Pokèzuma

di Eternal_Blizzard
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Goal #1_Route 1 ***
Capitolo 3: *** Goal #2_A Bag Full of Objects ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Si stiracchiò in modo da distendere bene i muscoli della schiena e poi, muovendo un po’ la bocca ancora impastata dal sonno puntò gli occhi castani sulla sveglia. Indicava le undici e trentasette. Dopo essersi disteso una seconda volta si girò in modo da mettere i piedi per terra, grattandosi la testa, stanco. Il lato positivo era che sua madre arrivava a svegliarlo di soprassalto sempre a mezzogiorno meno un quarto in punto, quindi dato che quella mattina l’aveva anticipata poteva evitare di svegliarsi con un infarto. Pochi minuti e sentì, effettivamente, dei passi andare su per le scale che portavano al corridoio dove si trovava la sua camera, ma non erano i soliti, quelli della sua cara quanto spaventosa genitrice. Erano di più, come se fossero un paio di persone, e soprattutto svelti e pesanti, come se avessero fretta e stessero correndo. Il ragazzo si alzò lentamente dal letto, poco convinto sul da farsi, ma optò per l’avvicinarsi alla porta per aprirla; peccato che venne preceduto e vide l’uscio spalancarsi davanti ai suoi occhi, con talmente tanta forza da colpirlo dritto sul naso e farlo cadere all’indietro. «Ah! Scusaci, Endou! Non avevamo idea che fossi già sveglio!» disse un ragazzo piuttosto alto, con capelli rasati rosa, pelle scura, un neo sotto l’occhio ed un naso importante al centro del viso. «Pensavamo di svegliarti noi…» si grattò la testa, inarcando un sopracciglio mentre un secondo ragazzo, più basso, con grandi occhi marroni e capelli castani vagamente spettinati, gli porgeva una mano per aiutarlo ad alzarsi.
«Perdonaci, mi sa che non avremmo dovuto correre così…» ridacchiò imbarazzato, tirandolo su. L’altro, massaggiandosi il naso e stringendo un occhio per non farlo lacrimare, agitò una mano all’aria, scuotendo la testa. Arricciando un po’ il l’organo olfattivo, sorrise ai due com’era solito fare.
«Non c’è problema!» dichiarò, aprendo dei cassetti ed iniziando a frugarci dentro, per prendere dei vestiti con cui andare a cambiarsi. «A proposito, se siete venuti così di corsa ci sarà un motivo. Che è successo?» domandò sinceramente curioso, richiudendo il cassetto appena presi gli abiti e voltandosi. Per poco non ricadde all’indietro quando si ritrovò due pokèball nuove di zecca di fronte agli occhi a due millimetri dal viso. «E queste?!» domandò, sbattendo le palpebre ed afferrandole, sognante, non badando ai vestiti che lasciò cadere. «Beh… Noi abbiamo discusso a lungo, con i nostri genitori e…» iniziò Someoka, il ragazzo con i capelli rosa. Si passò un dito sotto il naso, fiero. «Alla fine li abbiamo convinti» affermò trionfante.
«Abbiamo il nostro primo pokèmon, Endou!» esultò Handa, riprendendosi la sfera, cosa che fece anche l’altro. «Manchi solo tu, quindi sbrigati a convincere tua madre!» lo rimproverò, ma quello era troppo eccitato mentre immaginava quale meravigliosi pokèmon celassero le sfere dei suoi due amici, per pensare al fatto di non averne uno proprio. «Del resto, sei tu che ci hai convinti ad insistere…» aggiunse, venendo ignorato ancora. Inutile, quando Endou pensava ai pokèmon nessuno poteva farlo tornare coi piedi per terra. Il ragazzo, ormai totalmente sveglio per l’eccitazione, fece per afferrare nuovamente le sfere e lanciarle in aria per vedere quali creature ne uscissero, ma venne bloccato repentinamente dagli altri due, indignati.
«Non provarci! Te li dobbiamo presentare noi, altrimenti che gusto c’è?!» sbottò Someoka, mentre Handa annuiva convinto, allontanandosi di qualche passo.
«Forza, usciamo in giardino, altrimenti tua madre si arrabbia» propose facendo cenno con la testa ed il braccio di seguirlo, ma fu bloccato da Endou, che lo bloccò posandogli una mano sulla spalla.
«Coraggio, Handa!» brontolò, ritirandolo dentro e chiudendo la porta alle loro spalle. «Mia madre non se ne accorgerà, facciamo in fretta e il gioco è fatto, no?» si lamentò, per poi inclinare la testa. «Ah, ma aspetta. Il problema è che non entrano in camera..?» domandò con gli occhi che riprendevano a brillare, mentre la sua mente iniziava a partorire immagini dapprima di un Dragonite, poi di un Onix, poi Wailord e alla fine addirittura un Lugia. Ma forse erano, specialmente l’ultimo, un po’ improbabili. Un po’ tanto. Ridacchiando, Handa scosse il capo, avvicinandosi agli indumenti che l’amico aveva fatto cadere in terra attimi prima, tirandoli delicatamente sul letto ed affermando che “no, entravano tranquillamente in qualsiasi stanza”.
«Beh, se per te va bene, inizio io!» s’impose Someoka, sorridendo fiero mentre lanciava la sua pokèball in aria. Quella si aprì e dopo un suono vagamente metallico sprigionò un fascio di luce rossa in mezzo al quale prese forma un piccolo pokèmon. Quando il bagliore rosso svanì, la creaturina si rivelò essere un minuto Axew. «Un pokèmon drago?! Verrà su potentissimo!» esultò Endou, avvicinandosi al mostriciattolo e tendendogli la mano, che il draghetto afferrò e scosse incuriosito da quel ragazzino con gli occhi tanto brillanti.
«Ma che dici? Lui è già potentissimo!» l’informò compiaciuto, passandosi l’indice sotto il naso, tronfio. Pochi secondi, e il ragazzo senza pokèmon aveva fatto un giro di centottanta gradi su se stesso, rivolgendo ora lo sguardo su Handa, che nel mentre si era seduto al bordo del letto guardando sorridente il pokèmon dell’amico. Sospirò rassegnato, vedendo gli occhi gioiosamente imploranti dell’altro, e tirò a sua volta la propria sfera.
«Immagino sia arrivato il mio turno…» si alzò, mentre pochi passi più in là appariva un Eevee. Lo raggiunse e si accovacciò, per accarezzarlo, ma la sua mano fu preceduta da quella di Endou, che si era precipitato a coccolarlo.
«Ma è fantastico! E poi è così… particolare!» dichiarò, allontanando di poco la testa per osservarlo meglio. Nonostante fosse un Eevee, infatti, quel pokèmon non aveva la tipica espressione mielosa della sua specie: gli occhi erano sì, teneri e brillanti – seppur leggermente più opachi dei suoi fratelli – però non avevano la loro consueta forma ovale, bensì avevano le palpebre superiori abbassate, così da conferirgli una forma semi ellittica ed un’aria dolce, ma birichina. Al contempo, sulla testa i peli erano vagamente più arruffati e in disordine del normale, tanto da arrivare a formare una sorta di ciuffo che si estendeva fino agli occhi; così come anche due ciuffetti più piccoli ai lati del musetto. «Sì, è più bello dei normali Eevee!» dichiarò allegro il ragazzo. L’altro castano ne sorrise.
«Se può interessarti, ha un soprannome. L’ho chiamato Max» spiegò, grattandogli la schiena con la mano. «Mh, gli si addice!» annuì l’altro, che afferrò anche Axew per coccolarli entrambi. Passò diversi minuti a strusciare le proprie guance su quelle delle due creaturine, ma poi le lasciò, vagamente dispiaciuto. E così era rimasto solo lui senza pokèmon… Era incredibilmente felice per gli amici, naturalmente, ma probabilmente una minuscola parte di lui ne era anche leggermente invidioso. Sorrise per scacciare il pensiero e, accarezzando rapidamente per l’ennesima volta Max ed Axew, si tirò in piedi, riprendendo i vestiti che aveva snobbato tutto il tempo. Si avvicinò alla porta per uscire ed andare a lavarsi e vestirsi, ma si fermò dopo pochi passi, fissando il soffitto immobile. Prima che i due amici potessero chiedergli cosa fosse successo, quello si girò con tutto il suo entusiasmo ritrovato, mostrando allegro tutti e trentadue i denti. «Oggi convincerò mamma e mi farò dare un pokèmon anche io, statene certi!» dichiarò con convinzione. Sì, quello era decisamente il giorno in cui l’avrebbe convinta, ne era sicuro non al cento per cento, ma al mille! «Vado a cambiarmi e torno!» avvertì, mentre gli altri annuivano, ma per la seconda volta in quella mattina la porta si aprì prima che lui potesse toccarne la maniglia. Il viso della madre fece capolino nella stanza, rassegnato.
«Mamoru, d’accordo che hai visite, ma vedi di scendere prest…» iniziò a dire leggermente scocciata dalla lentezza del figlio, ma si fermò sgranando gli occhi vedendo i due pokèmon nella stanza. Aprì del tutto la porta ed entrò, furibonda. «Mamoru, quante volte ti ho detto che non voglio pokèmon in casa mia?! Shin’Ichi, Ryuugo, vale pure per voi!» rimproverò indicando prima i due mostriciattoli e poi i tre ragazzi. I neo allenatori ritirarono in fretta i propri compagni e s’inchinarono in segno di scuse. La donna schioccò la lingua e si portò le mani ai fianchi. «Il pranzo è quasi pronto, ma ho preparato solo per tre» affermò, seria. Dopo uno sguardo d’intesa tra Someoka e Handa, i due fecero nuovamente un piccolo inchino e si avvicinarono titubanti alla porta, superando la signora. Si fermarono solo pochi istanti, giusto il tempo di scusarsi di nuovo e salutare l’amico con un semplice gesto della mano accompagnato da un “ci vediamo dopo”. Il ragazzo non staccò lo sguardo, divenuto serio, da quello della madre. Strinse a sé i vestiti ed aggrottò le sopracciglia, rimanendo fermo dov’era.
«Non stavano facendo nulla di male, nemmeno combattevano… Ancora non capisco questo tuo astio nei confronti dei pokèmon…» ammise, abbassando lo sguardo per poi ripuntarlo in quello di lei. «Nonno non era forse uno dei più grandi allenatori di pokèmon?!» chiese esasperato per la milionesima volta. La risposta la conosceva perfettamente anche senza che sua madre gliela fornisse. La donna strinse occhi e labbra, lanciando un’occhiata di sfuggita alla foto del padre che il ragazzo teneva come una reliquia sul comodino della sua stanza.
«Mi pare di aver detto che è quasi pronto» sussurrò, ammiccando ai vestiti. «Preparati e vieni a tavola» ordinò, voltandosi e lasciando solo Endou, che storse le labbra. Mai una volta che gli rispondesse.


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...ne sto scrivendo un sacco, ma questa è la prima long fic che inizio a postare. "After a year" non conta, perché avrà dodici capitoli e amen, mentre questa ne avrà... tanti. Non so quanti. Allora, io pensavo di iniziare da un primo capitolo, ma pare che non riesca a scrivere senza far prologhi :°D Quindi... ecco. Adesso sto scrivendo il primo capitolo e conto di postarlo nei prosimi giorni, anche perché come si può capire, questo prologo è solo... un inizio, appunto. Senza grandi eventi, semplicemente introduttivo-
...e vabbè. Sono anche con la Soyokaze Dream del Tanabata Festival nelle orecchie, quindi spero di partorire qualcosa di buono (?) Spero vi piaccia e il prologo non vi convinca a toppare qui la lettura della fic xD
Ryka
Ps. Il titolo, Pokèzuma, è ripreso da quello che mi ha fatto venire l'ispirazione, ossia un... non so cosa su tumblr x° (ho letto il titolo e basta, non ho idea di cosa fosse °3°") E dato che avevo già in mente da un po' questo crossover... eccolo :°D

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Capitolo 2
*** Goal #1_Route 1 ***


Goal #1 - Route 1

«Posso alzarmi?» domandò Endou, posando le bacchette con le quali aveva consumato il pasto preparato dalla madre. Sorridente, il padre rispose affermativamente, così che il ragazzo si sentì libero di farlo, andando all’ingresso ed infilandosi le scarpe per uscire. Non vedeva l’ora di correre dai suoi amici e giocare con i loro pokèmon, parlando delle squadre che avevano intenzione di mettere su e quant’altro, ma il suo entusiasmo era destinato a durare poco.
«Non voglio che li vedi, oggi» sentenziò la madre dalla tavola, senza nemmeno bisogno di voltarsi a guardarlo.
«Scusa, parli di Someoka e Handa? Perché non dovrei vederli?» domandò, avvicinandosi di qualche passo al centro della stanza, perplesso. La donna si limitò a sibilare un “perché no”, cosa che fece irrigidire il ragazzo. «”Perché no” non è una risposta, spiegami per favore..!» insistette, portandosi una mano al petto con vigore.
La madre si alzò da tavola iniziando a sparecchiare, scuotendo il capo. «Perché ho deciso così, un genitore non è tenuto a spiegare sempre ai figli le proprie scelte» spiegò, ancora nervosa per la scena vista quella mattina in camera del figlio. «Dovresti capire che è per il tuo bene, tesoro. Shin’Ichi e Ryuugo sono bravissimi ragazzi, ma hanno pur sempre tredici anni e quelli sono i loro primi pokèmon» iniziò a spiegare, sotto lo sguardo attento del figlio che, di tanto in tanto, annuiva. «Saranno, giustamente, eccitatissimi per la cosa, no? E se gli venisse voglia di provare a combattere tra di loro, così, per gioco? Un attacco potrebbe per sbaglio venire indirizzato a te e a quel punto che faresti, senza un tuo pokèmon a proteggerti peraltro?» domandò, andando a posare gli ultimi piatti nel lavandino e voltandosi a guardarlo, seria. Il ragazzino scosse il capo, decisamente poco convinto dalle ragioni della donna.
«Capirai! Saranno al livello cinque, conoscono massimo azione e ruggito! E poi sono abbastanza agile da evitare un eventuale attacco!» si lamentò, incrociando le braccia al petto e gonfiando le guance. «E se è per l’essere “indifeso”, allora fatemi prendere un pokèmon, no?» tentò, sperando che per quella volta la risposta divenisse magicamente da “no” un “sì”.
«Non se ne parla nemmeno» replicò secca la genitrice.
«Ma perché?! Almeno spiegamelo, per favore!» continuò, ma ogni suo altro eventuale intervento fu bloccato sul nascere dal rumore che fece la mano della donna quando sbatté con violenza sul ripiano della cucina.
«Mamoru, ti ho detto di no e non si discute, punto!» concluse, iniziando a lavare i piatti intenzionata ad ignorare ogni altra protesta del figlio che, seccato, fece dietro front e si diresse svelto in camera sua, sbattendo la porta alle sue spalle. Afferrò un pallone a forma di pokèball e cominciò a fare qualche palleggio di testa per sbollire l’irritazione. Dopo i pokèmon, la cosa più bella del mondo era il calcio, decisamente. Anzi, forse erano anche allo stesso livello. Passata una decina di minuti decise di fermarsi, posando l’oggetto sferico ed avvicinandosi al ripiano dov’era riposta la foto di Endou Daisuke, il nonno che ammirava tanto, ma che non aveva mai conosciuto.
«Nonno… spiegamelo tu, per favore: perché la mamma ha così paura dei pokèmon? Da dove viene questo suo odio?» domandò guardando la fotografia come se quella fosse davvero la persona che raffigurava. «Sai, se io voglio diventare un allenatore è perché so che tu eri il migliore della regione… è così sbagliato che voglia seguire il tuo esempio e superarti?» gli domandò, ma poi si rispose da solo, scuotendo la testa. «Beh, secondo me no! Mamma esagera!» brontolò. Nonostante avesse chiuso la porta, si guardò intorno con aria furtiva, come se davvero in qualche angolo della sua stanza potesse celarsi una presenza diversa dalla sua e poi, appurato che nessuno lo poteva vedere, scansò la foto dietro la quale si trovava una vecchia e logora pokèball. «Sai, la mamma non sa che io ce l’ho» spiegò, indicando l’oggetto che ora teneva orgoglioso tra le mani. «L’ho trovata per caso nel capanno degli attrezzi in giardino quando avevo cinque anni… Certo, è piuttosto vecchiotta, ma a giudicare dall’”ED” inciso qui sulla parte bianca» indicò picchiettando con l’indice proprio sotto le due lettere, girando la sfera in modo che fossero ben visibili per l’individuo nella foto, «questa era tua, perciò ho deciso che quando catturerò il mio primo pokèmon, lo farò con questa!» affermò entusiasta. «Non è una fantastica idea?» chiese, ridacchiando. Alla sua risata però se ne aggiunse una seconda, più delicata. Mamoru si voltò verso la porta che non aveva sentito aprire e vi trovò affacciato il padre.
«Parlavi con il nonno?» domandò in un sorriso e l’altro annuì, nascondendo in fretta e furia l’oggetto ammaccato al suo posto. Il padre per fortuna non sembrò accorgersene, così il ragazzo si sedette sul pavimento e l’osservò interrogativo. «Volevo dirti una cosa sulla mamma…» sussurrò, entrando interamente nella stanza e richiudendosi delicatamente la porta alle spalle. «Sei arrabbiato con lei?» domandò e l’altro sembrò rifletterci un attimo, roteando gli occhi e storcendo la bocca. Scosse la testa.
«No. Però mi da fastidio che faccia così. Almeno, senza dirmi perché» ammise, incrociando le gambe.
«Lo capisco. A dire la verità, non ha mai detto nemmeno a me il perché di questa sua… chiamiamola fobia, nei confronti dei pokèmon» concesse, prendendo la sedia da sotto la scrivania del figlio e trascinandola accanto a lui, sedendovisi. «Tuttavia, credo sia legata proprio a tuo nonno. Magari stava combattendo di fronte a lei ed è rimasto ferito da un attacco, chissà?» optò, posando una mano sulla spalla di Mamoru, che non smetteva d’osservarlo interdetto. Non poteva essere per un motivo così futile, a suo avviso… «Oppure, è lei ad essere rimasta ferita, che dici? Se uno si mettesse a ragionare senza indizi verrebbero fuori un centinaio di ipotesi tutte plausibili, ma non si potrebbe sapere qual è quella esatta, se c’è» gli sorrise, ma il ragazzo davvero non capiva dove volesse andare a parare il genitore. Lo vide alzarsi e tornare vicino alla porta, che aprì. «Adesso, io parlo da profano e quindi potrei dire una stupidaggine, ma… Anche se io non mi sono mai interessato ai pokèmon, non credo che siano pericolosi. Più che altro dipende da chi li controlla, ma il mondo è pieno di brave persone, quindi non c’è da preoccuparsi» annuì. «A maggior ragione, puoi stare tranquillo con quelli dei tuoi due amici, perciò va’ pure a giocare con loro, che con la mamma metto una buona parola io» ammiccò pacato, mentre il figlio sgranava gli occhi e spalancava la bocca, incredulo. Si alzò con talmente tanta foga che per poco non ricadde per terra di naso e, con un balzo, abbracciò euforico il padre, ridendo.
«Grazie papà, sei il migliore!» esultò, precipitandosi giù per le scale senza pensarci due volte. Corse più forte che poteva, così da limitare i minuti di ritardo fatti e ben presto si ritrovò di fronte ai due compagni, vagamente annoiati dall’aspettare, seppur per poco. Non che ci volesse molto a raggiungerli, ovunque si trovassero, poiché la loro città, Raimon City, era abbastanza piccola. Vi abitavano le loro tre famiglie, vi si trovava un ex laboratorio pokèmon divenuto ristorante e diverse altre case, ma la maggior parte era vuota o abitata da allenatori di pokèmon in pensione oppure persone che non ne avevano mai allenati in vita loro. Sorridente, il ragazzo alzò il pollice verso i due amici, che ricambiarono il sorriso.
«Non credevo che tua madre ti avrebbe fatto venire, oggi» ammise Shin’Ichi, seduto sulla staccionata che dalla loro cittadella portava al primo – ed unico – percorso percorribile per raggiungere altre città, villaggi o quel che c’era al di là di un mare di erba alta ed incolta che, da quanto ne sapevano, esisteva da generazioni e non mutava mai con il passare degli anni. «Meglio così, no?» domandò retorico, alzandosi. Someoka, dal canto suo, era già in piedi, con la schiena ed un piede appoggiati ad un albero, mentre teneva le mani dietro la nuca.
«Senza offesa, ma tua madre ci sono delle volte che mi spaventa davvero…» disse sincero il ragazzo, guardando altrove per il leggero imbarazzo dovuto all’affermazione appena fatta. Quando sentì Endou ridere, arrossì. «Cosa c’è di così divertente?!» domandò, staccandosi dall’albero e piantando con forza il piede sollevato nel terreno.
«Che vuoi che ti dica? Sarò abituato» ridacchiò facendo spallucce. «In realtà è una donna tanto dolce, le voglio molto bene» dichiarò, per poi rabbrividire. «Però se si arrabbia fa paura davvero, lo ammetto…»
I tre s’incamminarono tranquilli per la cittadina, chiacchierando con serenità. Venne fuori che Someoka non intendeva diventare un allenatore qualsiasi, ma voleva essere un maestoso e potente domadraghi. Handa, invece, non aveva preferenze sul tipo, né tanto meno aveva pretese esorbitanti: gli bastava essere un allenatore forte, che non venisse battuto dal primo “Willy Bullo” che gli si presentava davanti, ma probabilmente non avrebbe mai puntato ad un obbiettivo semi impossibile come diventare asso del parco lotta. Fu lì che nacque una discussione tra i due neo allenatori, siccome il ragazzo dalla testa rosa decise di rivolgere un commento poco carino ai pokèmon di tipo normale, considerati da lui i pokèmon più deboli ed inutili. Avendo un Eevee, Handa si sentì giustamente chiamato in causa e, con tranquillità, difese il proprio pokèmon e con lui tutti gli altri dello stesso tipo, ma sentendo che Someoka non era intenzionato a smettere di denigrarli, perse le staffe, dichiarando di non voler più allenare alla buona i pokèmon che incontrava, ma di volersi specializzare e diventare un maestro dei pokèmon di tipo normale. Del resto, erano deboli al tipo lotta, ma erano immuni a quelli di tipo spettro e peraltro potevano imparare mosse di diverso tipo. Sì, avrebbe dimostrato a Someoka che si sbagliava. Inutile dire che, con il carattere irritabile che si trovava, non ci volle molto perché anche l’altro s’infuriasse.
«Andiamo, ragazzi, non c’è bisogno di prendersela così!» li separò Endou, frapponendosi tra i due, che si premevano con forza la fronte l’uno contro quella dell’altro. «Dovreste sapere che ogni pokèmon è magnifico e unico sotto ogni suo aspetto! Non importa il tipo, possono essere tutti imbattibili!» decretò, straconvinto. Gli altri due non poterono che staccarsi, lanciandosi un’ultima occhiata torva. «Pace?» domandò allora il ragazzo con l’immancabile fascia arancione in testa, mentre prendeva le mani dei ragazzi e le avvicinava. Con un sospiro, Handa porse la mano a Someoka, che, dopo un attimo di titubanza, l’afferrò e la stinse.
«Non ce n’era bisogno, non siamo più bambini…» si lamentò il futuro domadraghi, mentre il castano storse le labbra, annuendo concorde.
«Perfetto!» ne sorrise compiaciuto il ragazzo senza pokèmon. Ripresero a camminare, ma rimasero a lungo in silenzio: Endou trotterellando felice ripensando ancora alla sorpresa di quando i suoi amici gli avevano presentato Max ed Axew, sinceramente contento per loro; gli altri due rabbuiandosi un poco. Si lanciarono un’occhiata rapida, e quando uno scosse il capo, l’altro parve contrariato, ma finì con il sospirare dal naso ed annuire. Fu Handa però a rompere il silenzio, mentre camminava con lo sguardo basso, rivolto sui suoi piedi.
«Endou, davvero non puoi convincere tua madre a prendere un pokèmon?» quella domanda gli uscì quasi spontanea, senza che lui fosse davvero intenzionato a farla, tanto che se ne stupì da solo, alzando gli occhi di scatto, preoccupato di aver toccato un tasto doloroso. Mamoru lo guardò, tranquillamente, e poi prese un bel respiro, scuotendo la testa.
«Non credo…» ammise, ma poi si portò un pugno all’altezza del viso, con il fuoco negli occhi. «Ma state certi che prima o poi la convincerò! Non mi importa come, non mi importa quando, io ce la farò!» dichiarò sicuro, ma venne smontato dalla repentina risposta di Ryuugo.
«Però importa a noi, il quando…» asserì, fermandosi. Gli altri due lo imitarono, voltandosi a guardarlo. Mentre Handa sospirò, Endou parve non capire. «A pranzo io ho parlato con i miei genitori e, a sua detta, lui con i suoi» iniziò a spiegare Someoka, ammiccando in direzione di Shin’Ichi. Mentre parlava, Endou si era voltato a guardare l’espressione dell’altro castano, che parve a disagio, ma poi tornò a concentrarsi sul rosato. «Ci hanno detto che, ora che abbiamo un pokèmon, se volessimo potremmo partire per un viaggio per conto nostro» affermò aggrottando le sopracciglia. All’amico brillarono gli occhi.
«Beh? E non è forse una notizia meravigliosa?!» saltò, circondando le spalle di Handa, che per lui era il più vicino, con un braccio. «Sono contentissimo!» dichiarò euforico, ma il ragazzo abbracciato da lui scosse la testa.
«Ci eravamo ripromessi di partire insieme, se mai avessimo avuto tutti un pokèmon…» sussurrò, dispiaciuto.
«E qual è il problema? Partite lo stesso, no? Poi vi raggiungo!» domandò. «Riuscirò a convincere mia madre, è questione di…» evitò di dire giorni, in quanto sapevano bene tutti e tre che fosse impossibile. Rifletté se potesse dire liberamente “mesi”, ma non era affatto sicuro, vista la testardaggine della madre e sicuramente dire “anni” non avrebbe aiutato nessuno. «…di tempo» disse sia agli altri che a se stesso.
«Ma non capisci, Endou?!» sbottò Someoka con la sua voce dura e rauca. «Abbiamo tredici anni! Ci sono ragazzini che partono a sette o dieci anni!» ringhiò.
«Non è quello il fatto, Someoka» intervenne Shin’Ichi. «C’è anche chi parte a venti o chi non parte, che vuol dire…» scosse la testa, liberandosi del braccio di Endou, rimasto ancora intorno al suo collo. «Certo, è vero che vorremmo partite presto, ma…» iniziò, portando una mano sulla pokèball che aveva assicurato alla cintura. «Senza di te non sarebbe lo stesso, non avrebbe senso. In questa città non c’era l’ombra di un pokèmon quand’eravamo piccoli, ricordi? Sei tu che ci hai convinto ad interessarci a loro seriamente e che ci hai spinti a convincere i nostri genitori!» ricordò, portandosi una mano dietro la testa, massaggiandosi la nuca.
«Ma a voi già piacevano, no?» replicò Endou, interrogativo.
«Sì, ma è merito tuo se adesso abbiamo Max e Axew» ribatté il castano. «A noi piacevano, come hai detto, ma vivendo qui dove nessuno ha più un pokèmon ci aveva… come dire…»
«Demoralizzati» irruppe Someoka, con un grugnito. «Nessuno ne aveva e nemmeno noi. Sinceramente, non li trovavamo più così interessanti… o sbaglio?» chiese conferma lanciando una rapida occhiata ad Handa, che scosse la testa dandogli ragione. «Poi un bel giorno sei arrivato tu e ci è tornata tutta la passione, quindi come puoi chiederci di lasciarti indietro?» borbottò, distogliendo lo sguardo. «Se adesso siamo qui è grazie a te» decretò. Endou aveva seguito attentamente tutto ciò che i due amici gli avevano confessato e spiegato, stupito di se stesso. Era vero, come avrebbero potuto partire separatamente? Se l’erano promesso. “Tutti e tre un pokèmon, tutti e tre in partenza” si erano detti. Abbassò lo sguardo sulle proprie scarpe, muovendo la testa in un cenno d’assenso molto lento, che però si velocizzò in fretta finché non si fermò quando il ragazzo puntò lo sguardo improvvisamente serio dentro quello degli altri due.
«Convincerò mia madre oggi stesso. Non voglio essere di peso a nessuno, oggi avrò il mio primo pokèmon e partiremo! O, male che vada, domani!» dichiarò iniziando a correre verso casa propria, non lasciando nemmeno il tempo agli amici di rispondere qualcosa, come il fatto che nessuno, per esempio, lo considerava un peso, anzi. Entrò fiondandosi in casa spalancando la porta di colpo nemmeno dovesse comunicare l’arrivo degli alieni lì nella loro cittadina e fece per dirigersi spedito in cucina, ma frenò di colpo notando con la coda dell’occhio che i genitori si trovavano in salone. Evitò di perdere l’equilibrio per la frenata improvvisa e balzò attraverso la porta della stanza dove si trovavano i due, sistemati su due cuscini di fronte la televisione. Si voltarono entrambi, l’uomo sorridente e la donna, sconsolata, alzando un dito.
«Mamoru, non c’è bisogno che tu dica nu-» iniziò a dire, ma fu repentinamente bloccata dal figlio.
«No, mamma! Ascoltami un attimo, ti devo parlare seriamente!» disse con tono deciso, ma fu a sua volta interrotto da Atsuko, che alzò la voce e portò il dito ancora più in alto.
«No, ascolta tu, Mamoru! Ti stavo dicendo che non hai bisogno di dire nulla, so che vuoi continuare a chiederci un pokèmon!» sbottò per non far riprendere il ragazzino a blaterare e vedendo che quello aveva finalmente intenzione di rimanere in silenzio ricominciò a parlare, ma con tono calmo. «Prima ho parlato con papà. Poi ho sentito i genitori sia di Ryuugo che di Shin’Ichi… ed ho pensato molto» dichiarò sotto lo sguardo attento e speranzoso più che mai del ragazzo. Iniziò una lunga e silenziosa pausa, durante la quale la donna si guardava le mani dando le spalle a Mamoru, il quale non ne poteva più di aspettare il seguito del discorso. Non capiva dove volesse arrivare; dato il preambolo le opzioni erano due: o acconsentiva a dargli un pokèmon, oppure non gliene avrebbe mai concesso uno. Quelle erano le uniche soluzioni che riusciva a concepire in quel momento. Strinse e rilasciò più volte i pugni, con il cuore in gola, ma il silenzio non sembrava volersi spezzare a meno che non fosse proprio lui a infrangerlo. Aprì la bocca ormai secca per la tensione che sentiva addosso, ma neanche a farlo apposta fu Atsuko a parlare, dicendo solo due misere parole. «Va bene» sentenziò.
E lì, ricadde un silenzio tombale.
La reazione di Mamoru non fu immediata come quella avuta poco tempo prima, quando il padre gli aveva concesso la libera uscita. Al contrario fu dannatamente lenta: dapprima, la bocca socchiusa, sgranò lentamente gli occhi, come si muovesse al rallentatore. Passati quegli attimi di incredulità, iniziò ad elaborare le informazioni ricevute, seppur striminzite, e le recepì; questo fece mutare la sua espressione, portandolo ad allargare, sempre molto lentamente come a soppesare il tutto, le labbra ormai piegate in un sorriso smagliante a trentadue denti. Le strinse più forte che poteva per non iniziare a ridere con euforia e decise, prima di esternare la sua gioia, di volersi accertare di aver inteso alla perfezione quel “va bene”. «Cosa, mamma? Esattamente… cos’è, che va bene?» chiese, cercando di mantenere la voce più ferma possibile. In risposta la donna sospirò e si voltò, mostrando un sorriso piuttosto dolce mentre gli si avvicinava. Lanciò un’ultima occhiata ad un oggetto che teneva nascosto tra le mani e sospirò una seconda volta.
«Va bene, avrai il tuo primo pokèmon, Mamoru» sentenziò, mentre osservava il sorriso già enorme farsi ancor più grande sul suo volto. «Alla condizione» riprese, dura, vedendo che quello stava per saltarle al collo e urlare dalla gioia, «che parti con Handa e Someoka. E che tu stia attento. E che-» fu bloccata da un rapido susseguirsi di “sì” di Mamoru, che l’abbracciò più forte che poteva gridando un a dir poco euforico “grazie”. Il tutto, sotto lo sguardo dolce e sereno del padre, che non si era mosso dal suo cuscino, felice anche solo di poter vedere il figlio così contento. «Tieni» aggiunse solo la donna, liberandosi dal suo abbraccio e porgendogli l’oggetto che teneva in mano: una pokèball rovinata. Endou sgranò gli occhi, afferrandola di colpo e la rigirò per controllarne la parte bianca; le lettere “ED” erano ben visibili.
«Tu… tu lo sapevi, mamma?!» domandò incredulo, indietreggiando di un passo timoroso di uno scatto d’ira della genitrice, che però si limitò ad annuire rassegnata.
«Cos’è, speravi che non me ne accorgessi? Non sei abbastanza furbo da fregare tua madre, tesoro» decretò, mentre il figlio si grattava la testa, fissando l’oggetto non più perfettamente sferico da anni e prendendolo delicatamente in mano. Alzò lo sguardo su Atsuko, che indicò la porta. «Su, cammina! Vai al laboratorio, ristorante o quello che è e fatti dare un pokèmon!» ordinò superiore ed è inutile dire che il castano scattò. Corse come un forsennato – non faceva altro, quel giorno – e ben presto arrivò di fronte alla costruzione più grande della città. Con il cuore a mille e un’espressione gioiosa che ancora non si decideva a lasciare il suo viso si apprestò ad entrare, ma si fermò appena si sentì chiamare alle spalle. Voltandosi notò i suoi due amici che lo guardavano piuttosto perplessi.
«Perché stai entrando nel ris-» prima che Shin’Ichi potesse finire la sua domanda, Endou era già saltato di fronte ai due, afferrando le mani di entrambi e scuotendole con agitazione.
«Sì! Ha detto di sì! Non ci crederete mai! Ha detto di sì!» esultò. Appena collegato il “ha detto di sì” al “chi” e al “cosa”, Handa sgranò gli occhi e sorrise tanto quanto l’altro ragazzo, esultando con lui, mentre Someoka gli dava diverse pacche sulle spalle, soddisfatto della notizia.
«Grandissimo, Endou!» disse, smettendo di percuoterlo. «E quindi? Che pokèmon avrai?» chiese, curioso.
«Eh…» annuì in risposta l’altro, che però poi fece spallucce. «Boh? Stavo proprio entrando per chiederne uno!» spiegò, indicando con il pollice l’edificio dietro di sé. Handa inclinò il capo, allungando l’occhio per guardare bene la costruzione ed inarcò un sopracciglio. Quel posto smerciava pokèmon?
«Scusa, non è un ristorante? Mia madre ha detto che non ci sono pokèmon lì da quando ha smesso di essere un laboratorio. Qualcosa come…» aggrottò le sopracciglia, per aiutarsi a ricordare. «Ah, sì, quarant’anni fa circa» annuì. Il ragazzo senza pokèmon si passò l’indice sotto il naso, dubbioso.
«Dici? Mah, io provo comunque…» bofonchiò. Come si suol dire, “tentar non nuoce”. «Mi accompagnate dentro?» chiese, iniziando ad aprire la porta che aveva raggiunto con pochi passi. Gli altri due si guardarono rapidamente e poi fecero spallucce.
«Perché no?» acconsentì il domadraghi esordiente, avvicinandoglisi seguito a ruota da Handa. Entrando notarono che il ristorante non brulicava di gente, al contrario. Al suo interno si trovavano giusto un paio di clienti e il cuoco ai fornelli, che non li degnò di uno sguardo. Aveva l’aria decisamente burbera, sotto quei suoi occhiali tondi da sole e le folte sopracciglia bianche che teneva aggrottate mentre affettava le cipolle.
«Ci scusi… potrebbe aiutarci?» domandò Endou, accostandosi al bancone. Era tutta una vita che abitavano lì, eppure nessuno dei tre aveva mai messo piede in quel ristorante. Il cuoco non diede una risposta immediata, ma dopo qualche istante, senza voltarsi a guardarlo, gli domandò cosa potesse fare per lui. Quello sorrise e si sporse sul bancone. «Ecco, questo un tempo era un laboratorio pokèmon, giusto? Mi chiedevo se potesse darmi un pokèmon per partire per l’avventura!» dichiarò entusiasta, ma il cuoco non parve dargli ascolto.
«Ti sei risposto da solo. Questo era un laboratorio. Come puoi vedere, adesso non lo è più» replicò apatico dopo un paio di minuti. Quella risposta deluse il ragazzo, che però non volle demordere.
«Beh, ma qualche vecchio pokèmon sarà anche rimasto, no? Mica li avrete buttati o che so io!» tentò, ma l’altro scosse la testa, voltandosi seccato.
«Ragazzo, qui c’erano pokèmon quarant’anni fa. Se non vuoi mangiare niente, sei pregato di andartene insieme ai tuoi amichetti» sbuffò, ammiccando all’uscita. Fece per rigirarsi, ma la sua attenzione fu catturata dalla pokèball che Endou si apprestò a tirare fuori dalla tasca, fissandola imbronciato. Sgranò gli occhi.
«Ma senza pokèmon non posso andare sulla Route 1!» si lamentò. Shin’Ichi inclinò la testa, osservando poco convinto l’oggetto, dandogli un colpetto con il dito indice.
«Endou… Cosa..? Con questa faresti ben poco, basta un Bidoof che te la frantuma…» commentò, sentendosi rispondere che al contrario era perfettamente resistente perché in passato aveva tenuto al suo interno chissà quale dei sei migliori pokèmon di suo nonno.
«Mah, se sei contento… basta che regga» si unì Someoka, scettico quanto Handa.
«Ragazzo» li interruppe il cuoco, lasciando i fornelli e spostandosi di fronte a loro, seppur dalla parte opposta del bancone. «Posso?» domandò afferrando la sfera con la sua manona. La rimirò per diversi istanti a bocca aperta e poi, con un’espressione indecifrabile la porse nuovamente al giovane. «Devo dedurre, da questa sfera e dal tuo discorso di prima che sei il nipote di Daisuke?» domandò, facendo sobbalzare Endou, che annuì con veemenza.
«Conosci mio nonno?!» domandò incredulo, mentre Handa lo rimproverava di dargli del lei, anche se al cuoco parve non importare. «Quindi sapresti dirmi anche che pokèmon conteneva questa sfera?!» chiese, forse con troppa foga perché l’anziano gli premette la mano in testa, con forza.
«Vedi di darti una calmata» l’ammonì. «Comunque, ho visto che è quella marcata “ED”, quindi era quella contenente il suo pokèmon preferito e compagno più fidato» annuì. Ad ogni parola gli occhi di Endou brillavano sempre più.
«Quindi… puoi dirmi che pokèmon era?!» insistette, ma venne ignorato. Il signore di grattò il mento sotto la spessa barba e rimuginò diversi minuti, osservando il soffitto. Quando spostò nuovamente lo sguardo sul ragazzo gli spuntò un mezzo sorriso in viso.
«Tu sei sicuro di volere un pokèmon, eh?» domandò. In risposta non ottenne alcun “sì” ben scandito vocalmente, ma il cenno di conferma di Mamoru, accompagnato dalla serietà che in quel momento aveva preso possesso del suo sguardo, gli furono più che sufficienti. Osservò i due ragazzi rimasti in silenzio, da dopo la conversazione sulla pokèball ammaccata. «E voi? Avete già un vostro pokèmon?». Entrambi annuirono.
«Un Eevee» confermò Shin’Ichi.
«E io un Axew» concluse Ryuugo.
«Però. Accoppiata interessante…». L’uomo tornò con gli occhi sul nipote di Daisuke. «E tu? Ti va bene uno starter qualsiasi oppure ne vuoi uno classico di tipo fuoco, erba o acqua?»
«Non ho preferenze sul tipo… Per quanto mi riguarda, andrebbe bene anche un Pidove» ammise, facendo spallucce. Lui amava i pokèmon in generale, perché in ognuno sapeva trovare i pregi e non vedere solo i difetti. «Perché? Stai dicendo che quindi nello sgabuzzino o non so dove hai dei pokèmon?!» esultò, convinto di poter finalmente ricevere il tanto agognato mostriciattolo, ma il barbuto scosse la testa.
«Mi spiace deluderti, ma qui dietro, nello “sgabuzzino”, come lo chiami tu, son rimasti solo i macchinari. Niente pokèmon» spiegò, asciugandosi le mani sul proprio grembiule. Afferrò il suo telefono e borbottò qualcosa su come quei macchinari ormai sarebbero dovuti essere arrugginiti e quindi inutilizzabili, mentre componeva un numero. Quando si portò il telefono all’orecchio Mamoru fece per domandare qualcosa, ma fu fermato dall’uomo con un gesto della mano che l’intimava a stare in silenzio. «Onigawara? Sono Hibiki… Sì, non ci sentiamo da un po’…» parlò, annuendo. «Non ci crederai mai, ma ho qui il nipote di Daisuke. Già. Già. Sì, come no. Ascolta, non è che potresti mandarmi quello? Sì. Sì. Esatto, sempre qui. D’accordo allora, ti ringrazio, ci si sente» concluse ed attaccò. «Ragazzo… Se hai la pazienza di aspettare un giorno o due, arriverà qui il pokèmon perfetto per te» spiegò. «Rispetto molto tuo nonno, ragazzo, quindi sono proprio curioso di vedere che traguardi raggiungerai…» ammise con un mezzo sorriso, ma il ragazzo ricambiò facendone uno intero e smagliante.
«Ovviamente diventerò un allenatore eccellente come lui! Non ci sono dubbi!» affermò con convinzione. L’uomo inarcò un sopracciglio e non trattenne una sonora risata.
«D’accordo, staremo a vedere» annuì, riavvicinandosi ai fornelli. «Adesso però, se non volete mangiare, sparite, altrimenti vi butto fuori io a calci» ordinò, burbero come l’orso quale sembrava e i tre eseguirono immediatamente, correndo fuori dal locale vagamente spaventati. Si fermarono appena sentirono la porta chiudersi e sospirarono.
«Allora, sei contento? Presto avrai il tuo primo pokèmon!» gli diede un pugnetto sulla spalla il ragazzo dalla boccia rosa, soddisfatto per la notizia data all’amico, che però non sembrava appagato appieno.
«Non mi va di aspettare tanto… E poi, finché non avrò un pokèmon mamma non mi permetterà mai nemmeno di avvicinarmi all’erba della Route 1!» borbottò, picchiettandosi con il dito indice sul mento.
«Beh, c’è poco da fare… Per un giorno o due non moriremo…» disse Handa con nonchalance, facendo per andarsene. «Adesso io devo andare, ma ci vediamo… non so, o stasera o direttamente domani, ci si vede!» salutò, incamminandosi poi verso casa sua con le mani portate dietro la nuca. Gli fu concesso di muovere solo pochi passi, perché ben presto Endou gli fu dietro, afferrandolo per il colletto.
«Aspettate. Mi è appena venuta un’idea…» sorrise il castano, trascinando Shin’Ichi al punto di partenza. «Mia madre ha detto che avrei avuto il mio pokèmon, adesso, giusto? Eppure, non ha specificato come…» iniziò, venendo interrotto da un sospiro del ragazzo dagli occhi marroni.
«Sei sicuro? Non mi sembra una donna che parli in modo “vago”…» bofonchiò, ma venne ignorato agitando una mano all’aria, come a sottolineare che non era un problema.
«Anche se fosse, non ha importanza» disse semplicemente. «Il punto è che io, a differenza vostra, ho una pokèball vuota!» dichiarò prendendola in mano, ma gli altri non capirono. Sapevano che aveva quella… cosa, dato che al ristorante l’aveva mostrata tutto fiero. «Potremmo fare un salto rapido nell’erba laggiù» disse indicando il percorso visibile anche da lì, «e io tirerei la sfera al primo pokèmon che incontriamo, tanto qui son tutti debolissimi. Fosse anche un Pidove, non mi lamenterei!» affermò, suscitando una risatina di Handa.
«E due. Cos’è, un messaggio implicito per dirci che vuoi un Pidove?» scosse la testa.
«Per me si può fare» acconsentì Ryuugo, stringendo una mano a pugno. «E poi se il pokèmon non dovesse entrare subito nella sfera, noi potremmo tramortirlo con Eevee e Axew, così faremmo anche un incontro di prova!» propose, tirando fuori la sfera contenente il piccolo draghetto. Endou batté le mani contento dell’idea e rivolse lo sguardo all’ultimo ragazzo rimasto calmo, che li guardava scettico. Storse le labbra, ma poi le piegò in un sorriso, annuendo. Essendo tutti e tre convinti e abbastanza carichi, si diressero a passo svelto e deciso verso il percorso erboso, con il cuore a mille. Era vero che non vi si potevano trovare pokèmon diversi da Rattata, Bidoof o chi per loro, ma se si voleva partire per l’avventura, bisognava per forza percorrere quella strada e nonostante loro non stessero partendo sul serio, l’emozione era grande. I genitori gli avevano sempre proibito di avvicinarsi a quell’erba, ma ora eccoli lì, pronti a catturare un pokèmon. Handa e Someoka fecero uscire i rispettivi compagni dalle sfere, per precauzione, ed aprirono la strada all’amico senza pokèmon, che camminava tranquillo e guardingo, sperando di trovare presto un qualsiasi mostriciattolo. Quella speranza fu presto accolta, poiché l’attenzione dei tre ragazzi e dei due pokèmon fu catturata da un rumore alla loro destra. Si voltarono tutti di scatto e videro apparire un piccolo topo viola, che annusava l’aria, attento ad ogni loro movimento.
«Eccolo! Lui sarà il mio primo pokèmon!» esultò Endou, additandolo.
«…no, sul serio vuoi un Rattata?» chiese dubbioso il ragazzo dalla pelle più scura.
«Rattata sarà quel è, ma i Raticate sono forti…» brontolò Shin’Ichi, ricordandosi della discussione avuta poche ore prima sul tipo dei pokèmon.
«Certo che lo voglio!» rispose il futuro neo allenatore, non badando ai toni degli amici. «Adesso lancio la sfera, se il Rattata esce… beh, mi affido a voi!» ridacchiò, voltandosi un istante per guardare sorridente i due ragazzi alle sue spalle, ma tornando subito con lo sguardo al topino viola. Era il momento. Con il cuore a mille si apprestò a lanciare la sfera ammaccata che colpì in pieno il Rattata, il quale, invece che esserne risucchiato, fece un salto all’indietro spaventato. Rimase all’erta per decidere se fosse meglio fuggire o attaccare quegli umani.
«…scusa, anche se poi si fosse liberato…» iniziò Handa.
«…la sfera non avrebbe dovuto risucchiarlo, per qualche secondo?» concluse Someoka.
Endou non seppe che rispondere, andando a raccogliere l’oggetto rimasto a terra. Era evidentemente deluso: non poteva credere che la sfera di suo nonno non funzionasse. Che Handa avesse ragione e non fosse più utilizzabile? Al pensiero sentì un groppo in gola, ma prima che potesse toccare la pokèball per tirarla via dal suolo, quella vibrò qualche istante e si aprì, liberando un fascio rosso che si modellò sulla forma di un pokèmon più grande sia di Axew che di Max. i tre ragazzi sgranarono gli occhi.
«La sfera..!» boccheggiò il padrone dell’Eevee.
«Conteneva un pokèmon..?!» sobbalzò il compagno di Axew.
«Quindi non è vero che non funzionava!» gioì il nipote di Daisuke, mente gli occhi brillavano per l’eccitazione. Eccolo, il fascio di luce iniziò a svanire e ben presto mostrò nella sua interezza quello che dal padrone del ristorante era stato definito il pokèmon preferito di Endou Daisuke, un enorme ragno giallo e blu. «Questo è… un Galvantula..?»


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FUUUUUUUUUUUH. Scrivere fic sui pokèmon è un'agonia, per me @_____@ Eppure,e cco qua il primo vero capitolo (?) della mia pokèzuma *esausta*. L'avrei postato prima, ma tra l'ask di tumblr, commissioni, fic su kakuryuu e tsurugi dovute alla visione del film e fic su Handa... e il terzo capitolo di "A year after"... (stasera le posterò entrambe ma chissene imposta) non ho avuto tempo- O meglio, avevo scritto quattro pagine del primo capitolo, dopo il proglogo! Poi ne ho scritta un'altra e mezza. E ora ho finito, con un totale di nove pagine scritte piccole, ma vabbè. Spero solo ch enon vi annoi..! D:
Allooooora, la scelta di un Galvantula ha un senso, nella mia capoccia bacata, quindi... se serve, lo spiegherò, ma adesso, per non allungare troppo il brodo, voglio solo dire che i titoli dei vari capitoli saranno tutti i "goal" di Endou e compagni (parola scelta perché la fic andrà avanti per "obbiettivi", ossia i goal, come ben saprete. Che poi ci sia un riferimento al calcio è pura casualità [citazione necessaria]) e quindi spesso avranno a che fare con gli obbiettivi da allenatore, oppure, più semplicemente le città. ...e a tal proposito. So che Raimon City (e future) è un nome stupido, ma... Raimontopoli non l'avrei mai usato. Così come per le altre città/squadre. pls. ...ok, siccome sto letterlmente morendo dal caldo, mi do allegramente :°D Spero solo che questo capitolo - dove ancora non accade nulla, se non l'arrivo del primo pokèmon di Endou - non abbia annoiato nessuno e vogliate continuare a leggere! ><

Ryka

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Capitolo 3
*** Goal #2_A Bag Full of Objects ***


Goal #2_A Bag Full of Objects
«Questo è… un Galvantula..?»

Non poteva essere vero. Insomma, dalla pokèball di suo nonno – vecchia e logora come poche cose al mondo – era uscito un enorme, maestoso Galvantula.  Tutti e tre i ragazzi erano rimasti con le bocche e gli occhi spalancati, increduli di fronte alla creatura gialla che, guardinga, ispezionava i dintorni con lo sguardo, attento.  Si guardarono, sbigottiti, senza dire nulla dato lo stupore generale; Endou fu il primo a riprendersi dalla meraviglia e spostò lo sguardo sulla sfera che stringeva tra le mani, tremanti per l’eccitazione. «M-ma è uscito da qui?» chiese voltandosi verso gli amici ed indicandogli la sfera. Handa annuì.
«Scusa… da quanti anni… hai detto di averla?» chiese. «Quella sfera, intendo» indicò l’oggetto a sua volta. Il ragazzo con la fascia arancione fece un rapido calcolo muovendo le dita della mano per accompagnare il conto mentale senza aver davvero bisogno di farlo.
«Eh. Beh, o-otto» sorrise ebete, ancora incredulo e lo stesso fece l’amico di rimando.
«Ma sei scemo o cosa?!» sbottò invece Someoka. «Otto anni! Dico, sono otto anni che hai quella sfera e ti accorgi solo ora che aveva un pokèmon al suo interno!?» sbraitò, più sorpreso di quel fatto piuttosto che dell’apparizione della creatura in sé. «Otto anni!» ripeté.
«Ma scusa! Hai visto anche tu in che condizioni era, come potevo pensare che ci fosse ancora qualcuno dentro!» si difese il castano inarcando le sopracciglia.
«Sì, ma se io, ragazzino, avessi trovato una vecchia pokèball, la prima cosa che avrei fatto sarebbe stata tirarla! Vedere se effettivamente era o no vuota!» continuò il ragazzo dai capelli rosa.
«Beh, Someoka non ha tutti i torti eh…» intervenne Handa, ravvivandosi la folta chioma castana.
«Vabbè ho sbagliato, scusate!» scoppiò il ragazzino con la sfera in mano, deciso a porre fine a tutte le discussioni al riguardo. Imbronciato, spostò lo sguardo sul grande pokèmon giallo e ritrovò istantaneamente il sorriso, squadrandolo per benino: sembrava un esemplare in perfetta forma nonostante l’età che avrebbe dovuto avere, dal pelo lucido e gli occhi blu estremamente vispi mentre scrutavano i movimenti del rattata rimasto paralizzato dal terrore. Appena quello fuggì, il ragno si voltò guardingo verso Handa e Someoka, muovendo le due appendici gialle che aveva di fronte al muso per analizzare l’aria e il luogo circostante a lui poco familiari. Quando si sentì chiamare a gran voce dal un terzo ragazzo si voltò ancora e sembrò quasi rimanere stupito; infatti sobbalzò facendo un piccolo saltino all’indietro e fece vibrare l’addome per qualche istante, mentre inquadrava al meglio quel tipetto dal viso così simile a quello del suo precedente allenatore. Rimase all’erta sull’attenti per qualche istante ed Endou, dopo una rapida occhiata scambiata con gli amici, fece per avvicinarsi, ma il pokèmon materializzò una palla carica d’elettricità di fronte a sé e la scaraventò ai piedi dell’umano, facendolo cadere all’indietro. «Aspetta, che fai?!» gridò, vagamente spaventato.
«Era un’Energisfera quella?!» chiese allarmato il secondo castano, correndo accanto all’amico a terra senza staccare gli occhi dal pokèmon per evitare un eventuale secondo attacco. Mentre lo faceva rialzare, Someoka si portò una mano alla cintura afferrando la propria pokèball.
«Bene, se è la lotta che vuole, direi di accontentarlo!» ringhiò, ma prima che potesse far uscire il suo Axew la voce di Endou s’impose su ogni rumore lì presente, così da attirare tutta l’attenzione su di sé.
«Non devi attaccarlo!» urlò. «Non voglio che pensi che siamo suoi nemici! Se avesse voluto farci male avrebbe continuato ad attaccare, no? Invece si limita a fissarci…» fece notare, indicandolo. «Forse, semplicemente non vuole che mi avvicini. È anche normale, non mi conosce…» ridacchiò.
«Senza contare che Axew è praticamente appena nato, mentre lui, essendo un Galvantula dovrebbe già essere ad un livello abbastanza alto. Se poi consideriamo che era il pokèmon più forte del nonno di Endou…» lo fece ragionare Shin’Ichi, portandosi una mano al fianco. Il rosato tendeva a scaldarsi troppo in fretta per un nonnulla e finché si trattava di “liti” tra amici era un conto, ma se si trattava di una lotta era tutto un altro paio di maniche. Specie perché avevano letto diversi libri su quei mostriciattoli e da quel che avevano imparato sapevano che quelli si evolvevano una volta raggiunto un certo livello; i Joltik ad esempio diventavano Galvantula al trentasei e quindi anche solo per quello era decisamente troppo per la loro portata. «Comunque… che devi fare?» gli chiese, ammiccando al ragno e l’altro fece spallucce. Mamoru fece per muovere un passo in avanti come prova, ma vedendo che la creatura alzava l’addome come se volesse sferrare un altro attacco riportò indietro il piede, fissandolo.
«Hai paura di me? O non ti fidi?» domandò, ma non ottenne alcuna risposta. «Eri tu il pokèmon più forte di Endou Daisuke, vero?» continuò e sentendo quel nome il Galvantula sobbalzò una seconda volta, per poi tornare rigido e immobile. «Sappi che io sono suo nipote! Siamo parenti!» gli spiegò e quello mosse le zampe, indeciso sul da farsi. Certo, era innegabile che fosse tale e quale al suo allenatore, ma non se la sentiva di dargli fiducia. Non ancora. Si fece più alto possibile distendendo al meglio le zampe e si girò più volte su se stesso, come se avesse iniziato a cercare qualcosa, o forse qualcuno. «Ecco… se cerchi nonno…» iniziò a dire Endou, grattandosi la testa. «Purtroppo non c’è più…» l’informò con tono triste. A quella parole il ragno si bloccò di colpo e non diede più cenni di vita fino a qualche minuto più tardi. Guardò i tre ragazzi e poi sembrò rilassarsi, anche se apparve piuttosto rattristato dalla notizia. Per la prima volta da quand’era uscito dalla sua sfera emise il suo verso, come se volesse domandare qualcosa al ragazzetto con la fascia arancione, ma quello non capì. «Posso avvicinarmi?» chiese prima di tutto, ma vedendo che il pokèmon tornava ad irrigidirsi decise di evitare. «Allora… Io non capisco quel che dici, ma so che prima o poi sarò in grado di farlo. Questo, però, solo se me lo permetterai…» gli disse, tendendogli una mano e sorridendogli. La creatura voltò leggermente il corpo, scocciata dalla sfacciataggine che quel tipino le rivolgeva. «Lo so, lo so. Nonno era un allenatore formidabile, tu sei abituato al meglio… Ma mi dimostrerò degno di lui! Non so se sarò alla sua altezza, ma posso assicurarti che mi impegnerò al massimo per esserlo. Siccome rimani comunque un suo pokèmon, a mio avviso, non voglio forzarti a viaggiare con me, ma… ci terrei davvero se tu accettassi di farti allenare da me» espose, ancora sorridente ma serio. «Che ne dici?» chiese infine, speranzoso. Terminato il suo discorso era calato il silenzio, in quanto i due umani con lui non avevano intenzione di parlare e quindi disturbare la “trattativa” tra i due, mentre il ragno stava seriamente riflettendo all’idea di poter diventare il pokèmon del nipote di Endou Daisuke. Perché quel ragazzino, anche se non aveva l’aria troppo sveglia, aveva detto una cosa sacrosanta.
Lui era il pokèmon di Endou Daisuke.
Era il suo migliore amico.
Era di Daisuke e nessun altro.
Per essere allenato da qualcuno al di fuori del suo amatissimo allenatore non bastava essere un suo parente. Su quello era sicuro, eppure… Il suo istinto gli diceva che poteva fidarsi, che quel ragazzino non era così simile a lui solo nell’aspetto. Tastò la terra un paio di volte con le zampe e disse qualcosa che risultò nuovamente incomprensibile ai tre umani, per poi emettere un filo di tela che lanciò verso la sua pokèball, tirandola infine a sé in modo da colpirsi in testa. Mentre veniva avvolto dal fascio di luce rossa lo si vide annuire, per poi sparire all’interno della sfera. E ricadde il silenzio.
«Non ho capito… ti ha detto sì?» chiese sbigottito Someoka, raggiungendo i due amici altrettanto sbalorditi.
«Io l’ho visto annuire… Ma magari l’ho immaginato per l’emozione? Non saprei…» si grattò il naso Endou.
«Veramente è sembrato anche a me che lo facesse…» confermò Handa.
«Idem!» aggiunse poi il rosato, annuendo.
«Ah…» si morse il labbro il castano. «E così, non l’ho immaginato…» si ripeté più per autoconvincersene che altro. «Lo ha fatto… davvero…» continuò mentre la pressione sul suo labbro si faceva più forte e gli angoli della bocca gli si alzavano addirittura più del normale senza che se ne rendesse conto. Quando iniziò a sentire del dolore a causa del morso saltò euforico, abbracciando gli amici. «Non è un sogno! Ho un pokèmon! Ho davvero il mio primo pokèmon!» gridò entusiasta.
«Endou, è magnifico!» risero con lui gli amici, condividendo la sua stessa gioia ed andarono a raccogliergli la pokèball di Galvantula, per poi porgergliela con un sorriso a trentadue denti.
«Sapete questo che significa..?» chiese il neo allenatore riprendendosi la sfera e tremendo per l’eccitazione.
«Che questa è la nostra ultima notte a Raimon City…» iniziò Handa, fremendo come il compagno.
«…e domani si parte per la nostra avventura!» saltò Someoka, concludendo la frase di Shin’Ichi. «Endou, tu corri subito ad avvertire tua madre e fare le valigie. Handa, anche noi dobbiamo sbrigarci a farle e mi raccomando… a letto presto!» ordinò, iniziando a correre verso casa propria.
«Scherzi? Io ci vado subito dopo cena, domani mattina voglio partire prestissimo!» concordò Handa, imitandolo.
«Perché, voi due riuscirete a dormire?! Io no di certo!» rise Endou, facendo lo stesso.
«A domani! Puntuali!» si dissero infine all’unisono e non ci volle molto perché ognuno sparisse dietro l’uscio della propria abitazione.
 
«Avremo fatto bene? Dico, a dargli il permesso di partire…» domandò Atsuko massaggiandosi la fronte con tre dita di una mano, mentre cercava di scacciare la preoccupazione che le impediva di bere il caffè nella tazzina poggiata sul tavolo di fronte a lei. «Sei sicuro che sia la cosa giusta..?» continuò, poggiando entrambi gli avambracci al mobile, puntando gli occhi dritti in quelli del marito che le sorrise pacato.
«Amore, sai come la penso. Se lo chiedi a me, sì, ti risponderò sempre che abbiamo fatto bene ed è la cosa giusta» le disse, abbassando il giornale che stava leggendo.
«Ma ha tredici anni… E anche i suoi amici. Non ci saranno adulti con loro… La cosa non ti preoccupa nemmeno un po’?» insistette, mettendo dello zucchero nella sua tazzina e girandolo, nervosa.
«Certo, ma so che alcuni partono anche prima. Guarda tuo padre: da quel che mi hai detto, è partito che era più piccolo di loro, o sbaglio?» domandò, ricevendo un pugno sul tavolo come risposta.
«Quello è l’esempio peggiore che potessi fare! E poi sbagli, è partito alla loro stessa età!» sbottò la donna, aggiungendo altro zucchero e prendendo a girare con talmente tanta foga che rischiava di far volare via il caffè.
«Scusami, hai ragione… Comunque, non dobbiamo preoccuparci, Atsuko» ribadì, osservando i movimenti della donna. «E avevi già messo lo zucchero» l’avvertì.
«Sai cosa? Io non conosco bene i pokèmon di mio padre, ma quel Galvantula non mi convince…» disse. Ad ogni frase ripeteva il gesto di aggiungere zucchero e mescolare, che ormai le veniva automatico.
«Perché? Ieri quando gli hai chiesto di fartelo vedere, Mamoru l’ha tirato fuori dalla sfera e se n’è stato buono buono fermo in angolo, no?» ricordò, posando del tutto il giornale ed indicandole il contenitore dello zucchero arrivato a metà da pieno che era. «Atsuko, fermati…» le disse ancora, venendo ignorato.
«Vero. Io lo conosco quel Galvantula da quand’ero piccola, anche se allora era solo un Joltik. Mi ricordo che era, così come gli altri suoi cinque pokèmon, uno scalmanato, un pazzo. Ok che a quel tempo era appena uscito dall’uovo, ma… Se gli facesse male?!» chiese, seriamente allarmata all’idea.
«Noi invecchiamo, i pokèmon si evolvono. In entrambi i casi, andando avanti con l’età – e con il livello per loro, suppongo – si matura. Quindi anche se da Joltik era vivace, adesso hai visto anche tu che si è calmato, quindi stai tranquilla, ok?» le disse, dolce.
«Ok, ma… Ma…» balbettò, finendo di versare nel caffè che non era più tale l’intero contenuto della vaschetta dello zucchero. Prese un bel respiro e si calmò. «Quel Galvantula è un buon pokèmon, vero..?» cercò la conferma riguardando il marito, che annuì con un sorriso. Ciò servì a calmarla del tutto. «Hai ragione, scusa la scenata… è che lo sai, è il nostro unico bambino…» incassò la testa tra le spalle, vagamente imbarazzata. «Comunque, con lui c’è Handa, che è un ragazzo con la testa sulle spalle… Mentre Someoka, con quell’aria truce terrà lontani tutti i malviventi… Mi sento più tranquilla, ora…» sospirò. «A proposito, non dovrebbe già essere uscito? Bevo questo caffè e corro a svegliarlo, che altrimenti non fa in tempo» si alzò dalla sedia, portando la tazzina colma di zucchero e un goccio di caffè alla bocca.
«…non so se sia carino quello che hai detto nei confronti di Someoka…» ridacchiò l’uomo, per poi sgranare gli occhi vedendo l’oggetto che si avvicinava sempre di più alle labbra della moglie. «Non ber-»
«Mamma, papà! Io vado!» gridò Mamoru spuntando all’improvviso sulla porta della cucina bloccando e facendo sobbalzare il padre, mentre la madre sputò rapida il liquido appena ingerito. «Mamma, scusami… Ti ho spaventata?» domandò dispiaciuto, entrando nella stanza.
«Macché spaventata» si sbrigò a dire con tono disgustato mentre si portava una mano alla bocca e con l’altra posava repentinamente la tazza sul tavolo. Sarebbe andata subito a svuotarla nel lavandino, ma prima prese dei tovaglioli ed asciugò il mobile. «Stamattina è venuto imbevibile. Mi sa che la macchinetta ha qualcosa che non va…» sospirò, scuotendo la testa.
«Io ti avevo avvertita, tesoro…» le disse l’uomo, che poi si voltò verso il figlio. «Allora? Pronto?» chiese ed il piccolo annuì con foga ed il suo solito sorriso.
«Certamente! Solo che sono già in ritardo, quindi vi saluto qui e raggiungo gli altri!» corse accanto alla madre e le diede un bacio sulla guancia con tanto di schiocco, cosa che poi fece anche con il padre. Gli mostrò un ultimo sorriso smagliante e poi saettò verso l’ingresso, venendo però bloccato quando aprì la porta.
«Aspetta, tesoro!» chiamò la madre, rincorrendolo. Con più calma li raggiunse anche il padre, annuendo allo sguardo interrogativo del figlio. «Prima che andiate… Sappi che ci siamo messi d’accordo con i genitori di Shin’Ichi e Ryuugo. Non potete partire così, senza niente, quindi abbiamo provveduto noi» gli disse, facendo cenno al marito di andare a prendere qualcosa nella stanza accanto.
«”Senza niente” cosa? Abbiamo i ricambi, un po’ di soldi, un pokèmon… Il necessario» fece spallucce il più piccolo provocando un sospiro nella donna. Prima di rispondere, quella aspettò il ritorno del compagno che arrivò in pochi minuti, porgendole un sacchetto.
«Con un pokèmon non si va poi così lontano, o sbaglio?» domandò retorica, ma il figlio rispose comunque con un “dipende”, che però venne ignorato. «Allora, ti abbiamo comprato cinque pokèball, tanto per cominciare. E poi… Non potendo comprare tutto, noi sei genitori abbiamo deciso di “spartire” tra di voi gli oggetti utili in questi tipi di viaggi» iniziò a spiegare. «Ognuno di voi avrà un suo pokèdex, perché dovete conoscere i pokèmon, altrimenti rischiate» disse con tono duro mentre il figlio roteava gli occhi annuendo abituato alla solfa della pericolosità di quelle creature. «Poi… Non ricordo il nome degli strumenti di Ryuugo e Shin’Ichi, quindi dovrai farteli dire da loro. Per te, invece, abbiamo preso un PokèKron!» sorrise. Non aveva idea di cosa fosse, ma doveva avere una sua utilità, per qualcosa… no? «E poi dentro c’è anche un bigliettino che dovrai dare a Shin’Ichi…» aggiunse. Mamoru osservò la madre sbalordito, correndo a prendere il sacco che la donna gli stava porgendo da qualche secondo.
«Un PokèKron?! Sul serio?!» esultò. Era uno strumento fatto principalmente per passare il tempo a suo avviso, ma preferiva decisamente oggetti così, semplici, piuttosto che chissà qualche ultima meraviglia della tecnologia. «Grazie mille!» li abbracciò pimpante. «Ma quando li avete..?»
«Beh… Sarà presto per i tuoi standard, ma in realtà son già le dieci e mezza. Stamattina sono uscito e…» informò il padre, accarezzandogli la testa sorridente.
«Forza…» sospirò la donna, ricambiando l’abbraccio e ridacchiando un minimo. «Non dicevi di essere già in ritardo?» incalzò, indicandogli la porta rimasta aperta. Il giovane si girò per osservare l’uscio e poi annuì, sorridente. Salutò  un’altra volta accompagnando il tutto da un secondo abbraccio e schizzò fuori dalla casa.
Corse più forte che poteva, infilando alla buona il sacco appena preso nella borsa – ci avrebbe pensato più tardi a sistemare tutto al meglio – e raggiunse il luogo d’incontro dove però trovò solo Someoka, evidentemente scocciato. «Endou, alla buon’ora!» ringhiò, battendo velocemente il piede per terra più volte, scocciato.
«S-sì, scusami…» ridacchiò grattandosi la testa, per poi guardarsi intorno leggermente confuso. «Aspetta… E Handa?» chiese non vedendolo in giro nonostante di solito fosse estremamente puntuale.
«Appunto!» sbottò ancora il rosato. «Non c’è nemmeno lui! E dire che ci eravamo raccomandati tutti e tre di essere puntuali!» schioccò la lingua, tirando un calcio all’aria.
«Endou! Someoka!» chiamò a gran voce l’ultimo arrivato, smettendo di correre appena i due entrarono nel suo campo visivo. «Scusate il ritardo… Sarei arrivato puntuale, ma i miei mi hanno caricato di strumenti…» disse, raggiungendoli con calma, per riprendere fiato.
«Almeno abbi la decenza di continuare a correre finché non arrivi qui!» lo rimproverò Someoka, mentre il castano gli diceva di non preoccuparsi perché anche lui era appena arrivato. «Piuttosto, quanti strumenti possono averti dato, per averti fatto tardare così?» sbuffò, avvicinandoglisi.
«Beh… Un pokèdex, ma questo suppongo già lo sappiate…» alzò l’indice mentre lo diceva, come per contare il numero uno. «Poi, a me è spettato l’InterPokè…» informò, alzandosi la manica sinistra che nascondeva l’oggetto così simile ad un orologio digitale. Subito dopo afferrò la sua borsa con un sospiro e l’aprì, piegandola verso i due amici in modo da farne vedere il contenuto: una pietra focaia, una idrica, una tuono, per poi passare a quella brillo, una neropietra, una pietrastante, una lunare ed una solare. «Hanno insistito affinché le portassi con me… Sapete, per Max» fece spallucce. In realtà solo le prime tre o male che andava la pietrastante sarebbero servite per l’Eevee, ma le altre pietre potevano risultare utili dopo altre catture.
«Ti perdono se ce le presti, in caso» tamburellò con le dita sul braccio il ragazzo più alto, mentre il compagno annuiva tranquillo richiudendo la borsa.
«Certo, se vi servono ve le do» disse tranquillo; sottointeso “altrimenti giù le mani”. Prima che potesse andare avanti, la conversazione fu bloccata dal ragazzo in fascia arancione, che afferrò le mani dei due amici e li trascinò verso la Route 1 con forza ed entusiasmo. Appena vide che i due avevano preso a camminare, Endou iniziò a correre, precedendoli senza curarsi se effettivamente gli stessero dietro o meno, girandosi solo di tanto in tanto per controllare. Andò avanti così, mentre gli amici ridevano indicandolo, divertiti dall’euforia quasi bambinesca del compagno. Solo quando quello si decise a fermarsi e poi riprendere a camminare a passo normale, riuscirono ad intavolare seriamente un discorso.
«Certo che è strano. Ieri ero tutto contento di partire, ero eccitatissimo, ma… Credo fosse per l’influenza di Endou, sapete?» chiese retorico Shin’Ichi, alzando lo sguardo verso un punto indefinito.
«Non capisco, che intendi?» interrogò allora Someoka, inclinando il capo di lato.
«Intendo che… non lo so, d’un tratto mi è passata la voglia di viaggiare…» si massaggiò la fronte. «Adesso sapete quante cose dobbiamo fare? A parte l’andare in giro, dico…» borbottò.
«Beh, dobbiamo comprarci un portamedaglie» disse ovvio Endou, facendo spallucce. «Poi qualcosa per i pokèmon, tipo pozioni, accessori utili in battaglia… cibo…» elencò tranquillo, portandosi le mani dietro alla nuca. In quel momento Ryuugo si bloccò di colpo, sbiancando.
«Ecco appunto, vedi? Che poi non è mica detto che tutti vogliamo battere le palestre…» sospirò Handa prima di fermarsi a sua volta per vedere cosa non andasse nel compagno di viaggio.
«Fermi tutti. Io non so cucinare per gli umani, figuriamoci per i pokèmon!» disse, vagamente allarmato. Ripeté la frase accompagnato dal grido concorde di Mamoru, che lo strattonò per un braccio. Lui non era preoccupato tanto per se stesso quanto per il suo Galvantula. Era il pokèmon di suo nonno, non poteva farlo morire di fame, povera creatura! Il secondo castano alzò una mano sconsolato.
«Io in cucina me la cavo… Se ci fermiamo a comprare un libro che spiega come cucinare anche per i pokèmon, posso provare a provvedere anche a loro, ma non assicuro nulla. Più che altro, non vedo altra scelta» bofonchiò. «Solo, non aspettatevi che faccia piatti diversi a seconda del tipo!» sottolineò, serio. Del resto aveva detto che se la cavicchiava, non che fosse chissà quale grande chef.
«Tanto andrà a finire che ci prendi gusto e lo farai» rise Endou, dandogli una pacca sulla spalla. «Piuttosto!» gridò poi, facendo sobbalzare entrambi mentre iniziava a frugare nel sacco all’interno della sua borsa senza estrarlo da lì e quindi con non poche difficoltà. «Mamma ha detto che dovevo darti… qualcosa…» biascicò senza interrompere la ricerca. Quando con la mano arrivò a toccare un foglietto di cui non riconosceva la forma l’estrasse con rapidità alzandolo come se avesse appena sfilato Excalibur dalla leggendaria roccia, mostrandolo con un sorriso trionfante. «Ecco a te!» glielo porse e l’altro lo prese con non poca confusione.
«Perché tua madre dovrebbe dare un bigliettino a me?» chiese lanciando un’occhiata dubbiosa all’amico mentre iniziava ad aprirlo. «Sicuro di aver capito bene?»
«Ah boh? Non ho idea di cosa sia» ammise l’altro ridacchiando. «E comunque sì. Ha detto “Shin’Ichi”» annuì. «Allora? Che dice?» domandò affacciandosi in modo da poter leggere, specie contando il fatto che vedendone il contenuto l’amico non aveva trattenuto un sorriso e un “pf”.
«Niente, devo registrare casa tua sull’InterPokè, così puoi dare un colpo di telefono ai tuoi» informò iniziando ad inserire il numero sull’apparecchio. «Mamma mi ha detto che anche i vostri genitori hanno registrato quest’InterPokè, quindi…» disse ai due, per poi porgere il polso con l’oggetto ad Endou. «Fatto. Vedi?»
«Senti… non è che faresti registrare anche il mio, di numero?» s’intromise poi Someoka. «Sai, loro hanno il tuo, ma vogliono che sa io a chiamare di tanto in tanto» storse le labbra.
«No problem» annuì, registrando anche il numero del terzo ragazzo. «Ecco qua» alzò il braccio all’altezza del viso, a mostrare la buona riuscita dell’azione.
«Piuttosto Someoka, tu non ci hai detto che strumento hai ricevuto dai tuoi» asserì Endou, curioso. Come aveva fatto poc’anzi Shin’Ichi mostrò un apparecchio piuttosto grande, sollevando l’estremità inferiore della maglietta.
«È un PokèNav» affermò, tronfio nonostante l’apparenza indifferente.
«Ma scusa, con quello chiami anche!» brontolò il proprietario dell’InterPokè, ma il rosato scosse la testa.
«I miei l’hanno trovato solo usato. Ho la mappa, potrò registrare gli allenatori quando ne incontreremo e… Beh, qui mi da anche notizie su Acume, Grazia e non ricordo che altro, ma sinceramente non so di che si tratta e nemmeno mi interessa. Quel che importa saranno le statistiche dei pokèmon che registrerò!» affermò infervorato. «Questo coso sarà utilissimo per le lotte!» ribadì evidentemente contento.
«Però ricordatevi che i nostri genitori li hanno comprati perché li condividessimo! Quindi in fondo è tutto di tutti, un minimo!» annuì Endou. «Ovviamente, vale anche per il mio PokèKron» sorrise, mettendolo in mostra a sua volta. Poi però capovolse leggermente il sorriso, iniziando a premere il pulsante del suo apparecchio. «Solo che per adesso non ha moltissime applicazioni…» confessò.
«E che problema c’è. Pian piano le sblocchi. O le compri, non so come funziona» rise l’altro castano.
«Vero, otterrai tutte le funzioni che vuoi!» rassicurò Someoka alzando il pugno. Alla fin fine erano tutti soddisfatti dei propri strumenti: con il PokèNav, Ryuugo poteva prepararsi al meglio per le lotte che non vedeva l’ora di fare; l’InterPokè di Shin’Ichi era semplice ed aveva solo la funzione di chiamata, ma lui l’adorava lo stesso perché alla fine gli sarebbe servito tenersi in contatto oltre che con le famiglie con i futuri allenatori che avrebbero incontrato durante il viaggio; infine per Mamoru lo strumento migliore era sicuramente il PokèKron siccome a lui non interessavano gli ultimi ritrovati della tecnologia, ma solo i pokèmon. Gli bastavano quelli e nient’altro, quindi quell’oggetto più simile ad un giochino per passare le ore piuttosto che qualcosa da usare quotidianamente era perfetto.
Ripresero a camminare, decisi come non mai a trovare un Pokèmon Market così da comprare alcuni degli oggetti che gli servivano – non avendo ancora troppi soldi da spendere – ma la Route 1 era più lunga di quel che avessero pensato. Più che altro il cammino era leggermente difficoltoso a causa di alcuni pokèmon che non smettevano di tagliarli la strada per scappare da loro spaventati. Principalmente si trattava di Rattata, Bidoof e simili, ma riuscivano comunque a risultare estremamente fastidiosi.
«Fatemi il favore di non catturare il primo pokèmon che vi appare davanti, d’accordo? Dopotutto, a Endou vanno bene tutti e questi son tutti di tipo normale…». La frecciatina ironica rivolta ai due da Someoka cadde nel vuoto, siccome entrambi decisero di ignorarlo ridacchiando – uno ingenuamente, uno velatamente irritato dalla battutina. Proprio quando finalmente il via vai di pokèmon con lo sfoltirsi dell’erba stava diminuendo, sentirono una voce imporsi alla loro destra.
«Quando lo sguardo di due allenatori s’incontrano, parte la sfida!» gridò una vocetta squillante. I tre ragazzi si voltarono, notando un ragazzetto bassino e mingherlino, dagli occhi molto piccoli dietro un paio di occhiali da vista decisamente troppo grandi per la forma del suo viso. Endou, dopo un’occhiata sconcertata scambiata con i due amici, alzò l’indice della mano destra, interdetto.
«Ma… Noi siamo quattro. E… i nostri sguardi non si sono incrociati» abbozzò un sorriso, non sapendo se fosse la cosa giusta da rispondere in quel momento a quello sconosciuto.
«Sono modi di dire!» s’inalberò quello, battendo un piede a terra. Si diede rapidamente un contegno e si sistemò gli occhiali sul naso, schiarendosi la voce. «Ecco… Voi venite da Raimon City, vero?» domandò con espressione e tono saccente, annuendo appena vide che i tre acconsentivano con un cenno del capo. «Lo sapevo. Beh… Io sono Megane. Vi concederò il grande onore di essere il primo sfidante di uno di voi» affermò con tono solenne. «Sappiate solo che sono probabilmente l’allenatore migliore della zona, quindi… a vostro rischio e pericolo» volle aggiungere alla fine, mostrando un sorrisetto sicuro.
«Sì, immagino quanto lo sia…» roteò gli occhi il futuro domadraghi.
«Già… dall’aspetto non si direbbe, ma in fondo non è lui a dover combattere. Che ne sai che non tiri fuori un pokèmon fortissimo?» fece spallucce Handa, anche se lui stesso era poco convinto. Aveva detto una cosa giusta, ma… In tv aveva visto diverse volte programmi dove gli allenatori avevano pokèmon decisamente simili a loro per aspetto o per carattere.
«Io! Io! Ci combatto io con te!» alzò una mano Endou, saltellando per enfatizzare il tutto. Non aveva minimamente pensato alla forza dell’avversario: quel che aveva di fronte agli occhi in quel momento era solo “la sua prima sfida”. Non credeva che avrebbe incontrato un avversario così presto lungo il suo cammino e la cosa lo riempiva di gioia all’inverosimile. «Forza, Megane! Sfidiamoci!» continuò, al settimo cielo.
«No, mi rifiuto» replicò secco il ragazzino appena arrivato, voltando scocciato la testa con espressione offesa. «I tuoi amichetti mi hanno mancato di rispetto, non meritate che io sprechi il mio tempo per dei tipi come voi!» disse inacidito, sistemandosi nuovamente gli occhiali.
«Che cosa?! Ma loro non l’hanno fatto con cattiveria!» piagnucolò Endou. «Davvero, perdonali, sfidaci!» insistette, avvicinandosi al ragazzetto con gli occhi che brillavano imploranti. Il piccoletto, preso in contropiede, indietreggiò appena deglutendo. Interdetto, lanciò un’occhiata di sbieco ai due compagni di quel tipo che lo stava pregando e poi fissò gli occhi sul castano di fronte a sé, espirando pesantemente dal naso.
«E va bene, ma solo perché sono troppo buono…» concesse con un sospiro. «Però sfiderò solo uno di voi! Non vi meritate una tripla sfida!» sbottò, per poi fulminare con lo sguardo Handa quando quello sibilò un “che gran perdita” con aria seccata. «Forza, deduco che sarai tu il mio avversario per oggi» disse superiore, indicando il ragazzo in fascia arancione che annuì esaltato.
«Esatto! Ti affronto io, se per loro va bene!» guardò gli amici, che gli fecero cenno di farsi avanti senza problemi.
«Perfetto. Allora, ecco a te il mio pokèmon» dichiarò fiero lanciando la sfera pokè dalla quale uscì un Baltoy. Era piuttosto orgoglioso del suo pokèmon in quanto era un tipo raro in quella zona e sicuramente, essendo nuovi viaggiatori, quei tre non avevano speranze di batterlo.
«Fantastico! Non ho idea di che pokèmon sia!» confessò Mamoru, mostrando il suo solito sorrisone. «Adesso ti mostro il mio compagno!» esordì, lanciando a sua vola la sfera dalla quale apparve il maestoso ragno giallo. Questo si guardò intorno annoiato, voltandosi ora qui, ora lì, cercando qualcosa che potesse giustificare la sua presenza lì. Quando notò il Baltoy di fronte a sé mosse le appendici come se stesse sbuffando e gli diede le spalle, chiedendo spiegazioni ad Endou con lo sguardo. «Questa è la nostra prima lotta, Galvantula! Sconfiggiamo quell’allenatore e proseguiamo il nostro viaggio!» incalzò, ma il ragno sbuffò ancora. Nel mentre, Megane era sbiancato, totalmente spiazzato dalla mole del pokèmon apparsogli davanti. Tutto si sarebbe aspettato, ma non una creatura già evoluta e, si presupponeva, potente.
«Ahahah… Baltoy è un tipo terra… U-un tipo elettro come il tuo gli fa ben poco…» ridacchiò nervoso l’occhialuto, sgranando gli occhi quando sentì Endou gridare un infervorato “segnoraggio”. «A-aspetta! Aspetta! Aspetta! Aspetta!» gridò, agitando le mani di fronte al volto spaventato per l’incombente attacco. Anche il suo pokèmon parve terrorizzato, poiché saettò all’indietro quasi fino a raggiungere l’allenatore, che si coprì gli occhi con le mani. Dopo pochi istanti di silenzio se ne scoprì uno, titubante, per vedere come mai non avesse sentito partire l’attacco: l’allenatore del mostro elettrico era rimasto fermo con il braccio alzato dopo che aveva dato l’ordine che però non era stato eseguito. Il pokèmon, infatti, era rimasto immobile a fissare il ragazzino, dubbioso.
«Galvantula… cos’hai?» domandò l’umano. «Forza, attacca… altrimenti come vinciamo?» domandò, indicando nuovamente il pokèmon tipo terra. Quello elettrico, però, scosse il capo con veemenza. «Qual è il problema?! Stiamo per fare una lotta e io sono il tuo allenatore, devi eseguire i miei comandi!» s’impuntò, ma la creatura “rise”, scuotendo ancora la testa. «Perché no?! Sono il tuo allenatore!» ripeté per rendere chiaro il concetto, ma lo scuotimento di testa dell’altro si fece anche più vigoroso.
«Pare che non ti accetti, eh? Peccato, sembra che non potrai disputare la sfida…» decretò Megane, saccente. «Però ormai mi sono scomodato, quindi… Mi sfidi uno di voi due» indicò Handa e Someoka con aria superba.
«Io non ho intenzione di muovermi» alzò una mano Handa, annoiato. «Non so se Someoka vuole prendere il suo posto…» fece spallucce, spostandosi per farlo passare eventualmente. Il rosato storse il naso e poi scosse la testa, portandosi le mani ai fianchi. Quel ragazzino evidentemente codardo non gli interessava per niente.
«Capisco, quindi siete due debolucci anche voi… Accidenti, che avversari scadenti che mi sono capitati oggi» recitò il quattrocchi, fintamente deluso.
«Aspetta, adesso mi farò obbedire e ti sfiderò io!» ribadì Endou e quella frase fece sospirare il Galvantula, che si appoggiò a terra come se volesse riposare. «Collabora…» piagnucolò il giovane.
«Accidenti, sembra che tu non sia proprio tagliato per fare l’allenatore, eh? Immagino che anche gli altri due non vogliano sfidarmi per la troppa paura che gli incuto… E poi, il mio Baltoy è invincibile, vero?» sghignazzò mentre il pokèmon annuiva con la stessa aria superiore del padrone.
«Comincia ad essere irritante, questo suo modo di fare» soffiò Someoka, battendo il piede per terra.
«Solo perché sai che dico la verità» gonfiò le guance Megane.
«Ma se prima quando doveva arrivare il segnoraggio te la sei fatta addosso» roteò gli occhi Handa, portandosi una mano al fianco. «Endou, abbiamo delle cose da comprare ti ricordo, sbrighiamoci ad andare, avrai altre occasioni per lottare…» incalzò, facendogli cenno con la testa di andare.
«Va bene… Ma io ci tenevo, era la nostra prima battaglia…» sospirò sinceramente dispiaciuto.
«Non me la stavo facendo addosso!» s’intromise il più piccolo di tutti e quattro i presenti, arrossendo vistosamente all’accusa rivoltagli.
«Come no, come no… Forza, andiamo» ordinò Ryuugo con uno sbuffo iniziando a camminare. Quel tipo iniziava seriamente a dargli sui nervi; un istante di più e non avrebbe retto.
«Ecco bravo! Grande, grosso e fifone! Fuggi finché puoi, mammoletta!» gli gridò alle spalle il castano dagli occhiali, che sobbalzò appena lo sentì posare il piede in terra talmente pesante da fare un suono potente nonostante fosse su del semplice terriccio. Deglutì, vedendolo voltarsi lentamente per mostrargli pian piano l’espressione furiosa degna di un demone.
«Basta. Adesso basta» sibilò, finendo di girarsi. «Quel che è troppo è troppo, mi dai davvero fastidio, lo sai?» ringhiò, andando a posare una mano sulla spalla di Shin’Ichi per farlo scansare. «Hai davvero esagerato. Endou, Galvantula, levatevi da lì che ci pensiamo io ed Axew a far abbassare la cresta a questo tipino!»!!


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Che. Agonia.
Ciao a tutti! Allora... innanzitutto chiedo scusa per il ritardo. E' che la vita reale (?) mi sta dando parecchi grattacapi e... il tempo che passo al pc è diventato minimo. Comqunue, ecco il terzo, inutilissimo capitolo!
Spero non vi abbia deluso... Solo che ho voluto introdurre gli oggetti che utilizzeranno in viaggio i ter ragazzi e... beh, questo era l'ultimo "capitolo introduttivo", finalmente dal prossimo inizierà la vera storia! In realtà, dovevano succedere altre cose in questo capitolo, ma... Ho scoperto che erano venute otto pagine e non sei come credevo, quindi ho bloccato qui la cosa. Beh, il prossimo capitolo si aprirà con una battaglia, yay! (?) Odio descrivere le batt- Sssssì.
Ok, perdonatemi, a dovevo averlo postato già una settimana e mezzo fa, ma ho avuto impedimenti e ora è l'una e mezza di notte con altre mille cose che dovrei fare e le spalle bloccate, quindi... meglio che mi dilegui @@ Anche perché non ho molto da dire sul capitolo. Credo. Semmai chiarisco nelle risposte ad eventuali recensioni-- Scusatemi, lo so che è un capitolo orribile;_;" Il prossimo sarà migliore, prometto!
Ryka

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