Aiutami ad uscirne

di franceschina94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dipendenza ***
Capitolo 2: *** Non ti chiamerò mai, tranquillo. ***
Capitolo 3: *** Nessuna speranza ***
Capitolo 4: *** Thank you ***
Capitolo 5: *** Non preoccupatevi, sto bene. ***
Capitolo 6: *** Apri gli occhi ***
Capitolo 7: *** Lei sapeva che lui ce l'avrebbe fatta ***
Capitolo 8: *** Iniziare a ViVeRe ***
Capitolo 9: *** Specchio ***
Capitolo 10: *** Fiducia ***



Capitolo 1
*** Dipendenza ***


AAU
AIUTAMI AD USCIRNE

1. Dipendenza

Avvertenza: Contiene argomenti e scene un po' crude. Spero di non urtare la sensibilità di qualcuno e se così fosse, mi scuso <3

Era finalmente tornata a casa, nel suo piccolo appartamento di New York. Le piaceva il suo piccolo spazio, con una cucina, un piccolo bagno e la sua camera. Niente di così eclatante, certo, ma era il suo rifugio e la sua casa.

Non vedeva l'ora di raggiungerla. Non ce la faceva più a stare senza di Lei. Si, per smorzare e  ridurre il tempo c'erano sempre le sue sigarette, ma non le bastavano. 
Voleva di più, pretendeva di più e non poteva farne a meno.
Odiava la sua continua e smodata dipendenza da Lei, ma non sapeva che cosa fare oltre a rimanerle fedele. 
Non viveva senza, era un bisogno continuo, indispensabile per sopravvivere e, soprattutto, Vivere.
Perchè non riusciva a evitarla? Non lo sapeva. Forse non voleva ricordare di non avere più un padre, morto a causa del cancro e di avere una madre menefreghista. Queste erano le sue scusanti. Forse non erano abbastanza, ma le bastavano e così continuava.
Accese la tv per puro hobby, non facendo caso a cosa trasmetteva. 
Voleva solo Lei. 
Prese una sedia del tavolo e la trascinó davanti al mobile della cucina, salendoci sopra. Salì sul marmo resistente e ghiacciato e inizió a frugare sopra i cassettoni, alla Sua ricerca. Finalmente toccó la busta che stava cercando. 
Un sorriso furbo e bramoso le apparve sulla faccia infossata e magra.
Due grandi occhiaie ricoprivano i suoi occhi. Le sue pupille erano tristi e abbandonate alla vita. Le sue labbra erano carnose ma screpolate e di un rosa pallido. Ma la cosa che più la faceva rabbrividire da sola era il suo corpo. Quei segni rossi, quei tagli e quei graffi fatti in notti di pura follia. Quei buchi sul braccio, quei lividi violacei le facevano rivoltare lo stomaco.
Lei sapeva di stare sbagliando. Sapeva che tutto quello non portava a niente ma non smetteva, non riusciva.
Scese dalla sedia atterrando, scalza, sul pavimento di mattonelle bianche di quella cucina buia e cupa.
Cercó di aprire in fretta la busta trasparente con dentro quella povere bianca, semplice polvere.
Aprì la busta e inizió a disporre il contenuto sulla superficie piana di quel tavolo, sistemandola a strisce.
La sua voglia era aumentata, la voleva, doveva fare in fretta.
Con mani tremanti inizió a cercare disperatamente l'inalatore. Sul tavolo, sul piano cucina, sul divano. Non c'era.
Si lasció cadere in ginocchio, per cercare sul pavimento. 
Eccolo! Sotto alla poltrona posizionata al lato della televisione.
Si avvicinó, lo raccolse e tornó da Lei, dal suo desiderio morboso.
La osservó ancora, con occhi vogliosi, bramosi, per poi avvicinarsi e inalare. La voleva, la desiderava, la cercava e finalmente era lì, dentro lei, dentro il suo corpo e lei stava bene.
Già alle prime dosi inizió a chiudere gli occhi per godere di quella inebriatezza e eccitazione. 
Era finita. Aveva finito.
Riaprì gli occhi e inizió a sorridere, felice, soddisfatta ed eccitata.
Prese a saltellare per tutta la casa, cantando e ballando. Durante il suo cammino incroció la radio, che accese. Si diffuse per tutto l'appartamento quella canzone dei Guns N' Roses "Don't cry".
Inizió a muoversi come una pazza, mandando i capelli di qua e di la, muovendosi e battendo il ritmo con i piedi. Aprì la finestra, buttandosi nel gelido tempo dell'inverno. Si affacció, guardó giù dal suo secondo piano.
Con ancora quella canzone a farla scatenare, salì sul davanzale, sempre cantando, sempre con quel sorriso in faccia. Stette in equilibrio, senza avere paura, quella non le era mai appartenuta, nè quando aveva scoperto che suo padre era morto nè quando sua madre l'aveva lasciata sola in una grande città a soli diciotto anni.
Decise di scendere. Chissà quanto era stata così, immobile su quel davanzale. La canzone era cambiata e  la notte era quasi giunta.
Lei non si era accorta di niente. Ogni giorno era la solita storia.
Si sedette sul divano, spossata, stanca e senza energie. Di nuovo, come sempre.
La testa? Le girava. Il suo stomaco? Era sotto sopra. Uno schifo. 
Si sdraió, per lenire tutti gli effetti antecedenti che Lei le procurava ogni volta. Ogni giorno.
Sofia lo sapeva. Sapeva tutto questo. Sapeva che, dopo i minuti euforici di benessere, si contrapponevano quelli dello schifo eterno. Lo sapeva. 
Sapeva anche che non ne valeva la pena. Non conveniva stare bene per mezz'ora per poi ricatapultatsi nella vita reale peggio di prima. A cosa serviva? Lo Sapeva. Sofia sapeva tutto.
Eppure non riusciva a smettere. Non aveva la volontà, la consapevolezza, un semplice appiglio, un aiuto. Non aveva tutto questo e continuava.
Ogni giorno lottava, si diceva "Adesso basta". Resisteva. Dodici ore. Un giorno. Ma mai di più. 
Il suo bisogno era eccessivo, forte e indispensabile. 
Eppure lei non voleva più vivere così. Voleva cambiare, avere una vita diversa. Essere INdipendente.
I suoi occhi dilatati le facevano male, la testa le pulsava e tremava.
Coprì il suo esile corpo con la prima coperta che trovó, senza aprire gli occhi. Ma continuava a tremare.
"Da domani basta sul serio".
Così disse la sua testa che, in quel momento, stava soffrendo. Il suo cervello stava scoppiando. 
Non riusciva più a ragionare. Quello fu l'unico pensiero coerente che derivava dalla sua volontà di scelta. Con questo pensiero Sofia, tutta tremante e sfinita, con i muscoli tutti doloranti e le lacrime agli occhi, si addormentó.

Con lo stesso prnsiero, quel giovedì  mattina, si sveglió. Gli effetti si facevano ancora sentire, ma erano diminuiti. 
Uscì da casa, per andare a lavorare in quel ristorante nei pressi di Brooklyn.
Passó tutta la giornata tra ordinazioni, conti, vendite e piatti da preparare.
Non pensó a niente, rinchiusa la dentro.
Uscendo e tornando a casa le ritornò alla mente quanto fosse stata brava. Ancora non aveva assunto niente. Era riuscita a resistere.
Aprì la porta del suo appartamento e entró, bloccandosi di colpo. 
Adesso non era più tanto sicura.
Sapete come finí la sua giornata? Come quella precedente. Come TUTTE quelle precedenti.
Ricadde nella rete, nel filo spinato. Si era arresa, nuovamente. Era caduta in ginocchio e sapeva di non riuscire a rialzersi, come sempre. Sapeva di non riuscire a tenerle testa. Semplicemente aveva ceduto Di NuOvO a Lei. Alla Droga.

I Suoi giorni passavano così, tra lavoro, sballottolamento, incontro con i soliti pusher e amici -se così si potevano chiamare. Nelle sue giornate la Cocaina non mancava mai.
In realtà Sofia aveva un migliore amico, si chiamava Dan. Lui era un po' come lei, l'unica differenza era rappresentata dal fatto che Dan non voleva smettere con quella roba. Non che ne avesse la capacità o l'occasione, ma gli mancava proprio la volontà. 
A parte questa brutta abitudine, era il ragazzo più tenero del mondo e un grande amico.
Adesso era uscita da lavoro, era venerdì e sapeva esattamente dove poterlo trovare.
Si diresse verso quel palazzo, verso quella ex clinica vuota, in cui non entrava più nessuno da anni ormai. Era lì che si incontravano tutti. Era lì che facevano le loro feste, in segreto.
Vide il suo amico da lontano. Vide Dan seduto a terra con una gamba piegata, un braccio appoggiato ad essa e la testa china a guardare a terra.
Gli si avvicinó. 
- Ei Dan -
Si chinó e si sedette di fianco a lui, guardandolo. Lui non dava segno di risposta. Lo costrinse ad alzare la testa e guardarla negli occhi. Era come se non la vedesse, come se fosse in un altro mondo. Lei si, assumeva Droga ma non si era mai bucata. Rimaneva sempre lontana dall'Eroina. Le avevano detto che era quella più letale.
Molte volte le era venuta la tentazione. Ma, per non cederle -come sarebbe invece successo- era sempre scappata e l'aveva sempre evitata.
- Dan, ti stai rovinando definitivamente con questa roba-
Lo scosse, per farlo rinvenire. Ma niente.
Sapeva che l'effetto sarebbe durato una-due ore, così decise di allontanarsi per cercare qualcuno che le vendesse qualcosa. Ne AvEvA bIsOgNo.
Vagando per il grande palazzo, lo trovó.
Le vendette quella roba, bianca, irresistibile per lei.
Tornó dal suo amico, che stava lentamente tornando in se. 
Si sedette dove era prima. 
Cosí inizió a disporre su una tavolata la sua dose. Le strisce erano pronte. Inaló per bene e tutto si ripetè.

Come ogni sabato sera, andó con i suoi compagni, compreso Dan, in discoteca per divertirsi, sballottarsi di qua e di là e conoscere nuova gente.
- Dan, che ne dici se andiamo al bar a prendere da bere?-
Lui stava guardando da un'altra parte. Il solito! Aveva adocchiato qualcuna da abbordare.
- No Sofy, vai tu. Ci becchiamo-
Andó a sedersi e ordinó.
E intanto pensava, Sofia. Pensava alla sua vita, che vita più non era. Alla sua famiglia che l'aveva abbandonata. E cosa le rimaneva alla fine? Lei.
Era in questi caso che si convinceva del fatto di avere ragione. In tutto quello che aveva l'unica cosa che le era stata al fianco era proprio la Droga.
I ragazzi? Tutti uguali. Vogliono solo una cosa, come sempre. Non hanno un cuore o, più semplicemente un cervello, i sentimenti? Non sanno cosa siano.
E cosí si affidava a Lei e tutto cominciava ad andare a meraviglia.
I suoi pensieri vennero interrotti.
- Ciao Bambola! Mi chiamo Michele -
Sofia lo guardó e non si degnó nemmeno di rispondergli. Ritornó a guardare in giro, senza degnarlo di uno sguardo.
Lui peró non sembró averlo notato.
- Eii barista, un rum e cola per me e la pupattola qui -.
"Pupattola? Pupattola?! Ma come osa questo escremento senza cervello?"
Era questo che pensó Sofia, guardandolo con un espressione stupita e disgustata.
Ma non voleva litigare, non aveva voglia di rispondergli male per poi scatenare una rissa con il conseguente aiuto da parte dei suoi compagni.
Decise di acconsentire. Avrebbe bevuto quel drink con indifferenza, magari poi se ne sarebbe andato.
Il drink era arrivato. 
Lei intanto abbassó lo sguardo sulla sua borsa per poi frugare dentro, cercare il cellulare e constatare che erano le 23,45.
Voleva andarsene.
Inizió a bere, mentre il tizio parlava di cose inutili e futili. Lei faceva finta di ascoltarlo.
Lo fece chiacchiere per cinque minuti.
- Si, sono cose interessanti. È stato un piacere. Scusami, ma ora devo andare-.
Si alzó, ma un senso di vertigine la fece ritornare su quella sedia.
- Ecco brava Tesoro. Siediti. Non ti preoccupare. Aspettiamo un altro po' e poi ti porto in un posto speciale-
"Cazzo, mi ha drogata. Questo stronzo vuole stuprarmi".
Erano questi episodi che facevano diventare ancora più attendibile la sua tesi. Gli uomini vogliono solo Una cosa.
Non era la prima volta che le capitava una cosa del genere. Ma non si abituava mai.
Lei accettava tutto, ma non voleva che usassero il suo corpo come un giocattolo, era una cosa sbagliata e che le faceva rivoltare lo stomaco. 
La cosa positiva del GHB? Il mattino dopo non si sarebbe ricordata quasi niente. Beh.. Non era molto, ma almeno i particolari poteva rimuoverli.
Sapeva che tra un po' sarebbe arrivata quella sensazione di benessere, rilassatezza e un desiderio sessuale forte che non l'avrebbe fatta più ragionare.
Una lacrima uscì dai suoi occhi.
In quei casi lei odiava la sua vita più del dovuto.
- Bambolina, è ora di andare-, disse con un sorriso folle.
Le pesava la testa, ma ormai non capiva più niente. Inizió a ridere.
Lui la prese in braccio e la condusse in una stanza. A un certo punto non sentì più il rumore assordante della musica.
Sofia, per tutto il tragitto, inizió a toccargli il petto, a sbottonargli la camicia, sempre più vogliosa.
- Tesoro, direi che possiamo dare il via ai giochi-
Si sentì buttare sopra un letto. Michele inizió a baciarla, con foga e senza ritegno, sbattendogli la lingua in bocca, quasi strozzandola.
Lei rispondeva con i suoi baci vogliosi, continuando a toccarlo tutto. Gli aveva già tolto la camicia. 
Guardava la stanza e vedeva tutto sfocato, guardava lui e non vedeva niente. Era tutto buio.
La sua voglia e la sua passione la stavano distruggendo. Non ce la faceva più.
L'uomo la toccava con foga, spogliandola velocemente. 
In poco tempo rimase nuda, davanti a lui. Un animale.
Non voleva perdere tempo, si tolse il resto degli indumenti da solo.
Lei, vogliosa solo di contatto fisico e con la testa pesante, continuava a strisciare le mani su tutto il corpo. Gli prese la sua erezione tra le mani.
Lui godeva. 
Le strinse troppo forte le braccia che stava tenendo tra le mani. 
Doveva aggrappassi a qualcosa.
Lei gemette dal dolore, ma continuó col suo giochetto.
- Rilassati tesoro. È tutto ok -
Lui si ributtó definitivamente su di lei. I suoi baci stavano diventando disgustosi. Le sua carezze era tutt'altro che coccole.
Le aprì forzatamente le gambe, non trattenendosi più.
- Buona, sei davvero deliziosa piccola-
Giocó con la sua femminilità non con dolcezza, non con tenerezza ma con aggressività.
Lei subiva, ancora con la mente annebbiata.
Dopo un tempo indefinito la penetró, con spinte sempre più forti.
Alcune lacrime inconsapevoli uscirono dagli occhi di Sofia. Il suo sorriso causato dall'ectsasy non scomparve e la sua spigliatezza nemmeno.
Lui non si fermó finchè non fu soddisfatto e appagato da tutto quello schifo.

La mattina dopo? Come ogni santa volta, si trovó in una via di New York. Buttata lì, vestita alla ben meglio, con i sensi di vertigine, di vomito e confusioni.
I suoi ricordi sfocati, le mani di quel porco su di lei, l'annebbiamento.
Quel giorno vomitó l'anima, e riuscì a stento ad arrivare a casa.
Le braccia le facevano male. Le guardó e non capì perchè spuntarono due lividi violacei.
Ah Beh.. Almeno il porco aveva avuto la decenza di farle ritrovare la borsa accanto a sè.


**
Buongiorno a tutte!
Ho iniziato una nuova storia che, sinceramente, mi sta molto a cuore per le tematiche e anche per ciò che racconta e trasmette a me personalmente.
Gli argomenti sono un po' crudi e forti, però sperò di raccontarli al meglio.
Questo capitolo vuole solo essere un'introduzione, una specie di narrazione sulla solita routin di Sofia, sullo schifo che deve affrontare e da cui vorrebbe scappare, senza però riuscirci.
Spero di riuscire a non rendere ridicolo nulla e di adattarmi alla reltà senza narrare cose o situazioni che non esistono. Spero.
Fra

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Capitolo 2
*** Non ti chiamerò mai, tranquillo. ***


AuA 2.
 2. Non Ti chiamerò mai, traquillo.

Iniettata endovena l'eroina provoca un particolare flash euforico della durata di trenta secondi.. la vita vale trenta secondi?


- Sofia, vieni con noi in un locale? -.
- Certo Dan. Posso mai mancare? -.
Un'altra settimana di lavoro e follie era passata. Il sabato era arrivato e come sempre Sofia e Dan andavano in quei locali dove non c'erano piedi piatti in giro, dove la musica era assordante e dove la roba poteva girare liberamente.
Erano quelle uscite di gruppo in cui ci si drogava insieme. C'era più adrenalina, più vivacità, divertimento e follia.
La pensavano tutti così. O almeno quasi tutti. 
Per Sofia era una serata come un'altra, all'insegna dello sballo e della sua voglia di Lei. Non importava se era in compagnia o meno, tanto la serata si doveva concludere come le precedenti e il suo unico scopo era quello di estraniarsi dal mondo e non pensare a niente, anche solo per pochi minuti.
In quella settimana era successo davvero di tutto e lei aveva un bisogno profondo di tutto questo, di Lei.
"Che Troia". Continuava a pensare da quattro giorni a quella parte. Di chi? Sua madre.
Già. Poteva mai una figlia odiare così tanto una madre? Beh.. Sofia poteva.
Quella donna, quattro giorni fa, le aveva telefonato. Fin qui tutto ok.
Sofia aveva risposto ed era rimasta sorpresa e stupida dalla voce che aveva udito alla cornetta. Sua madre! La stessa persona che non la calcolava più da cinque mesi, adesso le stava parlando.
Già.. Ma forse Sofia si era solo illusa. Le persone non cambiano.
"Come stai? Sei ancora viva? Te la cavi bene da sola? Hai bisogno di aiuto?"
Sofia non capiva. Era così difficile fare una di queste semplici domande. Non le pretendeva tutte, ma una sola. Almeno per fare finta che le interessasse qualcosa!
Invece no.
- Sofia, ricordati che devi pagare l'affitto. Il Sig. Weite si è lamentato con me! Renditi conto di come sei conciata. Trovati un lavoro più fruttuoso!-.
Sofia era rimasta a bocca aperta. Anzi no. Il suo cuore era morto alla prima frase pronunciata dalla madre. 
Si, non era la prima volta che le parlava così, ma a certe cose non ci si abitua mai.
Rimase immobile per qualche istante. Alcune lacrime sfuggirono al suo controllo. Staccó.
Il giorno dopo provvide subito a pagare l'affitto solamente per non sentire più la voce stridula di quella donna.
- Alice nel paese delle meraviglie!? Siamo arrivati. Porta fuori il tuo bel culo da questa macchina se non vuoi che ti lasci qui! -. 
Dan! Il suo solito amico idiota. Gli tiró uno schiaffo dietro la nuca, sorrise e scese.
Una volta dentro il locale, una musica assordante la travolse.
- Piccola,  vieni in bagno con noi-.
Dan la prese per il polso e la trascinó dietro di se.
Arrivarono in quel bagno isolato e vuoto. Si guardarono.
Uno di loro aprì la giacca e dalle tasche interne prelevó il contenuto.
Una bustina trasparente. Pastiglie. LSD.
Erica, la ragazza più pazza e fuori cervello del gruppo, si avventó su di lui per prendere quelle prelibatezze.
- Bellezza, calmati. Ce n'è per tutti. Tranquilla-.
Parló Billi, il più esperto, quello che vendeva e comprava la droga, ma anche quello che le aveva provate tutte.
Aprì quella bustina e prese la sua pastiglia di acido.
Poi arrivó a lei. Ne prese una e la mise in bocca. Quel rettangolino bianco si sciolse sulla sua lingua. Il gusto rimase li, ancora buono e succulento.
Gli altri se ne andarono, uscirono da quel bagno per mischiersi al macello e al fracasso che c'era fuori.
Lei no. Aspettava li, seduta per terra, che la droga facesse effetto.
Non voleva assolutamente ricordare quelle sere passate all'insegna della pazzia. L'unico modo per farlo era compiere le sue azioni e i suoi gesti inconsapevolmente, senza accorgersi di niente.
Dopo mezz'ora il suo cervello non riusciva più a distinguere niente. I colori si contrapponevano, i contorni diventavano sfocati e i suoi pensieri si trovavano in un vortice indiscusso e disordinato.
Stava facendo effetto.
Decise di alzarsi. La musica le entró nelle vene. Si sentì ancora meglio. Inizió a muoversi, strusciandosi su chi le capitava a tiro. Palpando chi la attirava. Ma ormai il suo cervello non ragionava più. Vedeva immagini che non esistevano. Un vortice di cose inesistenti che la sconvolgevano.
I suoi occhi vedevano la gente, i ragazzi affamati di lei e il casino del locale. La sua testa? Vedeva suo padre vivo, lui gli lasciava i suoi soliti bacini affettuosi sulla guancia, erano di nuovo insieme.  Suo padre che la stritolava in un abbraccio tutto suo, che sapeva di lui. Il suo potere era quello di saper donare il suo bene agli altri.
Questo vedeva la sua testa. Questo voleva vedere il suo cuore. Questo, purtroppo, era solo l'effetto del LSD.
Camminava tra la gente. Vedeva ancora quel filmato, quell' allucinazione ad occhi aperti.
Adesso si trovava vicino all'uscita, aveva bisogno d'aria. Sentiva la necessitá di assaporare il vento sulla sua pelle.
Appena messo un piede sul gradino peró il suo equilibrio cedette, sbilanciandola e spingendola irrimediabilmente verso il basso.
Lei non capiva niente, non si sarebbe mai accorta di sbattere il viso contro il pavimento ruvido e freddo. Era ancora nel mondo dei sogni.
Ma prima che la sua faccia potesse essere sfregiata da tagli, il suo corpo fu retto da due braccia forti che le impedirono l'impatto al suolo.
Lui la rimise in piedi, ma vide qualcosa di strano nei suoi occhi. Erano assenti, vuoti.
La portó fuori, sulla panchina che si trovava proprio davanti a quella porta.
Sofia si lasció trascinare, ignara di tutto quello che stava succedendo.
- Ei tu. Stai bene? -. 
Non ricevendo alcuna risposta, l'uomo dai capelli corvini e gli occhi azzurro ghiaccio, inizió a tirarle dei piccoli schiaffetti. Voleva farla rinsavire. Niente, non succedeva niente. Era totalmente e completamente assente. Priva di volontà, sotto le dipendenze di quella pastiglia.
- Cazzo, che diavolo hai preso-.
Parlava da solo il ragazzo. 
Decise di provare la tecnica che si adotta nei film. Un bel bicchiere di acqua gelata in faccia. Non l'avrebbe fatta ritornare in sè del tutto, ma magari avrebbe compreso qualcosa. Prese il bicchiere che gli era rimasto in mano, lo riempì fino all'orlo e glielo buttò dritto in faccia.
Sofia si riscosse e guardó dritta davanti a se. 
Vide lui e lo maledì. Maledì il fatto che l'avesse incontrata e maledì il fatto che avesse interrotto le sue bellissimi immagini felici.
La testa le girava vorticosamente.
- Che diavolo vuoi? Perché ti impicci di affari che non ti riguardano? Sparisci-.
Si alzó, lo spinse via e si incamminó di nuovo verso il locale.
Gli effetti non erano spariti del tutto, anzi.. Erano passate soltanto poche ore.
Lei voleva ritornare ancora nel suo mondo immaginario.
Si sentì prendere per un braccio. Si voltò. Di nuovo lui.
- Che diavolo vuoi ancora? -. Disse, sgorbuticamente.
- Senti, hai bisogno di aiuto. Ti sei vista? Lasciati aiutare -. 
"Bisogno di aiuto?" Pensó Sofia. "Me la sono sempre cavata da sola! Non ho affatto bisogno di aiuto. Ma guarda che cervello bacato!".
- Non dire sciocchezze! E lasciami il braccio -.
Lui, poco convinto, la lasció andare. 
Ma, prima che potesse sfuggirgli definitivamente, gli mise il suo numero nella tasca dei Jeans.
- Se ti serve aiuto chiamami -.
- Non ti chiameró mai, tranquillo. Buona notte-.
Lui la guardó tornare sui suoi passi.
Osservando, dovette ammettere che era davvero bella. Un fisico perfetto, forse un po' magro. C'era qualcosa di inquietante in lei. Le labbra carnose ma screpolate; i suoi occhi verde smeraldo, spenti; i suoi capelli di un castano d'orato.
Era sicuro che l'avrebbe chiamato.
Sofia, tutta barcollante e impuntata nelle sue decisioni, tornó lì dentro a sognare ad occhi aperti e a finire in bellezza la serata.

Il mattino seguente si sentì scombussolata e assonnata. La testa che pulsava non l'aiutava di certo.
Si alzó con calma e andó a farsi una doccia ghiacciata, per riprendersi.
Per la prima volta dopo tanto tempo le venne voglia di latte. Aprì il frigo e se ne versó una tazza piena. Bevve con avidità quella bevanda per tanto tempo inesplorata, assaporando tutti i suoi gusti nascosti.
Stava già meglio.
Decise di non uscire. Quel giorno non avrebbe messo piede fuori di casa. Non sarebbe andata alla ricerca di Lei.
Avrebbe resistito un giorno intero. Lo sapeva. L'aveva già fatto. 
Era solamente un giorno, ma Sofia aveva deciso così.
Quello che aveva ingurgitato la sera precedente le sarebbe bastato per tutto il giorno. Ne era sicura.
Si sedette sul divano. Passó sul suo canale preferito dove, in quel momento, andavano in onda i mitici " The Simpson". Passó un'ora così, tra sorrisi e risate. 
A un certo punto, ecco un  flashback. Lei. Suo padre. L'abbraccio. Il senso di calore e affetto. Sentirsi amata.
Era rimasta immobile per il breve istante in cui successe il tutto.
Lo sapeva. Gli effetti del LSD stavano durando ancora. 
Era questo che più la spaventava fin dal principio. Era questo che voleva evitare.
I suoi occhi si riempirono inevitabilmente di goccioline di acqua salata. 
Suo padre, l'unico uomo che l'abbia amata davvero l'unico genitore che abbia mai avuto. La vita glielo aveva portato via. Cancro. Quella parola che molti non vogliono pronunciare, Sofia non aveva mai capito il motivo. Perchè chiamarlo "il brutto male"? È un dato di fatto, le persone muoiono di Cancro. Il Cancro esiste e non nominarlo non porta a niente.
Ricorda ancora quell'ospedale, suo padre su quel letto e sua madre con una faccia disperata a piangere. O faceva finta?
Sofia era li, immobile, a guardare il corpo senza vita di una persona che per lei era il tutto. Quella volta non pianse, semplicemente scappò e si rifugiò nel suo appartamento per evadere dalla realtà.
Le allucinazioni durarono per tutto il giorno, rattristandola e distruggendola.
Passarono le ore e il suo appetito svanì. Alle nove precise ricevette una chiamata. Dan.
- Eii piccola, come stai? -.
- Ciao Dan! Sinceramente non tanto bene. Quei dannati effetti post-pazzia mi stanno uccidendo. Tu? Come te la passi?-.
- Tutto bene. Che ne dici di venire da me a farti una bella dose? Almeno non ti deprimi lì, tutta sola. Ci sono già Erica, Billi e tutti gli altri-.
- No grazie, penso che me ne starò buona a casa, a dormire-.
" Strano che Sofia dica di no". Pensó Dan.
Staccarono.
Sofia si distese sul divano e chiuse gli occhi, sfinita. Ma suonarono il campanello. A quell'ora?
- Ciao Erica. Che ci fai qui? Non eri da Dan? -
- Si, ma visto che il tuo protettore era preoccupato per te, ho deciso di venire a recuperarti -. Sofia era sconvolta. Non si aspettava di trovarsi lei davanti alla porta. In fondo non si sono mai calcolate, mai prese in considerazione più di tanto. Ma sapeva quanto Erica ci tenesse a Dan. Sapeva quanto la felicità del suo migliore amico le stesse a cuore. 
Erica era legata a Dan, forse era pure innamorata. Anche il ragazzo lo era, ma non voleva complicazioni sentimentali, così diceva. Come se si potessero tenere a freno i sentimenti!
- Muoviti, vestiti! Togliti questo pigiama puzzolente.
Sofia decise di andare. Aveva bisogno di svagarsi, di dimenticare. Non poteva farne a meno.
Si infiló le prime cose che trovó, prese la borsa e uscì di casa.
Si diressero verso quell'ex clinica.
- Questa sera ti sballerai per bene-. Le disse Erica.
Salutarono tutti quanti.
A un certo punto Erica prese un elastico emostatico
In quel momento Sofia sbiancó. Non voleva assolutamente provare l'eroina.
Non voleva essere dipendente anche a quella roba. Voleva evitarla, ha sempre cercato di farlo. Da qualche parte aveva letto che, in una classifica, era la droga più potente tra quelle conosciute. 
Certo, aveva voglia del brivido, della follia. Ma non così. 
Erica aveva visto la paura nei suoi occhi.
- Oh, non ti preoccupare. È solo per una volta! Tranquilla!-.
Sofia vedeva le altre persone iniettarsi quel liquido. Vedeva il loro benessere e il loro non pensare a niente. Estraniarsi.
" Perchè no?! Al diavolo tutto!" si disse.
Con un sorrisetto le sporse il braccio. Sentì il ghiacciato elastico stetto sul suo braccio. Erica estrasse una siringa dalla tasca.
- Rilassati Sofia-.
Lei cercó di farlo. Aveva il cuore che batteva all'impazzata.
Sentì l'ago freddo appoggiarsi sulla sua pelle e lo sentì entrare dentro.
Un flash euforico le crebbe dentro. Si sentì leggera e felice. Era una sensazione strana, la testa le scoppiava e non capiva più niente. Aveva un forte senso di calore e sudorazione sparso per tutto il corpo.
- Adesso Sofia, puoi andartene in giro a divertirti come non mai-.
Sentì la voce lontana e ovattata di Erica. Lei stava in un'altro mondo, in uno stato di benessere.
Dopo circa venti minuti, i suoi pensieri iniziarono ad avere un senso logico, ma l'euforia e lo stato di benessere persistevano. 
Sofia non aveva mai provato una cosa tanto forte. I suoi standard erano leggermente più bassi. Si sentiva davvero euforica, al centro di un mondo tutto suo. Non sentiva niente, non provava tristezza e i ricordi spiacevoli erano lontani.
Barcollante, uscì dall'ex clinica verso una meta ignota. Vagava per le vie con quel suo sguardo assente.
Era passata circa un'ora dall'assunzione ma lei non percepiva questo lasso di tempo. Per lei più la situazione durava e meglio si sentiva, sia psicologicamente ma anche fisicamente. Questo sarebbe stato sicuramente un dato di fatto.
L'effetto di benessere ed euforia, con il passare del tempo, si era raddoppiato. Adesso i suoi problemi reali erano caduti per sempre nel dimenticatoio, il suo mondo magico senza sofferenze nè problemi l'aspettava a porte spalancate.
Si appoggiò a un muro e si lasció cadere, strisciando fino al suolo. Si sentiva spossata, gli effetti stavano per cedere. Le girava vorticosamente la testa e il senso di nausea stava salendo. Appoggiò la testa, retta dalla sua mano. Si rannicchiò con le ginocchia contro il petto, non riusciva ad alzarsi e i suoi muscoli erano troppo spossati, troppo stanchi per fare un qualsiasi movimento. Il suo respiro era diventato affannato. Si sentiva male in un modo strano, non capiva cosa le stava accadendo.
Aveva bisogno di aiuto. Peccato che in quelle strade non passava un anima viva. Sua madre? Quella menefreghista del cavolo? Non si sarebbe mai abbassata a quei livelli. Avrebbe preferito di gra lunga morire. Almeno quella donna avrebbe avuto un problema in meno!
Tiró fuori il cellulare dalla tasca dei Jeans, ma un pezzettino di carta uscì con esso. 
Sofia lo raccolse e lesse. Era un numero.
Adesso che si ricordava bene!
"Se ti serve aiuto chiama". Quel ragazzo fuori dal locale, ieri sera. Poteva chiamare lui.
"Ma chi lo conosce". 
Sofia pensava e ripensava. Cosa fare? Chi chiamare? Non lo sapeva. Intanto la nausea crebbe e lei dovette vomitare l'anima su quel marciapiede.
Ma non concluse niente. Il male che provava non diminuì.
Inizió a schiacciare i numeri sul suo Blackberry. Quei numeri impressi su quel foglietto bianco.
Tu tu tu tu. 
Aspettò per alcuni secondi, con la mano schiacciata sul suo basso ventre. 
- Pronto-
Lui rispose. La sua voce era assonnata. Sicuramente stava dormendo.
- Vienimi a prendere, ti prego-.
Lui, sbalordito, si riscosse, alzandosi dal letto e vestendosi.
- Ok, respira. Dimmi solamente dove ti trovi-.
Sofia parló a sussurri. La pancia le faceva troppo male e le parole le uscivano deboli e a scatti.
- Non lo so. Non capisco niente. Sono in una via e davanti a me c'è un grande giardino con tanti alberi-.
- Grande giardino.. Tanti alberi..-.
Restò in silenzio per alcuni secondi.
Poi si illuminò.
- Ok ci sono. Ferma lì. Non ti muovere. Io arrivo tra un attimo-.
- Ok-. Sussurrò lei, sfinita.
Staccarono. Lui scese le scale e sfrecciò per le strade. Doveva raggiungerla.
Si ricordava di lei, della sua voce. Era la ragazza a cui aveva dato il suo numero la sera prima. La stessa che aveva bagnato con dell'acqua ghiacciata per farla tornare in sè.
" Non ti chiameró mai, tranquillo". Era così che gli aveva risposto. Invece, inaspettatamente gli era arrivata quella famosa chiamata.
Giró e vide il grande giardino. 
"Secondo le sue informazioni deve trovarsi in questa via".
La vide li, accasciata al suolo.
Una mano sempre a sostenere la testa che le pulsava più che mai.
L'altra era stretta al ventre che gli bruciava. La stringeva con un' energia immane, con la speranza di trovare un po' di conforto a quel dolore.
Si fermó davanti, scese e le andó incontro.
- Ei tutto ok. Tranquilla-.
Gli mise un braccio intorno al collo e uno nell'incavo delle ginocchia e la sollevò tra le sue braccia.
Un vagito uscì dalla bocca della ragazza.
- Mi fa male la pancia -.
Con delicatezza l'appoggio sui sedili anteriori della sua X5 e tornò sul sedile del guidatore.
Lei stava ad occhi chiusi, cercando di lenire e controllare il suo dolore.
Stefano sfrecciava per le vie di New York. Si era accorto che la ragazza stava davvero male. E sapeva che si era fatta, come lo aveva capito la sera precedente. Ed era stato per questo motivo che aveva deciso di aiutarla. Voleva farla uscire dal giro. Anche lui ne era dentro circa cinque anni fa. Certo, non a quei livelli. Lui prendeva ogni tanto qualche pastiglia con gli amici. Ma in quei pochi mesi aveva capito che la cosa non portava a nulla di buono. L'episodio per lui più scioccante? La morte di suo fratello per overdose.
Così decise di smettere. Per la sua situazione non grave e per la sua non grave dipendenza, riuscì a farcela da solo con l'aiuto dei suoi VERI amici.
In venticinque anni quella era stata la scelta più sbagliata che potesse mai intraprendere.
Adesso invece voleva ricambiare il favore, come i suoi amici avevano fatto con lui.
Ma Stefano non sapeva com'era esattamente la situazione di Sofia. Credeva fosse facile? Lei non era come lui. Lei ci cascava, ci provava ma poi crollava sempre. Lui non sapeva tutto questo.
Stefano non sapeva di essere entrato in un giro di guai da dove o sarebbero usciti in due o sarebbero morti in due.




**
Buongiorno.
Questo capitolo è piuttosto importante per la continuazione della storia in quanto Sofia incontra per la prima volta Stefano. Lui è un ragazzo che vorrebbe "cambiare un po' il mondo", non riuscendoci. Vorrebbe aiutarla, per fare questo. Con piccoli gesti lui, in realtà, fa tanto e non se ne accorge.
Qui Sofia cade davvero in basso, anche per il fatto della madre e dei ricordi che le trasmettono il padre a cui ha voluto bene e da cui si sentiva amata.

Alla prossima. Fra


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Capitolo 3
*** Nessuna speranza ***


AaU 3.
  3. Nessuna speranza

Sofia era svenuta dal dolore, provava così tanto male che dopo i vari lamenti svenne, il suo corpo si stava rifiutanto di sentire ancora quel dolore atroce. Stefano era davvero preoccupato, lei si era ridotta male e domattina avrebbe dovuto fare i conti con i post droga.
- Lasciami, ti prego. Non mi toccare -.
Era da tre minuti che parlava nel sonno, agitandosi e urlando qualcosa ogni trenta secondi, come se il suo incubo fosse così atroce da non poterlo controlare.
Arrivato davanti al portone del suo appartamento, la prese in braccio, facendo attenzione a non farel male. Era caldissima e sudata, i suoi lunghi capelli le si appiccicavano alla fronte, Prese l'ascensore e la portò in casa, adagiandola sul divano.
" Cazzo, perchè l'hai fatto".
Era nervoso e avrebbe voluto tanto dare un pugno al muro per scaricare un po' la sua rabbia, ma quello non era il momento. Non era la prima volta che aiutava persone in quelle condizioni, ma gli era sempre costato tanto, era sempre stato difficile per lui.
Le prese il braccio e le vide il buco della siringa, come immaginava, non aveva avuto dubbi fin dal'inizio. Eroina.

La sua mano andò a finire sulla sua fronte che era davvero bollente, aveva la febbre. Prese il termometro e le misurò la temperatura, constatandone la gravità. Era a quaranta.
Lei intanto si era un po' quietata, non parlava più e non urlava, aveva preso un po' coscienza e si lamentava ancora per il dolore che sentiva allo stomaco.
Stefano prese del ghiaccio che le mise sulla fronte e poi cercò di farle bere lo sciroppo, alzandole la testa. Infine le mise tre strati di coperte per non farle sentire freddo in quanto iniziò a battere i denti. Era rossissima, la febbre aveva reso le sue guance rosso ciliegia.
Stefano rimase lì a fissarla e non potè fare a meno di ripensarlo. Era proprio bellissima.
Stette sveglio fino a quando non vide che Sofia stava meglio e poi si addormentò lì, sul tappeto, con la schiena appoggiata al divano.

Sofia si sveglio indolenzita, i muscoli delle braccia e delle gambe erano a pezzi e sentiva la testa pesante. Aprì gli occhi e si accorse di non trovarsi a casa sua.
Cercò di ricordare gli eventi della sera prima, qualche particolare, ma niente. Ricordava solamente Erica e l'ago conficcato nella sua pelle, poi il vuoto assoluto fino al dolore. La pancia, la testa, stava malissimo.
Girò lo sguardo per la stanza, finchè vide lui e ricordò. Aveva chiamato quel ragazzo, quello incontrato nel locale che le aveva lasciato il numero sul bigliettino. Quindi si era conciata così male da dover chiamare qualcuno che non conosceva, lei, la stessa ragazza che se l'era sempre cavata da sola.
Il ghiaccio messo  la sera prima da Stefano era diventato acqua. Si tolse il panno dalla testa e, facendo più piano possibile, si alzò. Voleva andarsene senza nemmeno svegliarlo, era stato un grande errore chiamarlo.
Adesso? Cosa avrebbe pensato di lei? Insomma.. non ci voleva una scienza a capire cosa aveva fatto per conciarsi nello stato della sera precedente. Si, lei si vergognava. Si vergognava per come viveva e di cosa faceva per vivere e adesso si vergognava che lui, quel ragazzo dai capelli corvini, avesse scoperto il suo piccolo segreto.
Si mise le scarpe, prese la borsa e si diresse verso l'uscita, verso l'ascensore interno di quell'appartamento.
Ecco. Lei che cosa centrava con quel mondo? Lui aveva un acensore. Un ascensore i-n-t-e-r-n-o. La sua vita doveva essere felice, bella e senza problemi, insomma.. che ci faceva lei li? Era tutto l'opposto di lui.
Appena aprì la pora, però, sentì una voce dietro di sè.
- Ei, dove vai? -.
Si era svegliato, quel ragazzo affascinante l'aveva beccata. Lo fissò negli occhi e si sentì morire, quegli occhi azzurro ghiaccio la mettevano in soggezione e la imbarazzavano maggiormente, ma prese coraggio e parlò.
- Si, grazie per tutto quello che hai fatto, davvero. Ma tutto questo è un errore-.
Non alzando più il suo sguardo verso di lui e non dandogli tempo di replica, si chiuse la porta dietro le spalle e scappò lontano.

Erano passate dieci ore e Sofia era sdraiata sul suo letto, nel suo appartamento. Osservava il soffitto, le nervature, le chiazze di umidità, i pezzetti di intonaco che venivano via.
Le dieci lunghissime ore erano passate dal momento in cui era scappata da quel ragazzo. Diciotto dall'ultima assunzione.
Vicino al suo corpicino c'era una vaschetta enorme di gelato al cioccolato. Non voleva cedere di nuovo, così si abbuffava una giornata intera per combattere la crisi di astinenza e per non pensarci. Questa tattica l'aveva già sperimentata, non aveva mai funzionato, ma lei era testarda.
In realtà non lo faceva per lo scopo di farecela -sapeva già in partenza che sarebbe caduta in ginocchio- ma per il semplice gusto di dire "Wow, ho resistito l'ennesimo giorno", evitando di ricordare anche "senza concludere nente".
La vaschetta al cioccolato era finita, ma per terra c'era il resto delle schifezze che aveva ingurgitato precedentemente: patatine, pop-corn e soprattutto torta con panna e fragole, la sua preferita.
Come uno zombie, si alzò per andare in cucina, aprì ogni singolo stipetto del mobile, ma non c'era più niente di commestibile, infatti non aveva fatto la spesa.
E adesso? Come avrebbe fatto?
Andò verso il divano e accese la tv. Doveva far passare il tempo, non avrebbe ceduto così facilmente.
Si sedette e fece passare ancora quindici minuti, facendo zapping con il telecomando e muovendosi in continuazione su quell'arredamento divenuto improvvisamente scomodo.
Le venne un gran mal di pancia, la nausea incominciava a farsi sentire.
In effetti come poteva un corpo non abituato a mangiare così tanto, resistere a uno sbalzo così brusco di abitudine?
Non poteva, Sofia lo sapeva. Quando aveva agito così la prima volta era successa la stessa cosa.
La nausea era arrivata ai punti estremi della sua forza di volontà.
Corse in bagno e rimise tutto ciò che aveva messo in bocca nelle ultime due ore. Ritornò in cucina, buttandosi sul divano con gli occhi chiusi. Era spossata, sia fisicamente che mentalmente e a causa di ciò si era notevolmente ridotta anche la sua resistenza psicologica.
Inizò a sudare e a tremare. La voglia era ritornata alla carica più forte che mai. Così non stava affatto bene, doveva assumere qualcosa prima di peggiorare la situazione.
Barcollante, si alzò e andò verso la sua borsa, dove erano rimaste alcune scorte dipolvere. La trovò e la prese, posizionandola sul tavolo. Vogliosa, con i suoi occhi arrossai, inalò.
Quella volta non cedette solamente per venti schifosissime ore. La sua media, invece di salire, scendeva radicalmete, il suo record di ventiquattro ore era un ricordo lontano e,ora come ora, imbattibile. Non sarebbe mai più riuscita a battere quel tempo. Più andava avanti con le assunzioni e più resistere era difficile e impossibile. Ora, quella spiacevole consapevolezza si faceva largo nella sua testa. Per uscirne, se voleva uscirne, le serviva aiuto. Ma questo non lo avrebbe mai accettato.
Saltò subito alla conclusione che non sarebbe mai più riuscita a smettere. Non aveva più speranze.
Quella sera, dopo essere tornata in sè, pianse lacrime amare.

Il weekend era finito e un'altra settimana di lavoro era incominciata. Sofia si svegliò presto, come ogni mattina. Dop aver preso la metro, percorse un pezzo di strada a piedi ed entrò nel piccolo ristorantino tenuto da una coppia di cinquantenni. Giacomo ed Eleonora.
- Ciao Giò. Ciao Ele-.
-Ciao piccola-.
Li conosceva da una vita. Sofia andò a lavorare li nel momento in cui aveva deciso di diventare una ragazza indipendente, di allontanarsi dalle grinfie della madre.
Loro, per lei, erano diventati come una seconda famiglia. Da loro si sentiva davvero protetta, sentiva che loro erano gli unici sulla faccia della terra a cui importasse davvero cosa facesse e che cosa le accadesse, sapevano tutto di lei e avevano cercato in tutti i modi di aiutarla. Ma Sofia è sempre stata testarda. Non si smuoveva mai dalle sue idee, non voleva aiuto.
- Sofia, d'ora in poi ci sarà una nuova aiutante. Ti presento Federica -.
Fu Giò a parlare. Vicino a lui c'era una ragazza che solo allora vide. Aveva i capelli ricci biondi e degli occhi verde acqua. Le due si fissarono per un lungo tempo e infine Sofia le porse la mano.
- Piacere -. Dissero all'unisono.
La giornata iniziò così. Quel giorno i clienti abbondarono. Sofia e Federica non ebbero il tempo di parlare, di conoscersi.
- Sofia -. Si sentì chiamare proprio da lei. - Che ne dici se dopo andassimo al Mc a prenderci patatine e hamburger e a cenare insieme?-.
Lei era rimasta sbalordita da quella proposta. Mai nessuna l'aveva considerata a tal punto, tutte  le sue amiche l'avevano sempre trattata con diffidenza e distacco. E poi ultimamente, da un po' di tempo a questa parte, le sue uniche uscite erano quelle che faceva il sabato sera con i ragazzi della clinica! Così, con un sorriso sincero sulle labbra, fu molto felice di accettare.
Finito il loro turno, alle quattro del pomeriggio, passarono le restanti ore in centro tra i negozi e assaporarono un gelato fresco.
- Perchè ti sei trasferita qui? L'italia non era più adatta alle tue esigenze? -.
Federica abitava in Italia, questo si poteva capire anche dal suo accento. Aveva studiato lì fino alla quarta liceo. Poi, con i suoi genitori, aveva deciso di trasferirsi a new York. Suo padre non trovava lavoro e così erano in cerca di fortuna. Adesso, per pagarsi le spese del college, lavorava in  quel ristorante.
- Così vivo tra lavoro e università -.
L'aveva incontrata da poco ma a Sofia sembrava di conoscerla già da tanto e l'ammirava. Ammirava la sua forza di volontà davanti alle situazioni difficili e ammirava la sua famiglia, il modo di stare sempre uniti, insieme.
Alle sette e mezza in punto, dopo aver finito il loro giro, andarono a cenare al Mc.
Parlarono del più e del meno, come delle amiche di vecchia data. Sofia non si sbilanciò mai, non parlò mai affondo della sua vita privata, sviava sempre le domande che chiedevano cosa facesse abitualmente la sera.
Stettero molto tempo insieme. Si divertirono. Prima di ritornare a casa, decisero pure di andare a prendere un caffè al bar davanti a Central Park.
- E' stata davvero una bellissima giornata-.
- Già, dovremmo replicare. Grazie di tutto -.
- Grazie a te-. Disse Sofia, davvero felice. Era contenta di aver trovato una persona come Federica. Era da tanto tempo che non trovava un'amica che rispecchiasse il significato di questo vocabolo. Era da tanto che non si fidava così di qualcuno e che non si divertiva ad uscire normalmente con una sua coetanea.
Con il sorriso stampato in viso, si incamminò verso il suo appartamento. Arrivata, si tolse le scarpe e si sdraiò sul divano, tutta dolorante.
Chiuse gli occhi e ripensò alla giornata trascorsa. Non poteva fare a meno di sorridere. Ormai era nel mondo dei sogni e, sognante, si addormentò su quel divano, con la testa libera da ogni preoccupazione e le labbra curvate in un vero sorriso. Per una sera l'avevA davvero dimenticatA.

" DinDon"
Sofia sentì questo rumore fastidiosissimo. Era il campanello.
Si alzò svogliatamente e andò ad aprire la porta.
- Buongiorno-.
Era Federica. Dopo la loro uscita, replicarono due volte quella settimana. Adesso era mercoledì e avevano il turno di pomeriggio.
- Dai Sofia, muoviti! Dobbiamo andare a fare un puro e sano shopping-.
- Cosa? Ma se mi sono appena svegliata! E poi ho un sonno folle -.
Con gli occhi stravolti, si rimise sotto le coperte.
- Eh no amica mia. Non ho fatto tutto questo tragitto per niente. Quindi, ALZATI-.
Disse l'ultima parola urlandola nell'orecchio e togliendole le lenzuola di dosso.
Sofia, senza forze, obbedì e si andò a lavare e si vestì con un paio di jeans stretti, una maglietta e delle tennis, pronta per uscire.
La sera precedente aveva preso una piccola dose di cocaina, non ce la faceva più. Era in astinenza da troppo tempo. Beh.. comunque lo sapeva. Non sarebbe mai riuscita a smettere. Ormai quella frase era diventata quasi una preghiera per quante volte al giorno se la ripeteva. Forse l'unica consolazione era quella di sapere e constatare che da quando Sofia conosceva Federica, non esagerava con le dosi.. era più spensierata.
- Bene, adesso dobbiamo trovare un vestito per te perchè domani verrai con me al compleanno del mio amico. Li ho già avvertiti-. Disse Federica, tutta sorridente.
Sofia si fece prendere dal panico. Era da tantissimo tempo che non faceva una vera cena tra amici. La sua vita non era un esempio di normalità e adesso, andare li con la sua amica, non le sembrava una gran cosa. Sarebbe andato sicuramente tutto male, avrebbe fatto una brutta figura e avrebbe rovinato la serata a tutti.
- No, non è il caso. Non verrò-.
Federica la guardò con sguardo di rimprovero e la trascinò fuori casa. Non aveva speranze.
Girarono per tutto il centro, alla ricerca si qualcosa che agradasse il piacere di Sofia e il giudizio dell'amica.
" Quello troppo lungo, quello troppo corto, quell'altro è troppo elegante e questo è, poco adatto alla serata".
Insomma, continuarono così per circa un'ora, finchè tutte e due furono d'accordo su un vestito nero.
Sofia lo provò. - Wow, ti sta benissimo-.
Così lo acquistò. Ma era ancora inquieta. Cosa avrebbe fatto l'indomani? L'avrebbero giudicata? Derisa? Erano queste le sue preoccupazioni maggiori.
Alle due e mezza iniziarono il loro turno al ristorante. Quel giorno c'era più gente del solito. Sofia stava davvero sudando. Non sapeva più da che tavolo iniziare. andavano a destra e la chiamavano a sinistra. Non facevano in tempo a portare un piatto ad un tavolo che le chiedevano subito altre portate.
Alle sette, finalmente, l'afflusso finì e lei potè sedersi un momento sulla sedia.
- Oddio Fede, sono stanchissima-.
- Già, oggi è stata una cosa pazzesca. C'era un bordello di gente. Se fosse durata ancora quella situazione, sarei crollata in mezzo alla strada-.
Si miserò a ridere finchè Giò non le richiamò dicendo che al tavolo tre c'era un cliente.
Sofia prese il suo taccuino e si avvicinò al ragazzo girato di spalle con i capelli corvini.  A Sofia ricordava qualcuno.
- Cosa posso portarle?-.
Ma quando lo guardò negli occhi si bloccò all'istante. Quegli occhi. Quel ragazzo.
- Ei, chi si rivede!-.
Si fissarono, occhi negli occhi.
- Stefano!-. Sentì urlare Federica che venne incontro al ragazzo seduto al tavolo. Lui si voltò e un sorriso sorpreso gli spuntò sulle labbra.
- Ciao Fede-. Si salutarono, abbracciandosi. -Allora è qui che lavori!-.
- Si. Ti presento la mia amica Sofia-. Loro ricominciarono a fissarsi.
- Stefano-. Il ragazzo le porse la mano, in segno di piacere. La ragazza aspettò un po', indecisa se rispondere al saluto o meno. Più che altro per timidezza. Lei timida? Bah!
- Sofia-.
Gli strinse la mano e una scossa di brividi l'assalì. La sua pelle contro la sua e l'incanto di quegli occhi azzurro ghiaccio la misero in soggezione. Abbassò lo sguardo, imbarazzata.
- Lui è il mio amico, quello di domani sera e della festa di compleanno. Almeno così vi conoscete già-.
" Come se non ci conoscessimo già". Pensò Sofia.
Quindi domani sarà il suo compleanno!? Oh.. bene!


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Capitolo 4
*** Thank you ***


4. Thank you
4. Thank you

Sofia si svegliò stanchissima e con un gran mal di testa.
Ieri sera, dopo averlo rivisto, tornò a casa ancora più sfinita del solito. Non era stato facile per lei scoprire che l'indomani sarebbe andata proprio al compleanno del ragazzo che sapeva tutto di lei o, per lo meno, che nessuno avrebbe mai dovuto scoprire. Lui aveva conosciuto la parte peggiore di lei, quella sopraffatta dalla follia.
" Stefano. Era questo il suo nome", pensò.
Alla fine, ieri sera, si incontrò con Dan. Era da circa quattro giorni che non si vedevano. Era sparita dalla circolazione.
- Ei piccola! Che cosa hai fatto in questi giorni? Ci sei mancata -. Le disse il suo amico, appena entrò in quella clinica.
- Oh niente, lavoro -. Rispose così lei, non volendo raccontare la vera motivazione.
Erano seduti per terra. Su una tavoletta erano posizionate strisce bianche che, a turno, inalavano.
- Vieni, unisciti a noi -.
E così, per smorzare la paura e il senso di inadeguatezza che sentiva verso Stefano, accettò l'invito.
Tornò a casa barcollante, con la testa che girava e i muscoli a pezzi.
La mattinata la passò a riordinare casa. Si, aveva deciso di farlo, era da tanto che non si dedicava all'ordine del suo appartamento.
Verso le due chiamò Federica.
- Ei Fede, mi puoi dare un consiglio su cosa potrei comprare al tuo amico? -.
- Sofia, non c'è bisogno che compri niente! Non ti devi preoccupare, possiamo dividere la spesa del regalo che ho acquistato io -.
- Preferire farlo da sola -.
- Sei davvero testarda, amica mia. Comunque non gli piace nulla in particolare. Compra quello che più ti senti. A lui farà piacere comunque -.
Così il pomeriggio lo spese alla ricerca di qualcosa di adatto a quel ragazzo. Non voleva fare la figura dell'idiota ma non sapeva davvero che cosa acquistare. Per fortuna passò davanti a una vetrina di una gioielleria. Fu li che vide un bracciale, un semplice bracciale di metallo, grigio chiaro con sopra l'iniziale del nome scritta con uno strano corsivo. Fu proprio questo che la affascinò. Entrò.
- Buongiorno. Volevo comprare quel bracciale con l'iniziale "S". E poi vorrei che all'interno incidesse queste parole -. Sofia gli porse il foglio e quello lesse.
- D'accordo signorina, passi più tardi e sarà pronto -.
Così, per far passare il tempo, decise di andare a dare una sbirciatina alle altre vetrine. Poi, invasa dalla fame, prese un pezzo di focaccia che mangiò seduta su una panchina. Dopo circa un ora decise di andare a ritirare il bracciale.
Ritornò a casa alle sette. Era davvero tardi! Tra un' ora sarebbe passata Federica.
Si fece una doccia rinfrescante, per far svanire il panico che aveva e per svegliarsi. Poi si asciugò e indossò il suo vestito nero con delle scarpe semplici, bianche. Si truccò leggermente, non le piaceva impiastricciarsi troppo.
Era davvero pronta.. e agitata.
Doveva conoscere molte persone, presentarsi. Che figura avrebbe fatto?
" Calmati Sofia. Non stai mica andando al macello!". Era questo che continuava a ripetersi. Eppure niente, non riusciva a calmarsi. Avrebbe fatto delle figuracce colossali e l'avrebbero tutti derisa.
Cercò di non pensare a queste cretinate per il resto del tempo, senza successo.
Intano arrivò Federica. Lei scese e si accomodò sul sedile del passeggero. Per fortuna era più calma di cinque minuti fa!
- Stasera saremo all'incirca una decina. Vedrai, i miei amici ti piaceranno -.
Sofia non rispose ma sperava vivamente che le parole dell'amica fossero vere.
Il tragitto durò venti minuti.  Arrivarono nel quartiere di Manhattan, davanti a quel grattacielo enorme. Salirono ed entrarono nel suo appartamento. C'era la musica della radio a palla e molta, moltissima gente. Ma non doveva essere una festa tra amici?
" Oddio, e adesso?". Sofia era davvero agitata. Da quando aveva iniziato a drogarsi era così. Ogni volta che doveva conoscere persone nuove aveva paura che loro sapessero della sua vita, del disastro di persona che era diventata e si sentiva osservata da tutti.
- Ste, tanti auguri! -. Disse Federica al ragazzo, porgendogli il regalo e abbracciandolo.
Poi gli occhi di lui si spostarono su di lei. La squadrarono da capo a piedi ben due volte, soffermandosi soprattutto sul suo vestito nero. Poi incontrò i suoi occhi.
L'agitazione ritornò, non riusciva a reggere il suo sguardo e guardarlo negli occhi.
- T-tanti auguri -. Gli disse, avvicinandosi e porgendogli la busta con dentro il suo bracciale.
Stefano sparì dalla loro vista e così Federica ne approfittò per presentarle qualche amico.
- Loro sono Oscar. Fabio. Ginevra. Asia. Paolo -. Continuarono così per una quindicina di minuti.
Intanto lui la osservava da lontano, senza dare nel'occhio. Quei capelli castano d'orato e quegli occhi verdi un po' infossati. Quel corpicino magro, segno di una battaglia persa in partenza.
Lui osservava lei, a sua insaputa. Vedeva che si trovava fuori luogo, che non era affatto tranquilla. Parlava e intanto la teneva d'occhio.
Lei si guardava intorno, un po' spaesata e il suo piede continuava a battere contro il pavimento. Decisero di sedersi a un tavolino, per chiacchierare più liberatamente.
- E tu invece Sofia, che cosa fai nella vita? -. Le chiese Fabio.
" Non impanicarti, non impanicarti".
- Lavoro nello stesso ristorante in cui lavora Federica, da circa cinque anni -. E Sofia ringraziava tutti i santi del paradiso per averle fatto incontrare delle persone come Giò ed Ele.
- Quindi hai abbandonato gli studi? Come mai? -.
Sofia era dievntata quasi di pietra, immobile e paralizzata. Il panico si era davvero impossessato di lei adesso.
- Scusatemi, vado un momento in bagno -. Annuirono tutti, guardandola con preoccupazione.
Lei si alzò e iniziò a camminare per quell'enorme casa, alla ricerca di un dannato bagno. La musica alta non la stava aiutando di certo.
Si scontrò con molte persone che sie erano ammassate li dentro.
- Ei.. Sofia! Ci siamo presentati prima, ricordi? Oscar -. Disse.
Sofia si ricordava di lui, certo. Però, in quel momento, voleva solo un bagno.
- Si, certo che mi ricordo! -. Gli fece un sorriso forzato. - Ma adesso scusami, è da un paio di minuti che sto cercando un bagno. Sai per caso dove si trova?-.
Alzò la testa e lo fissò. Ma lo beccò intento ad osservarle la scollatura del vestito. Lei si mise istintivamente una mano per coprire.
- Si, certo. Ti accompagno -. Disse con un sorriso.
Così la guidò per la mischia, finchè non uscirono e finirono in un lungo corridoio. Lo percorsero tutto e poi svoltarono a destra. Insomma, un bagno non poteva essere così lontano! Sofia era inquieta, qualcosa non quadrava.
Arrivarono alla fine di quel labirinto, dove c'era una porta.
- Oh, è quella porta? Grazie mille -.
Lei si incamminò, ma lui la prese per il braccio e la sbattè al muro iniziando a baciarla. Si impadronì della sua bocca e della sua lingua, come un animale con la sua preda. Passò al suo collo.
- Ei, che diavolo fai? Lasciami! -. Sofia si dimenava tutta,ma i suoi polsi erano intrappolati nella morsa delle sue mani e il suo corpo schiacciato contro il muro. Lui si fermò, per guardala in faccia.
- Sai, ti ho vista quel giorno in discoteca. Eri proprio tu che ti strusciavi contro tutti quei ragazzi, senza ritegno. Adesso che sarà mai se lo fai con me? -.
Doveva esser successo quando non capiva più nienete. Quindi è quello che voleva. Adesso aveva seriamente paura. Un conto era essere presa in giro quando non capiva niente, un altro conto era quando era perfettamente in sè. Avrebbe ricoradto tutto. Non doveva succedere.
- Senti, quel girono non ero in me. E poi non sono una puttana. Quindi lasciami, adesso! -.
Aveva iniziato ad urlare, con la speranza di farsi sentire da qualcuno. Ma con quella musica alta, chi l'avrebbe fatto?
Lui, per farla tacere, si riimpadronì delle sue labbra, bramandole e desiderandole eccessivamente.
Fu li che Sofia non potè trattenere le lacrime che scesero per la sua guancia, fino a staccarsi e bagnare il suo petto.
Era una bambola, un giocattolo nelle mani del suo padrone. Non era la prima volta che succedeva, ma esserne consapevoli era tutta un' altra cosa.
Una spallina stava scivolando dalla sua spalla, come anche l'altra.
Si era arresa.
Il vestito volò definitivamente atterra, lasciandola mezza nuda. Ora l'animale poteva vedere le sue protuberanze senza sbirciare nella scollatura. Infatti si fermò ad osservarle. Le palpò e le strinse un po' troppo nelle sue mani. Poi la guardò in faccia e, vedendo quelle lacrime, si mise a leccarle, per farle sparire.
Sofia era disgustata. Non vedeva l'ora che tutto quello finisse.
Ma c'era Federica che in quel momento era andata a cercarla. Rimase sconvolta vedendola li, in lacrime, inerme. Ripercorse, correndo, tutto il corridoio. Stava cercando Stefano. Ma non lo trovava, c'era troppa gente e la musica assordante.
- Ei Fede! Ti stai divertendo? -. Si sentì chiamare proprio da lui. Si girò e lo guardò negli occhi.
- Oddio Ste.. aiutami.. Sofia.. -. Non riusciva a parlare, a spiegarsi. Era troppo sconvolta.
Lo prese per il polso e lo trascinò li, dove prima vide quella scena.
- Fede, dove cavolo mi stai portando? -.
Ma le parole gli morirono in bocca non appena voltò gli occhi verso il corridoio e vide lei, in lacrime, schiacciata contro il muro, quel vestito per terra e spalline del reggiseno quasi abbassate.
Lui che la stava palpando, senza pudore.
Oscar si girò, non appena sentì delle voci e il rumore di passi. Si bloccò li, fissando l'amico negli occhi. Quegli occhi pieni di rabbia e sgomento. Stefano si avvicinò e lo prese per il colletto della camicia, quasi strozzandolo. Federica teneva l'amico per un braccio.
- Oggi è il mio compleanno, di la c'è tantissima gente e non voglio dare spettacolo. quindi Vattene. Penserò più tardi come fartela pagare. Ma adesso sparisci -.
- Ei amico, non è come sembra. Lei..  -.
- Non dire cazzate -. Lo mise giù e gli tirò un pugno sulla guancia. - Spa-Ri-Sci -.
Oscar, non sapendo più come ribattere, percorse il corridoio e lasciò la festa. Sofia era atterrita. Dopo che quel mostro l'aveva liberata dalla sua morsa, era scivolata conro il muro, priva di forze. Guardava drtitta davanti a se e le lacrime non riuscivano a darsi un contegno. Cercava di coprirsi con il suo vestito. Tremava.
A un certo punto si sentì abbracciare. Era Federica.
- Ti ero venuta a cercare e poi ho visto.. Mi dispiace -.
La abbraccciava forte. Lei alzò gli occhi e incontrò quelli di Stefano.
Quell'azzurro ipnotico. Lo fisso per parecchi minuti.
- Ei Fede, non ti p-preoccupare, sto b-bene-. Disse, con voce tremante.
Ricominciò a fissare lui, che era rimasto in piedi, immobile, a guardarle. Il suo sguardo era ancora quallo di prima, impenetrabile e duro.
Si avvicinò. - Scusami, non doveva succedere niente di tutto questo. Non dovevo semplicemente invitarlo-.
La prese in braccio, incamminandosi per il corridoio.
- N-non ti preoccupare. Non è successo niente -.
Ma lui sapeva che mentiva. Tremava. Si stava solamente nascondendo dietro tante parole.
Lei, vedendo che lui non l'ascoltava, si arrese, troppo stanca per contestare. Appoggiò la testa sul suo petto, sfinita. Dopo due minuti si sentì appoggiare su un materasso. Aprì gli occhi. Era un divano. Doveva essere entrato in una delle tante stanze del corridoio. Era un soggiorno. Più in là, su un tavolo, erano appoggiati tutti i regali incartati di quella sera.
Federica, seduta  su una poltrona, la guardava, preoccupata.
Stefano si sedette vicino a Sofia.
- Vado a prenderti un bicchiere d'acqua -. Federica uscì dalla stanza.
Stefano guardava verso il pavimento. Era pensieroso e ancora arrabbiato. Tanto arrabbiato.
- Adesso ti accompagno a casa -.
- G-grazie. Però posso anche aspettare la fine della festa. Il festeggiato non può mica mancare! -.
Non voleva tornare a casa a crogiolarsi nei suo problemi e ripensare a tutto quello che le era successo. Perchè non ritardare di qualche ora quel momento se le era possibile?
- No Sofia. Se vuoi tornare a casa adesso, ti accompagno ora. Non me ne frega della festa in questo momento-.
Ma di tutto questo discorso, Sofia aveva solamente pensato a quanto risultasse soave il suo nome pronunciato dalla bocca di Stefano.
" Sofia, sei un caso disperato!".
Intanto era tornata Federica con il bicchiere d'acqua.
Dopo aver convinto Stefano del fatto che potesse accompagnarla anche dopo, ritornarono nel grande salone della festa.
- Ragazze, dove eravate finite? -.Chiese Fabio, Ma tutte e due fecero finta di non sentire.
Sofia era ancora inquieta. Saltava al tocco di chiunque la sfiorasse, si perdeva nei suoi pensieri e tremava come se avesse freddo. 
La serata passò così, tra torta gigante, candeline, applausi e di nuovo musica. Tutto questo lo viveva passivamente, senza accorgersi di ciò che la circondava.
Intanto Stefano la osservava più assiduamente. Sapeva che appena fosse rimasta sola sarebbe crollata. La vedeva tremante. Non parlava, non ballava e non era partecipe della festa.
" Meno male che stava bene!", si disse.
- Bene adesso ricominciate a ballare e divertitevi. In fondo la festa è finita, adesso inizia quella vera!-.
Così si congedò dagli invitati, camminando verso di lei.
- Ste, tanti auguri! Volevo farteli di persona -. Incontrò quella odiosa oca di Carla con a sseguito le sue apprendiste.
Gli stava sempre appiccicata e non si scollava mai. - Sai, il mio regalo ti piacerà da impazzire. Sicuramente sarà il più bello fra tutti-.
Continuava così, a dire un mucchio di baggianate, senza lascirlo andare.
- Scusami, ma adesso non ho tempo-.
Così la lasciò li, inerme e a bocca aperta.
Carla lo seguì con lo sguardo e lo vide dirigersi verso Sofia.
" Sgualdrina" pensò, come pensava di tutte quelle ragazze che parlavano con lui. Ma una cosa le ragazze conoscevano di lei: mai andarle contro.
Sofia si sentì toccare una spalla e sobbalzò, Alzò gli occhi e incontrò quelli di lui.
- Scusa, ti ho spaventata. Comunque possimo andare-.
Così si alzò e lo seguì fuori, per le strade chiassose di new York, dove presero la sua Lamborghini nera metallizzata.
" Una Lamborghini?". Pensò Sofia.
- Dove abiti? -.
" Che vergogna. Chissà cosa pensserà adesso".
- Nel quartiere di Brooklyn, sulla sesta strada-.
Lui annuì solamente e partì alla massima velocità per quelle strade. Non parlarono, non dissero nemmeno una parola, Dentro quell'abitacolo c'era un silenzio tombale.
Arrivato sotto il palazzo che Sofia gli indico, si fermò.
- Grazie mille, di tutto-.
Non resisteva più la dentro. I suoi nervi erano a pezzi, e anche il suo autocontrollo.
Stefano non voleva assolutamente immaginare cosa avrebbe fatto una volta entrata in casa. Si ricordava il fratello e quel poco che era nella sua mente non era molto rassicurante.
- Se hai bisogno chiama -. E quel "bisogno", per lui, aveva molti sottointesi.
Lei annuì e uscì dalla macchina quasi scappando.
Lui la osservò aprire quel portone quasi scassato e entrare dento, per poi sparire sulle scale.
Stefano, tornato a casa e aprendo il suo regalo, trovò quel braccialetto. Ma lo colpì l'incisione. Quel " Thank you", scritto in un carattere tutto strano ed era tutto per lui da parte di lei.

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Capitolo 5
*** Non preoccupatevi, sto bene. ***


AaU 5.
Non preoccupatevi, sto bene


"Alla base dell'assunzione delle droghe, di tutte le droghe, anche del tabacco e dell' alcool c'è da considerare se la vita offre un margine di senso sufficiente per giustificare tutta la fatica che si fa per vivere. Se questo senso non si dà, se non c'è neppure la prospettiva di poterlo reperire, se i giorni si succedono solo per distribuire insensatezza e dosi massicce di insignificanza, allora si va alla ricerca di qualche anestetico capace di renderci insensibili alla vita".

 - Umberto Galimberti -




Sofia, messo piede nel suo appartamento, iniziò a respirare regolarmente. Non ce l'avrebbe più fatta a stare sola, con lui, in uno spazio stretto come quello di un auto.
Era esausta, sfinita. Non voleva assolutamente ripensare a tutto quello che le era successo. Le mani di Oscar sulla sua pelle, le lacrime. Voleva dimenticare tutto.
Dopo tanto tempo, aveva un urgente bisogno di Lei, era un urgenza incontrollata.
In quei giorni ne aveva fatto a meno, si era dimenticata di quella polverina soprattutto grazie alle uscite con Federica. Era diventata più spensierata, quasi normale.
Prese la bustina con la solita polvere bianca,  quella era l'ultima dose poi sarebbe dovuta andare ad acquistarne un altro po'. La dispose a strisce sul tavolo e la inalò. Le entrò dentro, per tutto il corpo, rilassandola ed eccitandola.
Quella notte si addormentò più sfinita di prima, con un mal di testa e una nausea che non avevano paragoni. Erano le quattro del mattino.

Nel dormiveglia mattutino, sentì un incessante rumore che non riusciva a definire. Un rumore simile a delle campane, a un trapano, a una sveglia. No. Era il campanello.
Si alzò tutta frastornata e con la testa che le girava, ma fece questo movimento troppo in fretta perchè una forte nausea la invase e lei dovette tenersi alla parete fredda del muro per non cadere.
Dopo essersi ripresa e con la pancia ancora dolorante, andò ad aprire.
Restò per un attimo paralizzata davanti alla persona che si trovava davanti.
" Che diavolo ci fa lui qui?".
- Ciao. Volevo solo sapere come stavi -.
Stefano era sul pianerottolo che la guardava. Aveva un vestito elegante, giacca, camicia e cravatta.
Sofia lo stava guardando, non sapendo cosa dire e col solo desiderio di andare a ristendersi nel suo letto. E poi non doveva assolutamente vederla in quello stato, era già successo una volta e non doveva ricapitare.
- Sisi, sto benissimo! Non ti devi preoccupare-. Disse lei un po' piegata per il mal di stomaco e con la speranza che lui se ne andasse subito.
Ma al contrario di quello che aveva pensato, lui entrò senza chiederle il permesso.
Sofia non sapeva che cosa fare, quello che avrebbe voluto lei in quel momento era di stare da sola. Stava troppo male per pensare pure a lui.
Si chiuse la porta alle spalle e si posizionò davani a lui per mettere fine a tutta quelle scenata e per fare in modo che lui le credesse così da farlo andare via.
- Davvero Stefano, sto bene -.
Lui la guardò negli occhi e le intimò di sedersi. Dolorante, lei obbedì chiedendosi soprattutto che diavolo volesse da lei e che cosa importava a lui di come stesse. Tra un po' non si conoscevano nemmeno!
- Senti, io posso aiutarti sul serio, se vuoi, non c'è bisogno che ti nascondi con me. Ormai il tuo segreto lo conosco. Quindi.. perchè non lasci che io ti dia una mano? -.
Aveva iniziato questo discorso delicato così, senza nessun avvertimento, senza nessun esitazione. Lui era sicuro di quello che diceva.
La realtà? Stefano non voleva più credersi un egoista. Nella sua vita erano successe troppe cose e tutte insieme ma lui non riusciva a perdonarsi la più importante. In un ceto modo Stefano si era incolpato della morte del fratello. Lui credeva di non essersi impegnato, di non essersi accorto in tempo della gravità della cosa, della situazione che stava degenerando sotto i suoi occhi impotenti e quasi ciechi. Viveva tra lavoro e casa. Fare il medico non è vantagioso per i rapporti sociali ma nemmeno per alcune situazioni, è deleterio stare lontano dal tuo abitacolo, dalla famiglia per un giorno intero. Quando torni a casa sei talmente stanco che tante, troppe cose ti passano davanti agli occhi e tu non te ne accorgi. Molte volte era passato a casa di suo fratello, ma finiva sempre per litigare. I loro discorsi erano sempre gli stessi: Stefano lo pregava di smettere con quella roba, di guardare la vita e accorgersi che c'era dell'altro che si stava letteralmente sgretolando. Mick gli rispondeva semplicemente di farsi gli affari suoi. Così scoppiava la rissa, come ogni santissima volta.
Stefano non voleva che succedesse la stessa cosa a lei. Quella ragazza lo incuriosiva, voleva aiutarla, sapeva che poteva farcela questa volta.
Sofia rimase immobile davanti a quella domanda, non voleva che si impicciasse degli affari suoi e poi lei aveva la situazione sotto controllo. Cosa gliene fregava a lui?
- Io non ho bisogno di nessun aiuto. E ora, se non ti dispiace, quella è la porta -. Non voleva sentire una parola di più.
Ma appena terminò la frase un conato di vomito le salì. Andò di corsa in bagno e vomitò in quel water. Stefano, non capendo subito lo svolgersi dei fatti e correndo da lei subito dopo, la aiutò tenendole la nuca, mentre lei gettava l'anima.
Quando quella sensazione disgustosa finì, Sofia si sentiva davvero spossata. Si alzò pericolante, mantenendosi a lui che la portò a stendersi sul divano. Lei chiuse gli occhi per pochi secondi , mentre lui si sedette di fianco. Le scostò i capelli imperlati di sudore.
- Allora, sei ancora convinta di quello che hai detto prima? -.
- Ti prego Stefano, non è il momento. Io sto bene così, questo era solo un calo di pressione-.
- Un calo di pressione? Un calo di pressione, Sofia? Non prendermi in giro. Non ci riusciresti-.
- Perchè non te ne vai? -. Lei, con voce flebile, ribattè alla sfuriata di lui.
- Così tu puoi prenderne ancora una dose e sentirti peggio di cosi? -. Sofia lo guardava a bocca aperta adesso.
Stefano era davvero arrabbiato, sapeva che quella frase l'avrebbe toccata dentro.
Perchè lei negava l'evidenza? Non capiva. Non capiva perchè lei non voleva farsi aiutare continuando a dire che stava bene.
A un tratto Sofia si mise seduta e si alzò barcollante. Aveva la faccia crucciata, adesso era davvero incazzata.
- Senti Stefano, fatti gli affari tuoi. E adesso, fuori da casa mia e questa volta seriamente -. Urlò le ultime parole.
Stefano era rimasto sorpreso da questa reazione, non aveva immaginato di poter scatenare questo putiferio. Si alzò e camminò verso l'uscita dell'appartamento mentre lei le aveva già aperto la porta per farlo uscire.
- Comunque se hai bisogno, hai il mio numero-.
Sofia non voleva più sentirlo. Spingendolo fuori da casa sua, si richiuse la porta dietro le spalle.
Si appoggiò con la schiena a quel legno freddo e gelato, pensando e ripensando a tutto quello che lui le aveva buttato addosso. Alla verità che le aveva detto.
Strisciò con la schiena fino al pavimento, si prese le ginocchia al petto e pianse.

Quel pomeriggio arrivò al ristorante più sfinita del solito. Aveva gli occhi arrossati e il morale a terra. Anzi, tre metri sotto terra -come diceva lei.
- Sofia, stai bene? Non ti vedo in forma -. Disse Ele vedendola entrare.
La stessa cosa pensò Giò. Non era la prima volta che arrivava a lavoro così, ma quella giorno si accorse che la situazione era più grave del solito. L'unico problema era che non sapevano seriamente come aiutarla. Ci avevano provato in tutti i modi, sopratutto dandole consigli e facendola ragionare, ma lei non voleva saperne.
- Si Ele, non ti preoccupare. Sono solo un po' stanca perchè ieri mi sono ritirata tardi da un compleanno -.
Tremò impercettibilmente ripensando a  quello che era successo la notte precedente.
Si mise a lavoro immediatamente, senza dare il tempo a Ele di contestare.
Durante la giornata loro non avevano fatto altro che osservarla, ma sembrava tutto apposto a parte quegli occhi spenti e arrossati.
A Federica rivolse solo un semplice "Ciao", come se non l'avesse mai vista o si fosse dimenticata chi fosse.
- Ei Sofia, mi dispiace se stai così per quello che è successo ieri. Ma non avrei mai immagin.. -.
- No, non ti preoccupare. Sto benissimo e ieri non è successo assolutamente nulla -.
Le rispose così, facendo un sorriso forzato e riprendendo a registrare le ordinazioni ai tavoli.
Quando finì il turno e dopo aver salutato tutti, si stava dirigendo verso l'uscita fin quando non si sentì chiamare da Federica.
- Vuoi venire a mangiare a casa mia sta sera? Serata tra amiche, io e te -.
Federica le fece quella proposta per farla svagare un po', per farle ritornare il sorriso che le era scomparso.
- Ti ringrazio, ma stasera vado dai miei amici -.
Infatti, il giorno precedente, aveva sentito Dan e gli aveva promesso di trascorrere quella serata con loro. Sarebbe andata a quella ex clinica, aveva assolutamente bisogno di svagarsi per bene.
Così ritornò a casa, si fece una doccia rinfrescante e poi cenò, non mangiando quasi niente di tutto quello che aveva messo sul tavolo. Aveva decisamente perso l'appetito quel giorno. Decise di sdraiarsi un attimino sul suo letto per riposarsi, ma perse la cognizione del tempo non accorgendosi dell'orario perchè quando si riscosse, per colpa della suoneria del cellulare, era davvero tardi.
- Pronto? -.
- Ei piccola, ma che fine hai fatto? Sono le dieci e mezza e ti stiamo aspettando! -.
" Le dieci e mezza?"
Sofia non si era proprio resa conto dell'orario. Eppure sembravano essere passati solamente dieci minuti!
- Si, sto arrivando Dan. Sto scendendo le scale -. Chiuse la comunicazione e si diresse dai suoi amici.
Le strade a quell'ora erano buie. Sofia vedeva passare le macchine di tanto in tanto, i fari erano accesi e sfrecciavano a tutta velocità per le vie della città. I lampioni illuminavano i  marciapedi, permettendo di vedere in faccia le persone che passavano di fianco, quelle che camminavano in senso opposto e  quelle che passeggiavano sull'altro marciapiede. Un cane con il suo padrone stavano camminando di fianco a lei. Il " BauBau" rimbombò per quel corso deserto.
Svoltò l'ultimo angolo e finalmente arrivò a destinazione. Davanti a quel palazzo, a terra, c'erano ragazzi e alcune ragazze strafatte.
Entrò e raggiunse il suo gruppo.
- Sofia -. Dan si alzò e le andò incontro.
- Mi sei mancata -. Le sussurrò nell' orecchio.
- Da dove arriva tutto questo affetto, scemo? -.
Si staccò dall'abbraccio e la guardò.
- Beh, è da tanto che non ti fai più viva -.
- Scusa. Ho avuto da fare -.
Così si sedettero e iniziarono a tirare fuori la roba. C'era di tutto. Cocaina. Crack. Hascisc. Eroina.
Ma prima di tutto ciò, vide una cosa strana. Erica e Dan che si baciavano. Ma non era un bacio tra due ragazzi che non sapevano che cosa fare e allora coglievano l'occasione. No. Era un bacio tenero, pieno d'amore. Quei due si amavano. Era da tantissimo in verità, ma solamente adesso se ne erano accorti. Sofia l'aveva capito ancora prima di loro. "Finalmente", pensò. 
Sorrise.
Intanto gli altri iniziarono a inalare. Lei aveva deciso di oltrepassare di nuovo il suo limite quella sera. Voleva qualcosa di veramente forte, da non poter più pensare.
Si servì di una sringa e prese in prestito un laccio emostatico. Voleva proprio l'Eroina. Si allacciò quell'elastico di plastica intorno all'avambraccio, prese la siringa, posizionandola proprio sulla vena, poi conficcò l'ago dentro la pelle e premette, mandando tutto il liquido dentro il suo corpo.
Fece tutto senza pensare seriamente. Ci mise tre  secondi a concludere il processo.
Le prese un euforia generale che durò pochi secondi. Poi si sentì davvero confusa e un senso di calore invase tutto il suo corpo e, inconsapevolmente, sprofondò nella sua depressione più totale. La sua mente slittò da un argomento all'altro, senza freni, senza un filo logico e senza interruzione. Si ricordò per l'ennesima di avere una madre stronza, una madre diversa da tutte le altre, che non si interessava di sua figlia anzi, la denigrava non vedendo l'ora di liberarsene. E la solita domanda sorgeva. Perchè? Tante domande ma soprattutto si chiedeva in continuazione il perchè sua madre non era morta al posto di suo padre, l'unica persona che le voleva davvero bene. Poteva mai una figlia pensare questo? Lei lo faceva. Il fatto era che suo padre le mancava incredibilmente
Una lacrima solcò il viso di Sofia al suo ricordo di essere tutto per lei, solo per lei.
Adesso invece era tutto diverso: la sua vita faceva schifo, il suo corpo era uno scambio di merci, lei era un giocattolo, in pratica era una bambola a tutti gli effetti. Così iniziò anche a ricordarsi della notte precedente e di quelle luride mani su di lei, di quei baci rubati con la forza, di quella violenza e di quella frase che le era rimasta impressa nella mente come se fosse stata scritta con un pennarello indelebile. "Adesso che sarà mai se lo fai con me?". L'aveva presa per una puttana. Lei, lei che odiava essere toccata che, se avesse potuto, non avrebbe mai permesso a nessuno di sfiorarla nemmeno con la punta di un mignolo.
Adesso le lacrime si erano espanse. La faccia di Sofia era immersa in quell'acqua salata.
Intanto un'ora era passata e Sofia non si era accorta di nulla. Le ore le sembravano secondi, i suoi sensi erano sballati, la sua testa scoppiava e non capiva più niente.
Ma poi si dimenticò di tutto questo macello. I problemi della sua vita si annullarono all'improvviso. A un tratto tutto le sembrò estraneo. Si sentiva estranea nel mondo, lontana, come se fosse su un altro pianeta. All'improvviso tutti i problemi scomparvero, dimenticati.
La sua mente vagava nel nulla più assoluto.

La mattina dopo si risvegliò accasciata a terra, esattamente dove si era seduta la sera prima. Sentiva la testa pesante e gli occhi le bruciavano. Si alzò con cautela appoggiandosi al muro e si guardò intorno. Vide i suoi amici, sparsi per il luogo, che dormivano. Erica e Dan erano stesi, abbracciati, mano nella mano. Alcuni se ne stavano andando mentre altri stavano entrando.
Era ancora assonnata ma si svegliò quando si ricordò di dover andare a lavoro. Guardò l'ora. Erano le sette e quindici.
"Cazzo, è tardissimo" si disse.
In fretta e furia prese la borsa e si diresse verso casa. Aveva a mala pena il tempo per una doccia e poi subito al ristorante.
Salutò Gio ed Ele e poi iniziò a prendere le ordinazioni e servire le portate ai tavoli, come se non fosse successo nulla quella notte.
Federica arrivò un'ora dopo.
- Ciao Fede -.
- Ei, ciao. Come va oggi? -.
- Bene, come sempre -. Disse Sofia con un sorriso.
Fede non era tanto sicura di quello che le disse l'amica. Il giorno prima non stava affatto bene e quel giorno aveva gli occhi arrossati. Non sapeva cosa pensare, non sapeva cosa le stava succedendo eppure avrebbe tanto voluto aiutarla.
Gli unici che sapevano la causa della stranezza di Sofia erano Giò ed Ele. Qui genitori che Sofia non ha mai avuto, quelle persone che si preoccupavano davvero per lei.
Alla fine del turno, la ragazza venne richiamata dal suo capo che volelva parlarle.
- Sofia, aspettami un minuto di la che arrivo -.
Lei annuì e si andò a seder sul divanetto di quella stanza. Sapeva già cosa gli avrebbe detto Giò.
Dopo un po' entrarono Giacomo ed Eleonora, decisi a mettere fine a quella carneficina autodistruttiva.
- Senti Sofia, siamo davvero preoccupati questa volta. Ogni mattina arrivi sfinita al lavolo, non parli più con nessuno, ti sei chiusa in te stessa e trascuri i tuoi " Veri Amici". Tu capisci cosa intendo -.
Giò parlò alla ragazza con il cuore in mano e lei restò ad ascoltarlo, assorta da quelle parole.
- Ma non c'è bisogno di preoccuparsi, davvero! Faccio un po' tardi la sera e la mattina sono solo un po' stanca -.
- Sofia, puoi prendere in giro Federica, ma non noi. Ti conosciamo da troppo tempo -. Disse un po' duramente Giò.
- Ti prego tesoro, ti possiamo aiutare ad uscirne. Non ti puoi rovinare così. Fallo per noi. Ti vogliamo troppo bene per vedeti conciata così -.
Eleonora, dicendo questo, aveva preso nelle sue le mani di Sofia e alcune goccioline salate erano sgorgate dai suoi occhi.
Sofia non sapeva cosa dire. Lei voleva uscirne, ma non ci sarebbe mai riuscita. quindi mettere in mezzo altre persone non le sembrava la cosa migliore. L'avrebbe solo fatte soffrire di più, illudendole.
Lei poteva resistere uno, due giorni e poi? Sarebbe ricaduta o di sua volontà o per una sciocchezza. Perchè era stata una sciocchezza la causa scatenante. Il fatto successole quella sera al compleanno l'aveva destabilizzata completamente, le aveva fatto credere che non poteva cambiare, che ormai lei era quel tipo di persona e nessuno l'avrebbe più trattata diversamente.
Eleonora la gurdava, fissandola con occhi lucidi.
- No, davvero. Io sto benissimo. Non vi preoccupate. Vi voglio bene anche io -.
Così dicendo, presa da uno slancio d'affetto, si buttò ad abbracciarli tutti e due.
In  realtà lei stava scoppiando, voleva piangere, ma faceva finta di essere forte.
Dopo un tempo indeterminato li salutò e ritornò nel suo appartamento.
Pianse per un lungo tempo e desiderò che tutto quello potesse finire un giorno o l'altro.

Erano le nove di sera.
- Dan, questa sera posso unirmi a voi? Mi sto deprimendo qui da sola -.
aveva chiamato il suo amico, aveva bisogno di svagarsi. Di nuovo.
- E me lo chiedi pure, piccola? Certo che puoi -.
- Ok, allora arrivo subito. Ci vediamo davanti a quel locale -.
- D'accordo. A dopo -.
Un'altra sera all'insegna della pazzia. Era di nuovo pronta ad uscire. Non ce la faceva a stare lontano da loro e da Lei, era troppo difficile per lei, quasi impossibile perchè sapeva che se l'avesse fatto sarebbe stata male. Quindi stava uscendo pur sapendo di ritornare tardi a casa; sapendo che il mattino dopo avrebbe avuto sonno e si sarebbe sentita male; sapendo anche che avrebbe fatto preoccupare nuovamente Eleonora e Giacomo.
Lei sapeva.



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Capitolo 6
*** Apri gli occhi ***


6. 6. Apri gli occhi



"Se ti droghi ti capisco, perchè il modo ti fa schifo; se non lo fai ti ammiro, perchè sei in grado di combatterlo"
 - Jim Morrison -



Quella storia andò avanti per molto tempo. Sofia andava a lavorare, si stancava, faticava; poi andava all'ex clinica e si affidava alla follia, facendosi del male e distruggendosi con le sue mani. Dopo gli effetti si sentiva sempre a pezzi e spossata, il giorno dopo? Sembrava uno zombie. A lavoro si preoccupavano, soprattutto Giò ed Ele che avevano capito che la situazione non era come quelle precedenti ma stava diventando gravissima. Non l'avevano mai vista così preda della droga, così abbattuta. Sembrava che avesse combattuto contro un grande mostro da cui non riusciva a liberarsi.Fede? Non capiva cosa le prendesse. Aveva smesso di frequentarla e sinceramente le mancavano davvero tanto le loro serate insieme. Adesso gli unici loro dialoghi erano a lavoro, ma non erano più spigliati e divertenti, c'era un senso di inadeguatezza nella voce di Sofia. Era cambiata, spenta, quasi senza vita e lei non sapeva davvero cosa fare per aiutarla.
I giorni passavano ma la situazione era sempre la stessa. Lei, tra il lavoro e ciò che faceva la sera, subiva uno sforzo psicologico e fisico grandissimo.
La verità era che Sofia ormai si era arresa. Credeva di non poter fare più niente, credeva di poter vivere così per sempre. In fondo era quello che aveva continuato a fare fino a quel momento. Da quando aveva incominciato erano passati parecchi anni ma non era cambiato mai niente, quindi perchè non continuare su questa linea?! Lei comunque riusciva a vivere benissimo così. Si, si sentiva male ogni volta che gli effetti della sostanza svanivano ma questo non le importava. In fondo il giorno faceva il suo dovere andando a lavoro e a nessuno avrebbe dovuto interessare come lei passasse le sue serate.
Quindi perchè farsi aiutare da qualcuno quando il mondo e la vita sono migliori così? Insomma, senza questo svago lei non vedeva nient'altro che malvagità  e desolazione. Era sola, si sentiva sola.
Ma è anche vero che non sempre si può realizzare tutto quello che si era pianificato in precedenza. Lei non poteva resistere a lungo con questi ritmi.

Era Sabato, il giorno prima del suo atteso riposo. Sofia si svegliò nel suo letto, stanca e con la testa che le pulsava. Alzatasi troppo bruscamente dal materasso su cui aveva dormito le venne un fortissimo giramento di testa tanto da doversi aggrappare al muro per non cadere. Chiuse gli occhi per alcuni secondi per avere il tempo di riprendersi.
Ma tutta questa scena mattutina per lei era diventata pura e ricorrente normalità. Le succedeva ogni mattina, poi le passava durante la giornata. Ormai conviveva pure con questo fatto.
Quella era una giornata di lavoro come tante altre ma a New York era anche festa. Questo avrebbe significato avere più clienti, quindi più ordinazioni da prendere e alla fine arrivare a casa anche con un gran mal di testa. Per un momento passò per la mente di Sofia il pensiero di non andare a lavoro, di lasciare tutto nelle mani di Federica. Ma non poteva davvero lasciare da sola la sua amica, non l'avrebbe mai fatto, e poi non voleva che la sua vita notturna influisse negativamente annche sul suo lavoro.
Dopo essersi lavata, si andò a vestire e uscì di casa per dirigersi da Giò.
- Ciao Giò -. Lui ormai si era rassegnato alla scelta della ragazza. Non voleva aiuto. Così la osservava da lontano per vedere le sue condizioni. Ma più i giorni passavano e più la sua salute peggiorava bruscamente.
- Ciao Sofia -.
- Ciao Fede -. La sua amica invece non voleva arrendersi. Come tutte le ragazze della sua età credeva -e anche giustamente- che c'era sempre una soluzione. Aveva scoperto cquale era la causa per la quale Sofia arrivare sfinita al suo turno di lavoro mattutino. Un giorno aveva origliato una conversazione tra Ele e Giò e così aveva compreso appieno la questione. Il problema era che non riusciva a capire  il motivo che aveva scatenato quell'accanimeto inaudito verso la droga. Era sicura che ai primi tempi della loro conoscenza non era a quei livelli.
Intanto i clienti aumentavano di minuto in minuto. Ormai Sofia e Federica non avevano nemmeno il tempo per respiare: chi chiedeva la pizza, chi la pasta, chi faceva raccomandazioni sulla cottura dei pasti, chi era impaziente.
- Fede, come stai? -. Sofia sentì una voce familiare all'entrata del ristorante. Quella voce che conosceva bene, che le era rimasta impressa nella mente con i suoi rimproveri, le sue raccomandazioni e le sue domande disinteressate. Stefano era entrato e si era seduto a un tavolo iniziando a parlare amichevolmente con Federica per poi ordinare. Aveva una gran fame. Infatti quel giorno di festa aveva fatto il turno di notte e quindi era da un po' di ore che non metteva qualcosa sotto i denti. Il suo stomaco continuava a fare strani rumori.
Sofia lo fissava da lontano, andando avanti e indietro, di tavolo in tavolo. I suoi occhi erano sempre su di lui. Non voleva avvicinarsi, non voleva parlargli. Aveva paura di ripetere lo stesso dialogo, di nuovo, e non voleva dare effettivamente ragione a tutto quello che le aveva detto e raccomandato perchè in fondo sapeva che tutto quello era solo la pura e semplice verità.
"Scusi, possiamo ordinare?; Scusi, ci può portare il conto?; Io vorrei un caffè; un'altra bottiglia d'acqua per favore".
La giornata continuava così, tra clienti impazziti e pretenziosi.
Sofia stava portando un piatto di pasta al tavolo sei quando un fortissimo senso di nausea la invase e un conseguente giramento di testa le fece cadere il piatto per terra e poggiare al tavolo di fianco. L'altra mano andò a coprirsi la testa: tentativo inutile e vano per farla smettere di girare.
Si sentì toccare un polso.
- Sofia, che succede? -. Era la sua voce.
Tutti gli sforzi che Sofia aveva fatto per non avvicinarsi a Stefano erano stati vani. E poi non voleva farsi vedere così davanti a tutti ma soprattutto davanti a lui per l'ennesiam volta. No. Non doveva succedere.
Ancora non riusciva a muoversi. Sapeva che se l'avesse fatto sarebbe stato peggio.
- Oddio Sofia. Stai bene? -. Federica, vedendo l'amica, corse per raggiungerla.
- Perchè non ti stendi un attimo sul divano. Vieni -.
Così, tra gli sguardi alcuni preoccupati altri spaesati dei clienti, seguì Fede nella stanza. Si stese e stette un po' in silenzio per lenire il dolore che, piano piano, stava svanendo. Non gli era mai successo fin ad allora di sentirsi così male. Di solito erano solo delle fitte alla testa durante la giornata ma quel giramento l'aveva spaventata. La situazione stava sempre più degenerando.
Intanto erano andati Giò ed Ele ad assicurarsi della situazione. Per l'ennesima volta si sentivano impotenti davanti a quella scena. Si guardarono negli occhi e scossero la testa in segno di diniego. La situazione si stava seriamente facendo insostenibile e loro si sentivano impotenti.
- Fede.. puoi venire un attimo? -. Era Stefano. Voleva accertarsi dell'accaduto.
- Che c'è Ste? -. Lei adesso si sentiva in soggezione e sperava che il suo amico non facesse domande scomode.
- Che succede? Sta bene? -. Lui non credeva che potesse mai succederle una cosa del genere. Infondo lei non prendeva dosi eccessive e giornaliere. Ma quegli occhi rossi e infossati, quella pelle pallida e il senso di stanchezza era un chiaro segno di averne approfittato. Lei ne aveva approfittao, era diventata più dipendente che mai. Ormai non sapeva più contenersi.
- Oh niente, non preoccuparti. E' solo stanca -. Così Fede pensava di sviare il discorso. Non voleva svelare a lui ciò che aveva scoperto o meglio voleva che fosse Sofia a dire a Stefano cose le stesse capitando. Sapeva che il suo amico era in grado di aiutarla ma doveva essere lei a volerlo. Lo conosceva bene e sapeva anche che non l'avrebbe lasciata così, non si sarebbe arreso facilmente.
Stefano intanto stava riflettendo sulla risposta dell'amica. La stanchezza, le uscite con gli amici, i rientri tardi la sera erano tutte scuse che usava pure suo fratello. NoN Ci CredeVa.
- Stanchezza?! Devo parlarle -. Così fece marcia indietro e tornò da lei, senza dare ascolto alle parole di Federica.
Era ancora stesa sul divano ma stava riprendendo colorito. Giò ed Ele stavano uscendo, così lui si chiuse la porta dietro di sè. Sofia, con gli occhi chiusi, non vide niente.
- Ei, devo parlarti. Però questa volta ascoltami seriamente-.
Lei, a sentire quella voce e quelle parole, si riscosse  e si mise a sedere improvvisamente.
- Ti prego Stefano, adesso non è il momento - disse, con una voce roca e bassa.
Questa frase fu per lui una bomba a mano.  "Non era il momento". Questo non avrebbe dovuto dirlo. Lei aveva ancora una possibilità che non voleva sfruttare. Perchè si ostinava a fare così?
- Non è il momento vero? Per te non è mai il momento. Spiegami come mai. Quando è il momento? Quando sarà troppo tardi per fare qualcosa? Ma tu questo lo sai. La verità è che stai scappando da quella realtà che io, da molto tempo, ti sto buttando in faccia. Tu hai ancora una possibilità -. Disse tutto ciò urlandogli addosso e andando avanti e indietro per la stanza.
Sofia lo guardava stupita e confusa.
Ma che cosa voleva? Lei era libera di fare ciò che voleva! Non le piaceva sentire quelle cose.
- Ma che diavolo vuoi? Non sono cavoli tuoi. Io non sto facendo del male a nessuno -.
- Ma ti guardi intorno Sofia? Perchè ci sono molte persone che stanno soffrendo esclusivamente per te. Prendi i proprietari di questo ristorante.Ti piace farli soffrire? Perchè loro lo stanno facendo. E Federica? Lei non lo fa capire a te, ma prima era preoccupatissima. Tu fai del male a loro. Lo stai facendo e la cosa peggiore è che non te ne accorgi -.
Aveva pronunciato ogni singola parola con lentezza e intensità. Questa volta l'aveva fatte entrare dentro di lei.
Sofia era rimasta immobile a fissare il vuoto davanti a lei. Non aveva mai visto la situazione in questo senso. Lei voleva bene a quelle persone ma non immaginava di farle soffrire, eppure non era una persona cattiva. Ne era sicura. Lei non voleva far soffrire nessuno, semplicemente stava scappando da una realtà scomoda che le aveva sempre girato le spalle.
Piccole lacrime iniziarono a sgorgare dai suoi occhi. e la consapevolezza che Stefano avesse ragione si impossessò di lei. Doveva smetterla. Doveva smettere di essere dipendente da lei. Doveva smettere di autodistruggersi. Non voleva più avere a che fare con quella roba. Ma come avrebbe fatto?
- Scusami Ste, io volevo solo non pensare, scappare da tutto questo. Non sono cattiva -.
Si mise le mani davani agli occhi mentre quelle goccioline salate si facevano sempre più insistenti.
Stefano la osservò per un istante. Poi si sedette accanto a lei e la abbracciò, facendole appoggiare la testa nell'incavo del suo collo.
- Io non sono cattiva -. Sofia continuava a ripeterlo all'infinito.
Nei suoi pensieri scorsero anche le immagini di quella sera. Il compleanno e le mani di quel lurido ragazzo su di sè non sarebbe mai riuscita a dimenticarle. Non voleva mai più essere presa per una troia. Lei non lo era e non voleva essere giudicata così solamente per quello che faceva.
- E non sono nemmeno una puttana. Ste, dillo a quel tuo amico, ti prego -
Lui, sentendo queste parole, la strinse più a sè. Gli sorse una grande rabbia ripensando a quella serata.
Stettero così per circa cinque minuti. Lei si calmò, lui navigava ancora nei suoi pensieri.


....

- Ti prego Mick, smettila. Stai solamente facendo soffrire la mamma e lo sai.. -
Così disse Stefano al fratello, appena lo vide rientrare completamente fatto, come la maggior parte del tempo.
Mick era sua fratello, ma come avrebbe potuto farlo ritornare quello di prima? Lui ci provava in tutti i modi, con le parole, con piccoli gesti con minuscoli passi, ma lui.. Niente. Come se tutto quello che Stefano facesse, rimbalzasse su un muro invisibile prima di arrivare nella sua ragione.
La droga aveva preso lui senza una ragione. Lui era un ragazzo nella norma. Studiava, aveva amici e gli piaceva vivere.
Allora, in certe situazioni, viene da chiederti il perchè? Insomma.. Chi aveva fatto incontrare così irreversibilmente Mick e la droga? Come aveva fatto a prenderselo per sempre?
Mick, stordito e barcollante, si era sdraiato sul divano.
- Mick, mi hai sentito -. Lo scosse, per capire se le sue parole, almeno per una volta, gli fossero entrate dentro.
Ma niente. - Stefano, lasciamo fottere. Ho mal di testa e non voglio sentirti -.
No. Decisamente non poteva continuare così. Dov'era finito il suo fratellone? Quello con cui potevi scherzare, a cui potevi chiedere consigli e che sapeva prendere decisioni giudiziose? Per caso era finito in un baratro? Si, decisamente si. E non ne sarebbe mai uscito.
- Mick, lasciati aiutare -.

....

Stefano rimase per un paio di secondi a ripensare a quella scena, così dolorosa, per lui. Da li inizió il vero e inesorabile declino verso l'autodistruzione.. questo era quello che apprese poi Stefano.
Tutti questi pensieri vennero bloccati da una semplice frase.
- Aiutami ad uscirne, Stefano -.
Finalmente quel pensiero espresso ad alta voce, quella frase tanto attesa. Sofia, questa volta, voleva seriamente essere aiutata. Non voleva più causare dolore a se stessa o agli altri. Voleva cambiare radicalmente ed essere migliore, magari dimostrando a qualcuno che anche lei valeva qualcosa.
E adesso non era uscita da lui quella dichiarazione di aiuto, ma era stata proprio lei a capire, a ricordare di essere stata una persona migliore.
Stefano pensò che forse questo era un segno, ciò che non aveva potuto fare per Mick l'avrebbe fatto per Sofia. Lei voleva, con lei avrebbe potuto.
Sorrise. Non aspettava nient'altro che quella frase. Quel piccolo spiraglio di luce, di cambiamento e di volontà di vivere davvero. Ciò che non ha mai avuto suo fratello. Lui non ha mai voluto vivere veramente ma l'ha sempre fatto a metà  dimenticando le ore, i minuti e i secondi e non ricordando mai come fosse davvero il mondo.

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Capitolo 7
*** Lei sapeva che lui ce l'avrebbe fatta ***


7. Indecisione. No. 7. Lei sapeva che lui ce l'avrebbe fatta.


Si sentono voci su voci, pensieri su pensieri ma tutti futili, inutili e senza senso. A un certo punto della vita la gente inizia a farsi domande, a capire davvero. " Oddio, un brufolo". " Ho preso un brutto voto a scuola". E sarebbero questi i veri problemi dell'esistenza, quelli per cui si diventa depressi, infelici e senza vita? Sarebbero davvero queste cose a rendere la vita di una persona un vero schifo?


- Papà, voglio aiutarla e non ti sto chiedendo il permesso, semplicemente te lo sto dicendo -.
- Stefano, lasciala perdere. Hai visto com'è finita con tuo fratello? Vuoi di nuovo rivivere tutto quello? Queste persone non cambiano e dovresti saperlo ormai -.
- No papà, sei tu che non capisci.. non sono tutti come Mick! E ora scusa, devo tornare a casa -.
Stefano si incamminò verso la porta d'ingresso della casa dei suoi genitori. La discussione con suo padre, che ormai durava da quasi un'ora, era arrivata a toni davvero accesi e incontrollati. Orami tutti e due sostenevano le proprie idee fino all'esaurimento. Stefano non condivideva per niente quello che suo padre stava cercando di dirgli.  Quell'uomo era rimasto così afflitto dalla morte di Mick che, ogni volta che si ritornava su quell'argomento, diventava un'altra persona. I pregiudizi sulle persone che facevano uso di sostanze stupefacienti aumentavano e lui, con l'avanzare del tempo, era sempre più convinto delle sue tesi. 
- Prima o poi mi verrai a dire che avevo ragione -. Suo padre continuò il discorso, urlando da quel soggiorno e ancora seduto su quella poltrona da cui non si era nemmeno alzato. La verità era che non voleva di nuovo vedere Stefano immerso nel dolore come quando Mick scomparse. Era proprio di questo che aveva paura.. se la cosa fosse finita male sarebbe iniziato di nuovo un brutto periodo per il figlio e lui aveva paura che questa volta si buttasse giù definitivamente.
"Non credo proprio". Stefano non gli rispose nemmeno. Quell'affermazione non aveva il diritto di una spiegazione. Arrabbiatissimo, sbattè la porta per poi incamminarsi verso casa. I pensieri gli vorticavano nella mente. Se da una parte poteva capire il padre, dall'altra non riusciva a comprendere il perchè di quel comportamento così estremo. Lui ormai era riuscito a superare tutto quel dolore, allora perchè il padre, dopo parecchi anni, doveva ancora comportarsi in quel modo?
Ma di una cosa era convinto, prima o poi gli avrebbe fatto cambiare idea, conoscendo Sofia non si poteva fare altro.

Sofia era sdraiata sul letto di Stefano con una coperta a coprirle il suo corpo sfinito. Dopo quel giorno e quella richiesta di aiuto, lui l'aveva portata a casa sua e la teneva in ogni istante sott'occhio. Quendo non c'era lui, c'era Federica: erano una squadra imbattibile ormai.
Era da ben due settimane che non toccava niente e stava letteralmente impazzendo.

Per lei i primi giorni erano stati vicini alla normalità, ci aveva provato già moltissime volte a stare in astinenza per alcuni giorni, ovviamente senza successo. Ma arrivati al terzo le cose si stavano via via complicando. La voglia si stava sempre più impossessando di lei, la testa le scoppiava, sudava fredda e non riusciva a stare ferma, a darsi pace nemmeno per un momento. Durante tutto il giorno stava coricata a fissare il soffito che ormai sapeva descrivere a memoria nei suoi minimi particolari. Tutte le sfumature di blu delle pareti, le crepe del soffitto quasi invisibili, le tendine di un blu accesissimo e soprattutto il lampadario bianco a sfera posizionato proprio al centro del soffitto, tutte queste cose erano impresse nella sua mente. La voglia di cibo era scomparsa ormai da molto tempo, i suoi pranzi e le sue cene erano sempre più difficili da digerire e mandare giù e la colazione non esisteva nemmeno. Ma il tormento più stremato arrivava la sera in cui tutte le sue paure  e i suoi dolori si facevano più vivi nell'oscurità di quella camera.
Non riusciva a darsi pace, si muoveva in continuazione, urlava e soffocava i suoi pianti isterici sopra il cuscino. Notti e notti insonni a disperarsi per poi calmarsi sotto le cure protettive di Stefano. Lui, proprio per colpa sua, la mattina andava a lavoro stremato e il pomeriggio, al suo rientro, non poteva trovare pace.
Ora erano le nove di sera. Erano passati esattamente quindici giorni, giorni in cui aveva pensato anche di arrendersi, di abbandonarsi di nuovo a Lei. Era Stefano il suo unico appiglio. Lui non le permetteva di uscire nemmeno se lo pregava in ginocchio ed era sempre grazie a lui se lei ancora non era del tutto impazzita. C'era lui durante i suoi attacchi, era lui che Sofia pregava di procurarle un po' di quella sostanza ed era sempre lui che, con tono autoritario le negava tutto quello che avrebbe potuti destabilizzarla definitivamente.
Ma nonostante tutto questo, Sofia non ce la faceva più. Aveva resistito già abbastanza per i suoi canoni e la soglia del dolore era ormai lacerata, era distrutta. Quindi.. Che cosa stava sperando di ottenere? Si raggomitoló su se stessa per quei pensieri, si prese i capelli tra le dita e cominciò a dondolare per scacciare tutte quelle dolorose fasi  dalla sua testa.
- Ei -. Lui entró e vedendola così si sdraiò di fianco a lei iniziando ad accarezzarle la schiena. - Tranquilla Sofia -.
Ormai per lui quelle situazioni erano pura normalità. I suoi attacchi, i pianti, le urla durante la notte erano continui e irrefrenabili. Ma Stefano non si sarebbe mai arreso, non l'avrebbe mai lasciata da sola al suo dolore e ogni volta le stava accanto, la teneva stretta a lui per calmarla e poi aspettava che lei si addormentasse. 

Era domenica quella mattina del ventesimo giorno. Era uno di quei giorni invernali in cui il sole si mischia al vento gelido per dare un po' di felicità e calore. Dopo una delle solite notti insonni Stefano si chiedeva se non era il caso di affidarla a delle comunità che l'avrebbero saputa aiutare con più strumenti e conoscenze. Pensava che uno dei problemi potesse essere proprio lui. Forse doveva convincerla ad andare da persone specializzate, persone in grado di aiutarla seriamente. Lui, in realtà, non sapeva che cosa fare esattamente per riportarla in sesto. Ci stava provando con tutte le sue forze e con tutta la sua conoscenza in materia. Ma allora perché non vedeva i risultati? 

Quando, tempo prima,  aveva visto suo fratello nella stessa situazione, Stefano si era documentato, aveva letto libri su libri e aveva ricercato fonti attendibili sul web per capire come poterlo aiutare e da dove poter cominciare. Ma non aveva messo in conto un particolare: dire una cosa e poi farla era davvero complicato, non era affatto facile conciliare le sue volontà con quelle contorte del fratello. Infatti alla fine non aveva concluso niente.
Lui non riusciva a vedere Sofia soffrire in quel modo. I suoi pianti, le sue richieste di aiuto e le sue urla la notte erano strazianti e lo riportavano indietro nel tempo. Gli facevano pensare cose che non avrebbe voluto ricordare. Lui soffriva con lei.
Si era svegliato da poco e la sua mente aveva elaborato tutti quei pensieri mentre osservava il solito lampadario bianco al centro del soffitto.
Lei era di fianco a lui, rannicchiata contro il suo petto, tutta sudata e con due occhiaie profonde a segnarle gli occhi. Si era appena addormentata dopo aver trovato la pace tanto desiderata coccolata dalle mani di lui. Le sue dormite duravano circa tre ore scarse ormai. Chiudeva gli occhi per un tempo troppo breve e per il resto della giornata era in una continua agonia. E la sera, pure se stremata, non riusciva a calmarsi.

Stefano la stava osservando, accarezzandole i capelli ormai crespi e sudati. Aveva l'aspetto di una bambina indifesa con quella guancia appoggiata al suo petto, un nasino minuscolo al centro del viso e un corpo esile che lottava ancora per non crollare. Era rannicchiata su se stessa, come a proteggersi da qualcosa di esterno. Il suo colorito naturale, ormai, era scomparso. Le sue guance paffute non esistevano più. La sua pelle era pallida e diafana.
Stefano ricordava il loro primo incontro, in quella discoteca. Già a quel tempo l'aveva notata, anche per la sua bellezza un po' sobria ma naturale. Non avrebbe mai pensato che la situazione sarebbe potuta arrivare a quei livelli, ma ricordava ancora tutti quei giorni in cui l'aveva vista lavorare da Ele e Gió. Faceva il suo dovere e sembrava una ragazza normale, sorridente, senza alcun problema. Era bella, solare e ancora paffuta, con quel colorito che lo faceva impazzire. Era stata anche  una grande attrice a nascondere tutto il tormento che si teneva dentro per non far preoccupare nessuno. La sera si trasformava e anche a casa sua era un'altra persona. Più fragile, più spossata sia fisicamente che psicologicamente. Era diversa, il sorriso era solo un lontano ricordo. 
Stefano, senza svegliarla, si alzó per andare a mettere qualcosa sotto i denti. Era da parecchio che non mangiava e stava morendo di fame. Per lui, che mangiava in continuazione, stare senza cibo anche solo per un'ora era dura!
Questo punto era un altro problema che lo preoccupava. Sofia mangiava quasi niente o non mangiava affatto. Eppure lui non poteva forzarla come se fosse una bambina. Il suo corpicino aveva bisogno di forze, di cibo. Ma lei non ne voleva sapere. 
Aperto il frigo si appropriò di un pezzo della torta al cioccolato comprata il giorno prima. La addentò, avido di gustare quel sapore dolce e prelibato che lo aveva sempre conquistato. Dopo aver finito mise la moka sul fuoco e si preparò una tazza di caffè, giusto per non crollare sul pavimento da un momento all'altro.
C'era un silenzio tombale nell' intero appartamento. Solo il rumore del traffico cittadino di New York si percepiva in quell'enorme dimora. I clacson dei taxi, delle macchine che non vedevano l'ora di arrivare a destinazione e del vociare delle mille e mille persone che chiacchieravano camminando per i marciapiedi facevano da sfondo a quel silenzio che era sintomo di ansia e dolore.
Tutto questo venne interrotto da un urlo straziante. Stefano si alzò di scatto e corse al piano superiore. La vide. Era in lacrime che si dondolava sul letto dalla disperazione e con le mani nei capelli, la tipica posizione che assumeva quando non riusciva a controllarsi e far cessare il dolore.
Si stese di fianco a lei, le si avvicinò e l'abbracciò così forte da schiacciarle la testa contro il suo petto. 
Dondolava insieme a lei, per cercare di calmarla e confortarla quel poco che bastava a farle capire che lui c'era sempre.
- Ste, sto impazzendo -. L'aveva sentita sussurrare.
La strinse più forte a sè, facendole sentire tutto il suo calore.
No, non poteva andare avanti così. Sarebbe impazzita seriamente.

- Fede, finalmente sei arrivata -. 
- Scusa, quando mi hai chiamato ero a lavoro -.
Federica, da quando aveva scoperto tutto, non aveva mai abbandonato la sua amica. Le era sempre stata accanto e ogni giorno si informava sulle sue condizioni.
I due amici salirono le scale per fermarsi sullo stipite della porta della stanza.
- Fede, non so più cosa fare. Sta troppo male -.
Federica guardava la sua amica stesa su quel letto, inerme e stremata. Adesso si era tirata tutte le lenzuola a coprire il suo corpo.
- Stavo pensando di convincerla ad andare a uno di quei centri -.
Federica spostó repentinamente lo sguardo dentro gli occhi dell'amico. Non credeva alle sue orecchie. 
- Ste, lo sai bene che non ne vuole sentire parlare. Come ti viene in mente? -. L'aveva attaccato così, senza remore. 
- Si, lo so Fede. Ma l'hai vista? Magari sto sbagliando tutto -. Lui stava sussurrando. La sua voce era sofferente e intrisa di disperazione. Non sapeva che cosa fare ed era giunto a quella decisione estrema.
- Ste.. Lo sappiamo tutti e due che tu sai come tirarla fuori. Ci hai provato con Mick e non ha funzionato ma Lei non è lui. E poi lei non accetterebbe mai. Lei ha paura di quei posti. Piuttosto ritornerebbe alla vita di prima! -. Lui sobbalzó a quelle ultime parole. No. Non doveva assolutamente succedere.
Dopo quei lunghi chiarimenti scesero giù per prendersi una tazza di cioccolato come ai vecchi tempi, chiacchierando di cose futili e leggere per dimenticare per un attimo tutto quello che li circonadava.
Mezz'ora dopo Fede era già imbacuccata, pronta per ritornare a casa sua. 
- Allora, per l'ennesima volta, dovrò riferire a Giò ed Ele che non c'è stato nessun miglioramento -. Disse, sconfitta.
Ma, alzando lo sguardo, il viso dell'amico la fece stare male. Era triste e scoraggiato come non lo vedeva da parecchi anni.
- Ste, ce la farai. Lo sai anche tu -.  E, dopo aver visto un sorriso sul suo viso, se ne andò.
Ormai erano le sette. Preparò qualcosa per cena che potesse piacere anche a Sofia.  Aveva proprio voglia di patatine fritte, così si mise a cucinarle facendone due porzioni per poi salire su. 
Entrato in stanza, fece tutto con calma per non svegliarla. Era girata, dava le spalle alla porta. Girò intorno al letto e andò al suo lato, abbassandosi fino al suo viso. Ma, appena la guardò negli occhi, si accorse che era completamente sveglia. Gli occhi guardavano fissi davanti a sè. Si sedette sul letto e iniziò ad accarezzarle i capelli con tutta la sua dolcezza.
- Ti vanno un po' di patatine fritte? - Le chiese, continuando a coccolarla.
- Non mi vuoi più qui? -.  Disse lei a un tratto.
Sofia mosse le sue pupille verso il viso di lui con i suoi occhi lucidi e sul punto di piangere. Stefano rimase basito, immobile come una roccia a quella vista. Non aveva ancora afferrato appieno il suo discorso. 
- Ma che ti viene in mente? -.
Lei sbottò tutto a un tratto davanti alla faccia disorientata di Stefano. Scansò la sua mano ancora nei capelli e iniziò ad urlargli in faccia con tutta la voce che ancora le era rimasta.
- Cazzo Stefano, non fare il finto tonto. Ho sentito il discorso con Fede! -. Lacrime di puro nervosismo caddero da quegli occhi infossati che ormai le bruciavano irrimediabilmente. Era disperata.
- No Sofia, calmati. Tu resti qui con me! -. Lui cercò di abbracciarla per darle conforto e riprendersi la sua fiducia, ma lei continuava a scansarlo e graffiarlo.
- Sofia, mi hai capito?! Resti con me, non te ne vai da nessuna parte -. Lei si fermò un istante a osservarlo, dubbiosa se credergli o no e con una voglia immensa di farsi abbracciare.
- Promettilo -. 
- Promesso -. Non se lo fece ripetere due volte e le diede la sua parola.
Stefano riprovò a chiuderla nella sua possente morsa. - No, non mi toccare -. Ma lui non la ascoltò minimamente. La prese e le schiacciò il viso contro la sua camicia, facendola sfogare a singhiozzi. Lei tirava pugni contro il suo petto continuando a ripetergli quanto fosse sciocco.
Si sdraiarono, Sofia ancora appiccicata a lui con i respiri soffocati sul suo petto  e la calma che non ne voleva sapere di impossessarsi del suo corpo. Ormai la camicia di Stefano era zuppa delle sue goccioline salate.
- Basta Sofia, ti prego -. Continuava a ripeterle lui nell'orecchio, scoccandole bacini sulla tempia.
Lei, dopo un'ora insostenibile, smise. I suoi occhi arrossati e gonfi non ne potevano più. Bruciavano. Non riusciva ad aprirli.
- Ok piccoletta.. Adesso riposa -. Le disse, cullandola tra le sue braccia.
- Non lo fare mai più. Io ho solo bisogno di te -. Mugugnò lei, prima di cadere in un sonno inquieto.
Stefano, stremato, si dimenticò della sua cena e caddè nelle braccia di Morfeo subito dopo di lei.

***

- Congratulazioni figliolo, sono fiero di te -. Richard era un padre fiero del figlio. Stefano era diventato un medico a tutti gli effetti dopo anni di duro studio e sacrifici.
Quando Mick era morto, Stefano aveva solamente 17 anni. Quell'episodio l'aveva segnato profondamente tanto da farlo indurre a prendere la strada della medicina. Durante quell'episodio, lui si era sentito impotente davanti a tutto. Suo fratello se n'era andato troppo in fretta. Ogni volta che vedeva una persona alzarsi, riprendere in mano la sua vita e farla davvero sua, ripensava a Mick, quella persona che non si era fatto aiutare da nessuno, quel fratello che gli mancava ogni giorno e in ogni istante.
Adesso lavorava a capo del reparto di chirurgia generale. 
Ma una cosa la sapeva: avrebbe aiutato Sofia come non era mai riuscito a fare col fratello. 
Questi erano i pensieri di Federica, quell'amica fidata che non voltava le spalle davanti a niente, soprattutto a un amico.
Lei sapeva che lui ce l'avrebbe fatta.

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Capitolo 8
*** Iniziare a ViVeRe ***


9. 8. Iniziare a ViVeRe


Mi hanno detto: "Prova"
Io ho risposto: "No"
Mi hanno chiesto: "Perchè"
Io: "Ho altro da fare"
Mi hanno chiesto: "Cosa?". Io: "VIVERE"

Sentite le urla, Stefano si lanciò su per le scale ed entrò in quella stanza. Vide lei su quel letto che si dimenava, terrorizzata.
- Cazzo Sofia svegliati -. La scosse, preoccupato e terrorizzato per l'ennesima volta.
Lei aprì gli occhi di scatto, sudata e con alcune lacrime a solcargli il viso pallido.
Piangeva, non faceva altro. Prima faceva incubi e poi piangeva. Era persino terrorizzata a chiudere gli occhi per dormire, ma la stanchezza vinceva su tutto.
- Non piangere, tranquilla. Ci sono io adesso -. Ma i singhiozzi non smettevano. Tremava ancora, con la mente da un'altra parte.
- Allora stringimi, ti prego Ste -. Lui si stese e la stinse a sè, per tranquillizzarla e farla smettere. Non poteva vederla così sofferente. La cullava come una bambina nelle braccia della madre, ma lei non si calmava per niente, anzi, continuava imperterrita.
- Sofy, era solo un bruttissimo incubo. Smettila, ti prego -.
- N-no Ste, era il peggior incubo che io abbia mai fatto -. Disse lei guardandolo con occhi gonfi e rossi.
- Vuoi parlarmene? -.
Ci furono minuti di silenzio in cui si sentiva il suo respiro spezzato e irregolare.
- Per mia madre sono stata solo un errore, mi diceva che tutto quello che è successo è solo colpa mia e che adesso mi merito tutto questo dolore -. Riscoppiò a piangere con più enfasi. Si strinse a lui così tanto da farsi male da sola.
Lei sapeva che era solamente un incubo ma sapeva anche che se sua madre le avesse parlato seriamente, le avrebbe detto le stesse identiche cose. L'avrebbe uccisa solamente con poche parole senza preoccuparsi minimamete della figlia. Nella realtà l'avrebbe sicuramente fatto e questo la faceva profondamente soffrire. Perchè diavolo non poteva avere una mamma normale?
- Era solo un incubo -.
- Un incubo troppo reale Ste. Tu non la conosci -.
Lui aveva già sentito parlare della madre in quel modo ma non capiva ancora se fosse una cosa esagerata o una bruttissima verità. Non riusciva proprio a capire come una mamma potesse essere così malvagia con la propria figlia, era una cosa inconcepibile per lui. E dopo tutto quello che gli avevano raccontato, anche lui aveva coltivato un qualche tipo di odio. Non si poteva trattare una figlia in quel modo, andava oltre gli schiemi.
Continuava a tenerla tra le sue braccia così fragile, così minuta e così piccola. Lei aveva chiuso gli occhi e teneva la testa schiacciata contro il suo petto. Si era calmata ma le lacrime continuavano a cadere, figuriamoci i pensieri.. Vorticavano in un modo inaudito nella sua testa, provocandogli dolore.
- Sai, ho voglia di droga -.
Stefano si immobilizzò. Non voleva sentire quelle cose. Che cosa stava dicendo?
- Che diavolo stai dicendo Sofia -.
- E' solo la verità. Non puoi fare un eccezione e darmene solamente un po'? -.
Lei si staccò da lui e si mise seduta sul materasso, abbracciandosi le ginocchia e dondolando su se stessa. Stefano la guardava impietrito. Aveva le pupille puntate verso di lui e trasmettevano solo odio e dolore, tanto dolore.
- Ste, non sto scherzando, dammene un pochettino o vado a prendermela da sola -.
- No. Adesso tu ti ristendi affianco a me e dormi. Hai bisogno di un po' di riposo  -.
Lui la guardava severo. Sapeva che era distrutta psicologicamente, ma non gli avrebbe mai permesso di rendere vani tutti gli sforzi che stava facendo. La situazione sarebbe stata ancora più devastante.
Lei di scatto si alzò dal letto e corse verso la porta, per sfuggirgli. Voleva scappare, ma lui la prese per in polso.
- Sofia cazzo, calmati -.
- Lasciami, adesso! Lasciami Stefano -. Iniziò a urlare tirando pugni contro il suo petto con tutta la forza che aveva. Gli faceva male, ma lui non ci faceva caso.. Doveva tranquillizzarla.
La trascinò contro il letto, sollevandola di peso. Lei continuava a dimenarsi e a urlare. Iniziò a tirargli anche pugni in testa, ma lui non diceva niente. Si era buttato con lei sopra il letto, bloccandogli con le sue gambe i piedi ma non riuscendo in alcun modo ad attutire i colpi che lei continuava a sganciare con gli arti superiori.
- La voglio Stefano, lasciami andare -. Agli strilli si unirono lacrime di disperazione.
- No, non ti lascerò fare questa cazzata. Hai finito con quella roba, ricordi? -.
- No no no no.. -. Continuava a ripetere, come un disco incantato.
Lui la lasciò sfogare, avendo capito in fine che le parole erano frasi buttate al vento in quel momento. Non sarebbero servite a niente.
Lei, sfinita, smise di dimenarsi come una pazza, ma i singhiozzi insistenti non la finivano di percuoterla.
- Ste.. Ti odio -. Disse flebilmente, senza più energie. Si abbandonò a lui, con la testa china nell'incavo del suo collo e le braccia che lo cingevano, stritolandolo. Respirava affannosamente e, dopo un tempo indeterminato, il suo respiro si regolarizzò. Si era addormentata.
Stefano cercò di alzarsi senza svegliarla. Dopo questo arduo compito, prese un lenzuolo e la coprì con premura. Le baciò la fronte imperlata di sudore e uscì fuori chiudendo la porta.
Si diresse in bagno, sentendosi un po' acciaccato. Si guardò allo specchio e vide un graffio sulla guancia e qualche livido sulle braccia. Il suo petto invece era quello messo peggio. Si mise un po' di pomata sotto la maglietta e si fasciò per poi disinfettarsi quel graffio. Prima non gli faceva cosí male.. A caldo gli sembrava di non avere niente.
Dopo aver finito tornò da Sofia, stendendosi vicino a lei e abbracciandola. Iniziò a fargli le coccole sul braccio scoperto e la osservava, come gli capitava spesso ultimamente. Sulle ciglia c'era ancora qualche residuo di lacrima mentre le sue guance erano ancora umide. I suoi capelli erano la prova della sua uscita da una lotta difficile, sudati e in disordine.
Adesso Stefano aveva capito che la cosa che più destabilizzava Sofia era sua madre. E se allora era così, voleva anche dire che una delle cause scatenanti della sua dipendenza era proprio la madre. La sofferenza e l'indifferenza della donne dovevano essere state così forti da destabilizzarla fino a quel punto. Non si sentiva amata. E da quello che percepiva, Sofia si doveva sentire in colpa per la morte del padre. Forse la madre gli aveva messo in testa una cosa del genere, forse è per questo che si odiavano così tanto. Non lo sapeva ma per Sofìa era motivo di grandissima disperazione tutta quella storia. Era bastato un incubo, nemmeno la realtà, a farle avere quella reazione inaspettata e di grande flagellazione. Aveva perso il controllo più di quanto si aspettasse. I pugni che gli aveva tirato erano movimenti inconsci di dolore.
Prima o poi lei si sarebbe sfogata e gli avrebbe raccontato tutto, avrebbe esternato tutta la sua sofferenza.
Le scostò una ciocca di capelli dalla faccia, le baciò una guancia e si diresse in cucina. Decise di preparare un brodo caldo, nella speranza che Sofia lo mandasse giù. Ultimamente non faceva nemmeno quello, non mangiava per niente.
- Ste -. Spaventato si voltò. Si ritrovò lei in piedi, con gli occhi arrossati e delle occhiaie enormi.
- Piccola, che ci fai già sveglia? Non è ancora ora di pranzò. Se vuoi puoi tornare a dormire -. Le sorrise.
Sofia lo osservò, poi si avvicinò a lui e in un modo inaspettato gli prese il polso, osservando i lividi che lei stessa gli aveva procurato, solcandoli delicatamente con l'indice della mano.
- E' successo di nuovo Ste. Io non volevo, te lo giuro -. Gli occhi le stavano diventando lucidi.
- Ma sei scema? Lo so che non lo faresti  mai apposta. E poi non fa male -.
- Scusa -.
- Vieni qui va -. Le disse, circondandola in un abbraccio. Sofia respirava affondo il profumo della sua maglietta, strusciandosi addosso.
- Stasera ti cambiò io le bende che hai sotto la maglietta -. Lui la guardò stupito. Non glielo aveva detto per non farla preoccupare, invece..
Lei gli sorrise e si staccò. Poi si guardò intorno notando il disordine che regnava in quell'ambiente.
- Posso aiutarti a cucinare? È da una vita che non lo faccio -. Stefano accolse quella richiesta inaspettata con molta felicità. Era un modo per aiutarla a distrarsi e l'aveva ascoltata con gioia. E mentre lei tagliuzzava le verdure, lui controllava il resto. Così il pranzo fu preparato in pochissimo tempo.
- Buonissimo Ste. Però devo dire che è anche merito mio eh -. Sorrise lei.
- Siamo stati bravi -.
Finirono tutto e si misero sul divano a guardare i cartoni, come due bambini. Risero anche per la situazione. Era da moltissimo tempo che non passavano le serate a guardarsi il Fantabosco. Lupo Lucio, Balia Bea e Milo Cotogno con le loro avventure un po' stupide ma divertenti. Erano tornati per un pomeriggio intero dei piccoli marmocchi che dopo scuola non vedono l'ora che inizi il loro programma preferito. Dei bambini spensierati che non devono pensare ai problemi dei grandi e che quindi le preoccupazioni sono delle lontane parole, sconosciute ai loro occhi.
- Fosse sempre così-. Se ne uscì Sofia con malinconia. Chiuse gli occhi e si mise a pensare. Per la prima volta dopo tanto tempo si sentiva di nuovo spensierata, finchè non riprendeva a mettere in moto il cervello. Avrebbe tanto voluto ritornare bambina, quando ancora tutto era facile e suo padre era affianco a lei. Quel padre strappatole via troppo presto. Iniziarono a emergere anche i ricordi negativi, quelli con la madre, quelli in cui la sua vita ha iniziato a cambiare. Niente più passeggiate al parco, niente più giostre e uscite in bicicletta. Niente di niente. Ma solo pianto e disperazione per una persona che aveva iniziato a non calcolarla, a smettere di volerle bene. A trattarla male. A farle male dentro.
Un conato di vomito gli salì fino alla gola. Si alzò velocemente dal divano, raggiungendo in un attimo il bagno e mandando giú tutto ciò che aveva inghiottito un' ora prima.
- Che ti prende Sofy? -. Lei era ancora china sul water, sudata e pallida.
- Devo aver mangiato troppo. Il mio corpo non è piú abbituato -. Era vero, il suo corpo si rifiutava di mettere nello stomaco più di una certa dose di cibo. Il problema stava nel fatto che ciò che lei mangiava era davvero poco, e appena ne approfittava succedeva sempre quello. Forse avrebbe dovuto farlo con regolarità e gradualmente, non tutto a un tratto.
Sofia si sedette sul pavimento, appoggiandosi con la testa al muro.
- Sai, se fossi quella di una volta e se adesso potessi, mi sarei già fatta una gran dose di cocaina. Con ciò che mi è successo oggi, sarebbe stato l'unico modo per alleviare il tutto -.
Stefano aveva capito il suo ragionamento. Ma doveva riuscire a farle dimenticare la droga, doveva farle capire che c'erano altri modi di evasione.
- Ste sto un altro po' qui, ho mal di pancia -. Lei lo guardò.
- Ho capito, ti lascio sola -.
Lui se ne andò ma il mal di pancia che attanagliava lei continuava a persistere.  Aveva dei crampi allucinanti, con se avesse una morsa nello stomaco. Si rannicchiò in posizione fetale sul pavimento freddo del bagno, riuscendo ad alleviarlo. Le piastrelle gelate avevano contribuito a migliorare la situazione. Restò per qualche minuto così, trovando grande sollievo.
Si alzò e si diresse verso il letto, buttandosi sopra con tutto il peso.
- Va meglio? -.
Stefano era andato ad accettarsi della situazione.
- Diciamo di si -. Richiuse gli occhi.
- Faresti meglio a dormire -.
- Non mi sembra affatto una buona idea. A quanto pare, dormire non mi fa affatto bene -.
- E se ti abbracciassi tutto il tempo? Alcune volte funziona -. Già, se lo ricordavano tutti e due. Le uniche notte in cui ci fu pace per tutta la casa erano state quelle in cui avevano dormito abbracciati tutta la notte. Per Sofia le sue braccia che la cingevano erano una  grande sicurezza. Per questo motivo accettò.
- Ma prima ti cambio la fasciatura al petto -. Si alzò un po' barcollante, ma con la voglia di fare. - Aspetta -.
Tornò con una garza e la pomata.
- Guarda che posso farlo da solo Sofy -. Stefano non voleva che si incolpasse per quei lividi; Sofìa voleva vederli, invece, voleva vedere quanto lei potesse fare schifo. Lei si sentiva in colpa.
- La maglia Stefano -. Disse, con autorità.
Con un sospiro di rassegnazione obbedì. Sofia iniziò a srotolargli  la Fasciatura fatta quella mattina. Vide quei bruttissimi lividi e rimase in mobile per qualche minuto, davanti a quello spettacolo che la fece ghiacciare.  Solcò quelle macchie violacee con le dita, delicatamente.
- Sono bello eh -. Cercava di sdrammatizzare, per farle capire che nn era successo niente. Ma lei ovviamente non gli faceva caso.
Prese la pomata e la passo con cura sulle ferite, massaggiandole con cautela. Dopo averla stesa uniformemente e per tutta la zone, prese la garza.
- Non c'è bisogno della garza ormai. Sono quasi guarito! -.
lei alzò la testa e lo guardò come se avesse detto una cosa da alieni sceso sulla terra.
- Non diciamo sciocchezze -.
- Guarda che è la verità! -. Iniziò ad arrotolare la fascia intorno al petto, finendo col tenerla ferma tramite un pezzettino di scotch.
- Fatto -. Guardando a terra uscì dalla stanza per posare tutto l 'occorrente in bagno.
Era una ragazza testarda. Come poteva fare a farle capire che non le interessava niente dei lividi, e di qualunque altra sciocchezza?!
- Finiscila di comportarsi così, Sofia. Ti ho già detto mille volte che nn devi preoccuparti per delle sciocchezze -.
- Non dire sciocchezze. Per l'ennesima volta ti ho fatto male. Forse sarebbe il caso di finirla, no?! -.
Lei era tanto arrabbiata con se stessa.
- Imparerai, ma non devi distruggerti -.
Una lacrima solitaria scese dal viso di Lei.
- D'accordo lasciamo perdere. Ho sonno -.
Gli fece segno di stendersi. Si abbracciarono e chiusero gli occhi, inspirando l'uno il profumo dell'altra. Aspettavano che Morfeo arrivasse a circondarli. Prima di crollare definitivamente, Stefano le diede un bacio tra i capelli. - Grazie per la fasciatura testona -.
- Tu scusami per tutto -.



PS: Scusate davvero l'estremo ritardo

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Capitolo 9
*** Specchio ***


Specchio Specchio


 


- Ste, raccontami un po' di te -.

Erano passete circa otto settimane e la situazione era migliorata decisamente rispetto ai primi giorni. La notte Sofia non aveva più quegli attacchi improvvisi, si era abituata alla mancanza, pure se la voglia era ancora forte. Aveva ancora paura di ricadere,di crollare all'istante, ma con il tempo questa sensazione stava diminuendo. Non toccava più quella roba ormai da tre mesi, e quegli stessi mesi sono stati i più difficili della sua vita tra incubi, pianti e dolori improvvisi. Tutto così maledettamente
sofferente e difficile..
Il pensiero di arrendersi c'era sempre, aveva sempre quel desiderio di ricascarci, di uscire e procurarsene un po'.. Sarebbe stato tutto piú semplice. Ma c'era lui. Stefano le impediva di autodistruggersi di nuovo, la faceva ragionare davvero, le parlava col cuore in mano fino a quando Sofia  non ritornava sui suoi passi. Lui era lì e gli dava speranza. La speranza che Silvia dava a Leopardi, così come muore Silvia, muoiono le speranze..
Ed erano anche otto settimane che non usciva di casa. Stefano glielo impediva, le diceva che ancora era debole per sostenere
quello che c'era fuori e Sofia aveva paura. Finchè la sicurezza non si fosse radicata in lei, non avrebbe messo nemmeno un
piede fuori di casa.
Erano sdraiati sul solito letto.
- Cosa vuoi sapere? -. Disse lui voltandosi verso di lei.
- Parlami di tua madre -. Disse lei con un piccolo sorriso.
Lui la guardó stranito e comprensivo. Aveva scoperto il legame cinico e scontroso di Sofia con la madre.
- Okk, solo se mi prometti di mangiare quello che cucineró a cena -.
Già, Sofia non aveva mangiato niente e questo succedeva molto spesso ormai. Era dimagrita moltissimo e se non fosse per
quelle persone che la forzavano, a quest'ora di lei sarebbero rimaste solo ossa. E questo fatto influiva non poco: era sempre
spossata e stremata.
Lei sorrise e annuì. - Ricattatore -.
La bocca di Stefano si distese in un sorrido divertito.
- Beh, da figlio mammone penso non esista una donna più meravigliosa di mia madre. Lei è.. Una mamma completa. Non le si
puó dire niente su questo punto di vista e in un certo senso penso di essere stato molto fortunato -.
- Come si chiama? -. Interruppe lei.
- Michela ed ha i capelli biondo platino, lisci. Mi ricordo che quando ero piccolo e lei mi prendeva in braccio, mi piaceva
immergere le mie mani nella sua folta chioma vellutata. E poi immergevo il mio viso nel suo collo e sentivo sempre il solito
profumo, quello che la contraddistingue. I miei occhi sono simili ai suoi, solo che i miei sono pìù chiari -.
Sofia ascoltava ammaliata la sua descrizione e poteva immaginare quella donna così gentile e dolce col figlio. Ció che lei non
aveva mai avuto da parte della sua, dolcezza.
- Che bella descrizione che ne hai fatto Ste. Sembrava che le tue parole venissero direttamente da qui -. Sofia mise la sua esile
mano sul petto di lui, all'altezza del cuore. Dopo venne raggiunta da quella di Stefano, che la strinse.
- È così infatti. Te la faró conoscere un giorno -. Lei desiderava ardentemente che accadesse. Voleva avere la conferma reale
dell'esistenza di una madre diversa dalla sua, di una mamma reale.
Poi lei si accorse di un braccialetto attaccato al polso di Stefano, proprio quel braccialetto che lei gli aveva regalato al compleanno. Lo toccò e se lo rigirò tra le dita osservado se quella frase incisa c'era ancora o era sparita.
-Pensavo non lo portassi al polso -. Lo guardò negli occhi, felice per quella scoperta.
- Perchè non avrei dovuto? E' bellissimo e quella frase è stupenda Sofia -.
Stefano la trascinò sul suo petto e la strinse. A lei piaceva quel corpo perfetto e caldo di lui, quel porto sicuro e forte. La
protezione era di casa.
-  Tra un' ora si mangia. Che facciamo intanto? -.
- Io ho sonno Ste, tanto sonno. Perchè non stiamo qui e dormiamo!? -.
Lui prese ad accarezzarle i capelli lunghi e ricci.
- D'accordo piccoletta -.
Così, nel silenzio della stanza, in pochi secondi Sofia cadde nel mondo dei sogni, cullata dalle mani di Stefano. Il suo corpo era
spossato dal troppo affaticamento, ed era prevedibile che sarebbe crollata.
Stefano invece era rimasto lì a coccolarla, fissando il solito e monotono soffitto bianco, e stranamente un sorriso gli comparve
senza un senso. Era felice della chiacchierata appena avuta. Era felice perchè finalmente lei aveva voluto evadere un po' più a
lungo da quella vita, prendendo un po' di ricordi felici da quella degli altri.
Secondo lui questo era un passo avanti. Era un atto di volontà, pur se debole.
La osservava e, come sempre, dovette ammettere che era davvero splendida pur con la sua pelle diafana e gli occhi
infossati. Solo la sua magrezza non era normale e lui doveva assolutamente trovare un rimedio.
Si alzó, cercando di non svegliarla e andò in cucina. Aveva deciso di ordinare la pizza per quella sera, così da essere sicuro che
Sofia l'avrebbe mangiata. Chiamò e chiese due pizze con patatine. Sapeva che era la sua preferita.
Per passare il tempo accese la televisione  lasciandola sintonizzata su un canale, senza guardarlo davvero.
Il giorno dopo sarebbe venuta Federica a sostituirlo. Era da un po' di tempo che si davano i cambi, come due vere guardie del
corpo. Al mattino c'era Fede e alla sera ritornava lui dopo il suo turno di lavoro.
Stefano sapeva che era indispensabile non lasciarla mai sola. Doveva distrarsi e quello era il modo più usuale.
Suonarono al campanello. Era il fattorino. Pagò le pizze e si chiuse la porta alle spalle.
Entrò di nuovo in quella camera per svegliare Sofia. La vedeva lì, inerme e in quel momento gli dispiaceva interrompere il suo
sonno, ma doveva mangiare!
- Eii, piccoletta, svegliati. C'è una fantastica pizza alle patatine che ti aspetta -.
Lei mugolò qualcosa di incomprensibile e poi riaprì gli occhi, alzandosi con la schiena.
- Arrivo subito Ste, vado solo a sciacquarmi il viso -.
Entrata in bagno si fermò davanti al grande specchio appeso al muro e si osservó intensamente, per la prima volta davvero. Ma quella non era lei. Non riconosceva più le sue esili gambe tutte raggrinzite; non sembravano appartenere a lei quelle braccia e quelle mani sopra cui si vedevano chiaramente le nocche, come se gli fossero uscite dalla pelle; ma soprattutto non era sua quella faccia pallida, magra e con due occhiaie enormi. Quella non era lei, o se lo era allora in 23 anni non si era mai specchiata veramente.
Si sentì morire davanti a quella scoperta. Non era mai caduta così in basso e quel trascurarsi non le piaceva affatto. Doveva
riprendere ad essere se stessa a tutti i costi. Quella nuova e brutta Lei non le piaceva per niente e sperava che scomparisse al
più presto.
Si lavò la faccia e scese al piano inferiore dove sul tavolo trovò la sua amata pizza con le patatine.
Iniziò ad addentarla con avidità: quella sera aveva più fame del solito.
- Ti piace? -. Chiese lui, parlando in un modo buffo con la bocca aperta.
Sofia scoppiò a ridere, vedendo lui con le guance bombate e la sua faccia da pesce lesso.
- Dovresti vederti. Sembri un adulto con la faccia di un bambino! E poi maiale! Non si parla con la bocca aperta! -.
Lei aveva smesso di ridere e aveva addentato un altra porzione della sua pizza.
- Eiei.. Attenta a come parli. Non offendere -.
- Idiota che sei Ste! Comunque mi piace -. Gli disse con un sorriso.
Dopo un quarto d'ora tutti e due finirono la loro cena.
Stefano era davvero soddisfatto. Aveva mangiato tutto e questo non succedeva da moltissimo tempo. I suoi pranzi e le sue cene erano mini razioni di tutto quello che lui cucinava. Invece quella sera c'era qualcosa di diverso.
"Meglio così" pensò.
Quella sera Sofia era davvero stanca. E mentre lei era accoccolata sul petto di Stefano, lui guardava la partita che trasmettevano in televisione.
 
- Fede, dimmi la verità, sono troppo magra vero? -.
Federica era arrivata da circa un'oretta. Quel giorno ci aveva messo più del previsto a raggiungere quella casa: le strade erano
piene di neve e il traffico era davvero troppo.
Adesso stavano sfogliando una rivista di moda e Sofia se ne era uscita con quella domanda. Era da un po' di giorni che ci stava
pensando, da quando si vide davvero in quello specchio. E in quel momento, sfogliando pagine in cui erano stampate ragazze
bellissime, il suo pensiero si era fatto sempre più acceso.
- Sofia è normale che sia così, è da un bel po' di tempo che non mangi come si deve -.
- Già, ma che cosa posso fare? Non mi piaccio più così -. Voleva sul serio migliorare. Quel corpo così piccolo non era mai stato
suo.
- Ei non preoccuparti. Ste ha detto che in questi cinque giorni sei molto più attiva. E poi guardati.. Ti stai riprendendo -. Disse
Federica con un sorriso.
A lei quella risposta non convinceva per niente, ma lasciò perdere e cambiò argomento.
- Ele e Giò come stanno? E da una vita che non li vedo -.
- Oh ti salutano, ormai lo sai, ogni giorno mi dicono di salutarti -. Risero tutte e due. - Comunque stanno bene, pure se gli manchi Sofy. Ci hanno sempre trattato come figlie -.
- Si. Per me sono sempre stati i genitori che non ho mai avuto -. E pensò a Giò, quell'omone con la barba bianca, gli occhi infossati e un nasone enorme a incorniciargli il volto. Era un grande Chef e con sua moglie riusciva a fare dei piatti eccezionali. Ele era una donna bassina ma piena di vita. Aveva delle guanciotte enormi e i suoi occhi erano quelli di una mamma protettiva e premurosa. Ma ciò che accomunava queste due persone era sicuramente l'amore che non li aveva mai abbandonati. Anzi, li univa ogni giorno di più, come la prima volta.
Nella testa della ragazza balenò un idea.
- Fede, non potremmo andare a trovarli? -.
Quella domanda spiazzò l'amica che la guardò con sguardo sorpreso. Sofia non usciva da un tempo infinito e Federica non
voleva avere quella responsabilità enorme. Non di sentiva all'altezza.
Sofia invece non vedeva l'ora. Quel giorno ci aveva pensato moltissimo e si accorse di essere pronta. Voleva fare un passo in più di tutti quelli che aveva fatto fino ad allora. Uscire da casa sarebbe stato forse difficile, ma voleva farlo, non da sola, ma comunque era un passo in più. In compagnia è tutto un altra cosa perchè se non sai dove aggrapparti, hai sempre l'amico affianco che ti salva dalla caduta. Per questo motivo voleva uno dei suoi amici. Forse però questo passo avrebbe tanto voluto farlo con Stefano che l'aveva aiutata fino a quel momento. Voleva lui al suo fianco. Intanto si era accorta dello sguardo terrorizzato dell'amica e la comprese.
- Non preoccuparti, andrò stasera -. Le disse con un sorriso.
Sofia non vedeva l'ora che arrivasse Stefano. Voleva evadere e soprattutto voleva finalmente rivedere Ele e Giò.
Si mise a leggere per far passare il tempo.
 
Quando Stefano arrivò, anche lui in ritardo, Sofia si accorse della sua espressione triste. Non era il solito, mancava il sorriso dal suo volto.  
- Ciao Ste! -. Rispose velocemente Fede. - scusami ma sono in ritardassimo -. Gli scoccò un bacio sulla guancia e uscì di casa.
Gli occhi di lui incontrarono quelli di Lei e cambiarono espressione. Nascondevano la loro tristezza.
- Piccoletta! Come stai? -.
Sofia non ci cascava. Lo conosceva fin troppo bene ormai. Si alzò dal divano e gli andò incontro.
- Io bene Ste, ma tu? -. Gli chiese, accarezzandogli una guancia.
Stefano rimase sorpreso da quella domanda e alzò un sopracciglio stupito come suo solito. Non le si poteva nascondere niente
a quella piccoletta!
- Io tutto bene, perchè? - mentì lui con un sorriso.
- Non ti credo Ste! -.
Lui la prese di slancio e l'abbracciò stretta, affondando il suo viso nei capelli di lei. Sofia rimase immobile, senza parole. Lo
abbracciò anche Lei e rimasero così per un paio di minuti.
Era davvero strano, ma se non voleva raccontarle niente non l'avrebbe di certo obbligato.
Si staccarono e lui evitò di guardarla negli occhi.
- Ste, se non vuoi parlarne non fa nulla. Ma devo dirti una cosa importante -. Lui alzò il viso e la guardò. Come sempre l'aveva
capito. Era incredibile l'abilità che aveva di comprendere le persone.
- Dimmi -. Tagliò.
- Vorrei tanto uscire e andare da Giò e Ele -.
Lui stranamente fece un sorriso, una reazione inaspettata.
- Non so perchè ma avevo questa sensazione. Lo sapevo già -. Disse guardandola. - Se ne sei convinta, per me va benissimo -. Le
accarezzò una guancia.
Sofia era convintissima. Voleva rivedere quelle due splendide persone che le erano tanto mancate e voleva uscire nel freddo
gelido di gennaio e sentire, dopo tanto tempo, il vento freddo sulla sua pelle e tutto ciò che c'era.
Annuì a Stefano e così, contenta, si andò a preparare.
Aprì l'armadio e iniziò a scandagliare tutti i suoi angoli alla ricerca di qualcosa.
Optò per un jeans e una maglia di lana.
Si svestì e si guardò per l'ennesima volta allo specchio. Chissà cosa avrebbero pensato Ele e Giò a vederla così; in fondo era tanto più magra, pure se un po' era migliorata rispetto ai primi giorni. Rimase così per qualche minuto quando decise di vestirsi. Indossò i suoi stivali e scese giù.
- Stee, io sono pronta! -.
- Arrivo -.
Quando si trovarono tutti e due davanti all'entrata si imbacuccarono per bene con sciarpa, guanti e cappello e spalancarono la
porta.
Sofia fu la prima a mettere piede fuori casa. Era da tanto che non succedeva ed era emozionata come una bambina davanti al
suo regalo.
- Sofy, vuoi rimanere lì impalata per tutta la serata? -. Lei sorrise, lo prese sotto braccio e lo seguì.
 - Mi sembra una vita che non prendo la metro! -.
Per Sofia era come se in quel momento stesse riprendendo sempre di più nelle sue mani la propria vita, quella che aveva
mollato per un lungo periodo.
Era passato un lunghissimo tempo dall'ultima volta che era andata al ristorante in cui lavorava, e adesso le sembrava tanto
strano. Mentre percorreva quel grande viale di New York, osservava tutte le bellissime vetrine e i vestiti che la affascinavano.
- Ste, guarda quello. È bellissimo, marrone col pizzo! -.
- Entriamo, così te lo provi -. Lei lo guardò stranita, ma lo seguì.
Chiese alla commessa il vestito della sua taglia e se lo infilò. Ma solo allora si accorse che forse era meglio non infilarlo. Adesso la sua magrezza era molto più evidente. Si, aveva messo su qualche chilo, ma ancora non bastava assolutamente.
- Sofia, esci da quel camerino?! Quanto ci metti. Le donne..! -. Stefano borbottava.
Lei mise la testa fuori dal camerino.
- Ste, non mi piace più. Meglio che non lo vedi -.
Lei si vergognava pure a farsi vedere in quelle condizioni da lui. Ci teneva a Stefano, più di quanto volesse credere.
- Ma se non ti sei guardata nemmeno allo specchio. Come fai a dirlo! -.
- Fidati, una donne certe cose le capisce -.
Lui mise fine alla discussione prendendo Sofia per un braccio e trascinandola fuori. La guardò. Era bellissima. Il colore contrastava in un modo elegante con i suoi occhi verde smeraldo e il suo corpicino era perfettamente cinto dalla stoffa.
"Stupenda davvero", pensò.
- Guardati allo specchio, testona -.
Lei si specchiò e osservò attentamente il suo corpo riflesso. Ormai gli specchi erano diventati i suoi incubi, non si piaceva più di tanto.  Si, il vestito era bellissimo, ma se solo lei fosse un po' più in carne!
Si rattristò tutto a un tratto, come succedeva spesso ultimamente.
- Ste, te lo ho detto. Non mi piace! -. Disse, tornando verso il camerino.
Lui la bloccò. - Ma chi vuoi prendere in giro. Lo so che ogni giorno ti preoccupi di chiedere a Federica se sei troppo magra, se
sei ingrassata. Insomma.. L'ho capito il tuo problema. Ma cosa ti aspettavi dopo tutto quello che hai passato? -.
- Non di non piacermi e di non piacere nemmeno a te -.
" A me"? Questa gli era nuova. Ma chi le aveva detto una sciocchezza del genere?
- Sofia, devi capire che sei bellissima comunque, questo problema si può risolvere. Ma è inutile che ti nascondi dietro maglie
enormi e pantaloni della tuta. E poi non ti devi preoccupare. Per me sei bellissima -.
Lei, che era rimasta immobile ad ascoltarlo, gli sorrise dopo aver sentito quel " bellissima ". Per lei le sue parole e opinioni
erano davvero importanti. Di slancio lo abbracciò.
La commessa arrivò proprio in quell'istante.
- Le sta benissimo signorina. Lo prendete allora? -.
-Non ..-. Stava rispondendo Sofia, ma venne subito interrotta da lui.
- Certo -.
- D'accordo allora vi aspetto alla cassa -. Disse, incamminandosi.
- Grazie Ste -. Lui le sorrise.
- Vatti a cambiate scema.
Così uscirono dal negozio.
 
- O Dio Sofia! -.
Il ristorante era proprio come Sofia  lo ricordava, pure se era passato più di due mesi.
All'improvviso si sentì stringere dalle braccia di Ele.
- Quanto mi sei mancata! -.
- Anche tu Ele. Sono passata per un saluto. Come va?-.
- Bene, tutto okk-.
La donna la guardò con occhi lucidi.
- Ancora non ci credo! Tu piuttosto come va? Fede ci porta notizie su di te ogni giorno -.
- Beh, va meglio Ele. Non sto benissimo ma meglio di prima -.
- Si ti vedo. Sei un po' magruccia ma sei sempre bella -.
 - Già, E questo è anche merito suo -. Disse, indicando Stefano che parlava con Federica.
- Si, quel ragazzo è una salvezza. Tienitelo stretto Sofìa perché ho visto come gli sei attaccata! -.
Lei abbassò gli occhi un po' ' imbarazzata cambiando discorso all'istante.
- Dov'è Giò? -.
- Mi dispiace piccola ma oggi non c'è. Aveva un po' di influenza e quindi gli ho ordinato di stare a casa -.
- Ah, allora salutamelo -.
Per la restante ora Elena chiuse il tistorante un'ora prima e tutti e quattro si presero un caffè in santa pace, tra chiacchiere
sorrisi e pensieri.
- Sofy, adesso andiamo. Per oggi può bastare -.
Lei annuì. - Vado a prendere i giubbotti -.
-  Ste, come va la situazione?-.
- Bene Ele, non ti preoccupare. I miglioramenti ci sono se penso ai primi giorni. Mi vengono i brividi. Poi questa uscita è andata bene. Non ero sicuro di come potesse reagire, ma per adesso sembra tutto ok -.
- Meno male. Ste non l'abbandonare, mi raccomando. Sono sicura che lei si sta aggrappando a te, sei tu la sua cura. La sua via
d'uscita -.
- Non ho intenzione di farlo -. Disse seriamente.

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Buonasera a tutti voi! Tantissimi auguri di Buon Anno. Spero che sia un anno ricco di cose belle e di felicità prima di tutto.


Fra

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Capitolo 10
*** Fiducia ***


AaU 10. Fiducia

Fiducia



"La speranza e la fiducia sono le grandi ali della vita, senza di esse si rimane a terra". 
Dopo aver cenato con Eleonora, Stefano e Sofia erano per le strade di quell'enorme città diretti verso casa. Erano le undici e mezza di sera e le strade erano buie e scure a quell'ora: c'erano solo i lampioni a illuminare quelle vie deserte ma il senso di infinita uscurità non svaniva del tutto. 
- Sono felicissima stasera -.
Sofia si era davvero sentita bene e in compagnia quella sera, con persone che non vedeva da tanto ma che le mancavano incredibilmente. La spensieratezza era stata di casa quel giorno e il ricordo di una così grande giornata era davvero lontana dai suoi ricordi. Lei camminava e pensava mentre Stefano stava in silenzio. Non sapeva che cosa dire ma era contento che quella serata era finita per il meglio: Sofia sembrava un'altra persona e lui era sicuro che da quel punto in poi le cose non avrebbero potuto fare altro che migliorare, pur con ostacoli. Era con questi bei pensieri che era riusito a cancellare, almeno per qualche ora, i brutti pensieri e i ricordi che attanagliavano i suo cervello. Ma si sa.. primo o poi bisogna affrontare le proprie paure e Stefano non rimaneva escluso da questo circolo.
Arrivati davanti all'altissimo grattacielo, presero l'ascensore in silenzio e ritornarono nella grande casa. Era proprio quel silenzio che continuava a perdurare ormai da troppo tempo a far insospettire Sofia. Persi nei loro pensieri nessuno disse niente finchè non giunse il momento di andare a dormire. 
- Buona notte Ste, grazie -.
- Notte Sofy. E per qualunque cosa chiamami -.
Lei annuì e sparì nella sua stanza. Lui, con passo strascicante, si portò fino all'estremità del letto, si coricò e chiuse gli occhi sempre con in testa la stessa brutta immagine e le stesse parole che gli facevano tremare il cuore.
 
Stefano si svegliò di soprassalto. 
Un incubo, era solo un incubo eppure sembrava tutto così reale! Riviverlo era stato orrendo e angosciante. Ormai bruttissimo ricordo era impresso nella sua mente, non riusciva a mandarlo via, non riusciva a dimenticarsi la scena, il dialogo e il viso di quel piccoletto dagli o cchioni vispi e fiduciosi. Ogni qual volta che solamente chiudeva le palpebre gli tornava in mente tutto pur contro la sua volontà.
Decise di alzarsi e andare in cucina: non sarebbe più riuscito a chiudere occhio ormai, era tutto sudato e si sentiva spossato. Prese una bottiglia d'acqua per riprendersi un po' e si sedette sul divano, continuando a fissare un punto indefinito davanti a sè. 
L'unica cosa positiva di tutta quella storia erano i progressi che Sofia stava facendo di giorno in giorno. Per la prima volta dopo tanto tempo era uscita dalla sua tana senza nascondersi davanti a nulla. Era stata sempliceente coraggiosa fidandosi di se stessa e facendo, di fatto, la cosa giusta. Lui aveva paura di una sua ipotetica reazione strana, inaspettata. Invece i fatti avevano di gran lunga superato le aspettative.. 
Stefano si ricordava ancora la situazione iniziale: i primi giorni infernali.. pensava di non farcela, si era quasi arreso. Poi, settimana dopo settimana, ci erano stati dei cambiamenti pure se minuscoli. Lei aveva iniziato a non sudare e a non urlare la notte e aveva ripreso a mangiare ormai da due giorni. Il suo corpo era ancora molto debole ma era in procinto di  riprendersi. 
- Che ci fai sveglio a quest'ora? -. Sofia troncò il suo flusso di pensieri.
Era appoggiata allo stipite della porta con le braccia incrociate e uno sguardo interrogativo. Le sue gambe minute erano lasciare scoperte dai pantaloncini e i suoi capelli ricci arruffati le cadevano sulla fronte, quasi nascondendole i suoi bellissimi occhi verdi smeraldo. 
- Non riuscivo a dormire -. Disse lui, finendo di squadrarla e sperando di riuscire a liquidarla così. Sentì dei passi avvicinarsi e poi il divano abbassarsi sotto il peso di qualcuno. Si era seduta.
-  Come mai Ste? -. Ma lo sguardo di lui le fece capire che c'era qualcosa che non andava, come aveva intuito qualche ora prima. A quanto pareva, in quelle settimane non era solamente lui che aveva imparato a capirla, ma anche lei ormai riusciva a decifrare le sue espressioni.
- E quella cosa che continui a non volermi dire. Non so di cosa si tratta ma tutto si risolve, ricordi? Me lo hai insegnato tu -. Disse lei, capendolo al volo e sorridendogli, obbligandolo a guardarla. Lui assunse subito un'espressione irata, come se qualcosa dentro di lui non riuscisse più a stare rinchiusa come in gabbia.
- Alessandro è morto. Non penso questa cosa si possa risolvere, Sofia -.
Lei aveva smesso di sorridere e si era bloccata per osservarlo con un espressione interrogativa e sorpresa. Chi era Alessandro? Se Stefano stava così male allora era successo davvero qualcosa di grave che lo aveva toccato profondamente e lo aveva scosso.
- Questa mattina è stata infernale e dare la notizia ai suoi genitori non è stato affatto piacevole. Vallo a dire a loro che le cose si aggiustano! -.
Lui la guardava negli occhi, frustrato e disperato. Il suo dolore si leggeva da dieci miglia di distanza, era un uomo distrutto nel profondo in  quel momento.
- Prova a promettere tu a un bambino, prima di un intervento, che andrà tutto bene, che dopo potrà ritornare a giocare a calcio che potrà rivedere la bimba che gli piace. Lui allora ti guarderà, ti sorriderà e annuirà fidandosi ciecamente di te, non dubitando mai della tua parola. Il problema è che poi si addormenta e non si risveglia -.
Una lacrima minuscola sfuggì al controllo del ragazzo. Sofìa non l'aveva mai visto così distrutto, così fragile. Lui, davanti a lei, aveva sempre fatto l'uomo forte, quello che non si arrendeva davanti a niente. Stefano distolse lo sguardo e si girò dall'altro lato, nascondendosi. 
Sofia si avvicinò accarezzandogli una guancia e costringendolo a guardarla negli occhi. I suoi erano pieni di lacrime e lucidi.
- Ei, calmati. Non è colpa tua. Lo so che ti senti in colpa, ma non è colpa tua, capito? -. Lui la guardava con uno sguardo un po' perso. Non rispondeva e continuava a guardare da un'altra parte.
- Hai capito Ste? -.

- Gli ho detto una bugia, Sofia. Era l'unico paziente a cui mi ero affezionato. Non doveva succedere. Non mi sono mai trovato in questa situazione. Ma la cosa più brutta è il " Grazie" dei suoi genitori. Ti rendi conto? -.
Aveva iniziato ad alzare un po' la voce. 
- Mi hanno detto grazie perché per il loro bambino, in quel periodo, sono stato importante. E come è finita? -.
Urlava e non ragionava più, continuando a sparare cose senza senso e a non pensare alle parole che continuava a fare uscire dalla sua bocca. 
- Ste, Ste ascoltami. Tu hai fatto il possibile. Non potevi fare altro. Devi essere orgoglioso di quello che hai concluso, ma c'è un limite, lo sai anche tu. Non si poteva fare più niente ed è successo quello che è successo. Non puoi incolparti per una cosa che è esterna alle tue possibilità -. 
Lui a quel punto si alza e inizia seriamente a perdere il controllo, a sbraitare e gridare tutto rosso in volto e con l'espressione contratta.
- Si può sempre fare qualcosa Sofia! Sempre! Sono io l'incapace, l'imbecille che ha ucciso un bambino. Ti rendi conto? Un bambino! Cazzo -. Tutto agitato e arrabbiato prense un vaso, la prima cosa che trovò, e lo scaraventò sul pavimento riducendolo in mille pezzi. Si appoggiò al muro mettendosi le mani tra i capelli e scivolando addosso ad esso, sconfitto. Cominciò così a dondolarsi su se stesso per il nervoso.
Sofia lo raggiunse, spaventata e sorpresa per quella reazione inaspettata. Si inginocchiò davanti a lui con lentezza e  gli tolse le mani dal viso, appoggiando la sua fronte contro quella di lui per poter incontrare i suoi occhi. 
- Ei calmati, ok? Calmati e respira -. Lui, dopo lo sfogo avuto cinque secondi prima, cercava di seguire i suoi consigli calmandosi e respirando profondamente continuando a guardarla intensamente negli occhi per riprendere un respiro normale. 
- Ok, perfetto, bravissimo. Ora ascoltami bene.. tu sai meglio di me che la vita sparisce con lo schiocco di due dita. È per questo che non si può fare nulla contro questo, non si può prevedere niente e le cose succedono perchè devono succedere. Punto e basta Ste. Noi dobbiamo solo accettarle. E poi ti ricordo che non sei un imbecille.. Stai salvando me -. Gli sorrise, immergendosi nei suoi occhi.
Lui , a quell'ultima frase, si svegliò dal suo stato catatonico e si alzò, porgendo la mano a lei e di slancio l'abbracciò, stringendola a sé. Aveva bisogno di quello ma soprattutto di tutta quella fiducia che lei riponeva in lui: lo faceva sentire importante e non inutile come in quel momento credeva di essere. 
- Grazie -.
- Scherzi?! -. Lei lo fissava. Erano ancora vicini, corpo contro corpo, braccia intrecciate e visi vicini, troppo vicini. I loro occhi erano incollati e si scrutavano fino all'anima. Fu proprio Stefano ad annullare le distanze. Fece incontrare le loro labbra in un bacio dolce ma nello stesso tempo voglioso. Lei le schiuse e ci fu uno scontro di lingue che si toccavano. Le mani di lui salirono sul viso di lei e iniziarono ad accarezzarlo, poi finirono nei capelli rendendoli una massa intrecciata e annodata. 
Si scollò tutto a un tratto, ritornando alla realtà. Si allontanò da lei facendo un passo indietro e mettendo alla luce ciò che aveva appena fatto.
- Scusami -. Stefano abbassò lo sguardo imbarazzato. Non capiva come avesse fatto a perdere il controllo in quel modo e due volte nello stesso giorno. Si, voleva baciarla, era da un po' di tempo che ci pensava, ma era stato troppo precipitoso.
Sofia non capiva invece il motivo delle sue scuse. A lei non dispiaceva affatto che l'avesse baciata.. Anzi. Le era piaciuto e fosse stato per lei non si sarebbe mai staccata. Era la prima volta che un ragazzo la trattava con i guanti, che la vedeva come una ragazza normale e di conseguenza non ne approfittava. Era stato il suo vero primo bacio, dolce e voluto. Ne voleva ancora in realtà.. Si era sentita amata.
Si avvicinò a lui meccanicamente, lo guardò negli occhi, gli prese una mano e lo trascinò nella sua camera. Voleva dormire tra le sue braccia. Lui non protestò. Si mise di fianco a lei, racchiudendola tra le sue braccia. Sofia appoggiò la testa sul suo petto e dopo aver sentito un bacio scoccato sulla sua guancia si addormentò.
 
" Ciao Sofi, sono andato a prendere un po' di brioche per farti mettere su qualche chiletto. Torno subito. Ste "
Sofia si era appena svegliata e aveva trovato quel biglietto dall'altro lato del letto. L'aveva già fatta sorridere solamente con due semplici frasi.
Non si era dimenticata quello che era successo la sera prima. Si erano baciati e sicuramente non era stato un bacio innocuo ma voluto e intenso: le era piaciuto immensamente e ormai non poteva più negare che le piaceva anche lui e ormai da tempo. Era l'unico uomo sulla faccia della terra che dopo tanto tempo l'aveva di nuovo fatta sentire protetta ma soprattutto una donna e non un oggetto da usare e poi buttare.
Si alzò e andò in bagno per lavarsi. Si specchiò e vide una cosa strana. Una lei diversa. I suoi occhi luccicavano e il suo viso sorrideva: era diversa ma si piaceva di più. C'era qualcosa di bello in quella lei, qualcosa che non aveva mai visto ma che l'aveva colpita. L'unica ombra era il fatto di quella magrezza incessante. Doveva mettere su qualche chiletto.. come le aveva scritto Stefano. 
Con il sorriso sulle labbra uscì dal bagno e, saltellando, andò a preparare il caffè aspettando il ritorno di Stefano.
A un tratto sentì il rumore di una serratura e lo vide entrare, così gli andò incontro.
- Ciao Sofy.. -. L'abbracciò e gli lasciò un bacio prolungato all'angolo della bocca. Si guardarono negli occhi per parecchi secondi e poi si staccarono. 
Stefano si bloccava con lei. Il bacio gli era piaciuto davvero e la sua voglia di lei aumentava. Il problema però era il fatto che lei era Sofia, quella che lui stava aiutando, quella che si era fidata di lui. Con la situazione che si stava creando, aveva paura di destabilizzarla, di combinare qualche danno. Non riusciva a resisterle ma allo stesso tempo si controllava per paura. Il problema più grosso era che non si potevano comandare i sentimenti, nemmeno in quel caso.
Poggiò la busta sul tavolo.
- Allora, cosa mi hai portato di buono? -.
Sofia aprì la busta e frugò dentro constatando che c'era ogni tipo di brioche: da quella al cioccolato a quelle con la nutella e la crema.
- Non credi di avere un po' esagerato? Chi se le mangia tutte queste? -.
- Beh non sapevo quale scegliere così ne ho presa una di ogni genere -. 
- Quanto sei scemo -. 
Sofia scelse una brioche alla crema, la sua preferita e la imboccò.
- Ah Ste, ti ho preparato il caffè -. Gli disse, avvicinandosi e mettendogli la tazza davanti.
" Quanto sei bello ". Sofia continuava a produrre pensieri sconci da quando lui era tornato e aveva messo piede in casa. I suoi capelli scompigliati, gli occhi cioccolato, quel sorriso pazzesco che lo illuminava: tutto di lui era bello. Lei sapeva che lui era un po' bloccato nei suoi confronti, l'aveva letto ieri quando si era staccato bruscamente e quella mattina in cui gli aveva lascito un innocuo bacio: adesso cominciava a essere più freddo. Sinceramente lei ci stava un po' male per quell'atteggiamento, avrebbe preferito di gran lunga che lui la continuasse a trattare normalmente e non come una ragazza sotto le sue cura. Almeno in quella circostanza, dove a comandare non era la testa. Ma aveva comunque deciso di non aprire il discorso, se l'avesse ritenuto opportuno l'avrebbe fatto lui.
- Sofia che ne dici se ce ne andiamo al parco tutta la giornata? Oggi c'è il sole -.
Lei, sovrappensiero, si riscosse e lo guardò per un istante annuendo poco convinta.
 
Stava leggendo. Era da quando erano arrivati che continuava così. Più passavano le ore e più lui alternava momenti di distacco totale a momenti di spensieratezza e simpatia.
Lei stava prendendo il sole con i pensieri che le vorticavano in testa. Non capiva. 
- Ste.. Che cosa stai leggendo? -. Gli chiese, per iniziare un discorso. 
- Un libro di anatomia -. Come aveva alzato gli occhi per guardarla, così repentinamente li riabbassò verso il libro. Lei era stufa di quella situazione noiosa, così decise di avvicinarsi verso il tronco dell'albero su cui lui si era appoggiato con la schiena. Si mise di fianco a lui.
- Mi spieghi qualcosa? Voglio imparare anche io -. 
Lui la guardò inizialmente stupito. Restò a fissarla per alcuni istanti per poi accettare la sua richiesta con un sorriso.
" Io l'avevo detto che è strano forte! ", aveva pensato Lei.
Passarono così un pomeriggio diverso da un altro. Alcune volte lei rideva per le cose assurde che lui le spiegava e che lei non capiva. Stefano era tornato quello spensierato. 
Dopo ore e ore, si era fatto davvero tardi. Tornarono a casa verso le sei di sera. 
Quella sera, dopo aver guardato "Italian's got talent" in televisione, andarono a dormire. 
Sofia durante la notte si svegliò, si alzò e si buttò nel letto di Stefano, facendosi abbracciare e addormentandosi in pochi secondi. Ormai non riusciva più a sentirlo lontano.

 
- Sofia devi dargli tempo -. La ragazza aveva raccontato tutto a Federica: le aveva detto del bacio e dei suoi comportamenti strani e incoerenti. - Lui è solo stranito dalla situazione che si è venuta a creare. In fondo è lui che ti sta aiutando e che cerca in tutti i modi di non trovare un problema che ti destabilizzi definitivamente. Magari ha paura di rovinare tutto. Devi solo aspettare che la tua terapia finisca e poi allora lui si sentirà libero. In fondo, da quello che mi hai raccontato, lui vuole le stesse identiche cose che vuoi tu -. Le sorrise.



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Scusate, scusate infinitamente  questo abisso, questo ritardo imperdonabile ma gli esami attendevano mentre il mio tempo scarseggiava.. adesso riprendo la mia vita sociale e le mie passioni e spero di riuscire ad essere regolare con gli aggiornamenti, almeno fino a quando parto.


Per chi ancora ha voglia di leggermi, spero questo capitolo vi possa piacere.. fatemi sapere. Fra

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