Solo il tempo di KrisJay (/viewuser.php?uid=100038)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Solo il tempo... - Capitolo1
Solo il tempo…
Capitolo
1
Spinsi
in avanti la porta di uscita dell’aeroporto, lasciando la piacevole frescura di
quel posto, e sentii subito sulla mia pelle l’aria calda e afosa che c’era
all’esterno dell’edificio, che mi colpì in pieno.
Ci
avrei sicuramente impiegato un po’ per abituarmi a quelle nuove temperature, così
alte rispetto a quelle a cui ero sempre stata abituata, però ero contenta di
essermi lasciata alle spalle il freddo della penisola di Olympia.
I miei
capelli non avrebbero avuto invece lo stesso beneficio; avevano preso già
abbastanza umidità a Forks, fino a poche ore fa, e di certo ne avrebbero presa
abbastanza anche a Los Angeles.
Los
Angeles, la “città degli angeli”. La mia nuova casa… mi faceva uno strano
effetto pensarla così, ma era la realtà e mi sarei dovuta abituare anche a quel
nuovo particolare.
-
Mamma! Mamma! – mi voltai subito non appena sentii la vocetta un po’ stridula
di mia figlia, che mi stava chiamando.
Allyson
se ne stava appollaiata in cima alle nostre numerose valige, posizionate sul
carrello portabagagli che uno dei facchini dell’aeroporto si era gentilmente
offerto di trasportare.
Io non
ce l’avrei fatta di certo, erano troppo pesanti – papà si era offerto di
trasportarle al posto mio quando ero partita da Seattle - e poi c’era anche
Allyson che dovevo controllare… quella bambina era davvero vivace, un piccolo
pericolo pubblico.
Non
aveva aspettato neanche un secondo prima di decidere di arrampicarsi sopra ai
nostri bagagli, sotto lo sguardo divertito di Bob il facchino, che aveva da
subito preso in simpatia mia figlia.
-
Mamma, aspettami! – esclamò ancora Allie, dimenandosi da sopra le valige per
poter riuscire a scendere.
-
Aspetta un secondo, signorina! – Bob, palesemente divertito dalla vivacità
della piccola, fermò il carrello e fece il giro per poterla aiutare a scendere;
la prese in braccio e poi la depositò sul pavimento, ridacchiando quando Allie sbucò
via dalle sue braccia per potermi raggiungere.
-
Amore, non correre… - la ammonii bonariamente, ma non ottenni nessun risultato,
come sempre. In due secondi Allyson era già ancorata alle mie gambe, con il
respiro leggermente più veloce del normale per via della corsetta. Alzò il
viso, osservandomi con i suoi occhietti azzurri e vispi.
-
Mamma, ma qui fa caldo! – esclamò ancora.
Risi,
carezzandole i capelli biondi e ricci. – Sì, fa tanto caldo…
- È
vero che dopo andiamo a vedere il mare? Me l’avevi promesso… - mi guardava con
il faccino pieno di aspettativa e di speranza, ed era così tenera che quasi non
risposi subito di sì alla sua proposta.
-
Allie, amore… - mi inginocchiai, mettendomi alla sua altezza; approfittai di
quella posizione per sistemarle la gonna del vestitino ed il piccolo fermaglio
a forma di farfalla che le teneva indietro la frangia. – Oggi non si può,
dobbiamo mettere a posto la casa nuova… però domani pomeriggio ci possiamo
andare. Che ne dici?
La
bimba mi sorrise, mostrandomi i suoi piccoli e perfetti dentini da latte. – Va
bene, però me lo compri il gelato adesso?
Beh, un
gelato era un bel compromesso. Si poteva fare.
- Lo
compriamo per strada e poi ce lo mangiamo a casa, ok? – Allie annuì con la
testa, facendo ballonzolare i riccioli biondi.
Mi
rimisi in piedi, e aggiustai con una mano la tracolla della borsa mentre con
l’altra prendevo quella di Allyson. Insieme raggiungemmo l’uscita
dell’aeroporto, dove Bob ci stava aspettando insieme ai nostri bagagli.
Nell’enorme
parcheggio esterno impiegammo una decina di minuti per cercare e trovare la mia
auto; la settimana prima era stata ‘spedita’ e lasciata nel parcheggio fino a
quando non saremmo arrivate noi. Avevo ritirato le chiavi mentre aspettavo,
insieme a Allyson, che arrivassero le nostre valige e mi avevano detto che
l’avrei trovata lì… e infatti fu così.
Avrei
riconosciuto tra mille il mio catorcio, che poi tanto catorcio non era. Aveva
qualche annetto, sì, ma la mia Polo era ancora una meraviglia!
- È
questa qui, signora? – chiese Bob, non appena mi avvicinai alla macchina.
Storsi
il naso. ‘Signora’… non ero poi così vecchia, e non mi piaceva quando mi
chiamavano in quel modo. Ma il fatto di avere una bambina di tre anni spesso
portava la gente a riferirsi a me con quell’appellativo, anche se dovevo compiere
ancora ventidue anni e ne dimostravo addirittura qualcuno in meno.
A
sentire mio padre, era proprio così.
- Sì, è
questa qui. – risposi a Bob e poi premetti il pulsantino che fece scattare la
sicura dell’auto, aprendola.
Bob
caricò con velocità e efficienza le valige nel bagagliaio – chissà quante altre
volte lo aveva fatto, per diventare così rapido – mentre io mi preoccupavo di
far sedere una Allyson parecchio scocciata e capricciosa nel suo seggiolino,
sul sedile posteriore. I bagagli si scoprirono essere più voluminosi di quanto
immaginassi, tanto che alla fine sistemammo le ultime due valige, le più
piccoline, accanto al seggiolino di Allyson e sul sedile del passeggero, che
era libero.
- Non
dovrebbero dare problemi, sistemate in questo modo. – Bob assicurò l’ultima
valigia fissandola con la cintura di sicurezza.
- La
ringrazio moltissimo… Allie, non toccare! – sgridai prontamente mia figlia, che
stava già cominciando ad esplorare il suo interessante ‘vicino’ di viaggio.
- Ma
mamma, è la valigia di Kitty! – disse, con fare ovvio, indicando l’irritante
micetto bianco dotato di fiocco rosa che decorava il trolley: un regalo da
parte di mia madre per la sua adorata nipotina.
Mamma mia, quanto odiavo Hello Kitty.
- Già,
mamma, è la valigia di Kitty! – Bob le fece il verso, divertito. – A parte gli
scherzi, signora mia, parta tranquilla perché quelle valige non si muoveranno
neanche se vorrebbero. – concluse, dando una pacca al borsone che si trovava
sul sedile del passeggero.
-
Questo mi farà stare davvero tranquilla. – sorrisi riconoscente a quella
persona così gentile e cercai nel borsone in stile Mary Poppins il portafoglio,
dopodiché lasciai a Bob una generosa mancia che cercò quasi di rifiutare.
- Su,
non si faccia pregare! – esclamai, ficcando quasi a forza le banconote nella
sua mano.
Vedendo
che non mi sarei arresa tanto facilmente, Bob alla fine accettò la mancia…
allungando una banconota da cinque dollari a mia figlia, che la afferrò con uno
slancio per quanto glielo permettevano le cinture del seggiolino.
- Waw,
grazie! – urlò, contenta.
- Fatti
comprare un bel gelato dalla mamma. – le sorrise dolcemente e poi sorrise anche
a me, facendomi un cenno col capo. – Benvenute a Los Angeles! – esclamò prima
di allontanarsi, e fare così ritorno in aeroporto.
-
Mamma, che cos’è Loz Angeles? – mi chiese Allie non appena presi posto al
volante.
- Los Angeles, tesoro, Los Angeles. – la
corressi mentre mettevo la cintura di sicurezza. - È il nome di questa città,
ti piace?
La
osservai dallo specchietto retrovisore, che stavo aggiustando, mentre scuoteva
rapidamente la testa. – No, non mi piace! A me piace di più Focks!
Scoppiai
a ridere; le riusciva ancora male pronunciare qualche parola, anche se il suo
vocabolario era bello ricco e parlava abbastanza bene per essere una bambina di
soli tre anni. Sembrava più grande, e alcune volte mi confondevo persino io…
- Forks amore, si dice Forks…
-
Focks! – disse ancora, ridendo.
Risi
con lei, e contemporaneamente avviai il motore dell’auto.
-
Fermai
la macchina davanti alla palazzina dove, se non avevo sbagliato ad inserire l’indirizzo
sul navigatore, si trovava la nostra nuova casa. Dall’esterno il posto
prometteva davvero bene: la palazzina era tutta dipinta di bianco, con le
imposte delle finestre di un simpatico verde bottiglia. Non sembrava neanche
troppo malandato, il che mi fece smettere di preoccuparmi subito. Anche il
quartiere sembrava promettere bene… beh, sperai che fosse davvero così.
-
Allie, siamo arrivate. – dissi, mentre osservavo ancora la palazzina.
La
bambina non mi rispose, così mi voltai per controllarla e scoprii che aveva gli
occhi chiusi; doveva essersi appisolata durante il viaggetto in macchina.
Ecco perché non chiacchierava,
pensai con un sorriso.
Slacciai
la cintura di sicurezza e mi sporsi all’indietro, fino a scrollare piano la
spalla della bambina. Allyson socchiuse gli occhi dopo qualche secondo,
osservandomi un po’ confusa.
- Siamo
a casa, tesoro. – le sussurrai, carezzandole piano il braccino scoperto.
Lei
sbadigliò, e si strofinò gli occhi con le manine chiuse. – Ma… ma non mi hai
ancora comprato il gelato… - disse, borbottando.
- Ci
andiamo tra poco, adesso andiamo a vedere la casa, okay?
Dopo
essere scesa dalla macchina la aiutai a scendere dal seggiolino e poi,
tenendola per mano ancora assonnata, salimmo l’unico gradino che c’era prima
del portone della palazzina; era leggermente socchiuso, quindi mi bastò
spingerlo un po’ per poter entrare. Una leggera frescura, forse causata dal
condizionatore, ci accolse insieme allo sguardo un po’ confuso di quello che
doveva essere il portiere, che aveva appena alzato lo sguardo da una rivista.
- Buon
pomeriggio. – dissi, sospingendo piano Allyson fino al banco dove si trovava
l’uomo; dovevo spiegargli il motivo per cui eravamo lì, oltre che a prendere le
chiavi dell’appartamento.
- Buon
pomeriggio… - il suo sopracciglio destro si inarcò verso l’alto, in attesa che
aggiungessi qualcosa che non fosse solo un semplice saluto.
- Sono…
sono Isabella Swan, e lei è Allyson, - indicai con una mano la bambina, - siamo
qui per…
- Oh,
ma certo! Lei è la nuova proprietaria dell’appartamento 7D! – mi interruppe, e adesso
sul volto del portiere era comparso un bel sorriso, tra il sollevato e il
sorpreso. – Piacere di conoscerla, signora Swan, io sono Stanley Johnson, ma mi
può semplicemente chiamare Stan. Non immaginavo di vederla così presto…
- Oh… -
mi morsi il labbro, in un riflesso incondizionato. – Beh, abbiamo approfittato
della prima occasione per venire qui. – Non volevo già spifferare gli affari
miei, o almeno non alla prima persona che mi capitava davanti.
- Sono
sicuro che vi troverete entrambe bene qui… ecco. – Stan, che si era messo a
frugare all’interno di alcuni cassetti, mi porse un semplice portachiavi al
quale vi erano inserite tre chiavi argentate. – Le due in più sono di riserva,
naturalmente ne ho una anche io se dovessero insorgere delle emergenze… però
queste le può avere lei tranquillamente.
-
Grazie. – mi schiarii la voce. – Però… se non le dispiace, Stan, mi chiami pure
Bella.
- Ma
certamente! Allora, Bella, adesso ti accompagno a vedere la casa… - abbassò lo
sguardo e lo puntò sul visetto di mia figlia, che si vedeva a malapena visto
che era seminascosta dal banco della portineria, e poi le sorrise. – Tieni,
Allyson, vuoi portare tu le chiavi?
Allyson
allungò il braccino e prese il portachiavi che Stan le porgeva, e cominciò
subito ad agitarlo come se fosse un sonaglio. – Grazieeeeeeee! – esclamò.
Si
entusiasmava veramente con poco, dovevo dirlo.
- Non
le perdere, mi raccomando! – Stan le fece l’occhiolino prima di uscire dal
banco della portineria. – Ok, adesso andiamo a vedere il vostro nuovo
appartamento…
Stan,
come se fosse stata una guida professionista, ci accompagnò fino al terzo piano
della palazzina, dove si trovava la nostra casa; aiutò Allie ad aprire la porta
con le chiavi e poi ci fece fare il giro della casa, mostrandoci tutte le
stanze.
Sapevo
già più o meno com’era fatto l’appartamento – il servizio online dell’agenzia
immobiliare che avevo contattato era stato davvero molto utile -, ma non
pensavo davvero che potesse essere così bella… e grande!
Cucina,
salottino, sala da pranzo, due camere da letto – una con bagno annesso –, bagno
che affacciava sul corridoio e un bel balcone che poteva anche essere
considerato un piccolo terrazzo… era stupenda, contando anche che era già arredata
di tutto lo stretto necessario.
E tutto
questo, mi veniva a costare soltanto trecento dollari al mese… beh, non potevo
mica lamentarmi, contando che a Seattle il buco di appartamento dove abitavo
prima con Allyson mi costava quasi il doppio!
-
Allora signorina, ti piace la casa? – ovviamente, Stan non si stava riferendo a
me, ma a mia figlia.
- Sì! –
non disse altro, ma si limitò ad abbracciarmi le gambe e a cominciare a saltare
sul posto. – Mamma, voglio il gelato!
Alzai
gli occhi al cielo. – Allie, portiamo su le valige e poi andiamo a comprarlo…
un po’ di pazienza, su!
Sentii
Stan ridacchiare, accanto a noi. – C’è un bar davvero carino a pochi passi da
qui, puoi portare lì la bambina a prendere il gelato… si chiama “Il mondo di Alice”.
- Ah,
che carino! Ce la porterò sicuramente… però adesso andiamo a prendere le
valige.
- No
mamma, adesso andiamo a prendere il gelato! Per favoreeeeeeeee! – Allie non
smetteva più di saltellare, impaziente.
Sospirai.
Quando cominciava a fare i capricci in quel modo non la sopportavo proprio… era
più forte di me, anche se era mia figlia e avrei dovuto ‘sopportarla’ anche
quando diventava più lamentosa del solito.
-
Allyson… - la ammonii, ma come sempre il mio tentativo fu vano.
Dio,
non riuscivo ad essere più severa di così con lei!
-
Bella, se posso permettermi… porta la bambina a prendere il gelato, mi occupo
io delle vostre valige. Le porto qui, non ho nessun problema a farlo. – Stan
venne in mio soccorso, ed io stavo ancora cercando di capire quello che mi
aveva appena detto quando Allyson rispose al mio posto.
- Va
bene, va bene! Mamma, andiamooooooooo!
Sospirai
di nuovo, con un sorriso sconfitto sulle labbra. – Va bene, andiamo.
Una
volta consegnate a Stan le chiavi della macchina e quelle dell’appartamento, io
e Allie ci avventurammo verso la direzione che ci aveva indicato il nostro
nuovo amico; secondo la sua descrizione, “Il
mondo di Alice” era distante solo qualche decina di metri dalla palazzina e
lo avremmo riconosciuto subito.
-
Allora… - osservai mia figlia che, al mio fianco, zompettava e camminava allo
stesso tempo, guardando i suoi piedi. – Che gusti ci vuoi, nel gelato?
-
Cioccolato, fragola, cocco… limone, caramello, e zuppa inglese! E anche la
panna! – elencò i gusti tutti sulle dita della mano libera, facendomi rabbrividire
ad ogni cosa che diceva.
Oddio, che accozzaglia disgustosa di gusti! Per
fortuna che lei aveva uno stomaco forte…
- Oh
bene, io invece prendo solo nocciola e menta. – ridacchiai, riportando lo
sguardo sui pochi negozietti che incontravamo, fino a riconoscere il bar che ci
aveva raccomandato Stan. – Hey, guarda Allie, siamo arrivate!
-
Evvivaaaaa! Gelato, gelato, gelato!
Beh,
almeno così era contenta.
Aprii
la porta del bar, che assomigliava davvero molto ad un posto delle favole –
oltre al nome, naturalmente. I tavolini sparsi per il locale, il bancone e la
maggior parte delle pareti erano tutte di un bel color verde bosco, spezzato
qua e là da alcune decorazioni colorate e simpatiche di fatine e gnomi; al lato
del bancone, ad altezza di bambino, c’era un bel cartonato di Trilli, la fatina
di Peter Pan.
-
Mamma, guarda! – Allie la indicò subito, contenta; lei adorava quel
personaggio.
- Poi
chiediamo al proprietario se ce lo regala. – dissi, più per gioco, ma con
Allyson vicino non era tanto sensato dire cose del genere. Mi prendeva sempre
sul serio, la birbante!
- Sì,
dai, la voglio in cameretta! – infatti…
- Oh,
per la miseria! – non ero stata io a parlare, in risposta a quello che mi aveva
appena detto mia figlia, ma un’altra persona. La voce di questa persona, poi,
mi sembrò anche piuttosto familiare.
Vagai
un po’ con lo sguardo all’interno del locale e poi interruppi la mia ricerca;
sgranai gli occhi non appena questi ultimi si soffermarono su un viso
conosciuto, simpatico e dalla bellezza mozzafiato.
- Oh,
cavolo!
- Ma
sei davvero tu? – la ragazza, che sembrava più sorpresa di me, fece il giro del
bancone e si fermò a pochi centimetri di distanza da me e da Allyson; aveva un
sorriso che andava da una guancia all’altra, e i suoi occhi blu brillavano di
gioia. – Isabella Swan a Los Angeles, non ci credo! Ma che ci fai qui?
Detto
questo, mi abbracciò di slancio e quasi mi soffocò nella sua stretta.
- A…
Alice! – dissi, con voce strozzata, ricambiando l’abbraccio.
Alice
Brandon, la ragazza che in quel momento mi stava sbriciolando nella sua
stretta, era stata una delle mie migliori amiche ai tempi del liceo, a Forks.
Passavamo sempre il nostro tempo libero insieme e non ci separavamo mai, tanto
che spesso e volentieri la gente pensava che fossimo sorelle separate alla
nascita.
Subito
dopo il diploma, però, Alice decise di trasferirsi e di aprire una attività
tutta sua; il college, a detta sua, non faceva proprio per lei, e aiutata dai
suoi genitori si era trasferita a Los Angeles – “la città dei suoi sogni”, per
citare le sue parole – pronta a cominciare una nuova vita lì.
Sapevo
che si era creata un posticino tutto suo e che gli affari le andavano piuttosto
bene – i coniugi Brandon mi avevano sempre tenuta informata, anche quando ormai
i nostri contatti si erano chiusi improvvisamente -, ma non immaginavo proprio
che avesse aperto un bar!
Il nome
che gli aveva dato, poi, doveva in qualche modo suggerirmi qualcosa.
- Non
ci credo, non ci credo! La mia migliore amica a Los Angeles! Sei in vacanza? Ma
che sorpresaaaaaaaaa! – urlò mentre scioglieva l’abbraccio.
Non era
cambiata per niente, anche se la rivedevo dopo ben quattro anni; era sempre
allegra, sempre solare, sempre bella… e sempre bassa. Nonostante i tacchi alti
e rossi che aveva ai piedi, non raggiungeva la mia spalla.
- Dio,
Alice, non pensavo che avessi un bar! – ammisi, davvero felice di rivederla. –
Come stai?
Lei mi
prese le mani tra le sue e le strinse, ridendo di cuore. – A meraviglia,
davvero! Va tutto benissimo… tu, invece, che mi dici? Hai finito gli studi?
Sapevo che studiavi infermieristica…
- Beh, sì…
mi sono laureata a luglio… - mi interruppi quando sentii qualcosa tirare l’orlo
dei pantaloncini che indossavo; abbassando lo sguardo, trovai Allyson
aggrappata ad essi, e seminascosta dalle mie gambe.
Oh,
dio, mi ero completamente dimenticata di lei! La sorpresa di ritrovare la mia
vecchia amica mi aveva completamente fatto passare per la mente che insieme a
me c’era anche mia figlia… che madre svampita che ero, altro che Reneè!
- Oh! –
il sussurro di Alice mi fece capire che anche lei si era accorta della presenza
della bambina.
-
Alice… - dissi, sentendomi improvvisamente strana all’idea che dovessi
presentarle mia figlia. Non perché non volessi, ma perché quello era un
‘dettaglio’ della mia vita di cui lei non doveva essere proprio a conoscenza. –
Alice, lei è… è Allyson, mia figlia.
- Tua
figlia?! – Alice sgranò gli occhi, facendoli scorrere dal mio viso a quello
seminascosto di Allie. – Bella, hai… ma come…
Sospirai.
– Ci sono alcune cose che… che dovrei raccontarti, ma non credo che questo sia
il momento giusto per farlo. – accennai un sorriso, alla fine. – Siamo venute
qui per prendere un gelato, Allie lo cerca da un sacco di tempo.
-
Davvero? Aw! – anche Alice riprese il sorriso, e si inginocchiò subito
mettendosi così alla stessa altezza di Allie. – Ciao Allyson, io sono Alice. Lo
andiamo a prendere questo bel gelato, che ne pensi?
Allyson
si affacciò attraverso lo spiraglio delle mie gambe, studiando attentamente il
viso della mia amica; aveva le labbra imbronciate, cosa che faceva sempre
quando stava pensando a qualcosa, ed era ancora più buffa del solito. Alla fine
sorrise. – Sembri un folletto! – esclamò, allungando una manina per toccare i
capelli corti e sbarazzini di Alice.
Lei
rise. – Ah, lo so, me lo dicono tutti… e forse lo sono anche! Vuoi vedere come
faccio bene i gelati?
- Sì!
- Vieni
con me, allora!
Allyson
alzò il viso, osservandomi attentamente. – Posso, mamma?
- Siamo
qui per questo… - dissi, un po’ sconcertata del fatto che mi avesse chiesto il
permesso.
-
Sììììììì! –
Allie sgusciò via dal suo nascondiglio preferito e si
buttò tra le
braccia di Alice, che mi lanciò un occhiata divertita e allo
stesso tempo
confusa.
Sapevo
per quale motivo era confusa.
-
- Non
ci credo ancora che hai una bambina così dolce… Bella! Potevi dirmelo! –
esclamò per l’ennesima volta, poggiando i gomiti sul bancone mentre osservava
mia figlia da lontano.
Seguii
il suo sguardo; Allyson era seduta ad un tavolo, a poca distanza da noi, ed era
impegnata a mangiare il suo tanto agognato gelato ‘tutti gusti’. Aveva addosso
una specie di grembiule di plastica con la stampa di Mickey Mouse, gentilmente
prestato da Alice, per evitare che si sporcasse il vestitino bianco che
indossava.
- Eh, e
come facevo a dirti una cosa simile? – tornai ad osservare la mia amica, che
ancora non si capacitava del fatto che a neanche ventidue anni compiuti, ero
già una mamma. - È accaduto tutto così in fretta, Alice, che per poco non
riuscivo a realizzarlo neppure io!
- Lo
immagino, tesoro… no, non posso proprio immaginarlo. – scosse la testa in
fretta, agitando allo stesso tempo anche le braccia, poi tornò a guardarmi. –
Senti, so che molto probabilmente non vorrai parlarne con me, ma… per caso è la
figlia di Mike?
- Mike
Newton? – chiesi, sbalordita che potesse pensare una cosa del genere. Quando
Alice annuì silenziosamente, scoppiai a riderle in faccia.
- Questo
mi fa pensare che non è sua figlia… - borbottò la mia amica, mentre io ancora
mi sganasciavo dalle risate.
- Tu
sei pazza! – dissi, ridacchiando. – Io e Mike ci siamo lasciati un paio di
settimane dopo che sei partita per la California. Il padre di Allie è… è un
altro, uno che ho conosciuto all’università.
- Ah.
Sai, è perché l’ho vista così bionda…
- Suo
padre è altrettanto biondo. – lo dissi con un tono secco, quasi acido, tanto
che Alice cominciò a guardarmi assumendo un cipiglio dubbioso.
- Non
ne vuoi parlare, vero? – mi chiese dopo un po’, tornando a poggiare i gomiti
sul bancone. – Se non vuoi ti capisco…
- Non è
che non voglio, Alice. – sospirai, posando gli occhi sulla coppetta di vetro
che conteneva il mio gelato alla vaniglia, ormai sciolto; dovevo cercare di spiegarle
quello che sentivo senza innervosirmi troppo, e senza demoralizzarmi subito. -
È solo che non è il posto giusto per parlare di certe cose, e poi non voglio
che la bambina senta tutto… so che ha solo tre anni e che è ancora piccola, ma
è parecchio sveglia.
Alice
annuì. – Ho capito. Però, voglio che tu sappia che se vuoi confidarti con
qualcuno, o se hai bisogno di una mano, puoi contare su di me. – mi mostrò un
enorme sorriso, degno davvero di un folletto dei boschi.
Le
sorrisi anche io. – Va bene.
- Ora,
per cambiare argomento… hai trovato una casa, oppure per il momento hai dovuto
ripiegare per un albergo?
- Casa
in affitto! – risposi prontamente. – Si trova a una trentina di metri da qui… e
forse conosci il portiere, Stan. È stato lui a consigliarmi il tuo bar, anche
se non sapevo che era il tuo.
- Ah,
ma certo che lo conosco! Brava persona, Stan. E in quale appartamento siete? –
chiese, curiosa; dovevo dire che anche la sua curiosità non era andata persa,
anzi, era cresciuta in quegli ultimi anni in cui non l’avevo più sentita.
- Il
7D, ed è anche più grande di quanto pensassi… io e Allie ci troveremo bene, lì.
- Ne
sono sicura…
-
Mamma! – mi voltai verso la voce di mia figlia; la bimba ci aveva raggiunto, e
adesso se ne stava ferma accanto allo sgabello su cui ero seduta reggendo tra
le mani la sua coppetta di gelato… vuota. – L’ho mangiato tutto!
- Oh,
ma che brava! Adesso vieni qui, che ti pulisco per bene…
Pescai
dalla borsa, che avevo posato sullo sgabello accanto, la confezione di
salviettine imbevute che mi portavo sempre dietro – con Allie non si poteva mai
stare tranquilli - e con una le pulii per bene il viso e le manine,
appiccicaticce di gelato.
-
Accidenti, se l’è mangiato tutto! – esclamò Alice, colpita. – Era enorme… non
le verrà il mal di pancia?
- Se
imparerai a conoscerla meglio, capirai che le piace mangiare un sacco… e un
sacco di schifezze. – ridacchiai, togliendo ad Allie quella specie di scafandro
di plastica e riconsegnandolo alla mia amica. Poi, presi in braccio la bambina
e la feci sedere sulle mie gambe. – E niente mal di pancia, te lo posso
assicurare.
Alice,
nel frattempo, aveva tolto dal bancone sia la coppetta vuota di Allyson che la
mia – non avevo toccato quasi per niente quel gelato - ed era poi tornata
davanti a noi. Osservava con attenzione mia figlia, come se fosse alla ricerca
di qualche dettaglio interessante.
- Ha il
tuo naso. – disse alla fine, sorridendo.
Annuii.
– Una delle poche cose che ha ripreso da me, oltre alla timidezza…
- Me la
ricordo, la tua timidezza: alcune volte non riuscivi neanche a comprarti le
caramelle da sola, da piccina! – mi morsi il labbro ricordando quanto la mia
timidezza mi avesse frenato, nella mia infanzia.
-
Oddio, non me lo ricordare! – esclamai, ridacchiando insieme a Alice; poi, alla
fine, dovetti ammettere a me stessa che era ora di tornare all’appartamento per
cominciare a sistemarlo, anche se stare in compagnia di Alice era bello proprio
come ai vecchi tempi. – Su, amore, è ora di tornare a casa.
-
Noooo! Io voglio stare qui, mamma… - si lamentò Allyson, guardandomi tristemente.
- Ma
dobbiamo mettere a posto i bagagli, e tra poco chiamerà anche nonna. Non le
vuoi parlare? – tentai di convincerla, carezzandole i capelli.
Sbuffò,
e mugugnò un “Occhei” mentre cercava di scendere dalle mie gambe; l’aiutai,
rimettendomi in piedi a mia volta.
-
Alice, quanto ti devo per i gelati? – le domandai non appena recuperai la
borsa.
- Non
ci provare neanche a pagare che ti strozzo! Oggi offre la casa… - si sporse sul
bancone, arrampicandosi quasi sulla superficie di legno lucido, - …e domani
sera venite a cena a casa mia! È il giorno di chiusura del bar, quindi sono
libera ed è libero anche Jazz!
- Chi è
Jazz? – adesso era arrivato il mio momento di essere curiosa.
- Jazz…
Jasper, è il mio ragazzo. – arrossì, tirandosi una corta ciocca di capelli. –
Conviviamo da un paio di mesi…
Le
sorrisi estatica, davvero contenta di sapere quelle cose. – Ma che bello Cece!
Non vedo l’ora di conoscerlo!
-
Aspetta che ti scrivo il mio indirizzo, così non ti perdi… hai il navigatore in
macchina, vero? Oddio, dimmi che hai la macchina ti prego!
- Certo
che ho la macchina, e ho anche il navigatore… ti preoccupi, per caso? – mi
venne quasi da ridere.
- Beh,
così almeno so che la strada la trovi tranquillamente e non ti perdi. –
ridacchiò, ma smise subito imbronciandosi nel giro di pochi istanti. – E non mi
chiamare Cece, l’ho sempre odiato! Anche Jazz mi chiama così, che palle!
-
Alice, la bambina! – la ammonii; non volevo che mia figlia imparasse già le
parolacce.
Alice mi
porse un foglietto di carta, ridendo di cuore. - Ma non mi ha sentito, se ci
hai fatto caso è scappata via.
Mi
guardai attorno, improvvisamente preoccupata per mia figlia, ma la trovai
subito; era a poca distanza da me, tutta impegnata a contemplare da vicino il
cartonato di Trilli. La raggiunsi in fretta, sollevata.
-
Allie, saluta Cece che adesso andiamo a casa. - le dissi, dandole una leggera
pacca sulle spalle.
- Ma
chi è Sese? – mi domandò, storpiando anche quel nomignolo.
- È
Alice, tesoro.
Lei
subito si voltò verso di Alice, che ci aveva raggiunto e che mi stava guardando
arrabbiata; quasi mi strozzai per soffocare una risata. Odiava davvero tanto
quel soprannome, nonostante non lo usasse più nessuno da anni.
- Ciao
ciao Sese! – la salutò Allyson, usando anche le manine.
- Aw,
ma ciao Allie! – la mia amica si inginocchiò e la abbracciò, dandole un bacino
sulla guancia che venne subito ricambiato. – Se vuoi, puoi portare a casa
Trilli… ne ho un’altra in magazzino.
Gli
occhi di mia figlia si sgranarono per la felicità.
-
Davvero? Grazieeeeeeeeee! – e si buttò tra le sue braccia.
- Ma di
niente! – esclamò lei. – E la tua mamma… divertiti pure a chiamarla Sissi!
-
Alice! – sbraitai contro di lei.
Odiavo
quel cavolo di soprannome… mannaggia a mia madre!
-
- Allora, tesoro, va tutto bene lì? – era
la terza volta che mia madre me lo chiedeva, mentre mi osservava attentamente
grazie allo schermo del computer.
Sbuffai.
– Sì, mamma, va tutto bene… e sto sistemando tutti i nostri averi, se non te ne
sei ancora accorta! – agitai una delle tante maglie che, fino a qualche minuto
prima, si trovava in una delle mie valige.
Mia
madre socchiuse gli occhi. – Bella, non
fare del sarcasmo, che poi non ti riesce neanche bene!
Alzai
gli occhi al cielo, incurante del fatto che la mamma mi stesse osservando.
Erano
le sette di sera, eravamo tornate a casa da un paio di ore dalla visita al bar
di Alice, e ancora ero in alto mare con lo svuotamento delle valige; mi ero
occupata, prima di tutto il resto, di sistemare il letto di Allyson ed i suoi
vestiti, così che non avesse nessun problema. Poi ero passata a sistemare la
mia roba, ed avevo appena iniziato.
Non
avevo neppure pensato a comprare qualcosa per cena – cosa che avevo evitato
scrupolosamente di rendere noto a mia madre -, e alla fine mi ero fatta
consigliare da Stan una buona pizzeria che facesse anche servizio a domicilio.
Stavo aspettando che arrivasse il fattorino con la nostra cena, mentre
procedevo nei miei compiti.
- Sai che non sapevo se avevi Internet, lì,
Bella? Mi sono collegata e ho temuto per tutto il tempo che non potessi parlare
con te…
- No,
qui Internet è a posto, funziona anche il telefono! – la misi al corrente di
tutto, mentre ripiegavo i miei jeans e li mettevo da parte. – La casa è da
abbellire un po’, ma per ora va bene anche così.
- Ma certo che va bene…
- Papà
dov’è? A lavoro?
La
sentii sbuffare, tanto che alla fine tornai a guardare lo schermo del pc. – No, è a cena con alcuni colleghi. Stasera
sono sola soletta, e mi guarderò in santa pace Dirty Dancing, senza
interruzioni!
- Ecco
perché non l’ho trovato, prima! Ce l’hai tu! Mamma! – le urlai contro.
- Ma Bella, sai che è il mio film preferito!
Non potevo lasciartelo portare in California… ne comprerai un’altra copia, che
sarà mai.
Eh già,
che sarà mai…
-
Senti, mamma… - mi interruppi, indecisa se chiederle o no quello che volevo
sapere sin da quando ero partita con mia figlia, ma alla fine decisi che era
meglio non rimandare. – Mamma, lui si
è fatto vedere? Ci ha cercato, oppure…
- No, no tesoro mio. Non l’ho visto per niente
qui, e farebbe meglio a non farsi vedere! Sa meglio di me e di te quello che
gli può accadere.
Annuii,
sentendomi un po’ più sollevata. Un impiccio in meno.
- Bella, davvero non devi assolutamente
preoccuparti. Lui non sa dove siete e non verrà di certo a saperlo tanto
facilmente. – continuò a dirmi mamma.
-
Cercherò di ricordarlo…
- Ma dov’è Allie? Mi manca di già la mia
piccolina!
- È di
là, sta… giocando. – non appena mia madre la nominò, mia figlia uscì di corsa
dalla sua nuova cameretta e corse verso di me, che me ne stavo ancora
inginocchiata sul pavimento del salotto. Si trascinava dietro la sagoma di
Trilli, che era il doppio più grande di lei.
-
Nonnaaaaaaaaa! – urlò, mentre mi si buttava addosso.
- Tesoro, la nonna è qui, non buttarti sopra a
tua madre! – la ammonì mia madre, ridendo.
- Sì,
ma voglio abbracciarti e tu non sei qui con noi, così abbraccio mamma. – la sua
logica non faceva una piega.
- Verrò a trovarvi il prima possibile,
promesso.
- Vieni
per il compleanno di mamma? – chiese Allie, guardando fisso lo schermo del
computer.
- Certo, se riesco a ottenere qualche giorno
di ferie…
-
Mamma, sai che non è necessario, eh? – in quel momento mi sentii parecchio a
disagio; avevo sempre odiato il mio compleanno, invece a mia figlia piaceva
molto festeggiare “la mamma che diventava tanto grande”.
- E invece ci vengo, se ce la faccio! Anche
per darti un piccolo aiuto, Bella… quand’è che cominci a lavorare?
- Lunedì
prossimo… - il mio primo giorno di lavoro come infermiera al Good Samaritan
Hospital si avvicinava, e quello era stato il motivo per cui avevo voluto
trasferirmi a Los Angeles alla prima occasione giusta. La casa l’avevo già
presa, tanto, e non appena avevo visto che avevano accettato il mio
trasferimento/ammissione all’ospedale non ci avevo pensato due volte a fare i
biglietti e a preparare le valige.
- Ecco, visto? Chissà quanto dovrai lavorare,
e la bambina da sola non ci può proprio stare, è troppo piccola… avrai bisogno
di una mano.
-
Domani io e Allie andiamo a cercare una scuola per lei, non è vero amore? –
abbracciai mia figlia, baciandole i capelli. – Vero che non vedi l’ora di
andare a conoscere gli altri bambini?
- No,
io non ci vado a scuola! – quella solfa andava avanti già da un po’, ma sarei
riuscita a convincerla presto... o almeno, ci speravo.
In quel
momento, il citofono cominciò a suonare.
- Ah,
questo è il fattorino della pizza! Amore di mamma, stai qui a parlare con la
nonna mentre vado a pagare, va bene?
Mi
alzai dal pavimento non appena Allie mi disse di sì, e volai all’ingresso per
aprire al fattorino; due minuti dopo, con i cartoni contenenti la nostra cena
tra le mani e con tredici dollari in meno, andai in salotto per richiamare la
bambina e per salutare mia madre.
-
Mamma, ti dobbiamo lasciare altrimenti le pizze si raffreddano! – le dissi,
mentre prendevo di nuovo posto sul pavimento e posavo i cartoni sul basso
tavolino di legno.
- Allora vi lascio mangiare in pace, care! Ci
sentiamo domani, va bene? E faccio restare anche il nonno, così parlate anche con
lui.
- Nonno
Charlie! Gli dai un bacio da parte mia? – mia figlia era davvero affezionata a
suo nonno materno, anzi, a dire tutta la verità era letteralmente innamorata di
lui.
- Ma certo amore mio! Vai a mangiare adesso…
noi ci sentiamo domani.
- Ciao
mamma.
- Ciao
nonnaaaaa!
Chiusi
Skype non appena mia madre chiuse la video chiamata, e subito dopo spensi il
pc; poi, acchiappai mia figlia tra le braccia.
-
Adesso tu mangi la pizza, poi io mangio te! – cominciai a mordicchiarle piano
il collo e le guance, mentre lei rideva a crepapelle e si dimenava tra le mie
braccia.
-
Lasciami! Lasssciami! Aaaaaah! Basta!
Dio,
quanto amavo mia figlia!
-
Ehm…
buon pomeriggio, innanzitutto.
Quello che
avete appena letto è una piccola idea che mi è sbucata in testa qualche giorno
fa; ho cominciato subito a scrivere il primo capitolo, visto che lo avevo tutto
sviluppato per benino, e… e niente, non so che altro dire XD
No,
ecco… molto probabilmente con questa idea verrà fuori una nuova longfic, ma non
penso di svilupparla tutta adesso. Ho comunque un’altra storia all’attivo e una
sospesa, quindi molto probabilmente gli aggiornamenti saranno un po’ sporadici.
Però la aggiornerò, state sicure :)
Per il
momento è tutto… vi saluto, vi abbraccio e vi aspetto alla prossima! Se vi va,
fatemi sapere cosa ne pensate di questo prologo/primo capitolo, ci tengo
davvero molto nel sapere le vostre considerazioni ;)
Un
bacio!
KrisC
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Solo il tempo... - Capitolo2
Solo il
tempo…
Capitolo
2
-
Mamma, ma quand’è che arriviamo? – era la quarta volta, o forse la quinta, che
mia figlia mi ripeteva quella domanda nell’arco di pochi minuti.
-
Presto, amore, arriviamo presto… - le risposi per l’ennesima volta,
osservandola velocemente grazie allo specchietto retrovisore; Allie se ne stava
seduta tranquilla sul suo seggiolino, e teneva stretto tra le braccia il suo
peluche preferito, quello di Stitch. Ero riuscita a convincerla a prendere
quello invece del suo nuovo amico, il cartonato di Trilli.
Sarebbe
diventato il mio nuovo incubo quell’affare, ne ero sicura.
- Ma
dove stiamo andando?
-
Stiamo andando a vedere la scuola… - o almeno, ci stavo provando.
La sera
prima, quando Allie si era finalmente addormentata ed avevo trovato un po’ di
tempo libero, avevo preso il portatile e grazie ad Internet mi ero messa alla
ricerca di alcune scuole materne per la bambina; mentre io lavoravo, il giorno,
lei sarebbe rimasta lì.
Era la
soluzione migliore, anche se mi dispiaceva lasciarla per diverse ore al giorno
in un posto dove non conosceva nessuno; speravo, naturalmente, che facesse
nuove amicizie e che relazionasse un po’ con altri bambini della sua età. A
Forks e a Seattle non aveva avuto molte opportunità per farlo, visto anche
quello che stava accadendo…
Comunque,
quella mattina ci eravamo alzate entrambe presto e ci eravamo messe in marcia
per vedere gli asili; ne avevo trovati alcuni, ed avevo preso nota dei vari
indirizzi così da poterli inserire nel navigatore. Non volevo perdermi, ma
chissà come mai ci stavo riuscendo alla perfezione: era già la terza volta che
sbagliavo strada!
- Io
non ci voglio andare a scuola… - si lamentò Allie.
- Non
devi mica andarci adesso! – esclamai divertita. – La andiamo solo a vedere, e
se ti piace ci andrai quasi tutti i giorni… altrimenti ne vediamo altre.
- Non
voglio andarci uguale! Io voglio stare con te. – disse ancora.
Mi
morsi piano l’interno della guancia, mentre continuavo a guidare.
Sapevo
che per lei sarebbe stato un po’ difficile passare dalla fase ‘passiamo tutto
il tempo insieme alla mamma’ a quella ‘passiamo un po’ di tempo anche a
scuola’; per tutti i bambini era difficile, era risaputo, ma pian piano si
abituavano a quella nuova condizione e per loro diventava sempre più facile
staccarsi dai genitori e stare insieme agli altri. Sperai che per Allie non
fosse un esperienza tanto traumatica, visto anche il distacco che c’era stato
tra lei e suo padre nell’ultimo periodo…
Scossi
la testa, cercando di mandare via quel pensiero. Non era proprio il massimo, in
quel momento, pensare a James e a tutta la storia che ne era conseguita… no,
era meglio tenere ancora per un po’ a bada quell’argomento. Dopotutto, quella
sera ne avrei discusso sicuramente con Alice, e già quella prospettiva mi
rendeva nervosa e tesa. Era meglio restare sereni e tranquilli, o almeno
provarci fino a quel momento.
- Non
puoi restare con me, Allie. Devo lavorare… - presi un piccolo respiro prima di
continuare a parlare. – Però non starai da sola, lo sai? A scuola ci saranno
sicuramente tanti altri bambini con cui giocare. Vedrai che sarà divertente!
Allie
non rispose subito, e forse lo fece perché non sapeva come ribattere alle mie
parole. Sbirciai di nuovo dallo specchietto retrovisore e la vidi che stava
osservando attentamente il suo peluche, con le labbra imbronciate e una piccola
ruga di concentrazione tra le sopracciglia.
Stava
riflettendo sulle mie parole, a quanto sembrava, e trattenni una risatina tra
le labbra. Quel suo visetto tutto concentrato e attento era davvero buffo, e se
non fossi stata così impegnata a guidare la macchina l’avrei abbracciata e
sommersa di baci.
Allie
riemerse dai suoi pensieri dopo un po’, quando io avevo finalmente trovato la
strada giusta e stavo osservando per bene la via, alla ricerca della scuola. –
Davvero ci sono dei bambini con cui giocare? – mi chiese, ed avvertii una nota
di preoccupazione nella sua voce.
- Ma
certo! – le risposi subito, convinta e sincera. – Ci sono tanti bambini che non
vedono l’ora di giocare insieme a te… guarda, la scuola è questa qui!
Come se
fosse stata una cosa premeditata, mentre parlavo passammo davanti all’edificio
scolastico, che riconobbi subito grazie alle varie foto che avevo trovato su
Internet. Era grande, con i muri dipinti di un gradevole color pesca e con uno
spazioso giardino/cortile che lo circondava; se non fosse stato per il cartello
di legno con su scritto ‘Scuola per l’infanzia’, nessuno l’avrebbe riconosciuta
come tale, nemmeno io.
- Uauuu!
È questa la mia scuola? – esclamò mia figlia dal sedile posteriore, e sembrava
davvero entusiasta. - È bellissima!
- Sì, è
proprio bella. – la assecondai subito, con un sorriso: forse ero sulla buona
strada per convincere finalmente Allyson ad andare a scuola. – Perché non
andiamo a vedere com’è all’interno?
- Sì,
andiamo! Andiamo, mamma!
L’improvviso
buonumore che era comparso in Allie mi fece ben sperare, e dopo averla liberata
dalle imbracature del seggiolino andammo a vedere ‘la sua scuola scuoletta’,
come l’aveva già allegramente chiamata.
Per
fortuna quel giorno era aperta, e una giovane e simpatica responsabile
dell’istituto ci guidò all’interno dell’edificio per mostrarci le varie aule e
stanze. Tutto, dai corridoi riccamente decorati alle aule dei bambini,
trasmetteva allegria e simpatia. Mi piacque moltissimo, e la stessa cosa valeva
per mia figlia che era rimasta particolarmente contenta di trovare un aula
completamente dedicata al disegno.
Ad
Allie piaceva molto disegnare e colorare, ed aveva una strana passione per gli
acquerelli e per le tempere; se non stavi attenta e non la tenevi costantemente
sott’occhio, ti dipingeva tutta la casa… altro che imbianchino!
-
Mamma, posso restare qui? Per favore, per favore! – quella sua richiesta di
rimanere lì mi sorprese davvero molto.
Avevo
capito che gli fosse piaciuta la scuola, ma non immaginavo davvero che avesse
voluto già restarci.
- Ma
come, prima dici di no e poi vuoi restare qui? – dissi, scherzando. – Oggi non
puoi stare qui, amore, ma tra qualche giorno ci torniamo di nuovo, va bene?
L’entusiasmo
di Allie scemò un po’, però si vedeva lo stesso che era contenta all’idea di
tornare in quel posto: non ci era rimasta troppo male per il mio ‘no’ di prima.
Non
appena la bimba cominciò a concentrarsi sul suo pupazzo Stitch, che non aveva
voluto lasciare in macchina, rivolsi la mia attenzione su Eleanor, la ragazza
che ci aveva accompagnato a fare il ‘tour’ della scuola: era carina e bionda, e
sembrava avere suppergiù la mia stessa età.
- Posso
iscrivere già la bambina oppure devo ripassare… - dissi, non sapendo come
comportarmi. Era una cosa tutta nuova per me, quella, contando che fino a poco
tempo fa ero io quella che doveva ripetere ogni anno l’iscrizione
all’università.
- No
no, può farlo anche subito! – Eleanor si animò subito, ma solo dopo aver
distolto la sua attenzione da Allyson che giocava; aveva colpito ancora, la mia
streghetta. - Spostiamoci in segreteria, mi segua…
Nella
segreteria, scoprii con sorpresa, trovammo altre tre persone, tutte donne –
avevo dato praticamente per scontato che Eleanor fosse l’unica persona presente
in tutto l’istituto. Mi sedetti ad una delle sedie poste di fronte alla
scrivania di Eleanor mentre Annah e Julia, due allegre signore sulla
cinquantina, avevano preso ‘sotto sequestro’ mia figlia e le stavano offrendo
delle caramelle. Lei non sembrava per niente intimidita da loro… e come poteva
esserlo, se poteva tranquillamente rimpinzarsi di dolciumi?
Mentre
riempivo il modulo di iscrizione con tutti i dati di Allyson, Eleanor mi
spiegava meglio come funzionavano le cose lì alla scuola, e a lei si aggiunse
anche Mia, una ragazza che sembrava essere poco più vecchia di me e della sua
collega. Una cominciava una frase e una la terminava… sembravano Pinco Panco e
Panco Pinco.
- La
scuola è aperta per cinque giorni la settimana, dal Lunedì al Venerdì…
- Dalle
otto e mezzo del mattino alle quattro e mezzo del pomeriggio…
- I
bambini mangiano nella mensa tutti i giorni, c’è qualcosa a cui Allyson è
allergica? Così evitiamo spiacevoli inconvenienti…
- Il
giovedì facciamo fare anche un po’ di ginnastica ai bambini, vedessi come si
divertono!
Mentre
procedevo a firmare e controfirmare il modulo di iscrizione, ascoltavo quello
che le due ragazze dicevano e sorridevo tra me e me; non era cosa da tutti i
giorni ritrovarsi delle segretarie così giovani in una scuola. Quelle che avevo
io al liceo erano tutte vecchie racchie… pensai, con un brivido, alla signorina
Cope, che era sempre uguale e che aveva da secoli la foto dello stesso e
identico gatto, Mister Palletta, in bella mostra sulla scrivania.
-
Fatto! – terminai la mia firma con uno svolazzo, interrompendo così Eleanor e
Mia che stavano discutendo su quale fosse la maestra più buona e tranquilla di
quell’asilo.
-
Fatto? Benissimo! – Eleanor prese il modulo che le porgevo tra le mani e mi
sorrise. – Per adesso non serve nient’altro…
- Ma
che dici, Ele! C’è la tassa scolastica da pagare… se fosse per te non faresti
mai pagare nessuno, rincretinita! – la rimproverò Mia.
-
Rincretinita a chi?!
-
Ragazze! – le ammonì Julia. – Se non lo avete ancora notato, qui c’è una
bambina piccola che sente tutto quello che dite… e non penso che la sua mamma
voglia che impari brutte parole, o sbaglio? – continuò, rivolgendosi a me e
regalandomi anche un occhiata un po’ esasperata.
Mi
venne da ridere, e scrollai le spalle. – Beh, rincretinita non è una così
brutta parola… Allie ha sentito di peggio.
Tornai
con la mente ai vari sabato sera trascorsi a casa dei miei genitori, con mia
madre che cercava di distrarre sua nipote e con mio padre che seguiva le
partite di football alla tv e imprecava, a poca distanza da loro… eh sì, aveva
decisamente sentito di peggio.
- Porca
trrroia!
- ALLYSON! – urlai, e al mio rimprovero si
aggiunsero anche le esclamazioni sorprese delle altre signore presenti nella
stanza.
Perché,
perché mia figlia doveva mostrare a tutti che aveva davvero sentito parole più
brutte di ‘rincretinita’? Perché doveva riuscire a mettermi in imbarazzo anche
in quel momento? E per di più, perché doveva far vedere a tutti i costi che
sotto a quel bel faccino innocente si nascondeva anche una piccola peste?
Io
ancora non riuscivo a spiegarmelo…
- Non
l’ho fatto apposta… - si scusò lei.
-
Allyson, piccolina… sai che questa è una brutta parola, e che non si dice?
Specialmente le belle bambine come te non la devono dire assolutamente! – Annah
era rimasta davvero sorpresa e sconcertata dalla parolaccia che era uscita
dalle labbra di mia figlia.
- Il
nonno la dice sempre, però.
Sospirai.
– Il nonno segue anche i Seattle Seahawks, però.
- Ah!
Beh, questo spiega tutto… però, Allyson, questa parola non si dice, va bene?
- Va
bene. – ripeté la bambina, mogia mogia, ma si riprese subito. – Posso avere
altre caramelle, per favore?
- No
tesoro, basta caramelle per oggi… ne hai già mangiate troppe. – le dissi, e le
feci segno di raggiungermi. Allie lo fece subito, e quando mi fu davanti alzò
le braccia in alto, chiaro segno che voleva essere presa in braccio. La
accontentai di buon grado, e mi beccai anche una peluchata in faccia.
- Ma io
voglio le caramelle, mamma!
- Più
tardi, se farai la brava bambina. – le promisi. Allie annuì, e mi lasciò anche
uno scrocchiante bacio sulla guancia. Faceva di tutto per ottenere quello che
voleva, alcune volte, e per rendersi più brava ai miei occhi… cosa che non
serviva proprio.
Anche
se alcune volte mi faceva vedere i sorci verdi, non avrei voluto che cambiasse
di una virgola.
-
Quindi, cosa devo fare per pagare la tassa scolastica? – chiesi, tornando al
discorso che stavo facendo prima con Eleanor e Mia.
La
risposta era davvero molto ovvia: per pagare la tassa scolastica dovevo, per l’appunto,
pagare. Però qualche informazione in
più non faceva poi così male…
- Ah
sì, giusto! – Eleanor, che si era seduta sulla sua scrivania, cominciò a
frugare sopra di essa alla ricerca di qualcosa; alla fine sembrava averla
proprio trovata, e si affrettò a scribacchiare sul foglio che aveva appena
preso tra le mani. – Deve fare un bollettino postale… qui c’è tutto quello che
serve per poterlo fare. – mi passò il foglio su cui aveva appuntato qualcosa, e
lo presi con la mano libera.
- Bene,
grazie.
- Beh,
è tutto! Quindi… ci vediamo lunedì alle otto e mezzo per il primo giorno di
scuola, eh Allyson? – Eleanor sorrise a mia figlia. – Puoi portare anche il tuo
amichetto, se vuoi.
-
Davvero? Mamma, hai sentito? Viene anche Sticch! – esclamò la bambina, guardandomi
in maniera quasi adorante.
“Sempre
meglio lui che Trilli”, pensai subito, ma non espressi a parole quella mia
considerazione; mi limitai, invece, ad assecondare la piccola. – Ma che bello!
Se non dovessi andare a lavorare ci verrei anche io, a scuola.
Salutammo
le allegre signore della segreteria prima di andare via, poi Eleanor si premurò
di accompagnarci fino al portone della scuola; ci salutò di nuovo, ricordandoci
ancora una volta il giorno e l’ora in cui dovevo portare la bambina, dopodiché
tornò dentro l’istituto.
Con
Allyson ancora tra le braccia, che si era quasi aggrappata alla mia spalla con
una manina, percorsi con calma il breve tragitto fino alla macchina; restai in
silenzio, pensando che avevamo fatto presto e che non dovevamo restare tutta la
mattina a cercare altre scuole materne. Forse potevo fare un piccolo regalino
ad Allie, dopo aver pagato quella maledetta tassa scolastica…
-
Amore, ti va di fare una cosa oggi? – le chiesi, mentre la rimettevo seduta sul
seggiolino e le sistemavo le cinture.
- Cosa?
– rispose subito; era sempre interessata a domande del genere, la birbante.
- Ti va
di andare un pochino al mare più tardi?
Gli
occhi di mia figlia si sgranarono non appena sentì la mia domanda; era dal
giorno prima che mi chiedeva di portarcela, e adesso mi sembrava davvero
l’occasione giusta per farlo. Per fare un pochino di spesa e per prepararci per
la cena a casa di Alice avevamo tutto il pomeriggio, quindi potevamo andarci
tranquillamente.
- Che
bello, il mare! – urlò, e lanciò il peluche di Stitch da qualche parte nella
macchina per potermi abbracciare. Mi baciò anche diverse volte la guancia.
Ridacchiai,
contenta per la reazione – super scontata, tra le altre cose – che aveva avuto
mia figlia. Farla felice era quasi sempre facile, si accontentava di poco e le
cose più semplici e di poco conto le piacevano tantissimo. Era una delle
pochissime cose che aveva preso da me, e che si erano tutte concentrate sul suo
carattere… e invece di dispiacermene, ne ero davvero contenta.
-
Eravamo
tornate a casa verso le due del pomeriggio, dopo la gita al mare; Allie si era
divertita tantissimo e sarebbe voluta rimanere per tutto il giorno in spiaggia,
ma glielo avevo vietato categoricamente e, anche se aveva provato ad insistere,
non era riuscita a convincermi in nessun modo a cambiare idea.
Il
sole, a quell’ora, era diventato troppo forte ed era meglio se entrambe restavamo
al coperto nelle ore più calde della giornata; il pomeriggio, poi, Allyson di
solito faceva un piccolo sonnellino e volevo che lo facesse anche quel giorno.
Già l’avevo svegliata di buon ora, quella mattina, cosa a cui non era proprio
abituata, e dato che quella sera saremmo state a cena fuori riposare un pochino
le avrebbe fatto bene.
Non
sapevo quanto tempo saremmo state fuori, e se Alice non era davvero cambiata in
quegli anni avrebbe chiacchierato molto a lungo… senza parlare del fatto che
voleva sapere tutto su di me e su mia figlia. Sì, era meglio che dormiva un
po’, la mia bimba.
Mentre
Allyson riposava, avevo girato per un po’ di tempo dentro l’appartamento ed
avevo fatto l’inventario di quello che mi sarebbe piaciuto comprare per
renderlo più allegro e un po’ più mio e di mia figlia. La lista era diventata
davvero lunga, tanto da preoccuparmi.
Sicuramente
all’Ikea avrei trovato la maggior parte della roba che cercavo.
Cominciai,
per l’appunto, a cercare sul sito dell’Ikea i vari mobili e le cianfrusaglie
che volevo; trovai parecchie cose che mi piacevano e che sarebbero state bene
con i pochi ed essenziali mobili che già c’erano nell’appartamento, e smisi di
cercare solo quando la bambina si svegliò dal suo pisolino, reclamando la
merenda.
Una
mezz’oretta dopo, quando Allie si era svegliata per benino ed aveva mangiato la
brioche al cioccolato che le avevo comprato prima in uno Starbucks, uscimmo ed
andammo a fare un po’ di rifornimento per la dispensa; non potevamo continuare
a vivere solo di pizza e di panini, giusto?
Una
volta tornate a casa, dopo che avevamo svaligiato una buona parte del
supermarket, trovammo Stan che ci stava aspettando davanti alla porta
dell’appartamento; ai suoi piedi c’erano due grossi scatoloni dall’aria
pesante. Li riconobbi quasi subito, erano quelli che mia madre aveva spedito un
paio di giorni prima della nostra partenza, e che contenevano gran parte dei
miei libri ed i giocattoli di mia figlia.
Così,
una volta rientrate in casa, cominciai a sistemare la spesa ed il contenuto
degli scatoloni mentre mia figlia giocava con il suo piccolo tesoro, che non
aveva perso tempo a portare tutto in camera sua.
Verso
le sei, però, la reclamai e la portai a fare il bagnetto: Alice ci aspettava
per cena alle otto, e sapevo che era molto pignola in fatto di puntualità…
quindi, era meglio evitare di arrivare tardi, contando che dovevo anche mettermi
a guidare e che dovevo concentrarmi per rischiare di non perdermi, navigatore
permettendo.
Ero
impegnata ad insaponare attentamente i capelli di Allie mentre lei, come se
niente fosse, mi passava la spugna insaponata sulle ginocchia. Farle il
bagnetto cercando di non bagnarmi a mia volta era un impresa impossibile –
Allie scalciava e si sbracciava peggio di una papera -, e avevo cominciato da
diverso tempo a fare il bagno insieme a lei. La vasca del nostro appartamento
era abbastanza grande da contenere tutte e due, e contando che per le sette e
mezza dovevamo essere pronte quella era senza nessun dubbio la soluzione
migliore.
-
Maaaaa! Brucia! – urlò mia figlia, strofinandosi l’occhio dove, per sbaglio, le
era andato un po’ di shampoo.
- Scusa
amore! – mi affrettai a sciacquarle subito l’occhio e il visino con dell’acqua
pulita, facendo piano. Non appena finii la bambina cominciò subito ad aprire e
chiudere velocemente le palpebre, sorridendo e ridendo come una scemina.
-
Ancora mamma, ancora!
Lo avevo
detto che era una scemina!
Risi
insieme a lei. – No, dopo facciamo tardi… chiudi gli occhi adesso, così ti
sciacquo i capelli.
Ubbidì
subito senza fare nessuna protesta, e restò buona buona per tutti i minuti che
mi servirono per toglierle tutto lo shampoo dalla testa. Quando finii, uscii
dalla vasca e mi avvolsi in un asciugamano, dopodiché presi l’accappatoio di
Allie e la andai a recuperare, avvolgendocela dentro.
-
Adesso ci andiamo a asciugare e a vestire, furfantella! – esclamai,
strofinandole il piccolo cappuccio di spugna sulla testa. – Ci facciamo belle
belle…
Allie
mi guardò da sotto il cappuccio, incuriosita. – Perché ci facciamo belle belle?
-
Perché andiamo a trovare Cece, dopo. Non te lo ricordi più? – la depositai con
attenzione sul letto della sua stanza e cominciai ad asciugarla attentamente.
Lei si
tolse il cappuccio dalla testa e mi guardò di nuovo, con gli occhi sgranati
dalla sorpresa. – Andiamo da Cece? Che bellooooo! – esclamò, tutta contenta.
- Però
dobbiamo sbrigarci, a Cece non piace quando le persone arrivano in ritardo… -
le lasciai l’accappatoio addosso mentre mi spostavo verso il piccolo armadio
della sua camera; lo aprii, lasciando poi vagare lo sguardo sui vari vestiti
che avevo sistemato all’interno. – Che cosa ci mettiamo, vestitino oppure
pantaloncini e maglietta?
-
Vestitino, vestitino! – mi rispose lei; si divertiva sempre a scegliere da sola
i vestiti che voleva indossare, e dovevo dire che rispetto a me aveva più gusto
in fatto di moda… ed aveva soltanto tre anni. – Quello assurro e bianco, mamma.
- Va
bene… - con un sorriso sulle labbra, afferrai l’abitino che mi aveva descritto
e prima di chiudere l’armadio le presi anche un paio di mutandine pulite.
Tornata
da lei, la vestii e le misi ai piedi i sandaletti rosa di Minnie, che voleva
mettere sempre e comunque. Dopodiché, la portai di nuovo in bagno e mi occupai
dei suoi capelli. Mentre mi occupavo di mia figlia, naturalmente, ero ancora avvolta
nell’asciugamano ed avevo i capelli umidi che mi ricadevano sulle spalle… ma
non mi importava proprio. Allie era sempre la mia priorità, tutto il resto
passava direttamente in secondo piano.
Le
asciugai i capelli e non appena furono tornati di nuovo ricci e morbidi glieli
fissai ai lati della testa con un paio di mollettine azzurre, per restare in
tinta con i suoi vestiti; le uniche cose che stonavano erano le scarpe, ma che
ci potevo fare? Lei voleva quelle…
- Ma
quanto sei bella! – le stampai un bacione sulla guancia. – Mi aspetti di là
adesso? Mi sistemo e poi possiamo andare da Cece…
- Va
beeeeeeene. – Allie mi lasciò da sola in bagno, tornando molto probabilmente in
camera sua a giocare.
Passai
una buona decina di minuti a cercare di districare i miei capelli e ad
asciugarli, cercando anche di dare un senso al mio mosso un po’ strano e quasi
ribelle; riuscii a farli stare come volevo io, anche se si gonfiarono un po’ di
più rispetto al solito. Con uno sbuffo, li legai in una coda bassa che avrei
sciolto un secondo prima di uscire di casa.
Lasciai
il bagno, diretta in camera mia, senza neanche truccarmi: odiavo farlo, era uno
di quei vezzi che non riuscivo proprio a sopportare… il mio massimo era un filo
di gloss sulle labbra di tanto in tanto.
Un
vezzo che mi sarei portata dietro fino alla morte, invece, era quello di avere le
unghie delle mani e dei piedi sempre smaltate. Ero una patita degli smalti, ne
avevo una pochette piena e di ogni colore più disparato… ma molto probabilmente
quella mia piccola mania sarebbe dovuta essere messa da parte in vista del mio
nuovo lavoro.
Da quel
che ne sapevo io, non si era mai vista in giro un infermiera con le unghie
dipinte di giallo canarino…
Mi
vestii in fretta e furia una volta arrivata in camera, con i primi vestiti che
mi capitarono sottomano per di più, ossia un paio di short di jeans, una
canotta marrone e una camicia di lino beige a maniche corte. Non stavo poi così
male, ma non mi andava di cercare qualcosa di più ricercato… mica dovevo
rimorchiare qualcuno, dopotutto! Andavo soltanto a trovare una vecchia amica ed
il suo nuovo ragazzo insieme a mia figlia, non era nulla di ché.
Sistemate
anche le scarpe, andai dritta in cucina a recuperare la bottiglia di vino che
avevo preso quel pomeriggio al supermarket; non mi andava di presentarmi senza
niente da Alice. Stavo per poggiarla sul piccolo tavolo rotondo della cucina
quando sentii il cellulare suonare… in camera.
Sbuffai,
e feci per uscire dalla cucina per andare a prenderlo quando vidi Allie venire
verso di me, con il telefonino tra le manine paffute e il suo Stitch
sottobraccio. – Tieni mami.
-
Grazie amore… - le diedi un bacino tra i capelli prima di rispondere alla
chiamata, senza neanche vedere chi era che telefonava. – Pronto?
- Ciao tesoro! – era mia madre, allegra
come sempre. – Ti volevo dire che stasera
non faccio in tempo per la videochiamata, come ti avevo promesso… sono bloccata
da Jane con la tinta ancora nei capelli.
Jane era
la parrucchiera di fiducia di mamma.
- Non
fa nulla, mamma, non preoccuparti. Noi stiamo per uscire, ci hanno invitato a
cena… ti avrei mandato un messaggio per avvertirti. – tornai all’interno della
cucina e poggiai, finalmente, la bottiglia sul tavolo.
- Vi hanno invitato? Ma… ma come? Siete lì
solo da due giorni! – mamma era appena entrata in modalità
‘mamma-apprensiva’. – Tesoro, non è un
pochino presto per… per queste cose?
Inarcai
le sopracciglia. – Mamma, ma che stai dicendo?
- La verità, Bella. Accetti già inviti a cena
da sconosciuti, e per giunta ti porti dietro la bambina! Pensavo che fossi un
po’ più responsabile, signorina…
-
Mamma, frena la lingua! Non mi sembra che Alice sia una sconosciuta, la conosci
benissimo anche tu! – ribattei piccata; odiavo quando mi rimproverava, e per
giunta quando non avevo fatto nulla di male.
- Alice? Alice chi?
- Alice
Brandon, mamma. Ieri ci siamo incontrate per caso e mi ha invitato a cena da
lei…
- Oh! – il suo tono di voce adesso era
sorpreso. – Ma dici sul serio? Che bella
cosa! Viene anche Allie con te, giusto?
- Sì,
mamma, viene anche lei… ma che domande fai? – il mio umore era di gran lunga
cambiato, e in peggio… mannaggia lei e le sue parole avventate!
Mia
madre restò in silenzio per un po’, poi la sentii sospirare. – Bella, tesoro. Mi dispiace per quello che ho
detto prima, è solo che… sei in una città completamente nuova e sconosciuta, e
mi preoccupo per tutto! Cerca di capirmi, sei mamma anche tu dopotutto…
Annuii,
anche se lei non poteva vedermi, ed era facile mettermi nei suoi panni e capire
quello che stava passando in quel momento. – Certo che capisco…
- A parte questo, tesoro, salutami tanto
Alice. E per qualsiasi cosa, chiama a casa senza paura di disturbare, ok?
-
D’accordo.
- Dai un bacio alla piccola, e divertitevi! Ci
sentiamo domani?
- A
domani…
Poggiai
il cellulare sul tavolo, guardandolo in cagnesco. Non ero stata molto buona con
lei, nel chiudere la chiamata in quel modo così freddo e distaccato, ma non
potevo farci nulla… mi aveva fatta sentire una ragazzina irresponsabile che se
ne fregava di tutto e di tutti. Ma potevo davvero comportarmi in quel modo, per
di più con una bambina piccola accanto?
Mi sa
che la preoccupazione, l’ansia o chissà che altro le aveva fatto partire
qualche rotella dal cervello.
Cercando
di non pensare alla conversazione che avevo avuto con mia madre, ripresi il
cellulare e la bottiglia di vino tra le mani ed uscii dalla cucina; era meglio
uscire di casa e raggiungere casa di Alice, visto anche il fatto che non sapevo
da che parte dovevo andare.
La
fortuna quella sera però fu dalla mia parte: infatti, non mi persi e grazie al
navigatore riuscii a raggiungere senza difficoltà la villetta su due piani in
cui viveva la mia amica; sembrava una di quelle casette descritte nelle favole.
Mia figlia già la credeva un folletto, e questo particolare l’avrebbe resa
ancora di più il personaggio di una fiaba.
Alice
venne ad aprirci neanche cinque secondi dopo che ebbi suonato il campanello,
con un sorriso enorme e con gli occhi che le brillavano per la gioia… oltre
all’ombretto brillantinoso che aveva sugli occhi.
- Sei
in anticipo! Che fine ha fatto la Bella Swan ritardataria che conoscevo? –
domandò, ridacchiando, mentre mi abbracciava e mi dava un bacio sulla guancia.
- Non
si è persa per strada… però è un caso isolato. – ridacchiai, e lei mi imitò
subito.
-
Ceceeeeeeeee! – Allie, incurante del tono squillante di voce che aveva usato,
si lanciò sulle gambe di Alice e le abbracciò, facendola sbilanciare.
- Ehi,
tesoro! Ma quanto sei bella questa sera! – Alice si chinò mettendosi alla
stessa altezza di mia figlia, sorridendole. – Me lo dai un bacino, piccolina?
Allyson
la accontentò subito, e la cosa diede ad Alice il pretesto di ridere e di
urlare come una ragazzina. Si rimise in piedi, prendendo in braccio mia figlia
e dandole un sacco di baci sul visino, facendola così scoppiare a ridere.
-
Quanto sei bella, quanto sei bella, quanto sei bella! Ti mangio tutta! Aww! – e
detto questo, se ne andò dentro casa lasciandomi come una scema fuori dalla
porta.
Restai
un po’ sconcertata per il suo comportamento – non ero più abituata a stare così
a stretto contatto con una Alice così esuberante -, ma alla fine scrollai la
testa ed entrai, chiudendomi la porta alle spalle. Sentii provenire da poco
lontano le urla divertite della bambina e quelle squillanti di Alice.
- Tu
devi essere Isabella.
Sobbalzai
sul posto a causa di quelle parole, e mi voltai in fretta; non mi ero accorta
che nell’ingresso ci fosse qualcuno, e per essere più precisi un ragazzo. Era
un ragazzo giovane e dall’aria gentile, con i capelli color miele e gli occhi
grigi… doveva essere Jasper, il compagno di Alice.
-
Bella. E tu, invece, sei Jasper… - mormorai, visto che mi stavo ancora
riprendendo dallo spavento di poco prima.
Lui
sorrise, mostrandomi una serie di denti perfetti e dannatamente bianchi. – In
persona. Ti ho spaventata?
Scossi
la testa. – Non poi così tanto…
- Mi
scuso, allora. Beh, benvenuta in casa nostra! Alice mi è sembrata davvero
occupata, e mi sa che sono io quello che dovrà fare gli onori di casa… -
scherzò, indicando con una mano la direzione da cui provenivano le urla e le
risate.
- Mi sa
che è così, sì. – mi liberai della rigida posizione che avevo assunto, ed in
quel momento mi accorsi della bottiglia che tenevo ancora in mano. – Questo è
per voi.
Jasper
prese la bottiglia che gli stavo porgendo. – Non dovevi disturbarti tanto, ma
grazie. – sorrise, leggendo l’etichetta. – Chianti… buono! Stasera faccio
ubriacare la mia ragazza.
Scoppiai
a ridere, sentendolo dire quella frase.
-
-
Quindi, questo Jones…
- James. – corressi la mia amica; sembrava
di star parlando con Allie, che ancora non riusciva a pronunciare bene alcune
parole.
Lei
mosse velocemente la mano, cose se la cosa non contasse molto. – Allora, lui è il padre di tua figlia, ed è anche
tuo marito…
- Ex marito, Alice.
- Ti ho
davvero fatto ubriacare, tesoro… non ne hai azzeccata una! – la prese in giro
Jasper, dandole un buffetto sulla guancia.
- Stai
zitto, Jazz! Voglio capire meglio tutta questa storia. – Alice, dopo aver
rimproverato il suo ragazzo, tornò a concentrarsi su di me, che le sedevo di
fronte.
Dopo la
cena, cucinata esclusivamente da Jasper – Alice era una frana in cucina – ci
eravamo spostati in salotto, per bere con calma il caffè e per stare un po’ più
comodi. Allie era sparita da un po’, sommersa in quello che doveva essere lo
studio di Jasper: Alice le aveva prestato i suoi pastelli e le sue matite da
disegno, chiedendole di disegnare qualcosa, in modo da poter parlare con me
senza che lei sentisse i nostri discorsi. Una mossa astuta, la sua, e la
ringraziai silenziosamente; Allie era sveglia, per avere solo tre anni, e forse
avrebbe capito facilmente di chi stavamo parlando già da diversi minuti.
- Che
altro c’è da capire, Alice? Ho detto tutto quello che dovevi sapere! –
esclamai, e posai la tazza vuota che ancora tenevo tra le mani.
- Non
ci credo, Bella, e sento che c’è altro che mi stai tenendo nascosto… insomma,
ti lascio che eri fidanzata con Mike Newton, e ti ritrovo invece con una
bambina di tre anni che hai avuto con un ragazzo di cui non conoscevo neanche
l’esistenza! Dimmi qualcosina in più su di lui, dai! – gli occhioni
sbrilluccicosi di Alice mi imploravano di andare avanti, ed era praticamente
impossibile dirle di no… era la stessa sensazione che provavo sempre con Allie,
anche se qualche volta a lei riuscivo a dire di no, ignorando il senso di colpa.
Alla fine,
mi arresi. - Eh… l’ho conosciuto a Seattle, durante i primi giorni di
università. Lui studiava meccanica, ma ha abbandonato la facoltà quando scoprii
di essere incinta e cominciò a lavorare nell’officina dello zio…
Riuscii
a dire solo quello perché Alice mi interruppe subito.
- Ah,
ma allora si è preso le sue responsabilità! – disse, sorpresa.
- Se ti
ho detto che è il mio ex marito, deve
essersi preso le sue responsabilità, no? – le feci notare. – Mi fai continuare
a parlare adesso? Altrimenti non ti dico più niente!
- Non
preoccuparti Bella, la tengo muta io! – Jasper piazzò la sua manona sulla bocca
di Alice in modo che non potesse più dire nulla, ma lei si liberò subito dalla
sua presa e se la prese con lui, picchiandolo sulla nuca.
-
Piantala Jazz!
-
Comunque… ci siamo conosciuti e abbiamo cominciato ad uscire insieme. Non era
una cosa seria, e forse non lo sarebbe mai diventata se non fosse arrivata
Allyson… però è successo. – scrollai le spalle, abbassando gli occhi sulle mie
mani intrecciate. – Abbiamo divorziato da qualche mese…
- E
perché avete divorziato?
- Mamma
mia, Alice! Basta fare domande! – la rimproverò Jasper.
- Basta
tu, cretino! Se non mi vuoi sentire la porta è là! – urlò, indicandola con un
dito.
- Vado
a vedere la piccola, invece… - Jasper se ne andò con un sorriso, per nulla
offeso dalle parole che la sua ragazza gli aveva appena rivolto… che poi, il
loro era solo uno scherzo! Erano davvero tanto carini insieme…
- Bene,
ce lo siamo tolto dalle scatole! – Alice si sfregò le mani, ridacchiando. –
Allora, me lo dici perché avete divorziato?
Scossi
la testa, senza dire nulla.
Il suo
sorriso si afflosciò subito, e assunse un aria delusa. – Non te la senti?
Sospirai.
– È… è una cosa ancora troppo fresca per me, Alice, ho bisogno di ancora un po’
di tempo per metabolizzarla. Però te ne parlerò, promesso.
Non era
una scusa, era quello che pensavo veramente; quello che era successo tra me e
James, e che aveva portato al nostro divorzio, non era una cosa che ero già
riuscita a superare.
- Ho
capito… - Alice si alzò dal divano e venne a sedersi sul tavolino basso che si
trovava di fronte a me; mi prese le mani tra le sue ed un nuovo sorriso prese
vita sulle sue labbra… chissà cosa mi voleva chiedere. – E adesso mi racconti
di quando è nata tua figlia? Sono curiosa!
Sorrisi,
un po’ emozionata per via di quel ricordo… non era una cosa che si dimenticava
facilmente, anzi non si dimenticava affatto. E poi, era una cosa che si poteva
raccontare tranquillamente.
- Quel
giorno, il 24 Maggio, ero andata in università, dovevo dare l’esame di anatomia
e fui una delle ultime persone ad arrivare in aula. Non si poteva neanche dire
che non davo nell’occhio: avevo un pancione enorme, sembrava un mappamondo!
Con
quella frase feci ridere Alice. – Un giorno mi farai vedere quanto eri grossa.
- Se
vieni a casa potrai vedere con i tuoi occhi! – ridacchiai. – Comunque, tornando
a quel giorno… l’esame non era cominciato neanche da dieci minuti che cominciai
ad avere le prime contrazioni, e non potevo abbandonarlo così su due piedi! Era
il più importante ed il più difficile del primo anno, avevo passato anche un
sacco di tempo a prepararlo… così l’ho continuato.
- Hai
continuato l’esame mentre stavi per entrare in travaglio? Sei pazza! – mi rimproverò
bonariamente.
- E che
potevo fare, scusa? Sapevo che il primo parto poteva andare per le lunghe, e
così ho continuato l’esame nonostante i dolori. Sono stata tra i primi a
consegnare visto che cominciavo a sentirmi davvero troppo male, e mentre
firmavo…
- Ti si
sono rotte le acque. – Alice finì la frase per me.
Annuii.
– Esatto. Allie è nata tre ore dopo, e già da quel giorno dovevo capire che
sarebbe stata un bel peperino…
- Da
quel che ho visto mi sembra che è proprio così! E l’esame è andato bene?
- È
stato il 20 più doloroso e faticoso di tutta la mia carriera universitaria… -
scoppiai a ridere insieme ad Alice.
In quel
momento Jasper fece il suo ritorno in salotto, con un sorriso sulle labbra. –
Perché ridete? Rendete partecipe anche me!
- No
Jazz, sei arrivato troppo tardi! – lo prese in giro Alice, mandandogli un bacio
con la mano.
Sorrisi,
vedendo quella scenetta. – Jasper, che combina mia figlia?
-
Dorme. L’ho spostata sul divanetto dello studio, così sta un po’ più comoda…
non penso che sia comodo dormire sulla scrivania.
- Oh, è
crollata! – diedi una rapida occhiata all’orologio, e scoprii che erano appena
le dieci di sera. Di solito restava sveglia oltre quell’ora, e per farla
addormentare ci mettevo sempre delle ore. - Deve essersi stancata molto… credo
che sia meglio riportarla a casa.
- Eh
no, Bella, devo farti ancora delle domande!
- Ma
non ti è bastato l’interrogatorio che le hai fatto fino ad ora?
- No, e
piantala di contraddirmi sempre! Rompi sempre le palle, Jasper.
- Dai
Alice, sbrigati, così posso portare a letto la bambina… - quei due mi facevano
un sacco ridere, però non volevo fare ancora più tardi con la bambina che
dormiva già.
- Ah
sì, giusto. In quale ospedale andrai a lavorare? Ti hanno già preso da qualche
parte?
- Sono
stata accettata al Good Samaritan Hospital. Lunedì ho un piccolo colloquio con
il capo, prima dell’inizio del mio turno. Mi sembra che sia il dottor… - mi
fermai, cercando di ricordare il nome del mio nuovo capo, ma non mi tornava in
mente… che bella figura che stavo facendo!
- Il
dottor Carlisle Cullen, Bella. È questo il suo nome. – Jasper, con un sorriso,
venne in mio soccorso.
- Sì, è
lui! – esclamai subito, ringraziandolo mentalmente per l’aiuto che mi aveva
dato. – Lo conosci?
- Sì,
anche se non molto. È una brava persona… Mia sorella è fidanzata con suo figlio
maggiore, Emmett.
- Hai
una sorella, Jasper? Non lo sapevo…
- Un
giorno te la presenterò Bella, è davvero una brava ragazza… e non lo dico solo
perché è tua sorella, Jazz! – Alice diede un leggero schiaffo sulla guancia di
Jasper prima di baciargliela. – E ti presenteremo anche Emmett… non so se ti
conviene conoscere anche suo fratello, però.
Un
punto di domanda prese vita nella mia testa, facendomi incuriosire. – Il
fratello di chi?
- Di
Emmett, Edward. È davvero un ragazzo strano, tutto pieno di sé… e se la tira un
sacco, solo perché è un bel vedere e piace a molte donne! No, mi sa che lui non
te lo faccio proprio conoscere…
- Lo
conoscerà ugualmente, Alice, rassegnati.
- Oh,
Dio, è vero!
Cominciai
a mordermi le labbra, confusa e nervosa perché non capivo di che cosa stessero
parlando… uffa, volevo sapere anche io! – Che cosa state dicendo, non capisco…
Ci
pensò Jasper a spiegarmi tutto. – Anche Edward lavora al Good Samaritan. C’è chi
dice che ci è entrato per via di Carlisle che è il capo, nonché suo padre, e
c’è chi invece assicura che il posto in quell’ospedale se lo è meritato perché
ha studiato e lavorato sodo… comunque, lui è uno dei tuoi nuovi colleghi.
- Ah. –
non dissi altro… e che potevo dire, dopotutto?
Mica lo
conoscevo, questo Edward Cullen…
-
Ciao,
ciao, ciao, ciao. Ciao! XD non fateci caso, sto vaneggiando u.u
Ho fatto
presto, visto? Ho cercato di non farvi aspettare troppo per leggere il nuovo
capitolo! Volevo ringraziarvi per come avete accolto questa mia nuova storia,
quindi il secondo capitolo ci stava tutto :D
È un po’
lento, però vengono fuori un po’ di nuove informazioni: adesso sapete che il
papà di Allyson si chiama James e che è stato sposato con Bella! Il resto della
loro ‘storia’ verrà fuori più avanti :)
Reneè è
un pochino apprensiva, e non la odiate se ha incolpato ingiustamente Bella di
spassarsela a Los Angeles nonostante la bimba piccola… come ha detto, è una
mamma e si preoccupa per tutto, anche per la più piccola cosa. A me piace molto,
come personaggio ;)
E per
finire… Alice e Jasper informano Bella di uno dei suoi nuovi colleghi all’ospedale,
Edward Cullen. ‘Se la tira’ davvero come ha detto Alice, oppure è solo una sua
impressione? Lo vedrete nel prossimo capitolo, dove farà la sua entrata in scena…
Ok, ho
detto tutto. Passo a salutarvi, dopodiché vado a rispondere alle vostre recensioni
:)
Alla prossima,
un bacione grande grande!
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Solo il tempo... - Capitolo3
Solo il
tempo…
Capitolo
3
Il
soffitto della mia nuova camera era diventato, da un’ora a quella parte,
veramente interessante per la sottoscritta; le prime luci dell’alba lo
rendevano di uno strano colore indefinito, un incrocio di lilla e blu, invece
del solito bianco sporco.
Distolsi
lo sguardo di nuovo, e lo puntai – di nuovo - sulla sveglia: segnava le sei e
cinquantacinque del mattino… ed io ero sveglia da più di un’ora.
Il
nervosismo per il mio primo giorno di lavoro doveva avermi tolto il sonno… e a
quanto sembrava, l’aver puntato la sveglia per le sette non serviva neanche,
vista l’alzataccia che avevo avuto da sola.
Mi
voltai su un fianco, e poggiai la testa sul mio braccio mentre guardavo verso la
finestra; uno spiraglio di luce filtrava dalle persiane chiuse, e da quello che
potevo capire sembrava che fuori fosse una bella giornata. Quella piccola
osservazione non mi aiutò a far passare la punta di nervosismo ed ansia che
provavo, anzi la peggiorò, se possibile.
Sobbalzai
non appena sentii il ‘bip bip’ della
sveglia - ero più nervosa e all’erta di quanto pensassi. La spensi subito, e
non persi tempo nel restare ancora per qualche altro minuto a letto; mi alzai in
tutta fretta e mi diressi in bagno.
Mezz’ora
dopo, ero già lavata e vestita e stavo mettendo insieme qualcosa per la
colazione, mia e di Allyson; stavo finendo di cuocere i pancake a forma di
cuore – mia figlia li adorava, in quella forma - mentre avevo già portato in
tavola il succo di frutta, del latte ed una confezione di cereali. Non appena
finii di cuocere la colazione di mia figlia, portai anche quella in tavola
insieme alla confezione di sciroppo alla fragola, il suo preferito, e poi andai
a svegliarla.
Aprii
piano la porta della sua cameretta per evitare di fare troppo rumore – era un
controsenso bello e buono, quello, visto che dovevo svegliarla! -, e la
osservai per qualche istante da lì: dormiva ancora beatamente, con il suo povero
Stitch in bilico sull’orlo del materasso. Sorrisi, avvicinandomi subito a lei ed
accovacciandomi accanto al suo viso.
- Ehi,
dormigliona! –, dissi ad alta voce, scostandole piano i riccioli dal viso, -
Amore, è l’ora della sveglia…
Allie
mugolò piano, e dopo qualche secondo aprì gli occhietti azzurri, ancora pieni
di sonno; se li strofinò con i pugnetti chiusi mentre sbadigliava.
-
Buongiorno principessa! –, le dedicai la famosa battuta del film di Roberto
Benigni, che era diventata un po’ il mio ‘motto del buongiono’ tutto per lei.
-
Buoggiorno… -, borbottò lei, invece, e chiuse gli occhi mentre allungava le
braccia verso di me e mi toccava le spalle.
- Hai
sonno, piccola? Non puoi avere ancora sonno, è pronta la colazione! –, la presi
tra le mie braccia, e le baciai le guance paffute e rosee mentre sbadigliava di
nuovo. – Dai, sciacquiamo il visino e poi andiamo a mangiare… non possiamo fare
tardi, sai che giorno è oggi?
- È il
mio primo giorno di scuola. –, disse, con voce un po’ più vivace rispetto a prima:
stava già perdendo gli ultimi residui di sonno. – E tu vai a fare l’infermeria,
oggi, vero?
- L’infermiera, esatto! Non possiamo
proprio fare tardi oggi, no no! –, mi alzai, con lei stretta tra le braccia, e
mentre continuavo a baciarle il visino uscii dalla sua cameretta.
Una ventina
di minuti dopo eravamo entrambe fuori di casa, pronte per affrontare le belle novità
che ci riservava quella giornata: io il nuovo lavoro, e mia figlia la scuola. Allie
era tutta contenta, e aveva sulle spalle uno zainetto rosa nuovo di zecca di
Hello Kitty, un regalo da parte di Alice che già cominciava a viziarla e che
lei aveva voluto mettere subito.
Se io
ero ancora tesa e nervosa per quello che mi aspettava, Allie era entusiasta e
trepidante, e non vedeva l’ora di arrivare a destinazione.
-
Mamma, mamma, sbrigati! Facciamo tardi! –, urlava ogni cinque minuti dalla sua
postazione, e incitandomi così a guidare più velocemente.
Lei
mica lo sapeva, però, che se facevo un uso spropositato dell’acceleratore poi
mi beccavo una bella multa da pagare… e nonno Charlie allora sì, che sarebbe
stato fiero di me!
Altro
che il giorno della mia laurea.
Le
paure di mia figlia sul fatto di arrivare tardi scomparirono del tutto non
appena fermai l’auto a una decina di metri dalla scuola, alle otto e quindici
del mattino; eravamo in largo anticipo, anche se qualcuno sembrava essere
arrivato ancora prima di noi.
Lasciai
la borsa in macchina – le uniche cose che presi furono le chiavi e il cellulare
-, e recuperata Allie che cercava di correre via da me, in direzione
dell’edificio, ci avviammo insieme verso il piccolo gruppetto di persone che
era riunito già davanti al cancello rosso.
Notai
che c’erano pochi bambini, e solo uno sembrava avere l’età di mia figlia; gli
altri erano tutti un po’ più grandicelli. Però, visto anche l’orario abbastanza
mattiniero, dovevano sicuramente arrivarne altri.
- Va
bene, eccoci qui… -, rimisi con i piedi per terra Allie, sicura che ormai non
sarebbe scappata più via, e sfilai dalla tasca dei jeans il mio cellulare. –
Che ne dici, amore, te la fai fare una bella foto?
Mentre
lo dicevo, una piccola parte di me venne sommersa dall’emozione, come se avessi
metabolizzato solo in quell’istante cosa stesse accadendo; quello era pur
sempre il primo giorno di scuola della mia bambina, un evento che andava
immortalato come si deve. Le mani cominciarono a tremarmi, e per cercare di
fermare quel movimento strinsi con più forza il telefono.
- Sì,
sì! Mami, fammi una foto! –, esclamò lei, contenta.
Gli piaceva
un sacco farsi scattare le foto…
Mi
inginocchiai alla sua altezza, e con un sorriso emozionato sul volto scattai la
prima fotografia; ne scattai altre, dove la mia piccola birbantella si era
divertita a fare le smorfie più buffe e disparate… ma quella che mi colpì senza
dubbio di più fu quella dove sorrideva tranquillamente, e dove si notavano
benissimo i suoi bellissimi occhi celesti.
Ero
sicura che sarebbe diventata il mio nuovo sfondo del cellulare, e mi premurai
anche di mandarla a mia madre per e-mail – lei voleva essere sempre informata
su quello che accadeva alla sua unica, unica per ora, nipotina.
- Vieni
qua, adesso! Devo dirti un paio di cosette… -, la presi per le manine e la feci
avvicinare a me, e lei prese subito posto fra le mie gambe, guardandomi
curiosa.
- Cosa,
mamma, cosa? –, batté più volte le mani sulle mie cosce, senza però farmi male.
- Mi
devi promettere che farai la brava bambina… -, cominciai, e le passai le dita
tra i riccioli come per cercare di pettinarli, - e che ti comporterai bene con
tutti gli altri bambini. Non devi dire neanche le brutte parole, ok?
-
Perché non posso dire le brutte parole?
Mi
venne quasi da ridere. – Perché sono brutte, amore! E i bambini non le devono
sapere, certe cose.
Cercai
di riordinare un po’ le idee per vedere se c’era qualcos’altro che potevo dirle
– la sera prima la lista era diventata qualcosa di esageratamente chilometrico
-, e nel mentre sentii qualcuno che singhiozzava alle mie spalle.
Mi
girai, e vidi che a produrre quel rumore era stata una bimbetta dalle lunghe
treccine corvine; se ne stava aggrappata al ginocchio della sua mamma, in
lacrime, e sembrava non volerlo lasciar andare per nessuna ragione al mondo.
Mi fece
tenerezza, e da una parte – una piccola parte – ringraziai il fatto che Allyson
avesse accettato con gioia di andare all’asilo.
- Dai, Jenny,
non fare così! –, esclamò esasperata la madre, una moretta con gli occhiali,
che sembrava non sapere più che pesci prendere.
-
Perché piange quella bambina? –, chiese Allie, che come me stava osservando la
scena.
- Mi sa
che non vuole andare a scuola… -, dissi, e non feci in tempo ad aggiungere
altro che Allie era già partita in quarta, e correndo raggiunse madre e figlia.
-
Allie! –, esclamai, rimettendomi in piedi per raggiungerla.
Mia
figlia, nel frattempo, stava già facendo ‘amicizia’ con la bambina; la guardava
attentamente, con le manine intrecciate dietro la schiena, e si dondolava con i
piedini… era davvero molto tenera, dovevo ammetterlo! Alla fine, le sorrise e
le fece ‘ciao’ con la manina.
- Ciao!
Io mi chiamo Allyson… perché piangi? –, chiese subito.
-
Allie, insomma! –, dissi, anche se ero più divertita che arrabbiata, e anche
l’altra giovane madre che avevo di fronte sembrava della mia stessa idea. – Mi
scusi…
- Oh,
non si preoccupi! È davvero una bambina dolce. –, mi disse quest’ultima,
sorridendomi.
- Non
voio addare a ccuola… -, sentii mugugnare l’altra bambina, Jenny, mentre si
strofinava gli occhi con una manina.
-
Perché no? Io ci vado! –, Allie le prese la mano, e non sapevo davvero come
faceva, alcune volte, ad essere così spigliata; c’erano dei giorni in cui era
già tanto se non si nascondeva a forza dietro le mie gambe. – Vieni con me? La
mia mamma ha detto che la scuola è bella e divertente!
Osservai
mia figlia, senza parole; ricordava più o meno quello che le avevo detto
qualche giorno prima, quando la stavo convincendo sulla scuola e sui suoi tanti
aspetti. Era un po’ strano vedere che stava usando lo stesso discorso per
convincere quella bimba.
- Se io
veggo, tu retti con me? –, domandò Jenny, che nel frattempo aveva smesso di
piangere.
Allie
annuì, e due secondi dopo le due bambine si trovavano a due metri di distanza
da me e dalla madre di Jenny, che era rimasta completamente sbalordita da
quello che mia figlia aveva appena fatto.
- Ha
fatto una magia! –, esclamò, portandosi una mano tra i capelli. – Come ha
fatto? In due minuti ha fatto quello che non sono riuscita a fare io in due
ore!
Scossi
la testa. – Non ne ho la più pallida idea…
- Ah!
Che stupida che sono stata, non mi sono neanche presentata… -, mi porse una
mano, cercando di riparare alla cosa, anche se non ce n’era affatto bisogno. –
Sono Angela, e lei è Jennifer… Jenny.
-
Bella, e lei è Allyson… Allie. –, ricambiai la sua stretta, usando più o meno
il suo stesso modo di presentarmi.
- Hai
una bimba davvero dolce, Bella! Mi sa che ha stretto amicizia con la mia… -, mi
fece notare, indicandomi con un dito le nostre figlie.
Seguii
il suo sguardo, e le vidi che stavano girando in tondo con le mani strette tra
di loro, e che ridevano come se non ci fosse stata cosa più divertente di
quella.
Sorrisi,
deliziata da quella visione. – Mi sa proprio di sì…
-
Salutata
Allie, non appena fu entrata a scuola insieme alla sua nuova amichetta, e
salutata anche Angela, tornai di gran fretta alla macchina e non appena misi in
moto partii, diretta all’ospedale.
Il
navigatore mi diceva che avrei impiegato una quindicina di minuti per arrivare
a destinazione, però dentro di me pregavo che non ci fosse il traffico di mezzo
a rallentarmi… oltre alla mia innata tendenza a perdermi nonostante le
indicazioni.
Fortunatamente,
non trovai traffico e non mi persi, e ben presto fermai la macchina nel grande
parcheggio al di fuori del Good Samaritan; guardai l’edificio bianco con un
senso di panico e di soggezione, con il mento poggiato sul volante e con il
cuore che batteva a mille.
Stavo
per compiere un passo davvero importante per la mia vita: stavo per entrare
nella struttura che, da quel giorno in avanti, sarebbe stato il mio posto di
lavoro. Stavo finalmente per cominciare a lavorare come infermiera, dopo
quattro anni di studi di infermieristica.
In
realtà sarebbero dovuti essere tre, gli anni di università, ma per un motivo di
vitale importanza di nome ‘Allyson’, avevo dovuto abbandonare gli studi per un
anno prima di riprenderli… ma non me ne ero affatto pentita.
Come
ripetevo sempre, mia figlia veniva sempre prima di tutto il resto.
Presi
un piccolo respiro, per schiarirmi le idee e per cercare di calmarmi, raccattai
la borsa dal sedile del passeggero ed uscii dalla macchina, avviandomi poi
verso l’entrata dell’ospedale.
Non
restai molto colpita da quello che vidi, visto che era comunque un ospedale ed
era risaputo che si somigliavano un po’ tutti, a parte le cliniche private per
ricconi… però mi piacque lo stesso, e con quel pensiero per la testa puntai
dritta verso il banco delle informazioni.
-
Buongiorno. –, dissi subito, annunciandomi all’infermiera biondo platino che si
trovava dietro di esso. – Sono Isabella Swan, avrei un appuntamento con il
dottor Cullen…
La
bionda mi osservò con un cipiglio arcigno e sospettoso sul volto, e senza dirmi
nulla – che maleducata! - cominciò a cercare qualcosa sul pc, mentre masticava
un chewing-gum rosa shocking a bocca aperta. Restai appoggiata con i gomiti al
bancone, mentre aspettavo che quella specie di ‘essere’ si degnasse di una
risposta. Mi sembrava anche un pochino rifatta, per via delle labbra abbastanza
gonfie…
Smettila Bella, lei è una tua collega, se
non te ne sei dimenticata!
Storsi
il naso, leggermente schifata a quell’idea, nello stesso momento in cui quella
sottospecie di Barbie siliconata mi diede le informazioni che mi servivano.
- Sesto
piano, poi lì qualcuno ti indicherà la direzione giusta. –, disse con voce
nasale e civettuola.
-
Grazie mille. –, le diedi un’altra breve occhiata e poi me ne andai, diretta
verso gli ascensori… però prima dovevo trovarli, gli ascensori!
Non
appena arrivai al sesto piano cominciai a pregare tra me e me di trovare almeno
una persona gentile che mi sapesse dare una mano, e non un’altra come la
tipa/Barbie. Per fortuna un gentile medico di carnagione scura, che si presentò
come ‘il dottor Black’, mi indicò il corridoio giusto in cui si trovava l’ufficio
del mio nuovo capo, e dopo neanche due minuti stavo già bussando alla sua
porta.
-
Avanti. – una voce tranquilla e ferma mi diede il permesso di entrare, e mi
affrettai ad aprire la porta.
Restai
un po’ spaesata quando mi ritrovai davanti Carlisle Cullen. Mi ero da sempre
immaginata un signore brizzolato con gli occhiali e con la barba, la copia di
Babbo Natale però un po’ più giovane di qualche anno… o di diversi anni,
insomma.
Il
dottor Cullen invece era incredibilmente giovane!
Capelli
biondi tirati all’indietro, pelle chiara ma non troppo, e occhi di un
bell’azzurro brillante… però, come nella mia immaginazione, aveva gli occhiali.
Avrà avuto più o meno una cinquantina d’anni, molti meno di quanto immaginassi.
Mi sorrise calorosamente e in maniera gentile, non appena notò il mio
smarrimento.
-
Buongiorno, cara. Sei… -, abbassò gli occhi su di un foglio per qualche
secondo, - Isabella Swan, o mi sto sbagliando?
Mi
ripresi da quel mio piccolo momento di black-out e annuii, sorridendo e
arrossendo allo stesso tempo. – Sì, sono io…
Il
dottor Cullen ricambiò il mio sorriso. – Benissimo. Vieni, accomodati! Non
restare sulla porta…
Feci
come mi aveva detto e mi affrettai a sedermi su una sedia imbottita, di fronte
alla scrivania del dottore. Poggiai la borsa sulla sedia a fianco, poi portai
lo sguardo sul dottor Cullen, che stava scribacchiando qualcosa su una
cartellina, e sull’ufficio di quest’ultimo.
Mi
sentivo ancora un po’ nervosa, però sapevo che era solo il momento a farmi
provare quello stato d’animo: il dottor Cullen a prima vista sembrava una persona
a modo e abbastanza alla mano, gentile, quindi non dovevo preoccuparmi molto…
-
Allora, Isabella! –, esclamò il dottore, battendo le mani tra di loro e
ridacchiando. – Sono davvero molto contento di conoscerti, e di averti come
collega di lavoro… spero che ti troverai bene qui.
- Lo
spero anche io… -, mormorai, e per scacciare la tensione che ancora sentivo,
cominciai ad arricciare una ciocca di capelli intorno alle mie dita.
- Ho
letto il fascicolo che mi hai mandato per fax. Questa è la tua prima esperienza
lavorativa, ho visto, ma non fa niente e non devi affatto preoccuparti: quando
posso do una mano ai giovani, specialmente in questo periodo un po’ difficile
dove il lavoro scarseggia un po’. –, sorrise di nuovo, e appoggiò la schiena
sullo schienale della sua poltrona. – Adesso ti spiego il tuo orario
lavorativo, poi ti accompagno nel tour dell’ospedale.
- Va
bene. –, dissi, e cercai di concentrarmi per non perdere nulla di importante.
- Il
turno in genere varia a seconda del reparto in cui si lavora, ma per adesso ho deciso
di lasciartelo uguale per una settimana, dalle otto del mattino fino alle
quattro del pomeriggio… poi, non appena avrai preso un po’ più di confidenza
con il lavoro, te ne farò avere uno nuovo.
Annuii,
mordendomi un labbro mentre riflettevo su un piccolo particolare. Se dovevo
cominciare a lavorare alle otto del mattino per tutta la settimana, voleva dire
che dovevo uscire prima di casa e che, di conseguenza, non potevo occuparmi di
mia figlia per portarla all’asilo. Mi sa che dovevo chiedere una mano ad Alice…
- C’è
qualcosa che non va, Isabella? –, mi chiese il dottor Cullen, guardandomi
preoccupato.
Scossi
la testa in fretta. – No no, tutto a posto, non si preoccupi! Davvero…
Lui mi
guardò ancora per un paio di secondi, soppesandomi, e alla fine sorrise. –
Benissimo allora. Andiamo a fare il tour?
- Va
bene!
Mi
alzai in fretta, e non appena ripresi la borsa mi sbrigai a seguire il dottor
Cullen, che mi aspettava già fuori dalla porta del suo ufficio, con un sorriso
sulle labbra.
-
Il
‘tour dell’ospedale’, come si divertiva a chiamarlo il dottor Cullen, ci portò
via un’ora buona. Da una parte era stato divertente, però, e avevo potuto
vedere in maniera più approfondita come era suddiviso l’ospedale.
Avevo
potuto conoscere meglio anche il dottor Cullen, o Carlisle, come mi aveva chiesto
di chiamarlo quasi subito; era davvero una brava persona e sembrava andare
d’accordo con la maggior parte dei suoi colleghi. Avevo anche scoperto che,
nonostante la sua carica di direttore, si occupava anche di qualche paziente.
Mi aveva
presentato qualche medico che avevamo incontrato di passaggio e qualche
infermiera, affidandomi successivamente alla capo infermiera, Brenda, una
donnina dai capelli rossi e dal sorriso simpatico che mi aveva preso subito
sotto la sua ala protettrice… peccato che, dopo avermi fatto indossare la
divisa bianca da infermiera e descritto un po’ in che cosa consisteva il mio
lavoro, mi incaricò di seguire in tutto e per tutto il lavoro della tipa bionda
di prima, che scoprii chiamarsi Lauren.
Ecco,
con Lauren capii sin da subito che tra di noi non ci sarebbe mai stato un buon
rapporto di lavoro. Si vedeva sin da subito che era una persona competente e
che svolgeva in maniera impeccabile le sue mansioni, ma era anche una persona
molto civetta e superficiale. L’avevo vista più di una volta parlare al
cellulare mentre controllava o cambiava la flebo ad un paziente…
Ed io
che credevo di sbagliare presentandomi a lavoro con le unghie dipinte di giallo!
E, continuando a parlare di unghie… Lauren le aveva ricostruite, lunghe come
artigli e per di più dipinte di un rosso baldracca. Mi sembrava tanto una cosa
poco igienica quella…
Comunque,
non cercai di farglielo notare e non provai neanche a chiedergli qualcosa; me
se stavo tranquilla per conto mio ed osservavo tutto quello che c’era da
osservare, in modo da imparare meglio quello che sarebbe stato il mio lavoro
per il resto della carriera.
Ero
impegnata a prelevare del campioni di sangue a una vecchietta dall’aria
arzilla, come Lauren mi aveva chiesto di fare, quando sentii il ‘bip bip’ del cellulare; non era il mio,
visto che conoscevo a memoria la mia suoneria dei messaggi, e alzando lo
sguardo da quello che stavo facendo notai che a suonare era stato, tanto per
cambiare, il cellulare di Lauren.
Mentre
scorreva quello che doveva essere un sms, un sorriso prese forma sulle sue
labbra oscenamente rifatte; dopo un paio di secondi, lo riposò nella tasca del
suo camice e puntò i suoi occhi nei miei, guardandomi in maniera a dir poco
glaciale.
- Mi
assento per una decina di minuti. Pensaci tu a portarli in laboratorio, non
appena hai finito. –, mi disse, e senza dirmi nient’altro se ne andò via, fuori
dalla stanza in cui ci trovavamo.
- E
dov’è il laboratorio? –, dissi ad alta voce, completamente dimentica di quando
il dottor Cullen me lo aveva mostrato durante il nostro ‘ Hospital tour’.
Per
fortuna me ne ricordai in tempo, e consegnai i campioni da analizzare della
signora Roberts a chi era di competenza. Impiegai più di una decina di minuti a
fare tutto quello, e in quell’arco di tempo non vidi Lauren da nessuna parte,
sembrava fosse completamente svanita nel nulla.
Stavo percorrendo
l’ennesimo corridoio per tornare al pronto soccorso quando sentii qualcosa che
non avrei dovuto sentire per nessuna ragione al mondo: un gemito. Un gemito
femminile e anche abbastanza forte, che poteva significare una cosa sola…
Qualcuno
stava facendo sesso a pochissimi metri di distanza da dove mi trovavo io.
Mi
sentii improvvisamente a disagio, tanto che le mie guance arrossirono quasi
subito. Camminai ancora per un po’, desiderando andare via da quel corridoio il
più in fretta possibile, quando ne sentii un altro, più forte del precedente, e
sembrava provenire da una porta alla mia sinistra, con la parola ‘sgabuzzino’
scritta a lettere cubitali in nero sulla superficie.
Era
proprio vero allora, i medici dentro gli sgabuzzini si divertivano davvero
parecchio!
Altro che
‘Grey’s Anatomy’!
La
porta era socchiusa, naturalmente, e per evitare che altre persone oltre a me
sentissero cosa stesse succedendo all’interno di quella stanza la chiusi,
cercando di non fare rumore… anche se dubitavo che chiunque fosse in quello
sgabuzzino si accorgesse di quello che avevo appena fatto.
Stavo
per andare via e per lasciarmi alle spalle quella scena – alla quale non avevo
nessuna intenzione di assistere! -, quando vidi un’altra infermiera venire
verso di me; mi sorrise, e si fermò al mio fianco, allungando una mano verso la
porta che avevo appena chiuso.
- Non
lo fare! –, esclamai in fretta, avvertendola.
L’infermiera,
una ragazza dai capelli scuri e dagli occhi altrettanto scuri, fermò la sua
mano e mi squadrò con un sopracciglio inarcato dalla confusione. – Perché non
dovrei farlo, scusa? –, domandò, e potei sentire nella sua voce un forte
accento spagnolo.
-
Perché… -, deglutii, sentendomi decisamente a disagio. – Perché lì dentro
stanno facendo… quel genere di cose…
-, mi fermai, non sapendo come continuare.
Vidi la
ragazza alzare gli occhi al cielo, come se fosse seccata dalla cosa, e poi
guardare l’orologio che aveva al polso. – Bene, quindi si sono riuniti qui per
la loro scopata del mattino! –, esclamò. – Ma io non ho intenzione di fare
l’intero giro dell’ospedale per prendere quello che mi serve, quindi…
Ad
occhi sgranati, la guardai aprire con uno scatto la porta ed entrare nello
sgabuzzino, con una mano a coprire un poco la sua visuale. – Continuate pure,
non guardo mica!
Beh,
lei non guardava… ma io sì.
Avevo
davanti agli occhi una completa visuale di quello che stava accadendo lì dentro fino a
pochi secondi prima: un uomo alto e dai capelli ramati mi dava le spalle, e
aveva un paio di gambe a cingergli la vita come una cintura… inutile dire che
aveva anche i calzoni calati fino alle caviglie, e che solo il camice bianco
che gli arrivava alle ginocchia lo salvava dal mostrare le chiappe a tutti.
Scostai
subito lo sguardo, improvvisamente pudica.
-
Carmen, brutta stronza! –, riconobbi la voce di Lauren, che urlava a pieni
polmoni all’interno dello stanzino. – Potevi andare da un'altra parte!
- Pff,
no grazie, faccio prima qui. –, disse quella che capii essere Carmen. Uscì dopo
un po’, carica di flebo e di kit per le analisi. – Continuate pure… ah, salve
dottor Cullen! Non l’avevo mica vista, sa?
- Ciao,
Carmen. –, una voce divertita e seccata allo stesso tempo ricambiò il saluto
dell’infermiera.
Carmen
chiuse la porta, ridendo tra sé e sé, prima di tornare a rivolgermi la parola.
– Non farci troppo caso… ah, io sono Carmen.
Strinsi
la mano che mi porgeva, ricambiando. – Io sono Bella, piacere di conoscerti.
-
Piacere mio… sei nuova per caso? Non ti ho mai visto prima!
- Ho
cominciato stamattina…
-
Davvero? Ecco perché eri rimasta così scocciata da questo! –, e dicendo così,
indicò la porta chiusa dello sgabuzzino.
Annuii,
ridacchiando. – Non è una cosa da tutti i giorni…
- Qui
da noi sì, e se siamo fortunate accade due volte al giorno! –, esclamò, alzando
di nuovo gli occhi al cielo. – Comunque, devo portare subito queste cose al
dottor Black o va a finire che non conclude niente! Vieni con me, così dopo ti
offro un caffè…
Annuii,
sorridendole. – Certo, volentieri.
-
- Hai
una figlia? Sul serio? –, Carmen sembrò davvero sorpresa quando le rivelai quel
‘piccolo’ particolare della mia vita.
Annuii,
prendendo un altro sorso del mio cappuccino. – Sì, ho una figlia. Ha tre anni.
Ci
trovavamo nella piccola caffetteria dell’ospedale, sedute a uno dei vari
tavolini che la riempivano; oltre a noi due e a qualche altro medico di
passaggio, c’erano anche alcuni pazienti e altre persone, presumibilmente
parenti, che erano venute a trovarli.
Carmen
aveva cominciato a parlarmi di sé, e avevo così scoperto che la sua famiglia
era di origini spagnole, come avevo capito per via del suo accento, ma che
viveva a Los Angeles da tutta la vita; aveva cominciato, poi, a pormi delle
domande per conoscermi meglio, e quando aveva saputo che mi ero trasferita da
pochi giorni insieme a mia figlia era rimasta davvero senza parole.
- Dio,
non immaginavo… ma sei giovanissima! –, esclamò, sgranando gli occhi, e alzando
le mani per indicarmi. – Non avrai più di ventiquattro anni!
-
Ventitré, a dire la verità… -, ammisi, sorridendo imbarazzata. – Ho avuto la
bambina quando ero ancora al primo anno di università.
-
Davvero? E hai continuato a studiare nonostante questo? –. Annuii di nuovo. –
Sai in quante avrebbero fatto la stessa cosa al tuo posto? Pochissime! Ti
ammiro moltissimo, Bella.
- Beh…
ci tenevo a terminare gli studi, per me era importante. –. Scrollai le spalle,
mentre le parlavo. – E volevo anche praticare la professione per cui stavo
studiando, voglio dire… non mi andava di stare con le mani in mano dopo aver
terminato l’università.
- Già,
ti do ragione. –. Carmen bevve un po’ del suo caffè prima di tornare a
rivolgermi la parola. – E com’è tua figlia? Ti somiglia?
Sorrisi.
– Dimmelo tu…
Presi
dalla tasca del camice il mio cellulare, e cercai nella galleria una delle
tante foto che avevo scattato alla mia piccolina; ingrandii una delle tante che
le avevo scattate quella mattina, davanti alla scuola.
– Ecco…
-, glielo porsi, e restai ad osservare il suo viso che si apriva in un’espressione
di divertimento e di tenerezza allo stesso tempo.
-
Oddio, è meravigliosa! –, esclamò, portandosi una mano alla guancia. –
Adorabile! Però, scusa se te lo dico, ma non è che ti assomiglia poi così
tanto…
Annuii,
ridacchiando. – Lo so, assomiglia più a suo padre che a me… però il carattere è
quasi identico al mio, anche se è un pochino… vivace.
- Un
giorno me la devi far conoscere! –. Carmen mi restituì il telefonino, annuendo.
– Come si chiama?
-
Allyson…
- Chi è
Allyson? –, una voce maschile, che avevo sentito precedentemente ma non
ricordai con precisione quando, interruppe la nostra piccola conversazione.
Alzai lo
sguardo per capire chi era il ‘disturbatore di turno’, ed incontrai quello di
un giovane uomo… e bello.
Aveva i
capelli scombinati e ramati – avevo visto anche quel bizzarro colore di capelli
-, il viso dai lineamenti mascolini e marcati, e gli occhi di un verde intenso
semi nascosti da un paio di occhiali dalla montatura fine e semplice, simili a
degli occhiali da lettura. Non aveva un filo di barba.
Chissà
come mai, restai un po’ spaesata mentre lo osservavo e lo studiavo; aveva un
che di familiare, ma non riuscii a capire per quale motivo avevo quella
sensazione… mah. Avrei dovuto pensarci su, o non pensarci per niente.
-
Nessuno! –, si affrettò a dire Carmen, rivolta all’uomo. - Dottor Cullen… si è
ripreso da prima? –, lo salutò subito dopo, e allora capii chi era l’uomo che
si trovava accanto a noi.
Oltre ad
avere una certa somiglianza con Carlisle, era la stessa persona che avevo visto
dentro lo sgabuzzino, anche se di spalle, chiaramente intento in una
‘piacevole’ attività. Smisi subito di osservarlo quando lo capii, intimorita e
imbarazzata.
Però,
non avevo nessun motivo per sentirmi in quel modo: non ero stata mica io,
quella ad essere beccata mentre si stava scambiando delle effusioni un po’
troppo spinte con qualcuno.
Certe
volte non mi capivo proprio.
Il
dottor Cullen sorrise, alla piccola battuta che aveva fatto Carmen. – Sempre
simpatica, Carmen, a quanto vedo.
Lei
sorrise soddisfatta. Si voltò verso di me, poi, ed allungò una mano davanti a
sé per indicarmi. – Vi siete già conosciuti, voi due? –, chiese.
Io
scossi la testa, mentre sentii il dottor Cullen dire: - No, non ho ancora avuto
questo piacere…
- Oh,
bene allora! Bella, lui è il dottor Edward Cullen, chirurgo ortopedico… -,
disse, rivolta a me, - e invece lei è Isabella Swan, la nuova infermiera!
Preferisce essere chiamata Bella, però.
-
Benissimo! –. Edward Cullen, la persona di cui Alice e Jasper mi avevano
parlato quella sera a casa loro, mi rivolse un enorme sorriso tutto denti e mi
porse una mano, che afferrai con un po’ di titubanza. – Piacere di conoscerti,
Bella. Sono sicuro che ti troverai bene qui… hai già visto l’ospedale, vero?
Annuii.
– Certo, dottor Cullen. Ci ha pensato… vostro padre… –, dissi, azzardandomi a
fornirgli quell’informazione.
- Il
vecchio ha già fatto tutto, quindi! –, disse, divertito. – Però, Bella,
chiamami Edward, per favore.
Annuii
di nuovo. – Va bene… Edward.
Mi resi
conto che stringevo ancora la sua mano, e mi affrettai a lasciarla andare,
riportando la mia sul tavolino accanto al bicchierone del cappuccino.
- Bene,
vi lascio al vostro caffè! –, disse Edward, portando entrambe le mani nelle
tasche del camice bianco. – Bella, è stato un vero piacere conoscerti… Carmen.
E andò
via subito dopo, silenziosamente, così come era arrivato.
- Mmm…
-, sentii mugugnare Carmen, al che mi voltai per osservarla in viso; aveva una
ruga di sospetto sulla fronte, e si mordeva le labbra. – Mi sa che devi stare
attenta, Bella.
Fu il
mio turno di aggrottare la fronte, dopo aver sentito la sua frase. – Perché
dici questo?
- Mah,
ho un piccolo sospetto, tutto qui. –. Scrollò le spalle, e prese tra le mani il
suo bicchiere di caffè. – In genere, Edward
ti chiede di chiamarlo per nome quando… quando vuole provarci. Sai cosa
intendo, vero?
Oh sì,
lo sapevo benissimo!
- Ah. –,
dissi, arrossendo, e per cercare di mascherare la cosa ripresi a bere il
cappuccino; sperai che Carmen non lo notasse.
Edward
Cullen neanche mi conosceva e già ci provava con me? Assurdo! Però era un po’
quello che mi aveva detto anche Alice (Se la tira un sacco, solo perché è un bel
vedere e piace a molte donne!), e se lo diceva anche Carmen…
allora doveva essere proprio vero.
- Ci
prova sempre con le infermiere carine, Bella, e tu lo sei… sei carina, e sei un
infermiera! –, disse, sporgendosi sul tavolo verso di me. – Non ce ne sono
molte in questo ospedale, e Lauren è la sua preferita. La chiama spesso, ma più
che altro perché è sempre disponibile,
e non perché è bella… si è rovinata, con tutto quel botox.
- Ci ha
provato anche con te? –, chiesi, quando finii di bere e dovetti per forza posare
il bicchiere sul tavolo. – Non sei brutta, Carmen…
Lei
rise. – Eccome se ci ha provato! Però, vedi… -, mi indicò il suo anulare
sinistro, su cui spiccava un anello con diamante che prima non avevo affatto
notato, - non ci prova con le donne impegnate!
-
Capisco… -. Annuii, abbassando lo sguardo.
- Sul
serio, Bella, vedi di stare attenta con lui! –, continuò a mettermi in guardia
Carmen. – Non vorrei che tu fossi la nuova ‘vittima’ del dottor Cullen. Mi sei
simpatica, dopotutto…
Scossi
la testa e rialzai il viso, convinta di quello che stavo per dirle. – Non lo
sarò mai. Non è quello che cerco al momento…
Era la
pura verità. Uscivo da poco da un matrimonio riparatore, e avevo avuto
abbastanza problemi da affrontare nell’ultimo periodo… non mi serviva affatto
un’avventura di sesso dentro le mura di quell’ospedale, specie se con Edward
Cullen.
-
Ciao ragazze!
Spero di non avervi annoiato troppo oggi ^-^’
In questo
capitolo ci sono delle ‘new entry’, come avete potuto leggere, ma la più
importante alla fine diciamo che è solo una… Edward.
Che ne
pensate di lui? ‘Se la tira’ proprio come dice Alice oppure è peggio di come l’ha
descritto? A me sta simpatico, a dire la verità XD
Ok, non
ho nient’altro da dire. Ci sentiamo al prossimo capitolo, che forse arriverà un
pochino in ritardo… sto scrivendo l’altra storia, che ho trascurato per
scrivere questa, quindi per adesso quella ha tutta la priorità :D
Un beso a tutte! (oggi saluto spagnolo,
LOL!)
P.S: non ho la più
pallida idea di come funzionino i turni lavorativi in un ospedale,
quindi ho dovuto fare tutto di sana pianta :)
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Solo il tempo... - Capitolo4
Solo il
tempo…
Capitolo
4
Quella mia
prima giornata di lavoro stava volgendo finalmente al termine. Era stata
entusiasmante, soddisfacente ed interessante sotto alcuni aspetti, mentre in
altri… beh, in altri invece era stata proprio assurda.
Non
avrei saputo descrivere con un'altra parola gli eventi che l’avevano resa in
quel modo, proprio no.
Tra gli
aspetti più assurdi c’erano, inevitabilmente, l’incontro con Lauren ‘Barbie di
plastica’ – Carmen mi aveva raccontato che alcuni nostri colleghi la chiamavano
in quel modo, e che lei non ne sapeva proprio niente – e la scoperta delle
attività extra lavorative e sicuramente appaganti del dottor Edward Cullen.
Evitai di dire solo il cognome, perché altrimenti sembrava che stavo parlando
di Carlisle e non di suo figlio.
Chissà
se il capo era a conoscenza di queste attività che accadevano nel suo ospedale…
Scossi
la testa, divertita dai miei pensieri, e tornai con la mente ad occuparmi del
nuovo compito che mi aveva assegnato Brenda. Non era difficile, visto che dovevo
solo controllare e sistemare le varie cartelle cliniche dei pazienti che erano ricoverati
lì. Era una cosa tranquilla, che mi faceva rilassare nell’attesa che terminasse
anche l’ultima ora del mio turno.
Diedi
una rapida occhiata allo schermo del cellulare, cosa che facevo praticamente
ogni pochi minuti: erano ancora le
quindici e venti. Sbuffai, prima di tornare a sfogliare la cartellina di un
certo Timothy Short. Non vedevo l’ora che finisse tutto, e volevo andare senza
nessun dubbio a prendere la mia piccola guastafeste.
Allyson
mi era mancata moltissimo durante tutta la giornata, e per lo più mi era
mancato sentire la sua voce e vedere i disastri che combinava dentro casa… anzi
no, quelli non mi erano mancati per niente! Se accadevano, cosa sicurissima e
ovvia, alla fine ero sempre io quella che doveva rimetterli a posto.
Chissà
se le ero mancata anche io, almeno un pochino di quanto lei era mancata a me.
Chiusi
la cartellina che tenevo in mano, mettendola da parte, e mi grattai
distrattamente le labbra mentre ne prendevo un’altra. Mentre la aprivo alzai di
poco lo sguardo, e per poco non urlai dalla sorpresa quando notai che nella
saletta delle infermiere, dove mi ero rifugiata per svolgere quel compito, non
ero da sola.
«Buon
pomeriggio, Isabella.»
Come
avevo fatto a non sentire entrare nella stanzetta il dottor Cullen? Il dottor Edward Cullen, per essere più precisa.
Mi
portai una mano al petto, sospirando. «Mi ha messo paura…» borbottai.
Lui
sorrise, scostandosi dalla porta – chiusa, constatai con un briciolo di
preoccupazione -, dove era rimasto fino a quel momento. «Scusami, non era mia
intenzione spaventarti.»
Scossi
la testa in fretta, cercando di non dare a vedere che mi metteva a disagio
l’idea di stare da sola nella stessa stanza insieme a lui… e vorrei vedere,
dopo quello che mi aveva raccontato Carmen sul suo conto. «Non fa nulla…»
Tornai
ad occuparmi delle cartelline e cercai di ignorare il dottor Cullen, anche se
era un po’ difficile. Aveva cominciato a camminare per la stanza, con passo
deciso e quasi rumoroso, e cominciava a darmi anche un po’ sui nervi. Quando si
fermò fui sollevata, ma lo fui molto di meno quando scoprii dove si era
fermato…
Alle
mie spalle.
Merda.
«Che
cosa stai facendo di interessante?» domandò, e la sua voce la sentii
spaventosamente vicina al mio orecchio sinistro. Nonostante mi sentissi a
disagio per quella situazione, non potei fare a meno di rabbrividire quando il
suo respiro caldo si infranse contro la pelle della mia nuca, lasciata scoperta
dai capelli.
«Ehm…»
mi schiarii la gola, cercando di non farmi travolgere da quello che avevo
sentito, «…sto controllando queste cartelle cliniche…»
«Vedo,
vedo. Uh, questo è un mio paziente!» il dottor Cullen afferrò la cartella che
avevo appena preso dal mucchio, e la aprì, mostrandomela e indicandomi alcune
cose che c’erano scritte sopra. «Andrew Scott, 27 anni, ricoverato per una
brutta frattura scomposta del femore. Sarà operato domani… dal sottoscritto,
naturalmente.»
«Oh,
interessante!» quello, era un modo carino di dire “Non me ne frega niente di
ciò che c’è scritto lì sopra, anche se tu me lo stai dicendo ugualmente.”
«Sì,
molto interessante… ma non interessante quanto te, Isabella.» il dottor Cullen
posò di nuovo la cartella sul tavolo e portò gli occhi verdi su di me,
guardandomi intensamente.
Oh, merda.
Ci
stava provando con me dopo neanche cinque ore che ci eravamo conosciuti… era la
prima volta in assoluto che mi accadeva una cosa simile! Mike e James, i miei
unici ‘trascorsi’ in campo sentimentale, almeno avevano avuto la decenza di
aspettare qualche settimana prima di provarci e di rimorchiarmi.
E, cosa
che mi lasciò altrettanto stupita, stava accadendo proprio quello che mi aveva
raccontato la mia nuova collega. La ringraziai mentalmente, anche se non si
trovava insieme a me in quel momento, per avermi messa in guardia ed al
corrente di tutto.
«Eh…»
non sapevo cosa dire, e mi mossi un po’ a disagio sulla sedia sulla quale ero
seduta. «Dottor Cullen…»
Lui
rise, sempre senza smettere di guardarmi. «Ti prego, Isabella, chiamami
Edward.»
«Edward,»
dissi, accontentandolo, «non so… che stai facendo?» chiesi alla fine, non
sapendo cos’altro dire.
«Sto
cercando di conoscerti meglio, Isabella. Sai, non mi dispiacerebbe affatto
sapere qualcosa in più su di te… in tutti i sensi.» sorrise sghembo, facendomi
rabbrividire.
Dio mio,
che persona sfacciata! Ma non si vergognava? In quel momento mi sentii come se
fossi stata un qualcosa di molto pregiato e ricercato, che veniva osservata e
desiderata da qualcuno e che veniva concessa soltanto al miglior offerente.
Era
così… schifosamente imbarazzante, avvilente e demoralizzante, essere desiderata
solo perché eri considerata semplicemente una cosa che poteva aprire le gambe.
Il massimo della considerazione, insomma.
Beh,
peccato che con me cascava male… molto, molto male.
«Mi
dispiace Edward, ma per me non è la stessa cosa.» riuscii a dire dopo qualche
secondo di silenzio imbarazzante, e riuscii anche ad usare un tono di voce
fermo e chiaro. Se non afferrava il messaggio che era nascosto in quelle
parole, allora voleva dire che era stupido.
Anche
se, essendo un dottore – un chirurgo, per essere più precisa -, dubitavo che
fosse stupido.
Edward
aggrottò la fronte, dopo aver sentito quello che gli avevo detto, e cominciò a
grattarsi il mento. «Che intendi con “per me non è la stessa cosa”? Non vuoi
conoscermi?»
Mi sa
che era meglio dargli un ulteriore spiegazione. «Ti conosco già, Edward, e non
vedo perché dovrei conoscerti ancora. Sei un mio collega, diciamo… e poi,
quello che intendi tu non è lo stesso ‘conoscersi’ che intendo io.» lo guardai
un ultima volta prima di tornare a lavorare sulle cartelle cliniche.
«Dai,
Isabella, non fare la difficile…» sentii la sua mano posarsi sulla mia spalla,
e sembrava non voler proprio cedere. Insisteva, anche se avevo cercato di
fargli capire con le buone che non ero intenzionata a conoscerlo ‘in quel
senso’.
Mi alzai
in piedi, scacciando via la sua mano e voltandomi verso di lui; Edward mi stava
guardando confuso e sorpreso allo stesso tempo per via della reazione che avevo
avuto, e sembrava che fosse la prima volta che assisteva ad una cosa simile.
O
forse, era la prima volta che gli accadeva una cosa simile.
«Senti,
come posso farti capire che non mi interessa venire a letto con te? Non sono
quel tipo di ragazza che pensi tu, e poi ho avuto già a che fare con
un’esperienza del genere e non mi interessa proprio intraprenderne un’altra!»
esclamai, guardandolo fisso negli occhi.
Alla
fine, sembrare una stronza era la cosa migliore che potessi fare per riuscire
ad ottenere il risultato che volevo.
«Va
bene, va bene! Non serviva comportarsi così, calmati!» Edward alzò le mani
verso l’alto, come se volesse cercare di difendersi da me.
Sbuffai,
incrociando le braccia al petto; non serviva secondo lui, eh? Ma se non parlavo
in quella maniera, lui avrebbe continuato a provarci e riprovarci fino a quando
non gli avrei mollato un ceffone in piena faccia!
«Bene,
perfetto. Adesso, se non ti dispiace, devo proprio andare.» tornai al tavolo
solo per recuperare le cartelline, e dopo averle strette tutte tra le braccia
mi diressi in fretta verso la porta. «Dottor Cullen, è stato un piacere rivederla!»
Se non
si capiva, in quel momento ero decisamente sarcastica.
«Isabella,
ti ho già detto che puoi chiamarmi Edward…»
Aprii
la porta e mi girai, scoccandogli un occhiataccia; beh, se lo poteva proprio
scordare che lo chiamassi per nome, non dopo che ci aveva provato con me. «No,
preferisco chiamarla dottor Cullen. E… io, per lei, da ora in avanti sarò
solamente l’infermiera Swan, ok?»
Detto
questo, senza aspettare neanche la sua risposta, uscii dalla stanza
delle
infermiere e mi chiusi la porta alle spalle, sospirando di sollievo
subito dopo.
Dopo qualche secondo, mi allontanai da quella stanza, alla ricerca di
un nuovo posto dove poter continuare in santa pace il mio lavoro.
Quella
cosa proprio non mi ci voleva, proprio no. Mica potevo immaginarmi che il caro
dottor Cullen, di cui tutti parlavano, ci avrebbe provato con me già dal mio
primo giorno di lavoro!
Se lo
raccontavo ad Alice, molto probabilmente non ci avrebbe creduto.
-
Alle
quattro del pomeriggio precise, terminato il mio turno, mi andai a cambiare in
tutta fretta e altrettanto in fretta mi precipitai fuori dall’ospedale. Quando
mi sedetti in auto, pronta a mettere in moto per raggiungere l’asilo di mia
figlia, provai uno strano senso di sollievo e di gioia mescolati insieme.
Beh, mi
ero liberata di Edward Cullen, certo che ero sollevata! Mi ero liberata
dell’attraente, affascinante e bel dottore, cosa che avrebbe dovuto dispiacermi
almeno un pochino… ma siccome che oltre a quelle cose era anche irritante, presuntuoso
e farfallone, ero più che felice di averlo fatto.
Non
riuscivo davvero a credere che ci fossero delle donne, all’interno di quell’ospedale,
che cedessero così facilmente al suo fascino e assecondavano altrettanto
facilmente il suo comportamento… era un po’ triste, come cosa, e faticavo a
capire come quelle donne facessero a svilirsi in quella maniera. Essere usate
solo per del sesso, per quanto piacevole esso potesse essere, era davvero
avvilente.
Beh,
non negavo che anche io avevo avuto quel periodo particolare della mia vita
fatto solo di sesso e niente impegno, appena iniziato il college, anche se mi
ero limitata ad un solo ragazzo. Ed era altrettanto inutile e scontato
aggiungere che dopo questo periodo era iniziato quello della maternità,
inaspettato ma meraviglioso allo stesso tempo.
Per una
volta che a James si era rotto il preservativo, ecco che mi ritrovavo incinta e
mamma di una bambina stupenda… però, lo ammettevo sempre a me stessa e non lo
negavo mai, neanche una volta, era una cosa che avrei fatto altre mille volte.
Quell’episodio,
per quanto spiacevole e non previsto fosse stato, mi aveva regalato la gioia di
diventare madre, anche se a soli diciannove anni… e non avevo nessun rimpianto
per le scelte che avevo fatto.
Quello
che avevo ricevuto era senza nessun dubbio un dono del cielo, prezioso, e che
amavo con tutta me stessa, e da quando avevo scoperto che aspettavo mia figlia,
nonostante la paura e l’inesperienza, avevo capito che non ne avrei mai potuto
fare a meno. L’avevo amata sin da subito, e me ne ero innamorata ancora di più
quando l’avevo vista per la prima volta, appena nata.
Uno
scricciolo piccolissimo di appena tre chili e cento grammi – anche se, viste le
dimensioni del mio pancione, sembrava pesare decisamente di più -, che urlava a
squarciagola e che sembrava reclamare già la mia attenzione sin dal suo primo
respiro, e che si era calmata soltanto quando aveva sentito la mia voce,
decisamente provata e lacrimosa per le emozioni che stavo provando.
Persa
in quei ricordi, sentii gli occhi cominciare a pungere mentre guidavo per le
vie della città, e cercai di non farmi prendere troppo dalle emozioni che mi
stavano girando in corpo; ogni tanto succedeva che ricordassi la nascita di
Allie, e ogni volta sentivo le stesse e identiche sensazioni di quel giorno…
certo, il dolore del parto non lo sentivo più ed ero felice di non poterlo
risentire, anche se non lo avrei mai dimenticato.
E
ammetto che lo avrei ripatito altre mille volte, se in cambio avrei avuto altri
bambini da amare con tutta me stessa. Un giorno ne avrei voluti altri, di
figli, ma mi ero ripromessa di pensarci solo quando avrei trovato la persona
giusta, che avrei amato profondamente e che avrebbe ricambiato il mio amore per
lui.
In quel
momento non lo stavo proprio cercando, e visto che non avevo ancora compiuto
ventitré anni e che avevo ancora una vita davanti a me, non andavo davvero di
fretta.
E nel
frattempo mi occupavo di quella viperetta che amavo terribilmente, e che mi
faceva decisamente vedere i sorci verdi quando si impegnava!
Ridacchiai,
e fermai la macchina nello stesso parcheggio di quella mattina, nei pressi
dell’asilo. Presi la borsa, e lanciai un occhiata all’orologio del cruscotto:
erano le quattro e trentacinque.
«Merda!»
esclamai – potevo farlo, mia figlia non c’era e quindi potevo dire tutte le
parolacce che volevo! -, e uscii di tutta fretta dalla macchina.
Cavolo,
ero arrivata con cinque minuti di ritardo rispetto all’orario di uscita!
Dannato traffico, e non era neanche l’orario di punta dell’uscita dagli uffici!
Ma tutte le sfighe di quel mondo le dovevo beccare io, e proprio quel giorno
per di più?! Che cazzo!
Corsi
per tutto il parcheggio, e corsi anche per attraversare la strada visto che in
quel momento non passava nessuna macchina; raggiunsi il cancello della scuola, che
era deserto, però vidi che vicino all’entrata erano presenti due signore e… e due
bambine.
Una era
la mia piccola Allie.
«Amore!»
dissi a voce alta, chiamandola, ed incamminandomi con un sorriso verso di lei,
che non appena mi sentì cominciò a correre verso di me.
«Mamminaaaaa!»
Allyson mi fu addosso in meno di cinque secondi, e mi abbracciò stretta
aggrappandosi con le braccia al mio collo.
«Tesoro
della mamma…» mi rialzai, prendendola in braccio, e le baciai il visino felice.
«Scusami se ho fatto tardi, c’erano un sacco di macchine cattive per strada! Tutto
bene?»
«Sì sì,
tuuuuuutto bene!» esclamò lei, con un sorriso estatico che le andava da una
guancia all’altra. «Ho giocato con un sacco di bambini, proprio come avevi
detto tu! Posso tornarci anche domani? Pel favore!»
Ridacchiai,
baciandole di nuovo la guanciotta mentre mi incamminavo verso il gruppetto di
persone dalla quale si era allontanata. «Devi
tornarci, Allie, la mamma domani lavora! E tu puoi giocare di nuovo con i
bimbi… hai già fatto amicizia?»
Lei
annuì, e sciolse le braccia dal mio collo per elencare sulle dita cicciotte i
nomi dei bambini che aveva conosciuto quel giorno. «Sì! Jenny, Emma, Riley, Br…
Bra… Brandon. E tanti altri che non ricordo adesso!»
«Ah, ma
sono tantissimi!» le accarezzai con una mano i riccioli biondi, alzando poi lo
sguardo per sorridere alle due donne che si trovavano davanti all’entrata.
Erano Angela, la mamma di Jenny, che avevo conosciuto quella stessa mattina, e
Eleanor. «Scusatemi per il ritardo, ho trovato un po’ di traffico…»
Eleanor
scacciò via le mie scuse con un cenno veloce della mano, sorridendo. «Nah,
niente, scuse, sono cose che succedono, non preoccuparti!»
«Già,
infatti, ho fatto tardi anche io.» mi rassicurò Angela, aggiustandosi con un
dito gli occhiali sul naso. «Eleanor è stata davvero gentile a tenere le
bambine fino al nostro arrivo.»
Già,
era stata proprio gentile. «Allora grazie mille, Eleanor.» le sorrisi,
riconoscente.
«Non
serve, davvero, è stato un piacere.»
Con un
sorriso, tornai a guardare la mia bambina e le diedi un buffetto sulla guancia.
«Saluta, Allie, così andiamo a casa…»
«Ciao
ciao!» esclamò subito lei, agitando entrambe le manine verso le due signore,
poi si rivolse a Jenny, che se ne stava in silenzio accanto alla madre. «Ciao,
Jenny!»
«Ciao
Allie.» disse la bambina, agitando piano la manina prima di mettersi il pollice
in bocca. Mi fece sorridere: era timida e adorabile allo stesso tempo!
Rivolsi
un nuovo cenno di saluto ad Angela e a Eleanor e poi, sempre con Allie tra le
braccia, rifeci il percorso inverso per tornare al parcheggio.
«Sai
cosa facciamo adesso?» le chiesi, attirando la sua attenzione: si era messa a
giocare, e con parecchio interesse dovevo dire, con alcune ciocche dei miei
capelli, quindi dovevo distrarla prima di dire altro.
Scosse la
testa, sempre concentrata sulle ciocche che stringeva tra le dita.
«Non
andiamo subito a casa, ma andiamo a fare merenda… da Cece!»
Allyson
puntò subito gli occhi su di me, non appena capì quello che le avevo detto, le
palpebre spalancate all’inverosimile e che le facevano sembrare gli occhi
azzurri ancora più grandi del solito. «Davvero? Andiamo da Cece?»
«Sì sì,
così gli raccontiamo come è andata a scuola…» …e di come si è comportato con me Edward Cullen, pensai tra me e me
mentre Allyson, tra le mie braccia, esultava contenta, ignara dei miei pensieri.
-
«Dai
Bella, almeno per una volta mangialo il gelato!» esclamò Alice, che si trovava
di fronte a me, anche se dall’altra parte del bancone. «Altrimenti penserò che
ti fa schifo e che lo compri solo per farmi un piacere.»
La
guardai con un sopracciglio inarcato. «Alice, non mi fai neanche pagare! Come
fai a dire che lo compro per farti un piacere?»
Quando
ci si impegnava, era proprio assurda!
Lei
sbuffò, grattandosi la testa. «Ok, è vero, hai ragione… però non farlo
sciogliere tutto, mangia quello che riesci ancora a salvare. Tua figlia non è
così, guarda! Se n’è già mangiato mezzo, ma come fa?»
Risi di
cuore, senza voltarmi per vedere cosa stava facendo mia figlia; come il primo
giorno che eravamo andate al bar di Alice, se ne stava seduta sola soletta ad
un tavolo, tenuta comunque sotto stretta sorveglianza, e mangiava il suo enorme
gelato tutta contenta, armata di scafandro a prova di macchia.
«Te
l’ho detto, è un pozzo senza fondo e amante delle peggori schifezze!» le
ricordai, e tanto per farla contenta, mangiai anche un cucchiaio del mio gelato
menta e cioccolato, che si andava squagliando. «Mmmh, è buono!»
«Vorrei
vedere, te l’ho servito io!» Alice cominciò a ridere, dandosi delle arie, e poi
si ricompose. «Adesso, però, passiamo alle cose serie. So come è andata tutta
la giornata di Allie a scuola… che mi dici invece della tua?»
«Mh!»
ingoiai il nuovo boccone di gelato che avevo preso prima di risponderle. «Bene,
è andato piuttosto bene. Certo, avrei voluto evitare di essere rimorchiata da
Edward Cullen, però è…»
«CHE
COSA!?» urlò lei, facendomi sobbalzare sulle sgabello sul quale mi trovavo
seduta.
«Alice!»
va bene che all’interno del bar ci trovavamo soltanto noi – un paio di altri
clienti si trovavano ai tavolini di fuori -, ma almeno poteva evitare di
urlare. «Ma che ti urli!»
«Senti,
Bella, non puoi dirmi che Edward ti ha rimorchiato così, senza tanta importanza,
ci credo che poi mi fai urlare!» sbuffò di nuovo, e arricciò il naso. «Ah, che
ragazzaccio! E tu che hai fatto mentre ci provava con te?»
«E che
dovevo fare? Lo ascoltavo, e pensavo che era un sacco sfacciato! Carmen, una
mia collega infermiera, mi aveva messa in guardia, diciamo… ma non pensavo che
ci provasse con me così presto!» scrollai le spalle, e mangiai un altro po’ di
gelato: era proprio vero, quando si era frustrati o nervosi era davvero ottimo…
ti calmava quasi subito. «Mi ha praticamente proposto di fare… S.E.S.S.O. con
lui, Alice!»
Alice
inarcò un sopracciglio. «Perché hai detto così la parola ‘sesso’?»
Alzai
gli occhi al cielo; mimare quella parola non era servito proprio a niente.
«Tonta, non voglio che Allyson la senta! È praticamente dotata nel sentire e
ripetere le parole poco carine, come le parolacce.»
Dovevo
decisamente raccontarle tutti gli episodi con protagonisti assoluti Allyson,
suo nonno Charlie e le parolacce… ah, già, dimenticavo nonna Reneè completamente
incazzata con suo marito.
«Ah,
scusa, non avevo capito! Ma va beh, ti pare che mi ha sentito? È concentrata a…
pasticciare con il gelato su tutto il tavolo.» rise e sospirò. «Pulisco tutto
più tardi, tranquilla.»
Annuii,
mordicchiando il cucchiaino del gelato; guardai poi la mia migliore amica. «Ma
perché i ragazzi di oggi pensano solo e soltanto a… quello? Insomma, adesso
siamo soltanto degli oggetti da usare a loro piacimento?»
«Ma non
sono tutti così! Jasper non lo è… anche se, lo ammetto, all’inizio mi veniva
dietro solo perché gli piacevano le mie tette!» le guance di Alice si
colorarono di rosa acceso, mentre si mordeva le labbra. «Ma, a proposito di
tette… a te sono cresciute o sbaglio? Eri piatta al liceo!»
«Alice,
ho allattato mia figlia, per forza sono cresciute.» abbassai il viso, guardando
il mio decolté, decisamente più prosperoso rispetto alla seconda di seno che
avevo a diciotto anni. «Però… sai che non mi dispiacciono?»
«Ti
rendono più attraente, non che prima fossi un cesso, sia chiaro! Sei davvero…
un bel bocconcino. Vuoi dar torto a quel povero ragazzo che oggi ci ha provato
con te?»
«Dobbiamo
per forza parlare di lui?» chiesi, guardandola male. Non mi andava proprio di
ricordare l’episodio di qualche ora prima.
«No,
certo che no, era così per dire!» ridacchiò, e mi rubò un po’ di gelato dalla
coppetta.
«Ehi!»
«Tu non
lo stai mangiando più, quindi lo finisco io… visto che te l’ho offerto, puoi
lasciarmelo anche fare eh!»
«Oh sì,
giusto. È tutto tuo, goditelo… e strozzatici!»
Alice
mi fece la linguaccia, ridendo, e finì di mangiare quello che era ormai
diventato il mio ex-gelato. Mentre lei si sbarazzava della coppetta da lavare,
mi voltai per osservare mia figlia che, come mi aveva già avvertito prima
Alice, stava divertendosi a impataccare con le mani il tavolino che aveva
davanti. Sembrava che aveva rovesciato una parte del suo gelato sul tavolo, ed
era davvero soddisfatta di quello che stava facendo.
Vipera,
vipera, adorabile vipera!
«Ah!»
tornai a guardare Alice, dopo essermi ricordata di una cosa importante. «Hai da
fare domani mattina, per caso?»
«Mh,
no, non direi… domani mattina viene Claire ad aprire il bar, quindi sono
libera. Perché?» il suo viso si illuminò all’improvviso, e sorrise. «Non starai
mica pensando di andare a fare shopping! Perché se è così ci vengo sicuramente,
non devi neanche chiedermelo lo sai!»
«No,
Alice, niente shopping domani… lavoro.» la informai, scuotendo la testa.
Credevo
che quella sua mania, che si era portata dietro per tutto il liceo, fosse
svanita o, almeno, diminuita. Invece, mi sa che era ancora la pazza isterica
che faceva a botte durante i saldi invernali… e primaverili. E estivi.
Insomma,
si era capito: Alice era una shopaholic… una shopaholic della peggior specie,
aggiungerei!
«Ah. E
allora perché me lo hai chiesto?»
Assunsi
l’espressione più supplichevole e bisognosa che avessi nel mio repertorio,
sperando che funzionasse; mio padre cedeva sempre quando la facevo, ma non
sapevo se con Alice riuscivo ad ottenere lo stesso risultato. «Puoi farmi da
baby sitter? Ti prego!»
«Non
capisco, Allie non va a scuola domani? Perché devo fare la baby sitter?»
«È solo
per un’oretta la mattina, giuro! Attacco all’ospedale alle otto, mentre Allie
deve entrare a scuola alle otto e mezzo… io non ce la faccio ad accompagnarla,
mi servi tu!» ecco, stavo facendo abbastanza bene la ‘lecchina’. Mi sporsi
verso di lei, prendendole le mani tra le mie, e la guardai intensamente. «Ti
prego, tipregotipregotiprego! Giuro che è solo fino a venerdì…»
«Va
bene va bene, ho capito! Farò da baby sitter e porterò a scuola Allyson… però,
Bella, adesso lasciami andare. Qualcuno potrebbe pensare che mi stai facendo
una dichiarazione d’amore.» esclamò, tanto per scherzare.
«Bleah!
No, non sei il mio tipo, vade retro!» dicendo così, e scacciando in malo modo
le sue mani, la feci ridere.
«A
parte gli scherzi, a che ora devo venire domani?»
«Alle
sette e mezza, ti lascio anche la colazione pronta! Che ne dici? Per una volta
la offro io a te.» viste tutte le volte che provavo a pagare qualcosa al bar e
lei mi cacciava via prendendomi quasi a calci nel sedere, potevo ripagare il
suo lavoro da baby sitter in quel modo.
«Oh,
bene! Per me muffin ai mirtilli e cappuccino al cacao, grazie. Prendi subito
nota altrimenti te lo dimentichi!» Alice mi fece l’occhiolino e mi indicò con
l’indice della mano destra, divertita.
«D’accordo.
Adesso vado a ripescare quella sporcacciona di mia figlia e la porto a lavarsi
al bagno, scusami…» dissi, scendendo dallo sgabello.
«Vai
vai, io intanto pulisco il casino che ha fatto sul tavolo!»
Raggiunsi
con pochi passi il tavolo dove era seduta Allyson, inorridendo quando vidi meglio
da vicino che lo aveva praticamente ricoperto di gelato; i gusti che aveva
scelto si erano sciolti tutti e si erano mischiati tra di loro, e adesso quella
roba aveva assunto uno strano colorito verdognolo… sembrava vomito di gatto,
che schifo!
«Ew, ma
che hai combinato qua? Brutta zozzona!» la rimproverai, battendole con un dito
sulla testa ricciuta.
«Sssh,
sto pitturando mamma.» mi zittì subito lei, portandosi anche un dito sporco e
appiccicoso alle labbra. «Gli artristi non devono essere disturbati quando
pitturano!»
Da dove
gli era uscita quella frase, adesso?
Non
avevo ancora fatto caso al suo viso, ma scoprii che era altrettanto sporco
quanto il tavolino; però, notai che sulle sue guance e accanto alle labbra
ancora si distinguevano i colori dei gusti: fragola, cioccolato, pistacchio… e
forse anche banana.
«Ah, ma che casino che c’è qui! Chi è stato?»
arrivò anche Alice a completare la scena, e squadrò male Allie mentre lei, del
tutto disinteressata a noi ed ai nostri rimproveri, continuava a pasticciare
con quella roba sul tavolo.
«Alice
non la disturbare, è un’artrista! Me
l’ha detto lei… non la vedi?»
«Un che?»
Ridacchiai.
«In parole povere, è una pasticciona!»
Mi
chinai su di lei e, cercando di non toccare tutta quella roba appiccicosa, la
presi in braccio tenendola sotto le ascelle. Allyson cominciò a urlare e a
ridere allo stesso tempo, pensando che stessi giocando, ma io non stavo
giocando… ero seria, anche se mi veniva da ridere. «E sai dove vanno a finire i
pasticcioni?»
«Oh, sì
che lo so! Vanno a lavarsi!» Alice mi resse il gioco, trattenendosi dal ridere,
e mi indicò con il dito dove si trovava la porta del bagno. «Ecco, vanno lì,
vedi?»
«No,
no! Non ci voglio andare! Cece, salvami! Aiutami!» cominciò a urlare mia
figlia, muovendo le braccia e le gambe come una pazza mentre io mi incamminavo
verso il bagno. «Manda via la strega cattiva!»
«E
sarei io la strega cattiva? Ma che carina che sei, amore di mamma!»
Una
volta dentro al bagno, la rimisi con i piedi per terra e andai ad aprire
l’acqua nel lavandino; quando mi voltai, però, mi ritrovai da sola… e con la
porta aperta. Allie era scappata via, e da dove mi trovavo la vedevo benissimo
mentre sgambettava per tutto il bar e mentre toccava con le mani sporche ogni
cosa che si ritrovava davanti.
Inutile
dire che Alice, impegnata com’era a togliere il gelato dal tavolo, non se n’era
neanche accorta.
«Allyson,
torna qui! Alice, prendila!» urlai, uscendo di nuovo dal bagno per dare la
caccia a mia figlia.
______________
Hello!
Come procedono i primi giorni di scuola? Spero bene :) so che è cominciata da
un pezzo ma mi sono dimenticata di chiedervelo prima XD
Come avevo
promesso su Facebook, oggi sono riuscita a postare! Il capitolo è un po’ più
corto del mio solito, però spero che vi sia piaciuto ugualmente. Stiamo per
entrare nella storia vera e propria, e credo che si sia capito da quello che
accade in questo capitolo – mi riferisco a Edward e al suo… metodo di rimorchio
XD LOL
Poi…
prima che me ne dimentichi di nuovo, ho cambiato una cosina: l’età di Bella. All’inizio
avevo detto che Bella ha ventuno anni, quasi ventidue, però poi ho scoperto che
non mi tornavano i conti -__- e ho dovuto aggiungere un anno. Quindi, adesso
Bella ha ventidue anni e va per i ventitré XD
Spero di
non aver confuso nessuno ^-^’ anche se, lo ammetto, mi confondo spesso anche da
sola!
Bene,
nel prossimo capitolo ci sarà una nuova new entry – no, non sono ancora finite
XD –, però è una buona new entry, promesso :)
Ci sentiamo
tra un paio di settimane, credo, non appena avrò aggiornato anche l’altra mia
storia ;) un bacio a tutte!
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Solo il tempo... - Capitolo5
Solo il
tempo…
Capitolo
5
Quando
la sveglia suonò, quel sabato mattina, cominciai già a maledire mentalmente
quel piccolo aggeggio infernale che si trovava sul mio comodino. Quando la spensi,
però, ricordai che ero appena entrata nella mia ‘pausa week-end’ e che per quel
giorno il lavoro non era previsto… insomma, era il massimo!
Potevo
anche tornare a dormire.
Mi
rigirai nel letto, contenta, e sprofondai di nuovo con la testa nel cuscino; con
un sorriso beato sulle labbra, mi apprestai a tornare di nuovo nel mondo dei
sogni, decisa a dormire per almeno un altro paio d’ore.
I miei
piani non riuscirono nemmeno ad iniziare, però, che già dovettero essere
cambiati.
Lo
capii quando sentii qualcosa – o, per meglio dire, qualcuno – salire sul lato destro del letto e cominciare a
scuoterlo incessantemente; aprii gli occhi, un po’ infastidita ma comunque
divertita da quello che stava succedendo, e girai il viso per osservare quella
mattacchiona di Allie.
«Mamma!
Ti sei svegliata!» rise, buttandosi su di me tutta felice.
«Sì
amore, mi sono svegliata.» purtroppo.
Sempre restando sdraiata, la abbracciai e la strinsi di più contro il mio
petto, baciandole poi la testa ricciuta. «Buongiorno principessa!»
«Buongiorno!»
Allie ricambiò il saluto, baciandomi sonoramente una guancia.
«Come
mai sei già sveglia? Sono…» allungai il braccio per poter vedere meglio che ore
fossero sulla sveglia, «…appena le otto di mattina. Non vuoi dormire ancora un
po’?»
Scosse
la testa, decisa e seria. «No, ho fame. Voglio le frittelle! E poi, mamma,
dobbiamo andare via!»
Aggrottai
la fronte, confusa, mentre continuavo a far scorrere tra le dita i suoi
riccioli dorati. «Ah sì? E dov’è che dobbiamo andare?» le chiesi. Non ricordavo
affatto che dovevamo andare da qualche parte…
«Al
parco, mamma! Me l’hai promesso ieri!» Allyson cominciò a battere forte le
mani, con un sorriso estatico sulle labbra e con gli occhi che le brillavano
per la felicità.
Ah,
adesso ricordavo!
«Uh, è
vero! Devo portarti al ‘Monkey Donkey’!»
esclamai, alzandomi a sedere e trascinandomi dietro mia figlia.
Ero
passata davanti a quel parco giochi diverse volte, nel corso di quella
settimana, e ogni volta promettevo a me stessa che ci avrei portato Allie a
giocare; ieri sera, poi, le avevo proposto di andarci… ma solo se faceva la
brava signorina di casa e non avrebbe fatto i capricci.
Era
andata a dormire alle nove e mezza di sera, molto prima del solito, per paura
che potessi cambiare idea! Si meritava veramente quella piccola ricompensa.
«E dopo
andiamo anche al McDonadds?» mi
chiese, speranzosa, mentre si teneva aggrappata al mio collo. «Voglio la
sorpresa dell’Happy meal!»
Feci
finta di pensarci su, e nel frattempo mi incamminai verso il bagno, con lei tra
le braccia. «Mmm… sì, forse. Prima dobbiamo trovarne uno, però, di McDonald’s!» ridacchiai, baciandole il
visino.
La misi
a mollo dentro la vasca da bagno e decisi di lasciarla da sola a fare il
bagnetto per qualche minuto, giusto il tempo di prepararle le frittelle, prima
di andarla a recuperare; quando andai in cucina Allie stava giocando con alcune
paperelle di gomma e con una Barbie che le aveva regalato mia madre il Natale
precedente. Quella povera bambola, con i capelli quasi bianchi e con le labbra
rosse, mi ricordò Lauren.
Rabbrividii,
al pensiero di averne una copia in versione migliorata dentro casa.
Preparai
l’impasto delle frittelle, e ne versai una piccola quantità nello stampo che
usavo spesso e volentieri per la colazione di mia figlia, quello a forma di
cuore. In cucina avevo anche quelli a forma di fiore, di gatto e di stella… ma
lei preferiva il cuore, quindi gli altri erano a dir poco inutilizzati.
Quando
la prima frittella fu pronta, non riuscii a trattenermi e cominciai a
mangiucchiarla con gusto, anche se scottava e rischiavo seriamente di
ustionarmi la lingua; ne cominciai a fare un’altra, e fu allora che sentii il
cellulare suonare da qualche parte.
«Mh! Merda!»
borbottai, e dovetti uscire per forza dalla cucina per recuperarlo.
Trovai il
telefonino sotto il divano, e non riuscii a spiegarmi come diavolo avevo fatto
a farlo finire lì; dopo aver quasi rischiato di rompermi un braccio per
prenderlo, controllai chi era che mi stava chiamando a quell’ora… forse mia
madre.
E
invece no: era Alice.
«Fpronhto?»
risposi, anche se non riuscii a capire neanche io quello che avevo detto.
Nella
foga di rispondere, avevo messo in bocca tutto il resto della frittella, e
adesso avevo un boccone gigantesco da masticare e da inghiottire.
«Bella? Sei tu? Perché parli ostrogoto?»
la voce di Alice, alta e chiara come se mi stesse parlando a mezzo metro di
distanza, mi arrivò all’orecchio.
«Ahsnpetta!»
cercai di masticare in fretta il cibo, mentre Alice canticchiava qualcosa
dall’altra parte della linea; dopo aver quasi rischiato di strozzarmi e dopo
essermi schiarita la voce, tornai a parlare al telefono. «Ci sono, Alice!»
«Ah, eccoti qui! Chi era la scimmia che
parlava prima?»
Aggrottai
la fronte. «Quale scimmia? Qui non c’è nessuna scimma!»
«Quindi eri tu? Stavi russando o cosa?»
chiese ancora, facendomi sbuffare.
«Stavo
masticando, avevo una frittella in bocca…» al ricordo delle frittelle, tornai
in fretta in cucina per cercare di evitare di bruciare quelle destinate ad
Allie.
«Oh! Ti ho disturbato, non è vero? Posso
chiamare più tardi.» mi disse Alice, preoccupata.
Scossi
la testa, anche se non potevo farmi vedere da lei. «No, nessun disturbo,
figurati.» controllai la frittella che era sul fuoco, per verificare che non si
fosse bruciata. «Che mi dici? È successo qualcosa?»
«Assolutamente no! Volevo chiederti se ti va
di unirti a me e a Rose per la giornata… shopping!» esclamò, entusiasta, costringendomi
ad allontanare di poco il telefono dall’orecchio.
Oddio,
shopping con Alice! Che tortura! I miei piedi cominciavano già a piangere per
il dispiacere.
«Rose?»
chiesi, non appena riuscii a non pensare a quel piccolo particolare.
«Rose, Rosalie, la sorella di Jasper!» mi
ricordò lei, allegramente. «Ti ho già
parlato di lei, ricordi? Voglio presentartela, e anche lei non vede l’ora di
conoscere te e Allyson! Ah! Ma sai che ho scoperto come risolvere il tuo
problema della mattina con la bambina? Ma ti spiego tutto più tardi, quando ci
incontriamo. A proposito, quando ci incontriamo? All’ora di pranzo? Adesso?
Quando!?»
Alice
mi metteva sempre paura, quando parlava in quel modo.
«Ehm…
riprendi fiato, Alice.» borbottai, grattandomi la testa. «Senti… avevo già
organizzato una cosetta per Allie, oggi. Non so se possiamo venire con voi…»
«Ti prego Bella, ti prego! Devi assolutamente
venire!» cominciò ad implorarmi istericamente, alzando il tono della voce.
«Per favore, è da tanto che non prendo
parte ad un’uscita di sole ragazze insieme! Quand’è stata la tua ultima volta
invece?»
«Ehm…»
non sapevo che dirle.
Per
quanto ne sapessi, l’ultima volta che ero stata ‘costretta’ ad una seduta di
shopping intensiva era stato qualche tempo prima della partenza di Alice, ed
era qualcosa come quattro anni prima. Diciamo che poi ero stata contenta di non
dover andare su e giù per negozi così per divertimento, e che facevo spese solo
quando mi serviva qualcosa…
Ma non
potevo mica dirle questo, no? Mi avrebbe ammazzata, se gli rivelavo che ero
stata contenta della fine dello ‘shopping pazzo’ insieme a lei!
«Non
ricordo bene, è passato un sacco di tempo anche per me…» gesticolai con la
mano, cercando di trovare qualcos’altro da dire, ma non feci in tempo… come
sempre.
«Ecco, vedi? È destino, tesoro! Dai, verso
che ora ci incontriamo? Devo assolutamente farti sapere questa cosa.»
«Undici
e… mezza?» domandai titubante. «Va bene per te?»
«Oh sì, va benone! E andrà bene anche a Rose,
le fa bene muovere quel culone che si ritrova!» esclamò Alice, ridendo. «Perfetto! Alle undici e mezza vi passiamo a
prendere a casa…»
«NO!»
quasi urlai, e feci quasi cadere a terra il piatto con le frittelle, che ero
riuscita a cuocere mentre parlavo con la mia amica. «No Alice, non sono in casa
a quell’ora. Venite al ‘Monkey Donkey’,
lo conoscete?»
La
sentii sbuffare. «Bella, qui a Los
Angeles tutti conoscono il ‘Monkey Donkey’! Ci porti Allyson? Impazzirà, ne sono sicura! Allora ci vediamo lì…
undici e mezza, non dimenticartelo!»
«Va
bene…» dissi alla cornetta muta; Alice, infatti, non appena aveva smesso di
parlare aveva subito riattaccato. Se dovevo dirle qualcosa di estremamente
urgente, non avrei fatto a tempo… sempre la solita.
Posai
il piatto sul tavolo della cucina, e finii di apparecchiare con lo sciroppo
alla fragola, il latte al cioccolato e il succo di frutta. Mancava solo mia
figlia… visto che aveva fame, non le sarebbe dispiaciuto abbandonare il suo
‘laghetto delle paperelle’, ovvero la vasca da bagno.
«Allyson,
amore? Le frittelle sono pronte, non vieni a mangiarle?» mi incamminai verso il
bagno mentre la chiamavo, e quando non sentii la sua risposta mi insospettii;
non perché forse le era successo qualcosa, ma perché forse aveva combinato
qualcosa.
E
infatti, quando entrai dentro il bagno, scoprii che aveva davvero combinato
qualcosa. Non so come aveva fatto a raggiungere il mobiletto del bagno senza
uscire dalla vasca, ma era riuscita a prendere la mia mousse per i capelli e si
era divertita a passarsela su tutto il viso, cosa che stava facendo anche
quando entrai nella stanza; non aveva risparmiato nemmeno le sue paperelle. Una
aveva addirittura un grande ciuffo bianco di mousse sulla testa, sembrava tanto
la decorazione di panna montata di una torta.
«Guarda
mamma, mi faccio la barba come papà!» esclamò, agitando con una mano il
contenitore della mousse.
Sospirai.
«Allyson…»
Ero
abbattuta, leggermente arrabbiata e allo stesso tempo divertita per quello che
stava facendo.
Abbattuta,
perché ricordava ancora bene, nonostante non lo vedesse da diversi mesi, che
suo padre la mattina usava farsi la barba; arrabbiata, perché aveva sicuramente
consumato un barattolo di preziosa – almeno per me lo era – e miracolosa spuma
per capelli ricci… e divertita, perché non potei fare a meno di immortalare
anche quella nuova scena con il cellulare, e inviare con un MMS una foto a mia
madre.
-
Seduta
su una panchina del parco, osservavo da lontano Allyson mentre giocava su una
giostra; era seduta su una macchinina rosa, accanto a un bambino moro e
dall’aria parecchio annoiata, però lei in confronto a lui sembrava divertita… e
allegra.
Forse
quello era l’effetto degli zuccheri che aveva ingerito qualche ora prima.
Sorrisi,
poggiando la testa sulla mano; nell’altra stringevo un libro, quello che avevo
scelto di cominciare a leggere mentre mia figlia se ne stava sulle giostre: si
intitolava ‘Cattive compagnie’. Il titolo mi aveva incuriosito, e anche la
trama prometteva bene… peccato che, dopo un paio di pagine, avevo già
abbandonato la lettura.
Non era
colpa del libro che mi annoiava, ma più della preoccupazione. Avere una bambina
sulle giostre mi provocava più ansia del previsto, e anche se vedevo che si
stava divertendo e che non c’era nulla che non andava, mi distraevo e tornavo a
guardarla giocare.
Avrei
dovuto rimandare – di nuovo – la lettura di quel thriller.
Lasciai
vagare per qualche istante gli occhi sul posto che mi circondava, tanto verde,
tanto bello ma anche tanto pieno di ‘pericoli’… i pericoli, naturalmente, erano
le giostre. Potevano essere sicure quanto volevano, ma a me facevano venire lo
stesso un po’ di timore.
Il ‘Monkey Donkey’ sembrava essere davvero
il parco più conosciuto di Los Angeles, come mi aveva detto Alice quella
mattina. Era pieno di bambini che andavano sulle giostre, di ragazzini e
adolescenti che si aggiravano e che ridevano insieme ai loro amici e di
coppiette innamorate che trascorrevano una piacevole mattinata insieme.
La cosa
che più mi faceva ridere di quel posto, però, era il nome: chi era stata quella
persona tanto intelligente che aveva deciso di dare quel nome strambo ad un parco
giochi? Per non parlare poi del cartello posto all’entrata del parco…
raffigurante, per l’appunto, una specie di incrocio tra una scimmia e un asino.
Un po’
bruttino, dovevo dire, ma la faccia simpatica della scimmia con i dentoni
dell’asino faceva cambiare subito idea.
La
suoneria del mio cellulare mi fece distrarre da quella specie di sogno ad occhi
aperti che stavo facendo; lo riacciuffai dalla borsa, dove era sommerso sotto a
un mucchio di altre cose, e risposi senza neanche vedere chi fosse a chiamare.
«Pronto?»
«Ma dove cazzo sei?» una furibonda Alice
fu la causa della mia quasi perdita di udito a un orecchio.
«Alice!
Ma come dove sono? Al ‘Monkey Donkey’,
come ti ho detto prima…» risposi alla sua domanda, dopo però aver cambiato
orecchio e aver preso a massaggiarmi quello mezzo infortunato.
«Beh, io non ti vedo, e non ti vede neanche
Rose!» sbuffò. «Dov’è che sei di
preciso?»
Mi
guardai intorno, per vedere se c’era qualcosa che potessi dirle come punto di
riferimento. «Sono vicino alla giostra delle macchinine… vicino ci sono dei tavolini,
e anche una fontanella…»
«Cazzo!»
Aggrottai
le sopracciglia, sentendo la sua imprecazione. «Alice?»
«Arriviamo subito, Bella, tu non ti muovere!
Rose, avevi ragione tu, non dovevamo venire neanche per il cazzo nell’area di
ristoro…» dopo queste ultime, e anche educate, parole, Alice chiuse la
chiamata.
Lanciai
diverse occhiate stranite al mio cellulare, poi scrollando le spalle lo rimisi
dentro la borsa. Non dovevo stupirmi affatto del comportamento di Alice, era
sempre stata un po’ pazza e con le rotelle del cervello fuori posto, però
qualche volta ci rimanevo sempre di sasso quando la vedevo, o la sentivo
solamente.
La mia
stramba e quasi matta amica del liceo era ancora presente… peccato che si
trascinasse ancora dietro la mania dello shopping. Rabbrividii, al pensiero che
qualche ora dopo l’avrei rivista di nuovo all’opera.
«Bella,
Bella! Siamo qui, ci vedi? BELLA!»
Ecco,
come volevasi dimostrare…
Mi
voltai verso la direzione da cui proveniva la voce della mia amica, e agitai in
aria una mano per farle capire che l’avevo vista e sentita… beh, l’avevano
sentita tutti, più o meno. Alice saltellò per un attimo sul posto, euforica, e
cominciò a correre verso di me, costringendo così la ragazza dai capelli biondi
che la seguiva a fare altrettanto.
«Ah,
tesoro, finalmente ti abbiamo trovato!» urlò lei mentre mi abbracciava, anzi,
mi stritolava.
«Alice!»
come accadeva praticamente ogni volta che ci salutavamo, io non dovetti fare
altro che ricambiare il suo abbraccio e cercare di trovare l’aria da respirare…
ne avevo sempre poca, con lei nei paraggi.
«Oh, su
Alice, smamma! Così posso salutarla anche io!» si lamentò la ragazza bionda che
si trovava al nostro fianco, e che capii essere Rosalie; sembrava un po’
arrabbiata, visto il tono che aveva usato, ma aveva il viso divertito e sembrava
stesse facendo soltanto un po’ di scena.
Finalmente,
Alice si decise a lasciarmi andare e con un sorriso si avvicinò alla ragazza, e
poi cominciò a spingerla verso di me. «Rosalie Hale, lei è Isabella Swan, Bella
per gli amici! Bella, lei è Rose!»
«Oh, la
famosa Rose!» esclamai, sorridendole e salutandola con due baci sulle guance,
che vennero prontamente ricambiati. «Finalmente ti conosco.»
«Posso
dire la stessa cosa di te… però, non sono così famosa. Alice esagera sempre!»
ridacchiò lei, lanciando un occhiata divertita verso la nostra ‘amica in
comune’.
Risi
anche io, mentre mi perdevo per qualche istante a studiarla: era indubbiamente
simpatica, ed era anche una bella ragazza. Alta, contando anche che calzava un
semplice paio di ballerine verdi, con un fisico magro ma con le curve al punto
giusto, e aveva dei lunghi capelli biondi/dorati e gli occhi blu… era stupenda.
La
invidiavo, quasi.
«Io non
esagero, dico solo la verità!» ribadì Alice, arricciando le labbra. «Dov’è
Allie, Bella?»
«È lì.»
indicai la giostra delle macchinine, dove stava giocando mia figlia in quel
momento. «La devo chiamare oppure…»
«No no
no!» mi ammonì subito lei, agitando le mani. «Lasciala giocare ancora un po’… è
ancora presto, e abbiamo tutto il tempo che vogliamo per pranzare con calma e
per andare in giro a fare spese!» batté le mani, soddisfatta di quello che
aveva appena detto. «Stiamo un po’ qui a parlare, e poi devo dirti la novità
Bella, no?»
Annuii,
tornando a prendere posto sulla panchina, imitata subito dalle altre due ragazze.
Non appena mi sistemai la borsa in grembo, Alice riprese la sua parlantina che
aveva interrotto qualche istante prima.
«Allora,
prima al telefono ti avevo accennato che avevo risolto il problema di badare a
Allie la mattina mentre lavori… non che io non voglia occuparmi di lei, sappilo
tesoro, è una bambina così adorabile! Però… ho pensato che una persona più
competente di me facesse al caso tuo!» disse in fretta, senza neanche
riprendere fiato.
Inarcai
un sopracciglio, e annuii. «Mi… mi stai dicendo che hai trovato una tata?»
nella mia mente, la parola ‘tata’ prese la forma di una di quelle donnine in
carne, sulla sessantina e con la passione del lavoro a maglia, che adoravano le
telenovelas spagnole. «Tipo Mrs. Doubtfire?»
«Macché!
Quella di cui parlo io è una tata molto più alla moda… e più giovane e sexy.»
con un sorriso a sessantaquattro denti, allungò le mani verso il viso di
Rosalie, e quasi rischiò di mollarle una pizza in faccia. «Ti presento la tata
di Allyson!»
«Ah!»
Restai
parecchio sorpresa da come si stava svolgendo la situazione. Non pensavo che
Rosalie facesse la baby sitter di mestiere… beh, a dire la verità non sapevo
praticamente nulla di lei, tranne che era la sorella di Jasper, che era
fidanzata con Emmett Cullen e che era
una ragazza a modo.
«Sei una
baby sitter, Rosalie? Non lo sapevo…» ammisi; meglio essere sincere.
«Sì, ma
lo sono solo nel tempo libero. In realtà, sono la direttrice di un centro
estetico, a Beverly Hills.» mi spiegò lei, scrollando le spalle. «Mi sono
sempre piaciuti i bambini, quindi quando posso mi occupo di loro…»
«Però è
brava!» si intromise Alice.
«Cece,
sta un secondo zitta!» la rimbeccai, dandole una spintarella sulla spalla.
«Quindi… mi aiuterai con Allyson durante la settimana?» chiesi a Rosalie,
cercando di capire meglio la cosa.
«Ma
certo, per me è un piacere! Alice mi ha detto che è bellissima e dolcissima, e
sono sicura che andremo molto d’accordo… non dovrebbero esserci problemi.» mi
sorrise, rassicurante, ed il sorriso che mi rivolse raggiunse anche i suoi
occhi.
Non mi
bastò altro per capire che con lei mia figlia era in buone mani, e ricambiai il
suo sorriso. «Beh, stupendo! Benissimo! La vado a chiamare, così te la
presento?»
«Sì sì,
vai! Non vedo l’ora di spupazzarla!» chissà come mai, Alice quel giorno doveva
sempre mettere bocca su tutto… nana dei miei stivali.
Sorridendo
e scuotendo la testa, lasciai le ragazze sedute sulla panchina e mi incamminai
verso la giostra delle macchinine; non appena la raggiunsi dovetti aspettare
qualche minuto prima di chiamare Allie, visto che la giostra era ancora in
movimento.
«Ehi,
amore, vieni qui!» esclamai forte, in modo che mia figlia potesse sentirmi
anche attraverso le tante altre persone che parlavano ad alta voce come me.
Allyson
mi sentì quasi subito, e dopo avermi visto scese dalla macchinina e mi corse
incontro, con un sorriso enorme. Cominciò a saltellarmi davanti non appena mi
fu vicina, afferrandomi le mani.
«Mamma,
mamma, sali anche tu? È bellissimissimo!» urlò, tutta contenta.
Ridacchiai.
«No tesoro, magari più tardi.» la presi in braccio, sostenendola per il
sederino. «Adesso però devi venire un attimino con me, va bene?»
«Andiamo
via? Non voglio andare via! Ho fatto la brava come mi avevi detto tu!» cominciò
a dire in fretta, impaurita che potessi davvero portarla via dal parco giochi.
«Ma no,
non andiamo via.» la rassicurai pizzicandole la guancia, mentre mi incamminavo
di nuovo per tornare da Alice e Rosalie. «Ci sono Alice e una nuova amica della
mamma, ti vogliono salutare. Poi torni a giocare con tutti gli altri, va bene?»
«Chi è
la tua nuova amica?» mi chiese subito lei, incuriosita. Era una piccola
impicciona, proprio come sua nonna.
«Tra
pochissimo la conoscerai, siamo quasi arrivate da loro…» le baciai la guancia e
poi la feci scendere dalle mie braccia, prendendola per mano. Non la tenni
accanto a me per molto, però, visto che dopo un paio di metri sfilò la sua mano
dalla mia e si mise a correre.
«CECE,
CECE!» cominciò a urlare mentre correva, e con un piccolo saltello si arrampicò
sulle gambe di Alice, che urlava peggio di mia figlia. Accanto a loro, Rosalie
rideva divertita.
«Allie!
Tesoro mio, mi sei mancata tanto tanto lo sai?» era una cosa bizzarra, visto
che quelle due si erano viste per l’ultima volta neanche ventiquattro ore
prima.
Le
raggiunsi con calma, scuotendo la testa mentre guardavo Alice che faceva il
solletico ad Allyson e che sperava in una sua reazione… era un peccato che si
sforzasse in quel modo, perché non avrebbe ottenuto nulla in cambio.
Allie
non soffriva il solletico.
«Cece,
smettila!» pigolò mia figlia ad un certo punto, cominciando a lasciarle piccoli
schiaffetti sulle mani. «Mi dai fastidio.»
«Visto
Cece? L’ha capito anche lei, dai fastidio a tutti porca paletta!» commentò
Rosalie, incrociando le braccia sul petto.
«Ma non
è vero!» si lamentò lei, mettendo il broncio.
«Sì che
è vero!» rincarai la dose, facendola indispettire ancora di più. Cercando di
non ridere per la faccia che aveva fatto Alice, mi avvicinai a mia figlia e le
accarezzai i capelli con le dita. «Amore, la vedi questa bella ragazza? Lei è
Rosalie, una nostra nuova amica.» le dissi, indicandole Rose con una mano.
Allyson,
dopo essersi voltata verso di lei, assunse un’espressione più buffa che mai;
sgranò gli occhi e aprì la bocca come un pesce, alzando le mani verso l’alto.
Rosalie, davanti al suo modo di comportarsi, restò un po’ perplessa e mi guardò
preoccupata.
«Che
succede? Non le piaccio?» chiese, con la voce altrettanto preoccupata; forse
stava pensando che sarebbe stato un bel problema farle da baby sitter se non le
piaceva.
Scossi
la testa, sorridendole. «No, sta… pensando a qualcosa. Fa sempre così.» le
spiegai, abbassando gli occhi sul viso di Allie.
Lei non
aveva ancora detto una parola, anche se adesso batteva le palpebre ad
intervalli di pochi secondi e muoveva le dita in fretta, come se volesse
afferrare qualcosa. Mi sarebbe piaciuto molto entrarle dentro la testa per
sapere a cosa stava pensando… ma lei parlò prima che potessi mettere in atto il
mio pensiero.
«Mammina,
sei amica della Bella Addormentata e non me lo volevo dire?» esclamò,
voltandosi verso di me e guardandomi leggermente offesa.
«Ma…
Allyson! L’ho incontrata poco fa, come te.» cercai di difendermi mentre sentivo
le altre due ridere per quello che mia figlia aveva appena detto.
Beh,
stando a quello che aveva detto, Allyson aveva collegato la figura di Rosalie
al personaggio della famosa fiaba che amava tanto, quello però della versione
Disney; Aurora in quel cartone aveva i capelli dorati e gli occhi blu, e
Rosalie aveva entrambi questi dettagli nell’aspetto fisico. Non potevo darle torto,
se le assomigliava un pochino…
«Ehi,
Allyson, vieni qui da me…» Rosalie chiamò mia figlia, e prendendole la manina
la fece avvicinare a lei, con un bel sorriso gentile stampato sulle labbra. «Ma
lo sai che sei davvero una bellissima bambina? Sembri una principessa!»
«No,
non è vero. Tu sei una principessa!» ribadì subito lei, guardandola con i suoi
occhioni spalancati e ammirati. «Sei la principessa Aurora… hai anche il
principe azzurro?»
Rosalie,
intenerita dall’innocenza di mia figlia, le annuì dolcemente e la prese in
braccio. «Sì, ce l’ho il principe azzurro, ma adesso sta lavorando. Un giorno
te lo presento, va bene?»
«Anche
il cavallo bianco mi presenti?»
Rose
scosse la testa. «No, il mio principe non ce l’ha il cavallo…»
«E che
cos’ha?»
«Una
jeep!»
Scoppiai
a ridere, vedendo che Allie era rimasta delusa dalla cosa. Eravamo nel
ventunesimo secolo, dopotutto, era normale che anche il principe delle favole
si fosse modernizzato e avesse cambiato ‘mezzo di trasporto’.
«Ma non
è una jeep qualunque, Allyson, è un suv della Mercedes! È roba seria!» tentò di
consolarla Alice, mentre cercava di non continuare a ridere.
«Che
cos’è un suv della Meccedes?» chiese giustamente mia figlia, confusa.
«È una
macchina molto molto bella, e anche molto grande. Ci puoi giocare a nascondino
dentro!» le spiegò Rosalie.
«Waw,
bella! Quando posso giocare sul suv?»
«Bella,
ti sta squillando il cellulare!» mi informò Alice, scuotendomi per una spalla.
Mi
riscossi; ero così concentrata a sentire quello che diceva Allyson che non me
ne ero resa conto. Mi voltai verso di lei, che mi fissava mentre mi porgeva il
mio cellulare sonante e ronzante. «Ah… grazie.»
Risposi
alla chiamata, ancora un po’ sovrappensiero. «Pronto?»
«Hey, Belle!» riconobbi subito la voce
che mi stava arrivando all’orecchio.
«Papà!»
esclamai, veramente contenta di sentire il mio vecchio. «Finalmente, ce l’hai
fatta a chiamare! È una settimana che…»
«Lo so, tesoro, lo so. Il lavoro mi assorbe
completamente.»
«Le
partite a briscola ti assorbono completamente, dì la verità!» ridacchiai,
pensando a lui seduto alla scrivania della centrale di polizia e circondato dai
suoi colleghi, impegnati come lui in una ‘tosta’ partita a carte. «Come stai?»
«Bene Belle, bene. Voi, invece? Tua madre mi
ha detto tutto sul tuo nuovo lavoro, sono contento che le cose cominciano ad
andare bene…» mi disse, facendomi così capire che anche se non mi chiamava tanto
spesso, lui sapeva comunque tutto su quello che accadeva a me e a sua nipote…
grazie, naturalmente, alla moglie pettegola.
«Sì,
comincia ad andare bene. Allyson invece ha cominciato la scuola questa
settimana, te l’ha detto mamma?» mentre parlavo, osservai Alice che mi stava
rivolgendo un sacco di cenni e di smorfie strane. Non capivo che cosa volesse,
e quindi le regalai in risposta una smorfia altrettanto strana.
«Sì, mi ha detto tutto… e a proposito di
Allyson, me la potresti passare un attimo?»
Sorrisi.
«La vuoi salutare?»
Papà
restò in silenzio per un po’, prima di rispondermi. «Anche, sì…»
Mi
insospettii, poi però capii per quale motivo dovevo passargli Allie al
telefono. «Papà!» esclamai, sconvolta.
«Che c’è, tesoro?»
«Papà,
devi smetterla! Mia figlia non è una specie di indovina che puoi consultare
quando cavolo ti pare!» lo sgridai, incavolata.
«Eddai, Belle, non faccio nulla di male! E
poi tua figlia si diverte, non è mica rompiballe come te! Senza offesa,
piccola.»
Sbuffai.
«Comunque… tu sei un poliziotto, non dovresti farle queste cose. Dovresti proprio
evitarle!»
Quella
volta fu il suo turno di sbuffare. «È
sicuro, e non infrango nessuna legge dello Stato. Allora, mi vuoi passare mia
nipote oppure devo minacciarti? Devo andare, ho poco tempo per fare tutto!»
Sbuffai
di nuovo. «Aspetta un secondo…» scostai il telefono dall’orecchio e poi lo misi
accanto al viso di mia figlia, mentre le prendevo la manina. «Amore, c’è il
nonno al telefono, vuole parlarti.»
Allyson
prese subito il telefono dalla mia mano e se lo appiccicò all’orecchio,
contenta. «Nonno Charlie! Ciao! Sto bene, sì, anche la mamma. No, perdono…»
«Chi è
che perde?» chiese Rosalie, mentre osservava mia figlia; in quel momento, la
bambina esclamò “Vincono tutti e due insieme!”
«Non lo
so, ma penso qualche squadra di football…» vedendo la strana occhiata che mi
stavano lanciando entrambe, mi affrettai a spiegare meglio quello che stava
facendo mia figlia. «Papà usa Allyson come… una statistica sportiva, e poi
scommette usando i risultati delle partite che gli dice.»
Alice
sgranò gli occhi. «Ma… dici sul serio? Bella, ma tuo padre è un poliziotto!»
«Lo so!
Però lo fa lo stesso.» scrollai le spalle, ormai avevo decisamente perso quella
battaglia con mio padre.
«Ma ci
azzecca, almeno?»
«Una
volta gli ha fatto vincere 500 $...» ricordai benissimo quell’episodio. E come
dimenticarsi quella specie di balletto improvvisato da mio padre, per di più in
mutande, che aveva fatto per tutta la casa?
«Ammazza!
Senti, qualche volta ci provo anche io, lo dico a Jasper…»
«Non
provarci neanche!» la ammonii, puntandole un dito contro. «Mi basta già papà,
non mettertici anche tu con questa storia eh!»
«È un
vero peccato…» commentò Rosalie, mentre mi porgeva il cellulare: papà doveva
aver chiuso la chiamata. «Emmett sarebbe stato contento di sapere che in città
c’è una specie di miniera d’oro delle scommesse sportive.»
-
«Ci
credete? Sono quattro anni che vivo a Los Angeles e non ho ancora incontrato
nessuna celebrità, neanche di striscio!» Alice si lamentò, spezzettando tra le
dita alcune patatine fritte.
«Questo
perché Sarah la stalker li becca sempre prima di te e li fa scappare via.» espressi
il mio libero pensiero, scherzando, mentre mangiavo le mie patatine invece di
giocarci come stava facendo lei.
«Aaaaaa!
Non mi parlare di quella tizia, la odio!» borbottò, scuotendo la testa prima di
guardarmi. «Senti, un giorno prendiamo la mia macchina e andiamo a Beverly
Hills, a paparazzare i vip nelle loro case! Voglio assolutamente una foto di
Tom Cruise mentre fa il bagno in piscina…»
«Alice,
tu sei pazza! Non ci voglio andare in galera per colpa tua!»
«Brava
Bella, ribellati!» Rosalie agitò il braccio in aria, distogliendo per qualche
istante lo sguardo da mia figlia che stava mangiando… o si stava sporcando, non
sapevo come definire la cosa.
Ci
trovavamo al McDonald’s del centro commerciale che Alice aveva scelto come meta
dello shopping per quel pomeriggio, e stavamo finendo il nostro pranzo. Sperai
che potesse durare più del dovuto, visto che non mi andava di girare in lungo e
in largo con quella pazza scellerata.
Aveva
detto che voleva dilapidare il suo conto in banca per un paio di Jimmy Choo…
senza contare i miliardi di altre cose che voleva acquistare.
«Ma
scusa, tu non vuoi incontrare le celebrità? Non muori dalla voglia di farti una
foto con il tuo prezioso idolo?» mi domandò Alice, cercando di ignorare Rosalie
e le sue prese in giro.
«A dire
la verità, sì…» sposarmi con Jared Leto era, da tutta una vita, il mio eterno e
irrealizzabile sogno nel cassetto, «… però ho già incontrato un vip, quindi per
adesso non ne sento la necessità.»
Alice
si zittì subito, colpita dalla mia affermazione. «Chi… chi è che hai
incontrato?»
«Patrick
Dempsey, stava acquistando dei giornali in un edicola di Seattle. Credo che si
trovasse lì per le riprese di ‘Grey’s
Anatomy’…»
«Che
cu… fortuna!» la mia amica riuscì a cambiare parola all’ultimo minuto, a causa
della mia occhiata raggelante; c’era comunque una bambina insieme a noi, e
quella particolare bambina aveva sempre le antennine alzate per captare
particolari parole. «Ehi, Rose, manchiamo solo noi all’appello!»
«No,
manchi solo tu. Io ne ho incontrate parecchie di persone famose.» la informò
lei, senza guardarla perché impegnata a pulire la boccuccia di Allyson dal
ketchup delle patatine. Si era offerta lei stessa di aiutarla con il pranzo, e
dovevo dire che aveva ragione: era brava con i bambini.
«Come
sarebbe a dire?» Alice si stava arrabbiando, si capiva da come cominciava a
strillare.
«Ho un
centro estetico a Beverly Hills, ricordi? Le star di Hollywood ci vengono
spesso, e si fanno fare le foto con me e con il mio staff se glielo chiedo…»
«Oh, ma
che cazzo!»
«ALICE!»
urlammo sia io che Rose all’unisono, fulminandola con lo sguardo; Allie,
invece, cominciò a ridere e a battere le mani.
«Cazzo,
cazzo! Mamma, Cece ha detto cazzo!»
canticchiò, entusiasta.
Sbuffando,
mi rivolsi a lei. «Sì, e per questo motivo per lei niente gelato, dopo! Lo
stesso vale per te se lo ripeti ancora, va bene?» pizzicai la punta del suo
naso, ricordandomi solo dopo che era sporca di salsa al pomodoro; ripulii le
dita sul tovagliolino di carta.
«Va
bene, adesso basta parlare di vip e di parolacce.» Rosalie puntò gli occhi blu
si di me, sorridendo in modo a dir poco malizioso. «Cece, qui presente, mi ha
detto che hai fatto colpo sul mio quasi cognato…»
Sospirai,
squadrando male la mia ex migliore amica. «Alice, a quante persone l’hai
raccontato?»
«Solo a
lei… e a Jasper. Senti, dovevo pur raccontare che il signorino è stato finalmente
rifiutato da qualcuno, no?» si giustificò lei, alzando le mani.
«Però,
lo hai raccontato anche a Emmett…» aggiunse Rosalie.
Sbuffai.
«Non è che lo hai detto anche a Carlisle, già che ci siamo?»
Raggelai,
quando vidi le guance di Rosalie diventare rosse come un pomodoro maturo. «No…
lo sa anche lui?» domandai in un sussurro.
Ci
mancava solo che anche il mio capo sapesse che avevo rifiutato le avance di suo
figlio. Ma che figura di merda ci facevo!?
«Gliel’ha
detto Emmett, ma era per scherzare su!» Rosalie gesticolò con le mani prima di
mettersi a sbriciolare nervosamente i resti del suo panino. «Giuro che lo avrei
bloccato, se sapevo che spifferava tutto… ehm, e forse lo sa anche Esme, sua
moglie.»
«Perfetto…»
borbottai, mordendomi le labbra.
«Perché
ti preoccupi, Bella? Non è una cosa così scandalosa dire in giro che hai
rifiutato le avance di qualcuno…» mi disse Alice, una volta che ebbe notato la
mia faccia scioccata.
«No,
hai ragione, ma è scandaloso per Edward.» le fece notare Rose. «La sua
reputazione di latin lover incallito è stata sfasciata dalla nuova infermiera
del ‘Good Samaritan Hospital’… ce lo vedrei bene sulle prime pagine dei
quotidiani.»
Vedendola
in quel modo, l’argomento in effetti sembrava parecchio divertente. Divertente
per noi, ma non di certo per Edward: ricordavo benissimo la sua faccia delusa,
scioccata e confusa quando gli avevo detto che non sarei mai e poi mai andata a
letto con lui. Si era capito che non riceveva quasi mai dei rifiuti.
«Sì,
molto divertente!» ammisi, tornando a mangiare le patatine, anche se di
malavoglia.
Mi era
passata la fame.
«Beh,
adesso è acqua passata però. Se gli hai detto di no, non verrà più a romperti
le… uova nel paniere.» Rose si grattò le labbra con le unghie, sovrappensiero.
«A meno che non si intestardisce con te e torna alla carica.»
Davanti
a quella ipotesi mi preoccupai: no, non volevo proprio che Edward Cullen
tornasse alla carica. «Lo ha mai fatto? Tornare alla carica, intendo.»
Scosse
la testa. «Non mi sembra, no.»
«Beh,
sarà meglio che non lo faccia allora.» mi alzai in piedi, prendendo il mio
vassoio per andarlo a svuotare nel cestino. «Sentite, devo distrarmi un po’…
andiamo subito a fare questo cavolo di shopping infernale?»
«Pensavo
che non lo avresti mai detto!» Alice saltò in piedi subito, con un sorriso che
andava da guancia a guancia, e come me si preparò per andare a svuotare il suo
vassoio.
«Ehi,
Bella! Pensavo che non ti piacesse lo shopping…» mi disse Rosalie, una volta
che tornai al tavolo per recuperare borsa e figlia, quest’ultima un po’
impataccata di come eravamo arrivate.
Battei
le palpebre, sorpresa che lo avesse capito da sola senza che io le dicessi
nulla. «È così evidente?»
«Sembravi
una che era appena stata condannata a morte quando Alice ci aveva detto che
voleva quelle scarpe!» sorrise, indicando la nostra amica pazza con la testa.
«Anche a me non piace molto lo shopping, lo ammetto, ma mi servono alcune cose
e così oggi ne approfitto per comprarle… ma tu, come mai hai cambiato idea?»
Scrollai
le spalle, mentre prendevo in braccio Allyson, che mi lasciò prontamente un
tenero bacino sulla guancia. «Voglio tenermi impegnata in qualche modo…»
Era la
verità. Occuparmi di una cosa che odiavo con tutta me stessa, come lo shopping,
mi aiutava a tenere i pensieri lontani da Edward Cullen, dalle sue avance non
corrisposte e dal suo possibile nuovo assalto.
Sperai
di non essere così sfigata da ritrovarmelo di nuovo tra i piedi, lunedì al
lavoro.
___
Buoon pomeriggio!
Ho anticipato l’aggiornamento, visto che non mi fido molto a postare di sera
per via di EFP che ogni tanto fa i capricci u.u
Capitolo
un po’ più lungo di quello precedente, per farmi perdonare anche il leggero ritardo
dell’aggiornamento :D come sempre, spero che vi sia piaciuto!
Come avevo
annunciato, c’è una nuova new entry: Rosalie. È tanto carina, mi piace un sacco
*-* e poi è diventata anche la baby sitter di Allyson, quindi si vedrà molto
spesso nella storia ;)
Poi… il
‘Monkey Donkey’. Ecco, questo parco
giochi non esiste. L’ho inventato io XD quindi, alla scimmia/asino ho messo il
copyright… ehm, non fateci caso, la pioggia mi fa diventare pazza .-.
Charlie
che usa sua nipote per le scommesse sportive: come ce lo vedete? È simpatico XD
ce lo vedevo troppo a fare una cosa del genere, visto che è un personaggio così
appassionato di sport… Bella però non è d’accordo XD
E per
finire… i discorsi delle ragazze vanno a finire su Edward e sulle avance che ha
rivolto a Bella. Secondo voi getta la spugna oppure, come ha pensato Rosalie, ‘torna
alla carica’? Io lo so già XD e nel prossimo capitolo lo scoprirete anche voi
:)
Vi ringrazio,
prima di lasciarvi, per le recensioni che mi avete lasciato al capitolo
precedente *-* risponderò presto, promesso!
Ci
sentiamo tra un paio di settimane, più o meno ;) ciao!
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Solo il tempo... - Capitolo6
Hei girls! I’m here :D
Anche questa settimana aggiornamento
serale, e per di più puntuale XD mi sono impegnata a scrivere sia il nuovo
capitolo di questa storia che quello di ‘The campo of love’… però mi sa che per
quello dovete aspettare ancora un po’: sono completamente in alto mare! Ma mi
impegnerò, promesso :)
Questo è… un capitolo strano, secondo me. I
dialoghi sono pochissimi, ma sono anche importanti; spero che vi piaccia lo
stesso e che non sia una mezza schifezza come penso u.u
Well… oggi pomeriggio dovevo rispondere
alle recensioni, però poi mi sono messa a disegnare e ho perso tempo ^-^’
rimedierò in settimana, insieme alle altre che mi mancano :D
Adesso vi lascio leggere in pace e me ne
vado, girls! Buona lettura :*
Solo il
tempo…
Capitolo
6
Lunedì
mattina, ore 07:48. In quel momento mi vedevo solo io, intenta a guidare come
una pazza lungo le vie della città per raggiungere in tempo l’ospedale.
Il
turno di lavoro cominciava alle otto, ed io non ero poi così sicura di arrivare
in perfetto orario… mi facevo già riconoscere, e il mio primo giorno di lavoro
effettivo non era ancora cominciato! Ma non era tutta colpa mia… la colpa era
della sveglia.
Quell’odioso
aggeggio non funzionava mai quando serviva veramente. Come facevo tutte le sere
prima di coricarmi a letto, l’avevo puntata per le sette del mattino, in modo
da avere così tutto il tempo per prepararmi e per cucinare anche la colazione
per Allyson. Quella stronza, però, durante la notte doveva aver avuto qualche
strano problema… perché aveva deciso di suonare alle sette e venti e non quando,
invece, avevo deciso io.
Mi era
quasi venuto un infarto, porca puzzola!
Così,
consapevole che sarei arrivata in ritardo a lavoro, ero scesa in fretta dal
letto e mi ero buttata sotto la doccia per una lavata veloce; i capelli, che
durante la notte avevano assunto una strana forma e che non facevo in tempo a
sistemare, riuscii a domarli nella solita crocchia disordinata che avevo
cominciato a sfoggiare in ospedale, e almeno a quel piccolo inconveniente ero
riuscita a porre rimedio.
Dopo
essermi vestita alla bene e meglio, avevo cominciato a preparare le frittelle
per Allie e non ero arrivata neanche a metà cottura della prima che il
campanello di casa mi annunciò l’arrivo di Rosalie; lei, a differenza mia, era
puntuale e alle sette e mezza, secondo più o secondo meno, era già bella pronta
e pimpante.
Si era
offerta di continuare a cuocere lei le frittelle, oltre naturalmente ad
occuparsi di mia figlia e di accompagnarla a scuola non appena fossi uscita di
casa, ed io ogni secondo che passavo in sua compagnia mi rendevo conto che
avrei dovuto regalarle una statua d’oro o qualcosa di molto simile.
Avevo
scoperto durante la nostra sessione intensiva – e terribile – di shopping, che
Rosalie non si faceva pagare quasi mai quando svolgeva il suo hobby di baby
sitter. «E’ un hobby per me, questo, e un
lavoro già che l’ho… quindi non vedo che bisogno c’è di farmi pagare.» mi
aveva detto quando avevo provato a protestare… perché sì, lei non avrebbe
accettato neanche morta i miei soldi e avrebbe fatto da baby sitter a mia
figlia gratuitamente.
Questo,
da una parte, era stato davvero un colpo di fortuna – sapevo che alcune tate e
baby sitter si facevano pagare cifre davvero esorbitanti, a volte -, però da
una parte questo mi faceva sentire un po’ a disagio. Sembrava quasi una forma
di carità, anche se Rose mi aveva gentilmente spiegato che il suo salone di
bellezza, vista l’alta affluenza di clienti che lo frequentavano, le permetteva
di guadagnare molto e anche bene… e che quindi non serviva che si facesse
pagare anche quello di baby sitter.
Mi
aveva anche detto che, essendo sua amica, non avrebbe mai accettato un soldo da
parte mia.
Era
stata così chiara, concisa e anche un po’ intimidatrice, che mi aveva fatto
quasi subito smettere di lamentarmi.
Quindi,
grazie all’aiuto enorme che avevo ricevuto da lei, ero andata a svegliare e a
salutare la mia piccola peste, prima di affidarla totalmente alle cure di Rose
e di uscire di casa per andare a lavorare.
Così,
mi ero messa a guidare come una folle per arrivare puntuale al posto di lavoro.
Sperai solo di non essere fermata da qualche vigile e di non beccarmi nessuna
multa salata, visto che me ne stavo altamente fregando dei limiti di velocità.
Ogni pochi
secondi, non potendone fare proprio a meno, lanciavo un occhiata all’orologio
del cruscotto, maledicendolo ogni volta che avanzava di un minuto.
«Ti
prego, ti prego, ti prego…» cominciai a brontolare tra me, come se quella
specie di litania potesse far tornare indietro il tempo oppure bloccarlo in
qualche modo.
Quando
cominciai ad intravedere l’edificio bianco dell’ospedale, sospirai di sollievo
e sorrisi contenta, vedendo che ero quasi arrivata con poco più di cinque
minuti di anticipo… e per quello dovevo ringraziare la guida un po’ spericolata
che avevo fatto.
E di
cui non dovevo farne parola, neanche da morta, a mio padre.
Arrivata
in ospedale, andai subito a timbrare il cartellino d’entrata – era una cosa
alquanto strana, davvero! -, dopodiché andai negli spogliatoi delle infermiere
a cambiarmi. Lo trovai vuoto, quando entrai, e la cosa mi fece pensare che ero
forse l’unica infermiera del turno del mattino che cominciava a lavorare a
quell’ora…
Beh,
forse era davvero così.
Venerdì
pomeriggio, qualche minuto prima della fine del mio turno, Carlisle mi aveva
convocato nel suo ufficio per comunicarmi il mio nuovo orario lavorativo e per
sapere, inoltre, come era andata quella prima settimana.
Vedendo
il nuovo orario, avevo notato che era un po’ diverso da quello che avevo avuto
per tutta quella prima settimana, e che mi avrebbe creato diversi problemi: dal
lunedì al giovedì avevo il turno dalle 7:15 del mattino fino alle 16:15 del
pomeriggio, e il venerdì avevo il turno di notte dalle 19:30 fino alle 4 di
mattina. Il week-end, visto il turno notturno del venerdì, lo avrei avuto
libero.
Era
un’impresa per me però rispettare quell’orario, visto che avevo una bambina di
cui occuparmi e vivevo da sola; quel giorno, poi, non sapevo neanche che Alice
stava reclutando Rose come baby sitter.
Sapendo
che per me sarebbe stato un problema rispettare quell’orario, mi sembrava giusto
mettere al corrente Carlisle. Gli spiegai che avevo una bambina piccola, che
vivevo da sola insieme a lei e che i miei genitori e il padre di mia figlia
vivevano nello stato di Washington, e che purtroppo non potevano darmi una mano;
non dovetti aggiungere altro, visto che non pensavo che il mio capo volesse una
descrizione precisa della mia vita in stile soap opera.
Carlisle
mi stupì ancora una volta da quando lo avevo conosciuto, cambiando
approssimativamente i turni del mio orario e dandomi così l’opportunità di
gestire meglio il tutto; avrei lavorato dal lunedì al giovedì dalle 8 del
mattino fino alle 4 del pomeriggio, come avevo d’altronde fatto per tutta la
settimana, e il venerdì avrei fatto il turno di notte aggiungendo ad esso le
ore che aveva tolto agli altri turni… quindi, avrei fatto dalle 19:15 fino alle
6 del mattino.
Avrei
potuto tranquillamente chiedere ad Alice se poteva occuparsi di Allyson per una
notte, lo poteva definire una specie di strambo pigiama party.
Era
pesante come turno, ma lo avrei fatto volentieri. Carlisle era stato così
gentile a fare quello per me che non avrei di certo provato a deluderlo. Anzi,
avrei fatto del mio meglio anche se ero ancora un’infermiera alle prime armi e
con pochissima esperienza.
Mentre
ricordavo i fatti della settimana precedente, sistemai i miei vestiti e la
borsa dentro l’armadietto riservato a me, ricordandomi naturalmente di prendere
il cellulare e di metterlo nella tasca del camice. Dopo essermi data una nuova
controllata – camice, scarpe e cartellino erano ancora al loro posto, dove li
avevo lasciati -, potei dire di essere pronta per uscire dagli spogliatoi e per
cominciare a lavorare.
Quello
era il mio primo e vero giorno di lavoro… improvvisamente, mi venne la
tremarella alle mani.
***
Mentre
cercavo Brenda per sapere in quale reparto dovevo andare a lavorare, incontrai
per la prima volta dopo quasi una settimana il dottor Cullen… sì, precisamente quel dottor Cullen. Edward.
Lui si
trovava accanto al distributore dell’acqua, appoggiato al muro e con le braccia
incrociate sul petto, e annuiva alle parole che gli stava rivolgendo il dottor Jacob
Black. Quest’ultimo era lo stesso dottore che mi aveva indicato dove si trovava
lo studio di Carlisle, esattamente una settimana prima, e che avevo conosciuto
meglio qualche ora più tardi.
Era il responsabile
del reparto di pediatria, era un bell’uomo sulla quarantina ed era, scoprii,
felicemente sposato da quindici anni, nonché padre di due splendidi gemelli di
otto anni e mezzo.
Comunque,
quando vidi Edward Cullen provai un moto di timore e di disagio. Sarei dovuta
passare davanti a lui per raggiungere il più velocemente possibile la saletta
dove mi avevano detto si trovava Brenda, ma avevo paura di farlo. E se mi avesse
detto qualcosa?
Potevo
sempre prendere un’altra strada per raggiungere Brenda, ma facendo così avrei
perso solo tempo ed io dovevo raggiungerla il prima possibile. Dovevo per forza
passargli davanti, volente o nolente. Presi un breve respiro, cercando di
assumere un comportamento il più normale possibile.
Forza, Bella! Via il dente, via il dolore.
Ripresi
a camminare, mostrandomi con tutta me stessa tranquilla e non nervosa, ed in
breve tempo mi avvicinai ai due uomini; sentendo i miei passi, Edward si voltò
subito, incrociando il mio sguardo. Il suo, non appena notò che ero io quella
che stava passando, divenne infastidito e ostile nel giro di un istante.
Ecco,
questa era una delle cose che più avevo temuto… ma cercai di non dare a vedere
che la cosa mi aveva lasciata un po’ turbata.
«Infermiera
Swan.» mi salutò seccamente Edward, osservandomi attraverso le lenti degli
occhiali.
«Dott…
dottor Cullen.» balbettai, cercando di ricambiare il saluto senza agitarmi
troppo. «Dottor Black, buongiorno.» aggiunsi, poi, quando decisi finalmente di
smettere di guardare Edward.
Jacob,
a differenza di Edward, era più gentile e decisamente contento di vedermi. «Oh,
Bella, buongiorno anche a te! Ti stavo proprio aspettando, sai?»
«Ah,
sì?» chiesi, sorpresa. Non mi sapevo spiegare per quale motivo Jacob stesse
aspettando proprio me, con tutte le infermiere che giravano per l’intero
ospedale… e anche Edward sembrava che se lo stesse domandando, vista
l’espressione che aveva assunto.
No, non
lo stavo guardando… era solo che riuscivo a scorgere il suo viso con la coda
dell’occhio.
«Sì,
Brenda ti ha affidato a me oggi.» mi sorrise gentilmente, mentre prendeva un
sorso d’acqua. «Sei mai stata al reparto di pediatria?»
«Sì, ma
ero di passaggio…»
«Allora
ho un bel po’ di piccoli pazienti da presentarti. Forza, prima andiamo e prima
li conoscerai tutti!» Jacob appoggiò una mano sulla mia spalla e mi sorrise di
nuovo, poi voltò il viso e guardò Edward. «Vieni anche tu, Edward?»
«No,
Jacob, ma grazie dell’invito. Scusatemi, ma ho anche io dei pazienti da
controllare.» senza dire altro, Edward si scostò dalla parete e cominciò ad
allontanarsi lungo il corridoio. Il suo comportamento, così distante, mi lasciò
un po’ perplessa.
«Il
ragazzo oggi ha la luna storta, a quanto sembra.» commentò Jacob, sospingendomi
lungo il corridoio, ma dalla parte opposta rispetto a quella che aveva appena
preso Edward.
«Sembra…
sembra di sì.» che altro potevo dire?
Jacob
ridacchiò. «Eh, mi sa che gli da ancora fastidio il tuo rifiuto della settimana
scorsa.»
Mi
fermai di colpo, sentendo le guance che cominciavano ad andare a fuoco, e
guardai sconvolta Jacob, che mi sorrideva divertito. Lo sapeva anche lui? Ma
chi glielo aveva detto?
«Come
fa a saperlo?» chiesi, portandomi le dita alle labbra. Cominciai subito a
mordicchiare un unghia, uno dei vizi che avevo sempre avuto e che era ricomparso
quando avevo smesso di metterci sopra lo smalto.
«Al
buon vecchio Carlisle piace spettegolare. Lo ha informato suo figlio maggiore,
Emmett… però non lo sanno in molti, qui dentro.» mi spiegò lui, grattandosi il
mento leggermente coperto di barba.
Sbuffai.
«Ha fatto il giro del mondo questa notizia!» mi lamentai, sbuffando ancora.
«Sembra
proprio di sì, ma è divertente! Adesso sappiamo che non tutte cedono al fascino
del bel dottor Edward Cullen.» Jacob rise ancora, apparentemente divertito, poi
tornò serio tutto d’un tratto. «Lasciamo i divertimenti da parte per un po’,
adesso, e andiamo a svolgere il nostro dovere. Sei pronta per conoscere i
bambini di pediatria?»
Sorrisi,
sentendomi un po’ più tranquilla nel sentirlo dire quelle parole. «Certo! Mi
piacciono i bambini!»
E come
potevano non piacermi? Ero una mamma, dopotutto, anche se lui non lo sapeva
ancora.
Jacob
mi fece l’occhiolino, tornando a posare una mano sulla mia spalla. «Perfetto
allora, dritti al secondo piano!»
Il
reparto di pediatria era, sotto alcuni aspetti, il reparto più allegro e vivace
di tutto l’ospedale, secondo forse solo a quello di maternità; d’altronde, la
presenza dei bambini rallegrava ogni cosa, anche se la malattia e la sofferenza
erano presenti in diverse quantità anche lì. Però, tutto passava quasi in
secondo piano quando incontravi un piccolo paziente con il sorriso stampato sulle
labbra.
Erano
un qualcosa di meraviglioso e triste insieme: nonostante la malattia e la
sofferenza che essa comportava, loro ti sorridevano lo stesso. Erano dei
piccoli campioni, decisamente più forti di una persona adulta.
Jacob,
mano a mano che proseguivamo il giro delle visite, mi presentava i suoi piccoli
pazienti e si soffermava più del dovuto con loro, scherzando e parlando con
loro, e regalando loro anche i lecca-lecca. Adesso mi spiegavo per quale motivo
lì tutti lo chiamavano ‘Dottor lecca-lecca’.
Essendo
un padre, doveva venirgli naturale per lui comportarsi in quel modo; i suoi
occhi scuri sembravano sorridere ogni volta che si soffermava sul viso allegro
di ogni bimbo.
«E
quindi tra un paio di giorni torni a casa! Non sei contenta?» chiese
allegramente Jacob a Emily, una bimba di sette anni, mentre le controllava i
punti che aveva sull’addome.
Emily,
stando a quello che diceva la sua cartellina clinica, era stata ricoverata
qualche giorno prima per una semplice appendicite, e adesso che era stata
operata e che non c’erano state complicazioni per lei si avvicinava il giorno
del suo rientro a casa.
«Sì,
però non voglio tornare anche a scuola.» rispose, e il sorriso che aveva
sfoggiato fino a quel momento si affievolì un poco, forse pensando proprio al suo
ritorno a scuola.
«Perché
non vuoi tornarci? Non ti piace?» le domandai, avvicinandomi a lei e sedendomi
sul suo letto, osservandola attentamente.
Chissà
come mai, quasi tutti i bambini avevano quella strana avversione verso la
scuola; fortuna che Allyson si era lasciata convincere in fretta ad andarci, e
adesso non si lamentava più di questo.
«Non mi
piace fare i compiti…» borbottò, e tirò la treccia della bambola che aveva tra
le mani.
«Non
sei l’unica a cui non piacciono.» commentò Jacob, alzando gli occhi dalla
cartellina su cui stava scribacchiando qualcosa. «Anche ai miei figli non piace
farli, ma se vogliono diventare tutti e due dei bravi dottori, devono studiare
e basta!»
«Il
dottor Jacob ha ragione!» feci notare alla bambina, e le carezzai piano i
capelli scuri che teneva raccolti in una codina bassa. «Tu sai già cosa vuoi
fare da grande?»
«Voglio
fare l’attrice, come Miley!» esclamò subito, tornando con l’umore alle stelle e
con il sorriso sul viso.
«Anche
per fare l’attrice si deve studiare, lo sai? Quindi, mi devi promettere che
farai tutti i compiti e che studierai tanto per diventare brava come Miley,
okay?» le dissi, guardandola seriamente dritta negli occhi.
«Va
bene, infermiera Bella…» anche se riluttante, Emily mi accontentò e mi fece
quella piccola promessa.
Sorrisi,
cingendole le piccole spalle con un braccio. «Bravissima!» mi venne spontaneo
abbassarmi e lasciarle anche un bacino sulla testa.
«Benissimo,
abbiamo fatto Emily. Ti sei meritata…» Jacob tirò fuori dalla tasca del camice
l’ennesimo lecca-lecca, color rosso stavolta, «un bel lecca-lecca alla
fragola!»
«Grazie!
È il mio preferito!» Emily lo prese, tutta contenta per essersi appena
guadagnata quella caramella.
«Davvero?
Che coincidenza!» Jacob le carezzò i capelli per qualche secondo prima di
allontanarsi. «Ci vediamo più tardi, tesoro. Infermiera, andiamo! Ci sono un
sacco di altri amici da salutare!»
«Arrivo
subito! Ciao Emily, è stato un piacere conoscerti.» le sorrisi, salutandola con
la mano.
«Ciao
infermiera Bella!» la bambina ricambiò il mio saluto, agitando la mano che
stringeva il lecca-lecca.
Le
sorrisi ancora una volta prima di uscire dalla sua stanzetta; una volta in
corridoio, scorsi Jacob che si trovava a poca distanza da me, impegnato a
parlare con un altro medico dall’aria seria e poco amichevole.
Storsi
le labbra, vedendoli; non mi andava di avvicinarmi e di disturbarli, visto che
sembravano immersi in una discussione alquanto importante, quindi restai in
disparte. Distolsi lo sguardo, e mi soffermai più del dovuto sulla porta di una
camera: era aperta, e grazie a quel particolare riuscivo a vedere il letto e la
persona che lo occupava… solo che non sembrava essere una situazione molto
allegra.
Quasi
senza accorgermene cominciai ad avvicinarmi a quella stanza e in pochi secondi
mi trovavo già al suo interno, accanto al letto, ad osservare meglio il piccolo
paziente che vi era sdraiato sopra… o meglio, la piccola paziente.
Era
circondata da un sacco di macchinari e da altrettanti tubicini, e quel
particolare la faceva sembrare ancora più piccola ai miei occhi; la bambina sembrava
dormire tranquillamente, ma si capiva che quella era tutta apparenza, e che la
verità era del tutto diversa e ben lontana dall’essere come pensavo.
Sentendo
già il magone che mi si formava nella gola, presi dai piedi del letto la
cartellina clinica e la aprii, cercando di trovare qualche informazione sulla
piccola. Scoprii che la bimba si chiamava Eliza Smith, che aveva quattro anni
compiuti da pochissimo tempo e… e che era in coma irreversibile.
Chiusi
la cartella con uno scatto, e non riuscii a fermare le prime lacrime che mi
solcarono le guance. Tornai a guardare il viso della bambina, così rilassato e
tranquillo… faceva davvero male sapere che non avrebbe mai più aperto gli
occhi. Chissà di che colore erano… forse erano blu, proprio come quelli di mia
figlia.
Per uno
spaventoso istante, l’immagine di Allie circondata da tutte quelle
apparecchiature occupò tutto il mio campo visivo, tanto che emisi un gemito di
dolore per quanto mi lasciò scossa e turbata.
«Ehi,
sei qui.»
Sobbalzai,
quando sentii la voce di Jacob dietro di me. Mi voltai verso di lui e cercai di
accennare un sorriso, ma ero sicura che quello che ero riuscita ad ottenere
somigliava più a una smorfia di dolore che ad un sorriso. «Sono qui.»
Jacob
si mise al mio fianco e anche lui cominciò ad osservare il visino della piccola
Eliza, sovrappensiero; prese poi dalle mie mani la cartella clinica senza
chiedermi il permesso. «Hai conosciuto il nostro piccolo angelo, eh Bella?» mi
chiese, dopo averla consultata per qualche secondo.
Annuii,
e non potei fare a meno di prendere tra le mie mani quella della bimba, decisamente
più fredda rispetto alla mia, e tutto ciò mi causò una serie di brividi lungo
le braccia. «Che cosa le è successo?»
«Un
incidente d’auto. I genitori ne sono usciti quasi del tutto illesi, lei invece
ha avuto un trauma cranico troppo esteso e in seguito un emorragia cerebrale…
non siamo riusciti ad intervenire in tempo.» mi spiegò lui con calma.
Beh,
forse era meglio se non chiedevo ulteriori spiegazioni. Adesso mi sentivo peggio
di prima. Tirai su col naso, sentendo altre lacrime scendere lungo le guance;
una mi cadde addirittura sulle mani, che ancora stringevano quella di Eliza.
«Ehi,
Bella, non agitarti.» Jacob mi passò un braccio sulle spalle e mi strinse a sé,
cercando di consolarmi; mi passò anche un fazzoletto di carta, che presi con un
po’ di titubanza.
«Grazie…»
mormorai, mentre mi asciugavo gli occhi.
«Questa
visita ti ha lasciata un po’ scossa, ti capisco… capita.»
«E’
che… mi fa male pensare che non potrà svegliarsi mai più.» sussurrai, smettendo
di parlare solo per potermi soffiare il naso. «Ha soltanto un anno in più di
mia figlia. È così ingiusto…»
«Sì, lo
so…» Jacob smise dopo qualche istante di muovere la mano sul mio braccio e mi
fece voltare verso di lui, aveva assunto un’espressione che andava dal sorpreso
al confuso. «Hai una figlia, ho capito bene?»
Annuii,
e la mia conferma lo fece sorridere. «Abbiamo una giovane mamma tra noi! Mi
chiedevo da dove fosse uscita fuori la tua dimestichezza con i bambini… pensavo
che avevi alle spalle una carriera da baby sitter.» commentò, e riuscì a farmi
ridere.
«No,
non ho mai fatto la baby sitter prima di diventare mamma! Il merito è tutto di
mia figlia, mi tiene un sacco impegnata.»
«Immagino!
È una bambina davvero fortunata…» annuì tra sé, tornando poi a guardarmi e a
sorridermi. «Continuiamo il nostro giro?»
«Certo!»
Mi
stavo quasi dimenticando del giro delle visite, che era ancora all’inizio e
che, ero sicura, non sarebbe terminato tanto presto. Era anche un modo per riuscire
a distrarmi da quella piccola e triste parentesi.
***
Per
tutta la mattinata, Jacob mi aveva tenuta con sé in pediatria ed eravamo rimasti
entrambi così impegnati da non esserci resi conto delle ore che passavano,
tanto che la pausa pranzo arrivò e se ne andò in un battibaleno. Riuscii giusto
a fare un salto in mensa, a prendere un tramezzino e a mangiarlo in pochi
minuti prima di tornare subito a lavoro.
Verso
le due del pomeriggio, mentre Jacob era impegnato a parlare con i genitori di
un bambino che era stato appena ricoverato ed io stavo facendo compagnia al
nuovo arrivato, Brenda entrò nella camera dove mi trovavo e mi si avvicinò
subito, era di fretta e anche un po’ agitata.
«Ah
Bella, sei qui! Credevo di non trovarti!» disse in fretta, mentre si appoggiava
ai bordi del letto e riprendeva fiato.
«È
successo qualcosa?» le domandai, preoccupandomi subito. Per un momento pensai
che potesse essere successo qualcosa a mia figlia, però poi ricordai che
all’asilo avevano il mio numero di cellulare e che mi avrebbero già chiamata e
avvertita se le fosse accaduto qualcosa… quindi, mi affrettai a scacciare quel
pensiero dalla testa.
Ne
avevo già avuto negativo, qualche ora prima, ed era meglio non rincarare la
dose di pessimismo per quella giornata.
«Sì, però
non è nulla di grave.» cominciò a spiegarmi, un po’ più tranquilla di prima.
«Abbiamo qualche problema con le infermiere, se ne sono appena licenziate tre e
abbiamo un buco enorme da coprire! Carlisle non sa che pesci prendere!»
«Oh,
cavolo! Che pasticcio!»
«Lo so,
cara. Devo dire che siamo stati parecchio fortunati quando Carlisle ti ha
assunto la settimana scorsa! Nessuno poteva prevedere questo licenziamento
improvviso…» scosse la testa. «Ti dispiace se fino alla fine del tuo turno oggi
vai ad aiutare le altre in reparto?»
Scossi
la testa, sorridendo. «Affatto, è un piacere. Dov’è che devo andare?»
«Al
reparto maternità, è lì che quelle tre pazze hanno creato il casino! Ti
spiegheranno tutto le altre, poi, non preoccuparti.» Brenda mi sorrise, e poi
diede un’occhiata al foglio scarabocchiato che aveva tra le mani. «Vieni, ti
accompagno lì e poi vado a cercare qualcuno che possa dare una mano… sei
davvero gentile, cara.»
«Non è
un problema, davvero. Non sono ancora stata a lavorare al reparto maternità!»
esclamai, sentendomi entusiasta dalla novità.
Era
vero che non ci ero ancora andata a lavorare, ma sapevo più o meno come
funzionava… e poi, diciamo così, avrei potuto usare anche quel po’ di
esperienza che avevo. Ci ero passata come paziente in quel reparto, dopotutto.
«Penso
che ti piacerà sicuramente. Andiamo, così ti fai un idea… ma prima però
avvisiamo Jacob, altrimenti non ti trova e potrebbe pensare che ti hanno
portata via!»
Cinque
minuti dopo, io e Brenda stavamo già percorrendo i corridoi del reparto
maternità, colorato e allegro quasi allo stesso livello di quello di pediatria;
si trovava soltanto a un piano di distanza da quest’ultimo, penso più per
comodità che per altro, ed era pieno di donne con il pancione che giravano per
i corridoi, chi sole e chi accompagnate da mariti o fidanzati.
Quella
scena scatenò dentro di me un’ondata di bei ricordi, che risalivano a qualcosa
come quattro anni prima…
«Allora,
adesso andiamo al nido e ti presento alle colleghe che sono lì… o almeno a
quelle che sono rimaste.» disse ad un tratto Brenda, attirando così la mia
attenzione su di se.
«D’accordo.»
Una
volta arrivate al nido, notai che oltre alle tante culle piene di neonati
addormentati o semi addormentati non c’era anima viva… o meglio, qualcuno
c’era: Carmen.
«Ehi,
collega!» la salutai, e sentendomi parlare Carmen voltò la testa verso di me,
visto che fino a quel momento era rimasta impegnata a fissare un punto
imprecisato della parete.
«Ehi,
ciao! Hanno reclutato anche te? Ciao di nuovo, Brenda!» disse vivacemente lei,
avvicinandosi a me e alla nostra responsabile.
«Ringrazia
che sono riuscita a trovarla, altrimenti mi sa che saresti rimasta da sola per
un bel po’!» commentò Brenda, ridacchiando. «Visto che vi conoscete già, vi
lascio da sole… Carmen, spiega tutto quello che serve a Bella, mi raccomando.»
«Certo,
capa!»
Brenda
lanciò un occhiata di ammonimento, e di divertimento, a Carmen e poi uscì dal
nido, lasciandoci da sole. Quando lo fece, Carmen si lasciò cadere su una delle
sedie e sospirò.
«Non
penso che ti abbia bisogno di spiegazioni su come funziona questa parte del
reparto, o mi sbaglio?» mi domandò, guardandomi dritta negli occhi.
Ridacchiai.
«Beh, forse qualcosa potresti anche dirmela, eh!»
«Nah,
io penso di no. Sei più esperta di me in fatto di bambini, e sono sicura che ti
ricorderai benissimo come si cambia un pannolino… io non lo farò mai più! È una
cosa disgustosa!» storse le labbra mentre parlava. «A proposito di pannolini,
se non vado subito in bagno giuro che dovrò metterne uno io al più presto!
Posso lasciarti da sola un paio di minuti? Torno subito!»
«Va
bene, però… Carmen!» la chiamai quando era ormai arrivata alla porta, e lei si
voltò verso di me, un po’ confusa. «Non puoi lasciarmi qui senza dirmi almeno
cos’è che devo fare!»
«Te lo
spiego non appena torno, promesso! Fammi prima svuotare la vescica!» e
salutandomi con la mano, si allontanò quasi correndo lungo il corridoio.
«Porco
Carmen!» mi lamentai, tornando dentro al nido e chiudendo la porta dietro di
me; non appena lo feci, però, sentii un vagito cominciare a risuonare
all’interno della grande stanza.
«Ecco,
fantastico!» borbottai tra me mentre mi avvicinai alle cullette di plastica,
cercando la fonte di quel lamento.
La
individuai quasi subito: era uno dei pochi neonati che non dormivano e che
sembrava non avere nessuna voglia di farlo. Osservai il suo piccolo visino
tutto contorto per il pianto e i pugnetti stretti che aveva poggiato ai lati
del viso, e mi intenerii quasi subito. Era piccolissimo, doveva essere nato da pochissimi
giorni.
«Ehi,
ometto, che hai da piangere?» dissi dolcemente, chinandomi su di lui e
cominciando a carezzargli il braccino; alzai gli occhi per leggere il nome del
bambino, non potevo mica continuare a chiamarlo ‘ometto’, anche se come
soprannome era carino. Christopher
William, era scritto in corsivo sul foglietto azzurro.
«Che
bel nome che hai, Christopher! Io però ti chiamerò Chris, spero che non ti
dispiaccia.» sorrisi, tornando ad osservarlo. Vedendo che il pianto, seppur
debole, non accennava a diminuire, decisi di prenderlo in braccio nel tentativo
di calmarlo in quel modo… sperai di non fare casini, però, era da tanto che non
tenevo tra le braccia un bimbo così piccolo.
«Eccoci
qui, piccolino.» sussurrai, poggiandolo sul mio petto, e cominciai a cullarlo
lentamente tra le braccia.
Non
appena cominciai a muovermi per la stanza, notai che Chris cominciò subito a
calmarsi e che nel giro di pochi secondi smise di piagnucolare. Aprì anche gli
occhi, che erano del classico colore indefinito che avevano la maggior parte
dei neonati.
«Volevi
essere preso in braccio, eh? Che paraculo che sei! Paraculo!»
Mentre
continuavo a cullarlo, gli carezzai piano la testolina coperta da un cappellino
celeste e poi gli carezzai anche il visino. Chris non sembrava affatto
infastidito dalle carezze che stava ricevendo, e continuò ad osservarmi con
quegli occhietti così grandi e belli; teneva anche le labbra socchiuse e rosse.
Non è
che aveva fame?
«Dobbiamo
chiedere a quella cattivona di Carmen se devi mangiare oppure no. La sgridiamo,
che dici?» sorrisi al piccolino, e subito dopo alzai lo sguardo per vedere se
Carmen si stava facendo di nuovo viva oppure era andata dispersa per l’ospedale.
Sgranai
gli occhi, scioccata e sorpresa, quando vidi che, comodamente appoggiato sulla
porta del nido, c’era Edward.
Aveva
le braccia incrociate sul petto come quella mattina, quando lo avevo incontrato
in corridoio, e mi stava osservando con uno strano interesse dipinto sul viso e
con un leggero sorriso sulle labbra. Quando notò che lo avevo visto, però, si
affrettò a far scomparire il sorriso.
«Che…
che fai qui?» chiesi subito, ma la mia voce uscì fuori così bassa che forse non
era riuscita ad arrivare alle sue orecchie. Il piccolo Chris, tra le mie
braccia, cominciò di nuovo a lamentarsi e ciò mi fece capire che avevo
interrotto il mio girovagare per il nido, cosa che sembrava piacergli davvero
tanto. Mi sbrigai a riprendere a camminare.
Non
appena il bimbo smise di vagire, riportai gli occhi su Edward e mi domandai per
quale strano motivo si trovasse lì, ad osservarmi come se fossi qualcosa di molto
interessante. Sapevo che, se ci aveva provato con me, dovevo piacergli almeno
un po’… però sapevo anche che lo avevo rifiutato e che gli avevo detto di stare
alla larga da me.
“Oddio, sta tornando alla carica!”
pensai, inorridita. E aveva deciso di farlo proprio lì, in quel momento, con
tutti quei bimbi innocenti presenti? Non se ne parlava proprio!
Poteva
scordarselo!
«Hai
intenzione di rapire un neonato, o cosa?» mi chiese scettico, inarcando un
sopracciglio. C’era così tanto astio nella sua voce che non potei fare a meno
di rispondergli a tono.
«Non è
che sei tu invece quello che vuole rapirne uno? Se non sbaglio, questo non è il
tuo esatto settore di lavoro…»
Mi
voltai subito, così da non essere costretta a guardarlo, e tornai a dedicarmi
totalmente al bambino che avevo tra le braccia. Quel piccolino si stava pian
piano appisolando, cullato dai miei movimenti, e sembrava non avere affatto
fame. Presto avrei potuto metterlo a riposare di nuovo nella sua culletta…
«Già,
non è il mio settore questo, però non è neanche il tuo.» sentii la sua voce di
nuovo vicina, e capii che doveva essersi avvicinato senza che io me ne rendessi
conto.
Ma
perché non lo sentivo mai quando camminava? Era un gatto, o una specie di
vampiro, che non faceva nessun tipo di rumore quando muoveva i piedi?
«Ti
sbagli.» ribattei, e mi voltai nuovamente per guardarlo dritto in faccia: non serviva
più a niente ignorarlo ormai. «Te lo chiedo ancora una volta, dottor Cullen:
che ci fai qui?»
«Ancora
con questo dottor Cullen!» cominciò a sbuffare peggio di una locomotiva rotta,
e si tolse gli occhiali prima di cominciare a strofinarsi gli occhi con una
mano.
«Rispondimi.»
ignorai quello che aveva appena detto, e nel frattempo mi allontanai per
lasciare Chris nella sua culletta: almeno lì era sicuro che avrebbe riposato
bene e che non sarebbe stato disturbato dalle nostre voci.
«Perché
mi hai detto di no la settimana scorsa?» mi domandò, finalmente, e finalmente
capii per quale motivo si trovava al nido. Capii anche per quale motivo quella
mattina mi aveva salutata in quel modo così freddo.
Gli
dava fastidio l’essere stato rifiutato dalla sottoscritta: Jacob aveva ragione.
«Perché?
Vuoi sapere davvero il perché?» chiesi, e quando lo vidi annuire mi avvicinai a
lui, pronta a rispondergli. «Perché hai quasi dato per scontato che sarei
venuta subito a letto con te, e perché ci hai provato con me quando neanche mi
conosci… sai a malapena il mio nome, cavolo!» sbottai, arrabbiata.
«E
allora? Per conoscere bene una persona c’è sempre il tempo, non serve sapere
tutto adesso e subito.» Edward mi guardava come se fossi una persona poco sana
di mente, cosa che mi fece irritare e incazzare ancora di più.
«Va
bene, hai ragione, però questo non è proprio il caso. Io non voglio conoscerti,
quindi faresti meglio a smetterla di venirmi dietro!»
«Ma ti
senti quando parli? Perché non vorresti conoscermi, che ti ho fatto?»
«Auff!»
cominciavo davvero ad innervosirmi! «Non mi hai fatto niente…»
«E
allora perché dici di no?»
«Perché
non voglio essere un’altra conquista da aggiungere all’elenco!» dissi alla
fine, posando le mani sui fianchi. «Non è il tipo di relazione che desidero,
quella da una botta e via, e te l’ho già detto la volta scorsa. Non sono quel
tipo di ragazza, non so proprio che cosa farmene di un’avventura e basta!»
Edward,
che era rimasto in silenzio mentre mi sfogavo, mi osservò con entrambe le
sopracciglia inarcate e con una mano immersa nei capelli. «Tu pensi che io sia
un tipo da sesso occasionale, dico bene?»
«Non lo
penso, lo so. E poi ti ho visto mentre ti davi da fare dentro lo sgabuzzino con
Lauren, quindi…»
«E
quindi adesso pensi di conoscermi solo perché mi hai visto là dentro! Tu non
sai niente di me, NIENTE!»
«E
anche tu non sai niente di me, quindi siamo pari!»
«Ma che
succede qui?!» la voce di Carmen, che doveva essere appena tornata dal bagno,
mise fine al nostro litigio. «Vi pare il luogo e il momento giusto per mettervi
a urlare? Piantatela tutti e due, state disturbando i bambini!»
«Sono
ben contento di piantarla, Carmen! Ci si vede.» dopo avermi lanciato un ultimo
sguardo di fuoco, e anche parecchio incazzato, Edward prese la porta del nido e
si mise quasi a correre per il corridoio, mentre andava via.
«Dio,
lo odio! Lo odio!» grugnii, prendendomi la testa tra le mani.
«Si può
sapere per quale motivo vi stavate scannando? Bella!» mi rimproverò la mia
amica.
«Non
dare tutta la colpa a me, non sono io quella che se l’è presa tanto per un
rifiuto!»
«Va
bene, però non mi aggredire così! Io non ti ho fatto niente!» esclamò lei,
poggiando le sue mani sulle mie spalle e scrollandomi piano. «Tranquillizzati
un po’, su.»
«Ti
sembra facile.» sbuffai, scuotendo la testa come un cane. «Che palle!»
«Su,
forza, smettila di imprecare e dimmi quello che è successo.»
«Così
impreco ancora di più, Carmen.» misi il broncio e la guardai negli occhi. «Devo
per forza dirti tutto? È così necessario?»
«E
certo!» disse lei, sorridendo allegramente. «Devi, perché non capita tutti i
giorni vedere Edward Cullen che si incazza perché gli è sfuggita una preda!»
La
guardai male. «Io sarei la preda? Guarda che non ti racconto più niente!»
«Ma è
la verità! Lui è il leone, il ‘cacciatore’, il ‘Re delle scopate’, e tu sei
l’agnello, la ‘preda’ e la ‘vittima che è scampata coraggiosamente al Re delle
scopate’!»
La
guardai, scioccata. «Ti sei fumata qualcosa mentre sei andata in bagno? O hai preso
la febbre?» poggiai una mano sulla sua fronte per controllare la tempreatura.
«Sì, sei un po’ calda… forse è meglio se te ne torni a casa…»
«Non ci
provare, agnellino!» Carmen scansò la mia mano, ridendo. «Forza, raccontami
tutto e non provare a nascondermi qualcosa che poi ti sgamo, eh!»
Alzai
gli occhi al cielo, sconfitta. Dovevo rassegnarmi e raccontarle tutto, ma
proprio tutto… eh ma che palle!
_________________
Che carino che è Edward incacchiato *-*
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Solo Il Tempo... - Capitolo7
Buon salve! Oggi vi saluto in maniera
diversa XD
Beh… scusate se ci ho messo così tanto
tempo per scrivere e pubblicare il nuovo capitolo, ma fino alla settimana
scorsa avevo un sacco di impicci per la testa e scrivere era davvero l’ultima
cosa che volevo fare (è stato lo stesso discorso per ‘The camp of love’, lo
avevo accennato anche lì). Adesso va decisamente meglio, e infatti sono qui a
scocciare le scatole u.u
Ci sentiamo alla fine, buona lettura ;)
Solo il
tempo…
Capitolo
7
«Perché
devo andare da Cece?» mi domandò mia figlia forse per la quindicesima volta.
Stava diventando un po’ seccante, a dire la verità, ma le rispondevo ogni volta
con molta calma e come se me l’avesse chiesto per la prima volta.
Doveva
essere uno strano superpotere da mamma, quello di avere una pazienza illimitata
con i propri figli... o forse ero l’unica ad averlo.
«Perché
la mamma stasera non c’è, e non posso portarti con me…» le risposi
tranquillamente, facendo oscillare il braccio con cui la stavo tenendo per
mano.
Abbassai
il viso e lo puntai su quello di Allyson, anche se in quel modo riuscivo ad
ottenere lo stesso risultato di quando stavo guardando davanti a me. La
bambina, infatti, teneva lo sguardo basso e sembrava alquanto imbronciata e
incavolata… se stava pensando ancora alle stesse cose che mi aveva detto prima
a casa, era tanto arrabbiata con me.
Il
giorno prima le avevo spiegato che il venerdì sera sarebbe rimasta a dormire da
Alice; la puffa nana, quando le avevo chiesto se poteva tenermi la bambina per
quella nottata, aveva detto subito di sì e aveva già cominciato a progettare di
invitare a casa sua Rosalie, e di mandare Jasper e Emmett in giro per locali in
modo da poter svolgere un pigiama party tutto di sole donne.
La
stessa cosa che avevo pensato io, insomma. Alice alcune volte era molto
prevedibile!
Anche
Allyson era contenta della novità, e lo era rimasta fino a un paio di ore
prima, quando aveva scoperto che io non sarei stata presente insieme a lei e
alle altre, visto che lavoravo quel venerdì notte.
Ci era
rimasta molto male, e mi aveva anche fatto capire che non sarebbe andata da
Alice se non c’ero anche io; mi aveva anche supplicata di portarla con me, cosa
che non potevo proprio fare.
L’ospedale
non era proprio il luogo adatto per una bambina di tre anni, e avevo cercato di
farglielo capire, senza ottenere molto successo però. Alla fine, per quanto non
mi piacesse usare quei modi di fare, mi ero arrabbiata e le avevo quasi urlato
che sarebbe andata da Alice e che non doveva fare storie.
Con
quell’alternativa avevo ottenuto il risultato che speravo, ma avevo anche avuto
in cambio una bambina con i lacrimoni agli occhi, per di più in pieno mutismo
da capricci. Quel comportamento lo aveva senza dubbio ripreso da me: mamma mi
aveva raccontato un sacco di volte che spesso, da piccola, diventavo muta e
silenziosa se qualcosa non mi andava a genio, e che ero capace di restarci per
ore intere.
Cosa
che faceva anche mia figlia, solo che lei dopo un po’ si stancava e tornava a
parlarmi, anche se restava arrabbiata lo stesso.
«Perché
non posso venire con te?» mi chiese dopo un po’, sempre tenendo lo sguardo
basso.
«Perché
la mamma deve lavorare, tesoro.»
«E non
puoi lavorare da Cece?»
«No,
non posso. Mi dispiace.» continuai a guardare Allie anche se lei manteneva il
viso fuori dalla mia visuale e cercava di evitare il mio.
Vederla
così arrabbiata con me mi faceva stare male, e mi faceva passare come se fossi la
strega cattiva di turno. Non capitava tanto spesso che mia figlia mi facesse
arrabbiare tanto da perdere la pazienza, e quelle poche volte che accadeva mi
sentivo sempre col morale a terra.
Non ci
ero molto abituata, era la verità.
«Amore…»
mi fermai all’improvviso e mi abbassai, abbracciando la mia piccola brontolona;
quando ero incinta di lei e si faceva sentire, dandomi dei calci assurdi che mi
facevano ogni volta sobbalzare come se mi fossi appena scottata con qualcosa,
la chiamavo sempre in quella maniera. «Amore, vieni un po’ in braccio alla
mamma?»
Allyson
annuì, sempre senza alzare il viso – era parecchio ostinata quando ci si
metteva! -, e si aggrappò al mio collo mentre la sollevavo tra le braccia e
riprendevo a camminare. Le carezzai piano i riccioli con una mano mentre
osservavo dove stavo andando… ci mancava solo che superassi il bar di Alice ed
eravamo davvero a posto.
«Io
voglio stare con te!» esclamò ad un tratto, scostandosi da me e guardandomi con
gli occhi sgranati. «Non voglio andare con Cece se non ci sei anche tu.»
Ecco che ricominciamo!,
pensai sconsolata. «Allie, anche io voglio stare con te, davvero! Ma il venerdì
sera la mamma lavora, e non puoi stare insieme a me… sai che dove lavora mamma
non è un posto bello per i bambini, eh?»
Lei mi
guardò ancora, arricciando le labbra. «Però tu mi hai detto che dove lavori ci
sono i bambini. Voglio vederli anche io!»
«Quindi,
è perché vuoi vedere i bambini che vuoi venire con me?» domandai, capendo
finalmente per quale motivo mia figlia si stava intestardendo così tanto. Non
appena la vidi annuire, le sorrisi debolmente e mi affrettai a riprendere a
parlare.
«I
bambini che si trovano in ospedale sono lì perché stanno male, non perché è un
bel posto dove poter giocare e trascorrere il tempo.» le spiegai, pizzicandole
una guancia. «Tu non stai male, vero?»
«No, io
sto bene.» Allyson scosse forte la testa mentre parlava, facendomi ridacchiare.
«Ecco,
stai bene. Quindi non serve che vieni con me, no?»
Dopo
averci pensato un po’ su, Allyson mi rispose. «No…»
«Benissimo!
E visto che tra poco la mamma deve andare via, ti porto da Cece e vai a dormire
da lei. Ci sarà anche Rosalie, e vedrai che ti divertirai tanto…» decisi di
giocarmi anche la mia ultima carta, in modo da convincerla di più, «…e Rose mi
ha anche detto che stasera ti farà conoscere il suo principe!»
«Filippo!
Il principe Filippo, mamma?!» urlò, contenta per l’informazione che aveva
appena ricevuto.
Ormai
Allie passava la maggior parte del tempo a chiamare Rose ‘Bella addormentata’
invece di usare il suo vero nome, e aveva anche cominciato a chiedere alla sua
amica ‘principessa’ quando le avrebbe presentato il suo principe Filippo…
peccato che avesse sbagliato nome, visto che il ragazzo di Rosalie si chiamava
Emmett.
Mia
figlia con la sua nuova baby sitter aveva legato molto, la mattina infatti non
faceva nessuna storia sul fatto che fosse Rosalie ad occuparsi di lei e non io.
«Il
principe Emmett, tesoro! Ha cambiato
nome, non lo sapevi?» scherzai.
Allyson
aggrottò le sopracciglia, e afferrò i miei capelli tirandoli. «Perché ha
cambiato nome? Non mi piace Emmett… voglio Filippo!»
Eh,
anche io volevo Filippo… era il mio amore segreto di bambina.
«È un
principe moderno, e quindi ha scelto un nome un po’ più moderno.» Già, un nome
più moderno, anche se di poco. Emmett come nome era comunque un po’ vecchiotto,
e non si sentiva così spesso in giro.
«Ma a
me non mi piace!» si lamentò ancora.
Le
sorrisi. «Non ti piacerà il nome, ma forse lui sì. Poi mi dici se è un bravo
principe azzurro, va bene?»
Ero
davvero curiosa di conoscere Emmett, però io rispetto a mia figlia dovevo
aspettare ancora chissà quanto tempo prima di incontrarlo. Durante quella
settimana non ce n’era stata l’occasione per farlo, e quella sera io sarei
stata a lavorare in ospedale… niente principe azzurro per me.
«Mammina…»
mi chiamò Allie, con voce timida. Quando mi chiamava in quel modo, in genere
era perché voleva chiedermi qualcosa e aveva paura che le dicessi di no… non
era difficile da capirlo ormai. La conoscevo troppo, ma davvero troppo bene, la
mia piccola teppistella.
«Che
c’è tesoro?»
«Posso
mangiare la cioccolata?» chiese, guardandomi titubante.
Che golosona. «Dopo
cena, va bene?»
Ormai
si avvicinava l’ora di cena per lei, quindi era escluso che le facessi mangiare
un po’ di schifezze adesso. Però, dopo che aveva cenato, un piccolo dessert se
lo poteva benissimo concedere. Va bene che assimilava bene dolci e tutto il
resto, ma era meglio darsi una regolata di tanto in tanto.
«Grazieeeeeee!»
pigolò, tornando ad abbracciarmi.
Le
baciai la fronte, sorridendo sulla sua pelle; l’arrabbiatura per il fatto che
non poteva venire con me sembrava essere passata, proprio come avevo sperato.
Come me, non era capace di tenere il broncio troppo a lungo per le piccole
cose.
Un paio
di minuti dopo ci trovavamo davanti al bar di Alice, che sembrava essere già
sul punto di chiudere: per quella serata, Alice aveva deciso di chiudere prima
per poter così occuparsi di mia figlia con calma. Quando me lo aveva detto
avevo rimpianto il fatto di averle praticamente appioppato la bambina per tutta
la notte… ma ormai non potevo farci più nulla.
«Ehi
Cece, siamo arrivate!» dissi ad alta voce mentre entravo nel bar con Allyson
ancora in braccio.
Guardandomi
un po’ intorno per il locale, scoprii che Alice non c’era. La cosa mi sembrava
strana, visto che era lei quella che doveva chiudere il bar e che mi aveva
detto di recarmi lì per poterle lasciare la bambina… ma poi capii che si
trovava nel retrobottega quando sentii che ci stava chiamando, urlando a pieni
polmoni.
«Ciaooooo!
Venite qui, sbrigatevi!»
«Ma che
sta facendo Cece? Perché urla?» mi chiese giustamente Allie.
Scrollai
le spalle, mentre facevo il giro del bancone e mi incamminavo verso lo sgabuzzino.
«Non lo so, forse sta sistemando e le serve un aiuto.»
Oh sì,
le serviva proprio una mano! Non appena entrai nello sgabuzzino/magazzino e
chissà quant’altro ancora, la vidi che se ne stava comodamente seduta a
dipingersi le unghie delle mani. Come sentì i miei passi, alzò il viso per un
secondo e sorrise ad entrambe.
«Ciao
ragazze! Amore mio, sei bellissima oggi!» urlò, mentre tornava ad occuparsi
delle sue unghie. Naturalmente, quel saluto non era rivolto a me.
«Ciao
Alice, sei mooooolto impegnata a quanto vedo!» la presi in giro, ridacchiando,
e feci scendere Allyson dalle mie braccia, togliendole anche lo zainetto con le
sue cose che le avevo fatto mettere sulle spalle.
«Beh,
ho praticamente chiuso, stavo aspettando che arrivaste e così ho deciso di far
passare un po’ il tempo.» spiegò, mentre metteva da parte la boccetta dello
smalto. Mi mostrò le unghie perfettamente dipinte di blu elettrico. «Allora,
che te ne pare?»
«Uh,
quel colore ce l’ho anche io! Lo adoro!» le afferrai una mano e restai per un
po’ imbambolata a guardarle le unghie: ero fissata con gli smalti, non potevo
farci un bel niente!
«Sì,
piace un sacco anche a me!» trillò Alice, divertita. «Però non è mio, Rose l’ha
preso ‘in prestito’ dal suo salone di bellezza, devo ridarglielo stasera.»
sbuffò, un po’ scocciata. «Quasi quasi faccio finta che l’ho perso e me lo
tengo.»
«Sì,
poi se lo trova in giro per casa tua sono affari tuoi!»
Alice
sbuffò di nuovo. «Va beh, lascia perdere… quand’è che devi andare a lavoro?»
«Tra un
po’, attacco alle 19:15 e sono già… che ore sono?» chiesi, guardandomi attorno
alla ricerca di un orologio.
«Aspetta,
adesso controllo!» la mia amica prese il suo cellulare da sopra uno scatolone,
dove doveva averlo poggiato in precedenza, e controllò l’ora. «Sono le 18:35,
Bella.»
«Di
già? Cavolo!» non pensavo che fosse già passato così tanto tempo da quando ero
uscita di casa. «Devo scappare, mi raccomando non farla andare a letto tardi o
ti uccido! E non darle troppe schifezze!» la minacciai, sistemandosi allo
stesso tempo la borsa sulla spalla.
«D’accordo,
d’accordo! Stai tranquilla.» Alice mi sorrise, rassicurandomi. «Adesso però vai
via, altrimenti ti licenziano.»
«Sì sì,
vado… fammi salutare mia figlia, prima!» alzai gli occhi al cielo, passando poi
a cercare mia figlia con lo sguardo… ma non era più insieme a noi dentro lo
sgabuzzino. Doveva essere scappata via di nuovo.
«Allyson?
Tesoro, la mamma va via… non mi vieni a salutare?»
«Arrivo!»
sentii che la sua voce proveniva dal bar, e non osai immaginare a che cosa
stesse combinando là dentro, tutta sola e senza alcuna supervisione.
Invece
di aspettare che lei mi raggiungesse, andai io da lei – tanto dovevo tornarci
per forza là dentro – e la trovai che giocava con un mucchio di sacchetti di
carta, quelli che dovevano essere destinati al cibo da portar via e che adesso
erano soltanto dei pezzi di carta accartocciati e strappati, sparsi tutti
intorno a lei.
Scoppiai
a ridere, vedendo il caos che aveva creato da sola quella pulce. «Alice, vieni
un po’ qui! Allyson ha una sorpresa per te!»
Prima
mi sarei goduta la reazione di Alice, e poi sarei scappata via per andare a
lavoro… quella non me la dovevo perdere per nessuna ragione al mondo!
***
Il
turno era cominciato da un pezzo, e per fortuna le cose sembravano essere tranquille.
Quella sera mi avevano messa di servizio al pronto soccorso, e a parte uno che
si era quasi mozzato un dito con un coltello da cucina non era accaduto niente
di grave.
Ero
riuscita a trovare anche un po’ di tempo per mangiucchiare qualcosa per cena.
La notte era lunga, ed ero certa che sarei riuscita a trovare altri cinque
minuti per mangiare qualcos’altro… magari anche un semplice cappuccino, non
chiedevo molto.
Le cose
sembravano che stessero procedendo tutte per il verso giusto, tanto che il mio
umore era alle stelle. Non ero neanche tanto preoccupata per Allie, sapevo che
con Alice e Rose era in buone mani e che non le sarebbe accaduto nulla di
brutto.
C’era
anche un altro motivo per cui ero così tranquilla e contenta: quella notte,
Edward non era di turno! Almeno per una volta potevo girare in santa pace per
l’ospedale senza rischiare di incontrarlo e di doverlo ignorare ogni volta,
come facevo spesso nell’ultimo periodo.
Sembrava
che ci fossimo messi d’accordo sul come comportarci quando ci incontravamo
casualmente nei corridoi: infatti, entrambi ci ignoravamo alla bell’e meglio.
Se ci trovavamo in compagnia di qualcuno eravamo costretti a salutarci per non
far vedere agli altri che tra di noi c’era un po’ di astio – forse anche troppo
astio -, ma per lo più ci ignoravamo… e la cosa mi andava bene.
Almeno
aveva smesso di insistere sulla questione del rifiuto e mi lasciava in pace! Sembrava
che finalmente avesse deciso di lasciar correre e di buttarsi tutta quella roba
alle spalle, tornando alle sue vecchie abitudini e ai suoi ‘incontri di
sgabuzzino’. Già, aveva ripreso quella sua rilassante ed appagante attività.
Un paio
di giorni dopo la nostra litigata al reparto maternità, infatti, stavo
camminando per un corridoio diretta al pronto soccorso quando avevo sentito
degli strani rumori provenire da una delle tante porte chiuse che si trovavano
lì. Dopo qualche altro passo, avevo riconosciuto che tipo di rumori fossero e
avevo anche capito chi li stava creando.
Non
potevano che essere Edward e Lauren: ne ebbi la conferma quando sentii un
inconfondibile “Oh Dio, Edward!” uscire dalle labbra di quella Barbie
siliconata.
E per
fortuna che lui mi aveva detto che non era quel tipo di persona… insomma, aveva
detto una cosa che assomigliava a quella frase, anche se ora come ora non la
ricordavo molto bene.
Comunque,
lui era tornato ad intrattenersi con le infermiere negli sgabuzzini, quindi
doveva per forza aver girato pagina e deciso di lasciarmi perdere… mi aveva
tolto un gran peso dalle spalle. Ci mancava solo una relazione di solo sesso
con Edward Cullen nel mio curriculum ed eravamo a cavallo!
Bah,
era meglio non pensarci più, specialmente adesso che sembrava essere tutto finito.
Tornai
con la mente al presente e al compito che stavo facendo, ossia aiutare il
dottor Call al pronto soccorso; era arrivata da poco più di un ora una signora
anziana che aveva battuto la testa, stando a quello che ci aveva detto, e le
stavo facendo compagnia mentre aspettavo che Embry tornasse con i risultati
della tac, che le aveva fatto poco prima.
La
signora aveva riportato anche un piccolo taglio sulla nuca, che le era costato
un punto di sutura, però tutto sommato sembrava stare bene. Molto probabilmente
non aveva nient’altro di grave, a parte una bella dose di spavento che si era
presa con quel piccolo incidente domestico.
«Ma che
bella ragazza che sei!» mi stava dicendo gentilmente, mentre le stringevo la
mano. «E sei così giovane… quanti anni hai?»
«Ventidue…
quasi ventitré.» le sorrisi, rispondendo alla sua domanda.
La
signora sgranò gli occhi. «Ventidue? Dici sul serio? Ma… ma ne dimostri di
meno, cara!»
Annuii,
spesso e volentieri mi facevano notare quel particolare… in primis papà. «Lo
so, forse è perché sono piccola di costituzione.»
«Sì, in
effetti sei magra, mia cara. Mangi, non è vero?»
Ridacchiai:
quello era senza alcun dubbio la preoccupazione numero uno che aveva una nonna
verso i suoi nipoti. In quel frangente la signora Bishop mi ricordò tanto la
mia cara nonna Isabella, che purtroppo ci aveva lasciato l’anno prima.
«Sì sì,
non ho problemi alimentari.» la rassicurai con un sorriso.
«Questa
è una bella notizia! Ho una nipote della tua età, fa la modella… ed è molto magra!
Quando mi viene a trovare sta sempre attenta a quello che mangia, non posso mai
cucinarle qualcosa che possa essere veramente chiamato cibo.» si lamentò,
alzando gli occhi al cielo.
«Beh,
quello è un mestiere dove si deve stare molto attenti alla linea, ma basta che
non si esageri troppo.»
La
signora sospirò. «Per fortuna lei non esagera, è magra ma non così tanto da
star male.»
La
nostra chiacchierata venne interrotta dal ritorno di Embry, che si avvicinò al
letto dove era semiseduta la signora Bishop con un sorriso ben impresso sulle
labbra. Non dovevano essere cattive notizie quelle che portava con sé, quindi.
«Abbiamo
i risultati della tac: è tutto a posto!» annunciò allegramente. «Non ci sono
problemi di nessun genere, può già tornare a casa signora.»
«Oh,
benissimo!» disse lei, sorridendo ad Embry. «Voglio tornare a casa, il mio
Fuffolino non ha ancora mangiato, povera bestiola!» Dal nome che aveva usato,
supposi che ‘Fuffolino’ fosse un gatto.
«Allora
vado subito a preparare il foglio per le dimissioni! Ci sono sua nipote e sua
figlia qui fuori, se vuole le faccio entrare.»
«E me
lo chiede anche? Le faccia entrare subito!» esclamò, tutta contenta.
Embry
si congedò da noi con un ultimo sorriso e dopo qualche secondo che fu andato
via, entrarono nella stanza due signore. Una era una giovane ragazza dai
capelli rossi e lunghi, molto carina, e l’altra invece era una signora sulla
cinquantina; e a giudicare dal colore dei capelli, identico, dovevano essere
madre e figlia.
«Mamma!
Ci hai fatto spaventare tantissimo!» esclamò la figlia della signora,
abbracciandola. «Come ti senti? Va tutto bene?»
«Sto
benissimo. A parte il punto, non ho nient’altro! E questa bella ragazza,
Isabella, mi ha fatto compagnia per tutto il tempo, è stata davvero cara a
fermarsi con me.»
Arrossii,
sentendomi in imbarazzo per tutte le parole gentili che mi aveva riservato. «È
stato un piacere, davvero…»
«La
ringraziamo davvero molto, infermiera Isabella…» disse la ragazza,
avvicinandosi a sua nonna e abbracciandola. «È stata davvero carina a fare
compagnia alla nonna… odia stare da sola!»
«Ho
fatto solo il mio lavoro, sul serio.»
Il mio
cellulare cominciò a squillare proprio in quel momento, vibrando nella tasca
del camice. Lo presi in mano, e mi preoccupai un po’ quando notai che a
chiamare era quell’impiastro di Alice. Che fosse successo qualcosa?
«Scusatemi
un secondo…» mi avviai verso la porta della stanza ed uscii in corridoio,
rispondendo alla telefonata. «Che succede, Alice?»
«Eeeeh, ma quanto sei pessimista!» trillò
subito lei, sbuffando. «Non è successo
niente, c’è semplicemente Allie che vuole darti la buonanotte… abbi un po’ di
fiducia per le tue amiche, diamine!»
Alzai
gli occhi al cielo, non pensavo proprio di venire rimproverata per la mia
irrefrenabile apprensione da mamma. «Scusa, Alice, ma hai chiamato a quest’ora
e pensavo…» mi fermai d’un tratto, ripensando a quello che mi aveva appena
detto. «Mia figlia vuole darmi la buonanotte!? Alice! Sono quasi le undici,
dovrebbe essere a dormire già da un pezzo! Ci credo che poi non mi fido di te!»
«Eddai, Bella! Quante storie per una
mezz’oretta in più! È stata a giocare con noi fino a cinque minuti fa, non
voleva mollare Emmett… penso che Rose sia diventata un pochino gelosa di lei.»
“Non sono gelosa!” la voce di Rose mi
arrivò alle orecchie, attutita per via della distanza.
Sbuffai.
«Ok, per questa volta sei perdonata… ma che non si ripeta più!»
«Certo certo… posso passarti la bambina
adesso?»
«Ma che
domande fai? Sbrigati!»
«Va bene!» tempo due secondi, e sentii la
vocina adorabile di mia figlia al posto di quella di Alice. «Ciao mamma!»
«Amore
mio, ciao!» sorrisi, era inevitabile non farlo quando si trattava di lei; mi
sedetti sul pavimento, appoggiando la schiena contro il muro. «Va tutto bene?
Ti stai divertendo da Cece?»
«Sì, tanto tanto! Ho giocato col principe
della bella addormentata, mamma!» mi disse tutta contenta.
«Te
l’avevo detto che c’era anche lui, stasera! E ti è piaciuto?»
«Tantissimissimo! Adesso però è andato via, è
andato a combattere il drago Jack Dannies! Tu sai chi è il drago Jack Dannies?»
«Ehm…
no, non lo so.» mentii. Probabilmente quel drago doveva averlo inventato Emmett
sul momento, per far divertire la bambina, e lei non doveva aver capito bene
come si pronunciava… mi ricordava tanto il Jack Daniel’s, il nome era molto
simile.
«Jasper è andato con lui, ha detto che gli
serviva un aiutante per uccidere il drago.» mi disse ancora, e allora non
ebbi nessun dubbio. Capii subito che quei due erano andati ad ubriacarsi, e
intanto raccontavano un sacco di frottole a mia figlia. Per fortuna lei era
ancora piccola… beata innocenza!
«Vedrai
che in due ci riusciranno…» ‘se non si ubriacano troppo’, aggiunsi mentalmente.
«Adesso però devi andare a fare la nanna, Allie. Si è fatto tardi, lo sai
questo?»
«Lo so, sono già in pigiama! Volevo salutarti
prima!»
Sorrisi,
mordendomi le labbra. Che dolce che era la mia piccolina. «Va bene allora… fai
tanti bei sogni, tesoro della mamma. Ci vediamo domani mattina, okay?»
«Sì, buonanotte mammina!»
«Buonanotte
amore…»
«No, per me non è ancora arrivata l’ora della
buonanotte! È presto.» replicò Alice, con un tono da saputella.
«Lo so
che per te è presto, fai sempre le ore piccole!» ridacchiai. «È andata a
dormire?»
«Ci sta pensando Rosalie, se non stai attenta
credo che un giorno o l’altro ti rapisce la bimba! È praticamente stregata da
lei.»
Ecco
un’altra persona che è rimasta fregata da mia figlia! «Non è la prima volta che
succede…»
«Già, lo so. Tu e James siete stati i prima a
restare fregati da lei!» osservò.
Mi
grattai la fronte, annuendo con la testa. «È vero, è vero…»
«Bene, ti lascio lavorare in santa pace… così
almeno non ti annoi.»
«Già,
annoiarmi è la mia paura più grande! Ci sentiamo domani mattina?»
«Certo, passo da te verso l’ora di pranzo
così ti riporto Allyson. Rose ti saluta!»
«Salutala
da parte mia, Cece. Buonanotte…»
«Buonanotte anche a te, tesoro!»
Rimisi
il telefono nella tasca del camice che ancora avevo il sorriso sulle labbra;
non mi aspettavo che Allie volesse chiamarmi per darmi la buonanotte, ma
sembrava che tenesse molto a quel rituale serale… potevo mica rifiutarglielo?
Grazie
a quella chiamata inaspettata, sarebbe stato un po’ più facile affrontare le
ore rimanenti del mio turno.
***
Quando
parcheggiai la macchina sotto casa erano quasi le sette del mattino. Mi sentivo
stanca, e anche parecchio. Non era tanto il fatto di aver lavorato per undici
ore consecutive a pesarmi, quanto il fatto di essere rimasta sveglia per quasi
ventiquattro ore. Avevo decisamente bisogno di dormire e di recuperare una
parte delle energie che avevo perso, calcolando che per l’ora di pranzo avrei
avuto di nuovo la mia brontolona in giro per casa. Avevo quindi più o meno
quattro ore buone per riposarmi e dormire, non erano molte ma me le sarei fatte
bastare… e poi, avevo il resto del weekend libero e potevo quindi dormire e
riposarmi quanto volevo, senza nessuno che potesse mettermi i bastoni tra le
ruote.
Scesi
dall’auto e dopo aver soffocato uno sbadiglio contro il palmo della mano la
chiusi; con l’altra, portai alle labbra l’ultimo pezzetto di muffin al
cioccolato che avevo preso allo Starbucks per colazione. Il cappuccino era
finito da un pezzo, ed era un vero e proprio peccato.
Entrai
nel palazzo e salutai Stan con un cenno della mano, lui sembrava assonnato
almeno quanto me… solo che lui doveva essersi svegliato da poco, mentre io non
dormivo da quasi un giorno intero. Quella che stava messa peggio ero io, senza
dubbio.
Mi
sbrigai a salire le scale fino al mio piano – camminare e muovermi era l’unico
modo per far sì che non mi addormentassi – e ad entrare in casa. Una volta che
fui dentro posai la borsa nell’ingresso e andai dritta filata in camera mia,
l’unico posto dove volevo stare in quel momento.
Dopo
una breve tappa in bagno, tolsi i vestiti ed infilai una leggera camicia da
notte prima di coricarmi. Non scostai neanche le lenzuola, mi sdraiai
semplicemente sul letto e come poggiai la testa sul cuscino crollai, stanca
morta.
A
svegliarmi ed a scuotermi da quel dolce torpore che aveva invaso ogni singola
cellula del mio corpo, ci pensò il campanello di casa. Suonava incessantemente,
ad intervalli di tempo di uno o due secondi, e cominciava a darmi decisamente
sui nervi.
Grugnendo
in maniera poco femminile, aprii un occhio e allungai il braccio per dare un
occhiata alla sveglia. Erano le dieci di mattina precise, ed erano tre ore o
poco più che mi ero messa a dormire… come mai mi disturbavano proprio in quel
momento?
Non
poteva essere Alice, lei mi aveva assicurato che sarebbe passata all’ora di
pranzo per portare a casa Allyson… ma allora, chi poteva mai esserci alla
porta? Non conoscevo quasi nessuno, ed era impossibile che i miei colleghi mi
venissero a cercare in casa… nessuno sapeva l’indirizzo di casa mia.
Mentre
pensavo, il campanello continuò a suonare ininterrottamente. Dovevo per forza
alzarmi e scoprire chi fosse in disturbatore, abbandonando così i miei buoni
propositi di dormire un’altra ora buona.
Se
scoprivo che erano degli stupidi ragazzini, li avrei strigliati per benino, non
mi interessava se poi qualcuno veniva a protestare!
«Un
secondo!» urlai, schiarendomi la voce ancora bassa per via del sonno. Scesi dal
letto e mi incamminai stancamente e lentamente lungo il corridoio, fregandomene
altamente di avere addosso solo una camicia da notte… per di più corta.
Quando
raggiunsi la porta, colui o colei che stava aspettando me smise di torturare il
campanello di casa, con grande gioia per le mie povere orecchie. Mi alzai un
po’ sulle punte dei piedi per vedere chi fosse, ed i miei occhi, ancora con le
palpebre pesanti per la stanchezza, si sgranarono per la sorpresa.
Ma che…
ci facevano lì?
Tolsi
velocemente la catenella, ed aprii la porta ancora più velocemente, guardando i
miei genitori come se li vedessi per la prima volta in tutta la mia vita. Non
era possibile che fossero lì, proprio davanti ai miei occhi! E come aveva fatto
la mamma a convincere papà a prendersi dei giorni di ferie per venire a Los
Angeles, lui che odiava con tutto se stesso il caldo?
«Tesoro
mio, come sono contenta di vederti!» esclamò subito mia madre, abbracciandomi e
baciandomi le guance.
«Ma…
mamma!» balbettai, ancora shockata, mentre ricambiavo con poca forza
l’abbraccio. «Papà! Ma che ci fate qui?!»
«Belle,
questo te lo spiegherà tua madre…» esclamò papà, ridacchiando, e mi diede una
pacca sulla testa, impossibilitato com’era a salutarmi meglio visto che mamma
mi teneva ancora occupata in quell’abbraccio soffocante. «Vedo che stai bene,
piccola. Ho fame, posso entrare?»
«Vai…
vai pure, papà…» sussurrai.
Non
appena mio padre fu entrato in casa, trascinandosi dietro due enormi valigie,
io e mia madre fummo le uniche a restare sul pianerottolo, per di più ancora
abbracciate. Mamma sembrava non volermi mollare più.
«Mamma,
entriamo anche noi? Sai, sono quasi nuda…» le feci notare il mio abbigliamento,
non appena mi ebbe lasciata libera di muovermi e di respirare bene.
«Oh, ma
certo! Che stupida che sono stata, entriamo!»
«Allora,
mamma…» dissi, non appena fummo ben nascoste dentro casa ed ebbi chiuso anche
la porta dell’appartamento dietro alle mie spalle, «cosa vi porta qui a Los
Angeles?»
Lei mi guardò
arcuando le sopracciglia. «Non sei contenta della sorpresa che ti abbiamo fatto
io e tuo padre?»
«No no,
sono… molto sorpresa!» non mentivo, lo ero davvero. «Solo, non mi avete
avvertito e quindi…»
«Non lo
abbiamo fatto perché era una sorpresa, avremmo rovinato tutto dopo!» ridacchiò,
scuotendo la testa. «Abbiamo deciso di trascorrere quindici giorni qui, una
bella vacanza californiana! Ed in più stiamo con le nostre due bambine, non è
magnifico!?»
«Oh sì,
magnifico!» finsi un sorriso estatico, e venni di nuovo rapita in uno degli
abbracci strapazzanti di mamma, accompagnato dalle sue urla eccitate.
Ero
contenta di avere qui i miei genitori, molto contenta… ma non potevano comunque
avvertirmi prima? Mi sarei preparata in qualche modo, accidenti! Dentro la mia
testa ero super mega sicura che l’idea di non dirmi nulla era stata della
mamma, solo a lei potevano venire in mente quelle proposte strampalate.
_______________
Arieccomi!
È un capitolo di passaggio quello che avete
appena letto, ma mi serviva per introdurre i coniugi Swan nella storia; li
avremo per qualche capitolo da ora in avanti, mi sembrava giusto presentarvi i
genitori di Bella :D li conoscerete meglio adesso che sono a Los Angeles dalle
loro ‘bambine’, ve lo dico in anticipo così siete avvisate XD
Vi avverto anche che tra qualche capitolo
ci saranno alcuni cambiamenti, ma non vi dico quali perché devo ancora
definirli per bene… come vi avevo avvisato un po’ di tempo fa, la storia è
tutto un continuo work in progress anche se una grande linea della trama è già ben
definita ;) devo lavorare ancora un po’ sui dettagli, però u.u
Bene, vi ho scocciato anche troppo XD e vi
ringrazio se avete letto queste nuove note, per aver recensito lo scorso
capitolo (*w* provvederò presto a rispondervi, promesso!) e anche per chi ha
appena scoperto la storia e la aggiunge tra i preferiti/seguiti/ricordati!
Grazie mille :*
Ci sentiamo alla prossima, ciao!
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
Solo Il Tempo... - Capitolo8
Ehilà, c’è nessuno? *particella di sodio
time*
Scusate l’immenso ritardo – l’ennesimo –
con cui torno a postare, ma ho avuto alcuni problemi familiari – che si sono
risolti, fortunatamente – e non appena ho ritrovato la voglia di scrivere ho
completato gli ultimi capitoli di ‘The camp of love’. Adesso che quella storia
è finita, almeno sul mio pc, posso tornare ad occuparmi di questa :)
So già che rimpiangerete l’aggiornamento, perché
il capitolo di oggi è lento e noioso. Non lo dico così, tanto per dire, è
proprio vero! Mi stavo annoiando persino io mentre lo correggevo XD anche se è
di passaggio, però, ho aggiunto alla fine un informazione in più su… beh, lo
leggerete più avanti u.u
Intanto, vi ringrazio per le recensioni che
avete lasciato allo scorso capitolo – non vi ho risposto perché credo che
abbiate dimenticato cosa mi avete scritto, ma le ho lette, non preoccupatevi :D
-, e ringrazio chi comincia a seguire la storia adesso: un bacione a tutti!
Vi lascio anche qui i link per il mio profilo Facebook e per il
mio gruppo personale.
Vi aspetto!
Ci sentiamo sotto, per una piccolissima
nota a piè di pagina ;) buona lettura!
Solo il
tempo…
Capitolo
8
«Tesoro,
dov’è la cannella? Non riesco a trovarla!» esclamò mia madre, di nuovo, che
aveva appena infilato la testa in uno degli sportelli della cucina.
«È lì,
proprio dove stai cercando adesso.» la osservai un po’ scocciata, prima di
mangiare un altro boccone di uova. Papà, al mio fianco, stava facendo la stessa
cosa.
I miei
genitori erano arrivati da poco più di un’ora, e già avevano stravolto la calma
del mio sabato mattina. Avevano portato i loro bagagli nella mia camera – l’avevo
ceduta a loro, mentre io mi sarei trasferita sul divano per quei quindici
giorni – e poi avevano fatto un rapido tour dell’appartamento. Dopodiché,
eravamo andati tutti e tre in cucina per mangiare qualcosa.
Quello
che stavo consumando, ossia uova e pancetta, era più un pranzo che una
colazione vera e propria … era un brunch, mettiamola così. La mamma aveva
tostato e imburrato diverse fette di pane, che aveva abbandonato poi sul
tavolo, prima di decidere di mettersi a cucinare i tortini alla cannella.
Ma, per
l’appunto, non riusciva a trovare la cannella.
«Intendi
questa?» mia madre riemerse dallo sportello e mi mostrò il barattolino che
teneva in mano.
Annuii,
finendo di masticare e di deglutire il boccone. «Sì, quella.»
«Ma
Bella, non mi basta per fare i tortini! Ne serve dell’altra!» esclamò,
sdegnata, prima di scendere dalla sedia che aveva usato come scaletta. «Devi
assolutamente andare a comprarne un'altra confezione.»
Le
lanciai un occhiata innervosita. «Mamma, sto ancora mangiando!» le feci notare,
indicandole anche il piatto mezzo pieno che avevo di fronte per farle capire
meglio il concetto.
Non
poteva aspettare una decina di minuti prima di mandarmi alla ricerca della
cannella? Insomma, non potevo mica strozzarmi per soddisfare le sue richieste! E
poi dovevo ancora cambiarmi e rendermi una persona decente … avevo fatto la
doccia e avevo indossato i soliti abiti da casa, ma avevo ancora delle occhiaie
ben visibili e il viso abbastanza pallido. Si capiva benissimo che mi ero
svegliata da poco, e che avevo anche dormito poco.
Gli
zombie di “The Walking Dead” erano senza dubbio più belli e fascinosi di me.
«Lo
vedo, Bella. Quando hai finito vai a prenderla, così posso mettermi a cucinare
questi benedetti tortini!»
«Reneè,
per favore, vieni a sederti e smettila di tormentare nostra figlia!» la ammonì
papà, salvandomi. Gli regalai un sorriso riconoscente ed una pacca sulla
spalla, che lo fece ridere.
«Ma non
la sto tormentando, Charlie! Le sto solo chiedendo un aiuto …»
«E la
tormenti. Ricordi che per farle una sorpresa l’hai buttata giù dal letto?
Lasciala mangiare in pace, e che diamine!»
Mamma
fulminò papà con lo sguardo, e senza replicare alle sue parole si sedette a
tavola, preparandosi a mangiare il suo brunch. «Quando hai detto che torna Allie,
tesoro? Non vedo l’ora di riabbracciare la mia nipotina!» disse, entusiasta,
mentre tagliava le uova. Sembrava aver dimenticato di colpo il battibecco con
papà.
«Ehm …
credo che arriverà a momenti. Alice ha detto che passava ad accompagnarla poco
prima di pranzo.» le risposi, spostando lo sguardo sul bicchiere di latte che
avevo davanti al piatto.
«Ah,
viene anche Alice, magnifico! È tanto tempo che non vedo quella ragazza, mi è
mancata proprio.»
«È
sempre pazza, o si è calmata un po’?» volle sapere papà, grattandosi
distrattamente l’angolo della bocca mentre aspettava la mia risposta.
«No, è
peggiorata.»
«Ah.»
«Non
crederle, Charlie, secondo me sta soltanto scherzando.» ridacchiò mia madre.
Risi
anche io, guardandola di sottecchi. «Aspetta che arrivi, poi vediamo se sto
solo scherzando …»
Nello
stesso istante in cui parlai, sentii il citofono suonare. Non poteva essere
altri che Alice e mia figlia, infatti non aspettavo nessun altro … a parte
mamma e papà, che avevano fatto tutto da soli e che non mi avevano neanche
avvisata.
«Penso
che sia lei!» esclamai, alzandomi da tavola e andando di corsa al citofono,
accanto alla porta di casa. Sollevai la cornetta trattenendo una risata. «Chi
è?»
«La mamma è pazza, Allie, non sa chi siamo!
Glielo dici tu?»
«Mammina, siamo noi! Apri, sbrigati!»
Ecco,
erano appena arrivate e già mi davano degli ordini! Alice stava influenzando
mia figlia, e non sapevo se lo stava facendo in bene o in peggio.
«Un
secondo!» esclamai, sbuffando e schiacciando il tasto di apertura del portone
allo stesso tempo.
«Sono
loro, sono loro?» mia madre doveva avermi raggiunta senza che me ne accorgessi,
perché sentii il suo urlo trapanarmi un orecchio. Sobbalzai, spaventandomi
quasi a morte.
«Mamma,
insomma! Comunque sì, sono loro …» mi allontanai massaggiandomi l’orecchio, e
feci per aprire la porta … ma mamma mi cacciò via prima che potessi farlo,
prendendo il mio posto.
«Su,
Bella, non stare lì impalata!» urlò, aprendo la porta e precipitandosi sul
pianerottolo.
«Aaah,
al diavolo!» stufa di sentire e vedere le assurdità di mia madre, me ne tornai
in cucina e mi lasciai cadere a peso morto sulla sedia.
«Che è
successo stavolta?» borbottò papà, con la bocca piena.
«Mi ha
cacciata, non mi ha dato neanche il tempo di aprire la porta!» esclamai, risentita,
gettandomi su una fetta di pane tostato e riducendola in briciole per sfogare
un po’ il malumore. «Non sono più abituata a sopportarla.»
«Già,
forse è vero … dimmi, Alice ed Allyson sono arrivate?»
Prima
che rispondessi, sentii un insieme di urletti acuti e un «Nonninaaaaaa!» detto a gran voce che non lasciavano molti dubbi.
Lanciai un occhiata ovvia a papà, inarcando un sopracciglio.
Lui
annuì, cercando di non ridere e di non strozzarsi allo stesso tempo. «Sì, direi
che sono arrivate.»
Risi.
«Vado a vederle prima che qualcuno si lamenti per gli schiamazzi.»
Seguii
le voci – o meglio, le urla – di quelle tre pazze isteriche e le trovai in
salotto: mamma stava abbracciando Alice e le stava urlando non so cosa
all’orecchio, e Alice stava più o meno facendo la stessa cosa. Mia figlia,
invece, stava strattonando i pantaloni di mia madre e cercava di attirare la
sua attenzione, non riuscendoci però.
Poverina,
la mia piccola brontolona.
«Allie,
vieni dalla mamma! Non mi vuoi salutare?» la chiamai, inginocchiandomi e
allargando le braccia con un sorrisone sulle labbra non appena lei si accorse
di me.
«Mamma,
mamma!» esclamò, contenta, buttandosi a capofitto sul mio petto e stringendomi
forte.
Ricambiai
il suo abbraccio e sprofondai il naso nei suoi capelli, che profumavano di
albicocca: Alice doveva averle fatto il bagnetto prima di riportarla a casa. Le
baciai la testa prima di alzarmi e di prenderla in braccio. «Allora, ti sei
divertita ieri sera?»
«Sì,
tanto tanto! Cece ha detto che la prossima volta mi trucca come una
principessa!»
Storsi
il naso: non ero una fanatica di trucco, figuriamoci se premettevo a mia figlia
di tre anni di truccarsi, anche se soltanto per gioco. «Mmm, poi vediamo eh …»
«La
nonna non mi vuole salutare.» mormorò tristemente, stringendo le braccia
intorno al mio collo e nascondendo il visino.
«No,
non è vero! Sta salutando Alice che non vede da tanto tempo, non l’ha fatto
apposta!» maledissi mia madre dentro la mia testa, cercando nello stesso
momento di tranquillizzare la bambina. «Tra un po’ lo farà, vedrai … intanto,
noi andiamo a salutare nonno Charlie.»
«C’è
anche il nonno?» domandò, alzando il viso e guardandomi incantata: se avesse
potuto farlo, avrebbe anche alzato le orecchie come un cane, pronta per
ascoltare qualsiasi cosa.
«Certo,
sono arrivati tutti e due e staranno con noi per due lunghe settimane, sei
contenta?» dicendo così, andai verso la cucina e lasciai da sole mamma ed
Alice, tanto non si erano accorte per niente che io le avevo raggiunte ed avevo
‘rapito’ mia figlia, distratte com’erano. «Guarda un po’ chi c’è!» esclamai,
entrando in cucina con Allie in braccio.
«Nonno Challiee!»
«Oho!
Allyson! Vieni dal nonno, piccolina!»
Allyson
cominciò a dimenarsi per andare da suo nonno, cosa che fece non appena la misi
con i piedi sul pavimento della cucina. Con una piccola corsetta lo raggiunse e
si abbarbicò ai suoi baffi con le manine, tirandoli: era una sorta di saluto
per lei.
«Ehi,
ehi! Ferma!» la ammonì papà, fingendosi arrabbiato, anche se non riusciva a
nasconderlo molto bene. Quando si trattava di sua nipote diventava un pezzo di
burro particolarmente morbido, ed i suoi modi un po’ burberi andavano a farsi
benedire.
«Nonno!»
esclamò mia figlia, con un sorriso enorme sulle labbra che si trasformò ben
presto in una risata quando papà la prese in braccio e le baciò la guancia.
«Ah,
Allie, mi sei mancata proprio tanto! Dobbiamo fare un paio di cose insieme,
dopo ti faccio vedere alcune statistiche e …»
«Papà,
non ricominciare con questa storia delle partite!»
Lui
sbuffò, alzando gli occhi al cielo. «Non ricominciare tu, figlia! È un gioco
divertente e sicuro, vero bambina mia?»
«Sììì,
è divertente!» naturalmente, quel ‘bambina mia’ era rivolto a sua nipote e non
a me. Papà si beveva davvero il cervello quando aveva la bambina in braccio.
Fu il
mio turno di alzare gli occhi al cielo quella volta. «Va bene, ci rinuncio!
Amore, vuoi anche tu le uova come quelle del nonno?» le domandai. Magari aveva
fame, e già che c’eravamo avrebbe mangiato qualcosa insieme a noi.
«No,
non le voglio!» disse risoluta, scuotendo anche la testa.
«Non
hai fame? Neanche un pochino?» le domandò papà, agitandole i capelli con le
mani.
Allyson
scosse di nuovo la testa. «Non ho fame.»
«Va
bene, ti preparo qualcosa più tardi … la nonna deve anche cucinare i tortini
alla cannella!» le sorrisi, avvicinandomi a loro e sedendomi di nuovo al mio
posto.
Papà
scoppiò a ridere, guardandomi come se quello che avevo detto fosse la cosa più
divertente del mondo. Lo squadrai male prima che potesse darmi una risposta
decente. «Credo che tua madre si sia dimenticata di quei tortini, adesso che è
arrivata Alice a distrarla.»
«Ah
già, è vero. Tu non vai a salutarla?»
«Eh …
forse è meglio che le lascio sfogare ancora un po’.» disse, abbassando lo
sguardo e mettendosi a dare fastidio ad Allyson.
Inarcai
un sopracciglio, divertita: non era che papà temeva di andare in salotto per
paura che Alice lo sommergesse di abbracci e di urla isteriche come aveva fatto
con la mamma?
Beh, se
era davvero così lo avrei scoperto presto.
Infatti,
dopo pochissimo tempo mia madre ed Alice ci raggiunsero in cucina, entrambe con
le guance rosse ed un sorriso estatico stampato sul viso: dovevano essersi
divertite parecchio ad urlare come pazze. Alice, non appena vide mio padre,
cacciò un nuovo urletto simile al pigolio di un pulcino e saltellò per un po’
sul posto prima di andare da lui.
«Aw,
Charlie Swan! Quanto tempooooooo!» urlò ancora, abbracciandolo di slancio.
«Mary
Alice Brandon, smettila subito di stritolarmi o ti faccio arrestare seduta
stante!» le urlò lui a sua volta, dandole diverse pacche sulla spalla.
«Sei in
ferie, Charlie, le minacce a vuoto non funzionano, sai?» mamma scosse la testa,
osservando il marito.
«Giusto
Reneè, quindi stai in silenzio e beccati tutti gli abbracci che ti darò!»
«Povero
papà!» commentai, cercando di trattenermi dallo scoppiare a ridere.
«Sì,
povero papà ma intanto non fai nulla per aiutarmi! Figlia ingrata!»
«Mamma,
che significa ingrata?» domandò Allie, sempre pronta a captare parole nuove.
«Significa
che la tua mamma non è stata brava con il nonno, tesoro mio!» a rispondere al
mio posto fu mia madre, che sequestrò mia figlia prelevandola dalle braccia di
papà, che a sua volta era ancora imprigionato da quelle di Alice. «Stellina
della nonna, ma non mi dai neanche un bacino?»
«Ma tu
non mi volevi salutare, nonna!» ribatté lei, senza pensarci due volte.
«Ma che
dici, non è assolutamente vero! Io ti saluterò e ti abbraccerò ogni volta che
lo vorrai, piccolina di nonna …» la tranquillizzò, spupazzandola per bene e
baciandole il visino paffuto.
Allyson,
vedendo che sua nonna le stava regalando tutte quelle nuove attenzioni,
cominciò a ridere e le buttò le braccia al collo, agitando i piedini.
Erano
tutti impegnati, chi ad essere abbracciato senza volerlo e chi invece contento
di ricevere tutti quei gesti di affetto … tutti, tranne la sottoscritta. Me ne
stavo appoggiata al bancone della cucina e li osservavo, con le braccia incrociate
sul petto. Tutto d’un tratto ero diventata invisibile, una specie di fantasma.
Mah, se
la sarebbero cavata anche da soli. Così, senza che nessuno mi chiedesse dove
stessi andando, me ne andai via dalla cucina e puntai verso il bagno: visto che
ero stata buttata giù dal letto e mi sentivo ancora un po’ tesa, nessuno mi
avrebbe vietato di trascorrere un’ora o due dentro la vasca da bagno, per
rilassarmi.
***
«Oh,
credo che ci sia qualcosa che non va qui.» borbottò Alice, osservando quello
che aveva appena montato.
La
guardai, interrompendo per un istante il mio compito di assemblaggio mobili.
«Cosa, Alice?»
«Beh …
tutto!» esclamò, indicando la strana cosa che stringeva in mano. Arricciò le
labbra, sconsolata. «Non assomiglia per niente al disegno che c’è sulle
istruzioni!»
«Cosa
dovrebbe essere?» misi da parte il cacciavite, che stavo usando per fissare gli
sportelli colorati del nuovo armadio di Allyson, e mi avvicinai a guardare il
foglio delle istruzioni che Alice aveva steso davanti a sé, per aiutarsi meglio
con il lavoro.
Il
disegno mostrava un mobiletto basso munito di mensole, che poteva essere
utilizzato anche come comodino – lo avevo scelto apposta per me, e per la mia
camera da letto -, ma la cosa che stava facendo Alice non ci assomigliava per
niente.
Era …
cos’era, in realtà?
«Ehm …
credo che dovrai ricominciare tutto daccapo, Cece.» sussurrai, osservandola.
Lei
sbuffò, posando quella strana creatura di legno ed alzandosi in piedi. «Basta,
ci rinuncio! Jazz, prendi tu il mio posto!»
Jasper,
bellamente sdraiato sul mio divano, guardò la sua fidanzata come se fosse
appena caduto da una nuvola. Batté le palpebre e abbassò la bottiglia di birra
dopo averne bevuto un sorso. «Cosa, tesoro? Non stavo ascoltando …»
«Già,
puoi ascoltarmi quando sei così preso dalla partita? Vieni qui e aiutaci a
montare questi mobili!» lo rimproverò, posando le mani sui fianchi e
assottigliando lo sguardo verso di lui.
Il
pomeriggio prima, mia madre aveva deciso di fare un giro per la città e di
andare anche all’Ikea – lei, se non ci andava almeno una volta al mese, non
riusciva a stare buona. E visto che io dovevo assolutamente andarci per
rimediare qualche mobile nuovo per il mio appartamento, mi ero unita a lei. Inutile
dire che anche Alice era venuta insieme a noi, visto che per lei qualsiasi
scusa era buona per andare a fare compere, e avevamo lasciato Allyson insieme
al nonno.
A detta
di papà, lei le serviva per le statistiche del campionato. Prima o poi mi
avrebbe sentito, se non la piantava con questa storia delle scommesse.
E
adesso, ci trovavamo tutti seduti sul pavimento del salotto a montare i mobili
nuovi … o meglio, quasi tutti. Io e Alice ce ne stavamo occupando già da un bel
pezzo, mentre mia madre si era offerta volontaria per preparare la merenda a
tutti. Papà e Jasper, invece, stavano guardando lo sport alla tv.
Allyson,
invece, stava riposando nella sua cameretta, ma presto sarei andata a
svegliarla per farle fare merenda.
Jasper,
sbuffando, si alzò dal divano e raggiunse me e la sua ragazza, imbufalita. Si
inginocchiò e prese tra le mani il frutto del lavoro della mia amica, inarcando
le sopracciglia mentre se lo rigirava tra le mani. «Sei una frana con il
bricolage, tesoro, fattelo dire.» commentò.
«Per
questo ti ho detto di prendere il mio posto, amoruccio!» Alice cambiò
improvvisamente umore, tornando allegra come poco prima. Baciò le labbra di
Jasper e dopo si alzò in piedi, saltellando via dal salotto. «Vado ad aiutare
Reneè!» esclamò prima di scomparire dalla nostra vista.
«La tua
fidanzata è un demonietto, Jasper, come fai a sopportarla?» domandò papà.
Jasper,
sorridendo, cominciò a smontare la strana opera di Alice per poter ricominciare
daccapo tutto il lavoro. «È stato proprio il suo essere un demonietto che mi ha
fatto innamorare di lei, signor Swan.» disse, ridendo.
«Alice
è sempre stata così, papà, non te la ricordi più?» trattenni una risata mentre
tornavo a montare l’armadio.
«Certo
che me la ricordo! Una come lei non si dimentica molto facilmente.» commentò in
modo burbero, tornando a guardare la tv.
Scossi
la testa, poi cercai di concentrarmi totalmente su quello a cui stavo
lavorando. Non mi mancava molto per terminare, dovevo solo fissare le maniglie
agli sportelli e potevo già spostare il mobile in camera di mia figlia.
Non
appena lo feci, esultai. «Finito!» esclamai, alzando in alto le braccia e
agitando le mani.
«Brava,
Bella! Adesso smettila di urlare e vieni ad aiutarmi.» borbottò Jasper, al mio
fianco.
Ubbidii
subito alla sua specie di ordine, divertita, e cominciai a studiare le
istruzioni mentre Jasper ancora continuava a smontare la brutta copia del
mobiletto.
Mezz’ora
dopo, eravamo entrambi a buon punto, con la base del mobile ben fissata e con
le mensole pronte per essere aggiunte, ma capii che quel compito avremmo dovuto
farlo più avanti non appena sentii la voce di Alice chiamarci dalla cucina.
«La
merenda è pronta!» urlò a pieni polmoni.
«Uh, la
merenda!» papà, dopo aver lanciato il telecomando sul divano, si alzò e scattò
verso l’uscita del salotto.
«Ingordo.»
borbottai, alzandomi in piedi. «Vado a svegliare Allie, arrivo subito.»
aggiunsi, rivolgendomi a Jasper.
«Okay.»
annuì, e mentre lui si dirigeva in cucina io andai dritta verso la cameretta di
mia figlia.
Entrai
in camera sua e mi avvicinai al suo lettino, dove lei dormiva profondamente con
il suo Stitch sottobraccio. Se c’era una cosa che amavo fare, era svegliare la
mia brontolona. Certo, quando volevo farla dormire un po’ di più non mi
permettevo assolutamente di disturbarla, ma per tutte le altre volte adoravo tantissimo
strapparla dalle braccia di Morfeo.
Era una
mia piccola fissazione, quella: volevo che il mio viso fosse la prima cosa che
vedeva appena sveglia … tranne quando, alcune volte, era lei quella che si
svegliava prima di me e veniva a darmi il buongiorno saltando sul letto.
«Ehi,
dormigliona, è pronta la merenda.» dissi ad alta voce, scrollandola piano.
Allyson,
come al solito, si rigirò nel letto e si strofinò gli occhi con i pugnetti
chiusi, mugolando. Sorrisi, osservandola: era troppo tenera, e ogni volta mi
faceva venire voglia di mangiarla tutta a suon di baci.
«Su,
forza, che la nonna ci aspetta!» la presi in braccio e le baciai il viso,
dirigendomi poi verso la porta per uscire e per raggiungere così gli altri.
«Mamma,
ho sonno …» mormorò lei, sbadigliando.
«No,
non è vero che hai sonno. Dai che adesso va via tutto, non appena hai mangiato
quello che ha preparato nonna Reneè.»
Allyson
tornò a strofinarsi gli occhi, gonfi di sonno, e mentre la guardavo quasi mi
pentii di averla svegliata. Se aveva ancora così tanto sonno, poteva anche
tornare a dormire non appena avesse mangiato qualcosa.
Entrammo
in cucina senza che nessuno si accorgesse di noi, visto che erano tutti presi
dal cibo che mia madre e Alice avevano poggiato sul tavolo. Posai Allie sulla
prima sedia libera che trovai, e le passai le dita tra i riccioli biondi mentre
osservavo quello che c’era da mangiare: ossia, un sacco di roba.
Pancakes,
torta al cioccolato, muffin ai mirtilli, tortini alla cannella – di nuovo! -, e
quella che a prima vista sembrava una torta alle pesche. Mia madre doveva aver
svaligiato tutta la mia povera dispensa.
«Mamma,
ma non è un po’ troppo?» domandai, riprendendo mia figlia in braccio e
prendendo posto sulla sedia dove si trovava lei. Me la misi in grembo, e
allungai un braccio per afferrare un muffin che le diedi poi da mangiare.
«No,
assolutamente no! Tanto non va buttato nulla, spariranno prima che tu te ne
accorga.» mi rispose lei, tutta allegra; cambiò espressione non appena si
accorse che tenevo in braccio Allie. «Ciao, amore! Ben svegliata!»
«Ciao,
nonna …» disse lei, con la bocca piena di muffin. Per fortuna, non si stava
ingozzando così tanto da non riuscire a farsi capire.
«Allie,
mangia piano per favore.» la ammonii, baciandole i capelli.
«Anche
tu, Charlie, non mangiare come un maiale, come fai sempre!» questa volta, toccò
a mio padre essere sgridato.
Lui
sbuffò, squadrando sua moglie. «Perché io non mi becco nessun bacio quando
vengo ripreso?»
«Perché
non ce né bisogno, mio caro.»
«Ah, è
proprio come ai vecchi tempi! Mi ricordo ancora le giornate trascorse a casa
Swan, Reneè.» esclamò Alice, ridacchiando e tagliandosi una fetta di torta.
«Se
rimani qui tutti i giorni per queste due settimane, Alice, vedrai che non
dovrai più solo ricordarle.» riuscii a stento a trattenere un risolino, tanto
che dovetti coprirmi la bocca con le mani.
«Ci
sto! Domani mi fermo a pranzo, se non è un problema.»
«Ma
quale problema, cara, è un piacere! Domani saremo solo io e Charlie, soli
soletti, perché Bella ha il suo lavoro e la bambina va a scuola … magari ci
facciamo un giretto per la città.»
«Senza
dubbio, ti porterò dove vuoi. Anche tu, Charlie, unisciti a noi!»
«Se
devo proprio …» mugugnò papà. Dalla sua faccia si capiva che quell’idea non gli
andava così a genio: e come poteva essere altrimenti? Lui odiava andare a fare
delle gite, a parte quelle che comprendevano un lago, una barca e una canna da
pesca.
«Comunque,
Bella … che mi racconti del tuo ammiratore? È tornato alla carica?» mi chiese
Jasper, forse per cambiare argomento … peccato che aveva scelto l’argomento
sbagliato!
Lo
guardai, imbambolata, e poi mi voltai perché improvvisamente tutti quanti si
erano zittiti, a tavola. Mamma e papà mi guardavano spaesati – papà sembrava
anche un po’ incazzato, a dire la verità – e Alice invece era divertita. Perché
era divertita?
«Il tuo
… ammiratore?» sussurrò mamma, battendo le palpebre velocemente. «Quale
ammiratore?»
«Nessuno,
mamma, nessuno!» mi affrettai a negare subito, non mi andava proprio di parlare
di quel troglodita di Edward. «Jasper sta scherzando, non c’è nessun
ammiratore!»
«Lo
spero per te, Bells.» disse papà, tornato subito di buonumore davanti alle mie
parole. «Non hai di certo bisogno di una nuova gatta da pelare, non adesso che
ti sei da poco sbarazzata di una.»
«Ma …
l’ammiratore c’è davvero!» Alice rincarò la dose, sempre sorridendo come se
nulla fosse. «Perché neghi, Bella? Ammettilo!»
«Alice!»
protestai.
«Bella,
adesso tu ci spieghi questa storia! Perché io e tuo padre non ne sappiamo
nulla?» domandò mamma, che si era ripresa da quel suo piccolo shock e adesso
era in cerca di spiegazioni, eccitata. No, okay, non andava bene se era
eccitata per un mio ammiratore.
«Un
secondo, per favore …» sbuffai, poi mi alzai e con Allyson in braccio uscii
dalla cucina. Meglio tenerla lontana, quella non era davvero una conversazione
adatta a lei …
«Amore,
stai un po’ qui mentre mamma e gli altri parlano un po’? C’è ‘Peppa Pig’ in
tv!» dissi, mentre mi sedevo sul divano insieme a lei.
«C’è
Peppa? Waw, che bello!» esclamò lei, contenta.
Beh,
per fortuna almeno lei lo era. Volevo restare anche io insieme a lei a guardare
i cartoni piuttosto che parlare di Edward e del suo tentativo di accalappiarmi
con i miei genitori!
«Bene,
allora fai la brava e guarda i cartoni.» raccolsi il telecomando e passai al
canale dove trasmettevano quello strano maiale rosa: inutile dire che lo odiavo
con tutta me stessa.
Lasciai
Allyson incantata davanti al televisore, con il muffin sbocconcellato che
stringeva ancora tra le manine paffute, e tornai in cucina dagli altri. Erano
tutti allegri, l’unico che sembrava immusonito era mio padre.
«Bella,
perché non mi hai detto prima che il tuo nuovo spasimante è un chirurgo?»
esclamò mia madre, non appena si rese conto che ero tornata da loro.
«Perché
non è un mio spasimante!» ribattei, con fare ovvio.
«Ma a
sentire quello che dice Alice, stravede per te! Posso capire se pensi che è
ancora presto cercare nuovi ragazzi, dopo così poco tempo dal divorzio, ma
almeno un pensierino fallo!»
Okay,
qualche demone aveva posseduto mia madre e nessuno se n’era ancora accorto!
Fino a qualche settimana prima mi sgridava dicendo che era ancora troppo presto
per pensare ai ragazzi, e adesso mi diceva di farci un pensierino?
Era
proprio partita di testa!
«Mamma,
io non penso proprio a nulla! Non voglio cercare altre storie in questo
momento.»
«Vedi,
Reneè? Nostra figlia per una volta ha ragione, non insistere troppo!» papà,
naturalmente, era d’accordo con me.
Sapevo
per quale motivo diceva così: la storia del matrimonio con James non gli era
mai piaciuta, anche se alla fine era stata necessaria per una buona causa.
Pensava che eravamo troppo giovani per compiere un passo così importante, senza
contare che lo eravamo anche per diventare genitori, ma alla fine aveva
accettato la nostra decisione, anche se a malincuore. Quando il matrimonio tra
me e James era finito ha sofferto, come tutti quelli che ci erano vicini ovviamente,
e adesso che le cose nella mia vita stavano andando meglio di certo non voleva
che arrivasse qualcosa a sconvolgerla nuovamente.
Io ero
del suo stesso parere.
Mia
madre scosse la testa, sconsolata. «Che peccato, sembra davvero un bravo
ragazzo questo Edward!»
Alzai
gli occhi al cielo. Oh, mamma, non sai quanto ti sbagli!
***
«Continuo
a pensare che dovresti conoscerlo meglio questo Edward, Bella. Non dico che ti
devi subito mettere con lui, ma almeno a diventarci amica …» mia madre non
demordeva proprio, e continuava con i suoi tentativi di convincermi a cambiare
idea.
Scossi la
testa, aggrottando anche le sopracciglia. «No, mamma, non penso proprio!»
«Ehi,
non mi rispondere così! Il mio era solo un consiglio … ma, perché non vuoi
approfondire questa conoscenza? Alice mi ha raccontato che lo hai trattato
molto male.»
Prima
di risponderle, e di farle capire per quale motivo avevo ‘trattato male’
Edward, bevvi un po’ della tisana al mirtillo che aveva preparato; mamma si
preparava sempre una tisana prima di andare a dormire, e per una volta mi ero
unita a lei ed al suo rito serale.
«L’ho
trattato male, perché lui ha provato a rimorchiarmi.» le dissi, abbassando la
tazza e circondandola con entrambe le mani.
«Beh,
non puoi mica compatirlo se ci ha provato: sei una ragazza molto carina,
tesoro. Ma solo per questo lo hai mandato via? Sei stata davvero maleducata!»
mi rimproverò subito.
La
guardai male. «Mamma, stava cercando di portarmi a letto! Non sono stata
maleducata, mi sono semplicemente difesa!»
Lei
sgranò gli occhi. «Ah! In questo caso, hai fatto bene allora. Direi che le
storie di solo sesso adesso sono proprio off limits, per te …» mormorò, bevendo
la sua tisana.
Meno
male che aveva capito, ed ero d’accordissimo con lei sul veto sulle storie di
solo sesso: ne avevo già avuta una in vita mia, e dovevo dire che mi era
bastata. Potranno anche essere soddisfacenti, divertenti e un sacco di altre
cose, ma ti regalano anche un sacco di guai.
Restammo
in silenzio per un po’, ed io occupai questo tempo osservando mia madre: aveva
addosso il suo solito pigiama estivo, composto da canotta e pantaloni di cotone
lunghi fino al ginocchio, color carta da zucchero. E nonostante i suoi quasi
cinquant’anni, il suo aspetto era molto giovanile. C’erano state alcune volte in
cui ci avevano scambiato per sorelle, e non per madre e figlia.
Abbassai
lo sguardo, puntandolo sulla tazza che ancora stringevo tra le mani, e mi morsi
le labbra. Volevo chiederle se sapeva qualcosa su James, se stava bene o
qualcosa di simile, ma non sapevo come chiederglielo … era semplice curiosità,
la mia, ma da una parte volevo davvero sapere qualche novità su di lui.
Non ci
eravamo lasciati così bene – lui stava male ed io ero terrorizzata da quello
che gli stava accadendo, per non parlare del fatto che nostra figlia stava
vivendo quella spiacevole situazione insieme a noi -, ma io gli volevo ancora
bene, come se fosse mio fratello, ed ero un po’ preoccupata per lui.
«Mamma
…» mi schiarii la gola prima di chiamarla.
«Sì,
tesoro?» vidi la sua mano comparire nel mio campo visivo e afferrare uno dei
biscotti da tè che erano poggiati su un piattino.
«Sai …
sai per caso qualcosa su … James?» chiesi, alzando il viso per osservarla.
Mia
madre era rimasta un po’ perplessa, alla mia domanda, senza contare che era
rimasta anche con la mano che teneva il biscotto sospesa sulla tazza. Mi
aspettavo di vederlo cadere con un piccolo ‘plunk’ dentro alla tisana.
Lei si
schiarì la gola, come avevo fatto io prima, e posò il biscotto sul tavolo prima
di rispondermi. «Come mai me lo chiedi, Bella?»
«Beh …
voglio sapere se sta bene, tutto qui. E sono un po’ preoccupata per lui, non
posso nasconderlo.» ammisi.
«Ti sei
affezionata a lui, cosa normale tesoro mio … ma io so poco o niente.» disse,
sospirando. «Ho parlato con sua madre, un paio di giorni dopo la tua partenza,
e mi ha detto che non lo sente da diversi mesi … ma perché sta risolvendo il
suo problema e gli hanno vietato di tenere contatti con le persone che
conosce.»
Per
fortuna che sapeva poche cose! Mia madre mi faceva ridere, alcune volte.
«Sta
risolvendo il suo problema? Vuol dire che si sta … disintossicando? Perché non
me l’hai detto prima?» quasi urlai, e sgranai anche gli occhi.
«Perché
queste non sono cose che possono essere dette per telefono!» esclamò, in via
difensiva. «Ed in un certo senso, sì, sta risolvendo il suo problema. Spero
proprio che ce la faccia, è un bravo ragazzo in fondo. Ha avuto solo la
sfortuna di cadere in quel baratro schifoso che è la droga.»
Annuii,
mentre riflettevo sulle sue parole. «Già, è un bravo ragazzo.»
Mezz’ora
dopo, ero distesa sul divano che era diventato il mio letto per quei giorni, e
stavo cercando di leggere qualche pagina del mio libro prima di addormentarmi …
ma non ci riuscivo. Tornavo sempre con il pensiero a James, e a quello che la
mamma mi aveva detto su di lui.
Ero
felice di sapere che stava cercando di risolvere il suo problema con la droga,
meritava proprio di riuscire a dare un taglio a quella robaccia e di tornare ad
essere il ragazzo allegro che era una volta … ma una parte di me provava anche
un po’ di timore, a quella notizia.
Non
avevo paura che potesse provare a cercarci, una volta che fosse riuscito a
chiudere con la droga e che fosse uscito dal centro di riabilitazione: la mia
paura riguardava la possibilità che potesse cercare di portarmi via Allyson.
Il
giudice gli aveva tolto la tutela di nostra figlia, affidando totalmente la
bambina alle mie cure proprio perché di lui non ci si poteva fidare per via della
sua condizione. Un brivido corse lungo la mia schiena, immaginando che un
giorno avrebbe potuto fare qualcosa per portarmela via.
Gettai
il libro a terra, coprendomi gli occhi con le mani: no, non dovevo pensare a
queste cose così orrende. E poi conoscevo James, lui mi voleva bene e sapevo
che non avrebbe mai potuto farmi qualcosa del genere, qualcosa che avrebbe potuto
causarmi dolore e dispiacere. Sapeva quanto volevo bene a nostra figlia …
E
allora perché non riuscivo a tranquillizzarmi?
«Mami?»
il sussurro leggero di mia figlia mi fece quasi sobbalzare sul divano.
Tolsi
le mani dagli occhi, osservando il punto da cui proveniva la sua voce: se ne
stava ferma sulla soglia del salotto e mi osservava, impaurita, con il suo
peluche preferito stretto al petto. Aveva anche il pollice in bocca, gesto che
faceva solo quando aveva paura di qualcosa.
«Amore,
sei ancora sveglia? È tardi …» le dissi, e mi misi a sedere poggiando la
schiena contro il cuscino, poggiato a sua volta contro il bracciolo del divano.
«È successo qualcosa?»
«Ho
fatto un brutto sogno.» mi rivelò Allie, sempre con il pollice stretto tra le
labbra. «Posso dormire con te?»
«Ma
certo che puoi, piccola. Vieni qui dalla mamma!» allargai le braccia,
sorridendole, e questo bastò per far sì che Allyson si precipitasse verso di
me.
Si
arrampicò sul letto improvvisato e poi, senza mollare il suo Stitch, si buttò tra
le mie braccia posando la testa sul mio seno. Le baciai la fronte, stringendola
forte e sistemandola meglio sulle mie gambe.
Spesso,
quando aveva qualche incubo, Allie aveva l’abitudine di venire da me per
dormire: la paura la spingeva a trovare un po’ di compagnia. Sapevo che quella
era una brutta abitudine, specialmente per lei che cominciava ad essere un po’
grandicella per dormire ancora con la sua mamma, ma non potevo farci proprio
niente.
Mi
piaceva tranquillizzarla e farla addormentare accanto a me, mi ricordava quando
era ancora una neonata, quando l’unico modo per farla dormire era, per
l’appunto, quello di cullarla lentamente tra le braccia.
«Vedrai
che adesso, quando ti addormenti, i brutti sogni non arriveranno più.»
sussurrai, baciandole ancora una volta la fronte. «La mamma li manderà via tutti
quanti … vuoi anche la canzoncina?»
Allyson
annuì, senza dire niente, così cominciai a canticchiare quella che era
diventata un po’ la sua canzoncina della buonanotte, e che tante volte mia
madre aveva cantato a me quando ero una bambina.
«Dormi bimba, fai la nanna, qui con te c’è la
tua mamma. Ninna nanna, il cielo è blu, dormi piccola anche tu! Che il tuo
letto sia una culla, non pensare adesso a nulla. Dormi dormi sol beata, da
Morfeo ogn’or cullata …»
Continuai
a cantare sottovoce, con le labbra contro i capelli di mia figlia, mentre pian
piano la sentivo abbandonarsi di nuovo al sonno. Non appena sentii il suo
respiro diventato profondo e regolare, tornai a sdraiarmi lentamente e la
coprii meglio con il lenzuolo leggero.
Io
restai sveglia ancora per un po’, beandomi del suono quasi impercettibile del
suo respiro. Le baciai i capelli, piano, e le strinsi una manina.
Solo
per un attimo ripensai a James e alle mie paure sul fatto che potesse portarmi
via la bambina, ma io ero certa di una cosa: se anche ci avesse provato, non ci
sarebbe riuscito molto facilmente.
_______________
Bene, finalmente sappiamo qualcosa in più su James,
sul suo problema con la droga e sulla causa del loro divorzio. La spiegazione
più approfondita arriverà più avanti, sarà proprio Bella a raccontarla in un preciso
momento della storia ;)
|
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
Solo Il Tempo... - Capitolo9
Ciao!
Vi avevo promesso il nuovo capitolo per
questo fine settimana e, come potete vedere, ci sono riuscita :3 arrivo in
anticipo di un giorno perché ho un sacco di cose da fare e non ero sicura di
postare domani… quindi, eccomi qua XD
Nel capitolo di oggi non accade nulla di
che, nel prossimo invece … beh, il prossimo è bello movimentato! Lo sto già
scrivendo e mi manca giusto la parte finale, quindi sono super sicura che per
la settimana prossima sarà bello che pronto :3
Intanto, godetevi questo – spero che vi
piaccia, ragazze :D e scusate la presenza di eventuali strafalcioni che sicuramente
mi sono sfuggiti ^-^’
Ci vediamo l’anno prossimo (buahahahahah
come sono simpatica X’D), e mi raccomando passate un buon Capodanno :D
Gruppo
Facebook
Solo il
tempo…
Capitolo
9
La
prima settimana di vacanza dei miei genitori era già trascorsa, e mancavano
pochissimi giorni alla loro partenza; ne ero felice, da una parte, ma ero anche
dispiaciuta pensando che poi non li avrei rivisti per un bel po’ di tempo. Beh,
questa dopotutto era la conseguenza del vivere in città diverse.
I miei
genitori erano venuti a Los Angeles per aiutarmi con la sistemazione della casa
nuova, cosa che avevo cercato di evitare in tutti i modi, e anche per
trascorrere un po’ di tempo insieme vista la lontananza che c’era adesso tra di
noi … ma per lo più, erano venuti qui per festeggiare tutti insieme il mio
compleanno.
Già, quel
particolare giorno si avvicinava sempre di più.
Stavo
per compiere ventitré anni, e non ne andavo poi così pazza. Io ero una di
quelle persone che odiava da morire festeggiare il suo compleanno. Io, per
essere più precisa, odiavo con tutta me stessa essere al centro dell’attenzione
ed avere tutti gli occhi delle persone puntati addosso … mi sentivo sempre a
disagio, era più forte di me.
Mia
madre, all’inizio della nuova settimana di vacanza, aveva già cominciato a
farmi domande sul come avrei voluto trascorrere quel giorno importante. Ed io,
come al solito, le avevo detto che non avrei voluto fare nulla di speciale …
ossia, un bel niente!
Lei non
era rimasta molto soddisfatta della mia risposta, visto che voleva davvero
progettare qualcosa di carino per me, ma mi ero imposta e le avevo vietato di
fare qualsiasi cosa. Certo, sapevo che non sarei riuscita ad evitare i regali –
ne ricevevo sempre una caterva, nonostante le mie proteste -, ma almeno quelli
sarei riuscita a sopportarli.
Ma una
festa … no, non sarei sopravvissuta a una festa. Odiavo le feste.
Per
fortuna che solo la mia famiglia e Alice sapevano che si stava avvicinando il
giorno del mio compleanno, cosa che ero in grado di gestire alla perfezione. Al
lavoro, poi, nessuno sapeva quand’era che compivo gli anni, quindi potevo stare
tranquilla. Avevo quasi avuto la tentazione di dirlo a Carmen, ma poi mi ero
fatta gli affari miei e avevo taciuto.
Lei era
un tipetto abbastanza bizzarro e imprevedibile, e non volevo rischiare che si
lasciasse sfuggire una simile notizia con la conseguenza che poi tutti gli
altri miei colleghi sapessero tutto.
Mi
vergognavo davvero tanto, quando ero al centro dell’attenzione!
Vedere
per credere.
Mordendomi
in maniera abbastanza nervosa le labbra, mentre sistemavo i miei vestiti
nell’armadietto a me riservato, ripensavo a quelle cose. Era incredibile: più
cercavo di non farlo, e più mi capitava di soffermarmi su quei pensieri. Mi
stavo rammollendo, caspita!
Però,
non era tutta colpa mia se ci pensavo continuamente. La colpa era anche di mia
madre e di Alice, che tentavano di convincermi a tutti i costi di organizzare
qualcosa per festeggiare. Ma io non volevo festeggiare, quindi perché
insistevano così tanto? Così perdevano solo tempo!
Sospirai,
chiudendo per un istante gli occhi, e mentre prendevo tra le mani la blusa del
mio camice li riaprii. No, anzi, li spalancai di scatto per la sorpresa e per
l’imbarazzo.
Mi
trovavo ancora davanti al mio armadietto, ancora aperto e dotato di un piccolo
specchio che usavo spesso per sistemarmi i capelli alla fine del mio turno.
Quella mattina, però, era servito per rivelare la presenza di Edward Cullen
alle mie spalle, che mi stava osservando con estrema attenzione ed in completo
silenzio mentre io mi cambiavo.
Era
imbarazzante e frustrante vederlo lì, senza contare che io in quel momento indossavo
solo pantaloni e reggiseno e che gli stavo mostrando un bel po’ della mia
mercanzia, e per di più senza volerlo davvero. Arrossii, solita reazione di
quando mi vergognavo per qualcosa, e distolsi lo sguardo dallo specchio mentre
mi accingevo ad indossare la blusa bianca per coprirmi.
«Che ci
fai qui? Questo è lo spogliatoio degli infermieri.» dissi, piccata, ma senza
voltarmi. Anzi, continuai a dare un sacco di importanza al contenuto del mio
armadietto, anche se non stavo cercando nulla che mi servisse veramente.
«Ti
stavo aspettando.» rispose lui, semplicemente, poi sentii i suoi passi che si
avvicinavano a me.
Non mi
voltai per vedere cosa stesse facendo, ma mi limitai a sbirciare con la coda
dell’occhio e ad aiutarmi in questo c’era lo specchio. Edward si era avvicinato
di parecchio a me, e mi osservava con sguardo intenso e pensieroso.
Cercai
di non mostrare nessuna emozione, nonostante stessi fremendo per il timore e
per la rabbia. Con gesti veloci, tolsi dal polso l’elastico dei capelli che
tenevo sempre lì per le emergenze e cominciai a tirare su i capelli nella
solita cipolla disordinata.
Fu la
mossa sbagliata da fare.
Come
vide il mio gesto, Edward mi abbracciò da dietro e posò le sue labbra sulla mia
nuca scoperta. Un fremito improvviso mi corse lungo la schiena, ma la mia
reazione fu causata più per la sorpresa che per altro. Mi arrabbiai anche.
Insomma,
come si permetteva di fare certe cose? Mi dimenai, e svicolai dalla sua presa.
«Ma che
ti prende? Sei impazzito?» urlai, guardandolo con gli occhi che da un momento
all’altro potevano cominciare a lanciare fiamme.
«Scusami,
ma è stato più forte di me. Dovevo … sentirti.» lui, con gli occhi che sembrarono
essere diventati più scuri di prima, appoggiò le mani sugli altri armadietti
chiusi e sospirò prima di scompigliarsi i capelli.
Non
avevo la più pallida idea del motivo per cui mi aveva ‘assalita’ in quel modo,
e di certo non mi andava di scoprirlo. Erano affari suoi, a me non interessava
proprio venirne a capo.
E poi,
stavo facendo tardi al lavoro per colpa sua!
«Spostati,
per piacere!» esclamai, seccata. Mi misi accanto a lui e cominciai a rovistare
all’interno dell’armadietto, ma stavolta lo feci per cercare il mio cellulare e
il mio cercapersone. Controllai l’ora sullo schermo del telefono, notando che
ero in leggero ritardo.
Merda!
«Perché
mi tratti in questo modo? Che ti ho fatto di male?» mi chiese lui ad un tratto,
distogliendomi dalla mia fretta di acciuffare quello che mi serviva e di
scappare il più lontano possibile da lui.
Sbuffai,
fermandomi e girando il viso verso di lui. «Lo sai benissimo, il motivo, quindi
non provare a fare il finto tonto con me.»
«Se è lo
stesso dell’altra volta, ti dico di nuovo che non è come pensi te.» adesso si
stava arrabbiando anche lui, ed il suo viso diventato tutto d’un tratto duro e
feroce me lo fece capire alla perfezione.
«Non mi
interessa quello che dici, io non cambio idea. Quindi, se vuoi scusarmi, vado a
lavorare …» chiusi con uno scatto secco l’armadietto, e mi allontanai mentre
stringevo forte tra le mani il cercapersone.
«Sì,
per stavolta vai pure. Ma prima o poi dovrai ascoltarmi, Isabella, vedrai.» mi
sembrava quasi una minaccia, la sua, ma non mi ci soffermai a rimuginarci
sopra.
Camminai
rapidamente verso la porta dello spogliatoio e uscii, chiudendomela alle
spalle. Grazie a Edward Cullen, il mio umore era cambiato di colpo e adesso non
ero proprio in vena di nulla.
Grandioso.
Bell’inizio di giornata!
***
Evitai
Edward come la peste per tutta la mattina, scappando via non appena mi capitava
di avvistare la sua folta chioma rossiccia nei corridoi. Dovevo ringraziare il
fatto che avesse un colore di capelli così particolare e, quindi, abbastanza
vistoso.
Per
colpa sua non riuscii a lavorare con la solita calma e tranquillità che
sfoggiavo di solito. Dovette notarlo anche Carmen perché, durante la nostra
pausa pranzo, mi chiese più di una volta se c’era qualcosa che non andava per
il verso giusto.
«Ma che
dici, no! È tutto a posto.» le risposi, dando un morso al mio sandwich al pollo
e sperando che non continuasse a domandarmelo.
«Sarà,
ma per me sei un po’ troppo strana, Bella. Più strana del solito.» Carmen
scrollò le spalle e arcuò le sopracciglia mentre beveva la sua bibita.
«Io non
sono strana!» ribattei, strozzandomi quasi con il boccone che stavo deglutendo.
«Qualche
volta lo sei, non dire di no.»
Arricciai
le labbra, sentendomi un po’ offesa, e non replicai.
Stavo
tornando a mangiare il mio panino, quando vidi che Edward era appena entrato
nella mensa insieme a suo padre. Sapevo che se era con lui non avrebbe mai
provato a fare qualcosa di insensato – come ripetere l’assalto di quella
mattina, per esempio -, ma non riuscii a evitare di lanciare un urlo strozzato
e di rintanarmi sotto al tavolino.
Ero
patetica, ma non volevo che mi vedesse.
«Ma che
combini, si può sapere?» la mia amica, un po’ scioccata per la mia reazione, si
chinò sotto il tavolo e mi lanciò un occhiataccia inviperita.
«Mi …
mi è caduta la forchetta!» mentii, e seppi subito che lei non ci era cascata.
Sul pavimento, sotto la mia faccia, non c’era nessuna forchetta, senza contare
che avevo persino evitato di prenderle e di metterle nel mio vassoio.
«Cazzo
dici, Bella! Non c’è nessuna forchetta qui!» ecco, appunto, non ci era cascata.
«Mi
sono sbagliata, allora.»
Deglutii,
a disagio, e mi rialzai. Inutile dire che mi sentivo enormemente a disagio e
che speravo con tutta me stessa che Edward non stesse guardando dalla nostra
parte. L’ultima cosa che volevo era proprio quella.
Cominciai
a mangiare a testa china perché non volevo incrociare neanche per sbaglio il
suo sguardo, e Carmen non disse nulla sul mio comportamento, anzi, cambiò
argomento e prese a parlare del fatto che presto lei e il suo futuro marito si
sarebbero trasferiti nella nuova casa che avevano da poco acquistato.
Quando
ormai avevo finito di mangiare, e non avevo più scuse per restare con gli occhi
a due centimetri di distanza dal piatto, rialzai la testa e puntai lo sguardo
di fronte a me. Capii solo due secondi dopo che quella era una mossa sbagliata
… l’ennesima della giornata.
A
diversi tavoli di distanza dal nostro, dietro alla mia amica, c’erano seduti
Edward e Carlisle insieme a un paio di altri medici. Il caso aveva voluto che
Edward fosse seduto di fronte a suo padre, da dove poteva avere sicuramente una
bella visuale di noi due che mangiavamo.
Ed in
quel momento lui mi stava guardando. Non appena notò il mio sguardo fisso su di
lui, sorrise in modo sghembo e inarcò un sopracciglio, sfacciato.
«Merda!»
esclamai, mentre mi nascondevo la faccia tra le mani.
«Vedi,
te l’avevo detto che sei strana oggi!» Carmen, da saputella, schioccò la
lingua. «Adesso non inventarti più scuse e raccontami cosa diavolo sta
succedendo, su!»
Aprii
uno spiraglio tra le dita e la osservai, sentendo il calore delle mie guance
contro i palmi delle mani. «Edward mi sta guardando.»
«Cosa?» soffiò, e fece per voltarsi ma la
bloccai prima che potesse farlo.
«No!
Sei impazzita?! Non voltarti!»
«Va
bene, non mi volto. Ma … perché ti sta guardando? Non avevate litigato, voi
due?»
«Sì,
abbiamo litigato. Ma, c’è dell’altro …» e fu necessario, quindi, raccontarle
quello che era accaduto alcune ore prima.
«Edward
Cullen è attratto da te, non c’è nessun dubbio.» borbottò lei, accarezzandosi
le labbra con le dita. «Secondo me fai bene a respingerlo, però …»
«Però?»
quella sospensione della frase non mi piaceva per niente, e cominciai a
preoccuparmi.
«Però
dovresti davvero sentire cos’ha da dire. Sai com’è, sono curiosa! Magari lo
stai a sentire per un paio di minuti, e poi lo mandi a quel paese.»
Sbuffai.
«No, non mi va di perdere tempo con uno come lui per sentirmi dire che vuole
scoparmi e basta. Ne ho avuto abbastanza di storie di solo sesso.»
«Pensaci
bene, Bella! Potresti anche sbagliarti, e magari lui vuole conoscerti davvero e
non vuole conoscere solo il tuo corpo.»
«Non
dire altro, per favore! Non mettermi la pulce nell’orecchio!» la supplicai,
tappandomi le orecchie con le mani.
Fu il
turno di Carmen di sbuffare, adesso, e di alzare gli occhi al cielo. «Sei
testarda peggio di un mulo, non è possibile convincerti in nessun modo!»
Sorrisi.
«In questo caso, sono fiera e orgogliosa della mia testardaggine.»
Lei non
replicò, limitandosi la lanciarmi fulmini con gli occhi mentre finiva la sua
bibita.
Quando
lasciammo la mensa, fummo costrette a passare accanto al tavolo di Edward per
poggiare i vassoi e per raggiungere l’uscita, cosa che odiai con tutta me
stessa. Non appena passammo accanto a lui – Carmen mi costrinse a mettermi
dalla parte di Edward, quella arpia! -, mi osservò con un sorrisino beffardo
sulle labbra e mi fece l’occhiolino.
Cioè,
l’occhiolino!
Ma chi
si credeva di essere?
***
Il
pomeriggio, almeno quello, andò un po’ meglio. Avevo approfittato del fatto che
i miei fossero in città quelle due settimane per fare qualche ora di
straordinari: ero seriamente intenzionata a portare Allyson a Forks per le
vacanze di Natale, e volevo prendermi più giorni di ferie possibili.
Certo,
sapevo che a Natale mancavano ancora qualcosa come più di tre mesi, ma volevo
approfittare di ogni occasione buona che mi capitava davanti e di prenderla al
volo accumulando ore extra.
Anche
quel pomeriggio erano previste due ore in più di lavoro, e quindi sarei uscita
dall’ospedale alle sei invece delle quattro. Per fortuna che c’era mia madre a
prendersi cura di mia figlia, e sarebbe andata lei a prenderla all’asilo.
Chissà
come aveva trascorso la giornata la mia piccola brontolona … spesso e
volentieri mi ritrovavo a pensare a lei durante il lavoro, e ogni volta mi
sorprendevo di quanto mi mancasse quando non era con me. I suoi pasticci però,
a dire la verità, non mi mancavano per niente.
Solo il
giorno prima aveva deciso di dare una svolta al suo look, e senza dire niente a
nessuno si era tagliata da sola alcune ciocche di capelli. Per fortuna che
aveva deciso di tagliare quelle che le ricadevano sulla fronte, e si poteva
porre rimedio facilmente al problema: Rose l’aveva portata al suo salone di
bellezza e in poco tempo un parrucchiere le aveva sistemato le ciocche
incriminate, facendole una graziosa frangia.
Ci
stava bene, in effetti. Mi chiesi più volte se mia figlia non nascondesse dentro
di sé un futuro come hair-stylist …
Il
cellulare che suonava mi distolse dai miei vaneggiamenti; riconobbi subito la
suoneria che avevo associato al numero di Alice, quindi mi preparai mentalmente
a sentirla blaterare per un po’ di qualcosa mentre cercavo le cartelle mediche
che mi aveva chiesto Brenda.
«Dimmi,
Cece!» esclamai, fermando il cellulare tra orecchio e spalla.
«Spiegami meglio la storia che mi ha appena
raccontato tua madre! Perché non vuoi festeggiare il tuo compleanno?» mi
attaccò subito senza neanche dire ‘ciao’. Beh, neanche io l’avevo salutata in
effetti …
«Perché
non serve! Non c’è nulla da festeggiare.»
«Questa è la cazzata più grande che ti ho
sentito dire! Bella, giuro che ti farò cambiare idea entro due giorni!»
«Non
vedo come potresti riuscirci …»
«C’è un tavolo prenotato a tuo nome per
cinque persone al ‘Blues Club’, il 13 Settembre! Adesso la cambi idea?»
Fermai
i miei movimenti non appena sentii quelle cose. Aveva prenotato un tavolo a
nome mio, per cinque persone, in un posto che non avevo mai sentito nominare, a
mia insaputa. Ma era impazzita?
«Che
cazzo hai fatto?» mormorai, cercando di trattenermi dall’urlarle contro. Per
evitare anche di fare danni, strinsi il telefono nella mano.
«Non hai capito? Allora te lo ripeto: il 13
Settembre andiamo al ‘Blues Club’,
c’è un tavolo prenotato per cinque e festeggiamo tutti insieme il tuo
compleanno!» cinguettò, tutta contenta e soddisfatta.
«Tu
vuoi morire, o cosa? Al, ti ha dato di volta il cervello?» gridai, smettendo
definitivamente di cercare quelle dannate cartelle e cominciando ad inveire
contro la mia ex migliore amica.
«Essu, Bella mia, nessuno è mai morto per una
festa di compleanno! Hai ventitré anni, svagati un po’! Quand’è stata l’ultima
volta che hai fatto un po’ di baldoria?»
Non le
risposi, anche perché non me lo ricordavo proprio. «Non è importante, questo!
Resta il fatto che hai fatto tutto di testa tua e non dovevi farlo! Ti odierò
per questo!»
«Oh, non devi ringraziarmi! Ti voglio bene
anche io!» chiusi gli occhi, esasperata, sentendo come stava rispondendo
alle mie parole. «Allora, che ne pensi?
Ho prenotato per le otto e passiamo a prenderti io e Jasper, visto che non sai
dov’è il posto, mentre Rose e Emmett ci aspettano direttamente lì! La cosa
bella è che tu non devi pagare nulla, è un regalo dei tuoi genitori!»
Oh,
bene! Adesso sapevo anche con chi altri prendermela oltre a lei. «Vaffanculo!»
«Ma come sei sboccata! Ci sentiamo più tardi
per parlare meglio! Buon lavoro tesoro!»
«No!
Non farti sentire per niente!» naturalmente parlai da sola, visto che Alice
aveva già riattaccato e non aveva sentito una cippa.
Avevo
cercato di evitare la storia dei festeggiamenti e tutto il resto, e invece
adesso mi ritrovavo con una prenotazione e con una cena regalata dai miei
genitori. Dovevo provvedere ad ubriacarmi per sopportare meglio quella tortura.
«Problemi?»
Mi incazzai
ancora di più sentendo la sua voce.
Mi
voltai, con gli occhi che lanciavano fiamme, e osservai Edward che se ne stava
tranquillamente appoggiato al muro. Dovevo ammettere che in quella posizione
era davvero un bel ragazzo, senza contare gli occhiali che indossava e che gli
conferivano fascino e charme.
Oh, ma
che cazzo andavo a pensare?
«Non
sono affari tuoi!» risposi, piccata, alzandomi in piedi: per tutto quel tempo
ero rimasta in ginocchio sul pavimento e adesso sentivo le mie gambe che
protestavano contro di me. «Che ci fai qui? Mi stai spiando?»
«Io?!»
chiese, sgranando gli occhi e poggiano le mani sul petto. «Assolutamente no!
Sono venuto a vedere se riuscivi a trovare quelle cartelle cliniche … sai, mi
servono urgentemente.»
Me ne
stetti in silenzio mentre riprendevo a cercare quelle dannate cartelle. La
giornata non era andata come speravo, e adesso ci mancava solo che mi mettessi
a cercare qualcosa per Edward dopo che lo avevo evitato per tutto il giorno!
Se
qualcuno ce l’aveva con me, beh, direi che il malocchio che mi aveva lanciato
era riuscito alla grande!
«Quindi,
chi è Al? Ti ha fatta arrabbiare?» domandò dopo un paio di minuti, quando mi
voltai verso di lui con le cartelle che gli servivano.
Inarcai
un sopracciglio: aveva sentito la mia conversazione di prima? «Perché ti
interessa?»
Lui
scrollò le spalle, storcendo per un secondo le labbra. «Mi interessa qualsiasi
cosa che riguarda te, Isabella.»
«Pfft!
Sì, come no.» non potei trattenermi dal risultare sarcastica.
«Non ci
credi, eh? Già, tu non vuoi ascoltarmi e quindi non mi credi.» sembrava
dispiaciuto per quella constatazione.
Sbuffai
di nuovo: stava cominciando a scocciare davvero. «Va bene, ti ascolto! Su,
parla e finiamola con questa storia.» mi arresi, incrociai le braccia al petto
e mi preparai a sentire cos’aveva da dire.
Stavo
per fare come mi aveva suggerito Carmen durante il pranzo: avrei fatto parlare
Edward, lo avrei ascoltato e poi me ne sarei andata. Sperai che fosse davvero
così facile come sembrava dentro la mia testa.
«Dici
sul serio?» sembrò sorpreso dal mio cambiamento di decisione, e cominciò quasi
subito a parlare. Forse credeva che avrei potuto cambiare di nuovo idea, cosa
di cui ero fortemente tentata. «Okay. Ehm … tu pensi che io sia interessato a
te solo per il sesso, vero? Non è così. Tu mi piaci, e mi piacerebbe conoscerti
meglio.»
Inarcai
un sopracciglio. «Ti piacerebbe conoscerti meglio, però intanto mi salti
addosso e ci provi con me come se volessi violentarmi!»
«Giuro
che non volevo darti questa impressione di me! La situazione mi è … sfuggita di
mano.» sembrava sincero, ma io non riuscivo ancora a credergli.
«Se sei
davvero interessato a me … se ti piaccio, perché sei corso da quella sgualdrina
non appena ti ho rifiutato?» già che c’ero, potevo sapere qualcosa di più sul
rapporto che aveva con Lauren l’infermiera. Ero una donna, dopotutto, farmi gli
affari degli altri era nella mia indole.
«Sono
un uomo, Isabella. Ho bisogno di svuotarmi le palle ogni tanto.» rispose senza
tanti giri di parole.
Però,
che finezza.
Sospirai.
«Bene, non ho di che farmene di uno che va a svuotarsi le palle alla prima
occasione e con la prima che gli capita a tiro. Posso andare via adesso?»
chiesi, preparandomi ad andare il più lontano possibile da lui.
«Tutto
qui? Non hai cambiato idea?» la delusione era ben visibile sul suo volto, ma io
che potevo farci? Non mi fidavo di lui e delle sue parole, senza contare il
comportamento che aveva sempre avuto e le scappatelle in giro per l’ospedale …
No, non
potevo cambiare idea su di lui così, su due piedi e senza averci speso almeno
tre notti insonni.
«No,
non ho cambiato idea. Mi dispiace, ma non ce la faccio … scusami, ma adesso
devo proprio andare.» mi voltai e, quasi correndo, uscii dalla stanza.
Edward
non mi seguì e non disse nulla mentre fuggivo da lui. Forse ero finalmente
riuscita a fargli capire che di lui non me ne importava un fico secco e che
doveva lasciarmi in pace.
Però,
il pensiero di lui che mi avrebbe evitato da quel momento in avanti mi
infastidiva, e anche molto.
Perché?
***
«Dai,
tesoro, non tenere il muso. Sembra che ti stai preparando per un funerale e non
per la tua festa di compleanno!» pigolò mia madre, ferma sulla soglia del
bagno.
Arricciai
le labbra, voltandomi leggermente verso di lei e cercando allo stesso tempo di
tenere d’occhio l’arricciacapelli che stringevo in mano. «Come faccio, mamma?
Odio le feste di compleanno! Quelle che riesco a tollerare di più sono quelle
che organizzo per mia figlia, e solo perché si tratta di mia figlia!»
«Non ho
mai capito questa tua avversione per i compleanni, sul serio Bella! Ma, per una
volta, pensa positivo e vedrai che ti divertirai … sei con i tuoi amici,
dopotutto, no?»
Annuii,
stando in silenzio. Riportai gli occhi sullo specchio e sulla mia immagine
riflessa, che mostrava una ragazza vestita di tutto punto e che era impegnata
ad arricciarsi i capelli. Liberai l’ultima ciocca dall’arricciacapelli e la
lasciai ricadere insieme alle altre: per una volta, la mia chioma ribelle aveva
finalmente assunto un bell’aspetto ordinato ed ondulato.
«Vedi?
Sapevo che ti sarebbe stato bene questo abitino!» naturalmente, mia madre si
stava riferendo al mini abito color ametista che avevo indossato sotto suo
ordine … ma visto che era davvero troppo corto per i miei canoni, avevo
rimediato indossando anche dei leggings neri lunghi fino al ginocchio.
«Già.
Per una sera posso fare il sacrificio di indossare un vestito.» ridacchiai, gettando
un occhiata alla gonna mentre agitavo un po’ i capelli per renderli più gonfi.
«L’unica
cosa che manca adesso sono le scarpe! Vado a vedere cos’hai nascosto nella
scarpiera.» disse tra sé mentre andava via.
Mia
madre, quando ci si metteva, diventava più eccitata di un’adolescente alla sua
prima festa tra i grandi. Ricordai che anche per il ballo di fine anno a cui
avevo partecipato insieme a Mike era così entusiasta, mentre io ero totalmente terrorizzata
all’idea di prendervi parte … senza contare il timore che avevo di inciampare
nell’orlo del vestito oppure di mettere un piede in fallo a causa dei tacchi
alti.
Sperai
che anche per quella sera non fosse così. Non volevo davvero dare spettacolo di
me!
Uscii dal
bagno nello stesso momento in cui mia madre tornò, con un paio di decolté nere
aperte in punta. Mi sorrise, agitandole divertita. «Queste andranno benissimo!
Stasera sei davvero una favola, tesoro!»
«Grazie,
mamma.» borbottai con poco entusiasmo mentre prendevo le scarpe e mi preparavo
ad indossarle.
«Non è
che accalappi qualcuno, eh?»
La
guardai male. «Mamma, smettila con queste storie!»
«Scusa,
scusa! Era solo un pensiero.»
Sospirai,
poggiandomi alla parete mentre cercavo di infilare quegli aggeggi ai piedi.
Erano un po’ strettine, segno che quel paio di scarpe dovevo averle indossate
una volta e basta … o forse nemmeno quella.
Non ero
davvero un tipo da tacco a spillo, ma più una da scarpe da ginnastica tutti i
giorni. I tacchi li indossavo, sì, ma solo nelle occasioni speciali e dove era
doverosa la loro presenza.
Un
piccolo tornado biondo e urlante mi si aggrappò alle gambe non appena finii di
calzare le scarpe: osservai Allyson che nascondeva il viso tra le mie ginocchia
e cercava disperatamente di attirare la mia attenzione. Impresa facile, visto
che per poco non mi faceva cadere a terra!
«Allie,
che succede? Lo dici alla mamma?» mormorai mentre la prendevo in braccio.
«Mi sto
nascondendo dal nonno! Lui è il lupo cattivo e io sono Cappuccetto Rosso!»
esclamò, con gli occhioni enormi che si spalancarono ancora di più non appena
mi guardò in viso. «Uau, sei bellissimissima mamma!»
«Grazie
amore!» le baciai le guance piene, sorridendo. «Ma tu sei sempre più bella di
me!»
«Non è
vero, siete bellissime tutte e due!» ribatté mia madre, abbracciandoci
entrambe. «Avete ripreso da me.»
«Allora
sei bellissima anche tu, nonna!»
«Grazie,
stellina.» mia madre la ricompensò con un bel bacino sugli occhi, che la fece
scoppiare a ridere.
A
distrarci dal nostro piccolo siparietto tra donne giunse mio padre. Aveva
indossato un cappello con le orecchie – che, tra parentesi, era di mia figlia –
e ringhiava come un cane rabbioso.
«Ahrr,
ti mangio ti mangio!» urlò, mentre avanzava verso di noi.
Allyson
cominciò a strillare e si aggrappò a me mentre guardava mio padre che si
avvicinava: ricordai, così, il gioco di Cappuccetto Rosso che stavano facendo
prima.
«Alt,
lupo cattivo! Io sono il Cacciatore ed è giunta finalmente la tua ora!» mia
madre si mise davanti a me e a sua nipote e urlò, brandendo un fucile
invisibile. «BANG! Sei morta, brutta bestiaccia!»
«Reneè!
Ci stai rovinando il gioco, che cavolo!» si lamentò subito papà, squadrando
male sua moglie.
«Non
l’ho rovinato, ho solo anticipato la fine. Tutti sanno che il lupo viene ucciso
dal cacciatore alla fine della storia!»
«Ha
ragione la nonna, nonno!» disse Allyson tutta contenta, ancora abbarbicata a
me.
«Visto,
Charlie? Smettila di lamentarti! Allie, vieni con me, così mi aiuti a preparare
la cena.» mia madre rubò la bambina dalle mie braccia e si dileguò, diretta in
cucina.
«Puah!
Le donne …» borbottò papà, allontanandosi imbronciato. Tempo dieci secondi, e
sentii la tv sintonizzata sul canale sportivo.
Sbuffai,
divertita, e scossi la testa. Mi voltai per andare in camera a recuperare una
borsa da abbinare al mio vestito, ma feci dietrofront non appena sentii il
citofono suonare. Mi precipitai su di esso, ticchettando con le scarpe, e
risposi senza neanche controllare chi fosse: tanto, sapevo chi era appena
arrivato.
«Salite
pure.» dissi, aprendo il portone e la porta di casa.
Andai
in camera e dopo aver recuperato una borsetta nera uscii, sentendo le voci dei
nuovi arrivati confondersi con quelle dei miei genitori e di mia figlia. Entrai
in salotto e trovai tutti lì: Alice però spiccava più di tutti, con un abito nero
e argento che brillava peggio di un albero di Natale.
«Aw,
ecco la festeggiata! Tanti auguri Bella!» cinguettò lei, buttandosi su di me e
schioccandomi un bacio sulle guance.
«Grazie
Alice, grazie!» dissi, imbarazzata per la sua veemenza … ma lei era fatta così
e non potevo fare assolutamente niente. Dovevo solo riprendere confidenza con
il suo carattere solare e estroverso.
Non
appena Alice mi lasciò andare, fu il turno di Jasper di farmi gli auguri: lui
però era decisamente più tranquillo della fidanzata, visto che si limitò a
baciarmi le guance e a stringermi in un abbraccio frettoloso. «Buon
compleanno.»
«Grazie.»
«Mi
raccomando, ragazzi, guidate piano e non vi ubriacate. E non …»
«Charlie,
non cominciare anche qui con la solita solfa da poliziotto, per favore!» mia
madre alzò gli occhi al cielo sconsolata, ma tornò a guardarci quasi subito con
un sorriso allegro sulle labbra. «Divertitevi, ragazzi, non date retta a questo
rompiscatole.»
Jasper
rise. «Ma certo, e controllerò io stesso queste belle donzelle.»
«Visto,
Reneè? Bravo Jasper, bravo!»
«Su,
basta con queste storie e andiamo via! Altrimenti a va a finire che Emm e Rose
arrivano prima di noi e devono aspettarci!» si lamentò Alice, recuperando la
borsetta – anch’essa super brillantinosa – e preparandosi a uscire di casa.
«Conoscendo
mia sorella, saremo noi quelli che dovranno aspettare.»
«Comunque
sia, sarà meglio andare. Sei pronta, Bella?»
«Prontissima!
Devo solo salutare Allie.» risposi.
«Giusto!
Allie, dove sei? Non vieni a salutarci?»
«Mamma!»
Allyson uscì fuori all’improvviso, abbracciandomi di nuovo le gambe. Aveva un
debole per quella parte del mio corpo, era ormai risaputo.
«Eccola
qui!» risi, abbassandomi alla sua altezza e prendendole le manine nelle mie.
«La mamma va via, torna più tardi. Mi prometti che fai la brava con i nonni e
vai a letto presto?»
Lei
annuì forte con la testa, guardandomi. «Posso darti un bacino?»
«Ma
certo che puoi …» sussurrai, abbracciandola e sentendo che lei posava le labbra
sulla mia guancia. La baciai anche io, stringendola forte. «Fai la brava
bambina.»
«E a me
non mi saluti, Allie?» Alice si inginocchiò accanto a noi e allargò le braccia,
sorridendole.
«Ciao,
Cece!» esclamò lei prima di scivolare dalla mia presa e di buttarsi sulla mia
amica.
La mia
bambina aveva un debole per Alice. Tutti, dopotutto, avevano un debole per
Alice … tranne mio padre, ricordai divertita.
Finito
il momento dei saluti, io e gli altri due uscimmo di casa sotto lo sguardo
attento e curioso di Allyson che non smetteva un secondo di lanciarci bacini
con le mani. Mi soffermai qualche secondo più del dovuto a controllare il
contenuto della mia borsetta, sperando che non mancasse nulla. Fortuna che
stavamo aspettando l’ascensore, altrimenti Alice mi avrebbe già tirato via
spazientita.
«Allora,
sei pronta per festeggiare i tuoi ventitré anni?» esclamò lei non appena fummo
all’interno dell’ascensore.
“No, non lo sono!” era quello che avrei
voluto risponderle, ma non volevo beccarmi una ramanzina delle sue, quindi
mentii, anche se la bugia conteneva un briciolo di verità.
«Prontissima!»
Era da
tanto che non trascorrevo un’intera serata da sola con gli amici e senza la mia
bambina, quindi ero curiosa di vedere come sarebbe andata a finire la serata.
Di certo,
non come avrei scoperto più avanti.
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
Solo il tempo... - Capitolo10
Okay bellezze,
buonasera e buona Befana a voi – anche se è quasi finita, LOL
Avete trascorso
bene questi ultimi giorni di vacanza? Avete mangiato come porche? E quante di
voi domani ricominceranno la scuola/università? Parecchie, mi sa :/ vi faccio
già adesso un grande in bocca al lupo per domani :D
Aggiornamento
arrivato con qualche ora di anticipo, quello di stasera, perché semplicemente
mi annoiavo e rischiavo seriamente di addormentarmi sulla tastiera XD ma vabbè,
questi son dettagli u.u
Vi lascio
alla festa di compleanno di Bella, và! E … ci sentiamo più in basso per le note
finali, devo scrivere qualcosa anche sotto :3
A tra
poco!
Capitolo
10
Dopo
una mezz’oretta di viaggio per le vie di Los Angeles arrivammo quasi in
perfetto orario al ‘Blues Club’, dove
avremmo trascorso quella serata. Avevamo avuto un piccolo contrattempo perché
Jasper si era dovuto fermare per comprare le sigarette. Io non sapevo neanche
che fumava, ma Alice mi aveva raccontato che ogni tanto se ne regalava una,
proprio quando voleva rilassarsi un po’ e scaricare lo stress.
Una
volta arrivati, Jasper parcheggiò la macchina a un centinaio di metri di
distanza e noi fummo costretti a raggiungere il locale a piedi. I miei piedi,
però, non furono molto contenti di quella decisione.
«Deve
essere bello pieno stasera, se non c’era un posto libero qui vicino.» disse
Alice, mano nella mano con Jasper, mentre ci avvicinavamo al club.
«Quindi
è un posto conosciuto, da quel che ho capito.»
«Oh sì,
molto conosciuto! Infatti quasi non speravo di trovare posto quando ho
chiamato. Siamo stati molto fortunati.»
«Siamo
stati fortunati perché hai chiamato tu, che hai sempre un culo pazzesco!»
ridacchiò Jasper, e dall’esclamazione che fece Alice intuii che doveva averle
appena lasciato un pizzicotto sul sedere.
«Ma che
fai?! Non siamo mica a casa, non puoi fare certe cose!» lo rimproverò lei,
aggiungendoci anche una borsata sulla spalla.
«Lo so,
altrimenti a quest’ora ti starei facendo qualcos’altro … e in qualche altra
parte.»
Le
guance di Alice cambiarono colore nel giro di due secondi, diventando di un bel
rosso pomodoro. Si vendicò delle parole del suo fidanzato picchiandolo ancora
con la borsetta, cosa che mi fece ridere di cuore.
«Smettila!
Di sicuro Bella non vuole sapere cos’è che combiniamo sotto le lenzuola!»
«Ne ho
una vaga idea, Alice, non preoccuparti.» la informai ridendo. «E poi, ricordati
che ho una bambina che è stata concepita nello stesso modo!»
«E puoi
stare tranquilla che in quel frangente non è cambiato nulla, anzi, è solo
migliorato. Questa nanetta qui, poi, ci sa davvero fare!»
«Jasper,
finiscila!» urlò di nuovo Alice.
Per
fortuna che il suo ragazzo non aggiunse altro, anche perché eravamo arrivati
davanti all’entrata del locale e lì c’erano altre persone che stavano
aspettando qualcuno, come noi, o che erano usciti per prendere una boccata
d’aria.
E
sicuramente nessuna di quelle persone voleva essere messa al corrente di quello
che combinavano Alice e Jasper nella loro intimità.
«Visto?
Potevamo fare tutto con calma, mia sorella arriva sempre in ritardo.»
«Ma che
dici, secondo me stanno per arrivare. Un po’ di pazienza, Jasper!» Alice era
ancora un po’ arrabbiata con il suo ragazzo, lo si capiva dal tono che aveva
usato per rispondergli.
«Ne ho
un sacco di pazienza, stai tranquilla.» rispose, scompigliandole un po’ i
capelli e distraendosi poi mentre fumava una sigaretta.
«Intanto
che aspettiamo, raccontami la tua giornata! È andata bene fino ad ora, no? Ti
hanno regalato qualcosa?» volle sapere la mia amica, curiosa e bisognosa di
impicciarsi degli affari degli altri come sempre.
«Beh,
l’unico regalo per adesso è la cena che ci hanno pagato i miei … senza contare
quello di Allyson.» mi scappò un sorriso mentre ricordavo il momento in cui me
l’aveva consegnato, stamattina.
«Aw, ma
che tenera! Cosa ti ha regalato?»
«Un
braccialetto con tanti cuoricini rossi, ha detto di averlo fatto lei. Penso che
sotto ci sia stato lo zampino di mia madre.» risi.
«Tua
figlia è mostruosamente adorabile, anche quando combina i pasticci lo è! Avrà
ripreso da te?»
«No,
non penso. Io ero testarda, ma non combinavo troppi pasticci … suo padre, invece,
da bambino era un vero teppista! Me lo raccontava sempre, Martha.»
«Chi è
Martha?»
«La mia
ex suocera.» bastarono queste poche parole e lo sguardo che avevo assunto come
risposta per Alice, che cambiò argomento quasi subito.
«Ma tu
guarda se questi non ci fanno perdere la prenotazione! Perché arrivano sempre
in ritardo? Jazz, ricordati che devo sgridare tua sorella!»
«Non
serve, sono arrivati. Sono andati a parcheggiare più avanti.» ci informò
Jasper, che stava spegnendo la sigaretta con la punta del piede.
«Oh, va
bene allora.»
Cinque
minuti dopo, infatti, arrivarono anche Emmett e Rosalie. Lei, splendida come
sempre, aveva indossato un semplice paio di jeans, un top scollato blu ed i
tacchi coordinati, mentre Emmett … oddio, Emmett era enorme!
Era
ufficialmente la prima volta che lo incontravo, anche se lo conoscevo di fama
tramite gli altri, e davvero non avrei mai immaginato che fosse un omone così
grande e grosso. Era alto, con corti capelli ricci e neri e con le spalle
enormi, tipo giocatore di football. Solo una cosa di lui mi faceva capire che
era il fratello di Edward: i suoi occhi.
Aveva
gli occhi della stessa forma e dello stesso colore di quelli di Edward. Sarebbe
stato terribile guardarlo in faccia e non pensare a lui ogni volta.
«Ehi,
Bella, buon compleanno!» persa com’ero nelle mie considerazioni mentali,
ritornai in me solo quando Rose mi abbracciò e mi fece gli auguri. Lei mi
osservò per un paio di secondi, inarcando le sopracciglia non appena colse il
mio viso spaesato. «Va tutto bene?»
«Sì sì,
tutto bene! Grazie, Rose.» mi ripresi in fretta, sorridendole.
«Volevo
presentarti il mio ragazzo, finalmente!» rise, afferrando il braccio muscoloso
di Emmett e stringendolo. «Emmett, lei è Bella. Bella, Emmett!»
«E così
tu sei Bella, l’incubo di mio fratello!» esordì lui, sorridendo a trentadue
denti.
«Casomai,
tuo fratello è il mio incubo.» ribattei stando al suo gioco. «È un piacere
conoscerti, comunque.» allungai una mano e lui, prontamente, la strinse
ricambiando il mio gesto.
«Anche
per me è un piacere. Ah, tanti auguri! Stavo per dimenticarmene!»
«Te
l’ho ripetuto così tante volte, come puoi dimenticartelo?!» esclamò quasi
sconvolta Rosalie.
«Non è
colpa mia, non lo faccio apposta!»
«Okay,
va bene. Che ne dite di entrare, visto che siamo tutti?» domandò Alice, e tutti
fummo contenti di seguire il suo consiglio.
Il ‘Blues Club’, come capii solo dopo essere
entrata dentro il locale, era un bar/ristorante dove veniva suonata anche buona
musica Blues. Il nome doveva almeno suggerirmi qualcosa, ma non ero stata poi
così attenta come avrei dovuto.
Le luci
blu davano un atmosfera soffusa e calma a tutto il posto, un po’ come la musica
che veniva suonata insomma. Quella sera si sarebbe esibito un ragazzo
esordiente del posto, come ci spiegò la cameriera che ci accompagnò al nostro
tavolo e che prese le ordinazioni dei nostri drink.
«Io
proporrei di fare un brindisi a Bella e ai suoi … quanti anni compi, Bella?»
domandò Emmett all’ultimo secondo, già con la sua birra in alto.
Rosalie,
sconcertata, si coprì gli occhi con una mano.
Io,
invece, sorrisi imbarazzata alla sua domanda. «Ne compio ventitré.»
«Allora
brindiamo a Bella e ai suoi ventitré anni! Auguri!»
Tutti
noi ci unimmo al brindisi, io sentendomi veramente in imbarazzo per il gesto
che aveva appena fatto Emmett, anche se era stato davvero gentile. Che ci
potevo fare, sentirmi al centro dell’attenzione era davvero un trauma per me.
«E
adesso ho bisogno di ordinare una nuova birra!»
«Non
cominciare a bere, per favore! Io di certo a casa tua non ti ci accompagno se
ti ubriachi.»
«Vuol
dire che lo farà Bella. Vero Bella?» Emmett si voltò verso di me e mi lanciò
una veloce occhiata, facendomi l’occhiolino.
Sorrisi,
divertita. «Mi dispiace, ma mi danno un passaggio Alice e Jasper stasera.»
«Ah,
che sfortuna! Chiamerò un taxi.» scrollò le spalle, e fece un cenno a una
cameriera di passaggio per farsi portare un’altra birra.
«Come
sta Allie, Bella? Ha combinato qualche altro pasticcio?» domandò Rosalie,
interessata. «Ha creato qualche nuova messa in piega?»
«Sta
benissimo, e per fortuna si è comportata bene in questi giorni. Spero che lo
faccia anche stasera che è con i nonni.» sorrisi.
«Non ne
sarei così sicura, è un bel peperino la piccola.»
«Già,
tua figlia è fantastica Bella! Sai che mi ha fatto vincere 300 $ qualche
settimana fa? Ho fatto scorta di giochi per la Xbox!»
L’informazione
di Emmett mi fece irritare. «Okay, smettila anche tu di usarla per le
scommesse! È solo una bambina!»
«Ma è
anche fortunata! È un talento naturale, il suo, e deve essere senz’altro controllato
e sviluppato mano a mano che diventa grande …»
«Ma che
bel gruppetto che abbiamo qui!»
Raggelai
sentendo la voce che aveva appena pronunciato quella frase.
Mi
voltai, distogliendo così lo sguardo da Emmett e incontrandone un altro:
cambiava solo il proprietario, ma gli occhi erano uguali, identici. Edward
ricambiò il mio sguardo e sorrise in modo sfacciato come se volesse sfidarmi.
«Isabella,
che piacere incontrarti anche qui.» disse, sempre guardandomi.
«Non
posso dire la stessa cosa, purtroppo.» replicai invece io, schioccando la
lingua.
«Edward,
che ci fai qui?» chiese Emmett, che aveva un sopracciglio inarcato e osservava
il fratello come per capire meglio la situazione.
«Ho un
appuntamento, sono qui con Lauren. La conosci Lauren, no Isabella?»
Non
capivo perché cercasse di attirare la mia attenzione su di sé, l’unica cosa che
invece capivo era che cominciava senza dubbio a darmi sui nervi. «Ma certo che
la conosco! Non è quella che ti scopi negli sgabuzzini dell’ospedale?»
Edward
sembrò offeso dalla mia domanda, ma la cosa durò solamente un paio di secondi e
forse nessuno, oltre a me, si accorse della sua reazione. Che poi, quella era
la sola e pura verità: tutti sapevano dei suoi trascorsi negli sgabuzzini.
Tornò a
sorridere in maniera più sfacciata di prima. «Sì, proprio lei! È andata a
ordinare qualcosa da bere … che ne dite se ci uniamo a voi? È un problema?»
domandò, e senza nemmeno aspettare la risposta di uno di noi afferrò una sedia
dal tavolo accanto e si sedette.
«No, nessun
problema.» dissi io.
Non mi
andava assolutamente di litigare con lui anche quella sera, anche perché
facendo in quel modo mi sarei rovinata la serata. Si era già rovinata un po’,
grazie alla sua presenza, e non volevo peggiorare la situazione.
Presi
la mia pinta di birra e cominciai a berla a lunghi sorsi, fino a quando non ne
rimase più niente. Per fortuna che reggevo bene l’alcol, e quindi non rischiavo
di ritrovarmi ubriaca marcia a fine serata.
«Emmett,
ti dispiace ordinare un’altra birra anche a me?» domandai, voltandomi dalla sua
parte e ignorando totalmente suo fratello.
***
«Cioè,
di tutti i locali e ristoranti che ci sono in città proprio qui doveva portare
quella … quella sciacquetta?!»
borbottò Alice al mio orecchio, irritata.
Scrollai
le spalle, fermando le mie mani che giocavano senza sosta con una fetta di pane
e alzando di qualche centimetro la testa per vedere cosa stava facendo Edward.
Era
seduto accanto a Jasper e a Lauren, che a sua volta era seduta accanto a
Emmett, e rideva mentre accarezzava la spalla della sua ‘accompagnatrice’ con
il dorso della mano. Sembrava totalmente rilassato e a suo agio, come se non si
fosse affatto autoinvitato alla mia festa di compleanno.
Il
fatto che si fosse comportato in quel modo mi dava fastidio, e non poco. Aveva
già dimenticato quello che gli avevo detto due giorni prima? Sembrava proprio
di sì, visto che stava facendo a modo suo e come se fosse una cosa del tutto
normale.
«Non mi
interessa, Alice. Basta che fa il bravo e non ne combina un’altra delle sue.»
bisbigliai di rimando, tornando a fissare il pane martoriato che giaceva nel
mio piatto.
«Edward,
scusa se te lo chiedo … ma tu, stasera, non avevi detto che non avevi nessuna
intenzione di uscire?» Emmett pose quella domanda al fratello e si sporse un
po’ in avanti sul tavolo per avvicinarsi a lui.
Subito
aguzzai le orecchie: da una parte volevo sapere anche io per quale motivo si
fosse presentato qui. Non mi andava molto a genio la sua spiegazione, ossia che
era venuto qui con Lauren e che avevano un appuntamento insieme … per avere un
tavolo qui si doveva prenotare in anticipo, come mi aveva spiegato prima Alice!
I conti
non tornavano.
«Ho
cambiato idea! Mi annoiava il pensiero di trascorrere un’altra serata dentro
casa.»
«Che
strano! Prima che ti dicessi dov’era che stavo andando, non mi sembravi proprio
di questa opinione.» replicò Emmett, ridacchiando.
Edward
si rabbuiò in viso. «E comunque quello che decido di fare io non sono affari
tuoi, Emmett.» disse, mettendo fine al discorso. Si voltò verso Lauren per
dirle qualcosa e per passarle il braccio lungo le spalle, dopodiché si voltò
verso di me.
Istintivamente
mi girai verso Rosalie, poggiai la mano sulla testa e cercai di ignorarlo
totalmente. Un orribile presentimento prese forma dentro la mia testa,
facendomi raggelare e formicolare allo stesso tempo i capelli sulla nuca.
Edward
aveva per caso deciso di venire qui, al ‘Blues
Club’, perché sapeva che c’ero anche io insieme a suo fratello e agli
altri? E se la mia supposizione era giusta, quale motivo lo aveva spinto qui?
Per di più in compagnia della Barbie siliconata?
Voleva per
caso continuare con i suoi assurdi tentativi di rimorchiarmi?
Sperai davvero
che non fosse così, perché se era tutto vero mi avrebbe davvero rovinato la
serata! Senza contare che era anche il mio compleanno … ed io che speravo di
trascorrere tranquillamente quelle ore in compagnia.
Per le
ore seguenti però, che trascorremmo a chiacchierare e a mangiare quasi per
tutto il tempo, non accadde nulla di quello che temevo. Certo, Edward spesso e
volentieri si voltava verso di me e cercava di attirare la mia attenzione
abbracciando Lauren, sussurrandole qualcosa e lasciandole qualche bacio sulla
guancia, ma non si spinse oltre a quello. Mi faceva anche ridere, sul serio.
Sembrava il comportamento di un bambino che cercava di far ingelosire la sua
fidanzatina.
Aveva
si e no trent’anni, porca miseria! Possibile che fosse ancora a quei livelli? E
per me, comunque, poteva continuare a fare in quel modo per tutto il tempo che
voleva: non mi sarei di certo abbassata ai suoi ridicoli livelli.
«Perché
Edward ti sta guardando così tanto, stasera?» mi sussurrò Rosalie a un certo
punto. «Sul serio, mi sta irritando!»
«Credo
che voglia farmi ingelosire …» risposi, sorridendole prima di mordere un pezzetto
di focaccina salata.
«Non
dirmi che … è ancora per quella storia?!»
pigolò con voce strozzata, nascondendosi la bocca con le mani e sbattendo
frettolosamente le ciglia.
«Sicuramente
è per quel motivo.»
«Oddio,
mi viene da piangere!» esclamò. Si coprì gli occhi per un istante e quando
scostò le mani vidi che le lacrime le stavano veramente per uscire dagli occhi.
«Rose!»
esclamai, scandalizzata: io pensavo che stesse scherzando.
«Scusa,
non posso farci proprio niente … piango, se una cosa mi fa rimanere scioccata!»
si scusò, e prese un paio di fazzolettini dal tavolo per asciugarsi gli occhi.
Ah, era
rimasta scioccata.
«Io
credevo che ti stessi … che ne so, commuovendo per lui.»
«Ma
stai scherzando? No, ne ha combinate troppe perché possa dispiacermi per qualcosa
che lo riguarda!»
E
pensare che Edward era quasi suo cognato!
Avevo appena
trovato un’alleata.
Per un
po’ me ne restai in silenzio mentre gli altri continuavano a chiacchierare,
perché era salito da poco sul palco del locale il musicista della serata che
cominciò a deliziare tutti i presenti con la sua musica ed io lo stavo
ascoltando rapita.
La
cameriera di prima aveva detto che era un giovane esordiente … ma per essere un
esordiente, non se la cavava per niente male.
«È
molto bravo!» commentai quando finì un pezzo, e battei le mani insieme agli
altri. «Io non so nulla di Blues, ma non mi sembra tanto male.»
«Per
suonare un pezzo di Eric Clapton così bene sì, non è male.» Edward fu il primo
a replicare al mio commento, e forse era stato l’unico che mi aveva sentito
parlare. Mi osservò attentamente, con un braccio allungato sul tavolo mentre
teneva in mano il suo boccale di birra.
Quella
era forse la prima volta che parlavamo durante un discorso tranquillo, senza
prenderci per capelli o soffiare come gatti imbufaliti. All’inizio non seppi
cosa dire, spaesata com’ero, e per fortuna che a togliermi da quell’impiccio imbarazzante
ci pensò Jasper, che si alzò in piedi e attirò gli occhi di tutti su di sé.
«Vado a
fumare una sigaretta … Emmett, mi accompagni?»
«Certo,
arrivo.» Emmett si era già alzato in piedi e si stava per allontanare insieme a
Jasper quando suo fratello lo fermò.
«Emmett,
ma tu non fumi.» gli fece notare lui.
«Se
anche fosse, fratello, questi non sono affari tuoi.» Emmett strinse gli occhi e
in un paio di secondi se ne andò insieme a Jasper.
«Okay!
Che ne dite, ordiniamo il dolce?» Alice cercò subito di cambiare argomento e di
scacciare quel po’ di tensione che era arrivata con la breve discussione dei fratelli
Cullen. In suo aiuto giunse la suoneria del mio cellulare: sapevo chi era che
stava chiamando, e forse sapevo anche per quale motivo lo stava facendo.
«Scusate,
ma devo proprio rispondere.» dissi in fretta mentre afferravo la borsetta per
recuperare il telefono.
«Non
preoccuparti Bella, io intanto chiamo la cameriera!»
Le
sorrisi e annuii, e finalmente trovai il cellulare. Dopo aver visto che era mia
madre, proprio come avevo immaginato, risposi con il sorriso sulle labbra.
«Ehi,
mamma.»
«Ciao tesoro! Va tutto bene? Ti stai
divertendo?» domandò subito lei, che da brava scimmietta curiosa voleva
sapere sempre tutto.
«Sì,
molto.» era meglio rimandare il momento delle spiegazioni lunghe e dettagliate a
un altro giorno. «Come mai hai chiamato?»
«Sicuramente già lo immagini tesoro, Allie
vuole augurarti la buonanotte. Ma fa sempre così?»
«Quando
non sono in casa la sera sì, mamma!» ridacchiai. «Me la passi?»
«Ti ho chiamato proprio per questo, Bella! Un
secondo …» e proprio un secondo dopo, ecco giungere alle mie orecchie la
voce squillante di Allyson. «Mamma!»
«Stellina
mia! Stai facendo la brava con i nonni?» chiesi, sorridendo.
«Sìsì, sono stata bravissimissima! Io e nonno
abbiamo guardato insieme ‘Biancaneve e i sette nani’!» mi raccontò lei, allegra come sempre.
Ce lo
vedevo proprio mio padre a guardare insieme alla sua nipotina i cartoni della
Disney. «Ti sei divertita, quindi! Ah, digli che domani guardate ‘Cenerentola’.»
«Ma quello l’ho visto ieri!»
«E lo
guardate di nuovo! Me lo vedo anche io con voi, va bene?»
«Va bene, glielo dico.»
«La
nonna mi ha detto che stai per andare a dormire … lava bene i dentini e
addormentati subito, okay? Non fare i capricci.»
«Ma io non li faccio i capricci, mamma!»
protestò la bambina, e immaginai subito il broncio che molto probabilmente
aveva preso forma sul suo viso.
«Va
bene, non li fai … ma farai quello che ti ho appena detto?»
La
sentii sbuffare, sicuramente arrabbiata. «Va
bene …»
«Bravissima!
Fai tanti bei sogni, mi raccomando … buonanotte Allie.»
«Buonanotte mammina, ti voglio tanto tanto
tanto bene!»
«Te ne
voglio tanto anche io, cucciola.»
Restai
qualche altro secondo con il cellulare premuto sull’orecchio, e quando sentii
che era caduta la linea lo riabbassai. Riposi il cellulare nella borsa con il
sorriso sulle labbra: parlare con la mia bambina mi lasciava sempre di
buonumore.
«Era
Allyson, Bella?» domandò Alice, scrutandomi curiosa in viso.
Annuii.
«Sì, era lei. Stava per andare a dormire e voleva darmi la buonanotte.»
«Che
bimba dolce! Ormai è un abitudine per lei … quando la tengo lo fa sempre, ci
hai fatto caso?» Rose si unì al nostro discorso, contenta. Si era affezionata
moltissimo a mia figlia, e la adorava alla follia.
«Scusate
se mi intrometto …» per la prima volta nel corso di quella serata, Lauren prese
la parola e si sporse verso di noi. «Bella, stavi parlando con tua nipote
prima?» chiese, leggermente sospettosa.
«Veramente
no …» le risposi, battendo le palpebre in fretta per via della domanda che mi
aveva appena posto. «Era con mia figlia che stavo parlando.»
A
quelle parole, Edward portò il suo sguardo scioccato sul mio e cominciò a
guardarmi come se fosse la prima volta che mi incontrasse. La sua reazione mi
lasciò del tutto stupita, senza contare la domanda che mi fece due secondi
dopo.
«Hai …
una figlia?»
Annuii.
«Sì. Ha tre anni e mezzo.» risposi, e allora capii che aveva reagito in quel
modo perché non sapeva che avevo una figlia.
Bene,
era la dimostrazione che lui davvero non sapeva nulla di me.
«E tu
ne hai …?» chiese ancora Lauren, che adesso sembrava sbigottita e anche un po’
scettica per quello che stavo dicendo.
«Ventitré.»
«Scusa,
Lauren, ma perché tutte queste domande? A te che importa?» Rosalie precedette
l’altra ragazza e parlò prima che potesse rispondere: anche lei, come me,
cominciava a non gradire tutte le domande che mi stavano venendo poste.
«Sono
curiosa, tutto qui!» si scusò lei, scrollando le spalle. «Ammiro il tuo
coraggio, Bella, sul serio. Avere un bambino alla tua età … ma se fossi stata
in te, io non avrei tenuto una bambina essendo così giovane.»
La
trucidai con lo sguardo e arricciai le labbra. «Come, scusa?» soffiai,
inacidita.
«Bella,
lascia stare …» mormorò Rose, ma io non la ascoltai.
«No,
Rose! Voglio sentire cos’ha da dire.»
Lauren,
che adesso aveva tutta l’attenzione su di sé, ridacchiò e bevve un goccio del
suo orrendo cocktail rosa. «Come ho detto prima, se fossi rimasta incinta come
è successo a te avrei scelto la via più facile per risolvere il problema. Avrei
abortito e non mi sarei rovinata la vita.»
«Quindi,
per te un figlio rappresenta soltanto la rovina di una vita.» quasi ringhiai
nel risponderle, ma non riuscii proprio a trattenermi dal farlo.
Potevano
toccare tutto e dire tutto quello che volevano su di me: che ero una puttana,
una fallita, una drogata … potevano inventarsi tutte le storie più cretine di
quel mondo, ma su mia figlia non dovevano assolutamente dire niente.
Lei,
per tutti gli altri, era off-limits.
Nessuno
poteva permettersi di dire che mi ero rovinata la vita mettendola al mondo, e
anche se Lauren stava semplicemente spiegando il suo pensiero a me faceva male
stare ad ascoltarlo. I bambini e tutto quello che li riguardava erano un
argomento che mi rendeva molto sensibile.
«Sto
solamente esprimendo il mio punto di vista. Se la pensi diversamente non è di
certo colpa mia … scusami davvero.» batté le ciglia cariche di mascara un paio
di volte e prese a sorseggiare di nuovo il suo strano cocktail rosa, con tanto
di frutta e ombrellino rosa.
«Lauren,
penso che sia ora di andare via …» mormorò Edward, lanciandole una rapida
occhiata nervosa e cacciando fuori un sospiro altrettanto nervoso.
«Di
già? Va … va bene. Andiamo.»
«Non
hai capito bene. Tu, vai via. Credo
che per stasera hai fatto abbastanza danni, grazie.»
Lei
osservò Edward in cagnesco, come per capire se stesse scherzando o no. Quando
capì che faceva sul serio e che lui non la avrebbe seguita neanche sottoforma
di cadavere decomposto, raccolse giacca e borsa e se ne andò via.
Poggiai
i gomiti sul tavolo e nascosi il viso tra le mani, inspirando forte. Credevo di
aver toccato il fondo durante la serata vedendo sbucare Edward all’improvviso …
e invece doveva metterci lo zampino anche quella sgualdrina di Lauren. Neanche
mi conosceva, mi guardava a stento durante i turni in ospedale e si permetteva
di dire quelle cose davanti a me.
Che
schifo di compleanno.
«Bella,
non pensare assolutamente a lei, mi hai sentito? Non capisce un cazzo ed è una
puttana!» esclamò subito Alice, e anche se non riuscivo a vederla capii che era
lei quella che mi stava scuotendo per una spalla. «Ha parlato dell’unica cosa
che non doveva neanche nominare, che stronza! E si sbaglia su tutto, tutto!»
«Come
cazzo ti è venuto in mente di venire qui con lei?» sibilò invece Rosalie,
diretta a Edward.
«E’
stata la prima persona che mi è passata per la testa, okay? Non potevo
immaginare che dicesse simili cazzate, Rosalie!»
«Okay,
che cosa succede qui? E perché tu stai urlando contro la mia fidanzata?» il
vocione di Emmett giunse alle mie orecchie, facendomi capire che lui e Jasper
dovevano essere appena tornati dalla loro pausa sigaretta.
Tolsi
le mani dal viso, osservando Emmett che guardava in malo modo il fratello e
Jasper che, invece, se ne stava in piedi e un po’ a disagio con un enorme pacco
regalo tra le braccia.
Oddio,
non potevo nemmeno pensare di mettermi a scartare dei regali con il morale così
a terra!
«È un
brutto momento?» domandò, osservandomi.
Scossi
la testa in fretta mentre mi alzavo in piedi. «Assolutamente no, tranquillo! Ho
… ho solo bisogno del bagno, mi serve un minuto.» e mentre cercavo di sorridere
tranquillamente me la svignai alla ricerca del bagno.
Non
appena lo trovai e vi fui dentro, chiusi la porta alle mie spalle e mi fiondai
verso i lavandini, poggiandomi contro uno di essi mentre sentivo le lacrime che
premevano per uscire dai miei occhi.
Sapevo
che non sarebbe stata una buona idea festeggiare il mio compleanno, e se non
fosse stato per il regalo che avevo ricevuto dai miei tutto questo non sarebbe
successo. Sarebbe andato come invece avevo deciso di fare io, ossia passare una
giornata tranquilla come le altre al lavoro e passare la serata insieme a mia
figlia … tutto liscio come l’olio.
Perché
avevo dato ascolto ad Alice e non mi ero ribellata, dicendole che avrei rifiutato
il regalo dei miei genitori?
Se le
avessi detto di no, adesso non mi ritroverei chiusa dentro i bagni con i
lacrimoni agli occhi.
Alzai
il viso e puntai gli occhi sullo specchio che avevo davanti. Notai subito il
mio viso stravolto e gli occhi che minacciavano di esplodere in un pianto
nervoso, incorniciati dai capelli che sembravano più ribelli del solito. Il
tempo che avevo sprecato per sistemarli non era servito a nulla, a quanto
sembrava. Erano tornati insulsi come sempre.
Sospirai
e cercai di calmarmi in tutti i modi per poter così tornare dagli altri e
riprendere i festeggiamenti, anche se la voglia era totalmente passata e
l’unica cosa che desideravo fare era tornare a casa e dormire fino al
pomeriggio seguente.
Non
appena capii che il rischio di piangere era ormai scomparso, aprii un rubinetto
e mi bagnai i polsi con l’acqua fredda: in genere riuscivo sempre a calmarmi
meglio con quel sistema, ma quella sera non servì a molto. Avrei avuto bisogno
di una doccia fredda, invece.
Sentii
la porta del bagno aprirsi e alzai lo sguardo per controllare chi fosse,
conscia del fatto che in quel locale c’erano molte altre persone e che poteva
essere qualcuno che non conoscevo, invece delle mie amiche … ma rimasi sorpresa quando notai che a
entrare nel bagno era stato Edward.
L’ultima
delle persone con cui avrei voluto scambiare due parole dopo quello che era
appena successo.
«Vattene
via.» dissi subito, abbassando di nuovo lo sguardo. Chiusi il rubinetto e
afferrai una salvietta per asciugarmi le mani.
«Ero …
venuto a controllare se stavi bene.» mormorò lui in risposta alle mie parole.
Risi e
sbuffai allo stesso tempo, fredda. «Sto bene, non lo vedi? Sto benissimo! Puoi
anche andare via, adesso che lo sai.»
«No che
non vado via!» sentii i suoi passi che percorrevano il bagno e come guardai
nello specchio vidi che lui era dietro di me, e che mi stava guardando come se
volesse perforarmi la nuca. «Bella, volevo chiederti scusa. Ho … ho sbagliato a
portare qui Lauren, e mi dispiace per quello che è accaduto prima di là con gli
altri.»
Scossi
la testa e mi voltai, cosicché potessi guardarlo meglio in faccia. «Ormai è
fatta, non serve a niente chiedermi scusa.» Feci
per andarmene ma Edward mi bloccò per le spalle, stringendo le mani sulla mia
pelle e riportandomi dove mi trovavo prima. Lo guardai di nuovo, notando così
il suo viso dispiaciuto e frustrato.
«Bella,
per favore! Non scappare via!» mi sgridò. «Mi dispiace veramente … non pensavo
che potesse accadere una cosa simile.»
«E tu
non potevi immaginare che l’argomento ‘bambini’ mi stesse così a cuore, vero?»
sorrisi mestamente, osservandolo. Toccai le sue mani con le mie e dopo averle
prese gliele feci abbassare per far sì che mi liberasse dalla sua presa.
«Ammettilo, Edward. Anche tu non sai niente di me.»
Lo
guardai negli occhi un ultima volta e, dopo essermi persa per qualche secondo
in quel bel mare verde – perché sì, i suoi occhi in fondo erano davvero belli –
mi allontanai da lui ed uscii da quel bagno.
***
«Bella,
mi dispiace così tanto per quello che è successo!» si scusò di nuovo Alice non
appena scese dall’auto.
«Alice,
te l’ho già detto che non è stata colpa tua.» ripetei di nuovo, raggiungendola
sul marciapiede. «La colpa è stata di chi ha deciso di portarla lì, ecco.»
«Quindi,
di Edward.»
«Sì, di
Edward.» borbottai, abbassando gli occhi.
«Ma
secondo me lui non ha tutta questa colpa.» Jasper si intromise nel nostro
discorso, cingendo con un braccio la vita della sua ragazza. «Certo, ha
sbagliato a portare Lauren e a restare con noi visto che non era stato invitato
… ma non le ha dette lui quelle cose. Andiamo, rifletteteci meglio!»
«Beh,
non hai tutti i torti …» mormorò Alice, che ci stava davvero riflettendo sopra,
ma poi scosse subito la testa. «Ah, ma questo non è il momento giusto per
parlarci sopra! È ora di andare a casa e di farsi una bella dormita … ci
sentiamo domani mattina, che ne pensi?»
Le
sorrisi, annuendo. «Va benissimo, ti chiamo io.»
Alice
ricambiò il mio sorriso e mi abbracciò con uno slancio, che ricambiai solo in
parte perché con un braccio reggevo l’enorme pacco regalo. Pesava anche, quindi
Alice doveva sbrigarsi a togliersi di torno e a lasciarmi salire fino a casa!
«Allora
a domani! Buonanotte tesoro!» mi lasciò un bacio sulla guancia e si allontanò
salutandomi con una mano, lasciando così a Jasper l’opportunità di salutarmi.
«Buonanotte
Bella, e ancora tanti auguri.» mi disse baciandomi una guancia.
«Mi
serviranno proprio! Buonanotte, e grazie ancora per il passaggio.»
«Ma
figurati, per te questo e altro. Buonanotte!» mi salutarono di nuovo entrambi,
e poi salirono in macchina.
Restai
sul marciapiede ad osservarli fino a quando non andarono via, e alla fine mi
decisi ad entrare e a salire fino a casa mia.
Non
appena arrivai al mio appartamento chiusi a chiave la porta e mi tolsi le
scarpe, perché non volevo fare rumore svegliando tutti e anche perché le piante
dei miei piedi stavano implorando pietà!
Entrai
in salotto e, al buio, poggiai il pacco sul tavolino basso prima di accendere
la lampada. Una volta che lo feci e mi fui voltata verso il divano, sobbalzai e
quasi scoppiai a urlare per la paura.
«Mamma!» soffiai, vedendo che era seduta
lì sopra con una tazza tra le mani e con gli occhi spiritati come un gufo. «Ma
che stai facendo?»
«Ti
stavo aspettando, è ovvio!» rispose in fretta e si alzò in piedi altrettanto in
fretta, facendo quasi cadere a terra la tazza che stringeva. «Voglio sapere
tutto! Com’è andata? Ti sei divertita?»
«È
tardi, mamma, è quasi l’una … vuoi proprio parlare adesso?» domandai, cercando
di capire se stava scherzando o se stava parlando sul serio.
«No,
certo che no … i dettagli me li racconti domani.» inarcò un sopracciglio.
«Allora? Parla!»
Sobbalzai
di nuovo. «Parla piano, per favore!»
«Io
parlo piano, ma tu rispondimi tesoro! Su, racconta.»
Presi
un bel respiro, preparandomi ad accontentarla. «Mi sono divertita, è andato
tutto bene … e basta.»
Mamma mi
guardò sconcertata. «Tutto qui?»
«Tu hai
detto che per i dettagli puoi aspettare domani, quindi per adesso questo è
tutto.» mi trattenni dal ridere vedendo la faccia che aveva appena assunto,
piena di curiosità e di frustrazione. «Allie è di là?»
«Sì, dorme
come un angioletto.» parlava con me, ma la sua attenzione era stata catturata
dal regalo che avevo poggiato sul tavolino. Mamma lo indicò con la mano. «Posso
vederlo?»
«Certo
mamma, certo …» mormorai, cominciando subito ad incamminarmi per andare da mia
figlia.
Sentii
la voce esaltata di mamma che lanciava frasi come “Dobbiamo assolutamente
provarla!” e “Uuuuuu, ho sempre desiderato averne una!”, ma non mi soffermai
molto su di lei. La mia attenzione era tutta rivolta alla mia bambina
addormentata.
Entrai
nella sua cameretta e raggiunsi il lettino dove era distesa. Mi inginocchiai
all’altezza della sua testa e sorrisi osservando il suo visino, leggermente
imbronciato nel sonno. Chissà cosa stava sognando …
Le
accarezzai i capelli morbidi, e mi chinai su di lei per sentire il suo buon
profumo di bambina. Lo adoravo così tanto … com’era possibile che una creatura
così innocente e meravigliosa come una bambina potesse essere in grado di
rovinare una vita?
Io non
riuscivo proprio a pensarla in quel modo orribile.
Una
lacrima mi rigò la guancia mentre ripensavo alle parole che aveva detto Lauren,
e mi auto sgridai solo per il semplice motivo di averlo fatto. Non dovevo dare
peso a lei, visto che non sapeva cosa significava sentir crescere dentro di sé
una nuova vita e amarla sin dal primo momento in cui hai capito che quella
nuova vita stava per arrivare proprio da te.
Allyson
era la mia gioia e la mia disperazione unite insieme, la brontolona a cui avevo
voluto bene sin da subito. Era la mia fonte di guai e anche la mia fonte di
felicità quotidiana … era la mia vita, in parole povere. E con lei la mia vita
era diventata ancora più bella.
«Sei la
cosa più bella che mi sia mai capitata, amore mio.» sussurrai, poggiando piano
le labbra sulla sua fronte.
________________
Ma che
serata movimentata è stata? è_é
Ora,
sono sicura che sarete tutte arrabbiate con Lauren (s****za che s’è permessa di
dire certe cose!) e con il povero Edward (povero, mica tanto però XD), che ha
fatto e ha fatto e alla fine ha peggiorato la situazione ._. ma non me li
ammazzate adesso perché mi servono ancora XD mi serve più lui che lei, però ù_ù
Poverino,
Edward cercava solo di far ingelosire la nostra Bella – sì, era proprio quello
il suo pretesto -, e se non ci è riuscito è solo perché Bella non è così fessa
da cascarci con entrambe le scarpe.
Adesso lei
sarà più prevenuta con lui, ve lo assicuro ;) ma … dal prossimo capitolo le
cose cominceranno a cambiare. Diciamo che questa è la fine della prima parte
della storia e presto ne comincerà una seconda. Non chiedetemi quante parti
sono perché non ne ho la più pallida idea ahahahahaha XD è tutto un continuo
evolversi nella mia testa u.u
Non dovrei
farvi aspettare molto con il prossimo perché è già scritto, terminato e solo da
rivedere, ma voglio mandarmi un po’ avanti con il 12esimo prima di postarlo. Almeno
così riesco a stare bene al passo con gli aggiornamenti XD
Domani provvederò
a rispondere alle recensioni :) un bacio a tutte, e a presto!
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Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
Solo il tempo... - Capitolo11
Buongiorno!
:)
Scusate
se vi ho fatto aspettare qualche giorno in più del previsto, diciamo che ho
deciso di cambiare il giorno di pubblicazione della storia. Invece di una
settimana, da adesso in poi aggiornerò ogni dieci giorni °-° per me è più
comodo, così ho anche la possibilità di rivedere al meglio il capitolo e do
anche a voi il tempo di leggere con calma ;)
Ad ogni
modo, comunque, eccomi qui!
Vi
avevo lasciato con lo scontro tra Bella e Lauren, e con il tentativo di Edward
di scusarsi per quello che era accaduto… che cosa succederà adesso?
Ci
sentiamo in basso :D
Gruppo Facebook
Solo il
tempo
Capitolo
11
Mi
mossi sul letto improvvisamente, disturbata dal rumore che qualcuno stava
provocando senza nessuno scrupolo. Dovetti coprirmi anche il viso con le
braccia per coprirmi, non appena la luce del mattino giunse fino a me.
«Ma che
cazzo …» farfugliai, scocciata, e cercai di riuscire a vedere meglio qualcosa
attraverso le dita che tenevo ancora sugli occhi.
«Bella,
ma insomma! Che parole sono queste?» mi rimproverò mia madre.
Riuscii
finalmente a tenere gli occhi aperti senza che la luce del sole mi desse
fastidio, e la guardai accigliata. Se ne stava ferma accanto alla finestra che
aveva appena aperto e teneva le mani poggiate sui fianchi; era persino vestita
di tutto punto! Ma che ora era?
«Mamma,
che combini? Che ore sono?» borbottai, grattandomi la testa.
«Sono
quasi le sette e mezza, tesoro. Devo accompagnare Allyson a scuola, ricordi? Tu
non devi andare a lavoro?» domandò, sembrandomi un po’ scocciata.
Sbadigliai
sonoramente. «No, ho il turno di notte …» dissi, e tornai a stendermi
rigirandomi sul letto … o meglio, sul divano.
Stavo
quasi per riaddormentarmi quando sentii un peso morto gettarsi su di me,
facendomi sobbalzare e urlare per la sorpresa. E stavo quasi per cominciare a
sbracciarmi come una pazza quando mi voltai, e notai che era mia figlia. Era
tutta allegra, sveglia e già pronta per la scuola … perché erano tutti arzilli
e pimpanti a quell’ora, quando io invece mi sentivo un cadavere ambulante?
Ah, sì,
io ero rimasta sveglia chissà quanto tempo a pensare e a ripensare alla serata
del mio compleanno prima di riuscire a prendere sonno.
«Mamma,
mamma! Alzati, è tardi!» urlò Allie, scrollandomi per le braccia e ridendo come
una pazza. «Dobbiamo andare a scuola!»
«Tu devi andare a scuola, piccolina, non
la mamma.» replicai, prendendola per le braccia e issandola sul divano. La
abbracciai stretta e le baciai il viso ripetute volte prima che lei, ridendo,
mi chiedesse di piantarla.
«Buongiorno
amore! Sei già pronta?» chiesi, scostandole la frangia dagli occhi.
«Devo
andare a mangiare, nonna ha detto che mi prepara le frittelle!»
Sai che
novità! Allyson la mattina mangiava solo quelle, a meno che non ci fosse
qualcosa di più goloso e succulento … ad esempio, una torta glassata oppure uno
di quei cupcakes alle fragole che adorava alla follia.
«E sei
ancora qui? Sbrigati, altrimenti si raffreddano e non sono più buone!»
esclamai, rimettendola sul pavimento dopo che le ebbi baciato di nuovo le
guance. Le diedi qualche schiaffetto leggero sul sedere, e Allie scappò in
cucina sgambettando.
Sorrisi,
tornando a sdraiarmi di nuovo sul divano, ma scoprii che non avevo più sonno –
o voglia di rimettermi a dormire, non sapevo quale delle due fosse -, così mi
alzai e andai a vestirmi. Decisi anche che sarei andata con mia madre a portare
la bambina a scuola.
Una
volta che mi fui svegliata un po’ di più e dopo essermi resa presentabile,
tornai in cucina e mi sedetti al tavolo, accanto a mia figlia; lei stava già
mangiando le sue adorate frittelle, ricoperte dal solito sciroppo alla fragola
che le piaceva così tanto, e si era già macchiata il viso con tutta quella roba
appiccicosa. Presi un tovagliolino e cercai di pulirla, mentre mia madre posava
davanti a me il piatto della colazione.
«Vieni
anche tu con noi?» chiese, dopo aver notato che mi ero vestita.
Annuii,
sorridendo. «Sì, oggi vi accompagno anche io.»
«Sìììì,
mammina!» urlò Allyson, felice della novità.
«Bene,
così facciamo anche un po’ di spesa e un paio di chiacchiere. Ricordi che devi
ancora raccontarmi com’è andata ieri sera, no?»
Alzai
gli occhi al cielo prima di incontrare quelli di mia madre, così chiari
rispetto ai miei. Quella era l’unica cosa che non avevo ripreso da lei sul
punto dell’aspetto fisico; per tutto il resto, eravamo quasi due gocce d’acqua.
«Sì, mamma, me lo ricordo.»
«Perfetto.
Tuo padre sta ancora ronfando?»
«Oh sì,
sembra un trattore ingolfato.» quella battuta fece ridere Allyson.
«Trattore
inglofato!» ripeté, ridendo e leccando lo sciroppo dalla forchetta.
«Ingolfato, stellina, ingolfato!» la corresse mia madre,
divertita. «Ripeti con me: in-gol-fa-to!»
«In-glo-fa-to!»
Allie scoppiò a ridere non appena finì di dire la nuova parola.
«Okay,
mi sa che per stamattina le lezioni di inglese possono bastare!» dissi,
abbracciando la mia piccolina e baciandole i capelli profumati.
***
«Non ci
credo! Ha detto davvero così?»
esclamò mamma, con gli occhi sgranati e con il viso stravolto per quello che
avevo appena detto.
«Sì,
mamma, ha detto davvero così.» spinsi in avanti il carrello della spesa e
afferrai distrattamente un prodotto dallo scaffale più vicino.
‘Cetriolini
sottaceto’, lessi sull’etichetta. Bleah, a me neanche piacevano! Però papà li
usava sempre quando si preparava i panini … feci cadere altrettanto
distrattamente il barattolo nel carrello e tornai a appoggiarmi con i gomiti
sul manubrio.
«Ma che
razza di puttana!» sobbalzai sentendo
quelle parole uscire dalla bocca di mia madre.
«Mamma!
Trattieniti, per favore!» sibilai, voltandomi verso di lei e sgranando gli
occhi. Notai che un sacco di altre persone, impegnate come noi a fare la spesa
a quell’ora del mattino, ci stavano guardando scioccate. «Stai attirando
l’attenzione di tutti …»
«Non mi
interessa un cazzo, Bella!» disse, stavolta fortunatamente ebbe la decenza di
avvicinarsi a me e di dirlo sottovoce. «Ma come si è permessa! Sul serio, e poi
davanti a tutti i tuoi amici … ma non si è vergognata?»
«Ti
prego, mamma, non cominciare a fare tutte queste domande … e per di più, non
qui!» eravamo in un luogo pubblico e circondate da altre persone che, ne ero
sicura, non volevano sapere cosa era accaduto la sera prima con Lauren.
«Mi
stai chiedendo troppo, Isabella, davvero troppo!» squittì, furibonda: lo capii
dal modo in cui mi aveva chiamata, con il mio nome completo. «Sono indignata!
Si è permessa di dire che mia nipote ti ha rovinato la vita! Certo, è arrivata
un po’ troppo presto di quanto mi sarei mai immaginata … ma non mi sembra che
adesso tu te la stia cavando così male, con lei!»
«Mamma,
non pensarci per favore. È acqua passata, non conta più nulla.»
«E
allora perché me lo hai raccontato?»
«Perché
tu hai voluto sapere tutto riguardo a
ieri sera, ed io ti ho accontentata!» ribattei, scocciata da tutti i suoi
discorsi. La guardai accigliata per un paio di secondi, poi presi la borsa e
mollai a lei il carrello. «Vado a prendere un po’ di verdura.» le dissi prima
di allontanarmi.
Stavo
osservando scrupolosamente i pomodori alla ricerca di qualche ammaccatura prima
di metterli nel sacchetto, quando mia madre mi raggiunse. Aveva anche lei un
sacchetto in mano e cominciò a riempirlo con dei ravanelli. Li avrebbe mangiati
lei quelli, di certo non lo avrei fatto io! Odiavo i ravanelli.
«Scusami
per prima, tesoro, mi hai colta di sorpresa con tutta quella storia!» bisbigliò
al mio orecchio.
Scossi
la testa e scrollai le spalle, guardandola di sfuggita. «Non fa nulla, mamma,
non preoccuparti.»
«È che
mi da fastidio sentire che c’è gente così cafona in giro! Davvero, mi da sui
nervi.» la sentii sbuffare, e posare con poca grazia il sacchetto pieno di
ravanelli sulle cassette della verdura di fronte a sé. «L’avete mandata via,
dopo, vero?»
Annuii,
mentre prendevo un altro pomodoro e lo mettevo insieme agli altri nel
sacchetto. «Ci ha pensato Edward, sì.»
«Edward?
Ma … non era arrivata con lui?» domandò, dubbiosa.
«Sì, ma
dopo la sua uscita sui bambini e l’aborto ha detto che poteva anche andare via.
Secondo me era anche contento di liberarsi di lei.» dissi, facendo un nodo al
sacchetto.
Ci
avevo pensato e ripensato per parecchie ore, la notte precedente. Edward era
arrivato al locale insieme a Lauren dicendo che avevano un appuntamento, e non
ci aveva pensato due volte prima di unirsi al nostro gruppo; aveva poi
cominciato a tubare con lei e a guardarmi ogni due secondi per scoprire una mia
eventuale reazione, ma ogni volta era rimasto deluso non trovandola; e infine,
dopo che la gallinella se ne era uscita con quelle battute, l’aveva cacciata
come se avesse appena scoperto che aveva la peste … o la sifilide, non lo sapevo
con chiarezza.
Mi
aveva dato l’idea di uno che l’aveva usata come ripiego e che poi l’aveva
gettava via quando non serviva più … come faceva, insomma, quando la chiamava
per ‘svuotarsi le palle ogni tanto’. Ma stavolta l’aveva usata per … farmi
ingelosire? Possibile che fosse stato davvero quello il suo intento?
Ci ero
quasi uscita pazza e ancora non l’avevo capito.
«Ah.»
dopo quel rapido commento, non da lei, tornammo ad occuparci della spesa.
Finimmo
di prendere la frutta e la verdura che ci serviva, prendemmo un po’ di carne e
poi ci spostammo al reparto che più preferivo: quello delle schifezze. Riempii
buona parte del carrello con caramelle, merendine e dolcetti di ogni genere, da
dare come premio a Allyson quando si comportava bene … il resto, naturalmente,
era tutto per me.
«Secondo
me questo Edward è davvero interessato a te.» se ne uscì mia madre con
nonchalance posando una confezione di marshmallow nel carrello.
Inarcai
un sopracciglio. «Perché dici così?»
«Beh, mi
sembra ovvio! Arriva con una ragazza odiosa che usa come sfogo sessuale e cerca
di farti ingelosire, e dopo quello che ha combinato viene anche a chiederti
scusa …»
«Aspetta,
mamma! Come fai a sapere che Edward è venuto a scusarsi con me?» domandai, allarmata:
avevo una madre che leggeva nel pensiero? E da quando?
«Lo ha
fatto sul serio, quindi? Io avevo tirato a indovinare, ma a quanto sembra ci ho
preso!» trillò, contenta per quel fatto. «Comunque … io penso che ci tiene
davvero a te, e che gli piaci proprio come ti aveva detto giorni fa. Prova a
dargli una possibilità, no tesoro?»
Dargli
una possibilità? Stava scherzando? Cercai di capire dal suo sguardo se lo stava
facendo veramente, ma gli occhi brillanti di entusiasmo ed il sorriso da
stregatto che aveva assunto mi dicevano che no, non stava affatto scherzando.
«No, è
escluso. Potrà essere gentile, carino e interessato a me quanto vuole, ma non
posso dargli una possibilità.» dissi, voltandomi verso gli scaffali.
«Perché
dici così? È ancora per la storia del sesso?» domandò mamma, avvicinandosi a
me.
Sorrisi,
trattenendo una risata. «Certo, è anche per quello … ma ricordati che ho
Allyson a cui badare. Lei viene prima di tutto il resto, anche prima delle
uscite coi ragazzi.» le spiegai, osservando una confezione di invitanti
ciambelline glassate al cioccolato. «E non penso che lui voglia uscire con una
ragazza madre.»
«Gli
stai mettendo addosso pregiudizi che non sai se sono veri. Bambina mia, non
fasciarti la testa prima di averla rotta, okay?» mamma mi si parò davanti e mi
afferrò per le spalle, osservandomi in modo serio. «La prossima volta che vi
parlate non mandarlo subito via, Bella. Parlate, state un po’ di tempo insieme
… questo aiuta per capire meglio le persone. Ho dovuto farlo anche io con tuo padre,
sai?»
Sorrisi.
«Ricordo! Lui era uno scapestrato che passava il suo tempo a fare danno con gli
amici …»
«E alla
fine hai visto cosa è diventato? Ispettore della polizia di Forks!» rise e
fissò lo sguardo verso un punto lontano, forse ripensando proprio a quei
momenti. Mi guardò di nuovo e mi diede un buffetto sulla guancia. «Ricordati
questa chiacchierata, ti servirà.»
Lei si
allontanò, diretta chissà in quale parte del supermercato, e prima di seguirla
afferrai la confezione di ciambelline e la gettai nel carrello strapieno.
Non mi
importava un fico secco della linea, erano troppo invitanti!
***
Chiusi
con uno scatto la borsa, che avevo appena terminato di riempire, e la poggiai
sul pavimento del corridoio: avevo deciso di portarmi dietro un cambio e tutto
l’occorrente che mi serviva per una doccia veloce. Così, una volta tornata a
casa, sarei andata dritta a dormire e non avrei dovuto pensare a cambiarmi
prima di potermi riposare.
Cominciai
a controllare che all’interno della mia fidata borsa stile Mary Poppins ci
fosse tutto, e intanto sentii le diverse voci che provenivano dalla cucina. Ero
stata insieme agli altri fino a poco prima, e avevo aiutato la mamma mentre si
accingeva nella sua trovata del giorno: preparare le crepes.
Diciamo
che il suo pretesto era quello di collaudare il regalo di compleanno che mi
avevano dato i miei amici, per l’appunto una crepiera nuova di zecca. E a parte
i primi due tentativi falliti, non era andata poi così male.
Con la
borsa sottobraccio, entrai in cucina e mi diressi verso la credenza per
prendere qualcosa da mangiare. Afferrai due di quelle ciambelline che mi
avevano così tanto tentato al supermercato e le infilai in un sacchetto di
carta, per poi infilarle nella mia borsa.
«Vai
già via, Bella?» domandò papà, che stava notando i miei movimenti.
«Sì,
esco un po’ prima perché voglio passare un secondo da Alice.» gli spiegai,
voltandomi verso di lui che, con una tazza di caffè davanti, leggeva un
giornale.
«Ma non
vi siete sentite prima al telefono?»
«Lo so,
ma voglio passare un attimo al bar.» ribattei, tornando a voltarmi verso la
credenza. Dopo averci pensato su, presi anche una bottiglietta di succo di
frutta. Avrei potuto metterla nel piccolo frigo che c’era nella stanza degli
infermieri …
«Okay.
Mi raccomando, controlla se sta lavorando.»
«Certo
papà, certo.» ridacchiai, e mi voltai di nuovo verso di lui, inarcando le
sopracciglia. «Dove sono mamma e Allyson? Pensavo che fossero qui …»
Lui,
arricciando le labbra, indicò con il pollice alle sue spalle. «Sono andate di
là. Non so cosa stanno combinando, e non lo voglio neanche sapere!»
«Hai
paura che ti possano coinvolgere, eh papino?» risi, prima di abbracciarlo e di
lasciargli un bacio accanto ai suoi amati baffoni. «Vado a vedere cosa stanno
facendo.»
«Brava,
vai e lasciami leggere il giornale in santa pace.»
Gli
diedi uno schiaffetto sulla spalla per dispetto e uscii dalla cucina,
dirigendomi verso il punto da cui provenivano le voci allegre di mia madre e di
mia figlia. Le trovai sedute sul tappeto del salotto, o meglio c’era solo mia
madre seduta lì sopra. Allyson era in piedi e camminava, scalza, sopra a un
foglio di carta macchiato di colore … quando mi avvicinai, capii che stava
disegnando con i piedini e con i colori a tempera!
«Ma che
combinate?» dissi, mentre osservavo l’opera d’arte che stava realizzando mia
figlia.
Mamma
si voltò verso di me, sorridendo. «Hai visto? Questa è arte contemporanea! E
Allie si diverte un sacco.»
«Vorrei
vedere se non si sta divertendo! Le piace sporcarsi.» dissi ridendo, mentre
vedevo le varie impronte che la bambina aveva lasciato sul foglio. Ce n’erano
di verdi, gialle e rosse … e adesso le stava facendo rosa.
Allyson
cominciò a ridere e alzò il viso guardandomi con un sorriso enorme sulle
labbra, e si aggrappò alle mani di mia madre per non cadere. «Guarda, mamma!
Quelli sono i miei piedi!» urlò, alzandone uno e agitandolo.
«Lo
vedo, amore! Non sporcare il tappeto, però.»
«Ehm …
è già successo, Bella.» mamma, guardandomi in maniera colpevole, indicò un
punto poco lontano da lei dove spiccava una notevole macchia gialla. «Lo pulirò
più tardi, non preoccuparti!»
«Va
bene, mamma.» dissi, sospirando, e mi inginocchiai per poi far avvicinare la
piccola a me. Le baciai il naso. «La mamma sta per andare via, Allie. Fai la
brava con nonna, va bene?»
«Come
vai via? Resta qui, per favoreee!» mi implorò lei, gettandomi le braccia al
collo.
«Già
vai via? È presto per andare a lavoro … non cominciavi alle 19:00, oggi?»
domandò mia madre.
«Voglio
prima passare da Cece, mamma. Per questo esco un po’ prima … Allie, fai la
brava, su!» scrollai un po’ il suo corpicino e le feci un sorriso enorme, che
lei però non ricambiò. Si era imbronciata perché andavo a lavorare … cosa molto
da lei, insomma.
«Ci
sentiamo più tardi, okay? Così ci facciamo la buonanotte e parliamo un pochino
… me lo fai un sorriso?» visto che Allyson sembrava non volerlo fare neanche
morta, mi sporcai un dito con della tempera e lo passai sul suo naso,
colorandolo di blu. Quel gesto la fece sorridere sotto i baffi e ridere
debolmente.
«Ma che
brava, che brava!» la abbracciai e le baciai le guance mentre lei continuava a
ridere.
Lasciai
mamma e la bambina al loro divertimento e dopo aver salutato sia loro che papà
uscii di casa. Posai il borsone in macchina e poi andai a piedi verso il bar
della mia amica. Quando entrai, la trovai appoggiata al bancone mentre leggeva
una rivista enorme. Doveva essere ‘Vogue’ o qualcosa di simile.
«Ma tu
non lavori mai?» domandai, avvicinandomi. Ogni volta che arrivavo da lei o non
c’era nessuno, oppure qualcuno aveva appena lasciato il locale.
«Io
lavoro, sei tu che arrivi quando la clientela non c’è!» ribatté, sfogliando una
pagina della rivista. La poggiò poi sul bancone e si alzò, sorridendo. «Aw,
ciao tesoro! Tutto bene?»
«Sì,
tutto bene, come ti ho detto prima … me lo prepari un caffè, per favore?»
chiesi mentre mi sedevo sullo sgabello.
«Arriva
subito!»
Cominciai
a bere il caffè non appena me lo servì, e Alice mi fece compagnia prendendosi
una cioccolata calda. Eravamo a Settembre, quindi la cioccolata poteva anche
starci, ma ci trovavamo a Los Angeles e faceva ancora caldo … anzi, caldissimo!
Solo oggi la temperatura era di 32°… come faceva a bere qualcosa di così caldo,
con questo caldo?
«Allora?
Hai visto Edward oggi?» la domanda improvvisa di Alice mi fece sobbalzare sullo
sgabello.
«Perché
dovrei averlo visto?» chiesi.
«Così,
pensavo che al lavoro si fosse fatto vivo …»
«Sto
per andarci, al lavoro. Oggi ho il turno di notte.» la misi al corrente dei
miei orari e ripresi a bere il caffè.
Alice,
però, non demorse. «E lui, invece, oggi che turni ha?»
«Mah,
non lo so sinceramente …» scrollai le spalle e le lanciai un occhiataccia.
«Perché tutte queste domande?» mi stavano un po’ seccando, a dire la verità.
«Perché
mi va di farti tutte queste domande.» mi guardò sorridendo, e prese a far
vagare i suoi occhi per tutto il bar.
«Alice,
quella tua aria da santarellina non ti si addice proprio.» la conoscevo fin
troppo bene, e avevo capito che per quegli anni in cui eravamo state lontane
non era cambiata per niente. E stava sicuramente pensando a qualcosa di losco …
molto, molto losco. «Che cos’hai in mente?»
«Io?
Niente!» esclamò, sgranando gli occhi, ma alla fine si arrese e cominciò a
parlare a macchinetta. «Secondo me tu devi parlare con Edward! Lo so che ieri
ha sbagliato a venire con Lauren e a comportarsi in quel modo, ma non è stata
tutta colpa sua. È quella sgualdrina che ha sbagliato, non lui! E per me lui è
davvero interessato a te, come ti ha detto, e sempre secondo me lui non vuole
usarti solo per il sesso … penso che ci sia qualcos’altro sotto, anche Jasper
lo ha pensato. Si nota dal modo in cui ti guarda.» prese un respiro profondo, e
tornò a guardarmi con un sorriso sincero sul viso. «Che ne pensi?»
«Penso
che mi fai paura quando parli così!» dissi con voce stridula, seriamente
preoccupata per lei e per la sua salute mentale. «E poi … scusami, ma che dice
Jasper? Com’è che mi guarderebbe Edward?»
«Come
uno che vorrebbe mangiarti! E che vorrebbe capire cos’hai in testa.» sbatté velocemente
le ciglia e si portò il pollice alle labbra, mordicchiando l’unghia. «Anch’io
voglio capire meglio cos’è che hai in testa, e anche cos’ha lui … siete due
enigmi egizi.»
«Pfft!
Enigmi egizi! Non esagerare, Alice …»
«Va
bene, siete due rebus senza nessuna soluzione. Ma …» restò in silenzio per un
po’, «… se un giorno capirai che Edward non è quello che sembra, gli daresti
una possibilità?»
«Ma che
cazzo di domande sono queste?» abbaiai, sgranando gli occhi.
«Domande
da cui voglio una risposta sincera. Su, spara! Gli daresti una possibilità?»
Osservai
per qualche istante gli occhi finemente truccati di Alice prima di distogliere
lo sguardo, pensando alla domanda che mi aveva appena posto. “Gli daresti una possibilità?” Era una
domanda 100 milioni di dollari, quella!
E la
domanda rispecchiava in qualche modo il discorso che mi aveva fatto mia madre
quella stessa mattina al supermercato. Una volta aver conosciuto meglio Edward,
il suo carattere e chissà cos’altro, e una volta aver capito che dopotutto non
era la persona che avevo sempre pensato … forse sarebbe anche finito col
piacermi.
E se mi
fosse piaciuto, gli avrei dato una possibilità? Immaginai per un istante di
mettere una ‘X’ alla casella del sì, perché sì, molto probabilmente quella era
la risposta che avrei scelto.
Ma
visto che non ero ancora sicura di Edward, del suo carattere e di tutto il
resto, non potevo già dare quella risposta.
«Forse.»
dissi alla fine, tornando a fissare Alice.
Lei
annuì, stirando le labbra in una smorfia buffa. «Forse. Beh. È già qualcosa,
almeno.» mormorò, distogliendo lo sguardo.
Quelle
ultime parole mi fecero pensare … non era che Alice sapeva qualcosa riguardo a
quell’argomento e non voleva dirmi nulla?
***
Avevo
preso di nuovo una pausa dal lavoro, come facevo spesso e volentieri durante i
miei turni; non ero la sola a farlo, c’erano un sacco di colleghi che facevano
come me. Il più delle volte staccavamo per 5/10 minuti per correre al bagno o
per andare a bere qualcosa … insomma, era il nostro modo di staccare un po’ e
di prendere una boccata d’aria.
Quella
sera in ospedale era tutto tranquillo, non c’erano state emergenze di nessun
tipo, se non contavo l’incidente stradale che aveva coinvolto due ragazzi e che
aveva messo sotto sopra l’intero pronto soccorso. Ma io ero di turno in
ginecologia, e quindi non mi avevano chiamato ad assistere … per fortuna.
Volevo
stare ancora per qualche altro tempo lontana dagli incidenti stradali e dalle
loro orribili conseguenze.
Brenda
sembrava aver deciso di punto in bianco che avrei lavorato sempre più spesso in
ginecologia e al reparto maternità dell’ospedale. Sapeva che avevo una figlia e
che l’esperienza con i neonati non mi era sconosciuta, e sembrava anche avere
molta fiducia in me. Ed io cercavo di fare del mio meglio e di non deluderla.
Avevo
approfittato del primo momento libero per andare a prendermi un caffè – la
notte era ancora lunga – e per rispondere a mia figlia che, come faceva sempre
quando non ero in casa con lei la sera, voleva augurarmi la buonanotte.
«Mamma,
mi raccomando non farla addormentare tardi.» dissi rivolta a mia madre. Mi
fidavo di lei e del suo buon senso, ma alcune volte era meglio ricordarle che
era lei l’adulta perché, quando si trovava con sua nipote, sembrava più lei la
bambina che Allyson.
«Perché me lo dici? Lo so che deve andare a
dormire presto!» replicò lei, quasi scocciata.
«Non
posso ricordartelo?»
«Certo che puoi, Bella. Ma io non sono ancora
rimbambita, le cose le ricordo ancora sai?!»
Risi,
poggiando la testa contro la parete: ero seduta sul pavimento della sala degli
infermieri, da sola, e mi godevo quel momento di pace. Accanto a me c’era la
mia dose serale di caffè.
«Va
bene, ho capito … adesso torno a lavoro, ho già preso troppi minuti di pausa.»
«Brava, fai vedere che sei una brava
infermiera che rispetta i turni! Ci vediamo domani.»
«A
domani, mamma. Buonanotte.» chiusi la chiamata con un sorriso e posai il
cellulare sul pavimento. Presi poi il bicchiere di caffè, che si andava
raffreddando, e cominciai a berlo.
Lo so,
avevo detto che dovevo tornare a lavorare … ma qualche altro momento di pausa
potevo ancora godermelo! E poi, se avevano bisogno di me potevano benissimo
chiamarmi col cercapersone, era stato inventato apposta.
Di
certo, non sarei stata l’unica a terminare la pausa in ritardo …
Sentii
qualcuno bussare alla porta, che avevo chiuso in precedenza per non rischiare
di venire disturbata, e mi voltai verso di essa.
«Avanti.»
dissi.
Non
serviva neanche chiedere il permesso per entrare. Insomma, quella stanza era
riservata per gli infermieri ma alla fine potevano entrarci tutti. Non era, che
ne so, camera mia che dovevano per forza chiedermi il permesso per entrare.
Al mio
invito, la porta si socchiuse e una testa dagli arruffati capelli ramati fece
capolino. Il respiro mi si fermò di colpo, vedendola. Era sicuramente l’ultima
persona che mi aspettavo di vedere quella sera … non mi era mai capitato di vederlo
sbucare fuori durante il turno notturno del venerdì.
Come
mai si trovava lì?
Edward,
notando la mia presenza, mi sorrise e senza spostare gli occhi verdi dalla mia
figura entrò con tutto il corpo nella stanza; in mano aveva un sacchetto di
carta marrone con il logo del McDonald. «Ah, sei qui!» disse, divertito.
Lo
guardai arcignamente, poggiando le mani sulle ginocchia: non immaginavo di
rivederlo a distanza di ventiquattro ore dopo l’episodio del mio compleanno, e
ero abbastanza confusa per quello.
«Che ci
fai qui?» chiesi, restando a distanza di sicurezza.
Non so
se era chiaro, ma non mi fidavo molto di lui.
«Ti
stavo cercando.» rispose lui semplicemente, infilando una mano in tasca e
poggiando il piede sulla parete. «Mi hanno detto che eri di turno in
ginecologia ma che avevi preso una pausa, e quindi sono venuto a cercarti … ti
ho disturbato?»
Mi
morsi le labbra, e scossi la testa in senso di diniego. Non sapevo spiegarmi il
perché, ma vederlo così tranquillo, così gentile e così … diverso dal solito, mi faceva una strana impressione. Non sembrava
la stessa persona che avevo conosciuto e che ci aveva spudoratamente provato
con me.
Che
avesse uno sdoppiamento della personalità?
«Ho
pensato che ti sarebbe piaciuto mangiare qualcosa …» Edward continuò a parlare
e sollevò il sacchetto che teneva in mano, grattandosi i capelli sulla tempia
destra. «Ti … faccio compagnia, se non è un problema per te.»
Okay,
era ufficiale: questo non era davvero l’Edward Cullen che avevo conosciuto io.
Era un’altra persona che avevo davanti, una persona che mi stava chiedendo di
mangiare qualcosa con lui invece di … andare a fare sesso dentro a uno
sgabuzzino.
E
qualcosa dentro di me mi diceva che dovevo conoscere meglio questo Edward che
non avevo mai visto prima. Ero curiosa di vedere fino a dove si sarebbe spinto
… sperai non fino a quel punto,
almeno.
«Va
bene.» dissi alla fine, cambiando posizione. Mi misi a gambe incrociate sul
pavimento e quando tornai a guardarlo notai che si stava sedendo di fronte a
me, nella mia stessa e identica posizione, e posò il sacchetto davanti a noi.
Mi
sorrise, aprendolo e passandomi la prima cosa che trovò, ossia la confezione di
un cheeseburger. «Spero di averci preso, non conosco i tuoi gusti.» rise
nervosamente.
Mi
venne istantaneo sorridere davanti al suo nervosismo. Afferrai il panino dalle
sue mani e cominciai a scartarlo. «Va benissimo, non preoccuparti.»
Cominciammo
a mangiare ed in quel momento capii che la mia intenzione di terminare la pausa
stava andando a farsi benedire. Come avevo pensato prima, c’era sempre il
cercapersone …
Più
restavo a contatto con Edward e più vedevo che dopotutto non era il ragazzo su
cui avevo fatto mille viaggi mentali. Non aveva provato neanche una volta ad
azzerare la poca distanza che ci divideva o a toccarmi senza che io lo volessi,
come aveva fatto invece un paio di giorni prima … e non cercava nemmeno di
attirare la mia attenzione muovendosi in qualche modo strano.
Sapevo
che non potevo fidarmi subito di lui grazie a questo suo nuovo comportamento,
ero io la prima che non voleva farlo … ma dovevo ammettere che mi stava
piacendo questo nuovo Edward. Era … non lo so, era strano ma mi piaceva. Ma non
volevo ancora fidarmi di lui.
Chiamatemi
pure ‘Miss contraddizione’.
«Sai …»
dissi, mangiando qualche patatina che avevo rubato dal suo sacchetto, «Non mi
aspettavo che tu fossi così … diverso.»
Estraniai
il mio pensiero, e Edward ridacchiò. «Questo perché non potevi saperlo,
Isabella. Non mi conosci, dopotutto.» mormorò guardandomi di sottecchi.
Non lo
stava dicendo tanto per dirlo o per farmi rimanere male, la sua sembrava più
un’affermazione, più che altro. Ed il fatto che avesse ragione su quel fatto mi
fece arricciare le labbra.
«Neanche
tu sai qualcosa di me … lo hai capito ieri sera, no?» replicai, grattandomi una
guancia.
«Già,
hai ragione.» mormorò, raschiando qualcosa sul pavimento che io non riuscivo a
vedere. «Abbiamo cominciato con il piede sbagliato, noi due.»
«Mi sa
proprio di sì …»
E con
un movimento fluido e veloce del braccio, Edward mi porse una mano, sorridendo
apertamente. «Ciao, io sono Edward Cullen. Tu sei …?» chiese, trattenendosi dal
ridere.
Anche
io cercavo di non scoppiare a ridere, perché quella era una cosa stupida e
imbarazzante da fare … ma era anche divertente, cavolo! Così ricambiai il
saluto, ridacchiando.
«Io
sono Isabella Swan, ma i miei amici mi chiamano Bella. È un piacere
conoscerti.»
«Bella
… posso chiamarti così anche io? Sono tuo amico.» mormorò, guardandomi in modo
incerto.
Ah,
beh, era normale che mi guardasse in quel modo. Fino al giorno prima ci eravamo
comportati come Tom e Jerry, ed io avevo sempre cercato di evitarlo come se lui
fosse una malattia altamente contagiosa … ma adesso le cose sembravano diverse.
Potevo
considerarlo mio amico senza dovermene pentire? Non sembrava così male se ci
parlavi con calma e senza abbaiargli contro.
«Certo.
Sei mio amico, Edward.» risposi, sperando di non pentirmi di quello che avevo
appena detto.
Il suo
sorriso divenne enorme, andava quasi da guancia a guancia. Cominciò a ridere e
si grattò i capelli, in modo nervoso, mentre mi guardava. «Prometto che non
farò nulla di sbagliato, Bella. Mi comporterò bene, da bravo amico.»
Strinsi
le labbra, soppesando le sue parole. In qualche modo gli credevo, ma non ero
ancora così certa di potermi fidare di lui. Ma sembrava così convinto di quello
che diceva!
Qualcosa
dentro di me mi diceva che la mia nuova amicizia con Edward Cullen mi avrebbe
riservato non poche sorprese …
________________
Ow!
Siete arrivate qui? Bene! :D
Edward
e Bella sono diventati amici. Che cosa ne pensate? Bella è ancora scettica e
non si fida molto di lui, e la cosa è normale perché questo ‘nuovo’ Edward la
confonde non poco… voi, invece? Siete contente che hanno abbandonato –
finalmente - l’ascia di guerra? :)
Bene,
per adesso su questa storia è tutto. L’aggiornamento arriverà tra dieci giorni,
quindi verso il 26 Gennaio :D
E adesso…
una nuova notizia!
Io e la
mia socia/cessa Meredhit, non so se la conoscete – ma spero di sì – stiamo
lavorando su una fan fiction a 4 mani *-* il primo capitolo dovrebbe arrivare
tra qualche settimana. Vi informerò poi su tutto, ma se siete interessate e
volete saperne qualcosa di più passate sul mio gruppo (ho lasciato il link
sopra XD), e vi lascio anche quello della mia amica, Pensieri
di carta :)
Bene,
questo è davvero tutto XD nel pomeriggio risponderò alle vostre recensione ;)
Un
bacione, e alla prossima!
|
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Capitolo 12 *** Capitolo 12 ***
Solo il tempo... - Capitolo12
Solo il
tempo
Capitolo
12
I
giorni che seguirono alla mia ‘rappacificazione’ con Edward trascorsero
tranquillamente e in un battibaleno, tanto che presto eravamo arrivati alla
metà di Ottobre ed io quasi non me ne ero resa conto. La cosa dipendeva anche
dal clima particolare di Los Angeles, dove la temperatura era ancora alta e non
scendeva al di sotto dei venticinque gradi.
In
genere, a Forks in quel periodo del mese eri già costretto a andare in giro con
gli abiti pesanti, a causa dell’umidità e della pioggia che scrosciava quasi ininterrottamente
sette giorni alla settimana. Dovevo ancora abituarmi a questi piccoli
particolari.
I miei
genitori erano tornati a Forks da un bel pezzo, e la cosa si notava
specialmente dal fatto che la casa sembrava più disabitata che mai senza di
loro. Mi ero abituata quasi del tutto a vivere insieme a loro, e adesso non
sentirli più battibeccare in giro per casa mi creava sempre una strana
sensazione.
Meno
male che le videochiamate di mamma compensavano un po’ questo dettaglio.
Quell’ultimo
mese trascorso era stato quasi del tutto normale e non c’erano state novità di
grande rilevanza … più o meno. Non era accaduto nulla di importante, o di
disastroso … l’unica cosa che era successa, e che mi lasciava ancora basita e
incredula, era il fatto che io e Edward Cullen fossimo diventati amici.
Amici:
quella era una parola enorme per definire il rapporto che si era instaurato tra
noi due! Eravamo più che altro due conoscenti, che si incontravano per i
corridoi dell’ospedale e che si scambiavano un saluto frettoloso, che
chiacchieravano spesso e volentieri e che quasi tutte le mattine prendevamo un
caffè insieme prima di andare a lavorare nei rispettivi reparti.
Okay,
va bene, eravamo amici.
Quando
avevo deciso di arrendermi e di deporre l’ascia di guerra, quella sera in cui
lui era stato così gentile da venire a trovarmi e ad offrirmi quello spuntino
durante la pausa, ero rimasta un sacco diffidente ed ero decisa di andarci con
i piedi di piombo con lui. Non mi fidavo del suo improvviso cambiamento,
sembrava una facciata così ben costruita e troppo bella per essere vera … ma
mano a mano che ci conoscevamo meglio, avevo capito che quella era la sua vera
facciata.
Edward
Cullen era davvero una persona normale, e non stronza come mi era sembrata
all’inizio. Era molto intelligente – doveva esserlo per forza, altrimenti non
sarebbe stato un chirurgo -, divertente, spiritoso e alla mano. Mi aveva
raccontato molto di lui e di quello che gli piaceva fare nel tempo libero.
Adorava fare surf, ad esempio. E chi se lo immaginava?
E poi
era anche un buon ascoltatore: era rimasto sinceramente interessato quando
avevo cominciato a descrivergli quella che era la mia vita, con Allyson che
occupava gran parte del mio tempo libero e con una famiglia che viveva a
chilometri e chilometri di distanza da me. Non avevo neanche provato ad
accennargli James; certo, gli avevo spiegato che avevo lasciato il mio ex
marito a Seattle, ma non gli avevo detto altro.
Era un
argomento troppo delicato e ancora troppo sensibile per me, e non mi andava di
raccontargli tutto adesso, quando ancora stavamo approfondendo la nostra nuova
amicizia. Forse un giorno lo avrei fatto, però.
Alice e
Rosalie sapevano già tutto, così come lo sapeva Jasper … Emmett non penso che
sapeva qualcosa, avevo vietato a Rose di parlarne a qualcuno che non fossero
loro tre e sperai veramente che non lo avesse fatto. Se lo sapeva Emmett, lo
avrebbe saputo presto anche Edward, e non volevo che sapesse una parte così
delicata della mia vita grazie a qualcuno che non ero io. Se doveva saperlo,
dovevo essere io quella che glielo avrebbe raccontato.
Ero
molto convinta di questo e non avevo nessunissima intenzione di sgarrare. Non
mi piaceva che venissero spifferati gli affari miei …
Comunque,
il fatto che io e Edward Cullen fossimo amici era diventata una notizia di
pubblico dominio: chi era venuto a conoscenza delle nostre scaramucce in
ospedale lo sapeva, le mie amiche lo sapevano perché avevo detto loro tutto, e
naturalmente i loro fidanzati lo sapevano perché loro non erano riuscite a
stare zitte, almeno su quel punto.
Lo
sapeva anche mia madre.
«Hai visto, tesoro, hai visto?! Avevo
ragione!» aveva esclamato una sera mentre, grazie alla webcam del computer,
mi guardava estasiata e fremente. «Te
l’avevo detto che dovevi parlare con lui! Non è così male come pensavi, vero?
Su, raccontami tutto!»
Vi
risparmio tutti i vaneggiamenti che ero stata costretta a sentire.
La
reazione di Alice e Rosalie era stata un po’ diversa … quella di Rosalie
specialmente, era stata la più acida e sfuggente.
«Sai che roba, essere amica di Edward Cullen!
Non è che ti sta prendendo in giro e vuole solo scoparti?» aveva domandato,
inarcando il sopracciglio biondo.
Per
fortuna che c’eravamo solo noi in salotto, e non dovevo sgridarla perché diceva
parole poco appropriate visto che Allie dormiva già da un bel pezzo.
«Rose, morditi la lingua per una volta!
Secondo me non c’è niente di male a essere sua amica … magari esce fuori un suo
lato nascosto.» aveva ribattuto invece Alice.
E dovevo
concordare con lei riguardo al lato nascosto di Edward: ne aveva parecchi,
dovevo proprio ammetterlo.
La
reazione di Carmen era stata la più divertente. Era rimasta con la bocca
spalancata e con gli occhi sgranati e non era riuscita a dire neanche una parola,
senza contare che aveva anche un sacco di clisteri tra le braccia e che doveva
portare al reparto di terapia intensiva.
Forse
avrei dovuto trovare un momento migliore per confessarglielo, ma ormai era
acqua passata e non potevo cambiare le cose.
Pensavo
che avrei rimpianto la scelta di diventare amica di Edward, ma adesso che i
giorni passavano e che in tutto questo tempo lui non aveva sfoggiato più
neanche per una volta la sua versione stronza e superficiale diventavo sempre
più convinta che non dovevo più rimuginarci su.
Era
stata una buona scelta, dopotutto … senza contare che nessuno si era più
lamentato di incontri clandestini di sesso negli sgabuzzini, spogliatoi o
bagni. Neanche a me era più capitato di essere a distanza ravvicinata con quegli
episodi. Edward sembrava aver abbandonato anche quella via …
… e
Lauren sembrava molto seccata per quel dettaglio! Era più acida e cattiva del
solito, e nessuno la sopportava più.
Io in
primis, ovviamente.
L’unica
cosa che cominciavo a temere era il fatto che cominciava a piacermi molto
Edward, e questa sua nuova personalità … e avevo la seria premonizione che ben
presto si sarebbe trasformata in una cotta. Io, cotta di Edward Cullen …
Tremavo
al solo pensiero.
***
«Mammaaaaaaaa!»
Allyson
mi raggiunse in quello che una volta era stato un semplice ripostiglio delle
scope, e che io avevo rivoluzionato aggiungendoci anche il reparto lavanderia.
Certo, lo spazio era ristretto e quasi non ci si entrava, ma l’importante era
che fosse efficiente.
«Che
c’è, amore?» chiesi, mentre mi voltavo verso di lei e ripiegavo allo stesso
tempo un asciugamano.
«C’è un
signore alto alto che vuole vederti.» mi disse concitata, quasi sussurrando.
Aggrottai
le sopracciglia e misi da parte gli altri panni che dovevo finire di sistemare.
«Un signore? Non lo hai fatto entrare, vero?»
Lei
scosse la testa. «No, gli ho detto che tu mi hai detto che le persone che non
conosco non devo farle entrare!»
Almeno
qualcuno dei miei insegnamenti le restava impresso nella mente. Quelli che
riguardavano i dolci e le caramelle, però, chissà dove andavano a finire …
entravano in un orecchio e uscivano dall’altro, forse.
«Brava,
hai fatto bene. Ma ti ha detto chi è?»
«Ha
detto che è amico tuo.» Il campanello suonò due secondi dopo e Allyson cominciò
a saltellare, eccitata. «Lo senti, mamma? È lui, è lui!»
Sospirai,
divertita. «Va bene, adesso vado a aprire … ma prima io mica l’ho sentito, il
campanello.» borbottai, uscendo dalla lavanderia e chiudendo la porta.
«Io
l’ho sentito, invece! Tu no perché mi sa che sei torda!» esclamò ridendo.
Socchiusi
gli occhi e la guardai minacciosa. «Ah, sarei torda eh? Adesso ti faccio vedere io se lo sono o no!»
Allie
scappò via da me con un urlo ma non fu molto veloce, perché la riacchiappai
subito e la strinsi tra le braccia come
se fosse un sacco di patate. Mi muovevo ancheggiando per il corridoio e facevo
oscillare anche le braccia, baciando e mordendo nello stesso momento il viso di
mia figlia che rideva e urlava a squarciagola.
«No,
lasciami! Mamma, lasciami!»
«Non
posso, sono una torda!» replicai, baciandola di nuovo.
Quando
arrivai davanti alla porta di casa la sistemai meglio, sostenendola con un
braccio solo, e aprii la porta con la mano libera per vedere chi fosse questo
mio amico che aveva deciso di venire a trovarmi a quell’ora di sera. Non era
tardi, però io non aspettavo nessuno e quella era una mezza sorpresa …
«È lui,
mamma! È il tuo amico!» Allyson quasi mi trapanò le orecchie non appena la
porta fu aperta, e indicò con il dito la persona che ci era venuta a trovare …
Edward.
Quella
era davvero una mezza sorpresa!
Lo
osservai quasi scioccata, tanto che passarono diversi secondi prima che io
trovassi le mie buone facoltà per salutarlo. Sorrisi, schiarendomi la voce. «Eh
… ciao, Edward.»
Edward
ricambiò il mio sorriso e ridacchiò, osservando sia me che la bambina. «Ciao
Bella. E ciao anche a te, Allyson. Ci siamo conosciuti prima, no?»
«Sì è
vero! Ciao Edwadd!» pigolò lei agitando la manina.
Risi,
sentendola rivolgersi a lui come se lo conoscesse da una vita; tornai poi a
guardare Edward, facendogli un cenno con la testa. «Dai, entra.»
«Grazie.»
tornammo dentro casa e guidai il mio ‘ospite’ fino al salotto, disordinato come
al solito per via dei vari giochi che mia figlia trascinava a zonzo e lasciava per
tutta la casa.
«Scusa
il disordine, ma non pensavo di ricevere visite starera …» mi scusai, facendo
scendere la bambina dalle mie braccia.
«Sono
io che dovrei scusarmi, non ho neanche pensato di informarti.» disse,
scompigliandosi con una mano quella massa informe che si ritrovava in testa.
Sollevò poi un sacchetto bianco che teneva nell’altra mano. «Ma ho portato
qualche dolcetto per farmi perdonare.»
Osservai
il sacchetto che mi stava porgendo e poi lo presi dalle sue mani, scuotendo
piano la testa. Ecco, era questo che intendevo quando dicevo che Edward spesso
e volentieri mi confondeva: pensavo di sapere tutto – o quasi – di lui, ma ecco
che usciva fuori qualcosa che mi lasciava spiazzata.
«Grazie
Edward. Ehi, Allie, guarda qui! Ci sono i cupcakes alla fragola!» esclamai
voltandomi verso mia figlia.
«Uau,
buoniiiii!» urlacchiò, prendendo con le manine paffute il dolcetto che le
porgevo. Era uno dei suoi preferiti e mi sembrava brutto negarglielo … anche se
era arrivata quasi l’ora di andare a nanna, per lei.
«Vado a
prendere dei fazzolettini altrimenti ti sporchi tutta.» mi rialzai e prima di
sparire in cucina tornai a rivolgermi a Edward, che osservava divertito la
bambina che mangiava il dolcetto. «Posso offrirti qualcosa da bere? Anche se il
massimo che ho è del tè. O un succo di frutta!» dissi nervosamente.
Perché
mi sentivo così nervosa?
Lui
scosse la testa, sorridendomi. «Nulla, non preoccuparti. Prendo anche io un
dolce!» indicò la bustina che avevo poggiato sul tavolino e un batter d’occhio
stava già mangiando la metà di un cupcakes.
«O …
okay.» balbettai, e temporeggiai per diversi secondi prima di andare a
recuperare i tovaglioli.
L’agitazione
per il fatto che avessi Edward in casa mia, e che in quel momento si trovava in
salotto insieme a mia figlia, alla mia piccola brontolona, era salita
improvvisamente alle stelle. Non mi aspettavo proprio una simile trovata da
parte sua … e poi, come diamine aveva fatto a sapere dove abitavo? Non lo
sapeva praticamente nessuno! Forse qualcuno, per non dire ‘Emmett’, aveva
cantato …
Afferrai
i tovagliolini e tornai rapidamente in salotto, dove Edward si era seduto sul
divano e, con le mani incrociate e i gomiti piantati sulle ginocchia, osservava
Allyson che stava parlando a macchinetta seduta sul tappeto.
«Eccomi
qui … ah! Guarda che ti sei combinata!» rimproverai bonariamente mia figlia e
le pulii la bocca e le manine, appiccicaticce di glassa rosa. Almeno aveva
risparmiato il pigiamino, fresco fresco di lavatrice.
«Ma
mamma! Io e Edwadd stiamo parlando!» mi rimproverò lei di scatto, sgranando
gli occhi.
«Scusa
se vi ho interrotto, allora … di che stavate parlando?» chiesi, sedendomi
accanto a lei, e cercai un cupcakes nel sacchetto.
«Allyson
voleva sapere se anche io, come Emmett, sono un principe.» mi informò Edward,
che sembrava davvero divertito per la cosa.
«Siete
fratelli, è una domanda lecita.» osservai, mordendo il pasticcino: ignorai come
avesse fatto la bambina a sapere che Edward e Emmett fossero fratelli. Forse
l’aveva messa al corrente Edward prima … «E lo sei?»
«Beh,
diciamo che ci sto lavorando, ma presto lo diventerò anche io. E troverò anche
una bella principessa che diventerà la mia fidanzata!» a quelle parole,
l’attenzione di Allyson, che era tutta catalizzata dal dolcetto che stavo
mangiando, tornò sul viso di Edward. Dove c’erano di mezzo le principesse,
c’era anche lei.
«Una
principessa? La voglio conoscere anche io!» sorrise, battendo le lunghe ciglia
bionde.
Edward
si mise a ridacchiare e si sporse in avanti per pizzicarle una guancia. «Non
appena la troverò la conoscerai, piccolina.»
«E sarà
bella come la mia mamma?» domandò poi.
Un
brivido mi corse lungo la schiena, sentendola. Lanciai un occhiata nervosa
prima alla mia bambina, che aspettava trepidante una risposta, e poi a Edward,
che invece sembrava non sapere cosa risponderle.
Ed io
non sapevo come comportarmi.
Ero
sicura che Edward provasse ancora dell’attrazione nei miei confronti –
altrimenti non avrebbe provato per niente a diventare mio amico -, ma scoprire
se era davvero come pensavo o che qualcosa nel frattempo era cambiato, mi
lasciava l’amaro in bocca.
«Spero davvero
che sia bella come la tua mamma …» rispose alla fine, e si schiarì la voce
prima di lanciarmi una veloce occhiata.
Okay,
adesso sapevo che Edward provava ancora qualcosa per me.
Involontariamente
arrossii, e dovetti abbassare il viso per cercare di calmarmi. Ma il fatto che
non potessi vedere cosa stava facendo mi agitò ancora di più, così lo rialzai e
presi a cercare disperatamente un altro dolcetto nel sacchetto.
«Lo
voglio anche io, anche io!» Allyson si sedette sulle mie gambe e allungò le
manine, cercando di scipparmi il dolce.
«Aha,
no amore! Se lo mangi tutto dopo non riesci a dormire.» le baciai la fronte,
mentre lei mi guardava infuriata.
«Ma io
lo voglio! Voglio il cuccakes!» pigolò, imbronciandosi all’improvviso. Quella,
senza dubbio, era l’arma più letale che potesse usare contro di me. Come potevo
dirle di no quando mi guardava in quel modo? Come?
E alla
fine mi arresi. «Dagli un morso, avanti, ma piccolo!» mi raccomandai con lei e
le misi davanti agli occhi il dolce, che morse subito. Alla faccia di morso
piccolo, se n’era appena mangiato metà.
«Ingorda.»
borbottai, e arricciai per un istante le labbra prima di mangiare il resto del
cupcakes.
«Le
piacciono i dolci, a quanto pare.» commentò Edward, osservandola.
Annuii,
posando le mani sulle piccole spalle di Allyson e le lasciai un bacio tra i
capelli. «Sì, i dolci e tutte le schifezze di questo mondo! Tranne quelli al
miele: lei lo odia.»
«Odia
il miele? In genere ai bambini piace …»
«Lo so,
ma lei non lo ha mai apprezzato, neanche da neonata. Mi rifiutava sempre il
ciucciotto quando lo ricoprivo con un po’ di miele …» lo informai, sorridendo
mentre ricordavo quei momenti. Mi facevano anche infuriare, perché significava
che Allyson non si calmava e seguitava a piangere per ore, facendo disperare me
e suo padre. Le provavamo tutte ogni volta, ma nulla sembrava andarle bene. E
spesso e volentieri ci ritrovavamo a passare a turno le notti insonni …
«Sul
serio? Che tipetto vispo!»
«Mamma,
che significa vispo?» mi chiese Allyson, cambiando posizione e mettendosi
completamente di fronte a me con il corpicino.
«Significa
‘allegro’.»
«Beh,
significa anche altre cose … ma allegro va bene ugualmente.» commentò Edward,
scuotendo la testa.
«Mami,
posso andare a prendere Sticch? Voglio farlo vedere a Edwadd!» domandò ancora
Allie, aggrappandosi al mio collo.
Inarcai
un sopracciglio davanti alla sua richiesta, e mi venne quasi da ridere. «Certo
che puoi. E dopo andiamo a fare la nanna, che si sta facendo tardi …»
«Non è
tardi, è prestissimissimo!» si lamentò, e scappò via di corsa dalle mie
braccia, precipitandosi verso la sua cameretta. Mi sa che aveva paura che
potessi cambiare idea e che la mandassi subito a dormire.
«È
simpatica tua figlia … quanti anni hai detto che ha?» mi chiese Edward non
appena la piccola birbante uscì dal salotto.
«Tre
anni e mezzo. Non vorrai provarci con lei, vero?» chiesi invece io, scoppiando
a ridere subito dopo.
Era
evidente che stavo scherzando, anche se parecchi sentendomi parlare avrebbero
storto le labbra davanti al mio modo di fare ironia: era come se gli avessi
appena domandato se era un pedofilo o meno … ma dal sorriso e dalla risatina
che fece lui in risposta, capii che anche lui aveva capito lo scherzo, e che
non aveva frainteso.
«Se
avesse venti anni in più forse ci farei un pensierino, ma adesso sono più
interessato a sua madre, sai com’è …» mormorò, puntando gli occhi nei miei, e
scivolò dal divano per ritrovarsi sul tappeto, a pochissima distanza da me.
Deglutii
a vuoto, sentendo il mio cuore che cominciava a battere come un tamburo e che
sembrava stesse per collassare. Le parole di Edward mi scombussolavano sempre,
ormai, e avrei dovuto già cominciare a farci l’abitudine … ma come potevo, se
ogni volta le emozioni che mi provocavano erano sempre diverse e così potenti?
Se
continuava così, non sarei uscita viva da quella situazione.
«Edward
…» soffiai, intimidita da lui e dai suoi modi che, però, cominciavo davvero ad
apprezzare. E più di quanto volessi ammettere a me stessa.
Edward
si stava avvicinando ulteriormente a me ma si bloccò quando un urlo
orribilmente spaventoso di Allyson, seguito dal suo pianto, giunse fino a noi.
Mi aveva salvato da chissà cosa, ma vedere fino a dove lui si fosse spinto era
di gran lunga migliore, rispetto alla prospettiva di controllare cosa fosse
successo alla bambina.
«Oddio,
Allyson!»
Preoccupata,
e spaventata a morte – in genere sentirla piangere per me era sempre un trauma
-, mi alzai in piedi e corsi in fretta e furia fino alla sua camera, ed entrai
trovandola rannicchiata in lacrime sul pavimento, accanto al letto, con il
visino coperto dalle braccia e … e con le mani orribilmente macchiate di
sangue.
Il mio
di sangue, invece, si ghiacciò nelle vene.
«Allie,
Allie! Fammi vedere tesoro, fammi vedere! Che è successo? Non è niente …»
parlavo a sproposito e nello stesso tempo cercavo di convincere mia figlia a
togliere le mani da davanti al viso, che seguitava a piangere
ininterrottamente.
«Fa
tanto male, mamma, fa tanto male!» pigolava tra i singhiozzi.
«Lo so
che fa male, amore, ma fammi vedere che cos’hai. Così possiamo metterci un
cerottino …» e finalmente la convinsi, ma capii che quel cerottino non sarebbe
servito a nulla. Aveva un taglio tremendo sopra al sopracciglio sinistro da cui
continuava ad uscire sangue, ed entrai quasi nel panico.
Ignorai
le proteste di mia figlia ed i suoi strilli, e cercai disperatamente qualcosa
che potesse aiutarmi a tamponare la ferita e a togliere tutto quel sangue.
Sapevo che in genere le ferite alla testa sanguinavano più delle altre, ma
cavolo! Non riuscivo ad essere così razionale vedendo Allyson ridotta in quello
stato.
«Ecco,
ecco … shh, va tutto bene, piccina, adesso passa tutto …» non ero brava a dire
le bugie, anzi facevo pena, ma sperai che almeno lei non si accorgesse di
questo mio difetto.
Continuai
a cercare di tranquillizzarla e mentre posavo una sua maglietta sulla ferita –
l’unica cosa che avevo trovato che potesse andare bene – me la strinsi contro
il petto, cullandola nel disperato tentativo che il suo pianto si calmasse un
poco.
«Bella,
togli la maglietta per favore. Fammi pulire la ferita e controllarla …» non mi
ero accorta che Edward, mentre io cercavo di aiutare mia figlia, fosse andato
alla ricerca di qualcosa di più adatto per la situazione.
Annuii,
e restai per i minuti seguenti in silenzio mentre lo osservavo passare un
asciugamano bagnato sul viso di Allyson. Aveva assunto un aria seria, quasi
autorevole, e completamente concentrata su quello che stava facendo. In quel
momento era entrato nei panni del medico.
«Mi
f-fai male … mi fai male!» protestò Allie, piangendo ancora.
«Lo so,
tesoro, un secondo e smetto …» le sussurrò, scostando l’asciugamano per
controllare di nuovo il taglio.
«Non è
profondo, ma neanche superficiale. Bella, dobbiamo andare in ospedale per
metterle dei punti.» disse, stavolta rivolto a me più che alla bambina.
«Ci ero
già arrivata.» borbottai piccata, cosa che scatenò in lui una bella e sonora
risata.
«Lo so
che ci eri arrivata, ma volevo vedere se eri davvero attenta.» mi sorrise.
«Adesso, tieni premuto l’asciugamano sulla ferita, mi raccomando. Ti aiuto ad
alzarti …»
In meno
di due minuti eravamo già fuori di casa, pronti per andare al pronto soccorso;
Edward si era gentilmente offerto di accompagnarci, dicendo che avevo bisogno
di una mano. Beh, aveva ragione: non sarei riuscita a guidare e allo stesso
tempo tenere quella benda improvvisata sulla testa di Allyson.
«Dove
stiamo andando?» chiese Allie, con la sua vocina che si era fatta lieve lieve:
aveva smesso di piangere, ma qualcosa mi diceva che avrebbe ricominciato a
breve.
«In un
bel posto, Allyson. Sono sicuro che ti piacerà.» le rispose Edward, al volante
della sua bella macchina super accessoriata – che, tra parentesi, era una Volvo
nuova di zecca.
Mi girai
verso di lui e lo fulminai con lo sguardo per un paio di secondi prima di
tornare a guardare mia figlia: poteva essere così cretino da pensare che a una
bambina così piccola potesse piacere un pronto soccorso?
***
Mi
ricredetti quando capii che a mia figlia piaceva davvero il pronto soccorso!
Era
rimasta a dir poco incantata quando aveva visto dov’era che io e Edward
l’avevamo portata: aveva cominciato a guardarsi attorno e a indicare qualunque
cosa che fosse di suo gusto, come se si trovasse all’interno di un negozio di
giocattoli e non, invece, in un ospedale. Senza contare la sua ferita, che
doveva essere ancora medicata a dovere.
Si
appropriò anche di uno dei camici usa e getta che venivano fatti indossare ai
pazienti. Ma smise di divertirsi quando, aiutata da Carmen, cominciai a
disinfettarle la ferita e scoppiò di nuovo in lacrime. La mia amica quella sera
aveva il turno notturno, e non appena ci aveva viste al pronto soccorso si era
precipitata ad aiutarci. Avrei voluto trovare un momento migliore per
presentarle la bambina, ma tant’è … ormai c’eravamo.
«Dai,
Allie, non fare così.» le dissi mentre cercavo di calmarla e di non farle fare
movimenti bruschi. Carmen le stava passando il disinfettante sul taglio e aveva
l’aria dispiaciuta, vedendo come si disperava la bambina.
«M-ma
fa male! La signora mi fa male, è … è cattiva!» esclamò, tirando su col nasino.
«Nessuno
mi ha mai dato della cattiva, qua dentro!» osservò la mia amica, un po’
risentita dalle parole che mia figlia aveva usato per lei. «Piccolina, tra un
pochino smetto di farti male, va bene?» le disse dolcemente, sorridendole, e in
qualche modo riuscì a terminare il suo lavoro.
Allyson
rimase buona e non si mosse, anche se continuava a piangere e non sembrava
voler smettere. Certo, per lei quello che stava sentendo era un dolore
infernale. E tutti sapevano che i bambini avevano una soglia bassa del dolore …
«Vado a
chiamare qualcuno che possa metterle i punti.» mi disse, posando il cotone che
aveva usato per disinfettare la ferita su un vassoio.
«Perché?
Non puoi occupartene tu?» le domandai, e per quello mi beccai una linguaccia.
«Mi
dispiace, Bella, ma tua figlia mi fa troppa tenerezza e non riesco a farle
altro male … perché non te ne occupi tu?» replicò, togliendosi i guanti.
«Non
sto lavorando adesso, e … neanche io ce la faccio.» ammisi, sbuffando.
«Perfetto.
Quindi aspetta cinque minuti che ti mando qualcuno. Ciao tesorino!» pigolò,
pizzicando la guancia di Allie, che non ricambiò per niente il saluto. Carmen
non ci rimase troppo male per quello, e alla fine andò via.
«Mammina,
voglio andare a casa …» mormorò Allyson, strofinandosi gli occhietti con le
mani.
Mi
chinai su di lei, scostandole per l’ennesima volta la frangia dalla fronte, e
le baciai la pelle. «Dobbiamo stare qui ancora un pochino, poi andiamo a casa.
Promesso, pulcino.»
«Ma io
non ci voglio stare qui …»
«Ci
stiamo per poco, Allie, poi andiamo via, okay?» baciai di nuovo la sua fronte,
cercando di farla stare buona, ma era un po’ difficile: cominciava a diventare
insofferente per quel posto.
«Ehi,
ma chi abbiamo qui? Ciao, Bella.» mi girai, sentendo la voce del nuovo
arrivato: Jacob. Mostrava un sorriso allegro e fermo, e quando mi fu vicino mi
diede diverse pacche sulla spalla. «Carmen mi ha detto tutto. Sistemiamo la
situazione in un battibaleno, d’accordo?»
Annuii,
stirando le labbra in un sorriso. «Certo, mi fido di te Jacob.»
Ridacchiò,
alle mie parole, e si scostò per raggiungere Allyson. Le sorrise, agitando una
mano. «Ciao Allyson, io sono Jacob. Sono un amico della mamma …»
«La
mamma ha tanti amici.» mormorò lei, e fece ridere sia me che Jacob.
«Eh sì,
ne ha proprio tanti. Mi fai vedere un secondo la fronte, tesoro? Ci metto poco
…»
«No,
no!» Allie alzò le braccia in alto e si coprì il viso, spaventata. «Mi fai male
anche tu, no!»
«Allie
…» sbuffai, un po’ sconcertata per il suo comportamento.
«Prometto
di non farti male, piccolina. Anzi, sai cosa facciamo? Facciamo una punturina e
dopo non sentirai più niente, parola di scout.» disse, carezzandole una guancia,
e dopo cominciò a trafficare con i vari scomparti del carrellino per cercare
quello che gli serviva.
«Jacob,
un antidolorifico? Non è che dopo …» cominciai a chiedergli, ma mi interruppe
prima che potessi provare a dire qualcos’altro.
«Bella,
è sicuro al 100%. Fidati, è meglio che non senta nulla invece di sentire
tutto.» mi strizzò l’occhio, e recuperò una siringa nuova da un cassettino.
Mi
fidai di lui – dovevo farlo, era un medico accidenti! Chi meglio di lui sapeva
cosa stava facendo? E alla fine feci bene, perché Allyson si tranquillizzò dopo
l’iniezione e rimase calma tutto il tempo mentre Jacob le metteva i punti, tre
in totale. E dopo una ventina di minuti stavamo aspettando solo il via libera
per tornare a casa.
Uscii
in corridoio, tenendo la bambina tra le braccia mentre la cullavo piano: tenevo
le labbra premute sui suoi capelli e ogni tanto le lasciavo un bacino. La
sentivo completamente abbandonata contro il mio petto, ma non dormiva. Si stava
godendo alla perfezione il lecca-lecca alla fragola che Jacob le aveva
lasciato.
L’uomo
dei lecca-lecca aveva colpito ancora.
Soffiai
per un istante sui capelli di mia figlia, sorridendo, e nell’alzare gli occhi
notai Edward, che era appoggiato alla parete e controllava qualcosa sul suo
cellulare. Aveva la fronte aggrottata e sembrava molto concentrato. Mi
avvicinai a lui col chiaro intento di disturbarlo, e mi stupii della mia mossa.
Da
quando in qua volevo disturbarlo?
«Ehi.»
dissi, avvisandolo della mia presenza.
Lui
alzò il viso e mi notò, sorridendo subito non appena capì che il peggio era
passato. «Ehi.» rispose, avvicinandosi a noi e passando distrattamente le dita
sulla testa di Allyson. Sicuramente le stava toccando il bendaggio bianco che
le copriva i punti. «Va tutto bene?»
Annuii.
«Sì, va bene. Stiamo aspettando che ci dicano che possiamo andare via …»
«Meno
male. Ehi, tesoro, che cosa mangi?» chiese poi, chinandosi per osservare meglio
la bambina in viso.
Lei non
rispose, troppo concentrata com’era a mangiare, così lo feci io. «Jacob le ha
dato un lecca-lecca, perché è stata una brava bambina.» pigolai, baciandola di
nuovo.
«Giusto,
lui sgancia sempre i lecca-lecca ai bambini!» osservò ridendo.
«State
parlando di me, eh?» all’improvviso ci raggiunse la sua voce divertita e nel
giro di due secondi ce lo ritrovammo davanti. Jacob osservò per qualche istante
Allie, poi allungò verso di me una cartellina con un foglio completamente
scritto sopra. «Se mi lasci una firma, Bella, potete tornare a casa.»
«Ah,
non vedevo l’ora!» stavo per afferrare la penna quando Edward decise di darmi
una mano.
«Allyson,
vieni un momentino in braccio a me? La mamma deve fare una cosa …»
Fui
completamente stupita quando Allyson allungò le braccia verso Edward per farsi
acchiappare, senza lamentarsi per di più. Edward la prese e se la strinse
contro con un sonoro “Oplà!”, e con lei in braccio si allontanò lungo il
corridoio.
«Do-dove
hai detto che devo firmare, Jacob?» chiesi, distogliendo finalmente gli occhi
da quella strana ma allo stesso tempo tenera immagine. Era la prima volta che
lo vedevo con un bambino in braccio … e non avrei mai pensato che potesse
essere così carino.
«Qui,
Bella.» Jacob mi indicò un punto con il dito ed io mi apprestai a
scarabocchiarci sopra la mia firma. «Così, tu e Edward Cullen eh?»
«Siamo amici.»
dissi secca, restituendogli la penna. Non volevo aggiungere altro, anche perché
non avrei saputo cosa aggiungere.
«Possiamo andare?»
«Ma
certo che potete! E comunque … se tra di voi nascesse qualcosa, io vi ci vedrei
molto bene insieme.» dopo quella battuta e una strizzatina d’occhi divertita,
Jacob andò via, lasciandomi spiazzata in mezzo al corridoio.
***
Era
mezzanotte passata quando Edward fermò, finalmente, la macchina davanti al mio
palazzo. Allyson si era addormentata durante il viaggio di ritorno con ancora
il lecca-lecca in bocca, ed io ero stata contenta di finirlo al posto suo.
Tanto, lei non si sarebbe svegliata prima della mattina seguente e non poteva
di certo finirlo.
Edward,
che quella sera si era dimostrato essere una persona molto scrupolosa e
premurosa, mi aiutò a scendere dalla sua auto e mi accompagnò fino al mio
appartamento. Una volta dentro, mi diressi in camera mia e delicatamente
poggiai Allyson sul materasso, cercando di non svegliarla. Dormiva troppo bene,
e non volevo rischiare di disturbare il suo sonno. L’antidolorifico in qualche
modo aveva agito su di lei come se fosse stato una specie di sonnifero.
La
osservai per qualche istante, e i miei occhi si posarono sulle varie macchie di
sangue che le imbrattavano il pigiamino … forse sarei riuscita a toglierglielo
e a cambiarglielo senza svegliarla.
Tornai
in salotto, dove Edward aveva deciso di aspettarmi, e mi sedetti accanto a lui
sul divano. Mi strofinai stancamente gli occhi con le mani e sbuffai, sentendo
all’improvviso tutto il peso di quella lunga giornata pesarmi addosso.
«Grazie
per avermi accompagnata, Edward.» sussurrai non appena smisi di demoralizzarmi
con il pensiero. «Da sola non ce l’avrei fatta. Grazie …»
«Beh,
eri un tantino sconvolta … però, non devi ringraziarmi.» replicò, sorridendomi
debolmente. «Non è stato un problema per me.»
«È
stato uno spiacevole imprevisto, e anche spaventoso. Mi sono preoccupata
tantissimo! Ho sempre il terrore quando la sento urlare in quella maniera.»
dissi mestamente, coprendomi la bocca con la mano prima di chiuderla in un
pugno.
«Ehi,
stai tranquilla. Allyson sta bene, la tua bambina sta bene. Passerà in pochi
giorni, lo sai benissimo.» sentii la sua mano circondarmi le spalle e stringere
la presa. «Sei un infermiera, sai come vanno queste cose.»
Ridacchiai,
e scossi la testa. «Sì, è vero, ma è la prima volta che vedo mia figlia in
quello stato … ho avuto paura.» lo guardai di nuovo prima di abbassare lo
sguardo, e mi ritrovai a poggiare la testa sotto a quella di Edward.
Avevo
improvvisamente bisogno di un abbraccio, e lui sembrò capirlo perché, in poco
tempo, mi ritrovai a stringere il tessuto della sua maglia mentre lui mi
spingeva contro il suo petto con una dolce costrizione. In quella posizione
potevo sentire meglio l’odore di Edward, un buon odore di uomo e di quello che
doveva essere il suo dopobarba … o il suo profumo preferito.
E
dovevo ammettere che mi piaceva, e anche molto.
Sollevai
di nuovo la testa, trovandomi inconsapevolmente alla stessa altezza e a
pochissima distanza da quella di Edward. I suoi occhi erano fissi sul mio viso
ed erano così chiari, intensi e penetranti da scatenarmi diversi brividi lungo
la schiena e le braccia. Abbassai i miei, sentendomi improvvisamente troppo
timida per continuare a guardarlo e allo stesso tempo troppo esposta.
Ma lui,
posando piano due dita sotto al mio mento, mi fece alzare un po’ di più il viso
e per reazione al suo gesto tornai a osservarlo. Mi sentivo nuda davanti al suo
sguardo, era una cosa che non riuscivo a sopportare. Era tremendamente troppo
intenso, oltre che magnificamente bello.
E prima
che me ne potessi rendere conto, le sue labbra erano sulle mie.
Premette
le labbra sulle mie in un semplice bacio a stampo, ma bastò quel contatto per
incendiare ogni singola cellula presente nel mio corpo, e per desiderare che
osasse un po’ di più in quel bacio.
Sapevo
di star cominciando a provare qualcosa per Edward, sapevo che mi piaceva il suo
aspetto e cominciava a piacermi anche il suo carattere, più di quanto volessi
ammettere a me stessa e agli altri … ma non sapevo quanto veramente mi
piacesse. Doveva baciarmi, per farmi capire che dopotutto lui mi piaceva più
del dovuto. Mi piaceva tantissimo, cavolo!
Strinsi
forte la sua maglia tra le mani, e quando pensai che stesse per intensificare
il bacio Edward si allontanò da me, gli occhi socchiusi e incorniciati dalle
lunghe ciglia. Aprii completamente i miei, e li feci scontrare con i suoi.
«Mi
piaci moltissimo, Bella. Non … non ho mai provato qualcosa per una persona come
la sto provando adesso per te. Io …» si bloccò, espirando rumorosamente, «… io
non so nulla di relazioni, non so nulla. Ma voglio provarci, e non voglio
sbagliare in nessun modo con te. Se mi dai una possibilità, cercherò di non
fare nulla che possa ferirti in qualche modo. Bella, dammi una possibilità.»
terminò il suo discorso in un sussurro, a pochissima distanza dalle mie labbra.
Non
sapevo cosa dire, e il respiro mi mancava. E senza rifletterci, senza farlo
aspettare per la mia risposta, gliela diedi subito e gli diedi quella che mi
suggeriva il mio cuore.
«Okay.»
Perché
volevo davvero dargli una possibilità, e volevo viverla insieme a lui.
E dopo
avermi sorriso dolcemente, dopo aver sentito la mia risposta, Edward mi baciò
di nuovo.
_________________
Salve a
tutte :)
Avete appena
letto il capitolo della svolta, e ne sono molto soddisfatta perché è venuto
proprio come l’avevo immaginato nella mia testa *-* beh, a parte il finale…
quello, non c’era proprio .-. però è venuto fuori e là e rimasto XD
Edward ha
fatto una visita a casa di Bella, e ha conosciuto Allyson: hanno fatto amicizia
subito, fortunatamente :) e poi avrete notato che sotto sotto l’Edward
conquistatore di cuori c’è ancora, e che esce fuori quando meno te lo aspetti
XD
E adesso,
Bella ha dato una nuova opportunità al bel dottore, che non sa un bel niente di
come ci si comporti in una relazione ma che vuole mettercela tutta per non
combinare danni... mi sa che ne vedremo proprio delle belle O_O
Vi
lascio il link del mio gruppo su Facebook,
se volete farne parte ;)
Ah, vi
lascio anche il link della mia nuova storia, 'Beats', scritta
insieme alla mia socia criminale Meredhit: dateci un occhiata, se vi va :D
Ci sentiamo
tra una decina di giorni con il nuovo capitolo, salvo imprevisti, quindi verso
il 6 di Febbraio :*
Alla
prossima, e buon week end a tutte ^_^
|
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Capitolo 13 *** Capitolo 13 ***
Solo il tempo... - Capitolo13
Solo il
tempo
Capitolo
13
Edward
andò via poco dopo, dopo che ebbe torturato le mie labbra con i suoi dolci baci
e quando capì che anche a me, come a lui, serviva una buona dose di sonno.
Senza contare che l’indomani mattina entrambi dovevamo andare a lavoro e che
dovevamo, di conseguenza, alzarci presto.
La
prospettiva di rivederlo a così poche ore di distanza dal’ultima volta mi fece
fremere di entusiasmo, come un’adolescente che sente nominare la persona che le
piace. Ma forse io ero davvero regredita a quel livello e non me ne ero ancora
resa conto.
Edward,
prima di andare via, mi aveva anche suggerito di svegliare Allyson ogni ora per
controllare che non avesse nessun segno che facesse pensare a un trauma
cranico: la botta che aveva preso era stata bella forte, ed era meglio
controllare che non ci fosse anche quella conseguenza.
Quando
la svegliai per controllarla e per cambiarle il pigiama, mi disse in un
sussurro assonnato che a farle male era stato ‘il comodino’. Doveva essere
scivolata, quindi, e la sua testa aveva bruscamente incontrato il mobile …
potei solo ringraziare il cielo che non avesse preso lo spigolo con l’occhio,
altrimenti sarei davvero morta per la paura.
Le
poche ore di sonno che potevo ancora concedermi sfumarono, e così restai fino
alle sei e mezza di mattina stesa sul letto accanto alla bambina, e la
osservavo mentre dormiva. Non si era agitata per niente, tranne quando la
svegliavo per controllarla. Per spiegarle il motivo per cui la disturbavo ogni
ora, mi ero inventata la storia di un gioco, dove io le facevo delle domande e
lei doveva rispondermi. E visto che le domande erano sempre le stesse (Come ti
chiami? Quanti anni hai? Chi è la tua mamma?), si era stancata presto.
«Mamma,
non mi piace questo gioco!» aveva esclamato quando la svegliai per la terza
volta.
Così la
avevo lasciata riposare e non la disturbai più, anche se compensai quella
mancanza e rimasi a guardarla. Ero sicura che oltre alla paura e alla ferita
sulla fronte non avesse nient’altro, non aveva neanche accennato a un mal di
testa …
Mi
alzai quando la sveglia suonò, e dopo averla spenta andai a farmi una doccia e
a vestirmi per uscire. La stanchezza cominciava a farsi sentire, ma avevo
passato tante di quelle notti insonni che ormai ci avevo fatto l’abitudine. E
fortunatamente la doccia contribuì a scacciare quell’accenno di sonno che mi
portavo dietro.
Stavo
bevendo il caffè appena fatto, appoggiata al tavolo della cucina, quando sentii
il citofono che suonava: quella era sicuramente Rose che veniva a fare la baby-sitter.
E dando un’occhiata veloce all’ora notai che era anche in anticipo! Forse anche
per lei c’era stato qualcosa che l’aveva buttata giù dal letto prima del
previsto.
Le
aprii, e la aspettai nel corridoio con in mano due tazze di caffè: visto che svolgeva
il suo ‘hobby’ gratis e che non voleva accettare nessun soldo da parte mia, mi
sembrava giusto prepararle almeno la colazione. E poi, a lei piaceva molto come
cucinavo.
«Buongiorno
Bella!» trillò, allegra come sempre, non appena sbucò dall’ascensore. Mi venne
incontro e mi baciò una guancia. «Ah, grazie!» aggiunse, prendendo la tazza che
le porgevo.
«Di
niente, Rosie.» la sbeffeggiai, usando il nomignolo con cui la chiamava sempre
Emmett.
«Ti
prego, odio Rosie! Mi ricorda il nome di un elefante.» borbottò, bevendo il
caffè.
Nel
frattempo ci eravamo spostate in cucina ed io mi stavo occupando di portare in
tavola tutto quello che avevo preparato – frittelle, uova e pancetta, pane
tostato, e un po’ di torta che avevo preparato il pomeriggio prima.
«Bella,
sai che mi piace tutto quello che cucini … ma tutta questa roba devo mangiare?
Dopo ingrasso e diventerò davvero un elefante!»
«Ma che
dici, sciocca! Mangia tutto quello che vuoi, non preoccuparti. E poi, ho
cucinato anche per Allie.» mi sedetti a tavola con lei e mi riempii il piatto
con un po’ di uova: al contrario delle altre mattine, avevo un po’ di fame.
«Ah, è
vero! Non so come ma me ne stavo dimenticando!» rise. «Sta ancora dormendo?»
«Sì,
stanotte ha dormito poco, ma sicuramente più di me.» smisi di mangiare, mentre
ripensavo a quello che era successo la sera prima. «Rose, per te è un problema
restare con Allie tutto il giorno?» le chiesi.
Smise
di mangiare anche lei e soppesò il mio sguardo, battendo le ciglia. «No, non è
un problema. Posso tranquillamente stare lontana dal centro per un giorno … ma
perché? Sta poco bene?»
«Ieri
sera ha avuto un piccolo incidente. Ha battuto la testa contro il comodino e le
hanno dato tre punti di sutura sulla fronte …» le spiegai. «Non me la sento di
mandarla all’asilo.»
«Non me
la sentirei neanche io, adesso che me lo hai detto Bella. Ma sta bene adesso,
vero?» chiese, preoccupata.
«Sì,
sta benissimo! Però voglio lasciarla tranquilla, almeno per oggi.»
«Non
preoccuparti di questo, tesoro. Ma … sai che potevi chiamarmi se c’era qualche
problema, no? Ti avrei accompagnata al pronto soccorso!»
«Eh …»
adesso ero super sicura che quello che le avrei detto non le sarebbe piaciuto
per niente. «Edward mi ha aiutata, ieri. Era qui quando è successo e ci ha
accompagnate lui …»
Le
sopracciglia super curate di Rosalie si aggrottarono immediatamente e la sua
faccia assunse l’espressione più scettica del mondo intero. Quando si tratta di
Edward faceva sempre così. «Edward era qui? E vi ha portate lui al pronto
soccorso?»
«Sì.»
Rimase
in silenzio per diversi secondi prima di riprendere a parlare, con un sospiro.
«Bella, lo so che sei adulta e che dirti quello che penso non servirà a niente,
ma Edward non mi piace. Lo sai benissimo, non mi piace nonostante ormai io
faccia quasi parte della sua famiglia e dovrebbe essere mio parente! Non mi
fido di lui …»
«Infatti,
non mi interessa quello che pensi. Ma Edward non è come credi, è davvero
cambiato da quando … da quando abbiamo fatto la pace e siamo diventati amici.»
dire quell’ultima parola, ‘amici’, mi costò più saliva del dovuto perché dopo i
baci di qualche ora prima, non sapevo se lo eravamo ancora o se eravamo anche
qualcos’altro. «E comunque, se non fosse cambiato non perderebbe di certo il
suo tempo con una come me.»
«Che
cosa intendi quando dici ‘una come me’? Bella, che ti sei messa in testa?»
domandò subito, inclinando la testa e arricciando le labbra.
«Una …
ragazza madre?» sussurrai.
Lei
sbuffò, alzando gli occhi al cielo. «Va bene, lo sanno tutti che sei una
ragazza madre … e questo non vuol dire che sei inferiore alle altre. Sei una
persona al pari di tutte le altre, se non di più e migliore.»
«Quindi,
Edward potrebbe accettarmi anche se ho una figlia?» chiesi, spinta dalle mie
insicurezze alle quali non riuscii a opporre resistenza.
«Perché
mi fai questa domanda?»
«Semplice
curiosità.» scrollai le spalle e tornai alla mia colazione, che non mi andava
poi così tanto di mangiare.
«Beh,
se è davvero cambiato come dici potrebbe farlo senza problemi … ma io non mi
fido di lui e del suo cambiamento, quindi la mia risposta non conta poi così
tanto.»
Guardai
la mia amica, con il boccone di uova che non riuscivo ancora a mandare giù. La
sua risposta, invece di rassicurarmi, mi aveva agitata più di prima.
***
Quella
mattina in ospedale più di una persona, incrociandomi, mi aveva chiesto se
Allyson stava bene. La cosa mi aveva lasciata del tutto confusa perché molte
delle persone con cui avevo scambiato quelle poche chiacchiere neanche le
conoscevo: erano più conoscenti che altro, quindi la mia confusione era più che
giustificata.
La voce
dell’incidente della mia bambina si era sparsa alla velocità della luce, a
quanto sembrava. Persino Brenda mi aveva domandato se la bambina stava bene,
quando la incontrai. Senza contare che tutti quelli con cui avevo parlato mi
avevano chiesto se io e Edward stavamo insieme, perché la sera prima eravamo
arrivati insieme al pronto soccorso.
E a
quella domanda cosa potevo rispondere, se non ‘no’?
Dopotutto,
non sapevo neanche io se stavo insieme a Edward. Dopo i baci casti della sera
prima, e alla possibilità che avevo deciso di dargli, non avevamo parlato di
altro … era presto per parlare già di una relazione tra noi due, lo sapevo
benissimo.
Strofinandomi
gli occhi con le mani e reprimendo uno sbadiglio, percorsi per l’ennesima volta
il corridoio principale del reparto maternità: non avevo fatto altro che
camminare su e giù per il reparto tutto il tempo, controllando le neo mamme e spingendo
verso le loro stanze le cullette con i loro piccoli bambini. E adesso
cominciavo a sentire davvero il bisogno di una bella dormita.
Forse
potevo rimediare alla cosa bevendo ancora del caffè.
«Ehi,
Bella, buongiorno.» alzai la testa e guardai Jacob, sorridente. Indossava
ancora il camice bianco e la divisa da dottore e teneva in mano diversi
fascicoli, e sembrava più sveglio di me. Lui aveva anche lavorato tutta la
notte, caspita! Dovevo farmi dire qual’era il suo segreto.
«Buongiorno.
Credevo che avevi già terminato il turno.» ammisi.
«In
teoria, ho staccato da quasi tre ore. In pratica, invece, devo occuparmi di un
appendicite che hanno fissato alle dodici e quindi …» scrollò le spalle. «Come
sta la bambina? Nessun problema, spero!»
«Oh sì,
sta benissimo! È a casa, adesso, non ho voluto mandarla a scuola per oggi.»
smisi di parlare per poter prendere il caffè di cui avevo così tanto bisogno
per tirare avanti. «Non sei il primo che me lo chiede stamattina, sai?»
«Immagino.
Tutti sanno del piccolo incidente di tua figlia … e che Edward era con te.»
Annuii.
«Pensano che stiamo insieme.»
«Ed è
vero?»
«Beh,
io …» stavo per dire di nuovo ‘no’, ma gettai la spugna: mi ero stancata di
ripeterlo. «Non lo so.»
«Forse
questo è il momento buono per scoprirlo … buongiorno Edward!» Jacob cominciò ad
agitare la mano, salutando qualcuno alle mie spalle, e mi fece sobbalzare tanto
che rischiai di far cadere il mio caffè.
Lanciandogli
un occhiata inviperita, mi girai e mi scontrai con gli occhi verdi che mi
piacevano così tanto. Edward ci aveva appena raggiunto, con i suoi soliti
occhiali che indossava solo quando lavorava ed i capelli scompigliati che gli
davano un aria trasandata. E con il camice blu da chirurgo era ancora più bello
del solito …
«Ciao,
Jacob. Che hai stamattina?» domandò, anche se i suoi occhi rimasero fissi su di
me. Arrossii, notandolo.
«Niente,
assolutamente niente! Ci vediamo in giro ragazzi.» e se ne andò via, con il suo
malloppo di fascicoli.
Edward
scosse la testa, osservando la sua figura che si allontanava lungo il
corridoio. «Ha qualche rotella fuori posto, è pazzo!» commentò, ridendo. Poi la
sua attenzione si spostò su di me, e mi sorrise. «Ciao.»
«Ciao.»
il mio fu un soffio che mi uscì dalle labbra, a causa della timidezza.
«Stai
bene? Mi sembri stanca …» chiese, passando la punta delle dita sui segni delle
occhiaie che avevo cercato di coprire, ma a quanto pare inutilmente.
«Ho
dormito poco, tutto qui.» mentii, non rivelandogli che invece avevo passato la
notte insonne, e scrollai le spalle.
Le sue
sopracciglia si aggrottarono, ed espirò dalle narici come se fosse rimasto
seccato dalla mia risposta. Ritirò la mano. «Pensavo che avresti seguito il mio
consiglio, e che avresti riposato.»
«Lo so,
ma ho seguito anche quell’altro tuo consiglio …» vedendo che non aveva capito
di quale consiglio stessi parlando, mi affrettai a aggiungere: «Ho svegliato
Allyson ogni ora per controllare che non avesse un trauma cranico.»
«Ah,
capisco! Sta bene, vero?» chiese ancora, e stavolta mi poggiò una mano sulla
spalla.
Annuii,
abbozzando un sorriso. «Sì, sta bene. Adesso è con Rose …»
«Rose?
La fidanzata di mio fratello?» il tono con cui mi fece quella domanda mi
insospettì.
«Sì,
proprio lei. Mi aiuta con la bambina durante il lavoro … credevo di avertelo
già raccontato.»
«Già,
ma credo di averlo dimenticato per un momento.» si grattò i capelli, a disagio.
«Non le piaccio molto.»
«Lo so,
me lo ha detto. Ma io lo avevo capito già prima che me lo dicesse.» ridacchiai,
appoggiandomi con la spalla alla parete, e bevvi il caffè che si andava
raffreddando.
«Vorrei
tanto capire per quale motivo le sto sulle palle.» borbottò, imitando i miei
movimenti.
Tornò a
guardarmi e mi sorrise, abbassando il viso e avvicinandolo al mio. Socchiusi
gli occhi, preparandomi a quello che sapevo stava per fare, ma all’ultimo secondo
voltai il viso, sentendomi improvvisamente a disagio al pensiero di doverlo
baciare davanti agli altri. Edward, così, si ritrovò a lasciare un bacio
leggero sulla mia guancia e rialzò il viso quasi subito, un po’ deluso.
Sospirai,
tornando a guardarlo. «Ti devo parlare.»
Lui
annuì. «Mi devo preoccupare?»
Trattenni
una risata e scossi in fretta la testa. «No, no. Però … c’è un posto tranquillo
dove possiamo farlo? Cioè, intendo parlare, non … quell’altra cosa!» mi
corressi in fretta, con le guance che cominciavano già a scaldarsi per la gaffe
che avevo appena fatto.
Fu il
turno di Edward di ridere. «Ho capito, Bella. Vieni con me.»
Lo
seguii fino agli ascensori, e dopo averne preso uno salimmo al terzo piano; una
volta lì, camminammo fino a raggiungere la stanza riservata ai chirurghi.
Sapevo che si trovava a quel piano, ma non ci ero mai stata dentro: mi ero
limitata a dare una piccola sbirciata dalla porta.
Dopo
essere entrati e aver controllato che fossimo soli, Edward chiuse la porta
dandole un giro di chiave. «Così non ci disturberà nessuno.» spiegò, e mi
raggiunse sul piccolo divano a due posti dove io, nel frattempo, mi ero seduta.
Mi sorrise, carezzandomi un ginocchio. «Allora, cos’è che devi dirmi?»
All’improvviso
mi sembrava di essere entrata in una delle puntate di “Grey’s Anatomy”, dove
lui era il dottor Bollore ed io ero Lexie. Oddio, non Lexie! Povera, aveva
fatto una brutta fine! Beh, anche Mark dopotutto non stava messo molto meglio
di lei …
Okay,
mi sa che avevo scelto la coppia ed il telefilm sbagliato.
«Volevo
parlare riguardo a quello che è successo ieri sera …» mormorai, stringendo le
mani in grembo; avevo provvisoriamente poggiato il bicchiere su un tavolo poco
lontano. «Ecco, non so come spiegarmi, e non vorrei dire qualcosa di sbagliato
…»
«Tranquilla,
dimmi quello che pensi. Non aver paura.» mi rassicurò lui, e mi accarezzò una
guancia.
Se
faceva così, però, non mi aiutava molto. Contribuiva a rendermi ancora più
nervosa e mi distraeva. Però, le sue piccole attenzioni mi piacevano … ma se
dovevo dirgli quello che provavo, dovevo assolutamente cercare di non
distrarmi.
«Oggi
molti mi hanno chiesto se io e te stiamo insieme, perché hanno sentito che ieri
mi hai accompagnata qui, ed io ho risposto loro di no. Però l’ho detto solo
perché non sapevo cos’altro dire! Non so se dopo quello che c’è stato tra di
noi qualcosa è cambiato … ecco, io volevo chiederti se secondo te qualcosa è
cambiato, oppure è ancora come prima e siamo soltanto amici …»
«Ehi,
fermati un secondo!» Edward fermò il fiume in piena che le mie parole avevano
creato, stringendo le mie mani e carezzandole leggermente. Presi un respiro,
annuendo, e mi morsi le labbra a disagio.
«Bella,
io sono confuso come te, forse più di te.» ammise. «Credimi, non ho mai pensato
che un giorno avrei messo la testa a posto e … mi sarei impegnato con qualcuno.
E non so come comportarmi, sono del tutto inesperto!»
Eravamo
entrambi confusi e questo mi tranquillizzò, anche se non del tutto. Abbassai lo
sguardo sulle nostre mani, stringendo lievemente la presa. «Sotto certi aspetti
sono inesperta anche io.» confessai. «Con il mio ex non ho mai affrontato
questa fase. Siamo passati dal semplice sesso occasionale all’essere
direttamente … sposati e genitori in poco tempo.»
Edward
mi fece alzare nuovamente il viso e mi costrinse a guardarlo, anche se in quel
momento ‘costringere’ non era proprio la parola adatta da usare. Ero più che
contenta di fissare i suoi occhi. «Andiamoci con calma, allora, non acceleriamo
le cose … ma una cosa devo davvero dirtela. Bella, io non credo di volerti
considerare solo una semplice amica.»
«Non
credo di volerlo fare neanche io.»
Sorrise.
«Quindi, possiamo dire che ci stiamo … frequentando?» domandò incerto, come se
avesse paura di sbagliare parola.
Risi,
annuendo. «Ci stiamo frequentando, va bene.»
E
stavolta, quando Edward avvicinò di nuovo il viso al mio per baciarmi, non mi
allontanai né mi voltai, ma rimasi nella stessa posizione e poggiai le mani
sulle sue spalle mentre ricambiavo il suo bacio. Edward mi cinse la schiena con
le braccia e mi strinse a sé intensificando il bacio, ma senza spingersi oltre.
Stava facendo davvero le cose per bene, forse per non spaventarmi, e a me stava
bene … anche se, lo ammettevo, mi sarebbe piaciuto se si fosse spinto un po’ più
in là.
Gli
baciai leggermente le labbra prima di spostarmi sulla sua guancia, per poi
poggiare il mento sulla spalla e ricambiare l’abbraccio in cui mi aveva tenuta
stretta durante quei minuti.
«Mi
spieghi perché ti comportavi in quel modo con le ragazze?» chiesi ancora prima
che me ne potessi rendere conto.
Edward,
sicuramente pensando la stessa cosa, smise di accarezzarmi la schiena e sciolse
l’abbraccio, allontanandosi per guardarmi bene in faccia e regalandomi una
bella occhiata sospettosa. «Ti sembra il momento giusto per parlarne?» domandò,
e dal tono che aveva usato capii che non era arrabbiato.
«Mi è
scappato, non volevo! Scusami!» squittii, coprendomi la bocca con le mani.
Lui
sbuffò, trattenendosi dal ridere: i suoi occhi me lo stavano suggerendo. «Beh,
ormai l’hai domandato, quindi … diciamo che qualcuno, anni fa, mi aveva
raccontato che alle ragazze piaceva l’uomo stronzo, che non mostrava i suoi
sentimenti. Così ci ho provato e … funzionava veramente.»
«Il
classico Casanova?»
Rise.
«Sì, un po’ come Casanova.»
«Ma non
hai mai pensato che a qualcuna non potesse piacere questo comportamento? Noi
ragazze non siamo mica tutte uguali …» gli feci notare.
«Infatti
ci ho pensato, ma solo quando ho visto che una persona in particolare non
accettava la mia corte, e che mi odiava.» mi guardò di sottecchi, facendomi
capire che stava parlando di me, e questo mi fece di nuovo arrossire.
«Io, no
… ma io non ti odiavo! Non mi piaceva il tuo carattere da stronzo megalomane,
ecco!» incrociai le braccia al petto, socchiudendo gli occhi mentre lo guardavo
e lo facevo ridere. «E smettila di ridere, mi fai innervosire!»
«Ah, la
mia piccola Bella nervosa …» mormorò, chinandosi di nuovo su di me per
baciarmi, ancora una volta.
Ridendo,
ricambiai il suo assalto seppellendo le dita tra i suoi capelli – era tanto che
volevo farlo, sì! -, e gioii in silenzio quando sentii che voleva approfondire
per bene il bacio. Ed in breve tempo, ci stavamo godendo una vera e propria
battaglia di lingue e saliva, che venne interrotta però dal mio cellulare.
Mugolai,
con disappunto. «Devo rispondere …» ansimai quando mi staccai da lui.
«No,
non lo fare.» Edward cominciò a baciarmi il collo, causandomi un nuovo sospiro
estasiato.
«Potrebbe
essere importante.» ribattei, e presi il telefono dalla tasca del camice
cercando di ignorare l’assalto di Edward. Me lo staccai di dosso con forza,
causandogli un lamento infastidito, quando notai chi fosse a chiamarmi.
«Rose!
Che succede?» risposi in fretta, in ansia. Non mi aveva mai chiamato durante il
giorno! Che fosse successo qualcosa?
«Bella, mi trovo all’entrata dell’ospedale …
puoi scendere subito?»
***
Uscii
in fretta e furia dall’ascensore, rischiando quasi di investire quelle poche
persone che stavano aspettando il loro turno per salire. Per loro sarei potuta
benissimo passare per una maleducata, ma non potevo preoccuparmi anche per
quello adesso.
Camminai
speditamente, diretta all’entrata dell’ospedale dove sapevo che Rosalie mi
stava aspettando insieme a mia figlia. Mi aveva assicurato al 100% che andava
tutto bene, ma che dovevo ugualmente scendere e raggiungerla. L’urgenza con cui
me lo aveva chiesto mi aveva fatta agitare lo stesso, però.
Stavo
diventando più apprensiva del solito.
Feci
correndo gli ultimi metri che mi separavano dall’entrata prima di fermarmi, e
di mettermi a cercare con lo sguardo le persone che mi interessavano. Intravidi
subito una chioma bionda e abbastanza familiare, e mi diressi subito verso la
sua direzione.
«Rose!»
la chiamai ad alta voce, e lei si voltò subito non appena mi sentì.
«Ciao!»
ricambiò il mio saluto, sobbalzando e abbassando lo sguardo non appena qualcosa
la urtò.
Feci
per vedere anch’io cosa la aveva sorpresa, ma capii quasi subito che era
soltanto Allyson. Lasciò subito andare le gambe di Rosalie e correndo mi venne
incontro, chiamandomi. Sembrava stesse benissimo, quindi smisi subito di
preoccuparmi per lei … una cosa che non era per niente facile, però.
«Ciao
mamma!» mi si buttò tra le braccia, aggrappandosi ai miei capelli.
«Ehi,
piccola! Come stai? Ti fa male la bua?» osservandola attentamente, le scostai i
capelli dalla fronte e guardai il cerotto che le copriva il taglio. Quel
particolare stonava, ed era l’unica cosa che mi ricordava che aveva avuto
quell’incidente … ma per il resto, stava benissimo. Era più in forma di me,
cavolo!
Allyson
scosse la testa. «No, non mi fa male. Mamma, stamattina non mi hai salutato.»
terminò la frase, e mi mise il broncio.
«Ah.»
non avevo neanche pensato di svegliarla, quella mattina, e avevo voluto farla
dormire con calma visto che a scuola non ci doveva andare. «Dormivi così bene …
volevi che ti svegliassi, tesoro?»
Annuì.
«Lo fai sempre!»
«La
mamma se n’è dimenticata, scusami.» la presi in braccio e me la strinsi contro
il petto, e le baciai anche le guance. «Non lo faccio più, promesso! Mi
perdoni, stellina?»
«Sìììì!
Ti predono, mamma!» esclamò, e mi baciò il naso.
«Va
bene, predomani pure!» risi. Guardai Rosalie, che si era nel frattempo
avvicinata e sorrideva, osservandoci. «Ma se va tutto bene, come mai siete
venute qui?»
«Perché
Allie voleva vederti! Le ho detto che stavi lavorando e che non potevamo
venire, ma non sono riuscita a convincerla.» mi spiegò, e pizzicò il braccio
della bambina. «E’ testarda, mi chiedo da chi abbia preso questo difetto …»
«Da me,
senza dubbio.»
«Da te?
Beh, almeno adesso lo so.»
Risi,
ritornando a guardare Allie. «Allora, adesso che facciamo? Non puoi mica restare
qui con me, signorina …»
«Ma io
voglio stare con te, mami.» si lamentò subito, arpionandomi ancora di più i
capelli.
«Ma io
devo lavorare … ahia, non tirarmi i capelli!» le diedi uno schiaffetto leggero
sulle manine e lei mollò subito la presa.
«Cosa succede?
Oh, ciao Rose.» quella voce sbucò all’improvviso, come accadeva quasi ogni
volta d’altronde, ma ormai cominciavo a farci l’abitudine. Girai il viso per
vedere meglio Edward, e lui ricambiò la mia occhiata, sorridendo e lasciandomi
una carezza leggera sulla spalla. Girò il viso non appena Rosalie rispose al
suo saluto.
«Ciao,
Cullen. Non dovresti essere a lavorare?» chiese sospettosa lei, incrociando le
braccia sul petto.
«Sto
lavorando infatti, sono in ospedale! Sono solo venuto a controllare che andasse
tutto bene, Bella mi è sembrata parecchio preoccupata prima … ehi, signorina!
Come va oggi?» cambiò del tutto argomento non appena incrociò lo sguardo di
Allyson, che si aprì in un sorriso enorme.
«Edwadd!»
pigolò, sbracciandosi verso di lui.
«Sì, va
tutto bene.» commentò, ridendo, prima di prenderla in braccio.
«Fatemi
capire bene, eravate insieme? Voi due?» domandò ancora Rose, battendo le ciglia
in maniera confusa mentre osservava Edward con la bambina in braccio.
«Sì,
eravamo insieme.» dissi sbrigativamente, sentendomi a disagio mentre la
fulminavo con un occhiata: sembrava che volesse fare un terzo grado.
«Okay,
lasciamo parlare la mamma e Rose con calma … sai cosa facciamo adesso, piccola?
Andiamo a prendere un muffin! Ti piacciono i muffin?»
«Sììì!
Io voglio quello con la cioccolata, tanta tanta cioccolata!»
«Bene,
andiamo allora! Però camminiamo, così tutti vedranno che sei una signorina
grande grande …»
Edward
si allontanò insieme a mia figlia, salutandoci con la mano libera mentre
stringeva quella della bambina con l’altra. Doveva stare abbastanza chinato per
camminare e per tenerla d’occhio, alto com’era. Era buffo, e questo mi fece
sorridere.
«Bella,
mi ascolti? Cosa stavi facendo insieme a Edward?» chiese ancora la mia amica,
dandomi una pacca sulla spalla.
Tornai
a guardarla, mordendomi le labbra: dovevo proprio dirle la verità? Per forza,
tanto prima o poi la notizia sarebbe uscita fuori lo stesso. Io e Edward non
saremmo rimasti nascosti mentre ci frequentavamo, no?
«Io e
Edward ci stiamo frequentando … e ci siamo baciati.» dissi tutto d’un fiato.
«Che
cosa?» esclamò, ma solo dopo che ebbe sgranato gli occhi all’inverosimile. «Non
ci credo!»
«È
vero! Rosalie, ti sorprende così tanto questo? Sapevi già che tra me e lui le
cose andavano meglio, te l’ho detto anche stamattina …»
«Sì, lo
so, ma sapevo che eravate solo ‘amici’. E adesso vi frequentate!» allungò le
braccia in avanti, indicandomi. «Ci hai pensato bene, almeno? Non mi fido di
lui.»
Annuii
stancamente: sapevo benissimo come la pensava. «Lo so, e ci ho pensato bene.
Credimi, non avrei deciso di frequentarlo se non ne fossi del tutto sicura.»
«Quindi,
adesso state insieme?» più tranquilla di prima, mi osservò attentamente.
«Non
stiamo proprio ‘insieme’, ci stiamo andando con calma.» ripetei le stesse
parole che aveva usato Edward poco prima, cosa vera in fondo.
«Bene,
bene …» senza dire nient’altro, Rosalie prese dalla borsa il suo cellulare e
cominciò subito a premere velocemente i tasti. Forse stava scrivendo un sms a
qualcuno …
«Cosa
stai facendo?»
«Sto
mandando un messaggio ad Alice.» appunto. «‘Bella
e Edward si stanno frequentando e si sono baciati. Che ne pensi?’ ecco,
adesso aspetto la sua risposta!» rialzò il viso, sorridendo euforica.
«Non
perdi tempo a spargere la notizia, eh?» la rimbeccai, e cominciai a passarmi le
dita tra le punte dei capelli. Anche io volevo sapere la risposta di Alice,
imprevedibile com’era.
«Voglio
solo sapere il suo parere, tutto qui.» scrollò le spalle.
Due
secondi dopo, un allegro ‘bip’ risuonò dalla sua borsa, e si affrettò a
prendere il cellulare.
«Che ha
scritto?» mi avvicinai alle sue mani, mentre vedevo il suo viso cambiare più
volte espressione.
«‘Penso che hanno sprecato anche troppo tempo
per farlo. Era ora! Dì a Bella che deve raccontarmi tutto, urgentemente,
altrimenti la strozzo!’» il messaggio terminava con un sacco di faccine
allegre, cuoricini e baci. «Ma sarei passata da lei a dirglielo, dopo il
lavoro!» esclamai, osservando ancora una volta il messaggio.
«Che ci
vuoi fare, è Alice. Sai com’è fatta.»
«È
strana, ecco com’è fatta!» replicai, arricciando le labbra.
Quella
nanetta da quattro soldi …
______________
Buon
pomeriggio ragazze :)
Oggi sono
veramente di poche parole – che strano, di solito non mi fermo mai XD
Capitolo
un po’ corto rispetto agli altri, essendo un capitolo di passaggio… ma accadono
ugualmente un paio di cosine.
Edward e
Bella stanno (FINALMENTE!) cominciando a frequentarsi! *-* a Rosalie però non
piace questo elemento… o meglio, piace poco. La ragazza è prevenuta, e anche un
po’ impicciona XD vediamo se col tempo cambia idea :)
E… che
altro?
Ah, il
prossimo cap – quasi finito di scrivere! – è un sacco importante. Accadrà finalmente
quello che stavate aspettando tutte! Non intendo ‘quello’, però XD
Okay,
per adesso è tutto :) ci vediamo come sempre tra dieci giorni più o meno. Vi lascio
il link al mio
gruppo su Facebook, se siete interessate agli spoiler sulle mie storie o anche
per curiosità :D
Un bacione,
e alla prossima!
|
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Capitolo 14 *** Capitolo 14 ***
Solo il tempo... - Capitolo14
Ciao dolcezze!
Come avevo già annunciato nel gruppo ieri, ho
preferito anticipare l’aggiornamento della storia perché domani ho degli
impegni, e non ero sicura di riuscire a farcela… sono sicura che siete contente
di leggere il capitolo prima e non con qualche giorno di ritardo XD
Il capitolo di oggi, come vi avevo detto
nelle note finali di quello vecchio, è quello ‘rivelatore’. Bella ha finalmente
deciso di parlare con Edward della sua vita a Seattle con James… curiose?
Se lo siete, vi lascio subito alla lettura
:D ci sentiamo di sotto…
Solo il
tempo
Capitolo
14
Mi
stavo godendo come non mai il mio giorno di ferie, il primo che mi ero presa da
quando avevo iniziato a lavorare in ospedale. Avevo deciso di prendere il
venerdì, così avevo davanti a me la prospettiva di un bel week end lungo da
trascorrere all’insegna del riposo… o almeno lo speravo.
Non
c’era stato un vero motivo per saltare una giornata – o nottata, visto il turno
- di lavoro, non avevo chissà che cosa da fare… ma avevo semplicemente deciso
di non andare in ospedale per un giorno, non c’era nulla di sbagliato in
questo, in fondo.
Ammetto
che sapere di avere a mia disposizione quattro settimane di ferie pagate,
nonché diversi giorni di malattia, mi avevano spinta ad usufruirne e quindi…
eccomi qui, con la magnifica prospettiva di non fare nulla per gran parte della
giornata!
Dopo
aver accompagnato Allyson all’asilo mi ero occupata di pulire e di rimettere in
ordine la casa, che grazie a mia figlia assomigliava sempre di più a un campo
di battaglia; dopodiché, uscii di nuovo e dedicai più tempo del mio solito ad
osservare le vetrine dei negozi, alla ricerca di qualcosa che mi piacesse e che
potessi comprare come sfizio.
Non ero
mai stata una vera maniaca dello shopping, anzi era l’esatto contrario! Odiavo
fare spese quando non ne avevo bisogno. Ma nell’ultimo periodo cercavo di
mettere più attenzione a quello che indossavo e di non sembrare troppo sciatta.
Tutto
questo, solo per colpa di un ragazzo di cui mi ero presa una cotta tremenda!
Tutto
per colpa di Edward.
Erano
quasi passate tre settimane da quando avevamo deciso di frequentarci, e le cose
andavano bene tra noi… anzi, a dire la verità andavano benissimo, a gonfie
vele! Nulla era ancora andato storto in questo arco di tempo…
Trascorrevamo
insieme tutti i momenti liberi che avevamo a nostra disposizione, e la mensa
dell’ospedale era il nostro punto di incontro durante la pausa pranzo; e più di
una volta, quando io lavoravo e Edward aveva il giorno libero, veniva in
ospedale per portarmi un caffè o qualcosa da mangiare, o soltanto per
accertarsi che stavo bene.
Qualche
volta era passato soltanto per darmi un bacio.
Adoravo
sempre di più le sue visite a sorpresa, specialmente quando veniva a casa a
trovare me e Allie. Con la bambina aveva legato moltissimo ed era molto
premuroso nei suoi confronti… era un lato di lui che non conoscevo proprio e
che non pensavo che avesse.
«Adoro
i bambini!» mi rispose quando glielo feci notare, con un sorriso da infarto
sulle labbra.
Allyson
era pazza di lui e lo considerava un grande amico. Non le avevo ancora detto
che tra me e il ‘suo’ amico c’era qualcosa, lo consideravo ancora troppo presto
e avevo paura che potesse reagire male. Era piccola, lo sapevo, e poi in mezzo
c’era anche la questione di James… non volevo che pensasse che stavo
sostituendo il suo papà con un'altra persona, per quanto simile alla realtà
potesse sembrare la situazione.
Allyson,
poi, non mi domandava mai di suo padre. Sapeva che non si trovava insieme a noi
per un motivo, ma non era quello vero. Le avevo raccontato una piccola bugia,
dicendole che James stava lavorando in un posto lontano e che non poteva vivere
più con me e con lei. Era la classica e scontata bugia che si racconta ai bimbi
piccoli, ma non avevo trovato niente di meglio.
Cos’altro
avrei potuto dirle? “Tesoro, papà non è con noi perché si droga, e perché il
tribunale pensa che non sia in grado di prendersi cura di una bambina piccola.”
Le avrei davvero detto queste cose?
Era mio
compito proteggerla, e lo avrei fatto anche se avrei dovuto nasconderle la
verità e tenerla lontana da suo padre. Non potevo proprio fare altro… e certe
volte mi sentivo una merda per questo motivo.
Battei
più volte la fronte contro il volante della macchina, sospirando. Ero nel parcheggio
antistante la scuola di mia figlia, e stavo aspettando che scoccassero le
quattro del pomeriggio per andarla a prendere. Quando ero arrivata mancava
ancora un bel pezzo prima di quell’ora, così mi ero messa a pensare e a pensare
e a pensare… ed ero andata a finire sull’argomento spinoso che mi aveva portata
a vivere a Los Angeles.
«Basta
Bella, basta.» picchiai di nuovo la fronte e cercai di convincermi, ma non
pensavo che funzionasse davvero.
Più
cercavo di non pensarci, e più quello che era accaduto in quei mesi infernali
mi tornava davanti agli occhi.
«Ah,
basta!» esclamai, prendendo a pugni il volante.
Fortunatamente
mi trovavo da sola nel parcheggio, e mi trovavo ancora dentro la mia auto,
altrimenti già mi avrebbero scambiata per una pazza fuggita da un manicomio. Se
poi il manicomio si chiamava Briarcliff Manor… allora era tutto un programma!
Sbuffando,
decisi di scendere dall’auto: mancava poco ormai all’orario di uscita dei
bambini, e stare all’aria aperta invece che dentro ad un auto mi sembrava un
idea migliore. Non volevo davvero essere presa per pazza.
Con la
borsa a tracolla e la mente ancora un po’ annebbiata dai pensieri, uscii dal
parcheggio e attraversai la strada fino ad arrivare davanti ai cancelli della
scuola. Non ero l’unica che stava aspettando di riprendere la sua bambina:
insieme a me c’erano anche altri genitori, e tra di loro riconobbi Angela.
Non la
vedevo da un sacco di tempo.
Mi
avvicinai subito a lei, sorridendo. «Ciao, Angela. Ti… ricordi di me, vero?» le
domandai, porgendole la mano.
Lei si
illuminò tutta non appena mi riconobbe, e ricambiò il mio gesto. «Certo che mi
ricordo di te, Isabella! È parecchio che non ci incontriamo più.» notò.
«Eh, il
lavoro. Il venerdì è l’unico giorno in cui posso venire ad accompagnare e
riprendere Allyson con tutta tranquillità.»
Angela
arricciò le labbra quando pronunciai la parola ‘lavoro’. «Non me ne parlare! Il
venerdì di solito ho la giornata piena, quindi è mio marito quello che viene a
riprendere Jenny. Fortuna che oggi ho staccato prima dal lavoro!»
«Io
invece il venerdì ho il turno di notte, ma per oggi mi sono presa una giornata
libera… come sta la tua bambina, Jenny?» cambiai velocemente argomento, non mi
andava di continuare a parlare di lavoro anche quando non dovevo andarci.
«Sta
benissimo, grazie. Adesso va a scuola con più voglia rispetto ai primi giorni.»
risi insieme a lei, ricordando sua figlia in lacrime il primo giorno di scuola.
«E Allyson, invece? Ho visto che si era fatta male, un paio di settimane fa…»
«Un
piccolo incidente con i mobili, nulla di grave. Le hanno tolto anche i punti,
quindi è acqua passata.»
«Meno
male, allora.» Angela schioccò la lingua. «Senti, volevo proporti una cosa, già
che sei qui…» continuò.
«Dimmi
pure.» la invitai a continuare, anche se non ero del tutto convinta.
«Ecco,
ho notato che le nostre figlie sono diventate molto amiche… Jenny a casa non fa
altro che parlare di Allie! Mi chiedevo se per te poteva andare bene che si
frequentassero anche dopo la scuola.» mi spiegò tranquillamente. «Se c’è
qualche problema non fa niente, era solamente un’idea…»
Ed io
che andavo sempre a pensare a qualcosa di spiacevole!
«No no,
è un ottima idea Angela!» mi affrettai a dire subito. «Davvero, per me va
benissimo. È anche una buona cosa per le bambine… Allyson non frequenta molti
bambini della sua età, quando non è a scuola.»
«La mia
è molto timida, quindi sai già com’è la situazione!» rise. «Ho il resto della
giornata libera, posso occuparmi di entrambe e portarle a casa se per te va
bene.»
Annuii.
«Certo che va bene, non preoccuparti. Se mi lasci il tuo indirizzo, poi passo a
riprenderla più tardi…»
«No no,
senza che ti scomodi! Lasciami il tuo, penso io a tutto quanto.»
Arricciai
le labbra. «Non mi lasci fare niente… vorrà dire che la prossima volta porterò
le bambine a fare un giro al parco giochi, per ricambiare.»
«Va
benissimo! Però vista in un altro modo sembra che ci stiamo scambiando delle
figurine!» commentò, grattandosi la nuca.
Mi
scappò una risata. «No, dai, ti prego! Non lo ripetere altrimenti non mi fermo
più a ridere!»
Ma per
fortuna mi fermai in tempo per sentire la campanella che suonava e che
annunciava l’uscita dei piccoli. Poco dopo, stavo già allargando le braccia per
accogliere il corpicino di mia figlia.
«Amore,
ciao! È andato tutto bene oggi?» le chiesi, carezzandole i capelli con una
mano. Scostandole la frangia, notai la sottile linea rosa acceso che spiccava
sulla sua fronte, ricordo di quell’incidente che mi aveva quasi fatta morire
dalla paura.
«E’
andato tutto benissimissimo!» esclamò, battendo le mani sulle mie guance.
«Mammina, andiamo a casa adesso?»
«Veramente…
stavo parlando con la mamma di Jenny, prima. Ti va di andare a casa insieme a
lei, per giocare ancora?»
I suoi
occhioni si sgranarono a quella notizia. «Davvero, mamma? Sì sì sì, ci voglio
andare!»
«Però
mi devi promettere che farai la brava…»
«Ma io
sono brava, mami! Per chi mi hai presa?» mi rimbeccò facendo una smorfia.
Mi
faceva crepare dalle risate quando si comportava da persona adulta, era troppo
forte!
Le
strapazzai le guance e gliele morsicai, ridendo. «Va bene, allora andiamo da
Angela e da Jenny che ci stanno aspettando.»
***
Lasciata
Allyson alle cure di Angela, e una volta che mi fui seduta sul divano di casa,
non avevo la più pallida idea di che cosa fare. Il venerdì pomeriggio di solito
lo impegnavo preparandomi per il lavoro e sorvegliando la bimba, per evitare
che facesse qualche casino dentro casa…
Si prospettava
proprio un pomeriggio noioso fino al ritorno di mia figlia.
Così cercai
di ingannare il tempo facendo un bagno; lavai i capelli e usai persino tutti
quei prodotti che odiavo e che odoravano di caramella mou. Mi depilai anche le gambe,
nel disperato tentativo di tenermi occupata! Ma quando finii si erano fatte
quasi le sei, ed io non avevo più nulla da fare.
«Che
palle!» sbuffai, gettando a terra l’asciugamano che avevo tenuto intorno al
corpo.
Il
tempo libero non faceva proprio per me, lo avevo capito ormai.
Una
volta che mi fui asciugata e vestita, cominciai a preparare la cena. Preparai
l’insalata, immaginando già la faccia schifata di mia figlia una volta che
l’avrebbe adocchiata, e tolsi dal frigorifero gli avanzi della lasagna che
avevo cucinato la sera prima, poi mi misi a preparare un po’ di carne.
Capii
che stavo preparando troppe cose quando Angela mi telefonò per dirmi che
avrebbe riportato a casa Allyson dopo cena, perché le bambine volevano mangiare
insieme la roba del McDonald’s.
Così,
sconsolata, riposai la teglia delle lasagne di nuovo nel frigorifero e
continuai a cuocere la carne. Cena solitaria… l’idea non mi piaceva per niente.
Che cosa avrei potuto fare per ingannare quelle nuove ore di solitudine? Avevo
una bella collezione di dvd in salotto, e potevo vederne uno comodamente seduta
sul divano mentre mangiavo.
Beh,
almeno avrei fatto qualcosa.
Messa
la fiamma dello spezzatino a fuoco basso, andai in salotto e mi misi a
scegliere il dvd per la serata, peccato che fosse difficile. Ero
un’appassionata di cinema, quindi qualsiasi film che avevo lo sapevo già a
memoria e lo adoravo… alla fine ne scelsi due, e uno lo misi subito dentro il
lettore e lo feci partire.
Non
erano ancora partiti i titoli di testa che il cellulare iniziò a squillare.
Senza mettere in pausa il film, lo afferrai e risposi alla chiamata. «Sì?»
«Ciao, bellezza. Ti disturbo?» il cuore
cominciò a battere più forte dentro al mio petto quando sentii la sua voce.
Accadeva sempre più spesso, e questo mi faceva capire che ormai ero cotta a
puntino di lui.
Sorrisi.
«No, per niente. Mi sto annoiando a morte!» risposi, stravaccandomi ancora di
più sul divano.
«Ah, sì? Come mai?» domandò ancora, e
sembrava sinceramente interessato.
«Sono
sola fino a stasera, Allyson è da una sua amichetta ed io ho un sacco di tempo
da perdere… ma non so come.» sbuffai.
Lo
sentii ridere dall’altra parte della linea. «Non sei abituata ad avere molto tempo libero, ammettilo.»
Scossi
la testa, anche se sapevo che non poteva vedermi. «Per niente! Sono abituata a
fare tutto di fretta, io…»
«Uhm. Stai guardando qualcosa? Sento delle
voci…»
«È ‘Il talento di Mr. Ripley’, appena
iniziato.» lo informai, sorridendo. «Adoro Matt Damon!»
«Matt Damon? Ma non sa recitare!»
«No, sa
recitare eccome! Ed è anche un ragazzo bellissimo!» replicai, indispettita.
Aggrottai le sopracciglia quando sentii che non rispondeva. «Edward?» lo
chiamai, e due secondi dopo sentii che aveva riagganciato. «EDWARD!» urlai,
nonostante lui non potesse sentirmi.
Incredibile!
Mi aveva sbattuto il telefono in faccia senza pensarci due volte, e solo perché
avevo fatto un apprezzamento verso Matt Damon. Che maleducato che era, ma
soprattutto, che bambino! Soltanto i bambini si comportavano in quel modo, e
lui sicuramente lo era.
Un
bambino sotto le fattezze di un adulto… e che adulto!, pensai subito dopo.
Storcendo
le labbra, lanciai lontano da me il cellulare e tornai a guardare la tv. Un
minuto dopo, però, sentii bussare alla porta di casa, così dovetti alzarmi e
andare a vedere chi fosse lo scocciatore. Ma forse era solo la mia vicina di
pianerottolo che aveva bisogno dello zucchero…
Aprii
senza controllare dallo spioncino, e i miei occhi ne incrociarono subito un
paio verdi, familiari e bellissimi. Edward mi sorrise sornione, poggiando una
mano sullo stipite della porta e sporgendosi verso di me.
«Buonasera
bellezza.» sussurrò a pochissima distanza dal mio viso.
Imbarazzata,
ma colpita dalla sua ennesima sorpresa inaspettata, sorrisi e socchiusi gli
occhi. «Buonasera, dottor Cullen.»
Mi
divertivo sempre di più a chiamarlo in quel modo, specialmente al di fuori
dell’orario di lavoro. Edward all’inizio si divertiva, anche se meno di me, adesso
invece cominciava a odiare quel mio modo di salutarlo.
Beh,
sempre meglio ‘dottor Cullen’ che ‘ciccino’. Quello me lo risparmiavo per un
gatto, se mai ne avrei preso uno… Edward non era proprio il tipo da ‘ciccino’.
«Piantala
con questo dottor Cullen, Bella.» mormorò, secco, e si fiondò con slancio sulle
mie labbra.
Lo
abbracciai subito, circondandogli il collo con le braccia e schiacciandomi
contro il suo petto mentre lui mi circondava la vita con le braccia e mi
accarezzava gentilmente la schiena con le mani. Adoravo baciarlo, e ogni volta
che lo baciavo mi scoprivo sempre più dipendente delle sue labbra. Spesso e
volentieri ci ritrovavamo a baciarci per dei lunghissimi minuti, senza voler
smettere mai. Potevamo benissimo passare per adolescenti arrapati… peccato che
eravamo troppo cresciuti per esserlo veramente.
Con un
ultimo morso al suo labbro inferiore mi staccai, ridacchiando, e presi a
strusciare la punta del naso sul suo mento. La leggera barba che era cresciuta
mi faceva il solletico, ma continuai ugualmente in quella piccola tortura.
Edward
mi guardò divertito. «Andiamo dentro, prima che qualcuno ci veda.» mi disse,
sospingendomi dentro nel frattempo.
«Ma non
c’è nessuno…» mi lamentai senza allontanarmi da lui.
«Lo so,
ma è meglio entrare prima che ci vedano amoreggiare sul pianerottolo!» e
dicendo così mi sollevò da terra di pochi centimetri, quello che bastava per
portarmi dentro casa e per chiudersi la porta dietro le spalle.
Mi
rimise a terra senza sciogliere l’abbraccio, così io fui più che contenta di
tornare a spalmarmi sul suo petto. Nell’ultimo periodo ci eravamo avvicinati
moltissimo e senza quasi rendercene conto. Diciamo che il nostro inizio di
relazione stava andando davvero bene, anche se ancora non ci sbilanciavamo e
volevamo proseguire a piccoli passi.
«Ma tu
non eri arrabbiato con Matt Damon?» lo guardai mentre gli ponevo quella
domanda, osservando la sua reazione.
Inarcò
un sopracciglio. «Non posso arrabbiarmi con una persona che non conosco! Ero
sotto casa tua quando ho chiamato, e visto che sei sola ho pensato di venire a
farti un po’ di compagnia…»
Fu il
mio turno di inarcare il sopracciglio. «Saresti salito anche se non fossi stata
da sola?»
«Certo!
Ogni momento è buono per venirti a trovare, lo sai piccola.» si abbassò
nuovamente e mi baciò le labbra, sfiorandole appena con le sue.
«Mh.
Già che ci sei, ti invito a cena! Ti vanno un po’ di lasagne riscaldate al
microonde?»
Sorrise
apertamente. «Adoro le lasagne! Se poi le tue sono buone come quelle che
prepara mia madre, le mangio molto volentieri.»
Mi
alzai sulle punte e gli baciai la guancia. «Benissimo! Allora vado di là e mi
metto all’opera.»
Svicolai
dall’abbraccio e feci per allontanarmi per andare in cucina, e sentii Edward
che mi affiancava e che mi prendeva per mano, intrecciando le dita alle mie.
Abbassai lo sguardo, osservando le nostre mani, poi guardai di nuovo lui.
Scrollò
le spalle. «Ti do una mano.»
«Grazie.»
sussurrai soltanto, non sapendo che altro dire, e lo guidai lungo il corridoio.
***
Edward
rideva sonoramente, singhiozzando quasi, e rischiava di far rovesciare il
bicchiere di vino sul mio tappeto. Non che fosse una cosa grave e irrimediabile,
solo che non mi andava di portarlo in lavanderia per farlo smacchiare.
Per
certe cose ero davvero pigra.
«Ti
prego, non raccontarmi più cose del genere altrimenti rischio di sentirmi
male!» esclamò, asciugandosi le lacrime sulle guance. «Oddio! Mi fa male la
pancia…»
«Ridi
un altro po’…» commentai, sorridendo anche se in quel momento mi stava
prendendo in giro. «E poi non è colpa mia, scusa! Tu mi chiedi di raccontarti
com’ero da ragazzina e poi dici che non devo dirti più niente… ero goffa, punto
e basta.»
«Non
eri solo goffa, eri… irrecuperabile!» e rise di nuovo. «Solo tu potevi andare a
fare un escursione e cadere nel ruscello!»
Gli
feci una smorfia prima di bere un po’ di vino. «Senti, smettila subito
altrimenti ti caccio di casa!» lo minacciai, fingendomi seria.
«Ci proverò,
ma non ti assicuro niente…» borbottò, schiarendosi la gola.
Avevamo
terminato di cenare da un bel pezzo, e adesso ci stavamo godendo gli ultimi
residui di vino. Le due bottiglie che tenevo in dispensa e che aspettavo di
aprire per un’occasione speciale erano ormai vuote. Sia io che Edward eravamo
un po’ brilli, ma non in modo drastico.
Avevo
scoperto che adorava la mia cucina. Si era spazzolato via la maggior parte
delle lasagne, senza contare il secondo di carne e verdura e un numero enorme
di merendine e dolcetti che avevo recuperato dalla credenza per dessert…
Ma dove
infilava tutto il cibo che mangiava? Aveva un corpo magro e tonico, senza
neanche un filino di ciccia sulla pancia o sui fianchi… era da invidiare,
cavolo!
«Vuoi
che ti racconti qualcos’altro? Stavolta però andiamo più avanti con gli anni…»
chiesi.
«Mi
parli dei tuoi deliri da adolescente?» strinse le labbra, sicuramente per
trattenersi dal ridere.
Dio
santo, era più brillo di me!
«Andiamo
qualche anno più avanti…»
Mi
alzai in piedi, poggiando prima il bicchiere sul tavolino, e a piedi nudi
percorsi la stanza per andare di fronte al mobile della tv, dove avevo poggiato
una foto incorniciata che adoravo, e che mi ricordava uno dei momenti più belli
e felici della mia vita.
Accarezzai
il vetro, sovrappensiero. Non so se era il vino che avevo bevuto o
qualcos’altro a suggerirmi quello che stavo per fare, restava il fatto che io
volevo farlo sul serio. Mi fidavo di Edward, abbastanza per metterlo al
corrente della storia che gli avevo taciuto per così tanto tempo e che meritava
di conoscere.
Sospirando,
mi voltai e tornai da lui, sedendomi sul tappeto al suo fianco. Incrociai le
gambe ed in silenzio gli porsi la foto, affinché la vedesse. Sempre in
silenzio, e dopo avermi lanciato un occhiata piena di domande, la prese e la
guardò. I suoi occhi si sgranarono quando vide cosa ritraeva quell’immagine.
«Ma…
sei tu quella? Giovanissima! Non che adesso sei vecchia, eh! Qua però lo sei di
più…» borbottava tra sé, e le sue battute spontanee mi fecero ridere.
«Sì,
sono io. Questa è Allyson, nata da pochissime ore… e lui,» indicai col dito il
ragazzo biondo che mi cingeva le spalle e che fissava sorridente l’obiettivo,
«è James, il papà di Allyson.»
Non
appena lo dissi Edward si voltò verso di me, smettendo addirittura di ridere.
Era diventato serio tutto d’un tratto e mi guardava come se volesse capire se
gli stavo davvero per raccontare quella cosa.
Sapeva
che tra me e il padre di mia figlia era accaduto qualcosa, altrimenti io non mi
ritroverei a vivere a Los Angeles e a migliaia di chilometri di distanza da
lui, ma non aveva mai chiesto nulla in proposito. Rispettava i miei tempi, e lo
avevo ringraziato silenziosamente così tante volte che ormai non tenevo più il
conto… ma era arrivato il momento che sapesse tutto di me.
«Bella,
non devi dirmi tutto per forza adesso…» cominciò a dirmi. Sembrava essere
tornato sobrio all’improvviso.
Sorrisi,
scuotendo la testa. «Ma io voglio farlo, Edward. Voglio che tu sappia tutto,
anche questa parte della mia vita. È… e importante, per me.»
Tenendo
la cornice in grembo, Edward mi prese entrambe le mani e le strinse, abbassando
il viso. Quando lo rialzò, osservandomi senza dire nulla, capii che potevo
cominciare a parlare e che lui mi avrebbe ascoltato.
«Ho
conosciuto James all’università. Io avevo cominciato da pochissimo il primo
anno di infermieristica mentre lui era già all’ultimo anno di ingegneria
meccanica. Diciamo che tra noi due c’è stato sin da subito qualcosa che ci
attraeva, ma non era nulla di serio. Era… semplice attrazione fisica.»
«Beh,
l’attrazione fisica non è una cosa da niente.» mi interruppe Edward. «E’ sempre
grazie all’attrazione che instauriamo le nostre relazioni, all’inizio; e solo
dopo arriva l’amore, se deve arrivare.»
«Questo
lo so, ma tra me e lui c’è stata soltanto attrazione. Non volevamo una
relazione, io mi ero lasciata da poco con il mio ragazzo del liceo e volevo…
volevo solo divertirmi.»
«Anche
io mi sono divertito al liceo…»
Lo
guardai di traverso. «Tu ti sei
divertito fino a tre mesi fa!»
«Ed è
sbagliato?» chiese.
«Io…»
mi fermai di colpo. «No, non è sbagliato. Ma ad un certo punto lo diventa,
eccome se lo diventa.»
Poggiai
la testa sulla sua spalla, e Edward prontamente mi avvolse la vita con un
braccio. Mi accoccolai meglio contro di lui; sentirlo così vicino mentre gli
raccontavo quei momenti mi faceva stare bene. Era il mio supporto, la mia
piccola ancora.
«Due
mesi dopo aver cominciato a vederci, ho scoperto di essere incinta. Non ti dico
come hanno reagito i miei genitori! Erano delusi, ma accettarono ugualmente di
aiutare me e James. Lo stesso fecero i suoi genitori… James specialmente, non
voleva far mancare nulla al bambino che stava per arrivare, e voleva che avesse
una famiglia solida a circondarlo. Così mi chiese di sposarlo, ed io accettai.»
«Ma non
vi amavate.» puntualizzò lui, senza accusarmi, posando il mento sulla mia
testa.
Io
scossi la mia. «No, però ci volevamo bene. Col passare del tempo abbiamo
imparato a volerci bene come fratelli, anche dopo la nascita della bambina.
Anzi, dopo l’arrivo di Allyson il nostro rapporto si è rafforzato ancora di
più.» mi morsi le labbra, e chiusi gli occhi per un istante. «Prendemmo una
casetta in affitto e andammo a vivere insieme, proprio come una famiglia. James
rinunciò all’università e andò a lavorare insieme a suo zio, che aveva un
officina. Sapevo che l’aver abbandonato gli studi a pochi passi dalla laurea
gli era costato parecchio, provai anche a convincerlo a riprenderli ma non
volle mai ascoltarmi. Io invece ritornai a studiare quando la bambina fu un po’
più grande, e riuscivo a frequentare le lezioni grazie anche a Martha, la madre
di James. Mi ha aiutato così tanto con la piccola…»
«Cos’è
cambiato, allora? Mi sembra che le cose andavano bene tra voi…» Edward fece la
domanda giusta al momento giusto, non capendo il motivo per cui due persone che
si volevano bene e che stavano bene, anche senza amarsi, dovevano separarsi.
«C’era di mezzo un'altra donna?»
Scossi
la testa, scostandomi da lui. Fissai gli occhi sul pavimento senza guardarlo
veramente. «Quando Allie compì un anno, il padre di James ebbe un incidente
stradale. Morì pochi minuti dopo che l’ebbero portato in ospedale, non c’era
stato nulla da fare per lui. James era sempre stato legato a lui, e non accettò
mai la sua morte… credo che fu questo motivo a spingerlo verso la droga.»
«James
si drogava?»
Annuii.
«Non so se lo faceva anche prima, ma io l’ho scoperto solo diversi mesi dopo
l’incidente di Thomas. Ritrovai diverse bustine piene di polvere bianca
nascoste dietro il mobiletto del bagno, e di certo non ce le avevo messe io!
Quando gliele feci vedere confessò tutto, non provò neanche a mentire.»
sbuffai. «Mi promise che avrebbe smesso di farsi, e che lo faceva solo per
nostra figlia. Lei era ancora così piccola da non capire cosa stesse
succedendo, ma riusciva a capire quando suo padre era arrabbiato o irritato per
qualcosa e si spaventava. Non ti dico poi quando James cominciò a mostrare i
primi sintomi dell’astinenza…»
Sentii
una lacrima rigarmi la guancia e mi affrettai ad asciugarla: non volevo
cominciare a piangere ed essere così costretta a fermarmi. Mancava poco ormai
alla fine del racconto. Edward tornò ad abbracciarmi e cominciò a sfregare le
mani sulle mie braccia come per scaldarmi, non dicendo nulla e aspettando che
continuassi a parlare.
«Una
sera tornai a casa dopo l’università. C’era così tanto silenzio dentro casa che
pensavo non ci fosse nessuno, ma sapevo che c’era James insieme alla bambina
perché l’auto era parcheggiata fuori. Allyson dormiva nel suo lettino, in
camera nostra, James invece…» mi fermai per riprendere fiato, «lo trovai in
bagno, sdraiato a terra con gli occhi spiritati. Era così rigido che… che
credevo fosse morto…»
«Era
andato in overdose?»
Annuii
ancora una volta, non trattenendomi più dal versare le lacrime. «Lo hanno
salvato per miracolo, per fortuna. Però io dopo quell’episodio ho cominciato ad
avere paura per lui, paura che potesse ricapitare e che… non finisse bene come
la prima volta. Così ho chiesto il divorzio e dopo avergli detto il motivo per
cui facevo quello James ha accettato, anche se ne rimase distrutto. Quando
seppe la situazione, il giudice decise di affidare solo a me la bambina e di
privare James di ogni diritto nei suoi confronti. Non può neanche vederla,
telefonarle… è terribile.»
Ero
arrivata alla fine ormai, e non trovai più nulla da dire, neanche qualcosa che
potesse aiutarmi a rendere meno pesante quei lunghi minuti. Semplicemente, non
ce la feci. Così, rimasi appoggiata al corpo di Edward mentre mi coprivo la
bocca con le mani. Sentivo le sue mani che, come prima, mi massaggiavano le
spalle e che cercavano di confortarmi in qualche modo.
Mi
schiarii la gola. «Io so di aver sbagliato ad abbandonarlo nel momento in cui
aveva bisogno della sua famiglia, più che mai, ma non ce l’ho fatta. Davvero,
non ce l’ho fatta.» mormorai.
Era il
più grande dei rimpianti che mi trascinavo dietro: avrei dovuto essere più
forte e stare al fianco di James invece di scappare via come una vigliacca, ma
io stavo cercando anche di proteggere Allyson. Non volevo che vivesse tutta
quella situazione, e che sentisse quel peso e quel disagio troppo grande per
una creatura ancora così piccola e fragile.
Nessuno
mi aveva accusata di aver sbagliato o di essere stata una codarda… mi avevano
capita, ma mi sentivo ancora dispiaciuta per quello che avevo fatto.
«Non
sei un supereroe, Bella, nessuno lo è. E nessuno ti accuserebbe mai di aver
sbagliato a lasciarlo, se avevi paura.» Edward mi baciò la fronte. «Come sta
adesso James?» aggiunse.
«Spero
bene, lo spero davvero tanto. Mamma mi ha detto che si trova in un centro di
riabilitazione… penso che stia cercando di uscire da quel problema.»
Lo
sentii sorridere contro la mia pelle. «Sta bene sicuramente, allora. E con il
giusto impegno e tutta la forza di volontà che ha, riuscirà a venirne fuori,
vedrai.»
«Lo
spero tanto…» strofinai il naso sul suo collo, poi mi allontanai con il viso.
Edward
però non mi fece allontanare più di tanto, stringendo le mani sulle mie spalle
e allineando il viso all’altezza del mio. Mi guardò seriamente, ed io mi misi a
fissare i suoi occhi, che erano tornati normali… rispetto a prima, non erano
più lucidi per via dell’alcol. Sembrava che la sbronza gli fosse già passata, e
anche più rapidamente del previsto. Pensavo che ci avrebbe impiegato più tempo…
«Ti
sento tesa, tesoro, troppo tesa… devi rilassarti un pochino.» mormorò,
socchiudendo gli occhi.
Io,
invece, sgranai i miei. Che avesse in mente qualcosa? Dal modo in cui mi stava
guardando, sembrava proprio di sì… e le sue parole non facevano che aumentare i
miei sospetti. Fino a dove si voleva spingere? Eravamo da soli, sì, ma non lo saremmo
stati ancora per molto tempo. Angela avrebbe riaccompagnato a casa mia figlia a
momenti.
«Ti
vedo, sai? Stai pensando troppo.» mi ammonì bonariamente. Mi sfiorò la guancia
con le labbra e si spostò fino a raggiungere il mio orecchio, facendomi rabbrividire.
«Che
intenzioni hai?» domandai in un soffio.
Volevo
sembrare sospettosa, persino risoluta se così mi volevo definire, ma non ci
riuscii molto bene. Riuscii solo a sembrare una persona sulle spine, e anche un
po’ arrapata.
Tutta
colpa sua, naturalmente. Mica mia!
«Innocenti,
piccola, molto innocenti.» e come lo disse, cominciai a ridere.
Non
avevo sentito le sue mani spostarsi, me ne accorsi solo quando le sentii sui
miei fianchi e quando le sue dita cominciarono a muoversi dispettose sulla mia
maglia. Odiavo il solletico, e lui lo sapeva molto bene. Soffrivo il solletico
persino sul dorso delle mani, tanto che spesso e volentieri ridevo da sola
quando me le sfioravo involontariamente.
«Stron…zo!
Smettila!» cercai di minacciarlo ma
le risate me lo impedivano, e presto mi ritrovai sdraiata sul tappeto,
contorcendomi sotto il suo tocco insistente e dispettoso. Ricominciai persino a
piangere per il troppo ridere.
Edward
rideva insieme a me, solo che lui era divertito per via delle mie urla e per le
mie convulsioni senza senso. Quando smise, finalmente, di muovere le dita si
distese sul mio corpo, senza gravare col suo peso, e poggiò le mani ai lati
della mia testa. Le mie gambe, senza che me ne potessi rendere conto, andarono
a cingergli la vita.
Quanti
secondi passarono prima che cominciassimo a baciarci e ad accarezzarci come
ragazzini? Non lo sapevo, sul serio, ma dovevano essere stati pochi perché
passarono più velocemente del solito.
Con una
mano ferma tra i suoi capelli e l’altra che gli arpionava un fianco,
assecondavo il movimento delle sue labbra e andavo incontro alla sua lingua.
Ben presto i nostri baci diventarono quasi morsi, dimostrazione
dell’eccitazione che aumentava e che ci spingeva a cercare altro.
I
nostri bacini, così vicini, si scontravano ad ogni nostro minimo movimento. Più
di una volta ci eravamo trovati a gemere per via di quei movimenti, così tanto
vicini ma allo stesso tempo così tanto lontani, e che non facevano che
eccitarci ulteriormente.
Sentivo
che non mi bastava più, che desideravo spingermi oltre.
Sciolsi
l’intreccio delle mie gambe e puntai i piedi sul pavimento, facendo ondeggiare
il bacino verso quello di Edward che assecondò subito la mia iniziativa,
facendomi ansimare rumorosamente nel bacio ogni volta che premeva più
decisamente il bacino sul mio pube. C’erano solo pochi strati di vestiti a
dividerci, e se non fosse stato per quel particolare avremmo potuto dire che
stavamo facendo l’amore…
Ma come
capitava sempre, e ogni volta che qualcosa di importante e coinvolgente stava
per accadere, qualcuno doveva venire a disturbare la coppietta di turno.
In quel
momento, fummo costretti a fermarci quando il citofono squillò. Sobbalzammo
entrambi, presi com’eravamo e completamente immersi nella bolla che ci eravamo
creati da non aspettarci quell’interruzione. Io, per giunta, avevo persino
portato le mani sui suoi jeans, all’altezza della chiusura, ed ero sul punto di
sbottonarglieli. Quando lo notai arrossii.
Edward,
sconvolto quanto me, seppellì il viso nel mio collo e sospirò rumorosamente; lo
abbracciai di slancio, baciandogli il piccolo neo che aveva sul collo e che
avevo notato durante una delle mie ‘esplorazioni’. Quel suo piccolo particolare
mi faceva impazzire ogni volta.
«Bella,
ti prego… non stuzzicarmi. È già difficile così!» ridacchiò, coinvolgendo anche
me.
«Mi
stavo dimenticando dell’arrivo di Angela, dottor Cullen. La colpa è tutta sua,
che mi distrae e che non mi fa pensare ad altro.» lo pungolai, tornando a
poggiare la testa sul pavimento.
«Ti
distraggo, okay… ma la colpa è anche tua. Mi tenti troppo.» sorrise sghembo e
scese sulle mie labbra, baciandole leggermente.
E il
citofono squillò ancora.
Edward
sbuffò. «La tua amica ha avuto un tempismo perfetto!»
«Lo so,
un po’ scoccia anche me…» gli sorrisi, divertita, e puntai le mani sul suo
petto per spingerlo via. «Alzati, così posso andare ad aprire.»
«Meno
male che ci vai tu, io non sono nelle condizioni adatte per poterlo fare!»
ridendo, si mise in ginocchio ed i miei occhi, involontariamente, si posarono
sul cavallo dei suoi pantaloni.
C’era
un rigonfiamento niente male, là sotto…
«Che
peccato, vero Edward? Dobbiamo rimandare tutto a data da destinarsi!» lo presi
in giro, divertita.
«Sì,
ridi pure quanto ti pare! Non riderai più quando sarà il momento…» e mi fece
l’occhiolino.
Replicai
con una smorfia e con una pernacchia, scappando via subito dopo e prima che
potesse avere l’occasione di replicare. Ma tanto si sarebbe rifatto non appena
fossi tornata in salotto…
Fortuna
che non sarei tornata da sola!
______________
Eccomi di
nuovo qui :)
Spero che
vi sia piaciuto anche questo capitolo… io ne sono particolarmente soddisfatta,
anche se credo che la parte più importante avrei potuto scriverla meglio. Beh,
comunque ormai è fatta XD quindi non ci penso più ù_ù
Edward e
Bella hanno gli ormoni a mille XD sono stata piuttosto cattiva ad interromperli
muahahahhaah o_O ma avranno sicuramente l’opportunità di rifarsi U_u
Il prossimo
capitolo, che arriverà come al solito tra una decina di giorni, sarà il seguito
di questa serata… e accadranno un po’ di cosine importanti… cosa? Non velo
dico!
BAZINGA!
*Sheldon Cooper mode:on*
Sto sparando
più cavolate che mai XD me ne vado prima che possa fare danni! Vi ringrazio,
gioie, per le recensioni che mi avete lasciato e per chi legge soltanto… e per
le nuove arrivate! Grazie :*
Ci sentiamo
presto :)
P.S: ho
lasciato il link per il gruppo nelle note iniziali, se siete interessate di
farne parte o soltanto curiose di farci un giretto ;)
|
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Capitolo 15 *** Capitolo 15 ***
Solo il tempo... - Capitolo15
Ta-dan! Eccomi qua :D
Sono leggermente in ritardo, I know .-. ma
ieri sera sono stata sequestrata da due tizi che si chiamano ‘The Following’ e ‘Ripper
Street’, quindi date la colpa a loro se ho fatto tardi HAHAHAHHA XD
Okay, prima di lasciarvi leggere il
capitolo voglio scusarmi con voi se non ho ancora risposto alle recensioni –
sono pessima! Recupererò in questi giorni, promise :3 vi lascio anche il link del mio gruppo
facebook, se siete curiose di farci un saltino :D
Ci sentiamo in basso U_u
Solo il
tempo
Capitolo
15
«E poi
Jenny mi ha fatto vedere tuuuuuutte le bambole delle principesse Disney, mamma!
Tutte tutte. E poi si è messa a piangere quando ho detto che io ho la Bella
Addormentata vera, invece della bambola.»
La
parlantina di Allyson mi divertiva non poco, mentre mi raccontava per filo e
per segno come aveva trascorso il pomeriggio a casa della sua amichetta.
Continuai a salire le scale mentre lei, stretta tra le mie braccia, continuava
a parlare.
Angela,
che non era voluta salire in casa perché non voleva disturbare, mi aveva detto
che si era comportata benissimo, davvero da brava signorina, e che a cena aveva
mangiato tutto… compreso il dolcetto. Ma di quello non mi ero stupita più di
tanto: Allie e i dolci vivevano quasi in totale simbiosi.
«Mamma,
Jenny non mi ha creduto sulla principessa.» aggiunse, mettendo il broncio.
«No? E
perché?» domandai, chinando la testa da un lato per osservarla meglio.
«Perché
ha detto che non esistono le principesse vere. Ma se non esistono, allora
Rosalie chi è?»
Mi
scappò quasi da ridere, ma mi trattenni perché pensai che non sarebbe stata una
buona idea: la bambina poteva anche restarci male. Così, mi misi a pensare a
una risposta che la potesse soddisfare… ma, cavolo, era un impresa quasi titanica!
«Tesoro,
Rosalie non è una vera principessa… ma le assomiglia tanto. È come la
principessa che si trova a Disneyland, te la ricordi?» dissi alla fine.
Era
l’unica idea che mi era venuta in mente. E ricordai che qualche mese prima,
quando vivevamo ancora a casa dei miei genitori, aveva visto in tv la
pubblicità del parco di divertimenti, con tanto di principesse e principi al
seguito. Le avevo anche promesso che ci saremmo andate, un giorno…
Ma quel
giorno doveva ancora arrivare.
«E’
vero, è vero! E quando ci andiamo a Disneyladd? Mamma, io ci voglio andare!»
pigolò, gli occhioni spalancati a dismisura sul visino.
Ecco,
quella era la domanda che volevo evitare. Ma perché le ricordavo certe cose?
Mannaggia la mia boccaccia!
«Un
giorno ci andremo, stellina, okay? Adesso però sbrighiamoci a tornare di sopra
perché c’è una persona che ci sta aspettando…» cambiai discorso nel tentativo
di distrarla dalle principesse e da Disneyland. Per quello c’era tutto il tempo
di discuterne con calma.
«Chi è
che ci sta aspettando?» domandò subito, incuriosita. Allyson si distraeva molto
facilmente, certe volte, e la sua curiosità era sempre pronta per saltare
fuori. Non era solo un detto che, dopotutto, la curiosità era donna… era
proprio vero! E lei ne era la prova vivente.
Beh,
però non era colpa sua, in fondo… anche io da bambina ero curiosa, anche se molto
più timida di lei.
Sorrisi.
«Aspetta e vedrai!» esclamai, cominciando a salire più velocemente le scale.
Arrivata
nel pianerottolo davanti la porta di casa, la rimisi per terra e lei scappò
subito via da me, correndo dentro per vedere chi era l’ospite della serata.
Tornò da me tutta contenta e sorridente, dopo averlo scoperto, quando io avevo
appena chiuso la porta.
«C’è Edwadd!» mi sussurrò, coprendosi la
bocca con le mani.
«Sì,
hai visto? Prima è rimasto tanto male quando ha visto che non c’eri…» risi,
chinandomi su di lei per aiutarla a liberarla dello zainetto di scuola,
concedendomi anche quella piccola bugia; tanto sapevo che Edward, scoprendo
quello che le avevo detto, mi avrebbe retto il gioco.
Anche
se lui era rimasto male più per l’interruzione di qualche minuto prima, ed era
stato costretto a calmare i bollenti spiriti!
«Allyson,
ma prima mi vedi e poi scappi via?» Edward sbucò all’improvviso nel corridoio,
venendo verso di noi con l’aria divertita. «Non mi hai nemmeno salutato.»
Senza
farselo ripetere due volte, la bimba scappò di nuovo via e, con le braccia
alzate, si diresse verso Edward che la prese in braccio con agilità. Se la
strinse ben bene al petto, baciandole la guancia e chiedendole subito come
avesse passato la giornata.
Quando
li vedevo insieme, così affiatati nonostante si conoscessero da poco tempo,
restavo sempre meravigliata… e anche compiaciuta, ad essere sincera.
Allyson
era una bambina abbastanza socievole, una volta superato il piccolo scoglio
rappresentato dalla timidezza, ed ero stata contenta di vedere che Edward tutto
sommato le piaceva. Certo, lei non aveva la più pallida idea che lui fosse in
realtà il mio ragazzo e non un semplice amico… ma glielo avrei spiegato presto.
Edward, d’altro canto, aveva legato moltissimo con la bambina e stava anche
cominciando a volerle bene; gli piaceva il fatto che fosse sempre allegra e
attiva e che sembrava non stancarsi mai… ma se avesse passato più tempo insieme
a noi, presto avrebbe imparato a capire che Allie è quasi impossibile da
spegnere.
Ma il
fatto che a lui piacesse trascorrere quelle ore insieme a me e a mia figlia mi
faceva ben sperare. Cioè, non erano molti i ragazzi che continuavano a
frequentare una persona dopo aver saputo che quest’ultima aveva già un figlio…
prima di capire che Edward non faceva parte di quella cerchia lo avevo pensato
talmente tante volte che alla fine volevo picchiare forte la testa da qualche
parte.
Mi
facevo sempre dei crucci che non esistevano affatto…
«Mamma!
Ma mi senti!?»
Battei
le palpebre, tornando di nuovo in me; la prima cosa che vidi dopo essere
tornata dal mio viaggio mentale fu Allyson, comodamente appollaiata sulle
spalle di Edward, che le teneva le manine per non farla cadere. Lei, mentre mi
guardava, teneva il mento appoggiato sulla testa di Edward e sembrava stare
molto comoda in quella posizione.
Ecco
un'altra immagine che mi faceva sentire le farfalle nello stomaco.
«Scusa,
amore, stavo pensando…» mormorai, scuotendo piano la testa.
«Lo sai
che la mamma pensa troppo, piccola? Ha sempre la testa tra le nuvole!» esclamò
Edward, alzando gli occhi e cominciando a muoversi, facendo muovere di
conseguenza anche la bambina. Lei si mise a ridere, per nulla impaurita.
«Edward,
se la fai cadere dovrai risarcirmi in qualche modo.» socchiusi gli occhi e
cercai di assumere un’aria minacciosa, impresa non facile se vedevo quei due
che si divertivano così tanto.
«Se
qualcosa va storto faremo un altro bambino, d’accordo.» replicò, assottigliando
lo sguardo.
Arrossii,
reazione del tutto inadatta visto che fino a poco prima noi stavamo quasi per
farlo un bambino. Ma non poteva dire sul serio! Oppure sì?
Mi
schiarii la gola, avvicinandomi a quei due che ancora se la ridevano. «Ooookay,
adesso basta! Amore, non agitarti troppo altrimenti vomiti sulla testa di
Edward.» strinsi le labbra per non ridere, di fronte alla prospettiva che
potesse accadere una simile scena.
Edward
si rabbuiò come mi sentì. «Sì, piccola, non agitarti. Aspetta che ti rimetto
giù…» e lo fece davvero, impiegandoci non più di cinque secondi. Non doveva
piacergli molto l’idea che mia figlia potesse davvero vomitargli addosso.
«Ma io
voglio stare in braccio!» si lamentò invece lei, imbronciandosi.
«Più
tardi magari, Allie. Adesso noi due andiamo a lavarci e a metterci il
pigiamino, perché è tardi e si avvicina l’ora della nanna…» cantilenai,
prendendola per le manine.
«Ma io
non voglio andare a nanna! È prestissimo, e non ho sonno.» si lamentò di nuovo,
fulminandomi con gli occhi.
Ricambiai
la sua occhiataccia: certe volte capitava che mi sfidasse con lo sguardo, ed io
ero più che contenta di ricambiare quella sfida.
«Eddai,
mamma, domani non c’è scuola! Possiamo anche stare alzati un’ora in più, no?»
Edward, che quella sera sembrava essersi alleato con mia figlia, si inginocchiò
accanto a lei e la abbracciò, accostando il viso al suo e assumendo uno sguardo
triste, con tanto di broncio all’ingiù. «Per favooooooore!» pigolò infine.
«Per favoooore,
mamma, per favoooooore!» Allyson gli fece eco, abbracciandoselo subito.
Più li
guardavo e più non ci capivo più nulla. Mi facevano sciogliere per la tenerezza
e mi facevano infuriare per la loro ostinazione allo stesso tempo. Allyson
poteva anche permettersi di supplicarmi, era una bambina in fondo, ma Edward…
Edward era a dir poco ridicolo! Avrei
voluto così tanto prenderlo a pizze in faccia!
Ma mi trattenni,
almeno per il momento…
Sbuffai,
arrendendomi. «Va bene, avete vinto! Andrai a dormire più tardi… ma solo per
stasera!» precisai, alzando un dito.
«Evvai,
ce l’abbiamo fatta! Dammi il cinque, Allie.» Edward alzò la mano e, muovendola
piano, andò incontro a quella di mia figlia fino a quando non si scontrarono
con un piccolo schiocco, che la fece ridere.
Sorrisi,
prendendola piano per le spalle. «Vai in camera tua, tesoro, la mamma arriva
subito, va bene?»
Dopo
che la piccola si fu allontanata saltellando per il corridoio, mi voltai verso
Edward, ancora inginocchiato sul pavimento e ancora con quell’espressione beata
sul volto. La cambiò subito, però, non appena gli diedi una piccola sberla
sulla guancia.
«Au!
Perché l’hai fatto?» si lamentò, aggrottando la fronte e portandosi allo stesso
tempo la mano sulla parte ferita.
«Perché
sei scemo, ecco perché! Scemo e stupido…» schioccai la lingua, incrociando le
braccia al petto. «E perché mi hai chiamato ‘mamma’. Non chiamarmi più così.»
«Perché
non dovrei farlo? Sei una mamma, Bella… ed è anche un soprannome carino.»
osservò.
«Sì, ma
non sono la tua mamma.»
«Già,
tu sei la mia ragazza!» ridendo, allungò un braccio e afferrò il mio,
spingendomi e facendo in modo che mi avvicinassi a lui.
Cercando
di trattenere un sorriso, poggiai le mani sulle sue spalle e mi sedetti sulle
sue ginocchia, chinando il viso. Nel farlo strofinai il naso contro il suo ed
un piccolo risolino mi uscì dalle labbra, che ben presto furono troppo occupate
a baciare quelle di Edward.
***
«Cosa
hai detto che guardiamo?»
«Guardiamo
‘La sirenetta’.»
«‘La sirenetta’? Mmm… non è quello dove
vince la piovra gigante?»
«Ussula?
Ma Ussula muore!»
«Non è
vero che muore! E allora cosa ho visto io?»
«Non lo
so che hai visto, ma non era ‘La
sirenetta’ perché Ussula cattiva muore.»
«Ti
ripeto che non muore, non muore. Non.
Muore.»
«E
invece muore! Stupido!»
«Allyson,
non dire quella parola!» la sgridai anche se non potevo vederla, dato che io mi
trovavo in cucina e lei, insieme a Edward, si trovava in salotto. Mi stavo
facendo più risate che mai, grazie ai loro discorsi.
«Ma
mamma!»
«No,
niente mamma! L’hai sentita? Non devi più chiamarmi stupido.»
Ci fu
un momento carico di silenzio, in cui pensai che la bambina avesse imparato la lezione.
E invece… no.
«Posso
chiamarti ttronzo, allora?» domandò innocentemente.
«ALLYSON!»
urlai, nello stesso istante in cui Edward sbraitò un «Ma come ti permetti!?»
abbastanza indignato.
Sospirai,
prendendo la ciotola che avevo appena terminato di riempire con i popcorn.
Afferrai anche una bottiglia d’acqua e alcuni bicchieri di carta prima di
lasciare la cucina, raggiungendo gli altri due. Non appena arrivai, li trovai
seduti ai capi del divano, a debita distanza l’uno dall’altra, entrambi con le
braccia conserte e con l’aria arrabbiata. Edward, sentendo il mio arrivo, mi
strizzò l’occhio.
Era
davvero bravo nel recitare la parte dell’offeso… se fosse stato un attore
avrebbe vinto l’Oscar.
Seeee,
come no.
«Allie,
cosa ti ho detto riguardo alle brutte parole?» le chiesi, con voce pacata, dopo
aver posato le varie cose sul tavolino e dopo essermi seduta sul divano, tra
loro due.
Lei,
imbronciandosi, mi rispose mugugnando. «Che non le devo dire.»
«Esatto.
E perché le stai dicendo, allora?»
«Perché
il nonno le dice sempre! E perché Edwadd mi ha fatto arrabbiare!»
«Ma
Edward stava scherzando, amore! È ovvio che Ursula muore, alla fine del film…»
«Ma è
anche vero che nel secondo c’è un'altra piovra gigante.» intervenne lui,
poggiando il mento sulla mia spalla mentre osservava mia figlia.
Alzai
gli occhi al cielo. «Edward, quella cosa assomigliava più a una piovra
anoressica, che a una gigante…»
«Che
vuol dire anoflessica?» domandò Allie, gattonando fino ad arrampicarsi sulle
mie gambe.
«La
persona anoflessica è una persona molto molto magra. È magra perché non
mangia.» le spiegò Edward tranquillamente.
«E
perché non mangia?»
«Eh,
non lo so proprio! Vallo a sapere!»
Lei
aggrottò la fronte, incrociando persino le braccia. «Mi stai prendendo in
giro!»
«No no,
non ti prendo in giro!» Edward si mise subito sulla difensiva. «Non lo so per
quale motivo non mangiano, dico davvero.»
Prima
che potessero ricominciare a litigare – che poi, quello non era litigare
secondo me -, sollevai Allyson e la poggiai sul cuscino del divano per potermi
alzare. «Basta parlare di aniflessiche, adesso. Ci vediamo il film?» e senza
attendere risposta, andai ad inserire il dvd nel lettore e a farlo partire.
Quando
tornai al divano, dopo aver spento le luci, trovai la bambina seduta tra le
gambe di Edward, con lui che la stringeva e che teneva le mani sulla sua
pancia. Mi sedetti, continuando a guardarli incuriosita. Prima bisticciavano, e
poi se ne stavano vicini vicini come se nulla fosse successo… roba da non
credere!
Allyson,
concentrata sull’inizio del cartone animato, non si accorse che la stavo
osservando, ma Edward lo notò eccome. Voltandosi verso di me, sorrise e sollevò
un sopracciglio verso l’alto. «Che c’è?» domandò, muovendo soltanto le labbra.
Scrollai
le spalle, avvicinandomi a lui. «Credevo che avevate litigato…»
Ridacchiò.
«Abbiamo fatto la pace, ci siamo stretti persino i mignoli.»
«Avete
fatto pace sul serio, allora!»
«Sssh! Mamma, c’è la sirenetta! Non
parlare!» mi rimproverò Allie, agitando le manine senza guardarmi.
Trattenni
una risata tra le labbra e le carezzai i capelli. «Scusa, tesoro.»
Poi per
un bel po’ nessuno aprì più bocca; oltre alle voci allegre dei protagonisti,
ogni tanto si sentivano le risatine di mia figlia e la sua voce mentre ripeteva
le battute che le piacevano di più. Aveva visto il cartone così tante volte che
ormai lo sapeva quasi interamente a memoria… e la stessa cosa valeva per gli
altri, ovviamente.
Tenevo
la ciotola dei popcorn sulle gambe, che avevo incrociato sul cuscino del divano
e che da qualche minuto stavano perdendo la sensibilità; con la testa, invece,
me ne stavo appoggiata alla spalla di Edward mentre lui teneva ancora stretta
Allie, per nulla infastidita da lui.
Portai
una manciata di popcorn alle labbra mentre osservavo il primo incontro tra
Ariel e Eric: lei aveva addosso una specie di vestito creato con la vela di una
nave e cercava di comunicare con lui anche se non aveva più la voce, mentre
Eric cercava di interpretare i suoi gesti.
«Elic e
Ariel sono amici speciali adesso! Alla fine però si innamorano…» disse Allie,
rivolta a Edward. Aveva cominciato a descrivergli alcune parti del cartone,
come una maestrina che spiegava al suo allievo una cosa che ancora non sapeva…
Peccato
che quel cartone aveva più di venti anni, ed era praticamente impossibile che
Edward non lo conoscesse.
«Ah sì,
è vero! Questa parte degli amici speciali però non la ricordavo.» fece lui. Le
prese una manina e cominciò a giocare con le sue dita, ma quelle della bambina
erano talmente piccole, a differenza delle sue, che quasi sparivano.
«Sì,
sono amici speciali! Come te e mamma.» esclamò, mollando uno schiaffetto sulla
sua mano che la fece ridere di divertimento.
Io
quasi soffocai con i popcorn quando la sentii rispondere con quelle parole.
Tossendo per impedire di strozzarmi, mi chinai in avanti e nello stesso momento
lanciai un occhiata al volto di Edward, che ricambiò; notai che era diventato
improvvisamente scioccato e spaventato. E se non fossimo stati al buio, potevo
benissimo dire che era anche impallidito.
Ripresami
da quel piccolo incidente, raddrizzai la schiena e mi schiarii la gola,
mettendo da parte i popcorn: per quella sera ne avevo abbastanza. «Allie,
perché… perché dici che io e Edward siamo amici speciali?» domandai,
riconoscendo una piccola nota di timore nella mia stessa voce.
Allyson
si girò per guardarmi, con un sorriso enorme che le andava da guancia a
guancia. «Perché gli amici speciali si baciano, e voi lo fate. Vi ho visto
prima mamma, voi vi baciate!» urlò, per nulla sconvolta ma anzi, felice e
soddisfatta di averci beccati in quel frangente.
Io non
sapevo che cosa dire, sia perché non pensavo che Allyson poteva mettersi a
spiarci quando non ce lo aspettavamo, e anche perché non immaginavo per niente
che fosse stata così contenta di sapere che io e Edward eravamo ‘amici
speciali’.
Beh, la
sua definizione per ‘amici speciali’ era del tutto innocente, visto che
definiva così solo chi si baciava… ma per qualcun altro, l’amico speciale era
quello che si portava a letto per una scappatella.
Per
fortuna che era ancora troppo piccola per capirlo, quindi potevo tirare un
sospiro di sollievo.
«Sì,
siamo amici speciali.» dissi alla fine, dopo aver smesso di mordermi il labbro
inferiore, che cominciava seriamente a farmi male. «Allie?»
Lei,
che era tornata a guardare la tv, si girò e mi guardò attentamente. «Che c’è?»
«A te
va bene che io e Edward siamo amici speciali?» domandai, non potendone fare
proprio a meno. Dovevo essere assolutamente sicura che la mia relazione con
Edward non la disturbasse o la turbasse in qualche modo…
La
piccola si mise a ridere e si coprì la bocca con le manine, alzando gli occhi
per vedere anche Edward, oltre a me. «Edwadd è bello, mamma!» pigolò.
Quello
doveva essere il suo modo per dire che le andava bene, così mi rilassai
ridendo. Mi chinai su di lei e le baciai le labbra dopo avergli scostato le
manine, cosa che le provocò una nuova serie di risa e di gridolini a stento
trattenuti.
«Signorina,
per caso ha detto che sono bello?» fu il turno di Edward di punzecchiarla.
«L’ho sentito con le mie orecchie! Sono bello?»
«No,
sei brutto come il sedere di una capra!»
Edward
finse di rabbuiarsi. «No, il sedere della capra puzza! Come puoi dire una cosa
del genere!? Adesso ti faccio vedere io…» e, continuando a minacciarla,
cominciò a farle il solletico.
Allyson
cominciò a ridere e a dimenarsi quasi nello stesso modo in cui mi ero esibita
io poche ore prima, sottoposta a quella tortura.
E fu
così che il film finì nel dimenticatoio.
***
«Non ti
dà fastidio? Posso prenderla io…» bisbigliai, chiedendoglielo per l’ennesima volta.
«Scherzi?
È un peso piuma! Non mi sembra neanche che l’ho in braccio, tranquilla.» mi
rispose Edward, lanciandomi un sorriso prima di tornare a guardare Allyson.
La
bimba dormiva beatamente, con le labbra arricciate in un tenero broncio e con
le manine strette a pugno sulla maglia del pigiama. Era crollata pochi minuti
dopo aver ripreso a guardare il cartone, nonostante avesse cercato di sfidare
il sonno e di restare in piedi di più. Ma si sa, spesso e volentieri il sonno
vinceva sempre!
«Edward,
davvero se ti da fastidio…»
«Bella,
davvero non mi da fastidio.» tornò a guardarmi e mi fece una linguaccia. «Non è
che sei gelosa?»
«Gelosa,
io? No. Anzi, vederti in questo frangente mi piace parecchio!» ammisi, tornando
a poggiarmi a lui mentre gli carezzavo piano il braccio sinistro.
«Quale
frangente?»
Sorrisi,
contenta che non potesse riuscire a vedere interamente il mio viso, in quel
momento. «Questo. Mi piace ammirarti con un bambino in braccio…» confessai.
Alzando
gli occhi, vidi i suoi che mi scrutavano attentamente e che sembravano parlare…
però, io non ero ancora capace di decifrare il linguaggio visivo. Per fortuna
che Edward parlò prima che gli chiedessi di dire qualcosa.
«Ti
piaccio?» domandò, senza aggiungere altro.
Annuii.
«Ultimamente non faccio che pensare a questo, sul serio. E so che può sembrare…
abbastanza prematuro dirtelo adesso, ma mi piace tanto vedere che hai così
tanta dimestichezza con i bambini.»
Edward
sembrò abbastanza colpito dal mio discorso, ma se ne rimase scioccato non lo
diede a vedere. Cominciai anche a pensare che dovevo prepararmi a vederlo
scappare, e uscire dal mio appartamento una volta per tutte… ma sapevo che non
sarebbe successo. Lo pensavo, sì, ma non veramente. Erano le solite cavolate
che mi passavano per la testa quando volevo rovinarmi la giornata.
«Sono
abituato ad avere bambini piccoli intorno a me.» disse dopo un po’, tornando a
guardare Allie che dormiva. «Mia zia Annie, la sorella di mamma, ha avuto il
terzo figlio in età avanzata, io andavo già all’università… non ti dico, quel
piccoletto nei primi anni era tremendo!» rise, forse mentre ripensava al suo
cuginetto. «In confronto a lui, tua figlia è un angelo.»
«Mi fa
piacere sapere che ci sono bambini più vivaci di Allie.»
«Oh sì,
ci sono eccome, te lo posso assicurare. Distruttori di libri universitari che
costano quasi quanto un computer e che mettono in fuga cani grossi il doppio di
loro… ci sono eccome!»
«Questa
del cane me la devi raccontare!» scattai a sedere sul divano, guardandolo
interessata e completamente incuriosita. «Voglio sapere tutto!»
«Va
bene, te lo racconto… però, prima sarà meglio mettere a letto la piccola. Credo
che la disturberemo se cominciassimo a ridere come cretini.» osservò, inarcando
le sopracciglia come farebbe una persona saccente e spocchiosa.
Non lo
ripresi perché sapevo che aveva ragione, dimostrandomi allo stesso tempo che
era anche una persona molto responsabile. E al diavolo tutti i problemi e le seghe
mentali che mi viaggiavano nel cervello!
Così,
dopo aver lasciato Allyson a riposare tranquillamente nel suo lettino, ce ne
tornammo sul divano e rimasi ad ascoltare Edward che mi raccontava di come il
suo cuginetto Will, alla tenera età di quattro anni e mezzo, correva dietro al
rottweiler dei Cullen che, terrorizzato dal bambino, scappava via per tutto il
giardino… e come puntualizzò Edward, il giardino non era niente affatto
piccolo.
Ridevo
come un’indemoniata, con gli occhi chiusi e le mani a coppa sulla bocca per non
far sentire i miei schiamazzi a tutto il palazzo. La pancia cominciava a farmi
male per il troppo ridere, tanto che credevo di rischiare di vomitare da un
momento all’altro. E se lo avessi fatto, avrei fatto anche una pessima figura
sporcando i calzoni a Edward, visto che mi trovavo con la testa sulle sue
gambe.
«Oddio…
mi sento male!» soffiai, sentendo una fitta allo stomaco.
«Vedi
di non sentirti male addosso a me, eh! Altrimenti mi paghi la lavanderia.» mi
ammonì lui, carezzandomi i capelli.
Scossi
la testa velocemente, sbuffando e ridendo allo stesso tempo. «Non pago un bel
niente, mio caro! Casomai ti lavo io stessa i pantaloni e siamo a posto.»
Sorrise,
osservandomi dall’alto, e senza smettere di muovere le mani tra i miei capelli.
«Sei proprio una brava donna di casa…»
«Esatto.»
Ce ne
restammo in silenzio, continuando a fissarci senza che nessuno dei due
annunciasse di voler smettere. Ma perché smettere, dopotutto? Mi piaceva
guardarlo, e mi piaceva vedere che quell’attenzione era reciproca. Se fosse
stato per me, avrei trascorso ore intere in quella posizione ad ammirarlo.
«Bella,
ti alzi, per favore?» mormorò, interrompendo il silenzio.
«Ti do
fastidio?» domandai, affrettandomi a fare come mi aveva chiesto.
«No… è
solo che ho una voglia tremenda di baciarti, e in questa posizione è un po’
scomodo poterlo fare…» mi confessò, aiutandomi a tornare in posizione eretta.
E non
appena ci tornai, non feci in tempo a prendere neanche il più piccolo respiro
che le sue labbra, bramose, occuparono le mie.
Inspirando
dal naso per l’improvvisa mancanza di aria, mi aggrappai a lui e assecondai il
suo assalto, più che contenta di farlo. Edward circondò con le braccia la mia
schiena e mi strinse contro di sé, costringendomi a mettermi a cavalcioni sulle
sue gambe per trovare una posizione comoda.
Presto,
per non dire ‘subito’, ci ritrovammo nella stessa situazione di prima, quando
Angela ci aveva interrotto suonando al citofono. Con il respiro corto e la
pelle del viso che andava a fuoco per l’improvvisa ondata di calore che mi
investì, cercavo un contatto maggiore con il corpo di Edward e nel disperato
tentativo di averlo infilai le mani sotto alla sua maglietta, accarezzandogli
l’addome teso.
Edward
smise per un istante di respirare, staccandosi da me e prendendo a scendere con
le labbra lungo il mio collo. Premetti una mano sulla sua nuca per non farlo
andare via, e chiusi gli occhi quando sentii i primi baci lungo la linea del
collo, accompagnati da brividi lungo la schiena.
Reclinai
la testa all’indietro per concedergli più spazio, bramosa del suo tocco sulla
mia pelle, quando ad un tratto si fermò. Stranita per quell’improvvisa
interruzione, tornai ad abbassare la testa per guardarlo e nel farlo fui di
nuovo coinvolta in un bacio, passionale come i precedenti.
«Possiamo
spostarci in camera tua?» soffiò in maniera lasciva sulle mie labbra, umide per
come le aveva torturate fino a quel momento.
«Non
farmi più domande del genere…» borbottai, tornando a baciarlo con più impeto di
prima.
Soddisfatto
dalla mia risposta, abbandonò il divano e cominciò ad avviarsi lungo il
corridoio, senza mettermi giù e sorreggendomi per le natiche. Aveva smesso di
baciarmi, ma io non smisi affatto di torturarlo con le labbra e con i denti,
saggiando la sua pelle come se fosse il mio pasticcino preferito.
Ecco,
forse averi potuto chiamarlo ‘pasticcino’ da quel momento in avanti…
***
Con gli
occhi chiusi, continuavo a muovere le dita sulla nuca di Edward. Lui teneva la
testa sulla parte alta del mio petto, con il viso girato, ed il suo respiro si
infrangeva piano sulla mia pelle carezzandola dolcemente come se stesse usando
una piuma. Le nostre mani, quelle che non erano occupate a solleticarci la
pelle, erano strette in uno strano intreccio.
Persino
le nostre gambe erano intrecciate.
No, non
è come state sicuramente pensando…
Io e
Edward non avevamo fatto sesso. So che può sembrare così, vista la posizione in
cui ci trovavamo e vista la nostra nudità… ma non lo è per niente. Ci eravamo
solo presi quel momento di intimità per scoprire reciprocamente i nostri corpi,
per scoprire una parte di noi che era ancora nascosta ai nostri occhi.
Sia io
che lui avevamo capito che quella sera – ops, pardon, quella notte! – non
avremmo fatto nulla se non osservarci e regalarci del piacere a vicenda, senza
andare completamente fino in fondo.
Ero
soddisfatta del grande passo in avanti che avevamo compiuto, anche se dovevo
ammettere che non mi sarebbe affatto dispiaciuto fare sesso con Edward. Non ero
una ragazzina alle prime armi, ero più che pronta e consapevole di quello che
il sesso comportava, specialmente in una relazione… ma ero allo stesso momento contenta
di non essere arrivata a quel punto.
Avevamo
deciso di andarci con calma, quindi anche la nostra prima volta insieme doveva
arrivare con calma e senza nessuna pressione. L’attrazione tra i nostri copri
era forte, quella sera ne avevo avuta la dimostrazione… ma questo non voleva
dire che non potessimo sfogarla in qualche altro modo.
Arrossii,
ripensando a quali modi potevamo usare per amarci senza dover per forza fare
sesso.
Edward
era davvero un amante attento, protettivo e passionale… ma sapeva essere anche
rude, a volte. Lui, dopotutto, era quello che si intratteneva con le infermiere
negli sgabuzzini dell’ospedale, non dimentichiamolo!
Avevo
notato il suo modo di comportarsi in quei momenti, e la sua particolare
capacità di prestare molta attenzione nei gesti che compiva; ogni carezza, ogni
tocco, ogni bacio… ogni cosa che faceva, era piena di trasporto ma allo stesso
tempo piena di delicatezza, come se avesse avuto il timore di farmi del male o
di rompermi, neanche fossi stata una fragile statuetta di cristallo.
Nessuno
mi aveva mai trattata in quel modo, durante i momenti di intimità. Edward era
stato il primo a farmi sentire desiderata e allo stesso tempo… amata. Potevo
parlare liberamente di amore, anche se ero ancora all’oscuro di quel sentimento
così potente e forte e che ti colpiva quando meno te lo aspettavi?
Forse…
Strofinai
le labbra contro la fronte di Edward, sfiorando anche le corte ciocche umide
che gli ricadevano sulla pelle. Quel movimento da parte mia sembrò riscuoterlo
di colpo, neanche gli avessi dato uno scappellotto sul collo! Si voltò,
poggiando il mento sul mio petto e lanciandomi un sorriso rilassato e beato,
gli occhi socchiusi.
«Pensavo
stessi dormendo…» mormorai, scostandogli quelle ciocche dalla fronte.
Scosse
piano la testa. «Dovremmo farlo entrambi, dormire intendo. Si è fatto tardi.»
mormorò a sua volta.
Lo
guardai negli occhi, sollevando verso di me le nostre mani, che erano ancora
intrecciate, per portarle alle labbra e sfiorarle dolcemente in un bacio.
«Resti qui?»
Batté
le palpebre un paio di volte, sorpreso dalla mia domanda. «Solo se a te va
bene.»
Stavolta
fui io, a battere le palpebre. «Ma certo che va bene…»
Me ne
restai buona buona, nella mia parte di letto, mentre lui si spostava da sopra
di me per non pesarmi e si stendeva sulla schiena, per poi afferrare la mia
mano e tirarmi verso di lui per far sì che gli stessi accanto. Con il lenzuolo
a coprirmi fino al seno, poggiai la testa sul cuscino e lo guardai, il braccio
che gli circondava il petto.
Me lo
carezzò lievemente, portando il suo sulla mia testa e poggiando la mano libera
sulla mia spalla. Si chinò persino a baciarmi i capelli sulla tempia, ed in
quel momento mi ricordò papà quando, da bambina, mi augurava la buonanotte.
«Sai, a
mia madre piacerebbe tanto conoscerti…» disse all’improvviso.
Sollevai
lo sguardo verso di lui, colpita. «Che… che vuol dire?» domandai stupidamente.
«Le hai parlato di me?»
«Sì e…
no. È stato quel pettegolo di Emmett ad informarla che ti sto frequentando, non
sa mai tenere la bocca chiusa!» sbuffò, cosa che mi fece ridacchiare di cuore.
Conoscevo
abbastanza bene i due fratelli Cullen, abbastanza da capire che Emmett quando
voleva sapeva diventare una brava comare in cerca di gossip… e questo a Edward
non andava giù.
«Emmett,
Emmett… non impara mai.» passeggiai con le dita sul suo petto, seguendo con gli
occhi i miei movimenti.
«Già…»
sbuffò di nuovo. «Però se non vuoi, Bella, non sei obbligata. Non è necessario
conoscere mia madre adesso, siamo ancora agli inizi… io, per esempio, non
conosco ancora i tuoi genitori! Possiamo pensarci più avanti.»
«Cosa
ti dice che io non la voglia conoscere?» domandai divertita. «E’ presto, sì, ma
una presentazione innocente e non ancora ufficiale si può fare…»
«Ne sei
sicura?»
«Certo!
E poi, tu sei ancora in tempo per conoscere i miei genitori.» gli feci notare.
«Ma
sono lontani… me li presenti per telefono?»
Scossi
la testa, osservandolo con gli occhi socchiusi mentre mi sollevavo dal letto e
mi stendevo sopra di lui. Posai le mani sulle sue spalle, carezzandole
circolarmente e quasi senza toccarle del tutto. «No, via Skype! Io e la mamma
lo usiamo quasi tutti i giorni per parlare… domani, se ti va, te li farò
conoscere.»
Sorrise
sornione, sollevando solo un angolo della bocca. Posò le mani sui miei fianchi,
che si erano scoperti quando il lenzuolo era scivolato via dal mio corpo.
«Quindi, vuol dire che domani trascorreremo ancora un po’ di tempo insieme.»
Annuii,
ricambiando il suo sorriso. «Ed è un male?»
«No no,
affatto.» sollevò la testa, avvicinandosi alla mia tanto da sfiorare il mio
naso con il suo. «È un bene!» disse, baciandomi un istante dopo.
E
ricominciammo a fare quello che stavamo facendo prima… per fortuna che dovevamo
metterci a dormire! Cos’avremmo fatto, altrimenti?
______________
Edward e Bella, che sporcaccioni U_u visto
che alla fine li ho fatti sfogare un po’? XD
No, seriamente: per loro questo è un passo
davvero importante, anche se non sono andati fino alla fine XD ma per adesso
non voglio spingerli fino a quel punto, e sono sicura che presto arriverà anche
il loro momento… quando? Beh, non lo so ancora XD diamo tempo al tempo u.u
Allie ha dato la benedizione a Edward e
Bella, ma non è carina? Io mi sono innamorata di questa bimba *-* specialmente
quando insulta il dottor Cullen HAHAH è un amore!
E Esme vuole conoscere Bella… che dite, si
incontreranno prima o poi? Io sono sicura di sì ;)
Bene, adesso smammo e vi lascio in pace XD
ci sentiamo come al solito tra una decina di giorni :3
Bacioni!
P.S: li avete visti gli Oscar? Ha trionfato
la mia Jen! *-* e c’era il mio amore Daniel insieme alla mia Kris! Stavo morendo,
troppo belli insieme *w*
(scusate la mia indole di fan girl repressa male X’D)
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Capitolo 16 *** Capitolo 16 ***
Solo il tempo... - Capitolo16
Salve :3
Sono di nuovo in ritardo, lo so ._.
stavolta però è l’ispirazione che mi fa brutti scherzi. Tutto quello che scrivo
non mi piace, mi sembra sempre che manchi qualcosa… boh, sarà colpa degli acquazzoni
degli ultimi giorni XD
Comunque, a parte la mia pessima ispirazione,
la storia di Bella e Edward continua: oggi ci soffermeremo su una loro tipica
giornata di lavoro. Non accadrà nulla di che, vi avverto XD ma spero che vi
piaccia lo stesso ;)
Oggi niente note finali, quindi mi fermo
qui :) vi ringrazio per le recensioni (scusate se non ho risposto, come vi
avevo invece promesso ç.ç mi merito i vostri insulti ç.ç) e per il numero dei
seguiti che continua a crescere *-* thank you! *-*
Come sempre, vi lascio il link del gruppo su
Facebook e… e adesso me ne vado per davvero XD
Alla prossima, baci :3
Solo il
tempo
Capitolo
16
«Dovresti…
devi andare via…» cercai di pronunciare una frase di senso compiuto, ma era
un’impresa veramente difficile, se c’era qualcuno che tentava di metterti i
bastoni tra le ruote.
Era
quello che mi stava accadendo, in effetti: c’ero io, una povera ragazza
indifesa che cercava di far ragionare il suo ragazzo, e c’era Edward che,
invece, non mi ascoltava per niente e continuava a torturami con le sue labbra
e con i suoi denti… dimentico del luogo in cui ci trovavamo.
Se fossimo
stati da tutt’altra parte sarei stata più che felice di assecondarlo e non avrei
cercato di cacciarlo, ma ci trovavamo in ospedale e lui doveva già trovarsi in
sala operatoria, dove lo stavano aspettando per un intervento… e non, invece,
nel ripostiglio, inginocchiato tra le mie gambe.
Beh,
anche io non gli lasciavo molta via libera, a dire la verità… volevo vedere
come faceva a liberarsi se lo tenevo stretto stretto a me, tanto che avevo
persino incrociato le ginocchia dietro la sua schiena!
Ma la cosa
non doveva dispiacergli per niente, stando a sentire quello che mi stava sfacciatamente strusciando sulla pancia…
Mugolai,
inarcando il collo e stringendo con più foga del dovuto tra le dita il camice
blu che indossava. La situazione in cui ci trovavamo era totalmente sbagliata:
potevamo essere beccati in qualsiasi momento, e alla velocità della luce tutto
l’ospedale avrebbe saputo che Edward Cullen e Isabella Swan, l’infermiera,
l’ultima arrivata della squadra, se la stavano spassando nello sgabuzzino.
La cosa
mi dava sui nervi e avrei voluto mettere subito fine alla cosa… ma non era
facile per niente. Come poteva essere facile, quando la voglia di approfondire
il rapporto con il tuo ragazzo era più forte di quella di lavorare? Se poi lui
cominciava a torturarti, era davvero la fine.
«Edward…»
continuai i miei tentativi di fargli cambiare idea, sperando di avere successo
questa volta.
«Mhm?»
quella fu la sua risposta, troppo impegnato com’era nel torturarmi il collo.
«Stanno
aspettando te per cominciare l’operazione.» sospirai, spingendo sul suo petto
con le mani per mandarlo via, e alla fine ci riuscii. «Devi andare via…»
terminai con un sussurro.
«Odio dover andare via!» commentò in modo
aspro, affondando le dita nei miei fianchi e spalmandosi di nuovo contro di me.
«Non potevano chiamare Watts per l’intervento?»
«Da
quel che so, Watts è in malattia… sei l’unico chirurgo ortopedico presente in
ospedale questa settimana, dottor Cullen. Arrenditi e vai a lavorare, su!»
Mi
guardò di sottecchi, leggermente irritato… ma giusto leggermente. «Infermiera
Swan, non provi a prendermi in giro o potrebbe pentirsene.» mi ammonì,
allontanandosi di qualche centimetro dal mio corpo.
Lo
lasciai fare, divertita. «Davvero? E in che modo potrei pentirmene?»
Rispose
alla mia domanda con un sorriso malizioso e un occhiata languida, molto
languida. «Ricordi quello che ho fatto ieri sera? Potrei replicare l’impresa…»
Non
potei fare a meno di arrossire, in riflesso alle sue parole.
Era
completamente impossibile dimenticare l’impresa
della sera prima, sia perché erano passate solo poche ore da quando era
successo, e sia perché la vittima ero stata io. Beh, non ero stata una vera e
propria vittima, la parola non era molto azzeccata… ero stata la protagonista,
ecco. Anche perché Edward non mi aveva maltrattata in nessun modo: mi aveva
solo fatta… divertire.
Eccome,
se mi ero divertita!
Non
volevo scendere nei particolari perché mi vergognavo troppo. Basta solo sapere
che ci eravamo visti anche la sera prima e che, una volta soli, ci eravamo
dedicati di nuovo a noi e ai nostri corpi. Non avevamo ancora fatto l’amore, ma
avevamo fatto altro… molto altro.
Edward,
nei preliminari, era dannatamente bravo. E non lo dicevo soltanto perché era il
mio ragazzo, o perché nutrivo delle preferenze nei suoi confronti: era bravo e
basta. Dopotutto aveva una lunga lista piena di esperienza, e quindi sapeva
come soddisfare una donna… e la sapeva soddisfare eccome!
Da
parte mia invece… beh, neanche io me la cavavo tanto male. Edward non si era
ancora lamentato, quindi qualcosa di buono lo avevo fatto. Le uniche e poche
esperienze sessuali che avevo avuto in passato erano servite a qualcosa, a
quanto sembrava…
«Edward…»
balbettai, ancora rossa in viso e a corto di parole per via dell’imbarazzo.
Lui si mise
a ridere, chiudendo le mani a coppa sul mio viso e solleticandomi gli zigomi
con i pollici. «Ma guardati! A letto sembri una specie di ninfomane, mentre
adesso arrossisci per poche paroline.» sorrise sornione.
«Non
prendermi in giro, per favore! Non posso farci niente, è più forte di me.» mi
giustificai, e in un disperato tentativo di distrarlo spiaccicai le mie mani
sul suo viso, facendolo arretrare.
«Ugh!
Pestifera…» mugugnò, guardandomi male attraverso le mie dita semi aperte.
«Se se,
chiamami come ti pare.» lo beffeggiai, liberandolo dalla mia presa solo per
intrappolarlo di nuovo per baciarlo.
Edward
ricambiò il mio gesto, abbracciandomi teneramente e poggiando una mano sulla
mia nuca, tra i capelli. Spesso e volentieri si divertiva a pettinarmeli usando
semplicemente le dita, e alcune volte era riuscito persino ad impicciarli,
creando dei nodi assurdi che non si scioglievano neanche dopo mezz’ora di
tentativi con la spazzola.
«Piccola,
smettila di baciarmi altrimenti in sala operatoria non ci vado più.» biascicò,
mordendomi il labbro inferiore.
«Adesso
sei tu quello che mi sta baciando, quindi smettila tu!» lo rimproverai ridendo.
Sorrise,
soffocando una risatina mentre si rimetteva in piedi e si passava le dita tra i
capelli. Mentre compiva quei gesti, me ne restai seduta sulla piccola branda
che avevamo trovato nel ripostiglio, e che qualche medico o infermiere usava
per riposarsi tra un turno e l’altro.
Non
sarebbero stati felici di sapere che noi, invece, la usavamo per fare altro.
Percependo
il mio sguardo su di lui, Edward si girò verso di me e inarcò le sopracciglia.
«Che c’è?»
Scossi
la testa, muovendo le dita sul materasso. «Nulla… mi piace guardarti.»
«Anche
a me piace guardarti… specialmente se indossi solo il reggiseno, come stai
facendo adesso.» commentò, piegando la testa da un lato e fischiando in segno
di apprezzamento.
Arrossii
di nuovo – sai che novità? -, e recuperai in fretta e furia la blusa della mia
divisa per potermi coprire il petto. «Non sei divertente!»
«Lo
sono eccome, invece.» tornò a chinarsi di nuovo su di me per lasciarmi un
piccolo bacio all’angolo della bocca, per poi spostarsi sulla guancia e infine
sull’orecchio. «Piccolo consiglio: tieni i capelli sciolti per tutto il giorno,
Bella.»
Insospettita
da quella frase, mi scostai per poter riuscire a vedere meglio il suo viso.
«Che vuol dire? Perché non posso legare i capelli?»
«Beh…»
strinse le labbra, osservando il soffitto, «… hai un succhiotto enorme sul
collo. Vuoi farlo vedere a tutti quanti?»
Alla
parola ‘succhiotto’ sobbalzai e portai le mani al collo, anche se non sapevo in
quale punto preciso spiccasse quell’odiosa macchia che non ero mai riuscita a
sopportare. Trattenendomi dall’imprecare peggio di uno scaricatore di porto,
usai l’altra per schiaffeggiarlo sul petto. «Ti odio! Perché mi hai fatto un
succhiotto?!» esclamai.
«Perché
mi piace marchiare ciò che è mio, e mio soltanto.» rispose tranquillamente.
Sbuffai,
desiderando enormemente di poterlo fulminare grazie allo sguardo. «Non sei mica
un cane, non mi puoi marchiare!»
«Mi
sembra di averlo appena fatto…» replicò saccentemente.
Scocciata,
mi alzai in piedi e infilai velocemente la blusa per poi sistemarmi
nervosamente i lunghi capelli sulle spalle, sperando che riuscissi a coprire il
succhiotto nonostante non sapessi in quale parte fosse. Per fortuna che Edward
venne in mio aiuto, prendendo alcune ciocche e lasciandole ricadere qualche
istante dopo alla mia sinistra.
«Ecco,
così non si vede nulla. Sei a posto, tesoro.»
«Tesoro
un cazzo!» mugugnai, mentre poggiavo il pugno chiuso sulla sua mascella e
premevo, anche se sapevo che non gli avrei mai fatto male in quel modo.
Rise
ancora una volta, baciandomi la fronte. «Sì, lo so. Grazie piccola.» scherzò,
fingendo di non aver sentito. «Vai avanti tu, io aspetto che… si calmino un po’
le acque qui sotto.»
«Le
acque, eh?» domandai, e lui annuì in risposta.
C’era
aria di tempesta nelle parti basse…
Stringendo
il labbro superiore tra i denti, venni colta da un’improvvisa illuminazione e,
abbassata una mano all’altezza del suo amichetto,
presi a strofinare lentamente il palmo della mano sul gonfiore che, invece di
scemare, tornò ad inturgidirsi.
Edward
gemette sotto al mio tocco, poggiando la fronte contro la mia. «Bella, così non
mi calmerò mai…» disse, usando un tono tra il seccato e il soddisfatto per
quello che stavo facendo.
Orgogliosa
per la sensazione che gli stavo scatenando, poggiai le labbra sul suo mento e
lo baciai prima di morderglielo. «Così impari a farmi i succhiotti.» e detto
questo, smisi di muovere la mano e andai alla porta, lasciandolo immobile a
pochissimi centimetri di distanza e eccitato più di prima.
Mentre
Edward mi guardava incavolato e, forse, divertito, aprii la porta e gli lanciai
un bacio volante prima di andare via, ridendo. Che dire… era divertente
stuzzicarlo, e non potevo farci assolutamente niente se mi piaceva così tanto!
***
Tornai
al nido quasi correndo, e trattenendo una serie di imprecazioni tra le labbra.
Avevo fatto di nuovo tardi… merda! Tutta colpa di Edward, o quasi. Va bene che
lui mi stava trattenendo all’interno di quel ripostiglio, ma anche io non ci
ero andata leggera mentre lo stuzzicavo, aggiungendo altri minuti di ritardo al
mio ritorno in reparto.
Cavolo,
se Brenda lo avesse saputo mi avrebbe fatto una ramanzina coi fiocchi! Sperai
che fosse troppo impegnata in altre faccende invece di stare a controllare che
noi infermieri rispettassimo gli orari…
Chiusi
la porta cercando di non fare troppo rumore: avevo imparato che, spesso, anche
i rumori più piccoli e innocenti fossero in grado di disturbare i neonati che
si trovavano al nido… grazie a Allyson, poi, avevo provato l’esperienza sulla
mia pelle.
E l’ultima
cosa che volevo era cercare di far smettere di piangere tutti i bimbi, insieme
alle mie colleghe.
Julie,
una delle infermiere del reparto maternità, sollevò lo sguardo dalla rivista
che stava leggendo e mi osservò, socchiudendo gli occhi grigi. Si vedevano a
malapena, sia per le palpebre semichiuse, sia per la frangia rossiccia che
cominciava ad essere troppo lunga.
«Hai
fatto tardi di nuovo?» mi domandò, con un finto tono accusatorio.
«Ehm…
sì.»
Restando
sotto il suo sguardo scrutatore, mi spostai dalla porta e cominciai a
gironzolare per il nido, controllando i bambini che dormivano, facevano
versetti e che agitavano le manine al di fuori delle coperte. Non sapevo che
altro fare, e non mi andava di sedermi… meglio sgranchirsi un po’ le gambe.
Cosa che hai fatto molto spesso,
ultimamente…
Scossi
la testa, ignorando quella voce ironica e antipatica che quando voleva si
insinuava nel mio cervello e sparlava a vanvera… ma qualche volta ci azzeccata
pure. E in quel momento, dovevo ammettere a malincuore, ci aveva proprio preso.
«Cos’è
successo stavolta? Hai avuto un contrattempo con la macchinetta del caffè… o
con qualche medico di nostra
conoscenza?» domandò di nuovo Julie, stavolta però utilizzò il suo tono da
perenne impicciona per sapere gli affari miei.
Mi
girai verso di lei, e stavolta potei vederle per intero il viso dato che aveva
abbassato il giornale. Lo teneva sulle gambe accavallate, e su di esso aveva
poggiato le braccia; le mani, dalle dita intrecciate, erano ferme, ed era ferma
anche lei mentre attendeva una mia risposta.
Julie
era fatta così: era impicciona, avida di pettegolezzi e altrettanto avida di
spargere gli ultimi scoop per tutto l’ospedale. Questo era l’unico difetto che
la rendeva poco simpatica agli altri. Era una brava ragazza, gentile e
rispettosa, per carità, ma la sua natura di Gossip Girl non piaceva a nessuno.
Neanche
a me.
Stringendo
le labbra, mentre cercavo di trattenermi dall’urlarle un ‘Fatti i cazzi tuoi’ grande quanto una casa, girai le spalle ad
alcune culle ed incrociai le braccia sul petto, osservandola.
«Perché
questa domanda?» chiesi, fingendomi sorpresa, ed accentuai la mia mise da finta
ingenua battendo le ciglia un paio di volte.
«Beh,
sai, semplice curiosità. E se ti trovavi insieme a Edward ti capisco, lui è… è
il massimo dei massimi! Allora, avete pranzato insieme?» domandò, civettuola.
«Edward
ha un intervento, non ha pranzato con me… ed io ho trascorso la mia pausa
mangiando un panino e parlando al telefono con la mia amica Alice.» mentii alla
stragrande, mettendo in quella bugia solo un pizzico di verità.
Edward
aveva sì un intervento, ma aveva trascorso l’intera pausa pranzo con me e non
avevamo toccato cibo… e, ciliegina sulla torta, non avevo telefonato per niente
ad Alice! Dovevo inventarmi qualcosa per mettere a tacere la regina dei gossip,
e forse in questo modo si sarebbe calmata.
Non
volevo essere sulla bocca di tutti quel giorno, proprio no.
«Ah!»
esclamò, talmente delusa che potei vedere a occhio nudo il suo entusiasmo
colare via dal suo viso. Ed in men che non si dica riprese la rivista tra le
mani e sprofondò di nuovo il suo naso da impicciona tra le pagine patinate.
Soddisfatta
della mia piccola vittoria su Julie, distesi le labbra in un sorriso e tornai
ad occuparmi delle mie faccende… beh, ne avrei trovata una da fare. Come se
stesse sentendo la mia muta richiesta di qualcosa da fare, un neonato si mise a
piangere a squarciagola, reclamando la mia attenzione.
Mi
presi così il ‘disturbo’ di portare il pupo alla sua mamma per la poppata e di
gironzolare per il reparto, senza una meta precisa: volevo solo allontanarmi da
Julie ed evitare che trovasse una nuova scusa per scoprire qualcosa sulla mia
vita privata senza che ne avesse il completo diritto.
Io non
sparlavo mai della mia vita privata, mi confidavo solo con chi volevo e con chi
sapevo che aveva la mia più grande fiducia. Ad esempio, le mie amiche sapevano
che io e Edward eravamo diventati una coppia a tutti gli effetti, anche se non
avevamo ancora approfondito del tutto la nostra conoscenza sotto il campo del
sesso. Ma per quello c’era tempo… o almeno c’era, fino a quando uno di noi due
non ce l’avrebbe fatta più e avesse supplicato di andare fino in fondo.
Io a
quel punto ci stavo arrivando. Non mi dispiaceva perdere del tempo a letto con
i preliminari, ma ero anche tentata di fare l’amore con lui: lo volevo, ne ero
consapevole e volevo metterlo al corrente di quel mio desiderio… ma, lupus in fabula, avevo paura di
confessarglielo.
A
vederla in questo modo mi sentivo una vera cretina, e sapevo che non c’era
nulla di male nel confessare al proprio ragazzo che volevo rendere più profondo
il nostro rapporto e fare così l’amore con lui, ma c’era qualcosa che mi
frenava e che mi toglieva tutto il coraggio. Non era la paura che mi giudicasse
male, oppure che credessi che non gli piacessi fino a quel punto, no! O forse
sì?
Diavolo,
non lo sapevo! Fatto sta che avevo un sacco di filmini mentali in testa, tutti
con protagonisti me e Edward e tutti con lui che mi scacciava via per qualcosa
che avevo o non avevo fatto…
Dovevo
lavorarci su, senza dubbio.
Sbuffando,
e cercando di non tornare con la mente a quei filmini odiosi, me ne tornai al
nido e presi posto su una seggiola poco distante da quella su cui era seduta
Julie, ancora impegnata a leggere la sua rivista.
A
vederla così poteva sembrare una ragazza superficiale, ma in realtà era una
brava infermiera. Solo, come avevo detto prima, le piaceva il gossip, quindi
cercava di arraffare più notizie possibili nei piccoli ritagli di tempo che
c’erano sul lavoro.
«Dio,
che caldo!» sbuffai di nuovo, e raccolsi i capelli in una cipolla alta,
tenendoli fermi con una mano mentre inclinavo il collo all’indietro e cercavo
di asciugarmi il leggero velo di sudore che avevo sulla nuca. Perché mi ero
sciolta i capelli, se sapevo che lì faceva caldo?
Ah,
già, per via del…
«È un
succhiotto quello?»
Cazzo.
Abbassai
la testa e i capelli di colpo, alla voce squillante di Julie che adesso mi
osservava ad occhi stralunati e brillanti, come se avesse appena visto la
pietra preziosa più grande e bella del mondo e non, invece, una macchia oscena
e di dimensioni non ancora definite sulla mia pelle.
«Che?
Succhiotto? Nooo…» squittii, sviando la cosa. Cercai di proteggere la prova
incriminante con le mani e con i capelli, accucciando il collo nelle spalle.
«Sì,
invece, quello è un succhiotto!» esclamò, per fortuna trattenendo il tono di
voce. Gettando all’aria la rivista si alzò in piedi e mi si avvicinò a velocità
disarmante, cercando di studiarmi il collo nonostante lo stessi coprendo. «Te
l’ha fatto Edward? Fammi vedere, fammi vedere!»
«Ma
fatti i cazzi tuoi!» stavolta non riuscii proprio a trattenermi, e non le
risparmiai neanche la mia migliore espressione da imbufalita cronica.
Tiè,
Julie, è tutta per te!
«Ecco
cosa stavi facendo, altro che parlare con la tua migliore amica! Certo che
Edward non sa proprio trattenersi, è un gran bel mascalzoncello. Avete fatto
sesso? A me puoi dirlo, Bella…» mi fece l’occhiolino, ignorando le mie
esclamazioni poco femminili.
Se
stava facendo la finta tonta, beh, ci riusciva benissimo. «Julie, dico sul
serio, da me non saprai niente. Fatti una bella porzione di affari tuoi, o
tutti sapranno che te la sei fatta con Brad nel sottotetto.»
Julie
sbiancò di colpo. Ecco un altro suo piccolo difetto: a lei piaceva moltissimo
sparlare degli altri e raccontare cose, vere e non vere, che aveva sentito dire
su di loro… ma, non le andava giù il fatto che qualcuno potesse fare la stessa
cosa, raccontando qualcosa su di lei.
Già,
che ragazza coscienziosa.
«Sai…
sai una cosa? Abbiamo entrambe la pelle chiara, ti presto il mio correttore
così… così risolvi il problema.» mormorò con voce flebile, lanciandomi una
veloce occhiata prima di allontanarsi e frugare nella piccola pochette di
trucchi che si trascinava sempre dietro.
Non
sapevo dove diavolo la nascondeva, o come diamine riuscisse a nasconderla senza
farsi notare, ma in quel momento dovevo dire che capitava proprio a fagiolo! Il
correttore avrebbe nascosto in parte il succhiotto, così non ero più costretta
a non farlo notare e a muovermi attentamente per evitare di scoprirlo
accidentalmente.
Armata
di specchietto e di correttore, prestati entrambi da Julie, scostai i capelli
e… sgranai gli occhi, vedendo l’oscenità che avevo sul collo. Era quasi viola, dai
contorni non molto definiti e grande quasi quanto lo specchietto che avevo in
mano. Ma quanto tempo ci aveva impiegato per farlo così grosso? Non volevo
saperlo.
Una
cosa, però, era certa: avrei dovuto fare quattro chiacchiere con Edward e
fargli capire che odiavo i succhiotti… forse potevo mandarlo in bianco con i
preliminari per una settimana!
***
Recuperai
la giacca all’interno dell’armadietto e la infilai, osservando il mio riflesso
sullo specchietto fissato allo sportello. La mia intenzione era quella di
controllare che tutto stesse in ordine, compresi i risvolti della giacca… ma i
miei occhi non facevano che andare su quel punto del collo dove sapevo che, al
di sotto del correttore, era nascosto il succhiotto abnorme.
Avevo
il terrore che qualcuno notasse lo strato di trucco e che capisse cosa
nascondesse, anche se sapevo che ormai l’unico modo per scoprirlo era quello di
lavare via il correttore… ma spiegatelo al mio cervello.
Arricciai
le labbra, gettando un ultima occhiata al mio collo prima di coprirlo con i
capelli e di chiudere l’anta dell’armadietto con uno scatto. Presi la borsa e
mi allontanai, uscendo dallo spogliatoio e infilando la tracolla.
Avevo
finito da una decina di minuti il turno, e quindi mi accingevo a tornare a casa
dove la mia piccolina mi stava aspettando, cosa che accadeva tutti i giorni.
Rose, da brava amica/baby sitter, la andava a prendere a scuola e la
accompagnava a casa, e insieme a lei aspettava il mio ritorno…
Nel
giro di pochi mesi, questa era diventata più o meno la mia routine di tutti i
giorni.
Camminando
lungo i corridoi che mi avrebbero portata all’entrata dell’ospedale, presi
dalla tasca della giacca il cellulare e controllai che non ci fossero messaggi
o chiamate perse, nonostante sapessi già che non erano presenti: avrei sentito
gli squilli della suoneria, altrimenti. Ed infatti non c’erano.
Più che
altro volevo controllare se Edward mi avesse cercata o meno, ma lui doveva
essere ancora nel bel mezzo dell’operazione, e quindi impossibilitato a farlo…
diventavo una specie di stalker morbosa alle volte, se si trattava di lui, un
comportamento del tutto involontario.
Però
non ero ancora arrivata ai livelli assurdi che si sentivano al Tg, sia chiaro!
Mi preoccupavo per lui, tutto qui.
Misi di
nuovo il blocco al cellulare e lo riposai nella tasca, tornando a fissare lo
sguardo davanti a me e notando che, nel frattempo, ero arrivata all’entrata
quasi senza accorgermene e senza neanche andare a sbattere contro qualcuno. Mi
soffermai a guardare le porte automatiche e le poche persone che ci si
trovavano davanti, munite di ombrelli o di giornali per ripararsi dalla
pioggia.
Ecco,
ed io non avevo né l’uno, né l’altro. Quando aveva cominciato a piovere? O
meglio, a diluviare? Quando ero arrivata in ospedale il cielo era sì coperto
dalle nuvole, ma non pioveva ancora, e non avevo nemmeno pensato di munirmi di
ombrello per precauzione.
Dovevo
per forza correre sotto la pioggia come una pazza per raggiungere la macchina.
Fantastico! Senza contare i vestiti, che si sarebbero inzuppati in un
battibaleno, e me stessa che rischiava di beccarsi un raffreddore con i
fiocchi, se non la polmonite. Super fantastico!
Sollevai
sulla testa il cappuccio della giacca – almeno quella era un po’ impermeabile!
– e mi apprestai ad uscire sotto al diluvio. Rimasi però per qualche minuto
all’entrata, riparandomi sotto il cornicione e aspettando che la pioggia
scemasse almeno un poco prima di mettermi a correre per tutto il parcheggio. Se
c’era la possibilità di evitare la polmonite, volevo coglierla al volo.
Mi
guardai un po’ intorno, tenendo le braccia incrociate sotto il seno; non ero
l’unica che stava aspettando il momento giusto per squagliarsela via: insieme a
me c’erano Lucas e Judith, due miei colleghi infermieri che conoscevo solo di
vista. I due si misero a correre, un po’ ridendo e un po’ urlando, un paio di
minuti dopo: dovevano aver capito che l’attesa sarebbe stata lunga. E forse
facevo meglio anche io a andare via subito.
Stavo
quasi per abbandonare il riparo fornitomi dal cornicione, quando sentii
qualcuno che mi toccava una spalla. Mi girai subito per capire chi fosse, e
vidi che si trattava di una donna.
«Non
vorrai mica andare via senza ombrello. Ti prenderai un febbrone da cavallo,
ragazza!» esclamò subito, sgranando i suoi grandi occhi verdi, che in quel modo
diventarono ancora più grandi e stranamente familiari.
«Non ho
alternative…» risposi, mentre continuavo ad osservarla. Era sbucata così
all’improvviso che non potei proprio evitare di farlo.
Era
alta più o meno quanto me, calcolando gli stivaletti col tacco basso che
indossava, ma non doveva superare il metro e sessanta di altezza; i capelli
erano tenuti legati in uno chignon e non riuscii a capire di che colore
fossero, se castani oppure rossi, ma mi piacevano. E il viso era dolce e pieno,
con un adorabile fossetta sul mento che si accentuò quando mi sorrise
gentilmente.
«Ma sì
che ce l’hai! Il mio ombrello è grande abbastanza per coprirci entrambe, cara…
posso accompagnarti. Da che parte si trova la tua auto?» domandò subito,
aprendo con uno scatto l’enorme ombrello blu a pois bianchi che si portava
dietro.
«Ehm… è
lì, da quella parte. Grazie mille, signora…» balbettai, impacciata. Mi misi al
suo fianco e insieme ci avviammo sotto la pioggia scrosciante.
«Ma
figurati, non mi costa nulla! Ah, vedo che è il parcheggio riservato ai
dipendenti… sei un medico anche tu?»
«Sono
un infermiera, a dire la verità.» risposi. «Lavora qui anche lei?»
La
donna scoppiò a ridere alla mia domanda. «Oh, no no no! Non potrei mai fare il
medico, svengo alla sola vista del sangue! Ma mio marito e mio figlio lavorano
qui, sono passata a salutarli visto che ero di passaggio…»
«Wow,
due medici in famiglia. Forte!»
«Non lo
è, se durante i pasti si mettono a parlare di interventi, tumori e altre cose
disgustose!»
Risi:
era davvero simpatica. Aveva una parlantina rapida, sicura e trascinante. Di
sicuro nessuno si sarebbe mai annoiato ascoltandola parlare, anche dopo diverse
ore.
«Ecco,
la mia macchina è questa!» esclamai, non appena fummo vicine. «Grazie del…
passaggio, signora.»
«Non
chiamarmi signora, mi fa sentire vecchia!» ridacchiò, carezzandomi un braccio
al di sopra della giacca. «Sono Esme, cara, e non serve che mi ringrazi. È
stato un piacere!»
Avevo
smesso di ascoltare con attenzione cosa stava dicendo quando aveva pronunciato
il suo nome, cosa che mi fece raggelare sul posto. Avrei dovuto capirlo subito
chi era, dagli indizi che avevo avuto sotto il naso, caspiterina! Il colore
strano dei capelli, gli occhi così verdi, il fatto che suo figlio e suo marito
lavorassero in quell’ospedale…
Cavolo!
Stavo parlando con Esme Cullen, la madre di Edward!
Merda.
Doppia
merda.
Mi
aveva persino scortata fino alla macchina con il suo ombrello…
Tripla
merda!
«Cara,
ti senti bene? Sei diventata pallida tutto d’un tratto…» domandò Esme,
scrutandomi in viso e inclinando la testa da un lato.
«Eh…
no! Tutto bene, tutto bene!» la mia voce risultò stridula persino a me. Merda!
«Sei
sicura?» non ero riuscita a convincerla… volevo vedere, con la voce che mi
ritrovavo!
«Sì,
sicurissima.» conscia di star facendo una figuraccia, mi coprii la faccia con
le mani e chinai la testa, vergognandomi con tutta me stessa. Sentivo le guance
ardere per di più. Poi capii che io sapevo chi era la persona con cui stavo
parlando, ma che lei non sapeva chi fossi io… sapeva solo che ero un
infermiera.
Poteva
andare peggio di così?
Scoprii
il viso e lo sollevai, tenendo però una mano sulla guancia come per
confortarmi, e porsi l’altra ad Esme: era decisamente arrivato il momento di
presentarmi alla madre del mio ragazzo. Lei la strinse, e mi sembrò confusa e
anche riluttante per come mi stavo comportando… sembravo una povera pazza, o
forse una che stava per avere un esaurimento nervoso.
«Sono
Isabella Swan, Esme. Non… pensavo di conoscerla in questo modo…» ammisi, vergognandomi
ancora più di prima.
I suoi
occhi si spalancarono di comprensione e fece la stessa cosa con la bocca.
Cominciò a scuotere la mia mano con forza, improvvisamente eccitata all’idea di
conoscere la persona che suo figlio stava frequentando in quel periodo. Mi
sentii meno sola in quel momento, perché Esme mi sembrò pazza quanto me, o
forse più di me.
Perché
Edward non mi aveva detto che sua madre era una specie di fangirl?
«Oddio,
tu sei Bella! Sono tanto, tanto contenta di conoscerti! Perché Edward non mi ha
mai detto che sei così carina? E hai una bambina!» si agitò così tanto che
rischiò di far cadere a terra l’ombrello. «Scusami! Non essere nervosa con me,
Bella, come vedi io non lo sono!»
Cercai
di non ridere,ma era difficile. «Non sono nervosa…»
«Ecco,
brava. Bravissima! Allora, ti piace Los Angeles? Edward mi ha detto che ti sei
trasferita qui da pochi mesi…»
«Mi
piace moltissimo, sì… beh, oggi forse un po’ di meno. Guarda che tempaccio!»
aggiunsi in fretta, gesticolando con le mani per indicare il tempo. Non volevo
che capisse che trovassi orrendo il nostro incontro, perché non era affatto
così. Sarebbe stata una gaffe orribile da riparare!
«Ogni
tanto il brutto tempo arriva anche qui, che ci vuoi fare?» sorrise, prima di
gettare una rapida occhiata al suo orologio da polso. «Oh mamma, è tardi! Devo
proprio scappare… Bella, davvero è stato un piacere enorme parlare con te! Ci
sentiamo presto, sì? Magari una di queste sere vieni a cena da noi, e ti
avverto che non accetto rifiuti!» e mi ammonì con l’indice.
«Va…
bene?» tentennai, non sapendo cos’altro aggiungere, ma a Esme sembrò bastare la
mia conferma smozzicata.
«Perfetto!
A presto allora! Bacio!» mi lanciò un bacio volante e dopo avermi sorriso di
nuovo scappò via, lasciandomi sotto la pioggia.
Ancora
scombussolata per via di quell’incontro inaspettato, feci il giro dell’auto e
mi infilai al posto di guida, lanciando via la borsa. Cominciai poi a
strofinarmi il viso con le mani, poggiando la fronte sul volante.
Avevo
scoperto che Esme era una persona alla mano, un po’ pazza e anche molto allegra
e solare… ma di certo, non mi sarei mai aspettata di incontrarla nel parcheggio
dell’ospedale, e per di più quando mi aveva offerto gentilmente di
accompagnarmi fino alla mia macchina per evitare che mi bagnassi. Avevo
immaginato una cosa più tranquilla, tipo il classico incontro in un bar davanti
a una tazza di caffè… ma non quello!
Drizzai
la schiena con uno scatto e recuperai il cellulare dalla giacca, cominciando
subito a digitare in fretta e furia un sms da inviare il prima possibile. Non
sapevo quando Edward lo avrebbe letto, ma intanto glielo mandavo… giusto per
metterlo al corrente di quello che era appena successo.
Ho appena conosciuto tua madre! Mi ha
invitata a cena… e credo di aver fatto la figura della cretina @.@
B.
Sicuramente
si sarebbe fatto due risate, alla faccia mia. Dopotutto, non era mica la prima
volta che rideva per qualcosa che avevo fatto e che gli avevo successivamente raccontato…
credo che mi considerasse una specie di pagliaccio.
Rimuginando
su quelle cose, misi in moto l’auto e me ne tornai a casa.
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Capitolo 17 *** Capitolo 17 ***
Solo il tempo... - Capitolo17
Buon pomeriggio!
Sono leggermente in ritardo, ma a parte
questo sono qui, e sono pronta per farvi leggere il nuovo capitolo :D
Mi scuso subito se durante la lettura
incontrate qualche erroraccio – non ho avuto il tempo di rileggerlo e
correggerlo per bene -, e anche perché forse troverete il tutto un po’… noioso,
ecco @.@ ma mi farò perdonare con il prossimo, promesso ;)
Ci sentiamo la settimana prossima, e… ah,
sì! Vi ringrazio per le recensioni che mi avete lasciato nello scorso capitolo,
restate sempre le migliori :3
Un bacione a tutte :*
P.S: vi lascio il link del gruppo su
Facebook, tanto per cambiare XD fateci un salto, anche per darci un occhiata :)
Solo il
tempo
Capitolo 17
Lo scatto della porta
che si chiudeva mi distolse dalla pace che stavo provando in quel momento.
Aprii gli occhi, scocciata, perché stavo finalmente per addormentarmi e invece
qualcuno aveva deciso di rimandare ulteriormente il mio momento di riposo.
Mi calmai però quando
vidi che era soltanto James… non potevo arrabbiarmi con lui. Mi era stato
vicino tutto il tempo, mi aveva aiutato anche se solo con la sua presenza e non
potevo davvero mettermi a gridarli contro. E poi, a essere sincera, non ne
avevo nemmeno la forza.
Mi sentivo distrutta,
sia emotivamente che fisicamente. Non avevo fatto altro che piagnucolare e
lamentarmi per tutto il giorno e la situazione cominciava a seccare anche me.
Ma quand’è che mi avrebbero dato una bastonata in testa e mi avrebbero messa a
tacere?
Così sarei riuscita
anche a riposare…
«Sei ancora sveglia?»
domandò lui, sorpreso di vedermi ancora con gli occhi aperti.
Già, ero sorpresa anche
io. «Mi ha svegliata il rumore della porta…» borbottai, accennando un
sorriso/smorfia che doveva essermi uscito uno schifo.
«Mi dispiace. Avrei
dovuto fare piano, scusa.» James si sedette sulla sponda del letto, sul quale
ero sdraiata, e ricambiò il mio sorriso. Solo, che a lui uscì magnificamente e
mise sicuramente in ombra il mio.
«Non fa niente…»
borbottai di nuovo, e subito dopo sbadigliai. Non ero proprio nel massimo della
forma.
«Dai, mettiti a dormire
Bella. Sei distrutta… e assomigli a uno zombie ambulante.» scherzò,
pizzicandomi una guancia.
«Solo zombie, non sono
ambulante io!» stetti al suo scherzo e alzai una mano, afferrando la sua che
aveva poggiato sul materasso. «Sono andati tutti via?» domandai poi.
Sia i miei genitori che
quelli di James, fino a qualche minuto prima, si trovavano nella mia stessa stanza,
ma adesso notai che oltre a me e a lui non c’era nessun altro… erano spariti
all’improvviso oppure io non mi ero accorta dei loro spostamenti?
Era più sensata la
seconda ipotesi…
«Sì, hanno voluto
lasciarti riposare. Ma torneranno domani mattina, me lo hanno assicurato al
100%!»
«Eh beh, vorrei vedere.»
sicuramente, in quei pochi giorni l’ospedale sarebbe stato il punto di ritrovo
del nuovo gruppetto… non poteva essere altrimenti, vista la ragione per cui
anche noi ci trovavamo lì.
«La bambina sta bene?»
chiesi, con una punta di timore nella voce. E, come era accaduto per tutta la
giornata, gli occhi cominciarono a pizzicarmi. Merda, non volevo piangere di
nuovo!
Da quando era nata la
mia piccola brontolona, ovvero da cinque ore e qualche minuto, non facevo altro
che piangere. Molto probabilmente erano gli ormoni che ancora viaggiavano a
tutta birra nel mio corpo, e per colpa loro mi ero trasformata in una lagnosa
insopportabile! Ma ciò non mi aveva vietato di assaporare a pieno le mie prime
ore da mamma…
La mia bimba era
stupenda, non avevo nessun altra parola per descriverla se non quella. Era
piccola e pesava poco più di due chili e ottocento grammi, nonostante fosse
nata qualche giorno prima della data stabilita, ma a parte questo stava bene ed
era in ottima salute. Il peso poi si sarebbe stabilizzato con il passare dei
mesi, ostetriche e infermieri mi avevano rassicurata molto su questo. La cosa
che mi aveva colpita di più, però, erano i suoi capelli: tanti, tantissimi
capelli scuri! Proprio come i miei! Però ero sicurissima che sarebbero
diventati biondi dopo qualche mese. Sentivo che quella caratteristica sarebbe
diventata identica a quella di suo padre…
James, sentendo parlare
di sua figlia, si aprì in un enorme sorriso. Lui sorrideva, io invece piangevo:
almeno una delle nostre reazioni doveva essere assurda, no? E la mia, naturalmente,
era quella più assurda.
«Sta benissimo, dormiva
quando sono passato davanti al nido. Ah, ho detto all’infermiera il nome che
abbiamo scelto per lei...» mi informò, abbassando il viso.
Sorrisi, cercando di
vedere il suo viso anche se lui cercava di tenermelo nascosto: quando diventava
insicuro per qualcosa si chiudeva a riccio, e questo suo piccolo difetto mi
piaceva moltissimo. «Allyson?»
Annuì, tornando a
guardarmi. Adesso era arrossito. «Allyson. Non ti dispiace, vero?»
Scossi la testa.
«Assolutamente no. Me ne piacevano altri, ma Allyson è perfetto per lei.
Davvero…»
A James era sempre
piaciuto quel nome, se si fosse trattato di una femminuccia. A me ne piacevano altri
invece, come Emma, Mary o Annie… ma quando mi avevano lasciato la bimba tra le braccia,
e avevo osservato il suo viso, avevo capito che nessuno di quei nomi era adatto
a lei. Allyson, invece, era perfetto. Lei era Allyson, punto e basta: quel nome
era fatto apposta per lei.
Allyson Stewart.
Allyson, la mia piccola brontolona… vedete come suona bene?
«Ne sono contento,
perché tanto non sarei andato a farglielo cambiare!» scoppiò a ridere,
chinandosi sul mio viso e poggiando la fronte sulla mia. «Adesso cambierà
tutto, lo sai?»
«Per me, è cambiato
tutto nove mesi fa.» replicai. Ovvero, da quando ero rimasta incinta e avevo
capito che la mia vita stava per prendere una piega diversa da quella che avevo
immaginato, ma sicuramente non in senso negativo. «J?»
«Sì?» si scostò da me,
puntando gli occhi blu sul mio viso.
«Grazie per… per essermi
rimasto accanto…» come volevasi dimostrare, una lacrima scese sulla mia
guancia, rigandola.
James la asciugò con il
pollice, prima di chinarsi di nuovo e di baciarmi leggermente la fronte con le
labbra. «Se lo ripeti un'altra volta ti strozzo, mia cara!» ridacchiò. «Grazie
a te, che mi hai fatto un regalo così importante…»
«Bella? Bella? Bella?!
Ma mi stai ascoltando?»
Fissavo, senza vederla realmente, una delle tante foto che
mia madre aveva scattato il giorno della nascita di Allyson e che custodivo,
quasi gelosamente, in un album di fotografie. Quella che aveva attirato la mia
attenzione ritraeva me, che sembravo la brutta copia di uno zombie tramortito,
con in braccio una minuscola bambina urlante mentre le sfioravo la fronte con
le labbra.
Questa foto aveva fatto tornare a galla i ricordi di quella
intensa giornata, comprese le sensazioni che avevo provato e che mai avrei
dimenticato.
La guardai un ultima volta, poi voltai la testa verso
sinistra e incontrai lo sguardo allucinato di Alice. Era venuta a casa mia
perché voleva assolutamente vedere le foto di quel giorno, che tanto le avevo
descritto ma che mai le avevo fatto vedere. Alla fine si era stufata, e mi
aveva costretta a mostrargliele.
Nanetta asfissiante…
«Hai detto qualcosa?» chiesi stupidamente.
Lei sbuffò. «No, niente, non preoccuparti. Però oggi hai la
testa tra le nuvole, Bella, più del solito… basta pensare all’amore, su!»
«Pensare all’amore? Ma io non sono innamorata, che ci penso
a fare?» domandai ancora, ma stavolta le mie guance presero fuoco.
«Secondo me tu sei innamorata, ma ancora non l’hai capito!»
replicò, lanciandomi un occhiata maliziosa. «Stavi pensando a Edward, eh? Dai,
alla zia Alice puoi dirlo.»
La zia Alice? Ma era impazzita? Probabilmente sì…
«Veramente… pensavo a James.» ammisi.
«James?»
Annuii. «Queste foto mi hanno fatto ricordare una cosa.
Quando è nata Allyson era così felice… chi avrebbe immaginato che sarebbe
finita male?» mi grattai l’angolo dell’occhio, che sentivo pizzicare in maniera
a dir poco fastidiosa.
Non volevo mettermi a piangere.
«Oh, Bella, non pensarci adesso.» Alice mi abbracciò,
circondandomi le spalle con un braccio e stringendomi la mano; posò il mento
sulla mia spalla. «Non fa mai bene ricordare il passato, perché dopo stai
ancora più male di prima…»
«Lo so, ma… non riesco a farne a meno…»
Una delle tante cose che mi riuscivano meglio, e di cui non
ne andavo molto fiera, era quella di rivangare il passato e di pormi migliaia e
migliaia di domande su di esso, chiedendomi se avessi fatto bene a comportarmi
in quel modo o se fosse stato più sensato e giusto comportarmi in un'altra
maniera. E ogni volta che accadeva mi sentivo uno schifo, peggio di come stavo
prima.
Le parole di conforto che mi regalavano le persone che mi
erano vicine servivano davvero a poco; mi tranquillizzavano sul momento e
scacciavano via la malinconia, ma poi tutto tornava a punto e a capo. Avrei
tanto voluto sapere come fare a risolvere questa situazione…
Alice, silenziosa come le era capitato di stare poche volte,
mi tenne avvolta nel suo abbraccio per diversi minuti, in attesa che io mi
tranquillizzassi. Ed in effetti stare in quel silenzio, ma vicine, mi aiutò a
recuperare la calma e a superare il momento di fragilità che mi aveva presa
alla sprovvista.
«Come vanno le cose tra te e Jasper?» domandai, cambiando
argomento. Con uno scatto chiusi l’album delle fotografie, per quel giorno
avevo rivangato anche troppo i ricordi.
«Stupendamente!» Alice si rialzò con uno scatto e si rianimò
subito, come se quel piccolo momento di stand-by tra di noi non ci fosse mai
stato. «Pensa che Jasper ha avuto una promozione in ufficio e adesso si trova a
un livello più alto nella compagnia; gli hanno anche aumentato lo stipendio,
sai?»
«Wow, grandioso!» esultai insieme a lei, contenta per il
successo lavorativo del mio nuovo amico.
Jasper lavorava come commercialista in una compagnia nata da
alcuni anni, e sapere che la sua carriera stava procedendo a gonfie vele,
nonostante non avesse ancora compiuto ventotto anni, mi faceva molto piacere.
«Già, è magnifico! L’altra sera mi ha portata fuori a cena
per festeggiare… ma devo ammettere che il dopo cena è stato di gran lunga
migliore! Jasper ha una mente da pervertito…»
«Alice, non mi va di conoscere le performance del tuo
ragazzo!» la ammonii prima che potesse continuare.
«Cos’è tutta questa pudicizia adesso? Ci raccontavamo sempre
tutto prima… o ti sei dimenticata di quando mi hai descritto la tua disastrosa prima
volta con Mike Newton?» ribatté subito lei.
«L’avevo forzatamente rimossa fino a cinque secondi fa,
grazie mille!» scoppiammo a ridere entrambe.
«A cosa servono le amiche, se non a ricordarti le brutte
figure della vita?» domandò saggiamente. «Cambiando argomento… tra pochi giorni
è il Ringraziamento! Sai già cosa farai quel giorno? Tu e Allie potete sempre
venire a casa da me e Jasper, abbiamo invitato i suoi genitori e viene anche
Rosalie…»
«Ehm… a dire la verità, abbiamo già altri programmi.» non
sapevo per quale motivo mi sentivo così a disagio nel metterla al corrente dei
miei piani, dopotutto era la mia migliore amica e, come mi aveva appena ricordato,
ci raccontavamo sempre tutto.
«Che storia è questa? E perché non ne so niente!?» esclamò
esattamente due secondi dopo.
«Perché Edward me l’ha detto soltanto ieri sera.» dopodiché
mi misi a parlare speditamente, come mi capitava quando ero particolarmente
nervosa per qualcosa. «Io e Esme ci siamo incontrate qualche giorno fa e credo
di aver fatto la più grande figura di merda di tutti i tempi davanti a lei!
Neanche sapevo chi fosse, e lei non sapeva chi ero io! Poi mi ha detto che mi
avrebbe invitata a cena per conoscermi meglio… e ha deciso di invitarmi per la
festa del Ringraziamento. Ma non è presto che Edward mi presenti alla sua
famiglia? Dio, me la sto facendo sotto…»
Sconsolata, poggiai i gomiti sulle ginocchia e nascosi la
faccia tra le mani.
«Beh, se fa sul serio non è troppo presto…» Alice tentò di
consolarmi, lasciandomi alcune pacche sulla spalla. «Le cose tra di voi vanno
bene, ho visto. E Edward si è affezionato moltissimo a Allyson! Stai tranquilla
e non agitarti troppo.»
«Parli bene te, ci sei già passata!» mi sollevai di scatto,
guardandola in viso, quando realizzai quello che avevo appena detto e la presi
per le spalle, facendola sobbalzare. «Ci sei già passata! Ti prego, dimmi
quello che dovrei o non dovrei fare, dire o non dire! Non voglio fare brutta
figura!»
«Ma non farai brutta figura, tesoro!» mi rassicurò,
prendendo le mie mani e stringendole forte. «Ti giuro che io avevo le tue
stesse paure, quando Jasper mi ha presentato i suoi genitori, e credevo di non
piacergli… ma si sa, non è mai bello fasciarsi la testa prima di rompersela. E
adesso io e Alicia andiamo molto d’accordo e la prima Domenica del mese andiamo
alle terme insieme. E Jack ormai mi considera quasi la sua terza figlia.» mi
sorrise dolcemente, alla fine del suo discorso.
Tutto quello che aveva detto avrebbe dovuto bastarmi per
farmi capire che non dovevo fare o dire chissà che cosa, per entrare nelle
grazie di Esme e di Carlisle; lei sembrava già entusiasta di me, anche se mi
aveva parlato e visto per soli cinque minuti, e lui invece mi incontrava quasi
tutti i giorni in ospedale e sembrava non avere nulla da ridire sulla mia
relazione con suo figlio, anzi, ne sembrava quasi soddisfatto… però, non mi
bastava.
Dovevo assolutamente fasciarmi
la testa prima di romperla, perché altrimenti non mi sarei sentita a posto col
cervello!
«Ti prego, dammi un consiglio! Anche piccolo piccolo…»
pigolai, mostrandole il pollice e l’indice della mia mano, che quasi si
toccavano.
«Te ne do solo uno: sii te stessa.» sorridendo, Alice
inclinò la testa da un lato e mi osservò attentamente, come per vedere la mia reazione
al suo consiglio.
Cosa che non tardò ad arrivare.
«Sono rovinata!» sconcertata, tornai a nascondere il viso
tra le mani.
***
Avevo i nervi tesi a mille, pronta a scattare come una molla
se qualcuno mi avesse anche solo chiamata per nome. Al solo pensare che di lì a
una ventina di minuti avrei conosciuto i genitori di Edward, mi veniva da
vomitare.
Ma questa non mi sembrava una buona idea. Prima di tutto,
perché così facendo avrei rovinato la tappezzeria dall’aria costosa della
Volvo, e poi perché avrei rovinato anche il dolce che avevo voluto cucinare per
la serata e che tenevo sulle ginocchia.
Mi sembrava brutto presentarmi a casa dei coniugi Cullen a
mani vuote, così mi ero messa ai fornelli e ci avevo passato gran parte della
giornata per preparare una torta di zucca, seguendo la ricetta segreta di nonna
Swan. Tutti quelli che l’avevano assaggiata avevano detto che era la migliore…
però, quella era la prima volta che la cucinavo io e non sapevo se avevo fatto
un buon lavoro.
Speravo solo che nessuno, quella sera, si sarebbe sentito
male a causa mia…
Dentro la macchina nessuno parlava, io perché ero troppo
nervosa per riuscire a farlo, mentre Edward era concentrato alla guida e forse
per quel motivo non spiccicava parola. In compenso, la radio era accesa e
dietro di noi, seduta sul seggiolino montato per l’occasione, Allyson cercava
di stare al tempo con la canzone che veniva trasmessa, sbagliando la maggior
parte delle parole.
Quella sera, Edward si era offerto di venirci a prendere a
casa, così da andare tutti e tre insieme dai suoi, per poi riaccompagnarci con
la sua auto. Si era scusato dicendo che io non conoscevo la strada da
percorrere, e che era meglio se ci pensava lui alla guida… però, io non ne ero
del tutto convinta.
Secondo me, aveva deciso di venirci a prendere e di
riaccompagnarci perché, in questo modo, poi avrebbe trovato la scusa per
fermarsi a dormire a casa nostra. Non era di certo la prima volta che lo
faceva, e da una parte cominciavo a farci l’abitudine... ma quella sera non riuscivo
a non essere diffidente per ogni cosa.
Avevo paura che la mia torta facesse schifo, avevo paura che
non sarei piaciuta ai genitori di Edward… e avevo paura di aver scelto un
vestito troppo vistoso per una semplice cena! Alice, quando glielo avevo mostrato,
mi aveva dato la sua approvazione, dicendo che era perfetto e che mi stava
benissimo, ma forse lei era solo di parte e non voleva dirmi la verità.
Dovevo smetterla di pensare… ma come? Nessuno aveva ancora inventato
il tasto magico che fermava i pensieri!
«La smetti di innervosirti?» Edward, con voce pacata, mi
rivolse quella domanda senza distogliere lo sguardo dalla strada.
«No, non la smetto. Non ci riesco!» mi lamentai,
lanciandogli una rapida occhiata prima di voltarmi di nuovo verso il finestrino.
«Non c’è motivo di essere così nervosi, Bella! Papà ti
conosce, mamma già ti adora… andrà tutto bene. E poi c’è Emmett con noi, saprà
distogliere l’attenzione da te in qualche modo…»
Apprezzai il suo tentativo di tranquillizzarmi
ulteriormente, ma fu tutta fatica sprecata. «Dubito che tuo fratello sia più
interessante di me, stasera.»
«Questo perché non lo hai ancora visto ubriaco marcio! Il
suo spogliarello a bordo piscina è entrato nella leggenda!» rise, scuotendo la
testa. «Credo di avere ancora il video sul computer…»
«Mamma, che cos’è uno spogliarello?» domandò subito la
bambina. Naturalmente, non poteva farsi scappare una parola nuova…
«Te lo spiega Edward più avanti, amore. La mamma non lo sa…»
le risposi, e dopo averle lanciato un sorriso e un bacino, subito ricambiato da
lei, guardai Edward e inarcai un sopracciglio, come per dirgli “Questa volta ci pensi tu!”
Ancora mi pesava l’episodio della settimana scorsa, quando
Allie ci aveva beccati in atteggiamenti particolarmente
intimi nel bel mezzo della notte e aveva voluto sapere a tutti i costi cosa
stessimo facendo. Non sapevo cosa dirle, imbarazzata com’ero, e le risate
sommesse di Edward non mi aiutavano affatto! Alla fine, le avevo detto che
stavamo giocando – non era una cosa normale, giocare mezzi nudi, ma sperai che
potesse bastarle come spiegazione. Ma quando salì sul lettone, urlando “Voglio giocare con voiiii!”, volevo
nascondere la testa per la vergogna come uno struzzo.
«Ehm… sì, tesoro, te lo spiego più avanti. E chiediamo una
mano anche a Emmett, eh?» domandò Edward, improvvisamente nervoso. Oddio, la
mia bambina che doveva stare a sentire le spiegazioni dei due fratelli Cullen!
Sperai che Emmett non si spogliasse davanti a lei…
«Hai paura di parlare a una bambina di tre anni e mezzo? Edward,
mi meraviglio di te!» scherzai, coprendomi la bocca con una mano per evitare di
mostrargli la mia risata.
«Non ho paura di parlarle, Bella… è parlare di sesso e roba
simile con lei che mi terrorizza!» soffiò, gonfiando le guance per un istante.
«Tua figlia è sveglia, non mi sorprenderei se sapesse già come si fanno i
bambini!»
«Conosce la versione dei fiori e delle api, guai a te se ti
lasci scappare la versione ufficiale!» lo ammonii attraverso le dita.
«Non è a me che devi dirlo, ma a mio fratello! Non riesce
mai a frenare la lingua…»
Questo voleva dire che dovevo fare un discorsetto a
quattrocchi con Emmett, una volta arrivata a destinazione… cosa che avvenne una
manciata di minuti dopo.
Il cuore mi salì in gola non appena Edward me lo fece
sapere, e fortunatamente riuscii a trattenermi e a non lasciar trasparire
l’ansia che mi investiva a ondate. Non trattenni un urlo strozzato di sorpresa,
però, quando Edward fermò la macchina una volta arrivati nella villa dei suoi
genitori. Era una villa raffinata, elegante, enorme e… e orribilmente bella!
Cosa potevo aspettarmi dal quartiere di Beverly Hills,
dopotutto? Senza contare che Carlisle era il direttore di un ospedale, e che
Esme era la co-proprietaria di una rinomata azienda che organizzava matrimoni…
era quasi scontato, che vivessero in una zona così ‘in’ della città.
Scesi dall’auto con le ginocchia che tremavano, ma non a
causa del freddo, senza smettere di osservare la villa. Sembrava la casa di un
divo di Hollywood e mi piaceva da impazzire! Chissà se conoscevano qualche
celebrità che abitava lì vicino… magari George Clooney, oppure Brad Pitt! Mi
sarei accontentata anche di Leonardo Di Caprio, io! O Matt Damon! Non chiedevo
troppo, in fondo…
«Devo pensare che la casa ti piace…» Edward interruppe i
miei vaneggiamenti mentali sulle celebrità, cosa che mi seccò un pochino.
«La adoro! Sul serio, è… magnifica!» aggrappata allo
sportello con una mano, mi voltai verso di lui e lo guardai estasiata. «Anche
tu vivi qui?» aggiunsi, mordendomi subito dopo la lingua per aver osato troppo.
Ero in vena di curiosità, va bene, ma quella domanda mi
sembrò subito fuori luogo… beh, forse non lo era vista la nostra relazione, ma
mi sentii ugualmente a disagio per averglielo chiesto.
«Ho una casa in centro, ma ogni tanto torno qui e mi faccio
coccolare da mamma.» rispose, per nulla infastidito; anzi, sorrise apertamente e
mi sembrò che anche i suoi occhi sorridessero. Era ancora più bello del solito,
quando era felice e sorrideva in quel modo.
«La mamma è sempre la mamma, vero?»
«E’ la donna più importante della mia vita… e lei te lo può
confermare!» e così dicendo, aprì lo sportello posteriore con uno scatto così
veloce che Allyson strillò, stringendo tra le braccia il suo peluche Stitch; se
lo portava sempre dietro, e anche quella sera non poteva mancare la sua silenziosa
presenza.
«Piccola! Dimmi un po’, a chi vuoi più bene?» le chiese
divertito, slacciando le cinture che la tenevano ferma sul seggiolino.
«Alla mamma!» esclamò senza pensarci due volte, facendo
ridere Edward.
«Visto? Nessuno è più importante della mamma!» la prese in
braccio e, dopo aver chiuso lo sportello, se la caricò sulle spalle a testa in
giù. Allyson strillò di nuovo e prese poi a sgambettare tra le risate.
Osservai Edward, poi il sederino di mia figlia, poi di nuovo
Edward. Quei due insieme mi facevano morire dal ridere e anche dalla tenerezza:
erano così affiatati, tanto che qualcuno che non fosse stato a conoscenza della
nostra situazione familiare, avrebbe potuto benissimo scambiarli per padre e
figlia.
A parte il fatto che non si somigliavano per niente…
«Edward, la fai stare male così!» mi lamentai.
«Ma sta benone! Vero Allie?»
La bambina rispose con il suo solito entusiasmo, e alla fine
fui costretta a smettere di protestare. Quando si alleavano e facevano come
volevano loro, io non avevo più nessuna voce in capitolo e se provavo a dire
qualcosa, diventavo tutto d’un tratto la brutta strega cattiva dell’Ovest!
Anche se le streghe del mago di Oz non erano per niente
brutte…
Ci incamminammo verso la porta d’ingresso, Edward sempre con
mia figlia in spalla, ed in quel momento l’ansia e la paura tornarono a farm
visita. Ecco, stavo per conoscere in maniera quasi ufficiale i genitori di
Edward e, forse, avrei fatto fiasco.
Scavare una buca in giardino e infilarci la testa, a mo’ di
struzzo, mi sembrò all’improvviso un’ottima idea! Dovevo assolutamente chiedere
a Edward se potevo prendere una pala dal capanno degli attrezzi…
La porta si aprì, e rimasi tanto sconcertata da quel
movimento perché non avevo notato che ci eravamo fermati davanti ad essa, e
tanto meno non avevo notato Edward che suonava il campanello e che aveva
riportato Allyson in posizione eretta tra le sue braccia…
Avevo la testa completamente tra le nuvole, e volevo
scappare via!
Sulla soglia, Esme ci sorrideva apertamente e sinceramente
contenta di vederci; i capelli, sciolti lungo le spalle, davano al suo viso un
aspetto ancora più dolce e materno. «Oh, siete arrivati! Entrate, entrate!»
esclamò subito, con il tono di una persona che non aspettava da giorni nient’altro
che quel momento.
«Ciao mamma!» la salutò subito Edward, dandole un bacio
sulla guancia.
«Ciao tesoro. Oh, e chi è questa bellissima bambina?» Esme
si rivolse a Allyson, sorridendole dolcemente, ma lei era appena entrata in
modalità ‘bimba vergognosa’ e si nascondeva dietro a Stitch; si riuscivano a
vedere solo gli occhi.
Le accarezzai il braccino, incoraggiandola. «Amore, questa
bella signora è Esme. Le fai sentire quanto è bella la tua voce?»
Tranquillizzata dalle mie parole, Allie abbassò il peluche
ma senza mollarlo, e sorrise timidamente a Esme, salutandola con una manina.
«Ciao Esme…»
«Ciao piccina!» la salutò anche lei, carezzandole una
guancia con la punta delle dita. «Ma sei bellissima! Che ci fai in braccio a
questo brutto cattivone?»
«Mamma!» si lamentò Edward.
«Sto scherzando, Edward. Mamma mia quanto sei permaloso!»
gli fece una linguaccia e quel gesto fece ridere mia figlia.
Soffocai un risolino con un colpo di tosse, richiamando così
l’attenzione di Esme. Allungai le braccia, porgendole così il vassoio che
tenevo in mano. «Ho… preparato il dolce per stasera!»
«Ma, cara! Non dovevi disturbarti…» replicò, arricciando le
labbra.
«Non mi piaceva l’idea di presentarmi a mani vuote.» dissi,
sincera. Sperai di non aver appena fatto una gaffe!
Però Esme mi sorrise, quindi non dovevo aver detto nulla che
potesse offenderla. «Sei stata molto gentile, grazie… ah, torta di zucca! Ne ho
preparata una anche io. Dopo cena facciamo una gara per vedere chi l’ha
cucinata meglio!»
«Per me vince la mamma!» esclamò Allie. «Edwadd, mettimi
giù, voglio scendere!» aggiunse, dandogli degli schiaffetti sulle guance che lo
fecero lamentare e non poco.
Esme cominciò a ridacchiare, seguita a ruota da me. «Che
buffa! Questa bambina sa già quello che vuole…»
Le lanciai un occhiata di intesa. «E non hai ancora visto
niente!»
***
La serata stava procedendo meglio di quanto pensassi. Beh,
dovevo ammettere che prima di arrivare mi stavo facendo più paranoie che mai…
ma per fortuna, nessuna delle mie paure si era avverata.
Credevo che non sarei piaciuta per niente ai genitori di
Edward, e che prima o poi, durante la cena, Esme avrebbe chiamato suo figlio da
parte e gli avesse detto “Ma dove cavolo hai trovato una rimbambita come lei?”
oppure “Tesoro, ti ha dato di volta il cervello?”
Ma nulla di tutto questo era successo, cosa che aveva fatto
tornare il mio morale ad un livello più accettabile e le mie paranoie, di
conseguenza, se n’erano andate allegramente a quel paese.
Esme e Carlisle erano stati più che contenti di ‘conoscermi’,
mostrandosi gentili e premurosi e sembrando più che soddisfatti alla notizia che
frequentavo il loro secondogenito. Loro mi conoscevano già da prima, ma il
fatto che mi trovassi a casa loro a festeggiare il Ringraziamento rendeva il
tutto più importante e quasi ufficiale… mi venivano ancora i brividi, se ci
pensavo.
Emmett mi aveva salutata con energia e vivacità, al solito
modo insomma, e aveva riservato un saluto ancora più energico per Allyson che,
però, si era spaventata ed era scappata via da lui, urlando, rifugiandosi sotto
il tavolo della sala da pranzo.
Ma a parte questo piccolo inconveniente, che si era risolto
con una buona dose di moine e con una piccola manciata di biscotti fatti in
casa, il resto della cena e della sera passò velocemente e allegramente tanto
che credetti di conoscere la famiglia Cullen da sempre e non, invece, solo da
pochissime ore.
«Mamma, ti sei superata anche stavolta! Era tutto perfetto.» Emmett strizzò l’occhio in
direzione di sua madre, stravaccato sulla sedia con le mani sulla pancia. Si
era sbafato da solo quasi mezzo tacchino, con tanto di ripieno, patate dolci e
salsa ai mirtilli… mi aspettavo quasi di vederlo scoppiare da un momento
all’altro.
«Grazie tesoro.» lei sorrise in direzione del figlio e si
mise il canovaccio sulla spalla, carica di piatti sporchi: mi ero offerta di
aiutarla a sparecchiare, ma mi era fermamente vietato di alzarmi dalla sedia
perché ero un ospite. Aveva invece ordinato a Carlisle di aiutarla a portare i
piatti in cucina. «Ma non canto vittoria troppo presto, abbiamo ancora il dolce
mio e di Bella da mangiare.»
«Hai preparato un dolce?» l’attenzione di Emmett ricadde su
di me, che gli stavo seduta di fronte.
«Sì. Ho usato la ricetta della mia famiglia, ma non so se ho
fatto tutto bene…»
«Non preoccuparti, Bella, mi offro come cavia!»
«Chissà perché, ma su questo ci contavo, Emmett.» Edward,
seduto accanto a me, mi accarezzò la spalla con la punta delle dita e mi sfiorò
la tempia con le labbra. «Sono sicuro che il tuo dolce è buonissimo!» aggiunse.
«Non puoi saperlo, non ho mai usato quella ricetta prima di
oggi.» ribattei, voltandomi verso di lui.
«Ma tu cucini bene, quindi non puoi aver fatto schifo. Vero
Allie, che la mamma cucina bene?» e voltò la testa per osservare la bambina,
che giocava con il peluche stando seduta sulle sue ginocchia.
«Cucina benissimissimo! Fa le torte più buone del mondo! Però
anche tua mamma è brava, Edwadd.» rispose subito lei, prima di tornare ai suoi
giochi.
«Sarà una lotta ad armi pari.» commentò alla fine,
scrollando le spalle.
«Cosa sarà una lotta ad armi pari?» domandò Esme, che
insieme a Carlisle era tornata in sala da pranzo; lei trasportava i vassoi con
i dolci, suo marito invece era carico di piattini e di cucchiaini.
«La sfida tra torte, mamma. Emmett non vede l’ora di
ingozzarsi come un maiale!»
«Perché, cos’ha fatto fino ad ora?» replicò lei, inarcando
un sopracciglio e lanciando una rapida occhiata al suo figlio maggiore.
Emmett sbuffò, alzando gli occhi al cielo. «Mamma, ti prego…
mi metti in imbarazzo!»
«Non ti sei imbarazzato quando ti sei spogliato davanti a
tua nonna, e ti imbarazzi adesso?»
«Ti sei spogliato davanti a tua nonna!?» non potei fare a
meno di chiederlo, sgranando gli occhi.
«Ero ubriaco…»
«È la storia dello spogliarello in piscina…» mi sussurrò
Edward all’orecchio, facendomi ridere.
«Credo che questi non siano discorsi da fare a tavola,
specialmente se è presente una bambina.» Carlisle, con voce pacata, mise fine a
quella serie di battibecchi e prese posto a tavola. «Allyson, vieni qui con me?
Così assaggiamo insieme la torta.»
Senza farselo ripetere due volte, mia figlia lasciò il suo
Stitch sul tavolo e, con un salto, scese dalle gambe di Edward per poi spiccare
una corsetta intorno al tavolo, fino a raggiungere Carlisle che, con un sorriso
e un “Oplà!” sussurrato, la prese in braccio e la fece sedere sulle sue
ginocchia. Carlisle era rimasto quasi stregato da mia figlia, e non era la
prima volta quella sera che le chiedeva di andare con lui.
«Papà ha un debole per le donne.» scherzò Emmett, osservando
la scena.
«Già… ce l’ha ancora con me perché gli ho regalato due orchi
e nessuna principessa!»
«EHI!» gli ‘orchi’ in questione fecero un verso indignato,
rivolto alla loro madre.
Esme sbuffò, per poi cominciare a ridere. «È la verità,
siete due orchi… da me non avete di certo preso!»
Terminato anche quel nuovo battibecco, potemmo dedicarci
alla gara culinaria che vedeva me e Esme come sfidanti. Il primo a ricevere la
sua porzione di dolce fu Emmett, che non vedeva l’ora di rimettersi a mangiare
e che sembrava divertito all’idea di prendere in giro sua madre.
«Sei pronta a venire battuta, vecchia signora?»
«Emmett, mangia e smettila di fare battute!»
«Agli ordini, signora!»
Afferrato il cucchiaino come se fosse l’arma più potente di
tutto il pianeta, lo affondò nella prima fetta di dolce e portò una piccola
porzione di cibo alle labbra, masticando con gusto. «Questa è di mamma, la
riconosco… buona come sempre!» e dopo aver deglutito prese ad assaggiare il
dolce che avevo preparato io.
Emmett restò in silenzio, masticando ad occhi chiusi come
per concentrarsi meglio; non c’era nessuna smorfia sul suo viso, quindi nulla che
mi potesse far pensare che gli piacesse o che fosse cibo degno della
spazzatura. Alla fine aprì gli occhi e, guardandomi, alzò il pollice in segno
di approvazione.
«Quindi ti piace…» dissi, inclinando la testa di lato.
«Mi piace? È la torta migliore che abbia mai mangiato!
Spiacente, mamma, ma Bella ti ha battuto alla grande!» esclamò, facendo smorfie
in direzione di Esme.
«Tesoro della mamma, gli altri devono ancora votare…»
«Esme, mi dispiace dirtelo ma tuo figlio ha ragione.»
Carlisle espresse il suo voto, annuendo con la testa. «E Allyson ha votato per
sua madre… siamo tre a zero!»
«Anche io voto per Bella, mamma.» aggiunse Edward.
«E tu, Bella? Ti auto voti oppure regali un voto alla
mamma?»
«Io voto per la parità… mi piacciono entrambe.»
«Anche io sono per la parità!» Esme si unì a me. «Sono stana
battuta, ma i dolci mi piacciono entrambi.»
«E brava Bella! Se avessi un trofeo a portata di mano te lo
darei, ma credo che ti dovrai accontentare di un altro tipo di premio per
stasera…» come al solito, Emmett non poteva non risparmiarsi una battuta a
doppio senso, con tanto di sorriso pervertito a completare la frase.
«Emmett, piantala per piacere!» Esme, sconsolata, scosse la
testa coprendosi gli occhi con la mano.
«Ma che ho detto di male?»
«Che premio, Emmett? Che premio?» la domanda di Allie arrivò
puntuale come un orologio, come accadeva spesso ovviamente.
Arrossii, coprendomi le guance con le mani mentre Edward
rideva insieme a suo padre. Almeno adesso sapevo da chi aveva ripreso… ma a
distrarmi da quella riflessione ci pensò Emmett, che rispose alla domanda della
bambina.
«È un premio per i grandi…»
«Non aggiungere altro, per favore!» lo ammonì Esme,
puntandogli un dito contro.
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Capitolo 18 *** Capitolo 18 ***
Solo il tempo... - Capitolo18
Buon pomeriggio e buona Domenica!
Scusate per l’ennesimo ritardo, stavolta l’unica
cosa che posso dire è che non mi andava di scrivere e di finire il capitolo XD
l’ozio mi colpisce spesso e volentieri XD
A parte questo, adesso il capitolo è bello
che finito e pronto per essere letto! E stavolta – caso strano – mi piace e ne
sono soddisfattissima! E per di più questo è IL capitolo *-* ma è censurato…
diciamo che per questa storia mi astengo dallo scrivere scene di sesso, o
meglio non scenderò nei veri e propri dettagli. Anche perché non sono una cima
nel descriverle XD
Okay, detto questo spero che vi piaccia
ugualmente, e per qualsiasi cosa che avete da dire, o da chiedere, sapete che
sono a vostra disposizione e che risponderò a tutte le vostre domande! In ritardo,
ma risponderò XD tranquille ;)
E adesso, vi lascio il link del mio gruppo
Facebook e quello degli extra
di ‘The camp of love’: il primo c’è già, il
secondo invece è in pre-produzione. Conto di finirlo e di postarlo presto :)
Buona lettura, e alla prossima carissime ^_^
Solo il
tempo
Capitolo
18
«No,
NO! Vatteneeeeee!»
Scattai
come una molla non appena sentii mia figlia urlare, tanto che Edward, che era
seduto accanto a me, quasi si beccò un mio pugno in piena faccia. Mi guardai
intorno, preoccupata, cercando di capire dove fosse Allyson e per quale motivo
stesse strillando in quella maniera.
«Ma che
succede!?» aggrottai le sopracciglia, e mi sporsi oltre lo schienale del divano
nel tentativo di scoprire qualcosa, ovviamente senza risultati.
«Le
solite cose… Emmett starà facendo il pagliaccio come al solito.» Edward imitò i
miei movimenti e mi abbracciò, per poi farmi tornare in posizione semidistesa
sul divano e con la testa sul suo petto. Prese poi a osservarmi divertito,
carezzando la mia spalla scoperta con la punta dell’indice.
Mi
schiarii la gola, imbarazzata non per il suo gesto, ma per la paura che
qualcuno della sua famiglia potesse beccarci in quel frangente. Davanti ai suoi
genitori non ci eravamo spinti oltre alle carezze leggere o ai baci sulla
guancia, quindi l’idea che ci vedessero coccolarci come ragazzini mi rendeva
nervosa e piena di vergogna.
«Hai
visto? È andato tutto bene… ti stavi innervosendo per niente.» mi sbeffeggiò, rivolgendosi
al mio comportamento di poche ore prima, e pizzicandomi la pelle.
«Au! Ma
sei pazzo!» ricambiai il pizzicotto e, chissà come, in breve tempo finimmo con
il rotolarci sul divano in preda alle risate, fino a quando non mi ritrovai
sdraiata su di lui e con le mani sulle sue guance.
Due
secondi dopo Edward sollevò la testa e posò le labbra sulle mie, fregandosene
altamente del fatto che qualcuno potesse arrivare e scoprirci. Ricambiai il
bacio e immersi le dita nei suoi capelli, mugolando.
Beh,
che ci scoprissero pure…
Quasi
come se mi stessero leggendo nel pensiero, qualcuno emise un colpetto di tosse
avvertendoci della sua presenza, facendoci così interrompere il bacio e voltare
di scatto. Mi vergognai a morte vedendo che Carlisle si tratteneva dallo
scoppiare a ridere, e che per evitare di farlo poggiava su un mobile del
salotto alcuni bicchierini da liquore e una bottiglia piena di liquido ambrato.
Con gesti frenetici tornai a mettermi seduta composta sul divano, tenendo la
testa bassa per far sì che il mio viso fosse coperto dai capelli. Ero
arrossita, e volevo evitare che si notasse.
«Ehi,
vieni qui.» Edward mi cinse le spalle e mi strinse a sé, ridacchiando,
baciandomi la testa dolcemente come se non fosse successo nulla. Come faceva a
non vergognarsi? Suo padre ci aveva appena beccati in flagrante e lui se la
rideva come se nulla fosse!
«Bella,
non essere imbarazzata. È normale… sono stato un ragazzo anch’io.» Carlisle
cercò di tranquillizzarmi, e scostando i capelli lo vidi sorridere mentre
riempiva alcuni bicchieri.
«Quando,
papà? Il secolo scorso?»
Lui
sbuffò, rivolto al figlio. «Non fare il cretino, tuo fratello basta e avanza.» ci
raggiunse e si sedette su una poltrona, porgendomi un bicchiere. «Un po’ di
scotch, Bella?»
Ancora
imbarazzata per prima, portai una ciocca di capelli dietro l’orecchio e annuii,
per poi prendere il bicchiere dalle sue mani. «Grazie, Carlisle.»
«E a me,
niente scotch?» domandò Edward, stranito.
«Se lo
vuoi, ti alzi e te lo prepari da solo.» detto questo, Carlisle fissò suo figlio
negli occhi e cominciò a bere dal suo bicchiere. «Mhm, davvero buono! Dovresti
assaggiarlo, figliolo.»
Soffocai
una risata e bevvi anche io un sorso di scotch, con Edward che brontolava
sottovoce contro suo padre. Alla fine si alzò e andò a prendere la sua dose di
alcol, nello stesso momento in cui Esme entrò in salotto con un vassoio di
pasticcini, e quelli che mi sembravano cioccolatini, tra le mani.
«Edward!
Basta bere, insomma!» disse contrariata, assottigliando lo sguardo.
«Mamma,
è solo un goccio!» protestò lui, sbuffando.
«E dopo
il goccio diventa mezza bottiglia!» Esme scosse la testa e poggiò il vassoio
sul basso mobile che si trovava accanto alla poltrona di Carlisle, per poi
lanciare un occhiataccia a suo marito che se la rideva ancora, nascondendosi
dietro al bicchiere. «E tu non ridere, sai? Non sei migliore di lui!»
«Ma,
tesoro, insomma… siamo adulti, sappiamo quando è arrivato il momento di
fermarci.» Carlisle si giustificò, inarcando le sopracciglia.
«Questo
vuol dire che nel giro di un’ora sarete tutti ubriachi, perfetto!» mantenendo
l’aria seccata, si diresse verso di me e si sedette al mio fianco, sospirando.
«Bella, sono sicura che ci stai scambiando per una famiglia di matti!»
«Non è
vero! Siete… assolutamente normali.» dissi, cercando di tranquillizzarla. Ed in
effetti, la loro famiglia non era così diversa dalle altre: avevo pensato che
lo fossero, ma stando insieme a loro avevo capito che erano persone semplici e
disponibili, per nulla snob come, di solito, erano le persone che vivevano nei
quartieri alti… o almeno, così le descrivevano i telefilm e la televisione.
Forse guardavo troppo ‘O.C.’ e ‘90210’.
«Non
siamo così normali… ma apprezzo lo stesso il complimento.» Esme mi sorrise e mi
carezzò il braccio, abbassando lo sguardo. «Stai bevendo anche tu! Mio marito
ha contagiato anche te, eh?»
«L’ho
fatto solo per cortesia… non vado pazza per lo scotch.» ammisi, voltandomi poi
in direzione di Carlisle: avevo paura che la mia confessione lo avesse offeso
in qualche modo. Alice mi aveva detto, così come aveva fatto anche Edward, che
dovevo essere me stessa… ma se in questo caso, avessi fatto danno?
Maledetta
me, e maledetta la mia boccaccia!
Carlisle,
però, mi fece l’occhiolino e ridacchiò. «Non ti preoccupare, Bella. Ce lo
beviamo noi, non andrà sprecato!»
Scoppiai
a ridere insieme a Edward, che era tornato a sedersi al mio fianco, mentre Esme
scuoteva la testa. «Siete terribili, terribili!
Ma dov’è finito Emmett? E la piccina?»
In
risposta alla sua domanda, accaddero un paio di cose: si sentì un rumore come
di qualcosa che cadeva a terra e poi Allyson strillò, e in un nanosecondo eccola
che entrava in salotto. Con gli occhi spalancati e la bocca semiaperta, corse
verso di me e cercò freneticamente di arrampicarsi sulle mie ginocchia, come se
avesse paura di qualcosa. Mollai il bicchiere a Edward e la aiutai, e lei
subito mi buttò le braccia al collo, baciandomi la guancia.
Ma che
stava succedendo?
«Allie,
che c’è?» domandai, abbassando lo sguardo per osservarla meglio in viso.
«Sto
scappando da Barbablu! Barbablu, mamma!» esclamò, tornando a nascondersi conto
di me.
«Barbablu?»
non le avevo mai raccontato la storia di Barbablu, la trovavo troppo macabra e
inadatta per una bambina così piccola; però, non negavo che quando fosse stata
un po’ più grande lo avrei fatto. Ma qualcuno doveva averlo fatto prima di me. «E
che vuole da te, questo Barbablu?»
«Vuole mangiarmi! Emmett ha detto che se faccio
la bambina cattiva mi porta da lui e lui mi mangia!»
Ecco,
fantastico: almeno sapevo per quale motivo strillava in quel modo.
«Amore,
non è vero! Barbablu non esiste, Emmett ti sta prendendo in giro.» disse Esme,
rassicurandola prima che potessi farlo io. «Ragazzaccio… trentadue anni e
ancora si diverte a fare scherzi del genere! Dov’è adesso?»
«È
cascato per terra quando ha cercato di prendermi… ha fatto un botto! BUM!» Allie urlò l’ultima parola,
alzando anche le braccia per farsi capire meglio. Fece ridere tutti, con la sua
descrizione.
«Ha
fatto ‘bum’? Sono contenta, ben gli sta! Così impara la lezione.»
«Ma
poverino! Potrebbe essersi fatto male…» dissi, dopo essere rimasta sorpresa
dalla battuta di Esme.
«Tranquilla,
Bella, nulla di rotto…» a rispondermi fu Emmett, che ci raggiunse zoppicando e
con una smorfia buffa sul viso. «Avrò un livido, al massimo!»
«Vedi
cosa succede, a dare fastidio alle persone?» lo rimproverò ancora sua madre.
«Ma
stavamo giocando! Vero Allie, che stavamo giocando?» domandò, sorridendo a mia
figlia.
«Non
stavamo giocando! Sei cattivo, brutto e cattivo!» Allie incrociò le braccia, ed
ero più che sicura che si fosse imbronciata, anche se non potevo vederla visto
che si era voltata.
«Allie,
non si dicono queste cose.» la rimproverai, fingendo di essermi arrabbiata per
quello che aveva appena detto.
«Lascia
stare, Bella, è tutto uno scherzo… uh, scotch! Proprio quello che mi serve!»
Emmett lasciò perdere la discussione e puntò dritto verso la bottiglia di
liquore.
«Ecco
un altro ubriacone…» borbottò Esme.
***
«Ma
come andiamo via? Non voglio andare via!» mugugnò Edward, strascicando un po’
le parole.
Alzai
gli occhi al cielo, stufa perché era la quinta volta che mi diceva la stessa
cosa. «Si è fatto tardi, Edward. Io vado, se tu non vuoi puoi rimanere qui.»
risposi. Dopotutto, si trovava a casa sua… poteva benissimo andare a dormire,
mentre io usavo la sua auto per tornare a casa.
Ma lui
si era intestardito, e mi ripeté le stesse parole che aveva detto anche prima
dentro casa. «No, voglio venire con te!» esclamò, aggrappandosi allo sportello
della macchina.
«E
allora sali in auto e finiscila!» lo rimproverai, anche se in realtà stavo
soltanto facendo finta: mi stavo divertendo ad occuparmi di lui, da ubriaco era
davvero forte. «E allacciati la cintura, io salgo tra un minuto…»
Edward
prese la cintura di sicurezza e la tirò, fermandosi dopo qualche secondo e
sollevando lo sguardo: stringeva le labbra, trattenendosi dal ridere. «Che
strana parola! Cintura…» e scoppiò a ridere subito dopo.
Battei
le ciglia, perplessa: io non ci trovavo niente da ridere. Ma si sapeva che gli
ubriachi ridevano per qualsiasi cosa, quindi lasciai perdere la questione senza
pensarci due volte. Chiusi lo sportello e mi allontanai, tornando dentro casa.
Nell’ingresso
mi stavano aspettando Esme e Carlisle, volevano salutarmi prima di andare a
dormire; Esme teneva in braccio Allyson, che dormiva profondamente con la testa
sulla sua spalla. Ringraziandola per avermela tenuta mentre mi occupavo di suo
figlio, la presi in braccio con attenzione.
«Che
tesoro di bambina! Ma sei sicura di riuscire a guidare?» domandò in modo
premuroso, preoccupandosi.
Annuii,
sorridendole. «Ce la faccio… sistemo Allyson nel seggiolino, e poi penso solo
alla strada. Tanto Edward non ha certo bisogno di me.»
«Ma è
ubriaco… potrebbe sentirsi male.»
«Affari
suoi, no cara?» commentò Carlisle con una risatina, cingendole le spalle con un
braccio. «Buonanotte allora, Bella. Ci rivediamo a lavoro tra qualche giorno,
immagino.»
«Certo,
ci mancherebbe. Buonanotte… e buonanotte a te, Esme.»
«Anche
a te, anche a te. Sentiamoci qualche volta, mi farebbe molto piacere!» mi
sorrise, stringendomi poi in un rapido abbraccio.
Terminati
i saluti, uscii nuovamente e tornai alla macchina, occupandomi di sistemare
bene mia figlia nel suo seggiolino e entrando poi in auto, al posto di guida.
Avevo quasi il terrore di guidare la Volvo di Edward, era un gioiellino così
bello e perfetto… io lo avrei rovinato senza alcun dubbio, e avrei anche
rischiato di andare a sbattere contro un palo della luce.
Cercando
di non pensare a quell’eventualità, girai la chiave nel quadro e misi in moto,
e dopo qualche secondo stavo già percorrendo il viale di casa Cullen. Andavo
piano e con la massima cautela, temendo di spingere troppo sull’acceleratore e
di combinare qualche casino.
Ecco
perché non volevo mai guidare le auto di grossa cilindrata: non riuscivo a
controllarle bene.
«Bella,
tra un centinaio di metri accosta, così guido io…» mi disse Edward, una volta
che fui in strada.
Scossi
la testa, trattenendo a stento un sorriso mentre continuavo a guardare la
strada. «Scordatelo, tesoro. Non puoi guidare da sbronzo!» esclamai,
lanciandogli una veloce occhiata.
Edward
sbuffò, e lo sentii armeggiare per un po’ con la cintura di sicurezza prima che
la sganciasse. Si avvicinò a me, e allungando una mano prese a carezzarmi i
capelli, sistemando poi le ciocche sulle mie spalle. Il tutto, mentre io
guidavo… e rischiavo davvero di deconcentrarmi.
Sbuffai
anche io, gonfiando le guance per la seccatura. «Va bene, accosto.» borbottai
alla fine.
Fermai
la macchina lungo la strada e spensi il motore, e prima ancora che potessi
allontanare le mani vidi quelle di Edward che armeggiavano nel quadro e che
sfilavano via le chiavi. Con le sopracciglia aggrottate, mi voltai verso di lui
e lo vidi divertito, mentre sfoggiava un sorrisetto soddisfatto e da
delinquente da strapazzo.
«Che
stai combinando?» domandai.
«Semplice:
riprendo il possesso della mia macchina!» rispose, con fare ovvio, per poi
aggiungere: «Scendi, così possiamo scambiarci i posti.»
«No, io
non scendo!» esclamai, incrociando le braccia al petto. «E tu non puoi guidare,
hai bevuto troppo! Rischiamo di schiantarci contro un fosso!»
Lui
cominciò a ridere. «Non ci sono fossi nelle vicinanze, mia cara… e ti giuro che
non sono ubriaco! Era tutta scena quella.»
Mi
insospettii, e presi a studiare il suo volto alla ricerca di indizi che mi
confermassero ciò che stava dicendo. I suoi occhi erano un po’ lucidi, ma non
assomigliavano a quelli di un ubriaco… ed era terribilmente tranquillo. No, non
era affatto ubriaco. «Perché ti sei finto ubriaco se non lo sei? Tua madre ci
ha anche creduto!»
«Stavamo
scherzando… lo facciamo sempre, quando ne abbiamo l’occasione. Eddai, non dirmi
che ti sei arrabbiata!» si sporse per baciarmi una guancia, mentre l’altra
veniva accarezzata dalla sua mano.
«Un po’
scocciata, lo ammetto… e non cercare di comprarmi così!» diedi uno schiaffetto
alla sua mano e mi misi a ridere, scostandomi per guardarlo meglio. «Sei un
pessimo ruffiano.»
«No,
sono il migliore e lo sai!» ribatté Edward, azzerando di nuovo la distanza e
baciandomi la punta del naso prima di scendere e sfiorarmi così le labbra,
quasi impercettibilmente. «Dai, cambiamo posto così andiamo a casa.»
«Giuro
che se mi stai prendendo in giro…» scherzai, aprendo lo sportello.
«Aspetta
che mi metta alla guida, lo vedrai di persona!»
Ci
scambiammo una veloce e intensa occhiata carica di sottintesi – la mia era
anche piena di minacce, a dire la verità. Smettemmo di farlo dopo poco, però:
si stava facendo davvero tardi, e l’unica cosa che volevo fare in quel momento
era raggiungere il mio appartamento e far stendere Allyson nel suo lettino.
Come mi
aveva svelato Edward prima, lui non era per niente ubriaco; un po’ brillo,
quello sì, ma era ancora perfettamente in grado di guidare e me lo dimostrò
guidando a velocità sostenuta fino a casa, senza avere nessun tipo di problema.
Mi sarebbe tanto piaciuto dargli una lezione con i fiocchi, tipo picchiarlo
fino alla mattina seguente oppure prenderlo a borsate nelle orecchie… ma non mi
andava, non in quel momento.
Stavo
cominciando ad essere stanca anche io, dopo questa lunga ed intensa giornata.
Avrei rimandato il momento della punizione al mattino dopo.
Raggiungemmo
il mio appartamento dopo aver salito le scale – sì, perché quel deficiente del
mio ragazzo aveva deciso di torturarmi, sapendo che i tacchi ai piedi
cominciavano a darmi fastidio! – ed entrammo nella casa buia e silenziosa.
Lanciai la giacca e la borsa sul divano, in salotto, e scalciai via le scarpe
mentre Edward, accanto a me, aspettava con in braccio Allie addormentata. La
teneva come se fosse una bambolina, e ogni tanto le lanciava un’occhiata veloce
e sorrideva.
Sorrisi
anche io, cogliendolo in fallo per l’ennesima volta. Mi avvicinai e tesi le
braccia, cercando di prendere la bambina. «La porto in camera sua…» sussurrai,
non volendo alzare la voce.
Lui,
come se il mio tocco lo avesse punto, si scostò e si accigliò. «Ce la porto io,
tranquilla… non mi da fastidio.» mi disse, inarcando le sopracciglia. «Lo sai
questo, no?» aggiunse, divertito.
«Sì, lo
so, ma devo metterle il pigiama… ecco perché te l’ho detto!» replicai,
arricciando le labbra mentre cercavo di trattenere un sorriso divertito.
Edward
rise, scuotendo la testa. «Andiamo allora, mammina.»
«Non
chiamarmi ‘mammina’! Quante volte
devo ripetertelo?»
Ma
Edward non mi rispose, limitandosi a camminare e ad entrare in camera di
Allyson, e così sbuffando peggio di una locomotiva lo imitai e lo raggiunsi;
poi, aspettai che lasciasse la piccola sul letto prima di cacciarlo via dalla camera,
dicendogli che lo avrei raggiunto non appena finito di sistemare mia figlia per
la notte… cosa che feci pochi minuti dopo.
Uscii
dalla cameretta e lasciai socchiusa la porta, come facevo sempre, e mi voltai
per raggiungere la cucina o il salotto, dove doveva essere andato Edward… ma mi
fermai, sobbalzando e rischiando quasi di cacciare un urlo orribile, quando me
lo ritrovai davanti.
Se ne
stava con la schiena poggiata al muro e con le braccia incrociate al petto, un
sorrisetto divertito e storto presente sulle sue labbra. Trovai quella
posizione stranamente provocante e sexy… beh, dopotutto, lui era tutto sexy.
«Ti sei
spaventata, tesoro?» disse, cambiando posizione e passandosi distrattamente una
mano sui capelli.
Io
tenevo la mia sul cuore, a causa del colpo che avevo preso pochi secondi prima.
«Sì, eccome! Credevo che fossi di là.»
Espirò
dal naso, scuotendo la testa. «No, sono rimasto qui. Ti ho… come dire, spiata.»
Il mio
viso dovette assumere un espressione da cretina, ne ero conscia, a causa di
quello che aveva appena detto. Mi aveva… spiata?
«E chi sei, uno stalker che mi spii?» domandai, e come se niente fosse mi
avvicinai a lui.
Dovetti
alzare la testa per guardarlo in faccia: ero troppo bassa rispetto a lui. Per
via dei tacchi prima ero riuscita a raggiungere la sua spalla, ma adesso…
adesso ero senza speranza. Una nanetta accanto al gigante.
«No,
niente stalker. Solo una persona che ti vuole bene.» rispose, con gli occhi
socchiusi e le dita che mi solleticavano la guancia.
«Mi
vuoi bene?» mormorai, cingendogli il collo con le braccia. Mi alzai sulle punte
dei piedi, per guadagnare qualche centimetro in più di altezza. I nostri nasi
si sfioravano, adesso.
«Tanto,
tanto bene…» le nostre labbra si toccarono non appena ebbe scandito l’ultima parola.
Baciare
Edward era sempre una forte emozione, quasi come se fosse la prima volta che
accadeva: avevo sempre i brividi quando ci baciavamo, e desideravo sempre di
più. Le nostre labbra si schiusero quasi all’unisono, intensificando il bacio,
e la mia mano finì tra i suoi capelli, alla base della nuca. L’altra, invece,
strinse forte la seta della cravatta che ancora indossava.
Smettemmo
di baciarci per pochi secondi, approfittandone per riprendere fiato; Edward ne
approfittò anche per prendermi tra le braccia e per invertire le posizioni,
così da essere io quella che se ne stava addossata alla parete mentre lui,
sistemato tra le mie gambe, mi sosteneva per le natiche. Lo guardai per qualche
istante negli occhi prima di chiuderli, e di riprendere quello che stavamo
facendo prima.
In
quella posizione riuscivo a sentire la sua eccitazione, che premeva
sfacciatamente sulla mia pancia. Gemetti rumorosamente, e quasi
vergognosamente, nel bacio, quando Edward cominciò a far ondeggiare il bacino
verso il mio per farmi ‘sentire’ meglio la sua situazione ai piani bassi.
«Sei…
sei in gran forma…» scherzai, mormorando tra un bacio e l’altro.
«Sono
sempre pronto per te, Bella… sempre…» riprese a baciarmi con più vigore,
alternando le carezze tra labbra ai morsi. Era audace, e mi piaceva un sacco
questo suo lato intraprendente e privo di vergogna… lo rendeva più Edward,
quello che avevo conosciuto e che ci aveva subito provato con me.
Sorrisi,
ripensando a quella scena, e spostai le mani dal suo collo verso le spalle. Le
infilai sotto alla giacca elegante che ancora indossava e feci per
togliergliela, ma non ci riuscivo… a parte il leggero tremore che avevo nelle
mani, c’era di mezzo anche la scomoda posizione in cui ci trovavamo.
«Mettimi
giù, ti prego…»
Edward
lo fece subito, così potei portare a termine la mia missione e sbarazzarmi
della sua giacca. Gli baciai il collo, sfiorandolo appena appena con le labbra,
e gli slacciai la cravatta passando poi ai primi bottoni della camicia. Scesi
con la bocca per baciare il piccolo lembo di pelle che avevo appena scoperto,
all’altezza delle clavicole.
«Ti
diverti a torturarmi.» ridacchiò lui, che mi fece sollevare di nuovo il viso
per potermi baciare, con le mani immerse nei miei capelli.
«È il
mio hobby preferito, abituatici.» ribattei, e ripresi a torturarlo.
Gli
slacciai tutta la camicia, tirandola fuori dai pantaloni per avere così più
campo libero… il campo libero, naturalmente, era il suo corpo. Cominciai a
baciargli il petto e ad accarezzargli l’addome, ricevendo da parte di Edward un
piccolo sospiro di piacere segno che quello che stavo facendo era di suo
gradimento. Mentre mi dedicavo a lui, le sue mani non rimasero ferme e
cominciarono a carezzarmi la schiena, prima di fermarsi sulla zip del vestito e
di aprirla.
Le cose
si stavano facendo davvero interessanti… e potevano diventarlo ancora di più.
Mi scoprii a pensare che sarebbe stato bello fare l’amore con lui, quella
stessa sera e in quel preciso momento: lo desideravo così tanto, che ormai non
aveva più senso aspettare ancora. Ed ero sicura che per lui valeva la stessa e
identica cosa.
Dovevo
solo dirglielo, farglielo capire… e farlo senza riuscire a provare vergogna mi
sembrava un impresa ardua, quasi impossibile.
«Edward…»
mi imbarazzai subito, infatti, e posai la fronte sul suo petto, interrompendo
la mia performance e, di conseguenza, le carezze che gli stavo dedicando ma
lasciando comunque le mani sulla sua pelle.
«Che ti
prende, adesso?» mormorò lui, più sorpreso che seccato dal mio repentino
cambiamento di umore. Mi cinse le spalle, stringendomi a sé, e mi baciò la
testa. «Ho fatto qualcosa di sbagliato…»
«No,
assolutamente no.» dissi per rassicurarlo, ma senza alzare il viso. «Che
vergogna! Io… Edward…»
«Insomma,
Bella!» posando le mani sul mio viso, Edward me lo fece sollevare per potermi
guardare direttamente. Notai subito la piccola ruga di preoccupazione che si
era formata sulla sua fronte. «Parlami, che c’è? Mi fai preoccupare così, non
chiuderti…»
«È che…
voglio dirti una cosa e… e mi vergogno…» dissi, balbettando.
Il suo
viso si rilassò subito, ma rimase in silenzio, compiendo piccoli circoletti con
il pollice sulla mia guancia. Mi sa che stava aspettando che continuassi a
parlare… sperai di farcela, senza tentennare troppo o bloccarmi per paura della
sua reazione.
«Ecco,
Edward, vedi… io… io vorrei tanto… fare l’amore, con te…» mi fermai, prendendo
fiato, «ti desidero da morire, così tanto…» sospirai, e chinai il viso,
sentendolo in fiamme. «No, niente, lascia perdere…»
Feci
per allontanarmi, ma lui mi impedì qualsiasi mia intenzione di mettere distanza
tra di noi. Edward mi fermò stringendomi per i polsi, facendomi così restare
per forza di fronte a lui. Riuscivo a sentire il suo sguardo su di me, e questo
mi rendeva ancora più nervosa.
«Vuoi
fare l’amore con me? Lo voglio anche io…» mormorò piano, lasciandomi andare le
mani solo per poter chiudere a coppa le sue sul mio viso. Lo alzai, incrociando
i suoi occhi che, nonostante la poca luce, brillavano come stelle. «Bella, lo
voglio anche io. Perché ti vergogni?» domandò, poi.
Scossi
le spalle, sentendomi all’improvviso una stupida a causa del mio stupido
comportamento. Già, perché mi vergognavo? «Non lo so…»
Mi
ritrovai subito stretta nel suo abbraccio caldo, con le nostre fronti a
contatto e con il cuore che batteva a mille. Chiusi gli occhi, circondandogli
il collo con le braccia mentre desideravo di poter restare in questa posizione
per un tempo infinito.
«Ti
voglio, Bella. Ti volevo ieri, ti voglio adesso, ti vorrò domani… ti vorrò per
sempre.» furono le ultime cose che mi disse, prima di baciarmi ancora una
volta, prima di sospingermi verso la camera da letto…
Prima
di fare l’amore con me.
***
Nonostante
sapessi che fosse tardi, molto tardi, e che mancavano poche ore all’inizio di
un nuovo e intenso giorno, non riuscivo a prendere sonno. Non ci riuscivo… ero
capace solo di stare stesa su un fianco, con una mano sotto alla testa, e con
gli occhi fissi sulla figura addormentata e immobile di Edward.
Pensavo
che una delle poche cose che mi piaceva fare fosse guardare per ore e ore,
senza stancarmi, Allyson dormire. Credevo che una cosa più bella di tua figlia
che dormiva sogni beati non esistesse… e invece mi ero dovuta ricredere quando,
per la prima volta, avevo puntato gli occhi sul viso rilassato di Edward,
rapito dal sonno.
Sembrava
anche più giovane dell’età che aveva, un ragazzo sui vent’anni piuttosto che un
uomo di trenta: le rughe di espressione sparivano all’improvviso, come per
magia. Ed io avevo scoperto che lo amavo da morire, amavo persino il piccolo
segno che aveva al centro del mento, ricordo della varicella che aveva avuto da
bambino.
Cominciavo
a pensare di amare davvero quest’uomo.
Questa
sensazione si era fatta strada pian piano dentro di me, e adesso non riuscivo
più a ignorarla. Non mi ero mai innamorata prima, ma sentivo che il sentimento
che provavo verso Edward era forte, intenso, a tratti quasi troppo grande da
contenere. Mi piaceva, lo adoravo, lo amavo.
E la
cosa un po’ mi spaventava, perché stavamo insieme da così poco tempo che avevo
paura che tutto potesse andare storto da un momento all’altro. Avevo paura che
quello che stavo vivendo fosse soltanto un sogno, e che tutto sarebbe svanito
una volta sveglia…
Sapevo
che non era così, ma non potevo fare a meno di continuare a pensarlo.
E poi,
continuavo anche a soffermarmi sulle parole che Edward mi aveva detto, prima di
baciarmi e di fare l’amore con me. Erano così profonde e piene di significato… quasi
una dichiarazione.
Era
chiaro che anche lui provava qualcosa per me, ma cosa?
Allungai
una mano per scostare una piccola ciocca di capelli dalla sua fronte, rilassata
durante il sonno. Edward aveva ceduto quasi subito, una volta che avevamo
finito di amarci e che ci eravamo stretti in un abbraccio forte e intimo,
intimo come poteva esserlo in un momento come quello.
Fare
l’amore con lui era stata una delle esperienze più intense della mia vita: mi
ero sentita così importante, in quel momento, e felice che stessi dividendo quel
momento proprio con lui. Stare insieme anche in quel modo, sentire come
riuscivamo a completarci e ad armonizzare i nostri corpi, sentirli così uniti… era
stato meraviglioso.
Mi ero
pentita? No, per niente.
Le mie
labbra si incresparono in un sorriso, al ricordo; era stato tutto perfetto,
tutto stupendo, e quasi magico.
Ritirai
la mano e guardai Edward un ultima volta prima di lasciare il letto. Mi mossi
piano, e infilai le mutandine e la sua camicia, chiudendo i bottoni mano a mano
che camminavo. Mi stava talmente grande che mi copriva fino a metà coscia, tanto
che dovetti persino ripiegare le maniche per riuscire ad usare le mani.
Percorsi
il corridoio e mi fermai davanti alla camera di Allyson, affacciandomi dalla
porta per controllarla; la bimba dormiva della grossa, e doveva essersi mossa
molto durante il sonno perché si era scoperta e aveva gettato sul pavimento
anche il cuscino. Entrai e, facendo piano, la risistemai in modo che non stesse
scomoda e non prendesse freddo.
Uscii
di nuovo, socchiudendo la porta, e andai dritta verso la cucina. Una volta lì
riempii un bicchiere d’acqua e cominciai a berlo, anche se non avevo realmente
sete: era più per avere qualcosa da fare mentre aspettavo che il sonno venisse
a farmi visita.
Mi
circondai la vita con un braccio, come per cercare un po’ di calore mentre
continuavo a bere l’acqua. Quello pseudo abbraccio venne sostituito da uno
vero, forte e caldo, quando stavo posando il bicchiere nel lavello e mi
accingevo a sciacquarlo.
«Questa
camicia sta meglio a te, che a me.» il sussurro di Edward arrivò dritto sul mio
collo scoperto, seguito da un bacio leggero. Una serie di brividi mi corse
lungo la schiena, in reazione a quel gesto.
«Non è
vero, è troppo grande per me!» trattenni un risolino e poggiai la testa sulla
sua spalla, con una mano ferma sulle sue e l’altra poggiata sulla sua nuca. «Ti
ho svegliato?»
«Diciamo
di sì. A letto non c’eri più, e mi stavo chiedendo dove fossi andata a
cacciarti, tutta nuda come sei…» rispose, prendendomi in giro.
«Sono
venuta a bere dell’acqua, non riesco a dormire.» mi rigirai nell’abbraccio, in
modo da stare l’una di fronte all’altro. Edward era del tutto svestito, a parte
i boxer blu che indossava e che mi riportarono alla mente quello che avevamo
fatto pochissime ore prima… sentii subito lo stomaco contorcersi. Poggiai le
mani sul suo petto, sentendo il suo cuore che batteva forte al di sotto del mio
palmo, e strofinai piano il naso sulla sua mascella, leggermente ruvida per la
barba in crescita.
«Stanotte…
stanotte è stato bello.» mormorò, abbassando la testa in modo che potessi
sfiorare il suo naso. «Prima, non avevo mai provato nulla di così… intenso.»
aggiunse, aprendo gli occhi, che aveva chiuso in precedenza.
Annuii,
abbracciandolo stretto. «È stata la stessa cosa anche per me…»
Con
Mike e con James, i miei unici partner sessuali prima di Edward, non ero mai
riuscita a provare le emozioni e le sensazioni che erano arrivate quella notte.
Il sesso con James mi piaceva, quello con Mike aveva lasciato parecchio a
desiderare… ma non avevo mai sentito quella sensazione di completezza, di
perfezione e di desiderio crescente, che avevo invece provato insieme a Edward.
Era
come se avessi capito che Edward era quello giusto, la persona che avrei amato
per tutta la mia vita e che mi sarebbe stato accanto in ogni momento, felice o
doloroso che potesse essere. Avevo paura di questa realtà così importante, ma
ero pronta ad affrontarla e a scoprire ogni sua sfaccettatura.
Non
potevo scappare, non in quel momento.
Edward
sfiorò le mie labbra con le sue, sentendo il sorriso che si andava allargando e
che mi contagiava tanto da imitarlo. Mi strinse più forte contro di sé, facendo
scivolare una mano sulla mia schiena, fino alla curva delle natiche. «Vuoi fare
il bis?»
Risi,
scostandomi di poco. «Ma è così tardi…» non volevo cedere subito alle sue
avance, anche se la tentazione era forte.
«Meglio,
così non ci disturberà nessuno.» ribatté, toccandomi con provocazione il
sedere. Socchiusi gli occhi e strinsi le labbra tra di loro, cercando di
concentrarmi e di non cedere al suo tocco tentatore… ma, cavolo, era così
difficile!
«Allyson
potrebbe svegliarsi.» quella era una bugia bella e buona, e sapevo che la
bambina non si sarebbe svegliata prima di mattina: la conoscevo, ed il suo in
quel momento era il ‘sonno che non sarebbe finito tanto presto’.
«Mhm,
ne dubito…» Edward mi diede un ultima strizzata al sedere, e dopo avermi
liberata dal suo abbraccio si chinò e mi prese tra le braccia, così velocemente
che non mi accorsi quasi dei suoi movimenti. Trattenni un urletto, arpionandomi
al suo collo e stringendomi forte a lui.
«Che
intenzioni hai?» chiesi, guardandolo negli occhi. Mi ero arresa, e la cosa era
ormai ufficiale: non potevo continuare ad oppormi se lui mi metteva i bastoni
tra le ruote in quella maniera.
E poi…
lo ammisi, non vedevo l’ora di vedere sin dove si sarebbe spinto.
«Non
buone… ma ti piaceranno, vedrai.» disse, e cominciò ad incamminarsi verso la
camera con me tra le braccia, e con le labbra premute sulle mie.
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Capitolo 19 *** Capitolo 19 ***
Solo il tempo... - Capitolo20
Buonasera!
Cavolo, è quasi un mese che non aggiorno
O____O I’m sorry! Ho avuto un sacco di cavoli per la testa, senza contare che
ho anche cominciato una nuova storia XD
Well, bando alle ciance u_u ecco a voi il
nuovo capitolo! Non vi dico, è pronto da un secolo ormai XD ma tra una cosa e l’altra
ho rimandato giorno dopo giorno la pubblicazione, fino a stasera @.@ lo so,
sono una frana XD
Vi lascio leggere, noi ci sentiamo in basso
più tardi ;)
Solo il
tempo
Capitolo
19
Mi
mossi pigramente tra le coperte, tentata di non aprire gli occhi e di
continuare a crogiolarmi nel dormiveglia, anche se sapevo che non era possibile
da realizzare: il mio istinto, se così volevo chiamarlo, mi avvisava che la
mattina era già arrivata e che la mia viperetta si sarebbe svegliata da un
momento all’altro, se non lo aveva già fatto.
Ma
potevo comunque rubare altri cinque minuti di riposo, fregandomene
dell’istinto.
Mi
rigirai nel letto e sprofondai la faccia nel cuscino, inspirando forte dal naso.
Quasi subito un odore maschile, e molto familiare, mi investì le narici e di
riflesso spalancai gli occhi, rovinando così il mio piano di dormicchiare
ancora un po’.
La poca
luce che penetrava dalle veneziane illuminava lievemente il posto, e quindi mi
consentiva di vedere bene la mia camera da letto; capii di trovarmi nella parte
di materasso che la notte prima aveva occupato Edward, e che quest’ultimo non
era presente. Era strano, perché prima di addormentarmi si trovava insieme a
me, mi stava abbracciando…
Una
punta di panico mi investì, e sembrava promettere una bella crisi se fosse
aumentata. Mi misi a sedere sul letto, trascinando con me le lenzuola. Non
dovevo preoccuparmi, non era successo niente… probabilmente Edward non si
trovava con me perché si era alzato e aveva cominciato a preparare la
colazione: non era la prima volta che succedeva… e in una di queste occasioni,
Allyson non aveva perso tempo nel dire che le sue frittelle erano più buone di
quelle che cucinavo io.
Sì, era
sicuramente così. Stava sicuramente cucinando, anche se non sentivo nessun tipo
di odore provenire dalla cucina.
Scesi
dal letto e dopo aver recuperato la mia vestaglia – la camicia di Edward, che
avevo indossato qualche ora prima, era sparita così come il resto dei suoi
vestiti – uscii dalla camera e percorsi il corridoio, mentre la indossavo e
chiudevo la cintura con un nodo. Il brutto presentimento, che avevo percepito
prima, si andava ampliando.
«Edward?»
lo chiamai in un bisbiglio, e sperai che questo fosse ben udibile. Lo chiamai
di nuovo quando mi trovai sulla soglia della cucina, scoprendo così che di lui,
lì, non c’era nessuna traccia.
Mi
appoggiai alla parete con una mano, mentre con l’altra mi accarezzavo il collo,
sentendomi a disagio. Cominciavo a sentire anche gli occhi pizzicare, segno che
potevo cominciare a piangere da un momento all’altro.
Edward
era sparito, era andato via senza neanche salutarmi… cosa poteva significare
questo suo comportamento? Che lui… no, non riuscivo neanche a pensarci, ma mi
costrinsi a farlo perché solo facendo così tutto poteva diventare reale, come
dirlo ad alta voce.
Edward
non poteva avermi lasciata dopo che avevamo trascorso la maggior parte della
notte a fare l’amore, vero? Non poteva essersi comportato in questo modo, come
se fossi una prostituta di basso borgo che non era degna neanche del suo più
piccolo saluto… e non poteva aver fatto tutto questo dopo che avevo conosciuto
la sua famiglia…
Se
tutto quello era vero, voleva dire che io non avevo capito nulla di lui, voleva
dire che lui era rimasta sempre la stessa persona di prima, che se ne
infischiava di tutto e di tutti e che voleva solo il suo tornaconto. Aveva
fatto tutto quello solo per portarmi a letto?
Davvero
ero stata solo questo, per lui? Solo un’avventura di una notte? Ed io che, da
stupida cretina e ingenua quale ero, ci ero cascata con tutte le scarpe… e mi
ero persino innamorata di lui.
Strinsi
le labbra, cercando di frenare il pianto e le lacrime che aumentava con
l’avanzare dei secondi. Asciugai con le mani le poche lacrime che erano già
scese e mi avvicinai alla macchina del caffè: ormai ero sveglia, e tanto valeva
che cominciassi a preparare la colazione, anche se la fame era sparita
all’improvviso ed ero sicura di vomitare qualunque cosa avessi provato a mangiare.
Con
l’umore che rischiava di sprofondare all’inverosimile, aprii un cassetto dove
recuperai un paio di tovagliette colorate e mi girai per posarle sul tavolino…
fu allora che notai un foglietto bianco, e ripiegato, su di esso. Quel
foglietto non lo avevo lasciato io, il giorno prima avevo riordinato tutto dopo
essermi dedicata al dolce che avevo cucinato per la cena… quindi, poteva averlo
lasciato solo una persona.
Posai
le tovagliette sul tavolo e afferrai, curiosa e anche leggermente scossa, quel
piccolo pezzo di carta. Avevo quasi paura di vedere di cosa si trattasse, ma lo
spiegai lo stesso e cominciai a leggere le poche righe che ci erano scritte,
nella grafia ordinata e quasi impossibile da leggere di Edward.
Non volevo svegliarti, né andare via senza
prima avvertirti, ma c’è stata un emergenza e sono dovuto correre in ospedale.
Ti telefono non appena riesco a liberarmi, promesso.
Non posso fare a meno di pensare a questa
notte, è stata la più bella della mia vita…
Un bacio.
E.
Posai
la mano sulla guancia, cercando di nascondere il sorriso di sollievo che era
spuntato sul mio viso e anche la vergogna per aver pensato quelle orribili cose
su di Edward.
Non era
la prima volta che era dovuto andare via per un emergenza, e di certo non
sarebbe stata neanche l’ultima. Il lavoro del chirurgo era fatto così,
imprevedibile, impegnativo e faticoso, ma anche molto gratificante.
Rimasi
per diversi minuti immobile, con il foglietto tra le mani a rileggere quelle
righe, prima di infilarlo nella tasca della vestaglia e di riprendere a
preparare la colazione. E feci bene, perché Allie arrivò di corsa verso di me
neanche cinque minuti dopo.
«Mammina,
mammina!» urlò, abbracciandomi le gambe come faceva spesso.
«Ehi,
amore mio!» felice, mi inginocchiai e la abbracciai, baciandole il visino. Aveva
avuto un tempismo perfetto, e se si fosse svegliata pochi minuti prima mi
avrebbe vista di umore nero e con una faccia da funerale… Ero contenta che le
mie paranoie si fossero rivelate infondate. «Hai dormito bene?»
«Bene
bene bene!» con il suo sorriso allegro e spensierato, prese a carezzarmi il
viso con le sue piccole manine paffute. «Mamma, ma Edwadd non c’è?»
Scossi
la testa. «No tesoro, è dovuto andare a lavoro… ma ha detto che ci telefona più
tardi. Me lo ha promesso!» le risposi, ignorando quella piccola parte dentro di
me che non credeva a nessuno, e per di più paranoica fino al midollo, che mi
suggeriva che non dovevo fidarmi di quelle poche righe scritte. «Allora, hai
fame? Stavo per mettermi a cucinare le frittelle, quelle con il cioccolato!»
«Ma io
volevo quelle che fa Edwadd, sono buonissimissime!» si lamentò la piccola,
mettendo il broncio.
Ignorai
anche la delusione, e la gelosia, che la frase di mia figlia aveva scatenato:
non era colpa mia se Edward sapeva cucinare le frittelle meglio di me! «Te le
preparerà un altro giorno, tesoro…» dissi, sicura, e la riportai contro di me
per sbaciucchiarla e per spupazzarla tutta. La risata vispa e sincera di
Allyson mi riempì le orecchie, oltre che il cuore.
***
«Quindi, la cena è andata bene?»
Annuii,
poi ricordai che ero al telefono e che nessuno poteva vedermi. «Sì, è andata
bene. La famiglia di Edward è meravigliosa, allegra… sono stati tutti molto
gentili con me.»
«Mia figlia ha fatto colpo sui suoi futuri
suoceri!» mia madre cantilenò come una scema quelle parole, emozionata come
una bambina la mattina di Natale. «Non
potevi darmi notizia migliore, tesoro!»
Sbuffai,
un po’ scocciata per il suo entusiasmo. «Mamma, non sono i miei futuri
suoceri…»
«Ma lo saranno, Bella, lo diventeranno
presto! Scommetto che l’anno prossimo, a quest’ora, sarai la nuova signora
Cullen!»
«MAMMA!»
smisi addirittura di tagliare le verdure che mi servivano per il minestrone,
mentre urlavo. Doveva aver bevuto, non c’era nient’altra spiegazione. «Ti
prego, non dire queste cose… non è passato neanche un anno dal mio divorzio e
già vuoi che mi risposi?»
«È un buon partito, Bella, e un gran bravo
ragazzo. Non dirmi che non ci hai fatto nemmeno un pensierino…»
Posai
il coltello, e mi pulii le mani sullo strofinaccio: rischiavo di mozzarmi un
dito, se continuavo con la mia opera e a distrarmi per i discorsi di mia madre.
«Nemmeno uno, mamma. È troppo presto, troppo… voglio vivere questa relazione
passo passo, non voglio fare già dei progetti e non voglio correre.» dissi alla
fine.
«Va bene va bene, tesoro, non arrabbiarti.»
disse, aggiungendo un sospiro. «Ho
capito, va bene. Però devi promettermi che mi terrai informata su tutto quello
che succede tra di voi, okay? Non farmi stare troppo in pensiero…»
Alzai
gli occhi al cielo, tanto non poteva vedermi. «Certo, lo farò sicuramente.»
«E visto che siamo in argomento… lo avete già
fatto?»
Scostai
il telefono dall’orecchio e lo guardai accigliata, non credendo alle sue
parole. Davvero voleva sapere se io e Edward avevamo… no, era assurdo! Io non
le avrei detto proprio niente! Figuriamoci se mi mettevo a raccontare a mia
madre come andava la mia vita sessuale!
«Fatto
cosa, mamma?» domandai, facendo finta di non aver capito.
«Isabella, non fare la finta tonta! Avete già
fatto sesso? Però non farti sentire dalla piccola, quando rispondi!» mi
intimò, con il suo famoso tono di voce severo.
Alzai
di nuovo gli occhi al cielo. «Non serve che non mi faccia sentire, tanto non ti
dico un bel niente!»
«Ma… ma sono la tua mamma! Devi dirmi almeno
qualcosina!» si indignò.
«Te lo
puoi scordare, Renée! Avrai la dimostrazione che io e Edward abbiamo combinato
qualcosa quando arriverà quel qualcosa!»
«Qualcosa, qualcosa, qualcosa! Che significa
questo qual… AH! Non dirmi che state
cercando di fare un bambino! Un. Bambino! BELLA!»
«MAMMA!»
urlai, con la mano sulla fronte. Perché era andata a parare proprio su
quell’argomento? «Smettila di urlare! Non stiamo facendo nessun bambino,
levatelo dalla testa!»
«E allora tu non sparare più cavolate con i
doppi sensi, signorina! Mi hai fatto prendere un colpo… per quanto mi piacciano
i bambini, non sono pronta per diventare di nuovo nonna.»
«E
invece, sei pronta a vedermi di nuovo sposata!»
«E che c’è di male, scusa? Voglio fare la
suocera! È così sbagliato?»
Scossi
la testa, e capii che continuando quella discussione non saremmo andate da
nessuna parte… ma per fortuna, qualcuno venne a salvarmi da quella specie di
agonia. Il campanello di casa suonò, annunciando l’arrivo di un ospite… e forse
avevo anche l’idea di chi fosse.
Ma
forse era meglio dire chi fossero,
visto che erano in coppia.
«Mamma,
devo lasciarti… ti richiamo io, eh? Ciao!» chiusi di scatto la chiamata senza
lasciarle il tempo di dire nulla. Mi aspettavo un suo messaggio di rimprovero
da un momento all’altro…
E
infatti questo arrivò due secondi dopo, quando ero appena uscita dalla cucina e
stavo andando verso la porta di casa, che Allie aveva già spalancato.
“Che modi! Non farlo più! Aspetto che ti
fai viva, tesoro.”
Non
aveva aggiunto nessuna faccina, cosa normale se si trattava di mia madre: non
era che non le piacesse mandarle, non le sapeva proprio fare! Era un pochino
negata.
Rimisi
il telefono nella tasca dei jeans e andai verso la porta, dove Allie era stata
assalita da Alice e Rosalie e si stava beccando un bel po’ di coccole e di
abbracci. Rose mi aveva inviato un messaggio poche ore prima, avvertendomi che
sarebbe passata dopo pranzo insieme a Alice e che volevano sapere ‘dal vivo’
com’era andata la cena della sera prima.
Secondo
me, volevano sapere anche qualcos’altro…
Donne
pettegole, forse gli uomini non avevano poi tutti i torti.
«Ehi,
ragazze!» le salutai subito e baciai Alice sulle guance, visto che era la più
vicina e quella che non era impegnata a cercare di mangiarsi mia figlia.
«Bella!
Preparati perché per le prossime ore ti terremo sotto interrogatorio!» mi
annunciò seduta stante la mia migliore amica, o forse la mia ex migliore amica.
Aggrottai
le sopracciglia. «Non vorrete mica giocare a poliziotto buono e poliziotto
cattivo?!» dissi, un po’ scettica, mentre andavo a salutare Rosalie.
«No,
non siamo così perfide!» mi rassicurò quest’ultima. «Però diventeremo un sacco
manesche se ci nasconderai qualcosa, tranquilla…»
Se
voleva davvero cercare di tranquillizzarmi, dicendomi quelle cose, beh non ci
era riuscita poi tanto. Ma feci lo stesso un mezzo sorriso e annuii, facendole
vedere che avevo capito.
Dopo
esserci spostate in cucina, e dopo aver lasciato Allyson impegnata a guardare i
cartoni animati alla tv, mi misi a raccontare della cena a casa Cullen e di
com’era andata, interrotta ogni tanto dalle domande delle mie amiche e dai loro
commenti… e alla fine, arrivai a parlare con enorme imbarazzo della nostra
prima volta insieme. Quella volta però nessuna delle due commentò o disse una
sola parola, perché erano rimaste entrambe senza parole.
Per
farle stare zitte dovevo mettermi a parlare di sesso? Beh, avrei potuto
approfittarne in futuro.
«Oh,
mio Dio! Me lo sentivo che sarebbe successo presto!» disse in un soffio Alice,
con gli occhi spiritati e le mani che stavano arpionando i bordi del tavolo.
«Sarebbe
dovuto succedere prima, mi stupisco che Edward abbia aspettato così tanto prima
di farlo!» esclamò invece Rose, che mi guardava con in viso poggiato sulle sue
mani.
Scrollai
le spalle, e continuai a tagliare le verdure prima di gettarle in una pentola.
Parlare di sesso mi aveva sempre vergognato, così per evitare i loro sguardi e
le loro battutine – che, per fortuna, non ci furono state – mi ero messa di
nuovo a lavorare sul minestrone, dando loro la schiena. In questo modo, poi,
non potevano neanche vedermi mentre arrossivo…
«Beh…
Edward ha rispettato i miei tempi.» borbottai, togliendo alcuni residui di
verdure dal coltello. «Sapeva che volevo andarci piano, e anche lui voleva fare
la stessa cosa… potevamo anche darci un taglio con questa storia e andare a
letto insieme settimane fa, ma non abbiamo vol-AHIA! Merda!»
Parlando
mi ero distratta, e così ben presto mi ritrovai con un bel taglio sanguinante
sul polpastrello. Sapevo che sarebbe successo, perché non avevo posato prima
quel coltello di merda?
«Che
hai combinato?» domandò Rose.
«Incidente
di percorso, nulla di grave…» le risposi, e andai a mettere il dito sotto il
getto freddo del lavandino per fermare il sangue. Come taglio non era profondo,
ma sarebbe stato fastidioso. Odiavo le ferite sulle mani, con tutta me stessa.
«Comunque…
ieri notte vi siete dati alla pazza gioia! E com’è stato il risveglio?
Imbarazzante? O ci avete dato dentro di nuovo?» intervenne Alice.
Storsi
il naso: non mi andava di raccontare la crisi di panico che mi aveva quasi
assalita quando avevo scoperto che Edward era dovuto andare via, credendo che
mi avesse usata e poi lasciata. Mi avrebbero presa in giro, sicuramente! Però
loro erano le mie amiche, potevo confidarmi con loro… e così dissi loro anche
questa cosa.
La
prima a reagire fu Alice. «Ma sei proprio fessa, Bella!» urlò.
«Mi
sono lasciata prendere dal panico!» esclamai a mia discolpa, voltandomi
finalmente verso di loro. «Lo avreste fatto anche voi, ammettetelo!»
«No,
non è vero… sì, è vero. Ma gli hai dato poca fiducia, sono sicura che aveva
avuto un buon motivo per essere scappato via. E spero che non sia perché hai
fatto schifo a letto…» aggiunse Rose, arricciando le labbra e alzando gli occhi
al cielo come se stesse pensando.
«Lo
hanno chiamato per un emergenza all’ospedale. È un buon motivo.» tornai a
voltarmi verso i fornelli e misi a cuocere il minestrone. Impresa non facile,
visto l’ingombro in cui avevo avvolto il dito e che non aiutava molto nei
movimenti.
«Ecco,
visto? Un po’ di fiducia! Però sono contenta, avete fatto un altro passo in
avanti nella vostra relazione e siete diventati senz’altro più affiatati!»
sorrise, invece, Alice, tutta soddisfatta per quello che aveva appena detto.
«Quand’è che andrete a vivere insieme?»
Mi
girai di scatto, fulminandola con lo sguardo. «Hai parlato per caso con mia
madre? Lei mi vuole già sposata con Edward!»
«Ah,
Renée ha l’occhio lungo! Però ha ragione, per la fine dell’anno prossimo potreste
essere già marito e moglie…»
«Alice,
non dire assurdità! Prima arriva un bebè, e poi il matrimonio, lo sanno tutti!»
«Rose,
da te non me lo sarei mai aspettato!» la rimproverai, prima di sorridere
maliziosamente. «Tocca prima a te e Emmett, sono sicura che ci farete un bello
scherzetto…»
«Ma…
come ti permetti!?»
Ecco,
la situazione si era senz’altro sbloccata, e la tensione sciolta… e poi, era
divertente prevedere il futuro con quelle due pazze delle mie amiche.
***
Verso
le sei del pomeriggio, le uniche persone presenti in casa fummo io e Allyson.
Alice e Rose se ne erano andate da un bel pezzo, una perché doveva andare al
cinema con Jasper e l’altra perché doveva ‘fare ginnastica’ con Emmett. Non
volevo pensare a quale tipo di ginnastica si trattasse, ma di sicuro era quel tipo di esercizio che si faceva a
coppie.
Trattenni
un risolino, al pensiero, e mi grattai la fronte mentre mi voltavo per
controllare Allie: si era appisolata qualche ora prima mentre guardava la tv, e
sembrava che il suo sonnellino pomeridiano sarebbe durato ancora un po’. Io,
invece, me ne stavo in disparte, seduta a gambe incrociate sulla poltrona
mentre cercavo di portarmi avanti con la lettura.
Da
parecchio tempo non mi capitava di trascorrere un pomeriggio così tranquillo e
quasi solitario; l’ultima volta era arrivato Edward a salvarmi dalla noia del
non avere nulla da fare, col risultato che poi ci eravamo ritrovati a rotolarci
sul pavimento come due arrapati.
Ma
stavolta non sarebbe successo: primo, perché c’era Allyson che poteva beccarci
proprio nel momento clou, e secondo perché Edward sarebbe arrivato a casa
soltanto verso le otto. L’emergenza di quella mattina era risultata essere più
grave del previsto, e lui aveva trascorso quasi l’intera giornata in sala operatoria,
tra riduzioni di fratture e qualcos’altro che adesso non riuscivo a ricordare.
Scacciai
l’immagine dell’orrendo incidente che Edward mi aveva descritto per telefono e
tornai a immergermi nelle pagine del libro, immedesimandomi in Holly che
aspettava la nuova lettera del suo amato Gerry. Stavo per scoppiare di nuovo a
piangere per le vicende descritte nel libro quando sentii la porta di casa
aprirsi, per poi richiudersi qualche secondo dopo.
Scattai
in piedi di colpo, facendo cadere il libro a terra. Qualcuno doveva essere
appena entrato in casa, qualcuno che non aveva il permesso di farlo e che non
avevo nemmeno invitato… ma chi poteva essere?
Nessuno
aveva le mie chiavi di casa; Rose per di più si faceva prestare la copia dal
portiere per salire quando si occupava di Allyson, ma questa volta non poteva
essere Stan. Lui mi avvertiva sempre se c’era qualcosa di cui doveva parlarmi,
e non saliva mai in casa mia.
Quindi,
era un ladro?
Afferrai
da un mobile il primo oggetto che potesse essere utilizzato come arma
provvisoria e saltai in corridoio, con una fifa tremenda che stava pian piano
diventando blu. Mi bloccai di colpo, quasi stordita, con un orrenda statuetta
di gesso che mi aveva spedito mia madre tempo fa tra le mani, vedendo che si
trattava semplicemente di Edward. Se ne stava tranquillo, in ginocchio, e si
allacciava una scarpa; aveva ancora il cappotto addosso.
«Edward?»
sussurrai, abbassando velocemente la statuetta; non volevo fargli vedere che la
mia paranoia stava per comandarmi di spaccargliela sulla testa.
Lui,
sentendomi, alzò il viso e mi sorrise sghembo, strizzando l’occhio. «Ehi,
piccola.»
«Ma…
come hai fatto a entrare?» domandai, avvicinandomi poi a lui.
«Stan
mi ha prestato le chiavi. Volevo farti una sorpresa e… beh, non mi andava di
suonare!» ridacchiò, per poi rimettersi in piedi e togliersi velocemente il
cappotto. Tenendolo sottobraccio, usò il braccio libero per cingermi la vita e
per avvicinarmi ancora di più al suo corpo, cosa che feci senza troppi
problemi.
Nascosi
il volto nel suo collo, strofinandoci sopra le labbra lievemente, e sentii che
Edward ricambiava quello pseudo bacio strofinando le labbra contro la mia
fronte. Chiusi gli occhi, godendomi quel piccolo momento di pace.
Come
avevo fatto a dubitare di lui, quella stessa mattina? Come ero riuscita a farlo
passare come un poco di buono, dopo tutto quello che ci eravamo detti e
ridetti? Ero stata una stupida, una sciocca… una bambocciona!
«Credevo
che fosse un ladro…» ammisi in un bisbiglio, scostandomi da lui.
«Un
ladro? Spero almeno che fosse un ladro bello e aitante!» mi prese in giro,
inarcando un sopracciglio.
«Oh,
sì! Il miglior ladro che abbia mai visto! Hai presente Bradley Cooper?» lo
presi in giro a mia volta, e poi gli buttai le braccia al collo per baciarlo. Feci
appena in tempo a poggiare le mie labbra sulle sue che sentii un tonfo sordo e
qualcosa che si rompeva, così dovetti staccarmi di malavoglia. «Merda, la
statuetta!»
«È
andata, tesoro.» mi informò Edward, che stava osservando con finto dispiacere i
resti di quell’orrore di gesso: non piaceva nemmeno a lui. «Non ti dispiace,
vero?»
Scossi
la testa. «Nah, faceva schifo. Posso sempre accaparrare la scusa che Allie l’ha
fatta cadere…»
«Ma
senti tu… non si da la colpa a una bimba piccola! Vergognati!» mi rimproverò
subito lui.
«Certo
che si può, se la bambina in questione è una casinista irrecuperabile!» sotto
il suo sguardo accusatore e severo, dovetti rinunciare ai miei intenti.
Sbuffai. «Va bene, dirò la verità…»
«Bravissima.»
«…dirò
che sei stato tu.»
«Non
devi proprio provarci! Hai capito! Non provarci!» Edward mi afferrò per le
spalle e cominciò a farmi il solletico con la mano libera per punirmi. Era
sleale, non poteva approfittarsi di quel mio punto debole ogni volta! Ma non
riuscii a farglielo notare, troppo impegnata com’ero a ridere e a cercare di
togliermelo di dosso.
***
«Minestrone?
Tua figlia non lo mangerà mai!» mi fece notare Edward, non appena scostò il
coperchio della pentola, che si trovava ancora sul fornello.
Terminata
la parentesi del solletico – dove si era beccato una gomitata nelle costole per
far sì che smettesse -, si era proposto di aiutarmi in cucina, anche se la cena
era bella che pronta e l’unica cosa che c’era da fare era apparecchiare la
tavola. Eravamo solo noi due, la bambina stava ancora dormendo, ma sarei andata
a svegliarla di lì a pochi minuti perché era quasi il momento di mangiare.
«Sì
invece!» stavo frugando in uno degli sportelli bassi, dove avevo infilato
persino la testa. «Le verdure in pezzi non le mangerà mai, ma… ma la zuppa di
alieno si che la mangerà!» esclamai vittoriosa, sbucando di nuovo fuori dopo
che ebbi recuperato il frullatore ad immersione, che mi serviva per fare il
passato.
Edward
mi guardò scettico, grattandosi il mento. «Zuppa di alieno? Non ci cascherà mai
per me… è troppo intelligente tua figlia.»
Sorrisi
sorniona, scuotendo la testa. «Ci cascherà eccome, fidati. Nessuno resiste alla
mia zuppa di alieno.» infilai la spina nella presa di corrente e mi preparai
per frullare il tutto.
«Se lo
dici tu…» mormorò lui.
Stavo
per accendere il frullatore, ma mi fermai perché le sue braccia mi
abbracciarono da dietro e mi strinsero forte, cogliendomi di sorpresa. Edward
mi lasciò un bacio sulla nuca, scoperta dai capelli, e lo sentii respirare
forte sulla mia pelle.
«Mi
piaci… mipiacimipiacimipiaci.» cominciò a sussurrare velocemente, e ogni soffio
che usciva dalle sue labbra mi scatenava una marea di brividi lungo la schiena.
Di conseguenza, inarcai il collo all’indietro e sollevai le mani,
sprofondandole nei suoi capelli.
In quel
momento passò tutto in secondo piano, e l’unica cosa che mi importava era
sentire il suo tocco su di me, le sue labbra su di me, il suo corpo contro il
mio… era bello sentire che mi desiderava, tanto, come io desideravo lui.
Chiusi
gli occhi, sospirando, quando sentii che cominciava a solleticarmi il lobo
dell’orecchio con le labbra… e quello che era successo quella mattina, appena
sveglia, mi tornò in mente come in un flash, veloce e accecante. Rimasi
talmente di sasso che riaprii gli occhi e mi scostai da lui, rifugiandomi
accanto alla finestra.
Me ne
stavo ferma, con le mani poggiate sul davanzale della finestra, e tenevo lo
sguardo basso per non incontrare lo sguardo di Edward, che sentivo addosso.
Doveva essere rimasto sicuramente sconcertato dalla mia reazione, così
repentina e strana… e lo capii dal suo tono di voce non appena mi rivolse la
parola.
«Bella,
hai preso la scossa per caso?» mi chiese.
Mi morsi
le labbra, alzando gli occhi e guardandolo, finalmente. Dovevo dargli una
risposta, se la meritava… e dopo, sarebbe stato libero di pensare che la sua
ragazza era una povera pazza paranoica e insicura… molto insicura. Scossi la
testa. «Devo dirti una cosa…» ammisi, sospirando subito dopo.
Lui,
dopo aver battuto le palpebre un paio di volte, annuì e mi si avvicinò,
allungando una mano per prendere la mia. «Ti ascolto.»
«Oh,
bene. Ecco…» presi un bel respiro prima di continuare. «Hai presente la notte scorsa?
Io…»
«Mi
stai dicendo che sei nervosa perché la notte scorsa abbiamo fatto l’amore?»
chiese, e le sue labbra si aprirono in un bel sorriso sincero e, a tratti,
divertito. «Non devi preoccuparti, tesoro, va tutto bene.»
«Non è
per questo!» sbottai, e mi rimproverai mentalmente per quella reazione
eccessiva. «È… per quello che è successo dopo. Quando mi sono svegliata,
stamattina, tu non c’eri e… ho pensato che te ne eri andato, e che lo avevi
fatto perché tra me e te non poteva esserci altro che quello… una botta e via,
insomma.»
Dissi
quelle cose tutto d’un fiato, per paura che se mi fossi fermata poi non sarei
più riuscita a dire nulla, e scoprii che quelle parole dette ad alta voce erano
ancora più brutte del previsto.
Avevo
tenuto gli occhi bassi per tutto il tempo, e quando li rialzai vidi che Edward
non mi guardava, ma che teneva i suoi occhi fissi verso la finestra alle mie
spalle. Aveva le labbra strette tra di loro, e le sopracciglia aggrottate: quei
particolari mi fecero capire che le mie parole lo avevano irritato, e forse
anche ferito. No, leviamo pure il forse… lo avevano sicuramente ferito.
«Edward…»
soffiai, e feci per stringergli la mano ma lui la scostò, allontanandosi anche
col corpo. «Sei arrabbiato con me?»
Sbuffò,
un misto tra un respiro e una risata strozzata. «Non serve che ti risponda, eh
Bella?»
Chiusi
gli occhi, maledicendomi di nuovo, ma stavolta perché non avevo tenuto conto
che potevo farlo star male per via di quello che mi passava per la testa.
«Edward, sono stata una stupida a pensare quelle cose, l’ho capito subito… ma
non credevo che non ti avrei trovato una volta sveglia.» strinsi le mani tra di
loro, sentendomi nervosa e dispiaciuta. «È stato un momento di insicurezza, mi
dispiace…»
Edward
annuì, tornando a guardarmi. Aveva sempre lo sguardo severo, ma almeno non
sembrava più arrabbiato come poco prima. «Ti credo, Bella… però, devo sapere
una cosa.» aspettò che facessi un segno di assenso prima di riprendere il
discorso. «Ti sei sentita insicura per quello che è successo ieri, o per altro?
C’è qualcosa di cui non sei tanto convinta?»
«No,
nulla! Io sono convinta di tutto, Edward, di tutto. Ma è tutto così nuovo, per
me, e per un attimo ho pensato che fosse tutto un sogno… un bel sogno, ma che
fosse già finito e sepolto nella mia mente.»
«E hai
pensato che ero tornato alle relazioni di una sola notte?» domandò, pacato.
Annuii,
e in men che non si dica mi trovavo già stretta a lui, con le braccia strette
sulla sua vita e con le sue mani che mi carezzavano dolcemente la schiena.
Restammo in silenzio, e in quel momento sentirlo di nuovo vicino era la cosa
più importante per me. Avergli confessato quel mio piccolo momento di debolezza
mi fece sentire bene, anche se stupida.
«Se tu
non fossi così importante per me, tesoro, non mi troverei qui.» disse, con le
labbra tra i miei capelli. «E ti giuro che stare qui con te è l’unica cosa che
voglio fare adesso, e nei prossimi giorni.»
«Mi
dispiace di essere così sciocca…» borbottai.
Edward
mi fece sollevare il viso, e prese a strusciare il naso contro il mio, in un
dolce bacio all’eschimese. «Il tuo essere sciocca è la cosa che mi fa impazzire
di te, sai?» e sorrise.
«E a me
fa impazzire questo tuo lato così bugiardo e ruffiano.» risi, contenta che quel
momento di tensione fosse ormai alle nostra spalle. «Edward?»
«Sì?»
Ti amo. «Ti voglio bene.»
Lo so,
avrei dovuto confessargli che lo amavo… ma in quel momento mi sembrò troppo
azzardato. Avrei trovato un altro momento per dirglielo, magari uno migliore.
Le
nostre labbra si incontrarono, e stretti in quell’abbraccio cominciammo a
scambiarci dei piccoli e brevi baci, ma non per questo meno intensi o
importanti. E questi bacetti ebbero lo stesso il potere di coinvolgerci e di
accenderci… in quel senso.
«Più
tardi ti dimostrerò quanto anche io ti voglio bene…» mi disse lui non appena ci
staccammo.
«Perché
non adesso?» chiesi, un po’ scocciata per il suo voler rimandare a ‘più tardi’.
«Perché
per allora nessuno potrà disturbarci…» e sorrise sghembo un'altra volta,
baciandomi infine la punta del naso.
***
«Hey,
guarda un po’ chi si è appena unita a noi?» annunciò Edward, di ritorno dal
salotto con una Allyson ancora mezza addormentata in braccio.
Smisi
di mescolare la brodaglia verde, che si andava riscaldando, e mi avvicinai a
loro in fretta. «La mia piccola dormigliona!» scimmiottai, rapendola dalle sue
braccia e stringendola forte contro il mio petto mentre le baciavo la testolina
arruffata.
«Mamma,
ho sonno…» si lamentò subito, strofinandosi gli occhi con un pugno e mantenendo
le labbra imbronciate.
«Dormi
più tardi, amore, adesso si mangia. La mamma ha preparato una cosina… ehm… un
sacco strana!» Edward tentennò un po’, per niente convinto di quello che stava
dicendo.
«E che
cosa è?» borbottò, confusa. La capivo, povera piccola.
«Aspetta,
te lo faccio vedere…» mi spostai con lei in braccio e andai ai fornelli, e
sollevai il coperchio con la mano libera, sorridendo. «La riconosci Allie?»
«È la
zuppa di alieno! Mamma, ne hai ucciso un altro!» urlò, talmente forte che
sembrava che le fosse passato il sonno tutto d’un tratto, e mi guardò con gli
occhioni sgranati.
«Ti
stava facendo i dispetti mentre dormivi, così sono andata da lui e BAM!, l’ho
preso e l’ho messo in pentola! Ho sbagliato?»
«Nonono,
hai fatto bene! Brava mamma!» Allie mi abbracciò e mi baciò la guancia. «Lo
posso mangiare?»
«Ma
certo! Se vai a sederti te la porto subito…»
Dopo
che la ebbi messa a terra, la piccola trotterellò tutta contenta verso il
tavolo e si arrampicò su una delle sedie. La stavo ancora guardando divertita,
ma Edward interruppe quel mio piccolo momento ponendomisi davanti, e
intrappolandomi tra lui e i fornelli.
«C’è cascata
sul serio! Sei una strega, ammettilo…» la sua faccia incredula era da
immortalare, ma visto che non avevo una macchina fotografica a portata di mano
mi limitai a ridere.
«No,
sono solo una mamma che vuole bene alla sua bambina… e che le rifila le verdure
spacciandole per qualcosa di più divertente.» ammisi, scuotendo le spalle.
«È
quello che ho detto io: sei una strega.» si avvicinò con il viso al mio e
sfiorò impercettibilmente il mio naso con le labbra. «La mia strega.» aggiunse,
e alla fine fece incontrare, ancora una volta, le nostre labbra.
_________
Eccomi!
Vi è piaciuto il capitolo? Fatemi sapere
come sempre cosa ne pensate ;)
Ci sono stati momenti di incomprensione e
momenti di confidenze, come avrete sicuramente notato: da Bella che si sveglia
pensando male di Edward – eh, vabbé u.u – e che capisce di aver sbagliato, fino
al momento della pace.
Che ne pensate della sua reazione? Troppo esagerata
oppure del tutto comprensibile? Per come la penso io, è comprensibile: è la
prima volta che prova sentimenti così forti per una persona – notate il ‘ti amo’
che non riesce a dire, verso la fine del capitolo –, e non trovandosi accanto
Edward al suo risveglio va subito a pensare al peggio. Beh, io non la biasimo
troppo, visto il donnaiolo che era il suo boyfriend prima XD la capisco un
pochino :3
Passiamo ai discorsi tra ragazze, e alle
loro predizioni del futuro: sappiate che una delle ipotesi che hanno ‘predetto’
è giusta, ma non vi dico qual è XD voglio lasciarvi con questo dilemma per un
bel po’, fino a quando non sarà arrivato il momento di svelarlo :3
Bene, non voglio dire altro perché queste
note sono diventate chilometriche XD quindi vado via! Ci sentiamo al prossimo
aggiornamento e mando a tutte voi un bacione enorme :*
Ah! Ecco XD se vi va di dare una sbirciata
alla mia nuova storia, “Sotto un cielo coperto di stelle”, trovate il link
nella mia pagina autore… e lo stesso vale per il gruppo su Facebook, se volete
sbirciare anche lì ;) ciao!
|
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Capitolo 20 *** Capitolo 20 ***
Solo il tempo... - Capitolo20
Buon pomeriggio!
Eccomi qui a postare, proprio come vi avevo
promesso sul gruppo
di Facebook :D
Questo di oggi è un capitolo più lungo
degli altri, ma di poco però XD alcune volte non riesco proprio a trattenermi e
divento logorroica u_u
Ci leggiamo in basso ;)
Solo il
tempo
Capitolo
20
Tenevo
gli occhi fissi sulla strada di fronte a me e cercavo con tutta me stessa di
non distrarmi, troppo impegnata com’ero a guidare e a ricordare le indicazioni
che Edward mi aveva dato. Il navigatore era spento, ma solo perché avevo deciso
così: dovevo imparare a memorizzare le vie e i posti della città, e non potevo
continuare ad affidarmi a quell’aggeggio elettronico.
Se un
giorno si fossero scaricate le batterie proprio nel momento del bisogno, ed io
non avrei saputo da che parte andare, sarei rimasta nella merda.
Ogni
tanto controllavo Allyson grazie allo specchietto retrovisore, ma lei se ne
stava tutta tranquilla e calma che non dovevo farlo troppo spesso.
Chiacchierava piano con il suo nuovo amico, un enorme gorilla di peluche che
aveva chiamato Twinkie. Mi veniva voglia di mangiare una merendina ogni volta
che pronunciava quel nome.
Qualche
giorno prima, Edward si era presentato a casa mia con un enorme regalo per
Allie, che conteneva per l’appunto Twinkie. Visto l’avvicinarsi delle feste di
Natale avevo pensato che avesse voluto consegnarglielo prima, dato che io e lei
saremmo partite entro pochi giorni per passare le feste a Forks… ma lui, tutto
divertito, mi aveva assicurato che quello non era il suo regalo di Natale. Era
solo “una sciocchezza”, se volevo proprio usare le sue parole.
Se
regalare a mia figlia un peluche grande il triplo di lei e che sembrava essere
costato almeno un centinaio di dollari per lui rappresentasse ‘una
sciocchezza’, non volevo immaginare cosa potesse essere un ‘regalo serio’… come
minimo, qualcosa di enormemente costoso che avrebbe sicuramente messo in ombra il
mio set di profumo e bagnoschiuma della Dolce & Gabbana, che avevo scelto
per lui.
Al solo
pensarci le budella mi si attorcigliarono fastidiosamente, così cercai di
distrarmi e di tornare a capire dove dovessi andare. Ero quasi arrivata sul
lungomare, e secondo i miei calcoli non mancava poi così tanto per arrivare a
destinazione.
Cinque
minuti dopo, infatti, mi fermai di fronte alla palazzina che Edward mi aveva
descritto e che era contrassegnata dal numero 723. Lui viveva nell’appartamento
4d, quindi all’ultimo piano.
Si
trattava bene, il ragazzo…
Sbuffai
per trattenere una risata, e nel mentre slacciai la cintura di sicurezza.
Raccattai la borsa dal sedile accanto e mi voltai, sorridendo a mia figlia.
«Allie, sei pronta? Siamo arrivate!»
«Andiamo
da Edwadd? Twinki, andiamo da Edwadd!» esclamò tutta contenta lei, rivolgendosi
al suo amico gorilla.
Ridacchiando,
scesi dalla macchina e mi occupai di far scendere la bambina e il suo amato peluche,
senza contare il borsone che avevo preparato e che conteneva tutto il
necessario per me e per Allie. Avremmo passato la notte da Edward, su sua
insistenza, anche perché lui non vedeva l’ora di mostrarci il suo appartamento.
Quella
era la prima volta che mi recavo a casa sua; fino a quel momento era stato
sempre lui l’unico a spostarsi e a raggiungermi ne mio appartamento, ma non si
era mai lamentato di questo e non mi aveva mai fatto notare quel dettaglio.
Forse non lo aveva fatto perché c’era la bambina insieme a noi, o perché non
voleva rovinare le sue abitudini…
Ma
ormai, dopo tre mesi che ci frequentavamo, doveva aver capito che l’hobby
preferito di mia figlia, a soli tre anni e mezzo, era quello di fregarsene
delle sue abitudini e di andare sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo da
scoprire. Ero più che sicura che stare nell’appartamento di Edward, per lei, rappresentasse
una bella e nuova avventura… dove avrebbe potuto sicuramente combinare qualche
macello, per di più.
«Ecco
qui…» borbottai tra me e me, una volta che ebbi scaricato il bagaglio e aver
chiuso l’auto.
Feci
per prendere il borsone in una mano e la mano di mia figlia nell’altra, ma non
avevo contato che dovevo portare anche l’ingombrante Twinkie con me: era
escluso che lo avrebbe portato Allyson, era troppo grande e fuori dalla sua
portata.
«E come
facciamo adesso con lo scimmione?» esclamai, inarcando le sopracciglia per aver
dimenticato, anche se solo per pochi secondi, quel dettaglio.
«Mamma,
non lo chiamare cimmione!» mi rimproverò la bambina.
«Già,
mammina, lascia stare lo cimmione!» qualcuno, dalla voce molto familiare, mi
rimproverò seguendo l’esempio di mia figlia. Non mi voltai per niente, e rimasi
a testa bassa con una mano premuta sulla fronte, domandandomi per quale oscuro
motivo Edward doveva mettersi a scimmiottarmi, e a fare lo stupido in generale,
ogni volta che ne aveva l’occasione.
E in
quel momento la parola ‘scimmiottarmi’ cadeva proprio a fagiolo, visto il nuovo
arrivato.
«Sei
ridicolo!» dissi alla fine, divertita e un po’ seccata, quando lo guardai.
Edward
aveva preso in braccio Allie e teneva il viso molto vicino al suo, tanto che le
loro guance si toccavano; mi sorrideva sghembo, come sempre, e sembrava stesse
trattenendo una risata. Allie invece era tutta contenta e soddisfatta di stare
tra le sue braccia, lo si capiva dall’aria beata che aveva assunto il suo
visino e dalle braccia che teneva appolipate attorno al suo collo.
«Ridicolo?
Io? No, guarda che stai sbagliando persona!» mi accusò, scuotendo la testa.
«Certo,
certo…» imitai le sue mosse e poi mi avvicinai a lui, passandogli un braccio
attorno alla vita. Poggiai la fronte contro la sua spalla e gliela baciai,
piano. «Perché sei sceso?» domandai, incuriosita dalla sua improvvisa comparsa.
«Sono
venuto a compiere il ruolo di bravo padrone di casa. Che dici, saliamo? Qui
fuori fa un po’ freddo…»
«Sì,
sarà meglio.» annuii, staccandomi da quella specie di abbraccio a tre in cui
eravamo rimasti coinvolti.
Presi
Allyson dalle sue braccia mentre lui, davvero da bravo padrone di casa, si
caricava del borsone e dello scimmione Twinkie. Insieme poi entrammo nella
palazzina e salimmo fino al quarto piano con l’ascensore: era escluso che mi
facesse fare un’altra scarpinata su per le scale.
«Eccoci
arrivati.» annunciò Edward quando le porte dell’ascensore si aprirono sul
pianerottolo deserto, e dove si affacciavano solo due porte; una di queste era
aperta.
«Hai…
hai lasciato aperta la porta di casa tua?» chiesi quando notai quel
particolare, e subito lo guardai con un occhiataccia di rimprovero. «Ma sei
impazzito? Poteva entrare qualcuno…»
«Ma
sono l’unico che abita in questo piano! L’altro appartamento è ancora vuoto!»
si giustificò subito, con tono lamentoso. Sbuffò, grattandosi i capelli.
«Bella, ti prego, la smetti di guardarmi in quel modo? Mi metti paura.»
«Ti
metto paura? Ma che storia è questa!?»
«È
vero, mi metti paura.» Edward borbottò ancora ed evitò il mio sguardo,
approfittando del fatto di essersi chinato per poggiare la roba che aveva
portato su.
Approfittai
di quella piccola tregua per chiudere la porta e per guardarmi intorno: la casa
di Edward era davvero carina, enorme per una persona che viveva da sola, ma
carina. Le pareti in mattone chiaro davano l’aria di essere all’interno di un
loft e l’arredamento era semplice, e tipicamente maschile. Si notava benissimo
che mancava il tocco di una donna.
Chissà
se mi avrebbe dato il permesso di apportare qualche modifica all’ambiente…
«Mamma,
mettimi giù!» Allie, che tenevo ancora in braccio, cominciò a dimenarsi nel
tentativo di liberarsi e quasi mi mollò un calcio sul fianco.
«Ehi,
signorina, fai piano!» la ammonii, arrabbiata, ma mi sbrigai lo stesso a
chinarmi e a lasciarla andare: i suoi calci erano tremendi e non volevo davvero
provarne un altro.
Le
tolsi il giacchetto, cercando di trattenerla e di svolgere bene quel compito
nonostante lei volesse squagliarsela a tutti i costi. «Fai la brava…» la
ammonii di nuovo.
«Voglio
andare in giro!» esclamò subito, giustificando così la sua impazienza.
«Vuoi
andare a esplorare?» sorrisi, stringendo la sua manina nella mia. «Adesso
chiediamo a Edward se ci fa fare il tour della casa…» volevo unirmi a lei
perché ero curiosa di sapere, e di vedere con i miei occhi, quanto fosse
veramente grande quella casa. Solo l’angolo cucina e il salone erano
grandissimi, quindi chissà quanto era grande tutto il resto.
«Allie,
se tu vuoi già andare in giro puoi farlo, io devo dire quattro parole alla
mamma.» Edward, che si era fatto di nuovo vivo, si chinò e liberò la bambina
dalla mia presa facendole l’occhiolino, e dandole così campo libero.
«Ma…»
cercai di lamentarmi, ma mia figlia fu più rapida nel parlare… o meglio,
nell’urlare.
«Evvivaaaa!»
con un urlo degno di Alice – quelle due passavano troppo tempo insieme per i
miei gusti – si mise a saltare sul posto prima di mettersi a correre e di
sparire verso il corridoio buio, diretta verso chissà quale stanza.
Edward
si mise a ridere, scuotendo la testa. «Hai visto com’era contenta?» mi chiese.
«Oh sì,
ho visto…» trattenni un risolino mentre mi rialzavo e mi toglievo la giacca.
«Preparati a qualche disastro, sono sicura che ne combinerà a momenti.»
«Può
combinare tutti i disastri che vuole, non ho nulla di veramente prezioso in
casa… beh, a parte l’impianto stereo. E la mia collezione di dischi in vinile.»
«Hai
una collezione di dischi in vinile? Voglio vederla!» esclamai, sgranando gli
occhi per la sorpresa. Mi misi a saltare come una monella, aggrappandomi alle
sue spalle per mantenere l’equilibrio. «Voglio. Vederla!»
Edward
rise di nuovo. «È proprio lì, accanto alla finestra. Ma prima…» mi arpionò
all’improvviso i fianchi con le mani e mi fece smettere di saltellare,
avvicinandomi di più al suo corpo. «Non mi hai ancora salutato per bene,
tesoro. Ci sono rimasto male, sai?»
Feci
una smorfia con le labbra e gli diedi un buffetto sulla guancia. «Povero
piccolo… come posso rimediare?»
Non
attesi la sua risposta perché non ce ne fu nemmeno una, anzi, a dire la verità
ci fu eccome, ma fu molto silenziosa e molto… umida.
Gli
strinsi un braccio lungo le spalle e con l’altra mano gli carezzai il collo
mentre cominciavamo a baciarci. Le sue mani solleticavano la mia pelle al di
sopra del maglioncino che indossavo, ma ben presto si spostarono e scesero sul
mio sedere per strizzarlo a dovere.
Mi
venne da ridere, così mi scostai di pochissimi millimetri per farlo e per farmi
sentire da lui. Rimasi con gli occhi chiusi, quindi non potei capire se Edward
mi stava prendendo per pazza o se fosse divertito come me. Tornai a stampargli
un bacio umido sulla bocca prima di mordergli scherzosamente il labbro
inferiore, carnoso, e che mi faceva impazzire tutte le volte.
«Ti
diverti, eh?» mormorai, socchiudendo gli occhi.
«Se si
tratta di te mi diverto sempre, dovresti saperlo ormai.» mi rispose,
ridacchiando. Sentii la sua lingua che, birichina, seguiva il contorno delle
mie labbra dischiuse e si infilava a tradimento nella mia bocca. Quel gesto mi
fece mugolare di eccitazione, e mentre cominciavo a imitarlo sentii la sua mano
che si infilava all’interno dei mie jeans e sussultai, presa alla sprovvista.
«Sei
impazzito…» gemetti, tra un bacio e l’altro. «Di là c’è una minore, potremmo
scioccarla…» aggiunsi, cercando di farlo ragionare.
«Mhm…
non mi sembri molto convinta…» mi sbeffeggiò lui.
«Non lo
sembri nemmeno tu!»
«Infatti
non lo sono. Anzi, ti faccio vedere su cosa sono molto convinto…» e sorridendo
in maniera che si poteva benissimo considerare illegale mi prese in braccio e
mi trasportò con poca gentilezza fino al divano.
Edward
si sedette su di esso, facendomi sistemare a cavalcioni su di lui. Tornò con le
mani sul mio sedere, una si intrufolò come prima tra i jeans e le mutandine. Mi
morsi le labbra nel tentativo di non far vedere che il suo gesto mi piaceva: cominciavo
a sentirmi strana, il che non andava affatto bene.
Cavolo,
c’era Allyson dall’altra parte della casa! Ci aveva già beccati in un occasione
simile, e non volevo che accadesse di nuovo! Però, era così difficile smettere
di amoreggiare con il mio ragazzo…
«Che
c’è, hai perso la lingua?» mi prese in giro lui, poggiando il pollice sulle mie
labbra. Glielo bagnai con la punta della lingua, facendogli vedere che era
tutto a posto. Si mise a ridere. «No, è tutto a posto…» mormorò, sollevandosi
per raggiungere il mio viso.
Ci
stavamo baciando di nuovo e stavano dando vita a un nuovo spettacolo per soli
adulti quando un rumore assordante, come di qualcosa che cadeva disastrosamente
a terra, ci raggiunse.
Mi
scostai da Edward e chiusi gli occhi, sbuffando verso l’alto. «Allyson…» dissi
stancamente.
«Ha
fatto danno.» disse invece Edward con voce bassa e timorosa.
«Già, e
tu che non volevi crederci!» mi misi a ridere e scesi dalle sue gambe, anche se
dovetti aggrapparmi alle sue ginocchia per capire se riuscivo a mantenermi bene
in equilibrio sulle mie per andare a controllare cosa aveva appena combinato
mia figlia.
Stare
accanto a lui era destabilizzante, sul serio. Non riuscivo a capire se mi sarei
mai abituata a questo, o se dovevo già gettare la spugna e smettere di
chiedermelo in continuazione.
***
Due
mensole della libreria rotte: questo era il responso dei danni che aveva
combinato la bambina. La piccola peste si era divertita ad arrampicarsi sugli
scaffali perché voleva prendere un piccolo panda di peluche, posizionato
proprio sul punto più alto e che lei non sarebbe mai riuscita a prendere senza
il nostro aiuto. Lei fortunatamente non si era fatta niente, si era solo
spaventata perché aveva capito di aver commesso un grosso errore e ne era
rimasta parecchio dispiaciuta… ma questo motivo non le toglieva di certo una
bella sgridata e una punizione.
Grazie
alla sua trovata, io e Edward avevamo trascorso la successiva ora e mezza a
riordinare i libri caduti e a sistemare provvisoriamente in un angolo del suo
studio – sì, Edward aveva anche uno studio dentro casa! – quelli che sarebbero
andati poi a riempire le mensole una volta sostituite.
Per
fortuna che avevamo deciso di ordinare delle pizze quella sera, altrimenti
anche la cena sarebbe saltata. C’era anche il gelato come dessert, una
vaschetta di gusti misti presa nella gelateria che, a detta di Rosalie,
preparava il gelato più buono di tutta Los Angeles, corredato di coni e cialde…
e che Allie non avrebbe mangiato neanche se mi avesse supplicata per ore di
farlo.
Questa
era la sua punizione per aver combinato un altro dei suoi numerosi disastri.
«Ma non
sarai stata troppo cattiva?» mi sussurrò Edward, sporgendosi verso di me come
poteva visto l’ostacolo del tavolo. «Guardala, che faccino triste… mi incute
tristezza.»
Scossi
la testa, risoluta, mordendo la mia fetta di pizza. «No, sono stata anche
troppo buona! È quel che si merita per aver combinato dei pasticci.» dissi,
voltandomi per osservare la bimba.
Seduta
accanto a Edward, mangiava la pizza stando in silenzio e con il visino tutto
imbronciato; non le andava a genio la punizione che aveva ricevuto. Era anche
la più azzeccata per lei: amava moltissimo i dolci e le porcherie in generale,
quindi toglierle il gelato per lei era una vera e propria tortura. E per di più
aveva persino smesso di parlarmi, arrabbiata com’era.
«Ma
come fai a resistere? Sul serio, se mi chiedesse di buttarmi dal terrazzo io lo
farei subito!»
Guardai
Edward senza dire niente, cercando di capire se stava dicendo sul serio. La sua
espressione, un misto tra il dispiaciuto e l’intenerito, mi diede la risposta
giusta: stava dicendo la verità.
«Edward,
ma da che parte stai? La sua o la mia? Ti ha appena distrutto la libreria!» gli
feci notare.
«Lo so
che è stata tremenda, ma… ma è così carina!» soffiò, voltandosi per guardare la
piccola.
Mi
premetti una mano sulla fronte, chiudendo gli occhi per lo sconforto. Sapevo da
un sacco di tempo che nessuno, e ribadisco nessuno, riusciva a resistere a mia
figlia perché era bella, tenera, dolce e carina… ma era anche uno tsunami
devastante! E anche dopo che avevano scoperto la sua incredibile tendenza a
combinare disastri continuavano a volerle bene e a considerarla carina.
Anche
Edward.
Ed io
ero una delle poche persone che riusciva a tenerle testa; l’altra,
naturalmente, era mia madre. Neanche papà riusciva a restare arrabbiato davanti
alla sua nipotina.
Finita
la cena, ci spostammo tutti e tre sul divano per guardare qualcosa di carino
alla televisione mentre aspettavamo che il gelato, appena tolto dal freezer, si
sciogliesse abbastanza da poterlo mangiare. Non mi era sfuggita l’occhiata di
desiderio che Allie aveva riservato alla vaschetta quando stavamo lasciando la
cucina…
Bimba
ingorda.
«Amore,
scegli tu cosa vuoi vedere! Un cartone? Un documentario? Un film dell’orrore?»
Edward cercava di tirare su il morale alla bambina, che era ancora arrabbiata
con me e che non mi voleva ancora parlare.
Alle
parole ‘film dell’orrore’ gli regalai una delle mie più terribili occhiatacce.
Era pazzo se pensava di far vedere un horror a una bambina così piccola… poi,
l’orrore glielo facevo vedere io.
Con una
ceretta alle parti basse.
«Voglio
vedere Giselle!» rispose lei, battendo le mani.
«Giselle?
Ehm… credo di non avere questo film…» tentennò lui, carezzandole i capelli.
«Come
no?» l’entusiasmo di Allyson scemò tutto di botto, grazie alla sua brillante
risposta.
Alzai
gli occhi al cielo, cercando di non ridere. Mi coprii la bocca con una mano e
quando capii che il peggio era passato la riabbassai. «Edward, intende ‘Come
d’incanto’.»
«Ah…
AH!» esclamò tutto d’un tratto, sollevato che qualcuno lo avesse aiutato e gli
avesse dato una dritta. «Ma sì, ce l’ho ‘Come d’incanto’! Ho il dvd originale!
Vado a metterlo subito.» prima di alzarsi, diede un bacio sulla guancia a Allie
e la fece sistemare sul divano, al suo posto.
Approfittai
della sua uscita di scena, seppur breve, e mi avvicinai piano a mia figlia per
fare la pace con lei. Odiavo quando era arrabbiata con me per qualcosa,
specialmente quando la sgridavo per qualcosa che aveva combinato lei e si
meritava le strigliate… alla fine, la cattiva ero sempre io.
Era
dura fare la mamma!
La
afferrai per le ascelle e la sollevai, facendola poi sedere sulle mie gambe.
Mentre la abbracciavo le baciai piano la fronte, e per fortuna lei non oppose
resistenza ai miei gesti: pensai che fosse un buon segno. «Guardiamo il film
insieme?» le sussurrai all’orecchio.
«No.»
disse seccamente. Okay, quella non era la risposta che mi immaginavo di
ricevere da lei.
«Perché
no?» chiesi, allora.
«Perché
sei cattiva!» disse a voce più alta, incrociando le braccia: se non avesse
avuto indosso il pigiamino blu dei Puffi, sarebbe sembrata senza dubbio più
minacciosa… ma visto che lo indossava, era soltanto carina e coccolosa.
«Eddai,
amore, lo sai anche tu che ho ragione, no? Hai fatto una cosa brutta brutta, e
adesso devi fare penitenza. Dai che domani il gelato lo puoi mangiare…» la
strinsi forte forte, dandole un altro bacino. «Lo mangiamo a colazione, eh? Che
ne pensi?»
Non mi
rispose, limitandosi a rigirarsi sulle mie gambe per abbracciarmi e per
baciarmi la guancia. Doveva essere un sì, quello. Contenta per il risultato che
avevamo ottenuto, sorrisi con gli occhi chiusi e li riaprii solo quando sentii
Edward che tornava a sedersi accanto a noi. Sorrideva anche lui, notando il
modo in cui eravamo abbracciate.
Così,
per una buona mezz’ora ci mettemmo a guardare il film tranquillamente, ridendo
per le battute stupide che Edward sparava ogni tanto e per le vicende del film.
‘Come d’incanto’ piaceva molto anche a me, però io ero di parte: adoravo quasi
tutti i film della Disney, mi facevano ricordare la mia infanzia e poi tornare
bambini, anche se solo per poche ore, era sempre bello. E adoravo guardare quei
film con la mia piccola brontolona, e teppistella.
Beh, a
dire la verità amavo quel film perché ci recitava anche Patrick Dempsey, ma non
lo avrei mai ammesso davanti a nessuno!
«Mamma,
ho sete!» mi disse lei tutto d’un tratto, attirando la mia attenzione.
Annuii,
preparandomi già ad alzarmi dal divano per recuperare dell’acqua. «Vado a
prenderla subito, amore.»
«Nooo!
Ci vado io, sono grande!» mi fermò subito, e veloce come una scheggia scese dal
divano e attraversò di corsa il salone semi buio per andare in cucina.
Leggermente
perplessa, battei un paio di volte le palpebre, guardando il punto in cui era
appena sparita mia figlia. Smisi di farlo quando sentii un braccio di Edward
circondarmi le spalle e trascinarmi senza troppe cerimonie verso di lui.
Poggiai la testa sul suo petto, beandomi della sua vicinanza.
«Secondo
me ha in mente qualcosa…» borbottai.
Lo
sentii sbuffare. «Sei troppo sospettosa, tesoro. Rilassati, stai tranquilla…
conosco un metodo infallibile per farlo, sai?»
«Mhm,
credo di conoscerlo…» sollevai la testa per guardarlo meglio, e nel mentre
intrecciai le dita della mia mano alle sue. Gli sorrisi, e mi avvicinai al suo
viso per lasciargli un leggero bacio sul mento, proprio sul punto in cui aveva
la cicatrice della varicella.
«Non
possiamo fare nulla di troppo spinto, grazie a tua figlia…» mormorò lui, un po’
seccato per quella osservazione, tanto che mi fece ridere.
«Più
tardi mi farò perdonare, davvero.»
«Non
puoi farti perdonare adesso? Allyson mi sembra impegnata...» Edward si sollevò
un po’ dal divano e cominciò a guardare verso la cucina; subito, chiuse gli
occhi e un sorriso desolato nacque sulle sue labbra. «Che mi venga un colpo!»
Inarcai
le sopracciglia. «Perché? Che sta facendo?»
«Eh…»
tornò a guardarmi e, dolcemente, mi scostò una ciocca di capelli dalla tempia.
«Non voglio fare la spia, ma hai lasciato il gelato accanto al lavandino…»
«Sì, e
allora?» subito dopo averlo chiesto, un illuminazione mi attraversò la mente e
sgranai gli occhi.
«ALLYSON!»
urlai, scattando via dal divano in fretta e furia per riacciuffare quella
teppista di bambina.
***
Mi
stropicciai gli occhi con una mano, sbadigliando. Avevo sonno e mi sentivo
stanca, ma nonostante questo non riuscivo comunque ad addormentarmi. Era come
se non ci riuscissi perché sentivo che mancava qualcosa… ma non capivo cosa accidenti mancasse.
Di
certo, Allyson non aveva avuto nessun problema nell’abbandonarsi al sonno.
Dormiva beatamente già da un paio d’ore, infatti, ovvero da quando era finito
il film e Edward le aveva cantato una ninna nanna terribile per farla
addormentare. Terribile, vero, ma dai poteri magici: era crollata nel giro di
pochi minuti.
Dovevo
capire quale fosse il suo trucchetto.
Con me
la ninna nanna, però, non aveva funzionato; forse il motivo era perché ero
troppo cresciuta per ricorrere a una canzoncina che conciliava il sonno… dovevo
per caso mettermi a contare le pecore?
Beh, se
non c’era altra scelta… una pecorella, due pecorelle, tre pecorelle, contai
mentalmente.
«Pss,
Bella!»
Girai
il viso di scatto verso la porta, socchiusa, dalla quale penetrava un bagliore
fioco e da dove Edward mi stava guardando. Vedevo a stento il suo viso per via
della poca luce. «Che c’è?» bisbigliai.
«Non
dormi?» mi chiese, sempre bisbigliando.
«Sembra
di no…» gli risposi, anche se alla sua domanda non serviva alcuna risposta; se
stavo parlando con lui, era ovvio che non stessi dormendo.
«Vieni
un secondo? Devo dirti una cosa…»
Sgusciai
fuori dal letto dopo aver dato un occhiata ad Allie e cercando di non fare
troppo rumore, poi raggiunsi Edward alla porta. Uscii, lasciandola socchiusa, e
come mi voltai venni intrappolata dalle sue braccia, costretta a premere il mio
corpo contro il suo. Beh, non ero proprio costretta… ero più che contenta di
farlo!
«Cosa
devi dirmi? È importante?» domandai, guardandolo negli occhi. Avevo notato più
di una volta che le sue iridi tendevano a diventare più scure quando c’èra poca
luce, e in quel momento stava accadendo la stessa cosa: dal verde smeraldo, i
suoi occhi erano sfumati in un intenso verde bosco, quasi nero.
Edward
mi sorrise, birichino. «Veramente stavo cercando una scusa per stare solo con
te.»
«Oh,
bene!» esclamai con un risolino, allacciandogli le braccia al collo. «Non
riesci proprio a starmi lontano, eh?»
«Se
stiamo nello stesso posto no, devi assolutamente starmi accanto!» rispose,
abbassandosi su di me per rubarmi un bacio, e per rubarne poi un altro.
«Andiamo in camera mia?» aggiunse.
«E la
bambina?» chiesi: non volevo lasciarla sola, non adesso che ci trovavamo in un
posto diverso dalla nostra casa.
«Lasciamo
le porte aperte, così se si sveglia la sentiamo. Su, vieni…» sciogliendo
l’abbraccio, Edward mi prese per mano e dopo aver spalancato la porta della
camera degli ospiti, dove ci eravamo sistemate io e Allyson per quella notte,
mi tirò verso di sé per portarmi in camera sua.
Entrando,
notai che la sua stanza era spaziosa e poco arredata: c’era giusto
l’essenziale, letto, comodini, armadio e cassettiera. Non era mica come la mia,
dove mi ero divertita a metterci di tutto e di più. Una poltrona in pelle non
ci sarebbe stata male, osservai mentre Edward mi guidava verso il suo letto
matrimoniale.
«Siediti
qui, devo mostrarti un paio di cose…» mi avvertì, spingendomi a sedere sul
materasso mentre lui, velocemente, andava verso la cabina armadio e la apriva.
Si chinò, mettendo così in bella mostra il suo meraviglioso e invitante lato B
costretto in un paio di calzoncini neri. Mi ritrovai a passarmi la lingua sulle
labbra e ad arrossire, non potendomi proprio trattenere.
Che ci
potevo fare, se il corpo del mio ragazzo era da censura?
Mi
riscossi da un improvvisa fantasia a luci rosse che vedeva come protagonisti me
e Edward, quando sentii i suoi passi avvicinarsi e poi arrestarsi nel momento
in cui si sedette accanto a me. Spostai lo sguardo su di lui e sulle due buste,
una grande e una piccola, che aveva portato con se.
«Cosa
sono?» domandai subito, incuriosita. Mi tirai indietro sul materasso e mi
sedetti a gambe incrociate, preparandomi a vedere cosa ci fosse all’interno
delle buste. Non mi aveva mentito prima, voleva davvero dirmi qualcosa… e
mostrarmi qualcosa.
«I
vostri regali di Natale.» disse solamente, e agitò le buste davanti ai miei
occhi come se fossero stati dei semplici sonaglini.
«Oh!»
quella sillaba fu l’unica cosa che mi uscì dalle labbra. I regali di Natale…
era quasi ovvio che ce li avrebbe dati prima del 25, dato che non lo avremmo
trascorso insieme, e per di più saremmo stati lontani centinaia di chilometri.
Ed io non avevo portato il mio regalo con me… che stupida che ero stata! «Io…
ho dimenticato il tuo a casa, mi dispiace…»
Edward
scrollò le spalle. «Non importa, tesoro, non è un problema. Posso sempre venire
a trovarvi domani, così risolviamo il problema.»
«Giusto,
non ci avevo pensato!» quella soluzione mi risollevò subito il morale. «Cosa
c’è nella busta grande?»
«Il
regalo per tua figlia. Ti faccio vedere prima questo perché per il tuo devi
aspettare ancora un po’…» ridacchiò, mettendo da parte la busta più piccola e
mettendomi davanti quell’altra. «Non è ancora incartato, ma la commessa del
Disney Store mi ha dato tutto il necessario. È meglio farle credere che è da
parte di Babbo Natale, oppure che è da parte mia?»
Soffocai
una risata. «La prima ipotesi, senza alcun dubbio. Posso vedere cosa le hai
preso?»
«Non
l’ho incartato proprio per farmi dare la tua opinione…» Edward spinse la busta
verso di me, dando così campo libero a me e alla mia curiosità.
Come se
il regalo fosse per me, e come se fossi diventata tutto d’un tratto una bambina
di cinque anni, mi gettai sulla busta di plastica blu e la aprii per scoprirne
il contenuto. Rimasi così sorpresa e eccitata che fui tentata di tenere per me
quel regalo.
«Wow!
Il blu-ray originale di ‘Rapunzel’ e il peluche gigante di Pascal!» esclamai,
afferrando subito il camaleonte verde e abbracciandolo stretto. Cielo, era
morbidissimo! E l’espressione del viso era adorabile! Quasi quasi mi veniva
voglia di nasconderlo e di non farlo vedere a nessuno, neanche ad Allyson.
«Le
piacerà secondo te?» mi chiese Edward, visibilmente divertito dalla mia
scenetta con Pascal sotto braccio.
«Lo
adorerà! Hai battuto persino la collezione di bambole che le ha comprato mia
madre!»
«Ne
sono contento allora! E adesso passiamo a te…» dopo aver messo da parte sia il
dvd che il peluche – cosa che non mi piacque per niente -, prese per i
cordoncini l’altra busta e me la porse.
La
riconobbi subito, e capii altrettanto velocemente che cosa contenesse dal
colore della carta, che prima non avevo proprio notato. Era… verde acqua. C’era
una sola azienda che produceva buste di quel colore, e mai mi sarei sognata di
vedere qualcuno che me la porgeva.
«Tiffany?»
mormorai con voce strozzata. «Tiffany? Fai sul serio? È… è troppo!»
cincischiai.
«Non è
mai troppo se si tratta di te, tesoro.» mi carezzò la guancia, guardandomi
intensamente e sorridendomi.
«È
comunque troppo! Io… io non ho speso molti soldi per il tuo regalo…» ammisi,
riluttante, non potendone proprio fare a meno. Certo, il regalo di Edward era
costato un centinaio di dollari, ma sicuramente avevo speso molti meno soldi
rispetto a lui.
Un
gioiello di Tiffany!
«Bella,
non importa. È il gesto quello che conta, no? E poi non ho speso molti soldi
neanche io, te lo giuro.» sorrise di nuovo, e in maniera non molto delicata
posò la bustina sulle mie gambe. «Aprilo adesso, non aspettare il giorno di
Natale.»
Riluttante,
imbarazzata e, lo ammisi, curiosa di scoprire finalmente cosa celasse quella
busta dal colore per me spaventoso – cielo, era di Tiffany! -, presi il
pacchetto dopo aver guardato di nuovo Edward in viso e sciolsi il nastrino
bianco che lo teneva chiuso.
Non
appena sollevai il coperchio, subito mi si mostrò davanti agli occhi un piccolo
medaglione a forma di cuore e dall’aria anonima e indifesa. Solo la scritta che
era incisa su di esso mi fece capire quanto in realtà fosse importante quel
ciondolo.
Stringendo
le labbra, carezzai con la punta dell’indice l’incisione e poi sollevai lo
sguardo per guardare Edward. «‘I love you’?
Davvero?» non potei fare a meno di chiedere con un filo di voce.
Lui,
soddisfatto per aver scatenato in me quella timida reazione, mi si avvicinò
scansando il resto dei regali e prendendo le mie mani tra le sue. «Davvero. Mi
sembrava un modo carino per confessartelo…» ammise, stringendo piano la presa.
Edward
mi amava, mi amava davvero e me lo aveva confessato usando un piccolo
stratagemma. Una tempesta di emozioni contrastanti mi stava pian piano
investendo e non sapevo se esserne felice oppure spaventata. Felice perché
sapevo, finalmente, che Edward ricambiava il mio sentimento… spaventata, perché
io non ero riuscita a fare la stessa cosa nonostante avessi avuto a
disposizione quasi un mese di tempo.
Tirai
su col naso e asciugai una lacrima prima ancora che riuscisse a scendere dal
mio occhio. «Ti amo anch’io, ti amo e scusami se non sono riuscita a dirtelo
prima… avevo paura.» sorrisi mestamente, scrollando piano le spalle. «Scusa,
sono una stupida…»
«Non
sei stupida, ti capisco. Sai quanto tempo ho impiegato per capire che quel
medaglione fosse il regalo prefetto per te?» scossi la testa. «Cinque ore. La
commessa che mi stava aiutando voleva tirarmi qualcosa addosso ad un certo
punto!» rise, seguito da me.
«È
bellissimo, ma non dovevi.» mi lanciai su di lui, abbracciandolo e baciandogli
lievemente le labbra. «Mi sarebbe bastato anche un bigliettino stracciato con
su scritto ‘Ti amo’ e basta, sarebbe stato lo stesso un regalo magnifico.»
«Ma a
me piaceva quello, quindi adesso te lo tieni e fai la brava!» mi sbeffeggiò,
dandomi un altro bacio. «E poi è in argento! Come vedi, non è niente di troppo
prezioso…»
«È
prezioso eccome, vale tanto per me.» lo zittii, e salii sulle sue gambe
abbracciandogli poi la vita con le mie. «Dovrò sdebitarmi per bene con te, mi
sa…» sussurrai languidamente.
«Mhm,
mi piace come idea, amore.» Edward mi morse il collo e le sue mani scesero
subito, infilandosi sotto la mia maglia extra-large che usavo per dormire, e
cominciarono a solleticarmi la pelle fino ad arrivare ai miei seni nudi.
Mugolai,
muovendomi su di lui. Amore… mi
piaceva come suonava. Era… perfetto. «Ripetilo ancora…» soffiai.
«Amore.
Amore mio…» rise, tornando con le labbra sulle mie e solleticandole piano
mentre si divertiva a torturarmi più in basso, dove la mia pelle stava pian
piano prendendo fuoco.
«Ti
amo.» lo baciai ancora, ancora e ancora, sollevandomi di poco per riuscire ad
abbassargli i pantaloncini, che sommati ai miei rappresentavano un gran
bell’ostacolo per raggiungere il mio obiettivo…
«Mamma…»
no, non era stato Edward a chiamarmi così.
Smisi
di fare quel che stavo facendo, non trattenendo però uno sbuffo seccato. Essere
disturbati sul più bello del divertimento non era mai gradevole, ma se tua
figlia ti cercava, bisognosa delle tue attenzioni, non potevi proprio tirarti
indietro.
«Tua
figlia ha davvero un tempismo perfetto!» scherzò Edward, ridendo e stendendosi
di colpo sul materasso.
«Non lo
definirei proprio perfetto…» gli feci notare, scuotendo la testa. «Vedi di
coprire le tue vergogne, Rocco!» aggiunsi, voltandogli le spalle.
«Mamma?»
la bambina mi chiamò ancora una volta, e dopo un paio di secondi apparve sulla
soglia della camera, con i capelli arruffati e una mano chiusa a pugno su un
occhio, assonnata.
«Amore
mio, vieni qui…» le dissi, allungando un braccio e muovendo la mano.
«Non
c’eri quando mi sono svegliata…» disse Allyson in tono di rimprovero, non
appena mi fu vicina. Aveva persino assunto un aria di rimprovero: era la prima
volta che mi ‘sgridava’ in quel modo.
«Lo so
tesoro, Edward aveva paura a stare da solo e allora gli ho fatto un po’ di
compagnia… ma tu sei più brava, sai? Tu non hai paura a stare da sola!»
scherzai, prendendola in braccio e issandola sul letto.
«Bella,
non inventarti tutte queste bugie!» mi ammonì Edward, sconsolato.
«Ma non
sono bugie, sono vere!» lo guardai, facendogli l’occhiolino per fargli capire
che doveva stare al mio gioco. Notai che si era coperto col lenzuolo per celare
il rigonfiamento al suo basso ventre, e che aveva tolto di mezzo le buste dei
regali.
Sorridendo,
mi mimò con le labbra un “Li ho nascosti sotto il letto”.
«Mamma,
dormiamo tutti qui? Ho sonno…» borbottò la piccola, strofinandosi di nuovo gli
occhi con le mani. Era davvero stanca, pensai baciandole la fronte.
«Ma
certo che dormite qui! Vieni Allie, mettiti in mezzo.» Edward batté con la mano
sul materasso, alla sua sinistra, e mia figlia non impiegò molto per sgusciare
via dal mio abbraccio e andarsi a sistemare al fianco di Edward, sotto alle
coperte.
Si
rannicchiò tutta, e sorrise a Edward prima di chiudere gli occhi. Mi avvicinai
a lei e la osservai mentre riprendeva sonno facilmente, tanto che nel giro di
pochi minuti il suo respiro era tornato regolare e profondo. Le scostai i
capelli dalla fronte proprio nello stesso momento in cui Edward si abbassava su
di lei per darle un bacio.
«Sai,
potrei farci l’abitudine.» mormorò per non svegliarla.
«A
cosa?»
«A
questo.» indicò con la mano noi tre. «A noi che dormiamo insieme, come una
famiglia.» aggiunse.
Arricciai
le labbra, e un brivido mi percorse la schiena. Dio, era decisamente troppo
presto per quel passo… bello, sì, ma enorme. «Magari ne riparliamo più avanti,
che ne pensi?»
Annuì.
«Ci mettiamo a dormire anche noi?»
«Ottima
idea!»
Dopo
essermi sporta verso di lui per baciargli le labbra, mi sdraiai su di un fianco
e osservai Allyson, anche quando Edward spense la luce e ci ritrovammo al buio.
Mi preparai ad abbandonarmi al sonno, sentendo che era finalmente arrivato
anche il mio turno di dormire.
«Bella?»
soffiò Edward dall’altra parte del letto.
«Cosa?»
risposi, tenendo gli occhi chiusi.
«Per
me, noi siamo già una famiglia.»
Riaprii
gli occhi di colpo, sorridendo involontariamente. Non poteva dirmi certe cose
in quel modo, però! E adesso chi sarebbe più riuscito a prendere sonno?
____________
Ma quante cose belle che sono successe! *w*
mi unisco a voi, non resisto proprio quando si tratta di fangirlare XD
Sapevamo già che Bella è innamorata persa
del suo dottorino… ed ecco che scopriamo che anche Edward è innamorato cotto
della sua infermiera personale! Lo so, sembrano soprannomi da film porno XD
Finalmente hanno confessato i loro
sentimenti – Edward ha anche detto che per lui sono già una famiglia! Il ragazzo
corre un po’ troppo, vero? Però è carino quando dice certe cose, mi fa
sciogliere *-*
Spero che anche questo capitolo vi sia
piaciuto :) e che le fan di Allyson siano contente di averla vista combinare
pasticci come suo solito XD
Vi rubo ancora un minuto del vostro tempo –
lo so, sto rompendo, ma mi sbrigo lo prometto XD – per dirvi che dalla prossima
settimana avrò meno tempo del solito per mettermi al pc e scrivere: sto per
cominciare un corso di onicotecnica (è un sacco che lo aspetto *-*) e quindi
per 2/3 mesi sarò impegnata… ma al primo momento libero butto giù qualcosa,
questo è sicuro ;)
Bene, adesso vado! Vi ringrazio come sempre e… spero
davvero di farmi viva presto! Un bacione a tutte voi ^_^
|
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Capitolo 21 *** Capitolo 21 ***
Solo il tempo... - Capitolo21
Ciao ragazze! Eccomi di nuovo qui XD
È passato quasi un mese, lo so, è troppo
che non mi faccio sentire! Ultimamente sono parecchio impegnata, e con questo
caldo la voglia di stare al pc è davvero pochissima… mi sembra di fare una
sauna ogni volta @.@ quasi quasi preferivo il freddo anomalo di Maggio XD
Ma anche se ho poco tempo, come vedete
riesco a scrivere lo stesso XD e quindi, ecco il capitolo che stavate
aspettando :3
Abbiamo lasciato i nostri piccioncini dopo
che si sono finalmente dichiarati, e per di più sono stati interrotti dalla
piccola Allie proprio sul più bello delle ‘coccole’ XD che cosa succederà
adesso?
Noi ci sentiamo più tardi, alla fine del
capitolo ;) buona lettura!
Solo il
tempo
Capitolo
21
«E poi?
E poi cos’è successo?»
«E poi
basta, la conversazione è finita lì.»
«Ma… ma
come?» mia madre sembrava davvero sconvolta, con le spalle basse e le labbra
incurvate verso il basso. «Finire una conversazione in quel modo? È assurdo!»
Già, lo
avevo pensato anche io… ma questo non glielo confessai e mi limitai a scrollare
le spalle. «Non è importante per adesso.»
«Ma che
sciocchezze dici, è importantissimo!»
mi rimproverò animatamente alzando le braccia verso l’alto, con tanto di
cucchiaione di legno sporco di sugo.
Sospirai,
sconsolata, sapendo che avrei dovuto sopportare lei e il suo strano
comportamento, per di più da sola, ancora per diverse ore.
Tornare
a Forks per le vacanze di Natale era stata davvero una buona idea: in questa
piccola cittadina il clima natalizio si sentiva molto di più, si respirava
addirittura. Cosa molto diversa rispetto alla città di Los Angeles, che mi
aveva adottata alcuni mesi prima. Gli addobbi, le decorazioni e le luci c’erano
anche lì, anche se lasciavano agli occhi non abituati una strana impressione. E
poi, a Los Angeles la neve non esisteva! Era bizzarro persino notare un finto
pupazzo di neve in bella mostra nel giardino di casa.
A
Forks, invece, la neve c’era eccome ed era anche molta, abbondante. Io ed
Allyson eravamo arrivate da neanche cinque giorni e ne avevamo vista scendere
un sacco. Stando ai meteorologi, quello era uno degli inverni più nevosi degli
ultimi anni.
Ma
nonostante il brutto tempo, avevamo comunque trascorso bene ed in completa
allegria i giorni di festa; la mamma aveva invitato una sua parente ad unirsi a
noi, zia Brunilde, e lei aveva trascorso la maggior parte del tempo a dare
consigli ad Allyson, consigli del genere “come non fidarsi degli uomini”. E mi
aveva sgridata e lanciato un sacco di occhiatacce quando aveva notato il
medaglione che mi aveva regalato Edward, e che da quando lo aveva fatto lo
portavo sempre al collo.
Edward…
Non lo
vedevo da qualche giorno, ovvero da quando aveva accompagnato me e mia figlia
all’aeroporto il giorno della nostra partenza per Forks. Mi aveva stretta forte
a se prima di lasciarmi andare, continuando a mormorare come in una litania che
mi amava e che mi avrebbe chiamato ogni giorno. Da quando me lo aveva
confessato non smetteva più di dirmi quelle due piccole parole magiche, e
neanche io ero da meno.
Ci
amavamo, e per la prima volta nella mia vita sentivo che tutto sarebbe andato
per il verso giusto.
Lo
pensava anche la mamma, solo che lei già voleva cominciare a cercare la data
giusta per il matrimonio. Stava già viaggiando a tremila chilometri orari con
il suo cervellino bacato, e si lamentava di continuo con me perché non avevo
portato anche Edward, il mio ‘fidanzato ufficiale’, a Forks.
Come
facevo a spiegarle che la sua fretta era troppo assurda e mi metteva ansia?
«Quando
ti ha telefonato l’ultima volta? Quando vi siete sentiti?» chiese riprendendo a
mescolare il sugo, che sobbolliva piano sul fornello.
«Mhm…
stamattina, credo.» borbottai in risposta.
«Stamattina?
Ma sono passate troppe ore! Richiamalo subito! Non far passare altro tempo,
Bella!» mi sgridò, e mescolò la salsa con così tanta energia da farla schizzare
sulle piastrelle chiare della cucina.
«Mamma!
Smettila, sei assurda!» la rimproverai e mi affrettai a pulire le gocce rosse
con un panno umido.
Alcune
volte, quando ero a casa con la mamma, mi sembrava di essere l’unica persona adulta
presente, oltre a papà, ed era come se avessi due bimbe piccole di cui
occuparmi. Una naturalmente era Allie, l’altra invece era Renèe. Si comportava
davvero da bambina capricciosa, alle volte.
«Non
sono assurda!»
«Sì che
lo sei! Non voglio disturbare Edward ogni cinque minuti, e chiamarlo due volte
al giorno mi sembra anche troppo.» le spiegai, e le rubai di mano il cucchiaio
per assaggiare il sugo. Storsi le labbra. «Uhm, è troppo salato! Ma quanto sale
ci hai messo?»
«Io?
Una volta sola! O forse erano due? Oh!» esclamò, sospirando in maniera
esagerata qualche istante dopo mentre si passava stancamente le mani sul viso.
«Vedi? Questo è perché mi preoccupo per te!» aggiunse, quasi teatralmente.
Inarcai
le sopracciglia: mia madre sarebbe potuta diventare una brava attrice, peccato
che si esibiva in questo modo solo quando le andava e le piaceva. «Non ci
casco, mamma.»
«Uffa!»
esclamò di nuovo, ma poi scoppiò a ridere e mi abbracciò, poggiando le labbra
sulla mia testa. «Ah, la mia piccola Bella, che non è più tanto piccola ormai…»
la sentii borbottare.
«Da
cosa hai capito che non sono più una bambina?» scherzai, voltandomi per
osservarla meglio. Doveva essersi persa qualche pezzo della mia vita per
strada, assolutamente. Da quel che ricordavo io, avevo sentito di essere
diventata completamente adulta quando avevo scoperto di essere incinta di
Allyson.
Beh,
forse anche prima, quando decisi, stupidamente, che sarebbe stato interessante
avere delle relazioni di solo sesso all’università.
Arrossii,
inevitabilmente, quando ci pensai.
«Mah,
da un pezzo… ma una madre fa sempre finta che i suoi figli siano ancora dei
bambini, anche quando hanno trent’anni suonati e prole al seguito.» disse.
«Ma io
non ho trent’anni!» ribattei, piccata. Non dimostravo ancora quell’età, e poi
avevo compiuto ventitré anni solo da pochi mesi!
«Lo so,
ma hai già la prole! Ed io continuo a vederti ancora con i codini ai capelli…»
Arricciai
il naso, al pensiero. «Quei codini erano orrendi.»
«Ma no,
che dici! Eri una bambina così carina quando li portavi!»
«Erano
orrendi, punto e basta!» mi divincolai dal suo abbraccio ridendo, e le
restituii il cucchiaio. «Do una sistemata ai giochi di Allie in salotto.» la
avvertii.
«Va
bene tesoro, io cerco di non far bruciare il sugo.»
Scuotendo
la testa, uscii dalla cucina e andai dritta verso il piccolo salotto di casa,
che era diventato ancora più piccolo a causa dei vari giochi che avevamo deciso
di lasciare a Forks e che in quel momento lo riempivano. Allyson non mi
ascoltava mai, quando le dicevo che dopo aver utilizzato un determinato oggetto
doveva rimetterlo al suo posto. Ed ecco, quindi, il risultato della sua
svogliatezza di bambina: il caos.
C’erano
bambole, bamboline, peluche e accessori vari sparsi in ogni angolo, persino
sulla poltrona preferita di papà, per sua grande gioia. Per fortuna non era in
casa, altrimenti si sarebbe disperato per tutto quel casino che c’era dentro
casa.
Quella
mattina aveva deciso di portare la bambina con se alla centrale di polizia, ed
Allie era così contenta all’idea di fare l’assistente poliziotta che non ero riuscita
a dirle di no. Sapevo che non sarebbe potuto accaderle nulla: Forks era una
città piccola, molto piccola, e il crimine era quasi inesistente. I casi più
gravi che avevano avuto erano stati dei furti al supermercato.
Ripeto:
il crimine era quasi inesistente.
Sarebbero
dovuti arrivare per l’ora di pranzo, e mancava poco più di un’ora al loro
ritorno. Avevo tutto il tempo a disposizione per sistemare i giochi all’interno
delle varie ceste, e mia madre aveva a sua volta un sacco di tempo per non
bruciare il nostro pranzo.
Quando
ci si impegnava, faceva un sacco di disastri in cucina.
Il
campanello di casa suonò quando io avevo già riempito una cesta ed ero a metà
della seconda. Lanciai uno sguardo alla vecchia pendola della nonna, notando
che erano appena le dodici e un quarto e che, quindi, non potevano essere papà
e Allyson le persone alla porta.
«Sono
già tornati?» gridò la mamma dalla cucina.
«Non
penso, è presto!» risposi, e dopo aver gettato distrattamente uno spelacchiato
leone di peluche nella cesta andai alla porta.
Quando
la aprii, restai per alcuni secondi spiazzata vedendo di chi si trattava.
Socchiusi la bocca senza riuscire a dire nulla, e portai una mano a stringere
il piccolo cuore che avevo al collo. Non sapevo bene per quale motivo lo feci,
ma fu impossibile bloccare il movimento del mio braccio.
Una
donna alta e dai capelli biondi, lunghi fino alle spalle, mi osservava con
occhi lucidi e sorrideva mestamente, stringendo tra le mani i manici di una
borsa e di una busta enorme. Fece un passo in avanti e, dopo aver allargato un
po’ il sorriso, parlò. «Ciao, bambina.»
Sentendo
la sua voce mi riscossi dal torpore che mi aveva invasa, e mi allungai verso di
lei per abbracciarla. Erano passati così tanti mesi dall’ultima volta che
l’avevo vista, che ero stata con lei, e che avevo sentito il suo profumo. Chanel n°5, impossibile sbagliarsi.
Era il
suo profumo preferito, al quale non poteva proprio fare a meno.
«Martha.»
dissi in un soffio, sentendo che lei ricambiava il mio abbraccio.
***
Martha
Stewart, la madre di James, la mia ex suocera, sedeva sul piccolo divano del
salotto e stringeva tra le mani una tazza di caffè. Mamma le sedeva accanto e
la osservava in modo curioso, ma che a tratti sfociava nel morboso, stile
serial killer. Io, invece, le osservavo entrambe stando seduta sulla poltrona
di papà, ma in quel momento avevo deciso che era la mia.
Non
vedevo Martha dal giorno in cui avevano chiuso la sentenza del divorzio, ovvero
da undici mesi e qualche giorno, e ogni singolo giorno di quei lunghi mesi
sembrava impresso sui tratti del suo viso.
Era più
scavato, segnato dalle rughe e dalla stanchezza, e le borse sotto agli occhi erano
evidenti e marcate, segno che il correttore non doveva aver funzionato bene
come al solito. Gli occhi azzurri, identici per forma e per colore a quelli di
suo figlio, erano tristi. Martha era sempre stata una bella donna, anche adesso
che aveva raggiunto i cinquant’anni di età, ma d’un tratto sembrava diventata
più vecchia e spenta.
L’ultimo
anno per lei doveva essere stato pesante, molto più di quanto avessi
immaginato.
«Martha,
va tutto bene?» le chiesi, senza smettere di osservarla.
Il suo
viso scattò in alto, incrociando il mio, e annuì cercando di sorridere. «Sì,
sì, va tutto bene. Sono solo… un po’ stanca.» rispose, facendo scorrere la
punta del dito sul bordo della tazza.
«Dovresti
riposare un po’ di più, cara.» le consigliò mamma, carezzandole gentilmente una
spalla.
«Lo so,
ma non è semplice. Sai, con due lavori…»
«Due
lavori?» chiesi, colta alla sprovvista. Non ero a conoscenza di quel
particolare.
Martha
sorrise mestamente, stringendosi nelle spalle. «Ho dovuto cercarne un altro,
Bella. Il mio stipendio non bastava più, e… e la clinica costa molto, ci sono
sempre così tante spese…»
«Scusatemi
tanto, ma devo andare a controllare il pranzo prima che si bruci tutto! Mi
trovate di là, se avete bisogno di qualcosa.» esclamò mia madre, alzandosi in
piedi e sparendo in cucina nel giro di pochi secondi. La brevissima occhiata
che mi rivolse prima di andare via, mi fece capire che voleva lasciarmi da sola
con Martha.
Beh, in
effetti non era una brutta idea… non la vedevo da così tanto tempo, e parlarle
e cercare di capire da lei come fosse trascorso quell’ultimo anno mi sembrava
giusto. In quel momento rimpiansi di aver tagliato i rapporti con lei, e non
riuscivo a ricordare il motivo preciso per cui lo avevo fatto.
«Io non
sapevo nulla di questo.» mormorai, avvicinandomi a lei e sedendomi al posto che
prima aveva occupato mia madre. «E la mamma non mi ha mai detto niente quando
le telefonavo…»
«Sicuramente
lo ha fatto perché non voleva farti preoccupare, e in parte perché neanche io
volevo che lo sapessi. Da sola, a Los Angeles, avevi tantissime cose a cui
pensare e di certo non ti servivano anche i miei problemi.» mi sorrise ancora e
mi strinse leggermente una mano.
Ricambiai
la stretta, abbassando lo sguardo. «Come sta James? So che sta cercando di
liberarsi della droga, ma… ma come sta veramente?» domandai, esprimendo a voce
uno dei pensieri che più mi assillava.
Gli
occhi di Martha si inumidirono subito, e un nuovo e leggero sorriso le increspò
le labbra. «Sta bene, sta davvero molto bene. Ormai è completamente fuori dal
giro e potrebbe uscire dalla clinica tra poche settimane… Victoria, una delle psicologhe
che lo segue, me ne ha dato la conferma. Se lo vedessi adesso, Bella, non lo
riconosceresti! È una persona completamente nuova e piena di vita!»
«Non
sai quanto mi fa piacere saperlo!» mormorai, stringendomi a lei. Sentivo gli
occhi pungere, ma sperai di non mettermi a piangere da un momento all’altro.
«James se lo merita, è un ragazzo così buono…»
«Sì,
peccato che la droga me lo stava quasi per portare via…» la voce di Martha si
ruppe sull’ultima parte della frase, e fu costretta a smettere di parlare per
calmarsi. Si schiarì la gola.
«Ma
adesso sta bene, non serve ripensare a quel… momento, non serve.» cercai di
tranquillizzarla, e sperai di esserci riuscita.
«È
vero, adesso è tutto passato.» Martha si strofinò gli occhi, piano, prendendo
un bel respiro prima di riabbassare le mani e di voltarsi verso di me. «Sai, ho
come l’impressione che tra James e Victoria ci sia del… del tenero.»
Sgranai
gli occhi, non aspettandomi davvero di sapere una cosa simile, ma contenta che
fossimo passate ad un argomento più leggero e così bello. «Davvero?»
«Sì!
Vedi, i pazienti possono ricevere solo una visita al mese, e quasi ogni volta
che andavo a trovare James, con lui c’era anche la sua psicologa, Victoria per
l’appunto. All’inizio erano più distanti, ma adesso… sono più coinvolti e
complici, e più di una volta li ho visti prendersi per mano, anche se solo per
pochi secondi. Sono molto curiosa di sapere se si vedranno ancora, anche quando
James uscirà dalla clinica.»
«Se si
vogliono bene sì, non è proprio da escludere!» ridacchiai, stringendo le labbra
tra di loro. «Sono davvero contenta di saperlo.»
«Mi fa
piacere, tesoro.» Martha, scuotendo piano la testa, fissò per qualche istante
la parete del salotto e poi tornò a guardarmi con un sorriso rilassato sulle
labbra. «Ma adesso raccontami qualcosa di te e sulla tua nuova vita a Los
Angeles! E Allyson, a lei piace vivere lì?»
«Moltissimo,
sai com’è fatta lei no? Portala in un posto nuovo e vedrai che non vorrà più
andare via!» mi misi a ridere. «Ha cominciato la scuola materna e ha anche
alcuni nuovi amici, ed è la solita guastafeste. In quello non è proprio
cambiata, posso assicurartelo…»
«Oddio,
non vedo l’ora di rivederla! Le ho portato anche un regalino… Babbo Natale lo
ha lasciato sotto il mio albero, ha pensato a lei.» e mi fece l’occhiolino,
ridacchiando. «E… invece, che mi dici del tuo Edward? È un bravo ragazzo, sì?»
Un
verso indecente uscì dalle mie labbra, provocando una nuova risata alla mia
vicina di divano. Martha aveva completamente cambiato umore da quando era
arrivata, ed era bello sapere che il merito era stato anche un po’ mio… e di
quelle notizie date a bruciapelo. «Sai di Edward?» squittii, quasi.
«Sai
com’è fatta tua madre, non può tenersi dentro nulla. Deve subito raccontarlo a
qualsiasi persona che incontra… allora? Che mi dici di lui? Sono proprio curiosa
di sapere tutto dalla diretta interessata!»
Arrossii,
inevitabilmente. «Eh… sono sicura che sai già tutto, ma comunque… è un chirurgo
ortopedico, ha trent’anni, ci siamo conosciuti durante il mio primo giorno di
lavoro in ospedale…» non potei fare a meno di alzare gli occhi al cielo e di
ripensare a quel giorno, e alle avance sfacciate che mi aveva regalato.
Quanto
lo avevo odiato in quei primi giorni! E invece adesso lo amavo. Che strano, eh?
«Ed è
bello?»
«Molto,
è molto bello. Aspetta…» riuscii a recuperare il cellulare dalla tasca dei
pantaloni e feci illuminare lo schermo, così da poterle far vedere la foto che
da qualche giorno utilizzavo come sfondo. Erano Edward e Allyson che si
abbracciavano, sorridenti, il giorno dopo che avevamo trascorso insieme la
notte da lui, e indossavano ancora il pigiama.
«Accidenti,
se è bello! E quegli occhi…» Martha sembrava smarrita, mentre fissava la foto e
la studiava.
Sorrisi.
«Dal vivo sono ancora più belli.»
«Non lo
metto in dubbio! E guarda Allie, com’è contenta!»
«Gli
vuole molto bene, hanno legato così tanto…» sospirai, involontariamente.
«Edward non si è tirato indietro quando ha saputo che avevo una figlia, ha
voluto conoscermi lo stesso e frequentarmi… sono pochissimi gli uomini che
farebbero la stessa cosa che ha fatto lui.»
«Oggi
come oggi è vero, sono davvero pochi…» Martha mi diede ragione, sospirando e
sollevando gli occhi dallo schermo del cellulare per guardarmi con un bel
sorriso sincero sulle labbra. «Quello te lo ha regalato lui, vero? Il
ciondolo…» aggiunse, abbassando lo sguardo sul mio collo.
Come
avevo fatto anche prima, strinsi nella mano il piccolo medaglione come per
proteggerlo, solo che stavolta non avevo nessuna intenzione di proteggere
nulla. Volevo solo sentire la presenza del cuoricino d’argento, in qualche modo
era come se avessi Edward accanto, anche se non era proprio così.
«Me
l’ha dato qualche giorno fa…» mormorai poco dopo, rispondendole e liberando di
nuovo il ciondolo una volta che ebbi abbassato la mano. «Però non me lo sarei
mai aspettato, a dire la verità!»
«Non
sai quanto mi rende felice sapere tutte queste cose, tesoro!» esclamò Martha,
prendendo le mie mani tra le sue e stringendole forte. «Dopo tutto quello che è
successo hai ritrovato la serenità e la felicità che ti meriti, ci speravo
davvero tanto.»
Vedere
la mia ex suocera così felice e tranquilla, mentre le raccontavo la svolta che
da qualche mese aveva avuto la mia vita, mi scatenò dentro al petto una strana
sensazione. Non credevo che avrebbe avuto una reazione simile, non dopo quello
che era accaduto con suo figlio e che stava ancora accadendo. Pensavo che… che
provasse del rancore verso di me, per aver abbandonato James in quel modo, e
per aver portato via da lui sua figlia…
«Io
credevo che tu eri arrabbiata con me…» le confessai, incapace di tenermi dentro
quel pensiero che mi accompagnava da ormai troppi mesi. Quelle parole furono accompagnate
anche da un tremito delle labbra e delle mani, e sicuramente Martha se ne
accorse perché cominciò a carezzarmele per farmi tornare di nuovo tranquilla.
«No,
non dirlo assolutamente. Nessuno era arrabbiato con te quando hai deciso di
andare via. Ti hanno compresa tutti, anche James. E c’era Allyson, non potevi
farle vivere tutti quei momenti difficili… ti sei comportata da brava madre
responsabile, e nessuno poteva ribattere a questo.» mi sorrise calorosamente, e
poi mi abbracciò.
Stretta
al suo corpo caldo e materno mi rilassai completamente. Tutti i dubbi ed i
pensieri che avevo, e che mi avevano accompagnata fino a Los Angeles, si erano
dissipati come per magia grazie alle sue parole. Nessuno mi odiava per quello
che era successo e per quello che avevo deciso di fare, ero stata compresa.
Il peso
che sentivo al petto si stava pian piano sciogliendo.
Quel
nostro momento, così intimo, venne interrotto dalla porta di casa che veniva
spalancata con gran fracasso e dalle urla divertite di Allyson rivolte al
nonno. Sentendola, mi staccai da Martha e mi misi in piedi, asciugando quelle
piccole lacrime che nel frattempo erano riuscite a scendere.
«Vado a
prendere la piccina.» dissi ridendo, per poi scappare via verso la cucina,
sicura che avrei trovato tutti lì riuniti.
E
infatti quando entrai trovai papà che assaggiava poco convinto il sugo della
mamma, e la mamma che cercava di togliere gli strati di cappotto e sciarpa che
la bambina indossava. Sembrava più paffutella del solito, con la sciarpa di
lana che le copriva quasi per metà il viso.
«Hey
Allie, vieni di là con me? C’è una sorpresa!» esclamai, andando in soccorso di
mia madre e aiutandola a liberare la bambina.
I suoi
occhi, sempre attenti, si fissarono su di me con curiosità. «Che sorpresa,
mamma?» domandò subito, infatti.
«Non te
lo posso dire, altrimenti che sorpresa sarebbe?»
«È un
cane? O un gatto? O tutti e due?» continuò a chiedermi, anche dopo che le ebbi
tolto il cappellino di lana e che l’avevo presa in braccio per portarla con me.
Curiosa com’era, non avrebbe smesso fino a quando non le avrei rivelato di che
si trattava… o finché non avrebbe visto il tutto con i suoi occhi.
«Mah,
chissà, può darsi di sì.» non dovevo darle quelle false speranze, perché era
alquanto improbabile che le avrei regalato un cucciolo da tenere in casa. Un
animale aveva bisogno di spazio, e il nostro appartamento di Los Angeles era
troppo piccolo… ma se le andava bene, avremmo potuto prendere un pesce rosso.
«Chiudi
gli occhi e non aprirli fino a quando non te lo dico io, okay?» aggiunsi,
uscendo dalla cucina.
Allyson
lo fece subito, arricciando anche le labbra, ma siccome non mi fidavo molto di
lei glieli coprii con una mano. Una volta arrivata di nuovo in salotto, dove
Martha si trovava ancora seduta sul divano e sorrideva vedendomi che ero
tornata con la sua nipotina, mi sedetti accanto a lei e le baciai la guanciotta
prima di liberarle gli occhi. «Aprili!» sussurrai.
Allie
aprì gli occhi e li sgranò nel giro di un nano secondo non appena si accorse
che accanto a noi c’era sua nonna. «Nonna Martaaaaa!» urlò subito, allungando
le braccia per far sì che lei la prendesse in braccio.
«Piccolina
di nonna! Fatti vedere, ma guarda quanto sei cresciuta…» la voce emozionata di
Martha tremava, ed i suoi occhi erano diventati d’un tratto lucidi mentre
stringeva il corpo di Allie in un abbraccio e le baciava il viso.
Rischiavo
di mettermi a piangere anche io vedendole, e cercai in tutti i modi di
evitarlo, ma era davvero difficile. Mi abbracciai la vita con un braccio e mi
coprii le labbra con una mano, trattenendo l’ondata di commozione.
***
Quel
giorno Martha si fermò a pranzo da noi, anche perché non avrebbe mai potuto
vincere contro le nostre insistenze. Eravamo quattro contro uno, ed era
impossibile farci cambiare idea. E poi, quello era un ottimo modo per far sì
che passasse qualche altra ora insieme a sua nipote.
Non si
vedevano da troppo tempo e la bambina aveva davvero un sacco di cose da
raccontarle: della casa nuova, dei suoi nuovi amici, della scuola, dei nuovi
zii che aveva acquisito – e che in verità erano i miei amici… e aveva anche un
sacco di cose da raccontarle su di Edward.
Martha
aveva scoperto più cose su di lui grazie alla lingua lunga di sua nipote
piuttosto che da quella biforcuta di mia madre. Io non sarei mai riuscita a
dirle tutto quello che Allyson le diceva, riservata com’ero, ed era anche
imbarazzante sentirle.
Insomma,
io non avrei mai confessato ai miei genitori e a Martha che, spesso e
volentieri, io e Edward dormivamo insieme – anche se era una cosa scontata e
mia madre già ne era al corrente, credo. Quando Allie lo accennò, tutta presa
dal discorso e dal nuovo gioco che aveva ricevuto in regalo poco prima, il viso
di mio padre si fece rosso tutto d’un tratto e rischiò di rovesciare sul
tappeto buono della mamma la birra che stringeva in una mano. Anche io
arrossii, ma di vergogna più che altro.
Avrei dovuto
scambiare quattro paroline con la piccola chiacchierona più avanti.
Ma a
parte questo, andò tutto bene. Trascorrere del tempo insieme e scoprire che
quasi nulla era cambiato, nonostante la brutta avventura che avevamo affrontato
tempo prima, era stata davvero una bella sorpresa.
E per
di più, papà e Martha erano sempre i soliti tifosi accaniti di football, che
supportavano squadre diverse e che, quindi, nel giro di pochi minuti dopo
l’inizio di una partita avevano già cominciato ad insultarsi e a dirsene di
cotte e di crude.
Roba
per niente adatta a una bambina piccola, così dopo aver alzato gli occhi al
cielo per quella seccatura me la caricai di peso e la portai via dal salotto,
decidendo che era arrivato il momento di farle fare il riposino pomeridiano.
«Mamma,
ma io voglio stare con il nonno e le nonne!» urlò subito lei, contrariata,
cominciando a scalciare con le gambe. Fortuna che non riusciva a colpire nulla…
a parte il mio braccio.
«Lo so
che vuoi stare con loro, ma sono quasi le tre. È ora di dormire un po’, che
dici?» le feci notare, entrando in camera mia.
Quella
stanza era rimasta esattamente come l’avevo lasciata io diversi mesi prima:
c’erano sempre le stesse mensole, la stessa libreria, la stessa scrivania e il
solito letto in legno scuro, con tanto di trapunta che risaliva ai tempi del
liceo. Mamma non aveva toccato nulla, e se c’era stato qualche cambiamento era
perché avevo portato via alcune cose che mi sarebbero servite nella mia nuova
casa…
Ma per
il resto, quella era ancora la mia cameretta da adolescente.
«Dico
che non voglio dormire! Andiamo di sotto, per favore mamma!» si lamentò di
nuovo e cercò di svignarsela non appena la deposi sul letto. Ma io ero più
veloce di lei, e la riacchiappai subito stringendola forte.
«Allie,
non fare storie! Stiamo un po’ qui insieme, eh? Ci mettiamo a leggere una bella
storia di principi e principesse…»
«La
Bella e la Bestia?» propose, calmandosi subito non appena pronunciai le
paroline magiche: le favole la conquistavano sempre, non c’era proprio nulla da
fare!
«Sì, la
Bella e la Bestia, proprio quella! Allora, dove ho messo il libro? Vediamo un
po’…»
Nel
giro di una ventina di minuti, dopo che avevo finito di leggerle la prima
storia e dopo che fummo passate a leggere ‘Cenerentola’, Allyson si addormentò
con la testa poggiata sulla mia spalla. Cercava sempre di fare la bambina
grande e di saltare il momento del riposino, ma spesso e volentieri era il
sonno a vincere contro di lei. Una volta diventata più grande, però, sarebbe
stata tutta un'altra storia.
La
lasciai sotto alle coperte e, lasciando la porta della camera socchiusa, tornai
dagli altri in salotto. Gli animi si erano calmati un po’ visto che la partita
era entrata nell’intervallo, ma papà e Martha si guardavano ancora in modo
arcigno… chissà quante se ne erano dette!
«Ah
tesoro, eccoti qui! Lo vuoi un caffè? È ancora caldo!» mamma scattò in piedi e
mi indicò con la mano il vassoio con il caffè e i dolcetti che aveva poggiato
sul tavolino, a poca distanza da dove mi trovavo. Sembrava anche sollevata per
il mio ritorno: sicuramente lo era perché così non doveva stare da sola a
sopportare i due tifosi.
«Perché
no? Grazie.» cercando di sembrare tranquilla, e di non ridere per le facce
buffe che avevano gli altri due, presi una tazza di caffè e poi mi sedetti sul
pavimento. Non c’era quasi più posto per sedersi lì, e poi era una mia
abitudine di quando ero piccola stare sul pavimento. Mamma mi sgridava sempre,
ma a me piaceva un sacco.
«Allyson
dorme?» domandò papà, e il suo sembrò più un mugugno che altro.
«Sì, ma
secondo me tra un oretta si sveglierà…»
«Eh,
oggi non vale proprio la pena di dormire! Ma almeno un po’ di sonno se lo sta
godendo.» osservò mia madre, annuendo alle sue stesse parole.
«C’è un
lato positivo in questo: se dorme poco adesso, stasera si addormenterà presto…»
«…e si
sveglierà alle cinque domani mattina! Come l’altro giorno, eh Charlie? Non è
venuta a tirarti i baffi alle cinque di mattina?»
Martha
si mise a ridere con gusto sentendo mia madre. «Volevo guardare la scena, che
cavolo!» esclamò, continuando a ridere.
Papà
cominciò a brontolare tra sé, cosa che mi fece ridacchiare, ma non riuscii a
sentire quello che diceva anche perché il suo brontolio venne attutito dal
suono del telefono, che cominciò a squillare.
Mamma
andò a rispondere, correndo e ripetendo ad alta voce “Vado io, vado io, vado
io!”
«Ma che
succede oggi in questa casa? Sembrate tutti pazzi!» papà sembrava sconvolto.
«Pazzi?
A me sembra tutto normale, invece…» dissi prima di bere un altro po’ di caffè:
era davvero tutto normale, e poi ero abituata alla pazzia della mia famiglia.
«Bella?»
mi voltai, sentendo che mia madre mi stava chiamando. Se ne stava sulla soglia
del salotto e agitava il telefono nella mano, preoccupata. «È l’ospedale, per
te. Vogliono parlarti.»
«L’ospedale?»
confusa, mi alzai in piedi e la raggiunsi. Che volevano da me? Sapevano che non
mi trovavo a Los Angeles e che avevo preso dei giorni di ferie per trascorrere
le feste insieme alla mia famiglia… che si fossero sbagliati? Mi sembrava così
strano.
«Che vuole da te Evelyn?» bisbigliò mia
madre non appena le fui accanto.
«Evelyn?»
più confusa di prima, scrutai il volto teso di mia madre: non conoscevo nessuna
infermiera Evelyn che lavorava insieme a me. Ma ce n’era una che lavorava
all’ospedale di Forks, la conoscevo da tempo visto che, spesso e volentieri, mi
aveva ricucita quando mi facevo male da bambina. Aggrottando le sopracciglia,
presi il telefono dalle sue mani e lo accostai all’orecchio. «Pronto?»
«Bella, cara! Che piacere sentirti di nuovo!
Come va la vita a Los Angeles? Ho saputo che ti sei trasferita lì…» una
voce alta e squillante mi trafisse il timpano.
«Evelyn,
ciao! Va tutto bene, sì.» dissi, ignorando gli strani gesti che mi stava
rivolgendo mia madre. Notai che papà e Martha mi stavano osservando e che si
erano avvicinati come per capire qualcosa.
Eh,
anche io volevo capirci qualcosa.
«Bene, davvero molto bene! Cavolo, sembra
ieri che venivi qui perché avevi bisogno di medicazioni… e guarda adesso! Sei
un infermiera e abiti lontano!» continuò, facendomi un po’ innervosire.
Se mi
aveva chiamato per fare quattro chiacchiere e per spettegolare su di me, beh,
aveva sicuramente scelto il momento sbagliato. «Già, Evelyn, sì… senti, dovevi
dirmi qualcosa?» chiesi. Sarei sicuramente sembrata sgarbata, ma davvero non mi
andava di parlare della mia vita al telefono, come se fossi un gossip
succulento.
«Oh, sì! Me ne stavo dimenticando! Ascolta,
tesoro, è arrivato qui da poco un bel ragazzotto che dice di essere il tuo
fidanzato… ma non è che volevi tenercelo nascosto, eh, birichina?» disse,
sempre ridendo.
«Cosa?»
domandai, presa alla sprovvista. «Il… il mio fidanzato? Forse ti stai
sbagliando, Evelyn…»
Sì,
sicuramente si stava sbagliando. Il mio fidanzato, se potevo davvero chiamarlo
in quel modo, si trovava a migliaia di chilometri di distanza da me e molto
probabilmente stava lavorando. E poi, come faceva a sapere, lei, che io avevo
un fidanzato?
La
lingua lunga di mia madre aveva raggiunto anche lei, che era una delle
pettegole più incallite di tutta Forks?
«No no, non mi sto sbagliando!» la sentivo
frugare con diversi fogli, mentre parlava.
«Hanno portato al pronto soccorso un
ragazzo con i capelli rossi e gli occhi verdi, dice di essere il tuo fidanzato
e che si chiama Edward Cullen. Ha detto anche che dovevamo avvertirti per farti
sapere che lui si trova qui… e, beh, visto che sei l’unica Isabella Swan che
abita a Forks e che conosco, non potevi che essere tu.»
Ero
sconvolta. Edward si trovava veramente a Forks, quando io non ne sapevo
assolutamente nulla, e per di più era in ospedale… era impossibile! Che cazzo
ci faceva in ospedale? Non riuscivo proprio a crederci. «Edward è in ospedale?»
chiesi.
Evelyn
sbuffò, come scocciata. «Sì, cara, è qui.
Credo che faresti meglio a venire, e in fretta anche.»
_____________
OMG, Edward è in ospedale! Come ci è
finito? O___O
State tranquille, posso assicurarvi che non
è nulla di grave, come vedrete nel prossimo capitolo u.u vi prego, smettetela
di scrocchiarvi le nocche delle mani! X’D
No, sul serio, ho già tutto in testa e
potete stare tranquille sul fatto che non ho deciso di ammazzare il nostro
principe azzurro. Ci sono, più o meno, altri 15 capitoli prima della fine della
storia e lui sarà presente in tutti, quindi niente paura XD
E poi sapete che a me piace creare piccole
tragedie che si risolvono in poco tempo, no? Non sono così cattiva e perfida
come pensate U_u
Ma se volete insultarmi lo stesso, potete
farlo qui su EFP altrimenti venite a trovarmi sul mio gruppo Facebook: non vedo
l’ora di leggere le vostre maledizioni XD
Ci sentiamo alla prossima puntata, spero che arrivi
presto presto ^-^ bacioni a tutte voi! *Smuack!*
|
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Capitolo 22 *** Capitolo 22 ***
Solo il tempo... - Capitolo22
Ciao!
Stavolta non vi ho fatto aspettare troppo
XD il capitolo è venuto fuori prima del previsto e quindi, non aveva senso
farvi aspettare ancora XD
Allora, come ho potuto leggere nelle
recensioni siete tutte in ansia per Edward: che cosa gli sarà mai successo?
Bando alle ciance – più mie che vostre! XD –
e… buona lettura! ;)
Solo il
tempo
Capitolo
22
«Sei
proprio sicura di voler andare da sola?» nel giro di pochi minuti, quella era
la decima volta che mia madre mi chiedeva la stessa cosa.
«Sì,
mamma, sono sicura!» le risposi seccata e in modo quasi maleducato, ma non era
mia intenzione reagire in quella maniera.
Ero
tesa e spaventata, a causa della telefonata di poco prima. Mi aveva scossa
davvero molto, e volevo vedere chi non sarebbe rimasto scosso dopo che, per
telefono, ti avvertivano che il tuo ragazzo si trovava in ospedale… e per di
più, senza neanche accennarti in che condizioni si trovasse!
Avevo
quasi paura di raggiungere il pronto soccorso di Forks e di accertarmi delle
condizioni di Edward con i miei occhi. Me lo sarei ritrovato davanti senza un
braccio, o senza una gamba, oppure senza entrambe le cose?
Calmati Bella, calmati!,
imposi alla mia mente quell’ordine, anche se era difficile far sì che quest’ultima
ubbidisse.
Scossi
piano la testa, con gli occhi chiusi, e presi un piccolo respiro. Dopodiché,
afferrai le chiavi del furgoncino di mamma e mi fiondai alla porta di casa,
pronta per andare via; avevo già recuperato il giaccone e la borsa, non mi
restava che affrontare le strade innevate della cittadina e raggiungere Edward.
Che
cavolo, me la stavo facendo sotto per la fifa!
«Bella,
sai che non mi fido del rottame di tua madre!» borbottò mio padre, seguendomi
lungo il corridoio. «Tieni, prendi la mia macchina.» aggiunse, passandomi le
chiavi della volante della polizia.
Battei
le palpebre, un po’ confusa per quel suo gesto: mio padre, lo sceriffo, mi
aveva sempre vietato di usare la sua auto e quella era senza alcun dubbio la
prima volta che mi proponeva di farlo. «Sei sicuro?» chiesi, prendendole dalla
sua mano.
«Sicurissimo!
E poi arriverai prima, è un vantaggio.» accennando un sorriso, poggiò la mano
sulla mia spalla. «Facci sapere come stanno le cose, va bene?»
Annuii,
abbassando lo sguardo; anche mamma e Martha mi avevano chiesto di fare la
stessa cosa, una volta che avessi saputo cos’era accaduto a Edward. Lo avrei
fatto sicuramente, ma avevo paura dello stato d’animo che mi sarebbe venuto a
trovare una volta arrivata da lui.
E se
avessi ricevuto delle brutte notizie? Sperai che non lo fossero, anche perché
se Edward aveva chiesto di me doveva essere lucido e non in pericolo di vita…
ma c’erano anche tantissime persone che restavano ferite gravemente dopo un
incidente e che riuscivano, comunque, a comunicare con i soccorritori.
Anche
Edward era nella loro stessa situazione?
Insomma, Bella! Vuoi piantarla o no?
Salii
in fretta e furia sulla volante della polizia e misi in moto, uscendo dal
vialetto di casa. A quell’ora del pomeriggio non c’erano molte persone in giro
per la città, anche perché aveva ripreso a nevicare e molti dovevano trovarsi
ancora a lavoro. Questo contribuì molto per far sì che arrivassi in ospedale
nel giro di pochi minuti.
Parcheggiai
in tutta fretta e sempre in tutta fretta raggiunsi l’entrata del pronto
soccorso; era assurdo, anche quando ero in vacanza ero costretta ad andare in
ospedale! Se il destino stava per giocarmi qualche brutto tiro, beh, poteva benissimo
spedirmi una cartolina e avvertirmi prima di far accadere tutto quello che
voleva.
Mi
avvicinai al banco delle informazioni, ma prima che potessi raggiungerlo
sgranai gli occhi, notando le due persone che occupavano le sedie della sala
d’attesa e che, davvero, non mi aspettavo di vedere lì.
Alice e
Jasper.
Alice
si trovava a Forks, e lo sapevo benissimo, perché aveva deciso di venire anche
lei lì per Natale, trascorrendolo così insieme alla sua famiglia che non vedeva
da tanto. Era partita insieme a me e ad Allyson… ma Jasper? Quando era
arrivato?
Qualcosa,
nel mio cervello, mi suggeriva che c’era qualcosa sotto che non sapevo…
«Che ci
fate qui?» dissi ad alta voce per farmi sentire, e mi avvicinai a loro nel
frattempo.
Come
Alice sentì la mia voce si voltò e sgranò gli occhi, alzandosi subito in piedi.
Jasper la imitò quasi subito, accennando un saluto con la mano. Notai che lui
aveva una macchia scura sul mento, poco sotto il labbro inferiore… anche lui si
era fatto male? Ma come?
«Bella!
Che ci fai qui?» domandò Alice una volta che le fui di fronte, usando più o
meno le mie stesse parole. Mai domanda fu più stupida, per me, in quel momento.
«Come
che ci faccio qui? Mi hanno chiamato a casa dicendomi che Edward si trovava in ospedale!
Ma che è successo?» mi misi quasi a strillare, ma cercai di trattenermi:
l’ultima cosa che volevo era scatenare una scenata nei corridoi di un ospedale.
«Chi ti
ha chiamato?» la mia amica preferì rispondermi con un'altra domanda, cosa che
non volevo affatto.
«Evelyn,
ti ricordi di lei? Ma, a parte questo… vuoi spiegarmi per quale motivo Edward
si trova qui? E perché anche voi siete qui?»
Alice
alzò gli occhi al cielo, con una smorfia di rabbia sul viso. «E ti pareva che
era stata lei…» borbottò, ignorandomi.
Okay,
non ci stavo capendo più niente… perché nessuno non mi diceva come stavano le
cose? Chiedevo troppo, per caso?
«Alice,
per favore…» mormorai, sconsolata.
«Bella,
non è successo nulla di grave, stai calma.» per fortuna che c’era Jasper con
noi, l’unica persona che sembrava aver capito cosa volevo sentirmi dire in quel
momento. Mi prese per un braccio e, gentilmente, mi fece sedere su una
poltroncina libera. «Io e Edward siamo arrivati a Seattle ieri sera, visto che
stavamo organizzando una sorpresa per voi e che… volevamo trascorrere insieme
alle nostre fidanzate l’arrivo del nuovo anno.» mi disse, parlando con calma.
«Ah.»
beh, almeno sapevo per quale motivo si trovavano qui, nella sperduta Forks, e
non a Los Angeles. «E allora… come spieghi tutto questo, e il livido che hai
sul mento?»
«Adesso
ci arrivo, aspetta.» mi stoppò mostrandomi il palmo della mano. «Abbiamo preso
una macchina in noleggio e abbiamo deciso, qualche ora fa, di venire a Forks
per farvi una sorpresa… ma non immaginavamo che le strade fuori città fossero
piene di ghiaccio, e la nostra auto poi non aveva neanche le catene…»
«Siete
usciti fuori strada?»
Jasper tentennò
un po’ prima di rispondere, facendo una smorfia con le labbra. «Più o meno, sì.
La macchina l’abbiamo dovuta lasciare lì perché non siamo riusciti a riportarla
in strada, così abbiamo chiamato Alice per farci venire a prendere…»
Bene,
adesso sapevo qualcosa in più su quello che era accaduto: lui e Edward erano
venuti a Forks per farci una sorpresa, ma le strade disagiate per le nevicate
dei giorni scorsi avevano rovinato i loro programmi. Mi mancava solo un’ultima
cosa da sapere…
«Dov’è
Edward adesso? Perché non è qui con voi?» chiesi, e cercai di mantenermi calma
e di scacciare via l’ansia e la paura.
«Perché…
gli stanno ricucendo uno zigomo. Ha battuto il viso contro il volante e…» smisi
di ascoltarlo dopo le parole ‘ricucendo’ e ‘zigomo’.
«Guidava
lui? Non dirmi che stava correndo con l’auto, eh! No, anzi, dimmelo! Voglio
saperlo!» scattai, arrabbiandomi in un nano secondo.
Conoscevo
l’amore di Edward per le auto e per la velocità e anche che, la maggior parte
delle volte, diventava molto superficiale per quanto riguardava le regole della
strada. Era stato un incosciente se si era messo a guidare velocemente in un
posto che non conosceva, e senza gli accorgimenti del caso!
«Andava
un pochino veloce, è vero… ma solo un pochino!» mi mostrò il pollice e l’indice
che quasi si toccavano, cosa che mi fece innervosire di più.
«Jasper,
non giustificarlo! Prova a pensare a quanto vi sareste potuti far male se
qualcos’altro fosse andato storto!» intervenne Alice, fulminando con lo sguardo
il suo fidanzato. Meno male che anche lei era del mio stesso parere.
«Ma a
parte questo, perché non mi avete avvisata voi? Lo avete lasciato fare a
Evelyn, perché?» quella cosa proprio non riuscivo a capirla.
Alice
sbuffò prima di rispondermi. «Perché Edward non voleva farti preoccupare, e non
voleva dirti che si era fatto male e che eravamo venuti qui. Ti avrei avvisata
io, lo giuro, ma quella zitella pettegola è arrivata prima di me!» si lamentò.
«Edward
non voleva farmi preoccupare? Ma… Evelyn mi ha detto che aveva chiesto di me…»
ero più confusa di prima.
«Ripeto:
zitella pettegola! Scommetto che sta raccontando a tutti questa storia in
formato telenovelas! Se la incontro le rovino la permanente, lo giuro!»
esclamò, sempre più arrabbiata.
***
Dopo
aver saputo a grandi linee quello che era successo, lasciai Alice e Jasper in
sala d’aspetto e mi inoltrai nel pronto soccorso, cercando di capire dove
avessero portato Edward. Se gli stavano soltanto mettendo i punti allo zigomo,
doveva trovarsi senza dubbio nella zona che avevo visitato un sacco di volte
durante la mia adolescenza.
Papà mi
prendeva sempre in giro per via della mia goffaggine, dicendo che potevo
benissimo accamparmi in ospedale viste le ore che passavo lì dentro come
paziente temporanea.
Le mie
supposizioni erano esatte, infatti dopo qualche minuto arrivai nel corridoio
giusto, dove un infermiere giovane, che non conoscevo, era chinato sul volto
del mio ragazzo e lavorava con ago e filo. Edward, notai, teneva gli occhi
chiusi e le mani dietro la testa, con una piccola smorfia sulle labbra. Era
sdraiato sul lettino, e se non fosse stato per l’infermiere avrei pensato che
si stesse semplicemente rilassando dopo aver lavorato troppo.
Doveva
essere brutto per lui trovarsi al posto del paziente, invece di quello del
medico che era così abituato ad occupare.
Mi
rilassai, vedendo che tutto sommato stava bene. Volevo fargli una di quelle
ramanzine che poi non si dimenticavano più, ne avevo una voglia pazzesca… ma
calcolando lo spavento, che sicuramente si era preso, e i punti al taglio che
gli stavano mettendo, potevo anche risparmiarmela.
Mi
avvicinai a lui, con calma, ma non si accorse del mio arrivo visto che teneva
ancora gli occhi chiusi. L’infermiere però se ne accorse, e fermò per qualche
istante il suo lavoro per rivolgermi una veloce occhiata.
«Lei è
una parente?» mi chiese.
«A dire
la verità, sono la sua ragazza.»
Alle
mie parole Edward spalancò gli occhi e si mosse, e dalla reazione capii che non
era per nulla preparato a vedermi lì. Si beccò anche un ammonizione da parte
dell’infermiere, e strinsi le labbra per non mettermi a ridere in quella
situazione.
«Che ci
fai qui?» domandò, sempre continuando ad osservarmi.
«Sai
com’è: il posto è piccolo, la gente mormora… e se dici di essere il fidanzato
della figlia dello sceriffo, beh, sta sicuro che nel giro di pochi minuti tutti
sapranno tutto!» gli sorrisi e passai una mano sui suoi capelli… mi era mancato
farlo, anche se erano passati solo pochi giorni. Mi era mancato lui, in
particolare. «Come stai?»
«Una
meraviglia, non trovi?» ironizzò, accennando un sorriso. «Non volevo farti
preoccupare, davvero…»
«Ma non
sarebbe stato peggio, se ti fossi presentato a casa mia conciato in questo
modo? Mi sarebbe venuto un infarto nel giro di un istante!»
«Ma non
è niente, una sciocchezza!»
«Domani
ti farà male il viso, completamente, ne sono sicura… e avrai anche un bel
livido sull’occhio.» gli feci notare, puntando gli occhi sulla ferita. «Quanti
punti ti sei beccato?»
«Cinque,
è può considerarsi fortunato! Ho visto di peggio…» rispose l’infermiere, mentre
tagliava con le forbici l’ultimo pezzo di filo. «Ecco, ho finito.» aggiunse.
«Può
già uscire?» domandai, scostandomi dal lettino per permettere a Edward di
sedersi meglio. Mi faceva ridere, sembrava che non vedesse l’ora di andarsene
via.
«Penso
di sì, naturalmente bisogna aspettare il consenso del medico. Vado a cercarlo,
ma prima finisco la medicazione qui…»
L’infermiere,
Jason, se ne andò dopo che ebbe applicato un cerotto sulla guancia di Edward
per coprire i punti. Ci lasciò da soli, cosa che non vedevo l’ora che
accadesse. Mi posizionai di fronte a lui a braccia incrociate e inarcai un
sopracciglio, soppesando il suo sguardo.
Lui
sbuffò dopo poco, voltando il viso come se gli avessi fatto un torto enorme.
«Smettila di fare così.»
«Così
come?»
«Come
se stessi per prepararti a sgridare un bambino che ha rubato i biscotti. Sembri
mia madre, Bella!»
Trattenni
una risata. «Beh, madre lo sono… e tu, in questo momento, sei un bambino da
sgridare.» chinai il viso e mi avvicinai. «Mi sono spaventata quando ho saputo
che eri qui, Edward. Ho temuto il peggio…»
«Sì, ma
il peggio non c’è stato.»
«Ma
poteva starci! Se… se ti fosse successo qualcosa di più grave, ci hai pensato?»
Edward
non mi rispose subito, si limitò a tenere lo sguardo rivolto verso un punto
lontano e a muovere le labbra. Alla fine, si voltò e mi guardò. «Perché devi
essere sempre così pessimista?»
«Perché
mi preoccupo, ecco perché! E anche perché leggo troppe disgrazie, ad essere
sincera…» non riuscii più a trattenermi e mi fiondai su di lui, stringendo le
braccia intorno alla sua vita. Immersi il naso nel suo collo e inspirai il suo
buon profumo… mi era mancato così tanto. E mi ero spaventata così tanto per
lui…
Edward
ricambiò la mia stretta e sentii le sue labbra poggiarsi sulla mia testa. Alzai
il viso, incrociando i suoi occhi. «Non farmi mai più uno scherzo del genere,
mai più.» mormorai.
Annuì,
sfiorandomi una guancia con la punta dell’indice. «Mai più.» ripeté, e si chinò
per sfiorare le mie labbra con le sue.
Ricambiai
il suo bacio e, per un istante, dimenticai di trovarmi all’interno di un pronto
soccorso. Dimenticai anche quello che era successo, ma tornai alla realtà come
sentii Edward lamentarsi per il dolore.
«Ahi!»
sibilò, storcendo le labbra e chiudendo gli occhi. «I punti cominciano a farsi
sentire.»
«Povero
piccolo…» gli baciai la guancia, stando attenta a non fargli troppo male. «Ci
penso io a te, adesso. Stai tranquillo.»
***
«Non
ero mai stato prima d’ora dentro a un auto della polizia. È… è una figata
pazzesca!»
Il
sussurro concitato, eccitato e quasi reverenziale di Edward mi fece
ridacchiare, ma non mi voltai per controllarlo, troppo impegnata com’ero a
guidare con prudenza fino a casa. Aveva ripreso a nevicare forte, quindi l’ultima
cosa che volevo era fare un altro incidente e tornare di nuovo in ospedale.
Per
quel giorno ne avevo abbastanza, e sarei voluta ritornarci solo quando avrei
dovuto tornare a lavorare… non prima di una settimana, quindi.
Fermai
la macchina una volta che arrivai davanti ad un semaforo – che era rosso, vista
la mia fortuna -, e così mi arrischiai a dare un occhiata a Edward. Prima di
lasciare il pronto soccorso gli avevano somministrato un leggero antidolorifico
per tenere a bada il fastidio dei punti, che sembrava proprio non sopportare, e
questo gli aveva causato un leggero effetto collaterale: si stupiva per ogni
cosa che vedeva.
Questo
spiegava il motivo per cui continuava ad aprire e chiudere lo sportello del
cruscotto, e a sgranare gli occhi ogni volta che lo faceva. Io cercavo di non
ridere, non mi andava di prenderlo in giro sapendo che il suo comportamento non
dipendeva da lui e che era tutta colpa del farmaco… ma chi ci riusciva?
All’ennesimo
“Caspita!” che disse dopo aver aperto di nuovo il cruscotto, mi girai e repressi
una sonora risata contro il palmo della mano. E per fortuna che il semaforo
tornò verde dopo alcuni secondi, altrimenti non avrei più smesso di ridere.
Mi
schiarii la gola, cercando di calmarmi e di non fargli capire che il suo stato
mi stava facendo divertire troppo. «Ehm… tesoro, va tutto bene? Non hai freddo,
vero?» chiesi, guardandolo con la coda dell’occhio.
«Veramente
sì, solo un po’. Qui fa più freddo che a Los Angeles, non ci sono abituato.»
disse, sistemandosi meglio sul sedile. «Oh, la ricetrasmittente! Forte!» urlò
poi. Fece per prenderla ma lo bloccai prima che potesse farlo.
«No!
Questa non si tocca, non sei un poliziotto e non puoi farlo!» lo ammonii,
schiaffeggiandogli una mano. Ed ecco che tornavo a prendermi cura di lui come
se fosse stato un bambino di cinque anni.
«Che
palle, Bella!» borbottò con voce lamentosa.
Alzai
gli occhi al cielo, sperando che l’effetto dell’antidolorifico finisse presto;
non sapevo se sarei riuscita a sopportarlo per troppo tempo, e ormai era
passata quasi un ora abbondante da quando glielo avevano somministrato… e per
qualsiasi cosa ci saremmo arrangiati con l’aspirina.
«Eccoci
arrivati.» gli dissi una volta che ebbi imboccato il vialetto di casa dei miei
genitori. Fermai la macchina dietro il furgoncino anni ’50 di mia madre, e
capii che Martha si trovava ancora dentro casa per via della sua auto,
parcheggiata poco lontano.
Stavano
tutti aspettando che tornassi per far sapere loro che cos’era successo, anche
se li avevo chiamati un paio di ore prima, oppure stavano aspettando che
presentassi loro Edward?
Era
molto più probabile la seconda ipotesi.
Edward
si abbassò e, battendo le palpebre, osservò la piccola villetta. «Abitavi qui?»
chiese, incuriosito.
Annuii,
sorridendogli. «Sì, esatto. Ti piace?»
«Mi
piace, sì… però, è piccola. La casa dei miei genitori è più grande, te la
ricordi?»
«Certo
che me la ricordo!» come potevo dimenticare l’enorme villa a due piani dei
coniugi Cullen, a Beverly Hills? Non c’era confronto con quella semplice dei
miei genitori, era vero, ma doveva anche tenere presente che i miei non erano
ricchi come i suoi.
Aprii
lo sportello e, recuperata la borsa, scesi dall’auto. «Vuoi restare a
congelarti qui dentro oppure vieni in casa con me?» gli domandai.
«No,
vengo vengo! Fa freddo qui!» in un batter d’occhio Edward scese dalla macchina
e mi raggiunse, abbracciandomi. Era così buffo, e mi scatenò dentro al petto un
ondata di tenerezza… quasi quasi sperai che l’antidolorifico facesse effetto
ancora per un po’.
Risi,
alzandomi sulle punte dei piedi per baciargli le labbra. «Dai, andiamo, ci
stanno aspettando tutti quanti.»
«Davvero?
E come fanno a sapere che ci sono anch’io insieme a te?»
«Ricordi
che mi hanno telefonato per dirmi che ti trovavi in ospedale? Beh, lo hanno
saputo anche loro perché erano con me, e adesso ti vogliono conoscere… dai, non
facciamoli aspettare.» lo presi per mano e lo tirai verso di me, guidandolo
fino a casa.
Mi
mostravo tranquilla davanti a lui, ma da una parte ero preoccupata sul
comportamento che i miei genitori e Martha avrebbero avuto una volta che Edward
fosse stato davanti a loro. Sapevano della sua esistenza, sapevano che stavamo
insieme e che ci volevamo bene… che ci
amavamo, mi corressi mentalmente. Ma la piccola punta di panico era sempre
presente, non voleva andare via.
Era
sicuramente normale, una sensazione che tutti, prima o poi, dovevamo provare
una volta che arrivava il momento fatidico ‘presentiamo il mio ragazzo alla mia
famiglia’. Sperai che nulla andasse storto.
Una
volta arrivati davanti alla porta di casa, non feci in tempo a suonare il
campanello che questa venne spalancata rapidamente da mia madre; doveva essersi
posizionata in quel posto non appena aveva sentito l’auto fermarsi pochi minuti
prima, impicciona come sempre.
«Mamma!»
la sgridai lo stesso, anche se non ce n’era davvero bisogno.
«Tesoro!
Ci avete messo troppo tempo, ma perché?» volle sapere invece, ignorandomi
totalmente e fissando gli occhi celesti sulla figura alta di Edward, al mio
fianco. Finsi di non mostrarmi risentita dal suo comportamento.
«Eravamo
in ospedale, no? Sai benissimo che le cose vanno per le lunghe, lì…» sospirai, battendo
un piede per terra. «Ci fai entrare oppure ci lasci qui fuori?»
«Oh, è
vero, scusatemi! Vieni, Edward caro, entra… stai bene, vero? Ci hai fatto
preoccupare tantissimo!» ignorandomi proprio come aveva fatto prima, prese per
mano Edward e lo fece entrare dentro casa, lasciando a me il compito di
chiudere la porta.
Feci
tutto con calma, prendendomi anche più tempo del necessario per togliere il
giaccone e per sistemarlo nel piccolo sgabuzzino dell’ingresso. Stavo lottando
con quello, e con l’attrezzatura da pesca di papà che rischiava di rovinarmi
addosso, quando mi raggiunse proprio lui, con le braccia incrociate sul petto e
l’aria tesa.
«Come
ha fatto il tuo ragazzo a combinarsi la faccia in quel modo?» chiese, e
riconobbi subito nella sua voce l’aria professionale che sfoggiava sempre
quando lavorava. Lo sceriffo Swan era in azione, ragazzi.
«Ha
battuto il viso contro il volante, non stava mostrando molta attenzione alla
strada ghiacciata… ma tranquillo, l’ho già sgridato io, papà.» gli riferii,
chiudendo finalmente lo sgabuzzino con un colpo secco. Sentii l’attrezzatura da
pesca franare dall’altra parte della porta, ma non me ne impotrò poi così
tanto.
«Sul
serio? Che incosciente che è stato! Dovrei ritirargli la patente, così impara
la lezione.» borbottò.
«L’ha
già imparata, fidati.»
«Va
bene, allora. Se lo dici tu mi fido…» passandomi un braccio sulle spalle mi
sospinse verso il salotto, dove si trovavano gli altri. «Non lo conosco molto
bene, e molto probabilmente dovrò passare molto più tempo insieme a lui per
esserne certo… ma sembra un bravo ragazzo. Un po’ svampito, ma un bravo
ragazzo.» mi confidò a bassa voce.
Lo
guardai, confusa e scettica. «È l’antidolorifico, per questo è un po’ svampito.
Dovrebbe fare effetto ancora per poco, è passeggero.»
«Ah,
okay.»
Ridacchiai,
entrando insieme a lui in salotto. Mamma e Martha avevano circondato Edward,
che si trovava seduto sul divano, e lo scrutavano attentamente come se fossero
in attesa di qualcosa. Mamma aveva persino una bottiglietta di succo di frutta
in mano: voleva assisterlo, per caso?
***
«Ti fa
tanto male?»
Edward
scosse la testa, sorridendo ad Allyson che si trovava seduta in braccio a lui.
«No, non fa male.»
«Se ti
do un bacino sulla bua guarisce prima, mamma lo dice sempre. Posso darti un
bacino?»
«Ma
certo che puoi…» Edward chiuse gli occhi e, sempre sorridendo, attese che Allie
facesse quello che doveva fare. La bimba si arrampicò aggrappandosi alle sue
spalle e, con un sonoro schiocco, baciò il cerotto che copriva il taglio.
«Ecco
fatto, adesso passa tutto quanto!» Allyson batté le mani, soddisfatta.
«Grazie
amore!» ricambiando il suo gesto la abbracciò stretta, scatenando in lei una
serie di risate contagiose.
Li
guardai, sorridendo tra me e me, poi tornai ad aiutare mia madre. Avevamo
finito di cenare da poco più di mezz’ora e, dopo una piccola parentesi dedicata
alle chiacchiere, io e mamma ci eravamo allontanate per lavare i piatti e per
sistemare la cucina. Papà, invece, era rimasto seduto a tavola insieme a Edward
e a Allyson.
Durante
la cena aveva avuto modo di parlare con lui, e di notare che non era per niente
svampito. L’antidolorifico aveva smesso di funzionare e Edward era tornato
quello di sempre, gentile, educato e scemo come al solito.
Mia
madre ne era rimasta totalmente colpita: se lo ammirava e lo stimava quando lo
conosceva solo attraverso le mie parole e lo schermo di un computer, adesso si
poteva dire che ne era innamorata al 100%.
Martha,
che era andata via un paio di ore prima ma che aveva avuto il piacere di
conoscerlo, era dello stesso parere e, prima di uscire di casa, mi aveva confidato
che era contenta di sapermi in mani sicure e che non doveva più preoccuparsi
come aveva, invece, fatto nei mesi precedenti.
Edward
era stato accettato dalla mia famiglia ed io ero davvero molto felice per
questo.
«Resta
qui a dormire, vero?» mi chiese mamma ad un certo punto.
«Mh?»
la guardai, presa alla sprovvista. «Non lo so, non gliel’ho chiesto…»
«Non
c’è bisogno di farlo, tanto io non lo faccio uscire di casa prima di domani
mattina! Ha avuto un incidente, deve riposare… non mi fido a lasciarlo andar
via prima.» continuò a dirmi, risoluta.
«Su
questo hai ragione… pensi che papà sarà d’accordo?»
«Perché
non dovrebbe esserlo? Edward è una persona di famiglia adesso.»
Arrossii,
puntando gli occhi sull’acqua insaponata e sulle mie mani altrettanto
insaponate. Edward era una persona di famiglia… era il mio ragazzo, doveva
esserlo per forza. E dovevo anche essere abituata a pensarla in quel modo, ma
era tutto così nuovo e bello, per me, che ancora non ci credevo.
«Lascia
stare qui, tesoro, finisco io… vai a preparare il divano e a prendere qualcosa
di pulito per Edward.» mamma mi cacciò via dal lavello, porgendomi uno
strofinaccio per asciugarmi.
«Il… il
divano?» perché dovevo preparare il divano?
Mia
madre mi guardò, con le labbra stirate in un sorriso. «Sì, Bella, il divano!
Non penso che tuo padre vi farà dormire insieme sotto questo tetto, o almeno
non per stasera. È molto rigido su certe regole…»
«Oh!»
già, le regole strane di papà. Perché non ci trovavamo a Los Angeles? Avremmo
potuto fare tutto quello che volevamo… o quasi. Mi asciugai in fretta le mani e
posai lo strofinaccio. «Vado, ci metto poco!»
Raccattai
dall’armadio della biancheria, che si trovava nel corridoio in cima alle scale,
delle lenzuola pulite, un cuscino di scorta e un plaid pesante, e poi scesi di
nuovo di sotto per trasformare il divano del salotto in un letto.
Stavo
sistemando le lenzuola in modo che non toccassero il pavimento quando sentii
dei passi venire verso di me, e girandomi scoprii che quelli appartenevano a
Edward. Mi sorrideva, tranquillo, e teneva le mani infilate nelle tasche dei
jeans. Lo zigomo destro, dove aveva preso il colpo, aveva cominciato a scurirsi
e adesso era diventato di un bel color viola melanzana.
Ma lui
era bello anche con il viso ammaccato, dovevo riconoscerlo.
«Che
combini?» chiese, una volta che mi fu vicino.
«Preparo
il tuo letto…» gli risposi, afferrando il plaid e stendendolo sopra alle
lenzuola.
«Dormirò
qui? Qui, e non insieme a te?» l’espressione che aveva assunto era tutta un
programma.
«Eh,
sì. Ordini del capo Swan, mi dispiace.»
«Capisco…»
mormorò, afferrandomi per le braccia e facendomi smettere di fare quello che
stavo facendo. Mi fece voltare verso di sé e, sospingendomi verso di lui, mi
intrappolò tra le sue braccia. «Volevo passare un po’ di tempo con te, ma
ancora non ci sono riuscito… e adesso mi dici anche che non dormiremo insieme.»
«Lo
so…» quel lato della situazione dava fastidio anche a me. «Ma è solo per poco.»
«Mhm,
solo per poco. Però adesso siamo soli, approfittiamone…»
«Per
fare cosa?» mi incuriosii, quando se ne usciva con certe cose aveva sempre
qualcosa di strano in mente.
«Non
so, ci devo pensare bene.» rise, e fermando il mio viso tra le sue mani mi
baciò.
Non
andammo oltre i baci, dopotutto non eravamo le uniche persone presenti in casa
e ci trovavamo in un posto dove tutti potevano sorprenderci… e odiai da morire
quel momento.
Volevo
dedicarmi a lui, volevo regalargli tutte quelle attenzioni che si scambiavano
gli innamorati e che noi non ci scambiavamo da ormai troppo tempo. L’ultima
volta che ci avevamo provato eravamo stati interrotti sul più bello da mia
figlia, e adesso c’erano anche i miei genitori di mezzo.
La
sfiga mi perseguitava, era ufficiale.
«Ehm,
ehm…»
Come non
detto…
Grugnii
di protesta, sentendo che qualcuno si stava schiarendo la voce per avvertirci
della sua presenza. Edward, invece, si mise a ridere per la mia reazione. A lui
sembrava non seccare mai quando qualcuno ci interrompeva… volevo conoscere il suo
segreto, su come riusciva ad avere una pazienza di ferro.
Voltandomi
notai che si trattava della mamma, che ci osservava stando appoggiata alla
parete del salotto e con le mani premute sulle guance, tutta sorridente e
contenta.
«Non
volevo interrompervi, sul serio, siete troppo carini! Ma… vi volevo dire che io
e Charlie stiamo salendo di sopra, e Allie vuole dormire con noi. Vi lasciamo
da soli, ma non fate nulla di troppo rumoroso o… impegnativo. Mi raccomando,
eh!» disse, interrompendosi di tanto in tanto e gesticolando con le mani.
«Non si
preoccupi, Renée, faremo i bravi.» Edward mi strinse più forte mentre parlava,
e depositò un piccolo bacio sulla mia tempia destra.
«Aw,
siete bellissimi! Va bene, ci vediamo domattina! Vi lascio da soli!» e, così
com’era arrivata, scappò via agitando le mani in segno di saluto.
Edward
rise di nuovo. «Tua madre mi piace, è simpaticissima!»
«Ma è
anche pazza, devi lasciarla stare…» tornai a guardarlo e posai le labbra sul
suo mento, baciandolo. «Non mi va di passare la notte separati.» aggiunsi.
Sbuffò.
«A chi lo dici! Sarà una tortura: così vicini, ma così lontani allo stesso
tempo.»
«Già…
ma forse, queste ore passeranno in fretta e noi neanche ce ne accorgeremo.»
E lo
credetti davvero.
O
almeno, lo feci fino a quando non sentii la porta della mia camera aprirsi, e
dopo poco qualcuno venne a sdraiarsi accanto a me nel letto. Era ancora tutto
buio, quindi era troppo presto per essere mattina. Mugugnando, assonnata, allungai
il braccio per accendere la lampada e per sbirciare l’ora, ma una mano mi bloccò
prima che potessi farlo.
«No! È
meglio se restiamo al buio.» sussurrò il mio visitatore notturno, che non aveva
neanche bisogno di presentazioni per farmi capire chi fosse.
«Mhm…
ma che ci fai qui?» borbottai, rigirandomi nel letto e allungando le mani per
capire bene dove fosse. Non appena sentii sotto alle dita il cotone della sua
maglietta, mi avvicinai e lo abbracciai.
«Di
sotto fa freddo… e volevo stare insieme a te. Mi manchi troppo, amore.»
sussurrò, baciandomi le guance e passando le mani dietro la mia schiena per
stringermi meglio contro di lui.
Sorrisi,
accontentandolo, e come il mio petto toccò il suo lo feci sdraiare sulla
schiena. Mi misi a cavalcioni su di lui e immersi le mani nei suoi capelli,
abbassandomi sul suo viso per baciarlo come volevo fare da tutta la sera.
Cercai di muovermi con cautela, non volevo fargli male e col buio che ci
avvolgeva era difficile capire bene come dovevo comportarmi. Ma lui non si
lamentava, quindi voleva dire che non stavo facendo nulla di sbagliato.
Percorsi
il suo labbro inferiore con la lingua prima di morderlo, e mi beccai una
strizzata di fianchi da parte sua. Mi misi a ridere, ma Edward mi tappò di
nuovo la bocca con la sua, forse per evitare che gli altri ci sentissero.
«Non
vorrai mica farci scoprire!» borbottò dopo poco, dando vita ai miei pensieri.
«No che
non voglio, non sono così scema.» lo baciai ancora una volta, spostando le mani
più in basso, sulla sua maglia. «Sai, una persona che ha appena avuto un
incidente dovrebbe starsene tranquillo e a riposo, e non dovrebbe assalire le
fidanzate come invece stai facendo te…» lo presi in giro.
«Ma io
sto bene, e sono più che sicuro che fare un po’ di sesso con la mia ragazza è
la medicina di cui ho bisogno adesso.» mi sbeffeggiò lui, invece, e senza tante
cerimonie mi sfilò la maglia del pigiama, lasciandomi nuda dalla vita in su.
Ringraziai
la mia buona stella, che qualche volta si faceva viva, e Allie che aveva deciso
di andare a dormire nel lettone insieme ai suoi nonni.
«E da
quando in qua fare sesso è diventata una medicina?» mi piaceva tanto parlare
mentre, pian piano, la situazione diventava sempre più interessante e ci
avvicinavamo al momento migliore… e mi piaceva ancora di più prenderlo in giro,
e vedere la sua reazione. Rendeva i nostri momenti intimi ancora più belli, a
mio parere.
«Lo
sanno tutti, mia cara, tutti… aggiorna il software, amore.» alitò al mio
orecchio, e con un movimento rapido mi fece cambiare posizione, facendo sì che
lui si trovasse sopra di me. Premeva con il corpo contro il mio, ma non mi dava
fastidio e non mi schiacciava. Anzi, mi inarcai contro di lui per far
combaciare al meglio le nostre pelli, ancora troppo coperte.
«Mi è
mancato sentirtelo dire…» ammisi, liberando il suo corpo dall’ingombro dei
vestiti. Peccato che la luce fosse spenta, non c’era cosa più bella del vedere
il corpo nudo di Edward. Gli baciai la spalla, aggrappandomi alla sua schiena.
«Cosa?
Illuminami, piccola…»
Persi
un po’ il contatto con la realtà per via delle sue mani, che cercavano di
finire il compito di denudarmi e mi regalavano valanghe di nuovi brividi lungo
tutto il corpo. Ansimai piano, gettando la testa all’indietro e guardandolo in
viso. I suoi occhi erano lucidi, ed erano l’unica cosa che distinguevo bene in
tutto quel buio.
«Amore…
mi piace quando mi chiami così.»
«Amore,
amore, amore… sei il mio amore…» Edward seppellì il viso sul mio collo e,
premendoci sopra le labbra, lo sentii sistemarsi meglio tra le mie gambe ed
entrare in me in pochi e decisi movimenti.
Ogni
volta che accadeva era come la prima, una sensazione di completezza enorme e
soddisfacente e che mi faceva venire sempre voglia di piangere. Inarcai il
bacino per accoglierlo meglio e assecondai i suoi movimenti, premendo le mani alla
base della sua schiena.
Non mi
sarei mai stancata di fare l’amore con lui, mai e poi mai.
«Ti
amo.» sussurrai, accostando di nuovo le mie labbra alle sue.
«Ti amo
anch’io, non dimenticarlo mai… mai.»
Non
avevo nessuna intenzione di farlo, nemmeno nei miei peggiori incubi avrei
voluto dimenticarmi di quelle parole.
Ed in
silenzio, con le labbra vicine per paura di far fuoriuscire qualche rumore
troppo alto, che fosse stato capace di farci scoprire, continuammo ad amarci e
a ripeterci quelle piccole promesse che, sperai, potessero durare per sempre.
_____________
Ariecchime! Vi sono mancata? XD
Avete visto? Edwarduccio nostro sta bene, è
solo un po’ ammaccato XD
E adesso, per un po’, non vedremo più
disgrazie, piccole e non: mi sto risparmiando il pezzo forte per più avanti u.u
Eh… non ho altro da dire! Possibile? È la
prima volta che sono a corto di parole per le note finali XD va beh, se mi
viene in mente qualcosa ve lo farò sapere su Facebook, sul mio gruppo personale
– per chi non lo conosce ancora, questo qui è il link ;)
Ci sentiamo presto, promesso! Non so quando
sarà, devo ancora scrivere il prossimo capitolo e anche quello dell’altra
storia è in alto mare °-° forse ci vediamo per Ferragosto ahahahahhaha XD
Okay, me ne vado! Un bacione a tutte ^__^
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Capitolo 23 *** Capitolo 23 ***
Solo il tempo... - Capitolo23
Buonasera ragazze!
Avete visto, è tornata ‘Solo il tempo’!
yay! ^_^
Come avevo promesso mesi fa, terminata l’estate
ho ripreso in mano le mie long… vi chiedo solo un po’ di venia per questo
capitolo, l’ho corretto adesso adesso ma ho un principio di mal di testa XD
quindi abbonatemi qualche errorino XD
E… niente, ci sentiamo in basso per le note
finali ;)
Solo il
tempo
Capitolo
23
«Allie,
per favore, smettila di scappare!» mugugnai per la decima volta. O forse era la
ventesima… boh, avevo perso il conto delle volte in cui avevo ripetuto quella
frase nell’arco dell’ultima ora.
«No!
Mamma, lasciami stare!» come una ranocchia, la bambina saltò giù dai cuscini
del divano e se la svignò verso il corridoio, cercando di allontanarsi da me.
Sbuffai,
passandomi stancamente una mano tra i capelli mentre, con l’altra, stringevo il
barattolino della crema. Per essere una bambina malata, beh, aveva fin troppe
energie per i miei gusti.
«Allyson,
sto venendo a prenderti!» e non era un avvertimento, quello: era un semplice dato
di fatto.
Non era
per niente facile badare a mia figlia quando era ammalata; se fosse stata una
semplice influenza sarebbe stato tutto molto, ma molto più semplice… ma la
varicella no, quella era tutta un'altra storia.
Non era
passata neanche una settimana dal nostro ritorno a casa, una volta finite le
vacanze di Natale, e la scuola già mi chiamava al lavoro per dirmi che la
bambina aveva delle bollicine strane sul viso e sulle braccia. Da lì a capire
che si trattasse della varicella bastarono pochi minuti di visita e l’occhio
esperto di Jacob, da cui l’avevo portata per accertamenti.
Non
riuscii a capire come Allyson si fosse beccata la varicella, dato che all’asilo
sembrava non esserci stato nessun allarmismo per via del contagio… ma ci pensò
mia madre a dirmi tutto, non appena le comunicai che la sua nipotina preferita,
nonché unica, stava male.
Quando
eravamo ancora a Forks, era andata a trovare una sua amica e si era portata
dietro anche la bambina, visto che Annabelle stava badando a suo nipote mentre
i genitori lavoravano. Quello che mia madre non sapeva, però, era che il
bambino aveva la varicella e che quindi anche Allie rischiava di ammalarsi,
stando accanto a lui mentre giocavano. Ma ormai il danno era fatto, quindi…
Seguii
il percorso che aveva fatto Allyson poco prima, nel disperato tentativo di
acciuffarla; era solo il quinto giorno di malattia e già non ce la facevo più.
Capivo che stava male, che era nervosa e che non riusciva a sopportare il
prurito che le bollicine le procuravano… ma era un impresa impossibile
gestirla.
Avevo
bisogno di una nuova vacanza, senza dubbio.
«Allie,
dai tesoro vieni dalla mamma.» dissi, entrando nella mia stanza da letto.
Il
primo tentativo di capire dove si fosse cacciata fu quello giusto, perché in
effetti si trovava proprio lì. Se ne stava sdraiata sul letto, coperta fino al
mento, e si sfregava gli occhi con le manine. Quando faceva così, di solito,
era perché si sentiva stanca… ah, se fossi riuscita a farla addormentare sarei
stata la madre più felice del mondo!
«Ehi!
Mettiamo un po’ di cremina sulle bollicine?» le domandai raggiungendola sul
letto. Posai temporaneamente il barattolo sul comodino e la scoprii,
prendendola in braccio. Non appena lo feci, però, Allie cominciò a piangere,
cosa che accadeva sempre più spesso negli ultimi giorni e che mi faceva sentire
sempre più in pena per lei. Odiavo da morire vederla ammalata. «Amore, dai non
fare così…» sussurrai per confortarla un pochino.
«Mi
fanno male mamma, mi fanno male!» strillò, stringendosi sempre di più a me e
seppellendo il viso nel mio collo.
«Lo so
piccolina, ma adesso mettiamo la crema e vedrai che passa tutto…» le baciai la
fronte, rassicurandola. Sperai davvero che quella crema le desse un po’ di
sollievo, non mi piaceva vederla piangere in quel modo.
Parlandole
tranquillamente, ed asciugandole di tanto in tanto le lacrime che le scendevano
sulle guance, la liberai del pigiama e cominciai a coprire di crema la sua
pelle, piena di vescicole. Erano così infiammate che al solo vederle mi veniva
voglia di grattarmi, e ringraziai mentalmente il fatto che avessi già avuto la
varicella. O almeno, sperai di averla avuta…
Dovevo
chiederlo alla mamma.
«Mamma,
togli questi?» mormorò Allie, alzando le manine bendate e fermandole davanti al
mio viso. «Fanno male!»
«Anche
qui? Stamattina non c’erano…» aggrottai le sopracciglia, cominciando a disfare
il bendaggio che avevo fatto in precedenza. Controllare non mi costava nulla,
però non sapevo se mia figlia stava dicendo la verità o era solo perché voleva
grattarsi disperatamente.
Per
evitare che si facesse male grattandosi le vescicole, Jacob mi aveva consigliato
di coprirle le mani con delle garze, oppure con dei semplici guanti. Avevo
optato per le bende, alla fine, perché la furbacchiona era riuscita a liberarsi
dei guanti per quattro volte di fila, scorticandosi a sangue alcune bollicine
sulla fronte.
Quindi
adesso ero molto prevenuta con lei.
«Vediamo
un po’…» una volta rimosse tutte le garze, osservai le sue manine alla ricerca
di nuove bolle, che scoprii esistevano veramente. Speravo che almeno le mani
gliele avesse risparmiate, ma a quanto sembrava la varicella non voleva proprio
darle tregua e la stava riempiendo completamente. Le mancavano solo le bolle
sotto alle piante dei piedi ed eravamo a cavallo!
Nel
giro di pochi minuti la ricoprii di crema da capo a piedi e le misi un pigiama
pulito, lasciandole le mani libere e rinviando la sessione di bendaggio a un
altro momento. Bastava solo che non cominciasse a grattarsi e che non
peggiorasse la situazione.
«Bene,
adesso ci mettiamo sotto le coperte e dormiamo un po’, che dici?» le proposi,
sdraiandomi sul letto accanto a lei, con una sola differenza: io me ne stavo
sopra alle coperte, mentre Allyson era coperta fino alle orecchie.
«Non
voglio dormire, voglio guardare la tivu!» borbottò decisa, facendomi capire che
il mio piano non le andava a genio. «Ci sono i cartoni…»
«Allora
stiamo sotto alle coperte e guardiamo i cartoni animati, è uguale!»
Guardare
i cartoni alla tv fu l’unica cosa che facemmo per le tre ore seguenti; quella
più interessata alle vicende dei Teletubbies, naturalmente, era Allie. Io dopo
un po’ dovetti distogliere per forza lo sguardo dallo schermo perché i miei
occhi chiedevano pietà, cominciavano a darmi fastidio… e anche perché, ad essere
sincera, i Teletubbies mi stavano un po’ sulle palle.
Ma ero
comunque contenta di sopportarli vedendo che stavano facendo distrarre la
piccola dal pensiero della malattia e delle bolle stronze: aveva infatti
cominciato a cantare e a battere le mani a ritmo di quei quattro pupazzi idioti,
allegra e contenta. Se pensavo che c’erano altri tre episodi da vedere, dopo di
quello, mi veniva da piangere. Nella mia mente stavo imprecando a squarciagola
e imploravo che quella tortura finisse il prima possibile…
Allyson
mi aveva chiesto di unirmi a lei nel cantare una nuova e irritante canzoncina,
e avevamo appena cominciato quando qualcuno venne a salvarmi. Sentii la porta
di casa aprirsi ma non sapevo chi potesse essere, visto che oltre a me anche
Edward, Alice e Rosalie avevano le chiavi di casa… ma dal passo pesante che
risuonava nel corridoio capii che doveva trattarsi del mio bel ragazzone.
E
infatti, due secondi dopo la sua figura comparve sulla soglia della porta, alta
e slanciata come sempre. Sulle sue labbra comparve un sorriso divertito, che si
propagò e andò a contagiare anche i suoi occhi.
«Non
capisco chi è la bambina tra voi due, se tu o tua figlia…» disse subito,
scoppiando a ridere mentre si avvicinava al letto.
Mi
imbronciai subito facendogli la linguaccia. «Piantala e unisciti a noi, abbiamo
bisogno di altre persone nel coro!»
«Fossi
matto, neanche per sogno!» esclamò. Si chinò su di me, nel frattempo, e baciò
gentilmente le mie labbra. «Come se la cava l’ammalata di casa?»
«Va
avanti, tra alti e bassi… Allie, amore, non lo saluti Edward?» diedi una
strizzata al suo corpicino, che tenevo tra le braccia.
Allyson
scosse la testa e incrociò le braccia al petto, sbuffando. «No.»
«E
perché non mi vuoi salutare? Sono appena arrivato e non ti ho fatto i dispetti!»
quasi indignato, Edward saltò sul letto e si sistemò accanto a mia figlia,
carezzandole i capelli con una mano.
«Non mi
hai salutato, dovevi salutarmi per prima! Sei stato stupido!» squittì,
agitandosi tutta prima di tornare a imbronciarsi contro i cuscini che le avevo
precedentemente sistemato dietro la schiena.
«Allyson!
Non parlargli così!» la rimproverai anche se non volevo realmente farlo, perché
quella situazione mi faceva ridere e volevo che continuasse. Allie era
veramente nervosa e un po’ abbattuta, ammalata com’era, e per una volta ero
contenta di vederla scatenare il suo nervosismo contro qualcuno che non fosse
la sottoscritta.
«Sono
stato stupido, è vero… ho salutato quella brutta della mamma prima di te, sono
imperdonabile!» Edward, sospirando in maniera esagerata e a dir poco teatrale,
scosse la testa.
«Ehi!
Non sono brutta!»
«Non è
brutta! Cattivo, cattivo!» Allie mi diede man forte, scoprendosi e andando a
riempire di schiaffetti il petto e il viso di Edward.
«Ehi,
ma che modi sono questi! E pensare che ti ho anche portato un regalo… non te lo
meriti, me lo tengo io!» fingendosi offeso, il mio ragazzo si alzò dal letto e
si andò a sistemare dalla mia parte, cingendomi le spalle con un braccio.
«Il tuo
regalo è brutto, non lo voglio!» esclamò Allyson andando a nascondersi sotto le
coperte.
Ridacchiai,
coprendomi la bocca con le mani per non farmi sentire. Che scemini che erano,
tutti e due…
«Davvero
le hai fatto un regalo? Se continui così la vizierai, non voglio che diventi
viziata.» chiesi, voltandomi verso di Edward.
«È una
sciocchezza, giusto qualcosa per farla sentire bene adesso che sta male… ma
dato che non lo vuole…» scrollò le spalle, si mise a ridere e poi mi abbracciò,
schioccandomi un bacio sulla testa.
«Meglio
così, però adesso te la sbrighi tu con lei. Io vado a preparare qualcosa da
mangiare… falla uscire da sotto le coperte.» baciai le sue labbra, scendendo
dal letto subito dopo.
«Ti
sembra un impresa facile!» esclamò, guardandomi sconsolato per un istante prima
di avvicinarsi al bozzo che spuntava da sotto alle coperte. «Ehi, tesoro, vieni
a giocare con me?»
«No!»
rispose la bimba, la voce ovattata dagli strati di stoffa.
«Eddai,
per favore! Ci rimango male se mi dici di no!»
«Non me
ne frega niente!»
Trattenendo
una nuova risata, mi allontanai lungo il corridoio, scuotendo la testa. Ne
avrei viste delle belle, ne ero certa.
***
Eravamo
arrivate al decimo giorno della malattia e le cose cominciavano a migliorare:
le bollicine cominciavano a seccarsi e a sparire, lasciando i classici segni
solo su quelle che Allyson si era divertita a grattare, e la febbre era andata
via. Poteva già tornare a scuola, ma io preferivo lasciarla a casa fino a
quando non fosse caduta anche l’ultima crosticina.
Spesso
e volentieri, mi spaventavo vedendo quanto fossi iperprotettiva nei confronti
di mia figlia… ma quale madre non lo era con il suo cucciolo?
Mentre
lavoravo lasciavo Allyson alle cure di Rosalie, come al solito, e quest’ultima
mi lanciava rimproveri e imprecazioni ogni qualvolta che telefonavo a casa per
sapere come stesse. Esageravo, ma non potevo farne a meno…
…ed ero
più che contenta di tornare a casa, nel pomeriggio, e vedere con i miei stessi
occhi che la piccola stava bene e che era sempre iperattiva. Forse lo era anche
troppo, visti i danni che combinava in giro per casa.
Ultimamente
anche Emmett aveva cominciato a frequentare casa nostra e almeno una volta al
giorno dovevo sorbirmi il resoconto di tutte le avventure e i giochi che Allie
aveva fatto insieme a lui, senza contare quelle che avevo avuto ‘l’onore’ di
vedere di persona.
Emmett
tornava ad essere un bambino quando si trovava in mezzo ai bambini… secondo me
aveva qualcosa che non andava nel cervello.
«Mamma,
sono pronte le frittelle?» chiese mia figlia, impaziente.
«Mamma, anche io voglio le frittelle!»
questa non era Allyson, però.
Mi
girai, distogliendo l’attenzione dai fornelli e dall’impasto che si andava
cuocendo, e fulminai Emmett con lo sguardo. «Smettila di chiamarmi ‘mamma’!»
Lui,
indifferente, si mise a ridere e trascinò mia figlia con sé. «Hai visto, le dà
fastidio! Lo facciamo di nuovo?» le sussurrò all’orecchio.
«Sì!» fu
la risposta allegra di Allie.
«Voi
due non farete proprio un bel niente! Emmett, smettila di rimbambire questa
povera bambina!» meno male che c’era Rosalie a tenere a bada il suo fidanzato.
«Ma,
tesoro! Non facciamo nulla di male, noi!» disse a sua discolpa.
«Sì,
sembra vero, guarda.»
«Okay,
fate tutti i bravi adesso!» esclamai, neanche fossi una maestrina alle prese
con i suoi alunni irrequieti. Tolsi la padella dal fuoco e misi il suo
contenuto su un piattino, utilizzando uno stampino per ritagliarlo della forma
che volevo… in questo caso, un orso.
Allyson
ultimamente aveva la fissa con gli orsi, chissà poi perché…
Misi il
piatto con la frittella orsosa, e decorata con un po’ di cioccolato, sul
tavolo, di fronte ad Allyson. «Eccola qua, amore.»
«Uau,
grazie mamma!» la piccola mi ringraziò aggiungendo un bacino sulla guancia.
Emmett,
invece, si imbronciò vedendo quello che avevo fatto, proprio come un bimbo piccolo.
«E a me niente? Che storia è questa?»
«Tu
aspetti, cinque minuti in più non ti cambieranno la giornata.» lo sbeffeggiò
Rosalie, bevendo un sorso di caffè.
«Ah no,
io non aspetto!» e dicendo così, si armò di forchetta e rubò un pezzo di dolce
dal piatto di Allyson.
«Ehi!»
«Brutto
tronzone cattivone! Vaffacculo!»
Non mi
presi nemmeno la briga di sgridarla: Allyson aveva ragione, Emmett era stato un
vero e proprio stronzo.
«Ma che
ci si comporta così? E hai trentadue anni suonati, vergognati!» lo rimproverò
Rosalie dandogli uno scappellotto sonante tra capo e collo.
Lui
reagì portando una mano a coprire la parte lesa. «Ahi! Scusate tanto se non mi
va di aspettare, ho fame!»
«Di
certo, grande e grosso come sei, aspettare cinque minuti in più non ti avrebbe
ucciso.» scossi la testa, porgendo il piattino con la frittella a Emmett per
poi abbracciare la mia bambina e baciarle la testa. «La mamma adesso te ne
prepara un'altra, grande grande e piena di cioccolato!»
«Uiii,
che bello!» urlò lei contenta, e battendo le mani fece una linguaccia a Emmett.
«Ma non
è giusto!» si lamentò Emmett.
«Sì che
è giusto! Così impari a rubare il cibo agli altri…»
Risi,
tornando davanti ai fornelli per preparare la porzione extra di frittella. «Sei
tremendo, Emmett. Quando diventerai padre farai i dispetti anche a tuo figlio?»
chiesi, immaginandomi già il terremoto che sarebbe uscito fuori.
Povero
bambino… o bambina.
«Gli
farà i dispetti e anche qualcosa di peggiore, ne sono sicura. Spero che i suoi
bambini non siano anche i miei.» se ne uscì Rose, ridacchiando.
«Momento
momento momento… Rose, ma che vai farneticando? È ovvio che i miei bambini
saranno anche i tuoi! Sarai la loro mamma!»
«Che ne
puoi sapere tu? Per quando diventeremo genitori potremmo anche esserci
lasciati! Magari tu sposerai una bibliotecaria scorbutica come Madama Pince, ed
io forse riuscirò finalmente ad accalappiare l’idolo dei miei sogni e a farci
una squadra di marmocchi…»
«Chi,
Christian Bale? Pff, tu sogni donna!»
«Già,
sogno… per questo devo accontentarmi di te, tesoro.» con un sorriso tenero sul
volto, Rosalie si avvicinò ad Emmett, abbracciandolo, e poi gli baciò le
labbra.
Loro
due mi piacevamo moltissimo insieme, erano assurdi la maggior parte delle volte
ma erano anche la perfetta rappresentazione del vero amore… erano la Bella e la
Bestia, anche se Allyson continuava a vederli come Aurora e Filippo. E si
sopportavano a vicenda da dieci lunghi anni!
«Anche
io devo accontentarmi di te, piccola, e non posso avere Gwineth Paltrow! Ma…
spiegami chi sarebbe questa Madama Pince. La conosco?» chiese Emmett,
ricambiando l’abbraccio di Rose.
Aggrottai
le sopracciglia. «Non sai chi è? Ma… tutti sanno chi è! Ricordi Harry Potter?»
«Ho
visto tutti i film e non ho mai sentito nominare questa Madama Pince! Mi stai
prendendo in giro?»
«Quindi
non hai mai letto i libri?» ero sconvolta. «Devi recuperare, Emm, recuperare!
Ti sei perso un sacco di cose non leggendoli!»
«No,
neanche morto! Non mi piace leggere… ehi, Bella, perché mi guardi così? No,
abbassa subito quel mestolo!»
Se
Rosalie voleva avere ancora intatto il suo fidanzato, beh, doveva fermarmi
subito prima di commettere un Emmetticidio!
***
«E
quindi, domani la bambina torna a scuola?» mi chiese Edward, entrando in camera
da letto.
Annuii,
osservando i suoi movimenti standomene comodamente sdraiata nel letto. Anche
per quella sera, il mio ragazzo aveva deciso di fermarsi a dormire a casa mia;
ormai era più il tempo che trascorrevamo insieme che quello in cui lo passavamo
separati. Si poteva quasi dire che convivevamo… quasi, perché non avevamo
ancora deciso nulla riguardo a questo argomento.
Per
quanto l’idea di vivere insieme mi piacesse, non mi sentivo ancora pronta a
compiere questo passo così importante. Dovevo prima pensare ai bisogni della
mia piccola, e dopo potevo pensare ai miei. Non sapevo come Allyson poteva
reagire vedendo una figura maschile prendere il posto di suo padre, anche se
questo sembrava essere già accaduto…
«Sì,
ormai è completamente guarita. Non ha senso che rimanga a casa…» posai le
braccia sulla mia pancia, al di sopra delle lenzuola. «Ti decidi a venire qui?
Mi manchi!»
Edward,
che stava sistemando i suoi abiti sul comò, si girò vero di me e mi lanciò una
delle sue espressioni migliori, quella che esprimeva sorpresa, divertimento e
anche qualcosa di più. «Davvero ti manco?» domandò.
«Sì, mi
manchi moltissimo. Sai, è tanto tempo che… siamo lontani…» mormorai, portando
una mano sul mio petto, all’altezza del cuore. Ovviamente non stavo parlando di
una vera lontananza, visto il tanto tempo che passavamo insieme… no, era decisamente
un altro tipo di lontananza.
Edward
capì al volo, fortunatamente, abbandonando i suoi vestiti così come erano e
buttandosi a capofitto sul materasso. Mi raggiunse, sorridendo, e si posizionò
sopra il mio corpo cingendomi il viso con le sue mani.
«Hai
ragione, è passato così tanto dall’ultima volta. Recuperiamo un po’?» mi baciò
gli zigomi, ridacchiando, scendendo un po’ di più con le labbra.
«Oh sì,
non vedo l’ora!» lo abbracciai, arpionandomi alla sua schiena nuda mentre
incollavo le labbra alle sue.
Le
nostre bocche presero a divorarsi le une con le altre, e le nostre lingue si
rincorsero felici di tornare ad esplorarsi. Ed io ero felice di questo, ero
felice di poter sentire di nuovo il corpo di Edward così stretto al mio, di
sentire che il suo desiderio era forte come il mio e che, ben presto, saremmo
tornati ad unirci così come solo due persone che si amavano profondamente
potevano fare.
Lo
desideravo così tanto! Era dalla notte di Capodanno che non facevamo più
l’amore… un astinenza forzata che ero più che contenta di infrangere.
Edward
mi scoprì, facendo scendere le lenzuola fino ai piedi del letto per potersi
sdraiare liberamente su di me. Continuando a baciarci, feci vagare le mani
sulla sua schiena perfetta fino a giungere sul suo sedere, che strinsi
lievemente. Gli circondai il bacino con le gambe, sfregando il mio sesso contro
il suo.
«Non
farmi soffrire, strega…» brontolò, scendendo con le labbra lungo il mio collo
ed avanzando fino al seno, coperto dalla canottiera che usavo solitamente per
dormire.
«Non
farlo nemmeno tu, voglio sentirti.» mugolai, carezzandogli i capelli e
stringendoli tra le dita mentre cominciava a stuzzicare il mio seno al di sopra
del tessuto.
Quei
preliminari cominciavano a darmi sui nervi.
Edward,
forse intuendo i miei pensieri, si sollevò da me e portò con sé la mia
canottiera, lasciandomi nuda dalla vita in su. Tornò a baciarmi e ad
accarezzarmi con le mani, facendomi desiderare che osasse di più e che mi
facesse impazzire come solo lui sapeva fare.
«Uhm,
amore…» mugolò dopo qualche secondo, scostandosi con la testa. «Che hai fatto
qui? Ti ha punto un insetto?» chiese.
«Cosa…
insetto? Quale insetto?» cosa poteva importarmi degli insetti in quel momento?
«Hai
una strana bolla qui, vicino all’ombelico…» mi spiegò, indicandomi il punto e
sfiorandolo con il dito. Osservai anche io quello che mi stava indicando, ed in
effetti per essere una puntura di insetto era parecchio strana… poi, un'altra
spiegazione mi si affacciò alla mente.
«Credo
che non sia una puntura di insetto…» pigolai, rabbrividendo. No, mi rifiutavo
di crederci!
«E
allora, cosa…»
«Varicella!
Ho preso la varicella! A ventitré anni!» urlai.
«Che
cosa? Ma… ma non l’avevi avuta?» Edward era sconvolto più o meno quanto me, ma
era anche parecchio divertito da quella nuova rivelazione. Gli veniva da
ridere, e lo nascondeva anche male!
Ma come
si permetteva?!
«Non me
lo ricordo, se l’ho avuta o no! Devo chiedere alla mamma…» riabbassando gli
occhi su quell’unica e per niente innocua bollicina, che svettava sulla mia
carnagione chiara, mi ributtai sui cuscini e, prese le lenzuola, mi coprii fino
al mento. «Ti prego, chiamala e chiediglielo. Io… io non ho il coraggio, mi
vergogno.» aggiunsi, decidendo all’ultima parola di coprire anche la mia testa
con le lenzuola.
«Va
bene tesoro, vado a chiamarla.» sentii la sua mano, o forse le sue labbra,
carezzarmi la fronte e poi sentii che abbandonava il letto per uscire dalla
camera… poi, cosa che mi fece stare di merda più di quanto già non fossi,
sentii la sua risata risuonare per la casa.
Che
bastardo che sei, Edward Cullen!
***
Mia
madre diede a Edward la conferma ai miei sospetti: non avevo avuto la
varicella, da piccina. E così me l’ero presa adesso grazie a mia figlia. Che
fortuna, eh?
No, non
direi proprio.
Naturalmente
Edward aveva riconosciuto subito la natura di quella prima bolla, solo che si
divertiva alle mie spalle di vedermi vittima di quella malattia, e da bravo
medico poteva dirmi subito cosa fare, anche se lo sapevo già… ma lui, forse per
divertirsi ancora di più e per mettermi ancora di più in imbarazzo, chiamò
Jacob per farlo venire a casa a visitarmi.
Jacob,
un pediatra, che visitava me, che non avevo più neanche l’ombra dell’aspetto di
una bambina.
Edward
voleva vedermi morta per la vergogna.
E così
adesso ero io la malata, la paziente… che non ero paziente proprio per niente.
Non riuscivo a stare ferma per più di pochi minuti, avevo la febbre che si
alzava e si abbassava ad intervalli di poche ore e che mi scatenava ogni volta
dei mal di testa micidiali, e le bolle che avevo sparse più o meno per tutto il
corpo erano insopportabili. Non potevo nemmeno grattarmi, visto che Edward,
Rosalie ed Alice mi tenevano sempre sotto controllo e mi avevano bendato le
mani, così come io avevo fatto ad Allyson quando lei era stata male.
Adesso
capivo come si era sentita lei, povera piccola.
Era tutto
insopportabile!
«Rose!
Rose, ti prego, non le sopporto più!» strillai, sbracciandomi nel disperato
tentativo di far passare il prurito alle braccia. «Grattami tu, passami una
grattugia sulla pelle ma fa qualcosa!»
«Non
farò un bel niente! Dio, Bella, tua figlia non era così insopportabile!» mi
sgridò lei, invece, posandosi le mani sui fianchi.
Lei ed
Alice venivano a farmi compagnia durante il giorno, cambiandosi di turno di
tanto in tanto, mentre Edward era a lavoro in ospedale e la bambina era a
scuola. Alice qualche volta mi lasciava libera di grattarmi, impietosita dai
miei strilli, ma Rosalie era tutta un'altra storia…
Era
cattiva! Perfida, e aggiungeva uno strato di bende alle mie mani ogni qualvolta
tentavo di grattarmi… inutilmente, aggiungerei, visto che sembrava che non
avessi delle mani. Ero così impedita, e tonta, da non riuscire neanche a tenere
il cellulare tra le mani. E non potevo neanche provare a leggere qualcosa: come
sarei riuscita a girarle, le pagine?
«Quand’è
che passerà tutto questo? Mi sento uno schifo, cazzo!» strillai di nuovo,
buttandomi sul divano.
«Vedrai
che la settimana prossima starai meglio, tesoro.» tentò di consolarmi lei, che
venne a sedersi accanto a me. «Questi primi giorni sono i peggiori, ma
passeranno in fretta…»
La
guardai con tutto l’odio, il nervosismo e il risentimento che provavo in quel
momento. «Non dirmi così, non mi aiuti.»
Lei
sbuffò. «Ho capito, non ti aiuto… e in che modo potrei aiutarti, spiegami!»
Dovevo
davvero risponderle? C’era una sola cosa che mi avrebbe aiutato, e che mi
avrebbe resa anche la persona più felice di questo mondo maledetto.
Assunsi
la mia migliore espressione da cucciolo indifeso e maltrattato, posando la mano
fasciata sulla guancia. «Ti prego…» pigolai.
Rose
sicuramente capì a cosa mi stessi riferendo, perché scosse fermamente la testa
in senso di diniego. Lo avevo già detto che era cattiva, e perfida? Beh, aggiunsi
anche ‘bastarda’ alla lunga lista.
Continuai
a mantenere la mia espressione demoralizzata nella speranza di riuscire a
sciogliere il suo cuore di ghiaccio, e alla fine sembrai riuscirci perché si
girò, guardandomi di sottecchi, e poi posò la mano sulla mia schiena muovendola
in circolo. Non mi stava realmente grattando, ma quel gesto ebbe lo stesso il
potere di dare sollievo alle bolle più infiammate.
«Oh mio
Dio, sì!» mugolai, chiudendo gli occhi. Che bello.
«Stai
per avere un orgasmo, o cosa?» domandò lei, incerta.
«Se
continui così, forse l’orgasmo lo avrò davvero.» mormorai, muovendomi poco sul
divano. «Un po’ più in basso, per favore… sì! Lì.»
«Ma tu
guarda che mi tocca fare…» brontolò, ma sentivo che era divertita dalla
situazione. «Non andare a raccontarlo in giro, mi raccomando.»
«No,
tranquilla.» sorrisi, poggiando la testa sul bracciolo del divano e chiudendo
gli occhi.
Dovetti
essermi addormentata, perché non riuscii a ricordare nulla da quel momento in
poi. Sapevo solo che, una volta riaperti gli occhi, al posto di Rose ci trovai
Edward, tutto immerso nella lettura e con i suoi soliti occhialetti poggiati
sul naso.
«Quando
sei arrivato?» chiesi, gracchiante.
«Oh, ti
sei svegliata!» esclamò lui, chiudendo di scatto il libro e sorridendomi
calorosamente. «Sono qui da poco, Rose è andata a prendere Allie a scuola…» mi
spiegò, chinandosi su di me per baciarmi piano la bocca. «Come stai oggi? Non
hai una bella cera.»
Però,
il mio ragazzo sì che aveva tatto.
«Sto
uno schifo, ecco come sto. Vorrei che tutto finisse subito, non riesco ad
aspettare due settimane.» brontolai, sfregandomi gli occhi con le mani-mummia.
«Oh, il
mio piccolo amore…» Edward si stese dietro di me, cingendomi la vita con le sue
braccia e posando il mento sulla mia spalla. Sentii un piccolo sollievo, visto
che nel movimento aveva toccato le bolle che avevo su quel punto del corpo.
«Vedrai che passa tutto, e presto.»
Sorrisi
amaramente. «Me lo ha detto anche Rosalie, ma non siete di aiuto.»
«Sai di
essere una pessima paziente?»
«Oh sì,
che lo so.»
«Lieto
di saperlo.» rise, baciandomi la spalla.
«Mh.»
voltai il viso, incrociando i suoi occhi verdi e allegri. «Vorresti essere al
mio posto?»
«No, mi
è bastata quella che ho avuto da bambino.» sorrise, divertito. «Sai però chi
potrebbe prendere il tuo posto? Jasper!»
«E
perché dovrebbe, scusa?» chiusi gli occhi, in attesa della sua risposta.
«Beh,
perché lui la varicella ancora non l’ha avuta.»
A
quell’informazione riaprii le palpebre, mettendomi a sedere. «Davvero non l’ha
avuta? Non scherzi, vero? Dovete farlo venire qui con la scusa di venirmi a
trovare, così posso contagiarlo e potremmo soffrire insieme…»
«Non
verrà mai, mi dispiace tesoro. Aspetta che ti sei rimessa e che sia caduta
l’ultima crosta prima di passare qui.» mi informò, baciandomi ancora la spalla.
Misi il
broncio, sapendo quelle cose. «Non è giusto…»
«No,
non lo è. Ma ci sono qui io a farti compagnia, non sei contenta? E c’è Allyson,
e ci sono tutti gli altri…»
«Ma
nessuno di voi sta male.»
«Chiedi
troppo, piccola… ascolta, perché non ti rimetti a dormire, così riposi un
pochino e fai calmare questa tua bella testolina?» propose, carezzandomi la
fronte con la punta delle dita.
«Basta
che tu rimani qui, con me… non voglio stare da sola.»
Detto
questo, Edward mi abbracciò subito e mi fece girare, in modo da ritrovarmi con
il viso di fronte al suo. Mi accoccolai meglio contro di lui, stringendo la
presa sul tessuto del suo maglioncino per quanto ci riuscivo a causa delle
bende, e chiusi gli occhi.
Le
ultime cose che sentii, prima di addormentarmi di nuovo, furono le sue labbra
sulla mia pelle e la sua voce. La sua bellissima voce.
«Tu non
starai mai da sola, amore. Mai.»
________________
Eccoci di nuovo qui! Annoiate? Spero di no
^^
Ed ecco un capitolo simpatico con
protagonista assoluta la varicella… che odio! Fortuna che non ho ricordi di
quando la presi da piccola, ma non è stata una passeggiata neanche per me a
quanto dice mia madre X’D
Ad ogni modo, che ne pensate? Vi
avverto
subito che nel prossimo capitolo ci sarà una
novità… una ‘grande’ novità! Ma
chissà
cos’è? Che è? Boh, non si sa! v.v
Okay, adesso vado via! Vi ricordo che per
qualsiasi domanda, curiosità o altro potete trovarmi qui, sul mio gruppo
Facebook ^^
Un bacione, a presto!
|
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Capitolo 24 *** Capitolo 24 ***
Solo il tempo... - Capitolo24
Ciao a tutte e buona Domenica!
Come sono andati i primi giorni di scuola? Spero
bene, ragazze XD oggi per distrarvi dal pensiero che domani dovrete tornarci vi
lascio questo nuovo capitolo :D
Non mi perdo troppo in chiacchiere, vi
lascio quasi subito alla lettura… solo, vi lascio il link del mio gruppo
personale su Facebook: siete tutte invitate a farci un salto, mi farebbe molto
piacere ritrovarvi anche qui ;)
Se il tempo mi da una tregua e non fa
saltare la corrente – antipatico! -.-‘ – risponderò in giornata alle recensioni
dello scorso capitolo, siete state come sempre tanto dolci e carine *-* grazie!
Ci sentiamo al prossimo aggiornamento, che
prometto arriverà presto ^-^ un bacione a tutte! Smack!
Solo il
tempo
Capitolo
24
Suonai
al citofono dopo aver trovato il pulsante corrispondente all’appartamento di
Angela. Mentre aspettavo una risposta, abbassai lo sguardo e lo portai sulla
figura di Allie, che si guardava attorno tutta incuriosita.
Quel
giorno, la sua amichetta Jenny festeggiava il compleanno ed aveva invitato le
sue compagne di asilo per stare tutte quante insieme; la festa, da quel che mi
aveva detto Angela, sarebbe durata tutta la mattina e tutto il pomeriggio, fino
all’ora di cena. Poi, avrebbe spedito suo marito Ben a fare il servizio taxi ed
a riaccompagnare le bambine a casa, una per una…
Lei sì
che sapeva come sfruttare il suo uomo!
Sarei
rimasta un intera giornata senza la mia piccola brontolona, senza sentire la
sua voce e la sua risata mentre giocava o combinava un nuovo pasticcio… delusa?
No, affatto!
Per
quanto volessi bene ad Allyson, per quanto la amassi, avevo bisogno di passare
qualche momento da sola, a fare quelle cose che solo i grandi potevano fare… e
per di più, Edward sembrava aver organizzato qualcosa per questa giornata,
perché mi aveva fatto promettere che lo avrei raggiunto non appena ‘avessi
mollato la marmocchia da Angela’.
Ero
curiosa di scoprire cosa avesse in mente, e per questo motivo volevo che Angela
si sbrigasse ad aprirmi: ero impaziente di raggiungerlo e di vedere con i miei
occhi cosa mi aspettava, e volevo anche confessargli ad alta voce i miei
desideri.
Magari
erano identici ai suoi, ma non potevo saperlo!
Finalmente,
il portone si aprì e contemporaneamente sentii la voce della mia nuova amica
provenire dal citofono. «Terzo piano, la
porta è già aperta!» disse, trafelata.
«Bene!
Sentito, amore? Andiamo!» mi rivolsi a mia figlia, e poggiandole la mano sulla
schiena la sospinsi verso l’atrio del palazzo.
«Mamma,
non ci voglio andare.» mormorò piano, stringendosi contro la mia gamba mentre
mi prendeva per mano.
La
guardai, sospettosa. «Perché no? Ci sono tutte le tue amiche, potrete giocare
tutte quante insieme, e poi c’è la torta!» quale bambino in questo mondo
rifiutava una torta di compleanno? Specialmente lei, che era golosa da non
crederci! «Abbiamo persino il regalo per Jenny, non vuoi portarglielo?»
«Mi
vergogno!» insisté, muovendo le braccia avanti e indietro.
Ah,
adesso capivo.
«Ma non
devi, sarà come stare a scuola! Solo che con voi ci sarà la mamma di Jenny e
non la signorina Worowitz…» sbuffai, non riuscendo più a trovare qualcosa da
dire per poterla convincere. Alla fine, mi inginocchiai davanti a lei e le
pettinai tra le dita i boccoli biondi che le scendevano sulle spalle. Adoravo i
suoi capelli, così lucidi e chiari… «Senti, amore, facciamo una promessa?»
«Che
promessa, mamma?»
«Adesso
andiamo di sopra, da Jenny, poi la mamma va via e tu resti qui insieme alle
altre… e se poi ti annoi, o non vuoi più stare qui, mi chiami ed io ti vengo a
prendere; la mamma di Jenny ha il mio numero. Va bene?» le sorrisi,
carezzandole i capelli ancora una volta.
Allie,
soppesando le mie parole, arricciò le labbra per qualche secondo e alla fine
sorrise, annuendo forte con la testa. «Va bene! Devo portargli il mio regalo
delle principesse!» urlò, afferrando la busta che tenevo io in una mano.
«Sssh,
non urlare! Potrebbe sentirti e allora la sorpresa si rovinerà!» esclamai,
ridendo. La abbracciai, baciandole la guancia. «Andiamo di sopra adesso, ci
staranno sicuramente aspettando!»
Il
tempo di salire le due rampe di scale – chissà come mai, ma a mia figlia
piaceva un sacco salire le scale – e ci trovammo di fronte all’appartamento di
Angela, da cui provenivano un sacco di voci e di urla. La festa doveva essere
già in pieno svolgimento.
«Si
può?» dissi ad alta voce non appena fummo dentro. Sbirciai da una entrata ad
arco e mi ritrovai in salotto, pieno zeppo di bambine urlanti e che correvano
in ogni direzione. Cominciai a ridere nel riconoscere una esasperata Angela
che, nel mezzo, cercava di farle stare tranquille.
«Ah,
Bella, sei arrivata!» la mia amica trovò in me una sorta di ancora di salvezza,
venendo dalla mia parte. «Ciao, Allyson!»
«Abbiamo
portato un regalino per Jenny.» dissi, porgendole la busta rosa tutta ricoperta
di brillantini.
«Oh,
grazie! Non dovevate disturbarvi.»
«È una
festa, e in una festa ci vogliono i regali.» risi. «Amore, vuoi andare a
giocare insieme alle altre?» domandai poi, rivolgendomi alla bambina.
«Sì!
Sì!» urlò, e mi lasciò giusto il tempo di toglierle la giacca prima di scappare
via, unendosi alla banda di piccole casiniste che affollavano quella parte
della casa.
«Oh,
Dio, non arriverò viva a stasera!» squittì Angela, preoccupata.
«Sono
solo bambine…» le feci notare, alleggerendo un poco la questione.
«Rettifico:
demoni travestiti da bambine! Prendi
qualcosa prima di andare via? Non lasciarmi da sola con loro prima di qualche
minuto, per favore!»
«Ma… e
Ben?» chiesi; in effetti, non mi sembrava di aver visto una figura maschile in giro
per casa.
Lei
sbuffò, incamminandosi fino ad entrare in cucina. «Se l’è data a gambe, come ha
saputo che la festa sarebbe durata tutto il giorno ha organizzato una giornata
allo stadio insieme ai suoi cugini… ah, ma stasera non sa che deve
riaccompagnarle tutte a casa! Se lo merita!» mi spiegò, versando del succo di
frutta in un bicchiere con così tanta foga da rischiare di farlo cadere sulla
tovaglia. «Vuoi un biscottino? O una fetta di dolce? Mia madre ha preparato
così tante cose… fortuna che c’è lei qui ad aiutarmi!»
Scossi
la testa, accettando il bicchiere di succo. «No, grazie, va bene così. Resto
solo qualche minuto, Edward mi sta aspettando…»
Angela
fermò i suoi movimenti e prese a fissarmi con occhi attenti, gli occhiali le
erano scesi lungo il naso e la facevano sembrare una maestrina delle
elementari. «Edward, eh? Come vanno le cose tra di voi?»
Sorrisi.
«Benissimo, è tutto perfetto. Non potrebbe andare meglio.»
Sorrise
anche lei, sistemando alcuni dolcetti su di un vassoio. «Sono contenta! A
quando le nozze?»
Feci
una smorfia. «È troppo presto per parlare di matrimonio, stiamo insieme da… sei
mesi appena. È decisamente presto.»
«Okay,
capisco… ma informami quando accadrà.» disse, facendomi l’occhiolino.
Alzai
gli occhi al cielo, poi posai il bicchiere vuoto sul tavolo e mi sistemai la
borsa sulla spalla. «Devo andare, saluto Allyson e…»
«Vengo
con te, così non sarò da sola ad entrare nella tana dei lupi!» borbottò,
afferrando il vassoio carico di pasticcini e venendo con me.
Una
volta in salotto, impiegai due minuti buoni per attirare l’attenzione di mia
figlia, e lei invece ci mise solo due secondi per dirmi ‘ciao!’ e per salutarmi
con un bacio frettoloso sulla guancia, troppo entusiasta di tornare a giocare
con le sue amichette.
Sorrisi,
guardandola: ero sicura che non mi avrebbe chiamato per farsi venire a
prendere… anzi, se lo faceva era solo per chiedermi se poteva rimanere di più
in quella casa.
***
Lasciata
Allyson ai suoi giochi e divertimenti, risalii in auto e guidando più veloce di
quanto facessi solitamente mi impegnai a raggiungere casa di Edward, sul
lungomare di Los Angeles. Immaginavo già le splendide giornate estive che
avremmo potuto trascorrere insieme, io, lui e Allie, spaparanzati al sole
oppure immersi nell’acqua dell’oceano a giocare…
Ma
adesso, quello che mi premeva di più era scoprire e immaginare cosa aveva in
mente il mio ragazzo per quella giornata.
Gli
avevo mandato un sms avvertendolo che stavo per arrivare, e lui aveva risposto
con un semplice ‘okay’ e con uno smile decisamente innocui ma che non mi
avevano convinta del tutto. Secondo me, lui non aveva nulla di innocuo in
mente…
Schioccando
la lingua contro il palato, osservai la strada e all’incrocio giusto girai a
sinistra, scorgendo facilmente la palazzina dove dovevo andare. Una volta
arrivata, parcheggiai al primo posto libero e mi affrettai a scendere per
entrare. Eravamo nel mese di Febbraio e non faceva poi così freddo per essere
inverno, ma era umido e tirava un po’ di vento; preferivo stare dentro casa che
fuori.
Usando
le chiavi che Edward mi aveva messo a disposizione, aprii il portoncino e
prendendo l’ascensore salii fino all’ultimo piano. Arrivata, aprii anche la
porta del suo loft e non feci in tempo ad entrare e a richiuderla che lui già
mi aveva imprigionata tra le sue braccia, stringendomi a sé e depositandomi un
bacio sul collo.
«Eccoti
qui, piccola. Eccoti qui.» mormorò, dondolando sul posto.
Sorrisi,
lasciando cadere le chiavi a terra per poterlo abbracciare, e per poter
immergere le mani nei suoi capelli, che scoprii erano umidi: doveva aver fatto
da poco una doccia. «Sono qui, piccolo.»
Scostandosi,
Edward mi guardò in viso e mi regalò per un breve istante il suo sorriso
sghembo, quello che amavo da morire e che mi faceva sciogliere ogni volta.
Poggiò le mani sulle mie guance e avvicinò il viso al mio, baciandomi piano la
bocca.
Non
c’era nulla di malizioso in quel bacio, nulla di sconcio o chissà cos’altro:
era dolce, dolce e sincero. Ci scambiammo quei baci piccoli e a fior di labbra
per non so quanti minuti, interrompendoci di tanto in tanto solo per poterci
guardare negli occhi prima di ricominciare.
«Potrei
baciarti così tutto il giorno.» mormorai, aggrappandomi al suo collo.
«Io anche
per tutta la vita, potrei vivere soltanto grazie ai tuoi baci.» soffiò sulle
mie labbra prima di depositarci l’ennesimo bacio della mattinata.
Risi,
scuotendo la testa. «Ma come siamo romantici oggi!»
«Ehi,
io sono sempre romantico!» esclamò, difendendosi.
«Sì sì,
immagino.» risi ancora, allontanandomi per potermi liberare di giacca e borsa:
ero qui da almeno una ventina di minuti e ancora non ero riuscita a farlo.
«Allora, cosa avevi in mente di fare in questa lunga giornata da soli?»
«Giusto,
non ti ho ancora spiegato il mio piano.» Edward mi raggiunse e si appoggiò allo
schienale della poltrona, mentre mi osservava posare la borsa sul divano. «Ho
intenzione di deliziarti con un bel pranzetto, totalmente preparato da me, e
poi potremmo occupare il pomeriggio in un altro mod-uh!» si interruppe,
improvvisamente. «Bella, ma che…»
«Che
c’è?» domandai, lanciando sul divano la giacca di cui mi ero finalmente
liberata.
«Ti…
eh… hai il reggiseno in bella mostra, tesoro.» gorgogliò, schiarendosi la gola
senza distogliere lo sguardo.
Abbassai
gli occhi, portandoli sulla camicetta che indossavo: era bianca, semplice, e
lasciava intravedere il mio intimo nero che indossavo al di sotto di essa. Lo
avevo fatto apposta a vestirmi in quel modo, ad essere sincera… e per fortuna
che Edward non riusciva ad intravedere meglio com’era fatto.
Avrebbe
avuto una bellissima sorpresa più tardi, se le cose andavano come speravo.
«Non…
non ti piace?» domandai, tornando a guardarlo.
«No,
cioè sì! Mi piace, è… nessuno ti ha vista vestita così, vero?» chiese,
cambiando tono di voce improvvisamente.
«Ahahah,
no! Mi hai vista solo tu, e Allyson, tranquillo.» Edward era geloso, non era la
prima volta che mi faceva capire che lo fosse, ma era sempre bello, da una
parte, vedere quanto fosse protettivo nei miei confronti. «Posso aiutarti a
cucinare?»
«Devi aiutarmi, amore, altrimenti non c’è
gusto.»
Per
l’ora seguente ci divertimmo a cucinare insieme, anche se erano più le cose che
faceva Edward invece di quelle che preparavo io. Aveva preso alla lettera il
suo compito di cuoco e mi spiegava ogni passaggio del piatto che stava
preparando, mostrandomi il libro di ricette italiane che Esme gli aveva
prestato per l’occasione.
Lo
osservavo condire con della salsa l’arrosto prima di rimetterlo in forno,
poggiata sui gomiti al bancone della cucina e con un bicchiere di vino rosso
poggiato accanto. Era attento, preciso nei dettagli, scrupoloso… sexy.
«E
mentre l’arrosto continua a cuocere raccogliamo l’acqua per cuocere la pasta!»
mi informò, aprendo uno sportello della sua cucina moderna e raccattando una
pentola.
«Interessante.
Con che hai detto che condirai la pasta?» chiesi, mordendomi le labbra. Cavolo,
Edward era veramente sexy mentre cucinava!
«Con
funghi, salsiccia e tartufo, buonissima. Spero che sia buono, non come quello
di mia madre ma accettabile, perlomeno.» rise, nervoso.
«Oh,
sarà sicuramente buonissimo!» lo tranquillizzai e presi un altro sorso di vino…
mi corressi, mi scolai tutto il vino che c’era ancora nel bicchiere.
La
visione di Edward ai fornelli mi stava facendo uscire fuori di testa,
accidenti!
Chiusi
gli occhi, cercando di darmi una calmata, e quando li riaprii mi ritrovai
davanti il volto di Edward. Se non sapevo che si trovava a pochissimi passi da
me, avrei già cominciato ad urlare come una pazza in giro per casa.
Mi
osservava, attento, sentivo il suo respiro che fuoriusciva dalle sue labbra
dischiuse e che si infrangeva sulle mie, umide. Avrei tanto voluto
baciargliele… «E adesso… adesso che si fa?» chiesi in un bisbiglio.
«Aspettiamo
che l’acqua arrivi in ebollizione per poter cuocere la pasta.» rispose,
bagnandosi le labbra con la punta della lingua.
No, non
poteva farmi questo! Potevo restarci secca!
«Capisco…
e, che cosa possiamo fare per far passare il tempo?» sperai che avesse già una
risposta alla mia domanda… magari identica a quella che mi frullava per la
testa.
«Questo,
forse?» domandò, per poi poggiare le sue labbra sulle mie.
Oh, era
proprio quello che desideravo!
Mi
strinsi a lui e, in preda al bacio, intrufolai le mani al di sotto della sua
maglietta facendolo gemere sulle mie labbra. Edward mi fece fermare e,
cogliendomi di sorpresa, mi prese tra le braccia, sostenendomi per il
fondoschiena con le mani.
Continuando
a baciarmi, abbandonò la cucina e si diresse verso il soggiorno, prendendo poi
posto sulla poltrona. Si sedette lì sopra, facendomi poi sistemare a cavalcioni
su di lui… solo allora fece separare le nostre labbra, e solo per poter far
aderire le sue sulla pelle del mio collo.
«Non…
non dovremmo controllare il gas?» ansimai, persa nel vortice di piacere che mi
scatenavano le sue carezze.
«Non
serve, amore. Bisogna controllare te, invece…» le sue mani presero a slacciare
i bottoni della mia camicetta, uno ad uno, fino a quando questa non si aprì
completamente rivelando agli occhi del mio ragazzo il succinto e trasparente
completino intimo che indossavo.
Era uno
dei miei ultimi acquisti, che avevo preso sotto le insistenze ed i pareri
positivi delle mie amiche… e vista la reazione di Edward, avevo fatto bene a
spendere quei 50 dollari da Victoria’s Secret.
«Oh,
mamma! Bella, sei stupenda!» mugolò, tuffandosi sul mio seno con le labbra e
con i denti.
«Ti
piace, allora?» mugolai ancora, poggiando le mani sulle sue spalle.
«Mi
piace? Lo adoro! Voglio farti capire quanto lo adoro!»
E me lo
fece capire bene, quanto aveva apprezzato… molto bene!
***
«Mhm,
non vorrei alzarmi mai più da qui.» mugolai, accoccolandomi meglio sul petto
nudo di Edward.
«Neanch’io.
Mi piace sentirti così vicina.» Edward ridacchiò, circondandomi le spalle con
le sue braccia e baciandomi tra i capelli.
«Di la
verità: ti piace sentirmi così nuda e vicina a te…» trattenni a stento una
risata mentre alzavo il viso per poterlo osservare bene.
Strinse
le labbra e alzò gli occhi al cielo, pensandoci, e alla fine sbuffò. Lo presi
come una conferma che avevo ragione.
La
giornata dedicata soltanto a noi due stava proseguendo bene, ma che dico bene,
benissimo! Non avevamo fatto altro che baciarci, toccarci, e fare sesso… tanto,
tanto sesso! Non ricordavo più quand’era stata l’ultima volta che avevo fatto
così tanto sesso in una sola giornata.
C’è
anche da dire che, se ci fosse stata Allie insieme a noi, potevamo benissimo
scordarci le acrobazie orgasmiche sul divano, sulla poltrona, e sul tavolo
della cucina.
Dovevo
ricordarmi di passarci sopra la candeggina, eliminando così tutte le prove del
nostro passaggio…
Lanciai
un rapido sguardo al piccolo orologio situato sopra al televisore: erano
passate da poco le sei del pomeriggio. Avevamo ancora un paio d’ore di libertà,
più o meno, prima del ritorno a casa della mia bambina… potevamo tornare a fare
i ricci in calore senza alcun problema.
Mi
grattai il naso, muovendomi leggermente sopra al corpo di Edward; nel farlo,
strusciai la pancia contro qualcosa, un qualcosa che sembrava anche parecchio
sveglio e su di giri…
«Sei
già pronto per un nuovo round?» chiesi divertita, mettendomi seduta su di lui.
Con le mani carezzai il suo petto e la leggera peluria rossiccia, che scendeva
sulla sua pancia fino a giungere lì,
dove si trovava sull’attenti il mio giocattolo preferito.
«Io
sono sempre pronto per te, mia adorata.» mi sbeffeggiò lui, posando le mani sui
miei fianchi e spingendomi giù, fino a far incontrare le nostre intimità.
Mi
piaceva giocare e mi piacevano da morire i preliminari, ma per quel giorno ne
avevamo anche avuti fin troppi, fu per questo motivo che decisi di dare un bel
taglio alle coccole per poter dare la precedenza al sesso vero e proprio.
Mi sollevai
sulle ginocchia, pregustandomi già il piacere che avrei provato nel sentirlo di
nuovo prendere posto dentro di me…
…quando
il campanello di casa cominciò a suonare.
«Cazzo!»
quell’imprecazione mi sfuggì dalle labbra, non potendo proprio farne a meno.
«Lascia
perdere, amore, continua, magari vanno via!» Edward mi spronava a continuare,
guidandomi verso la sua erezione, ma ormai il nostro momento era stato
rovinato.
«No,
lascia perdere… vado a vedere chi è.» borbottai, leggermente infastidita, e scesi
dal suo corpo e dal suo divano.
«Eh,
no! Tu non vai da nessuna parte così nuda! Vado io.» e si alzò anche lui dal
divano.
«Ma sei
nudo anche tu!» o quel dettaglio gli era improvvisamente sfuggito?
«Metto
i pantaloni, saputella dei miei stivali!» dopo aver raccattato i suoi jeans e
dopo averli infilati in fretta e furia, si avviò a piedi nudi verso la porta di
casa.
Raccattai
anche io i miei vestiti, e mi nascosi dietro al divano per poterli indossare
senza essere vista dal nuovo arrivato. Avevo appena infilato il reggiseno e le
mutandine quando sentii Edward parlare, con tono preoccupato, con qualcuno.
«Stai
bene? Rose, non hai un gran bell’aspetto…»
Sbucai
con la testa da dietro lo schienale del divano, osservando gli altri due che
parlavano poco lontano: anche da quella distanza capii che Edward aveva
ragione, Rosalie sembrava un vero e proprio straccio. Era pallida, e sembrava
anche un pochino dimagrita…
Aveva
preso la varicella anche lei? No, non poteva trattarsi di quello…
«Rose!
Che succede?» domandai, lasciando il mio nascondiglio.
«Bella!
Per l’amor di Dio, copriti!» mi
ammonì Edward, fulminandomi con gli occhi.
«Vi ho
interrotti! Non era mia intenzione, non volevo! Mi dispiace tanto…» si scusò
Rosalie, preoccupata.
«Ma no,
che dici! Beh, è vero, ci hai interrotti, ma non è un problema…»
«Questo
lo dici tu!» se ne uscì acidamente Edward guardando storto Rose.
«Senti,
Edward, o stai zitto oppure stai zitto! Decidi tu!» incrociai le braccia sul
petto, decisa.
«Me ne
sto zitto, ho capito… sono di là, a guardare la partita, se avete bisogno di
qualcosa fate un fischio.» scrutandoci male, Edward prese la via del corridoio
e si rintanò in camera da letto.
Sbuffai,
tornando poi a concentrarmi su Rosalie. C’era davvero qualcosa che non andava
in lei, e l’aspetto pallido e cadaverico della sua pelle non mi piaceva
affatto.
«Non
volevo farvi litigare, davvero, se sapevo che eravate nel bel mezzo di una
maratona di sesso non sarei mai venuta!» si scusò di nuovo, torcendosi le mani
in grembo.
«Non
devi preoccuparti, non è successo niente.» le sorrisi, prendendola per mano e
guidandola sul divano... quell’altro divano, non quello su cui ci eravamo
divertiti io e Edward. «Che succede, tesoro? Mi sembri così… giù.»
Lei non
disse nulla, sul momento, limitandosi a togliere la giacca e a guardarsi le
mani. «Non sapevo davvero a chi rivolgermi, mi sei venuta in mente tu perché…
perché so che ci sei già passata e puoi capirmi.» mormorò, e nel farlo vidi i
suoi bellissimi occhi blu diventare lucidi per le lacrime.
«Ehi!
Sai che puoi dirmi tutto… che cosa c’è?» chiesi ancora, carezzandole una
guancia.
Tirando
su col naso, Rosalie afferrò la tracolla della sua borsa e se la poggiò in
grembo, prendendo poi a frugarci dentro. Si fermò, per un istante, e alla fine
mi porse quello che sembrava…
Oh,
cazzo!
***
Stando
a quello che leggevo sul test, Rosalie era incinta di sei settimane, giorno più
giorno meno.
Ero
sbigottita, sorpresa, scioccata, ammutolita, e chissà quanti altri aggettivi
ancora potevano aggiungersi alla lista, ma mi fermai lì. Quella scena era da
immortalare come in uno dei quadri di Van Gogh: me e Rosalie sul divano, io poi
che me ne stavo tranquillamente seduta in biancheria intima trasparente con in
mano il suo test di gravidanza…
Icone
dell’arte, altro che la Gioconda!
«Rose,
mio Dio, è… è meraviglioso! Un bambino!» riuscii a dire non appena ebbi
ritrovato la voce. Sorrisi, distogliendo lo sguardo dal test per puntarlo sul
viso della mia amica. «E Emmett lo sa? Che diventerà papà?»
«No,
lui… lui non lo sa ancora. No…» mugugnò, sviando il mio sguardo e afferrando
una rivista.
La sua
reazione mi insospettì, era… strana. Era sicuramente scioccata nell’aver
scoperto che c’era un bambino all’interno del suo corpo, ci ero passata anche
io d’altronde! Ma c’era qualcosa che non andava.
«Ma
glielo dirai? Glielo dirai, sì?» chiesi.
Annuì,
mentre girava le pagine del giornale senza veramente guardarle. «Glielo dirò,
certo! Voglio prima essere sicura che… che è vero che sono incinta.»
Ridacchiai,
tornando a guardare il test. «Credimi, Rose, è vero. Questi cosi difficilmente
sbagliano!»
«Ma
voglio assicurarmene, Bella!» esplose, con così tanta foga da farmi sussultare
sul posto.
«Va
bene, capisco…» battei le palpebre, ancora stupita per la sua uscita. «È
giusto.»
«Non
credevo che avrei avuto un bambino così, su due piedi… non sono neanche
sposata, e io ed Emmett ancora non viviamo insieme. Pensavo che sarebbe
arrivato… dopo, e non adesso! Se solo quel cretino del mio ragazzo si fosse
ricordato di indossare il preservativo, maledizione!»
«Credevo
che tu prendessi la pillola…» dissi, cercando di farla parlare ancora: magari
così avrei capito il motivo per cui era così mogia e triste all’idea di
diventare mamma.
«La
prendevo, ma mi ha dato problemi alle gambe: si gonfiavano come zampogne ogni
volta che la prendevo, così il ginecologo mi ha detto di interromperla. Io e
Emmett siamo andati avanti a preservativi… ma a Capodanno deve essersene
dimenticato, eravamo tutti e due brilli e non ci abbiamo fatto caso. Neanche io
me ne sono resa conto! Non so come potrebbe reagire all’idea di diventare
papà…» nel parlare, aveva cominciato a torcere le pagine della rivista tra le
dita fino a strapparle; pezzettini di carta volavano da tutte le parti, adesso.
«Okay,
okay, calmati.» mi affrettai a fermarla, stringendole le mani nelle mie. «Stai
calma, vedrai che andrà tutto bene. Lunedì vieni in ambulatorio e facciamo le
analisi, ti aiuterò io… e se sono positive anche quelle diamo la bella notizia
a Emmett. Sarà elettrizzato all’idea di avere un figlio!»
«Tu
dici, Bella?» pigolò, con gli occhi che tornavano pian piano lucidi di lacrime.
«Non abbiamo mai parlato seriamente di avere bambini, ho paura che sia troppo
per lui…»
«Un
bambino è una gioia, Rosalie. Non è mai troppo.» oddio, forse lo era.
Specialmente se crescendo diventava un baby vandalo della casa… «Tu come stai,
invece? Hai già dei sintomi?»
«Me ne
sono resa conto per quelli, Bella. Questa settimana non ho fatto altro che
vomitare non appena sentivo un odore più forte degli altri. Non riesco più a
mettere neanche il mio Obsession senza sentirmi male!»
«Questo
ci dà una conferma in più… ma tu devi stare tranquilla, okay? Non devi
agitarti, non fa bene né a te e né al bambino…»
Alle
mie parole, Rosalie abbassò gli occhi e si guardò la pancia, che coprì poi con
le mani come per proteggerla. «Scusa, piccino.»
***
Rosalie
andò via un’ora dopo, con l’umore un po’ più sereno rispetto a quando era
arrivata. La chiacchierata che avevamo avuto sembrava averla aiutata, anche se
nulla l’avrebbe aiutata veramente, a parte la vicinanza e l’amore che solo
Emmett, il suo compagno, poteva regalarle.
Doveva
assolutamente dirgli che stavano per diventare genitori; il fatto che voleva
tenergli segreta la gravidanza fino a quando non fosse stata certa al 100% del
suo stato non mi andava giù… erano solo tre giorni, alla fine, ma secondo me
avrebbe fatto meglio a dirgli tutto subito.
Affrontare
anche questo piccolo passo insieme era importante, le avrebbe dato più forza.
Quando ero rimasta incinta di Allyson raccontai tutto a James senza pensarci su
due volte, dato che meritava di sapere quello che stava per accadere nelle
nostre vite; mi era rimasto accanto per tutto il tempo delle visite e degli
accertamenti che facemmo in seguito, per sapere tutto sulla gravidanza e sullo
stato di salute mio e del nostro piccolo. Non mi aveva mai lasciata sola, e gli
ero stata riconoscente per questo…
Tutti
questi pensieri viaggiavano nella mia mente, mentre chiudevo con lentezza,
forse anche troppa lentezza, i bottoni della mia camicetta. Per tutto il tempo
in cui Rose era stata lì ero rimasta in intimo, non vergognandomi assolutamente
della mia quasi totale nudità: eravamo tra donne, alla fine.
Abbassai
gli occhi, portandoli sulla mia pancia; inconsciamente portai le mani su di
essa e la accarezzai, sentendola piatta sotto i palmi. Per un istante immaginai
che fosse di nuovo rotonda e gonfia, custode del bambino che forse, un giorno,
avrei potuto avere insieme a Edward…
Edward
avrebbe voluto dei bambini da me? Non avevo una risposta sicura a questa
domanda.
Stringendo
le labbra, tolsi le mani dalla pancia e camminai verso la camera di Edward; si
era rintanato lì da quando era arrivata Rosalie e non ne era ancora uscito. Era
meglio andarlo a controllare prima che mi morisse di solitudine.
Senza
bussare, aprii la porta e lo trovai spaparanzato sulla poltroncina, sempre a
petto nudo e con il telecomando stretto in mano. Il televisore era acceso,
sintonizzato sul canale sportivo, ma lui non lo degnava di una sola occhiata
per il semplice motivo che dormiva.
Ridacchiai,
avvicinandomi. Alcune volte era assurdo, diceva di dover fare un sacco di cose
ma alla fine non ne riusciva a finire neanche una. Come adesso, aveva detto che
avrebbe guardato la partita e invece… chissà da quanto tempo se la ronfava!
«Ehi,
campione, svegliati!» lo scossi per le spalle cercando di farlo tornare nel mondo
dei vivi.
Cominciò
a mugugnare, infastidito dal mio tocco. «Smettila, mamma…»
Trattenni
una nuova risata, ma avrei fatto meglio a ridere ad alta voce vista la
situazione: forse si sarebbe svegliato prima. «Dai, su, apri gli occhi e
osserva quanto è bello il mondo!»
Edward
alla fine socchiuse gli occhi, ancora gonfi di sonno, e sorrise. «È veramente
bello questo mondo.» bisbigliò, carezzandomi la guancia.
Poggiai
la mia mano sulla sua e ricambiai il sorriso, un po’ smarrita per via della
dolcezza che sentivo nella sua voce. Era così bello, anche se aveva l’aspetto
di uno che era appena sceso dal letto dopo aver dormito poche ore… non avrei
potuto fare a meno di osservarlo ogni mattina, tutte le mattine della mia vita.
E un
piccolo lampo di comprensione prese vita nella mia testa: non sapevo se Edward
avrebbe voluto stare con me per sempre, o se avrebbe voluto avere dei bambini
da me… io, però, sapevo che non avrei mai più potuto fare a meno di lui, e che
lo avrei amato sempre, al di là di qualsiasi cosa che sarebbe accaduta da quel
momento in avanti.
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Capitolo 25 *** Capitolo 25 ***
Solo il tempo... - Capitolo25
Salve a tutte, mie care!
Ecco a voi un nuovo capitolo di ‘Solo il
tempo’! Non perdo tempo in chiacchiere e vi lascio leggere in santa pace XD ci
si sente nelle note finali…
Solo il
tempo
Capitolo
25
«Stai
bene, tesoro?» sussultai al tocco della mano di Edward, che si trovava al mio
fianco.
Ripresami
di colpo dal mio sogno ad occhi aperti, mi accorsi che ci trovavamo ancora
nella caffetteria dell’ospedale, dove ci eravamo recati per prendere un
cappuccino prima di cominciare il turno.
«Sì,
sto benone! Perché me lo chiedi?» domandai in fretta mentre stringevo con
troppa foga il mio bicchierone di carta.
«Così,
mi sembravi un po’ assente…» Edward scrollò le spalle e continuò a guardarmi,
come se mi stesse studiando.
«Forse
è la stanchezza, ho dormito poco.» cincischiai.
Lui
sorrise, passando il suo braccio lungo le mie spalle. «Vero, colpa mia.»
ridacchiò, posando le labbra sulla mia fronte.
Non
dissi nulla, ma mi sentii un po’ in colpa per non averlo corretto; era vero che
la notte prima avevo dormito poco, ma non a causa di quello che avevamo fatto
insieme.
La
verità era che cominciavo a non sopportare più il segreto che Rosalie mi stava
costringendo a tenere; oggi sarebbe venuta a fare le analisi e entro domani
avremmo avuto i risultati per scoprire se era davvero incinta. Non mi piaceva
questa scelta di dover tenere tutto nascosto fino al momento della verità, mi
sembrava di star compiendo qualcosa di sbagliato quando, invece, non lo era per
niente.
Voglio
dire, è un bambino! Cosa c’è di brutto nell’avere un bambino?
Fatto
sta che, come mi aveva fatto promettere lei, non avevo accennato a nessuno del
suo stato e della nostra chiacchierata insieme… non avevo detto nulla neanche a
Edward, e mi sentivo una merda per questo. Emmett era suo fratello, cavolo,
meritava di sapere tutto questo!
Volevo
con tutta me stessa che quelle ultime ore passassero in fretta, eccome se lo
volevo! Se solo esistesse l’acceleratore per il tempo… ma, per mia sfortuna,
non l’avevano ancora inventato.
«Hai
molto da fare oggi?» chiesi, più per parlare di qualcosa che per vero
interesse. Bevvi un sorso del mio cappuccino e scoprii con orrore che era
freddo, oltre che amaro. Bleah, dovevo assolutamente prenderne un altro!
«Solo
qualche post operatorio, se non ci sono emergenze: è una giornata tranquilla.
La tua, invece?» domandò, muovendo il pollice in circolo sulla mia spalla.
«Devo
passare in laboratorio analisi, ci sono alcune cartelle che devo ritirare per
Emmeline…» spiegai, restando sul vago; Edward non avrebbe indagato, ne ero
certa, ma in qualche modo dovevo giustificare la mia presenza in laboratorio.
Specialmente adesso che mi avevano spostata in ginecologia, quattro piani più
in alto.
«Roba
da donne, eh? Capito.» per fortuna non aggiunse altro; a quanto pare si fidava
di me, e di Emmeline, la ginecologa migliore dell’ospedale.
«Già!»
«Devo
andare, piccola. Ti aspetto oppure…»
«No no,
vai pure! Io prendo un cornetto, mi è venuta fame!» esclamai, così forte che
alcune teste si voltarono ad osservarmi. Si stavano sicuramente chiedendo per
quale motivo quell’infermiera stava strillando come una scema.
«D’accordo.
Ci vediamo a pranzo, okay?» sorridendo, si chinò su di me e premette le labbra
sulle mie in un bacio a stampo; non osavamo quasi mai quando ci trovavamo a
lavoro, non potevamo permetterci di dare scandalo davanti a così tante persone!
Era pur
sempre il figlio del direttore, lui… ma mesi fa non gli importava che qualcuno
lo beccasse a fare sesso sconcio con le infermiere, all’interno degli stanzini.
Ne era
passata di acqua sotto i ponti da allora…
Con il
sorriso sulle labbra rimasi ad osservare la schiena di Edward che si
allontanava, avvolta dal camice blu scuro, fino a quando non sparì dalla mia
vista. Solo allora mi concessi di tornare al broncio che avevo sfoggiato sin da
quando mi ero alzata la mattina, e sospirai.
Prepariamoci ad affrontare anche questa
lunga giornata, pensai voltandomi verso il bancone della
caffetteria.
Ma,
mentre studiavo uno per uno i dolci esposti, scoprii di non avere fame. Così,
abbandonai l’opzione di prendere qualcosa da mangiare e gettai anche il
cappuccino freddo nel primo cestino che incontrai mentre camminavo, preferendo
uscire in fretta da quel posto.
Andai dritta
verso l’ala del pianterreno riservata ai laboratori delle analisi, controllando
l’ora. Erano quasi le nove, quindi Rose doveva essere già arrivata, oppure
stava per arrivare. Mi sentii agitata e con il cuore in gola mentre lasciavo
correre lo sguardo lungo le varie poltroncine della sala d’attesa, già occupate
e piene di persone che aspettavano il loro turno.
Scorsi
una lunga chioma bionda e mi precipitai da lei, incurante del fatto che poteva
essere la mia amica, come invece poteva anche non essere lei… ma, per fortuna,
non mi sbagliai. Era davvero Rose la persona che si trovava seduta tra due
vecchiette, tutte concentrate ad osservare il loro numero e ad aspettare che le
chiamassero per il prelievo.
«Ehi,
Rose, va tutto bene?» chiesi, accucciandomi davanti a lei.
«Certo,
perché non dovrebbe? Ho accompagnato Allie a scuola, come tutti i giorni…»
cominciò a dire, con sguardo assente.
«No,
non mi riferivo a questo. Volevo sapere se tu stai bene, se c’è qualcosa che
non va…» la corressi.
Lei mi
guardò, battendo un paio di volte le ciglia; senza mascara sembravano così
corte. «Sto bene. Prima però è passata un infermiera, e sembrava che si fosse
fatta il bagno in mezzo ai fiori marci… hai presente le vecchie corone dei
cimiteri? Ho rischiato di vomitare qui, davanti a tutti!» pigolò, sbuffando e
gonfiando le guance.
«Forse
ho capito di chi stai parlando…» borbottai, e la insultai nella mia mente.
Dannata lei, ma si rendeva conto che non ci trovavamo su una passerella di alta
moda? Eravamo in un ospedale, insomma! «Che numero hai?» aggiunsi.
«Il
123, sono dietro a queste due signore.»
Come se
le avesse appena chiamate per nome, le due vecchiette che erano sedute ai lati
di Rosalie si voltarono verso di me e mi osservarono attente, entrambe con un
cipiglio strano sul volto.
Erano
coordinate? Perché se era così, era abbastanza inquietante e mi facevano paura.
«Tocca
a noi, cara?» mi chiese una delle due, agitando il numeretto.
«Ehm…
non lo so, vado a controllare.» balbettai, e mi precipitai a fare quello che
avevo appena detto. Mi dispiaceva solo che Rose doveva restare confinata lì, in
mezzo a quelle due strane signore.
La
fortuna sembrava essere proprio dalla mia parte, quel giorno, perché dopo una
decina di minuti era già arrivato il turno di Rosalie. Nel giro di pochi minuti
Steve, uno dei tanti infermieri che giravano per l’ospedale e di cui riuscivo a
ricordare il nome, le prelevò un po’ di sangue e dopo aver preso i suoi dati la
lasciò libera di andare, comunicandoci che i risultati sarebbero usciti in mattinata
o, altrimenti, non più tardi del giorno successivo.
«Io
devo andare via, mi stanno aspettando al centro…» mormorò Rose sconsolata, con
le dita che ancora tenevano premuto il cotone sulla piega del gomito.
«Non
preoccuparti, se mi lasci la delega faccio un salto in laboratorio e le ritiro
al posto tuo. Vengo da te non appena sono pronte, va bene? Stai calma.» le
massaggiai la schiena, cercando di tranquillizzarla.
Impresa
non facile: Rosalie era sempre un fascio di nervi difficile da districare
quando ci si impegnava, ed in quel momento si stava concentrando con tutta se
stessa.
«Dovrò
dirlo ad Emmett… come faccio a dirlo ad Emmett?» pigolò mordendosi le labbra.
«Parlando,
forse?» non era il momento giusto per fare del sarcasmo, ma proprio non riuscii
a trattenermi.
Non
contenta della mia risposta, la mia amica fece in tempo a fulminarmi con gli
occhi prima di strabuzzarli, e di portare una mano a coppa sulla bocca. La vidi
sbiancare di colpo, e la cosa non mi piacque per niente.
«Tesoro,
che cos’hai?» mi aspettavo di vederla svenire da un momento all’altro.
«Sto
per vomitare, credo. È di nuovo quella puzza di fiori marci…» gemette,
togliendo la mano e posandola sul suo stomaco.
«Fiori
marci?» mi guardai attorno e, per nulla stupita, osservai Lauren camminare come
una pin up per il corridoio. Durante il turno era obbligata a portare il camice
da infermiera, ma se poteva fare a modo suo avrebbe senza dubbio optato per un
mini abito da zoccola. Era la sua natura, in fondo.
«Oh,
Bella! Ma guarda, è tanto tempo che non ci incontriamo!» fece, con un finto
tono entusiasta, avvicinandosi. Il sorriso le sparì dalla faccia non appena
notò Rose. «Che ha la tua amica?» fece, sospettosa.
«Non le
piace il tuo profumo.» commentai, storcendo il naso. Era decisamente troppo
dolce, e potevo immaginare come lo sentisse Rosalie in quel momento: gli odori
in gravidanza erano amplificati, e di brutto anche.
«Ma
come? È Coco Mademoiselle!» sibilò
indignata.
Rosalie
scelse proprio quel momento per chinarsi in avanti e vomitare sulle scarpe da
ginnastica, nuove di zecca, di Lauren, che a quella vista inorridì e saltò
all’indietro.
«Lo
avevo detto, io… fiori marci.» mormorò Rose, respirando con calma.
«Non è
meglio indossare delle scarpe un po’ vecchiotte a lavoro, Lauren? Almeno sai
che non sono soldi buttati quando accadono questi incidenti! Dai, tesoro,
andiamo a prendere un sorso d’acqua…»
Sospinsi
Rose lungo il corridoio ed ignorando bellamente Lauren, che era rimasta a
fissare le sue scarpe rosa shocking ormai irrecuperabili. Gongolavo, e non
poco: prendermi gioco di Lauren era sempre un piacere. Non avevo ancora
digerito il fatto che lei ed Edward, una volta, si incontrassero per sfogare i
loro istinti sessuali…
***
Per
tutto il resto della mattina ero rimasta sulle spine e con la testa tra le
nuvole; Emmeline, che quel giorno mi aveva presa sotto la sua ala protettrice,
mi aveva lanciato occhiatacce per più di una volta e aveva anche minacciato di
mandarmi via se non mi davo una svegliata. Ed io ci provavo, davvero, ma il
pensiero dopo pochi minuti tornava al mio cercapersone, che non suonava.
Stavo
aspettando che Steve mi facesse uno squillo: prima di andare in reparto gli
avevo chiesto di cercarmi non appena le analisi di Rosalie fossero state
pronte, in modo così da poterle andare a ritirare.
Avevo
cominciato a pensare che sarebbero uscite soltanto nel pomeriggio… e mi si
formò un fastidioso groppo in gola, nel ricordarlo.
Dovevo
tenere il segreto ancora per diverse ore, e non volevo più farlo! Non mi
piaceva fare le cose di nascosto, no no… succedeva sempre qualcosa che faceva
saltare la copertura, alla fine, potevo scommetterci la mia anima.
Non ero
così brava come credevano tutti.
Steve
mi avvertì dell’uscita dei risultati quando mi ero ormai rassegnata a dover aspettare
ancora e stavo scendendo al piano terra per vedermi con Edward; così, senza
pensare di avvertirlo, feci dietro-front e mi diressi spedita dalla capo
reparto per annunciare che mi sarei presa il resto del turno libero.
Dovevo
assolutamente ritirare quelle analisi, uscire dall’ospedale e andare da Rose
per consegnargliele. Ero sollevata di poterlo fare, così almeno mi sarei tolta
un peso dalla schiena e potevo tornare a respirare con più facilità. Non mi
piaceva fare le cose di nascosto… oddio, lo avevo già detto vero?
Mi sa
di sì…
Mi
cambiai in fretta, indossando di nuovo i miei comodi e amati abiti di tutti i
giorni, e con la borsa che ballonzolava contro il mio fianco percorsi
velocemente il laboratorio delle analisi. Ci trovai, con sorpresa e frustrazione,
Lauren.
Possibile
che quel giorno dovevo incontrarla ogni volta? La vomitata sulle scarpe non le
era bastata?
«Devo
ritirare queste analisi, Dorothy.» dissi alla ragazza che era di turno,
consegnandole il foglietto su sui Rose aveva acconsentito a far ritirare da me
i risultati.
«Oh,
povera cara, stai per caso male?» Lauren non perse tempo e cominciò a ficcare
il naso dove non doveva, scimmiottandomi.
La
guardai in malo modo. «Non sono cose che ti riguardano.»
«Sono
sicura che Edward vorrà essere informato se non stai molto bene… state ancora
insieme, giusto?» continuò, sfacciata.
«Non ti
riguarda.» ero decisa a non dirle nulla e avrei continuato a farlo, anche se
riuscivo a stento a trattenermi dal dirle che io e Edward passavamo la maggior
parte del nostro tempo libero a scopare come conigli in calore. Ero sicura che
questo l’avrebbe irritata a morte, ma non mi andava di raccontarle quella parte
della mia vita sessuale e intima.
«Eccole,
Bella.» Dorothy fece il suo ritorno dopo essersi assentata per quei pochi
minuti e mi porse la cartellina delle analisi, salvandomi dal dover stare
ancora in compagnia della Barbie siliconata.
«Ti
ringrazio.» presi dalle sue mani la cartellina e le sorrisi, voltandomi poi per
andarmene… ma non avevo calcolato che Lauren, nel pieno delle sue capacità da
stronza, mi strappasse di mani quel plico. «Ehi!»
«Che
c’è, non posso controllare il tuo stato di salute?» mi sbeffeggiò, sorridendo
peggio del Grinch, ma quel sorriso scomparve non appena lesse quello che doveva
essere scritto su quei pochi fogli. Non doveva esserle proprio piaciuto…
…e se
non le piaceva, voleva dire una cosa sola.
Le
analisi erano positive, Rose era incinta. Ma Lauren stava sicuramente pensando che le analisi
fossero le mie, visto che i suoi occhi da oca non dovevano essersi presi la
briga di leggere il nome del paziente.
«Oh,
vedo che stai proprio bene! Congratulazioni…»
nella sua voce c’era un sacco di veleno, ogni parola ne era intrisa. Mi fulminò
con gli occhi e, bruscamente, mi ficcò tra le mani la cartellina per poi
andarsene via.
Sperai
che non fosse andata a far danni.
***
«Un
bambino…» bisbigliò Rosalie, con gli occhi lucidi fissi sui risultati delle sue
analisi. «Aspetto un bambino.»
Avevo
raggiunto Rose al suo centro estetico e, non appena lei mi aveva visto, mi
aveva portata nel suo piccolo ufficio per poter parlare con calma e con tutta
tranquillità.
«Già,
non è meraviglioso?» l’intensità di quel momento rischiava di far scoppiare a
piangere anche me. La abbracciai, poggiando la testa sulla sua spalla. «Adesso
non hai più scuse per non dirlo ad Emmett.»
«Sarà
la prima cosa che farò non appena ci vedremo. Viene a prendermi alle sei.»
disse, piano, asciugandosi una lacrima con le dita. «Spero solo che la prenda
bene…»
«Perché
non dovrebbe? È suo figlio.» continuavo a non capirci nulla, riguardo alla
titubanza della mia amica.
«Lo so
che è suo figlio, ma… ma non lo avevamo previsto. Pensavo che sarebbe accaduto
più in là, e non adesso.»
«Neanche
io pensavo di diventare mamma a diciannove anni, eppure è successo.»
Rosalie
si voltò verso di me, scuotendo la testa. «La tua situazione era diversa…»
«Era
diversa solo in parte: io e James ci vedevamo solo per fare sesso quando è
accaduto, mentre tu ed Emmett state insieme da una vita e vi amate. È questo
che fa la differenza, vi amate e sarete entrambi dei genitori stupendi per il
vostro bambino.»
«Ma
anche tu sei una madre stupenda!»
«Quale
madre toglierebbe una bambina a suo padre?» scossi la testa, mestamente.
«Oh,
Bella, ancora con questa storia? Non è stata colpa tua, hai dovuto farlo…»
«Ho
dovuto, è vero. Non volevo, ma ho dovuto farlo e mi sento ancora una merda per
questo!» per quanto cercassi di non pensare a quanto era accaduto con James, e
per quanto tutti dicessero che l’avevo fatto solo per il bene di mia figlia,
beh, io non riuscivo a convincermene e mi sentivo ancora in colpa.
Avrei
convissuto con quel peso sul cuore per tutto il resto della mia vita, ne ero
certa.
***
«E poi
abbiamo giocato con le bambole, e poi la maestra ci ha strillato.» disse Allie,
tutta concentrata nel raccontarmi la sua giornata a scuola. Quando mi aveva
visto al posto di Rosalie era rimasta contentissima, tanto che si era messa a
correre fino a quando non si era trovata tra le mie braccia.
«E
perché vi ha strillato? Non stavate mica litigando, eh?»
«No, ci
ha strillato perché abbiamo rotto la testa alla bambola. Ma non lo abbiamo fatto
apposta!» si giustificò subito, incrociando le braccia.
«Oh,
tesoro, questo non si fa!» la ammonii, e dovetti usare tutta la mia
concentrazione per non ridere: avevo associato quella bambola senza testa a
Lauren, e la scena che si era affacciata nella mia testa era parecchio
esilarante.
«Ma non
abbiamo fatto apposta!» si difese ancora. Nel frattempo eravamo arrivate
davanti alla porta del nostro appartamento e lei, decisa ad entrare subito,
cominciò a bussarci contro.
«Allie,
fammi almeno aprire la porta!» esclamai, per farla smettere, e stavo per
infilare la chiave nella toppa quando qualcuno, dall’interno, la aprì prima che
potessi farlo io.
«EDWADD!»
urlò mia figlia fiondandosi sulle gambe del mio ragazzo, abbracciandole.
Che ci
faceva lui qui? Quel giorno aveva il turno di dieci ore e sarebbe dovuto arrivare
a casa verso le sette di sera. Cosa lo aveva spinto a staccare prima?
Doveva
essere accaduto qualcosa…
«Ehi,
marmocchia, vacci piano!» la ammonì bonariamente lui, stringendola in un
abbraccio; i suoi occhi, però, rimasero fissi su di me e sembravano pieni di
mille e mille domande.
Una
delle tante doveva sicuramente essere “Perché non hai risposto alle mie
chiamate?”
Mi
aveva cercata durante le ore precedenti, e per quanto volessi rispondergli e
dirgli dove mi trovassi, avevo preferito tacere e mettere il silenzioso al
cellulare. Avevo sbagliato e lo sapevo… ma tanto, adesso che era qui, gli avrei
raccontato tutto.
Basta
bugie, basta nascondersi.
«Dai,
andiamo dentro, così facciamo merenda.» dissi, abbassando lo sguardo.
Allyson,
una volta dentro casa, stette un po’ a parlare con Edward e a raccontargli
quello che aveva fatto a scuola, ma poi si distrasse quando sullo schermo della
tv apparvero i personaggi dei suoi cartoni animati preferiti.
Io,
intanto, mi ero spostata in cucina e avevo messo a riscaldare un po’ di latte
sul fornello per preparare della cioccolata calda; sapevo che quella golosona
di mia figlia non l’avrebbe rifiutata. E mentre aspettavo, riordinavo nella
mente tutte le vicende che erano accadute nell’ultimo periodo per poterle raccontare
a Edward.
E
Edward, come se lo avessi chiamato attraverso il mio pensiero, arrivò in cucina
guardandomi stravolto e con le mani tra i capelli; li avevo notati anche prima,
erano completamente senza senso e senza forma, doveva averli torturati per chissà
quanto.
«Dobbiamo
parlare.» iniziò, senza darmi il tempo di dire alcunché.
«Lo so,
adesso ti racconto tutto…»
«Da
quanto tempo sai di… di essere incinta?» mormorò con fatica, interrompendomi, e
sedendosi su una sedia.
«Ma io
non sono incinta. È di questo che vuoi parlare?»
«Bella,
tesoro, ascoltami… so che molto probabilmente sei sconvolta, lo sono anch’io…»
«No,
ascoltami tu! Non sono incinta, e non lo sarò ancora per un bel pezzo, fidati!
Come puoi credere alle voci che ha sicuramente fatto girare quella cretina di
Lauren?» alzai la voce, mettendo in mezzo quella pettegola di merda perché,
come avevo pensato, aveva dovuto metterci le sue zampacce da oca.
Ma mi
pentii di aver urlato, perché anche Edward mi imitò, alzandosi in piedi e
fronteggiandomi.
«Beh,
te ne vai via dal lavoro senza avvertirmi, non rispondi alle mie chiamate e ai
miei messaggi, nessuna delle persone a cui ho chiesto di te sapeva dove fossi
finita… è ovvio che alla fine uno crede a quelle voci!»
Sospirai,
premendomi le dita sulle tempie. «Okay, ho sbagliato, lo so, e ho sbagliato
anche a non dirti nulla… ma l’ho fatto perché Rosalie mi ha chiesto di non
parlarne con nessuno fino a quando non fosse stata sicura.»
Edward
inarcò le sopracciglia, guardandomi in maniera che definire sospettosa era poca
cosa. «Rosalie?»
«Sì,
Rosalie. È lei quella incinta, non io. Le analisi che ha visto Lauren erano le
sue, ma le ha spacciate per mie.»
Il suo
viso cambiò rapidamente espressione, passando dal sospettoso al confuso, per
poi finire nel sorpreso in men che non si dica. Tornò a sedersi sulla sedia e,
passandosi di nuovo una mano tra i capelli stravolti, mi guardò. «Non sei
incinta, quindi?»
Scossi
la testa, avvicinandomi a lui. «No, non stai per diventare papà.» sussurrai.
«Ma stai per diventare zio, invece.»
Una
mezza risata uscì dalle sue labbra e, rapidamente, mi abbracciò la vita
facendomi avvicinare ulteriormente a lui. Edward posò la fronte sulla mia
pancia e lo sentii sospirare contro di essa. «Mi stavo abituando all’idea…»
«Davvero?»
chiesi, le mie mani andarono a circondargli il viso e glielo fecero alzare.
«Aha.
L’idea di avere un bambino mio… un bambino nostro, il tuo bambino, mi piaceva. Mi piace. Non vedo l’ora che accada.»
Come
accadeva quasi sempre, Edward mi diede la dimostrazione che era cambiato e che
era pronto a costruire qualcosa di serio ed importante insieme a me. I dubbi e
le domande che avevano preso vita nella mia mente giorni prima sparirono così
come erano arrivate, non lasciando nessuna traccia del loro passaggio. Mi
amava, voleva un bambino da me… cos’altro potevo desiderare?
Accompagnata
dalle sue mani, dolci e delicate, mi sedetti sulle sue gambe e nascosi il viso
nell’incavo del suo collo, nascondendo alla sua vista le poche lacrime che le
sue parole avevano fatto uscire dai miei occhi. Baciai leggermente la sua
pelle, mentre con le mani stringevo la sua.
«A cosa
stai pensando?» chiesi, rompendo il silenzio che si era andato a creare.
«Che
dobbiamo darci da fare, se vogliamo concepire il nostro bambino prima di Pasqua.»
mormorò, le labbra premute sulla mia tempia.
Risi,
non poteva dire sul serio. «Edward, dai, non scherzare…»
«Chi ti
dice che sto scherzando?» era impazzito tutto d’un tratto?
Sollevai
la testa dal mio nascondiglio e lo guardai, impaurita e confusa. «Vuoi davvero
un figlio?»
«Certo,
altrimenti non ne starei parlando con te.» Edward carezzò una mia gamba e posò
l’indice della mano libera sulla mia guancia, che scese fino all’angolo della
bocca. «Bella, tesoro, fino a quando non mi hai fatto capire che non eri
incinta io mi stavo già vedendo con un neonato tra le braccia. Mi stavo già
auto convincendo che sarei stato un bravo padre, che potevo farcela se c’eri tu
accanto a me… tu non lo vorresti un bambino?»
«Non
pensare male, Edward, io lo voglio un bambino! Davvero, con tutta me stessa, ma
non lo voglio adesso. È… è presto, e Allie è ancora così piccola. Io non me la
sento.» lo avrei ferito, dicendo così, ma doveva capire il mio punto di vista.
Stavamo insieme da sei mesi a malapena, e anche se ci amavamo e volevamo
costruire una nuova famiglia insieme doveva riconoscere che era una mossa
alquanto prematura.
Non
volevo correre, e rischiare di rovinare il legame intenso che ci univa.
Edward
mi accarezzò la guancia e sorrise, non sembrava deluso dalle mie parole.
«Aspetteremo, allora, e quando sarà arrivato il momento giusto, regaleremo un
fratellino ad Allyson.»
Sorrisi,
poggiando la testa sulla sua mano. «O una sorellina.»
«O una
sorellina… ma perché non entrambi?»
Sbuffai.
«Non esagerare, amore, sarò io quella
che dovrà darli alla luce!»
Edward
si mise a ridere, preferendo non rispondermi. Era meglio così, altrimenti si
sarebbe beccato uno scappellotto tra capo e collo… beh, lo avrebbe beccato
ugualmente, per qualsiasi risposta sarebbe uscita dalle sue labbra.
***
Passato
quel momento di tensione Edward ed io ci trasferimmo in salotto, prendendo
pieno possesso del divano; non facevamo nulla di che, stavamo solo seduti
vicini. La cioccolata per la nostra merenda era andata a farsi benedire: avevo
completamente dimenticato il latte sul fornello, facendolo bruciare, e così ci
eravamo accontentati di bere del semplice latte freddo insieme ai biscotti.
Allyson
faceva la brava, stranamente, e standosene sdraiata sul tappeto disegnava.
Alcune volte alzava lo sguardo per posarlo sullo schermo della tv, ancora
sintonizzato sui cartoni animati, ma poi tornava a colorare tranquillamente.
Mi
sembrava brutto disturbarla parlando, così me ne ero rimasta in silenzio e la
osservavo, beandomi della presenza di Edward al mio fianco; lui sembrava essere
della mia stessa idea, perché come me non aveva più aperto bocca per dire
qualcosa.
A rompere
quella specie di idillio ci pensò il mio cellulare; avevo tolto il silenzioso e
così la suoneria dei messaggi risuonò per tutta la stanza. Lo presi sbuffando e
andai a vedere chi era che mi disturbava, ma cambiai completamente opinione
quando notai chi era il mittente: Rosalie.
:) grazie.
Solo
questo c’era nel messaggio: un semplice smile e una parola. Qualcosa mi
suggeriva che era andato tutto bene, e venne da sorridere anche a me di
riflesso.
«Che
hai da sorridere così tanto?» bisbigliò Edward al mio orecchio.
Gli
mostrai lo schermo del cellulare, continuando a sorridere. «Credo che tra poco
verremo sommersi di telefonate, in primis da parte di tua madre.»
«L’ha
detto a Emmett, quindi?» domandò, stupito, prima di mettersi a ridere.
«Che
c’è, perché ridi adesso?» mi lamentai, guardandolo male.
«Perché
non ce lo vedo mio fratello nei panni di padre, davvero! È ancora un bambino lui!»
rideva ancora, e sembrava non voler proprio smettere.
«Oh,
piantala! Secondo me sarà un papà perfetto, migliore di te.» lo presi in giro,
incrociando le braccia sopra il seno.
Questo
lo fece zittire tutto d’un tratto. «Non lo pensi veramente.» borbottò,
scuotendo la testa.
Non
risposi, limitandomi a guardarlo e ad alzare le sopracciglia.
«No,
non lo pensi sul serio. Dai, tesoro, non lo pensi eh?» continuava, speranzoso,
a cercare di cavarmi qualche parola di bocca ma non ci sarebbe riuscito molto
facilmente.
Alla
fine, tentò l’ultima carta: il solletico. Mi fece ridere così tanto che
rischiai di sentirmi male, e mi venne anche il singhiozzo. Era stronzo, alcune
volte, ma proprio stronzo! Però gli volevo bene, lo amavo, e accettavo anche
questo suo lato da stronzo.
«No,
non lo penso davvero.» dissi alla fine, accontentandolo, dandogli anche un
minuscolo bacio a stampo come premio di ‘consolazione’.
Il
‘trofeo’ lo avrebbe ricevuto più tardi, quando saremmo stati noi due da soli
nella nostra camera da letto…
_________
Eccomi qui XD
Rose è incinta ed ha finalmente detto tutto
a Emmett, ce l’ha fatta! È andato tutto bene, d’altronde non poteva essere
diversamente XD
Si è pure rifatta viva Lauren, che si è
beccata una svomitazzata sulle scarpe e si è vendicata spargendo cazzate a
destra e a manca ù_ù ma le si ritorce tutto contro, come sempre! Ben le sta XD
Tra Edward e Bella è uscito fuori l’argomento
bambini, normale vista la loro relazione ed il loro quasi vivere insieme, ma
per adesso non se ne fa nulla. Hanno tempo per ‘lavorarci su’ XD
Bella però si sente ancora in colpa per
James e per quello che è accaduto con il divorzio… lavoreremo anche su questo,
not worry ;)
Bene, ho blaterato anche troppo XD me ne
vado, e vi ringrazio come sempre per essere così presenti e per seguire questa
pazza storia XD a presto, fanciulle ^_^
|
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Capitolo 26 *** Capitolo 26 ***
Solo il tempo... - Capitolo26
Buonasera ragazzeeeee!
Allora, mi scuso subito per l’imperdonabile
ritardo con cui mi presento stasera: non ho avuto problemi di nessun tipo, solo
mi sono lasciata prendere la mano dalle serie tv e ne ho guardate a bizzeffe XD
adesso però ho messo in pausa Breaking Bad e mi sono messa qui a correggere e a
scrivere le note ;)
Bene, avete aspettato un mese e quindi non
vi faccio aspettare oltre, vi lascio direttamente al capitolo :) solo… non
uccidetemi e abbiate fede in me, che so già come dovranno andare le cose ;)
Un bacione, e alla prossima!
Solo il
tempo
Capitolo
26
«Sono
così contenta di rivederti, Bella! Dobbiamo incontrarci più spesso, però, e non
così di rado.» blaterò Esme al mio orecchio, mentre mi teneva stretta nel suo
abbraccio. Più che un abbraccio, però, sembrava una morsa: le spalle
cominciavano a farmi male per quanto stava stringendo forte.
«Quando
vuoi tu, Esme, sono sempre disponibile!» replicai ridendo. La madre di Edward
mi piaceva un sacco, ed era sempre un piacere trascorrere del tempo insieme a
lei.
Specialmente
quando cominciavamo a prendere per i fondelli suo figlio più piccolo!
«Ci
organizziamo più avanti, allora, magari si uniscono a noi anche Rose e Alicia.
Siamo tutti una grande famiglia, ormai! Non è meraviglioso?» urlò, entusiasta.
Da
quando aveva ricevuto la notizia che sarebbe diventata presto nonna, ossia da a
malapena una settimana, Esme era uscita fuori di testa e non vedeva già l’ora
che quei mesi di attesa finissero. Ma visto che il tempo era quello che era, e
lei non era una strega, doveva aspettare… e nel frattempo aveva organizzato un
pranzo con tutta la famiglia riunita. La famiglia allargata, per essere
precisi.
Quella
Domenica ci trovavamo tutti nella grande casa Cullen: c’eravamo io, Allyson e
Edward, c’erano Rose e Emmett, Alice e Jasper, i coniugi Cullen, naturalmente,
e i genitori di Rose e Jasper, Jack e Alicia. Era la prima volta che li
incontravo e parlavo con loro, ma sembrava che li conoscessi già da mesi ormai,
dato che Rosalie e Jasper mi avevano parlato moltissimo di loro.
Erano
brave persone, e anche molto giovani: Jack dimostrava meno dei suoi
cinquantanove anni e Alicia sembrava ancora una ragazzina, tutta allegra e
solare. Adesso capivo il motivo per cui lei e Alice andavano così tanto
d’accordo, erano identiche! Si somigliavano sia di nome che di carattere… stare
insieme a loro due, così esuberanti, sarebbe stato un incubo da una parte! Mi
immaginavo già la scena.
Prima
del pranzo Carlisle aveva invitato tutti a spostarsi in salotto per consumare
un aperitivo; i maschi avevano accettato tutti, brindando come solo loro
sapevano fare, e noi donne invece ci eravamo limitate a restare sedute sul
divano, chiacchierando del più e del meno.
Quella
che attirava di più l’attenzione, però, non era Rose con il suo nuovo stato di
futura mamma: era mia figlia. Aveva gli occhi di tutte puntati addosso, neanche
stesse facendo qualcosa di strano… stava semplicemente parlando, a macchinetta,
ma stava parlando.
Alicia
si era perdutamente innamorata di lei, sin dal primo momento che le aveva
parlato, e adesso non faceva che tenerla vicina a sé, facendole complimenti e
moine di tutti i tipi. Il fascino della piccola aveva colpito ancora, e non
avevo ancora capito come cavolo riuscisse a farsi voler bene da tutti.
Forse
era davvero una streghetta, lei.
«Arriva
il cuginetto tra un po’, sei contenta?» le chiese Alicia, pizzicandole il naso.
«E
dov’è adesso?» domandò Allie, concentrata e attenta sulle sue dita che
giocavano con la collana di perle di Alicia. Sperai che non la rompesse, in
qualche modo.
«E’
dentro la pancia di Rosalie.» le rispose, soddisfatta e orgogliosa; anche lei
stravedeva per il piccolo bambino che stava per arrivare.
Allie
distolse l’attenzione dal suo nuovo gioco, ovvero ammirare le perle, e si girò
guardando attentamente Rose, che se ne stava tutta tranquilla seduta accanto a
loro e sorrideva. Io ero seduta sulla poltrona, poco lontano, e notai che gli
occhi di mia figlia erano puntati proprio sulla pancia, ancora piatta, della
mia amica.
Chissà
cosa le frullava per la testa…
«Ha
mangiato il cuginetto?» esclamò, tornando a guardare Alicia.
Ridemmo
tutte alla sua domanda, così innocente. Fino a quando restava su quelle e non
cercava di scoprire qualcos’altro ero contenta: mi sarei vergognata e non avrei
saputo come rispondere, se mi chiedeva… beh, come si facevano i bambini.
«Ma no,
amore, non lo ha mangiato!» dissi, avvicinandomi e inginocchiandomi accanto a
lei.
Le sue
sopracciglia si inarcarono, mentre pensava. «E come ci è entrato nella pancia
di Rosalie?» domandò.
Ahia, qui le cose si mettono male!,
pensai subito.
«Ce lo
ha messo Emmett, tesoro.» intervenne Alice.
«E come
ha fatto?»
«Esme,
non hai bisogno di una mano in cucina?» domandai, alzandomi in piedi. Sentivo
le guance calde, segno che l’imbarazzo stava prendendo piede. Non mi andava
proprio di dirle in quale modo Emmett aveva ‘messo’ un bambino nella pancia
della sua ragazza.
Non
erano cose che si dicevano a una bambina di quasi quattro anni, dannazione!
«E’ già
tutto pronto, Bella, ma ti ringrazio per il pensiero.» Esme mi sorrise, e
quella che mi era sembrata l’unica via di fuga sfumò all’improvviso.
«Ma
deve esserci qualcosa che posso fare!» pigolai in preda all’ansia.
Accanto
a me, Alice si stava sbellicando dalle risate. Lei metteva le pulci nelle
orecchie di mia figlia, che faceva domande scomode, e alla fine quella che ci
rimetteva ero io… come potevo risponderle?
Avevo
bisogno di un aiuto!
«Mamma,
devo fare pipì!» la richiesta della bambina arrivò proprio al momento
opportuno.
«Davvero?
Andiamo al bagno, allora!» colsi la palla al balzo.
«Non ti
preoccupare, Bella, ce la accompagno io. Va bene per te, piccina?» intervenne
Alicia, alzandosi dal divano e facendo scendere Allyson dalle sue gambe.
«Andiamo,
andiamo!» Allie afferrò al volo la mano di Alicia e insieme uscirono dal
salotto.
Non era
mica la prima volta che mia figlia mi snobbava per stare insieme a nuove
persone: scene simili le rivivevo tutti i giorni, grazie alla presenza quasi
fissa di Edward. Stavo cominciando ad essere un po’ gelosa di questo.
«Salva
per miracolo, eh Bella?» esclamò Rosalie, cercando di non ridermi in faccia.
«Sì,
divertiti pure! Voglio vedere quando ti troverai al mio posto!» occupai il posto
lasciato vuoto da Alicia e, sbuffando, incrociai le braccia sul petto.
«Mi
inventerò la solita storia delle api e dei fiori, o della cicogna…»
«Spera
che non voglia mai sapere il metodo vero e proprio per fare i bambini, o dovrai
metterti a parlare di patatine e pisellini.» ribattei.
«Uh,
che cosa divertente! Posso assistere anche io?» si intromise di nuovo Alice,
parecchio divertita per i nostri discorsi.
Le
risposi lanciandole la mia solita occhiata raggelante, ma dubitai che potesse
avere ancora qualche effetto: la usavo così spesso, ormai.
***
Il
pranzo era durato un bel po’, ma complici anche i discorsi e le risate che
erano nate nel mezzo quelle ore sembravano essere trascorse in un baleno.
L’argomento più parlato e ascoltato era stato, ovviamente, il bambino di Rose e
Emmett: Edward, poi, coglieva ogni occasione che gli capitava a tiro per
prendere in giro suo fratello, e veniva ogni volta premiato con uno
scappellotto dietro la nuca da parte mia, o di sua madre.
Esme
era parecchio suscettibile, adesso che stava per diventare nonna: guai se
qualcuno toccava il suo bambino maggiore!
E un
altro argomento, che aveva coinvolto tutti noi e che ci aveva lasciato
parecchio sorpresi, era stato un altro: il loro matrimonio.
Certo,
non era da sorprendersi se avevano deciso di sposarsi, specialmente adesso che
stavano per diventare una famiglia… ma, non potevano annunciarlo così, come se
niente fosse! Ad Alicia era quasi preso un colpo, tanto che si era versata il
vino sulla camicetta e adesso aveva una vistosa macchia scarlatta sul seno. Ma
si era ripresa subito, e si era unita a Esme nel ciarlare di date e di location
per il grande giorno.
«In che
giorno pensate di sposarvi?» chiesi ai due neo-fidanzati, approfittando di un
momento di calma che non sarebbe durato molto a lungo; le due consuocere si
erano allontanate per andare a prendere l’album delle nozze di Esme e Carlisle.
Stavano prendendo parecchio sul serio quella situazione, e cominciavano a fare
paura.
«A me
piacerebbe la fine di Maggio, non farà troppo caldo e non sarò ancora diventata
una mongolfiera per allora!» scherzò Rosalie, con la testa appoggiata sulla
spalla di Emmett; lui, sorridente, le accarezzava un braccio. «Tu che ne pensi,
orsacchiotto?»
«Dico
che prima è, e meglio è. Non ho voglia di ascoltare le nostre madri che
ciarlano senza smettere mai!»
«E dove
sta il divertimento dei preparativi, altrimenti? Qualcuno fuori di testa deve
esserci, per animare l’atmosfera!» ribadii.
«O per
rompere le palle… quindi è deciso, fine Maggio!»
«Fuori
una. Passiamo al prossimo punto della lista!» Alice si animò tutta,
scribacchiando qualcosa su un bloc-notes: pure lei mica scherzava, in quanto a
uscire fuori di testa. «Vestito da sposa…»
«Per
quello c’è tempo. Insomma, non posso prenderlo già adesso, o non mi starà più
per allora.»
Lei
sbuffò, depennando anche quel punto. «Va bene, ci torniamo dopo. Damigella
d’onore: hai bisogno di una damigella d’onore, o più di una! Devono
organizzarti l’addio al nubilato, aiutarti nei preparativi, cacciare i tuoi ex
fidanzati…»
«Quali
ex fidanzati?» si allarmò Emmett.
«Nessuno,
tesoro, è Alice che svalvola.»
«Io non
svalvolo! Dicci, Rose, chi saranno le tue damigelle?»
«Non lo
so, devo pensarci su.»
«Questa
lista non serve a niente, allora, visto che non sai ancora niente!» inacidita,
chiuse di scatto il notes e lo gettò sulla poltrona, sopra a Jasper.
«Alice,
che modi!» la rimproverò lui.
«Non
diventerai così quando ci sposeremo noi, eh?» il bisbiglio di Edward giunse
alle mie orecchie, facendomi sobbalzare. Ero così presa ad ascoltare i discorsi
fuori controllo di Alice da non dare attenzione a nient’altro.
«Eh?»
la mia risposta confusa gli fece inarcare le sopracciglia.
«Dicevo,
non diventerai una maniaca del controllo quando ci sposeremo noi, vero?»
«Dobbiamo
sposarci?» sgranai gli occhi, colpita.
«Mica
dobbiamo farlo adesso! Un giorno, forse… era per dire!» ecco, lo avevo fatto
confondere.
«Ah.»
parlare di matrimonio, ora come ora, era escluso: mi sembrava molto prematuro
pensare alle mie prossime nozze quando stavo vivendo ancora sulla mia pelle il
fallimento delle prime… però, il fatto che Edward mi aveva posto quella domanda
mi faceva sperare. «No, non diventerò così pazza.» aggiunsi.
Questo
lo fece sorridere. «Oh, bene. È consolante saperlo!» rise, ed io gli pizzicai
una guancia.
Nel
frattempo, Rosalie stava inveendo contro Alice e le sue idee sul matrimonio:
«Senti, Alice, dammi almeno un po’ di tregua prima di parlare di queste cose!
Ma di una cosa sono sicura: voglio degli spogliarellisti al mio addio al
nubilato, un sacco di uomini belli e nudi! Come a ‘Magic Mike’.»
Alice
batté le mani, eccitata. «Stupendo! Sarà la prima cosa che organizzerò:
spogliarello e Magic Mike!»
«Rose!
Ma…» Emmett, poverino, era un po’ sconvolto.
«La tua
futura moglie ha bisogno di distrarsi! Non penserai davvero che dovrà vedere
solo e soltanto il tuo pipino per tutta la vita?» lo sbeffeggiò ancora lei,
puntandogli un dito contro.
«Ragazzi,
questi non sono discorsi adatti alle orecchie di una minorenne.» Jack, che fino
a quel momento era rimasto in ascolto divertito, aveva prontamente coperto le
orecchie di mia figlia, appollaiata sulle sue gambe, e guardava tutti in modo
severo. «Le verranno idee strane, altrimenti.»
«Ne ha
già fin troppe, di idee strane.» mugugnai tra me e me, e la risata sonora di
Edward mi fece capire che aveva sentito il mio commento.
«Che
cos’è un pipino?» domandò Allyson, guardando in faccia Jack. Evidentemente le
sue mani non erano state dei buoni tappi per orecchie.
«Ehm…»
lui guardò Carlisle, che cercava di non ridere, e non era di nessun aiuto.
Ci
pensò Edward, a tirarlo fuori dai ‘guai’. «Pipino è una persona, tesoro, che fa
parte di un film!» esclamò in fretta e furia, alzandosi e andando da lei. Ah,
sia ringraziato il cielo che ci fosse un Pipino anche nel Signore degli Anelli!
«Però,
che brutto chiamarsi Pipino… ehi, Pipino!» Emmett non si risparmiò neanche per
quella volta una battuta a sfondo sconcio, che fece ridere Jasper.
«Quanto
sei infantile!» lo rimbrottò Rosalie, sbuffando.
Venni
distratta da tutte quelle chiacchiere a causa del mio cellulare che si mise a
squillare. Lo recuperai dalla tasca del cardigan, un po’ scocciata, e sbirciai
il nome che lampeggiava sullo schermo: Martha.
Il
malumore per quel disturbo venne scacciato via dalla sorpresa di scoprire che
mi stava chiamando. Balzai in piedi, scusandomi con gli altri per la chiamata,
e andai in corridoio per rispondere in pace e con calma; non sentivo Martha da
un po’, ovvero da quando la avevo informata che Allyson si era presa la
varicella, ed ero contenta di poter scambiare qualche chiacchiera insieme a
lei, seppur velocemente e non come avrei voluto.
«Martha,
che bello sentirti! Tutto bene?» risposi, appoggiandomi con la schiena contro
la parete.
«È un piacere, Bella! Però… vedi, io non sono
Martha.» ricambiò la voce dall’altra parte della linea: una voce che non
sentivo da troppo tempo, che non era di Martha e che era decisamente maschile.
Mi
paralizzai, per la sorpresa e per qualcos’altro di indefinito a cui non riuscivo
proprio a dare un nome. Felicità? Tristezza? Nervosismo? Angoscia? Paura?
Colpevolezza? Forse era un misto di tutte quelle emozioni.
«Sei ancora lì?» domandò James,
accennando una risata nervosa, e questo mi riscosse dal torpore in cui ero
sprofondata.
«Oddio,
James! Come… come stai?» domandai, e il tutto uscì dalle mie labbra sotto la
forma di un flebile mormorio. Era un gran risultato se fosse riuscito a
sentirmi…
«Bene, sto benissimo. Ho lasciato il centro,
sono risultato idoneo e pulito al cento per cento.» mi informò, e lo sentii
un po’ più rilassato rispetto a prima.
Sorrisi,
e il mio sorriso venne accompagnato dal pizzicore che sentivo agli occhi e che,
come sempre, anticipava una crisi di pianto. Strinsi le dita della mano libera attorno
al piccolo ciondolo a forma di cuore, da cui non mi separavo mai. «Non sai
quanto sono felice di saperlo! Tua madre me ne aveva parlato l’ultima volta che
ci siamo sentite… e so anche di Victoria. Lei come sta?»
Lo
sentii ridere. «Non ha perso tempo, la
mamma! È sempre la solita! Victoria sta bene, sta parlando di là con mia madre
in questo momento. Mi hanno… lasciato da solo, per poter parlare con te con
tutta calma.» mi spiegò.
«Capisco…
ma più tardi devi salutarle entrambe da parte mia!» dissi, tanto per smorzare
quel po’ di tensione che sentivo aleggiare nell’aria.
«Contaci, loro mi hanno detto di fare la
stessa cosa!» mi unii alla sua risata, mentre sentivo le chiacchiere di
Esme e di Alicia che percorrevano il corridoio per tornare dagli altri; Alicia
teneva stretto tra le braccia un album enorme rivestito di pelle bianca, che
doveva pesare parecchio. Le salutai, e loro fecero la stessa cosa con me,
facendomi cenno di raggiungerle non appena finivo la telefonata.
«E tu, Bella, come stai? Come state?»
continuò a dirmi, e stavolta lo sentii incerto mentre parlava. «Mia madre mi ha detto che hai un ragazzo,
che la bambina ha cominciato la scuola, ma mi piacerebbe sentire tutto questo
dalla tua voce. Hai un po’ di tempo, possiamo parlare di questo?» chiese,
alla fine.
«Che
domande stupide che fai, certo che possiamo parlare!» esclamai, allontanandomi
dall’entrata del salotto per rifugiarmi nell’enorme studio di Carlisle. Ero
sicura che a lui non sarebbe dispiaciuto, se mi nascondevo in quel posto per un
po’…
***
Rannicchiata
sulla poltrona di pelle dietro la scrivania, persi la cognizione del tempo e mi
immersi completamente nella conversazione insieme a James. Avevo poggiato il
cellulare sulla scrivania, in vivavoce, così ero libera di poter usare entrambe
le mani mentre ascoltavo e parlavo, ricordando quelli che erano stati i primi
mesi della mia nuova vita a Los Angeles insieme a mia figlia. Cercai di non
tralasciare nulla, e se mi sfuggiva qualcosa ci pensava James, che ogni tanto
faceva delle domande per approfondire meglio quello che gli dicevo.
Non
parlai sempre solo io, infatti arrivò anche il turno di James di raccontare
come aveva trascorso l’ultimo anno della sua vita.
Mi
spiegò di come aveva deciso di cercare un aiuto per uscire dal cerchio della
droga, di come era stato accolto a braccia aperte non appena mise piede al
centro, e di come all’inizio le cose non sembravano andare come aveva sperato.
Le
poche visite che poteva ricevere, le rare chiamate a casa che a volte venivano
negate del tutto, la nostalgia che provava nel sapere la sua famiglia lontana e
il dolore che sentiva nel cuore, al pensiero che non avrebbe rivisto mai più
Allyson.
Quelle
erano le parti della lista che mi aveva elencato e che non sopportava. Mi
sentivo così coinvolta e in colpa, anche, nel sentirlo parlare, e avevo
cominciato a piangere in silenzio, temendo che mi potesse sentire.
Tutto
quello che avevo provato io non era niente, in confronto.
«Mi sono sentito un po’ meglio quando ho
conosciuto Victoria. Lei… lei è una persona meravigliosa.» sorrisi, sentendolo
animarsi mentre parlava della sua ragazza. «Ricordo
che venne a parlarmi per la prima volta durante una riunione, una delle tante
che facevamo tutti insieme e che serviva per conoscerci e per parlare tra di
noi. È una assistente, e cercava di coinvolgermi nei discorsi e di farmi
parlare… non parlavo quasi mai, a quelle riunioni.»
«E
scommetto che lei è riuscita a farti sciogliere.» dissi, mascherando la mia
voce e cercando di non farmi sgamare mentre piangevo.
«Sì, c’è riuscita. Abbiamo parlato tanto,
della mia vita e di quello che era l’obiettivo che mi ero prefissato, e… e
siamo finiti con l’innamorarci. Non credo di aver mai amato così tanto una
persona, così come amo lei.»
Ridacchiai.
«Dovrei sentirmi offesa per questo, J! Ricordati che siamo stati sposati per
tre anni!»
«Beh, no che non dovrei. Se è per questo,
anche tu ti sei innamorata di un altro!» berciò, con fare scherzoso.
«Allora
vuol dire che siamo pari…» asciugai le ultime lacrime colate sulle guance e
poi, con il povero fazzoletto martoriato che avevo stretto nella mano, mi
soffiai il naso.
«Cos’era quel rumore?» chiese, allarmato
dal rumore poco lusinghiero che avevo provocato.
«Nulla,
niente!» minimizzai il tutto, maledicendomi mentalmente per il mio naso
rumoroso, e mi scappò un singhiozzo.
«Bella! Non starai mica piangendo, vero?»
«James,
mi dispiace così tanto per quello che è successo!» esclamai, riprendendo a
piangere, e al diavolo tutti i tentativi che avevo fatto per nasconderlo. «È
tutta colpa mia…»
«Bella, ma stai scherzando? Perché dici così?»
esclamò, spaventato.
«Perché
se io mi ero fatta gli affari miei e non ti avessi chiesto il divorzio, adesso
non staresti così male per nostra figlia! Non ti avrebbero tolto la custodia, e
mi sento una merda per aver fatto tutto questo…»
«Okay, frena! Tappati la bocca, stai calma!»
mi zittì, perentorio e deciso come se si fosse trovato davanti a me. «Bella, non è vero. Quello che stai dicendo
non è assolutamente vero. Non è stata colpa tua… anzi, hai fatto quello che hai
ritenuto più giusto e hai pensato alla bambina prima di tutto il resto. Hai
fatto esattamente quello che avrei fatto io se mi fossi trovato al tuo posto, e
non ti biasimo per questo. Non incolparti inutilmente, scema!»
«Ma è
come se fossi stata io a portartela via! Come puoi non maledirmi per questo?»
continuai a piangere, non riuscendo a fermarmi.
«Non ti entra proprio in testa, eh? Che devo
fare per fartelo capire? Non. È. Stata. Colpa Tua. Okay? Sono stato io il cretino che si è rovinato con la droga, io e
basta. Mi sono meritato questo e dovevo meritarmi anche di più…»
«Non
dire così, quello che ti hanno fatto è stato anche troppo.» pigolai,
strofinandomi gli occhi con le mani. Me le ritrovai nere di mascara colato. Non
osai immaginare lo stato della mia faccia in quel momento: come minimo, dovevo
essere la brutta copia di un panda.
«Comunque sia, adesso questa storia è tutta
acqua passata e non possiamo tornare a rimuginarci sopra. Però, c’è una cosa
che possiamo fare e di cui vorrei parlartene, Bella. Riguarda Allyson…»
«Cosa?»
Passò
un minuto buono prima che James riprendesse a parlare, e se non fosse stato per
il suono del suo respiro poteva benissimo sembrare che avesse chiuso la chiamata.
«Ho contattato un avvocato, qualche settimana
fa, e gli ho spiegato la mia situazione, del divorzio e di tutto il resto. Ha
tenuto da parte il caso e la mia richiesta dicendomi che mi avrebbe contattato
più avanti, quando avrebbe studiato bene il tutto… e la settimana scorsa mi ha
convocato nel suo studio. Dice che ci sono buone possibilità, anche se poche,
per far sì che la mia richiesta venga accettata.»
Ci
stavo capendo poco e niente, in tutto quello che aveva detto. «Quale
richiesta?»
«Quella per poter avere di nuovo
l’affidamento di Allyson.»
«L’affidamento?
Non… non vorrai portarmela via? Non…» domandai a stento, sentendo qualcosa di
strano formarsi in gola.
«No no no, non pensarlo neanche! Non potrei
mai portarti via la bambina!» mi
bloccò subito, prendendo di nuovo la parola. «Voglio solo avere la possibilità di starle accanto, di passare un po’
di tempo con lei… insomma, vorrei essere un buon padre per lei, anche se a
distanza. Ma prima, devo riuscire ad ottenere il consenso del giudice.»
«James,
questo è… è…» non riuscivo a trovare le parole.
«Da pazzi?»
«No, è
un bel gesto. È la cosa più bella che potresti fare per nostra figlia…»
«Ma c’è un ‘ma’, vero? Sento che c’è un ‘ma’.»
la sua considerazione mi fece scappare un sorriso.
«Ma
devo pensarci. Non è un no, e non è mia intenzione rifilartelo, però… dammi un
po’ di tempo per pensarci bene, per capire tutto questo…» sospirai, passandomi
stancamente una mano tra i capelli.
«Ci credo, ti ho dato tutte queste
informazioni così, su due piedi, è il minimo. Ti do tutto il tempo che vuoi,
Bella, prenditi tutto il tempo che ti serve. Non ti metterò nessuna fretta, te
lo prometto.»
«Ti
ricontatto io, non appena me la sento e so quello che voglio fare. Ho il numero
di tua madre, per qualsiasi cosa…»
«Ti do il mio numero, Bella. Hai qualcosa su
cui poterlo scrivere?»
Rubai
temporaneamente un blocchetto di post-it dal cassetto della scrivania e, con la
mano un po’ tremolante, scribacchiai il numero che James mi stava dettando.
«Okay, fatto.»
«Ti lascio andare, adesso. Posso… chiederti
una cosa, prima?» mormorò, incerto.
«Dopo
tutto quello che ci siamo detti? Chiedi tutto quello che vuoi.»
«Dai un bacio alla nanerottola da parte mia,
va bene?»
Strinsi
le labbra tra di loro, annuendo, poi mi ricordai che ci trovavamo a migliaia di
chilometri di distanza e che non poteva vedermi. «Va bene, lo farò.»
«Grazie, Bella. A presto?»
«A
presto…» mormorai. Qualche secondo dopo, un piccolo ‘clic’ seguito dalla linea
libera del telefono mi fecero capire che James aveva chiuso la chiamata.
***
Quella
era stata decisamente una giornata piena di sorprese: Emmett e Rose che
annunciavano le loro nozze imminenti, James che tornava a farsi vivo con una
telefonata e che mi chiedeva il consenso per ottenere l’affidamento congiunto
di Allyson… una volta uscita da quello studio, cosa avrei scoperto ancora? Che
Edward in realtà non era Edward, ma un vampiro centenario che desiderava
soltanto affondare le zanne nel mio collo?
Aver
rivisto Dracula la sera prima non sembrava
essere stata una buona idea.
La
porta dello studio si aprì, piano, quando io stavo ancora decidendo se
prendermi qualche altro minuto per calmarmi e per raccogliere le idee, oppure
andare dritta al bagno per sciacquarmi il viso e per togliere qualsiasi traccia
di pianto. Naturalmente, non potei fare nessuna delle due ipotesi.
Rimasi
seduta alla scrivania, con la testa poggiata sulle mani, e osservai Edward fare
capolino dalla porta solo con la testa. Accennò un piccolo sorriso prima di
intrufolarsi all’interno dello studio e dirigersi verso di me.
«Mi
sembri un po’ sconvolta…» disse, cercando di farmi ridere, ma la sua battuta mi
fece solo storcere le labbra. «Tutto bene?»
«Insomma,
stavo decisamente meglio prima.» borbottai, passandomi una mano sugli occhi.
«Sono
venuto a cercarti e poi sono rimasto qui fuori. Ho sentito che parlavi e… non
volevo disturbarti.»
Tornai
a guardarlo, sconcertata. «Hai sentito tutto? Hai origliato?» domandai.
«Non
era mia intenzione farlo, lo giuro, e poi parlavi a voce abbastanza alta! Però
mi sembravi anche un po’ provata, così sono rimasto. Volevo starti accanto.» mi
spiegò, poggiandosi alla scrivania con le mani.
«Non
dovevi origliare, non è bello!» lo rimproverai.
«Non
volevo, mi dispiace.» si scusò ancora.
Sospirai,
grattandomi la faccia. «Non fa niente, tanto te ne avrei parlato lo stesso… non
è una cosa che posso nascondere.»
Sentii
Edward spostarsi e fare il giro della scrivania, e ben presto me lo ritrovai
accanto, inginocchiato di lato alla sedia e con le mani poggiate sulle mie
gambe velate dalle calze. Le carezzava piano, infondendomi un po’ di calore. Le
sue mani erano bollenti… e dopo qualche secondo, scoprii che non era Edward ad
essere bollente, ma io ad essere gelata.
Senza
dire niente, mi fece alzare in piedi e dopo che ebbe preso posto sulla poltrona
mi fece sedere sulle sue gambe, cingendomi con le braccia nel tentativo di
scaldarmi un po’. Nascosi la testa nell’incavo del suo collo, cercando di
rannicchiarmi più che potevo contro di lui. I movimenti di Edward erano
gentili, dolci, mi stava dimostrando la sua presenza e allo stesso tempo mi
stava lasciando da sola con i miei pensieri…
Ma non
volevo pensare in quel momento, avevo paura di quello che la mia testa avrebbe
potuto partorire.
«Che
cosa posso fare? Se dico di sì ho paura che tutto possa andare storto… se
invece dico di no, mi sentirei in colpa per non aver dato a James questa nuova
possibilità. Tu che ne pensi?» sibilai, senza abbandonare il mio nascondiglio.
«Non lo
so, tesoro, non è una scelta che posso fare io. Non… Allyson non è mia figlia,
la amo ma… ma non sono il suo vero genitore.» disse, e percepii il suo fiato
infrangersi sulla mia fronte.
«Però
la ami, lo hai detto. Pensa a questo: se la ami, cosa vorresti fare per lei?»
«Farei
qualsiasi cosa per renderla felice. Le regalerei il mondo intero, se è quello
che desidera.» fu la sua risposta, semplice e diretta.
Depositai
un piccolo bacio sul collo di Edward mentre la confusione prendeva piede dentro
di me. La sua risposta era la stessa che avrei dato io se mi avessero posto
quella domanda, ma le mie paure mi frenavano. Avevo paura per Allyson, per
quello che avrebbe provato se qualcosa non fosse andato secondo i piani… era
così piccola, ed in qualche modo era stata già delusa una volta, quando con il
divorzio si era ritrovata senza il suo papà accanto.
Potevo
rischiare la sua felicità ancora una volta?
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