Il Giardino di Rose.

di The Glass Girl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** -Prologo. ***
Capitolo 2: *** Chapter 1. ***
Capitolo 3: *** Chapter 2. ***
Capitolo 4: *** Chapter 3. ***



Capitolo 1
*** -Prologo. ***


 

*Il Giardino di Rose.*

 

 

 


Prologo.

Aspettò lì fino a che anche l’ultimo petalo rosso non cadde.
Era leggero, volò quasi nell’aria e si adagiò lievemente atterra con un fruscio impercettibile.
Ma per qualche motivo, lei lo sentì pesante: lo vide atterrare in velocità, quasi come se ci fosse stato qualcosa di estremamente pesante sopra.
Lo sentì schiantarsi rumorosamente.
Strizzò le palpebre.
Aveva i muscoli tesi, la mascella serrata e gli occhi che tentavano di trattenere le lacrime pungenti.
Le faceva così male … le faceva così dannatamente male che non era in grado di pensare ad altro.
Si chiese, spontaneamente, come sarebbe andata a finire.
Che cosa avrebbe fatto adesso?
Era sola, completamente e totalmente sola.
E, adesso, non aveva nemmeno più il suo giardino.
Il suo giardino rigoglioso, ricco di rose, margherite, tulipani, tutti i fiori che preferiva.
Il giardino che sua madre aveva curato con tanto amore … l’unico ricordo che le rimaneva di lei.
L’unica cosa concreta che ancora aveva di lei, adesso stava morendo.
Una lacrima arrivò infine a solcarle la guancia e fu in grado di farle dannatamente male.
-Perché fai così male?-disse fra sé asciugandosi gli occhi.
Alla fine anche l’ultima rosa era appassita, anche l’ultimo fiore era sparito, morto.
Tutto era morto in quel giardino e lei non aveva più niente.
Allungò l’indice di poco, arrivando a sfiorare il gambo di quella rosa; si soffermò su una spina appuntita, premendo su di essa il polpastrello.
La spina scura si tinse del suo sangue rosso come il fuoco.
Non sentì niente, il dolore era già troppo.
Dolore che andava ad accumularsi ad altro dolore, male che arrivava a scontrarsi con altro male e lacrime su lacrime.
Sangue rosso come i petali di una rosa, sangue denso come i suoi pensieri.
Adesso non capiva più niente.
Aveva perso tutto, ma perché aveva perso tutto?
Perché adesso si ritrovava da sola in quel giardino, accanto a quel fiore ormai appassito.
Seduta atterra, con qualche goccia di sangue sull’indice, le lacrime negli occhi e un peso opprimente sul petto.
Come poteva pensare di poter vivere senza tutto ciò che le era caro?
Come poteva pensare di andare avanti senza quel giardino?
Il suo dito era fermo su quella spina e premeva, per far uscire sangue.
Il taglio si faceva sempre più profondo e largo, mano a mano che lei muoveva il suo polpastrello rosa su quella spina verde.
Non faceva male, non poteva più fare male.
Tolse il dito dalla spina e, mentre le gocce di sangue le scendevano lungo la mano e poi lungo il polso, lei piangeva e pensava che, in fondo, quel taglio, tutto quel sangue, non le facevano male, ma vedere quel fiore morire … quello era un dolore insostenibile.
Infine, per alleviare la sofferenza che ormai le appesantiva il petto, si appoggiò sulla terra fredda, in quella desolazione, accanto allo stelo di quella rosa.
Senza accorgersene, mentre piangeva e il sangue continuava a sgorgare copioso dalla punta del suo dito, si addormentò, in balìa di quel male che stava divampando, come un incendio pericoloso, dentro di lei.






-Angolo Autrice.

Ehi, ciao a tutti. Dunque questo sarebbe il prologo di una storia che ho in mente di continuare ... come ho già fatto in passato, vi chiedo di lasciarmi qualche recensione.
Se vedo che il prologo viene apprezzato a sufficienza continuo, altrimenti cestino tutto quanto.
Beh, tocca a voi, adesso, leggete in tanti e fatemi sapere, aspetterò panzientemente di sentire che cosa ne pensate :)
A presto,
Laura.

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Capitolo 2
*** Chapter 1. ***



*Il Giardino di Rose.*


Chapter 1.


Quando la campanella sulla porta tintinnò, Rosalie si preparò a ricevere il primo cliente della giornata, mentre Grace dava l’acqua alle rose, nel giardino.
Sfoderò il suo solito sorriso mattutino, quello che era costretta a mostrare ai clienti per tutta la giornata e si preparò a soddisfare qualsiasi richiesta.
Il primo cliente era un uomo anziano, probabilmente sulla settantina, che faceva fatica a camminare e si reggeva, pertanto, ad un bastone.
I capelli bianchi ricadevano sottili sulla nuca e gli occhialetti da vista che portava scivolavano sul naso, grazie alle gocce di  sudore, dovute alla calura, che gli stavano percorrendo la pelle rugosa del viso.
L’anziano cliente si guardò intorno, osservando le varie composizioni esposte in negozio, che Rose aveva controllato e risistemato la sera prima, come faceva sempre; scrutò attentamente ogni fiore, ogni petalo e poi finalmente rivolse la parola alla ragazza che stava al bancone, in attesa.
Con le mani aggraziate intrecciate sulla superficie di marmo del bancone del negozio, accanto al registratore di cassa, Rosalie salutò con educazione e dolcezza l’uomo che aveva davanti.
-Salve anche a lei.- ricambiò lui con voce roca.
Muovendo le mani tremanti si sistemò gli occhiali e poi tirò fuori dal taschino interno della giacca beige un fazzoletto di stoffa bianco, che si passò sulla fronte, asciugandola.
-Desidererei il più bel mazzo di rose rosse che avete a disposizione.- chiese con un sorriso.
-Certo, glielo prendo immediatamente.-
Si voltò e si diresse in giardino, da Grace.
Il guardino era a dir poco meraviglioso: la luce del mattino filtrava la copertura di plastica della serra ed illuminava ogni singolo splendido fiore.
C’erano le rose, rosse, che si distinguevano per la loro bellezza e per il loro rossore.
In città si diceva che quello fosse il negozio in cui venivano vendute le rose più belle; non ce n’era un altro che le aveva migliori, o anche solo uguali a quelle che avevano loro.
Certo, non c’erano solo rose. C’erano viole, tulipani, giacinti, gigli, margherite e tanto ancora e sia Rosalie che Grace si prendevano cura di ogni singolo fiore con eguale attenzione.
La ragazza si sistemò dietro la donna, che, con un innaffiatoio verde foglia,  continuava il suo compito, versando una piccola quantità di acqua accanto ad ogni singolo gruppetto di fiori, delimitato da un recinto alto appena qualche centimetro in legno scuro.
Si guardò intorno e cercò la rosa più bella e rossa che avesse mai visto e dopo qualche minuto la individuò.
Prese la forbice che stava sulla mensola in ferro battuto accanto alla porta di entrata del giardino, e la colse, facendo particolare attenzione a non tagliarsi.
Subito dopo, fece lo stesso con la seconda, adocchiando sempre le più belle: fortunatamente ce n’erano abbastanza da formare decine e decine di mazzi.
Subito dopo, posò la forbice al suo posto e con il mazzo in mano si diresse in negozio.
Sorridendo sbucò dalla porta da cui prima era uscita e si ripresentò di nuovo davanti all’anziano cliente che nel frattempo esaminava il negozio con attenzione.
Rosalie poggiò le rose sul bancone, con delicatezza, afferrò un nastrino ed una foglia lunga e verde, per decorare il mazzo.
Legò il tutto insieme con il nastrino di raso bianco, leggero e morbido; come ultimo tocco, spruzzò qualche goccia di acqua cristallina sui petali delicati ed infine avvolse tutto in un foglio di carta colorata, ritagliato sui bordi.
Prese in mano il mazzo e, soddisfatta, lo tese all’anziano cliente che aveva davanti che, nel frattempo, stava preparando qualche banconota, pronto a pagare.
Afferrò il mazzo e lo osservò, meravigliato, poi disse:
-I miei complimenti signorina, queste sono davvero le rose più belle che io abbia mai visto. Che petali rossi hanno! Tornerò presto a farvi visita.-
Sorrise gentilmente e se ne andò.





Angolo Autrice.
Ho pubblicato il primo capitolo lo stesso, anche se ha recensito una sola persona.
Ma probabilmente sarà l'ultimo che posterò .... sta a voi decidere.
Spero di leggere qualche recensione in più ;)

Laura.

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Capitolo 3
*** Chapter 2. ***


 

*Il Giardino di Rose.*

 


Chapter 2.

Con dolcezza, Hailey la tirò su da terra e le pulì il vestitino rosso ciliegia.
-Rose, che combini?-chiese apprensiva.
La bambina osservava la madre, stropicciandosi gli occhi gonfi di lacrime.
-Dai vieni andiamo dentro.-disse sorridendole.
La bambina si aggrappò disperata al collo della madre, mentre le ginocchia arrossate continuavano a sanguinare.
Una volta ritornata in negozio, dopo aver posato la bambina sulla superficie  di marmo,Hailey cercò un pacchetto di cerotti che, per sicurezza, teneva sempre sotto al bancone (non si sa mai, lavorando con le rose!) e, una volta recuperato, ne estrasse un paio.
Sorrise alla bambina e prese anche un pezzettino di cotone e la bottiglietta di disinfettante.
-E’ già la terza volta questa settimana.-brontolò con dolcezza, mentre inumidiva il cotone con qualche spruzzatina di disinfettante.
Con tutta la delicatezza possibile, come era solita fare lei con sua figlia, posò il cotone sul ginocchio destro, lì dove il sangue usciva fluido.
Rosalie protestò e, quando la madre premette più forte sulla ferita, riprese a strillare.
-Shh … porta pazienza, su.-sussurrò tentando di calmarla.
Ripulì per bene la ferita, sciacquandola anche con dell’acqua fresca e poi, nonostante i capricci della bambina, riuscì finalmente a sistemare sul taglio il cerotto.
Si chinò e con delicatezza vi posò le labbra sopra, carezzandolo poi con dolcezza materna.
-Hai visto? Dai che facciamo anche l’altro.-
Ripeté la stessa identica procedura anche per l’altro taglio e qui Rosalie sembrò essersi calmata, tanto che fu in grado di stare praticamente immobile, facendo solo qualche smorfia ogni tanto.
Quando ebbe finito prese in braccio la bambina e, dopo averle asciugato le lacrime, le diede un bacio sulla fronte.
-Adesso stai ferma un pochino.-le sussurrò piano.
Rosalie sorrise a sua madre e poi sgambettò di nuovo verso il giardino.
Quanto le piaceva quel giardino, trascorreva ore ed ore in quel posto, mentre Hailey era impegnata con il negozio e tutto il resto.
Alla bambina piaceva tanto stare immersa nei fiori, tra il polline e le spine, sulla terra a giocare, ad annusare profumi buonissimi, di ogni tipo. Solamente che era pur sempre una bambina, per cui ogni tanto cadeva, in mezzo alle spine, e si tagliava.
Ormai Hailey non si spaventava nemmeno più quando la sentiva piangere o le guardava le ginocchia o i palmi della mani, semplicemente la prendeva in braccio e la medicava.
Ed era qualcosa che le piaceva fare, perché in qualche modo si sentiva sempre più legata a sua figlia.
 
I deboli raggi solari del mattino filtrarono lentamente, mano a mano che il sole si alzava e carezzarono il volto di Rosalie con delicatezza. Ma i suoi occhi erano già aperti.
Si tirò su a sedere sul letto, scoprendo con amarezza di aver pianto durante la notte.
Si asciugò in fretta le guance, dove le lacrime si erano ormai seccate, ma sentiva quel sapore salato anche in bocca.
Sospirò, seccata. Non le piaceva per niente piangere, la faceva sentire debole.
Scese dal letto e si diresse in bagno.
Si guardò allo specchio, si sistemò i capelli arruffati, raccogliendoli con un elastico e poi si lavò il viso e si sciacquò la bocca: niente da fare, quel sapore fastidioso rimaneva incastrato lì.
Si infilò sotto il getto caldo della doccia, sperando di poter lavarlo via.
Rosalie, di notte, sognava sempre ricordi.
Erano immagini che tornavano a galla, che le riempivano la mente. Per questo la sera andava sempre a letto tardi e la mattina si alzava sempre prima del dovuto: odiava essere preda facile di quei dannatissimi ricordi.
Si strofinò l’epidermide pallida con un bagnoschiuma al profumo di cocco e petali di rosa e poi rimase lì, a guardare i vetri del box doccia che si appannavano, a tracciare scritte immaginare sulla superficie scivolosa.
Quando si lasciò avvolgere dalla morbidezza del suo asciugamano si sentì leggermente meglio.
A volte desiderava scappare, da quei ricordi, da quelle immagini e da quelle sensazioni che ogni notte la inseguivano e la catturavano; era preda degli incubi ogni notte, solo che a lei non bastava svegliarsi, per stare meglio … perché quella che sognava era la realtà.
Dopo essersi vestita, scese al piano di sotto, dove trovò Grace già pronta ad accogliere i primi clienti.
Era stata così tanto tempo sotto la doccia? Era rimasta così tanto tempo in camera sua?
-Buongiorno.-la salutò la donna con dolcezza, sorridendole.
Rosalie si limitò a rivolgerle un cenno apatico, dopodiché si rifugiò in giardino.
Era l’ultima cosa che le rimaneva di sua madre.
L’unica cosa a cui potersi aggrappare quando tutto andava storto.
Per lei era come se ogni singolo fiore conservasse un pezzettino del suo ricordo, per questo le piaceva rimanere lì, per ore a volte, a pensare, a piangere, a nascondersi … proprio come faceva da bambina.



Angolo Autrice.
Ecco qui il secondo capitolo. Spero vi piaccia :)
Chiedo scusa, lo so che è cortissimo, ma rimedierò in qualche modo.
Per ora i primi capitoli saranno tutti un pò noiosi, portate pazienza.
E mi raccomando ... recensite ;)


Laura.

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Capitolo 4
*** Chapter 3. ***


*Il Giardino di Rose.*


 


Chapter 3.


Grace sapeva che quando Rosalie si chiudeva la porta di quel giardino alle spalle non c’erano parole che potessero reggere: non voleva essere disturbata; non aveva voglia di parlare, né di ascoltare, solamente di stare lì, a fissare i petali di un fiore e a guardare i raggi del sole filtrare le foglie verdi.
A volte, ne era certa, parlava da sola.
In realtà le parole di Rosalie non erano rivolte a se stessa, né al vento, ma a sua madre.
Parlava con lei solo quando si ritrovava lì, in quel posto che profumava di lei.
Mentre tra le mani stringeva un tulipano arancione ripensò al sogno che aveva fatto.
Ogni volta che faceva quei sogni si rendeva conto di come la cosa risultasse completamente senza senso: non ricordava niente di quello che sognava, mai, erano cose che ritornavano spontaneamente, senza che lei potesse decidere.
Non si ricordava nemmeno com’era fatta sua madre, però quando la notte si addormentava e sognava la sua figura, le appariva un’immagine ben dettagliata davanti agli occhi: una bellissima donna, dai lunghi capelli rossi e gli occhi castani con delle meravigliose sfumature dorate.
A volte si chiedeva se sua madre fosse stata davvero come se l’immaginava.
Non aveva nessuna fotografia, se l’era portate via tutte suo padre. Non aveva ancora affrontato l’argomento con nessuno, anche se l’unica con cui poteva davvero farlo era Grace.
Pensò al sogno che aveva fatto quella notte, si chiese se sua madre fosse sempre stata così premurosa con lei; si chiese se qualche volta non l’avesse schiaffeggiata o sgridata.
Ogni tanto vedeva delle ragazzine entrare in negozio, accompagnate dalla loro mamma e allora si chiedeva che cosa si provasse, ad avere una madre che si prende cura di te, che ti prepara da mangiare, che ti rimbocca le coperte e ti da il bacio della buonanotte.
Quando doveva piangere si rintanava sempre lì. Controllava che Grace fosse alla cassa e si chiudeva la porta alle spalle.
Di solito le lacrime arrivavano sempre, ma lei ormai ci aveva fatto l’abitudine, non la scalfivano più, non le importava più avere il viso caldo e appiccicoso e gli occhi che le facevano male, tanto erano rossi e gonfi.
Strinse il gambo verde del tulipano che aveva in mano, tanto che le nocche diventarono bianche ed il fiore si accartocciò piano.
Quando liberò la presa, il gambo era del tutto rovinato ed il fiore non si reggeva più dritto come prima.
Guardò l’arancione dei petali, mentre veniva illuminato dai raggi solari e si chiese come si fosse sentita sua madre a stare lì in mezzo, se avesse provato le sue stesse sensazioni oppure no.
Eppure a volte si sentiva irrimediabilmente legata a sua madre, ovunque lei fosse andata.
Una volta, se lo ricordava perfettamente, le avevano detto che sua madre era andata in un posto migliore, dove non avrebbe più sofferto e sarebbe stata felice per sempre.
Così lei, stropicciandosi gli occhi pieni di lacrime, aveva ingenuamente chiesto dove fosse questo posto e se ci potesse andare anche lei, perché voleva essere felice anche lei, come la sua mamma, e starle accanto per sempre.
Poi mano a mano che era cresciuta si era resa conto di quanto suonasse stupida ed infantile la scusa che le avevano tirato fuori.
-Ts, in un posto migliore!-esclamava ogni tanto fra sé e sé
-Mia madre è sotto terra!-
La rabbia le montava su ogni volta che pensava a tutto ciò che aveva perduto quando sua madre era morta: l’occasione di poterla conoscere meglio, di fare un sacco di cose insieme, di affrontare situazioni e discorsi tipici. Lo shopping, i ragazzi, la scuola … aveva sempre dovuto cavarsela da sola- almeno per quanto riguarda lo shopping e la scuola, perché di ragazzi in diciotto anni non ne aveva visto nemmeno l’ombra, ma lei non si lamentava mai. Non sognava il principe azzurro, non chiedeva l’amore vero, voleva solo poter riabbracciare la sua mamma.
Poi c’erano i giorni in cui le veniva voglia di rompere tutto, di prendere a pugni tutti, perché la vita con lei era stata così ingiusta.
Perché doveva essere capitato proprio a lei? Perché non a qualcun altro? Che cosa aveva fatto di male?
E poi, poi c’erano i giorni in cui le mancava e basta.
Quei giorni in cui non voleva fare altro che piangere e dormire, per poterla sognare, per poter immaginarsi fra le sue braccia.
Si sdraiava a letto e piangeva fino ad addormentarsi, stremata.
Spesso non si alzava nemmeno dal letto, lasciava Grace ad occuparsi dei clienti e di tutto il resto, o magari la convinceva a chiudere il negozio.
Lei non faceva domande, né si opponeva più di tanto, girava il cartellino, chiudeva la porta a chiave e se ne andava.
Le mancava così tanto che a volte pensava che non avrebbe resistito per molto, che non avrebbe potuto portare quel peso nel cuore per sempre.
Lasciò cadere il tulipano, che toccò il suolo con un leggero sbuffo.
Il gambo era accartocciato, sembrava quasi carta pesta appallottolata e i petali si erano abbandonati per terra, accasciandosi.
Guardò il fiore con rimorso e si girò dall’altra parte. Affondò il viso fra le ginocchia e lasciò che le lacrime l’attaccassero di nuovo.
Scesero in fretta, le rigarono le guance con velocità e lei poteva già sentire il viso appiccicoso.
Era quello che le dava più fastidio, sentire le guance appiccicose; sentire che, anche se si rilavava il viso più volte, non cambiava niente, rimaneva sempre quella brutta sensazione che la faceva sentire vulnerabile.
Si passò il dorso della mano sotto agli occhi e tirò su con il naso, poi si alzò in piedi.
Si lasciò scivolare alle spalle il ricordo di sua madre e si stropicciò gli occhi, mentre tornava alla porta del giardino.
Abbassò la maniglia della porta e, prima di richiudersela alle spalle, lanciò un’ultima occhiata al tulipano, che rimaneva lì, sulla terra, accartocciato.
Sbuffò e con un tonfo richiuse la porta.







Angolo Autrice.

Chiedo scusa per l'attesa, ma ho tante cose da scrivere ultimamente! :)
Comunque ... ecco a voi il terzo capitolo. So che vi starete tutte chiedendo: dov'è Nicholas? Quando arriva?
Ogni cosa a suo tempo ... purtroppo la storia è un pochino ingarbugliata, se mi passate il termine, per cui dovrete portare pazienza. Però vi assicuro che quando Nicholas Jonas farà la sua entrata in scena la farà con stile, questo ve lo prometto ;)
Detto questo ringrazio di cuore chi ha recensito e chi segue questa storia, non vi ringrazierò mai abbastanza! <3
Un abbraccio.

PS: Se vi piacciono le foto avete il mio permesso: potete prenderle ;)


-L.

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