Diamante Nero

di RedLinus
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Iniziò tutto in un secondo ***
Capitolo 2: *** 2. Qualcuno stà vegliando su di me ***
Capitolo 3: *** 3. Incontri e confusione ***



Capitolo 1
*** 1. Iniziò tutto in un secondo ***


 

 

  1. Iniziò tutto in un secondo

 

 

L'estate era la stagione che fra tutte preferivo di meno. È quel periodo dell’ anno in cui, solitamente i bambini escono all’aperto per giocare tra di loro con la palla, la corda o a rincorrersi.

Tutti tranne me. Io dovevo restare all’ombra il più possibile poiché il sole troppo forte sulla mia pelle chiara la rendeva immediatamente color aragosta, bruciandola. Tutta colpa di mia madre, dalla quale l’avevo ereditata. Nonostante fossi cresciuta e trasferita in un posto dal clima più temperato, la mia antipatia per questa stagione afosa non era scomparsa del tutto.

 

Questo pensavo dirigendomi al mercato, rischiando per giunta di finire contro un palo, non sapendo quello che mi sarebbe accaduto da lì a poco. Già perché da quel giorno la mia vita iniziò a prendere una strana piega, ma andiamo per ordine: mi chiamo Isobel Spears e ho vent’anni. Lavoro al museo archeologico della città di Zapan, dove vivo con mia sorella minore. Era pomeriggio, ero appena uscita da lavoro e stavo andando a prendere mia sorella alla scuola della città. Nella grande piazza, come ogni giovedì, c’era il mercato e puntualmente il mio corpo veniva letteralmente attirato dalla grande bancarella di frutta e verdura.

 

“Ciao Beth!” Esclamai allegramente all’indirizzo della fruttivendola.

 

“Ciao Isobel, eccoti qui!” mi rispose sorridendo.

 

“Uscita ora da lavoro?” Mi domandò mentre sistemava i meloni.

 

“Si e ho una gran voglia di frutta!” Replicai. Avrei fatto una macedonia coi fiocchi.

 

“Bene, cosa ti do?” Si informò la donna.

 

Stavo per rispondere quando si udirono degli spari. Voltai la testa di scatto, come molte delle persone presenti, dai loro volti si leggeva stupore e preoccupazione, Zapan era considerata una città mite e tranquilla, e nonostante ci vivessi da due anni non era mai successa una cosa simile. Mi ridestai dai miei pensieri quando scoprii con orrore che gli spari provenivano in direzione della scuola. Iniziai a corre a perdifiato, sperando con tutta me stessa di essermi sbagliata, seguita da Beth, che aveva la figlia nella stessa classe di mia sorella, incurante di lasciare incustodita la bancarella, non appena notò del fumo salire in cielo. Intanto cominciarono a sentirsi anche le sirene della polizia. In due minuti di corsa arrivammo nel luogo da cui provenivano gli spari: l’edificio opposto alla scuola era mezzo distrutto, e il piano superiore avvolto dalle fiamme. Cercai con lo sguardo mia sorella tra i bambini che, terrorizzati, erano accompagnati dalle maestre fuori dalla scuola, fatta evacuare per rischio incendio.

 

“Prim! Prim dove sei!” ero terrorizzata, iniziai a farmi largo tra la folla creata per vedere meglio, mentre auto della polizia circondarono l’edificio, sostenuti dai pompieri pronti per spegnere l’ incendio.


“Sore!” una bambina si separò dai compagni e prese a correre verso l’edificio. Fu in quel momento che mi accorsi di un dettaglio agghiacciante.


La voce di quella bambina la conoscevo fin troppo bene.


E io avrei riconosciuto Prim a occhi chiusi.


Per non parlare dei capelli raccolti in una coda alta, dello zainetto azzurro in spalla appartenuto a me da piccola.


Non potevo sbagliarmi. Quella stupida stava correndo verso l’edificio in fiamme, noncurante del pandemonio scatenato.


Mi fiondai in mezzo la strada, cercando di fermarla urlando il suo nome. Quando finalmente si voltò vidi i lacrimoni che le scendevano sulle gote infiammate e gli occhi colmi di terrore. La raggiunsi stringendola forte a me, alzandomi per portarla via, ma proprio in quel momento tre grosse autovetture dai vetri oscurati uscirono a tutta velocità dall’edificio travolgendo alcune auto della polizia, venendo verso di noi.


Mi giungeva tutto ovattato.


Le grida assordanti dei presenti, lo stridore delle ruote dell’auto che stava per investirci, Beth che urlava qualcosa simile a uno “spostati”… accade tutto in un secondo, forse meno, una figura scura tra noi e le auto, due occhi neri fissi nei miei, il duro dell’asfalto. Poi il buio.

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Capitolo 2
*** 2. Qualcuno stà vegliando su di me ***


  1. Qualcuno sta vegliando su di me

 

 

 

 

“Sore! Sore sei sveglia” una voce impastata di lacrime mi fece rinvenire. Tre paia d’occhi mi fissavano con insistenza, manco fossi un animale bizzarro. Beth con apparente calma, ma i suoi occhi tradivano la preoccupazione. La bambina di sei anni dai capelli rosso scuro e occhi nocciola  arrossì leggermente quando la guardai. La riconobbi: era Amy, la figlia di Sue, che ci faceva lì? E che era successo? E poi mi accorsi di una pressione sulla mia mano sinistra, e due occhi color ametista, liquidi di lacrime, si specchiarono nei miei del medesimo colore.

 

 

 “qualcuno mi fa un riassunto?” chiesi con voce impastata, cercando di tirarmi a sedere. Dovevano avermi steso su qualcosa. Di legno, forse una panchina. Rinunciai subito, colta da un capogiro. Da quanto avevo la testa fasciata?

 

“Soree! Stai bene! Sono contenta” Prim non lasciava la presa, le sue manine aggrappate saldamente alla mia. Gliele accarezzo con quella libera, per poi farla salire ad accarezzarle il visino rosso, togliendo i residui di lacrime dalle guance.

 

 

“Sto bene” le dissi abbracciandola, per rassicurarla. La sentii annuire e rilassarsi. Alzai lo sguardo verso Beth.

 

 

“Ecco, Isobel” iniziò lei schiarendosi la voce. Attesi, riuscendo a tirarmi a sedere.

 

 

“Quando quelle auto sono uscite dall’ edificio hanno travolto alcune auto della polizia. Nessun morto fortunatamente. Una di loro stava per…travolgere te e Prim, ho temuto davvero il peggio” si interruppe per asciugarsi il sudore che le colava da una tempia.

 

 

“tutti abbiamo temuto il peggio. Ad un tratto però, le macchine, e dico tutte e tre, si sono schiantate contro la casa di Asami, la merciaia. La poverina non è ancora riuscita a rientrare in casa, poiché le auto hanno preso fuoco e i pompieri hanno chiesto di evacuare tutta l’area circostante” disse gesticolando con le mani in maniera teatrale, come se la situazione non fosse già assurda di per sé.

 

 

“e poi? Insomma…” Beth mi guardò stranita “come sono arrivata fin…qui?” chiesi indicando la panchina. Intanto Prim si era calmata e stava seduta sulle mie gambe, mentre io giocherellavo coi suoi capelli, cosa che mi calmava parecchio. Amy invece era seduta composta di fianco a me, fissando sua madre.

 

 

“Ah. Oh sì, che stupida. Sai un ragazzo ti ha…sollevata da terra subito dopo che le auto si sono schiantate. Sinceramente non ho idea di dove sia sbucato. Allora io mi sono avvicinata per vedere se stavi bene, e lui mi ha chiesto dove ci fosse un luogo tranquillo dove sistemarti. Hai battuto la testa contro l’asfalto cara, perdevi sangue. Prim gli ha indicato il parco ed eccoci qui” capisco, sono su una panchina del parco vicino casa mia. Ma chi era il ragazzo che mi ha portata qui? Cavoli la testa, mi gira. E se fosse…no, assurdo.

 

 

“Poi Amy ti ha fasciato la testa, Prim era troppo presa da te, poverina. Sai, oggi a lezione insegnavano il pronto soccorso e la maestra ci ha dato delle bende per te” disse indicando con orgoglio la figlia, che arrossì leggermente, nascondendo il visino tra i capelli ricci.

La guardai intenerita, spostai mia sorella e la posai sulle mie ginocchia, lei diventò più rossa di prima. “Grazie” le dissi con dolcezza stringendola a me e dandole un leggero bacio sulla nuca. Beth soffocò una risatina. Sua figlia era timidissima, forse ancora di più di mia sorella, e di una dolcezza infinita. Lei e Prim erano diventate amiche da quando mi ero trasferita a Zapan, spesso veniva a giocare a casa nostra, anche se in teoria le due dovevano fare i compiti.

 

 

Però c’era una cosa che ancora non riuscivo a capire. Spostai il mio sguardo su Prim

 

 

“Prim, perché correvi verso le fiamme?” le chiesi con voce pacata. Non volevo che si rimettesse a piangere. Ma non bastò, visto che i suoi occhi diventarono lucidi e il labbro inferiore iniziò a tremarle leggermente.

 

 

”M-mi avevi det-to che saresti andata in quell’edificio per c-conto del museo e mi s-sono spaventata. Pensav-vo che t-tu…” abbassò lo sguardo. Cavoli aveva ragione. Io e lei saremmo andate a visitare il primo piano di quel palazzo d’epoca, dopo la scuola per conto del museo. Mi battei la mano sulla fronte, che stupida. Era ovvio che fosse preoccupata per me, o non avrebbe iniziato a chiamarmi in quell’inferno, sarebbe rimasta senza ombra di dubbio con le maestre. Le sorrisi, felice di aver chiarito e la feci sedere sulle mie gambe. Accarezzai la testa ad entrambe e le stinsi a me.

 

“Scusate se vi ho fatta preoccupare bambine, davvero ora sto bene…” colta da un illuminazione aggiunsi “Volete fare merenda? Vi preparo la macedonia” gli occhi delle due brillarono, guardandomi con un sorrisone a trentadue denti, per poi iniziare a correre per il parco ridendo come due sceme.

 

Avevo trovato un modo per distrarle (Credo che si sia capito che mi piacciono i bambini).

Beth mi offrì della frutta per la macedonia, gratis, tornate alla bancarella, stranamente intatta, forse tutti erano accorsi per vedere l’incendio. La chiuse e ci avviammo verso casa mia. Le due erano ancora intente a rincorrersi per tutto il mercato. Erano passate due ore da quando ero svenuta ed era tornato quasi tutto alla normalità.

 

 

Eppure non capivo come io e Prim potessimo essere ancora lì. Chi era il ragazzo sbucato dal nulla? Il ricordo di un paio di occhi neri come la notte, il mio ultimo ricordo dell’ incidente, mi tormentava senza tregua. Forse era collegato con colui che mi aveva portato al parco. Ma più ci pensavo, meno capivo. L’ unica cosa che potevo fare, date le circostanze, era di chiedere a Beth di raccontarmi tutto ciò che sapeva, dirmi per filo e per segno cosa era successo dal mio svenimento al mio rinvenimento. La conoscevo abbastanza da sospettare che si fosse trattenuta dal dirmi qualche cosa in presenza delle bambine. Dopo l’accaduto era normale che cercasse di non spaventarle ma distrarle, come stavo facendo io in quel momento.

 

La capivo. Dopotutto aveva avuto un trauma adolescenziale, solo che nessuno l’ aveva aiutata. Per trauma  ne intendo uno vero e proprio, uno di quelli che ti segnano. Perdere un genitore da giovani non era raro, io ne ero un esempio, ma che entrambi i tuoi genitori venissero uccisi e fatti a pezzi in più di cinquanta parti a mani nude dal loro assassino no.

 

Già, parlo di  Johnes "Lo Sventratore".

 

 

Non le ho mai chiesto nulla di quell’episodio della sua vita, so grazie ad Amy che ogni tanto sua mamma ha degli incubi e si sveglia piangendo, urlando i nomi dei suoi genitori. Semplicemente non le voglio portare a galla certi ricordi toppo dolorosi.

Sospirai, chiamando le bambine ed entrando in casa con i sacchetti della frutta in mano, aiutata da Beth. Non parlammo mentre preparavamo la macedonia, aspettavamo entrambe il momento giusto.

 

 

“E’ pronto!” urlai alle due in giardino. Mi guardavano entrambi con gli occhioni, cosa che mi fece aumentare la porzione di frutta nelle loro tazze. Finita, corsero subito fuori in giardino.

 

 

“Bambine vado a lavarmi le mani, voi andate pure a giocare. Amy cerca di non farti male” aggiunse Beth, consapevole che l’ultima volta che avevano giocato sullo scivolo tutte e due, sua figlia si era sbucciata entrambe le ginocchia.

 

 

Ecco, quello era il momento ideale.

 

 

”Beth” iniziai incerta. Lei mi guardò, consapevole di ciò che le stavo per chiedere. Sorrise.

 

 

“Vieni, sediamoci”

 

Ci accomodammo sul divano del soggiorno, uno splendido due posti in faggio del settecento con tappezzeria d’ epoca, comprato assieme a due poltrone della stessa fattura in ottime condizioni, ripescati in un mercatino dell’usato. Un vero affare, dato che il ragazzo che mi aveva venduto i mobili non si intendeva né di storia né di arte. Il loro valore reale sul mercato dell’antiquariato sarebbe stato almeno cinque volte superiore a quello speso da me. Mi dispiaceva davvero tanto aver approfittato della sua inesperienza, ma mi ero appena trasferita e avevo un disperato bisogno di mobili.

 

”Isobel? Tutto bene?” scossi la testa, mi ero persa tra i ricordi. Non dovevo pensare ai mobili di casa mia, non ora.

 

 

“Sì e no. Voglio sapere” la guardai negli occhi con determinazione, non si sarebbe alzata dal divano per un bel po’. Tanto Amy stava giocando fuori con Prim, non aveva scusanti.

 

 

“Cosa?” era una domanda retorica, ma le risposi lo stesso.

 

 

“Tutto. Tutto ciò che hai visto, e anche quello che hai provato, tutto insomma” replicai impacciata.

 

 

Beth mi sorrise, chiudendo gli occhi per ricordare con maggiore precisione ogni particolare.

 

 

“Dunque” iniziò ”le auto stavano per investire sia te che tua sorella, quando ad un tratto si sono

schiantate contro la casa affianco. Non ho visto bene, è successo tutto in meno di un secondo, prima le auto erano davanti a me e ad un tratto a venti metri di distanza. Ho avuto una gran paura. Tenevo Amy stretta poiché temevo che sarebbe corsa verso di voi ma poi…” si fermò per vedere la mia reazione. Non avevo sicuramente un bell’aspetto, era successo solo poco fa, non mi ero ancora ripresa dallo shock iniziale. Mi torturai le mani, in attesa che il racconto riprendesse

 

 

“Poi?” chiesi incitandola ad andare avanti

 

 

“Poi…dal nulla è sbucato quel ragazzo. Io stavo guardando le auto in fiamme, quando ho guardato verso di te era lì in piedi che vi fissava. Eravate distese a terra, tu eri svenuta e tenevi Prim tra le tue braccia che piangeva. Non ho la più pallida idea da dove sia sbucato. Mi sono avvicinata per controllare le vostre condizioni, con Amy, ci ha notato e mi ha chiesto se c’era un posto sicuro da lì. Prim ti scuoteva cercando di svegliarti, era terrorizzata. Quando ha notato il sangue poi…Amy è andata a chiedere delle bende alla maestra e ti ha fasciato il capo”. Ogni volta che nomina la figlia il suo viso cambia espressione e gli occhi le si illuminano.

 

 

“Il ragazzo non smetteva di fissarti, inespressivo, metteva quasi soggezione. Quando Prim ha proposto di andare al parco, ti ha sollevata da terra e l’ha seguita. Ti ha appoggiata sulla prima panchina che ha visto. Ha chiesto se avevamo ancora bisogno ma ho detto che ci saremmo occupate noi di te, così se n’è andato” sospirò, come si fa dopo una lunga corsa. Ero abbastanza soddisfatta della sua versione.

 

 

“Com’era?” chiesi

 

 

“Cosa?” mi guardò stralunata, mi aveva già detto tutto.

 

 

 “Il ragazzo. Che aspetto aveva?” almeno l’aspetto, volevo sapere com’era il nostro salvatore. Semmai lo avessi rincontrato, lo avrei ringraziato di cuore. Prim era la cosa più preziosa per me, come Amy lo era per Beth. Ci aveva salvate entrambe. Il cuore mi batteva all’impazzata, forse per l’emozione. Dopo un’esperienza del genere eravamo vive. Vive, e grazie a lui.

 

 

“Com’era eh? Mh, aveva degli strani vestiti con delle specie di sfere gialle attaccate. Aveva capelli neri lunghi, molto, più grande di te di qualche anno, credo. Ma ciò che mi ha colpita di più erano i suoi occhi: grandi e nerissimi. Il suo viso era quasi una maschera, non aveva espressione. Però quando mi ha fissata…” Beth rabbrividì leggermente “ho sentito una strana sensazione, come se ti scavassero in fondo all’anima. Non era una bella sensazione. Mi sentivo in pericolo con lui accanto. Per questo gli ho chiesto di andarsene e lasciarti alle nostre cure”

 

 

La fissai sbigottita. Stava dicendo che il ragazzo che ci aveva salvato la vita voleva farci del male? Non mi sembrò una cosa sensata da dire. Ma queste erano le sensazioni che aveva avuto. Non le chiesi altro. La sua prima impressione in fondo, si capiva che era stata negativa. Eppure…volevo incontrarlo per ringraziarlo. Se era pericoloso come pensava Beth, avrei preso delle precauzioni.

 

Beth sbuffò sonoramente, sapendo che non avrei ascoltato i suoi avvertimenti

 

“Io non mi fido, ma se vuoi cercarlo per ringraziarlo fai pure. Rimarrà in città qualche giorno. Me lo ha detto lui. Sembra interessato a te” ok, forse avevo capito male “insomma, ti guardava in un modo…come un cieco che vede per la prima volta il sole” arrossì mentre parlava, a volte era talmente schietta che ti lasciava senza parole. Forse era una persona che abitava nella mia vecchia città di cui non mi ricordavo il volto, anche se nessun ragazzo che conoscevo aveva un aspetto simile. Anzi, non conoscevo proprio nessun ragazzo, né qui né in altre città. Arrossii, in effetti non avevo mai avuto rapporti veri e propri con ragazzi, qualche cotta da adolescente, ma ora ci avevo a che fare solo per lavoro e con uomini decisamente più grandi di me. Ero troppo riservata e complicata per loro.

 

 

“grazie Beth, ora ho le idee più chiare” chiamammo le bambine, oramai era sera. Salutammo Beth e Amy avviarsi per le vie della città, per poi prepararci per andare a dormire. Non cenammo nemmeno, nessuna delle due aveva fame. Avvisai il lavoro che mi sarei presa un paio di settimane di ferie, dopotutto era estate e me le meritavo. La ragazza della segreteria, Karin, fu più gentile e disponibile del solito, forse aveva saputo dell’ incidente.

 

 

“Sore…” stavo per andare a letto quando notai Prim ferma sulla porta di camera mia. Mi guardava con i suoi occhioni viola, messi ancora di più in risalto dal pigiamino leggero rosa. Teneva in braccio il suo gatto di pezza preferito, nero con le zampe e musetto bianchi, con un fiocco viola attorno al collo.

 

 

“Certo, vieni” sapevo che aveva ancora paura, per quella notte avrebbe dormito con me. Non era la prima vota che succedeva. Il primo anno a Zapan dormiva sempre da me per mancanza di mobili, poi col tempo, anche avendo una stanza tutta per sé, era diventata un’ abitudine. Era già da qualche mese che cercavo di farla dormire sola, non poteva dormire per sempre con me.

La invitai a stendersi accanto a me e coprii entrambe col lenzuolo. Nonostante fosse estate, di sera era fresco.

 

“cercherai il tipo strano?” domandò a bassa voce avvicinandosi di più

 

 

“Sì. Sai dove potrei trovarlo?” chiesi a mia volta

 

 

“Mh, ha accennato al centro storico” disse con un espressione adorabile

 

 

“Bene, allora domani inizierò lì. Tu finisci la scuola dopodomani, ma dopo quanto è accaduto potresti terminare le lezioni anche domani” non mi rispose, si era addormentata. Le accarezzai i capelli sorridendo, per poi scivolare anch’io tra le braccia di Morfeo.

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Capitolo 3
*** 3. Incontri e confusione ***


Prima di tutto vorrei ringraziare coloro che recensiscono e porgere le mie scuse a coloro che seguono la storia. Avevo questo capitolo già in testa ma non riuscivo mai a trovare il tempo per aggiungero. Ancora grazie a chi mi segue e buona lettura!!!

 

 

3.      Incontri e confusione

 

 

 

Come avevo previsto, la scuola chiuse il giorno seguente. Mia sorella non si era ancora ripresa dallo shock e facevo di tutto per distrarla. Il lavoro mi aveva dato le ferie, quindi avevo un sacco di tempo libero. Avrei potuto fare le faccende domestiche che continuavo a rimandare da settimane. Per non parlare degli armadi da svuotare e del cambio di stagione. Lo avevo già fatto ma mancava lo stesso qualcosa da risistemare. Fu così che passai la mattinata, a mettere via maglioni e trapunte e a sistemare vestiti più adatti nell’armadio, ascoltando musica dagli auricolari a tutto volume cantando mentre lo facevo, beccandomi un’occhiata di rassegnazione da Prim, ormai era abituata alle mie stranezze, eppure dicono che ho una bella voce. Prim non aveva nulla da fare come me, le maestre non avevano ancora preparato la lista dei compiti ma li avrei trovati in segreteria la settimana seguente. Nel frattempo mi aiutava scegliendo i vestiti da indossare. Non passavamo un giorno intero assieme da mesi e volevo godermelo.

 

Andammo in giro per negozi, visto che era il tempo dei saldi ne approfittai per rimpolpare i nostri guardaroba. L’unico compito che le insegnanti di Prim erano riuscite ad assegnare prima dell’incendio era una ricerca su un reperto archeologico a scelta, perciò andammo anche al museo di archeologia a vedere le dodici tavolette in rame, un reperto di inestimabile valore su cui gli antichi del loco scrivevano le prime forme di leggi che regolamentavano la vita del cittadino. È il reperto più importante e prezioso del museo, scritte in una lingua antica che pochi anni fa fu scoperta da alcuni archeologi. Solitamente non si potevano fare foto ma io al museo ci lavoravo quindi forse avrebbero chiuso un occhio.

 

Infatti fecero così.

 

Il museo vantava molti reperti con caratteristiche uniche che sapevo ormai a memoria. Le tavolette erano il mio reperto preferito, le adoravo in tutti i sensi e il mistero attorno ad esse le rendeva ancora più interessanti. Dopo avere scattato foto abbastanza decenti e scritto tre pagine sulla loro orine ed importanza, avevamo finito. Quello fu l’unico argomento interessante dei primi cinque  giorni di ferie che avevo. Il resto lo passavo a leggere a casa o a fare le faccende domestiche, provando decine di piatti diversi, per poi testarli su Prim quando la andavo a prendere da Beth o da casa di altre sue amichette, che essendo sempre libere non facevano altro che giocare.

 

A sei giorni dall’incidente si verificò un altro evento sfortunato, come se da quel giorno me ne capitassero di tutti i colori.

 

Ero sovrappensiero mentre andavo al mercato, camminando e leggendo il giornale nello stesso momento. Nulla di eccezionale, (questo periodo dell’anno è piuttosto tranquillo). In prima pagina però c’era la foto di un uomo sulla sessantina, deceduto, il corpo ritrovato dai domestici nella sua villa a Kakin. Strano che un plurimiliardario si suicidi. Ero talmente persa nei miei pensieri che mi accorsi troppo tardi dell’ uomo tarchiato vicino a me. In un attimo mi prese la borsa e cominciò a correre tra la folla, facendomi cadere il giornale dalle mani che si sparpagliò per terra. Urlai tra la gente cercando di fermarlo ma niente, presto lo persi di vista. Corsi a perdifiato per minuti cercandolo con lo sguardo, ma era scomparso. Affranta come non mai, mi avviai verso il parco. Non ero mai stata scippata prima d’ora. Mi aveva preso tutto, la borsa, il portafoglio con soldi, documenti e soprattutto la foto di me, Prim e i nostri genitori. Ci ero affezionatissima, a quell’uomo non sarebbe importata e l’avrebbe buttata da qualche parte e ciò mi infastidiva, spaventava e offendeva.

 

“accidenti…perché..?” mi sedetti su una panchina, anzi La panchina, la stessa dove il ragazzo misterioso mi aveva adagiata dopo l’incidente. Da quel giorno era diventato il mio posto personale e ci andavo per leggere un libro o a rilassarmi. Mi coprii il volto con una mano, sentendo gli occhi lucidi. Dall’incidente avevo ricominciato ad avere gli incubi, ma non pensavo che potessero tormentarmi anche da sveglia.

 

Alzai lo sguardo solo quando sentii una mano sulla mia spalla, e un fortissimo odore di alcool.

 “ma guarda che bella sciorpresciiina” quasi urlò l’uomo nel mio orecchio. Era biondo con la barba incolta, vestito in modo trasandato, un ubriacone insomma.

 

“che ci fai qui tutta sola? Eh?” avvicinandosi di più e squadrandomi in un modo orrendo. Perché? Pensai. Prima l’incidente, poi lo scippo e ora…sentii gli occhi annebbiarsi dalla rabbia. Cercai di fare subito dietrofront, ricordandomi solo dopo di essere seduta. Cercai di liberarmi dalla sua presa ma fu inutile. Potevo solo chiedere aiuto, ma la voce non voleva uscire.

 

Lo spray al peperoncino l’avevo nella borsa, il parco era deserto e non c’erano sassi abbastanza grandi da tirargli contro e farlo svenire, o altro che potesse aiutarmi ad allontanarlo da me. Optai per il mezzo più istintivo e doloroso: lo spinsi improvvisamente alzandomi, lui barcollò pericolosamente ma non cadde, e con tutta la mia forza gli tirai un calcio in mezzo alle gambe.

 

Fu istintivo, quando avrei ripensato a quei momenti di paura e rabbia mi sarei vergognata di me stessa, ma in quel momento non m’importava più di tanto. Con un tonfo cadde a terra come un sacco di patate, dal volto scaturiva tutto il dolore appena inflittogli dalla sottoscritta.

 

Cominciai a correre più in fretta che potevo senza voltarmi, verso il centro della città. Mi appoggiai al muro di un vicolo, ansimante, lasciandomi cadere a terra. Ancora scombussolata tentai di regolarizzare il respiro, inspirando ed espirando profondamente mentre il tremolio alle gambe affievoliva. Ripensai all’ubriaco e scossi la testa, se l’era meritato. Mi toccai la fronte con la mano, sudava, sicuramente ero un disastro: il leggero abito malva che indossavo era spiegazzato, e mi aderiva al corpo come una seconda pelle per il sudore, i capelli, tenuti legati da un fiocco panna, si erano sciolti ricadendo sulla schiena e mi coprivano il volto come tende, ostacolandomi la visuale.

 

Dovevo tornare a casa, Prim era a casa sola e probabilmente si era svegliata. Le avevo sì lasciato un biglietto dove le dicevo che ero al mercato ma…e non avevo nemmeno il cellulare, appena sveglia mi avrebbe sicuramente tempestata di chiamate per sapere dov’ero e che facevo, da brava sorellina iperpreoccupata che era.

 

 

“signorina” una voce sconosciuta mi ridestò dallo stato catatonico. Alzai timidamente lo sguardo, incrociando un fiore stilizzato di feltro porpora, uguale a quello fatto da Prim per la mia

 

“la mia borsa” sussurrai incredula.

 

A bauletto, color marrone avana. Il fiore fatto da mia sorella spiccava, attaccato ad uno dei manici metallici.

 

Alzai di più lo sguardo, cercando di tirarmi in piedi, quando mi accorsi della persona più…particolare che avessi mai visto, e le parole mi morirono in gola. Pantaloni scuri, felpa verde con cappuccio, capelli lunghi e neri, occhi grandi e neri mi scrutavano intensamente. Occhi che avevo già visto. Trattenni il respiro, non potevo crederci. Il ragazzo. Che mi porgeva la mano.

 

Rimasi a fissarla per cinque secondi abbondanti prima di afferrarla. La sua mano era callosa e tiepida. Mi aiutò a rialzarmi, per poi porgermi la borsa.

 

“emh…grazie” blaterai afferrandola con mani tremanti. Niente. Nessuna reazione. Abbassai gli occhi, a disagio.

 

“ci siamo già visti da qualche parte?” chiesi alzando nuovamente lo sguardo, timorosa di aver sbagliato. Lui annuì, continuando a fissarmi, inespressivo.

 

“ero nei paraggi dell’incendio di qualche giorno fa” disse con voce incolore, ma calda. Eppure per un attimo vidi i suoi occhi schiarirsi. Dovevo capire, ma ero troppo imbarazzata, nel parlare si era avvicinato tantissimo al mio viso. Indietreggiai, urtando il muro. Il ragazzo doveva aver percepito il mio imbarazzo, perché si allontanò leggermente da me.

 

“g-grazie per la borsa…e per il resto” abbassai nuovamente il volto nascondendolo dietro i capelli, sentendo il viso caldo. Non riuscivo a sostenere il suo sguardo per più di dieci secondi, patetico.

 

“non c’è di che. L’ho fatto con piacere” disse, spiazzandomi. Ero ancora più confusa di prima, ma sentivo che era lui.

 

“sul serio, mia sorella è la cosa più preziosa che ho…senza di lei…se voi non foste…”

 

“dammi pure del tu. Come ti chiami?” mi chiese scrutandomi.

 

“Isobel” sussurrai, mi sentivo strana, un calore fortissimo mi pervadeva, mentre la razionalità mi urlava di scappare. Beth aveva ragione, emanava…qualcosa di indefinibile. Ma non ci feci quasi caso.

 

“Isobel” ripeté assorto. Lo sguardo perso nel vuoto.

 

“Mi chiamo Illumi” mi svelò ricominciando a guardarmi.

 

“Illumi, davvero, non potrò mai sdebitarmi per quello che hai fatto. Grazie” lo guardai felice e colma di gratitudine e dolcezza. Lui spalancò impercettibilmente gli occhi.

Lo capivo, i miei cambi di umore erano strani, molto strani. Se un attimo prima ero imbarazzata, quasi timorosa di parlare con lui ora ero totalmente a mio agio.

 

“emh” chiedere, solo chiedere “pos-so offrirti almeno un caffè?” chiesi cauta evitando accuratamente di guardarlo in viso, concentrandomi sulla felpa.

 

“……no” rispose dopo una decina di secondi

 

“oh” delusione. Cosa mi aspettavo, in fondo?

 

“non che io non voglia, ma…mi sento strano. Tu mi fai sentire strano” boccheggiai. Cosa?

 

“perché non penso altro che a te da quando ti ho vista? Perché ti ho salvata? Perché…? Cosa mi hai fatto?” mi allarmai, sembrava uno squilibrato. Non mi guardava, fissava il terreno parlando da solo. Neanche a volerlo, alzò lo sguardo verso di me proprio mentre lo fissavo beccandomi in pieno. Arrossii, soprattutto perché si era avvicinato ancora di più a me. Ma che ci facevo lì? Una persona sana di mente avrebbe già mollato uno schiaffo e girato i tacchi. Eppure…quel ragazzo mi intrigava ma…non resistevo più, dovevo chiederglielo.

 

“Signor Illumi, perché mi guardate…così?” mi sentivo tremendamente in imbarazzo, mi scrutava come se cercasse qualcosa in me, ma che non trovava.

 

“perché mi piace guardarti” rispose semplicemente.

 

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