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di Douglas
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una sfida con l'orologio e un desiderio dalle candeline ***
Capitolo 2: *** la tana dello Strambo ***
Capitolo 3: *** Patto di ferro e occhi d'acciaio ***
Capitolo 4: *** La rivincita del tiratore ***



Capitolo 1
*** Una sfida con l'orologio e un desiderio dalle candeline ***


Una sfida con l'orologio e un desiderio dalle candeline

 

Un fischio acuto annuncia una folata di vento proveniente dalla finestra aperta della cucina.

Questa fa traballare le fiamme delle diciotto candeline sparse sulla torta glassata in modo tale da far trattenere il respiro a mia madre.

Alzo lo sguardo da quella superficie cremosa e sembra che anche la mia anima cominci a traballare quando mi metto a riflettere sullo squallore di quella situazione: passare il diciottesimo compleanno con i propri genitori è forse una delle prospettive più ignobili per qualche mio coetaneo.

Io non mi lamento, sorrido stiracchiando le la labbra in una smorfia e mi consolo stringendo il cellulare nuovo fra le dita con la convinzione che con quello avrei potuto scrivere alla mia infinita schiera di amici.

La mia illusione è dolciastra, quasi quanto la crema che sborda dal tiramisù.

-Ti vuoi sbrigare con questo desiderio? Mi stanno aspettando al Roxy- sbotta mia sorella mentre si sistema alla belle e meglio il rossetto davanti allo specchio del salotto: non finge nemmeno di essere interessata alla “mia presa di responsabilità dinnanzi al governo inglese”, occupata com'è dalla sua movimentata vita sociale.

Dannazione, come ha fatto a farsi degli amici solo dopo tre giorni dal nostro trasferimento?

Ripenso alla mia vita prima dell'attacco terroristico di Kabul in cui mio padre ha perso la vita insieme ad un centinaio di uomini, e mi chiedo se la mia ex stia già con un altro dopo che la nostra relazione a distanza ha smesso di funzionare.

Mandarle un messaggio, anche con un telefono di nuova generazione, mi pare triste e insensato.

-Harriet, siediti a tavola e mangia una fetta di torta con tuo fratello. Diciotto anni si compiono una volta sola mentre le uscite mondane con i tuoi amici puoi farle tutte le sere- la ammonisce strattonandola appena per la manica del pullover verde e facendola sedere a tavola.

-Aspetta solo un secondo, Johnny. Vado a prendere la macchina fotografica- cinguetta lei allegra avviandosi verso la porta del corridoio, non prima di scoccare alla figlia maggiore un occhiata minacciosa che le vieta di alzarsi dalla sedia.

Dopo il breve scambio di parole fra mia madre e Harriet quasi mi dimentico di contare i secondi che rimangono alla fine della giornata e mi ritrovo con il naso incollato sullo schermo del telefono, alla ricerca di un applicazione che fosse capace di tenerlo a posto mio.

Lo sguardo penetrante di mia sorella mi trafigge con tale intensità e resistenza da farmi cominciare a sperare nel ritorno di mamma e della sua fastidiosa solarità.

-Non sono io che ti costringo a rimare qui- borbotto mentre con lo sguardo mi perdo nelle molteplici applicazione di quella meraviglia elettronica: trovo immediatamente il navigatore satellitare e imposto l'indirizzo del Roxy, una delle discoteche più in di tutta Londra.

-Tieni, in caso tu ti perda.- esclamo porgendole il cellulare con un sorriso ironico.

-Divertente. Sai, molto volte penso che tu sia un castigo inviatomi da Dio per un peccato compiuto in una vita precedente- sibila lei respingendolo con uno sguardo fiammeggiante.

-Dovevi pensarci due volte prima di mordere tutta quella gente, cara la mia vipera- replico.

Se è possibile i suoi occhi si serrano ancora di più, tanto da farmi pensare che se avessi due monete qui con me le inserirei nelle sue iridi come succede alla fessura del salvadanaio in cucina.

-Non hai amici con cui festeggiare? Devi proprio rompere le palle a me?- risponde amareggiata.

-Neanche tu hai amici se per quello. Non credo che la ragazza con cui ti stavi facendo nel parcheggio possa essere considerata...- non riesco a terminare la frase perché mi ritrovo le braccia strette intorno al collo in una morsa flaccida.

Wrestling e amore fraterno vanno di pari passo nella mia famiglia.

-Zitto, idiota! Mamma potrebbe tornare da un momento all'altro- mi sussurra all'orecchio lanciando un lungo sguardo impaurito alla porta.

Ho passato ben tre anni nell'accademia militare gestita dal Maggiore Nevers, vecchio amico di mio padre sin dalle sue prime missioni in Afghanistan, e di certo non mi faccio intimorire da una stretta molle come la sua.

Sapevo atterrare il Capitano Jones, il nostro insegnante di lotta, ai tempi d'oro del mio addestramento figurarsi se non avrei saputo sconfiggere una sedicenne in sovrappeso.

Non mi lascio prendere il sopravvento e, approfittando dell'attimo di esitazione in cui sente la porta del camera da letto aprirsi, mi divincolo dalla presa e le stritolo in braccio dietro la schiena in un unico fluente gesto.

Lei caccia qualche urletto stridente e mi implora di lasciarle il braccio.

-Allora sta buona per altri cinque minuti- le dico mollandola poco prima che la mamma ritorni in cucina: Harry ritorna a fare il broncio però finalmente rimane zitta massaggiandosi il polso.

Il nostro scambio di amorevoli gesti sfugge completamente alla mamma che ritorna cercando qualcosa sul menù della macchina fotografica.

-Allora John hai pensato al tuo desiderio?- esclama lei lasciandola perdere e tornando ad osservare il suo capolavoro, si accorge che qualche candelina si è spenta col vento.

Fuori i nuvoloni carichi di pioggia fanno da sfondo allo sbraitare violento di qualche sporadico tuono e al sibilare acuto del vento che si intrufola fra le persiane chiuse.

Tira fuori dalla tasca il suo accendino e le riaccende con la sua tipica espressione da madre amorevole.

Anche se mi tratta da ancora da moccioso, le voglio un bene dell'anima: sono ancora un adolescente e in questa fase si preferirebbe cavarsi i denti uno a uno piuttosto che ammetterlo così rimango zitto con i miei pensieri.

-Sono pronto a soffiare però niente canzoncine idiote di buon compleanno, per favore- le dico per fare finita a questo calvario mentre lei mi abbaglia con il flash improvviso della macchina fotografica.

- Hai gli occhi chiusi...- si lamenta lei come una bambina troppo cresciuta che subisce un ingiustizia.

Li strizzo infastidito e aspetto qualche secondo che la vista mi ritorni per replicare :- se proprio devi farmi una foto, falla senza flash mentre esprimo questo stramaledetto desiderio- sbotto guardandola in cagnesco e lei ritorna a rivolgere l'attenzione all'aggeggio che ha in mano.

Non è vero che ho pensato al mio desiderio in cinque minuti , è da secoli che so già quale sia il più grande: niente automobili nuove ( Londra pullula di mezzi pubblici), niente storie d'amore ( visto che la mia ultima storia è naufragata come il Titanic, non come il film di James Cameron ossia in modo triste e plateale ma come nella realtà ossia in modo allarmante e progressivo) e neppure voti migliori a scuola ( non so ancora giudicare se il mio andamento scolastico sia in calo dopo l'ennesimo cambio di istituto ma le lezioni mi sembrano meno impegnative che nella mia vecchia scuola).

Chiudo gli occhi, riempio in polmoni con l'aria e lo smog londinese e penso intensamente al mio desiderio.

Voglio andarmene da questa casa e vivere da solo.”

Capisco subito che qualcosa non va..

Gli uomini non sono fatti per vivere da soli, hanno bisogno di qualcuno con cui confrontarsi e confidarsi altrimenti rischiano di impazzire, e io non sono altrimenti.

Mi manca enormemente uscire con un vero amico, sopratutto senza le paranoie da fidanzato del tipo se il mio profumo sia abbastanza gradevole o se ho fatto bene a portarle una piantina piuttosto che un mazzo di fiori.

Una pianta ha le radici, un mazzo di fiori secca e dopo due giorni si butta.

La vera amicizia è una pianta, le cotte sono mazzi di fiori.

Ripenso all'ultimo amico che ho avuto e mi accorgo che risale soltanto ai tempi delle elementari quando io e il mio vicino di casa attraversavamo la città di Sheffield in bici, incuranti di macchine ed autobus, dopo essere scappati dalle ansie dei nostri genitori sui pericoli dei nostri passatempi.4

Immaginavamo che la città fosse il campo di battaglia, i tombini delle mine da evitare e le automobili minacciosi carri armati che affrontavamo con le nostre pistole di plastica in tasca.

Mi manca la sensazione di avere una spalla che ti sorregga anche nei periodi più duri o, per quanto riguarda il mio vicino, una spalla che ti aiuta a digerire la stupida decisione di tua madre di cambiare aria ogni volta che le pare.

Mi aveva promesso di aspettare il mio ritorno in quella stessa casa ma dubito che ci sia rimasto.. .

Mi scuoto dal mio torpore e riformulo il mio desiderio ben consapevole della mania di perdermi in ricordi lontani:

Voglio andarmene da questa casa e trovare qualcuno con cui condividere un appartamento.”

Altri pensieri mi assalgono e mi chiedo se sia una cosa giusta pretendere di andarmene di casa l'ultimo anno del liceo senza uno straccio di conto in banca o impiego.

L'affitto non si paga mica da solo e neppure la retta dell'università di medicina sarà da meno.

In mezzo a tutte le mie convinzioni solo la solitudine è l'unica che rimane a farmi compagnia, come un cagnolino fedele che si accuccia ai piedi.

Forse pretendo troppo da delle stupide fiammelle tremolanti sopra una torta deforme...

Voglio solo un amico, per l'appartamento rimandiamo all'anno prossimo.” Mi ricorreggo fra me e me rassegnato.

Diciotto candeline contro un desiderio piuttosto accessibile e comune mi sembra che possa essere equa come sfida.

Soffio a occhi chiusi, svuotando completamente l'aria tra cui sento intrappolato il grido soffocato di chi ha bisogno solo di qualcuno della sua età con cui confrontarsi: qualcuno che ti capisca e ti contraddica in modo giusto e imparziale, uno che non ti elogi quando commetti una cazzata.

-Finalmente! Pensavo fossi morto...- esclama Harriet tagliandosi frettolosamente la sua fetta di torta e trangugiando il primo boccone.

Anche io non mi perdo in chiacchere e mi appresto ad assaggiare la torta che mamma ha preparato questo pomeriggio.

Sono a metà della mia fetta quando mia sorella se ne va e, alternando lo sguardo tra lo schermo del telefono e una gara olimpica di nuoto che stanno trasmettendo alla TV, termino la parte rimasta e mi avvio verso la mia camera.

Chiudo la porta alle mie spalle e, attaccando la spina allo stereo, inserisco un cd a caso alzando il volume quel tanto da coprire qualsiasi rumore estraneo.

Ho solo bisogno un po' di solitudine per riflettere sul fatto che mi comporto ancora da marmocchio dopo due anni in una accademia militare dove, secondo il mio modesto parere, il regista di Fight Club aveva preso ispirazione.

Mi viene quasi da ridere quando ripenso alla sera in cui mi trovai invischiato in una delle loro “ sessioni di combattimenti” e ne uscii finalista.

Credo che la mia inclusione al loro club privato fosse dovuta da una sorta di resa dei conti: provavano invidia per il trattamento speciale che il rettore mi riservava, visto il suo rapporto con mio padre, e per questo avevano deciso di trarmi in inganno con la scusa di una festa con le ragazze di un altro liceo.

Dalla loro “festicciola” ne ero uscito con qualche livido, una storta alla caviglia e un sorriso a trentatré denti sulle labbra ( tre denti erano rimasti impiantati nel ring arrangiato dietro il campo di addestramento): mi era piaciuto, l'adrenalina scorreva come un fiume in piena nel mio corpo scuotendomi con piacevoli brividi da capo a piedi.

Con la mamma avevo preso la scusa di una partita di rugby particolarmente violenta e lei non aveva fatto domande: non era la prima volta che mi massacravano sul campo.

Gli altri ragazzi erano stati meno fantasiosi poiché ero venuto a sapere che i loro genitori avevano protestato con la scuola per richiedere una ronda notturna di sorveglianza e l'avevano anche ottenuta.

Nessuno aveva più le palle per cacciarsi nei guai con il preside, anche se poi se ne andavano in giro per l'accademia sentendosi tutti più fighi di Silvester Stallone e sfoggiando i lividi e i tagli ancora presenti sulla pelle, così il “club” si era sciolto.

Non che me ne importasse molto, visto che la settimana in cui fu eliminato arrivò dal fronte afgano la notizia dell'attacco terroristico e della morte di mio padre.

Steso sul letto, uso la mappa elettronica mondiale di internet per individuare la città di Kabul direttamente dal cellulare e rimango qualche secondo a fissare le immagini del il paesaggio brullo e gli edifici dai profili alti e minacciosi: l'Afghanistan era stato il mio grande sogno fino a quel fatidico giorno di maggio in cui mi erano state consegnate solo una bandiera, una lucido pezzo di ferro che avrebbe dovuto rendermi fiero del suo sacrificio e i resti di un pover'uomo che aveva combattuto per concedere alla propria famiglia una vita dignitosa .

-John, caro! Perché non approfitti di questa bella situazione per aggiornare il tuo blog. Ella sarebbe veramente felice di sapere come è andato il tuo compleanno.- grida improvvisamente mia mamma dalla cucina, mentre la sua voce viene quasi coperta dallo strillo sgolato del cantante del mio cd.

Ella è la psicologa da cui mamma mi porta ogni mercoledì dopo la scuola da quando si è accorta che la mia ferita alla gamba della famosa “partita” di rugby non migliora.

A quanto pare il mio corpo ha subito così tanto dolore da rifiutarsi di rigenerarsi per proprio conto.

Vorrei gridarle che a Ella non importa un' accidenti se zoppico o meno, se ho compiuto dodici o venticinque anni: le basta ricevere il suo stupido assegno alla fine di ogni seduta.

Mi trattengo, conoscendo bene l'esito di quello scontro: tristezza e delusione da entrambe le parti.

Sbuffando per tutta l'operazione, accendo il computer e apro il blog vuoto che Ella ha creato appositamente per me dal suo lussuoso computer nel suo lussuoso ufficio da strizzacervelli.

Apro una nuova pagina e rimango venti minuti buoni ad osservare il cursore lampeggiante con aria truce poi mi dico che mi sto impegnando troppo per una sciocchezza che non leggerà nessuno e mi invento qualche stronzata poetica:

Noia, la intitolo prima di passare al testo centrale che farà passare la voglia a quella donna di analizzarmi.

 

La noia è una delle più grandi malattie dell'uomo. Si attacca sulle spalle e non si scolla più fino a che non fai qualcosa di folle, insensato ma rigenerante. Scrivere su un blog scemenze che non importano a nessuno non lo è. Nella mia vita non succede niente di interessante:la cosa più eccitante che ho fatto in queste 24 ore è giocare a scacchi con un orologio e perdere inesorabilmente.

Ecco come mi sento Ella, tu che mi chiedi sempre come sto, sono annoiato.

Se qualcuno mi capisce, scriva qualcosa...”

 

Non lo rileggo nemmeno e pubblico il tutto lasciando che la mia psicologa passi il venerdì sera a riflettere sulle molteplici malattie mentali che affliggono la mia povera mente.

La canzone dello stereo finisce e ne segue una molto più lenta che ha un lunga introduzione al violino: incantato da quella melodia, chiudo gli occhi e mi faccio cullare verso Morfeo.

Il trillo improvviso del campanello spacca e sovrasta il rumore della lavastoviglie, il ciarlare metallico di due telecronisti sulle prestazioni di Michael Phelps e la bella melodia rovinata dalla voce nasale del cantante che fa sparire il violino.

Scocciato, vado al rispondere al citofono, convinto del ritorno di mia sorella per prendersi qualcosa che ha dimenticato a casa, forse l'ombrello visto lo strato spesso di nuvoloni che si intravedono dai vetri delle finestre:

-Harry,cosa hai dimenticato questa volta?- domando seccato, convinto della risposta acida che riceverò.

Non le chiedo se ha dimenticato proprio l'ombrello a casa perché sarebbe capace di descrivere l'esatto punto anatomico in cui me l'avrebbe cacciato se non le avessi aperto la porta.

Rimango sorpreso quando una voce profonda e maschile risponde in tono più gentile di come avrebbe mai fatto mia sorella:

-Sono Gregory Lestrade, un compagno di classe di John Watson. Lo conosce?- gracchia un po' la voce a causa di qualche guasto al campanello e, in questo momento, desidero ardentemente un videocitofono per ricordarmi chi diavolo sia Gregory Lestrade.

In quei tre giorni di scuola mi sono stati presentati una trentina di ragazzi e un altra trentina mi è stata illustrata nei minimi particolari da una ragazza pettegola addetta all'orientiring dei nuovi arrivati: se almeno ricordassi un particolare del volto, del portamento o anche un semplice tic nervoso che mi ha colpito di lui poi saprei ricostruire il suo volto.

Mi concentro e ricordo soltanto tre persone che conoscono il mio nome: la ragazza logorroica del orientiring, la timida Molly Hooper con cui prendo l'autobus ogni mattina e il mio compagno di banco durante le ore di biologia, un tipo apposto con cui ho trascorso due piacevoli ore a sfottere il professore stempiato.

Improvvisamente mi ricordo della nostra presentazione, quando mi ha quasi implorato di chiamarlo Greg perché il suo nome intero lo faceva sentire come uno di quegli snob dal culo floscio e dalla puzza sotto il naso.

- sono io- esclamò stupito dal suo arrivo; non gli avevo mai mostrato dove vivessi.

-Scusa John, non avevo riconosciuto la tua voce. Sono qui con Molly Hooper, la tua vicina di casa. Mi ha accennato che oggi è il tuo compleanno e che non conosci ancora nessuno in città, così ci stavamo chiedendo se avessi voglia di fare un giro al Roxy con noi...- disse con un filo di imbarazzo.

Ecco svelato l'arcano, era stata Molly a indicargli l'indirizzo di casa mia ed era stata ancora lei a ricordare al ragazzo il suo compleanno dopo che glielo aveva accennato durante una delle loro poche discussioni fra i sedili stretti dell'autobus.

Quanti anni hai?

Diciotto fra tre giorni esatti...”

Era stata gentile a ricordarsi di lui ed era forse la cosa più vicina ad una amica che avevo.

Anche Greg era simpatico ma ci aveva parlato sì e no per due ore di fila e non potevo farmene un'idea precisa.

-Al Roxy?- domanda una voce stupita alle mie spalle che riconosco come quella di mia madre: se ne stà li impalata, con uno straccio ancora per le mani, i capelli scarmigliati e un'espressione attenta sul volto più vecchio e stanco di quello che ricordavo.

-Si è una discoteca non molto lontano da qui, sfortunatamente nessuno di noi ha ancora la patente quindi dobbiamo andarci a piedi- risponde lui senza accorgersi del cambio forse perchè il citofono distorce un po' la voce.

-Non saprei...- dico indeciso, per niente allettato dall'idea di andare nella stessa discoteca di Harry e di ritrovarmela fra i piedi anche quando esco in compagnia.

Mamma mi picchietta sulla spalla come per non intromettersi in una discussione in cui è stata già coinvolta e sussurra: - Esci, divertiti e dai un occhiata a Harriet ogni tanto - .

La guardo un secondo in modo rassegnato, rattristito dalla sua incapacità di gestire una figlia che si fa prendere la mano da ragazze e alcol.

Odio quando Harriet fa così: approfitta del fatto che papà fosse l' unico freno alla sua vita ingestibile e convince facilmente la mamma a farla uscire, anche se il giorno precedente è arrivata a casa ubriaca fradicia ad un orario improponibile.

Non è la prima volta che la inseguo nelle sue folli serate: non conto più le volte in cui sono dovuto uscire anche da solo per andare a ripescarla da locali affollati e discoteche soffocanti.

Strano a dirsi ma è in questo modo che ho incontrato Sarah, la mia ex: tra luci stroboscopiche, vomito e musica spacca timpani.

Lei era una delle ragazze che ha soccorso Harry durante una delle sue overdose da alcol: è stata l'unica che l'ha accompagnata all'ospedale ed le è rimasta accanto fino all'arrivo di un parente.

Devo abituarmi agli ospedali se voglio fare l'infermiera...”

Mi aveva detto con un sorriso che avevo trovato incantevole.

-Allora?- mi chiede la cornetta che tengo in mano con la voce del mio compagno.

È pur sempre il mio compleanno, mi merito un' uscita tra amici!

-Dammi un secondo per cambiarmi e arrivo- gli rispondo prima di agganciare e andarmi a mettere un paio di jeans e un maglione al volo.

Mi metto in tasca il portafoglio e il cellulare poi mi tuffò giù per le scale direttamente nella notte nera di Londra con la speranza che il lavoro delle fiammelle impertinenti sia già iniziato.

 

Angolo autrice: salve a tutti! Piccola fanfic divisa in tre capitoli che mi impegnerò a pubblicare in questi giorni. é solo un semplice esperimento per staccare un attimo dalla mia altra fanfic, L'istinto del soldato, che non ho dimenticato ma che mi sto impegnando a scrivere in modo efficace. Una storiella un po' banale, quasi una favoletta per bambini già sentita tante volte, che spero non prenderete alla leggera.

Come sempre vi ringrazio in anticipo per aver dedicato anche una semplice lettura a questa storia e mi raccomando, recensite e dite la vostra.

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Capitolo 2
*** la tana dello Strambo ***


La tana dello Strambo

 

Solo quando chiudo la porta del condominio alle mie spalle mi ricordo di un piccolo particolare: un particolare che mi sorregge quando cammino da ben più di due mesi.

La mia appendice d'acciaio è rimasta in salotto insieme all' ombrello che sia io che Harry abbiamo abbandonato in un armadio proprio in una di quelle sere che sarebbe stato di vitale importanza.

La ferita alla gamba è psicosomatica ossia appare soltanto quando il mio cervello è libero di pensare al dolore che ho sofferto in questi mesi, se lo riempio di qualcosa il dolore va in secondo piano e la mia camminata diventa fluida e costante.

Sento che me ne pentirò, ma non posso tornare indietro a prendere la stampella, come farebbe un vecchietto che ha timore ad uscire di casa senza il proprio bastone soprattutto ora che mi accorgo che Greg e Molly non sono gli unici che vogliono andare al Roxy questa sera.

Con loro ci sono due ragazze e un ragazzo che riconosco come il compagno di banco di Greg durante le lezioni che non siano quelle di biologia in laboratorio: le altre due non la minima idea di chi siano ma dato che una stringe la mano a Lestrade deduco che possa essere la sua ragazza.

Molly abbandona lo sguardo intimorito e mi sorride non appena mi avvicino al gruppo poi fa segno a Greg che sto arrivando così lui mi viene incontro trascinando con se gli altri tre.

-Ehi John, sei stato davvero veloce. Dov'è la tua inseparabile stampella? – esclama avvicinandosi e dandomi una pacca sulla spalla piuttosto scoordinata ma sentita: anche se so che quella domanda vuole essere solo un modo simpatico per rompere il ghiaccio mi fa sentire improvvisamente a disagio.

Il giorno successivo al mio arrivo quasi tutta la mia classe sapeva dell'attentato di mio padre e delle conseguenze sulla mia salute senza che io l'abbia accennato ad anima viva: forse è stata la bocca larga di Harry oppure qualcuno deve aver visto l'imbarazzante fotografia apparsa sul Sun in cui io e un'altro figlio di uno dei caduti ricevevamo la medaglia al valore dei nostri padri con le lacrime agli occhi.

-Questa sera è meglio che si prenda una pausa- dico ricambiando la stretta con altrettanto calore: noto subito che Greg si è vestito bene questa sera, la sua polo e i suoi jeans sono piuttosto eleganti.

Io indosso lo stesso paio di pantaloni che ho messo il primo giorno di scuola e il maglione grigio a cui avevo assegnato l'arduo ruolo di capo d'abbigliamento serale non regge il confronto con quello di marca dell'altro individuo.

Anche Molly è molto carina con il suo vestito blu in maglia ma, in confronto alle altre ragazze, sembra che stia andando ad un pic- nic sul prato.

-Ciao John tanti auguri di buon compl....- balbetta lei arrossendo fino alla punta dei capelli: la trovo piuttosto carina rispetto a tutti gli altri giorni in cui indossa per lo più orribili maglioni senza una vera e propria forma e scarponi quasi da neve.

Lei non riesce neppure a terminare la frase che il tizio con i capelli completamente inglettati si intromette nella discussione dandole completamente le spalle.

-Tanti auguri amico...Allora offri da bere sta sera?- esclama stringendomi una spalla come se fossimo vecchi amici d'infanzia.

Sarà per i capelli rigidi quanto stuzzicadenti che lo fanno sembrare un emerito coglione oppure per la sua “buona educazione” con cui vuole farsi offrire da bere da un emerito sconosciuto o per il modo in cui tratta la mia amica ma un lieve pizzicore alle nocche della mano destra mi avverte della voglia irrefrenabile di sferzargli un bel cazzotto dritto in pancia.

-Anderson, non sai nemmeno come si chiama..- lo rimprovera Greg con uno sguardo che sembra volerlo incenerire: un altro motivo per cui quel tipo mi sembra un vero idiota è il modo in cui Greg lo tratta, come se comportamenti del genere non fossero una novità.

-Forse io non so come si chiama ma certamente lui mi conosce, non è vero amico?- esclama lui mettendo su una faccia da imbecille e gonfiandosi come una pavone che mostra il suo regale piumaggio alla femmina di pavone.

Il rituale d'accoppiamento ha inizio e la femmina interviene con tono civettuolo:

-Smettila con questi giochetti idioti, solo perché sei nella squadra di atletica della scuola non vuole dire che tu sia famoso. Comunque io sono Sally, molto piacere - lo ammonisce la ragazza che non stringe la mano a Greg: anche lei è piuttosto bella con i capelli ricci quasi crespi e gli occhi di un marrone profondo ma il tono con cui ammonisce quell'Anderson è morbido e scherzoso e la mano appoggiata al petto di lui mi fa capire che quel rimprovero le serve soltanto a mettersi un po' più in mostra.

Anche la ragazza di Lestrade si presenta, ma lo fa in modo frettoloso e indifferente, guardandomi dall'altro in basso in cerca di marchi alla moda ed etichettandomi come sfigato dopo la sua attenta analisi.

La mano di lei scivola subito via dalla mia e non si va nemmeno a posare in quella che Greg le offre attorcigliandosi, invece, in modo quasi spasmodico attorno alla cinghia della borsa.

Sembra che a nessuno di loro importi molto di me, oltre a Greg e a Molly.

Il rombo di un tuono rompe la tensione in cui siamo immersi e, disponendoci in gruppi da due, seguiamo Anderson, la nostra guida, per le vie della città affollata più che mai da turisti e curiosi che si avventurano in cerca di feste e movimento: i giochi olimpici hanno fatto largo a grandi schiere di stranieri che si aggirano per la City con tanto di cartina e traduttore elettronico alla mano. Per tre volte qualcuno ci ferma per chiederci indicazioni su un concerto a Hyde Park o su una festa organizzata in un locale a noi praticamente sconosciuto.

Anche i negozi e le strade sono agghindati a festa con tante di quelle union flag da farmi venire il voltastomaco e, per strada, spacciatori di souvenir si aggirano con cappotti lunghi mostrando merce contraffata come le vere tazzine da tè della regina o i peluche orginali delle mascotte delle Olimpiadi.

Se è possibile Londra sembra più caotica e affollata del solito per noi poveri londinesi che ci viviamo già tutto l'anno a pochi metri da Buckingham Palace e che non facciamo nemmeno più caso alle fantastiche luci che il London Eye proietta sul Tamigi.

Viaggiamo a due a due, in fila indiana, ognuno immerso in discorsi diversi e discordanti: in prima fila c'è la nostra guida che battibecca in modo idiota con Sally per decidere quale sia la giusta strada da prendere per arrivare al Roxy mentre, dietro a loro, Greg tenta in ogni modo di coinvolgere la sua ragazza in una qualche discussione: prova a tirarle su il morale con qualche battuta o avvenimento esilarante oppure prova con i pettegolezzi che di solito attraggono ogni tipo di ragazza.

- Hai presente Mycroft Holmes, quello strambo individuo che si aggira per la scuola con l'ombrello al braccio? È stato eletto presidenti del consiglio studentesco per il terzo anno di fila...-

Le racconta lui speranzoso tentando di ricevere una risposta soddisfacente ma non fa altro alimentare il silenzio rabbioso in cui lei si è volontariamente avvolta.

Molly sussulta in modo vistoso quando sente il cognome Holmes.

-Vuoi dire che quel tizio è il fratello di Sherlock?- domanda improvvisamente troncando a metà la nostra discussione sui progetti per il futuro: mi stava raccontando della sua passione fuori dal comune per ferite mortali e tagli di ogni genere che l'aveva portata a intraprendere la carriera da patologa.

Ironia della sorte io avevo intenzione di diventare un medico dopo il fallimento nella carriera militare così sarebbe stato probabile che se avrei fatto fiasco in quel lavoro, il suo sarebbe andato a gonfie vele e viceversa...

-Sherlock? Vorresti dire lo Strambo! Non conosco nessuno che lo chiami con il suo vero nome, a parte qualche suo occasionale tirapiedi- scherza Sally intromettendosi nel discorso in modo arrogante.

Quel nome provoca una bizzarra reazione che sembra generare una netta spaccatura nel gruppo nel cui mezzo rimane il sottoscritto, ignaro di chi possa essere questo individuo.

Sally, Anderson e Sofia si trovano assolutamente d'accordo sul disprezzarlo con tutto il cuore: per loro non è altro che un riccone psicopatico che se ne sta tutto il tempo rintanato nel laboratorio di chimica della scuola e che ha un' insana passione per tutto ciò che è macabro e contorto.

Greg, invece, dichiara senza esitazioni che Sherlock Holmes, seppur borioso, arrogante e altezzoso diventerà di certo qualcuno di importante anche se non capisce in quale ramo si voglia specializzare.

John scopre che Greg è impegnato all'interno del consiglio scolastico come vice degli studenti e per questo conosce bene entrambi i geniali fratelli Holmes, accomunati l'uno con l'altro per il loro spiazzante acume e per l'odio reciproco.

Raccontò dell' intervento del minore dei fratelli che diventò addirittura fondamentale per scovare i piromani che avevano incendiato l'auto del preside e dell'arresto di un gruppo di ragazzi che avevano violentato una ragazzina dopo il ballo studentesco organizzato dalla scuola avvenuto solamente grazie alle sue grandi doti di investigative.

- è stato sospeso tre volte per essersi fatto di di coca nel bagno dei professori. Per tappare la bocca ai bidelli li ricattava di svelare i loro segreti all'interfono della presidenza. Non è un santo, Greg, è un maniaco che adora essere al centro dell'attenzione- esplode Anderson alla fine.

-Non ho abbiamo mai detto che lo sia, però quello che so per certo è che è stato l'unico a difendermi quando mi stavano portando via quella borsa di studio a causa di un raccomandato che aveva comprato alla scuola una nuova biblioteca- sbotta Molly rivolgendosi ad una scettica Sally.

-Sherlock Holmes ha bisogno di burattini da manovrare per fare quello che vuole. Sei l'unica che ha un duplicato delle chiavi del laboratorio e così, grazie a due moine e due sorrisini, ti ha abbindolata e ti ha costretta a fargliene uno anche per lui- esclama lei sbraitando contro la dolce e indifesa ragazzina più piccola di lei di almeno una spanna.

Sono sbalordito dalla quantità di pettegolezzi o calunnie che possono girare attorno ad un unico individuo: deve essere una persona piuttosto appariscente, questo Sherlock Holmes, eppure non gli viene in mente nessuno che corrisponda alla loro descrizione.

-In giro si dice che nuoti sull'altra sponda, se avete capito cosa intendo. Quindi smettila di sbavargli addosso perché un giorno all'altro lo troverai a farsi in bagno con un suo simile- lo scherza Anderson scatenando le risate degli altri tre: il termine suo simile mi procura un ondata amara di fastidio perché l'intolleranza è una delle poche cose che mi manda in bestia.

Molly è rossa in viso e ha gli occhi lucidi come se le avessero appena spruzzato lo spray al peperoncino mentre Greg le sta accanto in silenzio, troppo diviso fra le due ragazze per intervenire, così prendo un bel respiro e mi preparo a farmi qualche nemico in più in questa città:

-Sempre meglio sull'altra sponda che non nuotare affatto, giusto amico?- butto fuori io quando le risate cominciano a schemare.

Tutti e tre si bloccano di colpo, frastornati dalla reazione del mite John Watson e, troppo stupiti per parlare, lasciano che sia io a concludere l'opera: Anderson sembra offeso e confuso allo stesso tempo perché pensava che quel io fossi uno di quelli sfigatelli silenziosi a cui tutto scivola addosso.

Dalla stessa voce da cui aveva avuto le notizie su Holmes, ha saputo che il nuovo arrivato era stato cacciato dall'accademia militare dopo una scazzottata con altri cadetti.

L'atleta preferisce rimane zitto perché non ha voglia di provare sulla propria pelle l'affidabilità di quelle voci anche se la camminata zoppicante di Watson gli fa credere che, in mezzo a tutte stronzate, possa esserci un fondo di verità.

Ha visto 5 volte Full metal jacket e sa bene che per affrontare l'addestramento militare si devono avere le palle quadrate e il fisico di ferro.

Forse la gamba gli è stata rotta da un caporale particolarmente violento dopo che lui ha disobbedito hai suoi ordini...

Anderson deve aver visto troppe volte quel film e non sospetta nemmeno che John Watson volontariamente obbligato la carriera militare per trasferirsi nella City per andare a studiare medicina in una delle facoltà più importanti di tutta l'Inghilterra.

-Ci siamo persi, non è vero?- domandai invece distogliendo l'attenzione generale e Anderson ,sentendosi preso in causa, risponde in modo piccato limitandosi a non insultarlo per evitare di attirare ulteriore astio contro di sé: - non ci siamo persi, la discoteca è da quella parte!- e senza altri commenti, prende sotto braccio una Sally sconvolta e si allontana dal resto del gruppo che lo segue come fa una schiera di scolari con la propria maestra.

-Grazie- soffia piano Molly quando sono di nuovo soli e schiudendo le labbra in un sorriso imbarazzato, sembra sollevata di avere qualcuno dalla sua parte nella lotta “difendiamo Sherlock Holmes” – se lo conosceresti sapresti anche tu che, infondo, è davvero un bravo ragazzo- continua poi: deve piacerle molto perché ogni volta che si parla di lui gli occhi le si illuminano con la stessa intensità della luce dei lampioni che stanno sopra le loro teste.

Giriamo in tondo per altri cinque minuti finché la pioggia non comincia ticchettare sui nostri visi e la mia gamba si stufa di sentirsi esclusa e ritorna a fare male facendomi rallentare il passo.

Anche il resto della compagnia comincia a rallentare fino a che non si ferma del tutto sotto il tettuccio di una pensilina per autobus, aspettando che la pioggia smetta di bagnarli da capo a piedi: siamo tutti stanchi e infreddoliti eppure Anderson non demorde e rifiuta con rabbia la mia proposta di seguire il navigatore satellitare: sembra che la battuta sulla nuotata non l'abbia per niente digerita.

- Per lo meno chiediamo indicazioni a qualcuno! Potremmo provare in quella pizzeria..- esclama alla fine Greg indicando un piccolo locale dalle vetrine appariscenti su cui sono state appese le foto di uno schermitore, una ragazza con un fucile e un uomo in canoa che affronta le rapide: John riconosce alcuni dei campioni italiani alle olimpiadi.

Sull'insegna, spicca il nome di quello che sembra un piccolo ristoranti italiano un po' decadente...

-Angelo's- dico ad alta voce leggendola.

- la tana dello Strambo! Io non ci entro neanche morta.- borbotta Sally infastidita.

Molly, al mio fianco, viene colpita immediatamente dal nome del ristorante e, guardandomi un secondo come se avessi capito le sue intenzioni, fa qualche passo avanti per scorgere se il suo adorato idolo sia seduto su uno dei tavolini che si intravedono attraverso la vetrina:- lui conosce tutte le strade di Londra, può certamente aiutarci!- mi bisbiglia prima di catapultarsi al di là della strada dritta dritta nel locale.

Aspettiamo per diversi minuti il suo ritorno e in quegli attimi riesco a convincere Anderson che non era una questione d'onore e che abbiamo veramente bisogno del navigatore per arrivare in discoteca prima che la serata finisca.

In pochi secondi, individuo il percorso che va dal ristorante fino al Roxy e scopriamo che ci siamo allontanati parecchio dalla strada principale ma che, attraversando una vicolo incastrato tra due alti edifici a pochi metri da loro, saremmo ritornati sulla retta via.

Passano altri dieci minuti prima che lo schieramento “anti- Holmes” perda la pazienza e cominci a meditare di lasciare Molly sola con lo “strambo” per andarsene al Roxy: io e Greg opponiamo una forte resistenza ma dopo altri cinque minuti le certezze del mio compare iniziano a vacillare.

-Ma dove diavolo si è cacciata?- sbotta alla fine in modo impaziente.

-Lo sapevo, lo strambo la sta vivisezionando in cucina...- piagnucola Sofia con tono infantile.

Gli animi di tutti si stanno facendo impazienti così decido di rimanere io con lei mentre loro cominciano ad avviarsi verso il Roxy: prendendo la scusa di non lasciarla sola in un posto che non conosce mi allontano sia dall'arroganza di Sally che dalla sfacciataggine di Anderson e lascio Greg nelle “amorevoli” mani della sua ragazza promettendogli di mandargli un messaggio appena fossimo arrivati alla discoteca.

Li guardo per qualche secondo allontanarsi, infilandosi a uno a uno nel vicolo, poi prendo un respiro inalando l'aria salmastra della città e mi tuffo all'interno del locale con la speranza di non trovare Molly e quel tizio intenti a consumare una cena a lume di candela.

Un tepore invitante e un profumino delizioso sono le prime cose ad accogliermi nel ristorante: l'esterno non rende minimamente giustizia a quel posto, l'aria tranquilla e accogliente in cui si è immersi appena si varca la soglia mi fa venire un estrema voglia di consumare una seconda cena.

I tavoli e le sedie sono disposti in modo ordinato per tutto il locale, tovaglie e tovaglioli sono candidi e puliti, posate e bicchieri brillano alla luce fioca del suggestivo lampadario posto al centro della sala.

Ciò che rende ancora più bello quel posto sono i bei paesaggi che sono stati appesi alle pareti su ognuno dei quali viene precisato la parte dell'Italia da cui provengono e il tavolo a cui sedersi se si vogliono gustare le prelibatezze del posto.

Stranamente quel luogo non mi sembra pacchiano come dall'esterno: bandiere e striscioni sono stati confinati nell'area più lontana dai tavoli e danno tutta l'aria di essere provvisori.

John sente una sensazione di profonda amarezza nel vederlo pieno solo per metà, meriterebbe un pienone ma evidentemente la zona isolata in cui è confinato non gli fa una grande pubblicità, neanche agli occhi dei patrioti italiani.

-Benvenuto ragazzo! In quale regione dell'Italia desideri cenare?- esclama un uomo dalla barba incolta cimentandosi in un inglese perfetto e senza pecche.

John, in un primo momento, non ricorda nemmeno perché é entrato lì dentro frastornato com'è dal vociare della televisione che trasmette la gara di salto in alto tutto in italiano, poi lo sguardo incuriosito e il dito della mano del cameriere che indica il cartello dei vari menù regionali lo sveglia definitivamente.

Si guarda intorno alla ricerca di Molly e ne rimane spiazzato quando non la trova: per un momento gli sembra di vederla seduti ad un tavolo infondo alla sala intenti ad imboccare un biondino poi mi accorgo che sono solo una coppia di giovani che si sta godendo una serata romantica.

-Non desidero cenare, sto solo cercando una ragazza...- balbetto confuso dalle occhiate incuriosite della poca gente che è seduta lì, l'uomo gli viene incontro con aria stupita e un sorriso malizioso spunta dalla barba come farebbe un fungo da un prato.

-Bizzarro. Di solito qui si viene a mangiare con una ragazza non a rimorchiarne una... - esclama con tono impertinente.

-No! Voglio dire che sto cercando una ragazza che è entrata qualche minuto fa per incontrare un certo Sherlock Holmes.- dico ricordandomi della presenza anche dell'altro ragazzo.

Se Sally ha definito quel posto “la tana dello Strambo” di certo qualcuno gli avrebbero saputo indicare il tavolo in cui erano seduti, magari in una sala secondaria e più appartata.

-Sherlock con una ragazza! Ne ho sentite di cose bizzarre a questo mondo ma questa le batte proprio tutte. Meglio chiedere a Mike, lui sa sempre tutto su quello che succede in questo posto...- mi spiega prima di allontanarsi e tuffarsi nelle cucine alla ricerca di questo tipo.

Mentre aspetto, controllo se Molly mi ha mandato un messaggio per avvisarmi che sarebbe tornata a casa con quel ragazzo ma il telefono mi informa solo che sono già le dieci e mezza ed che è da più di un ora che sono fuori casa.

-O mio dio! John Watson, sei proprio tu!- sbotta improvvisamente una voce seguita dal suono di un piatto che si frantuma contro il suolo.

Automaticamente alzo lo sguardo dallo schermo per posarlo sul viso grassoccio ragazzo con un grembiule da cucina stretto intorno ai fianchi burrosi.

Mi fissa come se fossi un' apparizione ignorando volutamente il sugo rossastro che si attacca sulle sue scarpe lucide e i cocci di porcellana infranti ovunque.

Per ovviare al disastro mi avvicino e comincio a raccoglierne qualcuno sbirciando ogni tanto il viso del cameriere che, con uno straccio bagnato, sta ripulendo il pavimento rendendolo di nuovo lucido.

Il mento squadrato e la forma tonda degli occhi mi sono familiari ma non riesco davvero a capire chi possa essere.

-Sono Mike, Mike Stramford! Accademia militare di Nevers, eravamo nello stesso dormitorio!- esclama lui dopo aver terminato il lavoro e improvvisamente mi ricordo, lo riconosco solo sotto lo strato di grasso che gli si è attaccato al corpo.

Eravamo in buoni rapporti all'accademia però non potevamo certamente definirci amici: la colpa era perlopiù mia perché preferivo starmene da solo per i primi anni, ero un ragazzo piuttosto riservato che faceva un enorme fatica a fare amicizia e per il fatto che Mike fosse il più gettonato, mi faceva desistere a tenere un discorso serio con lui.

Ci facevamo scherzi e favori tra di noi, come facevamo con tutti gli altri compagni però io ero sempre quello che preferiva tornare a casa presto il sabato sera e quando cominciai a frequentare Sarah mi estraniai completamente preferendo una serata con la mia ragazza a feste folli fra camerati.

Lui mi prese in disparte e, offrendomi un pezzo di pizza ad uno dei tavolini con il centrotavola a forma di vulcano, cominciò a raccontarmi tutta la sua vita dopo l'accademia che aveva volontariamente abbandonato dopo una strigliata particolarmente violenta da parte di uno dei maggiori.

Faceva il cameriere in quel posto solo per riuscire a racimolare i soldi necessari per pagarsi la retta della stessa facoltà di medicina che anche io desideravo frequentare dopo l'ultimo anno di liceo.

Dopo avermi fatto infinite condoglianze per la morte di mio padre che aveva saputo attraverso i giornali, mi chiese che cosa ci facessi in quel locale e, solo a quel punto, gli domandai di Sherlock Holmes e Molly.

-L'ho accompagnata io al primo piano dove teniamo la sala giochi, è là che di solito bazzica Sherlock. É un grande amico del gestore e per questo gli lascia usare la sua sala giochi senza fargli pagare un centesimo. É un po' come se fosse il suo “ufficio personale” per la sua attività di investigazione privata. Non chiedermi di cosa si tratti perché non ho una minima idea, è la signora Hudson, la moglie del proprietario, ad avere avuto questa brillante idea. Toglimi una curiosità, quella è veramente la sua ragazza?- mi domanda la seconda persona incredula di quella loro eventuale storia d'amore.

Deve essere particolarmente brutto o particolarmente fuori di zucca questo tizio per creare tutta questa incredulità.

-Sinceramente non so nemmeno chi sia. Sono solo venuto a prendere Molly perché devo accompagnarla a casa- mento per fargli capire che ho fretta e che vorrei mi portasse immediatamente da lei.

-Certamente, ora ti ci accompagno- e così dicendo si alza e mi segno di seguirlo attraverso una tendina di perline bianche, rosse e verdi posta vicino alla porta a vetri che conduce alla cucina.

Facciamo due rampe di scale prima che la luce innaturale di una lampada al neon cominci ad illuminare gli ultimi gradini.

Sento il chiacchiericcio allegro di Molly provenire dalla porta aperta e mi sento così sollevato dalla mia responsabilità di “tutore”.

Balzo quasi giù da tre gradini quando il frastuono di uno sparo sopraggiunge alle mie orecchie e, con uno scatto repentino, scavalco gli ultimi arrivando direttamente in una sala pressoché uguale a quella al piano di sotto se non per un qualche macchinetta del gioco d'azzardo, un biliardo ed un enorme tenda rossa che copre solo per metà l'entrata ad una specie di poligono di tiro improvvisato con tanto di fucili finti che sparano proiettili rotondi di plastica leggera e sagome scure di cartone.

In alto un segna punti elettronico segnala il punteggio a seconda della vicinanza con il cuore della sagoma: il punteggio stava crescendo di dieci in dieci con una velocità allarmante.

Il tiratore se ne stava completamente immobile in una posa statica ed elegante, con il mento perfettamente appoggiato alla canna del fucile e i capelli lunghi e ricciuti che ondeggiavano all'indietro per l'effetto del contraccolpo.

Se prima il mio maglione mi era sembrato inadatto alla situazione ora potevo benissimo andarlo a donare ad un associazione benefica per i bambini del terzo mondo: indossava un blazer nero che abbracciava sinuosamente ogni curva del suo corpo e un paio di eleganti pantaloni neri coordinati mentre la camicia che spuntava dalla giacca è di un colore che si sposa perfettamente con la carnagione candida.

-John, sei tu! Mi dispiace così tanto di avervi fatto aspettare ma mi sono persa in chicchere con Sherlock dopo che mi ha indicato la strada per arrivare al Roxy- esclama Molly comparendo da dietro alla tenda rossa con tanto di occhialoni per proteggersi il viso.

Aveva le guance arrossate e il respiro affannato come se avesse appena corso la e mi domandai se si fossero baciati dietro quella tenda rossa.

Mi sembrò che lui non fosse poi così interessato a Molly o a qualsiasi oggetto della sala che non fosse il fucile che stava imbracciando: non si accorge nemmeno dell'assenza della ragazza dentro il poligono e continuava imperterrito a collezionare centri perfetti.

In quel momento, anche Mike ci raggiunge e finalmente Sherlock Holmes si accorge della piccola “folla” che lo sta osservando.

Come me ne occorgo?

Sherlock non fa altro che lanciarci un occhiata d'acciaio da sopra gli occhiali protettivi senza proferire parola e mantenendo costante il suo ritmo di sparo.

- Hai ancora i riflessi pronti, John- mi dice Mike sorridendo della mia reazione, mi sono dimenticato che era lui che avrebbe dovuto accompagnarmi e non il contrario.

 

Restiamo qualche minuti in religioso silenzio aspettando che termini la sua esibizione e quando totalizza un punteggio quasi perfetto rovinato da un unico nove finale, posa il fucile a terra e si massaggia il collo per qualche secondo.

- Smettetela di guardarmi come degli idioti e avvicinatevi, non ho molto tempo da perdere- dice lui con voce profonda e vagamente melodica che mi ricorda la canzone che stavo ascoltando allo stereo prima dell'arrivo di Greg

-Vieni John, te lo presento!- esclama Molly strattonandomi per un braccio ma rimango ben piantato dove sono perché mi sento quasi a disagio dopo tutte quelle voci che ha sentito aggirarsi: non mi frega niente se è un drogato o un ricattatore ma è il fatto che sia indubbiamente un genio a farmi desistere.

-Non mi sembra il caso- esclamo asciutto mentre lui si volta in nostra direzione e mi squadra da capo a piedi come se mi stesse facendo una radiografia poi si rigira e attraversa la sala fino ad arrivare ad un tavolino ingombro di libri e fotografie che rappresentano le parti anatomiche di un essere umano.

-Ti assicuro che presentarsi con lui è un esperienza davvero indimenticabile- mi sussurra Mike all'orecchio e cosi lascio che la curiosità prenda il sopravvento...

 

Angolo autore: Secondo capitolo di questa fanfic! Grazie mille per le recensione e a tutte le persone che mi seguono. Il prossimo sarà il capitolo conclusivo della storia che spero piacerà a tutti. Non è molto originale come fanfic però ho sempre desiderato cimentarmi in una in cui Sherlock e John affrontano le tantissime difficoltà di essere ragazzi

 

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Capitolo 3
*** Patto di ferro e occhi d'acciaio ***


Avviso: ho deciso di cambiare la trama della storia e per questo ho dovuto un ulteriore capitolo che però, vi prometto, sarà l'ultimo sta il fatto che volevo aggiugere altri personaggi come Irene Adler, Moriarty e Moran che la precendente fanfic non prevedeva.... per ulteriore informazioni recensite e fate domande!

 

Patto di ferro e occhi d'acciaio

 

Dopo lo scatto repentino, l'adrenalina che avevo in corpo è ormai esaurita e la gamba torna a infastidirmi tanto da obbligarmi ad appoggiarmi con un braccio ad una di quelle macchinette tipiche dei casinò, con tanto di manovella e schermo su cui far apparire in fila tre limoni, tre ciliege o tre diamanti.

Ho ancora qualche euro nel portafoglio e l'istinto mi sussurra all'orecchio che probabilmente avrei più possibilità di aver un tris di diamanti con quell'aggeggio mangiasoldi che essere preso sul serio da Sherlock Holmes.

Molly è tornata da lui dopo un suo silenzioso richiamo, come un cagnolino fedele a cui vengono concessi solo pochi metri di distanza per allontanarsi.

Lei lo guarda di sottecchi con sguardi carichi di aspettative e dubbi che sembrano chiedersi se lui la stia veramente a sentire e se il suo parere valga davvero qualcosa: si è dimenticata per l'ennesima volta di me ma non gliene faccio una colpa.

-Mike, dove diavolo ti sei cacciato? Ci sono dei clienti qui!- urla una donna dal fondo delle scale e il ragazzo al mio fianco sussulta vistosamente dandosi poi una violenta manata sulla fronte in un modo tale che solo in una sitcom di bassa lega produrrebbe l'effetto desiderato.

-Mi dispiace John, il capo mi sta chiamando. Passa a farmi un saluto quando esci da qui.- esclama lui stringendomi velocemente la mano e scomparendo al di là della porta aperta accompagnato dallo scalpitio frettoloso dei passi pesanti.

Solo in quel momento mi accorgo della scritta dorata che è stata affissa sulla stessa porta che avevo spalancato di colpo qualche attimo prima e che non avevo fatto a tempo a notare: é grossa e piuttosto vistosa ma i caratteri sono sottili ed eleganti e la rendono quasi credibile e professionale, degna di uno studio legale di prim'ordine.

Sherlock Holmes: Consulente investigativo.

Sconcertato mi domando che diavolo sia un consulente investigativo e l'unica risposta plausibile che mi so dare è che sia una sorta di investigatore privato.

-L'investigatore privato lavora solo per i propri clienti, l'investigatore pubblico collabora con la polizia. Io sono la perfetta via di mezzo, l'unico esistente a questo mondo: è logico che tu non ne abbia mai sentito parlare- chiarisce il mio dubbio Sherlock in persona, che sembra quasi ferito nell'orgoglio per quel paragone che ho fatto esclusivamente nella mia testa.

-Tu, come...?- esclamo esterrefatto ma lui sembra non avere voglia di darmi tempo per terminare la domanda e la tronca con un brusco gesto della mano – Stavi guardando insistentemente la targa e, ordinariamente, ogni normodotato che è passato per quella porta mi ha posto questo quesito- spiega lui in fretta e furia, dedicando la sua completa attenzione a quello che sembra una foto di un cadavere con il cranio spaccato su una mattonella.

-Normodotato è un termine gentile per definirmi un idiota?- mi scappa dalle labbra con tono ironico: non sono infastidito ma piuttosto mi sento impressionato da un tale spirito di osservazione.

Lui posa la fotografia e torna ad analizzarmi, aspettandosi forse che me ne stessi zitto e ingoiassi la pillola amara – Sveglio il tuo amico, Molly- esclama lui con un cenno del capo in mia direzione, ma non sono sicuro che sia serio – Non c'è nessun assassino, questo tizio si è ammazzato per sbaglio. Voleva solo spillare qualche soldo all'assicurazione: ha ancora delle vecchie cicatrici sulla tempia, che si è procurato durante le sue tante false cadute- borbotta infine rivolto più a sé, poi estrae il cellulare e manda un massaggio a chissà-chi concentrandosi completamente sulla fotografia lasciata sulla sua “scrivania” ingombra di documenti, fotografie e provette dal contenuto ignoto.

Il ticchettio frenetico delle sue dita mi fa venire un vago senso di ansia: sembra persino che le sue dita stiano facendo uno sforzo immane per andare alla stessa velocità dei suoi pensieri.

-John!- esclama Molly sorpresa, svegliandomi dall'ipnosi in cui sono piombato seguendo l'alternarsi ritmico dei ticchetti delle sue unghie sulla tastiera del cellulare.

Lei mi sta guardando come se fossi appena passato attraverso una delle pareti della sala giochi ed è quasi comico il modo in cui mi nota solo attraverso le parole di lui.

A giudicare dai suoi sguardi sognanti verso la sua bocca serrata in un' espressione rigida sembra pendergli dalle labbra: sia in modo fisico che in modo letterale.

Si allontana di qualche passo da Sherlock, per non farsi sentire e con uno sguardo di scuse mi domanda – l'ho fatto di nuovo, non è vero?- così capisco che le amnesie provocate dall'eccessiva esposizione a Sherlock Holmes non sono una novità per lei.

Sono stato fortunato a non averlo incrociato sull'autobus, altrimenti sarei stato costretto a svegliare Molly dal suo sogno romantico ad ogni fermata.

A dire la verità, ora che lo guardo da vicino, mi ricordo di averlo già incrociato, o meglio, solo intravisto a scuola durante la sua ora di educazione fisica.

Attraverso le finestre del laboratorio di biologia al piano terreno si ha un ampia visuale dell'intero cortile che spesso viene usato per le esercitazioni alle annuali gare di atletica leggera della scuola, a cui tutti gli studenti sono obbligati a partecipare, tutti tranne lui ovviamente.

Se ne stava seduto tutto solo, in compagnia solo di una sigaretta pendente fra le labbra e le cuffie di un lettore mp3 cacciate nelle orecchie, mentre i suoi compagni correvano in tondo fra le macchine del parcheggio passandosi l'un con l'altro un testimone d'acciaio.

Non era stata la sua solitudine ad impressionarmi fino a farmelo ricordare dopo due giorni di distanza quanto un impercettibile ma fluido movimento della mano destra, un armonioso dondolare del polso che sembrava seguire la melodia che gli veniva pompata nelle orecchie.

Sembrava guardare lontano, oltre i suoi compagni o le mura dello stesso istituto, ed ogni tanto interrompeva il movimento per buttare fuori una fievole nuvola di fumo grigiastro che galleggiava in aria fino a dissiparsi completamente nella brezza mattutina.

Avevo seguito quel dondolare ipnotico finché la tanto agognata campanella aveva rotto la fantasiosa melodia che mi ero ricreato nella testa e Sherlock era balzato in piedi diretto nello spogliatoio maschile.

-Non preoccuparti, capitava anche a me con la mia ex- rincuoro Molly mentre le sue guance si tramutano in due peperoni maturi.

-Io e Sherlock non...- balbetta lei ma veniamo interrotti per l'ennesima volta dal genio che, con il naso incollato su quello che mi sembra un dossier ufficiale di New Scotland Yard, con tanto di stemma apparentemente originale, termina il suo messaggio e domanda a Molly qualche spicciolo per ricominciare una nuova partita.

Presa alla sprovvista, lei comincia a frugare freneticamente in una grossa borsa grigia che nemmeno avevo notato.

Quando trova il portamonete in tutto quel caos e lo apre con uno scatto, sbianca completamente, mostrandomi il contenuto che comprende solo qualche centesimo, un biglietto di autobus e uno scontrino.

Sherlock, dall'alto dei suoi un metro e ottanta, ci fissa con la stessa inespressività di una statua di marmo poi si volta sbuffando e torna a scrivere qualcosa al telefono come per farci capire che quelli non erano affari suoi.

L' espressione di Molly, in quel momento, è la stessa del mendicante che alla stazione degli autobus mostra a tutti un cartello di cartone su cui sono scritti in nomi dei tre figli che deve sfamare.

La sua delusione mi fa una gran pena e, posandole una mano sulla spalla, apro il mio portafoglio e le passo silenziosamente i pochi euro rimasti, come ogni tanto mi capita di fare con quel povero diavolo della stazione: non saranno le mie poche monete a fare la differenza ma almeno so di aver fatto tutto il possibile per accontentarla.

-ma...- esclama esterrefatta osservandoli come se fosse il tesoro perduto di Agra però quando mi vede posare l'indice della mano destra sulla bocca e contemporaneamente farle l'occhiolino, la sua delusione si tramuta in gratitudine.

Non mi sono nemmeno accorto del ritorno di Sherlock eppure, tutto ad un tratto, sento il suo sguardo penetrante addosso, che saetta dalle nostre facce fino ai nostri portafogli con fare sospetto.

Ormai che lo scambio è stato fatto, non può capire cosa è successo, giusto?

Serro il mio portafoglio così da fargli distogliere lo sguardo e imploro mentalmente Molly di essere cauta e non inventarsi scuse campate per aria.

-Eccoteli Sherlock...- esclama semplicemente lei porgendogli tutti i miei tre euro ma lui, invece di inserirne uno nella macchina per la prima partita, li scruta attentamente posati sulla mano aperta e, scuotendola, li fa tintinnare l'uno contro l'altro finché non stira le labbra in un sorrisetto consapevole.

I suoi gesti mi ricordano tanto quelli di un chiromante delle fiere di paese che precede le sue predizioni con gesti oscuri e inspiegabili.

Chiude la mano intorno alle monete poi alza lo sguardo verso di me senza smettere di ridere a qualcosa che solo lui trova divertente: poi si mette una mano sulla fronte esibendosi in un perfetto saluto militare – grazie soldato!- urla con tono duro e inflessibile come se fosse veramente davanti a un maggiore, il suo volto serio spaccato soltanto dalle labbra piegate all'insù.

La mia espressione deve essere proprio da perfetto idiota perché riesce persino a tramutare il suo sorriso in una risata appena accennata: lo diverte vedermi completamente schiacciato dalla sua logica.

Mi impongo di rimanere calmo e, tossicchiando a disagio, provo a precisare che quelli non sono i miei soldi ma quelli di una Molly che ha praticamente smesso di respirare da molti secondi e che si limita a scuotere la testa come uno di quei pupazzi lasciati in macchina a ciondolare la testa ad ogni curva.

-Il suo portamonete è vuoto, gliel'ho visto scuotere qualche attimo fa senza produrre alcun rumore eppure ecco che appaiono misteriosamente queste monete.- mi dice mentre con un elegante gesto della mano le fa incastrare fra un dito e l'altro come un illusionista che mostra le monete prima di fare il suo gioco- Deve aver speso tutto per comprarsi l'abbonamento mensile dell'autobus che le è rimasto nel portamonete da questa mattina insieme allo scontrino. Tu ti sei appena trasferito, quindi lo devi aver già comprato qualche giorno fa- spiega infine con tono sicuro.

-Gli hai parlato di me?- domando a Molly ma lui prende di nuovo la parola al suo posto – Non ne ha avuto il tempo. Io l'ho semplicemente dedotto: la tua camminata è ancora un po' rigida e il taglio di capelli corto e piuttosto regolare mi inducono a pensare che hai frequentato un accademia militare. No, non sei mai stato in guerra, non hai i tipici segni d'abbronzatura sui polsi e sul collo. Inoltre ho sentito Mike elogiarti per i tuoi buoni riflessi, frase tipica per uno orgoglioso del proprio passato militare come Stemford che tiene appeso al collo delle dog tags false comprate dal cinese qui all'angolo. Zoppichi ma il tuo dolore è psicosomatico visto che sei entrato con uno scatto degno di un velocista e ora ti appoggi alla macchinetta per reggerti in piedi. Una semplice occhiata al tuo portafoglio poi ha chiarito ogni mio dubbio: la foto di quell'uomo in divisa e il portafoglio stesso piuttosto logoro e rattoppato mi hanno fatto capire che hai perso recentemente qualcuno di caro, tuo padre probabilmente, e che non ancora riesci a disfarti delle sue cose. Hai anche la foto di una ragazza nel portafoglio ma è spiegazzata e seminascosta dalla foto di quella che sembra tua madre, visto che avete la stessa forma di naso e occhi. L'altra foto è troppo maltenuta per essere quella della tua ragazza quindi deve essere tua sorella con cui non sei in buoni rapporti. C'è ancora un frammento di quello che sembra una foto, probabilmente quella della tua ex ragazza che hai staccato dopo la tua rottura. Inoltre, se non erro, nella parte per le banconote, dovrebbe esserci una di quei dépliant che vengono distribuiti in presidenza ad ogni nuovo arrivo su cui é stampata la piantina della scuola, ideale per capire come orientarsi per i primi giorni. Devo proprio continuare? - domanda in tono di scherno alla fine di un lunghissimo discorso pronunciato in meno di due minuti.

La mia vita riassunta in un portafoglio mi fa buttare giù un boccone amaro di saliva e mi fa sentire un emerito stupido per aver cercato di imbrogliarlo.

Forse sono le sue doti da tiratore, ma ha fatto centro: un dieci perfetto degno di un olimpionico.

-Incredibile.. è incredibile, sei un genio! In confronto il tipo di Mentalist è un babbeo!- esclamo meravigliato mentre il suo sorrisetto sarcastico si appiattisce e le sue sopracciglia sembrano quasi toccare qualche riccio ribelle che gli adorna la fronte.

Non è stupore quello che gli si legge sul volto ma gli va molto vicino – Strano - bisbiglia mentre anche la ragazza a suo fianco annuisce approvando le sue parole.

Molly si volta verso di me e mi squadra come se fossi stato io a raccontare la vita di quello che mi sta davanti solo grazie ad un abbonamento del pullman e a qualche foto stropicciata.

Sarei io quello strano?

Perché è normale raccontare la vita di un emerito sconosciuto senza essersi nemmeno presentato.

-C' è ancora una cosa che non sei riuscito a dedurre... il mio nome- dico stando al suo strambo gioco e lui sembra riattivarsi per l'ennesima volta, come se gli avessi appena inserito le pile della schiena o gli avessi tirato una cordicella che gli parte da dietro la schiena – Ovviamente il tuo nome è John, come hanno ripetuto più volte Molly e Stramford, il tuo cognome è lo stesso che tuo padre ha sulla targhetta della foto, Watson. Risultato, il tuo nome è John Watson- replica in modo impertinente come se si fosse appena difeso da un ingiuria.

-Invece tu ti chiami Sherlock Holmes, è questo è tutto fuorché un mistero. Sei sulla bocca di tutti a scuola- gli rivelo cercando di imitare la sua espressione di prima ma ottenendo solo una misera copia.

-E lo sono in bene o in male?- domanda senza staccarmi gli occhi di dosso e continuando a scuotere la mano in cui ci sono le monete in modo ritmato: sembra incuriosito dalla mia reazione perché non lo mando al diavolo ma nemmeno gli sto leccando i piedi.

In realtà mi trattengo dal rilevare tutta la mia ammirazione in un sol colpo come ho fatto prima.

-Lo sei in modo sbagliato- replico provando ad essere imparziale - Credo che tu non abbia molti ammiratori a parte Molly e Gregory- preciso per fargli cambiare discorso ma la sua espressione non cambia.

Sembra intenzionato a capire quale sia la mia opinione su di lui così da catalogarmi definitivamente come alleato o rivale.

-E tu? Stai dalla loro parte?- mi chiede incrociando le braccia: mi sembra quasi a disagio come se fosse la prima volta che non riesce a leggere qualcuno.

-Non sto dalla parte di nessuno. Mi limito solamente a giudicare.- gli dico esaltato dal vantaggio momentaneo che ho su di lui.

-E che impressione ti ho fatto fin ora?- insiste cocciutamente e vorrei quasi mettermi a ridere ma temo una sua eventuale reazione negativa.

Non è poi così pazzo come me lo sono immaginato: è indubbiamente intelligente e intuitivo, ma è anche molto borioso e vanitoso in un modo che non mi infastidisce.

-Sei indubbiamente molto arrogante, ma chi non lo sarebbe con un cervello come il tuo- traduco per evitare di montargli la testa.

Alla parola arrogante, Molly quasi salta sul posto per lo spavento: non mi sono accorto che stesse seguendo il nostro dialogo come farebbe un appassionato di tennis al torneo di Wimbledon.

-Credevo di essere un genio! Meglio del tipo di Mente... menta qualcosa- mi corregge andando a guardare un punto a suo vantaggio.

Sbuffo, maledendo la sua maledetta mania di ritorcere contro le frasi.

-Mentalist- lo aiuto alla fine e lui mi fa uno sguardo come per sbeffeggiare il mio goffo tentativo di cambiare discorso.

Mi arrampico con poca disinvoltura su uno specchio fatto dalla sua pura e inflessibile logica.

Colto alla sprovvista, mi guardo intorno, disperato, in cerca di una risposta pronta e la trovo a pochi metri da noi, nella canna di un fucile a pallini.

-Anche se devo ammettere che sei davvero bravo nelle deduzione, con il tiro al bersaglio sei piuttosto mediocre- provo concentrandomi sui fucili in plastica alle spalle di Sherlock.

La mia mira è sempre stata una delle doti nascosti a cui ho fatto ricorso nei momenti più disperati: per esempio al primo appuntamento con Sarah al lunapark avevo vinto un peluche di un orso per lei e così era scattato il nostro primo bacio oppure era facile sfidare gli altri camerati a freccette per avere una personale rivincita su di loro.

-Mediocre? Ho quasi avuto il punteggio massimo- esclama Sherlock infastidito: sembra una primadonna quando ci si mette d'impegno.

-Quasi.- dico con un tono canzonatorio che sembra non apprezzare molto: -Vuoi farmi capire che tu sapresti fare di meglio?- mi dice imitandomi con una punta di cattiveria in più.

-Sono stato due anni in un accademia militare dove facevamo colazione con pane e pallottole, penso di sapermela cavare egregiamente.- dico con decisione e una punta di strafottenza.

Ok, forse sto esagerando, non è che passassimo le giornate esclusivamente a sparare: studiavamo per molte ore, a dirla tutta, e ci allenavamo con regolarità per mantenere il fisico in perfetta forma, inoltre ci venivano anche concessi momenti di svago che ognuno impegnava come poteva.

Solo il giorno prima di un esame, avevo passato l'intera giornata al poligono, in compagnia del tipico puzzo di zolfo e sudore che impregnava le pareti e il caldo asfissiante di quel luogo con finestre praticamente sempre sprangate.

Alla fine della giornata, ero tornato al dormitorio solo con l'impellente voglia di farmi una doccia fredda e di schiacciare un lungo pisolino.

-Allora dimostramelo- esclama prendendo i due fucili di plastica al di là della tenda rossa -accetta la mia sfida- e me ne porge uno dei due.

Lo guardo negli occhi per qualche secondo cercando di capire che gioco stia giocando ma non ne traggo alcuna conclusione concreta.

Penso solo che mi sono fatto un'idea sbagliata sui suoi occhi: ora che li guardo con attenzione non sono grigi bensì di un azzurro con sfumature quasi bianche, simili a quelle del ghiaccio, e capisco che la forma tagliente del suo sguardo e la sua reputazione mi hanno indotto a pensare che potevano quasi essere fatti d'acciaio.

-Cosa c'è sotto?- mi scappa per l'ennesima volta: è più forte di me, adoro mettermi in discussione con questo tizio – nulla, solo una semplice sfida. Non so se saresti tanto coraggioso da scommetterci sopra, così mi sono limitato a non porre altre condizione- mi dice con il braccio che stringe uno dei fucili ancora testo in mia direzione.

Fremo per l'eccitazione a tal punto che riesco a comandare la mia gamba a piacimento: sto stabilmente in piedi su entrambe le gambe, ritto a tal punto da riuscire a fissarlo negli occhi senza alzare eccessivamente lo sguardo.

Ho capito cosa sta cercando di fare, mi vuole incantare con i suoi sotterfugi e i riferimenti alla mio codardia.

Io fingo di cascarci in pieno perché sono oltremodo incuriosito dalla sua stramba offerta.

- Non ho nulla che ti potrebbe interessare- sintetizzo senza seguire il malefico filo che ha intessuto per farmi cascare nella sua ragnatela, preferisco piombarci all'interno volontariamente di testa – e non credo che neanche tu abbia qualcosa che mi interessi- aggiungo ma il suo sguardo infuocato mi dice che sto sbagliando, su tutta la linea.

Con un gesto elegante, prende dalla tasca dei pantaloni qualcosa che tintinna e me lo lancia fra le mani sicuro della mia presa: è un mazzo di chiavi piuttosto voluminoso tra cui spicca un cartellino con una scritta sbieca ma ordinata.

Baker street, 221.

-Sono le chiavi di questo posto. Me le ha prestate la signora Hudson per questa sera. Hanno un valore simbolico, lei mi ha promesso che mi cederà in affitto l'appartamento al piano superiore appena avrò terminato gli studi. Se vinci tu, lascerò che tu lo prenda in affitto a posto mio ad un prezzo modico visto il rapporto di amicizia che ho con la proprietaria. Se vuoi diventare un dottore, ti farà comodo avere un posto dove dormire praticamente a due soli isolati dall'università.- dice mentre le guardo come se fossero le chiavi della mia libertà.

Non so come faccia questo tizio a sapere in che università andrò tra un anno, sta il fatto che ho sognato così tanto il momento in cui avrei avuto un posto tutto mio dove dormire e studiare in santa pace senza l'ansia di mia madre e le follie di Harry, che ora la sua proposta mi spaventa un poco.

Avevo già deciso da tempo di cercarmi un appartamento per mio conto dopo aver finito il liceo e questa proposta risolverebbe tanti di quei dubbi che per un momento mi lascio prendere dall'euforia e accetto le sue condizioni.

Io, in cambio, decido di offrirgli il mio telefono nuovo che è forse l'unica cosa di valore che possiedo in questo momento: Sherlock lo squadra con aria interessata, come quella di un cane da caccia che osserva la preda che è stata appena fredda dal colpo d'arma da fuoco di un cacciatore.

Non so cosa mi stia prendendo, di solito non sono così avventato da scommettere il regalo di compleanno che mia madre ha faticato così tanto a comprarmi e nemmeno così sciocco da accettare una clausola d'affitto da un emerito sconosciuto, eppure la prospettiva di mettere alla prova le miei abilità mi fanno sentire più vivo che mai.

Adesso chi è il pazzo: Sherlock Holmes che sta per guadagnarsi un cellulare di ultima generazione o John Watson che casca in pieno nell'assurdo piano dell'altro solo per sentirsi sotto pressione?

Stabilite le condizione, entrambi piombiamo in un silenzio rigoroso e, sempre fissandoci negli occhi, ci stringiamo le mani un patto di ferro.

Entrambi superiamo la tenda rossa del poligono poi inforchiamo gli occhialini protettivi e posiamo le nostre offerte mettendole in mostra al nostro rispettivo avversario.

Molly rimane fuori dalla tenda, scrutando entrambi dallo spazio fra la parete e la tenda che è rimasto aperto per far filtrare quel tanto di luce ed aria che serve ad entrambi: non osa nemmeno emettere un fiato e ci guarda con aria atterrita.

Appena inseriamo le due monete nella fessura e schiacciamo il pulsante rosso dell'avvio, il fucile si ricarica di ben venti palline di plastica.

Con la coda nell'occhio vedo Sherlock posizionarsi nella stessa posa statica in cui lo avevo visto per la prima volta, con i gomiti forse un po' più stretti del necessario, così anche io mi metto nella posizione che ho sempre assunto durante le esercitazione all'accademia, meno rigida della sua.

Lo guardo per qualche secondo e mi dico che, per il suo modo di impugnarlo, mi ricorda un violinista di una delle orchestre che vedevo alla televisione la sera di Natale.

-Buona fortuna e che vinca il migliore- gli dico senza nemmeno guardarlo, sono concentrato su come posare esattamente il mento sulla canna – non ne ho bisogno, so già chi vincerà- replica con tono saccente e mi viene quasi naturale inarcare le labbra all'insù e portare gli occhi al cielo.

Immagino me stesso in una dimensione alternativa, schiacciato fra le pareti del Roxy con i corpi esultanti e sudati dei miei coetanei a togliermi il respiro e la musica spacca timpani a farmi compagnia: preferisco di gran lunga questa opzione.
Non capisco come accada, ma il primo colpo parte in contemporanea con quello di Sherlock ed entrambi totalizziamo un dieci perfetto.

Sorrido mentre guardo la sua espressione esaltata sul volto che si trasforma in infastidita dopo un occhiata al mio contatore.

Lui non perde altro tempo e continua per la sua strada con un ritmo che sembra scandire i secondi.

Dieci, dieci, dieci: bastardo, lui sì che ci sa fare!

Mi concentro e focalizzo la mia attenzione sul cuore della malcapitata sagoma: mi immagino che sia Anderson ma forse Sherlock l'ha già preso come bersaglio così mi ritorna alla mente il capo dei bulletti del nostro “fight club”, uno stronzo borioso di prima categoria che mi ha reso la vita praticamente impossibile.

Faccio partire i primi tre colpi l'uno a poca distanza dall'altro che vanno dritti dritti ad incastrarsi nel punto esatto da me prefissato, poi prendo un respiro profondo, e ne collezione altri tre perfetti.

Abbasso per un secondo l'arma, mi stropiccio gli occhi alzando appena gli occhiali in plastica dal naso e osservo la sagoma in tutta la sua interezza: non deve esserci più nessuno lì dentro a parte io e lei.

Anche Sherlock ha rallentato e lo vedo un secondo lanciare un occhiata intensa al mio contatore poi si riposiziona con tutta calma e continua la sua perfetta performance: non sembra intenzionato a sbagliare.

Incoraggiato dalla sua cocciutaggine, torno alla mia posizione iniziale e ne faccio un altro che arriva dritto sulla linea che lo separa dal nove: ho rischiato grosso ma non è stata colpa mia, un rumore improvviso mi ha fatto traballare.

Torno un attimo col pensiero nella sala giochi e mi accorgo solo ora che è il mio cellulare a produrre quel frastuono infernale: sta vibrando già da qualche secondo e il viso di Harry compare sullo schermo bianco.

Un presentimento si impossessa di me e quando appoggio il fucile ad una delle pareti del poligono improvvisato che sostengono la famigerata tenda rossa, sento che dovrò abbandonare questa gara prima del previsto.

Faccio appena a tempo ad accorgermi della sportività con cui Sherlock ha interrotto la sua performance: è in netto vantaggio, per lui sarebbe stato facile approfittare della situazione per dichiararsi vincitore.

-Harry, che c'é?- rispondo scocciato dalla sua interruzione ma quando, per la seconda volta in questa sera, la voce di Greg sostituisce la voce di mia sorella mi viene un colpo al cuore – Lo sapevo che era sua sorella, gli assomiglia parecchio- esclama Greg con voce tremante rivolto a qualcuno al di là dell'apparecchio.

-Greg? che succede?- domando confuso e lui finalmente torna a rivolgermi la parola mentre un brusio fa da sfondo alle sue parole– John! Devi venire subito! E successo qualcosa a tua sorella... è svenuta e non si risveglia e la ragazza che è qui con lei dice di aver visto un tizio mettere qualcosa nel suo drink.- mi spiega cercando di usare le parole adatte alla situazione senza andare nel panico.

Non lo lascio nemmeno terminare la frase e gli chiudo il telefono in faccia.

Non ho tempo di trovare scuse plausibili per il mio ritardo né spiegare dove io sia o forse non ho nemmeno le facoltà mentali per intavolare un discorso sensato.

Come se avessi preso una brutta botta in testa, mi aggiro a tentoni nella sala mentre la mia mente si affolla di orribili immagini di mia sorella su uno dei divanetti della discoteca con un tizio sopra di lei che se ne approfitta.

Mi ci vuole qualche secondo per riuscire a realizzare ciò che mi ha appena chiesto Greg e il fatto che mamma non ne sa nulla e crede che io la stia sorvegliando, fa balzare il mio senso di colpa alle stelle.

É vero, non ci sopportiamo, e quasi non riusciamo a stare nella stessa stanza per più di cinque secondi eppure lei è stata l'unica che mi abbia effettivamente aiutato a superare il lutto di papà: non il nonno, non la mamma e nemmeno la psicologa.

Solo Harry con la sua semplice silenziosa permanenza al mio fianco in qualsiasi ora del giorno e della notte: mi ricordo ancora bene il materasso del suo letto singolo posato per terra di fianco al mio e i suoi occhi grandi puntati su di me.

Non era uscita per ben due settimane e non aveva più risposto alle chiamate insistenti della ragazza che frequentava nella vecchia città.

-Che succede?- mi domanda Sherlock tenendomi per un gomito in uno strano e goffo tentativo di sorreggermi – Mia sorella è stata drogata da qualcuno e io non ero li a spaccargli la faccia - ammetto rivolto più a me stesso.

Però posso rimediare!” penso ripromettendomi di trovare questo qualcuno e fargli passare la peggior notte della sua vita.

-Lasciamelo solo per un secondo- esclamo acchiappando velocemente il mio telefono- Voglio solo vedere qual'è la strada più corta da seguire per arrivare al Roxy, poi sarà tuo- mormoro concentrandomi sulla schermata che mi proietta in faccia la sua luce metallica.

Arrivo velocemente al programma di navigazione satellitare e , tentando di imprimere nella mia mente il percorso per arrivare alla discoteca, ripeto sottovoce le svolte e le vie che devo percorre. Alla fine credo di aver perlomeno capito come procedere, così glielo ficco praticamente in mano.

Lo guardo solo un secondo con fare autoritario, cercando di dare una certa serietà alla voce che sembra essersi presa una vacanza – accompagna a casa Molly, per favore!- aggiungo alla fine pentito.

Infondo mi sta per fare un favore che non è costretto a rispettare: qualcosa però mi dice che non è tanto stronzo da lasciare una ragazza da sola in piena notte.

Non ascolto la sua risposta e piombo giù dalle scale e poi oltre alla porta di entrata del ristorante senza nemmeno degnare di uno sguardo il povero Mike.

Fuori l'aria è ancora umida: si appiccica insistentemente ai vestiti e li penetrata fino a raggiungere la pelle e le ossa avvolgendole in un manto opprimente.

Mi fiondo direttamente nel vicolo buio in cui avevo visto passare Greg e gli altri, ripassando mentalmente il percorso che ho visto sul telefono e rendendomi conto che non ricordo il pezzo finale: Dovrei girare a sinistra o a destra? Forse dovrei andare dritto...

Scuoto la testa, imponendomi di limitarmi a staccare la suola delle scarpe dall'asfalto bagnato con maggior velocità.

Il buio mi inghiotte come farebbe una belva famelica e il respiro affannoso sbatte contro le pareti dei due palazzi producendo un eco terrificante.
Non vedo niente al di là del mio naso a parte la fioca via d'uscita alla fine del vicolo che mi ricorda un po' la luce che vede un morto prima di andarsene nell'aldilà: la mia mente è davvero troppo suggestionabile in questo momento.

Schizzi improvvisi di acqua gelida mi bagnano il fondo di jeans mentre le scarpe di tela che indosso si comportano praticamente come due spugne assorbendo tutta l'acqua delle pozzanghere.

Il cielo, in alto, promette ancora un gran bell'acquazzone con i suoi nuvoloni gonfi che si aggirano sulle mia testa ma non ho tempo di pensare al meteo: correre, rimanere in piedi e trovare la strada giusta sono diventate le mie uniche preoccupazioni.

Arrivo alla fine del vicolo e la luce dei lampioni mi accoglie come una mamma amorevole dopo un lungo viaggio insieme al rumore della vita che scorre veloce nella capitale.

Un rombo più fastidioso degli altri sembra quasi zittire lo scalpitare dei motori delle altre macchine ma non mi preoccupa poi più di tanto finché la Vespa verde militare che lo produce mi plana quasi sulle scarpe fermandosi a qualche metro di distanza, direttamente sul marciapiede, incurante della gente che gli parlotta intorno.

Sono talmente nervoso che ho una gran voglia di spaccare la testa contro il marciapiede al guidatore e così mi avvicino con fare a mio parere minaccioso.

Lui si gira proprio verso di me e, incurante della mia furia, si leva il casco rivelando una famigliare cascata di ricci ebano e un paio di occhi taglienti azzurri non grigi.

-Vuoi un passaggio?- mi domanda con un sorriso arrogante dipinto sul volto affilato mentre lo stupore si impossessa di me – e Molly?- domando confuso.

-La accompagna a casa Mike, a piedi ovviamente visto che si offerto di prestarmi la sua moto- esclama lanciandomi il casco con fare eloquente – non abbiamo tempo per altre domande- e mi fa segno di sbrigarmi a salire in sella.

Non mi faccio pregare forse intimorito dalle intimidazioni di qualcuno di chiamare un carabiniere per farci la multa e salto dietro di lui, allacciando il casco sotto il mento e stringendo appena i fianchi ossuti con le mani.

Lui, intanto, smanetta con le marce per qualche minuto con fare troppo indeciso.

-Sicuro di saperla guidare?- mi scappa dopo che mi ero mentalmente ripromesso di seguire il suo consiglio e di pensare concretamente a come arrivare in fretta al Roxy – No, però tu hai bisogno di me per trovare la scorciatoia giusta quindi sta zitto!- mi dice girandosi verso di me con il casco già in testa.

La sua espressione rabbiosa al di là del vetro scuro del casco mi fa desistere dal porgergli altre domande così rimango zitto aspettando che lui capisca come metterla in moto.

Qualcosa mi fa pensare che Mike gli abbia fatto giusto un corso accelerato prima di farlo partire e comincio a pregare che all'ospedale non finisca nessuno dei due fratelli Watson per quella notte.

-Fatto! Vedi, non ho un quoziente intellettivo di 145 per nulla!- esclama soddisfatto mentre la moto lancia un verso molto simile a quello di un orso colpito da un anestetico.

Per quello e per la sua vanità, una risata sorge spontanea dalle mie labbra che scioglie per qualche secondo la maschera da duro che si è voluto costruire -e questo è ancora tuo, per ora. Io voglio vincerlo lealmente- borbotta poi restituendomi il telefonino che gli avevo lasciato.

Un forte senso di gratitudine mi pervade da capo a piedi: davvero niente male questo Sherlock Holmes!

Non faccio a tempo a ringraziarlo che lui parte con un accelerata degna di Stoner: il sellino vibra pericolosamente sotto i nostri sederi e le macchine cominciano a sfrecciarci in parte come macchie multiformi strombazzanti.

Mando una preghiera ad ogni santo del Paradiso che conosco quando Sherlock fa una curva pericolosa a sinistra e passa un semaforo rosso senza fermarsi, mentre gli autisti ci ingiuriano in così tante lingue e modi diversi che alla fine non ne capisco nemmeno uno di insulto.

-Coglioni!- urla una donnina al volante di una BMW gigantesca smentendo il mio pensiero di prima e il suo elegante segno della mano ci fa scoppiare entrambi in una risata contagiosa.

L'adrenalina mi frizza nelle vene come se fosse Coca cola e per qualche attimo scordo ciò a cui sto andando in contro: una terribile e mortificante realtà.

Dopo un'altra curva da brivido, alzo lo sguardo oltre la spalla di Sherlock e mi accorgo che stiamo rallentando: la musica assordante che fuoriesce dal locale ci segnala che siamo arrivati a destinazione.

C'è tanta gente davanti al locale che si attorciglia attorno a qualcosa invece di fare la fila per entrare e questo mi fa smontare dalla Vespa in non meno di cinque secondi.

Persino uno degli enormi buttafuori è accorso ad assistere allo “spettacolo”, pregando i presenti di fare aria alla figura seduta a terra.

Io e Sherlock spintoniamo un po' di gente per arrivare fino al centro: sono tutti ragazze e ragazzi nella nostra età e qualcuno anche più grande che si interessano in modo insano a Harry spargendo velenosi commenti sulle sue conosciute abitudini.
Superata l'ultima fila di curiosi, riesco finalmente a vederla.

Non sembra nemmeno lei: è seduta a terra con i capelli che le coprono completamente i volto e la testa che ciondola prima da una parte poi dall'altra.

-John, sei qui!- esclama Greg spuntando dalla folla con tanto di Anderson al seguito, entrambi scrutano un attimo Sherlock senza fare domande – abbiamo appena chiamato l'ambulanza, arriverà a minuti- mi riferisce prima di guidarmi verso mia sorella, sorretta da quella che deve essere la sua fantomatica nuova fiamma.

Il viso completamente rigato di lacrime e gli occhi rossi mi fanno venire una gran voglia di rincuorarla ma sento che se lo faccio avrei bisogno anche io di una spalla su cui piangere, così mi limito ad sorriderle incoraggiante.

-Harry? Harry? Mi senti?- dico appena inginocchio al suo fianco e, prendendole in viso fra le mani, la guardo dritta dritta negli occhi smarriti e vacui che sembrano volersi chiudere da un momento all'altro – Chi sei? Dove sono?- biascica prima trattenere a stento un conato di vomito.

Nausea, momentanea amnesia, respiro affannoso e sonnolenza: tutti effetti collaterali di una droga, ma quale delle tante? Come posso rimediare a tutto questo?

-sembra drink spiking – mormora Sherlock al mio fianco mentre guarda Harry come fosse uno dei suoi cadaveri – cosa?- gli chiedo confuso mentre lui le da un lieve schiaffo per tenerla sveglia.

Lui mi ignora apertamente voltandosi in direzione della ragazza di mia sorella.

-Raccontami cosa hai visto- intima alla ragazza.
Lei è ancora intontita dall'accaduto ma non esita ad eseguire il suo ordine, anche tra un singhiozzo e l'altro – Avevamo litigato. Mi aveva chiesto di starle lontana per questa sera mentre lei usciva con una sua compagna di classe che, come vedete, si è volatilizzata- spiega ingelosita.

-Fatti non sentimenti!- la rimprovera lui ostile e Greg lo scuote per una spalla come per esortarlo ad avere un minimo di tatto nei suoi confronti.

-Freak, smettila di giocare al detective, questa ragazza sta male!- esclama una velenosa Sally sbucata anche lei dalla folla di ragazzi che si sta creando intorno a noi mentre il buttafuori ne allontana un' altra orda.

Frammenti di discorsi arrivano alle mie orecchie e nessuno sembra a favore di Holmes: il soprannome Strambo passa di bocca in bocca a velocità sonica.

-Sta zitta e lascialo fare!- sbotto infastidito da tutto quell'astio verso l'unica persona che si sta rendendo utile in quella situazione.

Forse per rispetto, nessuno ha il coraggio di ribattere contro il fratello della ragazza svenuta.

-Così le ho tenute d'occhio tutta sera. Mi sono accorta, quasi per caso, del tizio che le pedinava: ero un tizio moro, ben piazzato ma non ricordo altro perché l'ho visto aggirarsi attorno ad Harry solo per due o tre minuti e poi è sparito nella folla. Solo una cosa non mi è sfuggita, la pastiglia che ha fatto cadere nel suo cocktail mentre ballava. Ero dall'altra parte della sala, c'era tutta quella gente... io, io non ho fatto a tempo ad avvisarla... se solo fossi riuscito a fermarla!- ed uno scoppio rabbioso di lacrime le irriga le gote porpora mentre con le dita si strattona convulsamente i capelli.

-Ci hai provato, sei stata coraggiosa- la rincuora Sofia, la ragazza di Lestrade, appoggiando una mano sulla testa ricciuta della ragazza, lei la guarda un attimo smarrita.

Non sorride e tremando mostra a tutti un oggetto che fino a quel momento ha stretto al petto: un bicchierino da cocktail con l'incisione Roxy sul vetro fine.

-Sono riuscito a prenderlo prima che il barista lo portasse via, volevo portarlo all'ospedale per fare capire ai dottori cosa ha ingerito Harriet poi l'ho rincorsa fuori e l'ho trovata in questo stato- spiega mostrandolo a Sherlock come se fosse un tesoro prezioso.

Gli occhi di Sherlock sembrano scintillare come il vetro del bicchiere alla luce dell'insegna rossa lampeggiante e le sue mani afferrano il bicchiere con ingordigia.

Scruta attentamente il vetro, portandolo sopra la testa, in direzione della luce del lampione più vicina poi, dalla tasca dei pantaloni, tira fuori una piccola lente con cui esamina il fondo del bicchiere.

C'è ancora un po' di bevanda, residuo della bevuta di Harriet, e così prima la annusa portandosi il bordo al naso e infine, intingendo un dito nella sostanza, la assaggia.

-Invisibile e inodore. Lievissimo retrogusto di sale...- borbotta squadrandolo con circostanza e, quando una delle sue illuminazione sembra arrivare, non compare nessun sorrisetto.

Si limita a fissarmi in silenzio e, senza che lui dica altro, capisco che deve esserci sotto qualcosa di grosso che mi può mandare su tutte le furie.

Innervosito, tiro il suo bavero della giacca verso di me torcendoglielo un po' per farlo confessare – cosa diavolo c'è in quel bicchiere? So che tu lo sai- gli ringhio addosso mentre lui non muove le labbra nemmeno di un centimetro.

-gamma-idrossibutirato o ketamina, il principio è il medesimo- sputa fuori con tono distaccato e freddo, il suo modo di rivelarmi la sostanza con paroloni grossi mi manda in panico più totale – Sherlock, non indorarmi la pillola, per favore- lo imploro alla fine.

-Ghb o Ryphnol- mi rivela quasi tombale e ora capisco perché non volesse farmi capire quale fosse il contenuto dei quel maledetto bicchiere.

Droga dello stupro: mia sorella doveva essere stata la prescelta del maniaco visto la sua maledetta voglia di tracannarsi drink e di lasciarli incustoditi sui tavoli.

Quale momento più propizio per drogarla se non mentre ballava con tutta quella gente che spintona intorno?

Dopo il suo fallimento, quel mostro poteva ancora essere dentro al Roxy a drogare altre sorelle di qualche altro imbecille fratello minore.

Doveva assolutamente trovarlo e fargliela pagare: per tutti loro ma sopratutto per Harriet.

Il rumore assordante e la luce violenta della sirena dell'ambulanza mi colgono totalmente impreparato così decido di prendere in disparte sia Greg che la ragazza di Harry e li scongiuro di salirci sopra al posto mio, promettendo di arrivare in ospedale il prima possibile.

Entrambi mi guardano come se avessi insultato le rispettive mamme ma mi lasciano andare: credo che sospettino cosa io intenda fare ma Clara, questo il nome della ragazza di mia sorella, è quasi animata dal mio stesso desiderio di vendetta quindi mi lascia fare.

Mentre lei sale sull'ambulanza insieme a Sally, Greg mi mette le mani sulle spalle bloccando la mia fuga e bisbiglia:- so che sei arrabbiato, ma non fare delle cazzate di cui potresti pentirti- e, detto questo, seguì Anderson nel retro dell'ambulanza.

Non lascio nemmeno che il frastuono dell'ambulanza si espanda nell'aria londinese e comincio a correre intorno al locale in cerca di un' entrata di servizio, non ho né tempo né voglia di fare la fila per entrare.

Mi lascio alle spalle anche Sherlock: lo faccio perché capisca che non è obbligato a seguirmi in questa folle avventura e che, se deve prendere una decisione, deve farlo in più totale autonomia.

Il mio istinto mi suggerisce, però, che me lo ritroverò presto fra i piedi.

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Capitolo 4
*** La rivincita del tiratore ***


Ultimo capitolo come promesso! Ringrazio tutti quelli che hanno inserito la mia storia fra le preferite, le seguite o le ricordate e vorrei che tutti mi lasciassero un commento finale ( anche commenti negativi che sono sempre costruttivi).

La rivincita del tiratore...

 

La trovo velocemente, quella stramaledetta porta, ma è sprangata talmente bene che mi chiedo come possa io essere talmente folle da cominciare a prenderla a calci e spallate nel tentativo di buttarla giù.

-Non essere sciocco, così ti farai solo scoprire dai buttafuori- esclama una voce famigliare alle mie spalle.

Come è che la cosa non mi sorprende?

-Non ho bisogno di una coscienza ma solo di un bel piede di porco, Sherlock!- sbotto voltandomi verso la figura scura apparsa da dietro l'angolo e appoggiata contro il muro con le braccia conserte.

-Non ti ho voglio fermare, sto solo dicendo che conosco un modo più semplice per entrare- replica perentorio battendo i polpastrelli sui tasti illuminati del suo telefono – dobbiamo solo aspettare qualche minuto- conclude riponendo il telefono in tasca.

-Non vuoi fermarmi?- domando stupito mentre lui si discosta dal muro e comincia a vagare in circolo con impazienza – tutto il contrario, voglio aiutarti. Ho appena mandato un messaggio ad una persona che potrà aiutarci a trovare il nostro stupratore. Non è esattamente quello che si può definire un alleato ma ci va molto vicino- dice mantenendo la sua solita aurea di mistero.

Alle nostre spalle, la porta cigola in modo sinistro e una mano smaltata di rosso la apre con uno scatto, rivelando il volto armonioso di una ragazzina apparentemente più piccola di qualche anno: due o tre al massimo.

Guardo un secondo anche Sherlock nella sua interezza e mi accorgo solo ora che deve avere più o meno la sua stessa età, solo che la sua intelligenza e la sua altezza sembrano invecchiarlo parecchio.

Anche lei, con tutto quel trucco e gli abiti succinti, sta cercando di sembrare più grande: il seno prosperoso e il sorriso malizioso, poi, fanno tutto il resto.

-Sherlock! Mi sei mancato, tesoro!- esclama lei con un sorriso mellifluo e un po' predatore poi, lanciandomi un occhiata in tralice lo allarga ancora di più rivelando una fila di denti bianchi– Ho capito, hai trovato altri mezzi con cui intrattenerti- insinua lei apertamente.

Spudorata e pure un po' troia” penso fra me e me cercando le parole adatte con cui controbattere.

- Io non sono...- ma Sherlock mi blocca assestandomi una gomitata tra le costole piuttosto dolorosa. -Senti Irene! Non abbiamo tempo per i tuoi giochetti. Ho bisogno di un favore- si intromette Sherlock prima che le faccia passare la voglia di fare la stronza.

-Vuoi il tuo solito 7%?- domanda diretta tirando fuori dalla giacca una bottiglietta contenente un liquido incolore che pare acqua.

-Non ora- esclama piccato dandomi un occhiata sfuggente come se io avessi qualcosa da rimproverargli.

Voglio diventare dottore quindi conosco gli effetti devastanti delle droghe eppure mi limito a rimanere zitto e non commentare: non so cosa lo porti a farsi volontariamente del male ma deve essere certamente qualcosa di grosso e ingombrante con cui convivere.

Poco dopo, mi lascia indietro di qualche passo, per niente suggestionato dal sorriso sornione di lei.

-Voglio sapere chi tra i sottoposti di Moriarty fa drink spiking in questo locale- bisbiglia come per non farsi sentire: eppure ho un orecchio molto fine e le sue parole non mi sfuggono.

Il modo in cui Irene perde tutto la sua irriverenza mi fa capire che questo Moriarty deve essere un temibile pezzo da novanta, oscuro e intoccabile.

-Sai che posso rischiare la pelle se rivelo delle informazioni così... riservate.- esclama atterrita alternando lo sguardo da Sherlock all'interno del locale, come pentita della sua scelta.

-Farò tutto quello che vorrai, se me le darai- replica Sherlock con tono deciso e Irene sembra dedicargli finalmente tutte le attenzioni che merita.

-Tutto? Vorresti dire anche...- e si avvicina le sue labbra rosso sangue all'orecchio del ragazzo, dietro ad uno dei suoi ciuffi ribelli che fa da schermo a quella che ha tutta l'aria di una proposta indecente visto le dita che sinuose strusciano prima sulle braccia, sul petto e poi sulle gambe del ragazzo.

Imbarazzato, distolgo lo sguardo dalle figure che mi stanno a pochi passi: ecco smentite le voci le voci che insinuavano l'omosessualità di Sherlock Holmes.

Volto ancora per un secondo lo sguardo in loro direzione e l'espressione sul volto dell'altro non è proprio quella che mi aspettavo: è praticamente apatica eccezion fatta per le sopracciglia che si aggrottano verso il centro della fronte.

Se prima ero stupito della sua totale mancanza di tatto nei confronti di una ragazza impacciata come Molly ora mi trovo quasi meravigliato per la sua indifferenza alle avances di una vera e propria predatrice.

Non voglio spiarli ulteriormente in momenti così intimi, così torno a contare i mattoni del muro dell'edificio a lato del Roxy pregando che la finiscano prima che quel bastardo se ne vada:Ottantatré, ottantaquattro, ottantacinque...

-Accetto- esclama lui, alla fine, permettendomi di girarmi senza assistere ad altre scene compromettenti.

-Allora seguitemi, vi mostrerò il vostro uomo- dice lei con voce più alta come per rivolgersi anche a me, dopodiché sparisce lasciandoci soli con il mio imbarazzo che crea una barriera invisibile fra noi due.

-Per la cronaca, non mi ha fatto alcuna proposta indecente, come hai pensato: le ho solo promesso di aiutarla ad uscire dal giro. Provocare le persone che non conosce è uno dei suoi passatempi preferiti.- esclama Sherlock prima di entrare nel Roxy attraverso la via secondaria.

Deve aver intercettato il mio sguardo per questo ci tiene a precisarlo con tanta premura.

-Non mi devi nessuna spiegazione- esclamo subito dopo la sua affermazione, pentito -ognuno fa quello che vuole- lo informo a disagio grattandomi la fronte.

-Queste cose...non fanno per me. Sono futili e fanno lavorare più lentamente il mio cervello- ammette puntando l'indice della mano destra sulla tempia.

Io annuisco con un cenno del capo consapevole di aver trovato la cosa con cui Sherlock è costretto a convivere: il suo intelletto sproporzionato può essere, in certi versi, un arma a doppio taglio.

Avanziamo ancora nel più totale silenzio ma, alla fine mi stanco di fare il prevenuto e decido di cambiare discorso per tentare di metterlo a suo agio – grazie per il tuo aiuto, è stato davvero essenziale- aggiungo.

Le mie parole rimangono un attimo sospese tra noi due, come bolle di sapone appena soffiate che poi si spaccano dopo un rivolo di vento o, in questo caso, un soffio di parole.

-Lo sai come si dice. Conosci un drogato e lui ti porterà dal suo pusher- sussurra Sherlock con lo sguardo perso nel vuoto in chissà quali pensieri.

-Io non intendevo.- esclamo esterrefatto per quel fraintendimento, ma lui lo interrompe tornando a guardarmi con occhi giocosi e irriverenti– lo so John, Irene non è la sola a cui piace provocare- mi dice con il suo solito sorriso sghembo.

Sbuffo e mi fingo offeso accelerando il passo.

Poco dopo mi ritrovo a maledire le sue dannate gambe lunghe che rendono impossibile un mio distacco.

Passiamo quello che sembra un corridoio lungo e stretto dove la musica arriva ovattata alle nostre orecchie e alla fine siamo costretti a svoltare a sinistra, sino ad una monumentale porta d'acciaio.

Prima di entrare, Irene ci ferma mettendo una mano sul torace- il mio compito termina qui. Ho un business da gestire dentro, ma vi farò un fischio se troverò chi cercate- Sherlock non sembra affatto infastidito per la sua totale mancanza di collaborazione: ci rema quasi contro con il suo stupido “business” ma deve pensare che ci occorra qualcuno che si sappia muovere fra la folla.

-Bene, parlaci del nostro uomo morto che cammino- la esorto, impaziente.

É la prima volta che mi sente parlare, a parte quella mezza frase che Sherlock ha troncato di netto, e il suo sguardo è così simile a quello del ragazzo che mi viene spontaneo rabbrividire: non sto parlando del colore, così dissimile da porre quasi un intera scala cromatica fra i due, ma di intensità.

-In gamba, il tuo ragazzo. Un po' sprovveduto, ma in gamba- dice rivolta ad un indifferente Sherlock.

Questa volta termino con successo e senza interruzioni la frase con cui intendo sottolineare la mia eterossessualità ma l'effetto non è quello desiderato: ridacchia allegramente come se la mia convinzione la divertisse.

Per la seconda volta, rinuncio a farle cambiare idea.

-Si chiama Sebastian Moran ed è praticamente il braccio destro di Moriarty. Potrete riconoscerlo perché ha una cicatrice sulla guancia destra: è un po' il suo stendardo della sua esperienza nell'esercito quindi non la nasconde e vi sarà facile individuarlo. Niente medaglia al valore per lui, è stato congedato con disonore solo dopo due mesi. Pare che facesse circolare un po' della sua roba per rendere più reattivi gli altri soldati- spiega lei facendo fluire la voce soave in quell'oscurità deforme.

Deglutisco amaramente quelle informazioni: mio padre ci aveva rimesso la vita in guerra mentre quel tipo l'aveva sfruttata per soldi.

Sherlock non condivide il mio disappunto e sembra più interessato sul dettaglio della cicatrice che al passato militare di Moran – consiglio un sopralluogo presso al bar, da quello che ho capito osserva le abitudini delle vittime prima di agire- dice sintetico e professionale come mai l'avevo sentito.

- Occhi aperti allora!- ribadisco prima che Irene si tuffi fra la folla e le luci stroboscopiche.

Quando richiude la porta alle spalle, ritorniamo a sentire il rumore dei nostri respiri accelerati per l'eccitazione.

- E meglio dividerci. Non credo ti sarà difficile individuare un tizio con una cicatrice sulla faccia.- dichiara appoggiando una mano sulla maniglia per entrare.

-Sherlock!- lo chiamo prima di seguirlo all'interno di quella bolgia infernale dall'olezzo di alcol e sudore – Chi è questo Moriarty?- domando troppo stupito dalla frequenza con cui questo nome appare per non fare domande.

-Onestamente? Non lo so. Moriarty può essere tutti e nessuno. Quando mi facevo di coca, quel nome era la chiave per arrivare ad ogni pusher di Londra e oserei dire dell'intera l'Inghilterra. Purtroppo non l'ho mai incontrato di persona - ed è la prima volta che Sherlock ammette di non sapere qualcosa.

Sono stupito della maschera di perfezione che Londra si è costruita: sopra a tutta quell'emozione per un avvenimento importante come le Olimpiadi si nasconde un marciume che incrosta i meandri della città e la pervade completamente come farebbe l'erba cattiva in un aiuola ben curata.

Mi sento quasi ingenuo quando ammetto di sapere già da tempo che in ogni città esiste un mondo losco e corrotto ben impiantato al suo interno.

Forse la cosa che mi fa più impressione è che ora vedo la realtà nuda e cruda, senza filtri ne censure e c'è voluta un' unica sera con Sherlock Holmes per scoprirlo.

Entrambi abbiamo esaurito domande o informazioni da scambiarci, così ci avventuriamo per nostro conto in quella giungla di corpi ammassati che si dimenano come forsennati seguendo il ritmo serrato della musica.

Anche le luci si danno il loro bel d'affare per stordire la miriade di giovani che si accalcano nel locale stretto e opprimente: tutti si spintonano l'un l'altro formando un unica marea di strass e gocce di sudore che ornano rispettivamente i seni e le fronti.

Sherlock è partito in picchiata in direzione del bar, districandosi faticosamente fra la massa di mani e corpi ingarbugliati che ostruiscono ogni passaggio: lo vedo spintonare indistintamente ragazzi e ragazze, senza alcun ritegno, finché la strada che aveva formato dietro di se si richiude velocemente.

Sapendo l'ottimo sorveglianza che farà al bar, preferisco aggirarmi per i tavoli allettato dall'idea che , se è davvero il braccio destro di un pezzo grosso, forse sarebbe stato comodamente seduto a rappresentare il suo capo tra altre losche figure.

L'idea si rivela essere abbastanza azzardata poiché molti degli occupanti sono semplicemente comitive di amici qualunque che si godono il sabato sera: una ragazza festeggia i suoi diciotto anni circondata da una ventina di amici e amiche che se la ridono chiassosamente scolandosi bicchieri di champagne in un sol sorso.

Passo circa una mezz'ora a studiare i visi e le guance di qualsiasi ragazzo che mi passa a fianco, beccandomi per lo più occhiatacce rabbiose: sono tutti per lo più sbarbati, eccezion fatta per un tizio con tanto di codino da rockettaro che sembra essere stato trascinato lì di peso, e nessuno ha una cicatrice in faccia che esporrebbe come un trofeo.

Seccato, mi faccio strada verso il bar come farebbe una guida nella foresta amazzonica e mi domando se le ricerche di Sherlock abbiano dato buon frutto.

Dopo aver abilmente schivato una coppietta che si limona con una strana foga, lo vedo da lontano appoggiato al bancone con un bicchierino pieno di liquido fluorescente.

Lo lascia qualche secondo in più appoggiato alle labbra senza sorseggiarlo mentre osserva le miriadi di volti che sbucano di qua e di là in compagnia solo dei suoi pensieri che di certo fanno più casino che quell'orribile ammasso di suoni discordanti che fuoriescono dalle casse.

Chissa quante storie avrebbe da raccontarmi su di loro se avessimo tempo per parlare?

Quanti bugiardi, traditori e doppiogiochisti saprebbe smascherare: è una compagnia troppo unica ed eccezionale per non approfittarne almeno un po'.

Quelle parole mi avrebbero aiutato a capire come pensava: sarebbe stato come entrare nel suo cervello e scoprirne un intera caotica città fatta interamente di nozioni e formule.

Mi fermo di botto qualche passo dietro a lui quando un tizio bassettino e bruno stringe il proprio braccio intorno alla sua vita, dondolando in modo mal fermo sulle gambe.

Allora erano vere quelle voci?” Mi viene spontaneo pensare ma la sua riluttanza verso ogni sentimento mi fa desistere dal continuare a pensarlo.

La conferma arriva quando Sherlock lo allontana con una poderosa spallata senza però muoversi dalla sua postazione di osservazione.

Mi accosto al suo fianco, rimanendo nel silenzio più totale e aspettando che quel tizio se ne vada per parlare.

Non ha proprio voglia mollare la presa.

Si sporge verso di lui impiantando saldamente i gomiti sul tavolo e le mani sotto il mento guardandolo con una ridicola espressione sognante.

-Sai dolcezza, non hai bisogno di quegli sguardi per attirare la mia attenzione.- biascica avvicinandosi all'orecchio in modo che gli deve sembrare seducente.

-Togliti!- borbotta infastidito spingendolo indietro verso la pista da ballo.

L'altro ondeggia un secondo su se stesso e poi porge i palmi in direzione di Sherlock in segno di resa – Ehi, non c'è bisogno che ti scaldi. Non sei l'unico bel ragazzo di questa discoteca: come questo qua...- esclama vacillando verso di me e aggrappandosi alla fine al braccio.

Io sono obbligato ha sostenerlo per non farlo finire faccia a terra ma lui ne approfitta per avvicinare le labbra al mio collo e alitarmi addosso un odoraccio di birra.

- Ti rivelo un segreto, bel biondino: le sue deduzioni non sono infallibili- mi sussurra con voce melliflua – non ha ancora capito chi sono in realtà- aggiunge estasiato.

-Vattene, ho detto!- gli ringhia addosso Sherlock scoprendo le gengive come un cane rabbioso. Prendendolo per una spalla, gli do uno spintone che lo fa staccare dal mio braccio ed indietreggiare tra la folla andando addosso a due ragazze dai tacchi alti che versano a terra i contenuti dei loro cocktail.

Lui ci guarda un secondo, frastornato, poi comincia a ridere a crepapelle come se gli avessimo raccontato una barzelletta invece di minacciarlo e infine sparisce barcollando.

-Lo conoscevi?- domando una volta che anche io ho ordinato da bere.

Una semplice birra, cura per ogni male, che sorseggio lentamente gustandone il sapore corposo – Strano, pensavo che fossi tu l'esperto di abbordaggi tra noi due e che non avessi bisogno di spiegazioni su questi rituale- mi sfotte Sherlock mollando la sua bibita intatta sul bancone.

-Non è quello che intendevo- borbotto contrariato ma lui ha già smesso da un bel pezzo di dare retta alle mie parole e fa scorrere così velocemente lo sguardo fra la folla che mi viene spontaneo chiedermi quanto possano essere dolorose le sue emicrania – Ci siamo! John, allontaniamoci da qui. La trappola è pronta, manca solo il topo. - sussurra euforicamente.

Non si cura affatto che io lo segua o no, forse consapevole della mia totale dipendenza ai suoi piani astuti e si fa largo fra la gente con la stessa noncuranza di prima.

Credo di aver capito cosa abbia intenzione di fare e il suo piano mi risulta un po' campato per aria: se Moran studia le vittime prima di agire, perché dovrebbe drogare il bicchiere di un ragazzo?

Quando gli pongo questa domanda, siamo entrambi appostati poco lontano dal bancone, nella zona dei bagni per la precisione, praticamente a due passi dal nostro bicchiere che vedo brillare di luce riflessa.

l'illuminazione dei bagni è perfetta per consentirci una massima prospettiva di veduta.

-Ti avevo detto che il nostro uomo studiava le vittime prima di agire, giusto? Però non abbiamo constatato che le vittime siano obbligatoriamente ragazze. Moran non agisce per interesse personale ma segue le direttive degli uomini che comprano il suo servizio. Harriet è innegabilmente lesbica e non si sarà fatta problemi a dimostrarlo pubblicamente, anche il nostro uomo l'ha notato ma si è limitato a eseguire gli ordini di qualcun'altro, un mandante probabilmente di matrice omofoba che non tollerava le effusioni pubbliche di tua sorella. Se ci fosse stato un vero e proprio interesse sessuale dietro non sarebbe uscita dalla discoteca con le proprie gambe e sarebbe stata portata via in un attimo, approfittando della confusione. Impossibile stanare i mandanti, probabilmente se la sono già andate a gambe mentre Moran si crede troppo astuto per farsi arrestare: se ne andrà un attimo prima che la polizia arrivi- spiega Sherlock tenendo lo sguardo fisso sul nostro bicchiere mentre ombre lunghe e intermittenti gli danzano attorno in modo funesto.

- perché qualcuno dovrebbe drogare proprio il tuo bicchiere, allora?- domando confuso dalla sua totale sicurezza e Sherlock inarca gli angoli della bocca in un sorriso inquietante.

-Mi sono fatto abbastanza nemici fra i pusher da quando aiuto la polizia con qualche occasionale caso. Alcuni meditano una pacata vendetta, mentre i più spietati muoiono dalla voglia di mandarmi al Creatore una volta per tutte. Avrei l'imbarazzo della scelta.- precisa gioiosamente facendo una piroetta su se stesso.

Rimaniamo un secondo in silenzio, troppo intenti ad osservare per farci venire in mente delle parole sensate con cui fare conversazione, poi mi ricordo che Sherlock ha bloccato il mio discorso a metà qualche attimo prima e mi sembra un occasione d'oro per farglielo presente.

-Quel ragazzo, ti conosceva.- esclamo puntando l'indice in sua direzione come se mi fossi appena ricordato qualcosa di estremamente importante - Mi ha detto che le tue deduzioni non sono infallibili perché non avevi capito chi era in realtà- lo informo mentre lui si irrigidisce sul posto.

Boccheggia per qualche secondo come se avesse appena esaurito l'aria nei polmoni poi comincia a balbettare come farebbe un paziente in piena crisi epilettica.

-Impossibile.- riesco solo a distinguere fra i suoi borbotti: non ho mai visto nessuno così sconvolto ed eccitato nello stesso momento.

-Sherlock, chi era quel tipo?- lo sveglio dandogli un pizzicotto sul gomito che rallenta appena lo stridio frenetico delle sue meningi.

-Credo che fosse Moriarty. Ho sempre pensato che fosse un professore universitario, non un ragazzo.- esclama sbigottito da un errore così banale compiuto dalla persona di cui si fida di più: se stesso.

-Devo trovarlo, ho troppo questioni in sospeso con lui. Mi raccomando, tieni gli occhi sul bicchiere. Moran arriverà a minuti, prima che venga portato via- esclama indicandolo mentre sconforto, impazienza e inadeguatezza cominciano a fare a pugni per prevalere l'uno sull'altro.

-Sherlock dove diavolo...- gli urlo dietro mentre dribbla un gruppo di massicci ragazzotti – vai?- termino la frase sottovoce ormai consapevole che lui è troppo lontano sia fisicamente sia mentalmente per ascoltarmi.

Risentito, sono quasi intenzionato ad abbandonare il suo stupido piano per tornare alle mie intenzioni originali, peccato che il mio metodo sia troppo lungo e banale per avere successo.

L'arrivo della polizia sarà imminente se si scopre cosa ha provocato lo svenimento di Harriet.

Così, braccia incrociate e sguardo concentrato, aspetto che quel bastardo si faccia avanti: non mi importa se è uno stupratore o un semplice mandante, l'impulso di mettergli le mani addosso è troppo forte per poterlo frenare.

Sebastian Moran non si fa aspettare: scopro che è un tizio grosso e muscoloso che si muove agilmente quanto un ladro.

Il taglio che gli corre sulla guancia destra gli da un aria truce e selvaggia allo stesso momento.

I suoi movimenti sono talmente rapidi che riesco a mal appena ad intravedere il liquido che cade nel drink: invisibile come acqua ma letale come veleno.

Quando si allontana, getto il bicchiere nella spazzatura prima che qualcuno abbia la brillante idea di scambiarlo con il proprio poi lo seguo fulmineo, rimanendo qualche passo dietro di lui.

Lo raggiungo di soppiatto proprio al centro della sala e gli picchietto sulla spalla richiamando la sua attenzione.

Lui si volta e mi fissa con sguardo guardingo e mani affondate nelle tasche: ora che mi sta più vicino mi accorgo che deve all'incirca venticinque anni anche se l'accenno di barba lo fa sembrare ancora più vecchio.

L'aria arcigna che si ritrova da l'idea di uomo sopravvissuto agli orrori della guerra.

Il mio pugno scatta in avanti prima che qualsiasi pensiero si possa formare nella mia mente e sotto la pelle le mie falangi scricchiolano in modo sinistro: il colpo librato va a colpire la mascella pronunciata.

-Ma che cazzo...?- domando lui frastornato ma non gli do nemmeno tempo di far entrare aria nei polmoni che gliela ricaccio indietro con una poderosa ginocchiata.

Lui, da buon soldato, non si fa intimorire da un semplice calcio in pancia, così non riesco proprio a prevedere il gancio sinistro che mi arriva sul naso, facendolo cigolare in modo sconfortante.

Quello che succede dopo rimane un mistero: mi ricordo solo di essermi gettato addosso a lui con tutta la rabbia accumulata in questi dodici mesi e di avergli persino attribuito la colpa della morte di mio padre in quei momenti di furia.

Pugni, schiaffi, calci, gomitate, morsi: non mi sono proprio risparmiato.

La gente tenta di staccarci ma si fa fregare dalla furia omicida con cui ci squadriamo l'un l'altro e dai gesti frenetici con cui cerchiamo di divincolarci.

Qualcuno deve avere chiamato i buttafuori perché veniamo prima divisi da quattro enormi braccia e poi trascinati di peso verso l'uscita, mentre urla e minacce spaccano i timpani di entrambi.

Sul maglione grigio cola inesorabilmente un liquido rossastro che mi accorgo essere il sangue del mio naso mentre il dolore delle botte si spande sotto la pelle come un fuoco sottocutaneo.

Senza troppa gentilezza, veniamo sbattuti fuori, direttamente sull'asfalto ancora umido di pioggia, mentre una voce alle nostre spalle ci minaccia di sparire prima che la polizia arrivi.

Nessuno dei due gli da peso e la lotta continua.

Entrambi respiriamo faticosamente dalla bocca, con i nasi ormai definitivamente partiti, e giriamo in tondo come fossimo due lupi pronti ad attaccare.

-Che cazzo vuoi da me, mezzasega?- sbraita l'altro prima di assestare un pugno che finisce a vuoto. Sono troppo infuriato per poter rispondere così mi fiondo addosso a lui e gli assesto una scarica di pugni in pancia e un micidiale destro in faccia che gli fa voltare la faccia dall'altra parte.

Cade a terra come una marionetta a cui sono stati tagliati i fili e non si muove più per diversi secondi poi ha un lieve spasmo muscolare che lo fa contorcere curiosamente su di se.

Con molta fatica, mi reggo al muro con una spalla e, tenendomi il braccio destro con la mano, apro gli occhi gonfi per i pugni ricevuti per mettere a fuoco la figura che rimane stesa a terra.

Mi inginocchio ai suoi piedi e premo due dita alla base del collo e dei polsi: a causa dello svenimento il battito corporeo è diminuito.

Non sono così micidiale da mandarlo in paradiso con qualche pugno o calcio che sia, però ora che lo guardo da quella angolazione, sento solo un orribile senso di colpa che mi sconquassa l'intestino.

-Cristo, che ho fatto!- impreco mentre tento di risistemargli il setto nasale con un solo deciso colpo. – non lo farei se fossi in te, rischieresti solo di peggiorare la situazione- mi critica qualcuno con la mania di apparire alle spalle.

Noto solo ora che Sherlock è comparso dallo stesso angolo in cui era arrivato prima di entrare nel Roxy però ,questa volta, il suo viso è contratto in una smorfia di insoddisfazione.

-Moriarty?- domando poco curioso e piuttosto sicuro della risposta che avrei ricevuto – non l'ho trovato, deve essere scappato approfittando del caos provocato dalla rissa.- risponde funereo assestandomi un'occhiata di rimprovero che sembra fare più male dei pugni ricevuti.

-Cazzo, l'ho steso. La polizia arriverà a momenti- ammetto stupito della mia impulsività – non pentirtene, lui avrebbe fatto altrettanto. Saranno clementi se gli mostrerai le pillole di Ghb che tiene nella tasca dei pantaloni e il bicchierino con cui ha drogato tua sorella- esclama prendendolo dalla tasca dei pantaloni.

Come prima la sua mano è protetta dal guanto in lattice che fa si che le sue impronte digitali non rimangano sul vetro mentre non si può dire altrettanto per quelle di Moran.

Appoggio tutta la schiena contro il muro mentre l'ansia mi pervade da capo a piedi:so che non sono abbastanza come attenuanti di una aggressione.

Una nota negativa potrebbe andare a intaccare il mio sudato curriculum scolastico ed, essendo la facoltà di medicina a numero chiuso, sarò uno tra i primi a essere scartati durante la selezione.

-Sono un idiota, mi sono giocato il mio futuro per niente- esclamo inspirando sonoramente come per tentare di strappare via dal cuore quel malessere che lo intacca.

-è vero, sei un idiota- esclama Sherlock prima che mi volti ad incenerirlo con lo sguardo – ed è per questo che dovresti andartene il prima possibile. In prigione saresti un pezzo di carne nella gabbia dei leoni- ci scherza lui, serafico, mentre in lontananza il rumore delle sirene della polizia si espandono veloci fino alle nostre orecchi.

Merda è un concetto troppo semplice per esprimere tutta la mia frustrazione.

-Non c'è nulla su cui scherzare. Mi sono appena giocato la scuola dei miei sogni. Senza contare dell'ansia che proverà mia madre nell'avere una figlia all'ospedale e un' altro alla centrale di polizia- lo rimprovero mettendomi una mano sulla fronte imperlata da gocce trasparenti di sudore.

Il silenzio in cui sprofondiamo dopo mi fa quasi sanguinare le orecchie: sarà per l'eco della musica che fa fischiare le orecchie o per le luci che mi hanno reso semi cieco ma mi sento proprio da buttare via.

-Il mio non era uno scherzo. Voglio consegnare personalmente Moran alla polizia- viene fuori alla fine Sherlock con un espressione fredda e imperturbabile.

Per un primo momento non capisco a cosa si riferisca poi quando lo vedo avvicinarsi al corpo e assestargli un calcio nelle costole che scricchiolano sinistramente, ho l'illuminazione.

-Non lascerò che ti prenda la colpa al posto mio, non sono un codardo- gli dico guardandolo come se mi avesse appena mandato a quel paese: se lo avesse fatto, sarebbe stato certamente più gentile.

-Voi soldati, sempre con il vostro orgoglio! Il mio non è un atto di amicizia. Ho un padre che lavora negli alti ranghi del Governo e nel tempo libero faccio favori alla polizia risolvendo i loro casi, molti dei quali coinvolgono Sebastian Moran: non credi che sia più sensato che portino via me, la loro unica via di uscita dai casi più intricati, che il vendicativo fratello della ragazza drogata?- spiega infastidito dalla mia testardaggine.

-Potrebbero accusarti di aggressione- lo esorto cercando di farlo ragionare – la mia fedina penale non è immacolata. Un punto in più sulla lista non mi darà nessun fastidio: l'espressione di puro disgusto sulla faccia di mio fratello sarà impagabile. - ridacchia lui come divertito dalla delusione di quel suo altisonante famigliare.

-Non posso. Sono stato io ha mandarlo al tappeto, non tu!- urlo spaventando un piccione spelacchiato che si è posato sul bidone dell'immondizia in cerca di cibo.

Quando spicca il volo, lascia dietro di sé una piuma grigia che danza nel cielo come il fumo della sigaretta di Sherlock durante l'ora di educazione fisica: mi sembra che sia passato un secolo da quando l'ho visto per la prima volta ma questa strana attrazione mentale me lo fa sentire sempre più vicino.

- Non ti lascerò l'onore di far arrestare uno dei pusher più ricercati di tutta Londra! Grazie al suo arresto potrei essere preso più in considerazione dagli yarder- mi spiega mentre nei suoi occhi compare un fuoco ardente di convinzione.

Sherlock Holmes è indiscutibilmente pazzo: adora i cadaveri, non prova sentimenti per qualsiasi essere viventi e guarda il mondo attraverso una fitta rete di cinismo e logica che filtra le informazioni facendo diventare utile ciò che per il resto del mondo non lo è.

Ma, come qualsiasi altra cosa esistente a questo mondo, sotto uno strato o una maschera pesante da portare si cela un tesoro di inestimabile valore: come sotto ad una pianta ci sono le radici, sotto ad una donna troppo truccata ci può essere una bambina e al di là di un orizzonte c'è un continente ancora tutto da scoprire al di là della mentalità ferrea vedo una grande passione per ciò che fa.

-Non vuoi correre all'ospedale da tua sorella? Se tu non te ne andrai ora, dovrai seguirmi alla centrale e seguire delle procedure standard che potranno durare ore mentre io sarei fuori in meno di due.- domanda imperturbabile, consapevole di aver fatto centro.

Tentenno per qualche secondo sul posto poi, quando le luce bluastra delle sirene illumina le ottantacinque mattonelle che ero riuscito a contare, mi allontano da lui di qualche passo.

-Lo prendo per un sì- esclama Sherlock dando un altro poderoso calcio al malcapitato che guarisce come un cane in agonia – ora puoi andare ci penso io a procurarmi qualche ematoma- esclama torturando la spalla dell'altro con la punta della scarpa vernice nera.

La gratitudine che provo per lui è troppo profonda e sento la necessità di farne partecipe con lui.

-Tu mi avevi chiesto cosa pensassi di te. La verità? Sei il più cinico, arrogante e bastardo amico che io abbia mai avuto- gli dico mentre lui distoglie l'attenzione dal suo anti-stress agonizzante.

-Mi dispiace, John. Non ho bisogno di amici ma un coinquilino mi farebbe più che comodo tra qualche anno. Se senti proprio la necessità di sdebitarti, questo sarebbe il modo più adatto- esclama evitando di guardarmi.

Fa il duro ma in realtà l'espressione “amico” deve averlo colpito in qualche modo: o è solo una mia impressione?

-Mi sembra abbastanza equo- aggiungo alla fine, convinto.

Convivere con Sherlock Holmes sarebbe come vivere ogni giorno in un poliziesco con assassini alla porta e omicidi ad ogni angolo.

Io adoro i film gialli figuriamoci vivere un intera vita in quel modo.

-Non ho fretta. Prendilo come un contratto a lungo termine- conclude lui sbrigativo dopo aver sentito le portiere di una volante sbattere.

-Corri!- esclama con un brusco gesto del capo in direzione dell'altro capo del vicolo.

Lo prendo in parola e comincio ad azionare le gambe ormai stabili quanto quelle di un corridore: ecco un altro dei benefici che avrei potuto approfittare standogli accanto.

Mi fermo improvvisamente al centro del vicolo perché ho ancora qualcosa da aggiungere prima di andarmene:

-grazie di tutto- gli urlo prima di scapparmene a gambe levate verso la direzione indicata.

- Va via!- mi urla arrabbiato come se fosse geloso di condividere con lui quel sensazionale arresto.

Mi volto indietro un unica volta prima di sparire fra la folla di passanti che affollano che caotiche strade londinese e vedo la sua figura alta muoversi avanti e indietro impaziente, come se si stesse preparando per un discorso alla Casa Bianca.

É pazzo questo Sherlock Holmes.

Eppure sono così tante le volte che questo matto dimostra di essere più intelligente degli altri da farmi dubitare della sua follia.

Forse i pazzi siamo noi che riusciamo solo a proteggere le nostre menti sottosviluppate etichettando tutto ciò che non comprendiamo con aggettivi malvagi.

Quando Sherlock mi ha chiamato normodotato non l'ha fatto con l'intenzione di offendere ma per porre una netta distinzione tra i nostri due mondi: il mio è quello cinico e disonesto che ha sempre disprezzato il suo.

Mi viene quasi spontaneo interrogarmi sulla labilità del confine fra pazzia e normalità sotto le luci quasi invisibili delle stelle.

 

 

 

È mattino inoltrato e il sole brilla alto nel cielo quando mi sveglio.

Una pesante coltre nuvolosa abbraccia il cielo di Londra come una coperta nel periodo invernale attorno alle spalle delle persone infreddolite.

Ieri sera, di ritorno dall'ospedale ero talmente stanco che mi sono addirittura addormentato sul taxi di ritorno: Harry ha subito ben due lavande gastriche e io non ho avuto il coraggio di chiudere gli occhi davanti a quello scempio.

Nessuno ha rivelato alla mamma la verità dell'accaduto però, in fondo, capisco che non è poi così ingenua: le macchie di sangue sui miei sui vestiti e i lividi che mi ornano il viso sono segnali troppo chiari per essere ignorati.

É quasi svenuta quando mi sono presentato in ospedale in quello stato così avevo dovuto rivelargli la verità.

Mi aveva dato dell'idiota perché avevo preferito fare l'eroe piuttosto che accompagnare mia sorella in ambulanza e avvisarla personalmente invece che farlo da parte di una ragazza sconosciuta.

Mi aveva cacciato a casa, ordinandomi di farmi una doccia e schiacciare un sonnellino.

La sua delusione si stagliava chiaramente sul suo viso tanto simile al mio e, per il resto della mia permanenza, smise di parlarmi restando da sola con il proprio dolore.

All'ospedale mi ero fatto vedere il meno possibile dai dottori che dal canto loro non mi notavano nemmeno troppo presi dalla critica situazione della ragazza per accorgersi del fratello.

L'ospedale era stato obbligato ad avvertire la polizia quando si era venuto a sapere cosa aveva ingerito grazie ai test tossicologici così, per evitare ulteriori sospetti, avevo seguito l'ordine di mia madre ed ero tornato a casa non prima di essermi fatto promettere da lei di mandarmi un messaggio appena di avrebbe saputo qualcosa.

Da quanto aveva capito, i dottori erano speranzosi perché la quantità ingerita era stata davvero bassa e non avrebbe dovuto avere conseguenze sul fisico.

Avevano anche consigliato anche delle visite dallo psicologo e la frequentazione delle sedute degli alcolisti anonimi.

Questo mi è bastato per convincermi a lasciare mia madre da sola: forse quella situazione le avrebbe aperto gli occhi sulla dipendenza dall'alcol di Harriet.

L'ansia mi sta letteralmente logorando così decido di accendere il computer e navigare un po' in rete per distrarmi: in questo momento avrei bisogno di un profilo di facebook.

Le cazzate esistenziale dei miei coetanei mi avrebbero messo di buon umore.

Decido di lasciare per ultimo il mio blog, digitando invece più volte il nome di Sherlock Holmes.

Il sito che trovo mi fa capire che l'autore è la stessa persona dalla logica ferrea che ho incontrato: chi intitolerebbe il proprio sito, la scienza della deduzione e richiederebbe solo casi di conveniente complessità?

Dopo aver letto l'interessante articolo di prima pagina sull' uso del metodo logico per risolvere i casi, mi perdo qualche attimo tra le proposte piuttosto scontate e sulla sequela di insulti di qualcuno che smentisce le sue doti.

Evidentemente non ha ancora avuto il tempo per cancellare quelle insulsaggini... Chissà se è veramente riuscito a sbrigarsela in un paio d'ore come aveva predetto?

Mi pento della mia decisione perché mi viene da pensare alla sera precedente così preferisco farmi due risate sul chilometrico commento che Ella mi avrà sicuramente lasciato sul blog.

Il suo commento ovviamente c'è, e sono convinto che sia infarcito di consigli sulla mia situazione ed esortazioni a venire alla sua seduta con delle domande personali da porle, ma c'è qualcos'altro che attirato la mia attenzione.

Un cortissimo commento, fatto da qualcuno rinominato the marksman ( il tiratore scelto):

Anche io. Se vuoi la rivincita vieni al 221 di Baker Street.

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