Nero Corvino

di Muse
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima Parte ***
Capitolo 2: *** Seconda Parte ***



Capitolo 1
*** Prima Parte ***


Si può credere di amare qualcuno e scoprire che non è vero.
Ma si può credere di non amare qualcuno e scoprire che nemmeno questo è vero?


Remus John Lupin non lo sapeva, ma quello che provava in quel momento era qualcosa che credeva sepolto da tempo.
Ma fino a poco tempo prima non sapeva nemmeno che anche la più forte delle convinzioni poteva crollare come un castello di carte di fronte alla morte.

Si trovava fuori da una stanza del reparto Lesioni da Incantesimo, al quarto piano dell’Ospedale San Mungo, con in mano un mazzo di asfodeli e amarilli e una scatola di cioccolatini, i migliori sul mercato, a sentire la commessa della pasticceria dove li aveva comprati.
Gli avevano detto che si era svegliata quella mattina, dopo due settimane di coma, dopo due settimane che lui pregava incessantemente, dopo due settimane che non dormiva la notte, dopo due settimane che aveva capito di amarla.
Era nervoso, nervoso come non lo era mai stato.
Con Sirius … già Sirius … con lui era stato tutto diverso, molto più semplice se vogliamo, era successo e basta, non c’erano stati fiori, ne dichiarazioni, ne parole, ne prima ne dopo, sapevano entrambi di amarsi e non c’era bisogno di dirlo.
Sbirciò dal vetro della porta della camera e scorse una ragazza in carrozzina, i capelli neri come le ali di un corvo le ricadevano ben pettinati sulle spalle. Era intenta ad osservare qualcosa dalla finestra e non si accorse che lui la guardava.
Che buffo, aveva creduto di non poter mai amare nessun altro come lui fino a due settimane prima …

Era attorno al fuoco con altri uomini, molti dei quali più giovani di lui. Si trovava nel nord della Scozia, in missione per conto dell’Ordine. Si era infiltrato in quella comunità di lupi mannari, diventati seguaci di Voldemort in seguito ad una visita di Fenrir, e fino a quel momento la copertura aveva retto.
Quasi tutti dormivano, la notte stava invecchiando lentamente, ma Lupin non riusciva a chiudere occhio. Aveva notato numerosi sguardi lanciatigli dagli altri licantropi e qualcosa gli diceva che non erano sguardi amichevoli. Si era offerto quindi di fare il turno di guardia, assieme ad un altro paio di uomini.
Un rumore attirò l’attenzione dei tre attorno al fuoco, Remus riuscì solo a scorgere nel folto della foresta uno sprazzo di rosa. Il cuore gli balzò in gola.
“Joe, vai a controllare!” disse l’uomo che comandava all’altro.
“Ma perché sempre io …” rispose sbuffando. Stirandosi si preparò ad alzarsi.
“Lascia, vado io!” disse d’impulso Lupin, sperava solo di aver visto male, in ogni caso era meglio se fosse andato lui a dare un’occhiata.
Gli altri due erano troppo stanchi per obiettare e gli fecero un cenno affermativo.
Cercando di non apparire agitato, si alzò con calma, inscenando un finto stiracchiamento condito da uno sbadiglio.
Si inoltrò fra gli alberi e mormorò “Lumos”. Una piccola luce si accese sulla punta della bacchetta. La puntò qua e là in cerca di quel rosa che aveva attirato la sua attenzione.
Stava cominciando a credere che forse la sua immaginazione lo aveva giocato, quando di nuovo qualcosa di rosa passo ai margini del suo campo visivo.
“Tonks?” sussurrò piano. Niente, nessuna risposta.
“Tonks?!” questa volta alzò un po’ il tono della voce. Uno scricchiolio alle sue spalle lo fece voltare di colpo con la bacchetta alzata e i sensi all’erta.
Ma un dolce profumo di fiori di pesco l’aveva annunciata ancora prima che uscisse dal sottobosco.
Non aspettò nemmeno che finisse di districarsi dal roveto dov’era finita, che le fu addosso, ringhiandole “Che diavolo ci fai qui?!”
Lei gli sorrise. “Stare con quei trogloditi ti ha fatto dimenticare le buone maniere, Remus. Non è così che si accoglie una signora!”
 “Shh!” Remus la prese per un braccio e la condusse ancor più lontano dall’accampamento. Solo ora che l’aveva rivista si rese conto di quanto gli era mancata in quei tre mesi che era stato lontano da Londra.
“Ma sei impazzita? Vuoi farmi scoprire?!” Ma non era poi così dispiaciuto che fosse lì, era fin troppo che non vedeva un volto familiare.
“No, non sono impazzita e no, non voglio farti scoprire!” la ragazza si spazzolò i vestiti stizzita. “Per tua informazione, sono qui su ordine di Silente!”
“Silente? E manda te in mezzo a una masnada di licantropi?! Allora è impazzito lui!” borbottò Remus, alterato, cercando di non alzare troppo la voce.
“No, nemmeno lui è impazzito. A Londra sta succedendo un putiferio. Sono tutti impegnati tra Hogwarts, il Ministero e a sorvegliare i mangiamorte conosciuti, per tua sfortuna ero rimasta solo io libera questa notte!”
Remus sorvolò sulla frecciatina. “Cosa sta succedendo a Londra? Qua le notizie non arrivano sovente. I mangiamorte arrivano di rado e solo per portar via qualcuno di noi per rimpinzare le schiere di Voldemort, ma a notizie sono più ermetici di una boccetta di Felix Felicis! Mi sto chiedendo cosa diavolo ci faccio ancora qui, sono praticamente inutile!”
“E’ per questo che sono qui, Silente mi ha chiesto di venirti ad avvertire. E’ trapelata voce che tra le schiere di Voldemort ci siano delle spie … la sorveglianza sarà ancora più stretta e presto tutti i licantropi dovranno raggiungere Voldemort. Non puoi più rimanere qui, Grayback arriverà qui domani e ti scoprirà se ti vedrà!”
Gli occhi di Tonks scintillavano di preoccupazione al chiarore della Luna.
Il periodo trascorso lì gli aveva affinato di molto i sensi da lupo mannaro, assopiti e soffocati da lungo tempo. Poteva sentire il fresco profumo della ragazza, ogni singola sfumatura, anche da un metro di distanza, gli stava inebriando i sensi e qualcosa si agitò in lui.
Senza quasi rendersene conto si trovò a pochi centimetri dalla bocca rosea di Tonks.
Ma qualcosa lo turbava, gli occhi di lei avrebbero dovuto si emanare paura, ma anche gioia, non tristezza.
La ragazza si scostò e distolse lo sguardo dal suo.
"Remus io non posso…"
"Non ti preoccupare, scusami" la interruppe, allontanandosi di poco. Sapeva benissimo cosa stava pensando. Non voleva essere illusa per la seconda volta. E lui, non aveva il diritto di farlo.
Eppure.
Eppure gli mancavano da morire quelle labbra morbide che così poco aveva assaggiato. Non resistette e le appoggiò una ruvida mano sulla guancia, facendole voltare dolcemente il viso di nuovo verso di sé. Col pollice le accarezzò la gota ora arrossata dall’imbarazzo, forse.
Con l’altra mano le scostò una ciocca di capelli rosa che le era caduta davanti agli occhi celandoli ai suoi.
Il cuore gli prese a pulsare forte nel petto, quasi volesse farsi spazio tra le coste come per liberarsi dalla loro tenace gabbia, per sciogliersi dalla prigione dove l’aveva rinchiuso per troppo tempo.
Non illuderla. Quel pensiero gli balenò nella mente, troppo leggero per fermarsi, spazzato via dalla bufera di sentimenti che imperversava dentro di lui.
Tonks era immobile nella stretta del licantropo, perfetta come una statua greca tra le mani dello scultore, quasi timorosa che un suo gesto potesse infrangere tutto.
Lentamente appoggiò le sue labbra a quelle vellutate della ragazza. Non l’avrebbe illusa, l’avrebbe amata.
Poi qualcosa stonò col profumo dolce della ragazza. Un’odore acre, di sudore, di lupo.
Senza riflettere, affidato al puro istinto animale, si gettò su Tonks appena in tempo per spostarla dalla traiettoria di una saetta rossa, ma non abbastanza da impedirle di intercettarne un’altra. Ancor prima di andare a sbattere contro una ruvida parete di roccia grigia, si ritrovò con Tonks accasciata tra le braccia.
Vide i due licantropi uscire dall’ombra con un ghigno sul volto, ma non sentì mai cosa si dissero, perché si smaterializzò in quell’istante.

Ora era lì, davanti a quella stanza, dove poteva sentire chiaramente tra i vapori delle pozioni e le esalazioni degli unguenti, il suo profumo di fiori di pesco.
Questa volta non l'avrebbe illusa. No. Era pronto e sapeva che lei era quella giusta.
Poteva imputare il suo tumulto di emozioni di quella notte a diversi fattori, prima di tutto la lontananza da persone civili per molto tempo.
Ma la paura che aveva provato vedendola sdraiata in un letto d’ospedale, con la pelle pallida, imperlata di sudore, consumata dalla febbre, con le bende sulle ferite, in tinta col bianco mortale delle lenzuola, la paura di non vederla più sorridere, di perderla per sempre, quella paura non poteva imputarla a nulla, se non ai suoi sentimenti per la ragazza.

Quella mattina era passato al cimitero di Hogwarts, dove una lapide di nera ossidiana si ergeva in onore di Sirius Black. Le lettere d’argento dell’epigrafe rilucevano dorate alle prime luci dell’alba.
Poche parole a riassumere la sua triste vita.

Sirius Black, che visse nelle prigioni della vita, vola oggi libero nei cieli.

Le aveva scritte lui, nella speranza che fosse realmente così.
Sospirò, passando una mano sulla fredda pietra per togliere qualche foglia che vi si era posata sopra, poi posandola sul piccolo ritratto mormorò “Ora sono libero anche io.”
Il suo cuore aveva finalmente ripreso a battere e i suoi polmoni a respirare dopo tanta sofferenza.

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Capitolo 2
*** Seconda Parte ***


Si riprese dai pensieri e alzò una mano per bussare.
“Ehi, Remus!” riabbassò la mano, mentre qualcuno arrivava di corsa dal fondo del corridoio.
Charlie si fermò ansante davanti a lui. Aveva almeno una dozzina di rose rosse nella mano sinistra che, al confronto, il suo sembrava un misero mazzolino di fiori di campo. Cercò di nasconderlo alla vista del ragazzo, tenendolo lungo un fianco.
“Ciao Charlie.” Lo salutò cercando di mascherare il disappunto. Non era delle interruzioni che aveva bisogno in quel momento e soprattutto non di uno con un mazzo di fiori tale!
“Entriamo?” chiese il rosso, facendo segno alla porta.
Remus non voleva apparire scortese e annuì, avrebbe aspettato che se ne andasse per parlare con Tonks.
La ragazza si girò sorridente nell’istante stesso in cui i due varcarono la soglia. Sorriso che si spense nello stesso istante in cui i suoi occhi incontrarono quelli di Remus.
I suoi occhi parvero d’un tratto sofferenti, tristi … dispiaciuti. Sembrava volessero trasmettergli qualcosa, qualcosa che il licantropo non afferrò, ma capì che c’era qualcosa che non andava.
“Volevo salutarti prima che arrivassero tutti gli altri” le disse Charlie, poi si fece avanti senza accorgersi di nulla, le porse il mazzo di rose, si chinò e … Remus non capì più nulla, era pietrificato.
Thump.
Stette a guardare Charlie premere la sua bocca contro quella di Tonks.
Tumph.
Tra un battito del cuore e l’altro sembravano passare dei secoli.
Tumph.
La scatola di cioccolatini gli scivolò di mano facendolo sobbalzare quando toccò terra. I due al rumore si volsero staccandosi finalmente dal bacio.
Il tempo riprese a scorrere normalmente, ma Remus era ancora pietrificato.
Non riusciva a dire nulla, non riusciva a muoversi e sentiva gli arti pesanti come il piombo.
Era consapevole degli sguardi che Charlie gli rivolgeva, la sua mente gli suggeriva qualcosa, ma era solo un rimbombo nella sua testa.
Poi intervenne Tonks.
“Remus io … volevo dirtelo …” quelle parole scalfirono a mala pena la corazza che aveva eretto contro il mondo esterno.
Poi qualcosa irruppe violentemente nella sua testa. Numerose voci entrarono rombando nella stanza, spintonandolo, chiamandolo. Si guardò intorno stordito e riconobbe numerosi volti, al quale in quel momento non seppe dare nomi. Nella stanza era appena entrato, al completo, tutto l’Ordine della Fenice.
Scambiò qualche saluto cercando di apparire normale, si sforzò persino di sorridere.
Perse la figura di Tonks in mezzo a tutte quelle teste ed indietreggiò fino a trovarsi vicino alla porta, lanciò un’occhiata al mazzo di fiori ormai sgualcito, tolse il biglietto che aveva fermato in mezzo ai fiori e lo posò sul comodino vicino al letto ed uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.

“Remus” qualcuno lo chiamò in modo affettato e un po’ sprezzante. Non aveva bisogno di alzare gli occhi dalla Gazzetta del Profeta per immaginarsi il suo naso adunco leggermente arricciato, contornato da un caschetto di unti capelli neri.
“Severus” lo salutò un po’ più cordialmente.
“Non è nel mio carattere fare da anfitrione, ma lo è ancor meno trasportare una donna inferma in braccio fin qui sotto … quindi, Nimphadora mi ha gentilmente chiesto se potevo avvertirti che lei vuole parlarti. Di sopra. Adesso.”
E non serviva alzare gli occhi dal giornale per immaginare la svolazzante uscita di scena di Piton. A volte si chiedeva come Severus riuscisse a vivere con tutta quella freddezza addosso.
Remus richiuse la Gazzetta, cercando di evitare di spiegazzarla, non tanto perché gli importasse, quando per ritardare più che poteva l’incontro con Tonks.
Ma alla fine trasse un profondo respiro e si avviò su per le scale fino al salone d’ingresso.
Nonostante tutto e a parte lo shock iniziale, non era riuscito a chiudersi in se stesso. Non voleva più, non dopo aver capito che valeva la pena di viverla la vita. Si era rassegnato e aveva preso il tutto con distaccato stoicismo, ma dandosi ugualmente dell’idiota ogni tanto.
Tuttavia vederla di nuovo lì, fece vacillare in lui quel poco di coraggio che era riuscito a racimolare.
“Remus!” Tonks gli sorrise. Si era ripresa piuttosto bene, non portava quasi alcun segno dello scontro a parte un grosso livido che si stava lentamente riassorbendo sulla fronte e una gamba fasciata, per questo doveva ancora spostarsi in carrozzina.
“Ciao Tonks … ti trovo benissimo” si chinò su di lei per darle un bacio sulla guancia.
Una singola ciocca rosa le pendeva dalla tempia sinistra in netto contrasto col nero del resto dei capelli. La prese fra le mani e la guardò interrogativo.
“Come al solito sono una pasticciona … ho provato a cambiare il colore dei capelli … sai, questo nero mi ha sempre messo tristezza, ma sono ancora un po’ debole e questo è il risultato!” si mise a ridere e anche Remus non potè resistere.
“Comunque i medici dicono che appena questo bernoccolo sarà sparito potrò cambiare colore ai capelli tutte le volte che voglio!”
Remus rise ancora, poi si fece più serio. “Severus ha detto che volevi parlarmi … è successo qualcosa?”
Tonks sembrò raccogliere un po’ di coraggio poi disse:
“E che non siamo più riusciti a parlarci da quando … beh, da due settimane fa, non sei neanche più passato a trovarmi in ospedale.”
“E che sono stato molto occupato …” si giustificò con poca convinzione Remus.
“Si lo so, ma …” ci fu un attimo di pausa “ma quella sera, in Scozia, c’è stato qualcosa fra di noi, tu mi hai baciata …”
“Ti chiedo scusa, non avrei dovuto” rispose velocemente.
“Perché?”
“Perché tu ora stai con Charlie, no?!”
“Non era questo che intendevo … perché mi hai baciata?”
“Non ho il diritto di dirtelo.”
“Ma io lo voglio sapere!”
“No … non capisci … non posso” Come poteva dirle che l’amava e poi perderla? Voleva mantenere quella piccola cosa per sé, come se servisse a mantenere ancora un minimo legame con Tonks.
“Ho il diritto di saperlo Remus!” la ragazza aveva alzato la voce e le tremava leggermente.
“Tu ora stai con Charlie, è questo che conta, non ciò che penso o provo io. Ora scusami, ma devo andare.”
“Certo! Ed io che …” Tonks chinò la testa e spingendo su una ruota voltò la carrozzina. Poi sommessamente aggiunse.
“Credevo di aver visto qualcosa nei tuoi occhi quella notte, una scintilla, che vedevo solo quando guardavi o pensavi a Sirius.” Si girò e lo guardò dritto negli occhi, forse cercandola ancora. “Credevo che fosse per me questa volta, ma mi sono sbagliata, mi sono illusa per la seconda volta.”
La ragazza si avviò a spinta verso l’uscita.
“Tonks …” Remus mosse un passo nella sua direzione, poi prese a correre. “Tonks, aspetta!”
La ragazza bloccò la carrozzina e Remus si frappose fra lei e la porta.
Per quanto il suo orgoglio glielo impedisse si sforzò di parlare.
“Non volevo illuderti” si scusò il licantropo.
Tonks alzò un sopracciglio e fece per voltarsi di nuovo.
“Aspetta, non ho finito …” la bloccò tenendola per un braccio, come aveva fatto quella notte in Scozia. L’impulso di baciarla semplicemente era forte, ma non avrebbe risolto nulla.
Si piegò sulle gambe fino ad avere lo sguardo alla stessa altezza degli occhi di lei e prese le mani di lei nulle sue.
“Sono stato uno stupido. Non ho mai cercato di guardare al di là dei miei timori e così facendo non ho mai visto quello che la vita mi aveva offerto: una seconda possibilità. Pochi hanno la fortuna di incontrare l’anima gemella nella vita, io ne ho incontrate due, ma la mia vista era oscurata dalla perdita di Sirius. Ma quando ti ho rivisto quella notte, non avevo più nulla che mi nascondesse la tua vista, poi ho rischiato di perderti. Non sai quanto mi sono maledetto per non essermi svegliato prima. Ed ora, ora ti ho perso veramente.” Remus scosse lentamente la testa, cercando di ricacciare indietro le lacrime. Dentro provava una sensazione di vuoto, per essersi liberato di quel piccolo segreto, ora che non lo sentiva più suo.
Tonks non parlava e questo non faceva che confermare i suoi timori.
“Scusami, ma ora devo proprio andare.” Lentamente si rimise diritto. Non ce la faceva più a rimanere chiuso in quella stanza. Non dopo averle aperto il cuore e ricevuto in cambio solo silenzio. Non era arrabbiato con lei, forse solo un po’ per averlo obbligato a rivelarglieli, ma più di tutto era arrabbiato con se stesso.
“Remus?”
Lupin si bloccò con la mano sul pomello della porta d’ingresso.
“I tuoi fiori …come facevi a sapere che erano i miei preferiti?”
Le labbra del licantropo si incresparono in un piccolo sorriso, senza neanche voltarsi rispose: “Non lo sapevo.”
Ancora lei lo chiamò prima che riuscisse ad aprire la porta. “Remus?”
Questa volta si girò “Si?”
“Questa mattina, io e Charlie ci siamo lasciati.” Nel suo tono non c’era un’inflessione triste, ma nemmeno allegra e nella penombra non poteva vedere due piccole lacrime solcarle le guance.
Qualcosa sollevo il cuore di Lupin fino ad averlo ad un paio di metri sopra la testa.
“Mi spiace” mentì.
“No, non è vero …” rispose lei cinicamente.
“Hai ragione, non mi dispiace” non potè più trattenere il sorriso.
“Ho capito che …” ma Lupin le era già vicino, le asciugò le guance e le posò l’indice ancora umido sulle labbra.
“Shhh” sussurrò, poi sostituì il dito con la sua bocca.

FIN
(Come può uno scoglio
arginare il mare?
Anche se non voglio
torno già a volare –
Lucio Battisti)

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