato l'anno scorso sotto un camion!- aveva detto queste cose con tono normale.
-Spappolato sotto un camion??!- aveva esclamato il ragazzo.
-Sì, lavoravo ad una cava e mi hanno tirato sotto il piede! Ma niente di che, anzi, mi è andata bene visto che posso ancora camminare tranquillamente!-.
Dominic non proseguì oltre con le domande, in fondo, quello a cui solo pochi giorni prima aveva assistito a quella cava abusiva di carbone, gli aveva fatto capire molte cose.

Alla settima partita Orlando era, a tutti gli effetti, ubriaco; aveva perso tutti i soldi inizialmente vinto. I suoi compagni di banco non erano certo messi meglio, ormai le giocate si risolvevano in grasse risate e battute. In quel preciso momento stava raccontando cose poco edificanti sul mondo hollywodiano, scendendo in particolari ben poco ammirevoli sui giri di soldi che sottintendeva ogni grande produzione cinematografica americana. Dominic, seguito da Mannie, lo raggiunse, sedendogli vicino e ascoltandolo distrattamente. Ma ormai anche il suo controllo sulle funzioni sensitive stava andando a farsi benedire, si poggiò allo schienale chiudendo gli occhi e pensando fosse stata veramente una cattiva idea bere tutta quella birra, visto che dopo avrebbero dovuto guidare.
-Tutto bene?- Mannie gli poggiò una mano sulla spalla. Lui con la mano le fece segno di sì, doveva solamente riposarsi un attimo per riprendere a respirare normalmente. Con fatica, lesse l'etichetta della bottiglia che teneva in mano: quella birra norvegese faceva diciannove gradi, e lui se n'era scolate, senza rendersene conto, almeno cinque.
-Vuoi sdraiarti in un luogo più appartato?- gli domandò premurosa.
Dominic si sentiva veramente ridicolo, lei aveva bevuto tanto quanto lui eppure sembrava stare benissimo. Ma non era venuto lì per fare confronti, il fatto che non si sentisse bene era un dato di fatto, quindi non capiva il motivo per cui avrebbe dovuto farsene un problema. Si fece guidare sorretto da Mannie sotto ad un albero, poco lontano, ma in ogni modo più silenzioso e tranquillo.
-Credevo che voi americani ci andaste forte con l'alcool!- rise lei, cercando di mettere a suo agio il ragazzo, che era in uno stato d'evidente imbarazzo.
-Guarda, proprio non so cosa mi sia preso, di solito io…. -non sapeva il motivo, ma sentiva come l'assurdo e insensato desiderio di giustificarsi.
Lei non gli fece terminare la frase, gli poggiò delicatamente un dito sulle labbra, zittendolo. Ottenuto questo risultato si sollevò sulle ginocchia, sfilandosi la maglietta. Suo malgrado Dominic non poté evitare di guardare quel seno, ancora completamente da sviluppare, che sapeva di giovinezza e castità. Guidò le sue mani verso l'alto, facendole incontrare con quelle, e stringendole con delicatezza, ma al contempo brama. Lievemente Mannie si spostò sopra di lui, sedendosi sulle sue coscie, e prendendo a massaggiarli il petto. Istintivamente il ragazzo inarcò il busto, togliendosi la maglia, quindi ritornò a sdraiarsi per permettere a quelle mani di toccarlo e stimolarlo. Doveva ammetterlo, gli mancava il contatto fisico con una donna, e l'idea che non lo avrebbe avuto per almeno altri due mesi lo convinceva della moralità della situazione. Lei si piegò in avanti, sfiorando con il suo seno il torace di Dominic, che sussultò rabbrividendo. Le cinse la schiena con le braccia, facendola rotolare sotto di se, senza smettere di fissare nei suoi occhi, così scuri e felini. Mannie ridacchiò un po' in imbarazzo. L'espressione di lui rimase invece seria, immobile nel suo sguardo, che presto però spostò a fissarne i pettorali. Si abbassò con una lentezza estenuante, sfiorandole appena le labbra con la lingua, gesto che le fece chiudere gli occhi. Con meno calma Dominic si sfilò i pantaloni, aiutando lei a fare lo stesso. In quel momento si sentì un verme, un verme pedofilo. Quella ragazza non aveva che diciassette anni, dodici in meno di lui, come poteva solamente pensare di fare una cosa simile? Certo, la carne è la carne, e il desiderio spesso offusca la ragione, ma lì si stava veramente superando il limite. Queste sue titubanze furono immediatamente cancellate quando lei, con violenza, lo afferrò da dietro il collo portandolo a se e baciandolo con avidità. Con la stessa passione, il ragazzo le sfilò la biancheria intima, facendo poi lo stesso con la propria.
-Ti prego… -gli sussurrò lei all'orecchio, sorridendo -Fai piano…è la prima volta…-.
Dominic annuì, tentando di non pensare all'assurdità della situazione e, con delicatezza, entrò in lei.

-Dom!!Dom!!- Orlando si stava sgolando a chiamare l'amico. Vagava per la spiaggia un po' confuso, aveva continuato a bere imperterrito e probabilmente aveva perso tutti i soldi che aveva in tasca. In ogni modo non se lo ricordava.
A quei richiami il tedesco aprì stancamente le palpebre, cercando di realizzare il mondo accanto a se. Era nudo, sdraiato sotto un albero e solo. Scosse la testa cercando di svegliarsi, quindi si vestì in fretta e raggiunse il compagno.
Il litorale era disseminato di gente sdraiata, che dormiva, il fuoco ormai si era spento, mentre le immondizie regnavano sovrane.
-Non credo sia stata una buona idea venire qui… -disse Orlando storcendo la bocca e battendo le mani sulle tasche inesorabilmente vuote.
-Nemmeno io…- Dominic afferrò la camicia dell'amico, trascinandolo di forza velocemente verso Sandrina. L'unica cosa che desiderava era andarsene, non scorgere nemmeno in lontananza Mannie. Forse se si allontanava immediatamente si sarebbe sentito meno sporco, forse non avrebbe avuto tutti quei rimorsi, sensi di colpa e incertezze. Aveva l'indice della mano destra ancora leggermente sporco di sangue ormai secco, dito che aveva usato per aiutarsi a penetrare la ragazza, dito che l'aveva privata di una cosa unica, che si ha e si perde una sola volta nella vita. Cosa che non sarebbe dovuta essere violata in quella maniera, non da lui, non da una persona che non avrebbe più rivisto e che non aveva saputo darle un minimo coinvolgimento emotivo. Forse ora lei stava piangendo, stava male, o forse ne era completamente indifferente, Dominic non lo sapeva, e non voleva nemmeno scoprirlo. Andarsene, fuggire e sperare che il loro viaggio continuasse senza altri errori di percorso, così com'era iniziato, così come lo avevano immaginato.

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Capitolo 10
*** Mozambico - da Beira a Kilimane - Km. 5100 - day 9/10 ***


Mozambico - da Beira a Kilimane - Km. 5100 - day 9/10

Orlando non aveva fatto domande all'amico su come avesse passato la serata, aveva capito dalla sua espressione che le cose non si erano evolute precisamente come avrebbe desiderato. Decise così di rimandare la conversazione alla sera, quando si sarebbero fermati a riposare. I suoi calcoli prevedevano di arrivare alla città di Kilimane nel pomeriggio successivo, con una sola sosta, quella notte.
Dominic guidava Sandrina, concentrandosi con tutto se stesso, cercando di scacciare quei pensieri che, in ogni modo, sembravano non volerlo lasciare. Se solo fosse potuto tornare indietro nel tempo, avrebbe evitato ogni sua singola azione, dal bere a toccare la ragazza. Ma questo non era possibile, quindi doveva per forza fare i conti con la propria impulsività.
La giornata si prospettava cupa, era la prima volta da quando erano arrivati in Africa che il cielo annunciava imminente pioggia, e da una parte ne erano contenti, forse sarebbe riuscita a cancellare quella strana malinconia. Purtroppo l'acquazzone li colse alla sprovvista e con inaspettata violenza. L'acqua scendeva talmente fitta e prepotente che vedere al di là del proprio naso risultò presto impresa difficile. Convennero che fermarsi sarebbe stata una buon'idea, montarono la tenda lontano dagli alberi e dalla sponda dell'oceano, quindi si ripararono dentro, dopo aver coperto Sandrina con un telone di nailon.
Orlando stava sorseggiando una coca-cola, mentre Dominic si stava passando una lattina sulla fronte, ma senza risultati, infatti, il piccolo congelatore che avevano portato, si era presto guastato.
-Che ne dici? - l'inglese prese un foglio e una penna -Pensi sia ora di scrivere qualche lettera?-.
Dominic, dal canto suo, non aveva minimamente voglia né passione, ma convenne che forse era l'ora di dare notizie a casa e agli amici. Dopo quattro lettere ciascuno i polsi dolevano, quindi si presero una pausa. Da quella mattina nessuno dei due aveva sorriso una sola volta, ed entrambi, senza dire niente all'altro, si accollavano la colpa di quel malumore palpabile.
-Senti Dom… -Orlando si grattò un sopracciglio storcendo la bocca- Scusami, veramente, non so che oggi non sono la migliore delle compagnie, solo che non mi sento tanto bene…-.
-No, sono io che ti devo chiedere scusa, non ho passato una bella nottata, non vorrei tirarti dentro, solo che ora proprio non me la sento di mostrarmi come non sono…-.
Dall'espressione dell'amico capì che non ce ne sarebbe nemmeno stato bisogno, sin dal primo giorno che erano partiti, anche se non se lo erano detti esplicitamente, uno dei patti principali era quello di non fingere. Un viaggio di tale portata non avrebbe potuto proseguire se fosse trascorso nell'ipocrisia e nella falsità. Forse era un discorso abbastanza egoistico, ma se sarebbe servito ad unirli come amici, d'altro canto rappresentava anche un'introspezione prettamente personale.
La pioggia non accennava minimamente a diminuire, ormai imperversava da diverse ore.
Sorprendendoli entrambi il cellulare di Dominic squillò, segnalando il numero d'Elijah. Con gioia il tedesco rispose alla chiamata.
-Ciao Lij! Come mai sveglio?-.
-Ciao Dom, senti, ti devo dire due cose molto importanti, c'è Orlando lì con te?-.
-Sì, è proprio qui accanto!- sorrise guardando l'amico negli occhi.
-Allontanati per favore, devo parlarti di una cosa che lo riguarda-.
Dal tono dell'americano il ragazzo intese che sarebbe stato meglio ubbidire, così si ritrovò a camminare sotto la pioggia, cercando di proteggere il cellulare con la mano libera.
-Puoi parlare, non mi sente!-.
-Bene, ascolta, visto quello che state facendo non so se sia il caso di dirglielo, ma sono venuto a saperlo e non posso fare a meno di parlartene. -.
-E' successo qualche cosa?-.
-Orlando ti ha mai parlato del problema che aveva sua madre?-.
-Problema?No, a parte le solite cose non mi pare proprio… -.
-Nemmeno a me, l'ho scoperto tramite amici. Tre mesi fa le avevano diagnosticato un melanoma…inizialmente si pensava fosse benigno, poi si è scoperto che non era precisamente così…. -.
Dominic si bloccò, allibito. La madre d'Orlando aveva un tumore alla pelle e glielo aveva mai detto? Cominciava a capire molte cose.
-Due sere fa -proseguì Elijah, abbassando il tono di voce come se avesse avuto paura di farsi sentire -Lei ha avuto una crisi, l'hanno ricoverata d'urgenza in ospedale a Londra… -smise di parlare, lasciando Dominic in un'apprensione indescrivibile.
-E ora come sta? Insomma…-.
-E' entrata in coma Dom, ieri mattina. Appena l'ho saputo ho chiamato Samantha per sapere come stava, ma non mi risponde, né a casa né sul cellulare…-.
-Cazzo… -il tedesco si passò una mano tra i capelli ormai mizzi, confuso e preoccupatissimo.
-Ora credo sia meglio se torni da Orlando, altrimenti s'insospettisce. Dominic rientrò nella tenda, trovando l'amico intento a scrivere. Gi sorrise imbarazzatissimo, sedendosi in un angolo per continuare la conversazione telefonica.
-Hai detto che dovevi dirmi due cose…-.
-Sì, è vero. Questa non so come diavolo possa essere spuntata fuori. -.
Dominic lo sentì armeggiare con dei fogli, probabilmente stava sfogliando una rivista.
-Hai presente il giornale "People"? -.
-Certo!-.
-Qui è mattina ed è appena uscito, ora io sono a San Francisco, in albergo, e mi hanno portato dei giornali, tra cui questo. Sono capitato per caso a leggere un articolo che vi riguarda… -.
-Che riguarda chi?-.
-Te e Orlando. Parla del vostro viaggio… -.
-Del nostro viaggio??! Intendi dire che si sa che noi siamo qui??!-.
-Sì, evidentemente non siete passati molto inosservati… -.
-Mi sembra molto strano Lij, insomma… abbiamo sempre usato nomi falsi per dormire e per il resto siamo quasi sempre stati sulla moto….. -smise di parlare quando un fulmine gli attraversò la mente: Mannie.
-E cosa cazzo dice?-.
-Aspetta, te lo leggo….i due attori Orlando Bloom e Dominic Monaghan, meglio conosciuti come l'elfo Legolas e l'hobbit Merry, si trovano nel Sud Africa in sella di una moto chiamata Sandrina……- la lettura proseguì fino alla fine dell'articolo, che informava i lettori con molta precisione.
-Io non so se questo possa farvi piacere… -mormorò Elijah -Però credo proprio che presto troverete una troupe a seguirvi…-.
-Cosa??!-.
-Calmati! Non so se questo sia vero, per ora sono solamente voci di corridoio, ma sicuro è invece che non potrete proseguire indisturbati…-.
Intanto Orlando aveva sollevato gli occhi dal foglio, e stava guardando l'amico con espressione interrogativa.
-Va bene Lij…va bene… -trasse un profondo respiro cercando di calmarsi -Grazie mille per avermelo detto appena hai potuto, ora ti lascio. Fammi sapere se ci sono altre novità. -.
-Okay dom, ora vedi tu…sia per questa questione che per l'altra…devi decidere se dirglielo o no…non credo proprio che Samantha gli telefonerà per informarlo della cosa, ma comunque qualcuno presto glielo farà sapere…io credo sia meglio sia tu a farlo…- .
-Ciao Lij- Dominic non lo fece terminare chiudendo la telefonata. Infilò il cellulare in tasca, evitando volutamente lo sguardo d'Orlando; avrebbe voluto qualche minuto in solitudine per ragionare sul da farsi o, meglio, sul da dirsi. Purtroppo non ne aveva l'opportunità, quindi dovette fare i conti con la realtà delle cose, e decise di dirlo all'amico, con tutto il tatto che possedeva. Dopo però, come seconda notizia.

-Cazzo Dom!Cazzo cazzo e ancora cazzo!- si era alzato in piedi, rischiando di scoperchiare la tenda.
-Calmati per favore! Non c'è ancora niente di sicuro!-.
-Non c'è niente di sicuro??! Ci scommetto le palle che domani mattina avremo la sfilata di paparazzi dietro al culo!-.
-Forse possiamo fare qualche cosa… -Dominic era rimasto colpito dalla reazione decisamente esagerata dell'amico. Sembrava fuori di se, s'infilava le mani tra i capelli e aveva preso a sudare copiosamente.
-No Dominic! Lo sai che non c'è proprio niente che possiamo fare, se non finirla qui!-.
Il tedesco, a quelle parole, sentì un nodo stringersi in gola.
-Finirla qui??! Che cavolo vuole dire?-.
-Vuole dire che non ha più senso proseguire, Dom! Non è così che lo avevo immaginato…non è così che volevo che fosse…- si accasciò sulla terra nascondendosi il volto tra le mani.
-Perché non me lo hai detto prima?- Dominic lo avvicinò, tentando di abbracciarlo, ma venendo regolarmente respinto.
Nella sua mente ormai era tutto chiaro, il quadro era completo: la strana e maniacale voglia d'Orlando di partire, come se avesse avuto una fretta spaventosa; il suo titubare nel chiamare a casa, infatti lo aveva fatto una sola volta; il parlare di suo padre, cercando in tutti i modi di non far ricadere il discorso su sua madre; i suoi repentini cambiamenti d'umore e quell'euforia che a volte sembrava spinta fino alla pazzia.
-Te l'ha detto Elijah, vero? E' per questo che sei uscito, prima?-.
Dominic annuii, avvicinando una mano sulla spalla, riuscendo, questa volta, a sfiorarla delicatamente, come una carezza.
Percepì Orlando tremare sotto il suo tocco, stava facendo uno sforzo inimmaginabile per trattenersi, ma la situazione era tale da rischiare una vera e propria crisi di nervi. L'inglese era a tutti gli effetti fuggito, per non affrontare la realtà. Forse dentro di se si giustificava, dicendosi che aveva bisogno di una pausa, lontano da tutto da tutti, ma la verità delle cose la sapeva bene anche lui.
-Vuoi tornare a casa, Orli?- Dominic aveva sussurrato queste parole con tutta la dolcezza di cui era capace, cercando di fargli capire che la decisione era sua, non avrebbe dovuto avere remore, lui l'avrebbe seguito.
Orlando scosse la testa in segno negativo.
-Va bene…- il tedesco poggiò il mento sulla nuca dell'amico, cingendogli le spalle con le braccia. Il ragazzo questa volta non lo scostò, ma neppure rispose al suo gesto d'affetto.
-Merda…merda…MERDA!!- Orlando si alzò di scatto, facendo rovesciare la tenda e muovendosi furiosamente, alla disperata ricerca di qualche cosa da spaccare. Sembrava uscito di senno, sentiva l'irrefrenabile bisogno di sfogarsi fisicamente.
-Pensi che sia colpa tua, Orlando??!- gli urlò in faccia Dominic, cercando di vederlo attraverso la fitta pioggia. Il compagno non rispose, tremava e colpiva l'aria vuota con i pugni.
-E' colpa tua??! Rispondi, è colpa tua??!- gli gridò in faccia questa parole con tutta la foga che aveva in corpo. Orlando, in un impeto di rabbia, lo colpì violentemente in faccia, facendolo cadere. Rimase immobile in piedi, respirando forte e fissando con orrore crescente il sangue che aveva preso a scendere dal naso di Dominic. Questo si tastò, facendo una smorfia di dolore.
-Scusami…oddio scusami….- l'inglese si muoveva attorno a se stesso, massaggiandosi con inquietudine violenta il collo.
L'amico si sollevò, pulendosi il sangue con una manica e avvicinandolo.
-Orlando, stai tranquillo -cercò di tenerlo fermo per le braccia- Non mi hai fatto male! Per favore, cerca di calmarti…siediti…-.
Orlando si lasciò andare per terra, raggomitolandosi su se stesso, respirando forte.
-Cosa ti ha detto?-.
-Chi?-.
-Lij…cosa ti ha detto…notizie da mia madre?-.
Dominic cercò di temporeggiare, per trovare dentro di se le parole più giuste. Quindi si sedette accanto a lui, incurante della pioggia che s'insinuava tra i vestiti.
-Purtroppo non mi ha dato buone notizie…però, non sono un medico, perciò non sono la persona più indicata per parlartene…credo che tu abbia ragione, bisogna finirla qui…-.
-Per favore Dom, per favore, dimmi esattamente quello che ti ha detto. Non ho bisogno di un esperto, in questo momento ho bisogno di un amico…-.
Gli riferì, allora, le precise parole che aveva sentito dall'americano, senza usare alcun tipo di tatto o sensibilità. Aveva bisogno che gli venisse sbattuta la realtà in faccia, forse si sarebbe reso conto di molte cose. Orlando aveva ascoltato senza intromettersi, con lo sguardo fisso nel vuoto, davanti a se, immobile.
-Ed ora -concluse Dominic con fare severo -Voglio sapere perché non ne hai parlato con qualcuno, insomma, non sono così presuntuoso da dire "con me", ma hai tante persone che ti sono vicine, non riesco capire perché ti sia tenuto tutto dentro…-.
L'amico rimase qualche istante in silenzio, respirando profondamente e muovendo nervosamente le dita intrecciate.
-Senti Dom, mi dispiace se forse ora ti senti escluso dalla mia vita, ma è una cosa che riguarda me e solamente me…non voglio tirare in mezzo alle mie grane altre persone…-.
-Ma tu devi farlo Orlando! E se non vuoi farlo per te almeno fallo per gli altri! Come pensi che ci si possa sentire venendo a sapere che, una tra le persone che hai più care nella vita, ti tiene nascosta una cosa così importante?-.
-Ti ripeto, non posso fare altro che chiederti scusa, e nonostante le tue parole io ancora non sento il bisogno di parlarne, non ci voglio pensare, desidero che non sia più affar mio…-.
-Ma tu ci DEVI pensare, perché…-.
-No Dom! NO! Basta, ti ho detto di smetterla. Non tirare più fuori l'argomento. Voglio solamente terminare questo viaggio che abbiamo iniziato, lasciando lo schifo dove sta, senza trascinarmelo in ogni momento dietro…perché pesa più di quanto tu possa immaginare, quindi, per favore, PER FAVORE -congiunse le mani in preghiera -Non ne parliamo più!-.
-Va bene Orlando… -Dominic abbassò mesto gli occhi -…se è questo che desideri…se è questo che credi possa farti bene…-.
-Sì! E sebbene ti possa sembrare assurdo, egoistico e masochistico è proprio così! Tu non puoi capire, e non pretendo tu lo faccia!-.
Si era creato un silenzio carico di nervoso, l'inglese si sentiva un po' in colpa per come aveva trattato il compagno che aveva solamente cercato di aiutarlo, mentre Dominic aspettava che l'altro dicesse qualche cosa per toglierlo dall'imbarazzo.
-Vogliamo rimontare la tenda o preferisci costruire la seconda arca di Noè?- rise Orlando. Il tedesco lo imitò, sospirando sollevato: la tensione si era spezzata.

L'acquazzone perseverò fino a tarda sera, quando le nuvole si diradarono, lasciando finalmente intravedere le stelle. I due sistemarono le loro cose e rimontarono in sella, pronti ad una lunga traversata notturna. La mattina si sarebbero fermati a riposare e avrebbero delineato un nuovo percorso: nessuno aveva voglia di trovarsi una schiera di fotografi e giornalisti attaccati al deretano, così avrebbero tracciato un cammino che, invece di costeggiare il continente, si inoltrava proprio nel cuore dell'Africa. I fari di Sandrina illuminavano la strada selciata di fronte a loro, Orlando si era messo alla guida e sembrava sfogare in una conduzione estremamente veloce tutta la sua rabbia. Dominic avrebbe voluto chiedergli di rallentare, ma intuendo il suo labile stato d'animo, convenne che sarebbe stato meglio tacere, quindi limitò a stringersi forte contro il corpo dell'amico.
Quando le prime luci del mattino attraversarono i loro occhi, l'inglese frenò, passandosi una mano sulla fronte e prendendo la cartina geografica.
-Dovremmo esserci quasi, è un paesino abbastanza piccolo, speriamo di trovare un posto dove stenderci un attimo!- sollevò gli occhi dalla carta scrutando l'orizzonte, socchiudendo gli occhi a causa del sole accecante.
-Sei stanco? Vuoi che ora guidi io?- Dominic scese dalla moto, asciugandosi le mani sudate sui pantaloni.
-Tranquillo, massimo un'ora e ci siamo, non sono ancora stanco!- sorrise, cercando di nascondere uno sbadiglio nascente. Il tedesco scrollò la testa, sconsolato, e rimontò sul sellino, sistemandosi i capelli dietro le orecchie e infilandosi gli occhiali.
Orlando rimase ancora qualche momento in piedi, sistemandosi la cintura dei pantaloni quindi allacciandosi meglio gli stivaletti di finto cuoio.

Dominic allungò un braccio verso una albergo, facendo capire ad Orlando che poteva fermarsi. Smontarono da Sandrina, cercando di scrollarsi di dosso quei moscerini appiccicati. Bloccarono la moto e si misero in spalla i bagagli, avviandosi verso la reception. In un modo o nell'altro riuscirono a farsi capire, visto che sembrava nessuno parlasse inglese; fortunatamente a Beira avevano cambiato alcuni dollari in rand, perché non accettavano valuta americana.
Dominic lanciò un grido di gioia e si gettò sul letto a braccia aperte, affondando il volto nel cuscino fresco e profumato. Non era mai stato così sudato e maleodorante, ma era così spossato da non avere la forza di trascinarsi verso il bagno. Orlando, invece, la prima cosa che aveva fatto appena entrato, era stata di gettarsi sotto la doccia. L'odore nauseabondo che giungeva dalle sue ascelle, convinse il tedesco ad imitare l'amico, limitandosi però a dei gesti meccanici, senza prestare articolare attenzione e cura alla propria pelle. L'inglese si era cosparso di balsamo e creme rigeneranti, quindi aveva preso a farsi una meticolosa pedicure, osservando sdegnato quei calli che ormai imperversavano.
Dominic si addormentò praticamente appena sdraiato, ancora in accappatoio e con i capelli gocciolanti. Orlando, invece, non aveva sonno sebbene si sentisse molto stanco; accese la piccola radiolina che portava sempre con se, e provò inutilmente ad ascoltare un po' di musica, senza riuscire a prendere una sola frequenza senza interferenze. La gettò sulla poltrona, mettendosi a frugare nel piccolo frigo e afferrò una birra ghiacciata prima di sprofondare nel sofà. Stese sulle proprie gambe la cartina geografica, studiandola mentre sorseggiava dalla bottiglietta. Tracciò con un pennarello rosso la nuova strada che avrebbero percorso, che comprendeva passaggi attraverso lo Zambia, lo Zaire, la Repubblica Centraficana, il Ciad e la Libia.
Si rigirava il cellulare tra le mani, sperando, da una parte, di ricevere una telefonata della sorella, desiderando, d'altro canto, si essere lasciato in pace. Stupendo in primis se stesso, compose il numero di casa, attenendo a sudando freddo ad ogni squillo a vuoto.
-Pronto?- una voce di donna rispose dall'altro capo del telefono, ma non era sicuramente Samantha.
-Susanne?- provò Orlando.
-Oh signor Bloom! Finalmente si è fatto sentire! Sapesse, qui sono tutti preoccupati per lei, e io non sono da meno!-.
La dolce e premurosa Susanne, domestica a casa sua ormai da qualche anno.
-Io sto bene, non si deve preoccupare! Sto cercando mia sorella, è in casa?-.
-Mi dispiace, è all'ospedale da vostra madre, credo. Ma lei è stato avvertito di quello che…-.
-Sì so già tutto, grazie!- tagliò corto lui, che non aveva ne la voglia ne la forza di farsi raccontare tutto un'altra volta -Vuol dire che richiamerò! Arrivederci!- chiuse la telefonata senza darle tempo di rispondere. Sospirò massaggiandosi la testa. Preso da un'enorme forza di volontà fece per chiamare Smantha sul cellulare, ma un soffio di Dominic lo fermò. L'amico di era svegliato e lo guardava interrogativo.
-Chi chiami?-.
-Chi chiamo? Ah, è…nessuno…- Orlando ripose in tasca il telefonino, issandosi e dirigendosi verso le borse.
-Credo sia meglio dare una sistemata ai bagagli!- pronunciò prendendo a frugarci dentro, sperando ardentemente che l'altro non indagasse oltre sulle sue telefonate. Non aveva voglia di parlarne in quel momento, non era nemmeno sicuro di volerlo fare, ma in ogni modo avrebbe dovuto essere da solo.
Il tedesco, che non era certo stupido, aveva intuito alcune cose, ma preferì assecondarlo e rimase in silenzio a fissare il soffitto.
-Mi dai una mano o pensi che metta mano nelle tue borse, tra gli scarafaggi?-.
-Guarda... -Dominic si alzò a fatica, chiudendo meglio il laccio dell'accappatoio -Che io sono una persona ordinatissima e pulita!-.
-Certo come no! Io invece sono una cantante lirico! Muoviti barbone che poi dobbiamo uscire!-.
-Uscire per andare dove?-.
-Ma a fare shopping, no? In questi paesi trovi sempre qualche cosa di carino…-.
-Sei veramente inguaribile Orlando!. -.

A discapito delle previsioni dell'inglese non trovarono niente d'interessante, così ritornarono in stanza a mani vuote.
Sebbene si fossero aggiunte molte preoccupazioni e pensieri, nella mente di Dominic imperversava sempre l'immagine di Mannie, la sua espressione quando l'aveva violata, il suo ascoltarlo sempre con attenzione. Non credeva che fosse stata lei a causare quella fuga di notizie, in fondo avevano conosciuto molta gente, poteva essere stato chiunque di loro. Però, stranamente, voleva dare la colpa a lei. Forse perché così si sarebbe sentito meno in colpa, sarebbero stati pari, aveva una scusa per quello che aveva fatto. Lui le aveva fatto del male e lei lo aveva ripagato. Ma, in fondo, era stata lei a volerlo, lei lo aveva istigato e provocato, lo aveva esplicitamente eccitato, quindi perché doveva avere tutte quelle perplessità? Non era quello il momento di pensarci, era troppo confuso e stanco. Inoltre non vedeva l'ora di giungere a Kilimane, cercare una posta e spedire a sua madre e a sua sorella un pacco con dentro tanti piccoli regalini. Orlando, mentre l'amico terminava di vestirsi, era sceso in strada per dare una pulita a Sandrina. Sebbene durante l'acquazzone l'avessero coperta, lungo il tragitto si era completamente ricoperta di fango. Stava passando la pezza bagnata sul manubrio, quando il tedesco fece la sua apparizione, completamente sommerso e barcollante sotto le valige di entrambi.
-Vuoi forse una mano?- sorrise l'inglese gettando la spugna nel secchio e andandogli incontro.
-Tu che dici?-.
L'inglese afferrò qualche borsa, legandola nel retro di Sandrina. Questa volta alla guida si posizionò Dominic; partirono compiendo una grande curva su se stessi, tanto per gasarsi scherzosamente. La strada che stavano percorrendo era molto trafficata, così il tedesco, per mantenere un ritmo abbastanza sostenuto, doveva esibirsi in evoluzioni abbastanza spericolate per superare gli altri autoveicoli.
Una moto simile a Sandrina li superò, suonando il clacson in segno di saluto. Dominic rispose alzando un braccio, prima di dare più gas per superare a sua volta il motociclista. Ebbe così inizio una specie d'amichevole gara, attraverso macchine e camioncini, che suonavano in segno di protesta. Arrivati ad un bivio lo sconosciuto virò a sinistra, mentre la strada dei due proseguiva a destra. Questo piccolo scorcio di divertimento ebbe l'effetto di riassestare in loro il buon umore.
Giunsero a Kilimane che il sole era ancora alto, così, prima di andare a cercare una stanza, decisero di farsi un giro per la città. Ne rimasero molto colpiti e affascinati, però la stanchezza era tanta, quindi presto cercarono un albergo. Si sistemarono in una piccola e modesta pensione, crollando in un sonno profondo.

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Capitolo 11
*** San Francisco-Londra ***


Nota: ho pensato fosse buona cosa fare un piccolo break, e proiettarci negli Stati Uniti. Precisamente appena Elijah aveva terminato la telefonata con Dominic, quando lo aveva informato delle condizioni precarie della madre d'Orlando. Poi faremo un salto anche a Londra, per tastare la situazione...capitolo cortissimo, solamente per capire alcuni stati d'animo.

San Francisco

Elijah rimase qualche istante ancora con il cellulare sull'orecchio, riflettendo tra se e se. Certamente non era una buona notizia quella che aveva appena dato all'amico, ma altrettanto sicuro era che Orlando non l'avrebbe presa bene. Se avesse potuto avrebbe taciuto, ma non era cosa da fare. Presto la notizia lo avrebbe raggiunto, ed era meglio che ne venisse a conoscenza presto, di modo che, se voleva tornare da lei, avrebbe potuto farlo in tempo.
Si vestì lentamente, più per dovere che per voglia. Aveva un appuntamento a mezzogiorno, per cercare di capire se valeva la pena candidarsi come produttore di una pellicola indipendente.
Scese nella hall, fece colazione e telefonò, come ogni giorno, a sua madre. Nonostante avesse altri mille pensieri per la testa non poteva fare a meno di pensare ai suoi due amici. Nella foga di dare notizie non gli aveva nemmeno chiesto come stavano, dov'erano, se avevano incontrato difficoltà. Fu tentato di richiamare, però si bloccò subito, pensando che probabilmente, in quel momento, Dominic stava parlando con Orlando, ed era meglio non disturbarli. Ritornò in stanza e svegliò Jin, sua ragazza da pochi mesi, conosciuta durante un viaggio in Giappone. Non che si possa dire fosse stato precisamente un colpo di fulmine, erano ancora in quella fase d'innamoramento, dovevano capire se, al di la della forte attrazione fisica e, anche, psicologica, si potesse nascondere quel sentimento chiamato "amore".
-Ben svegliata…- le sussurrò sorridendo, dandole un lieve bacio a fior di labbra. Lei mugugnò stiracchiandosi, allungando le braccia fino ad incontrare il collo d'Elijah, quindi attirandolo a se.
-Dormito bene?- le chiese stendendosi accanto.
-Abbastanza…se non ti fossi agitato tutta la notte nel letto ancora meglio…-.
-Scusami tesoro…lo sai perché ero agitato…-.
-Non ti sto mica facendo la predica, scemotto!- gli diede un delicato scappellotto sulla nuca. Rimasero sdraiati nel letto, abbracciati a sussurrarsi frasi dolci(e altre meno)fino a tardi, quando Elijah doveva proprio andare, se non voleva fare tardi all'appuntamento.

La conversazione di lavoro si rivelò assolutamente inutile e noiosa, tanto che alla fine, data l'assoluta povertà del soggetto, il ragazzo decise di tenersi fuori di questo progetto, anche economicamente. Salì al posto di guida della sua ferrari (quando ho letto che se l'era comprata ho provato un sentimento di delusione…però al fascino dei soldi pochi riescono a resistere…non gliene faccio una colpa…nda), con l'intenzione di ritornare in albergo. Ma, perso nei suoi pensieri, che si accavallavano uno sopra l'altro, presto si ritrovò in quella che, noi italiani, potremmo considerare "periferia". Guidò ancora a lungo, senza una meta precisa, quindi ritornò da Jin, trovandola sotto la doccia. Senza farsi sentire da lei, si spogliò, entrando nel bagno e facendole prendere un bello spavento. Maliziosamente le sorrise, entrando anche lui nel box.

Londra

Samantha stava ancora seduta nella sala d'aspetto, girando nervosamente i pollici e sfogliando senza attenzione i giornali posti lì accanto. Le avevano detto di attendere, ma erano ormai ore che nessuno le faceva sapere niente. Quella mattina prestissimo sua madre era entrata in coma, e da quel momento non aveva avuto più notizie. Aveva cercato di entrare in rianimazione, ma era stata immediatamente bloccata. Tutto era stato fatto nella massima discrezione, sia dai parenti che dall'autorità sanitaria, per evitare fughe di notizie non desiderate.
La ragazza aveva spesso tentato di chiamare il fratello, bloccandosi però appena stava per squillare. Non aveva il coraggio di dirglielo, o forse non aveva la forza di parlare ad alta voce, perché questo avrebbe significato rendere reali le cose. Ancora la sua mente non aveva realizzato completamente lo svolgersi delle cose, era come se osservasse gli sviluppi distaccata, separata dal proprio corpo. Avrebbe telefonato ad Orlando, ma solo dopo aver avuto altre notizie…forse.



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Capitolo 12
*** Mozambico - da Kilimane a Tete - Km. 5980 - day 11 ***


Nota: volevo innanzitutto ringraziare tutte voi che state leggendo e lasciando un parere sulla fic, Moon, Roy, Mandy, Chu e Kaori; poi desidero chiarire che, sebbene cerchi di essere il più precisa possibile, il numero dei chilometri sono stati segnati un po' ad "occhio",prendendo certo le misure sulla cartina, ma sono comunque molto azzardati (e anche i tempi, però dai…se uno ci da dentro riesce anche a farli…mha…o____O).

Per anti-bloom2: oh, ma mi credi davvero cosi deficiente Marty?Cioè…se è così dimmelo….l'ho sempre detto….parenti(o mezzi tali)=serpenti…..(scherzo, ti voglio bene, lo sai, torna presto...ma non troppo!!! :-) ).

Nota2: nella mia stesura originale questo doveva essere il penultimo capitolo, che precedeva un gran colpo di scena finale. Purtroppo non ne ho avuto il coraggio, e ho deciso di cambiare ciò che avevo scritto….

Mozambico - da Kilimane a Tete - Km. 5980 - day 11

Dominic venne svegliato da un fastidioso rumore squillante.
-Orlando -lo scosse violentemente -Apri gli occhi ghiro! Ti suona il cellulare!-.
-Chi…cosa…Oh sì!- dopo qualche secondo per realizzare il mondo attorno a se, l'inglese si lanciò fulmineo verso il telefono, rispondendo senza nemmeno guardare chi lo stesse chiamando.
-Pronto?-.
-Ciao….- la voce di Samantha replicò titubante.
Il ragazzo rimase interdetto qualche istante, non si aspettava questa chiamata, non così presto almeno. Dominic capì immediatamente, fece un segno con la mano all'amico e si chiuse in bagno, fingendo di lavarsi; in realtà aveva poggiato l'orecchio alla porta, cercando di sentire la conversazione.
-Come stai?- domandò la ragazza, cercando volutamente di sviare il vero motivo per cui lo aveva contattato, con l'intenzione di rimandarlo il più possibile.
-Abbastanza bene, siamo in Mozambico ora, ma lì da te non è notte? Dove sei?- la sua voce era carica di un'apprensione che non riusciva a celare.
-Secondo te dove sono? Orlando dimmi, sei idiota o cosa? Ma credi che possa dormire in una situazione simile?-.
Il suo tono era stato molto duro e nervoso, ma non infastidì il fratello, che riusciva a capire benissimo il suo stato d'animo.
-Scusami Samy….davvero, è che sono molto imbarazzato e ancora non riesco a….-.
-Okay, va bene -la sua voce adesso era rotta dal pianto- Allora te lo dico chiaro e tondo, senza mezzi termini o giri di parole. Voglio che torni, Orlando, voglio che torni da me e mamma -la frase s'interruppe nei singhiozzi -Non ce la faccio…non ce la faccio a superarla senza di te….voglio averti vicino…ho bisogno di te….merda! MERDA! Come puoi solo pensare di startene lì quando tua madre, NOSTRA madre sta crepando??! Come pensi che riesca a sopportare tutto questo da sola??!-.
Orlando schiacciò immediatamente il bottone di fine chiamata, ancora mentre sua sorella stava urlando in preda alla disperazione. Mai come in quel momento si era sentito sporco, meschino ed egoista. Non era riuscito a sopportare oltre quelle accuse, che sapeva vere e giuste.
Senza alcun freno o vergogna scoppiò a piangere, un pianto di confusione e demoralizzazione tale da fargli pulsare con prepotenza le tempie. Dominic uscì immantinente dal bagno, non sapeva cosa gli avesse detto per ridurlo in quello stato, ma sicuro era che doveva fare qualcosa. Lo abbracciò fortissimo. Orlando non lo respinse, anzi, sembrò sollevato da quel calore umano. Gli gettò le braccia al collo, nascondendo nell'incavo il volto e bagnandolo di lacrime continue.
-Adesso basta Orli….ADESSO BASTA!!- il tedesco lo scostò bruscamente da se, afferrandolo per le braccia. L'amico ciondolava la testa tremando, in preda ad una reale crisi incontrollata, evitando di guardarlo negli occhi.
-Ora la smettiamo immediatamente, non me ne frega niente delle tue proteste o dei tuoi giri di parole per convincermi! Facciamo immediatamente i bagagli e torniamo!-.
Sorprendendolo, il ragazzo annuì tra i singhiozzi.
-Va bene…. -Dominic lo riportò a se, stringendolo- Adesso sfogati…. -prese ad accarezzargli la schiena cercando di confortarlo -Piangi…piangi se ti fa sentire meglio….domani sei a casa…domani sei a casa…sssh…va tutto bene….-.

Orlando aveva risposto affermativamente solo perché sconvolto, e in quel momento desiderava realmente tornare a casa, da sua madre, sua sorella e l'ineguagliabile nonna(quando ho saputo che ai primi oscar c'era andato con sua nonna mi ha fatto veramente sorridere,nda). Passato l'enorme sconforto, aveva ritrattato nuovamente le sue parole, cercando, in tutti i modi, di convincere Dominic che stava bene.
-Uno che sta bene -aveva replicato l'amico- Non piange un giorno sì e l'altro pure!-.
L'inglese aveva continuato imperterrito nella sua opera di convincimento, fino ad ottenere il risultato voluto.

-Secondo me, te lo dico chiaramente, stai facendo una gran cazzata. So che non sei una brutta persona, ma ti stai comportando da tale, da vigliacco e menefreghista. Se io fossi Samantha non so se riuscirei a perdonarti. Purtroppo però la scelta è solamente tua, io non sono nella tua mente, non posso far altro che assecondarti fino a quando non ti renderai conto dell'enorme cazzata che stai facendo. Non ho nessun motivo io, per voler smettere questo viaggio, ma tu sì, e sai benissimo che non te ne farei una colpa, che ti capirei e verrei con te. Ma forse sei troppo ottuso per capire, o sconvolto. Provo una pena immensa per te, e non perché tua madre sta morendo, no, non per questo, ma perché tu non sarai con lei, e Dio solo sa quanto ti pentirai di aver fatto questa stupida scelta….- queste sono le parole che Dominic avrebbe voluto dire ad Orlando, invece si limitò ad arrendersi e a stare zitto.

-Ora però facciamo un patto -disse l'inglese porgendogli una mano -Non ne voglio più parlare, facciamo finta non sia successo niente e proseguiamo come all'inizio…d'accordo?-.
In quel momento Dominic desiderò con tutto se stesso sputargli in faccia, urlargli quanto fosse cretino e stordito, ma non lo fece, e rispose al gesto, sigillando così quell'accordo del quale, però, dentro di se non condivideva una sola parola.

Sandrina filava che era una meraviglia, il motore non dava segni d'intoppi o stanchezza. Nel pomeriggio giunsero finalmente sulla sponda del fiume Zambesi, che avrebbero costeggiato per un lungo tratto, ed infine attraversato. Sull'acqua scivolavano discrete e silenziose alcune barche e canoe, nella direzione opposta dei due motociclisti. Ogni tanto, questi si fermavano per osservare un'imbarcazione particolarmente stravagante o eccentrica, scattando fotografie e ridendo sotto i baffi. Una in particolare accese la loro ilarità: si trattava di una semplice chiatta, formata da tronchi e un tettuccio di tela leggera, bucata in alcuni punti. Sopra stavano seduti due uomini e tre vecchie, gli uni intenti a pescate, le altre a pulire il pesce gettato sulla piatta. Ma la cosa particolare era la bandierina che sventolava da un lato, raffigurante un uomo nudo morso su una chiappa da un coccodrillo(vi giuro che l'ho vista io una barca così, solo in circostanze un po' diverse…ero ad una fiera medievale un po' particolare…nda). I passeggeri, accortesi della loro reazione, li salutarono agitando le mani, gesto a cui i due ragazzi non tardarono a rispondere con il medesimo entusiasmo.
Rimontati in sella si mise Dominic alla guida, questa volta evitando di indossare gli occhiali, per potersi godere quel paesaggio che pareva un connubio di colori e profumi.

-Ti prego! -urlò il tedesco all'amico, che in quel momento era dietro un albero per ottemperare ad un premente bisogno fisiologico.
-Non se ne parla nemmeno!- la faccia d'Orlando spuntò da dietro il tronco- Lo sai che sono contrario a queste cose! E poi non possiamo fermarci al lungo!-.
-Ma lo faccio io, tu stai a guardare! Solamente una mezz'oretta!-.
-Non hai nemmeno l'attrezzatura! Come conti di farlo? Con un ramo e un pezzo di spago?-. urlò in rimando riallacciandosi i calzoni.
-Oh sì che ce l'ho…- sorrise furbetto Dominic, staccando il suo zaino dalla moto e prendendo a frugarci dentro -E' un kit portatile! -disse orgoglioso estraendo un bastone d'acciaio -Vedi? Si sfila così, è già tutto pronto, anche le esche sintetiche!-.
Orlando non poté che arrendersi, si sedette su un masso a pochi metri dalla riva ad osservare il compagno pescare.
-Come fai ad uccidere così gratuitamente un essere vivente?- gli gridò alzando la testa, mentre giocava con il cellulare.
-Macché gratuitamente! Se prendo qualcosa, poi ce lo mangiamo!-.
-Hai sbagliato la persona del verbo, caro mio…TE lo mangi…-.
-Sì, sì, come vuoi! Basta che ora stai zitto altrimenti mi spaventi i pesci!-.
L'inglese sbuffò riportando gli occhi su quel magnifico gioco di formula uno, prodotto della più moderna tecnologia statunitense.

-Dominic! Siamo qui da due ore e non hai ancora preso un cavolo di niente, potremmo andarcene ora?-.
-E' la tua presenza che porta sfiga…- ribatté soffiando, alzandosi.
-Non posso dire d'essere scontento…-.
-Sì, sì, la so la solfa! -alzò le braccia al cielo disperato- Abbiamo risparmiato una vita innocente, bla bla bla…tu non dovevi fare l'attore, caro mio, dovevi…-.
-Grazie, non m'interessa la cazzata che stai per sparare, muoviti, grazie a te arriveremo questa notte!-.

Dominic, mentre conduceva Sandrina, si guardava a sinistra, alla ricerca di quel ponte che, secondo Orlando, doveva essere vicino.
-Sicuro di non esserti sbagliato?- domandò fermandosi, puntando un piede a terra.
L'inglese, non senza fatica giacché era stretto tra il corpo dell'amico e le loro borse, estrasse dalla tasca una cartina, aprendola e seguendo il percorso, fino a quel momento transitato, con l'indice.
-Secondi questa qui, dovremmo esserci!- proclamò poco convinto.
Nella mente di Dominic balenò un dubbio.
-Dammi un attimo quella cartina, Orlando. -.
La scrutò qualche istante, scoprendo che la sua perplessità era fondata.
-Dove l'hai presa?- roteo il busto, fissando con rimprovero negli occhi l'amico.
-Era di mio padre, gliela aveva regalata un…-.
-Lo immaginavo, è vecchia come mio nonno!-.
Orlando lo guardò un po' stralunato, poi si grattò il mento con aria innocente.
-Dobbiamo procurarcene una recente al più presto, siamo stati fortunati che fino ad ora non sia cambiato poi molto…-.
-Se siamo arrivati qua è stato anche grazie alla mia cartina…- replicò indispettito, piegandola alla meno peggio e ficcandosela in tasca.
Dominic riaccese il motore, sperando che, proseguendo diritti, avrebbero trovato un ponte. Purtroppo le sue aspettative rimasero tali, perché sembrava proprio che non c'era modo di passare all'altra riva, se non, secondo le gentili parole di un passante, molti chilometri più avanti, quasi al confine del Mozambico.
-E adesso che facciamo?- sospirò Dominic, scendendo da Sandrina e stiracchiandosi le braccia anchilosate.
-Non abbiamo portato abbastanza benzina per andare al ponte e poi tornare indietro!-.
-Magari troviamo un distributore lungo la strada!- disse speranzoso il compagno, appoggiandosi con i gomiti alla moto.
-Ne dubito molto…abbiamo incontrato sì e no tre case da quando siamo partiti da Kilimane…-.
Effettivamente non avevano molte alternative, o proseguire sapendo che poi avrebbero dovuto continuare a piedi, spingendo il motociclo, o trovare il modo di oltrepassare presto il fiume. Purtroppo il tempo passava, e loro non riuscivano a decidersi. Avevano bivaccato lungo la riva, mangiando e bevendo panini e cola. Dominic aveva chiamato casa, quindi qualche amico e poi sua sorella, che in quel momento si trovava in Germania per motivi di studio(qualcuno mi sa dire quanti anni ha, please? Mi sarebbe molto utile per il proseguimento della storia. Nda). Orlando, invece, si era premunito di spedire un messaggio a Kate, visto che il suo cellulare non prendeva e non aveva voglia di sforzarsi troppo.
-Avevamo fatto una promessa a Viggo…- disse il tedesco finite le telefonate.
-E' meglio aspettare che sia lui a chiamare, credo, non sappiamo dov'è, non vorrei svegliarlo o disturbarlo!-.
-Tu ti fai troppi problemi, Orli…-.
-Cosa vuoi farci? -allargo le braccia stringendo ironico le labbra- Sono inglese!-.
-No, sei semplicemente stronzo!- replicò divertito addentando un pezzo di pane unto d'olio.
-Dovresti curare di più la tua alimentazione.- pronunciò l'inglese, guardando disgustato la sostanza untuosa che scivolava lungo le dita dell'amico.
Dominic, con la bocca piena, roteo gli occhi congiungendo le mani al cielo.
-Chiedere aiuti al signore non ti abbasserà il colesterolo…- bofonchiò, tra il serio e il satirico.

Erano passate più di due ore da quando si erano fermati, ma ancora nessuno dei due aveva preso un'iniziativa. Avevano considerato l'idea di guadare il fiume a nuoto, subito scartata per via di Sandrina; allora avevano ingenuamente pensato di costruire una zattera, ma, non avendo trovato legni, ci rinunciarono immediatamente. La corrente del fiume non era esagerata, con un'imbarcazione si poteva tranquillamente percorrere in diagonale il flusso d'acqua.

-Ferma! Ferma!- con la sua solita faccia tosta Dominic si stava sbracciando, mentre Orlando si teneva nascosto il volto, paonazzo dalla vergogna, tra le mani.
L'uomo che conduceva la chiatta lo guardò un po' stralunato, poi, forse spinto più dalla curiosità che dallo spirito di buona fede, virò fino ad ormeggiare lungo la riva, poco lontano dai due.
-Muoviti…- il tedesco spronò l'amico, correndo in direzione del barcaiolo.
-Parla inglese?- domandò arrivando trafelato.
-Sono inglese!- rispose lui, con tono stizzito.
-Senta…. -gli mostrò sorridendo un mucchio di soldi, che giacevano alla rinfusa nella sua tasca -Io e il mio compagno… -indicò Orlando, sempre più imbarazzato- Dobbiamo assolutamente attraversare il fiume! Non è che lei potrebbe aiutarci?-.
L'uomo fisso prima lui, quindi i soldi, con aria severa e scettica.
-Aiutarvi mi costerebbe un cospicuo ritardo, quelli non ti basteranno!- tirò su con il naso.
-Non c'è problema, aspetti!- corse alle borse, cercando il suo portafoglio in una delle tasche esterne. Concordato un prezzo evidentemente esagerato, furono fatti salire, assieme a Sandrina, sul retro dell'imbarcazione, che ospitava una decina di scrofe destinate al macello.
-L'ho sempre detto che prima o poi sarei finito nella merda…- sorrise Dominic indicando un enorme escremento di porco.
-Proprio non mi viene da ridere...- ribadì Orlando, tentando di allontanare un maiale che gli stava sfacciatamente annusando le parti intime.
-Hai fatto conquiste! Le donne d'oggi sono sempre più porche, vero?- rise il tedesco osservando divertito la scena.
L'amico si limitò a borbottare qualcosa, mentre scrollava una mano piena di bava. Nel momento in cui si fu finalmente liberato dall'inopportuno animale, fece un passo indietro, beccando in pieno un'immensa e scivolosa deiezione, sdrucciolando all'indietro e finendo addosso ad un maiale beatamente sdraiato. Lanciò un'imprecazione da far impallidire Ozzy Osbourne, stringendo i denti rabbioso e dando una sberla al suino accanto a lui, per la rabbia.
-Merda!- sbraitò alzandosi.
-Tanto per restare in tema…- Dominic non si divertiva così da tempo.
-Invece che sparare cazzate, potresti anche darmi una mano!-.

Dominic stava sistemando le loro cose, mentre l'amico era entrato in acqua, con l'intenzione di lavarsi e togliersi di dosso la puzza che lo aveva invaso.
-Sei molto eccitante con i vestiti bagnati addosso!- lo sfotté, quando riemerse sulla terra ferma. Orlando lo guardò torvo, sotto i capelli gocciolanti, appiccicati alla fronte.
-Se vuoi un consiglio spassionato…stai zitto!-
-Tranquillo! In fondo non è un caso se ti hanno quotato come l'uomo più sexy del pianeta…potrei anche decidere di cambiare sponda!- rise legando meglio una sacca su Sandrina.
-Mi fanno ridere!- disse strizzando una manica, nel tentativo di farla asciugare più in fretta.
-A me farebbe piacere…- alzò le spalle Dominic.
-Ma mi hai mai guardato bene? Sono così magro che i muscoli se devono vedere per forza, ho due adenoidi da far gara a Gandalf…-.
-Diamoci all'autocommiserazione!- replicò il tedesco, scocciato dal fatto che l'amico non sembrasse mai soddisfatto di niente. Purtroppo, sebbene detta senza alcun intento offensivo, ferì molto Orlando, che si chiuse immediatamente nel silenzio più assoluto. Dal canto suo, Dominic non tentò in alcun modo di scusarsi, pur comprendendo perfettamente l'enorme stronzata che aveva fatto; il suo compagno non si meritava in alcun modo la sua offesa, anzi, era stato lui stesso che spesso aveva dovuto spronarlo a confidarsi.
Giunsero a Tete che ormai era notte inoltrata, non si erano ancora scambiati una sola parola. Sempre nel silenzio più disagevole, s'infilarono nel primo albergo incontrato. Orlando, appena entrati nella stanza a loro assegnata, si chiuse nel bagno, facendo scaldare l'acqua per la doccia. Il tedesco si tolse le scarpe, le poggiò sotto la finestra e crollò sul letto, a braccia aperte, sospirando. Doveva dire qualche cosa, per rompere quella spiacevole situazione che si era creata tra loro, solo non riusciva a trovare le parole giuste per scusarsi.
Fortunatamente, l'amicizia che li univa era molto più forte, così non ci fu bisogno di particolari sforzi. Orlando uscì dai servizi, strofinandosi i capelli con un asciugamano. Passò davanti all'amico senza degnarlo di uno sguardo, dirigendosi verso il piccolo frigo. Prese una birra, sempre serio ed indifferente. Prese un apribottiglie, si sedette sulla poltrona marrone e fece per aprire la bottiglietta. Probabilmente era stata scossa troppo, perché appena liberata dal tappo, un mare di schiuma gli schizzò addosso. Rimase immobile, sconcertato dalla sua stessa idiozia. Poi sollevò lo sguardo, incontrando quello di Dominic. Rimasero ad osservarsi autorevoli per qualche istante, poi scoppiarono contemporaneamente in una spontanea e liberatoria risata.

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Capitolo 13
*** Mozambico-Zambia-Zaire - da Tete a Kamina - Km. 10.060 - from day 12 to day 25 ***


Ringraziamenti: un enorme grazie a Moon, Roy e Chu(quando aggiorni?), che seguono la mia storia regolarmente, e mi fanno sapere cosa ne pensano. Un grande in bocca al lupo a Mandy per i suoi esami. Non sapete quanto mi fa piacere che vi piaccia, perché sapevo sin dall'inizio che sarebbe stata una trama un po' particolare, che poteva essere apprezzata oppure disprezzata. Se anche piace ad una sola persona, significa che sono riuscita a trasmettere qualche cosa, e questo mi riempie il cuore. Grazie ragazze!

Nota: questo è un capitolo quasi esclusivamente introspettivo, che, purtroppo, per lo svolgimento della trama, anche fisica, non può essere saltato. Scusatemi veramente.

Mozambico-Zambia-Zaire - da Tete a Kamina - Km. 10.060 - from day 12 to day 25

La mattina successiva sembrava non essere rimasta più traccia della tensione accumulata il giorno precedente. Orlando, durante tutto il giorno, non aveva nemmeno minimamente accennato a sua madre, così Dominic aveva fatto nulla per istigarlo. Entrambi avevano spento il cellulare, anche se per motivi completamente differenti: l'inglese non voleva essere chiamato da nessuno, in particolar modo da sua sorella, mentre l'amico si era completamente dimenticato d'accenderlo, quando alzato. Così, irrintracciabili, avevano continuato il loro viaggio attraverso il Mozambico, per poi fermarsi a Kabwe, città dello Zambia. Qui avevano pernottato per tre notti in una locanda, visitando il luogo, rifornendosi d'oggettistica locale ma, principalmente, riposando.
Il primo pomeriggio del sedicesimo giorno erano ripartiti, abbastanza carichi e alimentati. Durante il tragitto Dominic s'era sentito male, ed erano dovuti restare quattro giorni in un ospedale a causa della sua influenza intestinale. Da quel momento si ripromise di non assaggiare più specialità locali.
Il ventitreesimo giorno entrarono in Zaire, viaggiando ininterrottamente fino alla città di Kamina. E qui mi fermo a raccontare un giorno in particolare, considerandolo importante nei suoi avvenimenti.

Erano le due del pomeriggio, Dominic era uscito alla ricerca di un ufficio postale, mentre Orlando aveva preferito rimanere in stanza a riposare. L'albergo in cui si erano fermati poteva essere considerato uno dei peggiori che avesse mai visto: il bagno era in comune per tutti i piani, le incrostazioni ai muri erano tante almeno quanti gli scarafaggi, il letto, uno solamente, cigolava ad ogni minimo movimento. Non c'era la televisione, niente frigo-bar, nessun tappeto o lampadario, tanto che, se volevi leggere, dovevi posizionarti sotto la finestra, che consisteva in due sottili vetri, di cui uno frantumato.
Orlando percepiva un impellente bisogno di lavarsi, ma l'idea di usare quella minuscola doccia in comune lo faceva rabbrividire. Effettivamente non che ci fosse molto da biasimarlo, lo scarico era quasi totalmente otturato da grumi di capelli, mentre il tubo era talmente incrostato da non distinguersi dalla parete.
Si gettò sul letto boccone, affondando il volto nel cuscino. Si stava annoiando a morte e, si sa, la noia a volte è deleteria. Inoltre, in questo modo, non poteva fare a meno di pensare, così presto, nella sua mente, si formarono le immagini di sua madre. Tentò di tutto per scacciarle, arrivando addirittura a strapparsi, uno per uno, i peli delle gambe, solo per tenere i pensieri occupati. Quando si rese conto di ciò che stava facendo, scrollò la testa, dandosi dello stupido. Frugò nella borsa cibarie, alla ricerca di una birra. Poi si bloccò, lanciando un'occhiata alla sacca proprio accanto, dove, giorni prima, aveva abbandonato il cellulare spento. Ebbe qualche esitazione, ma alla fine allungò un braccio e lo prese tra le mani. Lo rigirò qualche istante, prima di premere il bottone rosso ed inserire il PIN. Appena lo schermo si fu caricato, messaggi a non finire lo informavano delle chiamate che aveva ricevuto. Tra queste figuravano centoventisette di sua sorella, trentadue di Kate, vari numeri d'amici e altri sconosciuti. Poi ascoltò la segreteria, che conteneva diciannove registrazioni; molte erano di lavoro, due della sua ragazza, una d'Elijah e una di sua sorella. Riporto qui sotto le loro parole:

Messaggio d'Elijah: Cazzo Orlando, perché non accendi mai il telefono? Quello di Dom non prende mai e devo assolutamente parlarvi! Qui tutti stanno cercando di contattarvi….bè, appena senti questo messaggio chiamami IMMEDIATAMENTE, è molto importante!

Messaggio di Samantha: Orlando….silenzio….Orlando…non è possibile che non rispondi mai….la sua voce era stranamente bassa e tranquilla, in modo preoccupante….bè, sono giorni che provo a chiamarti. Mamma è morta. Tutto qua, ma probabilmente non te ne frega niente, quindi non mi aspetto che tu mi richiami dopo aver sentito questo messaggio. Ne avevamo già parlato, tempo fa, basta la mia firma per donare i suoi organi, quindi non ti preoccupare. Divertiti….silenzio…io sto bene, non ti preoccupare…ma in fondo che te lo dico a fare? Non lo hai mai fatto, quindi è inutile la mia richiesta…vabbè…non so più che dirti…ciao…

Il cellulare scivolò a terra, mentre Orlando rimase immobile nella stessa posizione di pochi attimi prima. Il tono freddo e distaccato che Samantha aveva usato per informarlo della notizia, lo aveva sconvolto forse più della morte di sua madre. Sapeva che sarebbe arrivato questo momento, lo sapeva da mesi ormai, e si sarebbe aspettato di soffrire come mai nella sua vita; invece nella sua testa aleggiava il vuoto più assoluto. Non avrebbe trovato le parole per descrivere il suo stato d'animo, perché in realtà non esisteva.
Non la chiamò, non fece assolutamente niente, non s'informò dove avrebbero portato la salma, come stesse sua nonna o quando si sarebbe svolto il funerale. Si limitò a spegnere il telefono e a rimetterlo nella sacca, chiudendo come un automa la cerniera.
-Ehilà! -Dominic entrò sorridente, poggiando due grosse borse per terra e asciugandosi il sudore dalla fronte -Non ho trovato la posta, in compenso ho fatto un po' di spesa, le cibarie stavano per…- si bloccò nel vedere il colorito pallido dell'amico.
-Stai bene?- lo avvicinò, poggiandogli una mano sulla spalla. Orlando, cercando di sfoderare il miglior sorriso che in quel frangente gli riusciva, rispose
-Benissimo, solo stanco. Elijah mi ha lasciato un messaggio, dobbiamo chiamarlo!-.
Il tedesco scrollò le spalle, frugando nelle tasche alla ricerca del telefono. Cercò una posizione in qui prendesse.
-Dio, non funziona mai questo residuato!- finalmente, sotto la finestra, comparsero sul desktop due tacchette. Cercò in rubrica il numero dell'amico, lasciando squillare pazientemente.
-Non risponde…- sospirò -Proveremo più tardi!-.
Orlando fu eccezionale nel non lasciar trapelare alcun'emozione, così Dominic non ebbe indizi per poter comprendere la sua psiche e il suo stato, che parevano simili ai soliti. E anche l'inglese, sebbene si sforzasse di capire cosa stesse succedendo dentro di lui, non riusciva a giustificare la sua assurda apatia.
Il tedesco disse di aver bisogno di una doccia, ma ritornò poco dopo, inveendo poco gentilmente contro la sporcizia che regnava sovrana. Si rassegnò così, anche lui, al sudore appiccicaticcio tra le gambe.
-Allora…-sospirò, lasciandosi cadere esausto su una sedia -Hai intenzione di partire questa sera o ci fermiamo qui?-.
-Non saprei… -si grattò la testa -Vedi un po' tu, io non sono stanco, per me possiamo anche riprendere questa notte!-.
Era diventato consueto, per loro, viaggiare la sera tardi, fino al mattino, quando c'era meno gente per le strade e il caldo non soffocava.
-A dirti tutta la verità…dopo quella maledetta influenza intestinale mi sento ancora un po' in subbuglio…non mi dispiacerebbe dormire qui oggi…a te va bene?-.
-Cavoli! Sei sordo? Ti ho detto che per me è lo stesso!- sbuffò Orlando aprendo le braccia scocciato. Dominic rimase interdetto da questa reazione, e lo guardò torvo. L'amico, dal canto suo, si era stupito del nervosismo esagerato che aveva mostrato, di cui nemmeno lui stesso riusciva a capacitarsi, così si scusò. Il tedesco accettò le scuse, anche se, in realtà, dentro di se ancora non comprendeva.
Decisero di restare nella locanda tutta la notte; Dominic riuscì a dormire profondamente, seppur, nei pensieri, turbato da quello che stava succedendo all'amico. L'inglese, invece, rimase tutto il tempo sdraiato nel suo lato del letto, con le braccia incrociate e gli occhi, inevitabilmente, aperti. Nella sua mente viaggiavano una quantità inimmaginabile d'immagini ma, al contempo, vagava nel vuoto più assoluto. Era come se ancora non riuscisse a rendersi conto della realtà delle cose; probabilmente, la morte della madre, era una prospettiva così assurda e quasi inconcepibile, da rivelarsi impossibile da accettare.
Purtroppo, o fortunatamente, dipende dai punti di vista, lentamente, nel silenzio della notte afosa, Orlando non poté mentirsi a lungo.
Non vedrò mai più i suoi occhi, non le prenderò mai più la mano, non raccoglierò ancora il suo sorriso, non potrò sentire le sue raccomandazioni ogni volta che devo partire, non…
Quando qualcuno che amiamo ci lascia, non sono le cose che verranno a spaventarci, ma quelle che non verranno più. La prospettiva di rendere concreto l'addio ad una persona è terrificante.
Mentre pensava queste cose, un conato di vomito lo invase, costringendolo a precipitarsi in bagno. Rialzò la testa dal water solamente quando ormai, nel suo stomaco, rimaneva niente da svuotare. Si aggrappò alla tavoletta, respirando forte e chiudendo gli occhi. Ora gli era tutto chiaro, tutte le parole e gli avvenimenti. Sua madre era morta, era un cadavere, un mucchio d'ossa senza vita. Non era una separazione momentanea, con la promessa di un incontro; era la fine. Se n'era andata, come aveva fatto suo padre. Solo che, in quel caso, non si era comportato da vigliacco e meschino; questa volta sì, con tutto se stesso, sembrava quasi si fosse sforzato di farlo.
In quel frangente, non poteva importargli di meno delle condizioni della doccia; così si pose sotto il getto s'acqua, rendendola il più fredda possibile; cosa non difficile, dato che quella calda non esisteva. Lasciò che le gocce gelate attraversassero i suoi vestiti, solleticandogli l'ombelico e provocandogli brividi lungo tutto il corpo. Si appoggiò di schiena al muro di piastrelle, sollevando il mento e passandosi le mani tra i capelli.
La chiarezza della situazione era sconvolgente.
Ritornò in camera, cercando di fare il meno rumore possibile per non svegliare il compagno. Lo fissò qualche istante dormire, prima di mettersi seduto sul pavimento, a gambe incrociate. Poggiò la testa sui palmi aperti, puntando i gomiti sulle ginocchia. Prese ad osservare le gambe del letto.
Dopo un tempo, che a lui parve infinito, si sollevò, infilandosi il cappellino della Ferrari ed uscendo. Aveva bisogno di mangiare, potrebbe sembrare assurdo, ma il suo stomaco si era completamente svuotato, fisicamente. Si sentiva girare la testa, e non poteva permettersi di svenire. Inoltre n'approfittò per farsi una passeggiata, da solo. Abituato all'Inghilterra e all'America non gli venne in mente che, essendo notte inoltrata, sarebbe stato molto difficile trovare un negozio aperto. Fortunatamente, almeno in questo, la sorte sembrò essergli propizia, perché capitò presto in un bar semideserto.
Un uomo bianco, sulla cinquantina, stava sommariamente pulendo il bancone di legno con uno straccio e, quando entrò Orlando, si limitò a lanciargli un'occhiata rapidissima. Il ragazzo si sedette ad un tavolino un po' in disparte, sentendosi addosso gli sguardi curiosi dei pochi clienti presenti. Questi consistevano principalmente in uomini, bianchi, anziani e stempiati, con una birra o un wisky stretti tra le mani. Orlando lasciò scivolare una banconota di valuta locale, che si erano premuniti di cambiare la mattina precedente, lungo il tavolo, attendendo che qualcuno venisse a prendere la sua ordinazione. Rispolverò le poche parole in portoghese che aveva appreso per le situazioni d'emergenza, ed ordinò carne e birra. Nel piatto gli venne presentata un ammasso di parti molli, che probabilmente corrispondevano alle interiora di qualche animale. Non ci fece particolare caso, anzi, non ci badò proprio, l'importante era infilare qualche cosa nello stomaco. Non riuscì nemmeno a sentire il sapore del cibo, limitandosi a gesti meccanici, dettati esclusivamente dalla necessità impellente. Bevve la birra tutta d'un fiato, come nell'intenzione di spegnere quel fuoco che sembrava bruciargli dentro. Simulò un flato con un colpo di tosse, anche se nessuno, lì dentro, ci avrebbe fatto caso. Poggiò la fronte sul tavolino, rialzandola solamente quando una ragazza venne a liberargli il tavolo dal piatto e dal bicchiere. Lui, sollevando un poco una mano, le fece capire che voleva ancora da bere.
-Vuoi ancora birra?- sorrise lei.
Orlando sospirò sollevando sentendo il suo inglese, seppur abbastanza stentato.
-Avete qualcosa di più forte?- storse la bocca lui, grattandosi un sopracciglio, lievemente in imbarazzo.
-Cosa devi dimenticare?- domandò lei, con un tono furbesco, ma ugualmente dolce. Il ragazzo rise, diventando rosso. Non era sua abitudine affogare i dispiaceri nell'alcool, e nemmeno quella volta ne aveva l'intenzione. Solamente sentiva il bisogno di qualcosa che lo svegliasse un poco, di modo da poter pensare lucidamente ai provvedimenti da prendere, considerando anche il fatto che Dominic non era stato messo al corrente della situazione.
-Abbiamo del vino tunisino, se vuoi. Oppure il latte di suocera, è la cosa più forte che abbiamo…-.
-Ecco, dai, non so cosa sia, però portami quello…-.
-Un bicchierino di latte di suocera, allora?- domandò lei, per avere una conferma.
-Tu portami la bottiglia per favore, e un bicchiere... -.
La ragazza lo guardò un po' storto, ma poi, abituata com'era ad ubbidire agli ordini più stravaganti, si allontanò, ritornando poco dopo con quello che il cliente aveva chiesto.
-Grazie…- si sforzò lui di sorridere, afferrando a piene mani il recipiente di vetro e versando un goccio di quel liquido trasparente nel bicchiere. Si sentiva lo sguardo curioso della giovane cameriera addosso, così sollevò lo sguardo e la guardò a sua volta.
-Dove ti ho già visto?- fece lei sollevando dubbiosa un sopracciglio. Orlando non rispose, limitandosi a scrollare le spalle, ostentando indifferenza. Era sicuro che, se gli avesse rivelato chi era, lei gli avrebbe domandato un autografo, e poi non avrebbe smesso di fissarlo per tutta la notte. Non era il caso.
La ragazza non ci pensò molto, e ritornò dietro al bancone; la cosa non sembrava averla particolarmente toccata. Lui fu veramente grato alla sua apparente arrendevolezza, e si portò il bicchiere alle labbra. Senza pensarci molto inghiottì un profondo sorso. Il colore della sua faccia mutò improvvisamente, mentre gli occhi cominciarono a lacrimargli; la gola gli bruciava in un modo pazzesco, mentre quella roba lo aveva preso al cervello come una potente botta d'adrenalina. Tossì varie volte, aggrappandosi con una mano al bordo del tavolino. Quando si fu calmato, guardò in direzione della gente, sperando che nessuno si fosse accorto della sua figura, decisamente poco mascolina. Solo la ragazza, sebbene tentasse di celarlo, stava ridendo sotto i baffi, mentre sistemava gli sgabelli a gambe all'aria.
Al terzo bicchierino convenne che, anche se non aveva sortito l'effetto inizialmente voluto, quella bevanda lo stava decisamente rilassando. Al quinto decise che gli stava facendo veramente bene. Al settimo non riusciva a coordinare i propri movimenti. Al decimo la sua testa non si sollevava, se non a gran fatica, dal tavolino.

Dominic, dopo essersi rigirato varie volte nel letto, tentando di riaddormentarsi, si alzò. Era preoccupato per Orlando, lo aveva sentito uscire, poi rientrare, quindi andarsene di nuovo; era molto tempo che era fuori. Pensò fosse normale la sua inquietudine, vista la situazione familiare e la sua lontananza, però non poteva fare a meno di provare una punta d'apprensione. S'infilò i jeans e una canottiera, trafficando nella borsa. Secondo dei rapidi calcoli a Vancouver, dove Elijah in quel momento era per festeggiare il compleanno di sua madre, o almeno così presumeva il tedesco, doveva essere sera. Voleva chiamarlo, visto che quel pomeriggio non c'era riuscito. Come sempre, il suo cellulare non prendeva, così si abbandonò sconsolato sul letto. Non sapeva come ammazzare il tempo, sicuro che Morfeo, per quella notte, non l'avrebbe più accolto tra le sue braccia. Dopo essersi tagliato le unghie dei piedi e pettinato i capelli, veramente non aveva la minima idea di cosa avrebbe potuto fare. Gli venne l'idea di utilizzare il cellulare d'Orlando che, conoscendolo, sicuramente non si era portato dietro. Frugò nella sacca dell'amico, trovandolo, come sempre, spento. Fortunatamente conosceva il codice PIN, glielo aveva detto il compagno stesso, una mattina che ne aveva avuto bisogno. Si sedette sotto la finestra, poggiando la schiena al muro, cercando in rubrica il numero d'Elijah.
-Ciao Dominic! - la sua voce lo precedette -Non sai come sono contento di sentirti! Sono giorni che tutti cerchiamo di chiamarvi!-.
-Lo so, me lo ha detto Orlando. Solo che lui, lo sai, tiene il cellulare sempre spento, mentre il mio non prende mai…-.
-Vabbè...- tagliò corto l'altro, che sembrava avere una gran fretta -Senti, ho solo un minuto. Ti devo dire una cosa molto importante! Ti ricordi che ti avevo parlato di quell'articolo su People?-.
-Sì, perfettamente. Ma stai tranquillo, perché abbiamo già cambiato percorso e ora cerchiamo d'essere ancora più discreti…-.
-Mi fa piacere. L'altro giorno mi ha telefonato un giornalista chiedendomi informazioni. Io, naturalmente, gli ho detto che non ne sapevo niente e che probabilmente questa storia era stata tutta inventata. Non mi è sembrato particolarmente convinto…insomma…volevo solo dirvi di fare attenzione…-.
-Grazie del tuo interessamento, Lij, veramente, ma non ce n'è bisogno…-.
-Perfetto! Volevo solo avvertirvi! Ora ti devo proprio lasciare, ti richiamo io domani o, in ogni caso, uno di questi giorni, okay?-.
-Va bene, divertiti e fa gli auguri a tua madre!-.
-A mia madre?-.
-Sì…oggi non compie gli anni?-.
-Dì, il sole africano ti ha veramente fuso così tanto?-.
-Scusami…mi sono confuso…ciao…-.
Quando riattaccò si chiese come mai fosse stato tanto convinto che quel giorno fosse il compleanno della donna; anzi, Elijah non glielo aveva mai detto, però, stranamente, aveva quella convinzione. A volte succede, si disse, di essere sicuri di cose che in realtà non esistono. Forse anche Orlando poteva essere inserito in quel genere di cose. Cioè, non lui in quanto persona fisica, ma lui in quanto comportamento. Certo, poteva capire il voler fuggire dalla verità e dalla vita stessa, ma il suo atteggiamento aveva un non so che di malato. Dominic, se si fosse trovato nella sua situazione, non ci avrebbe pensato due volte a fare le valige e ritornare a casa, costasse quel che costasse. Invece Orlando ne sembrava quasi estraneo, come se la cosa non lo toccasse. Per essere più precisi, in alcuni momenti sembrava la persona più sconvolta e pentita della terra, mentre in altri si comportava come se niente fosse. Se questa sua condotta rappresentava una specie di scudo protettivo verso il mondo, cominciava a vertere molto verso la schizofrenia.

-Posso avere una birra?- biascicò Orlando sollevando a fatica un braccio. Dopo tutto quell'alcool, praticamente puro, sentiva il bisogno di qualcosa di meno forte e rovente. Gli venne quasi immediatamente portata, sempre dalla ragazza. Cominciò a sorseggiarla, con lentezza, gustandosi ogni volta che il liquido freddo scivolava lungo la sua gola. Spostò di lato il latte di suocera, gli era venuta la nausea solo a sentirne l'odore. Era decisamente sbronzo. Lanciò un'occhiata al suo rolex, riuscendo a capire che erano, più o meno, le quattro del mattino. Doveva tornare in albergo da Dominic, avevano deciso di partire all'alba, e non sarebbe certo stato lui a ritardare la partenza. Si alzò dalla seggiola, traballando qualche incerto passo verso il bancone, dove sbatté con poca grazia una banconota.
-Guardi che ha già pagato!- sorrise sempre la stessa ragazza, intenta ad asciugare le stoviglie.
-Lo so! Questa è mancia!-.
Lei fece per aprire bocca, dissenziente, ma Orlando la fermò alzando una mano prima che potesse spiccicare parola. Si diresse verso la porta, tentando di mantenere un'andatura diritta con le facoltà che ancora si erano mantenute solide. Si ritrovò per la strada, non ricordando da che parte fosse arrivato. Sicuro era che l'albergo fosse vicino, ma che strada bisognasse imboccare per arrivarci appariva, ai suoi occhi, un mistero. Non ricordava nemmeno il nome della locanda, quindi chiedere informazioni sarebbe stato impossibile. Decise d'incamminarsi a sinistra, perché quella era la direzione del suo cuore e della sua mente, quindi, forse, gli avrebbe portato fortuna. Ma se sulle cartelle elettorali non lo aveva mai deluso, nella concretezza delle vie africane risultò una cattiva idea. Camminava da diversi minuti, ormai, e della pensione non c'era traccia, anzi, non vi erano segni di vita umana. In effetti, Kamina non era una metropoli, ma rappresentava pur sempre un importante centro di riferimento per lo Zaire meridionale. Orlando si sarebbe aspettato di vedere un gran via vai ad ogni ora, del giorno e della notte, invece sembrava quasi che tutti i cittadini si rintanassero nelle loro case, chiudendo addirittura le imposte. Anzi, c'era qualche cosa di molto strano. Nel bar dov'era stato non erano né uscite né entrate persone, ma tutti erano rimasti ai loro posti, perfino addormentandosi sui tavolini. Non era normale. Ma, ebbro qual era, non prestò molta attenzione alla cosa, proseguendo nella sua ricerca.

Dominic scrollò dalla mente quei pensieri, si stava rincitrullendo. Aveva passato molto tempo con Orlando, abbastanza da poter dire di conoscerlo bene; non era una persona falsa o menefreghista, semplicemente, a volte, molto ingenua e stupida. Il tedesco sospirò, pensando che, forse, non era il suo amico ad avere un comportamento scorretto, ma lui stesso. Non gli stava dando l'aiuto di cui, sebbene continuasse a negare, era palese necessitasse. Però la parte chiamata in causa era sì, Orlando, ma principalmente sua madre. Purtroppo Dominic non la conosceva, l'aveva vista una sola volta molto di fretta, ed era già un miracolo se si ricordava il suo nome. Quindi non riusciva, per quanto si sforzasse di farlo, ad essere minimamente in apprensione per lei. E per questo si sentiva sporco, non riusciva a capire come mai il suo cuore mostrasse tanta indifferenza. Una sola cosa gli dispiaceva, il fatto che Orlando non le fosse accanto. Sapeva che se ne sarebbe pentito amaramente, al punto da poter arrivare ad odiare se stesso, però non poteva fare più di tanto. Era adulto e vaccinato, doveva saper compiere da se le proprie scelte. Dominic aveva provato ad indirizzarlo verso quella che, secondo lui, era la strada più giusta, ma non c'era riuscito. Non sapeva bene cosa gli avrebbe detto, ma sentiva l'incalzante bisogno di parlare con l'amico. Inforcò i ray-ban, scendendo verso quella che somigliava molto vagamente ad una reception. Poggiò le chiavi sul bancone e si girò, facendo per andarsene.
-Dove cazzo crede d'andare??!- una voce bassa e rude lo bloccò.
E questo cosa vuole ancora…pensò, rivolgendosi al portiere, uomo scorbutico, zozzo e maleducato.
-Penso che siano affari miei!- sfoderò il migliore dei suoi sorrisi, voltandosi.
-Guardi, mettiamo in chiaro una cosa -disse l'uomo, a cui non era sfuggita l'ironia nascosta in quel sorriso -A me non me ne potrebbe importare di meno di quello che lei e il suo….amico…. -rise lievemente calcando questa parola -Facciate o non facciate. Lei fino alle sei non può uscire. -.
-E perché mai?- replicò Dominic, scocciato dall'insinuazione che era stata fatta riguardo al rapporto che vigeva tra lui ed Orlando.
-Perché da oggi fino alla fine della settimana c'è il coprifuoco!- disse spostando lo stuzzicadenti all'altro lato della bocca.
-Che coprifuoco?- il ragazzo cominciò a pensare di essere preso per i fondelli.
-Bello il mondo delle favole, americano? Purtroppo ora ne devi uscire, perché qui dalle dieci di sera fino a dopo l'alba nessuno mette mai piede fuori casa. -.
-Questo lo avevo capito…grazie…- strinse i denti, irritato -Vorrei sapere perché?- fece seguire le sue parole da gesti, come se stesse parlando ad un sordomuto.
-Lei può fare quello che le pare, però non esca di qui senza avermi prima pagato il conto. Non vorrei trovarmi a frugare nelle tasche di un cadavere per avere i miei soldi….-.
L'irritazione di Dominic stava raggiungendo livelli inimmaginabili.
-Ogni anno queste viene festeggiata come la settimana dell'occupazione….è proprio in questo periodo che, nel '600, i coloni portoghesi presero legalmente possesso di queste terre, naturalmente, con tutte le conseguenze che ne derivarono… -sorrise beato con lo sguardo perso nel vuoto -Da oggi fino a domenica, la notte è pieno di bande di ragazzi esaltati, ubriachi e drogati, che vogliono ripercorrere le gesta dei loro antenati. Insomma…mi capisce…per un negro di merda -Dominic, a quell'uscita, strinse i pungi, trattenendo l'impulso di fargli sanguinare il naso -E' praticamente impossibile uscire di casa e poi ritornarci. Ma anche per lei. Sa, non che facciano molta differenza tra bianchi, negri, mulatti, gialli o a pois…delinquenti sono e delinquenti rimangono. -.
-Non capisco tutto il suo interessamento verso di me…- disse il tedesco, vagamente sarcastico, ma anche oltremodo preoccupato.
-Glielo ho già detto, se lei vuole uscire da quella porta, prima mi paga tutto il conto, mancia compresa!-.
-Ma che gran testa di cazzo…- sussurrò mentre tirava fuori il portafogli e contava i soldi.
-Come, scusi?- tese l'orecchio, l'uomo.
-Niente!- pronunciò secco Dominic, voltandosi senza nemmeno guardarlo, dopo aver poggiato le banconote sul bancone.
Ora aveva un motivo in più per cercare Orlando. Conoscendolo, ipotizzava non si fosse spinto troppo lontano, dato il suo scarso interesse per le passeggiate, quando non c'era niente da comprare. Sperò di trovare qualche locale aperto, sicuro di trovarcelo dentro.

L'inglese aveva rinunciato a girare confusamente, si era seduto su una panchina coprendosi il volto con le mani. Era stata decisamente una pessima idea bere, quando già prima non era in buone condizioni. Il respiro si era fatto corto, mentre lo stomaco non dava segni di volersi zittire; la testa gli girava assurdamente, mentre si sentiva le gambe pesanti come fossero fatte di piombo. Non riusciva a rimanere diritto con la schiena, stava inevitabilmente gobbo, come se la posizione eretta fosse improvvisamente diventata troppo spossante da sostenere. Stare fisicamente e mentalmente male, è un connubio ben poco prospettabile, particolarmente quando si è soli. Avrebbe desiderato con tutto se stesso avere qualcuno vicino, in quel momento; non Dominic, nessuno in particolare. Solo del calore umano, una persona che gli cingesse le spalle dicendogli che tutto si sarebbe aggiustato. Mai, come in quella contingenza, aveva pensato fortemente che, l'idea di prendere e viaggiare, fosse stata estremamente sciocca. Forse, se non fosse partito, sua madre non si sarebbe aggravata, non sarebbe morta e Samantha non sarebbe da sola. Erano discorsi assurdi e campati in aria, logicamente, ma era talmente confuso e disorientato da non riuscire più a connettere pensieri sensati tra loro. Se ne faceva una colpa, e con ragione, lo sapeva. Avrebbe desiderato poterle stringere la mano negli ultimi attimi, abbracciare sua sorella alla funesta notizia, farsi salire in braccio Levone, in suo cane, che capiva sempre quando Orlando stava male, e si premurava di leccargli la faccia. Invece no, aveva preferito o, meglio, deciso, di rimanere accanto a Sandrina, e a Dominic che, seppur grande amico suo, non poteva certo compensare la mancanza della sua famiglia. Quale famiglia? Non aveva un padre, non aveva una madre. Che ne sarebbe stato ora di Samantha? Avrebbe vissuto con la nonna, che, per quanto dolce e tenera potesse essere, non era nemmeno in grado di badare alle proprie funzioni fisiologiche. No, non lo avrebbe permesso. Lei avrebbe vissuto con lui; ma la sua vita era talmente sregolata e priva di qualunque misura che, nonostante tutto l'amore che potesse darle, sarebbe stata deleteria. Allora, forse, avrebbe dovuto rinunciare al suo lavoro, a ciò che aveva conquistato lottando e sudando, compiendo degli enormi salti nel buio, procedendo alla cieca. No, lo sapeva, non lo avrebbe mai fatto, nemmeno per Samantha. Avrebbe tentato di conciliare le due cose, senza dover operare una scelta così drastica. Certo, c'erano i suoi zii, quelle care persone che erano magicamente ricomparse nella sua vita solamente dopo la fama. Non le avrebbe permesso di avvicinarsi troppo a loro. Chissà cosa stava facendo in quel momento, dov'era; forse piangeva, dormiva e si dondolava apatica. Orlando, per la prima volta, si rese conto di non conoscerla poi così bene come credeva, perché non riusciva ad immaginarsi la sua espressione, dopo quello che era successo. Non era un buon fratello, non lo era mai stato; la notte le sussurrava che loro due erano più di tutto migliori amici, persone che si amavano e non avrebbero mai permesso a niente e nessuno di separarli. E quel niente e nessuno era stato proprio lui, detentore di quelle promesse. Quante volte lei lo aveva chiamato, dicendogli che aveva bisogno di parlargli, di sfogarsi, anche su piccole cose, fatti quotidiani. E lui aveva sempre da fare, le assicurava che l'avrebbe richiamata più tardi ma, il più delle volte, irrimediabilmente se ne dimenticava, e anche se lei faceva finta di niente, era chiaro quanto ci stesse male. Ma non glielo aveva mai fatto pesare, aveva accettato tutte le sue scelte mostrando gioia, dalla sua partenza, da ragazzino, al suo trasferimento quasi permanente negli Stati Uniti. Orlando era stato troppo preso dagli eventi che sembravano scorrergli senza sosta davanti agli occhi, l'accademia, la prima, piccola parte in un film, poi un ruolo da protagonista, quindi la mutazione in un valoroso principe degli elfi, e via dicendo, per potersi accorgere che Samantha stava crescendo. Non aveva mai smesso d'amarla, nemmeno un istante, ma non si era nemmeno mai posto il problema che, forse, lei aveva un assurdo bisogno di lui. Si ricordava perfettamente quando non aveva potuto assistere al suo sedicesimo compleanno, data importantissima per una giovane ragazza. Aveva fatto di tutto per potersi liberare, ma non avevano voluto sentire ragioni: o lei, o il lavoro. Inutile ribadire quale scelta avesse compiuto.
Si stava torturando in questi pensieri, quando udì delle voci in lontananza.

Dominic camminava spedito, alla ricerca di qualunque indizio che lo riconducesse all'amico. Aveva trovato un locale aperto, era entrato e aveva chiesto informazioni. Orlando era stato lì, poco prima, ma poi se n'era andato. Maledisse il menefreghismo di quelle persone, che non lo avevano avvertito del rischio che correva, girando la notte, in quel periodo, per le strade di Kamina. In ogni modo era quasi l'alba, era anche probabile che ormai non gli succedesse niente. Quando seppe, dalla ragazza sempre molto gentile, che se n'era andato dal pub alquanto alticcio la sua ansia crebbe. Nessuno seppe dirgli in che direzione si fosse diretto o dove avesse avuto intenzione di andare, quindi dovette, per forza di cose, affidarsi alla buona sorte. S'incammino verso da destra, visto che era appena giunto dalla destra e davanti a lui si stagliavano edifici. Mentre avanzava lasciava ai suoi pensieri il permesso di vagare liberamente, spostandosi dalle cose più futili alle più fresche. Se per Orlando si era rivelata una pessima idea, fare quel tour, per lui forse non era meglio. Era all'inizio della sua carriera, certo, si era fatto un nome grazie alla trilogia di Peter, ma non che fosse particolarmente spiccato tra gli altri. Fino a quel momento aveva ricevuto molte proposte di lavoro, ma poche veramente interessanti, o comunque degne d'essere solamente considerate minimamente tali. Frugò nelle tasche, ringraziando se stesso per aver portato il cellulare, sentiva un assurdo bisogno di sentire la voce dei suoi genitori, voleva un consiglio o, meglio, una conferma. Si spostò da un marciapiede all'altro, alla ricerca di un posto dove la ricezione fosse sufficiente. Trovato, si accucciò per terra e compose il numero di casa, pregando di trovare qualcuno. Parlare con suo padre gli fece molto bene; non ricevette consigli o ammonimenti, semplicemente sincere parole di conforto. Versò qualche lacrimuccia di malinconia, quindi terminò la chiamata, riprendendo la ricerca dell'amico. Il telefono, dopo qualche minuto, squillò. Il numero in sovrimpressione era sconosciuto, così, Dominic, ebbe qualche titubanza a rispondere, ma alla fine cedette.
-Pronto?-.
-Dominic?- una voce femminile, che non riuscì a distinguere.
-Sì, in persona, chi parla?-.
-Sono Samantha, ti ricordi di me?-.
Al ragazzo prese un colpo, cosa poteva volere la sorella d'Orlando da lui?
-Certo che mi ricordo di te!- tentò d'essere il più dolce e gentile che gli riusciva.
-Mio fratello è lì con te?-.
Lui non sapeva cosa dirle, però decise di non mentire, perché di bugie, in quegli ultimi giorni, se n'erano dette anche troppe.
-No, non è con me. -.tacque però sul fatto che era da solo, ubriaco, per le strade notturne, estremamente pericolose, di Kamina.
-Sai se ha ascoltato il mio messaggio?- domandò.
-Alla segreteria? Non credo, ha sempre il cellulare spento- sospirò alzando gli occhi al cielo, grattandosi uno zigomo.
-Quindi non sa quello che è successo?- continuò lei, calma.
-Perché? Cosa è successo?-.
-Senti, ti dispiacerebbe dirglielo tu, che mamma è morta?-.
Dominic quasi si strozzò con la saliva. Così era successo, ma come avrebbe fatto a dirglielo?
-Penso sarebbe meglio se questo lo facessi tu, Samantha…-.
-Non voglio parlarci!-.
-Ascolta, io non faccio parte della vostra famiglia, non conoscevo tua madre e a te ti ho visto due volte sole. Però ti dico, vi state comportando stupidamente, anche se, lo ammetto, la colpa è tutta quasi esclusivamente d'Orlando. Avrete bisogno l'uno dell'altro, e in questo modo non fate altro che allontanarvi sempre di più. Credo tu abbia un po' più di senno, quindi cerca d'essere forte, e non far degenerare in questo modo, poco degno, i vostri rapporti…-.
-Sta male?- lo interruppe lei, secca.
-Certo che sta male, anche se fa di tutto per non farlo vedere…-.
-E allora perché non torna da me?- scoppiò a piangere lei.
Dominic, in quel momento, si sentì estremamente in colpa. La domanda della ragazza non aveva la minima intenzione d'essere un'accusa, purtroppo suonava molto come tale. Inoltre non avrebbe saputo darle una risposta sensata, quindi si limitò a tacere.
-Pensi che, prima o poi, ritornerà?-.
-Ma certo! Che domanda stupida! -rise in imbarazzo lui.
-Non credo sia tanto stupida, Dominic, non so più cosa aspettarmi, cerca di capire!-.
-Io ti capisco…- mentì lui.
-Credi abbia voglia di vedermi?-.
-Più d'ogni altra cosa, solo che è molto confuso e…- non sapeva perché stava cercando di giustificare l'amico, visto che sapeva perfettamente che era dalla parte del torto marcio.
-Lo conosco -disse lei -E' troppo orgoglioso, quindi vengo a prenderlo…-.
-Cosa fai??!- le parole gli uscirono quasi urlate.
-Ho detto che vengo a prenderlo! Devi solo dirmi dove siete, e io parto questa sera!-.
-Ma tu non puoi…-.
-Perché non posso??! -sbraitò lei, mista tra la rabbia e la disperazione -Io sto andando fuori di matto! Ti rendi conto??! E' crepata mia madre e sono circondata da persone a cui, di me, non gliene frega un cazzo! Conosco Orlando, so che anche lui si sente solo! Non voglio sminuire la vostra amicizia, Dominic, ma non è di te che ha bisogno in questo momento…-.
Lui sapeva che quelle parole erano tremendamente vere.
-Quanti anni hai?- domandò poi.
-Diciotto- rispose lei.
-Bene…allora non dovrebbero esserci problemi…-.
Le diede tutte le informazioni necessarie, con la promessa che non avrebbe detto niente ad Orlando. L'avrebbe fatto rimanere a Kamina con una scusa. Quindi, riprese a cercarlo, con però, ancora più apprensione nel cuore.


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Capitolo 14
*** Zaire - Kamina - day 26/27 ***


Nota: premetto che sono stata costretta, per colpa di terzi(Marty, un giorno ti brucio quel cd…o___O), a scrivere questo capitolo con la "musica" di Eminem in sottofondo, cantante che poco cordialmente disprezzo, quindi non so bene cosa sia venuto fuori.

Nota2: anche questa parte è stata contrassegnata con il rating NC17 esclusivamente per la durezza d'alcune immagini descritte.

Zaire - Kamina - day 26/27

Orlando sollevò un poco la testa, cercando di capire da che parte provenissero le urla. Sembrava si avvicinassero sempre di più, seguite dal rimbombo di un motore. In meno di un minuto una jeep sbucò spedita, da una strada che convergeva nella piazzetta dov'era seduto. Al primo impatto poteva sembrare una scena abbastanza comica: tre ragazzi, più uno sistemato alla guida, erano in piedi nel veicolo scoperchiato, brandivano ognuno una bottiglia, sputavano a destra e a manca, cantando e urlando a squarciagola. Il fuoristrada era stato dipinto di un verde militare, lo stesso colore delle magliette che i giovani indossavano. Capire le loro parole, per Orlando, era impossibile, sia perché erano in portoghese sia perché non s'impegnò nemmeno troppo a farlo. Era troppo demoralizzato e ubriaco per poter prestar loro un minimo d'attenzione, così si ricoprì il volto con le mani, appoggiandosi allo schienale della panchina.

Dominic camminava spedito, aveva sentito il rumore di un motore, e immediatamente si era nascosto dietro un cassonetto dell'immondizia. Si sentiva un imbecille ad avere reazioni così esagerate, ma non poteva fare a meno di pensare alle parole dell'albergatore: non vorrei trovarmi a frugare nelle tasche di un cadavere per avere i miei soldi. Lo avevano colpito più di quanto lui stesso volesse dare a vedere, anche se, in fondo, nutriva la speranza che l'uomo avesse semplicemente voluto prendersi gioco di lui. Purtroppo non poteva rischiare, preferiva risultare ridicolo che incorrere in rischi inutili. Non appena il rombo fu abbastanza lontano, si sollevò sbattendosi la camicia nera, nel tentativo di scrollare i moscerini che si erano appiccicati nell'attesa. Mentre cercava con lo sguardo Orlando, la sua mente era proiettata verso Samantha, verso quello che stava per fare. Quella ragazza doveva veramente amare suo fratello, poche persone avrebbero agito così. Lui stesso, se qualcuno si fosse comportato in quel modo, non avrebbe avuto remore a dargli la benedizione e a cancellarlo definitivamente dalla sua vita. Ma forse non poteva capire, anzi n'era sicuro. Come non riusciva a comprendere il comportamento dell'amico; sperò con tutto se stesso di riuscire a farlo in seguito. Gli era chiaro il prima, ovvero i motivi che avevano spinto Orlando a lanciarsi in quest'impresa, e tanti altri piccoli particolari, ma non riusciva a focalizzare il dopo. Non poteva immaginarsi l'evolversi di questa situazione, e nemmeno voleva farlo. Non c'entrava, non era che una pedina, forse importante per lo sviluppo del gioco, ma non fondamentale per dare lo scacco matto al re. Il problema era che non vi erano due squadre, niente giocatori, vinti o persi. Solamente due ragazzi, un fratello e una sorella, che cercavano di riparare il loro rapporto. Perché questa era l'unica cosa a cui si poteva auspicare. Ormai Orlando la cazzata più enorme della sua vita l'aveva fatta, non c'era possibilità di tornare indietro. Bisognava solamente salvare il salvabile, Dominic non avrebbe potuto fare più di tanto, e nemmeno si voleva intromettere.

L'inglese intuì che la jeep si era fermata, come si erano spente le urla. Ora regnava solamente il silenzio. Solamente quando riaprì gli occhi, che aveva chiuso dalla stanchezza, realizzò che l'automezzo era proprio davanti a lui. I quattro giovani lo fissavano incuriositi, con dei sorrisetti ambigui dipinti sui volti. Orlando li fisso a sua volta, chiedendosi cosa mai volessero da lui.
-Posso aiutarvi?- esordì, asciugandosi con una manica una lacrima che aveva versato qualche secondo prima, incurante del far vedere questo gesto.
-Poverino… -piagnucolò sarcastico uno -…sta piangendo…dillo…dillo allo zio Tobia cosa ti turba…-.
Naturalmente Orlando non capì una sola parola, e nemmeno il tono beffardo con cui era stata pronunciata la frase.
-Mi dispiace…non parlo portoghese… -sorrise dolcemente, credendo si stessero preoccupando per lui -..sto bene, grazie…- si accompagnò con dei gesti mimici, intuendo che nemmeno loro parlassero la sua lingua.
Il giovane sistemato al volante accennò una risata, tirò su con il naso e spalancò bruscamente la portiera. Gli altri tre seguirono in silenzio i suoi movimenti, aspettando il momento, o il segnale, per agire. Il ragazzo, con una lentezza estenuante, compì il giro dell'intera jeep, infilandosi le mani in tasca con noncuranza e calciando qualche sassolino con i piedi.
-Allora…-parò infine, posto proprio davanti ad Orlando, ancora seduto, confuso -Cosa ci fa un bel giovincello come te solo soletto di notte? Ti ha mollato la ragazza? Forse il tuo amichetto là sotto ha deciso di andare in vacanza?-.
I tre, ancora in piedi sul veicolo, scoppiarono a ridere, mentre l'inglese lo guardava senza capire.
-E dimmi…- riprese a camminare in circolo, questa volta intrecciando le dita dietro la schiena e assumendo un'espressione concentrata -Lo sai, per caso, in che guai ti stai per cacciare?- cominciò a fischiettare un motivetto.
Orlando stava male, stava veramente male. L'alcool, che in lui raggiungeva l'apice del suo effetto solo un bel po' dopo essere stato bevuto, iniziò a creargli dei forti giramenti di testa, e una terribile nausea. Non voleva essere scortese, ma non aveva la minima voglia di comprendere cosa gli stessero dicendo o cosa stesse succedendo. Così si alzò e fece per andarsene.
-Scusatemi, ma io ora proprio…- non riuscì a terminare la frase, perché il ragazzo che poco prima gli stava parlando, gli si parò velocemente davanti, respingendolo con poca grazia a sedere sulla panchina.
-Oh, ma che cazzo…?- Orlando si risollevò di nuovo, venendo, però, nuovamente buttato bruscamente indietro.

Dominic dovette convenire di essersi perso, era stato uno stupido a non darsi dei punti di riferimento mentre avanzava alla cieca. Cosa ancora più grave del suo smarrimento, era il mancato avvistamento dell'amico. Non era certo che non avesse ascoltato il messaggio di Samantha, che lo avvertiva della morte della madre, così temeva potesse fare qualche insana cretinata. Conoscendolo non che ci fosse molto da temere, però quella situazione non era nemmeno lontanamente paragonabile a quelle che avevano precedentemente vissuto insieme. Averlo accanto gli avrebbe trasmetto più sicurezza e tranquillità, invece si sentiva invaso dall'inquietudine, e da una bruttissima sensazione di disagio. Si grattò la punta del naso, rigirandosi nervosamente uno dei vistosi anelli che portava sulle dita, guardandosi intorno.

-Stai buono, vecchio mio…- lo sconosciuto gli sorrise ipocrita.
Orlando era completamente disorientato, lo sconvolgeva non riuscire a capire cosa stesse succedendo. Il fatto d'essere ubriaco fradicio certo non lo stava aiutando.
-Senti… -respirò forte, tentando di ricordarsi le poche parole in portoghese che aveva sommariamente studiato su un dizionario, nei giorni in cui Dominic era stato ricoverato in ospedale- Io parlo solo inglese, non intendo quello che…-.
Il ragazzo scoppiò a ridere, seguito immediatamente dagli altri tre, che intanto erano scesi dalla jeep, brandendo nelle mani oggetti non bene identificati.
-Non credere che non me lo aspettassi… - l'estraneo si piegò fino a sfiorargli quasi la fronte con il proprio petto, parlando in perfetto accento nord americano- Ma così c'è meno gusto…-.
-C'è meno gusto per cosa?- sospirò Orlando, massaggiandosi la fronte. Cominciava ad essere veramente stufo, questi tizi si stavano prendendo troppa confidenza. Inoltre lo avevano preso in un momento poco prospettabile e non indicato per una tranquilla conversazione.
-Dimmi…ma sei realmente così rincoglionito oppure vuoi proprio congedarmi?- si fece serio il suo interlocutore.
L'inglese, stanco oltre ogni immaginazione, scocciato e nervoso, non aveva la minima voglia di proseguire il discorso, che sapeva tanto di provocazione. Ma non ebbe nemmeno il tempo di alzarsi per andarsene, che un violento schiaffo lo colpì sulla guancia destra. Istintivamente afferrò con forza il braccio del suo aggressore, guardandolo con rabbia e stringendo forte con le dita.
-Sei impazzito?- vociò fuori di testa.
Lo sconosciuto lo fissò prima negli occhi, quindi fece scivolare lo sguardo sul braccio che Orlando stava comprimendo.
-Mi sa che qui il pazzo sia proprio tu…- dette queste parole, qualcosa colpì la nuca dell'inglese, che lasciò la presa, barcollando qualche passo indietro, portandosi una mano sulla testa. Il colpo era stato prepotente, gli si era annebbiata la vista, mentre la mano destra tremava involontariamente.
Il ragazzo che lo aveva percosso con un manganello, si stava osservando impegnato le unghie, mentre con un piede seguiva il ritmo di una musica inesistente.
-Secondo me… -disse uno, portandosi vicino a quello che appariva, a tutti gli effetti, il capo della squadra- E' frustrato perché la sorella si è messa a fare la puttana prima che potesse fottersela per bene…-.
L'altro si grattò il mento, pensieroso, quindi pronunciò
-Secondo me è figlio unico, si vede che è viziato… -sorrise- A mio parere, è uno schifoso finocchio di merda…tu che ne dici?- si rivolse ad un ragazzo, che fino a quel momento era stato zitto, un po' in disparte. Quello allargò le braccia, facendo intendere che non aveva opinioni sulla questione.
-Sai… -riprese il leader, avvicinandosi ad Orlando, che era crollato di nuovo sulla panchina, ancora intento a massaggiarsi la nuca- Ti dobbiamo proprio ringraziare, è stata una notte un po' fiacca…grazie alla tua gentile apparizione avremo modo di rifarci, non è vero ragazzi?- alzò la voce, diretto ai suoi compagni. Questi si limitarono a sorridere complici, schioccando le nocche delle dita nel silenzio della notte, probabilmente per fare scena.

Quello che Dominic vide da lontano non lo rassicurò per niente: una jeep, probabilmente quella che l'aveva superato prima, era fermo in una piazza. I suoi occupanti erano scesi, disposti quasi a cerchio intorno a qualche cosa, che intuì essere una panchina. Non riuscì a scorgere se, su quella, vi fosse seduto qualcuno, ma era palese, altrimenti non avrebbero avuto motivo di porsi in quella maniera. Si nascose dietro un edificio, sbirciando nascosto dallo spigolo. Stavano parlando, ma non capiva cosa dicessero. Uno dei ragazzi sollevò una mano, colpendo la sua vittima in faccia. Questa si alzò furente afferrandolo per un braccio. Gli si fermò il respiro, quando realizzò che l'importunato era proprio l'amico. Ebbe l'istinto di lanciarsi in suo aiuto, ma si bloccò in tempo; non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione. Prese a mordicchiarsi nervosamente le unghie, era la prima volta che si trovava in una simile situazione, e non sapeva come comportarsi. Stupidamente non si erano informati su quale fosse il numero della polizia locale, pensando non ne avessero avuto bisogno. Quando Orlando venne colpito violentemente alla nuca, trattenne un grido: dalla prepotenza con cui era stato sferrato il colpo, si stupì del fatto che non fosse svenuto.

-Allora?- gridò ridendo uno degli aggressori- Avete intenzione di continuare questa piacevole conversazione o vogliamo arrivare al sodo?-.
Uno dei giovani fece il giro della jeep, trafficando nel cruscotto e prendendo da quello una bustina. Ne rovesciò cautamente il contenuto sul muso del veicolo, formando pressappoco una striscia bianca. Quindi si chinò, si chiuse una narice e aspirò forte. Ebbe qualche secondo di stordimento, in cui dovette appoggiarsi al cofano con le mani, respirando profondamente con gli occhi chiusi. Si mise un dito nella narice, armeggiando un poco, quindi proclamò
-Vi dispiace se comincio io?-
Il leader, si prostrò in un sarcastico inchino, facendogli spazio per avvicinarsi alla vittima del momento. Orlando aveva seguito la scena e l'ultimo scambio di battute, avvenuto in portoghese, trattenendo il respiro, senza nemmeno accorgersene. La luminaria, nella piazza, era molto diffusa, così non ebbe particolari difficoltà a leggere l'espressione completamente esaltata, dalla crudeltà e dalla droga, del suo aggressore. Questo lo afferrò per una caviglia, strattonandolo violentemente e facendolo scivolare sdraiato per terra. L'inglese, immediatamente, fece per alzarsi e reagire, ma fu spinto nuovamente sul terreno, da una pedata nello stomaco. Emise un gemito e si raggomitolò su se stesso, abbracciandosi lo stomaco con le braccia, e stringendo i denti allo scopo di soffocare il dolore. L'aggressore sorrise soddisfatto. Lanciò un'eloquente occhiata ad un compagno, facendogli capire che poteva accomodarsi. Un altro ragazzo si mise allora al suo posto, osservando Orlando dall'alto, con espressione schifata.
-Mi piace la tua camicia!- proferì. Si abbassò, facendolo voltare supino. Gli strappò i bottoni uno per uno, fino a mostrare il suo petto al cielo.
-Oh…- si portò una mano alla bocca, sarcasticamente dispiaciuto- Cosa ho fatto! Mi dispiace…scommetto che l'avevi pagata tanti soldi…aspetta dai, ti do una mano…- allungò un braccio, facendogli segno di aggrapparsi a lui, per rialzarsi. Orlando, che non vedeva altra alternativa, gli afferrò il polso, facendosi sollevare per forza di inerzia. Quando fu in piedi, però, la gentilezza dell'estraneo scomparve all'improvviso. Gli lacerò la camicia con poche mosse, facendo poi cadere i brandelli a terra, emulando una nevicata.
-Ops…scusami di nuovo…ho idea che tua madre dovrà darsi molto da fare per rammendartela, questa volta…-.
-A meno che…- rise un altro- Non sarà troppo impegnata a farsi sfottere dal figlio!-.
L'inglese era ancora abbastanza lucido per capire questo corto scambio di battute. Purtroppo l'alcool, l'agitazione, la stanchezza e lo sbigottimento non gli permettevano di coordinare i suoi pensieri e le sue azioni.
-Questo non lo dovevi dire… -strinse i pungi-…lurida testa di cazzo…- si scagliò conto il ragazzo che aveva pronunciato le ultime parole, venendo però facilmente bloccato da una altro, che lo fermò colpendolo una seconda volta alla testa con un manganello. Orlando crollò a terra senza sostegno, storcendosi un braccio e sbattendo con violenza il setto nasale, che cominciò a sanguinare copiosamente. Non ebbe nemmeno il tempo di realizzare il dolore, che un'ulteriore pedata lo trafisse allo stomaco, provocandogli un prepotente conato di vomito, che non si preoccupò di trattenere. Boccheggiato qualche istante, lasciò che la sua bile gli colasse dalla bocca. Questa reazione sembrò provocare l'ilarità dei giovani, che ne sembrarono addirittura incoraggiati.

Dominic si stava torturando le unghie, al punto da giungere a mordere la carne. Stava piangendo, anche se non se n'accorgeva. Era talmente agitato che non riusciva a muoversi, avrebbe voluto correre immediatamente in soccorso dell'amico, ma non ci riusciva. Stava lì, come un ebete vigliacco, a guardare la scena, al culmine dell'apprensione. Non gli venne nemmeno in mente di prendere il cellulare, telefonare a qualcuno perché s'informasse in fretta del numero che avrebbe dovuto chiamare.

-Dai! - allargò le braccia scocciato uno- Sei patetico! Non ci si può divertire con te! Su alzati!- afferrò Orlando sotto le ascelle, sollevandolo. Lui era ancora cosciente, anche se aveva gli occhi socchiusi e ciondolava debolmente la testa.

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Canterbury

-Non ci pensare nemmeno, Samantha! Ora smettila, rimetti le cose al loro posto!-.
La ragazza nemmeno lo ascoltò, continuando imperterrita a riempire la sua sacca, stipando vestiti e altri oggetti alla rinfusa, pigiando per riuscire a fare altro spazio.
-Porca troia! Ma sei per caso impazzita del tutto? Sarà ben capace di badare a se stesso!-.
-No!- si bloccò lei, avvicinandosi furiosa al suo fidanzato- No che non lo è, William! Se lo fosse non ci sarebbe bisogno di questo- indicò la sua valigia- Vorrei che lo capissi! E vorrei anche che capissi che, tra perdere lui o perdere te, non avrei dubbi sulla mia scelta! Tu mi stai facendo uno stupido ricatto, e io non ci sto. Questa è la mia vita, non la tua!-.
-Ma io faccio parte della tua vita!- sbraitò il ragazzo, afferrandola per le braccia, scuotendola.
-Non lo so, non lo so più…- il suo tono si fece più mormorato- Io non pretendevo che mi capissi, questo no, sarebbe stato troppo…però speravo che mi avresti sostenuto…-.
-E' quello che sto facendo, Samantha! Ma non posso farlo nel modo che vuoi tu!-.
-Eppure credo- alzò di nuovo la voce lei- Che qui tu non mi stia assecondando in niente! Non è dei tuoi baci che ho bisogno adesso, mi danno fastidio le tue carezze! Riesci a capirlo? Mi fanno male, non le voglio!-.
-Allora dovrei assecondarti in tutto e per tutto? Andare dietro alle tue follie e alle tue crisi?- urlò.
Lei lo fissò diritto nelle palle degli occhi, mormorando, prima di rigirarsi verso la sua sacca
-Sì…era proprio questo quello di cui avevo bisogno…-.
William si mise le mani tra i capelli, sospirando varie volte; non riusciva a capire proprio niente, come tutti del resto. Quella ragazza era decisamente strana, ed era anche per questo che se n'era innamorato, però ora il suo comportamento stava rasentando la follia. Era anche vero che non poteva, o meglio, non riusciva, ad entrare nella sua mente, a scoprire quali pensieri l'attraversassero la notte. Erano giorni che non facevano l'amore, e questo poteva facilmente superarlo, anche se era stato sin dall'inizio palese che, colonna portante della loro storia d'amore, era il coinvolgimento fisico. Però le sue follie avevano cominciato a degenerare, l'aveva persino trovata la notte, in quella che era la camera della madre, seduta la bordo del letto, che rideva e scherzava, come se la donna si fosse trovata sdraiata di fronte a lei. Non mangiava praticamente niente, se guardava la televisione le veniva una crisi isterica, aveva smesso di frequentare le lezioni e di coccolare la sua gatta. Non si faceva una doccia da giorni, ormai, e lui non aveva avuto il coraggio di dirle che il suo odore era diventato molto sgradevole. Non rispondeva alle telefonate delle amiche, si pettinava i capelli con un'assiduità paranoica, la notte dormiva poco o niente, mentre il giorno lo passava seduta sul divano a fissarsi le unghie dei piedi. Erano passati solamente cinque giorni dalla morte della madre, eppure sembrava trascorsa un'eternità. William si era praticamente trasferito a casa di Samantha, sopportando parenti ipocriti e visite d'amici che simulavano dispiacere, solo per non fare la figura degli insensibili.
(Mi dispiace per tutte le fans d'Orlando, che sicuramente saranno più informate di me. Mi è stato fatto presente che la ragazza non ha diciotto anni, ma molti di più, però ormai la frittata l'ho fatta, quindi, per favore, consideratela una licenza letteraria…nda).

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Zaire - Kamina

Mentre uno lo teneva sollevato, passandogli gli avambracci sotto le ascelle, un altro prese la mira, sferrandogli un potente pungo, che lo colpì direttamente in bocca. Il dolore si propagò attraverso tutti i nervi, giungendogli come una scarica elettrica al cervello. Tentò senza troppo zelo a divincolarsi, ma la presa era troppo forte, e lui era troppo spossato. D'istinto alzò una gamba, calciando nel vuoto. A questa sua mossa tutti risero, canzonandolo con parole poco gentili.
-Ehi voi!- una voce dall'alto- Lasciate subito quel povero ragazzo!- una donna si era affacciata alla finestra.
-Oh, buon giorno signora! Ben svegliata!- fece uno salutandola con una mano- Vuole che venga a farle visita? Oltre alle gambe le allargherò anche la mente!- simulò lo sparo di una pistola con due dita.
-Guardate che chiamo la polizia!- continuò lei, senza però dare segni di volersi muovere dalla sua postazione.
I tre ragazzi guardarono il leader, che sorrise cinicamente. Questo si spostò, portandosi al posto di guida, allungando un braccio e armeggiando nel cruscotto. N'estrasse un portafogli, quindi s'incamminò fino ad arrivare sotto la finestra della donna.
-Sarò felice di venire in suo soccorso!- urlò mostrandole per bene un distintivo- Può chiamarmi commissario, se vuole, anche se non bado molto al formalismo!-.
Lei fece un'espressione alquanto schifata, sembrò indecisa qualche istante, poi sparì all'interno, chiudendo velocemente vetri ed imposte. Il ragazzo scoppiò a ridere, ritornando dai suoi compagni.

Dominic, sebbene non avesse potuto vedere cosa avesse mostrato, non fece fatica a capire. Effettivamente non c'era niente di strano, la polizia, in quel paese, ma pensò poi che non c'era molta differenza tra stato e stato, era forse la parte più coinvolta in certe faccende. Non si preoccupò, in ogni modo, d'indagare se quello che il giovane avesse dato ad intendere corrispondesse alla realtà o meno. Doveva immediatamente fare qualcosa per tirare Orlando fuori dei pasticci, altrimenti sarebbe finita male, molto male.
Fortunatamente, si fa per dire, alla fine la faccenda terminò abbastanza "bene". I quattro si limitarono a qualche calcio e pungo, poi lo spogliarono completamente. Forse perché non era nero, forse perché, dalla faccia, appariva vagamente "uno di loro", forse perché…di motivi ce ne sarebbero stati molti, fatto sta che dopo averlo picchiato, spogliato completamente, derubato ed umiliato se ne andarono, tranquillamente, come se no ci sarebbero state conseguenze alla loro deplorevole azione. Appena la jeep fu abbastanza lontana, Dominic prese a correre, più veloce che riusciva, verso l'amico, che stava disteso, nudo a terra, lamentandosi.
-Cazzo Orlando!- non sapeva dove mettere le mani. Si accorse, con enorme sollievo, che il sangue sopra il suo corpo, derivava solo ed unicamente dal naso e da una ferita alla bocca, niente che non potesse essere facilmente curato. Lo aiutò ad alzarsi. Appena fu eretto, l'inglese si portò le mani sopra le parti intime, spudoratamente abbandonate al vento fresco della notte.
-Come stai?- fu l'unica cosa che Dominic riuscì a dire.
L'amico non rispose, limitandosi ad annuire con la testa.
-E' meglio se andiamo subito all'ospedale! Vieni, forza! Aspetta che suono ad una porta!- fece per farlo accomodare su una panchina.
-No! Aspetta…- Orlando, con le forze che gli rimanevano lo bloccò per un braccio. Il tedesco obbedì, sedendosi accanto a lui.
-Sto bene- biascicò- Veramente sto bene…-
-Non devi fare l'orgoglioso!- disse secco, sfilandosi la camicia nera e legandogliela sommariamente alla vita, per cercare di togliere, almeno in parte, l'imbarazzo che lo stava ricoprendo.
-Sei sicuro?- chiese. Sarebbe stato molto meglio non andare all'ospedale, per evitare questioni burocratiche e domande a cui, per paura di una vendetta, non avrebbero risposto. Certo, era un comportamento da codardi, purtroppo era la verità. In fondo tutti sapevano come andavano le cose, e nessuno faceva niente.

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Canterbury - Londra

-E allora fai quel cazzo che vuoi!- William sbatté con violenza la porta. Samantha lo sentì scendere velocemente le scale, quindi uscire dalla casa. Corse alla finestra, si affacciò e lo vide incamminarsi verso la sua macchina.
-Sei un enorme stronzo!- gli gridò dietro, facendo alzare lo sguardo dei passanti verso di lei.
-Io sono stronzo!- urlò di rimando il ragazzo, con la portiera già aperta- Ma tu sei pazza! Io ti amo! Però tu sei pazza! Non posso sopportare oltre questa situazione, sono stato comprensivo e tutto quello che vuoi, però ora basta!- entrò, accendendo il motore e partendo.
-Coglione!- sbraitò Samantha, sebbene sapesse che non avrebbe potuto sentirla, rientrando in casa. Chiuse la sacca, ma la cerniera s'incastrò, così, nel tentativo di liberarla, rese la borsa inutilizzabile, e dovette stipare il tutto in un'altra.
Amava William, lo amava più della sua stessa vita, sarebbe stata pronta a dare tutto per lui; tutto tranne una cosa: l'amicizia che, da sempre, vigeva tra lei ed Orlando. Sarebbe stata disposta a perderlo in un modo così assurdo, pur di salvare l'amore che la univa al fratello, unica cosa che, in quel momento, sembrava dare un significato alla sua vita. Il problema era che, ancora prima della morte della madre, lei stava male; andava dallo psichiatra, di nascosto da tutti, che le aveva prescritto dei farmaci antidepressivi, ma che lei non aveva mai preso, sottovalutando la sua situazione. Non sapeva com'era scaturito il tutto, fatto era che ci si trovava immersa fino al collo. Era eccezionale a non darlo a vedere, però, da piccoli gesti quotidiani, in molti lo avevano capito. In molti, ma non Orlando. Per lei era normale stendersi la sera e pensare ai vari modi di suicidarsi; non che avesse intenzione di farlo, o almeno così si dice, però le piaceva immaginare. Così la morte di Sam(si chiama così? Scusate la mia ignoranza…ma mi sono mai particolarmente informata riguardo alla sua vita privata. Nda) non era stata che l'apice del suo malessere, una scusa per buttarlo finalmente fuori.
La macchina le era stata regalata da Orlando per il suo diciottesimo compleanno, regalo che lei aveva apprezzato molto, ma a cui avrebbe molto volentieri rinunciato pur di poter stare con lui qualche giorno in più. Si era fermato solamente una settimana, a causa di quello che aveva chiamata "un inderogabile impegno di lavoro", ma che a lei sapeva tanto di frivolezza. Non sarebbe stata la prima volta che scopriva una sua menzogna, una sua fuga prematura da casa con una scusa ben congetturata, ma che nascondeva la voglia di mondanità. Non lo biasimava, in fondo, altre volte, aveva realmente rinunciato a buone occasioni o impegni lavorativi pur di stare con la sua famiglia, ma preferiva che le dicesse sempre e comunque la verità; lui non riusciva a capire che non se la sarebbe presa, si sarebbe sforzata di comprenderlo, ed era sicura di poterlo fare. Ma sembrava quasi che Orlando si sentisse in colpa per il genere di vita che conduceva, mandava spesso regali, frivoli e molto costosi, a casa, come per farsi perdonare. Non aveva afferrato che non aveva proprio niente da farsi condonare, se non, ogni tanto, la sua irrimediabile stupidità.
Ormai conosceva l'aeroporto di Londra quasi a memoria, da tutte le volte che c'era stata. Non ebbe difficoltà a trovare il suo volo, mentre il biglietto lo aveva già prenotato. Era stato abbastanza difficile, e l'essere la sorella d'Orlando Bloom, questa volta, non l'aveva minimamente aiutata. Per poter andare dove doveva andare lei c'era un'assurda burocrazia, della quale non si poteva saltare nemmeno un passaggio, perché altrimenti si rischiava, una volta arrivati a destinazione, d'essere rispediti a casa.
Si sedette ad aspettare paziente, accavallando le gambe, maledicendo quel cartello che negava la possibilità di fumare. Avrebbe dovuto attendere due ore, escludendo eventuali ritardi. Si stava nervosamente mangiucchiando le unghie, quando notò, alla fila d'un botteghino, una figura familiare. Si alzò confusa, afferrando la sua borsa e avviandosi verso quella persona.
-William?- pronunciò esterrefatta, trovandosi di fronte il suo ragazzo. Lui le sorrise, baciandole di sfuggita una guancia.
-Cosa diavolo ci fai qui?- continuava a non capire.
-Credevi davvero che ti avrei fatto partire da sola, sciocchina?-.
Samantha non sapeva se essere entusiasta di questa cosa, che sapeva a tutti gli effetti, di una prova d'amore, oppure esserne infastidita.
-Dubito molto che troverai un biglietto!- disse, mista tra il dispiacere e la delusione.
-Avere un nonno che ha fatto il pilota per trent'anni servirà pure a qualche cosa, no? Un posto per il caro William, figlio del vecchio Rush si trova sempre!- sorrise furbetto. Lei annuì, non ancora convinta, ma dovette ricredersi quando il ragazzo tornò, sventolandole davanti agli occhi un biglietto aereo.
-Siamo in scompartimenti diversi, credo…ma non si può volere tutto dalla vita, sei d'accordo?-.
Lei non riuscì a trattenere la gioia che l'aveva invasa, gli lanciò le braccia al collo, sussurrandogli un grazie
-Guarda che mica ti sto facendo un favore!- rise lui- Non mi fido di te in mezzo a tutti quei bellimbusti abbronzati che gironzolano a torso nudo per l'Africa!-.

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Zaire - Kamina

Dominic era alquanto disorientato, inoltre Orlando, completamente appoggiato alle sue spalle, cominciava a pesargli. Fortunatamente non si rivelò troppo difficile ritrovare la strada corretta, che li condusse direttamente alla locanda. Il proprietario non era presente alla reception, cosa per la quale il tedesco ringraziò i suoi santi protettori, così, salendo a gran fatica le scale, riuscirono ad arrivare nella loro stanza. Appena fatto stendere l'amico sul letto, Dominic si premurò di dargli dei vestiti, e di aiutarlo a metterli. Poi prese la valigetta dei medicinali e gli pulì il sangue, ormai incrostato, disinfettandogli la gengiva. Non aveva denti rotti,e, da quello che se ne intendeva, anche il setto nasale era sano. Sommariamente se l'era cavata abbastanza bene, escludendo l'umiliazione.
-Che male allo stomaco…- si lamentò Orlando, rigirandosi nel letto.
-Vuoi che ti faccia un massaggio?- domandò l'altro, non sapendo che altro dirgli.
-Ma per carità! Meglio la morte!- scherzò.
-Bene, noto con piacere che la tua affettuosità nei miei confronti non è diminuita!- ridacchiò Dominic, ormai convinto che l'amico non era in gravi condizioni.
Non parlarono molto, dopo qualche minuto Orlando s'addormentò, ancora in balia degli effluvi dell'alcool. Il tedesco si portò alla finestra, osservando il sole che, lentamente, cominciava ad illuminare le strade. Un po' di gente aveva già affollato la strada sottostante, segno che le cose erano tornate al loro posto. Per ora, per loro, per quest'anno; ma anche questa volta, com'era successo alla cava, e altre varie volte, durante il loro viaggio, l'impotenza dominava sovrana.
Era iniziato tutto così bene, poi le cose avevano cominciato a degenerare, nei piccoli fatti sino ad arrivare a questo. Non vedeva l'ora che giungesse Samantha, per poter tornare a casa. A questo pensiero gli venne in mente di chiamarla, per sapere dove si trovasse e verso che ora sarebbe giunta. Inoltre doveva andarla a prendere all'aeroporto; per fortuna non ci sarebbe stato bisogno di scuse con Orlando, sicuro che, quando sveglio, non sarebbe stato nelle condizioni migliori per ripartire. Era convinto che, non appena avesse visto la sorella, tutti i suoi dubbi e le sue paure sarebbero scomparsi nel nulla, convincendolo a smettere di fare l'idiota, e riprendere ad essere il solito, caro, dolce e avventato ragazzo di Canterbury. In quei giorni non lo riconosceva più, e non gli piaceva la persona che sembrava essere diventato; non sarebbe piaciuta a nessuno.
Purtroppo Samantha era irraggiungibile, probabilmente era già salita sull'aereo, o comunque stava per farlo. Questo tranquillizzò un po' il ragazzo, che si sedette sull'unica sedia della stanza, che mandava un nauseabondo odore di lerciume. Era stufo marcio, di tutto; e non solamente del viaggio e di tutto quello che comportava, ma quei momenti lo faceva riflettere, su tantissime cose. Politica, religione, movimenti sociali, vita familiare…erano argomenti a lui non nuovi, ma a cui aveva mai prestato particolare attenzione. Quel poco che aveva visto era bastato, bastato a fargli capire che c'era molto, forse troppo, da cambiare. Lui lottava per avere la parte in un film o le grazie di un giornalista, mentre c'era gente che lottava per vivere, per mangiare, per sopravvivere e mantenere un minimo di dignità umana. E non solamente dall'altra parte del "suo"mondo, ma anche sotto casa sua.
Si ricordò di una cosa che aveva comprato il primo giorno che erano giunti in Africa, all'aeroporto di Mosselbaai: le sigarette. Mai come in quel momento sentiva il bisogno di fumarsene una, e così fece. Erano ormai mesi che non accendeva una bionda, così tossì al primo tiro, poi, lentamente, cominciò ad abituarsi. Mentre si godeva il sapore della fumosa, osservava il soffitto, contando le innumerevoli incrostazioni che lo disseminavano, completamente perso nel piacere che quella Philip Morris gli stava regalando, boccata dopo boccata.

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Cielo europeo

-Le porto qualche cosa?- Samantha fece un cenno negativo all'hostess, ritornando a guardare fuori del finestrino. Le nuvole sotto di lei le impedivano di osservare il paesaggio, così chiuse gli occhi, nella speranza d'addormentarsi. Il volo fino a Barcellona sarebbe stato abbastanza lungo, ma mai quanto quello che le si prospettava dopo. Contava di raggiungere Kamina in meno di un giorno, e, se gli orari fossero stati rispettati, ce l'avrebbe fatta. Era tardo pomeriggio, e avrebbe dovuto sbarcare la sera successiva in Zaire, dove, all'aeroporto, Dominic l'attendeva.


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Capitolo 15
*** Zaire - Kamina - day 27 ***


Nota: anche se forse non lo saprà mai, volevo chiedere scusa ad Orlando Bloom, per la brutta figura che gli farò fare in questo capitolo. Credo, e spero, che non sia la persona che ho descritto, e che nemmeno abbia mai detto certe cose. Questo è il penultimo capitolo.

Zaire - Kamina - day 27

Ormai era primo pomeriggio quando Orlando aprì gli occhi, massaggiandosi la fronte, sbadigliando.
-Dormito bene?- gli sorrise Dominic, seduto poco lontano, mangiando un panino.
-Ho fatto sogni migliori…- biascicò, smettendo per un attimo di recitare la sua, ormai patetica, commedia. Si alzò, non senza fatica, lo stomaco gli doleva ancora, dirigendosi verso una borsa. Vi frugò all'interno, estraendo uno specchietto e si osservò con occhio critico.
-Non hai perso il tuo charme, amico mio, stai tranquillo, è ancora tutto al suo posto!- rise il tedesco, addentando avido un pezzo di tramezzino al formaggio. Orlando sembrò non badare alla battuta, cercò il cellulare, lo accese e se lo portò all'orecchio.
-Chi chiami?- domandò Dominic, aprendo una lattina d'aranciata.
-Kate…- mormorò facendogli segno, con un dito, di tacere.
-Non risponde!- sbuffò dopo aver tentato di contattarla varie volte.
Quello che successivamente i due amici si dissero, non è degno d'essere riportato su queste pagine, non contenendo alcun tipo d'utilità. Il discorso, volutamente, evitava di cadere su quello che era successo la notte appena trascorsa, o sui fatti precedenti, vertendo unicamente intorno a banalità e frasi di circostanza. Dominic si sentì un po' in colpa per questo, perché aveva inizialmente avuto l'intenzione di fare una conversazione seria con l'amico, per mettere in chiaro determinate questioni e delucidarne altre. Purtroppo non riuscì nell'intento, così i suoi pensieri rimasero solo ed unicamente dentro di lui.
Il tedesco guardò di sfuggita l'orologio, doveva ancora passare un'intera giornata prima dell'arrivo di Samantha. Attendeva quel momento con crescente agitazione, sapendo che da quello dipendevano molte cose.
Orlando si rimise nel letto, chiudendo gli occhi nel tentativo di riaddormentarsi. Dominic decise di lasciarlo solo, per permettergli di riposarsi in pace. Uscì così, prendendo le chiavi di Sandrina e montandoci in sella. Probabilmente sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe potuto sentire le sue vibrazioni sulle cosce, e questo lo rattristava molto, perché, a discapito delle sue perplessità iniziali, si era rivelata un'eccezionale compagna di viaggio. Fece qualche giro in centro, ma l'affluenza di persone era troppa per permettere al motore di ruggire liberamente, si diresse allora verso la periferia, che consisteva in distese di campi coltivati. Mentre guidava lasciava vagare i suoi pensieri liberamente, purtroppo questa non si rivelò una buona idea, perché non si accorse d'essere su una strada a doppio senso. Sentì appena in tempo il suono prolungato di un clacson, si risvegliò dalle sue meditazioni e sterzò di colpo. Lui cadde di culo a terra, mentre la moto, accesa, scivolo per vari metri. Il conducente del camioncino scese immediatamente, correndo in suo soccorso.
-Tutto bene?- lo aiutò ad alzarsi. Dominic, tralasciando l'enorme spavento appena ricevuto, stava in salute, si era solamente sbucciato un gomito e strappato i pantaloni. Corse da Sandrina, le cui ruote stavano ancora girando a vuoto, nell'aria. Spense il motore, tentando di sollevarla, aiutato dall'uomo. La facciata sinistra era interamente rigata e raschiata, ma nel complesso non sembravano esserci danni apparenti. Salutato il gentile conducente, compì qualche giro di prova, constatando che funzionava ancora a meraviglia. Sospirò, felice d'essersela cavata a buon mercato, ma preoccupato per la reazione d'Orlando. L'amico era molto legato a Sandrina, aveva passato ore intere a raccontargli le sue avventure con lei, da adolescente, le ragazze che riusciva a rimorchiare e le multe che aveva preso grazie alla sua guida poco professionale. Sarebbe stato un duro colpo riportargliela in quelle condizioni, e per farla tornare come nuova avrebbe dovuto spendere un bel po' di milioni. Dominic decise di pagare lui le riparazioni, era un gesto simbolico, dato che entrambi non avevano particolari problemi finanziari, ma era il minimo che potesse fare per scusarsi della sua enorme idiozia.
Tornato alla locanda, trovò Orlando sveglio, che tentava di pulirsi il volto con delle salviettine rinfrescanti alla camomilla. Lo salutò con un gesto della testa, prendendo il cellulare, uscendo nuovamente e chiudendosi nel bagno. Riprovò a contattare Samantha, inutilmente.
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Barcellona

William le porse un cartoccio di caffè freddo, che lei afferrò, ringraziandolo distrattamente.
-Agitata?- le domandò scrollando la mano che si era appena scottato con la sigaretta.
-Non più del dovuto…- ostentò indifferenza lei, ma l'espressione tirata sul volto e un tic nervoso all'occhio la tradivano. Il ragazzo decise che era meglio darle corda, così le si accomodò vicino, soffiandosi il naso.
-Non sarebbe meglio che lo avverti del tuo arrivo?- s'informò però dopo un poco, alludendo al fatto che la giovane avesse preso quella decisione troppo avventatamente.
-Lo conosco -sospirò- Sarebbe capace di non farsi trovare. -.
-Ma c'è quel suo amico con lui, no?-.
-Tu non hai idea delle capacità di persuasione d'Orlando quando vuole ottenere qualche cosa…- sorrise al pensiero.
-Almeno potresti accendere il cellulare! Sei sparita così in fretta, senza avvertire, che qualcuno potrebbe preoccuparsi… -.
-Sopravviveranno…- mormorò piegandosi in avanti, perdendo lo sguardo nel vuoto, con le dita intrecciate tra loro.
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Zaire - Kamina - day 27

-Pensi che possiamo ripartire domani mattina? Preferirei non viaggiare più di notte, per un po' di tempo almeno…- domandò l'inglese appena l'amico fu rientrato. Dominic non riuscì a credere alle sue orecchie, si era raggiunto veramente il limite della follia.
-Dimmi, Orlando, cosa cazzo ti è successo per fonderti il cervello fino a questo punto?- basta, si era veramente giunti al limite. O poneva fine a questa pazzia oppure sarebbe andato fuori di testa lui. L'inglese lo squadrò leggermente confuso, in fondo non aveva detto niente di male, semplicemente un suo pensiero.
-Io credo che il cervello te lo sia fuso tu, invece, porca troia!- la rabbia gli montò dentro, ora si stava veramente esagerando- Dimmi, quando mai imparerai a farti i cazzi tuoi? E' da quando siamo partiti che ti impicci delle mie faccende, ma non capisci che invece che aiutarmi mi stai solo rompendo i coglioni?-.
Se Orlando avesse preso un coltello e lo avesse rigirato nello stomaco dell'amico, probabilmente, gli avrebbe procurato meno male. Dominic rimase immobile, con le braccia abbandonate lungo i fianchi e lo sguardo perso. Il compagno era sconvolto, triste, depresso, purtroppo, però, non riuscì a trovare una valida giustificazione per quello che aveva appena detto. Se la sua intenzione era quella di rompere la loro amicizia, c'era riuscito perfettamente, perché il tedesco non riuscì ad immaginare un futuro tra loro due, dopo quelle parole.
Silenziosamente afferrò le sue valige, mentre Orlando lo osservava, senza fare niente per scusarsi o fermarlo; ma in fondo sapeva che non c'era proprio niente da fare.
-Hai ragione- gli disse infine serio, poggiandogli una mano sulla spalla- Sono stato uno stupido, a credere certe cose. Non ti romperò più i coglioni o, per meglio dire, non me li stresserò più io, visto che grazie alle tue stronzate non ho fatto altro negli ultimi tempi. Ti auguro tutto il bene, amico!- detto questo uscì, trascinandosi le sacche a fatica dietro. Arrivato sulla strada, lanciò un'occhiata a Sandrina, sorridendo e sospirando, come in un estremo saluto. Alzò lo sguardo verso il sole, socchiudendo gli occhi. Forse era giusto così, tanto alla fine faceva del male solo a se stesso, Orlando se la sarebbe cavata, ma, in fondo, non che gliene importasse più molto. Per la prima volta gli sembrava di avere tutto chiaro nella testa. Meno di un mese di viaggio e aveva pensato come mai aveva fatto in tutta la sua vita; certo era che i suoi risultati gli aveva ottenuti. In quel caso non c'entrava l'impotenza, solo la disconoscenza e la stupidità, il vedere cose dove non esistono. Fa male, tremendamente male, ma si sopravvive. Orlando non era la vittima, solamente in quel momento riusciva a capirlo chiaramente, si stava comportando in una maniera inqualificabile, nonostante tutti stessero cercando di aiutarlo, senza che lui desse segno di voler afferrare una di quelle mani.
Sorrise ripensando a quanto era stato idiota a ritenere di poterlo aiutare, o, più precisamente, di volerlo aiutare. Quella era la fine, la fine della loro amicizia, ma il proseguimento della sua vita. Soffrire bisogna, basta prendere le cose con filosofia, doveva riuscire a considerarlo un semplice puntino sulla mappa della sua vita, forse una macchia di olio, che lo aveva ingannato, camuffandosi come un'oasi di ristoro.
Il fatto, in realtà, che più lo disturbava era il dover abbandonare quell'idea così meravigliosa, che lo aveva eccitato dal primo momento in cui gli era balenata in testa. Scrollò le spalle, incamminandosi.



-Ora basta!- William si voltò di scatto, fulminando con lo sguardo la donna seduta dietro di lui. Questa, da quando erano partiti, non aveva fatto altro che lamentarsi col marito, ad alta voce, su quanto si fossero alzati i prezzi delle cravatte, e su quanto avessero speso. La signora rimase interdetta da questa reazione poi,mestamente, abbassò gli occhi, prendendo un giornale e sfogliandolo. Il ragazzo sospirò sollevato, rimettendosi a sedere. Samntha, accanto, rideva sotto i baffi.
-Almeno sono riuscito a farti ridere!- sbuffò allargando sconsolato le braccia. La giovane si addormentò poco dopo, cosa che fece molto piacere a William, era la prima volta che chiudeva gli occhi ormai da giorni. Dormì per quasi tutta la durata del viaggio, svegliandosi solamente ogni tanto, per andare ai servizi. Era stata estreamente contenta che il suo ragazzo fosse riuscito ad accaparrarsi il posto accanto al suo, conducendo un elegante baratto. Lo aveva abbracciato, affondando il viso nella sua pancia che, da quando vivevano praticamente insieme, era cresciuta a dismisura, formando così due deliziose maniglie dell'amore.
-Samy…Samy tesoro apri gli occhi siamo quasi arrivati…- le sussurrò dolcemente in un orecchio, massaggiandole delicatamente la schiena. Lei si stiracchiò, da una parte irritata per aver dovuto interrompere quel sonno che la stava decisamente ritemprando. Mentre l'aereo scivolava sulla pista accese il cellulare, attendendo pazientemente che le arrivassero gli avvisi di chiamata. Probabilmente Dominic la stava già aspettando, non avrebbe avuto difficoltà a riconoscerlo, sebbene l'avesse visto dal vivo solamente pochissime volte. Mentre scendevano le scalette bianche, i due giovani si guardavano attorno, cercando di scorgere il ragazzo, anche se, presumibilmente, li stava attendendo all'interno dell'aeroporto. Ma nemmeno al chiuso riuscirono a riconoscerlo, così si sedettero al bar, decidendo di aspettare ancora qualche istante prima di chiamarlo, forse si era perso, o era semplicemente in ritardo. Finalmente, dopo quasi un'ora, videro un ragazzo dal volto noto che si guardava intorno spaesato, pieno di borse e con due grossi occhiali da sole calati dul naso. Samantha si alzò, andandogli incontro sventolando un braccio, fino a quando lui la notò, sorridendo.
-Ciao!- le disse cercando di mostrarsi tranquillo, stampandole due sonori baci sulle guance.
-Lui è William…- glielo presentò, e i due si strinsero la mano amichevolmente. Ora cosa avrebbe dovuto fare? Il suo programma, inizialmente, comprendeva l'accompagnarla da Orlando, lasciarli da soli tutto il tempo che necessitavano, quindi ritornare insieme. Se fosse stato necessario si sarebbe fermato qualche giorno a Canterbury, oppure sarebbe volato direttamente negli Stati Uniti. Purtroppo le cose avevano preso una piega diversa, csoì si ritrovò costretto ad improvvisare, perché l'ultima cosa che voleva era rivedere quella persona che, per tanti anni, forse troppi, aveva considerato un amico.
-Questo è l'indirizzo dell'albergo…- porse alla ragazza un biglietto da visita stropicciato- Se hai bisogno di qualche cosa hai il mio numero di cellulare, anche se penso proprio che lo terrò spento per un po'…-.
-Ma come? Non vieni con noi?- lo guardò un po' stralunata, senza riuscire a capire. Dominic sorrise scuotendo la testa, come per mostrare come il suo comportamento fosse perfettamente normale.
-Non credo abbia bisogno di me, adesso- si giustificò- E' meglio se ci vai tu da sola. Salutamelo tanto e dagli questo!- le porse un assegno abbastanza cospicuo- E' per coprire i danni che ho fatto alla sua moto, non glielo ho ancora detto, ma credo sia lo stesso se lo fai tu!-.
Samantha, anche se non sapeva il reale motivo di questa cosa, ne era abbastanza dispiaciuta. Avere Dominic accanto avrebbe significato non essere da sola; anche se con lei c'era William non era la stessa cosa, perché il tedesco era un grande amico del fratello, quindi avrebbe potuto essere d'aiuto. Ma, alla fine, non poté fare altro che rassegnarsi, salutandolo nuovamente, prima di dirigersi verso il luogo di sosta dei taxi.
Il ragazzo fece un biglietto per Barcellona, volo che sarebbe partito non troppo presto. Prese un paio di caffè d'asporto e si sedette sui gradini all'esterno dell'aeroporto, fumandosi una sigaretta dietro l'altra. L'aria era stagnante, ma probabilmente era lui che la sentiva così. Nonostante tutto, abbandonare quel posto lo faceva stare male, soprattutto perché significa dimostrare il proprio torto: non importava con quale giustificazione sarebbe tornato, rimaneva la questione che lo avrebbe fatto, venendo così meno al suo proposito, verso il quale si era mostrato così sicuro ed entusiasta. La colpa non era di Orlando anche se, sinceramente, una gran parte ce l'aveva pure lui. Ma nonera questo il problema. Dominic era una persona, poteva farcela anche da solo, oppure no?
Giocherellò qualche minuto con il cartoccio, ormai vuoto, del caffè, tormentandosi nei pensieri e nelle indecisioni. Lanciò un'occhiata dietro di se, verso l'entrata dell'aeroscalo, quindi davanti. Sorrise, dicendosi che forse era un enorme stupido, avventato, impulsivo e irriflessivo, ma, in fondo, perché no? Si alzò. Gettando l'involucro e dirigendosi a grandi passi in direzione opposta a quella che, fino a pochi istanti, prima, era la sua meta.



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Capitolo 16
*** Los Angeles, un anno dopo; premiere di Troy ***


Nota: è mai stato così triste, per me, dover terminare una storia. Mi ero affezionata molto al viaggio africano e ai vari personaggi che avrebbero potuto incontrare. Purtroppo sarebbe risultato troppo pesante e, anche, abbastanza improbabile, così, sin dall'inizio, mi sono ripromessa di far terminare il tutto abbastanza presto, cercando comunque di lascire qualche cosa ai due protagonisti.

Los Angeles, un anno dopo; premiere di "Troy"

-Grazie!- Orlando strinse l'ennesima mano, sorridendo ed annuendo con la testa. "Troy" si era rivelato un successo oltre le più rosee previsioni, fatto che aveva stupito, per primo, l'attore, convinto di non aver dato il massimo di se stesso. Invece era un continuo ricevere di complimenti che, all'apparenza, sembravano sinceri. Quella premiere si era rivelata anche un'occasione per rivedere vecchi amici che, per una scusa o per l'altra, non incontrava da più di un anno, ormai. Precisamente dal funerale di sua madre, a cui avevano partecipato numerose persone, che addirittura lui si era dimenticato di invitare. Stranamente quel giorno, che ormai sembrava lontanissimo, Dominic non si era presentato. Inizialmente aveva pensato che fosse adirato con lui, e gli dava tutte le ragioni del mondo, così non se ne era particolarmente preoccupato. Questo successe, invece, quando per i mesi successivi ogni tentativo di rintracciarlo si era rivelato inutile. Era addirittura arrivato a telefonare alla sua famiglia, ma, anche li, non aveva ricevuto indizi importanti; sembrava, in ogni modo, che i suoi genitori avessero remore a rivelargli qualsiasi informazione riguardo al figlio. Con il passare dei mesi, il bisogno di sentirlo, e di scusarsi, si era notevolmente attenuato, fino quasi a scomparire del tutto. Era stato un anno duro e pieno di impegni, che lo avevano portato a compiere delle importanti svolte nella sua vita, dal trasferirsi definitivamente negli Stati Uniti al portare sua sorella con se, dove aveva ripetuto l'ultimo anno di liceo. Ora si era presa un anno di pausa, viziata e coccolata dal fratello o, per meglio dire, dai suoi soldi. Contava di iscriversi presto al college, ma solo ed esclusivamente dopo essersi riposata e aver messo chiarezza nelle sue idee. Non che Orlando non pensasse a Dominic, ma si era convinto del fatto che, l'amico, avesse deciso di chiudere definitivamente ogni contatto con lui e, forse, anche con il suo lavoro. Si era rassegnato, non senza una punta di rammarico e malinconia.
-Complimenti!- un'altra voce rivolta a lui, l'ennesimo elogio alla sua performance. Si premurò di ringraziare anche quella volta, mente cercava con lo sguardo Kate, che aveva perso nella folla. Appena la scorse, poco lontano, sollevò un braccio sorridendo, nel tentativo di richiamarla. Lei lo notò, e, con un cenno della testa, gli fece cenno di aspettare. Sbuffando Orlando ritornò verso il buffet, osservando poco convinto la sfilata di tartine.
-Se posso consigliarle…- s'inchinò un cameriere, porgendogli un vassoio. Titubante il ragazzo strinse un salatino tra le dita, indeciso se mangiarlo o meno; in fondo aveva impegnato molto tempo a riprendere la linea, dopo essersi gonfiato a varie feste e cerimonie. Alla fine cedette al fascino della pietanza. Kate, finalmente, lo avvicinò, sorseggiando soddisfatta un bicchiere di spumante.
-Concluso qualche cosa?- domandò lui, notando il sorrisetto che le incurvava le labbra.
-Ne dubitavi, forse?- sussurrò maliziosa, sfiorandogli la bocca con un dito.
-Non dubito mai di te…- disse prima di stringerla tra le sue braccia e stamparle un sonoro bacio sul collo. Trascorsero numerose prima che, finalmente, la proiezione del film ebbe inizio. Il silenzio in sala era totale, e Orlando ebbe i brividi: nonostante la maggior parte delle persone presenti avessero già visto il film, si sentiva ad ogni "prima" come ad un esame. Per fortuna Kate, seduta accanto a lui, gli strinse la mano, gesto che lo rassicurò alquanto.
Appena la pellicola terminò, l'intera platea si alzò, e un assordante scrosciare di mani investì la sala. Petersen aveva quasi le lacrime agli occhi, Brad e Erik stringevano mani a destra e a manca; invece Orlando continuava imperterrito a stampare baci ovunque, senza evitare, un po' volutamente, le belle ragazze.
Elijah, facendosi largo tra la folla, lo raggiunse, abbracciandolo fortissimo.
-E bravo il nostri inglese…- mormorò.
-Grazie, veramente, detto da te è un onore!- gli occhi di Orlando brillavano d'entusiasmo; sia per il successo appena ricevuto sia per aver rivisto l'amico. Dopo le solite pacche sulle spalle, insulti bonari e felici auspici ognuno ritornò al proprio posto: era il momento dei ringraziamenti. Il primo a salire sul palco e a posizionarsi dietro il microfono fu, naturalmente, il regista. Si prolissò in complimenti non solo verso gli attori, ma rivolti a tutta la troupe, elencando l'innumerevole numero di persone che avevano partecipato alla realizzazione dell'opera cinematografica. Quando fu il turno di Orlando, questo si sentì i palmi impregnarsi di sudore, e pregò con tutto se stesso di trovare le parole giuste, una volta salito sul palco. Si schiarì la voce, e questo suono, attraverso il microfono, si propagò attraverso tutta la sala; qualche risata soffocata non fece altro che aumentare in lui l'agitazione.
-Bè…- esordì infine, grattandosi la nuca- Ero agitato, perché mi domandavo se sarei stato capace di dire le cose giuste, nel modo giusto e nella giusta intonazione. Ma mi accorgo solo ora che non ci sarebbero le parole adatte a descrivere quello che provo, per ringraziare tutti voi qui presenti o tutte quelle persone che, indirettamente, hanno contribuito a fare di questo film un successo! Vorrei poter elencare uno ad uno i nomi di coloro che hanno pagato il biglietto d'ingresso e sono andati al cinema, perché è a loro in particolare che vanno i miei ringraziamenti. Purtroppo, o per fortuna- risate generali- Questo, per vari motivi che immagino intuiate, non mi è concesso, quindi mando un grosso bacio a tutti voi, e a quelli che ci stanno seguendo comodamente spaparanzati sulle loro poltrone…- applausi e fischi dalla folla- Però…- li bloccò lui- Ci sono anche tre persone in particolare di cui voglio fare i nomi e ringraziare, dal profondo del cuore. Innanzitutto mia sorella Samantha, che è riuscita a farmi capire molte cose in un momento anche per lei estremamente difficile. Sappi che oggi sarei disposto a rinunciare a tutto, per te. Kate, ormai non è più segreto nazionale che sei la mia ragazza… -di nuovo risate- Ma sappi che questo non ha importanza. Non so se passerò il resto della mia vita con te, ma ora come ora è quello che desidero, e voglio dirti che ti amo. Infine vorrei nominare una persona, anche se non credo che mi sentirà; Dominic Monaghan. Probabilmente molti di voi lo avranno sentito nominare per aver interpretato l'hobbit più deficiente della storia -risate- …invece io lo vorrei ricordare per come solo pochi lo hanno veramente conosciuto: un amico, un amico vero… -prese un profondo respiro- Chi tra di voi ha avuto l'occasione, e azzarderei l'onore, di conoscerlo, saprà certamente quanto sia pieno di energia e vitalità, spesso contagiosi. A volte sembra che la sua demenza superi i limiti dell'inverosimile -fischi e applausi- Però non è così, perché dietro a quella corazza da giullare si nasconde un ragazzo fantastico, sensibile e disponibile. Mi ha spesso tirato fuori dai guai, anche fisicamente, ma sono sempre stato troppo orgoglioso per ammetterlo e per ringraziarlo. Non credo di esagerare a dire che, forse, gli devo la vita -silenzio nella sala- Ora non so dove sia, e questo mi rattrista molto, perché avrei voluto averlo al mio fianco in questo momento. Mi immagino già la scena, lui che sale sul palco e comincia a sparare a raffica cazzate sul mio conto. Però, alla fine del suo discorso, sono sicuro che si sarebbe fatto serio, avrebbe guardato negli occhi, uno ad uno, i suoi amici e avrebbe detto "vi voglio bene, luridi figli di…" e la mia buona educazione inglese mi impedisce di proseguire! -se avessero potuto vederlo da vicino, avrebbero notato un lacrima che tentava in ogni modo di reprimere, ma senza risultati- Quindi, ora la smetto perchè non vorrei trovarmi sommerso da verdure marce, desidero solamente ringraziarlo, qui, di fronte a tutti voi; ringraziarlo con tutto il cuore. -applausi mastodontici.
Seguito da pacche sulle spalle, complimenti e altre varie ed eventuali, Orlando riuscì a scendere dal palco e rimettersi al suo posto. Kate aveva gli occhi che brillavano dall'emozione, non si sarebbe aspettata di essere nominata nel suo discorso.
-Anche io ti amo…- gli aveva sussurrato in un orecchio, mentre si risedeva. Lui, in risposta, le aveva sfiorato la fronte con le labbra, sorridendole.
-Bene!- pronunciò l'occasionale presentatore- La serata è così giunta al termine! Spero vi siate divertiti, o, almeno, ingozzati -risate- Ma se non siete ancora abbastanza stanchi o annoiati, all'hotel "Golden Bird", a pochi chilometri da qui, si terrà un after-party! Siete tutti invitati e…-.
-Un momento! Un momento!- un ragazzo cercava di farsi largo tra le sedie, seguito da sbuffi e lamentele -Prima di finire vorrei dire una cosa io!- corse, con il fiatone sul palco, spingendo letteralmente il presentatore di lato, appropriandosi del microfono. Orlando ebbe un tuffo al cuore.
-Okay! -tentò un istante di regolarizzare il respiro -Sono proprio io, quello che Orlando ha presentato come un perfetto deficiente! Ti ringrazio per questo… -si prostrò in un inchino nella sua direzione- Però, fortunatamente, ha ritrattato le sue parole! -rise tra se e se- Non ho ricevuto inviti per questa premiere, quindi pregherei la sicurezza di non venire sul palco a pestarmi -risate generali- Come mio solito ho dovuto interrompere qualcosa e rompere i cosiddetti, però, purtroppo per voi, non sono riuscito a starmene buono buono chiuso nei sevizi, dove sono stato fino ad ora…vorrei scusarmi con tutte le signore e signorine che, entrando nel bagno, si sono prese un bello spavento…ma…come mio solito divago! Sono qui per un solo e semplice motivo! Sono sparito senza dire niente dalla vita di molte persone e vorrei dire che mi dispiace, ma non è così. Sono stato molto bene da solo, anche se ho sentito la mancanza di molta gente. In primis di quel deficiente-faccia-da-schiaffi che scatena una guerra per la sua stupidità! -quasi tutti si voltarono verso Orlando; questo, dal canto suo, non ci badò nemmeno, rapito com'era dall'enorme sorpresa e dall'emozione che lo aveva travolto come un treno in corsa.
-Sono qui solamente per lui, a dirvi la verità, bel film e tutto quello che volete, ma me lo sono già visto in portoghese, spagnolo, inglese e italiano, quindi, ormai, lo conosco praticamente a memoria! Bè…ora vi lascio al vostro party o ai vostri letti, dipende, dico solo un'ultima cosa: Se non fosse successo quello che è successo, tu sai di cosa parlo, non avrei scoperto molte cose importanti, e non sarei cresciuto come invece è successo, anche se non si vede… -risate- Quindi, alla fine, sono io quello che ti deve ringraziare! Lo sai che dimentico in fretta…sono come i gatti io! Non porto rancore troppo a lungo! Un abbraccio a tutti quanti!- si baciò le mani e le allungò verso la folla, che applaudiva, anche se, del suo discorso, aveva capito poco o niente.
-Aspetta, amore…dove vai?- Kate urlava dietro ad Orlando, che aveva preso a correre verso il palco. Dominic non aveva ancora sceso tutti gli scalini che l'inglese gli saltò addosso, stringendogli il collo con le braccia e attirandolo a se. Il tedesco fu assalito dalla stessa emozione, e, a sua volta, lo strinse fortissimo. Solamente quando ad entrambi mancò il fiato si separarono. Gli occhi di Orlando erano velati dalle lacrime, mentre Dominic sembrava in preda ad una paresi facciale, non riusciva proprio a smettere di sorridere.
-Dove cazzo sei stato, lurido figlio di puttana!?!- questa volta il ragazzo scoppiò veramente in lacrime, unendo queste a risate e altri abbracci.
-Mha… -fece il vago l'altro- Un po' di qua un po' di la…tra mucche,moto,carri e donne posso dire di essermela spassata!-.
-Ti sei fatto tutta l'Africa?!?-
-Oh! -scoppiò a ridere Dominic, prendendo a contare sulle dita -Africa, Russia, metà Europa e anche tappa in Antartide!-.
-Schifoso!- lo strinse di nuovo a se Orlando- Ma lo sai quanto ci hai fatto preoccupare?-.
-Non sparare cazzate adesso! Lo so che vi eravate tutti quanti dimenticati di me! Ah! Voglio presentarti una persona…- lo afferrò per la camicia, trascinandolo.
-Lei è Mannie, non credo che te la ricordi…è quella ragazza che ci aveva invitati al party sulla spiaggia! Alla fine! -allargò le braccia Dominic, scherzosamente arreso- Ci sono cascato anche io!-.
Orlando si ricordava vagamente, le strinse la mano e le diede due baci sulle guance.
-Dopo mi devi raccontare tutto quanto…- mormorò Orlando, assalito da un gruppo di persone, che ancora non erano stante che stringergli la mano e fargli i complimenti.

Hotel "Golden Bird"

Attorno all'enorme tavolo stavano seduti un gruppo di ragazzi che, se guardavi bene, potevi riconoscerli in molti componenti della "Compagnia dell'Anello". Orlando, molti di loro, non li vedeva da un anno, così rimase insieme fino a tardi, a raccontarsi i fatti dell'uno e i fatto dell'altro. A dir la verità, il discorso fu quasi interamente in mano a Dominic, perché tutti erano curiosi di sapere cosa fosse successo e cosa l'avesse spinto a prendere la decisione di girare il mondo, così, all'improvviso. Dopo aver narrato le varie vicissitudini, guai e pasticci in cui si era cacciato, giunse alla parte in cui spiegava come aveva rivisto Mannie. Appena Orlando se ne era andato, lui aveva fatto marcia indietro, con l'intenzione di riprendere il viaggio sin dall'inizio e, invece che costeggiare la sponda orientale, viaggiare lungo quella occidentale. Arrivato a Beira, gli era ritornato in mente il fantastico scorcio di spiaggia che aveva visto durante quella festa, avvenuta non troppi giorni prima. Si era fermato in un albergo e la sera aveva deciso di recarsi sul litorale, per fare due passi e schiarirsi le idee, ancora decisamente confuse. Mannie era li, seduta sotto l'albero doveva avevano avuto il primo rapporto. Inizialmente Dominic non l'aveva riconosciuta, ma quando lei lo aveva chiamato non aveva impiegato troppo tempo a capire di chi si trattasse. Il resto era venuto da se, aveva chiacchierato a lungo, spaziando dagli argomenti più banali ai più disparati; il ragazzo aveva deciso di fermarsi a Beira ancora qualche giorno, perché lei gli aveva promesso di portarlo a visitare luoghi veramente suggestivi che, se non eri del posto, non potevi trovare. Chi ha detto che l'innamoramento è un processo graduale doveva essersi sbagliato. Fatto stà che, alla fine, dopo quasi tre settimane di permanenza, il tedesco le aveva chiesto di andare con lui. Ancora, spigò, non riusciva a capacitarsi di come i casi della vita ti portino a situazione che paiono, all'apparenza, assurde.
Era ormai quasi mattina quando smise di parlare, ma il tempo non sembrava essere trascorso: i suoi racconti erano emozionanti. Una volta, addirittura, era stato coinvolto, in Russia, in una sparatoria. Fortunatamente nessuno era rimasto ferito, ma comunque, i suoi ascoltatori, vollero conoscere ogni particolare dell'evento.

La sera seguente…

-Oddio che freddo!- piagnucolava in continuazione Billy, incrociando le gambe tentando di coprire il pene all'aria.
-Ma che lamentone!- Viggo si stava ancora spogliando, sotto gli sguardi attoniti e sconvolti dei passanti.
-Prova a saltellare!- esordì Sean, mentre danzava da un piede all'altro.
-Dio…se mi vedesse mia madre!- scoppiò a ridere Elijah.
-No! Pensa se ci vedesse un giornalista!- prese parola Dominic -Immagino già i titoli sui giornali "Grande orgia tra i componenti della Compagnia dell'Anello! A pagina trenta il sondaggio: chi tra di loro ce l'ha più lungo?-
-E naturalmente -ridacchiò John- Il vincitore saresti stato sicuramente tu, non è vero?-
-E basta dire cazzate! Vogliamo farlo o no? Se c'è qualcuno che si vuole tirare indietro lo faccia ora, perché poi non ci sarà scampo…- Viggo guardò nelle palle degli occhi tutti i presenti, non ricevendo risposte negative -Bene!-
Senza bisogno di ulteriori esortazioni, si presero per mano, formando una fila orizzontale. Il lago di fronte a loro aveva l'aria di essere gelido,ma…in fondo…anche se avevano perso la scommessa, quello che Dominic aveva fatto successivamente ripagava di gran lunga il patto iniziale. Purtroppo nessuna delle due parti aveva vinto la posta in gioco, quindi…bisognava accordare le due parti…
Presero la rincorsa e si gettarono.
L'immagine si ferma; nove uomini, completamente nudi, a mezz'aria, pronti all'impatto con l'acqua gelata di un lago. Nove uomini, nove amici; tra questi puoi notare lo sguardo di due, che sembrano volersi dire: "Questa è per te, amico".



Ringraziamenti:
Grazie Chu,grazie Roy,grazie Moon e grazie Mandy!Siete state sincere nei vostri commenti,e per questo vi ringrazio tantissimo.Mi fa un immenso piacere sapere che questa storia vi sia piaciuta,e che vi siate premurate di commentarla quasi ad ogni nuovo capitolo!Purtroppo sono consapevole che la fine non sia delle migliori,ma spero l'apprezzerete lo stesso.Grazie di cuore,veramente ragazze,GRAZIE!Un bacione a tutte quante,se potessi fare di più lo farei,ma più che dirvi questo non posso!Siete fantastiche!Ciao e alla prossima!

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