Nella Gabbia dei
Dannati
Capitolo
I
-Mamma, lascia stare
non puoi impedirmelo- sbotto, caricandomi lo zaino sulle
spalle.
-Ma...-
-Discorso chiuso,
chiaro?- dico uscendo dalla porta ed incamminandomi sul vialetto antistante la
casetta nella quale ho sempre vissuto.
-Tu sei pazzo! Come
credi di arrivarci fin là? Avranno aumentato la sorveglianza, ti farai
ammazzare!-
-Oh, mamma...- mi lagno
fermandomi al cancelletto, guardando la donnina che è mia madre, -Non credo ci
saranno molte persone dirette verso l'Unknown di questi
tempi...-
-Tu mi farai venire il
crepacuore, non capisci con chi hai a che fare! E poi, per quella ragazza... è
cattiva, Deneb, come tutti i suoi! Non la farai mai uscire di lì, hai sentito
che misure di sicurezza hanno messo, quelli di
Telk...-
-Mamma... non so
nemmeno io cosa voglio fare, ma devo arrivare fin là per
capirlo...-.
Dopo una buona
mezz'ora, riuscii a partire da lei.
Mamma ha ragione, non
ha senso partirsene da una tranquilla cittadina del Sud per andare a farsi fare
la pelle all'Est...
Ma sono tornato a casa
dall'esercito, per andare da Lei... Ayira, un'elfa
oscura.
È stato lecito
intrappolare gli elfi oscuri... sono malvagi, praticano magia
sconosciuta...
Conosco Ayira da quando
avevo poco più di 9 anni, giocavamo assieme quando il padre di lei, un'alto
funzionario degli uffici di Telk, trascorreva l'estate nelle tiepide pianure del
Sud.
E me la ricordo così
bene... era bellissima. I suoi capelli biondi come l'oro scendevano appena
ondulati sulle spalle, le forme non ancora definite ma che coi 15 e 16 anni
divennero sempre più ingenuamente stupende. Era alta, le mani sottili e quegli
occhioni verdissimi che col sole diventavano quasi
azzurri.
Non dimenticherò mai
quel giorno, il giorno della Grande Migrazione.
Lei passò a salutarmi,
ricordo che aveva un vestito azzurro con nastri gialli legati ai fianchi, era
bella, splendente in quel sole d'estate.
-Deneb... devo partire-
sussurrò lei con un fil di voce. Io, che già sapevo tutto, non riuscivo a
staccarmi da quell'abbraccio nel quale la tenevo stretta da quando l'avevo
vista.
-Non è giusto, non è
necessario...-
-La mia famiglia, la
devo seguire... vedrai che tutto si sistemerà presto, torneremo, sarà questione
di...-
-Oh, di quanto...
potrebbero essere due mesi o due anni... o venti... come faccio
a...-
-Shh...- mi disse lei,
posandomi due dita sulle labbra -Basta
parole-.
E, fresco come la
pioggia col sole, arrivò quel bacio... che avevo già vissuto mille e mille
volte, avvolto tra il profumo dei suoi capelli che tormentava i miei
sogni.
-Ci... ci vediamo, eh?-
disse lei, avviandosi veloce verso il cancelletto della
casa.
La presi per un braccio
-Ti vengo a trovare-, fu l'unica cosa che mi venne da
dire.
E lei rise. Una risata
triste, che sapeva nascondere cento parole e milioni di
rimpianti.
Le dissi addio senza
parlare, vedendola percorrere quel vialetto verso la carovana, quel vestitino
azzurro che si librava leggero nel vento, come se fosse già per sempre perso con
lei.
Giuro che non ho smesso
un giorno di pensarla.
Attraverso commercianti
e amici dei miei genitori, riuscii a sapere dov'erano andati ad abitare Ayira e
la sua famiglia.
Le feci giungere una
lettera, non mi rispose.
Poi un'altra... e
l'unica risposta che mi arrivò fu un foglietto sgualcito con
scritto:
All'alba del 16 di
Nowembth, ai piedi del Colle delle Saline.
Più in là non posso
spingermi, c'è la sorveglianza.
Tua
Ayira
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