Ti amo ancora

di Willy Wonka
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'incontro ***
Capitolo 2: *** Pioggia ***
Capitolo 3: *** As the day begins ***
Capitolo 4: *** Stai con me ***
Capitolo 5: *** Brian ***
Capitolo 6: *** Destino ***
Capitolo 7: *** Imbarazzo ***
Capitolo 8: *** Acqua fredda ***
Capitolo 9: *** Margherite ***



Capitolo 1
*** L'incontro ***



Era da... quanto? Circa un mese che si erano lasciati. Quella sera pioveva, se la ricordava bene. Quanto diavolo di tempo se ne era rimasto seduto sul letto a fissare le assi del pavimento?
“Mi dispiace” era tutto quello che era riuscito a dirgli prima di andarsene e lasciarlo definitivamente solo. Lo sapeva. Lo sapeva che sarebbe capitato prima o poi, lo sapeva che quella puttana dai capelli scuri lo avrebbe ucciso. Avrebbe distrutto entrambi. Solo che non credeva che lo avesse potuto fare davvero. John gli aveva sputato addosso giusto quelle tre o quattro frasi che si dicono quando si vuole lasciare qualcuno per sempre, ma cercando di non farlo soffrire troppo. Paul, forse è meglio se la chiudiamo qui, Paul lo sai che ci tengo a te, Paul non può andare avanti per sempre. E lui, in preda alle lacrime, gli aveva gridato addosso che se voleva andarsela a scopare poteva tranquillamente farlo, e che gli stava spezzando il cuore. L'ultima pugnalata fu quel “mi dispiace” uscito dalle sue labbra mentre gli accarezzava leggermente i capelli, poi aveva chiuso la porta piano e lo aveva lasciato piangere e singhiozzare in solitudine. Gli altri del gruppo sapevano cos'era successo, ma nessuno aveva avuto il coraggio di parlarne. Ma che erano preoccupati si vedeva lontano un miglio.
Per quasi due mesi avevano deciso di prendersi una pausa e di non incidere nulla, fino a quando John non capì che per il bene dei Beatles era meglio se si fossero rimboccati le maniche e avessero cominciato a creare qualcosa di buono. Così si diedero appuntamento agli Abby Studios, in modo di arrivare prima di Brian giusto per sistemare gli strumenti ed accordarsi sul da fare. Nessuno aveva più visto Paul per tutto quel tempo. Se ne stava sempre chiuso in casa, o quelle poche volte che usciva non voleva stare con nessuno. Da una parte erano tutti sollevati da quell'incontro. I primi ad arrivare furono George e John che si salutarono con una semplice pacca sulla spalla e con qualche battutina.
“Ehi John... come va?”
“Ah... beh... diciamo che va”
“H-ho saputo che tu e Yoko... hmm”
“...ci siamo lasciati, la scorsa settimana sì. Non funzionava”
“mi dispiace amico”
“Dai, pensiamo a suonare ora”
“E sarebbe ora!” si intromise Ringo con il suo solito sorrisone.
“che gentilezza!” lo rimproverò il chitarrista con una spinta.
Abbracciò John come se fosse un sopravvissuto da un naufragio in un isola deserta, poi gli scompigliò i capelli evitando i pugni che cercava di tirargli il cantante in modo da scrollarselo di dosso e sempre con l'aria felice cominciò a tormentarlo. “Johnny... stai bene?”
“Che fai Ringo, ti preoccupi?” chiese l'altro ridacchiando.
“Beh... sì, visto che è da più di un mese che non ti fai vivo!” John gli tirò un sorrisetto mentre George, come un falco, scrutava la situazione come se avesse la netta sensazione che stesse per succedere qualcosa di imbarazzante.
“E con Yoko? Sempre tutto ok?”
Ecco, appunto.
“Ci siamo lasciati una settimana fa” gli rispose l'altro con un sorriso falso e sbattendo le ciglia come una principessa.
“O-oh! Io n-non- perdonami...” cercò di riparare Ringo mentre George si sbatteva una mano sulla fronte. Era proprio Ringo Starr.
“però heyy!!! Non è la fine del mondo amico! E poi la vuoi sapere una cosa bellissimo? Per me e per George quella era una vera baldrac-”
“AHEM RINGO vieni con me cheaccordiamolachitarra”
“C-come? Ma George io-”
“Vieni con me ebbasta!” lo tirò per la giacca il più alto divenendo tutto rosso in faccia per la figuraccia. “Sei un cretino! Un cretino da medaglia d'oro!!!” gli sibilò sottovoce.
John se ne restò impalato con una smorfia fino a quando anche l'ultimo non arrivò. E avrebbe davvero voluto non voltarsi a guardarlo.
Paul Mccartney entrò dalla porta degli studio di registrazione, con degli occhiali da sole che gli nascondevano lo sguardo e una veste che gettò su una sedia lì accanto. “Salve a tutti” disse con un filo di voce, poi si tolse anche gli occhiali scuri e li posò sopra il cappotto.
“Ciao Paul...” fu l'unica cosa che riuscì a dire Ringo guardando i suoi occhi. Erano i suoi grandi e verdi occhi, ma non brillavano più come li aveva sempre visti tempo fa, sembravano velati di nebbia, come la rugiada che ricopre i fili d'erba la mattina. Erano tristi, spenti, svogliati. Ma la cosa che fece rabbrividire tutti era che erano circondati da scure occhiaie, come se non dormisse più da settimane. Il suo volto era pallido e sciupato, e George poté pure giurare che fosse dimagrito dall'ultima volta che lo aveva visto.
“Allora, cominciamo?” buttò lì il bassista.
Tutti erano troppo scossi per reagire subito, aveva un aspetto terribile e questa fu una vera pugnalata nel petto di John. Aveva avuto paura di reincontrarlo, temeva avesse cominciato a gridare e a prenderlo a calci, e invece... sembrava un cucciolo ferito che non aveva poi così tanta voglia di vivere. Non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.
Paul prese il suo basso ed iniziò ad accordarlo borbottando che era la prima volta che lo trovava così scordato. Aveva la testa bassa e tutta concentrata sul suo strumento, e Ringo gli si era avvicinato per cercare di dirgli qualcosa, quando si accorse che sulla vernice del basso stavano cadendo delle lacrime. Così fece la prima cosa che gli passò per la testa. Lo afferrò per un braccio in modo da fargli andare lo strumento e non ascoltò nemmeno le lamentele dell'amico. Lo trascinò dentro ad una specie di stanzino sotto agli occhi sbarrati di tutti. Quando voleva Ringo dimostrava una forza incredibile. Lo portò dentro chiudendo la porta e con il cuore che gli moriva vide Paul abbandonarsi e sedersi sul pavimento con le mani che gli nascondevano il volto. Sapeva che stava ancora piangendo, solo che voleva farsi vedere forte.
“Paul...” disse accarezzandogli una spalla “Paul... che cos'hai?”
Questo tirò un sospiro profondo, si pulì gli occhi con la manica della camicia ed osservò il batterista.
“io sono forte”
“Lo so che lo sei...”
“E' solo che non riesco proprio ad uscire da questa situazione sai Ringo?” non si accorse nemmeno che stava ricominciando a piangere.
“so che stai facendo il possibile” esclamò sedendosi vicino a lui “non sai quanto mi dispiace...”
“ricordo ancora che cosa mi ha detto” sussurrò piano.
“i-io... io non so se questo possa aiutare... ma... so che lui e Yoko non stanno più insieme...”
“Hah” rise sprezzante l'altro “non mi interessa per niente cosa diavolo faccia nella sua vita... voglio solo che esca dalla mia...”
“no che non lo vuoi”
Paul cercò di ribattere, ma sapeva che aveva ragione. E questo lo colpiva più di un colpo di pistola.
“Credo che dovremmo spostare questo incontro ad un altro giorno...”
“no Ringo è giusto...”
“No, lo dico agli altri. Se i Beatles devono suonare, allora lo devono fare alla grande! Cerca di riposarti, vai a casa e stenditi sul letto”
Il bassista si arrese e con un sorrisetto si alzò insieme a Ringo in modo da comunicare tutto agli altri.
“Hey Paul” concluse Ringo prima di uscire “ti voglio bene”
“Anch'io” gli rispose con un sorriso.
Quando uscirono, anche George fu della stessa idea di Ringo, mentre John non sapeva cosa dire esattamente. Stava piano piano morendo dentro, e non sapeva se piangere, se gridare o cos'altro.
Così tornarono tutti a casa, ognuno per la sua strada, anche se John tentò davvero di poter parlare a Paul. Ma non ci riuscì. I suoi occhi color Nutella lo seguirono andare via, solo, mentre annegava fra i suoi pensieri.





Ok ok non è esattamente una storia eccezionale, ma ho voluto provarci. E' la prima John/Paul che scrivo, ma ho voluto scrivere qualcosa anche su di loro perchè sono teneri proprio come la coppia George/Ringo. Non sarà una storia lunga, credo che si concluderà in due o tre capitoli al massimo.
Un abbraccio a tutti! <3



          
     


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Capitolo 2
*** Pioggia ***



John chiuse l'uscio di casa sua tremando, gettò le chiavi per terra e si appoggiò al divano non riuscendo più a custodire tutto quel turbinio di emozioni dentro di sé.


Anche Paul se ne era tornato a casa tutto solo e l'unica cosa che la sua mente riusciva a riflettere in quel momento era solo il volto del suo John. Aveva cercato di incrociare i suoi occhi il meno possibile quel pomeriggio, ma non ce l'aveva fatta. Accidenti! Aveva commesso il fatale errore di perdersi ancora qualche istante nel suo sguardo nocciola. Non stava bene nemmeno lui, pensò. Ma al diavolo!! Che gli importava? Doveva dimenticarlo, ecco cosa doveva fare! Ma era troppo fottutamente debole e innamorato! Innamorato come uno stupido! Si gettò sul letto con un tonfo e fra le lenzuola cominciò, come ogni sera, come ogni giorno, a piangere e a ripensare alla voce dell'uomo che amava dire che lo avrebbe lasciato per qualcun'altro più importante di lui.



John urlò, urlò tutto il suo dolore e la sua stupidità, gridò nel vuoto, si passò le mani fra i ciuffi di capelli ormai lunghi e mossi e stringendo con furia gli occhi sentì il cuore andargli a pezzi, andare in frantumi come cristallo. Si versò un bicchiere d'acqua e si sedette al tavolo della cucina cercando di calmarsi, ma più mandava giù sorsi freschi e più gli ritornava chiaro in testa lo sguardo di Mccartney di quella sera piovosa. Soffriva, soffriva come mai lo aveva visto. E la colpa, era solo sua. Piangeva, piangeva a causa sua. E scommetteva che lo stava facendo anche in quel momento. John si sentì ancora una volta dilaniare e con violenza sbatté il bicchiere contro il legno del tavolo, così ferocemente che il vetro si crepò ed andò a pezzi nel pugno serrato del cantante sofferente. John si coprì il viso con le mani scoppiando in un pianto a singhiozzi, stringendo i denti per la rabbia e per il disgusto che provava per sé stesso. Non gli importò nulla del fatto che dal taglio nel palmo della sua mano stava uscendo del sangue e che questo gli stava sporcando le guance.



Non posso continuare così, pensò Paul. Ma come poteva fare? Si rigirò fra le lenzuola fresche aspettando che la sera scendesse, non avendo la benché minima voglia di toccare cibo. Nemmeno quella sera. Fuori il cielo aveva iniziato a brontolare, segno che un tremendo acquazzone stava per arrivare. Gli mancava, Dio se gli mancava. Come poteva credere di continuare a vivere in pace se un cuore non ce l'aveva più? L' aveva dato a qualcun'altro che se lo era portato via. Quando pioveva loro due se ne stavano rannicchiati sul divano a fare a gara a chi avesse indovinato per primo quando sarebbe arrivato il tuono; se si concentrava poteva sentire ancora il suo profumo e la sua voce simpatica che gli riscaldava l'orecchio. Chiuse gli occhi, accompagnato da quei dolci pensieri e dall'odore salato della pioggia, e per qualche minuto riuscì a prendere sonno.


John nemmeno considerò l'idea di dormire. Voleva solo Paul, il suo Paul, e nient'altro. Pensò e ripensò a cosa poteva fare mentre fuori la pioggia cadeva sull'asfalto, e si malediceva una volta di più per essersi comportato in maniera così idiota. Ma doveva lottare per riaverlo, proprio come aveva fatto la prima volta. Già, la prima volta in cui si era innamorato di lui.



Ben presto l'orologio batté le undici e un quarto ed incredibilmente Paul sonnecchiava ancora. Evidentemente rivedere John non gli aveva fatto poi così male. Era rannicchiato sotto le coperte, respirando piano e stringendo appena il cuscino sotto la sua chioma scura. Sognava qualcosa che probabilmente non avrebbe ricordato.
Improvvisamente una sequenza di colpi lo fecero sussultare. Affondò la testa nel cuscino in modo da ignorare quel rumore assordante, ma niente, continuavano a bussare alla porta. Sbuffando scese dal letto e mezzo intontito si diresse fino al salotto appoggiandosi alle pareti per poi accorgersi che i colpi erano finiti. Finiti.
“Ma che mi prendono in giro???” pensò irritato. Però a quel punto valeva la pena dare una controllata fuori dallo spioncino, giusto per vedere se c'era qualcuno fuori dalla porta di casa. Sbirciò attraverso quel piccolo occhio di vetro, ma niente, vedeva solo la strada immersa nell'acquazzone ed un lampione che la illuminava appena appena. Prese una sgualcita giacca che teneva appesa in un attaccapanni a fianco della porta, se la strinse bene addosso ed afferrò la maniglia della porta. Gli bastò aprire l'uscio quei pochi centimetri che subito prese uno spavento terribile. Aveva abbassato lo sguardo per sbaglio, e meno male che lo aveva fatto!
Seduto a gambe incrociate sul gradino di casa sua, in mezzo alla pioggia, stava John. Sembrava un cane randagio in cerca del suo padrone. Appena gli aprì alzò la sua testa dai capelli tutti zuppi e si incantò a guardarlo, sgocciolando acqua dal mento e dalla punta del suo naso. Paul non sapeva che dire.
“Che cazzo ci fai lì???”
“Pauly aspetta non-” e proprio mentre il bassista stava per sbattergli la porta in faccia il cantante automaticamente tentò di fermare la porta con la mano, in modo da procurargli un urlo atroce e un male cane.
“Aaaaauh!!!!!”
“John- accidenti!!”
“Ah lascia lascia non fa niente” disse frettolosamente scuotendo la mano pulsante di dolore e sprizzando ansia da tutti i pori. Non si era preparato un vero e proprio discorso, né aveva riflettuto su quale probabile reazione avrebbe avuto Paul nel trovarlo davanti casa sua. “I-io n-non voglio farla troppo lunga sai” gli tremava la voce. Come poteva tremare di paura lui, John Lennon, il più forte del gruppo?
“S-so che non vuoi parlare con me” continuò alzandosi velocemente in piedi “m-ma dovevo venire...”
Paul continuava a non dire niente e ad osservarlo a bocca aperta. Non si sarebbe mai lontanamente immaginato che sarebbe venuto da lui e non sapeva se cacciarlo via, insultarlo o starlo a sentire. Alla fine la sua natura gentile optò inevitabilmente per l'ultima scelta.
“Oggi ti ho visto così a pezzi che-” a John morirono le parole in gola. Si spostò i ciuffi di capelli bagnati dal volto, deglutì e cercò tutta la forza possibile per proseguire. “so che non c'è modo in cui io possa chiederti perdono... ma... v-voglio dirti cosa faccio io quando sto tanto male” Gli occhi verdi di Paul lo guardarono ancora più perplessi. Ma avevano inspiegabilmente ricominciato a brillare. “leggo questo... funziona sai...”
Vide John frugare all'interno della sua giacca scura e bagnata, fino a quando non estrasse da una tasca interna un piccolo foglietto biancastro ripiegato più e più volte, leggermente rovinato in un angolino e con un pezzetto di scotch per prevenire uno strappo nella carta. John lo spiegò e rimase abbastanza deluso quando lo guardò. Fissò un attimo Paul, poi tornò al foglietto. “ecco vedi io... ho perso gli occhiali correndo fin qui, infatti sono più cieco di una talpa” accennò una risatina nervosa “però non importa, non è un problema, credo di saperlo a memoria oramai”.
Se lo avvicinò al volto ed aguzzò la vista quando poteva, ed iniziò a leggere delle parole di inchiostro nero. Paul si concentrò sul foglietto che tremava sempre di più nelle mani affusolate del cantante.
“Well, she's the gal in the red blue jeans, she's the queen of all the teens, she's the woman that I know, she's the woman that loves me so....be Bop A Lula she's my baby... be Bop A Lula I don't mean maybe... be Bop A Lula she's my baby doll, my baby doll, my baby doll...”
Il moro continuò a guardarlo, a perdersi nella sua figura impacciata e concentrata, ad osservare la sua figura offuscarsi dalle lacrime. Il respiro gli si fece corto, così come a John, e decise di stare ancora un po' zitto, anche se il suo sguardo parlava per lui.
“Sai... qui c'è tutto il testo...” esclamò piano rispostando i suoi occhi su Paul. Ebbe un tuffo al cuore quando vide i suoi occhi pieni di lacrime. Si accarezzò il mento con il pollice, chiuse gli occhi e con la massima concentrazione, come se tutto il mondo attorno a lui fosse sparito, si immerse nei ricordi prendendo una macchina del tempo e tornando a quell'afoso sabato del 6 Luglio 1957.
“sono su un piccolo palco davanti St. Peter a suonare Elvis inventando parole su parole... indosso un'ignobile camicia a quadri che tengo ancora vergognosamente in qualche cassetto...” rise a quell'idea “quando, mentre penso che quel caldo mi avrebbe ucciso, mi accorgo che su quel prato, in fondo, sta un ragazzo, alto, ordinato, dai lineamenti dolci, con in spalla la sua chitarra, che guarda il mio gruppo con occhi curiosi e un sorriso che lo illumina tutto...” John riaprì gli occhi e questa volta, senza più timore, li puntò fissi sull'uomo che amava. Con gesti teatrali, mentre la pioggia gli scorreva addosso, proseguì “più tardi, quando finiamo, Ivan me lo presenta: il ragazzo allunga la mano verso di me e me la stringe sicuro, e solo in quel momento noto i suoi grandi occhi verdi: Dio, sono la cosa più bella che abbia mai visto... scintillano e sembrano due smeraldi... ma non devo darlo a vedere, come potrei! Sono un duro dai capelli pieni di gel!” fece una pausa, concentrandosi ancor di più e riacquistando respiro.
“Posso farle sentire qualcosa? Mi chiede. “certo ragazzo basta che non mi dai più del lei!” con un sorriso prende la sua chitarra, alza la sua mano e swam! Comincia a comporre senza un minimo di errore Long Tall Sally di Little Richard e Twenty Flight Rock di Eddie Cochran. Sono pietrificato: sa accordi che nemmeno conosco e testi a memoria. Mentre fa scorrere le sue dita fra le corde, il suo sguardo è disteso, tranquillo, adorabile, e la sua voce riesce a farmi assaggiare il Paradiso. Gli dico che è a posto, perché sono geloso e so di trovarmi di fronte ad un grande leader. Poi, con mio grande stupore, prende un foglietto dalla tasca, chiede a Ivan una penna e comincia a scriverci sopra con attenzione. Quando finisce me lo porge, ed è questo. “Così non lo dimentichi” mi dice, e mi perdo ancora una volta a guardare il suo bel sorriso. Ma se l'avessi fissato ancora, poi si sarebbe spaventato e sarei passato per un maniaco, così mi concentro sul pezzo di carta, confidando che avrei potuto morire ancora nel suo volto osservandolo di sfuggita. Leggo tutto il testo ridendo fra me e me. Ma quando rialzo gli occhi pronto per lanciargli qualche bella frecciatina... non c'è più. Se ne sta uscendo dal locale, insieme ad Ivan, e posso vedere solo la sua schiena farsi sempre più piccola. Me lo ha portato via senza che io... io... potessi ammirare ancora il suo sorriso, e dipingerlo nella mia mente come un quadro. Sprofondare nei suoi occhi grandi...” John ebbe un singhiozzo, mentre Paul respirava piano lasciando che le lacrime calde gli solcassero le guance.
Se lo ricordava ancora. Si ricordava tutto. Le parole che si erano detti, quello che gli aveva suonato, tutto.
Quando cercò di continuare il suo monologo, i suoi occhi iniziarono a brillare di lacrime.
“... lo avevo fatto allontanare senza fare niente. Proprio come ho fatto ora...” e così non riuscì più a contenersi e cominciò a piangere anche lui tremando un po' per l'emozione un po' per il freddo.
“... ti amo Pauly...” gli uscì come se fosse la cosa più naturale del mondo. “ho sbagliato tutto...”
Il cielo grigio tuonò e si illuminò del bagliore di un lampo, lasciando che il filo di voce di Lennon fosse solo una piccola cosa in confronto a tutta quella potenza.
Un ultimo sguardo verso il suo tesoro che continuava a versare lacrime, e poi, con il cuore morente, si voltò per tornarsene a casa prendendo a calci la pioggia.











Grazie davvero tanto tanto a chi ha commentato il precedente capitolo, mi ha fatto un piacere immenso sapere che l'avete letto e che sia stato anche di vostro gradimento!^^ spero che anche questo capitolo possa piacervi (è un po' lunghetto lo so :S), un abbraccione a tutti! <3

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Capitolo 3
*** As the day begins ***




Quando John si svegliò quella mattina scoprì che si era addormentato sul divano, in una posizione contorta, con ancora i vestiti mezzi fradici addosso. Aprì gli occhi alla luce del mattino mezzo intontito, dentro di lui premeva ancora il desiderio di dormire un altro po', ma ormai era troppo tardi. Mise a fuoco per bene la situazione, si strofinò gli occhi e starnutì violentemente.
Oh no accidenti...” aveva una ridicola voce impastata di raffreddore. Tirò su con il naso alla ricerca di un fazzoletto quando improvvisamente gli ritornò in mente che i suoi occhiali erano ancora da qualche parte là fuori. “perfetto... ho la malora e non ci vedo pure un cazzo...” brontolò fra sé e sé girandosi su un fianco tutto indolenzito. Il divano scricchiolò appena sotto il suo corpo. Si passò una mano fra i capelli tutti scompigliati, quando si accorse di provare un calore alla guancia sinistra. Improvvisamente, come se un fulmine lo avesse attraversato per intero, ricordò tutto.
Deglutì e socchiuse i suoi occhi profondi e stanchi mentre il suo indice continuava a percorrere il viso che bruciava appena.
Analizzò mentalmente ogni secondo della notte precedente, ogni immagine, ogni suono, ogni sensazione, ogni respiro. Ogni parola. Ogni sguardo. Ogni silenzio.


Tutta quell'acqua che cadeva dal cielo gli si era insinuata ovunque, dentro i suoi vestiti, fra i suoi capelli, sul suo corpo. E' stata una cretinata, pensava fra sé e sé mentre piano piano si allontanava dalla casa di Paul. Non potrà credermi veramente. In più quel gesto non lo aveva di certo fatto sentire meglio, anzi, si era ritrovato a piangere tutta la sua anima quando invece si era riproposto di comportarsi in maniera matura e seria. E invece che aveva fatto? Si era presentato davanti a casa sua a ritirare fuori dal cassetto i tempi ormai andati, ed aveva piagnucolato che lo amava ancora. Però era quello che si sentiva di dirgli, la verità. Calpestò le piccole pozzanghere che punteggiavano il marciapiede con il cuore che sanguinava e non lo lasciava respirare. Il cielo oscuro tuonava e si ribellava, non lasciava spazio ai pensieri, si impossessava della notte e di tutta la sua eleganza. Ad un tratto i suoi piedi si fermarono. Rimase bloccato a metà strada sgranando gli occhi verso un punto impreciso dell'orizzonte. Il filo dei suoi ragionamenti era stato spezzato. John non capì se era stata solo la sua immaginazione o il rumore del vento che scuoteva le fronde degli alberi in un parco lì vicino, fatto sta che gli era parso di udire la voce di Paul.
John!!”
Questo si voltò di scatto cercando con gli occhi la sua figura quando si accorse che si stava avvicinando a lui non curante di tutto quel freddo e quella pioggia. Il cantante si spostò un po' giusto per poter vedere meglio il suo Paul lasciarsi illuminare dalla luce del lampione. Aveva un volto segnato dal dolore, continuava a piangere, le sopracciglia erano corrugate nell'espressione più triste e sofferente che avesse mai visto, come se un conflitto di sentimenti gli stesse esplodendo dentro. Respirava velocemente ma la sua voce tremava, oscillava proprio come la sua pochi istanti prima, Dio, l'unica cosa che avrebbe voluto fare era stringerlo fra le sue braccia e riscaldarlo, ma non poteva. Ebbe un brutto presentimento.
J-John...” la sua tonalità lo fece sussultare. Era diversa, terribilmente a lui estranea, come se fosse carica di qualcosa che in Mccartney non aveva mai riconosciuto. Le parole sgorgavano via dai suoi denti serrati dalla rabbia. “Tu... t-tu come puoi... dirmi... questo” gli occhi di John rispecchiarono la sua figura tremante, e fu esattamente in quel momento che capì che la sua più grande paura si stava avverando.
COME PUOI VENIRE DA ME E DIRMI QUESTO!” gli gridò con tutto il fiato che aveva serrando i pugni con violenza. Non gli concesse nemmeno il tempo per formulare una risposta. No, questa volta toccava a lui, dopo tantissimo tempo, riordinare i suoi pensieri e svuotare il sacco di emozioni che lo pressava. John rimase scioccato di fronte a quel grido straziante.
Hai appena detto che mi ami... MI AMI JOHN??? Mi amavi anche quando mi hai abbandonato per quella????? Mi amavi quando mi hai lasciato solo a piangere?? EH JOHN?? MI AMAVI QUANDO MI HAI DETTO CHE NON SAREBBE STATO POI COSI' DIFFICILE PER NESSUNO DEI DUE???” le lacrime scavavano il suo viso arrossato di furia, forse non riusciva nemmeno più ad avere un controllo su di sé. I suoi muscoli erano tesi mentre nella sua mente scorrevano ancora una volta le immagini di quella sera piovosa.
Hai idea di quanto ho sofferto??? Di quanto ho pianto pensando a te fra le braccia di...di-” strinse gli occhi singhiozzando “non passava attimo in cui non immaginavo voi due a scopare insieme, a sfiorarvi,a-... e quel tuo “mi dispiace”, che mi risuonava nelle orecchie ogni notte senza che io riuscissi ad addormentarmi...e tu ora vieni qui a dirmi che hai sbagliato tutto?? vi siete divertiti insieme eh? Mentre io morivo ogni giorno di più!! ” prese una pausa dando le spalle a quell'essere verso cui non sapeva più cosa provava. “Ti ho amato John, ti ho dato tutto ciò che avevo, quando ti baciavo era perché eri l'unica cosa per cui valeva vivere, ho perso la testa per te da quando ho sentito quel ragazzo dalla camicia a quadri cantare su quel palco, e io d-davvero credevo che tu... che t-tu davvero dicessi sul serio quando mi sussurravi ti amo...” si rigirò a guardarlo scoppiando in una risatina nervosa. “c-che stupido e-eh? Ti ho creduto... e ci stavo cascando anche adesso!!!!!!!!” urlò puntando l'indice verso il vento. Il suo corpo era scosso dal pianto, da quel pianto soffocante e terribile che gli bruciava le viscere fin dal giorno in cui aveva perso John dietro ad una porta. Si portò i pugni verso il viso coprendosi gli occhi verdi. In tutta quella debolezza sembrava un cucciolo. O un giocattolo rotto, scansato da tutti e lasciato in un angolo a prender polvere. I suoi gemiti si mescolavano con il fruscio del vento ed il ticchettio dell'acquazzone. “La cosa più buffa è che anch'io so a memoria qualcosa... le parole che mi hai detto quella sera... vorrei dimenticarle... ma non le dimentico” disse guardandolo dritto in volto.
John si sentì morire. Di fronte a quelle parole taglienti non si riuscirebbe nemmeno a descrivere ciò che provava. Che cosa gli aveva fatto, cosa aveva fatto all'uomo che amava davvero, che lo aveva accompagnato per tutta la vita, spesso anche in silenzio? Sembrò che solo in quel momento avesse compreso davvero cosa aveva provato in quei due mesi. E più lo guardava, più le sue emozioni si facevano confuse.
Paul...” sussurrò in maniera quasi impercettibile, avvicinandosi a lui ed allungando le braccia. Lo avrebbe stretto, lo avrebbe abbracciato per non farlo andare più via, perché potesse piangere il suo dolore fra le sue braccia, e avrebbero versato lacrime insieme, mentre i loro profumi si univano e i loro cuori battevano all'unisono.
Sfiorò il suo braccio in cerca di un contatto. Voleva solo stringerlo a sé, per fargli capire quanto disprezzo e odio provava per se stesso.
NON TOCCARMI!” al suo tocco Paul indietreggiò.
Ciò che fece più male a John fu che quel gesto non nasceva affatto dalla rabbia, ma dalla paura. Aveva paura di lui. Aveva paura di soffrire di nuovo.
I loro occhi si incrociarono. Una frazione di secondo e John sentì come una scheggia tagliargli la guancia. Si portò immediatamente la mano al volto pulsante fissandolo sconvolto, mentre l'altro ancora non si rendeva conto dello schiaffo che gli aveva appena dato. John si chinò leggermente in avanti, ma il dolore non proveniva tanto dalla guancia, ma dal suo Pauly che stava a poco a poco perdendo. Quello probabilmente significava un addio.
Il bassista si portò una mano alla bocca, scioccato, tentò di dire qualcosa, ma ciò che uscì dalla sua gola fu solo qualche suono strozzato. Le sue iridi era ferme e brillanti, piene di sofferenza ed inconsapevolezza. Indietreggiò ancora tremando come una foglia fino a quando non si voltò e corse in casa chiudendosi la porta alle spalle.
John non ebbe più nemmeno la forza di piangere. Alzò lo sguardo verso la porta di casa. Si sentì improvvisamente solo al mondo.


Quella mattina non aveva voglia di parlare con nessuno, tanto meno con se stesso. Si alzò dal divano come se fosse uno spettro e arrancò verso la cucina alla ricerca di qualcosa per l'influenza. Dopo qualche imprecazione lanciata di qua è di là perché non riusciva a trovare niente in quella fottutissima casa, così aveva detto, si preparò una tazza di caffè e si accese la radio che teneva sul tavolo. Morse un biscotto anche se non aveva fame, cambiò stazione della radio anche se non voleva ascoltare. Non sentiva niente.










E' un po' uno strazio ç_ç
Mi dispiace:
1- per le crisi di pianti che non finiscono mai
2- perché avevo detto che questa storia si sarebbe conclusa in due o tre capitoli e invece mi sa che ne avrò bisogno di un altro paio per terminare tutto XD
Paul mi fa tanta tenerezza ç^ç e anche John <3 e anche Freddie.

Devo fare assolutamente dei ringraziamenti, le vostre recensioni mi hanno praticamente colpito il cuore! (in senso positivo ovvio! <3):

a Silv_: awww ma se mi scrivi recensioni così io piango! çwç grazie, sei dolcissima come sempre! Non so davvero che dire, non credevo che questo capitolo potesse piacere così tanto! Ti ringrazio col cuore, sia perchè continui a leggere ciò che scrivo sia perchè recensisci! Grazie davvero! <3 (purtroppo anche questo capitolo è un po' malinconico, però spero che andando avanti i toni si facciano più allegri!)

a fra_mccartney: grazie mille per la tua bellissima recensione, sei tanto gentile e sono così contenta che ti piaccia il mio modo di scrivere :) sai io non scrivo moltissimo, e leggo anche poco (cosa di cui mi vergogno ahimé) un abbraccio grande e ancora grazie per leggere questa storia! <3


a StreetsOfLove: la tua recensione mi ha veramente stretto il cuore! Non volevo farti piangere ç_____ç *porge fazzoletto ti ringrazio tantissimo per il tuo tenero commento, non immagini neanche quanto sia felice che ti sia piaciuta questa storia e che tu l'abbia letta! Spero ti possa piacere anche questo ultimo capitolo, che ahimé è ancora un po' malinconico mi spiace ): un abbraccio grande e guarisci presto dal tuo raffreddore! <3
























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Capitolo 4
*** Stai con me ***



I tre giorni successivi passarono su Londra silenziosi e tranquilli, il cielo aveva deciso di cominciare a calmarsi e così, quello che era stato uno dei più violenti temporali della stagione, si inchinò e lasciò spazio ad un clima ben più primaverile. L'aria si fece tiepida e le nuvole candide cominciarono a dipingere un cielo che voleva apparire il più celeste possibile. Però sul tardi sembrava quasi che tutta quella pioggia avesse lavato via le nubi, infatti la notte buia si materializzava davanti agli occhi dei londinesi come un immenso telo scuro punteggiato da stelle brillanti. In tutta quella oscurità, se si aveva la fortuna di trovare un posto quieto e nascosto, si poteva tendere l'orecchio e sentire i grilli cantare mentre la brezza ti scompigliava appena i capelli sulla fronte. Era quello che amava fare Paul, disteso su una vecchia panchina vicino casa sua. Il silenzio per lui era la cosa migliore quando si trattava si sbrogliare un gomitolo di ansie e sentimenti turbolenti. E quella sembrava essere la notte giusta. Indirizzò i suoi occhi verso quel grande gruppo di stelle, finse di tracciare con un segno di matita delle linee che congiungessero quei punti di luce e così si ritrovò a guardare triangoli e lettere immaginarie. A Liverpool non gli era mai capitato di vedere notti come quelle, per questo le adorava, sebbene non fosse più un ragazzino. Sul suo sguardo infantile si riflesse la luce di quel disco argenteo, completamente pieno, che dominava dritto sopra la sua figura. Iniziò a pensare che in realtà le stelle altro non erano che le lacrime di una Luna che non aveva mai la possibilità di vedere il proprio Sole. Sul suo volto si allargò un sorriso. Era proprio uno sdolcinato romanticone pensò scuotendo appena la testa appoggiata alle sue braccia conserte. E John Lennon gli diede ragione.
Sei proprio un cazzo di liverpooliano dal cuore tenero...” gli disse osservandolo con un espressione dolce. Paul lo guardò sorridendo, non poteva farci niente. Sentì il legno della panchina scricchiolare appena quando John si sedette comodamente sullo schienale appoggiando i piedi sul sedile in cui era incastrata qualche foglia secca. Il bassista spostò un po' le gambe incrociate per fargli spazio. Continuarono a rispecchiarsi ciascuno negli occhi dell'altro.
John inclinò leggermente la testa e sorrise a sua volta, un sorriso dolce, sincero.
Non te l'ho mai detto” esclamò piano.
Cosa?” chiese Paul incuriosito.
Che sei meravigliosamente bello” percorse la sua figura sdraiata con le sue iridi profonde “e che ti bacierei fino a farmi mancare il fiato quando arrossisci, proprio come stai facendo adesso”
Il suo cuore fece una capriola.
Ecco... finalmente...” sussurrò con dolcezza. John lo scrutò perplesso. “è tornato il mio John...” finì morendo nei suoi occhi.
Pauly” lo vide farsi sempre più vicino al suo volto “ti amo” scese dallo schienale per curvarsi completamente verso di lui. Le labbra dell'altro furono accarezzate dal suo respiro.
Appoggiò la sua fronte alla propria, per poi dissolversi nell'aria mentre Paul sospirava, con gli occhi chiusi, un “vorrei che tu non fossi solo un sogno...”.
Li riaprì, e tornò a fissare il cielo. Sebbene durante quei giorni avesse tentato in ogni modo di convincere se stesso che si era comportato bene, non riusciva a non pensare a lui, a cosa stava riflettendo la sua mente, a quello che probabilmente stava facendo in quel momento. Chissà, magari l'unica luce che potevano vedere era la Luna.
Lo amava tremendamente e non poteva nasconderlo. Lo rivoleva, in realtà lo aveva perdonato fin da quando lo aveva visto seduto sullo scalino di casa sua. Era forse un segno evidente della sua debolezza? Forse sì, ma non gli importava. Che senso aveva vivere una vita nella paura di soffrire di nuovo? La verità, che volesse accettarla oppure no, era che senza di lui si sentiva vuoto. No, finchè sarà con lui, non avrà paura. Non verserà più una lacrima.
Improvvisamente il senso di colpa cominciò ad annientarlo, non avrebbe voluto trattarlo così, tantomeno dargli uno schiaffo. Avrà pensato di tutto. Non meritava di sentirsi urlare addosso tutte quelle cose, ma ormai ciò era stato fatto e non poteva di certo tornare indietro e cambiare le cose. Pensò allora che tutti hanno diritto ad un recupero, a cercare di sistemare i pezzi. E se lo avesse voluto picchiare, tanto meglio, era la vera cosa che credeva di dover ricevere. Avrebbe stretto gli occhi e ritto come un chiodo avrebbe sentito il pugno di John arrivargli come un missile in faccia. E non si sarebbe arrabbiato, anzi, lo avrebbe quasi ringraziato. Ma come poteva presentarsi davanti casa sua? Che gli avrebbe detto, ciao scusami per tutto non è vero che non ti amo? Avrebbe potuto cercare un pretesto, ma come?
Ehilà Johnny sai sono venuto ad annaffiarti le piante, ah comunque torniamo insieme?” pensò a voce alta “sarebbe la cosa più ridicola a questo mondo!”
Decise infine di alzarsi dalla panchina, si stiracchiò i muscoli e piano si diresse verso casa sua, che stava a pochi metri da lì. Forse non ci sarebbe mai riuscito a riconquistarlo.

Seguì il filo dei suoi pensieri fissandosi la punta delle scarpe proprio come fanno gli adolescenti, quando all'improvviso vide un bagliore lì vicino sul marciapiede. Sbatté le palpebre insicuro se fosse stata solo una sua immaginazione, ma quel luccichio lo vide ancora. Si avvicinò verso di esso e si chinò per poterlo afferrare. Non era un pezzo di vetro.












Rieccomi qui, con un altro capitolo in cui, per la gioia di tutti, grazie al cielo non è più fatto di pianti :) Sono tornata da una meravigliosa, direi addirittura troppo, settimana a Parigi, la città dell'amore e dell'eleganza. Che posto delizioso ragazzi, davvero. Ed è proprio in questo angolo di Paradiso che ho trovato qualcosa che mi ha colpita, mi è sembrata una cosa carina e l'ho voluta immortalare. Ma siccome sono ignorantissima con queste cose e non so nemmeno pubblicare un'immagine qui su EFP, ve la linko qui: http://cioccocremolatowonka.deviantart.com/#/d4snuyf
Che dire, un bacio a chi ancora segue questa storia che pian pianino si avvia al capitolo finale. Siete solo voi, con le vostre recensioni, che mi date la voglia di continuare a scrivere. Grazie di cuore <3


A Silv_: Aaah adoro i tuoi commenti! Mi fanno sentire quasi speciale :) Anche io sono del parere che John un bel ceffone se lo sia meritato, ora vedremo che succederà fra quei due! Nessuno spoiler mi spiace! Un bacio grande! <3


A StreetsOfLove: Mi rende davvero tanto felice che continui a piacerti la storia, ma non voglio farti piangere! ); Ti ringrazio per tutti i complimenti che mi fai, non sono una grande scrittrice, ma cerco comunque di buttar giù, il meglio che posso, le scene che passano nella mia mente. Oddio spero di non arrivare a mille capitoli, ma meglio se non sparo più cifre che poi non riesco a rispettare! :D un besos! <3


A malandrini_xs: Ma salve a lei!!! Sono molto felice che sia capitata anche in questa storiella, e non dica più che le sue recensioni sono sceme che non è affatto vero u_u Sono contenta anche che i capitoli ti piacciano, ora non so esattamente in quanti capitoli riuscirò a finirla, ma fortunatamente la storia ce l'ho ben organizzata nella mia testa :) Spero che il racconto continui ad essere di tuo gradimento! <3


A Lemon: Noooo il senso di colpa!!! XD Sono onorata di avere il tuo appoggio, io sono una neo-appassionata dei Beatles e di cose ne ho ancora da scoprire!!! Cercherò di aggiornare appena la scuola mi lascia respiro, per ora spero che anche questo capitolo possa piacerti! Besos! <3


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Capitolo 5
*** Brian ***


Lennon sei un brutto coglione!”

John si appoggiò allo stipite della porta con una smorfia schifata.
...Dao Brian... ancora non riesco a capire perché continuo ad abrirti...”
“Ma che razza di voce hai???”
“la bia perché...?”
“Oh porca puttana Lennon! Non vorrai mica dirmi che ti sei ammalato vero?”
“Beh se 37 e bezzo è sentirsi bene... allora sto bene”

Tu e la tua testaccia!” sbuffò Brian entrando in casa sua senza nemmeno chiedere il permesso. Faceva sempre così. Quel tardo pomeriggio aveva suonato a casa sua furioso come una iena, e John subito si era pentito di avergli aperto. Seguiva le sue parole mordicchiando un biscotto e con il cranio che cominciava a pulsargli per il mal di testa. “Ti rendi conto che sono più di due mesi che i Beatles non incidono una canzone?? Nemmeno uno straccio di demo, o uno spartito o un testo scritto su un tovagliolo! Niente di niente! Ma che mi volete morto voialtri?”
Eddai Brian... senti ho paura di avere ancora un po' di febbre quindi sei pregato di andartene da-”
“No no no mio caro!” lo fermò immediatamente il manager “tu te ne andrai! E sai dove? Agli studio di registrazione!!!”
“Ma Brian!!”

Insieme al resto della combriccola!”
“Aaah ma non ne ho voglia! Dessuno ne ha voglia!”

Allora Lennon non hai capito” disse minaccioso facendosi più vicino “è un ordine!”
“Ah fanculo...”
“Ti adoro anch'io Johnny caro! Allora facciamo per le otto di domani mattina?”
“Le oddo????? Ba-”
“Sapevo saresti stato d'accordo! Tranquillo, ti levo pure il peso di avvisare gli altri, faccio tutto io!”
“E ci mancherebbe!”

Sii puntuale intesi?”
John gli rispose con uno starnuto. Tirò su col naso e lo fissò di sottecchi. “Brian sei proprio un-”

Risparmia le tue perle per le canzoni” lo zittì l'altro dandogli una pacca sulla spalla.
E poi una bella scossa è l'ideale per tutti, con tu che non ti fai più vivo e Paul che sembra uno spettro...” A quel nome John rabbrividì.
Non preoccuparti John, andrà bene fra voi due” disse l'altro più serio.
“M-ma tu come fai a sapere...”
“Cazzo Lennon sono il manager! Io so sempre tutto! Bene, ora tolgo il disturbo, ma prima...” e concluse la frase rubando il biscotto che aveva in mano il cantante e mangiandoselo sotto le imprecazioni dell'altro.

In quei giorni John non si era nemmeno preso la briga di cercare gli occhiali persi, ed aveva praticamente barcollato in casa fra oggetti e mobili che gli apparivano sempre più un miscuglio di colori confusi. “Ci bancava anche quel suino” pensò ad alta voce buttandosi sul divano. Sbuffò sonoramente stringendo un cuscino, ed iniziò a ragionare sul fatto di presentarsi oppure no all'appuntamento stabilito. Dopotutto non aveva detto che ci sarebbe andato. Si girò su un fianco a fissare un punto qualsiasi davanti a sé, mentre il suo viso veniva colpito dai raggi di luce che penetravano dal vetro della finestra.
Erano passati quasi cinque giorni da quella litigata e lui li aveva spesi alla bene e meglio tentando di scacciare sia la brutta influenza che si era preso sia le immagini di Paul urlante e piangente che cominciavano ad apparirgli persino in sogno. Non capiva nemmeno se si sentiva arrabbiato con lui. Dopotutto aveva avuto più che ragione, anche a tirargli quello schiaffo. Ma la cosa che non poteva concepire era il fatto che provasse paura di lui. Nemmeno odio o disgusto, ma terrore. Questo lo faceva sentire peggio che un mostro. Come poteva pensare che gli avrebbe potuto fare del male? Certo che avrebbe potuto, rifletté, visto che già lo aveva fatto. Si rabbuiò improvvisamente ed iniziò a guardare il tempo scorrere fuori dalla finestra. Ancora meditava se andare o no al ritrovo di domani. Poteva inventarsi una scusa ed evitare di rivedere Paul almeno per un giorno ancora. Ma no che diamine, mica era un codardo! Doveva andare ed affrontare quella che era la realtà, così, se non potevano essere nuovamente due amanti, pensò John, almeno potevano ritornare ad essere amici. E questo divenne il suo obiettivo, sebbene lo amasse ancora con tutto il suo cuore.




Paul aveva ricevuto da pochi minuti l'avviso di Brian e se ne stava seduto in poltrona a meditare sul da farsi. Giocherellava nervoso con un angolo della coperta mentre una morsa sembrava quasi stringergli la bocca dello stomaco. Domani lo avrebbe rivisto, dopo cinque pesanti giorni, avrebbe rivisto il suo volto ed avrebbe riascoltato la sua voce adorabile. Era la sua occasione, il momento per riprovarci. Ma più pensava a come potesse riaverlo dopo quella brutta sfuriata che gli aveva lanciato, più si autoconvinceva che sarebbe stato inutile. Conosceva fin troppo bene Lennon, era un cocciuto. E se si era arrabbiato, come certamente immaginava, allora i suoi sforzi sarebbero stati inutili. Dopo il primo tentativo di rappacificazione, gli avrebbe sicuramente tirato un destro in pieno volto. Ma come dargli torto??? Affondò i suoi denti nella coperta come un cane rabbioso, e si sentì improvvisamente un bambino di cinque anni. Sbuffò e si passò una mano fra i capelli scuri. Prese il libro che aveva precedentemente abbandonato sulle sue ginocchia e lo aprì, circa verso metà. Era evidente che ciò che gli interessava non era tanto continuare a leggere le pagine, quanto fermarsi a guardare il suo vecchio segnalibro. Lo prese e si mise a sorridere. Era una foto in bianco e nero leggermente stropicciata a cui mancava un angolino; c'erano loro quattro belli stretti in modo da rientrare nell'obiettivo. C'era Ringo con le bacchette in mano, sorridente come sempre e con un'aria amabilmente infantile sul volto, poi c'era Harrison, con uno sguardo più contenuto, quasi timido, ma molto dolce e elegante. Accanto a lui, a fare l'occhiolino, c'era lui stesso, affabile come di suo solito. Infine stava lui, Lennon, con in mano la sua chitarra: i suoi capelli corti erano perfettamente ordinati e circondavano il volto illuminato da un riso: i suoi occhi parevano brillare di divertimento e le sue sopracciglia appena marcate esprimevano gioia. Si fermò a guardare tutto di lui, il suo collo, il suo mento, le sue guance, le sue labbra sottili, il suo naso dritto, il suo sguardo, la sua fronte... Scorse la sua figura con l'indice, come se avesse la sensazione di poterlo accarezzare. Lennon, John Lennon. Per un uomo così vale la pena di farsi prendere a pugni.
Richiuse il romanzo e lo lasciò da parte mentre nella sua testa rifletteva su cosa avrebbe potuto dirgli l'indomani in modo da potersi riavvicinare a lui. Almeno avrebbe sperato di riallacciare la loro amicizia, che era già un gran passo. Ma ancora una volta le sue aspirazioni furono bloccate dalla sua timidezza. Anche se si fosse preparato un discorso, e se lo fosse letto e riletto per tutta la notte, era certo che quando si sarebbe trovato davanti a lui avrebbe cominciato a balbettare come uno stupido e avrebbe resettato tutto nella sua mente. Ma non poteva nemmeno sputargli addosso due frasette banali, giusto per ritornare amici come ai vecchi tempi. Era un bel problema pensò. Ma una cosa era sicura: Mccartney non era tipo da farsi abbattere così facilmente.
Improvvisamente, un'illuminazione: la soluzione gli attraversò la mente come un lampo.
Una lettera” pensò a voce alta “devo scrivergli qualcosa”. Così si precipitò a prendere carta e penna, un foglio qualsiasi, non era quello l'importante. Si sedette sul tavolo con quell'universo bianco davanti agli occhi, iniziò a picchiettare il tavolo con la penna, ne mordicchiò il tappo, si guardò attorno alla ricerca di un'ispirazione, ma niente, sapeva che c'era qualcosa che non andava. Quelle quattro mura erano troppo strette per tutti i sentimenti che doveva buttare giù, quell'atmosfera era troppo soffocante per lui. Così non vide altra alternativa che uscire fuori, all'aria fresca di quel tardo pomeriggio, seduto sulla sua solita panchina vicino al parco. Finalmente, sì finalmente riusciva a far uscire dalla punta di quella penna tutto ciò che non riusciva a dire con la voce.


Questo capitolo è un po' lungo, scusatemi, spero non vi abbia annoiato! Grazie per tutte le vostre recensioni, siete fantastiche! <3

A malandrini_xs: l'effetto che volevo creare era proprio quello! :) Paul e i suoi viaggi mentali! <3 Grazie per continuare a leggere le mie storie! Per quanto riguarda gli occhiali di John, beh, scopriremo tutto più avanti! Alla prossima! Besos! <3
A Silv_: Davvero controllavi ogni giorno? XD ma così mi lusinghi! <3 <3 <3 ho cercato di aggiornare prima che ho potuto! :) Besos e spero che anche questo capitolo ti piaccia! <3
A fra_mccartney: Ti ringrazio tantissimo per i complimenti! Sei molto gentile, Parigi è davvero una città splendida! <3 Un besos! <3
A StreetsOfLove: Mah se erano gli occhiali di John lo scopriremo più avanti! :) Grazie mille per i tuoi complimenti, mi fa davvero piacere che ti piaccia il mio modo di scrivere! Spero di ricevere presto una tua recensione! Besos! <3

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Capitolo 6
*** Destino ***



Paul...
Paul...
Ehi Paul...

Mmnnh?”
Svegliati pigrone!”
C-come...”
Paul con un sobbalzo ritornò alla realtà. Si stropicciò gli occhi con uno sbadiglio ed alzò piano piano la sua testa spettinata da quella che era una dura cassapanca. Sgranò lo sguardo pieno di sonno di fronte a un George Harrison che lo fissava affettuoso.
ti sei addormentato sulla panca. Io e Ringo siamo arrivati da pochi minuti, e ti abbiamo trovato qui”
o-oh...” Paul era davvero intontito, ma secondo dopo secondo riuscì a mettere insieme tutti i tasselli. Era giunto agli Studios prima di tutti gli altri, verso le sette circa, ma si era dovuto svegliare alle sei per... svolgere una commissione urgente.
Solo che dopo aver fatto tutto quello che la sua mente aveva architettato, proprio non aveva resistito a quella panca, così, sdraiatosi per quelli che dovevano essere un paio di minuti, le palpebre gli si erano fatte sempre più pesanti, la vista gli si era offuscata, i pensieri erano divenuti confusi, fino a quando il sonno non lo aveva rapito definitivamente.
...Hai fatto le ore piccole ieri sera eh?” scherzò George sedendosi lì vicino con in mano la sua chitarra. “Comunque sta tranquillo, John non si è ancora fatto vivo”
Improvvisamente a Paul gli si strinse lo stomaco e fu martoriato da un'ondata di ansie e brutti pensieri. E se non fosse venuto? Magari non voleva proprio vederlo, magari era ancora arrabbiato, magari... magari non lo avrebbe più visto. Si morse il labbro inferiore e agli occhi del mondo sembrò un bambino, un bimbo dai grandi occhioni verdi, che si tormentava l'animo con una costellazione di paranoie. Sbuffò ed iniziò a girovagare per la stanza, fino a quando, proprio nel momento in cui stava per abbandonare ogni speranza, ecco che la porta si aprì ed un uomo magro e dalle mani affusolate entrò guardando tutti con la bocca spalancata.
Ma che diavolo ci fate tutti qui????!!!”
'Giorno John”
“Ciao John, sono le otto e trentacinque, il tuo orologio si è fermato di nuovo” rispose asciutto il chitarrista, come se conoscesse quel tipo come le sue tasche.
John diede un'occhiata al suo orologio da polso, lo scrollò e lo ricontrollò di nuovo con una smorfia.
Sì sì però non ditelo a Brian...” borbottò fra sé e sé.
Dirmi cosa?!” sbottò il manager comparendogli davanti.
oh cazzo...” strinse fra i denti Lennon.
Ancora una volta in ritardo!”
“Non è colpa mia Brian caro, è il mondo che ha smesso di girare per trentacinque minuti!”
“Una di queste volte Lennon...” ribatté con tono di sfida “e levati quegli occhiali tondi che mi fai paura!”
Il cantante sbuffò e si tolse occhiali e cappotto gettandoli in un angolo polveroso, si voltò verso Brian e lo guardò malissimo.
Bene, è meglio che cominciate a scrivere qualcosa! Io ora devo andare... George, ti prego, tieni d'occhio il signor “fermate-il-mondo-voglio-scendere”
George scoppiò a ridere, lasciando che Brian scomparisse dietro una porta bianca.
Lennon sbuffò ancora e si appoggiò ad un vecchio tavolo dove solevano sistemare i testi delle canzoni. “Allora ragazzi sentitemi bene... io non ho scritto proprio un cazzo in questi giorni...”
“Io nemmeno” rispose George.
Paul?” chiese Ringo speranzoso.
Il bassista gli rispose scuotendo la testa in segno di disapprovazione.
Benissimo, siamo fregati!”
Brian ci ucc- ehi ma...” si bloccò improvvisamente Lennon posando lo sguardo alla sua sinistra. Su quel tavolo stavano un enorme mazzo di margherite bianche, con degli steli sottili e perfetti, con accanto una busta ed un bicchiere di caffè di quelli da portar via. Guardò gli altri in tono interrogatorio.
“Ah quelli Lennon... quando io e Ringo siamo arrivati c'erano già, ma c'è un bigliettino con scritto “Per John”, quindi suppongo siano per te...”
Sono le tue fans scatenate Johnny!” esclamò Ringo illuminandosi di un sorriso “e deciditi ad uscire con una di loro ogni tanto, no?!”
“Io non esco proprio con nessuno...” si lamentò osservando i fiori e prendendo in mano la piccola busta di carta antica. “come siano riusciti ad arrivare fin qui poi...” si rigirò fra le mani quella busta, indeciso se scoprirne i segreti oppure rimanere allo scuro.
Nel frattempo, George, di nascosto, stava scrutando Paul. Quel timido, arrossato Paul, che non guardava in faccia nessuno, che giocherellava con le corde del suo basso in cerca di una distrazione. Quelle quattro corde che non bastavano per la sua agitazione. E George, come se un fulmine lo avesse attraversato per intero, capì tutto.
John, forse dovresti aprirla” disse senza distogliere i suoi occhi da Paul. Quest'ultimo avvertì il suo sguardo con un brivido, e con quelle sue pupille profonde lo pregò di stare zitto, di non aumentare ancora di più la sua vergogna. “forse è importante”.
George, con la sua immensità d'animo, capì il piano del suo amico: non poteva sapere che cosa c'era scritto in quella lettera, che cosa era celato dietro quel meraviglioso mazzo di margherite e quel bicchiere di caffè, però sapeva bene che stava affidando tutto al caso: sarebbe stato il destino a decidere. Se John avesse deciso di aprire la lettera e leggerla, allora avrebbe avuto ancora una possibilità, avrebbe potuto sperare; invece, se l'avesse rifiutata, allora sarebbe stata la fine e sarebbero ritornati almeno amici. Ma in quest'ultimo, triste caso, lui non si sarebbe distrutto, avrebbe cercato quanto poteva di accettare la cosa con il sorriso, perché era giusto così. Ma Dio se desiderava che potesse aprirla, e scorrere i suoi occhi fra quelle righe d'inchiostro.
Bah, sono le solite ragazzine...” concluse il cantante con il biglietto in mano “... però i fiori sono belli... forse...” lanciò un'altra occhiata alla busta.
I pensieri caotici di Paul, che faceva finta di niente, furono interrotti dal rumore della carta che veniva spezzata. Alzò di scatto gli occhi verso Lennon.
coraggio, non perdiamo altro tempo” tagliò corto gettando i pezzi della lettera nel cestino lì vicino “è la volta buona che Brian ci uccide sul serio”.
George si rivolse di nuovo a Paul, allo sconvolto Paul con gli occhi lucidi: quest'ultimo lo guardò a sua volta, tirando un piccolo sorriso: sembrava dirgli, “è andata così”.




Quanto, quanto tempo che non pubblico più!!!!!! Quasi un mese D: E' tutta colpa del mio pc che ha deciso di rompersi, ma ora fortunatamente è bello che riparato :)
Mi scuso con tutti per il ritardo, spero che stiate seguendo ancora questa storia, e ancor di più spero che anche questo capitolo vi piaccia! Un abbraccio a everybody!

A  Silv_:  Perdona la lunga attesa! Spero tu possa continuare ancora a seguire la storia! :)  un besos! <3

A malandrini_xs: Non è affatto stupida, anzi hai pienamente ragione! In effetti ho commesso un errore, volevo dire che il suo sguardo esprimeva gioia :) ho sbagliato termine X3 un besos! <3

A StreetsOfLove: sono felice che ti sia piaciuto lo scorso capitolo! :) purtroppo ho aggiornato molto tardi, ma spero tu possa continuare a seguirmi! besos! <3

A Lemon:  ho paura che Yoko non tornerà :D beh, ci avviamo piano piano alla fine della storia, vedremo quanti capitoli ne salteranno fuori! besos! <3



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Capitolo 7
*** Imbarazzo ***



Bene bene bene” proseguì Lennon prendendo in mano la sua chitarra. Se solo avesse saputo quale occasione aveva appena fatto a pezzi.
Paul, che aveva smesso di perdersi a fissare quel cestino, si fece improvvisamente preoccupato.
Mi dispiace tanto...” gli disse sottovoce George con una mano accanto alla bocca, in modo che John non potesse sentirli.
Lui si voltò verso il suo amico e lo accolse con un sorriso. Avrebbe tanto voluto dargli un abbraccio.
C'è una cosa però che non riesco a capire...”
“Perché John è così scemo?”

No quello lo so già... è che... stamattina io vicino al caffè avevo messo anche una brioches, me lo ricordo bene...”
... io non l'ho vista...” sussurrò George pensoso.
Dietro di loro, un Ringo Starr sconvolto li fissava con gli occhi spalancati. Paul se ne accorse.
Ringoooo..... non è che per caso hai visto una brioches vicino al tavolo... stamattina presto... quando sei arrivato qui...”
“no” rispose secco e in maniera così poco credibile.

sei siiiicuro Richard?”
L'altro prese a sudare cercando più che poteva di sostenere il suo sguardo.
mi dispiace Paul avevo una fame tremenda e quella brioches era così calda e profumata!!!”
“aaah accidenti Ringo!”

ma è stata lei a dirmi di mangiarla! E io che ne sapevo!”
Dopo facciamo i conti!” strinse fra i denti George dandogli una spinta.
Ohi che diavolo avete da bisbigliare?” li interruppe Lennon mentre beveva il suo caffè. Era ovviamente tiepido, ma davvero buono. Scendeva giù per la gola e lo risvegliava a poco a poco. E poi lui adorava l'odore del caffè, specie la mattina presto.
oh nulla nulla” esclamò il chitarrista alzandosi dalla panca e andando a sistemare una pila di fogli mezzi stropicciati.
Dopo ancora qualche minuto di pausa, finalmente iniziarono a buttare giù qualche idea, lavorando soprattutto su un vecchio progetto che inizialmente Lennon aveva scartato.
Passò un'ora buona e il lavoro era ridotto ancora solo a qualche frase buttata là e a degli accordi che convincevano poco, ma ben presto a Paul, che se ne era rimasto zitto e in disparte, venne un'idea geniale.
Aspettate mi è venuto in mente un verso! Carta carta! Mi serve dove scrivere!” e cominciò a saltellare di qua e di là gridando carta! Carta! Fino a quando qualcuno non si prese la briga di portargliela. Afferrò al volo il foglio e si appoggiò al tavolo buttando giù fiumi di lettere come un forsennato. Tagliò qualcosa brontolando fra sé e sé lasciando che la penna continuasse a graffiare frenetica. Aveva un'aria molto soddisfatta mentre scriveva, anche se gli altri ancora non sapevano quali parole gli fossero venute in mente.
Il bassista si concentrò unicamente sui suoi pensieri, e piano piano, lasciandosi trasportare dalla sua creatività, da quella che era una semplice frase ne uscì quasi un' intera strofa. D'un tratto, quando sentì arrivare un calore alla spalla destra, sussultò come se avesse ricevuto una scarica elettrica. La punta della penna si staccò dal foglio, incapace di scorrere come faceva pochi istanti prima. Le sue narici furono piacevolmente invase da un leggero profumo che è difficile descrivere.
Sì, mi piace” furono le uniche parole che Lennon gli disse. Lui, che gli si era avvicinato da dietro per sbirciare sul suo foglio e che aveva il volto a pochi centimetri dal suo collo, di cui poteva percepire la pelle fresca. Paul, involontariamente, arrossì sentendo la sua presenza così vicina. John pota giurare di sentirlo tremare appena.
Il bassista non aveva nemmeno il coraggio di voltarsi, o rispondergli, o fare qualsiasi altra cosa che non fosse fissare quel foglio scarabocchiato in preda all'imbarazzo più totale.
Poi, dolcemente, Lennon prese a canticchiare quelle parole d'inchiostro, con un ritmo che aveva appena inventato ma che si adattava perfettamente a quella strofa, ed in qualche istante l'aria divenne musica. La sua voce sussurrata così calda ed irresistibile entrò nell'orecchio dell'amico, che ancora non riusciva a muoversi o pensare. Le sue guance erano oramai diventate color porpora. Sì, sarà abbastanza difficile tornare ad essere semplicemente amici.
peccato che non riesca a vedere proprio tutte le parole che hai scritto” continuò il cantante sforzando quanto poteva la sua vista offuscata.
Così un pensiero rischiarò la mente dell'altro come una scintilla, esattamente come quella che aveva visto l'altra sera per terra.
a-ah J-John dimenticavo...” disse dirigendosi verso il suo cappotto. Frugò dentro la tasca e ne tirò fuori qualcosa.
Li ho trovati qualche sera fa davanti casa...”
...i miei occhiali...ti ringrazio” sussurrò fra sé e sé Lennon prendendoli dalla mano di Paul, che teneva costantemente lo sguardo fisso a terra. Gli sfiorò appena il palmo con le dita facendolo sussultare ancora una volta. Quello fu il loro primo contatto dopo quella che sembrava un'eternità.
Così John Lennon inforcò i suoi amati occhiali da vista, e finalmente poté vederci chiaro.





Salve a  tutti! Ancora una volta, perdonate il ritardo (la quinta superiore è dura X_X). Che dire, spero che anche questo pezzo vi possa piacere, un bacio a tutte quelle a cui piace e che ancora seguono questa storia!  E anche a Freddie mon amour (prima o poi dovrò decidermi di scrivere qualcosa anche su di lui!!!
Ultima cosa: vorrei chiedervi un favore, spero possiate aiutarmi! X) E' più una curiosità che vorrei sciogliere: so che il secondo nome di John Lennon è Winston, in onore dell'allora primo ministro inglese Winston Churchill. Questo nome glielo ha dato la madre, ma voi sapete il perché? Era una fans sfegatata di Churchill? X°D
(non sono impazzita, il fatto è che come percorso d'esame porto la biografia di Lennon, e come si può intuire di storia porto Churchill e la seconda guerra mondiale. Volevo solo capire un po' di più sulla scelta di questo nome! :3)





A fra_mccartney: ancora grazie per i complimenti!!! X3 Sei dolcissima, un abbraccio grandissimo! <3

A malandrini_xs: dovremo picchiare tutte Lennon dopo quello che ha fatto u_u aspetta a tirare le conclusioni però! XD ricambio il besos! <3

A  Silv_: devi scusarmi, per colpa della scuola mi tocca aggiornare un po' a rilento! Ho pubblicato prima che ho potuto! :) Spero che il capitolo ti piaccia! besos! <3

A StreetsOfLove: ti autorizzo a dargli una botta in testa! U_U grazie per continuare a leggere questa storia, che piano piano si dirige verso la conclusione! :) Besos anche a te! <3







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Capitolo 8
*** Acqua fredda ***


Capitolo 8: Acqua fredda

Paul passò ciò che aveva scritto anche agli altri, in modo che potessero leggere e approvare quelle tre frasi che avrebbero fatto parte del testo finale. A Ringo e a George l'idea parve buona, e anche il motivo improvvisato poco prima da Lennon sembrò loro adatto. Così, il chitarrista provò ad accompagnare con il suo strumento la dolce voce di un John raggiante, visto che aveva finalmente recuperato i suoi seppur tanto detestati occhiali tondi.
Passeggiò su e giù canticchiando le parole di Paul, quelle parole così semplici all'apparenza, ma in realtà così ricche di significato e splendore. Esattamente come il loro creatore. Dopo un'altra oretta buona di prove e strofe scartate, il quartetto decise di fare una piccola pausa in modo da riordinare un po' le idee e magari addentare qualcosa. Il bassista si rifugiò in uno stretto stanzino per prendere un bicchiere d'acqua, mentre George accordava la sua amata chitarra e Ringo, appoggiato alla grancassa della batteria, lo prendeva in giro come suo solito.
Sempre lì con quella chitarra sei...”
Piantala Ringo!” gli rispose George tirandogli un'occhiataccia.
Ammettilo che per te io conto meno di quella chitarra!”
“Ma certo!”

John nel frattempo si tolse gli occhiali da vista e li appoggiò al vecchio tavolo di legno, si stropicciò gli occhi con le dita e cercò di trovare due minuti di tranquillità. Ripensò al pezzo che avevano scritto, lo soddisfaceva davvero. E questo accadeva raramente. Continuò a seguire il filo dei suoi ragionamenti quando ad un tratto non sentì arrivargli dell'acqua gelata sulla camicia e saltò sul posto come se gli avessero appena lanciato una scossa elettrica. Si ritrovò davanti un Paul tutto sconvolto.
Oh cazzo...” sfuggì all'amico con ancora il bicchiere ormai vuoto in mano. “ehm, cioè, i-io, ohcristosanto...”
Per i restanti venti secondi Lennon sentì un mucchio di parole dette alla rinfusa del tipo “oddio”, “il filo del dannato amplificatore”, “mi dispiace”, “non l'ho visto”, “sono inciampato”, “che cazzo ci fa un amplificatore in uno studio registrazione” e altre tre o quattro maledizioni sparate a caso. Gli venne quasi da ridere ad ascoltarlo balbettare e scusarsi in continuazione per un po' d'acqua.
Paul, non muore mica nessuno” gli rispose con un mezzo risolino e l'aria divertita.
Ma l'altro non ne voleva sapere.
“Sono sempre il solito cretino, scusami tanto... accidenti ti ho bagnato tutto, guarda che casino...”. Niente, nemmeno una botta in testa avrebbe potuto zittirlo.

Mi asciugherò” affermò con noncuranza il cantante facendo spallucce. “certo che è proprio fredda...” aggiunse fra sé e sé guardandosi la camicia.
Diamine... aspetta...” si sentì dire. Lo vide frugare nella tasca dei suoi pantaloni, fino a quando non ne tirò fuori un fazzoletto ripiegato a dovere.
Prima che potesse fermarlo, Paul iniziò ad asciugarlo. Semplicemente, passava con cura il fazzoletto sul petto di John, un imbarazzato John che non sapeva che dire. “P-Pauly davvero... non è niente di che...”
Il bassista tolse piano il fazzoletto e lo fissò a bocca aperta. A John bastò guardare i suoi brillanti occhi verdi per capire che, senza accorgersene, si era riconcesso il lusso di chiamarlo Pauly. Proprio come un tempo. Volle aggiungere in fretta qualcos'altro per giustificarsi, ma non gli venne proprio in mente niente così mandò al diavolo tutto ed andò fuori a prendersi una bella boccata d'aria.
Paul, ancora stupito, abbandonò il bicchiere vuoto sul tavolo e lasciò gli altri due, che avevano cominciato a litigare come due pesti dell'asilo, per ritornare nello stanzino in modo da riuscire a bere almeno un sorso di qualcosa e pensare un altro po' alla canzone da finire.
Passò qualche minuto quando il cantante tornò dentro convinto che gli altri avessero già ricominciato, ma in realtà, George e Ringo si stavano quasi prendendo a botte, mentre per quanto riguardava Paul, beh, lui non si vedeva in giro.
Così, andò verso il tavolo per riprendersi gli occhiali quando, non sapendo nemmeno lui il vero motivo, la sua attenzione cadde sul cestino dentro il quale aveva gettato, a inizio giornata, i brandelli della misteriosa lettera a lui destinata. Quella busta chiusa e anonima.
Dopotutto”, pensò John, “gli altri non sembrano minimamente intenzionati a riprendere con le prove”.






QUANTO TEMPO RAGAZZI. ;______; tutta colpa della maturità!!! (passata tralaltro, anche grazie al percorso su Lennon u______u). Questa storia mi è mancata tantissimo ;W; su, vediamo di trovarle un buon finale! Vi ringrazio tantissimo per aver apprezzato il capito precedente, Al prossimo capitolo!
Besos! <3




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Capitolo 9
*** Margherite ***




Ringo e George continuarono ad azzuffarsi per motivi che oramai avevano dimenticato, mentre Paul si era rintanato in quel piccolo e silenzioso stanzino, così utile per perdersi nei propri pensieri e creare qualcosa di buono. John invece era ancora lì, appoggiato al tavolo a fissare il cestino a pochi centimetri di distanza da lui, e non sapeva che fare esattamente. Ripensava, non sapeva nemmeno lui il perché, alla lettera che aveva strappato, e formulava ipotesi su chi potesse essere il mittente. Certo, l’idea più probabile era che potesse essere una sua fans scatenata e chissà che cose bizzarre gli aveva scritto, però dentro di lui aveva come la sensazione che potesse essere qualcosa di davvero importante. Dopotutto, si ritrovò a riflettere, una ragazzina come avrebbe potuto portare lettera, fiori e caffè fin dentro gli studio se solo i Beatles, Brian e una manciata di tecnici avevano le chiavi per entrare?
In più andava detto che le margherite erano i suoi fiori preferiti.
O questa tipa è un fottuto genio” pensò osservando quel bel mazzo profumato “o deve essere per forza qualcuno che mi conosce davvero bene”. E in un momento, i suoi pensieri corsero verso Yoko, la donna che aveva lasciato due mesi prima. Voleva forse rimettersi con lui? Come si sarebbe dovuto comportare?
Però era anche vero che non le aveva mai rivelato che le margherite bianche fossero i fiori che preferiva.
Perdendosi in questo labirinto di ragionamenti, nemmeno si accorse che aveva cominciato a camminare in su e in giù per la sala seguendo una linea tutta sua. “George ha detto che forse era importante” continuò passandosi l’indice sulle labbra sottili “e che avrei dovuta aprirla… e se…”. Si fermò.
Un solo nome in quel momento risuonava nella sua mente. Involontariamente il suo sguardo cadde sulla porta chiusa del ripostiglio. E se davvero fosse lui?
Mentre supponeva ciò, già si era chinato per prendere il cestino e rovesciarlo per terra. Riuscì a recuperare i quattro pezzetti di carta che aveva strappato ore prima, e dopo averli tolti con cura dalla busta che li conteneva, si rialzò e li posizionò sul tavolo in modo da farli combaciare come un puzzle.
Se però è un cazzo di scherzo o una ragazzina con gli ormoni a mille, la ributto via” pensò sedendosi sopra al tavolo e curvandosi verso la lettera mezza spiegazzata. Inforcò gli occhiali tondi da vista e in pochi secondi nei suoi occhi nocciola si specchiarono fiumi di parole d’inchiostro, arricchite da un’ordinata e non troppo pretenziosa calligrafia.





Caro John,
In questo piccolo spazio di carta bianca che è davvero troppo piccolo per quello che desidererei dirti, voglio che tu sappia che per me sei una margherita.
Tu, John Lennon, sei una margherita.
Lo sei perché profumi di fiori bagnati di rugiada, perché in primavera ci sono tantissime margherite nei prati, tutte meravigliose, ma ce n'è sempre una più bella delle altre dai petali morbidi e con delle incantevoli striature rosa vivo. Perché non tutti si accorgono di questo fiore unico, ma quando lo fanno, non lo vorrebbero mai perdere. Perché sei delicato, poetico, dolce nel tuo silenzio. Perché sei elegante nella tua semplicità, sei buffo e mi fai sorridere quando piango. Perché le margherite in fin dei conti sono i fiori degli innamorati, e tu, amore mio, sei un innamorato della vita, come io lo sono di te. Perché sono i fiori della spensieratezza e della pace, che appaiono freddi e chiusi nel loro stelo sottile curvato leggermente in avanti, anche se in realtà sono una delle cose più preziose che questo mondo abbia. Perché sono i fiori dei bambini e delle risate, sono i fiori che mi ricordano la tua anima.
Tu, John Lennon, sei una margherita.
Sei un fiore per cui vale la pena di rischiare di risultare banali con una lettera come questa.
Sei un fiore il cui sguardo nocciola mi fa tremare e mi trasforma in un adolescente innamorato, proprio come un tempo, quando insegnavo a quella giovane margherita dei nuovi accordi a casa di zia Mimi.
Sei un fiore che ho strappato via proprio quando potevo riaverlo, e che ora vorrei riconquistare con tutto me stesso, perché senza di esso sono un bambino che ha paura del buio.
E anche se getterai via questa lettera, se non la leggerai, se non proverai più nulla per me, beh, voglio solo dirti che sei meraviglioso come sei, che illumini questo mondo anche solo guardandolo, e che ti amo, qualunque cosa tu faccia, ti amo tanto.
Con tutto il mio amore,

Paul





Vi ringrazio tantissimo per i commenti al precedente capitolo, e vi ringrazio ancor di più per la vostra pazienza (lo so, sono terribilmente lunga ad aggiornare ç___ç)

A otrop: Sono contentissima che tu abbia cominciato a leggere questa storia! Ti ringrazio veramente tanto per il tuo bellissimo commento, sei davvero molto gentile!!! <3 Spero che anche questo capitolo non ti abbia delusa! 

A fra_mccartney: Purtroppo anche questa volta ho aggiornato con un ritardo pazzesco ç___ç mi scuso tantissimo! spero che questo capitolo possa esserti piaciuto! :) <3

A Silv_: Awww grazie mille!!! Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo! pian piano ci avviciniamo alla conclusione :)

A StreetsOfLove: ahahahahah sono felice che ti sia piaciuto lo scorso capitolo! Sei sempre dolcissima e i tuoi commenti mi fanno sempre un grande piacere! <3

Un abbraccione a tutti!!!!!!!!!!!

Willy Wonka

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