Ti amo ancora di Willy Wonka (/viewuser.php?uid=110281)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'incontro ***
Capitolo 2: *** Pioggia ***
Capitolo 3: *** As the day begins ***
Capitolo 4: *** Stai con me ***
Capitolo 5: *** Brian ***
Capitolo 6: *** Destino ***
Capitolo 7: *** Imbarazzo ***
Capitolo 8: *** Acqua fredda ***
Capitolo 9: *** Margherite ***
Capitolo 1 *** L'incontro ***
Era da...
quanto? Circa un mese che si erano lasciati. Quella sera pioveva, se la
ricordava bene. Quanto diavolo di tempo se ne era rimasto seduto sul
letto a fissare le assi del pavimento?
“Mi dispiace” era tutto quello che era
riuscito a dirgli prima di andarsene e lasciarlo definitivamente solo.
Lo sapeva. Lo sapeva che sarebbe capitato prima o poi, lo sapeva che
quella puttana dai capelli scuri lo avrebbe ucciso. Avrebbe distrutto
entrambi. Solo che non credeva che lo avesse potuto fare davvero. John
gli aveva sputato addosso giusto quelle tre o quattro frasi che si
dicono quando si vuole lasciare qualcuno per sempre, ma cercando di non
farlo soffrire troppo. Paul, forse è meglio se la chiudiamo
qui, Paul lo sai che ci tengo a te, Paul non può andare
avanti per sempre. E lui, in preda alle lacrime, gli aveva gridato
addosso che se voleva andarsela a scopare poteva tranquillamente farlo,
e che gli stava spezzando il cuore. L'ultima pugnalata fu quel
“mi dispiace” uscito dalle sue labbra mentre gli
accarezzava leggermente i capelli, poi aveva chiuso la porta piano e lo
aveva lasciato piangere e singhiozzare in solitudine. Gli altri del
gruppo sapevano cos'era successo, ma nessuno aveva avuto il coraggio di
parlarne. Ma che erano preoccupati si vedeva lontano un miglio.
Per quasi due mesi avevano deciso di prendersi una pausa e
di non incidere nulla, fino a quando John non capì che per
il bene dei Beatles era meglio se si fossero rimboccati le maniche e
avessero cominciato a creare qualcosa di buono. Così si
diedero appuntamento agli Abby Studios, in modo di arrivare prima di
Brian giusto per sistemare gli strumenti ed accordarsi sul da fare.
Nessuno aveva più visto Paul per tutto quel tempo. Se ne
stava sempre chiuso in casa, o quelle poche volte che usciva non voleva
stare con nessuno. Da una parte erano tutti sollevati da
quell'incontro. I primi ad arrivare furono George e John che si
salutarono con una semplice pacca sulla spalla e con qualche battutina.
“Ehi John... come va?”
“Ah... beh... diciamo che va”
“H-ho saputo che tu e Yoko... hmm”
“...ci siamo lasciati, la scorsa settimana
sì. Non funzionava”
“mi dispiace amico”
“Dai, pensiamo a suonare ora”
“E sarebbe ora!” si intromise Ringo con
il suo solito sorrisone.
“che gentilezza!” lo
rimproverò il chitarrista con una spinta.
Abbracciò John come se fosse un sopravvissuto da
un naufragio in un isola deserta, poi gli scompigliò i
capelli evitando i pugni che cercava di tirargli il cantante in modo da
scrollarselo di dosso e sempre con l'aria felice cominciò a
tormentarlo. “Johnny... stai bene?”
“Che fai Ringo, ti preoccupi?” chiese
l'altro ridacchiando.
“Beh... sì, visto che è da
più di un mese che non ti fai vivo!” John gli
tirò un sorrisetto mentre George, come un falco, scrutava la
situazione come se avesse la netta sensazione che stesse per succedere
qualcosa di imbarazzante.
“E con Yoko? Sempre tutto ok?”
Ecco, appunto.
“Ci siamo lasciati una settimana fa” gli
rispose l'altro con un sorriso falso e sbattendo le ciglia come una
principessa.
“O-oh! Io n-non- perdonami...”
cercò di riparare Ringo mentre George si sbatteva una mano
sulla fronte. Era proprio Ringo Starr.
“però heyy!!! Non è la fine
del mondo amico! E poi la vuoi sapere una cosa bellissimo? Per me e per
George quella era una vera baldrac-”
“AHEM RINGO vieni con me
cheaccordiamolachitarra”
“C-come? Ma George io-”
“Vieni con me ebbasta!” lo
tirò per la giacca il più alto divenendo tutto
rosso in faccia per la figuraccia. “Sei un cretino! Un
cretino da medaglia d'oro!!!” gli sibilò sottovoce.
John se ne restò impalato con una smorfia fino a
quando anche l'ultimo non arrivò. E avrebbe davvero voluto
non voltarsi a guardarlo.
Paul Mccartney entrò dalla porta degli studio di
registrazione, con degli occhiali da sole che gli nascondevano lo
sguardo e una veste che gettò su una sedia lì
accanto. “Salve a tutti” disse con un filo di voce,
poi si tolse anche gli occhiali scuri e li posò sopra il
cappotto.
“Ciao Paul...” fu l'unica cosa che
riuscì a dire Ringo guardando i suoi occhi. Erano i suoi
grandi e verdi occhi, ma non brillavano più come li aveva
sempre visti tempo fa, sembravano velati di nebbia, come la rugiada che
ricopre i fili d'erba la mattina. Erano tristi, spenti, svogliati. Ma
la cosa che fece rabbrividire tutti era che erano circondati da scure
occhiaie, come se non dormisse più da settimane. Il suo
volto era pallido e sciupato, e George poté pure giurare che
fosse dimagrito dall'ultima volta che lo aveva visto.
“Allora, cominciamo?” buttò
lì il bassista.
Tutti erano troppo scossi per reagire subito, aveva un
aspetto terribile e questa fu una vera pugnalata nel petto di John.
Aveva avuto paura di reincontrarlo, temeva avesse cominciato a gridare
e a prenderlo a calci, e invece... sembrava un cucciolo ferito che non
aveva poi così tanta voglia di vivere. Non riusciva a
staccargli gli occhi di dosso.
Paul prese il suo basso ed iniziò ad accordarlo
borbottando che era la prima volta che lo trovava così
scordato. Aveva la testa bassa e tutta concentrata sul suo strumento, e
Ringo gli si era avvicinato per cercare di dirgli qualcosa, quando si
accorse che sulla vernice del basso stavano cadendo delle lacrime.
Così fece la prima cosa che gli passò per la
testa. Lo afferrò per un braccio in modo da fargli andare lo
strumento e non ascoltò nemmeno le lamentele dell'amico. Lo
trascinò dentro ad una specie di stanzino sotto agli occhi
sbarrati di tutti. Quando voleva Ringo dimostrava una forza
incredibile. Lo portò dentro chiudendo la porta e con il
cuore che gli moriva vide Paul abbandonarsi e sedersi sul pavimento con
le mani che gli nascondevano il volto. Sapeva che stava ancora
piangendo, solo che voleva farsi vedere forte.
“Paul...” disse accarezzandogli una
spalla “Paul... che cos'hai?”
Questo tirò un sospiro profondo, si
pulì gli occhi con la manica della camicia ed
osservò il batterista.
“io sono forte”
“Lo so che lo sei...”
“E' solo che non riesco proprio ad uscire da
questa situazione sai Ringo?” non si accorse nemmeno che
stava ricominciando a piangere.
“so che stai facendo il possibile”
esclamò sedendosi vicino a lui “non sai quanto mi
dispiace...”
“ricordo ancora che cosa mi ha detto”
sussurrò piano.
“i-io... io non so se questo possa aiutare...
ma... so che lui e Yoko non stanno più insieme...”
“Hah” rise sprezzante l'altro
“non mi interessa per niente cosa diavolo faccia nella sua
vita... voglio solo che esca dalla mia...”
“no che non lo vuoi”
Paul cercò di ribattere, ma sapeva che aveva
ragione. E questo lo colpiva più di un colpo di pistola.
“Credo che dovremmo spostare questo incontro ad un
altro giorno...”
“no Ringo è giusto...”
“No, lo dico agli altri. Se i Beatles devono
suonare, allora lo devono fare alla grande! Cerca di riposarti, vai a
casa e stenditi sul letto”
Il bassista si arrese e con un sorrisetto si alzò
insieme a Ringo in modo da comunicare tutto agli altri.
“Hey Paul” concluse Ringo prima di
uscire “ti voglio bene”
“Anch'io” gli rispose con un sorriso.
Quando uscirono, anche George fu della stessa idea di Ringo,
mentre John non sapeva cosa dire esattamente. Stava piano piano morendo
dentro, e non sapeva se piangere, se gridare o cos'altro.
Così tornarono tutti a casa, ognuno per la sua
strada, anche se John tentò davvero di poter parlare a Paul.
Ma non ci riuscì. I suoi occhi color Nutella lo seguirono
andare via, solo, mentre annegava fra i suoi pensieri.
Ok ok non è esattamente una storia eccezionale,
ma ho voluto provarci. E' la prima John/Paul che scrivo, ma ho voluto
scrivere qualcosa anche su di loro perchè sono teneri
proprio come la coppia George/Ringo. Non sarà una storia
lunga, credo che si concluderà in due o tre capitoli al
massimo.
Un abbraccio a tutti! <3
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Capitolo 2 *** Pioggia ***
John chiuse l'uscio di casa sua tremando, gettò
le chiavi per terra e si appoggiò al divano non riuscendo
più a custodire tutto quel turbinio di emozioni dentro di
sé.
Anche Paul se ne era tornato a casa tutto solo e l'unica cosa che la
sua mente riusciva a riflettere in quel momento era solo il volto del
suo John. Aveva cercato di incrociare i suoi occhi il meno possibile
quel pomeriggio, ma non ce l'aveva fatta. Accidenti! Aveva commesso il
fatale errore di perdersi ancora qualche istante nel suo sguardo
nocciola. Non stava bene nemmeno lui, pensò. Ma al diavolo!!
Che gli importava? Doveva dimenticarlo, ecco cosa doveva fare! Ma era
troppo fottutamente debole e innamorato! Innamorato come uno stupido!
Si gettò sul letto con un tonfo e fra le lenzuola
cominciò, come ogni sera, come ogni giorno, a piangere e a
ripensare alla voce dell'uomo che amava dire che lo avrebbe lasciato
per qualcun'altro più importante di lui.
John urlò, urlò tutto il suo dolore e la sua
stupidità, gridò nel vuoto, si passò
le mani fra i ciuffi di capelli ormai lunghi e mossi e stringendo con
furia gli occhi sentì il cuore andargli a pezzi, andare in
frantumi come cristallo. Si versò un bicchiere d'acqua e si
sedette al tavolo della cucina cercando di calmarsi, ma più
mandava giù sorsi freschi e più gli ritornava
chiaro in testa lo sguardo di Mccartney di quella sera piovosa.
Soffriva, soffriva come mai lo aveva visto. E la colpa, era solo sua.
Piangeva, piangeva a causa sua. E scommetteva che lo stava facendo
anche in quel momento. John si sentì ancora una volta
dilaniare e con violenza sbatté il bicchiere contro il legno
del tavolo, così ferocemente che il vetro si
crepò ed andò a pezzi nel pugno serrato del
cantante sofferente. John si coprì il viso con le mani
scoppiando in un pianto a singhiozzi, stringendo i denti per la rabbia
e per il disgusto che provava per sé stesso. Non gli
importò nulla del fatto che dal taglio nel palmo della sua
mano stava uscendo del sangue e che questo gli stava sporcando le
guance.
Non posso continuare così, pensò Paul. Ma come
poteva fare? Si rigirò fra le lenzuola fresche aspettando
che la sera scendesse, non avendo la benché minima voglia di
toccare cibo. Nemmeno quella sera. Fuori il cielo aveva iniziato a
brontolare, segno che un tremendo acquazzone stava per arrivare. Gli
mancava, Dio se gli mancava. Come poteva credere di continuare a vivere
in pace se un cuore non ce l'aveva più? L' aveva dato a
qualcun'altro che se lo era portato via. Quando pioveva loro due se ne
stavano rannicchiati sul divano a fare a gara a chi avesse indovinato
per primo quando sarebbe arrivato il tuono; se si concentrava poteva
sentire ancora il suo profumo e la sua voce simpatica che gli
riscaldava l'orecchio. Chiuse gli occhi, accompagnato da quei dolci
pensieri e dall'odore salato della pioggia, e per qualche minuto
riuscì a prendere sonno.
John nemmeno considerò l'idea di dormire. Voleva solo Paul,
il suo Paul, e nient'altro. Pensò e ripensò a
cosa poteva fare mentre fuori la pioggia cadeva sull'asfalto, e si
malediceva una volta di più per essersi comportato in
maniera così idiota. Ma doveva lottare per riaverlo, proprio
come aveva fatto la prima volta. Già, la prima volta in cui
si era innamorato di lui.
Ben presto l'orologio batté le undici e un quarto ed
incredibilmente Paul sonnecchiava ancora. Evidentemente rivedere John
non gli aveva fatto poi così male. Era rannicchiato sotto le
coperte, respirando piano e stringendo appena il cuscino sotto la sua
chioma scura. Sognava qualcosa che probabilmente non avrebbe ricordato.
Improvvisamente una sequenza di colpi lo fecero sussultare.
Affondò la testa nel cuscino in modo da ignorare quel rumore
assordante, ma niente, continuavano a bussare alla porta. Sbuffando
scese dal letto e mezzo intontito si diresse fino al salotto
appoggiandosi alle pareti per poi accorgersi che i colpi erano finiti.
Finiti.
“Ma che mi prendono in giro???” pensò
irritato. Però a quel punto valeva la pena dare una
controllata fuori dallo spioncino, giusto per vedere se c'era qualcuno
fuori dalla porta di casa. Sbirciò attraverso quel piccolo
occhio di vetro, ma niente, vedeva solo la strada immersa
nell'acquazzone ed un lampione che la illuminava appena appena. Prese
una sgualcita giacca che teneva appesa in un attaccapanni a fianco
della porta, se la strinse bene addosso ed afferrò la
maniglia della porta. Gli bastò aprire l'uscio quei pochi
centimetri che subito prese uno spavento terribile. Aveva abbassato lo
sguardo per sbaglio, e meno male che lo aveva fatto!
Seduto a gambe incrociate sul gradino di casa sua, in mezzo alla
pioggia, stava John. Sembrava un cane randagio in cerca del suo
padrone. Appena gli aprì alzò la sua testa dai
capelli tutti zuppi e si incantò a guardarlo, sgocciolando
acqua dal mento e dalla punta del suo naso. Paul non sapeva che dire.
“Che cazzo ci fai lì???”
“Pauly aspetta non-” e proprio mentre il bassista
stava per sbattergli la porta in faccia il cantante automaticamente
tentò di fermare la porta con la mano, in modo da
procurargli un urlo atroce e un male cane.
“Aaaaauh!!!!!”
“John- accidenti!!”
“Ah lascia lascia non fa niente” disse
frettolosamente scuotendo la mano pulsante di dolore e sprizzando ansia
da tutti i pori. Non si era preparato un vero e proprio discorso,
né aveva riflettuto su quale probabile reazione avrebbe
avuto Paul nel trovarlo davanti casa sua. “I-io n-non voglio
farla troppo lunga sai” gli tremava la voce. Come poteva
tremare di paura lui, John Lennon, il più forte del gruppo?
“S-so che non vuoi parlare con me”
continuò alzandosi velocemente in piedi “m-ma
dovevo venire...”
Paul continuava a non dire niente e ad osservarlo a bocca aperta. Non
si sarebbe mai lontanamente immaginato che sarebbe venuto da lui e non
sapeva se cacciarlo via, insultarlo o starlo a sentire. Alla fine la
sua natura gentile optò inevitabilmente per l'ultima scelta.
“Oggi ti ho visto così a pezzi che-” a
John morirono le parole in gola. Si spostò i ciuffi di
capelli bagnati dal volto, deglutì e cercò tutta
la forza possibile per proseguire. “so che non c'è
modo in cui io possa chiederti perdono... ma... v-voglio dirti cosa
faccio io quando sto tanto male” Gli occhi verdi di Paul lo
guardarono ancora più perplessi. Ma avevano inspiegabilmente
ricominciato a brillare. “leggo questo... funziona
sai...”
Vide John frugare all'interno della sua giacca scura e bagnata, fino a
quando non estrasse da una tasca interna un piccolo foglietto
biancastro ripiegato più e più volte, leggermente
rovinato in un angolino e con un pezzetto di scotch per prevenire uno
strappo nella carta. John lo spiegò e rimase abbastanza
deluso quando lo guardò. Fissò un attimo Paul,
poi tornò al foglietto. “ecco vedi io... ho perso
gli occhiali correndo fin qui, infatti sono più cieco di una
talpa” accennò una risatina nervosa
“però non importa, non è un problema,
credo di saperlo a memoria oramai”.
Se lo avvicinò al volto ed aguzzò la vista quando
poteva, ed iniziò a leggere delle parole di inchiostro nero.
Paul si concentrò sul foglietto che tremava sempre di
più nelle mani affusolate del cantante.
“Well, she's the gal in the red blue jeans, she's the queen
of all the teens, she's the woman that I know, she's the woman that
loves me so....be Bop A Lula she's my baby... be Bop A Lula I don't
mean maybe... be Bop A Lula she's my baby doll, my baby doll, my baby
doll...”
Il moro continuò a guardarlo, a perdersi nella sua figura
impacciata e concentrata, ad osservare la sua figura offuscarsi dalle
lacrime. Il respiro gli si fece corto, così come a John, e
decise di stare ancora un po' zitto, anche se il suo sguardo parlava
per lui.
“Sai... qui c'è tutto il testo...”
esclamò piano rispostando i suoi occhi su Paul. Ebbe un
tuffo al cuore quando vide i suoi occhi pieni di lacrime. Si
accarezzò il mento con il pollice, chiuse gli occhi e con la
massima concentrazione, come se tutto il mondo attorno a lui fosse
sparito, si immerse nei ricordi prendendo una macchina del tempo e
tornando a quell'afoso sabato del 6 Luglio 1957.
“sono su un piccolo palco davanti St. Peter a suonare Elvis
inventando parole su parole... indosso un'ignobile camicia a quadri che
tengo ancora vergognosamente in qualche cassetto...” rise a
quell'idea “quando, mentre penso che quel caldo mi avrebbe
ucciso, mi accorgo che su quel prato, in fondo, sta un ragazzo, alto,
ordinato, dai lineamenti dolci, con in spalla la sua chitarra, che
guarda il mio gruppo con occhi curiosi e un sorriso che lo illumina
tutto...” John riaprì gli occhi e questa volta,
senza più timore, li puntò fissi sull'uomo che
amava. Con gesti teatrali, mentre la pioggia gli scorreva addosso,
proseguì “più tardi, quando finiamo,
Ivan me lo presenta: il ragazzo allunga la mano verso di me e me la
stringe sicuro, e solo in quel momento noto i suoi grandi occhi verdi:
Dio, sono la cosa più bella che abbia mai visto...
scintillano e sembrano due smeraldi... ma non devo darlo a vedere, come
potrei! Sono un duro dai capelli pieni di gel!” fece una
pausa, concentrandosi ancor di più e riacquistando respiro.
“Posso farle sentire qualcosa? Mi chiede. “certo
ragazzo basta che non mi dai più del lei!” con un
sorriso prende la sua chitarra, alza la sua mano e swam! Comincia a
comporre senza un minimo di errore Long Tall Sally di Little Richard e
Twenty Flight Rock di Eddie Cochran. Sono pietrificato: sa accordi che
nemmeno conosco e testi a memoria. Mentre fa scorrere le sue dita fra
le corde, il suo sguardo è disteso, tranquillo, adorabile, e
la sua voce riesce a farmi assaggiare il Paradiso. Gli dico che
è a posto, perché sono geloso e so di trovarmi di
fronte ad un grande leader. Poi, con mio grande stupore, prende un
foglietto dalla tasca, chiede a Ivan una penna e comincia a scriverci
sopra con attenzione. Quando finisce me lo porge, ed è
questo. “Così non lo dimentichi” mi
dice, e mi perdo ancora una volta a guardare il suo bel sorriso. Ma se
l'avessi fissato ancora, poi si sarebbe spaventato e sarei passato per
un maniaco, così mi concentro sul pezzo di carta, confidando
che avrei potuto morire ancora nel suo volto osservandolo di sfuggita.
Leggo tutto il testo ridendo fra me e me. Ma quando rialzo gli occhi
pronto per lanciargli qualche bella frecciatina... non c'è
più. Se ne sta uscendo dal locale, insieme ad Ivan, e posso
vedere solo la sua schiena farsi sempre più piccola. Me lo
ha portato via senza che io... io... potessi ammirare ancora il suo
sorriso, e dipingerlo nella mia mente come un quadro. Sprofondare nei
suoi occhi grandi...” John ebbe un singhiozzo, mentre Paul
respirava piano lasciando che le lacrime calde gli solcassero le guance.
Se lo ricordava ancora. Si ricordava tutto. Le parole che si erano
detti, quello che gli aveva suonato, tutto.
Quando cercò di continuare il suo monologo, i suoi occhi
iniziarono a brillare di lacrime.
“... lo avevo fatto allontanare senza fare niente. Proprio
come ho fatto ora...” e così non riuscì
più a contenersi e cominciò a piangere anche lui
tremando un po' per l'emozione un po' per il freddo.
“... ti amo Pauly...” gli uscì come se
fosse la cosa più naturale del mondo. “ho
sbagliato tutto...”
Il cielo grigio tuonò e si illuminò del bagliore
di un lampo, lasciando che il filo di voce di Lennon fosse solo una
piccola cosa in confronto a tutta quella potenza.
Un ultimo sguardo verso il suo tesoro che continuava a versare lacrime,
e poi, con il cuore morente, si voltò per tornarsene a casa
prendendo a calci la pioggia.
Grazie davvero tanto tanto a chi ha commentato il precedente capitolo,
mi ha fatto un piacere immenso sapere che l'avete letto e che sia stato
anche di vostro gradimento!^^ spero che anche questo capitolo possa
piacervi (è un po' lunghetto lo so :S), un abbraccione a
tutti! <3
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Capitolo 3 *** As the day begins ***
Quando
John si svegliò quella mattina scoprì che si era
addormentato sul divano, in una posizione contorta, con ancora i
vestiti mezzi fradici addosso. Aprì gli occhi alla luce del
mattino mezzo intontito, dentro di lui premeva ancora il desiderio di
dormire un altro po', ma ormai era troppo tardi. Mise a fuoco per
bene la situazione, si strofinò gli occhi e
starnutì
violentemente.
“Oh
no accidenti...” aveva una ridicola voce impastata di
raffreddore.
Tirò su con il naso alla ricerca di un fazzoletto quando
improvvisamente gli ritornò in mente che i suoi occhiali
erano
ancora da qualche parte là fuori. “perfetto... ho
la malora
e non ci vedo pure un cazzo...” brontolò fra
sé e sé
girandosi su un fianco tutto indolenzito. Il divano
scricchiolò
appena sotto il suo corpo. Si passò una mano fra i capelli
tutti scompigliati, quando si accorse di provare un calore alla
guancia sinistra. Improvvisamente, come se un fulmine lo avesse
attraversato per intero, ricordò tutto.
Deglutì
e socchiuse i suoi occhi profondi e stanchi mentre il suo indice
continuava a percorrere il viso che bruciava appena.
Analizzò
mentalmente ogni secondo della notte precedente, ogni immagine, ogni
suono, ogni sensazione, ogni respiro. Ogni parola. Ogni sguardo. Ogni
silenzio.
Tutta
quell'acqua che cadeva dal cielo gli si era insinuata ovunque, dentro
i suoi vestiti, fra i suoi capelli, sul suo corpo. E' stata una
cretinata, pensava fra sé e sé mentre piano piano
si
allontanava dalla casa di Paul. Non potrà credermi
veramente.
In più quel gesto non lo aveva di certo fatto sentire
meglio,
anzi, si era ritrovato a piangere tutta la sua anima quando invece si
era riproposto di comportarsi in maniera matura e seria. E invece che
aveva fatto? Si era presentato davanti a casa sua a ritirare fuori
dal cassetto i tempi ormai andati, ed aveva piagnucolato che lo amava
ancora. Però era quello che si sentiva di dirgli, la
verità.
Calpestò le piccole pozzanghere che punteggiavano il
marciapiede con il cuore che sanguinava e non lo lasciava respirare.
Il cielo oscuro tuonava e si ribellava, non lasciava spazio ai
pensieri, si impossessava della notte e di tutta la sua eleganza. Ad
un tratto i suoi piedi si fermarono. Rimase bloccato a metà
strada sgranando gli occhi verso un punto impreciso dell'orizzonte.
Il filo dei suoi ragionamenti era stato spezzato. John non
capì
se era stata solo la sua immaginazione o il rumore del vento che
scuoteva le fronde degli alberi in un parco lì vicino, fatto
sta che gli era parso di udire la voce di Paul.
“John!!”
Questo
si voltò di scatto cercando con gli occhi la sua figura
quando
si accorse che si stava avvicinando a lui non curante di tutto quel
freddo e quella pioggia. Il cantante si spostò un po' giusto
per poter vedere meglio il suo Paul lasciarsi illuminare dalla luce
del lampione. Aveva un volto segnato dal dolore, continuava a
piangere, le sopracciglia erano corrugate nell'espressione
più
triste e sofferente che avesse mai visto, come se un conflitto di
sentimenti gli stesse esplodendo dentro. Respirava velocemente ma la
sua voce tremava, oscillava proprio come la sua pochi istanti prima,
Dio, l'unica cosa che avrebbe voluto fare era stringerlo fra le sue
braccia e riscaldarlo, ma non poteva. Ebbe un brutto presentimento.
“J-John...”
la sua tonalità lo fece sussultare. Era diversa,
terribilmente
a lui estranea, come se fosse carica di qualcosa che in Mccartney non
aveva mai riconosciuto. Le parole sgorgavano via dai suoi denti
serrati dalla rabbia. “Tu... t-tu come puoi... dirmi...
questo”
gli occhi di John rispecchiarono la sua figura tremante, e fu
esattamente in quel momento che capì che la sua
più
grande paura si stava avverando.
“COME
PUOI VENIRE DA ME E DIRMI QUESTO!” gli gridò con
tutto il
fiato che aveva serrando i pugni con violenza. Non gli concesse
nemmeno il tempo per formulare una risposta. No, questa volta toccava
a lui, dopo tantissimo tempo, riordinare i suoi pensieri e svuotare
il sacco di emozioni che lo pressava. John rimase scioccato di fronte
a quel grido straziante.
“Hai
appena detto che mi ami... MI AMI JOHN??? Mi amavi anche quando mi
hai abbandonato per quella????? Mi amavi quando mi hai lasciato solo
a piangere?? EH JOHN?? MI AMAVI QUANDO MI HAI DETTO CHE NON SAREBBE
STATO POI COSI' DIFFICILE PER NESSUNO DEI DUE???” le lacrime
scavavano il suo viso arrossato di furia, forse non riusciva nemmeno
più ad avere un controllo su di sé. I suoi
muscoli
erano tesi mentre nella sua mente scorrevano ancora una volta le
immagini di quella sera piovosa.
“Hai
idea di quanto ho sofferto??? Di quanto ho pianto pensando a te fra
le braccia di...di-” strinse gli occhi singhiozzando
“non passava
attimo in cui non immaginavo voi due a scopare insieme, a
sfiorarvi,a-... e quel tuo “mi dispiace”, che mi
risuonava nelle
orecchie ogni notte senza che io riuscissi ad addormentarmi...e tu
ora vieni qui a dirmi che hai sbagliato tutto?? vi
siete divertiti insieme eh? Mentre io morivo ogni giorno di
più!!
” prese una pausa dando le spalle a quell'essere
verso cui
non sapeva più cosa provava. “Ti ho amato John, ti
ho dato
tutto ciò che avevo, quando ti baciavo era perché
eri
l'unica cosa per cui valeva vivere, ho perso la testa per te da
quando ho sentito quel ragazzo dalla camicia a quadri cantare su quel
palco, e io d-davvero credevo che tu... che t-tu davvero dicessi sul
serio quando mi sussurravi ti amo...” si rigirò a
guardarlo
scoppiando in una risatina nervosa. “c-che stupido e-eh? Ti
ho
creduto... e ci stavo cascando anche adesso!!!!!!!!”
urlò
puntando l'indice verso il vento. Il suo corpo era scosso dal pianto,
da quel pianto soffocante e terribile che gli bruciava le viscere fin
dal giorno in cui aveva perso John dietro ad una porta. Si
portò
i pugni verso il viso coprendosi gli occhi verdi. In tutta quella
debolezza sembrava un cucciolo. O un giocattolo rotto, scansato da
tutti e lasciato in un angolo a prender polvere. I suoi gemiti si
mescolavano con il fruscio del vento ed il ticchettio
dell'acquazzone. “La cosa più buffa è
che anch'io so
a memoria qualcosa... le parole che mi hai detto quella sera...
vorrei dimenticarle... ma non le dimentico” disse guardandolo
dritto in volto.
John
si sentì morire. Di fronte a quelle parole taglienti non si
riuscirebbe nemmeno a descrivere ciò che provava. Che cosa
gli
aveva fatto, cosa aveva fatto all'uomo che amava davvero, che lo
aveva accompagnato per tutta la vita, spesso anche in silenzio?
Sembrò che solo in quel momento avesse compreso davvero cosa
aveva provato in quei due mesi. E più lo guardava,
più
le sue emozioni si facevano confuse.
“Paul...”
sussurrò in maniera quasi impercettibile, avvicinandosi a
lui
ed allungando le braccia. Lo avrebbe stretto, lo avrebbe abbracciato
per non farlo andare più via, perché potesse
piangere
il suo dolore fra le sue braccia, e avrebbero versato lacrime
insieme, mentre i loro profumi si univano e i loro cuori battevano
all'unisono.
Sfiorò
il suo braccio in cerca di un contatto. Voleva
solo stringerlo a sé, per fargli capire quanto disprezzo e
odio provava per se stesso.
“NON
TOCCARMI!” al suo tocco Paul indietreggiò.
Ciò
che fece più male a John fu che quel gesto non nasceva
affatto
dalla rabbia, ma dalla paura. Aveva paura di lui. Aveva paura di
soffrire di nuovo.
I
loro occhi si incrociarono. Una frazione di secondo e John
sentì
come una scheggia tagliargli la guancia. Si portò
immediatamente la mano al volto pulsante fissandolo sconvolto, mentre
l'altro ancora non si rendeva conto dello schiaffo che gli aveva
appena dato. John si chinò leggermente in avanti, ma il
dolore
non proveniva tanto dalla guancia, ma dal suo Pauly che stava a poco
a poco perdendo. Quello probabilmente significava un addio.
Il
bassista si portò una mano alla bocca, scioccato,
tentò
di dire qualcosa, ma ciò che uscì dalla sua gola
fu
solo qualche suono strozzato. Le sue iridi era ferme e brillanti,
piene di sofferenza ed inconsapevolezza. Indietreggiò ancora
tremando come una foglia fino a quando non si voltò e corse
in
casa chiudendosi la porta alle spalle.
John
non ebbe più nemmeno la forza di piangere. Alzò
lo
sguardo verso la porta di casa. Si sentì improvvisamente
solo
al mondo.
Quella
mattina non aveva voglia di parlare con nessuno, tanto meno con se
stesso. Si alzò dal divano come se fosse uno spettro e
arrancò
verso la cucina alla ricerca di qualcosa per l'influenza. Dopo
qualche imprecazione lanciata di qua è di là
perché
non riusciva a trovare niente in quella fottutissima casa,
così
aveva detto, si preparò una tazza di caffè e si
accese
la radio che teneva sul tavolo. Morse un biscotto anche se non aveva
fame, cambiò stazione della radio anche se non voleva
ascoltare. Non sentiva niente.
E'
un po' uno strazio ç_ç
Mi
dispiace:
1-
per le crisi di pianti che non finiscono mai
2-
perché avevo detto che questa storia si sarebbe conclusa in
due o tre capitoli e invece mi sa che ne avrò bisogno di un
altro paio per terminare tutto XD
Paul mi fa tanta tenerezza ç^ç
e anche John <3 e anche Freddie.
Devo
fare assolutamente dei ringraziamenti, le vostre recensioni mi hanno
praticamente colpito il cuore! (in senso positivo ovvio! <3):
a Silv_: awww ma se
mi scrivi recensioni così
io piango! çwç grazie, sei dolcissima come
sempre! Non
so davvero che dire, non credevo che questo capitolo potesse piacere
così tanto! Ti ringrazio col cuore, sia perchè
continui
a leggere ciò che scrivo sia perchè recensisci!
Grazie
davvero! <3 (purtroppo anche questo capitolo è un po'
malinconico, però spero che andando avanti i toni si
facciano
più allegri!)
a fra_mccartney: grazie mille per la tua
bellissima recensione, sei tanto gentile e sono così
contenta
che ti piaccia il mio modo di scrivere :) sai io non scrivo
moltissimo, e leggo anche poco (cosa di cui mi vergogno
ahimé)
un abbraccio grande e ancora grazie per leggere questa storia! <3
a StreetsOfLove: la
tua recensione mi ha veramente
stretto il cuore! Non volevo farti piangere
ç_____ç
*porge fazzoletto ti ringrazio tantissimo per il tuo tenero
commento, non immagini neanche quanto sia felice che ti sia piaciuta
questa storia e che tu l'abbia letta! Spero ti possa piacere anche
questo ultimo capitolo, che ahimé è ancora un po'
malinconico mi spiace ): un abbraccio grande e guarisci presto dal
tuo raffreddore! <3
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Capitolo 4 *** Stai con me ***
I
tre giorni successivi passarono su
Londra silenziosi e tranquilli, il cielo aveva deciso di
cominciare a calmarsi e così, quello che era stato uno dei
più
violenti temporali della stagione, si inchinò e
lasciò
spazio ad un clima ben più primaverile. L'aria si fece
tiepida
e le nuvole candide cominciarono a dipingere un cielo che voleva
apparire il più celeste possibile. Però sul tardi
sembrava quasi che tutta quella pioggia avesse lavato via le nubi,
infatti la notte buia si materializzava davanti agli occhi dei
londinesi come un immenso telo scuro punteggiato da stelle brillanti.
In tutta quella oscurità, se si aveva la fortuna di trovare
un
posto quieto e nascosto, si poteva tendere l'orecchio e sentire i
grilli cantare mentre la brezza ti scompigliava appena i capelli
sulla fronte. Era quello che amava fare Paul, disteso su una vecchia
panchina vicino casa sua. Il silenzio per lui era la cosa migliore
quando si trattava si sbrogliare un gomitolo di ansie e sentimenti
turbolenti. E quella sembrava essere la notte giusta.
Indirizzò
i suoi occhi verso quel grande gruppo di stelle, finse di tracciare
con un segno di matita delle linee che congiungessero quei punti di
luce e così si ritrovò a guardare triangoli e
lettere
immaginarie. A Liverpool non gli era mai capitato di vedere notti
come quelle, per questo le adorava, sebbene non fosse più un
ragazzino. Sul suo sguardo infantile si riflesse la luce di quel
disco argenteo, completamente pieno, che dominava dritto sopra la sua
figura. Iniziò a pensare che in realtà le stelle
altro
non erano che le lacrime di una Luna che non aveva mai la
possibilità
di vedere il proprio Sole. Sul suo volto si allargò un
sorriso. Era proprio uno sdolcinato romanticone pensò
scuotendo appena la testa appoggiata alle sue braccia conserte. E
John Lennon gli diede ragione.
“Sei
proprio un cazzo di liverpooliano dal cuore tenero...” gli
disse
osservandolo con un espressione dolce. Paul lo guardò
sorridendo, non poteva farci niente. Sentì il legno della
panchina scricchiolare appena quando John si sedette comodamente
sullo schienale appoggiando i piedi sul sedile in cui era incastrata
qualche foglia secca. Il bassista spostò un po' le gambe
incrociate per fargli spazio. Continuarono a rispecchiarsi ciascuno
negli occhi dell'altro.
John
inclinò leggermente la testa e sorrise a sua volta, un
sorriso
dolce, sincero.
“Non
te l'ho mai detto” esclamò piano.
“Cosa?”
chiese Paul incuriosito.
“Che
sei meravigliosamente bello” percorse la sua figura sdraiata
con le
sue iridi profonde “e che ti bacierei fino a farmi mancare il
fiato
quando arrossisci, proprio come stai facendo adesso”
Il
suo cuore fece una capriola.
“Ecco...
finalmente...” sussurrò con dolcezza. John lo
scrutò
perplesso. “è tornato il mio John...”
finì morendo
nei suoi occhi.
“Pauly”
lo vide farsi sempre più vicino al suo volto “ti
amo”
scese dallo schienale per curvarsi completamente verso di lui. Le
labbra dell'altro furono accarezzate dal suo respiro.
Appoggiò
la sua fronte alla propria, per poi dissolversi nell'aria mentre Paul
sospirava, con gli occhi chiusi, un “vorrei che tu non fossi
solo
un sogno...”.
Li
riaprì, e tornò a fissare il cielo. Sebbene
durante
quei giorni avesse tentato in ogni modo di convincere se stesso che
si era comportato bene, non riusciva a non pensare a lui, a cosa
stava riflettendo la sua mente, a quello che probabilmente stava
facendo in quel momento. Chissà, magari
l'unica luce
che potevano vedere era la Luna.
Lo
amava tremendamente e non poteva nasconderlo. Lo rivoleva, in
realtà
lo aveva perdonato fin da quando lo aveva visto seduto sullo scalino
di casa sua. Era forse un segno evidente della sua debolezza? Forse
sì, ma non gli importava. Che senso aveva vivere una vita
nella paura di soffrire di nuovo? La verità, che volesse
accettarla oppure no, era che senza di lui si sentiva vuoto. No,
finchè sarà con lui, non avrà paura.
Non verserà
più una lacrima.
Improvvisamente
il senso di colpa cominciò ad annientarlo, non avrebbe
voluto
trattarlo così, tantomeno dargli uno schiaffo.
Avrà
pensato di tutto. Non meritava di sentirsi urlare addosso tutte
quelle cose, ma ormai ciò era stato fatto e non poteva di
certo tornare indietro e cambiare le cose. Pensò allora che
tutti hanno diritto ad un recupero, a cercare di sistemare i pezzi. E
se lo avesse voluto picchiare, tanto meglio, era la vera cosa che
credeva di dover ricevere. Avrebbe stretto gli occhi e ritto come un
chiodo avrebbe sentito il pugno di John arrivargli come un missile in
faccia. E non si sarebbe arrabbiato, anzi, lo avrebbe quasi
ringraziato. Ma come poteva presentarsi davanti casa sua? Che gli
avrebbe detto, ciao scusami per tutto non è vero che non ti
amo? Avrebbe potuto cercare un pretesto, ma come?
“Ehilà
Johnny sai sono venuto ad annaffiarti le piante, ah comunque torniamo
insieme?” pensò a voce alta “sarebbe la
cosa più
ridicola a questo mondo!”
Decise
infine di alzarsi dalla panchina, si stiracchiò i muscoli e
piano si diresse verso casa sua, che stava a pochi metri da
lì.
Forse non ci sarebbe mai riuscito a riconquistarlo.
Seguì
il filo dei suoi pensieri fissandosi la punta delle scarpe proprio
come fanno gli adolescenti, quando all'improvviso vide un bagliore
lì
vicino sul marciapiede. Sbatté le palpebre insicuro se fosse
stata solo una sua immaginazione, ma quel luccichio lo vide ancora.
Si avvicinò verso di esso e si chinò per poterlo
afferrare. Non era un pezzo di vetro.
Rieccomi
qui, con un altro capitolo in cui, per la gioia di tutti, grazie al
cielo non è più fatto di pianti :) Sono tornata
da una
meravigliosa, direi addirittura troppo, settimana a Parigi, la
città
dell'amore e dell'eleganza. Che posto delizioso ragazzi, davvero. Ed
è proprio in questo angolo di Paradiso che ho trovato
qualcosa
che mi ha colpita, mi è sembrata una cosa carina e l'ho
voluta
immortalare. Ma siccome sono ignorantissima con queste cose e non so
nemmeno pubblicare un'immagine qui su EFP, ve la linko qui:
http://cioccocremolatowonka.deviantart.com/#/d4snuyf
Che dire, un
bacio a chi ancora segue questa storia che pian pianino si avvia al
capitolo finale. Siete solo voi, con le vostre recensioni, che mi
date la voglia di continuare a scrivere. Grazie di cuore <3
A
Silv_: Aaah adoro i tuoi commenti! Mi fanno sentire quasi speciale :)
Anche io sono del parere che John un bel ceffone se lo sia meritato,
ora vedremo che succederà fra quei due! Nessuno spoiler mi
spiace! Un bacio grande! <3
A
StreetsOfLove: Mi rende davvero tanto felice che continui a piacerti
la storia, ma non voglio farti piangere! ); Ti ringrazio per tutti i
complimenti che mi fai, non sono una grande scrittrice, ma cerco
comunque di buttar giù, il meglio che posso, le scene che
passano nella mia mente. Oddio spero di non arrivare a mille
capitoli, ma meglio se non sparo più cifre che poi non
riesco
a rispettare! :D un besos! <3
A
malandrini_xs: Ma salve a lei!!! Sono molto felice che sia capitata
anche in questa storiella, e non dica più che le sue
recensioni sono sceme che non è affatto vero u_u Sono
contenta
anche che i capitoli ti piacciano, ora non so esattamente in quanti
capitoli riuscirò a finirla, ma fortunatamente la storia ce
l'ho ben organizzata nella mia testa :) Spero che il racconto
continui ad essere di tuo gradimento! <3
A
Lemon: Noooo il senso di colpa!!! XD Sono onorata di avere il tuo
appoggio, io sono una neo-appassionata dei Beatles e di cose ne ho
ancora da scoprire!!! Cercherò di aggiornare appena la
scuola
mi lascia respiro, per ora spero che anche questo capitolo possa
piacerti! Besos! <3
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