Per sempre tua. Per sempre tuo. Per sempre nostri.

di Sybeoil
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The dream come true ***
Capitolo 2: *** Il vento sa d'addio e sa di nuovo ***
Capitolo 3: *** Home Sweet Home ***
Capitolo 4: *** You, You, You again! ***
Capitolo 5: *** Hyde Park, alle nove... ***
Capitolo 6: *** The Interview ***
Capitolo 7: *** Di amore e delusioni ***
Capitolo 8: *** Di lacrime e di verità ***
Capitolo 9: *** Di scoperte e decisioni ***
Capitolo 10: *** Di incontri e di sensazioni ***
Capitolo 11: *** Di sorprese e di coincidenze ***
Capitolo 12: *** Di piani e di principi azzurri ***
Capitolo 13: *** Di chiacchere e di coraggio ***
Capitolo 14: *** Di risvegli e prime gelosie ***
Capitolo 15: *** Di presentazioni e di chiarimenti ***
Capitolo 16: *** Di chiamate e nuove amicizie ***
Capitolo 17: *** Di abbracci e nuovi arrivi ***
Capitolo 18: *** Di promesse e amari ricordi ***



Capitolo 1
*** The dream come true ***


  

Prologo

 

 

 

 

 

< Signorina Valentini, può avvicinarsi un momento alla cattedra? >

La voce del professor Lamberti interruppe il filo dei miei pensieri facendomi alzare la testa dal libro di letteratura inglese sul quale stavo leggendo la mia tragedia preferita: Romeo e Giulietta.

Infilai una matita all’interno del libro e con innaturale calma mi diressi verso il piccolo tavolo in legno scuro che costituiva la cattedra.

< Mi dica professore > sussurrai una volta di fianco alla cattedra.

< Vorrei che dopo la fine della lezione ti fermassi per una decina di minuti > annunciò continuando a guardare il suo registro scolastico dove, con grande rammarico di molti miei compagni, annotava ogni singolo voto. < C’è una cosa di cui vorrei parlarti > aggiunse alzando lo sguardo e dedicandomi un sorriso tirato.

< Certo > annui tornando al mio banco in seconda fila e rimettendomi a leggere come se nulla fosse.

Se pur contro la mia volontà, nei restanti quaranta minuti che separavano il mio corpo e la mia mente dalla libertà, mi ritrovai a pensare al motivo per cui il professor Lamberti mi volesse parlare.

Di sicuro non poteva essere per la mia media che nella sua materia, come anche nelle altre a dire il vero, era più che perfetta. Da che avessi memoria, non ero mai scesa sotto il nove in nessuna delle ben dodici materie che mi toccava seguire.

L’unica in cui avevo qualche difficoltà in più, che però riuscì presto a superare, era fisica. Per i miei gusti c’erano troppi schemi e troppe regole da sapere e da ricordare, preferivo di gran lunga le materie che permettessero alla mente di spaziare lungo vari corsi.

Per esempio adoravo filosofia; quel senso di continua ricerca, di continua attesa, era puro nettare per il mio cervello. C’era però da dire che amavo follemente anche inglese e che il mio sogno, per quanto utopistico esso fosse, era quello di trascorrere una piccola parte della vita proprio nella capitale inglese dove avrei potuto assimilare ogni singola goccia di vita British. Purtroppo però la mia situazione familiare o meglio ancora, la mia situazione economica, non me lo avrebbero permesso quest’anno né mai.

Non è facile crescere in un paese che tutto il mondo critica ma che nessuno aiuta, non è nemmeno facile crescere in una famiglia spezzata come la mia. Insomma non è facile crescere nei miei panni, soprattutto se quei panni sono sudati per lo sforzo di riuscire a scuola, nel lavoro e magari anche un briciolo nella vita privata. Non è per niente facile quando quegli stessi panni sono impregnati di ricordi vecchi e dolorosi di un padre senza cuore capace di apparire come il tuo eroe un giorno e come un mostro il giorno dopo.

E’ tremendamente difficile crescere, maturare e affrontare le sfide della vita quando sai di poter contare solo su te stessa. Non che mia madre fosse una pazza incapace di badare a me e mio fratello, ma faceva così tanta fatica per riuscire ad arrivare a fine mese con quello sputo di stipendio che le davano al ristorante, che alla fine imparai a cavarmela da sola per forza di cose.

Da ormai due anni a quella parte lavoravo come un qualunque adulto consapevole. Appena compiuti i sedici anni mi ero decisa a cercarmi un lavoretto che mi permettesse di lasciare un minimo di respiro a quella santa donna e dopo settimane di estenuanti ricerche lo avevo finalmente trovato.

Facevo la cassiera part-time in un piccolo supermercato poco lontano da casa, la paga non era chissà quale grande cosa, ma erano sempre soldi che avrei potuto usare per aiutare a casa quindi li accettavo più che volentieri.

All’inizio non fu facile conciliare la scuola con il lavoro anche perché questo mi teneva impegnata quasi tutti i pomeriggi rubando tempo prezioso allo studio, ma alla fine trovai il ritmo giusto e riuscì a conciliare entrambi.

Ora, dopo due anni di sacrifici, ero riuscita a mettere da parte un bel gruzzoletto che sarebbe bastato per il soggiorno di almeno due settimane nella città dei miei sogni ma ero sempre restia a decidermi.

Avevo paura che lasciando mamma sarebbe successa chissà quale tragedia, lo so è stupido ma ehi, quando l’unica persona su cui puoi fare affidamento è lei le cose diventano un po’ più complicate.

Così ogni mattina prima di andare a scuola, invece di lasciare un biglietto con scritto mamma ti voglio bene o cose del genere, le lasciavo cinquanta euro nel portafoglio. Era un po’ il mio modo per dirle grazie di avermi cresciuta, amata e rispettata in tutti questi anni senza chiedere mai nulla in cambio e senza mai lamentarsi.

All’una e dieci esatta la campanella risuonò nei corridoi del Liceo Linguistico Spinelli ed una massa di bufali impazziti, che fino a pochi minuti prima giurerei di aver scambiato per i miei compagni, si precipitò fuori dall’aula diretta alla fermata dell’autobus che li avrebbe riportati a casa.

Io invece, come poco prima mi aveva chiesto il professore, mi fermai una decina di minuti in più.

< Circa due mesi fa > cominciò togliendosi gli occhiali e passandosi una mano sul viso stanco < Ti ho iscritto nella graduatoria per un’importante borsa di studio e a quanto pare hai vinto >

Lui aveva fatto cosa? E perché io, la diretta interessata, non ne sapevo niente di niente?

< Cosa? > domandai spalancando gli occhi dalla sorpresa.

< Ti ho iscritto al concorso per vincere una borsa di studio in lingua inglese che comprendeva un soggiorno di tre mesi a Londra e a quanto pare l’hai vinta > ripeté questa volta in tono più dolce e comprensivo facendomi quasi convincere di essere una bambina.

< Ma… ma io non ne sapevo niente > sussurrai lasciandomi cadere sulla sedia rimasta accanto alla scrivania.

Non poteva avermi fatto una cosa del genere. Un conto era fantasticare sull’andare a Londra senza però averne mai avuto realmente la possibilità, un altro era avercela ad un paio di centimetri dalle mani e non poterla afferrare.

< Non te l’ho detto perché non volevo darti false speranze > spiegò poggiandomi una mano sul ginocchio < Però hai vinto e so quanto desideri andare a Londra, quindi mi sembrava giusto darti questa opportunità >

Non so per quale motivo, forse perché nella mia vita era totalmente mancata una figura maschile in grado di farmi sentire importante o forse semplicemente perché l’andare a Londra stava diventando reale, ma lascia che una lacrima mi scappasse giù dagli occhi prima che potessi fermarla.

< Io… io non posso comunque andare a Londra > dissi cercando di ingoiare il groppo che mi si era improvvisamente formato in gola e che mi impediva di parlare.

< Tu devi andarci, è la tua grande occasione di vivere un sogno > mormorò deciso ma al contempo dolce < Se è per i soldi non devi preoccuparti, è tutto pagato >

< Ma… ma > tentai di ribattere inutilmente. L’idea di poter camminare per le vie della mia amata città si era già impossessata di me colonizzando cervello, cuore, polmoni, stomaco e tutto ciò che di colonizzabile ci fosse nel mio corpo.

< Ho anche già parlato con tua madre > aggiunse il prof chiudendo il registro con un colpo secco e voltandosi per sorridermi raggiante.

< E’ d’accordo che tu parta, te lo sei meritata > detto questo, si alzò, mi batté una mano sulla spalla e lasciò l’aula in silenzio.

Io rimasi ancora qualche istante seduta in quella classe che mi aveva accompagnata per cinque lunghi anni della mia vita fino a quando la voce scocciata della bidella mi richiamò alla realtà invitandomi, molto gentilmente, a sloggiare.

Recuperato lo zaino dal pavimento mi alzai e lasciai anche io quell’aula.

Quel pomeriggio passò più rapido del solito, tra una signora un po’ sbadata e un tizio ubriaco che si mise ad urlare per l’intero supermercato, non ebbi molto per pensare a ciò che avrei detto a mamma una volta tornata a casa.

Per fortuna la primavera aveva allungato le giornate e con esse anche le ore di luce a disposizione, così tornare a casa non fu terribile come invece risultava in inverno, quando le strade erano buie e silenziose.

Prima di entrare mi fermai sul pianerottolo di casa per pensare a cosa avrei detto a mamma una volta dentro, a come avrei potuto ringraziarla per l’enorme possibilità che mi stava dando ma in mente non mi venne altro che un misero “ grazie mamma”.

Presi un bel respiro profondo e infilai la chiave di casa nella toppa, girai e lasciai che la serratura scattasse aprendo la porta. Da dentro proveniva il profumo di pollo fritto e carote bollite con aceto, segno che Jack non sarebbe tornato quella sera.

Quando c’era lui casa nostra si trasformava in un ristorante, ciò che mamma cucinava sembrava non bastare mai.

Lasciai che la porta sbattesse dietro di me in modo da far notare la mia presenza ed evitare un infarto a quella santa donna.

< Tesoro > disse lei venendomi in contro don il grembiule ancora legato in vita e le mano sporche di olio.

< Mamma io… > mormorai prima di scoppiare a piangere e rifugiarmi tra le sue confortanti braccia.

< Lo so, lo so > mormorò cercando di confortarmi sussurrandomi quanto orgogliosa fosse di me e di chi ero diventata.

< Io non vado! > singhiozzai una volta in grado di parlare < Non ti lascio da sola >

< Tu invece andrai > asserì lei seria staccandosi da me e fissando i suoi occhi scuri in quelli chiari miei, l’unica cosa che avessi ereditato da mio padre erano gli occhi. Verdi come un prato in primavera.

< Te lo sei meritata è giusto che sia così > poi tornò ad abbracciarmi.

Rimanemmo così una mezz’ora buona, il tempo che mamma si ricordasse di avere del pollo sul fuoco e andasse a spegnerlo, poi insieme apparecchiammo e mangiammo.

Da lì ad una settimana sarei partita per la più meravigliosa città del mondo. Sarei partita per Londra!

 

Prologo

 

 

 

 

 

< Signorina Valentini, può avvicinarsi un momento alla cattedra? >

La voce del professor Lamberti interruppe il filo dei miei pensieri facendomi alzare la testa dal libro di letteratura inglese sul quale stavo leggendo la mia tragedia preferita: Romeo e Giulietta.

Infilai una matita all’interno del libro e con innaturale calma mi diressi verso il piccolo tavolo in legno scuro che costituiva la cattedra.

< Mi dica professore > sussurrai una volta di fianco alla cattedra.

< Vorrei che dopo la fine della lezione ti fermassi per una decina di minuti > annunciò continuando a guardare il suo registro scolastico dove, con grande rammarico di molti miei compagni, annotava ogni singolo voto. < C’è una cosa di cui vorrei parlarti > aggiunse alzando lo sguardo e dedicandomi un sorriso tirato.

< Certo > annui tornando al mio banco in seconda fila e rimettendomi a leggere come se nulla fosse.

Se pur contro la mia volontà, nei restanti quaranta minuti che separavano il mio corpo e la mia mente dalla libertà, mi ritrovai a pensare al motivo per cui il professor Lamberti mi volesse parlare.

Di sicuro non poteva essere per la mia media che nella sua materia, come anche nelle altre a dire il vero, era più che perfetta. Da che avessi memoria, non ero mai scesa sotto il nove in nessuna delle ben dodici materie che mi toccava seguire.

L’unica in cui avevo qualche difficoltà in più, che però riuscì presto a superare, era fisica. Per i miei gusti c’erano troppi schemi e troppe regole da sapere e da ricordare, preferivo di gran lunga le materie che permettessero alla mente di spaziare lungo vari corsi.

Per esempio adoravo filosofia; quel senso di continua ricerca, di continua attesa, era puro nettare per il mio cervello. C’era però da dire che amavo follemente anche inglese e che il mio sogno, per quanto utopistico esso fosse, era quello di trascorrere una piccola parte della vita proprio nella capitale inglese dove avrei potuto assimilare ogni singola goccia di vita British. Purtroppo però la mia situazione familiare o meglio ancora, la mia situazione economica, non me lo avrebbero permesso quest’anno né mai.

Non è facile crescere in un paese che tutto il mondo critica ma che nessuno aiuta, non è nemmeno facile crescere in una famiglia spezzata come la mia. Insomma non è facile crescere nei miei panni, soprattutto se quei panni sono sudati per lo sforzo di riuscire a scuola, nel lavoro e magari anche un briciolo nella vita privata. Non è per niente facile quando quegli stessi panni sono impregnati di ricordi vecchi e dolorosi di un padre senza cuore capace di apparire come il tuo eroe un giorno e come un mostro il giorno dopo.

E’ tremendamente difficile crescere, maturare e affrontare le sfide della vita quando sai di poter contare solo su te stessa. Non che mia madre fosse una pazza incapace di badare a me e mio fratello, ma faceva così tanta fatica per riuscire ad arrivare a fine mese con quello sputo di stipendio che le davano al ristorante, che alla fine imparai a cavarmela da sola per forza di cose.

Da ormai due anni a quella parte lavoravo come un qualunque adulto consapevole. Appena compiuti i sedici anni mi ero decisa a cercarmi un lavoretto che mi permettesse di lasciare un minimo di respiro a quella santa donna e dopo settimane di estenuanti ricerche lo avevo finalmente trovato.

Facevo la cassiera part-time in un piccolo supermercato poco lontano da casa, la paga non era chissà quale grande cosa, ma erano sempre soldi che avrei potuto usare per aiutare a casa quindi li accettavo più che volentieri.

All’inizio non fu facile conciliare la scuola con il lavoro anche perché questo mi teneva impegnata quasi tutti i pomeriggi rubando tempo prezioso allo studio, ma alla fine trovai il ritmo giusto e riuscì a conciliare entrambi.

Ora, dopo due anni di sacrifici, ero riuscita a mettere da parte un bel gruzzoletto che sarebbe bastato per il soggiorno di almeno due settimane nella città dei miei sogni ma ero sempre restia a decidermi.

Avevo paura che lasciando mamma sarebbe successa chissà quale tragedia, lo so è stupido ma ehi, quando l’unica persona su cui puoi fare affidamento è lei le cose diventano un po’ più complicate.

Così ogni mattina prima di andare a scuola, invece di lasciare un biglietto con scritto mamma ti voglio bene o cose del genere, le lasciavo cinquanta euro nel portafoglio. Era un po’ il mio modo per dirle grazie di avermi cresciuta, amata e rispettata in tutti questi anni senza chiedere mai nulla in cambio e senza mai lamentarsi.

All’una e dieci esatta la campanella risuonò nei corridoi del Liceo Linguistico Spinelli ed una massa di bufali impazziti, che fino a pochi minuti prima giurerei di aver scambiato per i miei compagni, si precipitò fuori dall’aula diretta alla fermata dell’autobus che li avrebbe riportati a casa.

Io invece, come poco prima mi aveva chiesto il professore, mi fermai una decina di minuti in più.

< Circa due mesi fa > cominciò togliendosi gli occhiali e passandosi una mano sul viso stanco < Ti ho iscritto nella graduatoria per un’importante borsa di studio e a quanto pare hai vinto >

Lui aveva fatto cosa? E perché io, la diretta interessata, non ne sapevo niente di niente?

< Cosa? > domandai spalancando gli occhi dalla sorpresa.

< Ti ho iscritto al concorso per vincere una borsa di studio in lingua inglese che comprendeva un soggiorno di tre mesi a Londra e a quanto pare l’hai vinta > ripeté questa volta in tono più dolce e comprensivo facendomi quasi convincere di essere una bambina.

< Ma… ma io non ne sapevo niente > sussurrai lasciandomi cadere sulla sedia rimasta accanto alla scrivania.

Non poteva avermi fatto una cosa del genere. Un conto era fantasticare sull’andare a Londra senza però averne mai avuto realmente la possibilità, un altro era avercela ad un paio di centimetri dalle mani e non poterla afferrare.

< Non te l’ho detto perché non volevo darti false speranze > spiegò poggiandomi una mano sul ginocchio < Però hai vinto e so quanto desideri andare a Londra, quindi mi sembrava giusto darti questa opportunità >

Non so per quale motivo, forse perché nella mia vita era totalmente mancata una figura maschile in grado di farmi sentire importante o forse semplicemente perché l’andare a Londra stava diventando reale, ma lascia che una lacrima mi scappasse giù dagli occhi prima che potessi fermarla.

< Io… io non posso comunque andare a Londra > dissi cercando di ingoiare il groppo che mi si era improvvisamente formato in gola e che mi impediva di parlare.

< Tu devi andarci, è la tua grande occasione di vivere un sogno > mormorò deciso ma al contempo dolce < Se è per i soldi non devi preoccuparti, è tutto pagato >

< Ma… ma > tentai di ribattere inutilmente. L’idea di poter camminare per le vie della mia amata città si era già impossessata di me colonizzando cervello, cuore, polmoni, stomaco e tutto ciò che di colonizzabile ci fosse nel mio corpo.

< Ho anche già parlato con tua madre > aggiunse il prof chiudendo il registro con un colpo secco e voltandosi per sorridermi raggiante.

< E’ d’accordo che tu parta, te lo sei meritata > detto questo, si alzò, mi batté una mano sulla spalla e lasciò l’aula in silenzio.

Io rimasi ancora qualche istante seduta in quella classe che mi aveva accompagnata per cinque lunghi anni della mia vita fino a quando la voce scocciata della bidella mi richiamò alla realtà invitandomi, molto gentilmente, a sloggiare.

Recuperato lo zaino dal pavimento mi alzai e lasciai anche io quell’aula.

Quel pomeriggio passò più rapido del solito, tra una signora un po’ sbadata e un tizio ubriaco che si mise ad urlare per l’intero supermercato, non ebbi molto per pensare a ciò che avrei detto a mamma una volta tornata a casa.

Per fortuna la primavera aveva allungato le giornate e con esse anche le ore di luce a disposizione, così tornare a casa non fu terribile come invece risultava in inverno, quando le strade erano buie e silenziose.

Prima di entrare mi fermai sul pianerottolo di casa per pensare a cosa avrei detto a mamma una volta dentro, a come avrei potuto ringraziarla per l’enorme possibilità che mi stava dando ma in mente non mi venne altro che un misero “ grazie mamma”.

Presi un bel respiro profondo e infilai la chiave di casa nella toppa, girai e lasciai che la serratura scattasse aprendo la porta. Da dentro proveniva il profumo di pollo fritto e carote bollite con aceto, segno che Jack non sarebbe tornato quella sera.

Quando c’era lui casa nostra si trasformava in un ristorante, ciò che mamma cucinava sembrava non bastare mai.

Lasciai che la porta sbattesse dietro di me in modo da far notare la mia presenza ed evitare un infarto a quella santa donna.

< Tesoro > disse lei venendomi in contro don il grembiule ancora legato in vita e le mano sporche di olio.

< Mamma io… > mormorai prima di scoppiare a piangere e rifugiarmi tra le sue confortanti braccia.

< Lo so, lo so > mormorò cercando di confortarmi sussurrandomi quanto orgogliosa fosse di me e di chi ero diventata.

< Io non vado! > singhiozzai una volta in grado di parlare < Non ti lascio da sola >

< Tu invece andrai > asserì lei seria staccandosi da me e fissando i suoi occhi scuri in quelli chiari miei, l’unica cosa che avessi ereditato da mio padre erano gli occhi. Verdi come un prato in primavera.

< Te lo sei meritata è giusto che sia così > poi tornò ad abbracciarmi.

Rimanemmo così una mezz’ora buona, il tempo che mamma si ricordasse di avere del pollo sul fuoco e andasse a spegnerlo, poi insieme apparecchiammo e mangiammo.

Da lì ad una settimana sarei partita per la più meravigliosa città del mondo. Sarei partita per Londra! 


Angolo autrice:
Benvenutiiiii!! Dunque questa è la mia prima fan-fiction sui One Direction, quindi vi chiedo di essere clementi. Sarà forse un po' diversa dalle altre, almeno per quanto riguarda la protagonista principale. La sua, come avrete capito, non è una vita facile e Londra è in un certo senso la sua Terra Promessa. La città dei sogni e delle speranze, ma anche dell'amore. Quell'amore che travolge e che trascina, che strega e rapisce. Insomma se ne vedranno delle belle.
Ogni commento, di ogni genere, è più che gradito... quindi sbizzarritevi!
Alla prossima, Sybeoil!








 

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Capitolo 2
*** Il vento sa d'addio e sa di nuovo ***


 

Capitolo 1

 

 

 

 

 

L’aeroporto di Caselle era il più grande, meraviglioso aeroporto avessi mai visto, forse perché era l’unico che avessi visto in tutta la mia vita o perché da lì cominciava la più grande avventura della mia vita, fatto sta che rimasi stupita dalla sua immensa bellezza.

Rischiai anche di scoppiare a piangere tanto era l’emozione di salire su quel volo che mi avrebbe portata lontana chilometri da casa mia e soprattutto dalle persone che amavo.

Quel giorno a salutarmi c’erano proprio tutti. Mia madre con un pacco di fazzoletti stretti in mano e le lacrime agli occhi, mio fratello con il suo solito sorriso sfacciato che a quanto pareva faceva impazzire le ragazze, la sua fidanzata Irene che consideravo quasi una sorella e in fine mia nonna Gaia. Lei era quella che mi sarebbe mancata di più dopo mamma.

Era sempre stata una presenza costante nella mia vita, una specie di vecchia quercia forte e resistente a qualsiasi tipo di tormenta che non si piega ma non si spezza mai. Lei era la mia nonnina dal viso pieno di rughe che mi divertivo ad accarezzare, era la donna che da piccola mi teneva sulle sue ginocchia raccontandomi storie divertenti su animaletti strani e dandomi i biscotti che mamma mi proibiva sempre di mangiare.

Lei era le braccia che mi accoglievano quando piangevo o litigavo con mio fratello, il profumo di casa dopo le vacanze al mare con mamma.

Lei era ciò che sarei diventata in futuro. Una donna amabile e così coraggiosa da non abbandonare mai i propri ideali.

< Fai la brava > mi sussurrò mia madre all’orecchio mentre mi stritolava tanto da togliermi il fiato. < Stai attenta e chiama sempre > La voce rotta dall’emozione le rendeva un po’ più difficoltoso il suo compito di madre premurosa e protettiva ma non le impedì comunque di mettermi in guardia dai mille pericoli nascosti a Londra.

< Divertiti anche per me > si limitò a dirmi Irene prima di stringermi in un abbraccio breve ma intenso.

Il saluto con mio fratello fu un po’ più… particolare. Non eravamo abituati ad abbracci o simili smancerie, ma saremmo morti uno per l’altra, di questo ne ero certa. Per cui, quando si avvicinò e senza dire nulla mi strinse a se sovrastandomi con il suo metro e ottantacinque abbondante, ne rimasi sorpresa ma anche contenta. Avevo bisogno di quel contatto intimo che per troppo tempo ci eravamo impegnati a negarci. Ne avevo bisogno per capire che fossimo ancora degli alleati come quando lo eravamo da bambini, per capire che ci fosse ancora quella scintilla di complicità che rendeva ogni gioco più divertente.

Rincuorata di aver ritrovato quella sensazione di sazietà, mi ancorai con le braccia alle sue spalle sorridendo come un’idiota per poi staccarmi e fissarlo negli occhi castani come quelli di mia madre.

< Sappi che sono geloso > disse abbozzando un sorriso < Quindi a meno che non abbia intenzioni serie, nessun ragazzo > aggiunse dandomi una spallata scherzosa che però rischiò di farmi rovinare a terra tanto era la sua forza.

La nonna la lascia per ultima perché sapevo sarebbe stata quella a soffrire di più “l’addio”. Per lei l’idea di vedere qualcuno della sua famiglia allontanarsi equivaleva a perdere un pezzo di cuore o uno di stomaco. Era come perdere una parte di se stessa.

Accorgendomi solo in quel momento di tutta la sua fragilità, l’abbracciai sicura che presto mi avrebbe donato una delle sue rare perle di saggezza.

< Vai, divertiti ma soprattutto innamorati > mi sussurrò all’orecchio in modo che potessi sentirla solo io < Alla tua bisognerebbe innamorarsi ogni giorno, ora e minuto della propria vita > aggiunse dandomi un bacio sulla guancia e sciogliendo l’abbraccio per concedermi nuovamente la libertà.

< Lo farò > le risposi guardandola dritta negli occhi azzurro cielo e promettendo a me stessa che lo avrei fatto; l’avrei fatto per lei, ma soprattutto, l’avrei fatto per me!

L’ora di partire era finalmente arrivata e con un respiro che voleva essere di incoraggiamento ma che sembrò solo d’ansia, afferrai il mio Eastpack da terra e mi diressi verso il check-in.

Consegnai il mio biglietto e il mio passaporto ad una ragazza bionda sorridente che mi augurò buon viaggio e mi incamminai. Una volta arrivata alla fine della passerella che conduceva alla pista di partenza dell’aereo mi voltai un’ultima volta a fissare chi stavo lasciando.

Dedicai loro un sorriso, mi stampai in mente i loro volti, i loro sorrisi e sì, anche le loro lacrime e poi proseguì per la mia strada.

Ormai era fatta, da lì a poche ore sarei atterrata all’aeroporto di Londra.

***

La voce bassa e calda del comandante emanata da degli altoparlanti sistemati ai lati dell’aereo ci avvisò che saremmo atterrati da lì a una ventina minuti e pregandoci di allacciare le cinture di sicurezza, cominciò le manovre di atterraggio.

Quella fu forse la parte più terribile e spaventosa di tutto il volo. L’altezza non mi aveva mai spaventata, al contrario di mio fratello, mi trovavo bene in posti elevati. Mi facevano sentire libera.

Ritrovarsi però a tremolare in modo convulso, chiusi in una specie di uovo di metallo e per di più sospesi a chissà quanti metri dal suolo, non è esattamente qualcosa di eccitante.

Dopo quelli che credo siano stati i venti minuti più terrificanti di tutta la mia vita, l’aereo tocca finalmente terra ed io posso tornare a respirare in modo normale e smetterla di ansimare come un cane dopo una corsa di cento chilometri.

Appena la trappola volante, come lo chiama mia madre, si arresta sulla pista di atterraggio mi slaccio la cintura di sicurezza e quasi mi precipito verso il portellone d’uscita travolgendo una signora che era davanti a me.

< Mi scusi > dico senza però degnarla di uno sguardo e continuando a camminare in direzione della porta di tutti i miei sogni.

Arrivata davanti al grande portellone in metallo bianco mi arresto. Ciò che desidero da quando ho imparato a parlare l’inglese è a pochi passi da me ed io sto per raggiungerlo. Sto per raggiungere Londra.

< Arrivederci > mi dice cordiale un’hostess prima di farmi un cenno in direzione del portellone che lentamente si apre lasciandomi intravedere il cielo plumbeo dell’Inghilterra.

Respiro quell’aria inglese a pieni polmoni colmandomene come se da ciò dipendesse la mia vita, il che poi è la verità scientifica, ma non fossilizziamoci.

< Mi scusi signorina > mi chiama una donna < Ma noi vorremmo scendere dall’aereo > aggiunge indicandomi i gradini sotto di me.

Sorridendo a modi scusa percorro gli ultimi gradini che mi separano dal suolo inglese e finalmente tocco terra. La terra che per anni ho sognato, desiderato e amato più di ogni altra cosa.

Sorridendo come un ebete mi dirigo verso l’interno dell’aeroporto dove potrò recuperare le mie ben tre valigie. Dentro all’aeroporto l’atmosfera è molto più calma di quel che pensavo, nessuna orda di turisti nervosi, nessun imprenditore esaurito e nessun viaggiatore improvvisato.

Ci siamo solamente io e un sacco di altra gente molto silenziosa e discreta, oltre che uno strano gruppo di uomini in giacca e cravatta assomiglianti a degli enormi gorilla che fissano insistentemente il check-out di un volo appena atterrato.

Cercando di non farmi distrarre da quel piccolo dettaglio fuori posto proseguo nella mia direzione.

Finalmente raggiungo il nastro metallico sul quale scorrono le valigie di tutti i passeggeri e quando scorgo la prima delle tre corro ad afferrarla prima che venga nuovamente risucchiata dal rullo.

Aspetto ancora un paio di minuti e poi entrambe le altre valigie sbucano da dietro le fascette di gomma.

Più svelta di prima mi affretto a tirarle giù dal rullo rischiando di capitombolare a terra con tutte loro messe insieme ma ne esco vittoriosa.

Ora non resta che trovare un modo per raggiungere quella specie di collegio nel quale dovrò risiedere per i prossimi tre mesi della mia vita.

Caricatami il borsone nero in spalla, afferrati i due trolley con entrambe le mani, mi dirigo verso l’uscita consapevole di dover usare un taxi per raggiungere Londra.

Con tutti quei borsoni non sarei mai riuscita a prendere un autobus.

Sto giusto per varcare le porte dell’uscita posteriore dell’aeroporto, dove a quanto pare fermano tutti i taxi, quando un’orda impazzita di ragazzine urlanti e piangenti mi travolge facendomi capitombolare a terra.

< Ehi! > proteso cercando di alzarmi senza però riscuotere molto successo.

< Ti serve una mano? > domanda una voce bassa e profonda da dietro le mie spalle.

Io mi volto e ciò che mi trovo davanti mi provoca una serie di risate davvero poco composte che però non riesco a frenare.

Davanti a me c’è un ragazzo con una massa di ricci che qualunque parrucchiere sarebbe felice di rasare, un paio di occhiali esageratamente grandi , una felpa di almeno due taglie in più e uno stupido capello di lana a forma di panda calcato sulla testa.

< Cosa c’è da ridere? > domanda con tono risentito porgendomi però una mano come sostegno.

< Niente > ribatto trattenendo a stento le risate. < Ridevo per la mia caduta > aggiungo notando i suoi angoli della bocca contorcersi in una smorfia poco convinta.

< Già > afferma lui ritirando la mano e infilandosela in tasca < A proposito, mi dispiace > dice accennando un sorriso.

< Fa niente > replico io sollevando le spalle < Ci sono abituata. Ora scusa ma devo proprio andare >

Afferro tutte le mie valigie e le carico sul primo taxi che trovo, poi mi volto e prima di salire in macchina saluto il primo ragazzo inglese che abbia mai conosciuto.

< E’ stato un piacere e grazie per l’aiuto > gli urlo da col finestrino abbassato.

< Figurati, il piacere è stato mio > replica lui sorridendo affabile < E a proposito, mi chiamo Harry > aggiunge prima che il mio taxi parta ed io scompaia per sempre alla sua vista.

 

 

Angolo autrice:
Sono tornataaaaa...Vi mancavo vero? xD
Bene, a parte i miei stupidi scherzi e le mie battute per nulla divertenti, direi di concentrarci sul prima capitolo di questa storia che piano piano prende forma nella mia contorta mente.
Dunque, la nostra protagonista di cui ancora ignoriamo il nome, è finalmente arrivata nella sua città dei sogni. Per ora l'unica cosa che ha potuto vedere sono state le pareti dell'aeroporto e un ragazzo dall'aspetto bizzarro, ma presto tutto ciò che ha sempre desiderato potrebbe avverarsi.
Cosa rappresenterà per lei quest'incontro così bizzarro? Che ruolo avrà quel ragazzo nella sua vita? E quanto inciderà sul suo futuro?
Se siete curiosi, e sono certo lo siate, restate con me!
Alla prossima, Sybeoil!



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Capitolo 3
*** Home Sweet Home ***


 

Capitolo 2

 

 

 

 

 

Il viaggio in taxi dall’aeroporto a Londra dura all’incirca un’ora nella quale ho tutto il tempo di chiamare mamma e dirle che sono finalmente arrivata, ammirare le meraviglie dell’Inghilterra e pensare alla penosa figura che devo aver fatto con quel ragazzo.

“Ma si” penso abbassando il finestrino per lasciar entrare l’aria primaverile dentro il taxi “Tanto non lo rivedrò mai più”.

Londra è molto più caotica di quello che pensassi, da quando siamo usciti dall’autostrada e abbiamo imboccato una specie di grande corso di cui non ricordo il nome, il traffico è aumentato a dismisura.

I marciapiedi brulicano di gente indaffarata e frenetica che, come tante piccole formiche, cammina da una parte all’altra della strada parlando, ridendo e pensando.

Io resto nel mio piccolo taxi ad osservarli tutti e sorridere come se quello che vedessi fosse la cosa più bella del Mondo.

Finalmente la coda si muove e siamo liberi di avanzare, una moto ci sorpassa a gran velocità ignorando un passante sulle strisce e tirando dritto per la propria strada.

Noi invece ci fermiamo ed, educatamente, lasciamo che il signore attraversi riprendendo poi la nostra corsa.

Il collegio nel quale risiederò per i prossimi tre mesi e situato in un quartiere poco lontano da Hyde Park, pieno di alberi e graziose villette a due piani.

Il tassista prosegue per quelli che immagino siano una quarantina di metri e poi si arresta davanti ad una casa più grande delle altre.

Costruita in mattoni scuri su tre piani anziché due come tutte le altre del quartiere, con l’edera verde e vitale che le si avviluppa tutto intorno alle pareti, sembra appena uscita da un qualche libro di fiabe.

Un piccolo prato tipicamente all’inglese circonda l’intera proprietà, contornandone il perimetro e donandole un’aria quasi aristocratica.

Credo che viverci mi piacerà!

Sotto al portico tutto in legno è sistemato un piccolo dondolo a due posti ed una di quelle vecchie sedie in vimini che fanno tanto anni cinquanta.

Sto ancora ammirando quella meraviglia di casa, nella quale vivrò per i prossimi tre mesi, ( lo avevo già detto?) quando il tassista richiama la mia attenzione facendomi notare che era l’ora scendessi dalla macchina.

Sorridendo imbarazzata per la pessima figura, scendo dalla macchina e, dopo aver pagato, mi dirigo con tutti e tre i miei bagagli verso il portico.

Con qualche piccola difficoltà, dovuta soprattutto al peso dei due trolley, riesco a salire i tre gradini in legno che mi separano dalla porta e suonare il campanello.

Ne sento l’eco provenire dall’interno della casa, poi dei passi avvicinarsi ed infine la serratura scattare.

La mia nuova vita sta ufficialmente per iniziare ed io non so se ne sono pronta.

***

< Ciao > mi saluta quella che deve essere la responsabile del collegio allungandomi la mano in segno di saluto < Piacere di conoscerti, il mio nome è Mary e sono la responsabile del dormitorio > spiega aiutandomi ad entrare e chiudendo la porta.

< Piacere > rispondo posando a terra il pesantissimo borsone < Io mi chiamo Isobel, ma gli amici mi chiamano semplicemente Bell > sorrido stringendo a mia volta mano.

< Bel nome > dice ampliando il sorriso già presente sulle sue labbra e facendomi strada lungo un piccolo corridoio e poi lungo la prima rampa di scale.

Salite anche le altre due, arriviamo in un corridoio un po’ più stretto e freddo di quelli che ho scorto prima ma comunque piacevole, evidentemente io starò all’ultimo piano.

Meglio, mi è sempre piaciuto l’isolamento e il silenzio.

Mary si blocca davanti ad una porta in legno chiaro ed io per poco rischio di finirle addosso. Ero così presa ad ammirare il quadro di una fanciulla dai capelli chiari e gli occhi così neri da sembrare pozzi di petrolio che non mi sono accorta di essere arrivata davanti a quella che sarà la mia camera.

< Scusa > dico piegandomi per raccogliere il trolley che, involontariamente, ho lasciato cadere.

< Figurati > risponde affabile Mary aprendomi la porta e lasciando che entri per prima.

La stanza è singola e non molto grande a dire la verità ma è comunque la stanza più bella che abbia mai visto.

Le pareti sono dipinte con un tenue color pesca inframmezzato di tanto in tanto da disegni di rose di un grado più scure; a ridosso della parete est è sistemato un letto ad una piazza e mezzo con la montatura in ferro abbattuto sul quale sono sistemate una quantità industriale di coperte di lana; dall’altra parte della stanza, di fronte al letto, è stato sistemato un grosso armadio di legno noce scuro dentro cui sono sicura riuscirò a farci stare tutti i miei vestiti. Lì accanto c’è una piccola scarpiera con tre cassetti ed una scrivania con tanto di sedia.

Vicino al letto è stato invece sistemato uno specchio ad altezza uomo di quelli che si vedono sempre all’IKEA e che ho sempre desiderato per casa.

Alla fine noto anche un’ultima cosa: sulla parete a cui è stato addossato il letto c’è una porta.

Che si tratti di una stanza comunicante con un’altra?

Evidentemente Mary deve accorgersi del mio sguardo stupito perché si affretta a spiegarmi il motivo dell’esistenza di quella porta.

< Purtroppo questa era l’unica camera rimasta > comincia entrando in camera e dirigendosi proprio verso quella porta < Non è comunicante con nessun’altra però ha un suo bagno personale > sorride.

Avrò un bagno tutto mio? Dice davvero?

< Sul serio? > domando a bocca aperta. < Sì > asserisce lei sorridendo a modi scusa.

< E’ fantastico > dico io fiondandomi all’interno della piccola stanza per poterlo vedere con i miei occhi.

< Spero non ti dispiaccia > aggiunge poi entrando anche lei nel piccolo bagno.

< Dispiacermi? > domando scettica < E come potrebbe? E’ semplicemente meraviglioso. Grazie > dico correndo ad abbracciarla per accorgermi solo un momento dopo della stupidaggine appena fatta.

Da dove diavolo veniva fuori tutta quella faccia tosta? Che l’aria di Londra mi avesse già dato alla testa? Possibile…

< Bene > dice lei sorridendo e staccandosi da me < Ti lascio sistemare le tue cose e poi ti aspetto giù. Ci sarà una piccola riunione poi avrete la giornata libera >

Io la guardo riconoscente e dopo averla guardata andare via mi lascio cadere sul letto inspirando a pieni polmoni il profumo della felicità.

 

***

< Ehi Hazza > mi chiama Louis avvicinandosi rapido < Che ci fai ancora qui? > domanda stupito che fossi ancora lì fuori invece che in macchina insieme agli altri.

< Niente > rispondo riscuotendomi da quella specie di torpore nel quale ero caduto < Ho aiutato una ragazza > spiego poi.

< Il soli Harry, eh? > fa lui dandomi una pacca fraterna sulla spalla destra.

< Ma non dire sciocchezze > lo spingo via ridendo < La stavo aiutando perché le nostre fan l’hanno buttata a terra senza ritegno > spiego sentendomi leggermente infastidito.

< Certo, certo > conviene lui con uno sguardo che dice di saperla lunga.

< Andiamo va che è meglio > dico poi allontanandomi in direzione della macchina nera che ci avrebbe riportati finalmente a casa.

Dio solo sa quanto quell’appartamento mi fosse mancato in quei mesi di tourné.

< Finalmente! > esclama Niall quando mi vede aprire la portiera della macchina < Sto morendo di fame > aggiunge toccandosi la pancia.

< Possibile che tu abbia sempre fame? > domanda Liam esasperato ma divertito.

< Non è colpa mia se il mio corpo ha bisogno di cibo > ribatte il biondo continuando a massaggiarsi la pancia rumorosa.

< Comunque perché ci hai messo tanto? > dice Zayn rivolgendosi direttamente a me e lasciando perdere un momento Twitter.

< Ho aiutato una ragazza travolta dalle fan > spiego per la seconda volta nell’arco di cinque minuti.

< Tu che aiuti una ragazza senza altri scopi? > domanda seriamente scioccato il biondo.

< Possibile che per voi debba sempre avere altri scopi? > ribatto io ridendo divertito perché so che in fondo è un po’ vero quello che dicono.

Tra tutti sono quello più disinibito con le ragazze, il ragazzaccio del gruppo che non fa altro che effettuare una strage di cuori dopo l’altra.

Quasi ogni sera ho nel letto una ragazza diversa, più piccola, più grande, della mia età, poco importa. L’importante è che sia carina e che sappia scopare bene.

Ehi, dopotutto io sono Harry Styles, il rubacuori dei One Direction.

< Certo che devi avere altri scopi > afferma Liam con ovvietà < Altrimenti non ti chiameresti Harry Styles >

< Touche > ammetto passandomi la lingua sulle labbra screpolate.

Ora che ci penso è troppo tempo che le mie labbra non incontrano quelle di qualcun altro. Bisogna subito porre rimedio.

< Stasera che si fa? > domanda Zayn quasi leggendomi nel pensiero.

< Io sono da Danielle > dice subito Liam sorridendo sornione.

Bello lui, ha la ragazza e ci abbandona. Bell’amico!

< E dai!! > lo prega il biondo abbracciandolo dal sedile di dietro < Non ci abbandonare > fa gli occhi da cucciolo smarrito che funzionano quasi sempre su quasi tutti, ma stavolta lo sguardo di Liam è ben determinato.

Non darà buca a Danielle per venire a fare il cretino con noi.

< Mi dispiace ma stasera starò con Danielle > dice infatti staccandosi Niall dalle spalle e incrociando le braccia come a voler dire che la conversazione finiva lì.

< Tu Louis? > domando voltandomi verso il mio migliore amico.

< Anche io stasera passo > dice lui stringendosi nelle spalle < Scusa amico ma non vedo Eleonor da un sacco di tempo > aggiunge dispiaciuto.

< Tranquillo > lo rassicuro battendogli la mano sulla spalla < Andremo noi tre a divertirci > esclamo rivolto ai due compagni di solitudine.

I due suddetti “compagni” asseriscono con un grugnito per tornare poi ognuno alle proprie occupazioni.

Io invece torno a pensare a quegli occhi così verdi da ricordarmi un prato in primavera.

***

Finalmente la macchina si ferma e siamo liberi di scendere. Non ce la facevo più a star seduto in quello spazio angusto. Ho tutte le gambe formicolanti, mi ci vorrà una bella passeggiata per sgranchirle e anche per riprendermi dal volo e tutto il resto.

Prima però devo salire a casa e sistemare le valige.

Aiuto i ragazzi a scaricare e poi, seguiti dalle nostre ormai onnipresenti guardie del corpo, salgo fino all’appartamento che ho preso in affitto con gli altri ormai da due anni.

< Casa dolce casa > esclama Niall fiondandosi sul suo tanto amato divano in pelle bianco.

< Niall alza il culo devi sistemarti le valigie > lo riprende Liam da bravo papà qual è.

< Arrivo > sbuffa il biondo alzandosi e recuperando la sua roba per portarsela poi in camera sua.

Gli altri tre, compreso il sottoscritto, lo imitano e afferrato i nostri trolley e i nostri borsoni, ci dirigiamo ognuno nelle proprie stanze.

La mia è l’ultima in fondo al corridoio del piano rialzato, è la più luminosa di tutta la camera e anche la più silenziosa.

Non voglio che gli altri mi sentano quando sono in compagnia, non so se mi spiego!

< Quanto mi sei mancato > dico gettandomi a peso morto sul mio tanto amato letto.

< Stanco amico? > domanda Louis entrando in camera e venendosi a sdraiare accanto a me sul letto.

< Tu non hai idea quanto > rispondo chiudendo gli occhi e beandomi di quella sensazione di calma e silenzio.

< Resti a casa oggi? > chiede voltandosi verso di me e fissandomi con quei suoi occhi verde mare.

< Credo che uscirò a farmi un giro > dico convinto che sia la cosa giusta da fare < Londra mi è mancata > aggiungo sorridendo.

< Già, anche a me > asserisce lui < Ma soprattutto mi è mancata Eleonor, oggi pomeriggio passerò da lei >

So benissimo quanto quella ragazza le sia mancata, non faceva che parlarmene ogni cinque secondi.

Loui sembrerà anche il più divertente, sorridente e solare del gruppo, quello che mette gli amici prima di tutto, ma per quella ragazza sono convinto che manderebbe al diavolo tutti. E con tutti intendo proprio tutti!

< Fai il bravo > lo stuzzico divertito. < Tu piuttosto > scatta tirandosi a sedere sul letto e alzandosi < Vedi di non fare altre stragi >

Detto questo esce dalla stanza lasciandomi solo con il mio letto e i miei pensieri.

In realtà ho deciso di uscire nella speranza di rincontrare quel paio d’occhi che non fa altro che seguirmi dall’aeroporto.

Ho deciso di uscire nella speranza di rivederla…

 

 

 

Angolo autrice:
Bentornatiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii...Come vedete ho aggiornato prima che ho potuto!! Ringrazio chi di voi si è scomodato a leggere questa storia ma soprattutto chi ha commentato il primo capitolo. Spero che le critiche aumentino... non si può scrivere senza pareri...
Tornando al nuovo capitolo devo dire che se non mi fossi fermata le mani avrebbero continuato a digitare sulla tastiera parole infinite. Insomma avrei voluto che questo capitolo non avesse mai fine ma, ahimé, tutte le cose hanno un termine.
In ogni caso le cose cominciano a farsi interessanti; Isobel è arrivata nel collegio dove trascorrerà i prossimi tre mesi della sua vita e i ragazzi sono finalmente tornati a casa.
Riuscirà Harry a rincontrare quella ragazza dagli occhi tanto simili ai suoi da essergli rimasti impressi nella memoria?
Se siete curiosi restate con me...
Alla prossima, Sybeoil!


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Capitolo 4
*** You, You, You again! ***


 

Capitolo 3

 

 

 

 

 

Finisco di sistemare le mie cose dentro l’armadio e rendere la stanza nella quale dormirò per i prossimi tre mesi un po’ più mia e poi scendo di sotto.

Seguo il rumore di voci e risate che proviene da una stanza vicina alla porta d’entrata e finalmente trovo ciò che stavo cercando.

Seduti su divani, sedie e sgabelli ci sono una quindicina di ragazzi e ragazze intenti a ridere e scherzare tra di loro.

Improvvisamente mi sento un pesce fuori d’acqua, non sono mai stata brava a relazionarmi con gli altri e nella maggior parte dei casi finisco per allontanare tutti.

L’unica che abbia avuto il coraggio e la pazienza di starmi accanto fin da quando avevo la misera età di quattro anni è quella santa donna di Amalia, la mia migliore amica.

Credo sia la persona più bella e dolce di tutto il globo terrestre, il problema è che non lo sa. Crede di essere brutta, insopportabile e tremendamente egoista quando invece non sa di avere mezza scuola che le sbava dietro e l’altra metà che l’ammira per la sua gentilezza.

A proposito di Amalia, le avevo promesso che l’avrei chiamata e ancora non l’ho fatto.

Faccio per dileguarmi dalla stanza ma la voce di Mary mi blocca sulla porta così, sorridendo falsamente, mi posiziono lì accanto drizzando le orecchie per non perdere nemmeno una parola del discorso di benvenuto.

< Salve a tutti > comincia dedicandoci un sorriso ampio e sincero < Mi chiamo Mary e sono la responsabile del collegio che vi ospiterà per tre mesi. Come potete vedere ci sono ragazzi provenienti da ogni paese del Mondo, Cina, Germania, America, Russia, Italia quindi vi pregherei di parlare tra di voi esclusivamente in inglese, in modo che tutti possiamo capirci > ci regala un altro sorriso prende fiato e poi riprende < Ora vi elencherò alcune regole del collegio che vi pregherei di rispettare.

Dunque, è vietato fare baccano nelle ore del primo pomeriggio, della mattina o della sera tardi, il coprifuoco è fissato alle undici e non oltre. Chi di voi tornerà anche solo un minuto dopo l’orario stabilito dormirà fuori. Sono stata chiara? > domanda indossando uno sguardo serio che proprio non le si addice ma che sembra funzionare.

Una serie di teste comincia a fare su è giù mentre per la stanza cominciano a sollevarsi dei si.

< Bene > torna a sorridere < Avrete il sabato e la domenica liberi per uscire, divertirvi e studiare, ma sappiate che durante gli altri giorni della settimana si suderà sui libri. Per il resto posso solo dire di divertirvi > conclude sorridendo materna e noi, come tanti piccoli figlioletti, applaudiamo sinceri.

Finalmente posso uscire a chiamare Amalia, penso mentre mi dirigo verso la porta prima che un armadio biondo con gli occhi azzurri mi sbarri la strada facendomi inciampare.

< Scusa > dice con un forte accento russo dandomi una mano a risollevarmi da terra. Ormai ho perso il conto di quante volte sono finita con il sedere del pavimento.

< Figurati > rispondo io con il mio inglese all’italiana come ama definirlo Amalia.

< Ti sei fatta male? > chiede squadrandomi dalla testa ai piedi per assicurarsi di non avermi procurato danni permanenti.

< Tranquillo > lo rassicuro spazzandomi i jeans chiari < Non mi sono fatta niente > aggiungo guardandolo con un sorriso.

< Piacere, sono Victor > dice porgendomi la mano affinché gliela stringa.

Un po’ riluttante per la paura che me la spezzi infilo la mia piccola manina in quella gigante di lui facendo una lieve pressione.

Per fortuna quando la tiro indietro è ancora tutta intera. Pericolo scampato!

< Sei russo? > domando ostentando una faccia tosta che solitamente non mi appartiene.

< Si > risponde allargandosi in un bellissimo sorriso < E tu? > domanda non riuscendo ad identificare il mio accento.

< Italiana > rispondo ridendo a mia volta e incamminandomi verso le scale. Amalia la chiamerò più tardi.

< Mi piacciono le italiane > dice lui continuando a sorridere < Sono divertenti > aggiunge forse per non sembrare un maniaco.

< Anche a me piacciono > scherzo riuscendolo a farlo ridere.

< Vedi che non mi sbaglio? > fa lui fermandosi nel corridoio del primo piano < Sei divertente e sei italiana >

Io sorrido sinceramente divertita, questo ragazzo mi piace, potremmo anche diventare amici.

< Scusa ma devo andare a cambiarmi, dopo vorrei uscire a visitare un pochino Londra. Sai è il mio sogno da quando avevo dieci anni > abbozzo un sorriso e mi dileguo prima che quegli occhi troppo azzurri mi costringano a restare.

< Ci vediamo stasera a cena? > mi urla affacciandosi sulle scale.

< Certo > grido di rimando salendo l’ultima rampa di scale e fiondandomi in camera.

Fisso la sveglia sistemata sul comodino accanto al letto e strabuzzo gli occhi leggendo che sono già le dodici e mezzo. Solo in quel momento mi ricordo che non tocco cibo da quella mattina e che sto morendo di fame. Il mio stomaco reclama cibo e anche subito.

Apro l’armadio, ne estraggo un asciugamano da viso e mi dirigo nel mio piccolo bagno personale nel quale prima ho sistemato tutti i miei effetti personali.

Lascio che l’acqua scorra un po’ prima di riempirmi le mani e lavarmi il viso. Passo poi a lavarmi i denti, le ascelle e il collo. Voglio essere pulita per la mia prima uscita londinese.

Mi guardo allo specchio e rimango indecisa se truccarmi o no. Alla fine opto per un trucco leggero, giusto un tocco d’ombretto rosa pallido, della matita nera e un po’ di mascara. Niente di eccessivo.

Pulita e profumata come se fossi appena uscita da un salone di bellezza (oddio proprio salone di bellezza non direi però) torno in camera e apro l’armadio per decidere cosa mettermi.

Dopo aver osservato le mie maglie e miei pantaloni per dieci minuti decido di indossare un paio di jeans chiari strappati sul ginocchio e una maglietta di cotone bianca con le maniche a tre quarti. Dalla scarpiera afferro il mio paio preferito di mocassini grigio chiaro che abbino alla borsa ed infine afferro un poncio dello stesso colore delle scarpe. Potrebbe far freddo.

Prima di lasciare la stanza controllo di avere tutto in borsa oltre che cercare la chiave all’interno dei vari cassetti.

La trovo in fondo al cassetto che ho riempito con la mia biancheria intima ed esco.

Chiudo dando semplicemente un colpo, mi fido di questi ragazzi, anche se non li conosco.

Arrivo di sotto quasi volando e per poco non vado a sbattere contro la montagna Victor.

< Scusa > dico questa volta io.

< Tranquilla > dice lui ridendo divertito per quell’inversione di ruoli.

< Avverti Mary che non resti a pranzo > grida prima di scomparire dietro la porta del salone in cui c’è stata la riunione poco prima.

Ringraziandolo mi dirigo verso il bancone di legno posto all’entrata e comunico a Mary che non resto per il pranzo ma che rientrerò per la cena.

Lei mi ringrazia e mi augura buon divertimento. Finalmente sono libera di fare quello che voglio nella città dei miei sogni.

***

L’aria di Londra è sempre magnifica. C’è quel misto di storia e futuro che rende ogni cosa più bella e non lo dico solo perché ci sono nato e le devo la mia fama e tutto il resto, ma semplicemente perché è vero.

Londra è la più bella città del mondo intero.

Per essere solo Aprile c’è un bel sole e il vento freddo che di solito soffia da queste parti sembra essersi calmato.

Un gruppo di ragazze mi passa accanto e per un momento trattengo il respiro in attesa che mi riconoscano e mi saltino addosso.

A quanto pare però il mio travestimento deve aver funzionato perché non mi degnano di uno sguardo e tirano dritto per la loro strada.

Però, non pensavo bastassero un paio di occhiali neri, uno stupido cappello a cuffia bianco e un felpone con tanto di cappuccia per ingannare le fan.

Pigramente mi dirigo verso il centro della città, il cuore pulsante della moderna Londra, il centro di tutto… si insomma avete capito!

Mentre aspetto che il semaforo diventi verde sento lo stomaco protestare per l’assenza di cibo.

Decido perciò di fermarmi in un bar e mangiare qualcosa, i ragazzi non si arrabbieranno se per un giorno gli do buca, in fondo Louis sarà ancora da Eleonor, Liam da Danielle e Zayn e Niall possono benissimo cavarsela senza di me.

Senza nemmeno più guardare il semaforo, se è rosso o verde, seguo il flusso infinito di persone che attraversa e mi arresto all’angolo.

Faccio una panoramica del quartiere in cui mi trovo e dopo aver individuato un bar che fa anche da tavola calda mi ci fiondo senza esitare oltre.

Scelgo il tavolo più appartato del locale, non voglio che la gente mi riconosca e mi venga a chiedere autografi o foto, questa è una giornata dedicata interamente a me stesso.

Dopo pochi minuti si avvicina una ragazza dai capelli rosso fuoco e gli occhi tanto chiari da sembrare quasi bianchi. Nella mano sinistra stringe un blocchetto per le ordinazioni mentre nell’altra una Bic blu.

Educatamente mi chiede cosa desideri mangiare ed io, dopo averle risposto, torno ad immergermi nei pensieri.

In particolare torno ad immergermi in un pensiero che mi tormento dal giorno prima.

Ancora una volta, forse la cinquantesima in un giorno, torno a pensare a quella ragazza incontrata all’aeroporto e ai suoi occhi.

Erano così grandi e belli che, se non mi conoscessi, potrei dire di essermene innamorato. Io però sono Harry Styles, ed Harry Styles, star dei One Direction non si innamora mai.

La cosa però che mi lascia perplesso è il perché non mi abbia aggredito, baciato o altro. Di solito le fan quando mi vedono si fanno prendere da una crisi isterica che le porta ad urlare come pazze e tante volte anche a strapparsi i capelli.

Non che la cosa mi dia fastidio, anzi, adoro quando fanno così, però potrebbero essere un po’ più delicate ogni tanto.

Lei invece non ha dato il minimo cenno di avermi riconosciuto. Non un sorriso, non un urletto, nemmeno un attimo di intorpidimento.

Lei si è semplicemente lasciata aiutare da uno sconosciuto all’aeroporto ringraziandolo e andandosene per la propria strada.

Che sia questo il motivo per cui la penso tanto spesso? Probabile, mi rispondo da solo non accorgendomi della ragazza che mi porta il mio piatto di pasta.

< Grazie > dico abbozzando un sorriso riconoscente. Il mio stomaco le è debitore!

Spazzolo tutto ciò che ho ordinato in poco meno di dieci minuti, avevo davvero fame.

Sto diventando come Niall, penso terrorizzato mentre mi dirigo alla cassa per pagare il conto.

< Sono dieci sterline > dice l’uomo dietro il bancone porgendomi lo scontrino.

Tenendo la testa bassa per paura che qualcuno mi riconosca pago il conto e poi esco dal locale.

Guardo l’orologio che ho al polso e che mi ha regalato mio padre due anni addietro e spalanco gli occhi incredulo. Sono già le tre e mezza di pomeriggio.

Quella sera io e i ragazzi avevamo un’intervista per una famosa radio londinese. L’incontro era fissato per le diciotto, quindi conviene che mi sbrighi…

Inizio a camminare svelto, facendo zig-zag tra la folla ed evitando a bruciapelo un ciclista che poi mi insulta allegramente. Lo ignoro e tiro dritto, non ho tempo da perdere.

Sto per svoltare l’angolo di una via che mi consente di abbreviare il tragitto quando vengo letteralmente travolto da una ragazza bionda e dal suo caffè di Starbucks.

Mentre lei caccia un urlo in grado di far tremare il globo terrestre io mi limito a spalancare la bocca. Questa proprio non ci voleva.

Faccio per andarmene ma poi lo sguardo mi cade sulla ragazza seduta a terra. È lei, è la ragazza dell’aeroporto.

Felice come un bambino il giorno di Natale l’aiuto ad alzarsi e poi mi levo gli occhiali. So che facendo così rischio un assalto però devo vederla in viso. Voglio godermi quegli straordinari occhi verde giada che tanta, troppo spazio hanno occupato nei miei pensieri.

< Possibile che noi due dobbiamo sempre incontrarci così? > domando abbozzando un sorriso che lei ricambia senza però capire.

< Sono Harry, il ragazzo dell’aeroporto > spiego aiutandola a sollevarsi.

Lei strabuzza gli occhi, e se possibile diventa ancora più bella, ricordandosi finalmente chi sono.

< Oddio mi dispiace moltissimo > dice subito dopo cercando di pulirmi la maglia con un fazzoletto.

< Fa niente > replico io trattenendo una risata.

< No, no, devo assolutamente pulirti la maglia > insiste lei entrando in iperventilazione < Vieni andiamo in lavanderia pago io > aggiunge cominciando a trascinarmi dalla parte opposta.

< No stai tranquilla > dico ancora io arrestandomi e obbligando anche lei a fermarsi < Non fa niente > dico ridendo < Sul serio > aggiungo poi notando il suo sguardo non molto convinto.

< Ok > si arrende.

< L’altra volta io ti ho detto il mio nome, ora tocca a te > scherzo tirandole un piccolo pugnetto sulla spalla esile.

< Isobel > dice dopo aver preso un lungo respiro < Mi chiamo Isobel >

 

 

 

 

 

 

Angolo autrice:

Bentornatiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii...Balla la conga pechè è riuscita a finire questo terzo capitolo....auuauauauau
Ok torniamo seri, dunque piano piano che la storia va avanti, le cose cominciano a farsi più dense e complicate. Il nostro Harry, tornato in patri dopo un stenuante tourné, incontra questa straniera dagli occhi di giada e sembra che... Beh di sicuro non la dimentica facilmente!
Stessa cosa non può dirsi invece per Isobel, che di Harry nemmeno smbra ricordarsi, sarà vero? Sarà per finta? Non si sa, ma di sicuro si che presto le cose per i due diverranno moooolto più complicate.
Complice un bambino in pannolino con la fissa dell'arco, i due si troveranno ad affrontare qualcosa che mai avevano sperimentato prima.
Alla prossima, Sybeoil!!



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Capitolo 5
*** Hyde Park, alle nove... ***


Capitolo 4






 

 

 

 

< Isobel > ripete il riccio pronunciando il mio nome come se si trattasse di qualcosa di estremamente raro e prezioso < Mi piace > esclama poi sorridendomi. 

Io sorrido a mia volta e poi cado in un silenzio imbarazzato. Stare vicino a quel ragazzo dai capelli ricci e gli occhi così simili ai miei, mi metteva sempre un po’ di agitazione addosso. 

Non so dire con precisione per quale motivo, forse era quel suo sorriso così perfetto e malandrino a mandarmi fuori strada o forse era semplicemente quel suo modo sicuro e convinto di atteggiarsi. 

< Grazie > balbetto qualche istante dopo.

< Di dove sei? > mi chiede passandosi un fazzolettino sulla macchia quasi asciutta di caffè.

< Sono italiana > rispondo alzando appena lo sguardo < Sono qui con una borsa di studio. Una specie di soggiorno studio > aggiungo azzardando un sorriso.

< E quanto resterai? > domanda con maggiore interesse.

< Circa tre mesi > dico io corrugando le sopraciglia < Perché? > domando poi.

< Così > si limita a dire prendendomi poi sotto braccio e portandomi dalla parte opposta di dove stavo andando prima.

< Dove andiamo? > chiedo lanciando uno sguardo quasi disperato alle mie spalle.

< Hai detto che sei italiana giusto? > chiede lui sorridendo beffardo per la paura che doveva leggermisi negli occhi.

< Sì > affermo con un filo di voce.

< Allora ti porterò a scoprire le meraviglie della città più bella di sempre, ti va? > mi domanda arrestandosi ad un semaforo rosso.

< Perché no > esclamo sorridendo. 

Dopotutto quando mai mi ricapiterà l’occasione di avere come guida turistica un ragazzo inglese così bello? 

Mai, sciocca, non ti ricapiterà mai più.

Esatto, non mi ricapiterà mai più, quindi decido di mettere da parte tutte le ansie e le paure e di godermi quel primo giorno su suolo inglese.

Ero convinta che con “ti porto a scoprire le meraviglie della città più bella al Mondo” Harry intendesse il London Eye, il Parlamento e roba del genere, ciò che invece intendeva lui era completamente deserto.

Niente via affollate da turisti isterici e schiamazzanti, niente file estenuanti per poter visitare palazzi e musei e nemmeno silenzio forzati per entrare nelle cattedrali, la parte più bella della città sta nei suoi sobborghi. Nella piccole viuzze tipiche che ricordano tanto quei film di una volta, la bellezza di Londra sta nei bar che nessuno frequenta ma che rimangono aperti perché troppo vecchi per chiudere.

La vera Londra, quella pulsante di vita, di storia e di meraviglia, si nasconde sotto la patina dorata della pubblicità.

Ed è qui che Harry, il ragazza riccio che ho incontrato all’aeroporto e a cui non posso far altro che sorridere, mi porta.

Precisamente mi conduce lungo uno dei quartieri più famosi di tutta la città, un quartiere che tutti, chi per un motivo chi per l’altro, conoscono. Mi porta a Notting Hill, ma non è il Notting Hill che si vede nel film con Julia Roberts e Hugh Grant, questo è un Notting Hill diverso.

È un Notting Hill fatto di persone semplici e cordiali, di sorrisi, bambini che giocano e vecchi negozi di libri.

È un quartiere in cui il silenzio regna incontrastato, il traffico è rado e l’aria di Londra sa di libertà.

Harry mi ha portato nella parte della città che più sa di vero, nella parte di Londra che più mi piace ma che mai sarei riuscita a trovare da sola.

In fondo alla piccola via nella quale ci siamo immessi c’è un bar dall’insegna mezza distrutta e l’aria piuttosto mal messa, ma i miei piedi supplicano pietà e la mia gola implora per un po’ d’acqua.

< Ti va di fermarci? > mi domanda sorridendomi soddisfatto.

< Si > rispondo di getto avviandovi verso il piccolo locale < Ti prego > aggiungo varcando la soglia e rimanendo stupida dall’interno.

Dentro il bar non è affatto come ce lo si aspetta. Dell’aspetto decadente e rovinato che si intravede dal di fuori non ha nulla.

I muri sono dipinti di un tenue verdino pallido molto rilassante per gli occhi e che tra l’altro si sposa alla perfezione con il legno scuro del bancone dietro cui è appoggiato un signore sulla sessantina.

Sparsi per l’ampia sala ci sono circa una quindicina di tavoli dello stesso tipo di legno del bancone con in aggiunta delle sedie in vimini.

La luce soffusa rende l’atmosfera molto romantica e appartata, forse anche troppo.

Nell’angolino più buio e lontano del locale è sistemato un vecchio juke box molto simile a quello del musical Grease. 

Entusiasmata all’idea di poter scegliere la canzone da ascoltare mi ci fiondo, estraggo una monetina dalla tasca dei jeans e la inserisco nell’apposita apertura scegliendo poi tra le canzoni disponibili.

Ne individuo una dei Beatles e senza indugi la seleziono lasciando che le note di Hwy Jude si spandano per il locale.

< Ottima scelta > sussurra Harry a pochi centimetri dal mio orecchio.

< Adoro questa canzone > dico io allontanandomi a disagio.

Non mi sono mai trovata in una situazione del genere. Non intendo quella di stare con un ragazzo, ma quella di stare con un ragazzo sconosciuto di cui a mala pena di conosce il nome, quello sì.

< Che ne dici se ci prendiamo qualcosa da bere? > domanda dopo essersi allontanato dal juke box.

Lo guardo negli occhi, sorrido e vado a sedermi al bancone. Il tavolo mi sembra troppo intimo.

Il riccio rimane per un attimo interdetto poi scuote la testa e mi raggiunge accomodandosi alla mia destra.

< Cosa vi porto? > mi domanda l’uomo sorridendo.

< Per me una limonata > dico rispondendo al sorriso.

< A me una coca > dice invece Harry voltandosi nella mia direzione per iniziare un discorso.

< E così sei qui per un soggiorno studio > comincia giochicchiando con una ciocca di capelli.

< Già > rispondo in imbarazzo < Ho sempre desiderato venire a Londra, ma fino ad ora non ne avevo mai avuto la possibilità > 

Parlo senza rendermi conto di quel che dico. La situazione è troppo strana per i miei standard, io stessa sono troppo strana.

Di solito non vado in giro con ragazzi sconosciuti di cui conosco solo il nome, soprattutto se questi ragazzi sono troppo belli per essere veri.

< E quanti anni hai? > domanda spostando la mano dai capelli alla coscia.

< Diciotto > rispondo un po’ meno intimidita < Te invece? > chiedo sperando che così facendo la conversazione non muoia ancora prima di nascere.

< Pure > dice strizzandomi l’occhio.

In quel preciso istante torna il signore di prima con in mano un bicchiere di limonata e un di coca. Ce li poggia sotto al naso e poi fa per andarsene, ma prima mi guarda mi sorride e poi mi dice che ho fatto un’ottima scelta.

< Grazie > dico ridacchiando divertita. Quell’uomo mi piace, è simpatico.

< Parlami un po’ dell’Italia > dice Harry all’improvviso.

< Beh, che c’è da dire? > domando io un po’ perplessa. Insomma, non è che sia tutta quella grande cosa.

< Beh per esempio come è viverci, da quale città vieni tu, insomma cose così > risponde ridendo e dando un sorso alla sua coca.

< Beh, se devo essere sincera, viverci è un po’ uno schifo, si fa fatica a trovare lavoro e il più delle volte se lo si trova si è sottopagati. Io per fortuna vivo in una delle poche città che ancora si salvano. Torino è bella, ha un sacco di monumenti, antichi palazzi e strade importanti. È stata la prima capitale d’Italia anche se adesso è un po’ dimenticata, ma mi pace, è ricca di storia > concludo il mio discorso dando un lungo sorso alla limonata e lanciando uno sguardo furtivo al riccio che sorride soddisfatto.

< Mi piace > afferma dopo qualche istante di riflessione < Dovrei venire a visitarla qualche volta > aggiunge come se stesse parlando di andare a comparare il pane nella panetteria sotto casa.

< Ti piacerebbe > dico tornando a concentrarmi sul fondo del mio bicchiere mezzo vuoto.

< Questo è l’unico paese che hai visitato in vita tua? > domanda dopo qualche minuto di silenzio.

< Sì > rispondo vergognandomene un po’. Tutti i miei amici sono stati in un sacco di paesi, hanno visitato l’Inghilterra, la Francia, la Germania, gli Stati Uniti, il Brasile e via dicendo. Io mi sono fermata a Firenze.

< Tu invece? > domando nella speranza che anche lui sia come me e non si sia mai spinto fuori dai confini dell’Inghilterra.

< Oh, beh > fa lui rizzandosi sullo sgabello imbottito < Io ho visitato parecchi paesi, per esempio sono stato in Italia > dice ammiccando nella mia direzione < Negli Stati Uniti, in Francia, Germania, Asia, Canada >

< Ok, ok > lo blocco alzando una mano per farlo tacere < Ho capito > aggiungo con un sorriso.

Perché tutti devono essere sempre più fortunati di me?

 

 

***

Possibile che anche la sua voce fosse bella? Non bastavano gli occhi, le labbra, le mani e tutto il resto del corpo, anche la voce doveva essere così dannatamente bella.

Santissimo Dio Harry, cosa ti sta succedendo? Da quando pensi certe cose su una ragazza mai vista prima? Anzi, da quando pensi certe cose su una ragazza qualsiasi?

Tu sei Harry Styles, il figo dei One Direction, il seduttore, possibile che ti sciolga di fronte a paio di begli occhi?

< Harry?? > chiama lei senza ricevere risposta < Harry, ci sei? > chiede ancora sventolandomi una mano davanti agli occhi.

Distratto da quel movimento torno a concentrarmi sulla realtà lasciando perdere la discussione con il me stupido e romantico.

< Sì? > chiedo trasognato.

< Credo sia meglio andare > dice alzandosi e infilando una mano in tasca da cui estrae degli spiccioli < Si è fatto tardi e io devo tornare in collegio per la cena > aggiunge come per scusarsi.

< Oh, certo certo > dico io riuscendo finalmente a capire cosa sta succedendo. Per sicurezza guardo l’orologio appeso di fronte al bancone e con stupore, forse disperazione è il termine più giusto, mi accorgo che sono già le cinque e mezza.

Tra poco più di mezz’ora ho un’intervista e devo ancora andare a casa a cambiarmi. Porca puttana!

Prendo il portafoglio dalla tasca di dietro dei pantaloni e pago restituendo a Isobel il suo denaro.

< Grazie > mormora accettandoli e infilandosi nuovamente in tasca.

< Bene > dico infilando le mani in tasca e abbassandomi nuovamente gli occhiali in modo da coprirmi mezza faccia < Andiamo >

Le faccio strada fino alla porta e gliela tengo aperta lasciando che lei passi per prima.

Una volta all’aria aperta tiro un grosso sospiro e poi mi avvio verso Hyde Park.

< Va bene se ti lascia ad Hde Park? > le chiedo vergognandomene un po’.

< Ehm, si > dice lei poco convinta. Forse è il caso che mi scusi.

< Mi dispiace è che tra poco ho impegno e ho paura di arrivare in ritardo. Però mi faccio perdonare. Che ne dici se stasera ti porto a visitare la Londra notturna? > propongo sorridendo sincero.

La compagnia di questa ragazza mi piace, mi fa sentire me stesso, non il solito ragazzo famoso.

< Perché no > dice dopo averci pensato su un istante.

< Perfetto allora ci vediamo alle nove ad Hyde Park > dico scoccandole un bacio sulla guancia e scappando subito dopo.

Prima di voltare l’angolo però mi giro una volta e la vedo lì, ferma nel punto in cui l’ho lasciata con un sorriso sulle labbra e un espressione un po’ scioccata.

Penserà che sono pazzo!



Angolo autrice:


Bentornatiiiiiiiiiii.....wooooow ho finito il quarto capitolo!! *Balla la conga*
Credevo che non ce l'avrei mai fatta! Dunque carissimiiii, che dire, in questo piccolo capitolino i nostri due bei ragazuoli girano per la Londra meno conosciuta ma più reale. Il nostro Harry porta Isobel a scoprire una città che mai si sarebbe immaginata di trovare.
Che dire poi dei suoi romantici pensieri? Saranno sinceri o è solo una sua fantasia? Ed Isobel cosa significherà per il riccio più famoso?
Se siete curiosi di sapere come prosegue la storia e in quali, assurde, bizzarre e divertenti avventure si cacceranno i due, restate con me in attesa del prossimo capitolo...
Ogni commento o critica è più che gradito!!
Alla prossima, Sybeoil! 
 
 

 

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Capitolo 6
*** The Interview ***


Capitolo 5

 


 

 

 

La prima cosa che faccio quando torno in collegio è quella di precipitarmi in camera e buttarmi sul letto. Sta succedendo davvero? Stasera uscirò davvero con uno sconosciuto o è solo la mia immaginazione che mi tira brutti scherzi?

No stupida, mormora la mia coscienza, è tutto vero, quindi alza quel culo e decidi cosa indossare.

In effetti dovrei decidere cosa mettermi, più che altro per non arrivare in ritardo all’appuntamento. 

Con un colpo di reni mi alzo dal letto e mi dirigo all’armadio di legno dentro cui ho sistemato tutta la mia roba.

Lo apro e comincio a guardarci dentro. Cosa dovrei indossare? Qualcosa di elegante, casual o chic? Non ne ho la più pallida idea.

In questo momento mi servirebbe Amalia, lei saprebbe cosa farmi indossare e anzi, sarebbe lei stessa a vestirmi, pettinarmi e truccarmi.

Magari però posso chiedere aiuto all’unica persona con la quale ho parlato per più di due minuti in questo posto, posso chiedere aiuto a Victor.

Convinta, per quale ragione on si sa bene, che sia la cosa giusta, scendo le scale e comincio a cercare quella montagna dagli occhi azzurri.

Lo trovo spaparanzato sul divano della sala comune con un pacco di patatine stretto in mano e lo sguardo annoiato fisso alla TV.

< Ehi > dico sedendomi vicino a lui e fregandogli una patatina < Mi servirebbe un favore > dico accennando un sorriso timido e supplichevole.

< Dimmi tutto bellezza > risponde lui tirandosi su a sedere e rizzando le orecchie come un cane.

< Stasera ho un appuntamento > comincio ma vengo interrotta dalla sua esclamazione di stupore così mi blocco e lo fisso.

< Woooow, di già? > domanda mollando le patatine e concentrando la sua attenzione totalmente su di me.

< Sì, è una storia lunga > dico abbassando lo sguardo e arrossendo.

Non mi è mai piaciuto parlare molto della mia vita privata, che siano sconosciuti, amici o familiari, preferisco che le mie questioni di cuore rimangano mie.

Nemmeno mamma sa che due anni fa mi sono innamorata, mi sono fidanzata e ho fatto l’amore con il ragazzo più bello di questa Terra. Non sa che per lui sono stata male, ho sofferto e pianto. Solo Amalia è riuscita a scovare la mie bugie e obbligarmi a raccontarle tutto, e anche lì, è stata un’impresa ardua.

< Mmh > mormora lui arricciando le sopraciglia < Mi racconterai dopo > dice poi sorridendomi.

< Ok > asserisco io < Comunque mi stavo chiedendo, visto che qui non conosco nessuno e che la mia migliore amica è lontana chilometri, se per caso potessi aiutarmi a decidere cosa mettermi > 

Lo dissi senza riprendere fiato con il risultato di diventare porpora.

< Sarebbe grandioso > afferma lui sollevandosi dal divano e tirando in piedi anche me.

Sì, questo ragazzo è decisamente grandioso!

< Allora, com’è? > mi chiede mentre saliamo l’ultima rampa di scale che ci separa dalla mia stanza al terzo piano.

< Bello > riesco solo a rispondere senza arrossire o cadere preda di una risata isterica.

< E? > domanda lui lasciando la frase in sospeso in modo che io possa terminarla.

< Ed è anche divertente > rido < L’ho conosciuto all’aeroporto e poi oggi, mentre giravo per Londra con un caffè di Starbucks, gli sono finita addosso > 

Lui mi guarda e poi scoppia a ridere. Ha una risata gradevole, bassa e roca, è rilassante.

< Che bell’incontro che deve essere stato > commenta poi inarcando un sopraciglio.

< Già > confermo io < Mi sono sentita così in imbarazzo, non sapevo più che fare > confesso col sorriso sulle labbra.

Parlare con lui è così facile che quasi mi dimentico che ci siamo conosciuti giusto qualche ora prima, che lui è Russo mentre io sono Italiana e che finiti questi tre mesi, probabilmente non ci rivedremo più.

< Ahahahah > ride < Lo credo > dice poi seguendomi all’interno della piccola camera.

Senza aggiungere altro, lo conduco al grande armadio in legno e glielo apro, così che possa guardarci dentro.

< Vediamo un po’ > commenta tirando fuori tutto ciò che trova e appoggiandolo sul letto che si trasforma presto in un bazar.

< Che tipo di appuntamento è? > chiede studiando con meticolosa attenzione i miei vestiti sparsi sul letto.

< Non ne ho la più pallida idea > confesso abbandonandomi nell’unico angolo del materasso ancora libero < Mi ha solo detto che ci saremmo visti alle nove ad Hyde Park > aggiungo fissando il soffitto come se potesse darmi chissà quale illuminazione divina.

< Allora sarà una cosa semplice > decide lui cominciando a scartare alcuni vestiti e pantaloni un po’ troppo eleganti.

< Dovrai vestirti casual > aggiunge pescando dal mucchio un paio di pantaloni verde scuro e abbinandoli ad una paglia beige che cade morbida sulla vita e di cui sono sempre stata innamorata. 

< Dici che così potrà andare? > domando guardando scettica i pantaloni.

< Andrà benissimo > mi rassicura lui raccogliendo anche un poncio beige trovato nel mucchio e poggiandolo sopra il pantalone e la maglia, poi si gira a guadarmi e sorride.

< Che c’è? > domando non capendo l’origine di quel sorriso.

< Sarai strepitosa > dice sorridendo e andando a cercare le scarpe nella piccola scarpiera e tornandone poco dopo con un paio di mocassini bianchi.

Lo guardo, sorrido e poi lo abbraccio. Non posso farne a meno, è stato così dolce e disponibile che abbracciarlo mi viene spontaneo.

< Grazie > dico sinceramente grata di avere lui.

< Figurati > risponde lui ricambiando l’abbraccio e confessandomi qualcosa che non mi sarei mai aspettata < Per un gay è normale avere la passione dei vestiti > 

Si stacca da me mi strizza l’occhio e poi torna a sbirciare nell’armadio per cercare una borsa da abbinare.

< Sei gay? > domando prima di riuscire a tacere e pentendomene subito dopo < Non che sia un problema, anzi mi piacciono i gay, solo che non me lo sarei mai aspettata > aggiungo rendendomi conto dell’immane figura di merda che mi sono appena fatta.

< Tranquilla > dice lui capendo al volo < Va bene > aggiunge tornando vincitore con una borsa di vernice bianca a bauletto.

< Così sarai perfetta > aggiunge scoccandomi un bacio sulla guancia.

Io lo ringrazio ancora e poi dopo essermi cambiata scendiamo giù per la cena.

 

***

Arrivo a casa giusto in tempo per darmi una sciacquata, vestirmi e precipitarmi fuori al seguito degli altri.

Come al solito Zayn è quello che ci ha messo più di tutti, curando ogni aspetto di se stesso nei minimi dettagli. Credo sia ossessionato dalla sua stessa immagine.

Niall, come sempre, mangia qualcosa di indefinito contenuto in un sacchetto di plastica che offre anche a me ma che io rifiuto poco gentilmente.

Lui in risposta alza le spalle e torna a concentrarsi sul suo cibo.

Liam, il papà del gruppo, ci fa segno di seguirlo e di muoverci a salire sulla macchina della troupe che ci porterà direttamente alla radio dove avverrà l’intervista.

Io resto indietro pensando a cosa potrebbe accadere quella sera quando la rivedrò, pensando che forse potrebbe darmi buca ed io potrei non rivedere mai più quegli occhi così belli.

< Problemi amico? > chiede Louis avvicinandosi e passandomi un bracci intorno alle spalle incurante dei fotografi che assediano casa nostra.

< No nessuno > mento sorridendo e passando a mia volta il braccio intorno alle sue spalle.

Tra tutti Louis è quello con cui ho sempre legato di più, c’è qualcosa tra di noi di indefinibile, è più di un amico è quasi come un fratello.

Infondo lo siamo un po’ tutti. Quando convivi con delle persone ventiquattro ore al giorno, trecentosessantacinque giorni su trecentosessantacinque, considerarli fratelli diventa inevitabile.

< Sicuro? > domanda scrutandomi negli occhi, l’unica parte del mio corpo incapace di mentire.

< Stasera esco con quella ragazza dell’aeroporto > confesso sentendomi meglio.

< Sei sempre il solito > mi rimprovera ridendo e salendo in macchina prima di me < Non cambierai mai > aggiunge sistemandosi sul sedile di fianco al mio.

< Ehi > protesto dandogli un piccolo buffetto sul braccio robusto < Sono un bravo ragazzo > aggiungo incrociando le braccia e fingendomi offeso.

< Certo > commenta Zayn ridendo < Forse quando dormi > aggiunge facendomi la linguaccia.

Avremo anche vent’anni, ma rimaniamo comunque dei bambini, ed io questo lo adoro.

< Grazie Zayn > dico rispondendo con una pernacchia < Molte grazie >

Liam si gira a guardarci e scoppia a ridere. < Siete uno spettacolo orrendo ma anche molto divertente > dice tornando a guardare fuori dal finestrino.

< Comunque > interviene Louis < Noi stavamo facendo un discorso > aggiunge ammiccando con le sopraciglia.

< Giusto > asserisco scuotendo i ricci < Stasera uscirò con quella ragazza e me la porterò a letto per poi lasciarla come ho sempre fatto > dico sorridendo soddisfatto del mio programma per la serata.

< Prima o poi rimarrai fregato > dice Louis spiazzandomi < E sarà talmente doloroso che preferiresti seppellirti vivo > aggiunge sembrando davvero serio.

< Devo preoccuparmi? > domando fissandolo sconvolto.

< Dovresti > aggiunge sorridendo malandrino e abbandonandosi poi contro lo schienale del sedile.

 

Arriviamo alla radio dopo circa mezz’ora di viaggio e, come per casa nostra, troviamo una marea di fotografi ad accoglierci.

Sorridendo come per tutte le occasioni, scendiamo dalla macchina e concediamo loro qualche scatto e serio e molti scatti idioti che però sappiamo adoreranno, in fondo siamo fatti così.

Mentre vedo il flash di una macchina fotografica raggiungermi mi balena in testa l’idea che magari, solo magari, Isobel potrebbe scoprire la mia identità, spaventarsene e darmi buca.

No, non deve succedere. Non voglio che la mia fama interferisca ancora.

Di solito la notorietà, la fama e la gloria mi hanno sempre aiutato con le ragazze lo ammetto, ma Isobel sembra diversa ed io la voglio a tutti i costi. Anche solo per una notte, anche solo per mezz’ora.

Mi riscuoto dai miei pensieri quando, con estrema calma, Paul mi richiama alla realtà invitandomi a seguire gli altri quattro sciammanati dentro lo studio in cui verrà registrata l’intervista.

Sorridendo e salutando i fotografi varco le porte girevoli della radio dove vengo accolto da una signorina dai capelli rossicci e gli occhi castano-nocciola.

Molto dolcemente mi invita a seguire lei e gli altri nel piccolo studio, dove ad attenderci c’è l’intervistatrice, una donna sulla trentina con lunghi capelli nero corvino e occhi grigio chiaro.

Quando ci vede entrare si alza dalla sedia imbottita su cui era seduta e ci viene incontro stringendoci la mano e salutandoci uno ad uno, ci invita poi a sederci sulle cinque sedie messe a disposizione per noi facendo la stessa cosa.

Prima di cominciare ci chiede come stiamo e come prosegue la nostra carriera, a rispondergli è Liam, il più diplomatico e serio del gruppo.

< Bene grazie > dice con la sua voce professionale, quella che usa quando deve parlare con qualcuno di importante < La carriera prosegue a gonfie vele > aggiunge dedicandole un sorriso che avrebbe fatto svenire molte fan.

Finalmente siamo pronti per cominciare, una voce maschile conta a ritroso da cinque e poi la piccola insegna con scritto su “on air” si accende.

< Buonasera a tutti i nostri radio spettatori > dice l’intervistatrice sorridendo gioviale < Questa sera avremmo con noi degli ospiti molto speciali. Si sono fatti conoscere durante l’edizione di X-Factor del 2010 e poco alla volta hanno scalato le vette delle classifiche mondiale piazzandosi primi con il loro album Up All Night > fa una piccola pausa per aumentare la suspance e poi riprende < Esatto, sto parlando dei One Direction che ci concederanno un intervista speciale >

L’intervistatrice si interrompe di nuovo e noi capiamo che è il momento di salutare gli ascoltatori, così uno ad uno, facciamo il nostro saluto.

< Allora ragazzi > comincia fissando ognuno di noi negli occhi < Come ci si sente ad essere così giovani e così famosi? > 

La domanda non era indirizzata a nessuno in particolare così lasciamo che sia Liam a rispondere, e devo ammettere che lo fa in modo decisamente fenomenale.

Non avrei saputo rispondere in modo migliore.

< So che siete appena tornati da un tour tutto esaurito in giro per l’Europa, come è stato? > domanda rivolgendo la sua attenzione a me.

Capendo che l’artefice della risposta dovrò essere io, indosso un sorriso caloroso e comincio.

< E’ stato grandioso > dico illuminandomi < Insomma, poter visitare tutti questi paesi, conoscere gente così diversa eppure simile, imparare parole nuove, lingue nuove > dico pensando a quando abbiamo provato a parlare in tedesco.

< Qual è il paese che vi è piaciuto di più? > domanda rivolgendo lo sguardo prima ad uno e poi agli altri.

< Credo la Francia > risponde Liam pensandoci su, < Spagna > dice Niall ripensando al cibo che si è spazzolato lì < Italia > afferma Zayn sicuro.

Quando è il mio turno resto un attimo in silenzio. Istintivamente mi verrebbe da dire Germania, perché lì ho trascorso notti folli e divertenti, poi però penso ad Isobel e alle effettive bellezze che il suo paese nasconde e così rispondo anche io la stessa cosa di Zayn: Italia.

< E tu Louis? > domanda l’intervistatrice notando il silenzio del moro al mio fianco.

< Tutti > dice lui sorridendo divertito < Sono stato bene in tutti e ovunque ho trovato gente con cui ridere > spiega incrociando le mani sul bancone grigio.

< Ovvio > dico io preparandomi a sparare una battuta < Basta guardarti in faccia per scoppiare a ridere >

La donna che ci intervista scoppia a ridere mentre Louis cerca di trovare una risposta d’effetto e poi, come sempre, la trova.

< L’altra sera non la pensavi così, eh Hazza? > dice avvicinando misi con una faccia da maniaco sessuale e cominciando ad accarezzarmi i miei sacri riccioli.

< Louis > lo riprendo cercando di allontanare le mani da piovra che si ritrova < Guarda che faccio del male a Kevin > lo minaccio alla fine.

È l’unico modo per scrollarselo, minaccia di far del male al suo piccione finto e lui ti lascerà in pace.

< Questo è un colpo basso, Hazza > commenta fintamente offeso < Un vero colpo basso > aggiunge scoppiando in un finto pianto.

< Ok ragazzi > ci richiama l’intervistatrice < Passiamo alla prossima domanda. Quali sono i rapporti tra voi e l’amore? > domanda.

Il primo a rispondere è Liam e dato che è felicemente fidanzato, fa piuttosto in fretta.

Tocca poi a Zayn che ammette di avere il cuore occupato da una ragazza che però non rivedrà mai più.

< Chi è questa ragazza che è riuscita a rubare il cuore di Zayn Malik? > chiede allora la donna avida di gossip.

Zayn ride nervoso fissando ognuno di noi nella speranza che qualcuno lo salvi e per sua fortuna, SuperHoran accorre in suo soccorso dichiarandosi.

< Sono io > ammette annuendo < Zayn è innamorato di me, solo che volevamo tenere la cosa segreta > aggiunge sorridendo.

< Divertente > ammette ridendo < Ma voglio sapere anche il tuo rapporto con l’amore Niall > dice strizzandogli l’occhio.

< Beh > comincia lui sorridendo < La mia futura ragazza è sicuramente tra le fan. Me lo sento > aggiunge chiudendo gli occhi e dando maggior enfasi alle sue parole.

< E tu, Harry? > chiede rivolgendosi a me che ormai vago con i pensieri da una parte all’altra del mondo. Un momento prima sono nello studio in cui stiamo registrando l’intervista e il momento dopo sono proiettato verso gli occhi di Isobel.

< Oh, credo che lo sappiate tutti > dico sorridendo malizioso < Io sono ormai felicemente fidanzato con Louis > ammicco circondandogli le spalle con un braccio.

< Definitivamente > conferma lui sorridendo.

< Ma allora Eleonor? > chiede l’intervistatrice stando al gioco.

< E’ una copertura > spiego io sorridendo per poi baciare Louis sulla guancia.

Tutti scoppiamo a ridere e poi finalmente, l’intervista si conclude, la signora ci saluta e ci augura buona fortuna.

In fila indiana, ordinatamente composti come una mandria di vacche al pascolo, usciamo dallo studio di registrazione e ci dirigiamo verso la macchina che ci aspetta di sotto.

Proprio come prima veniamo assaliti da i fotografi e questa volta anche dalle fan.

Sono tantissime, bionde, brune, rosse, alte, basse e via dicendo. Sono lì per noi, per vederci, salutarci e magari scroccarci qualche autografo o una foto.

Personalmente le adoro e perciò concedo loro tutto ciò che chiedono.

Firmo una cinquantina di autografi, mi lascio fare foto con qualunque fan lo chieda e poi, dopo insistenti richiami di Paul, le saluto e me ne vado. Dopotutto questa sera ho un appuntamento!



 

Angolo autrice:

Bentornatiiiii!! Sono riuscita a finire questo capitolo molto più in fretta di quello che pensavo...Voglio ringraziare chi ha commentato e chi segue la storia o semplicemente la legge perchè non ha di meglio da fare. Ad ogni modo, torniamo a parlare di cose importanti. Questo capitolo descrive l'intervista dei ragazzi e le ore che separano Isobel dal suo appuntamento con Harry. Cosa succederà alle nove ad Hayde Park? Isobel, riuscirà a resistere al fascino del famoso Hazza o ne cadrà vittima come molte altre ragazze prima di lei? E il nostro riccia, troverà pane per i suoi denti o Isobel, sarà solo un'altra delle sue conquiste? Se siete curiosi restate con me in attesa del prossimo capitolo.
Alla prossima, Sybeoil!

 

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Capitolo 7
*** Di amore e delusioni ***


Capitolo 6

 


 

 

 

 

Ero in preda al panico. Tra meno di due ore sarei uscita con Harry e dovevo ancora lavarmi, truccarmi e vestirmi.

La cena si stava prolungando più del previsto ed io cominciavo ad essere nervosa, per fortuna Victor seduto al mio fianco, mi tranquillizzò versandomi un bicchiere d’acqua gelata e obbligandomi a berlo tutto.

< Andrà tutto bene > mi sussurrò avvicinandosi al mio orecchio.

< E se dovessi sbagliare, Victor? > domandai mandando giù un altro sorso d’acqua < Se dovessi sbagliare qualcosa? >

Lui mi guardò sorridendomi e poi mi abbracciò < Andrà tutto bene > disse di nuovo.

< Grazie > dico io ricambiando l’abbraccio e tornando poi a concentrarmi sul cibo che avevo nel piatto.

Estraniandomi dal mondo per qualche minuto riuscì a finire la cotoletta che avevo nel piatto e le zucchine bollite scappando poi di sopra.

Victor mi raggiunge qualche minuto dopo stringendo in mano una bottiglietta d’acqua naturale.

< Prima di andartene lasciami il tuo numero > mi urlò dalla stanza mentre io mi lasciavo andare sotto il getto d’acqua calda della doccia.

< Perché? > strillai cercando di sovrastare il rumore dello scrosciare.

< Perché così se dovesse succederti qualcosa posso venire a recuperarti > rispose con ovvietà nella voce.

< Allora sarà meglio che anche tu mi lasci il tuo > dissi io chiudendo l’acqua e uscendo nel bagno ricolmo di vapore.

< Già fatto > rise lui.

< Come già fatto? > domandai.

< Te l’ho appena memorizzato nel cellulare > spiegò aprendo la porta del bagno e sedendosi sulla tazza del water.

< Ehi > lo ripresi voltandomi di colpo nella sua direzione < Ti sembra il modo di entrare? > domando tirandogli un piccolo buffetto sul braccio muscoloso.

< Mica sei nuda > dice lui alzando le spalle e tirando un lungo sorso alla sua bottiglia d’acqua.

< Potevo esserlo > replico compita stringendomi nelle spalle e strizzandomi i capelli grondanti in un asciugamano da viso.

< Al massimo ti vedevo come mamma t’ha fatto > constata lui strizzandomi l’occhio e accomodandosi fuori dal mio piccolo bagno per consentirmi di vestirmi.

< Scemo > dico a bassissima voce mentre comincio ad infilarmi l’intimo che ho scelto poco prima.

Un completo chic ed elegante, rigorosamente nero, arricchito con del pizzo sui bordi del reggiseno e delle mutandine.

Ancora troppo intimidita dalla figura di Victor per uscire in intimo, mi avvolgo di nuovo nell’asciugamano cremisi usato poco prima e varco la porta della piccola stanza.

Il biondo è comodamente stravaccato sul mio letto, le gambe sporgono leggermente fuori dal materasso e sul viso ha un’espressione così rilassata, da poter passare per un bambino troppo cresciuto.

< Lo sai vero che me lo sfonderai? > scherzo agguantando i vestiti posati sulla sedia e cominciando a vestirmi.

< Pensa a vestirti > strilla lui tirandomi addosso il cuscino e centrandomi in pieno sedere.

< Mi hai fatto male > protesto infilandomi la maglia e i mocassini.

< Oh, non lamentarti > dice alzandosi dal letto e venendomi a sistemare la maglia sui fianchi.

Ora è la parte del trucco. Afferro Victor per una mano e lo trascino in bagno con me per aiutarmi.

Dato che ho la pelle piuttosto pulita decido di non mettere cipria, fondotinta o terra abbronzante, opto invece per uno strato leggero di ombretto bianco perlaceo che risalti il colore dei miei occhi abbinandolo ad una linea sottile di eye-liner nero. Completo l’opera passandomi uno strato piuttosto pesante di matita all’interno dell’occhio e allungando le sopraciglia chiare con del mascara nero.

< Prova con un rossetto rosa chiaro > suggerisce Victor che deve aver capito i miei dubbi riguardo le labbra.

In realtà ho sempre odiato lucidalabbra, rossetti o cose che impiastricciassero le labbra ma, almeno per questa volta, posso fare un eccezione. Scavo all’interno del mio straripante beauty e ne estraggo un vecchio rossetto rosa pastello passandomelo sulle labbra.

Mi osservo allo specchio per vedere il risultato e devo dire che ne rimango più che soddisfatta. Non pensavo che un misero strato di rossetto potesse fare tanto!

< Visto > dice il biondo alle mie spalle < Sono un mago > afferma tornando in camera e sedendosi di nuovo sul mio letto che cigola sotto il suo imponente peso.

< Ok > dico io cercando di frenare l’improvviso tremore che si è impossessato delle mie mani < Sono le otto e mezza, manca ancora mezz’ora all’appuntamento ma conviene lo stesso che mi sbrighi >

Dal letto il biondo asserisce ad ogni mia parola sorridendo sornione.

Prima di lasciare la stanza faccio un ultimo controllo per assicurarmi di aver preso tutto ciò che potrebbe servirmi.

Dentro la borsa ho il portafoglio con i soldi, i documenti, un piccolo beauty contenente il necessario alla sopravvivenza, cellulare, cerotti e salviette. Perfetto, dovrei avere tutto!

Afferro il poncio da sopra la sedia, lo infilo e poi lascio la stanza seguita da Victor che mi ricorda di chiudere a chiave.

< Hai ragione > dico dando un giro di chiave alla porta < Non si sa mai > aggiungo sorridendo e strizzandogli l’occhio.

Arriviamo di sotto due minuti dopo e con enorme stupore noto quante altre persone all’interno di quel collegio, siano pronte per uscire.

< Mary > chiamo sovrastando il chiasso provocato dagli schiamazzi dei ragazzi radunati nell’entrata < Io esco questa sera > comunico sorridendo.

< Certo > dice lei annotando qualcosa su un quaderno nero e sorridendomi materna.

< Bene > dico rivolta al biondo fermo sulla soglia della casa < Allora ci vediamo domani e se succede qualcosa ti chiamo > lo saluto.

< Mi raccomando > fa lui assumendo un tono che fa tanto papà in ansia.

< Si papà > rispondo per prenderlo in giro e poi esco nell’aria fresca della notte londinese.

 

Quando arrivo ad Hyde Park lo vedo fermo sotto un albero. Indossa un paio di jeans scuri, una maglia maniche corte bianca ed una giacca scura con una specie di ricamo sulla tasca sinistra.

I capelli sono i soliti ricci disordinati di quel pomeriggio anche se sembrano più soffici. Ora che ci penso mi piacerebbe un sacco poterci infilare le mani. Devono essere davvero bellissimi.

< Ciao > lo saluto avvicinandomi e baciandolo sulle guance su cui compaiono due fossette di quelle che ho sempre adorato ma che purtroppo Madre Natura ha deciso di non donarmi.

< Ehi > dice lui contraccambiando il saluto < Sei venuta! > esclama evidentemente sorpreso di vedermi.

< Perché? > domando stranita < Pensavi che ti avrei dato buca? > aggiungo fissandolo come se ciò che ha appena detto fosse la più grande delle cazzate.

< Oh, no > fa lui con aria maliziosa avvicinandosi al mio orecchio e facendomi tremare il respiro < Sapevo che saresti venuta > sussurra lento.

Imbarazzata sorrido istericamente cominciando a camminare.

< Dove mi porti? > gli chiedo continuando a camminare e tremare allo stesso tempo.

Ovviamente i brividi non sono dovuti al freddo, ma alla sua vicinanza. Ha un odore così buono, nemmeno Luca profumava così.

Dannazione, possibile che anche quando uscivo con un ragazzo bello come Harry dovessi pensare a Luca?

No Isobel! Ti vieto di pensare a quell’idiota patentato e ti ordino invece, di goderti la serata.

< A che pensi? > mi chiede lui che deve essersi accorto del mio piccolo sbandamento mentale.

< A quanto sia bella Londra di notte > mento osservando il cielo e le poche stelle che vi si scorgono.

< Già > concorda lui intrecciando le sue dite alle mie in un gesto che appare come il più naturale del mondo.

< Quasi quanto te > aggiunge fermandosi in mezzo alla via e obbligandomi e voltarmi nella sua direzione.

Ok, questa è davvero una di quelle scene da film, talmente tanto da film che adesso sono sicura spunterà un tizio da dietro l’angolo urlando che sono su scherzi a parte o qualcosa del genere.

E invece non succede nulla del genere, l’angolo rimane silenzioso com’è, non compare nessun tizio urlante e anzi, Harry si china e mi bacia.

All’inizio è un bacio timido, inatteso eppure desiderato, lo percepisco. Non sapendo però la mia reazione ha deciso di essere delicato e dannazione, Dio solo sa quanto in questo modo assomigli a Luca.

Ancora lui! Ma bastaa!! Mi urlo nella testa mentre lascio che la sua lingua trovi la mia e cominci a giocarci.

Rimaniamo incollati l’uno all’altra per quelli che penso siano una decina di minuti, quando alla fine entrambi ci stacchiamo, più che altro per prendere una boccata d’aria come si deve, abbiamo il fiatone e le labbra arrossate.

Dio, penso mentre mi passo la lingua sulle labbra che ancora sanno di lui, questo ragazzo bacia come nessuno.

< Se tutte le italiane baciano così > dice sorridendo divertito < Allora invidio i ragazzi italiani > aggiunge lasciandomi un altro piccolo bacio a stampo e poi prendendo a trascinarmi di nuovo verso la nostra meta.

< Non tutte sono me > dico ostentando una sicurezza e una malizia che non mi appartengono ma che non posso fare a meno di nascondere quando sono con lui.

< Allora devo reputarmi fortunato > ride svoltando l’angolo e trascinandomi in una creperia da cui proviene un profumo eccezionale.

< Ti va una crépe? > domanda entrando nel locale e nascondendosi nell’angolo più buio e lontano.

< Certo > dico raggiungendolo e sedendomici accanto.

Poco dopo, una signora sulla trentina ci si avvicina con un taccuino in pelle nera chiedendoci cosa desideriamo, Harry ordina due crépe alla nutella e due frullati alla fragola, allontanandosi subito dopo.

Rimaniamo soli io e lui in quell’angolo buio ed isolato del locale a fissarci negli occhi e sorridere come due imbecilli.

< Bello qui > dico per spezzare la tensione che si è venuta a creare.

< Già > asserisce lui passandomi una mano tra i capelli < Sai cosa sarebbe ancora più bello? > domanda avvicinandosi sempre più al mio viso fino ad essere a pochi centimetri.

< Cosa? > chiedo io sorridendo maliziosamente.

< Questo > dice e mi bacia. Un bacio che credo non scorderò mai, nemmeno se lo volessi, nemmeno se mi cancellassero la memoria.

Questo ragazzo bacia davvero troppo bene per essere umano.

 

***

Avete presente l’incontro del rum con la pera? Oppure il fondersi del cioccolato caldo su un gelato alla crema? Ecco, baciare Isobel era come godersi uno di quei piaceri, eccezionale.

Per quante ragazze mi fossi fatto in vita, e sono tante credetemi, nessuna baciava come bacia lei.

Tutto di lei, a partire dal suo delicato sapore di erbe fino ad arrivare al modo in cui mia accarezza la nuca, è eccitante. Persino il modo in cui mi guarda!

Se non fossimo in pubblico, l’avrei già presa e fatta mia.

Dopo un tempo che mi pare infinito, interrompo quel bacio e la fisso dritta negli occhi. Sorrido!

Un sorriso spontaneo che ormai non faccio da molto, moltissimo tempo. Più o meno da quando sono stato fregato all’età di quindici anni, quando venni umiliato dall’unica ragazza a cui confessai di essermi innamorato.

Da quel giorno mi sono ripromesso di non innamorarmi più, avrei usato le ragazze, ci avrei giocato, le avrei anche illuse, era inevitabile, ma non avrei mai più lasciato che mi entrassero dentro.

So che è brutto da dire ma quando qualcuno è in grado di segnarti tanto quanto era successo a me, si diventa cattivi. Si diventa egoisti, ed è la cosa peggiore che un essere umano possa essere.

Perciò, per quanto bella ed eccitante possa essere Isobel, non ho intenzione di lasciarmi coinvolgere in una storia d’amore con lei. 

Me la porterò a letto stanotte e subito dopo le chiederò, gentilmente, di tornarsene a casa sua con la falsa promessa che la richiamerò.

E non guardatemi storto, ho diciotto anni, sono un cantante famoso e bello, non ho intenzione di chiudermi in una relazione con i fiocchi e contro fiocchi come quei due idioti di Liam e Louis. Voglio divertirmi!

Vengo distratto dalla cameriera di poco prima che ci consegna le nostre ordinazione. 

In silenzio mangiamo guardandoci e sorridendo di tanto in tanto, poi, una volta finito il nostro pasto ci alziamo, paghiamo ed usciamo all’aria fresca di Londra.

La temperatura è calata notevolmente e la giacca di cotone che ho indosso mi mantiene a malapena calda. Isobel invece sembra essere a suo agio in quella specie di mantella marrone chiaro che ha indosso.

< Allora? > domanda rivolgendosi a me e cominciando a camminare all’incontrario lungo le strade della mia città < Dove mi porti? >

Io la osservo sorridere e istintivamente anche le mie labbra si curvano facendo spuntare le fossette che tanto adorano le fan.

< In un posto speciale > dico accelerando il passo per starle dietro.

< Uhhhh > fa lei ridendo come una matta. Mi piace quando ride, è spontanea < E dove sarebbe questo posto speciale? > domanda sempre camminando all’indietro.

< Vicino al fiume > rispondo affiancandomi a lei < E’ un piccolo parchetto in cui non ci va mai nessuno. Da li si vedono le stelle > dico afferrandole la mano calda e stringendola nella mia.

Lei guarda le nostre dita intrecciate e sorride. Un sorriso spontaneo e sincero, non quello malizioso delle fan che di solito mi porto a letto.

 

Arriviamo al parco dopo circa un quarto d’ora passato a parlare delle rispettive vite. Lei ovviamente mi ha detto tutta la verità sulla sua vita, il suo lavoro, la sua famiglia, io invece le ho mentito.

Ho dovuto farlo, non voglio che sappia che sono. Sono stanco delle ragazze che, consce del mio nome, mi torturano mandandomi messaggini diabetici e chiedendomi giorno dopo giorno se la nostra è una relazione seria.

< Quindi sei un panettiere? > mi chiede osservandomi attentamente dalla testa ai piedi < Non lo sembri > afferma poi scrollando la testa.

< In che senso? > domando un po’ perché non capisco e un po’ perché sono preoccupata che possa avermi riconosciuto.

< Insomma, i panettieri non si vestono così > afferma indicando i miei pantaloni, la maglia e la giacca < Di solito non possono permettersi roba così costosa > constata con ovvietà.

Però, anche intelligente!

< Regalo di amici > mento sorridendo. 

< Amici generosi > scherza lei staccandosi da me e mettendosi a correre in mezzo alla via.

Questa ragazza è pazza, penso mentre parto a rincorrerla.

Finalmente davanti a noi si estende il Tamigi. Il grande fiume che bagna l’Inghilterra.

< Vieni > le dico afferrandole la mano e conducendola lungo una sorta di macchia di vegetazione sotto i portici del ponte.

< E’ questo il posto? > domanda lei seguendomi poco convinta.

< Sì > dico io fermandomi accanto ad un tavolo da picnic sul quale mi sdraio e sul quale invito anche lei.

< Wow > esclama una volta coricata. Gli occhi verdi fissi al cielo blu di Londra e ai mille diamanti sparsi in esso.

Guardarla sorridere per quella banalità mi mette allegria e senza che me ne accorga sono lì che la bacio. 

Un bacio decisamente poco casto che presto si trasforma in qualcosa di più. Le sue gambe esili si intrecciano alle mie, robuste e forti, mentre le sue mani scorrono sul mio petto.

Posso sentire il suo respiro farsi più affannoso e la mia eccitazione sempre più grande.

Mi occorre un letto, subito!

< Andiamo a casa mia > dico scendendo da quel tavolo prima che sia tardi.

Lei mi guarda un po’ confusa poi sorride maliziosa e mi segue senza dire nulla. Perché anche le altre ragazze non possono essere come lei?

Dopo dieci minuti di strada arriviamo a casa mia e dei ragazzi. Per fortuna ognuno di loro si è già rintanato nella propria stanza.

< Di qua > le dico conducendola lungo il corridoio bianco e svoltando a destra nella mia stanza.

< Questa è la tua stanza? > domanda osservando i contorni bui dei mobili e sorridendo.

< Sì > dico mentre mi avvicino all’interruttore per accendere la luce.

< No > mi ferma lei venendomi in contro e bloccandomi la mano con la sua < Preferisco il buio > afferma baciandomi.

Non so se è la situazione bizzarra nella quale mi trovo, non so se è perché questa volta a prendere l’iniziativa è stata la ragazza e non io, ma resta il fatto che lascio la luce spenta e la bacio.

Ben presto il respiro di entrambi si fa affannoso, i vestiti volano per stanza e la mia eccitazione rischia di esplodere fuori dai boxer.

Continuando a baciarla le afferro i fianchi e la sollevo da terra portandola sul grande letto matrimoniale a ridosso della parete. Ce la adagio lentamente per stendermici sopra e riprendere a baciarla.

Sotto le dita posso sentire il tessuto leggero della sua biancheria. Pizzo, come piace a me!

Con gesti lenti e misurati dall’esperienza, la spoglio anche degli ultimi indumenti mentre lei fa lo stesso con me.

In un modo che non so nemmeno descrivere mi sfila  boxer e torna baciarmi, mentre la mia eccitazione preme contro le sue cosce calde ancora chiude.

< Il preservativo > sussurra tra un sospiro e l’altro.

< Ce l’ho > dico afferrandone uno dal comodino e infilandomelo.

Finalmente il suo fiore si schiude per me ed io sono libero di entrare.

La sento gemere sotto voce mentre mi muovo dentro di lei con un ritmo lento e regolare. La sento sussurrare il mio nome, stringermi le spalle e graffiarmi. 

Poi avviene ciò che mai mi sarei aspettata da una come lei, con un colpo di reni ben assestato ribalta le posizioni.

Ora lei è sopra di me e mi fissa sorridente. Raccoglie i suoi lunghi capelli dorati da una parte e torna a baciarmi muovendo il bacino con un ritmo snervante ma piacevole allo stesso tempo.

Io la lascio fare. Lascio che mi morda le labbra, scenda lungo il collo, l’incavo delle spalle, il torace e la pancia. Quando poi il suo viso torna a concentrarsi sul mio la afferro per i fianchi e la faccio di nuovo rotolare sotto di me.

Lei sorride divertita e infila le mani dentro la mia massa di capelli mentre aumento le spinte.

Sudato e stanco mi svuoto dentro di lei accasciandomi poi sul suo petto e rimanendo così alcuni secondi a prendere fiato.

Quando finalmente mi sono ripreso mi stacco da quel corpo caldo e perfetto, getto via il preservativo usato e mi corico a pancia in su coprendomi con il lenzuolo.

Isobel, sdraiata accanto a me, fissa il soffitto. Quando la invito ad accomodarsi sul mio petto e dormire lei accetta e dopo pochi secondi sprofonda nel sonno. 

Io la osservo per qualche minuto prima di cadere anche io, preda della braccia di Morfeo.


 
Angolo autrice:

Bentornatiiii! Scusate il ritado *si inginocchia sui ceci* ma la scuola mi ha riempito le giornate, non sapete che palle! Ringrazio che ho commentato il capitolo precedente e ovviamente, anche chi lo ha solo letto. Tornando a noi, possiamo dire che la nostra Isobel si è data da fare. A quanto pare neanche lei è riuscita a resistere al fascino del ricciolo. Ora però c'è da chiedersi chi è quel ragazzo che lei ricorda come "l'idiota patentato". Che sia qualcuno che le ha fatto del male? Come andrà a finire con il ricciolo più famoso di sempre?
Restate con me e scopritelo.... I commenti sono più che graditi!
Alla prossima, Sybeoil!

 

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Capitolo 8
*** Di lacrime e di verità ***


Capitolo 7

 

 

 

 

 

Non so bene cosa mi spinse a svegliarmi nel cuore della notte fatto sta che aprì gli occhi per ritrovarmi stretta tra le braccia del riccio con cui qualche ora prima avevo fatto l’amore. 

Sentivo la pelle del mio corpo ribollire al contatto con la sua, le lenzuola di cotone leggero avvolgermi le gambe e le sue braccia strette intorno alla mia vita.

Lentamente alzai la testa verso il suo viso per osservarlo dormire. Era uno spettacolo tanto bello da mozzare il fiato.

La riga dritta del naso si sposava alla perfezione con quella rigida della mascella. Le labbra carnose erano leggermente dischiuse mentre i ricci erano scompostamente disposti sul cuscino.

Puntellandomi sui gomiti lanciai uno sguardo alla sveglia posta sul comodino accanto ad Harry rischiando di farmi venire un infarto. Erano le quattro del mattino.

Merda, merda e ancora merda! Come cavolo avrei fatto a rientrare in collegio? Non potevo fare una figura di merda di queste proporzioni proprio il mio primo giorno di permanenza. Urgeva un piano ben ideato che mi permettesse di rientrare in collegio senza farmi scoprire.

Cercando di non svegliare il ragazzo ancora profondamente addormentato mi sciolsi dall’abbraccio e scivolai fuori dal letto. L’aria fredda della stanza mi colpi facendomi rabbrividire, mentre immersa nel buio più totale, cercavo i miei vestiti sparsi sul pavimento.

Finalmente, dopo aver percorso l’intera stanza sulle ginocchia, ritrovai la mia biancheria intima, i vestiti e la borsa.

C’era un problema però. Al buio non sarei mai riuscita a vestirmi. 

Guardandomi intorno intravidi i contorni di una porta e, sperando con tutte le mie forze si trattasse di un bagno, mi ci fiondai dentro facendo attenzione e non sbattere troppo forte l’uscio.

Finalmente sola accesi la luce tirando un sospiro di sollievo quando mi accorsi di essere proprio dentro ad un bagno.

Ravanai dentro la mia borsa in pelle bianca estraendone il pacco di salviette umidificate che ci avevo infilato dentro quel pomeriggio e cominciai a passarmele sul viso per togliere il trucco rimasto.

Finalmente struccata passai a lavarmi il viso e a vestirmi. Prima di uscire dal bagno, cercare le mie scarpe e abbandonare quella casa per sempre decisi però di scrivere un biglietto al ragazzo che dormiva nella stanza accanto.

Dalla piccola agenda che portavo sempre con me strappai un foglio e cominciai a scrivere.

 

Caro Harry,

Mi spiace andarmene così senza neanche dirti ciao, ma questa notte è stata tutto uno sbaglio. Non sarei dovuta venire a letto con te, di solito queste cose non le faccio mai e sinceramente non so cosa mia sia preso, ma so che è stato uno sbaglio. 

Addio, Isobel.

 

Non so bene perché volli lasciargli quel biglietto, in fondo sapevo che sarei comunque stata una ragazza da una botta e via, me lo sentivo, eppure sentivo che dovevo scrivergli quelle poche parole.

Sospirando frustata per la cazzata compiuta poche ore prima e di cui ora mi pentivo amaramente, uscì dal bagno spegnendo la luce e concentrandomi per ritrovare le mie scarpe.

Le trovai accanto al letto, dal lato in cui dormiva Harry. Guardarlo dormire così serenamente e doversene andare perché consapevoli di essere solo una delle tante era straziante.

E per di più, più lo guardavo e più sentivo le lacrime premere per uscire e liberarsi. Fu allora che raccolsi tutto il coraggio di cui ero in possesso e gli posai un leggero bacio sulle labbra per poi andarmene lasciandomi dietro solo quelle poche righe e un peso morto sul cuore.

Seguì il corridoio freddo e silenzioso e finalmente uscì da quella casa.

Scesi le poche rampe di scale che mi separavano dall’aria aperta e finalmente arrivai in strada.

Le via di Londra a quell’ora della notte erano buie e silenziose, oltre che paurose e fredde.

Tornare a casa non sarebbe stato così facile, dovevo chiamare qualcuno.

L’unica persona che conoscevo nel raggio di chilometri era Victor e, anche se mi scocciava svegliarlo a quell’ora della notte per venire a recuperare uno cogliona delle mie proporzioni, composi lo stesso il numero e attesi.

Al terzo squillo, la voce impastata dal sonno del biondo più bello di sempre, rispose.

< Pronto > disse piano.

< Victor > dissi io trattenendo ancora le lacrime < Sono Isobel, c’è un problema >

Sentì le molle del letto cigolare sotto il suo peso, segno che doveva essersi alzato appena aveva sentito la parola problema.

< Ti è successo qualcosa? Stai bene? > disse infatti con voce preoccupata fregandosene beatamente del suo coinquilino.

< Si, si sto bene > lo tranquillizzai stringendomi nelle braccia per combattere il freddo < Solo che non so dove sono e non so come tornare a casa > aggiunsi lanciando uno sguardo disperato all’angolo della via per vedere se ci fosse un cartello o un qualcosa che indicasse il nome.

< Ok vengo a prenderti > disse lui deciso e serio < Leggi la via, vengo in taxi > aggiunse.

< Ok > risposi riconoscente. A passi leggeri mi avvicinai all’angolo della strada e lessi ad alta voce in modo che anche Victor, dall’altra parte del telefono, potesse sentire.

< Sto arrivando > disse dopo pochi secondi chiudendo la chiamata e lasciandomi di nuovo sola.

Non sapendo che fare mi sedetti sul marciapiede e attesi che il mio “principe” venisse a salvarmi.

Nell’attesa pensai così tanto che mi sembrò di vedere il cervello fumarmi. Pensai alla cazzata fatta e al fatto che ogni cosa nella mia vita fosse precaria, in continuo equilibrio tra il nulla e il tutto.

Pensai ancora a Luca, ai suoi occhi così simili a quelli di Harry, ai suoi capelli biondi che tante volte aveva accarezzato nelle sere che erano solo nostre. Pensai a Luca che si scopava quella stronza di Giorgia senza degnarsi di rispettare i miei sentimenti o la mia dignità. 

Mi diedi della stupida per averci passato così tanto tempo insieme, per essermene innamorata e per avergli donato tutto di me e piansi.

Piansi tutte le lacrime che non avevo mai pianto in diciotto anni di vita, piansi tutti i mali e tutte le delusioni, tutti i sogni spezzati e quelli infranti. Piansi le speranze disilluse e inattese, piansi il fatto di essere sola e di non essere abbastanza. Piansi il fatto di essere me stessa.

Doveva essere passato un quarto d’ora da quando Victor aveva chiuso la chiamata quando finalmente un taxi inchiodò esattamente davanti a me.

Dalla portiera di dietro scese un Victor ancora assonnato e in pigiama che mi si avvicinò protettivo avvolgendomi in un abbraccio da orso.

< Va tutto bene > mi sussurrò portandomi dentro l’abitacolo e dicendo al conducente di riportarci a casa.

< Cosa è successo? > mi chiese quando mi fui calmata e i singhiozzi smisero di scuotermi.

< Ci sono finita a letto > confessai ancora scossa < Solo che poi mi sono addormentata e non mi sono accorta dell’ora > aggiunsi lanciandogli un sorriso poco convincente.

< Intendo dire perché piangi > spiegò lui asciugandomi una lacrima.

< Niente > lo liquidai voltandomi verso il finestrino < Pensavo > aggiunsi solo per farlo contento.

< A cosa? > domandò lui avvolgendomi tra le braccia forti e robuste.

< Alla mia vita e a quanto faccia schifo > spiegai tornando a piangere e macchiandogli la polo bianca.

< Oddio mi dispiace > dissi accorgendomi del danno fatto < Domani te la porto in lavanderia > promisi guardandolo negli occhi.

< Stai tranquilla > mi tranquillizzò lui < Non fa niente > aggiunse sorridendomi.

 

***

Sentì un improvviso brivido di freddo percorrermi la pelle nuda del petto, insinuarsi sotto il lenzuolo sottile e raggiungere le gambe.

Il lato del letto su cui, era sicuro quella notte ci fosse stata una ragazza, risultava stranamente vuoto e freddo. 

Il lenzuolo che ricopriva quella parte del letto era stropicciato e sul cuscino trovai una decina di capelli chiari come l’oro.

Aprì gli occhi lentamente lasciando che iridi chiare si abituassero alla debole luce che aveva invaso la stanza filtrando dalle tapparelle lasciate socchiuse.

Dal piano di sotto sentivo provenire le voci di Niall e Liam che a quanto pare litigavano su questioni legate al cibo.

Scossi la testa immaginandomi la scena comica tra i due e poi mi decisi ad alzarmi dal letto.

Lanciai un rapido sguardo in giro per la stanza cercando di individuare qualche dettaglio fuori posto. Niente, era tutto come sempre.

Che Isobel fosse in bagno con le sue cose? Era un’ipotesi plausibile dato che era una ragazza e che per di più, aveva trascorso la notte con il re del sesso Harry Styles.

Ancora nudo come un verme mi avvicinai alla porta del bagno e bussai delicatamente. Non ricevendo nessuna risposta bussai un po’ più forte. Ancora nessuna risposta. Possibile che fosse di sotto con i ragazzi a fare colazione? Plausibile anche questo, insomma lo facevano quasi tutte.

Però Isobel non mi sembrava una tipa da colazione in gruppo, ma devo anche dire non mi era sembrata nemmeno una tipa focosa eppure sotto le lenzuola se l’era cavata più che egregiamente.

Senza far rumore aprì la porta della stanza e ascoltai le voci dei miei coinquilini provenire dalla cucina al piano di sotto. Tra di loro cercai quella delicata di Isobel ma vi trovai solo quella squillante di Niall che imprecava per avere ancora un po’ di cibo.

No, Isobel non era in cucina. Per fortuna aggiungerei!

Confuso per l’assenza della ragazza tornai sui miei passi dirigendomi verso le finestre della camera per spalancarle e lasciare entrare l’aria fresca di Londra quando inciampai su un foglio di carta capitombolando a terra.

< Ma che cazzo… > sbraitai rialzandomi in piedi e afferrando quel pezzetto di carta strappato. 

Lo voltai e rivoltai tra le mani fino a quando individuai una serie di righe scritte con una calligrafia elegante e composta, non come la mia, che assomigliava molto di più a quella di una gallina ubriaca.

Lentamente lessi quelle poche righe per piombare poi, nello sconforto più totale.

Isobel, la ragazza più bella che avessi mai incontrato, quella con cui avevo provato le sensazioni più intense pur essendoci stato insieme solo per un giorno, mi aveva abbandonato nel cuore della notte sostenendo che quello era stato uno sbaglio.

Come si poteva chiamare sbaglio quella notte? Come poteva essere definito qualcosa di sbagliato una sensazione così piacevole da sovrastare il cielo?

Non si poteva, ecco cosa!

Senza nemmeno preoccuparmi del mio aspetto, che assomigliava a quello di un verme di terra, uscì di folata dalla stanza e mi precipitai di sotto.

< Harry! > mi chiamò Liam rischiando di strozzarsi con il succo d’arancia che stava bevendo < Che diavolo ci fai nudo per casa? > domandò sconvolto. Come se fosse la prima volta che mi vedeva nudo!

< Oh, Liam piantala > risposi acido < Non è la prima volta che mi vedi nudo > aggiunsi continuando a camminare su e già lungo la cucina.

< Uuuu > gli fece eco Zayn mangiucchiando dei cereali < Nervosetto? > aggiunse poi lanciandomi una bottiglietta di succo che afferrai al volo. 

< Cos è quel biglietto che stringi in mano, amore? > domandò Louis avvicinandosi e strappandomi la preziosa reliquia dalle mano per leggerla ad alta voce in modo che tutti sentissero.

< Caro Harry > cominciò imitando la voce di una ragazza e riuscendoci in modo spaventoso < Mi spiace andarmene così senza neanche dirti ciao, ma questa notte è stato tutto uno sbaglio > continuò fino a quando non mi alzai e gli strappai il biglietto dalle mani.

< Smettila Louis > urlai strappando quel pezzo di carta in mille pezzi.

< Harry, Harry, Harry > mormorò Liam avvicinando misi < Doveva capitare prima o poi > aggiunse battendomi una mano sulla spalla.

< E poi non è mica una cosa così terribile > infierì Zayn spostandosi nel salone con il pacco di cereali stretto in mano.

< Certo che lo è se sei Harry Styles > gli urlai di rimando facendolo ridere.

< Hazza > mi chiamò Louis < Dove sta il tuo problema? > domandò serio, cosa che non era mai.

< Non c’è nessun problema > risposi fingendo nonchalance ma rischiando di esplodere dentro.

< Ohhh > echeggiò sorridendo sornione < Ora capisco > disse poi illuminandosi come se avesse appena visto un campo di carote.

< Sentiamo Lou > gli dissi esasperato dalla situazione che si era venuta a creare.

Tutti i presenti in quella cucina, e con tutti intendo Niall, Liam e me, lo fissammo curiosi e attenti in attesa dell’illuminazione divina.

< Lei ti piace > disse semplicemente alla fine < E ti ha dato fastidio il fatto che se ne sia andata di sua spontanea volontà chiamandoti errore >

 
 
 
Angolo autrice:

Bentornatiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!! Chiedo umilmente scusa per il ritardo con cui pubblico questo settimo capitolo ma sono stata davvero straimpegnata! Ringrazio tutti coloro che spendono del tempo per leggere la mia piccola bambina e soprattutto a commentarla! Siete fantastici.
Tornando alle cose davvero importanti in questo capitolo possiamo avvicinarci un pochino di più ad Isobel. Possiamo cominciare a capire la sua personalità e il suo passato, ma non solo. In questo capitolo scopriamo anche qualcosa su Harry e sul suo di carattere. A quanto pare il Bell'imbusto Styles, conquistatore di cuori e di donne, è stato abbandonato per la prima volta in tutta la sua vita dopo quella che lui definirebbe una notte bollente.
Cosa deciderà di fare adesso il ricciolo più famoso d'Inghilterrà? Si metterà in testa di conquistare l'Italiana o lascerà correre l'accaduto? E i suoi amici, i ragazzi, come si amalgameranno in tutta questa complicata faccenda di cuori? Se siete curiosi restate con me in attesa del prossimo capitolo!
Alla prossima, Sybeoil!
 

 

 

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Capitolo 9
*** Di scoperte e decisioni ***


Angolo autrice:

Bentornatiiiiii! Chiedo immensamente scusa per il clamoroso ritardo e prometto che questa volta cercherò di aggiornare il più rapidamente possibile, nel caso non dovessi riuscirci giuro che mi inginocchierò per tre ore sui ceci ù.ù Tornando comunque alle cose importi, ovvero il capitolo, posso dire che Harry si è finalmente svegliato! Dopo tantoo ha finalmente capito che Isobel è qualcosa di più che una semplice botta e via xD Isobel invece ha perso all'incirca dieci anni di vita nello scoprire l'identità di Harry. Il bel ricciolo riuscirà a conquistare la bionda italiana il cui cuore è già stata compromesso abbastanza o si arrenderà ancora prima di iniziare? E Isobel, lascerà che entrare il riccio nella sua vita, magari concedendoglio un angolino all'interno del cuore? Se siete curiosi di scoprire il proseguire della storia restate con me!
Buona lettura, Sybeoil!






 

Capitolo 8

 

 

 

 

 

Il risveglio fu, se così vogliamo definirlo, tragico. Avevo un emicrania che avrebbe messo fuori gioco anche Superman in persona e per di più sentivo i muscoli dolore sotto la pelle. 

Non avevo voglia di alzarmi dal letto che, ora come ora, rappresentava il posto più sicuro, caldo ed accogliente nell’intero universo. Purtroppo però, se non volevo arrivare tardi il mio primo giorno di lezione e risparmiarmi così una gran bella figura di merda, conveniva che muovessi il culo e scendessi da quel letto.

Così, con movimenti lenti e misurati per evitare che il mal di testa aumentasse, scesi dal materasso e, con indosso solo la biancheria intima che la sera prima Harry si era tanto divertito a togliermi, filai dritta in bagno.

Dopo essermi data una rapida occhiata allo specchio posto sopra il lavandino in ceramica ed essere rimasta orrendamente sorpresa dal mio aspetto terribile, lasciai scorrere l’acqua della doccia fino a quando non fu abbastanza calda, a quel punto mi ci fiondai sotto lasciando che quel getto forte mi rilassasse i nervi e cancellasse gli errori di quella sera.

Rimasi sotto l’acqua un quarto d’ora buono, poi mi accorsi che molto probabilmente ero già in ritardo e perciò uscì dalla doccia.

Mi avvolsi nel mio asciugamano rosso cremisi e passai ad asciugarmi i lunghi capelli biondi ereditati da mia madre e che quest’ultima, si ostinava a definire raggi di sole in terra.

A volte mamma era un po’ troppo sdolcinata ma ciò non toglieva il fatto che fosse la migliore e che le volessi un bene dell’anima.

Una volta finito di asciugarmi i capelli ed essermi assicurata di non avere nodi indistricabili nel tempo filai in camera per decidere cosa indossare.

Prima di aprire il grande armadio e immergermi nei miei vestiti diedi un’occhiata al tempo. Un manto cupo e grigio di nuvole oscurava il cielo di Londra rendendo la città uno spettacolo straordinario.

Dopo pochi minuti di ricerca optai per un paio di jeans chiari, una maglia bianca di cotone leggermente slabbrata, una felpa chiara ed un paio di Vans grigio ghiaccio.

Prima di scendere a fare colazione tornai al letto, lo rifeci alla bene meglio, presi un blocco appunti ed una penna dallo zaino ed uscì dalla stanza dando un colpo di chiave ed infilandomela in borsa.

Mentre scendevo l’ultima rampa di scale sentì il cellulare vibrare nella tasca della borsa dentro cui lo avevo abbandonato la sera prima.

Cercando di non inciampare, cosa possibilissima dato il mio pessimo equilibrio e la mia più che nota goffaggine, lo afferrai e risposi alla chiamata.

< Ma ciaoooooo > la voce della mia migliore amica mi perforò un timpano giungendo fino a Timbuctu.

< Amalia > mormorai sorridendo felice. Sentire la sua voce era un po’ sentire il profumo di casa.

< Come stai bellezza? > domandò con la sua solita voce gentile e acuta allo stesso tempo ridendo poi come una pazza.

< Io sto bene Mal > risposi sorridendo < Te piuttosto? Com’è Torino senza di me? > domandi sapendo già la risposta che mi avrebbe dato.

< Terribilmente cupa e noiosa > rispose infatti sbuffando sonoramente e strappandomi un’altra risata < Però io non ti ho chiamata per parlare di come sia Torino > disse poco dopo fingendo un tono malizioso e offeso al contempo.

< Ah, no? > chiesi fingendo ingenuità.

< No, signorinella > mi riprese lei mettendo su un tono da vera maestrina < Ti ho chiamata per sapere com’è Londra e se ti è già successo qualcosa di straordinario > disse.

Io sorrisi di rimando a quell’affermazione e mi preparai a confessarle tutto della notte precedente. In fondo lei era la mia migliore amica, era giusto sapesse quanto fossi stata cogliona.

< A dire la verità si > cominciai un po’ esitante venendo però bloccata subito dopo dall’esclamazione di stupore di Mal.

< Come sarebbe a dire si? > domandò sorpresa che una come me potesse avere novità da raccontare.

< Beh, ieri sera sono finita a letto con uno sconosciuto > dissi tutto d’un fiato senza nemmeno respirare e attendendo una risposta che però tardò ad arrivare.

< Mal, ci sei ancora? > domandai sentendo silenzio.

< Ma è una cosa straordinariaaaa > strillò rischiando di perforarmi un timpano per riempirmi poi con le sue solite domande a raffica.

< Come si chiama? Quanti anni ha? È bello? > domandò tutto d’un fiato.

Io me la immaginai saltellare per tutta la stanza in preda a spasmi muscolari, sorridente e felice. A quel pensiero sorrisi.

< Dunque > cominciai ingoiando a vuoto < Si chiama Harry, ha diciotto anni e sì, è davvero bellissimo > dissi ritrovandomi a sorridere come un’idiota al ricordo di lui che mi baciava.

Cazzo Isobel, contieniti!

< Mmmm, quando lo rivedrai? > domandò facendosi sospettosa.

< Mai temo > risposi con un filo di voce < Gli ho lasciato un biglietto dicendo che era stato tutto uno sbaglio e me ne sono andata > spiegai pregando che non si mettesse a sgridarmi per telefono.

< Isobel Camille Valentini, sei per caso impazzita? > strepitò dall’altra parte del telefono. Ecco, lo sapevo. Quando usava il mio nome completo non era mai un buon segno. Se fossi stata davanti a lei mi sarei sicuramente beccata uno scappellotto dietro la nuca, ed anche piuttosto forte aggiungerei.

< No Mal, lo sai > sospirai sconsolata < Penso ancora a Luca e poi comunque è davvero stato uno sbaglio. Comunque ne riparliamo stasera, ti chiamo io, ora devo andare che tra poco ho lezione > dissi per evitare di sorbirmi la predica su quanto Luca fosse stato stronzo e su quanto non mi meritasse < Ti voglio bene > dissi ed attaccai.

Riposi il cellulare nella tasca della borsa ed entrai in cucina notando che, la quasi totalità dei ragazzi, era già seduta a tavola consumando ognuno la propria colazione.

Individuai Victor quasi subito. Dopotutto era piuttosto visibile in mezzo agli altri.

< Ehi > mi salutò quando gli fui di fronte < Meglio? > chiese poi strizzandomi l’occhio.

< Sì > risposi arrossendo leggermente e afferrando una fetta di pane tostato su cui spalmai della nutella < Grazie ancora > aggiunsi dopo qualche istante calamitando la mia attenzione sulla TV che in quel momento era sintonizzata su MTV.

Stavano trasmettendo il video di una band inglese nata da poco quando la mia attenzione si focalizzò sul cantante ricciolino che sorrideva alla telecamera assumendo pose ed espressioni davvero buffe.

Pochi secondi dopo sentì un esclamazione poco signorile fuoriuscire dalle labbra del biondo di fronte a me rendendomi conto, solo in quel momento, di avergli sputato il succo d’arancia in faccia.

< Oddio scusa > balbettai imbarazzata per la pessima figura e sconvolta per la scoperta appena fatta.

< Si può sapere che ti prende? > domandò pulendosi la faccia con un tovagliolo e cercando di asciugarsi il colletto della polo.

< Harry > riuscì solo a mormorare.

< Si, Harry > convenne lui annuendo come se stesse parlando con una bambina < E allora? > aggiunse non riuscendo a decifrare la mia espressione stralunata.

< No, Victor > dissi scuotendo la testa < Harry > aggiunsi indicando lo schermo del televisore su cui troneggiava un suo primo piano.

< Sì è Harry Styles dei One Direction, mia sorella ne è innamorata > disse annuendo piano.

< Non capisci > dissi ancora < Harry è Harry > spiegai cercando di essere il più chiara possibile usando quelle poche parole che mi passavano per la testa in quel momento.

< Eh? > domandò storcendo il naso.

< Harry è Harry Styles > dissi ancora cercando di essere il più espressiva possibile. Finalmente il biondo sembrò capire perché spalancò gli occhi e proruppe in un acutissimo < Coooosa? >

< Non urlare > lo implorai tirandolo per il colletto della polo < Sono andata a letto con Harry Styles > aggiunsi guardandolo negli occhi chiari.

< Oh, ragazza > fece lui sorridendo malizioso < Questa sì che si chiama sfiga > aggiunse addentando una fetta di pane tostato.

 

***

Da quando avevo ricevuto quella specie di due di picche da parte di Isobel non facevo altro che pensare a lei. Giorno e notte, notte e giorno.

Era un pensiero fisso e costante che mi accompagnava in ogni santissimo momento della giornata.

La mattina a colazione, durante le prove in sala registrazione, nel pomeriggio durante i servizi fotografici con i ragazzi o le interviste, la sera nei locali e persino a letto con le altre.

Non potevo compiere un passo senza che i suoi occhi mi venissero a trovare. Più che sogno proibito si stava trasformando in un incubo!

Santissimo Dio, dovevo assolutamente rivederla se non volevo impazzire.

< Harry > mi chiamò la ragazza che avevo rimorchiato mezz’ora prima cominciando a strusciarsi < Andiamo a ballare? > domandò avvicinando le labbra al mio orecchio e mordendomi il lobo.

Bevvi l’ultimo sorso di rum rimasto nel bicchiere e poi mi lanciai in pista con quella biondina tutto pepe.

Ovviamente era bellissima, occhi castano dorati, capelli biondo oro e fisico da far invidia ad una modella ma non era lei.

Dannazione Hazza, piantala!

Se volevo divertirmi e godermi quella serata dovevo smetterla di pensare ad Isobel e concentrarmi invece su… Tania? Mary? No, Ashley. Ecco come si chiamava la bionda!

Iniziai a muovermi a tempo afferrando la ragazza per i fianchi e tirandola verso di me in modo da far combaciare i nostri bacini.

Continuai a ballare appiccicato a quel corpo da urlo fino a che la musica non cessò e il locale cominciò a svuotarsi.

A quel punto la presi per mano e la condussi fuori dalla discoteca dove ad aspettarci c’era la macchina della troupe.

< Ragazzi io vado a casa > dissi a Louis prima di aprire la portiera della macchina e salire seguito dalla biondina.

< E noi come torniamo? > domandò Zayn preoccupandosi seriamente di poter rimanere a piedi.

< Prendete un taxi > risposi io alzando le spalle ed indicando Ashley in modo che capissero.

Il moro infatti, dopo aver osservato per bene la ragazza, annuì divertito e tornò a parlare con gli altri mentre io dicevo all’autista di partire.

< Sei molto più alto di quello che sembri > affermò la ragazza sorridendo divertita.

< E non è l’unica cosa a sembrare più grande > dissi provocatorio passandole una mano sulla gamba nuda e facendola ridere.

Aveva una risata davvero orrenda, sembrava di sentire uno stormo di campane stonate. 

Quella di Isobel era tutta un’altra cosa. Ancora lei? Basta Harry, dimenticala e pensa invece a farti questa qui!

Giusto, dovevo concentrarmi su Ashley e su quello che avrebbe potuto darmi da lì a pochi minuti.

< Siamo arrivati? > domandò una volta che l’auto si fu fermata davanti alla porta della casa che condividevo con i ragazzi.

< Sì > annui facendola scendere e cominciando a baciarla. Sapeva di Mojito. Bleah, che schifo!

In fondo però che importava? Me la sarei solo dovuta scopare e poi arrivederci e grazie.

Potevo sopportare il sapore di Mojito se questo voleva dire una notte di sesso.

< Andiamo nella mia stanza > le dissi trascinandola lungo il corridoio buio e facendola entrare nella mia camera.

< Harry non vedo niente > si lamentò < Accendi la luce così vedo quel che faccio > 

Lei la luce non l’aveva voluta, lei aveva preferito il buio.

Scossi la testa per eliminare il pensiero di Isobel e della sua voce che mi sussurra di lasciare spenta la luce e passai invece ad esplorare il corpo di quella ragazza spogliandola ben presto del vestitino nero che indossava.

In pochi minuti eravamo entrambi nudi ed eccitati.

Sentivo che non sarei più riuscito a controllarmi così entrai in lei con movimenti bruschi. 

La sentivo gemere e fremere sotto di me mentre, ormai al culmine del piacere, mi lasciavo andare accasciandomi sul materasso a respirare affannosamente.

< E’ stato bellissimo > disse lei avvicinandosi e lasciandomi un leggero bacio sulle labbra per poi accoccolarsi sul mio petto.

Per quanto cacciarla di casa mi dispiaceva, no non è vero, non mi dispiaceva affatto, dovetti mandarla via.

< Senti Ashley > cominciai puntellandomi sui gomiti e fissandola negli occhi < Dovresti andare via, domani mattina ho un servizio con i ragazzi e devo svegliarmi presto >

Nel suo sguardo vidi passare stupore, incredulità, rabbia ed infine dolore. Ci era abituato ormai, succedeva tutte le volte che mi portavo una ragazza a casa. Prima ci facevo sesso e poi le mandavo via spezzando i loro cuori. Poco mi importava se in questo modo raggiungevo il mio scopo.

Solo una volta era successo l’esatto opposto e quello che si era ritrovato nudo e solo in un letto, con lo sgomento e la sorpresa dipinti negli occhi, ero io. 

Isobel, ancora e sempre lei, era stata l’unica ad abbandonarmi nel cuore della notte ritenendomi un terribile sbaglio che non avrebbe mai dovuto commettere.

Purtroppo avevo capito che togliermela dalla testa era una cosa tanto impossibile quanto folle, perciò mi rimaneva solo una cosa da fare, e per farla mi sarebbe occorso l’aiuto degli altri.

Aspettai che Ashley fosse pronta e poi, con indosso solo un paio di boxer, l’accompagnai alla porta precipitandomi poi in camera da Louis con la speranza che fosse già a casa.

Qualcuno lassù dovette ascoltare le mie preghiere perché, sommerso da una quantità industriale di coperte e con un pupazzo a forma di carota stretto tra le braccia, dormiva il mio miglior amico.

< Louis > lo chiamai sedendomi sul letto e scuotendolo leggermente per richiamare la sua attenzione < Louis sveglia > continuai.

< Mmm, ancora cinque minuti Hazza > mormorò con la voce impastata voltandosi dall’altra parte del letto per nascondere la faccia tra i cuscini.

< Ti ho portato una carota > azzardai sorridendo.

< Dove? > domandò tirandosi a sedere più sveglio che mai.

Sapevo che avrebbe funzionato. Risi maligno.

< Oh, Harry sei uno stronzo > disse quando si accorse della totale assenza di carote.

< Anche io ti voglio bene > mormorai sistemandomi meglio sul materasso e passando ad elencare il mio piano < Voglio ritrovare Isobel >

Louis mi guardò scettico e poi scoppiò in una delle sue risate coinvolgenti.

< Sono serio > dissi per convincerlo.

< Davvero? > domandò placandosi e prestandomi finalmente attenzione.

< Certo > asserì < Avevi ragione, quella ragazza mi piace come non mi è mai piaciuto nessuno e… e non faccio altro che pensarla > ammisi in imbarazzo.

< Oh, che cosa carina Harry > fece lui sorridendo estasiato.

< Ok, ora però non gasiamoci troppo > dissi io cercando di non sembrare troppo melenso < Voglio ritrovarla perché non posso continuare così. Insomma penso costantemente a lei. Devo rivederla > 

Il mio migliore amico mi guardò, mi passò un braccio in torno alle spalle e poi cominciò ad urlare i nomi di tutti i ragazzi per svegliargli e annunciargli la lieta novella.

A volte quel ragazzo sapeva essere davvero irritante, ma rimaneva comunque il migliore!

 

 


 

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Capitolo 10
*** Di incontri e di sensazioni ***


ANGOLO AUTRICE:
Bentornateee piccole carotine :) Chiedo scusa per il ritardo, vi imploro di perdonarmi! Ringrazio chi legge in silenzio e chi invece commenta ma tornando a noi direi che è il momento di parlare del capitolo. Dunque, dal giorno del loro incontro è ormai passata più di una settimana, settimana in cui non si sono più visti e in cui il bel riccio non ha fatto altro che pensare ad Isobel. Stessa cosa possiamo di Isobel, per quanto voglia farci credere che la notte passata con il riccio non ha avuto importanza, sappiamo benissimo che non è così.
In qualche modo Harry l'ha attratta sin da subito, e sin da subito, ha sentito qualcosa di particolare nei suoi confronti. Stessa cosa accade quando, per caso, si incontrano ad una signing (non so se è scritto giusto, nel caso fosse sbagliato chiedo perdono ) che i ragazzi tengono in un negozio dell'Ambercrombie. Quei due sono in qualche modo indissolubili! Se siete curiosi di scoprire come prosegue a vicenda, restate con me!
Alla prossima, Sybeoil!


Capitolo 9

 

 

 

 

 

La prima settimana era passata senza tanti problemi. Dopo aver scoperto la vera identità di Harry avevo deciso di dedicarmi esclusivamente allo studio e a me stessa. 

La mattina la dedicavo alla scuola, andando a lezione di inglese migliorando sempre più la mia pronuncia e la mia conoscenza della terminologia, mentre il pomeriggio lo passavo per le vie di Londra alla ricerca di qualcosa che nemmeno sapevo di volere.

In quei sette giorni avevo svaligiato almeno due negozi di souvenir. Avevo comprato di tutto e di più, a partire dalle tazze con la bandiera inglese dipinta sopra ad arrivare ad un quadretto che ritraeva William e Kate. Insomma, mi comportavo da brava turista!

Victor, divenuto ormai il mio migliore amico, mi seguiva ovunque come un ombra. Spesso vedevo delle ragazzine voltarsi al suo passaggio e sorridergli maliziose e istintivamente mi sorgeva spontanea una risata. Se solo avessero saputo verso dove, o meglio chi, erano orientati i gusti sessuali di Victor non avrebbe riso così tanto.

Ad ogni modo lui ricambiava sempre i sorrisi delle ragazzine con vere e proprie risate divertite per poi, prendermi per mano e spacciarmi per la sua ragazza.

Divertente, vero?

Non so bene per quale motivo ma non avevo più messo piede ad Hyde Park dalla sera in cui ci avevo incontrato Harry. So che forse era stupida come idea, però credevo che attraversando quell’immenso parco che avevo sempre amato, avrei potuto ritrovarmi i suoi occhi verdi a pochi centimetri dai miei e le sue labbra ancora una volta sulle mie.

Il russo, per mia fortuna, non faceva domande limitandosi ad assecondare le mie stupide scuse e scegliendo vie alternative per arrivare al collegio.

< Sai i One Direction terranno un concerto domani sera > disse all’improvviso Victor mentre passeggiavamo davanti a Buckingam Palace con un cappuccino di Sturbucks stretto in mano.

< Uh? > grugnì alzando la faccia dal bicchiere di cartone fumante e provocando una risata nel biondo.

< Sei buffissima > commentò tornando serio qualche istante.

< Lo so, ma non c’è bisogno di essere così cattivi > affermai fingendomi offesa e mettendo su un broncio che non fece altro che farlo ridere di più.

< Hai tutta la schiuma appiccicata alle labbra > spiegò indicando la bocca e porgendomi un fazzolettino di carta. 

Presi il fazzoletto, lo ringraziai e cominciai a ripulirmi la faccia. Ero proprio un disastro a volte.

Superato il palazzo reale ci dirigemmo verso una via abbastanza trafficata di cui non ricordo mai il nome ma che adoro. Passando davanti ad uno dei tanti teatri di Londra vidi appeso un poster gigante dei nuovi idoli delle ragazzine. 

I cinque ragazzi che formavano la band inglese di maggior successo degli ultimi dieci anni (?) troneggiavano con i loro sorrisi sulle teste della gente.

C’era l’irlandese, il cattivo ragazzo di Bradfor, il ragazzo con la sindrome di Peter Pan, il “papà” del gruppo ed infine c’era lui. Il ricciolo, il puttaniere, il più bello e dannato del gruppo. Alla fine c’era Harry.

Li osservai qualche istante, soffermandomi qualche secondo di più sul sorriso da copertina del ricciolino, e poi proseguì lungo la mia strada lasciando dietro di me solo un sospiro di delusione.

In fondo con lui mi ero travata bene, ci avevo parlato, ci avevo riso e ci avevo scherzato. Era la prima volta dopo mesi, che riuscissi a stare così bene con un ragazzo senza chiudermi troppo in me stessa o senza rivedere in lui Luca. Beh, forse questo non era del tutto vero, in fondo in un primo momento lo avevo paragonato al mio ex però alla fine ero riuscita a vederlo come Harry e basta.

< Ehi dolcezza! > mi richiamò il biondo passandomi un braccio muscoloso dietro le spalle e facendomi ridere.

< Si, my darling? > lo sbeffeggiai sorridendo divertita da quella familiarità che si era venuta a creare in così poco tempo.

< Che succede? Rimpianti? > chiese ammiccando malizioso e indicando il poster ormai alle nostre spalle.

< No, stavo semplicemente pensando che era la prima volta in cui, uscendo con un ragazzo, non pensavo solo al mio ex > ammisi sospirando e bevendo un altro sorso di cappuccino.

< Ahi, ahi, ahi > disse lui guidandomi fin dentro il negozio dell’Ambercrombie < Non è una buona cosa > aggiunse cominciando a guardarsi in torno con gli occhi a cuoricino.

< Lo so > dissi semplicemente sciogliendomi dall’abbraccio e osservandolo divertita < Divertiti va, io vado a dare un’occhiata al reparto femminile > aggiunsi cominciando a salire le scale dell’immenso negozio.

Arrivata al piano dedicato al reparto femminile fui letteralmente travolta da una cascata di flash e ragazzine urlanti e sovraeccitate.

Ma che diavolo stava succedendo? E pensare che io volevo semplicemente comprare una maglia e un pantalone in santa pace.

Solo dopo qualche istante, in cui combattei contro spintoni e calci, mi accorsi della tragicità della situazione e di ciò che stava succedendo.

I One Direction, Harry compreso (ovvio), stavano tenendo un signing proprio da Ambercrombie.

Non volevo vederlo, non volevo assolutamente rivederlo. Dovevo andarmene da quel posto, da quel reparto e magari anche da Londra.

Stavo giusto per imboccare le scale dalle quali pochi istanti prima ero salita quando venni risucchiata dalla coda di ragazzine urlanti e spintonata in avanti.

< Ehi ma che diavolo…? > urlai ad una bambina di circa dodici anni con le lacrime agli occhi e il nome di Harry stampato sulla fronte a caratteri cubitali.

< Che c’è? > disse quasi ringhiando e guardandomi malissimo.

< Niente > risposi capendo che era meglio far finta di niente, farsi fare due stupidi autografi che poi avrei regalato a Victor per sua sorella e andarmene.

Se solo mi fossi mossa dalla fila, ne sarei uscita livida.

Lentamente, molto lentamente, la fila si mosse e finalmente giunsi a pochi metri dal tavolo sul quale i ragazzi firmavano gli autografi e collezionavano i regali che le fan gli portavano.

Io non avevo cd, borse, dvd o quant’altro da far firmare, così afferrai la mia agenda dalla borsa e la tenni stretta in mano.

Finalmente, non ne potevo più di aspettare per due stupidi autografi che manco volevo, l’ultima fan prima di me si allontanò ed io potei andare dai ragazzi.

A vederli dal vivo sembravano molto più normali di quanto apparissero in tv o sui giornali.

Il moro, credo si chiamasse Zayn, era decisamente il più tamarro del gruppo. Portava i capelli con uno strano ciuffo alla Elvis che però, devo ammetterlo, gli donava particolarmente. 

< Ciao > mi sorrise mostrando una schiera di denti bianchissimi e drittissimi che rischiò di accecarmi.

Rispondergli con un sorriso mi venne spontaneo.

< A chi devo fare questo autografo? > domandò mantenendo sempre la stessa espressione.

< Isobel > mi limitai a rispondere fissando il suo profilo squadrato e beandomi di quella vista.

< Ecco a te, Isobel > disse dopo qualche secondo porgendomi l’agenda e sfiorandomi le dita < Ho sempre amato l’Italia > aggiunse prima di strizzarmi l’occhio e passare alla prossima fan.

Io lo osservai un po’ sbigottita per quell’affermazione e poi passai oltre. Accanto a lui, sorridente come sempre, c’era l’unico irlandese del gruppo. Mi pare si chiamasse Niall, ma non volevo sbagliarmi.

< Ciao bellissima > mi salutò baciandomi la mano e facendomi arrossire. So che sicuramente era una specie di rito che ripeteva per ogni fan, però quel gesto così casto e delicato, mi fece emozionare.

< Nome? > chiese poi fissando i suoi occhi blu oceano nei miei.

< Isobel > risposi con un filo di voce. 

Ma che mi stava succedendo? Possibile che quei ragazzi avessero quell’effetto su di me?

< Nome stupendo > constatò mentre con movimenti sicuri e fluidi imprimeva il suo nome sulla mia agenda.

< Grazie > dissi e mi dileguai. Quegli occhi mi mandavano in confusione.

Fu il turno di quello che tutti chiamavano il “Papà” del gruppo perché il più responsabile e maturo.

< Ciao > disse con la sua voce calda e rassicurante. Credo che se fossi morta cullata dalla sua voce, sarei morta felice.

Isobel, insomma!! Che ti sta succedendo, piantala immediatamente. Tu non sei fan di questi ragazzi e non perché la loro musica faccia schifo, ma perché tra loro c’è il ragazzo con il quale sei finita a letto e che non vuoi mai più rivedere.

Come anche per gli altri due, dissi il mio nome al ragazzo, lasciai che firmasse la mia agenda e poi passi a quello del gruppo che era affetto dalla sindrome di Peter Pan.

Louis mi squadrò con i suoi occhi azzurro cielo e poi sorrise divertito.

< Che c’è? > domandai un po’ più bruscamente di quanto volessi.

< Niente > rispose lui sogghignando divertito < Nome? > chiese continuando a sorridere e facendomi salire il nervoso.

< Isobel, mi chiamo Isobel > ringhiai arrabbiata.

Vidi due teste alzarsi in sincrono. Una era quella di Louis che mi stava firmando l’autografo e l’altra era quella di Harry seduto al suo fianco.

Quando i suoi occhi incontrarono i miei vidi la sorpresa impossessarsene e non abbandonarli più.

< Isobel? > domandò Louis con l’espressione di uno che ha appena visto il fantasma dell’opera o magari un mago compiere una magia.

< Problemi? > domandai acida. Non mi piaceva sentirmi sotto esame, soprattutto se questo voleva dire essere giudicata da persone che non ritenevo degne della mia stima.

< Io nessuno > rispose vago < Ma credo che tu ne abbia procurati parecchi al mio amico > aggiunse facendomi l’occhiolino ed indicando un Harry ancora sorpreso.

Purtroppo non ebbi il tempo di replicare perché una fan mi diede un colpo di bacino da far invidia a Shakira ed io finì davanti ad Harry.

< Ciao > dissi imbarazzata. 

< Ciao > rispose lui sorridendo. Perché diavolo doveva sorridere? Non poteva starsene fermo ed immobile? E soprattutto non poteva essere orrendamente orrendo, tipo avere quattro orecchie o venti occhi?

< Credo tu mi debba delle spiegazioni > disse prendendomi l’agenda dalle mani e cominciando a scriverci sopra un papiro.

< Non credo proprio > replicai incrociando le braccia < E comunque qui quello che deve delle spiegazione a qualcuno, sei tu > ringhiai indicandolo.

< E perché mai? > disse lui con nonchalance.

< Come perché? > dissi un po’ troppo forte. 

< Abbassa la voce > fece infatti lui < Ti ho scritto tutto qui > aggiunse indicando l’agenda chiusa.

< Certo come no > risposi semplicemente io afferrandola e rigettandola negli abissi profondi della mia borsa.

Prima che potessi allontanarmi da quel reparto, da quel dannato negozio e da lui, mi afferrò il polso e mi baciò la mano.

Lo stesso identico gesto che poco prima aveva compiuto il suo amico, solo che questa volta non pensai alle margherite in un prato verde o agli unicorni. Stavolta pensai a qualcosa di davvero meno puro.

Dannato Styles dei miei stivali! 

 

***

A volte il mio lavoro sapeva essere davvero irritante, almeno tanto quanto lo era quel cretino di Louis e il suo vizio di svegliare tutti a suon di padellate. Dico io, si può essere più stupidi di così?

Certo che no, Harry, come si potrebbe?

< Dio, Louis ti prego scendi dal letto e smettila di battere sulla padella > grugnì ancora mezzo addormentato.

< Oh, dormiglione svegliaaa!! > gridò lui di rimando prendendo a saltarmi addosso e ad imitare il verso di una scimmia.

Solo io potevo ritrovarmi un migliore amico come lui.

< Ti odio > ringhiai emergendo dalle coperte e mettendomi a sedere sul materasso ancora caldo.

< No, mi ami > disse invece lui scendendo dal letto e riprendendo a battere quell’orrendo cucchiaio di legno sulla padella.

Quella mattina io e i ragazzi avremmo dovuto tenere una signing in uno dei tanti negozi dell’Ambercrombie di Londra e come al solito ci sarebbe stato il delirio.

Non fraintendetemi, amo le mie fan, però a volte sono un tantino isteriche o psicologicamente instabili.

Insomma, che bisogno c’è di regalarmi reggiseni o slip? Cosa credono che li colleziono? Ma nemmeno per sogno, li butto tutti!

Anche se a dirla tutta qualcuno lo conservo in fondo al cassetto della biancheria intima nel caso una delle tante ragazze che porto a casa la sera dovesse perdere i propri.

Indossando solo un paio di boxer neri mi diressi verso il bagno ed aprì l’acqua della doccia per lasciarla scorrere.

Aspettai qualche minuto, che passai osservando i miei meravigliosi ricci e il mio meraviglioso volto allo specchio, e poi mi lasciai andare sotto il getto caldo della doccia.

Ancora una volta nei miei pensieri si affacciarono gli occhi di quella stramaledetta ragazza. Da sogno proibito si stava trasformando in incubo.

Uscì dal box doccia più scocciato di quando ci ero entrato, mi avvolsi un asciugamano intorno alla vita e tornai in camera per decidere cosa mettermi.

Aprì il grande armadio a muro e lasciai vagare lo sguardo tra la serie di camice e pantaloni.

Alla fine scelsi un pantalone quasi classico beige, una camicia azzurro chiaro ed una giacca blu scuro. Alle scarpe ci avrei pensato dopo.

Mi vestì in fretta ed altrettanto in fretta asciugai i capelli in modo da potermi poi dedicare alla scelta delle scarpe e del profumo da mettermi.

Riguardo al profumo scelsi in fretta, CK sarebbe stato più che perfetto, mentre per le scarpe ero combattuto tra un paio di mocassini blu scuro in camoscio ed un paio di vans bianche. 

Dopo estenuanti minuti di lotta interna tra me e me, scelsi i mocassini blu e scesi di sotto in cucina con gli altri.

Feci una rapida colazione con latte e cereali e poi tornai di sopra per lavarmi i denti e preparami la borsa con l’occorrente.

In fondo sarei stato fuori quasi tutto il giorno, come minimo erano d’obbligo alcune cose essenziali.

< Hazza muovi il culo > le solite parole fini di Zayn mi raggiunsero dal piano di sotto dove dovevano essere già tutti riuniti.

< Arrivo > gridai di rimando chiudendo al volo la borsa e precipitandomi di sotto dove trovai tutti i ragazzi e Paul intenti ad aspettarmi.

< Scusate > dissi abbozzando un sorriso che però solo Louis ricambiò.

< Molto bene > fece Paul autoritario < Possiamo andare >

Dopo averci fatto uscire si assicurò di aver chiuso la porta a chiave e poi ci raggiunse nell’androne del palazzo all’esterno del quale erano già appostati una trentina di fotografi.

Mai una volta che ci lasciassero in pace!

Arrivammo alla macchina sani e salvi e altrettanto sani raggiungemmo l’Ambercrombie che quel giorno sembrava essere stato preso d’assalto.

Ragazzine di tutte le età, dai nove ai venti due anni, premevano contro le porte ancora chiuse del negozio in attesa di guadagnarsi un nostro fondamentale autografo.

Alcune avevano la faccia dipinta per metà con la bandiera inglese e per metà con quella irlandese, altre avevano il nome di uno di noi scritto sulle guance o sulla fronte mentre alcune addirittura, si erano interamente dipinte con i colori delle due bandiere.

Una squadra piuttosto nutrite di guardie del corpo ci scortò fino al reparto donna in cui avremo tenuto la signing e, dopo essersi assicurati che non correvamo rischi, aver sistemato gli ultimi dettagli e chiarito le condizioni di lavoro con noi, diedero il permesso di aprire il negozio.

Immediatamente il locale fu invaso dalle grida isteriche delle nostre fan e da altrettanti paparazzi desiderosi di coglierci in un momento imbarazzante o peggio.

Per nostra fortuna tutto filò liscio. Firmammo una quantità immane di autografi, ricevemmo ogni genere di regalo (dal pupazzo ad un preservativo con tanto di dedica) ed ogni sorta di proposta.

Io sorridevo e annuivo ad ogni cosa che le fan dicevano, ma in realtà non vedevo l’ora di scappare da quel marasma, rinchiudermi in camera e pensare ad un modo per ritrovarla.

A quanto pare però, chiunque sia a sedere lassù, quel giorno aveva deciso di darmi una mano.

Non mi accorsi subito della sua presenza impegnato com’ero nel firmare autografi, lasciarmi fotografare e sorridere, ma quando sentì una voce dolce ringhiare a Louis il suo nome scattai.

Isobel, finalmente l’avevo trovata.

Quella mattina era anche più bella di quando, una settimana prima, era uscita con me.

Non indossava nulla di particolare, anzi, il suo abbigliamento era nettamente sobrio e composto eppure aveva qualcosa che la rendeva sexy ed eccitante.

Sarà stata quella sua maglia rosa chiaro un po’ slabbrata e leggermente trasparente o magari quei suoi jeans attillati, fatto sta che il sangue cominciò a fluirmi solamente più in una direzione. E non era il cervello!

Dopo che Louis le ebbe firmato la sua agenda passò a me. Mi salutò con un semplice ciao, forse un po’ scocciato, e poi mi porse l’agenda.

Cominciai a scrivere ciò che avrei voluto dirle ma che non potevo per ovvi motivi.

Le feci anche una battuta che immaginò non gradì molto ed in effetti lei rispose in modo acido e scontroso. Quando si arrabbiava diventava ancora più bella.

Terminai quello che probabilmente era il discorso più lungo che abbia mai scritto e gli riconsegnai l’agenda che, molto frettolosamente, ripose all’interno della borsa. Mi fissò un’ultima volta negli occhi e poi fece per andarsene. Prima di lasciarla andare via da me, di nuovo, la presi per il polso e le bacia la mano. Non lo avevo fatto con nessun’altra fan.

Avevo bisogno di quel contatto per capire se il mio desiderio di rivederla era legato solo al fatto che fosse stata l’unica ad abbandonarmi nel cuore della notte o perché c’era qualcosa che andava oltre.

Evidentemente, c’era qualcosa che ne io ne lei potevamo capire, perché ciò che sentì mentre la mia mano stringeva la sua fu elettricità.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** Di sorprese e di coincidenze ***


ANGOLO AUTRICE:

Buonaseraaaaaaaaaaaaaaaaa! Finalmente sono riuscita a trovare mezz'oretta per pubblicare questo decimo capitolo. *sorride come un ebete davanti allo schermo* Ok si, sono da ricoverare! Maaaa tornando a noi direi che questo capitolo è decisamente lungo, cosa per cui chiedo scusa, e decisamente divertente. Viene anche inserito il punto di vista di Louis, che fa un po' da punto di vista esterno alla situazione, portando una ventata d'allegria. Oltre che un ulteriore complicanza nel rapporto Isobel-Harry già di per se strano e complicato.
Riuscirà il riccio a riconquistare la bella italiana a cui sembra non importare un fico secco di lui? Se siete curiosi restate con me in attesa del prossimo capitolo.
P.S Vi comunico già che il prossimo capitolo potrebbe essere pubblicato molto tardi causa impegni scolatici. AH, dimenticavo! Ogni commento è più che gradito. :)


 

Capitolo 10

 

 

 

 

 

 

Siano lodati gli Dei, Allah, Budda e chiunque ci sia lassù. Finalmente riuscì ad uscire da quel caos. Certo, guadagnai la mia dose di lividi, calci e gomitate, ma alla fine uscì da quel negozio sulle mie gambe e per di più con uno strano sorriso sul viso.

No! Non sorridevo per il fatto che avevo rivisto Harry, che mi aveva firmato la mia onnipresente agenda e che mi aveva sorriso.

Certo che sorridi per quello, idiota!

Ehi! Non sorrido per quello ma per il fatto che sono ancora viva.

Vallo a raccontare a qualcun altro. Ti ricordo che stai parlando con la tua conoscenza.

Non sorrido per lui, chiaro? E poi chi cavolo ti ha interpellato? Taci che è meglio.

< Bell? > mi voltai in direzione della voce che chiamava il mio nome avvistando uno sconvolto Victor farsi largo tra un branco di ragazzine.

< Ma che diavolo succede? > chiese una volta che mi ebbe raggiunta.

< Semplice > risposi ammiccando divertita per la sua espressione < I One Direction stanno tenendo una di quelle cose in cui si firmano autografi e tutti impazziscono > dissi decisa.

< Una signing? > chiese confuso.

< Si quella cosa lì > confermai annuendo e spostandomi per lasciare passare un gruppetto di ragazzine disperate < Senti che ne dici se andassimo a casa? > 

Il biondo mi guardo con occhi da cucciolo disperati, segno che di andare a casa non ne aveva nessuna voglia, facendomi il labbrino.

Lo odiavo quando faceva così! Non poteva farmi quella faccia da cucciolone, per di più in mezzo alla strada, e credere che non lo accontentassi.

< Lo sai vero che ti odio quando fai così? > sbottai cominciando ad incamminarmi per tornare indietro.

< Io invece ti amo > urlò inseguendomi e afferrandomi per i fianchi per poi sollevarmi per aria come fossi una piuma.

< Mettimi giù > ordinai cominciando a ridere e stuzzicando il sorriso di una vecchia coppia poco lontana da noi.

< Nemmeno per sogno > rispose lui continuando a farmi il solletico e a sollevarmi in aria < Io adoro questa ragazza! > urlò a squarciagola.

< Dai che mi vergogno > mormorai tra una risata e l’altra convincendolo finalmente a farmi scendere e a lasciarmi in pace.

< Ok, ma solo perché sei tu > disse schioccandomi un bacio sulla guancia e prendendomi per mano.

< Dove andiamo? > domandai esasperata ma divertita allo stesso tempo.

< Ci facciamo un giro sul traghetto del Tamigi? > chiese con gli occhi a cuoricino che pulsavano.

Quel ragazzo era davvero adorabile!

< Va bene, ma voglio arrivare a casa presto che voglio farmi una doccia. Quelle dannate ragazze mi hanno uccisa > aggiunsi lanciando uno sguardo di puro astio all’edificio dell’Ambercrombie.

< Sì mamma > esclamò con voce da bambino il biondo tirandomi per il polso e obbligandomi a correre.

 

Arrivammo ad una stazione di traghetti circa venti minuti dopo e il biondo, accorgendosi che stavano già imbarcando, scattò in avanti per fare i biglietti e riuscire a salire sulla nave.

Io lo seguì con decisamente meno entusiasmo ma un sorriso sincero sul viso stanco.

Mentre stavo salendo a bordo della nave però, grazie alla mia immensa goffagine che mi seguiva come un’ombra, rischiai di cadere. Per fortuna riuscì a rimanere in piedi, anche grazie all’aiuto miracoloso di un ragazzo che era salito prima di me, rovesciando in acqua solo l’agenda che conteneva metà della mia vita, il discorso di Harry e il vecchio lucidalabbra.

< Dannazione > imprecai osservando il piccolo rettangolo in pelle andare affondo nelle acque scure del Tamigi.

< Che succede? > chiese Victor spuntando dietro le mie spalle e allungando il collo per osservare il punto in cui era appena sparita la mia agenda.

< Ho perso l’agenda > dissi sconsolata < C’era la mia vita dentro e anche il discorso di Harry > ammisi imbarazzata.

< Il cosa? > strillò afferrandomi per le spalle e voltandomi nella sua direzione in modo da avercelo di fronte.

< Oggi da Ambercrombie > cominciai a spiegare dirigendomi verso il parapetto della piccola imbarcazione < C’erano i One Direction e senza volerlo mi sono ritrovata in fila per degli autografi. Harry mi ha visto e mi aveva scritto delle cose che ora non potrò mai sapere > 

< Oooh, la mia piccina è cotta e stracotta > cominciò a mormorare con sguardo sognante dondolando come un’idiota.

< Sei un cretino > dissi ridendo e spingendolo da parte per allontanarmi immersa nei miei pensieri.

Passai i restanti trenta minuti così, appoggiata al parapetto della piccola imbarcazione, con gli occhi fissi all’orizzonte e il cuore pesante per chissà quale stupido motivo.

Santissimo cazzo, io sono Isobel, sono forte, decisa e di certo non molliccia come invece sembro.

Giusto Bell, tu sei cazzuta, dimostralo!

Hai ragione, d’ora in poi basta piangersi addosso. Basta pensare a Luca, basta pensare ad Harry. 

Certo Bell, ci crediamo tutti. 

Oh, insomma! Piantala, ho detto basta Harry.

Vedremo chi avrà ragione, vedremo!

 

***

 

Quella era stata forse, anzi sicuramente, la signing più stancante della mia intera carriera. Le fans sembravano tutte uscite da un colorificio tanto si erano pitturate faccia e mani. Lo avevo anche fatto notare a Louis il quale mi aveva osservato e poi era scoppiato a ridere provocando una serie di urletti nelle ragazze in coda. 

< Se continui così rischi di ucciderle > mormorai al suo orecchio dopo aver notato una ragazzina piangere a dirotto e osservarlo come si osserva l’acqua nel deserto.

< Almeno io non infrango i loro piccoli e teneri cuoricini > ribatté lui facendomi l’occhiolino e tornando a concentrarsi sulla ragazza che gli si era piazzata davanti.

< Sei ingiusto > mormorai mettendo su un finto broncio che, prontamente, venne catturato da uno dei tanti paparazzi presenti.

< Comunque niente male l’italiana > aggiunse lanciandomi uno sguardo divertito e malizioso insieme.

< Lo so > mi limitai a rispondere < Ma non credo mi scriverà > aggiunsi sconsolato. Per la prima volta nella mia vita sarei stato snobbato non una, ma ben due volte. E per di più dalla stessa ragazza. Una ragazza normale, umile che fino ad una settimana prima non sapeva nemmeno della mia esistenza. 

Cazzo Styles, stai perdendo colpi!

Io…cosa? E tu chi saresti?

Oh, certo! Fingiamo di non conoscermi. Sono la tua coscienza idiota.

Le coscienze non parlano, idiota.

Ma quelle dei pazzi si!

Vorresti insinuare che sono pazzo?

Mai detta una cosa simile, sono parole uscite dalla tua bocca. E comunque pensaci, uno che parla da solo con se stesso non è molto normale.

Oh, ma fottuti!

< Harry? > chiamò una voce femminile che non conoscevo ma che sembrava dannatamente sexy.

Scrollai la testa per cacciare quell’assurda vocina stridula che continuava ad insultarmi e mi concentrai invece sulla moretta che mi stava davanti.

Era bella. Alta quanto basta, una terza ben piazzata, magra ma non troppo e due labbra da far invidia alla Jolie.

< Ciao meraviglia > salutai sfoggiando il tono che usavo di solito per conquistare in discoteca.

< C-ciao > balbettò lei imbarazzata porgendomi un CD da autografare.

< A chi lo dedico? > chiesi osservandole le labbra dipinte di rosso.

< A Debby > fece lei portandosi una ciocca ribelle dietro l’orecchio destro e passandosi la lingua sulle labbra perfette.

Quel gesto, anche se innocuo, scatenò una reazione che in quel momento non sarebbe dovuta avvenire.

Prima di riconsegnarle il CD autografato afferrai uno dei tanti foglietti sparsi sul tavolo e ci scrissi veloce il mio numero.

< Tieni > dissi passandole la custodia di plastica dentro cui avevo inserito il biglietto con il mio numero < E’ stato un piacere > aggiunsi sfiorandole la mano con le labbra e facendola arrossire.

Lei mi avrebbe richiamato, ne ero sicuro!

La signing terminò verso il tardo pomeriggio. Eravamo tutti sfiniti. Niall stava morendo di fame, Zayn non vedeva l’ora di riabbracciare il suo letto, mentre Liam e Louis già sentivano la mancanza delle loro ragazze.

Il sottoscritto invece aspettava solo una chiamata che però, sembrava non arrivare mai.

< Che ne dite se andassimo fuori a cena? > proposi in uno slancio di follia. Non avevo voglia di chiudermi in casa e pensare a quando e se, Isobel mi avrebbe richiamato. 

< Si > annuì convinto Niall < E’ una buona idea, sto morendo di fame > aggiunse massaggiandosi l’addome piatto.

Quel ragazzo mangiava quanto un plotone di Marines e non ingrassava di un etto. Un giorno avrebbe dovuto svelarmi il trucco. Insomma, non era possibile che con tutte le schifezze che ingurgitava durante la giornata, non mettesse su nemmeno mezzo grammo. Era una cosa inumana.

< Mi sembrava strano che tu non ti fossi ancora lamentato > fece Zayn sorridendo divertito.

< Solo perché c’erano le fan > fece il biondo fingendosi offeso.

< Non mi pare che le fan siamo mai state d’ostacolo per i tuoi lamenti da mancanza di cibo > lo prese in giro Liam per poi correre ad abbracciarlo.

Quei quattro erano un caso perso, disperato!

< Che ne dite se andassimo allo Chalet? > proposi mentre mi sfilavo la polo blu per indossare una camicia azzurro chiaro.

< Si, mi piace quel posto > affermò Louis cambiando maglia anche lui. Gli altri tre annuirono entusiasti e, dopo aver avvisato Paul dei nostri programmi per la serata, recuperammo tutto ciò che di nostro era ancora nel negozio ed uscimmo scortati dalle nostre ormai onnipresenti guardie del corpo.

Come per ogni evento importante, la macchina della troupe ci aspettava accesa fuori dal negozio pronta per partire.

Paul si accomodò sul sedile del passeggero mentre io e i ragazzi ci accomodammo nei sedili posteriori svaccandoci come veri e proprio barboni. Quella giornata era stata davvero faticosa, non ne potevo più. 

Avevo solo voglia di mangiare qualcosa e poi filare dritto a letto.

 

***  (Louis)

Arrivammo al locale in circa quarantacinque minuti. Londra a quell’ora della sera era impraticabile. Il traffico sembrava invaderla e muoversi per le sue strade diventava impossibile oltre che snervante.

Io ormai ero abituato alle sue strade sempre trafficate e alle sue code infinite, durante i giorni di riposo viaggiavo parecchio con El, quindi ero stato quasi obbligato ad adattarmi a quei tempi.

Finalmente avevo visto la famosa Isobel, la ragazza che aveva abbandonato il mio Hazza nel cuore della notte definendolo “uno sbaglio”. Ammetto che la stima che provavo nei confronti di quella ragazza era qualcosa di indescrivibile, insomma avevo cercato una ragazza capace di resistere ad Harry dal momento in cui lo avevo conosciuto, e finalmente adesso l’avevo trovata.

Devo anche ammettere che il ricciolino aveva ragione. Era davvero una bellissima ragazza, una di quelle che ti aspetti di vedere sulle pagine di qualche rivista o in qualche video musicale, non per le strade di chissà quale città italiana.

Ciò che più mi aveva colpito era stato il suo sguardo. Era intenso, profondo e molto, molto maturo, a tratti sembrava anche provato, come affaticato dalla vita stessa. Si vedeva dagli occhi, verdi come quelli del riccio, che doveva aver sofferto, che la sua non doveva essere stata una vita facile.

Eppure quell’aria un po’ distrutta, un po’ vissuta le donava. La faceva risultare stranamente sexy.

Aveva anche un gran bel caratterino. Forse, per la prima volta da che conoscessi Harry, qualcuno sarebbe stato in grado di tenergli testa.

A proposito del riccio, era troppo tempo che non sentivo la sua voce spandersi per l’auto o le sue mani cercare di infastidirmi.

Mi voltai verso destra, lato su cui si era accomodato il ricciolino, trovandolo intento ad osservare la città che ci correva accanto. Quello non era decisamente un comportamento da Harry Styles.

Quella ragazza doveva davvero averlo scombussolato, non lo vedevo ridotto in quello stato dal giorno della sua rottura con quell’anatra della Flack.

< Ehi riccio > richiami la sua attenzione battendogli sulla spalla in modo gentile. Il bell’addormentato si girò verso di me e sorrise. Così andava già meglio.

< Come mai quest’aria triste e abbattuta? > domandai abbassando un po’ il tono della voce in modo che nessuno a parte lui potesse sentirmi.

< Oh , Lou lo sai > rispose sorridendo beffardo. Beh, si in effetti sapevo il perché di quel suo muso lungo però volevo sentirglielo dire.

< Non è vero > insistetti sorridendo sotto i baffi che non avevo < Avanti, confidati con zio Lou > aggiunsi passandogli un braccio intorno alle spalle e scompigliandogli i capelli.

< Vuoi proprio farmelo dire, eh? > fece lui di rimando cercando di liberarsi dalla mia stretta.

< Sì > annuì trionfante per il mio quasi successo.

< E va bene > si arrese passandosi una mano sul viso < Mi da fastidio il fatto che Isobel non mi abbia richiamato > 

< Evvivaaaa > esultai un po’ troppo forte. < Scusa > feci abbozzando un sorriso e provocandone uno anche nel resto della compagnia.

 

Finalmente la macchina si fermò e noi potemmo scendere, mi sgranchì le gambe per bene attirando lo sguardo di una vecchietta e poi seguì gli altri all’interno del locale.

Non era un posto elegante o chic ma un comune ristorante in cui cenavano persone normali con lavori normali. 

Quella sera l’eccezione alla regola, il dettaglio fuori posto in tutta quella normalità, eravamo noi.

Il cameriere che ci accolse ebbe un attimo di esitazione, dovuto al fatto che ci avesse riconosciuti, ma poi si riprese e ci condusse ad un tavolo che potesse accoglierci tutti.

< Qui va bene? > domandò mostrandoci un tavolo leggermente più appartato degli altri.

< Si, la ringrazio > rispose Liam sorridendo affabile. Il cameriere annuì e lasciò i menù sul tavolo mentre io e i ragazzi prendevamo posto.

Ovviamente, come per ogni cena, mi sedetti vicino al mio riccio che continuava ad avere quella faccia da cane bastonato.

Quella ragazza l’aveva davvero scombussolato!

Mentre gli altri osservavano i menù, indecisi su cosa ordinare, tranne Niall ovviamente che avrebbe ordinato l’intero ristorante, io lanciai uno sguardo fugace alla porta scorgendo una figura che non avrei dovuto scorgere.

Dalla stessa porta da cui poco prima eravamo entrati noi stava entrando niente popò di meno, che Isobel, la donna capace di far penare Harry Styles.

Dannazione, quella non ci voleva. Dovevo far in modo che non si accorgesse della sua presenza o avrebbe fatto qualcosa di cui poi si sarebbe pentito.

Per nostra fortuna il cameriere portò lei e il suo amico (?) in un tavolo dalla parte opposta alla nostra facendoli accomodare e tornando pochi istanti dopo con due menù.

Giusto il tempo che il cameriere li lasciasse soli che l’italiana si alzò per andare al bagno. Merda!

< Harry > chiamai nel disperato tentativo che non si accorgesse della ragazza < Allora, cosa hai deciso di ordinare? > domandai fingendomi interessato un attimo prima di cambiare idea.

< Ancora non lo… > cominciò lui interrompendosi quando mi vide alzarsi e dirigermi verso il bagno < Dove vai Lou? > domandò alzando leggermente il tono della voce. < Secondo te? > risposi con ovvietà facendogli cenno di voltarsi. Lui sorrise divertito e tornò a concentrarsi sul menù. Bene, potevo dare il via al mio piano.

Cercando di non farmi notare da nessuno entrai nel bagno delle donne trovandomi davanti la ragazza di questo pomeriggio che si lavava le mani. Cavolo se era bella!

< Ehm ehm > tossicchiai per attirare la sua attenzione. Lei si voltò leggermente scocciata per lanciarmi poi uno sguardo di puro odio.

< Che diavolo ci fai qui? > sibilò asciugandosi le mani con una salviettina e poi gettandola via.

< Ecco, io volevo parlarti > dissi sotto voce, intimidito dal suo sguardo.

< Cosa vuoi? > sbuffò mettendosi le mani sui fianchi. Quello non era affatto un buon segno, quando El lo faceva era in arrivo una sfuriata degna di nota.

< Credo che tu ricordi Harry > cominciai non sapendo bene come continuare, in fondo, cosa avrei potuto dirle? Sai, il mio amico non fa altro che pensare a te perché sei la prima che lo abbandona nel cuore della notte? No, idea pessima.

< Si e allora? > fece lei interrompendo i miei sproloqui mentali.

< Si, beh, ecco, mi chiedevo il perché tu lo abbia abbandonato nel cuore della notte > dissi d’un fiato senza pensare a ciò che lei avrebbe potuto immaginare sul mio conto.

La ragazza sgranò gli occhi a quella domanda inopportuna e aprì la bocca per dire qualcosa ma non ne uscì nulla se non uno strano suono, un misto tra un grugnito ed un esclamazione di sorpresa.

< Non volevo essere inopportuno > precisai < Ma il fatto è che il mio amico non fa altro che pensare a te, perciò mi chiedevo se per caso ti andasse di uscirci insieme > 

< Prima, non sono affari tuoi del perché ho abbandonato il tuo amico nel cuore della notte. Secondo, non uscirei più con lui nemmeno per tutto l’oro del mondo. Terzo, se pensa tanto a me perché non è venuto lui? >

Oh, non mi sbagliavo affatto. Quella ragazza aveva decisamente un bel caratterino, avrebbe tenuto testa al riccio più che meravigliosamente.

< Perché non sa che sei qui > dissi semplicemente abbozzando un sorriso che credo non le piacque.

< Siete solo degli idioti, stupidi, palloni gonfiati > sbottò cercando di uscire dal bagno ma venendo bloccata dal mio braccio.

< Senti > cominciai usando un tono serio che non mi addiceva < Non ho mai visto Harry stare così male per qualcuno dal giorno della sua rottura con la Flack. Ti chiedo solo di dargli una possibilità > 

< Tu sei tutto pazzo > sbottò spostandomi il braccio e dirigendosi verso la porta per aprirla e poi cadere con il sedere a terra.

A quanto pare era andata a sbattere contro qualcuno, e quel qualcuno era il riccio a cui volevo tanto tenere nascosta la sua presenza.

< Isobel > esclamò sorpreso di vederla < Louis > esclamò ancora più sorpreso vedendomi stipato nel bagno delle femmine.

< Cosa diavolo ci fai nel bagno delle donne? > continuò entrando, chiudendosi la porta alle spalle ed aiutando Isobel ad alzarsi.

< No > si intromise lei bloccando le mie parole sul nascere < Cosa diavolo avete tutti voi > continuò inviperita.

L’avevamo decisamente fatta arrabbiare.

< Prima ti incontro, mi porti a letto, poi vengo bloccata dalle tue stupidissime fan mentre cerco di fare shopping ed infine vengo molestata dal tuo stupido amico in un bagno femminile > 

Era talmente arrabbiata che le guance le diventarono bordeux e rimase senza fiato.

< Andate al diavolo tutti e due, sono venuta a Londra per studiare l’inglese e realizzare il mio sogno. Non per conoscere due idioti il cui unico scopo è quello di torturarmi > continuò imperterrita lasciandoci senza parole.

Sia io che il riccio la fissavamo sconcertati. Nessuno ci aveva mai parlato in quel modo, nemmeno mia madre era mai arrivata a tanto.

< I-io > balbettò Harry non sapendo cosa rispondere.

< No > lo zittì lei posandole un dito sul petto < Tu adesso mi stai a sentire. È vero, sono venuta a letto con te ma è stato lo sbaglio più grande. Sei solo un pallone gonfiato che si crede tanto figo ma in realtà non è nessuno. E non credere che io sia come quelle sciacquette che tanto ami portarti a letto, e tu > dissi rivolgendo ora la sua attenzione a me. Ingoia a vuoto colto da un momento di panico.

< Tu sei un emerito idiota. Sembra di avere a che fare con un bambino troppo cresciuto e per di più maniaco. Vi avviso, lasciatemi in pace o potrei denunciarvi > sbottò alla fine lanciando un ultimo sguardo assassino a me ed Harry ed uscendo sbattendosi la porta alle spalle.

 

< Lou > mi chiamò il ricci volgendo lo sguardo nella mia direzione e sospirando < Credo di essermi appena innamorato > disse lasciandosi cadere a terra. Per quanto assurda fosse quella situazione, lo seguì a ruota ridendo di gusto per quella frase tanto comune per le altre persone, ma decisamente strana per il riccio.

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** Di piani e di principi azzurri ***


ANGOLO AUTRICE:

Bentornatiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii! *Balla la conga per essere riuscita a finire questo capitolo* Come state? Contenti che la scuola sia finita? Io no perchè ciò per me vuol dire maturità.
Dunque questo è un capitolo che lascia molto più spazio al punto di vista di Louis perchè, almeno per il momento, il destino dei due sembra legato alle sue decisioni. Riuscirà Boo Bear a far incontrare di nuovo i due o ci penserà il destino al posto suo? Se siete curiosi di scoprire come proseguirà la storia tra Isobel ed Harry, allora inserite la storia tra le preferite, le seguite o le ricordate  attendete la pubblicazione del prossimo capitolo. Ogni commento è graditissimo e mi scuso per eventuali errori di ortografia ma non ho il tempo di rincontrollare i capitoli.
Alla prossima, Sybeoil!



Capitolo 11

 

 

 

 

 

Il fatto di averlo rivisto qualche giorno prima, prima alla signing e poi la sera stessa in quel maledetto ristorante in cui mi aveva portata Vicktor, mi aveva un pochino scombussolata.

Insomma, sembrava quasi che l’universo volesse dirmi qualcosa. Io però, a tutte quelle cazzate sul destino, il fato o come cavolo si chiama, non ci ho mai creduto. E non ci ho mai creduto per un motivo più che valido e razionale, quasi logico direi.

Se è vero che il destino è giusto, corretto e buono, allora perché la mia vita era un tale casino?

Perché diavolo dovevo ritrovarmi a lavorare come una dannata per aiutare mia madre a casa? Perché semplicemente non potevo nascere ricca o per lo meno benestante?

Ma soprattutto, la domanda che più di tutte mi faceva pensare che il destino fosse un fottuto bastardo, era sempre la stessa.

Perché mio padre doveva essere un tale figlio di puttana?

Dopo anni ed anni di lunghi, anzi lunghissimi, pianti avevo però capito che non esisteva risposta.

Semplicemente lui era così ed io, non potevo farci assolutamente nulla se non rassegnarmi e, se possibile, dimenticare la sua faccia.

Tornai in me quando sentì il suono della campanella penetrare i muri della piccola aula e interrompere il monologo del nostro insegnante.

< A che pensavi prima? > chiese il biondo avvicinandosi con in mano una mela che guardai famelica. Non toccavo cibo dalla sera precedente quando, per parlare al telefono con Amalia, mi ero persa la cena.

< Tieni > sbuffò passandomi il frutto e sorridendomi.

< Grazie > bofonchiai con la bocca già piena, assaporando fino in fondo il gusto dolce di quel frutto verde.

< Allora? > insistette il biondo allacciando le mani dietro il collo.

< A niente di che > risposi vaga lasciando che lo sguardo vagasse per l’aula semideserta. 

Il biondo mi guardò come se avessi appena sparato la più colossale delle cazzate e poi scoppiò a ridere portandosi le mani alla pancia.

< Bell, te lo hanno mai detto che sei davvero spiritosa? > borbottò tra una risata e l’altra mentre continuava a tenersi la pancia. Come se potesse scappargli! Pff…

< Si, a dire il vero me lo dicono spesso > ribattei fingendomi offesa.

< So che pensavi a lui > continuò imperterrito il bel biondino che in quel momento avrei tanto voluto uccidere < Non c’è bisogno che menti > aggiunse strizzandomi l’occhio.

< Non mento > protestai indignata < Solo che non pensavo direttamente a lui > aggiunsi in un sussurro che sperai non captasse.

< E allora a che pensavi? > domandò ancora, questa volta con un filo di preoccupazione nella voce.

< Al fatto che forse e dico forse, l’universo voglia dirmi qualcosa. È strano incontrare una persona due volte nello stesso giorno e per di più, senza averlo programmato. Non trovi? > fissai Vicktor con sguardo malinconico accennando poi un mezzo sorriso.

< In effetti è strano. Magari era davvero destino > disse sollevando le spalle come per dire “ed io che ne so”.

In fondo lui che poteva saperne? Nulla, assolutamente nulla.

< Poi Londra è gigante, mi fa strano incontrarlo due volte nello stesso giorno > ok, aveva preso a blaterare cose inutili segno che ero nervosa, e quando io diventavo nervosa, succedevano sempre casini.

Detto fatto, la campanella suonò nuovamente per segnare la fine del piccolo intervallo e il nostro insegnante, uscito per prendere una boccata d’aria, rientrò inciampando nei suoi stessi piedi e sbattendo la faccia contro l’angolo della scrivania.

Un imprecazione, una serie di urletti spaventati e una quantità piuttosto grossa di “oh, cazzo” volarono per l’aula mentre, il povero malcapitato, si contorceva sul pavimento con le mani sporche del sangue che gli usciva dal naso.

< Andate a chiamare qualcuno > strillai notando che nessuno in quella dannata aula aveva avuto l’idea più naturale di tutte: chiamare aiuto.

Pochi minuti dopo, arrivarono gli altri insegnanti che chiamarono l’ambulanza e sospesero le lezioni.

Avremmo avuto il resto della mattinata tutta per noi. Bene, pensai mettendo i libri in borsa e afferrando il mio golfino, potrò andare in un bar a rilassarmi.

< Sturbucks? > chiese il biondo avvicinandosi.

< Starbucks > annuì io sorridendo rilassata. 

 

Il locale era piuttosto tranquillo, c’erano giusto un paio di coppiette appartate nei vari angoli e due o tre turisti.

Mentre Vicktor si lasciava andare a commenti amorevoli riguardo gli occhi di uno dei turisti, io tornai a pensare a quel dannato riccio.

Possibile che mi fosse entrato così dentro da non riuscire a togliermelo dalla testa? No, non era assolutamente possibile. 

< Secondo te è possibile che mi piaccia Harry? > domandai di getto interrompendo il suo monologo sugli occhi blu mare del commesso.

< Che cosa? > chiese rischiando di strozzarsi con il suo cappuccino.

< Oh, non farmelo ripetere > borbottai lasciando che un ciuffo di capelli mi coprisse il viso leggermente rosso per l’imbarazzo.

Il biondo sogghignò posando il suo bicchiere sul tavolo e sistemandosi meglio sulla sedia per poi parlare.

< Potrebbe essere > afferma con sicurezza < Insomma se non te ne fregasse nulla non ci penseresti, non trovi? > domandò inarcando il sopraciglio biondo.

< Oh, merda > sbottai facendo girare metà locale nella mia direzione.

< Stai calma > mi sussurrò Vicktor prendendomi una mano < Si risolverà tutto > aggiunse alzandosi e invitandomi a seguirlo.

Pensando a quanta sfiga dovessi avere mi alzai, afferrai il mio bicchiere di carta e seguì il biondo fuori da Sturbucks.

 

***

L’avevo rivista. Dannazione l’avevo rivista e non avevo fatto nulla per convincerla ad uscire con me. L’avevo rivista e l’unica cosa che ero stato capace di fare era stata quella di farmi dare dell’idiota e pallone gonfiato.

Ero stato un coglione. Avrei dovuto prenderla, bloccarla contro il muro e baciarla, fregandomene del fatto che Louis fosse con noi e che molto probabilmente dopo mi sarei beccato uno schiaffo.

Se solo avessi scoperto dove abitava avrei potuto farle una sorpresa, andare sotto casa sua, farle una serenata. Qualunque cosa per convincerla ad uscire ancora con me.

Forse l’altra sera avevo un pochetto esagerato dicendo che mi ero innamorato, però lei mi interessava davvero. E mi interessava non solo per il piccolo dettaglio dell’abbandono, ma perché c’era qualcosa nei suoi occhi che non avevo mai trovato in nessun’altra.

C’era la vita, la forza, la passione per il futuro e la meraviglia per il mondo. In lei c’era tutto ciò che avevo sempre cercato in una ragazza ma che non mi ero mai reso conto di volere.

A Louis comunque non avrei più chiesto consiglio, quel ragazzo combinava solo danni. 

E come è che si dice? Parli del diavolo e spuntano le corna?

< Ehi amico > disse spuntando con la testa da dietro la porta chiusa della mia camera. 

< Che c’è Lou > dissi esasperato portando un braccio sotto il cuscino morbido su cui avevo poggiato la testa riccioluta.

< Mi spiace per l’altra sera > disse entrando in camera e sedendosi accanto a me sul grande letto matrimoniale.

< Tranquillo > biascicai sollevandomi a sedere < Non è colpa tua > lo rassicurai notando lo sguardo triste e abbattuto del mio migliore amico.

< Invece si > insistette lui sistemandosi meglio sul materasso < Se non l’avessi seguita in bagno lei non si sarebbe spaventata e tu te la saresti dimenticata > soffiò abbattuto passandosi una mano nei capelli spettinati.

< Invece hai fatto bene, per lo meno ho capito cosa pensa di me ed ora posso davvero dimenticarmela > lo rassicurai io posandogli una mano sulla spalla e alzandomi dal letto.

< Dai andiamo a farci un giro > aggiunsi sorridendo < Abbiamo il giorno libero >

< Ok > annuì Lou seguendomi fuori dalla stanza e poi fuori dall’appartamento. 

 

*** 

Arrivammo in centro pochi minuti dopo e subito ci fiondammo in uno Sturbucks. Eravamo entrambi affamati e assetati. Stavo giusto per entrare nel locale quando qualcosa o meglio, qualcuno, catturò la mia attenzione.

Non ero sicuro di aver visto bene, in fondo ero senza occhiali, eppure sembrava proprio lei. 

Decisi di rischiare e di andare a controllare. Non potevo sopportare l’idea di vedere Harry in quello stato ancora per molto e poi, se stava davvero così male per una ragazza, voleva dire che provava davvero qualcosa. 

Non avrei lasciato che il mio migliore amico perdesse l’opportunità di innamorarsi solo perché io ero stato troppo stupido o troppo codardo.

< Hazza > chiamai eccitato < Torno subito, ho visto una persona che conosco > dissi sparendo senza lasciargli il tempo di rispondere.

Camminai più velocemente possibile continuando a seguire quella testolina bionda che camminava affiancata da quello che sarebbe potuto passare per un armadio se non avesse respirato.

Quando notai che stavano per entrare in un negozio affrettai il passo e allungai una mano per fermarla.

Feci male, perché nell’esatto istante in cui le mie dita si strinsero attorno al suo polso sottile, mi arrivò un pugno dritto sul naso che rischiò di rompersi.

< Oh cazzo, oh cazzo > sbraitai tastandomi il naso.

Lei si voltò rimanendo sorpresa. Di certo non si aspettava che ad afferrarla fossi stato proprio io.

< Mi hai quasi spaccato il naso > dissi accennando un sorriso.

< E te lo saresti meritato > rispose lei piccata < Credevo fossi un maniaco > aggiunse come per scusarsi.

< Già amico > intervenne la montagna accanto a lei con un accetto molto marcato < Saresti potuto passare tranquillamente per un maniaco > 

< Cosa vuoi? > disse spiccia la ragazza incrociando le braccia fasciate in un golfino bianco di filo.

< Volevo parlarti > borbottai < Riguardo ad Harry > aggiunsi.

La vidi arrossire involontariamente segno che Harry, per quanto odioso lo trovasse, non le era indifferente.

< Non voglio parlare di lui > rispose fredda voltandosi per andarsene.

< Senti > dissi parandomi davanti a lei e bloccandole la strada < Concedigli almeno una possibilità, ancora non ho capito perché lo ritieni tanto idiota, in fondo non lo conosci >

La vidi aprire la bocca e spalancare gli occhi. Sembrava dovesse venirgli un infarto nel giro di pochi secondi. 

Fece per parlare ma da quelle sue labbra sottili non uscì una parola.

< Ok > disse poi chiudendo gli occhi e respirando a fondo, credo per evitare di uccidermi < Avrà una sola possibilità. Sto al college vicino ad Hyde Park > disse velocemente prima di sparire tra la folla.

< Si chiama Trinity International > mi sussurrò l’amico prima di seguire la ragazza e scomparire con lei in mezzo alla folla.

Quei due erano decisamente una strana accoppiata però ce l’avevo fatta. Finalmente la preziosa informazione riguardante l’ubicazione della ragazza dagli occhi dolci e il cuore d’acciaio, era in mio possesso. Ora non restava che fornirla ad Harry senza che capisse che avevo parlato con Isobel da solo, di nuovo.

Ecco, quello forse sarebbe stato leggermente più complicato.

Forse però…

Mi venne un’idea tanto geniale quanto naturale che mi stupì da solo. Quella sera avrei convinto i ragazzi ad andare a ballare e, con la scusa che dovevo andare a trovare Ele prima di andare al locale, avrei detto i averla vista passeggiare, di averla seguita e di aver finalmente scoperto il suo “nascondiglio”.

Era un piano geniale, non c’era nulla da dire.

< Finalmente > sbuffò il riccio quando mi sedetti finalmente accanto lui all’interno dello Sturbucks. Un paio di ragazzine sedute qualche tavolo più in la del nostro già ci guardavano fameliche. 

Possibile che non potessimo uscire senza essere riconosciuti nemmeno per cinque minuti? A quanto pareva no.

Le stesse ragazzine citate prima si alzarono e, sorridendo imbarazzate, ci si avvicinarono. Io e il riccio, per quanto volessimo stare un po’ per i cavoli nostri, sorridemmo affabili e le concedemmo gli autografi che tanto desideravano ed anche un paio di foto.

Le due ci ringraziarono e poi sparirono oltre la porta a vetri del locale ridendo e saltellando.

Faceva ancora uno strano effetto il sapere di essere così importante per qualcuno che non si conosce nemmeno.

Tornando però alla questione principale delle nostre vite, almeno per il momento, misi su una faccia che il riccio conosceva fin troppo bene.

< Lou, quella faccia non mi piace > commentò infatti notando la mia espressione quasi posseduta.

< Eddai > protestai io < Non sai nemmeno che voglio dirti > aggiunsi tirandogli una pacca sulla spalla fasciata in una giacca scura.

< So già che non mi piacerà > disse lui ghignando.

< Tu ascolta > dissi solo < Perché stasera non ce ne andiamo a ballare, eh? >

Il riccio mi guardò e sembrò pensarci su per qualche istante prima di sorridere e annuire. 

Bene, la prima fase del mio piano ero riuscita più che perfettamente.

< Benissimo > sorrisi eccitato < Allora io adesso passo da Ele così la saluto e sto un po’ con lei, poi vi raggiungo a casa prima di cena >

Harry mi guardò e annuì ancora cominciando ad alzarsi per lasciare il locale e tornare nel nostro appartamento ad avvisare gli altri.

< Non fare tardi > mi ammonì prima di salutarmi e avviarsi da solo verso la via di casa, sperando con tutto se stesso di non essere braccato dalle fan.

Io, dal canto mio, restai ancora un po’ fermo a quell’angolo riflettendo sul da farsi.

All’ora di cena mancavano ancora quattro ore abbondanti che non sapevo come occupare. Ele stava studiando per alcuni esami e quindi, di andare da lei, non se ne parlava nemmeno. Zayn era non so dove a fare non so cosa. Niall era sicuramente a casa a giocare alla wii e Liam con Danielle.

L’unica cosa che mi rimaneva da fare era girovagare per Londra senza una meta precisa.

Venti minuti e molti passi dopo, mi ritrovai a percorrere i viali alberati di Hyde Park. Quel parco mi era sempre piaciuto, era l’unico posto in tutta Londra che sentivo davvero casa.

Notai una bambina seduta su una panchina intenta a giocare con un piccione poco distante. Mi erano sempre piaciuti i piccioni, li reputavo animali interessanti e per di più avrebbero conquistato il mondo, quindi era meglio fare i carini con loro.

< Ciao > salutai la bimba sedendomi poco distante da lei < Come ti chiami? > domandi sorridendole.

Lei mi guardò, sembrò soppesare l’idea che forse potessi essere uno di quei maniaci da cui le mamme ti mettono in guardia, e poi rispose sorridendo.

< Maya > disse con la sua vocetta squillante < E tu? > domandò poi fissandomi dritto negli occhi.

< Mi chiamo Louis > rispose sempre sorridendo < Ti piacciono i piccioni? > domandi ancora notando come si divertisse a lanciargli pezzetti di pane secco.

< Sì > rispose eccitata alzandosi dalla panca e piazzandosi davanti al mio viso < Sembri simpatico, assomigli al principe azzurro > disse poi provocando una mia risata.

< Oh, ho un amico che invece è un vero principe azzurro > dissi sorridendo e pensando a Niall e alla sua risata contagiosa.

< Me lo presenti? > chiese con l’eccitazione dipinta negli occhi.

< Facciamo così > dissi alzandomi anche io e piegandomi sulle ginocchia per arrivare alla sua altezza < Se tu convinci la tua mamma a venire qui anche domani, io lo porto con me > 

La bambina mi guardò, sorrise e poi mi si gettò tra le braccia ringraziandomi. Io ricambiai l’abbraccio e poi mi alzai.

< Allora a domani > la salutai incamminandomi verso il quartiere nel quale era ubicato il college di Isobel.

Non so per quale motivo, ma mi era venuta voglia di parlare con quella ragazza.

 
 

 

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Capitolo 13
*** Di chiacchere e di coraggio ***


ANGOLO AUTRICE:

 

Bentornatiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii. *balla la conga* Sono felicissima di essere riuscita a scrivere questo capitolo nonostante i mille impegni. Dove scriverlo, ne sentiva la necessità. Ad ogni modo vorrei ringraziare chi è stato così gentile da lasciare un commento sulla storia e chi, ovviamente, si limita a leggerla in silenzio. In questo capitolo succedono parecchie cose e, devo ammettere, che è anche parecchio lungo. Non voglio svelarvi nulla così, se siete curiosi di scoprire cosa è successo tra Bell ed Harry di così tanto importante, scendete e cominciate a leggere. Non ve ne pentirete ;)

P.s I commenti sono sempre graditi :)           Alla prossima, Sybeoil!



 

Capitolo 12

 

 

 

 

 

Ero arrivata in camera da un quarto d’ora decisa a farmi una doccia e dimenticare le parole di Louis, quando qualcuno bussò alla porta facendomi fare un salto di mezzo metro.

< Avanti > dissi appena mi fui ripresa. Era Mary che, sorridendo, entrò nella camera chiudendosi la porta alle spalle. 

< C’è qualcuno che vuole vederti > disse ancora sorridendo in modo un po’ troppo euforico.

< Come c’è qualcuno che vuole vedermi? > domandai stupita di quell’affermazione. Io non conoscevo nessuno a Londra, era la prima volta che mettevo piede in quella città. Era impossibile che qualcuno mi conoscesse.

< E’ un ragazzo > spiegò ampliando il suo sorriso < Dice di chiamarsi Louis > 

A quelle parole ebbi un sussulto. Come diavolo aveva fatto quel ragazzo a capire così in fretta dove alloggiavo? Io non ne avevo fatto parola, e di alloggi per studenti stranieri dovevano essercene a centinaia solo nel centro di Londra. Ma allora come aveva fatto? 

L’immagine di un russo biondo e muscoloso mi trapassò i pensieri congiungendo finalmente tutti i fili.

< Scendo subito Mary > risposi abbozzando un sorriso per nascondere il fastidio e la rabbia che provavo verso il bell’imbusto londinese e il macho russo.

La responsabile del dormitorio mi sorrise, strizzò l’occhio e poi lasciò la stanza lasciandomi basita.

Ma che credeva, che quell’idiota di un cantante fosse il mio ragazzo? Ma nemmeno nel mondo magico di Harry Potter.

Comunque sia, abbandonai sul letto la biancheria intima che avevo preso dall’armadio con l’intento di farmi una doccia, e scesi di sotto per vedere cosa voleva quel cretino. Prima però sarei passata un secondino dal biondo, giusto per dirgli due cosette in tranquillità.

 

< Razza di un deficiente, cretino, figlio di un ippopotamo in calore > sbraitai aprendo la porta della camera 10 e precipitandomi dentro come una furia < Cosa diavolo ti è venuto in mente, perché hai detto a Louis dove alloggiamo? >

Mi paralizzai nell’istante esatto in cui spostai lo sguardo dal muro che avevo di fronte al letto su cui era seduto un ragazzo in mutande.

< Ehm, scusa > dissi facendo retro front per tornarmene da dove ero venuta e nascondere così il mio visibile imbarazzo.

< No, aspetta > disse il ragazzo sorridendo divertito e alzandosi dal letto per avvicinarsi a me e porgermi la mano.

< Piacere io sono Ben > 

Sorrisi fissando quella mano grossa e abbronzata tesa nella mia direzione. Sorrisi a mia volta e gliela strinsi sussurrando il mio nome.

< Piacere, Isobel > lui mi guardò e se possibile sorrise ancora di più mostrando una schiera di denti dritti e bianchissimi. Sembrava uscito dalla pubblicità di un dentifricio.

< Da che paese vieni? > domandai notando un accento che però non riuscì ad identificare.

< Vengo dal Brasile > disse tornando a sedersi sul bordo del letto ed infilandosi un paio di pantaloncini da calcio neri. 

Era un bel ragazzo non c’era nulla da dire. Alto, fisico atletico di chi lo sport lo pratica almeno tre volte a settimana, capelli castani acconciati in un ciuffo che mi ricordò tanto quello di Elvis ed occhi di un blu profondo come l’oceano.

Sarebbe potuto tranquillamente passare per un modello.

< Tu invece da dove vieni? > domandò distogliendomi dalle mie riflessioni su quanto fosse bello e costringendomi a distogliere lo sguardo dai suoi più che accennati addominali.

< Oh, io sono italiana > risposi sorridendo e ricordandomi che quell’idiota di Louis mi aspettava di sotto < Scusa ma devo andare, ci vediamo a cena > dissi prima di scappare da quella stanza.

Stavo correndo per il corridoio, cosa che era vietata dalle regole del collegio, quando andai a sbattere contro quella che pensai fosse una montagna. Avevo finalmente trovato Vicktor.

< Dove corri, piccola? > domandò afferrandomi prima che volassi a terra.

< Di sotto > risposi acida < Per colpa tua > aggiunsi fulminandolo con lo sguardo. Lui mi guardò stranito, non capendo il mio comportamento ma io ero troppo in ritardo per dargli spiegazioni.

< Dopo dobbiamo parlare > dissi lasciandolo mezzo nudo nel corridoio mentre percorrevo l’ultima rampa di scale.

Arrivai di sotto e, senza che ci fosse un motivo valido, il cuore prese a battere all’impazzata. Sembrava quasi volesse bucare la cassa toracica, spezzare i muscoli ed uscire a farsi una corsetta. 

Dio, Bell! calmati, è solo Loui, uno stupido, egocentrico ed idiota ragazzo.

Dovevo decisamente darmi una calmata. Manco stessi per incontrare il presidente Obama!

Salutai un paio di ragazze ferme a chiaccherare nell’androne d’entrata e mi avviai invece verso la saletta relax in cui, a quell’ora, non doveva esserci anima viva.

Entrai lentamente, senza fare baccano e con altrettanta delicatezza andai a sedermi sulla poltrona accanto al divano su cui era seduto il moro.

< Ciaoooooooo > strepitò alzandosi e buttandosi addosso per salutarmi. Era per caso impazzito? Gli sembrava quello il modo di salutare una persona?

< Ciao > risposi visibilmente in imbarazzo per la situazione, piuttosto strana, che si era creata.

< Allora, ehm, come mai sei qui? > chiesi non sapendo bene che dire. Io quel tipo non lo conoscevo e, detto sinceramente, non ci tenevo nemmeno a conoscerlo.

< Non sapevo cosa fare > rispose alzando le spalle e facendo vagare lo sguardo per la stanza < Spero di non averti disturbato > aggiunse guardandomi sorridente.

Dovetti ammettere che aveva un bel sorriso, infantile certo, ma pur sempre bello. Metteva allegria.

< Oh, no stai tranquillo > risposi sorridendo a mia volta. Perché diavolo mi stavo comportando così carinamente? Perché, invece, non gli stavo urlando contro di andarsene?

< Allora gliela darai una possibilità ad Harry? > domandò alzandosi in piedi e cominciando a vagare per la stanza.

< Prima ti ho già detto di si > risposi leggermente spazientita. Quante volte gli andavano ripetute le cose?

< In fondo è un bravo ragazzo, solo che non si è mai innamorato > disse tutto d’un tratto. Come se fare quel discorso potesse cambiare la mia opinione sul suo amico. 

< Non gli è mai nemmeno capito di essere abbandonato da una bella ragazza nel cuore della notte > aggiunse in un sorriso. Io a quella frase arrossì violentemente. I complimenti mi avevano sempre messo in imbarazzo e non ne avevo mai capito il perché.

< Beh, c’è una prima volta per tutto > commentai non sapendo cosa dire.

< A quanto pare sì > annuì tornando a sedersi < Comunque sii gentile con lui, sembra tanto forte, tanto strafottente ma ha solo bisogno d’affetto > aggiunse.

Io lo guardavo ed annuivo ad ogni sua parola immergendomi sempre più in quei suoi occhi azzurro cielo.

< Comunque sia non sono venuto per parlare di Harry > saltò su all’improvviso < Sono venuto per conoscerti meglio >

Io strabuzzai gli occhi e per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva. < Tu cosa? > domandai visibilmente confusa.

< Mi sei simpatica > disse lui molto semplicemente < Anche se a volte sei un po’ acidella mi sei comunque simpatica >

< Ehi > protestai tirandogli una pacca scherzosa sul braccio che constatai essere più che muscoloso < Non sono acida >

< Scherzavo > chiarì facendo la faccia da cucciolo < Comunque sia, so che sei italiana e che sei qui con una borsa di studio > 

Io lo guardai un po’ confusa. Come faceva a sapere tante cose su di me?

< Me lo ha detto Harry > disse rispondendo ai miei dubbi < Quindi volevo sapere, hai fratelli? Sorelle? Animali? Vivi da sola? Quanto resti qui? Sei bionda natura? Ti piacciono le carote? >

< Frena, frena, frena > ridacchiai < Primo: cosa centrano le carote? Secondo: dove trovi tutta questa vitalità e terzo: sei peggio di una macchinetta > sorrisi.

< Se ad una ragazza piacciono le carote, allora è perfetta > proclamò con solennità. Ok, era davvero buffissimo.

< Partiamo dalla prima domanda > dissi catturando la sua attenzione < Ho un fratello più piccolo di due anni, un gatto ciccionissimo, vivo con mia madre, resterò qui per tre mesi, sono bionda naturale e si, amo le carote > conclusi sorridendo < Ora tocca a te >

< Bene, ho quattro sorelle tutte più piccole, non ho animali, vivo con quei quattro deficienti dei miei migliori amici, suono in una band famosa, amo le carote, sono fidanzato da quasi nove mesi e adoro fare lo stupido > concluse il suo monologo ridendo da solo.

Continuammo a parlare, ridere e scherzare fino all’ora di cena, quando un divertita Mary venne a cacciare via Louis. Il moro mi salutò sorridente lasciando il collegio, non prima però, di avermi lasciato il suo numero e avermi obbligata a fare lo stesso. 

< Però promettimi che non lo darai ad Harry? > gli domandi supplicandolo con gli occhi.

< Lo prometto > rispose portandosi un mano sul cuore e chiudendo gli occhi.

 

 

***

< Zayn, ti rendi conto che stiamo aspettando solo più te? > strepitai dalla porta d’ingresso dove eravamo già tutti radunati.

Quel ragazzo era peggio di una donna. Ci metteva dei secoli per prepararsi, manco dovesse rifarsi tutto ogni volta.

< Arrivo > urlò il moro dal bagno dal piano di sopra.

Sbuffai irritato. Eravamo in ritardo, erano le undici e mezza e noi dovevamo già essere in macchina.

< Zayn giuro che se non scendi entro tre secondi salgo su e ti taglio tutto il ciuffo > minacciai cominciando a contare alla rovescia.

Sentì un urletto isterico, un no ed infine dei passi che si avvicinavano. Quella minaccia funzionava sempre. Sorrisi soddisfatto di me stesso ed afferrai le chiavi dell’appartamento dal comodino lì vicino.

Quella sera anche Liam aveva deciso di unirsi a noi, più che altro lo aveva fatto per riportarci a casa sani e salvi, ma quelli erano dettagli.

Il locale lo avevo scelto io ed ovviamente, come tutte le volte in cui il locale lo sceglievo io, avevo puntato su una delle discoteche più famose di Londra di cui, guarda caso, conoscevo il buttafuori.

La serata tra l’altro si prospettava grandiosa. In quel locale c’erano sempre un sacco di ragazze disposte a divertirsi ed Harry Styles, era il re del divertimento.

Salimmo tutti e cinque nella macchina di Liam, io mi accomodai sul sedile davanti lasciando che gli altri tre si schiacciassero nei sedili posteriori. Odiavo dover stare stretto come una sardina e per fortuna, avevo degli amici abbastanza comprensivi, almeno sotto questo punto di vista.

Il moro era decisamente più responsabile di me alla guida. Al suo confronto io sembravo un pilota di really, non rispettavo i limiti di velocità, la cintura non la allacciavo quasi mai e di certo non mi fermavo quando scattava il giallo. 

< Liam così arriveremo in ritardo > mi lamentai continuando a fissare il mio profilo nello specchietto posto in alto. 

< Harry non cominciare > rispose il moro alla guida abbassando leggermente i finestrini e lasciando filtrare un po’ d’aria fresca all’interno dell’abitacolo.

< Ma arriveremo in ritardo > mi lamentai ancora distogliendo lo sguardo dalla mia meravigliosa immagine.

< Dai Harry > mi richiamò Niall con la sua solita dolcezza < Fai il bravo > aggiunse aprendosi in un sorriso.

Per tutta risposta io sbuffai, incrocia le braccia al petto e misi su un finto broncio che mantenni per il resto del viaggio.

Non piaceva essere sgridato, nemmeno se a farlo erano i miei amici.

 

< Siamo arrivati > annunciò Liam fermandosi nel primo posto vuoto che trovò. Io sorrisi eccitato per quella serata e mi precipitai fuori dall’auto incamminandomi verso il locale.

< Dai ragazzi muovetevi > li incitai voltandomi nella loro direzione e vedendoli sorridere al mio entusiasmo.

Sentivo la musica fuoriuscire dalla piccola porta in metallo, era altissima e la fila di gente che attendeva fuori il suo turno, era immensa.

Che fortuna essere famosi e per di più amici del buttafuori! Se fossimo stati dei comuni ragazzi non saremmo entrai mai più.

< Eccoci qui > disse Zayn sbucandomi alle spalle e sorridendo alla vista dell’immensa fila che si allungava fino alla fine del marciapiede.

< Mike > salutai una volta arrivato davanti all’enorme gorilla che doveva occuparsi della sicurezza.

< Ehilà ricciolino! > mi salutò stringendomi la mano < Come stai? > domandò affabile.

< Bene grazie > risposi aprendomi in uno di quei sorrisi che tanto facevano impazzire le fan < Ci lasci entrare? > domandai ostentando tutta la mia sfacciataggine.

< Ma certo > annuì l’omaccione facendosi da parte < Che domande sono? >

Stavo per ringraziarlo quando sentì un commento poco carino rivolto a me. Mi voltai per identificare la fonte di quelle parole e rimasi paralizzato. 

Isobel era lì, bella come mai l’avevo vista, con un’espressione stupita quando la mia.

< T-tu che ci fai qui? > le domandai tornando indietro sui miei passi.

< Secondo te? > rispose acida < Faccio la fila per il latte > aggiunse sarcastica. 

Mi piaceva quando si comportava così. La rendeva ancora più sexy di quanto già non fosse.

< A dire il vero vestita così credevo facessi qualcos’altro > commentai senza rendermi conto della cattiveria che avevo appena detto.

Non ebbi il tempo di rendermi conto di ciò che stava succedendo perché le sue cinque dita si stamparono sulla mia guancia, lasciandoci il segno.

< Che diav… > borbottai portandomi una mano sul viso ma venendo interrotto dalle sue parole. Fredde, taglienti.

< Non. Osare. Mai. Più. Insinuare. Una. Cosa. Del. Genere > sillabò arrabbiata. Decisamente arrabbiata.

< Ti sembra un buon motivo per prendermi a schiaffi? > ribadì cominciando ad alterarmi. Ok che era bella, ma quello era troppo.

< Mi sembra un ottimo motivo, Styles > ringhiò furiosa.

Stavo per ribattere a tono, nessuno tratta Harry Styles in quel modo e la passa liscia, ma fui interrotto da Louis che venne a salvare la situazione.

< Ragazzi che ne dite di piantarla? > ci domandò passandomi un braccio intorno alle spalle e lanciando ad Isobel uno sguardo che non capì.

< Ha cominciato lui > 

< Ha cominciato lei > dicemmo all’unisono.

< Ok, non importa > convenne lui sorridendo divertito. Sembravano due bambini che litigano per un giocattolo < Adesso noi per farci perdonare ti facciamo entrare, ci stai? > propose il moro strizzando l’occhio in direzione della bionda che, dopo aver soppesato l’idea e valutato tutti i pro e i contro, annuì e ci seguì. 

Con lei, come se fossero la sua ombra, si mossero anche due ragazzi. Uno era biondo, alto e decisamente muscoloso. Faceva paura.

L’altro invece era castano, alto e decisamente attraente. Forse faceva il modello.

< E loro chi sono? > domandai con un po’ troppa gelosia nella voce.

< Non sono affari tuoi riccio > rispose lei andando avanti per raggiungere Louis. Io rimasi indietro con quei due non sapendo cosa dire.

< Io sono Vicktor > si presentò il biondo stringendomi la mano e sorridendo cordiale.

< Io invece sono Ben > disse l’altro stringendomi anche lui la mano. 

< Per caso uno di voi è, ehm, il ragazzo di Bell? > chiesi non riuscendo più a trattenermi. Non so per quale motivo ma DOVEVO sapere se uno di quei due era o no il ragazzo di Isobel.

Quando mi guardarono e scoppiarono a ridere devo dire che ci rimasi un po’ male. Che c’era da ridere?

< No > rispose poi il biondo < Nessuno di noi è il ragazzo della tua bella italiana > aggiunse strizzandomi l’occhio.

< La mia…cosa? > sbottai seguendoli all’interno del locale dove li persi di vista.

 

Il locale era esattamente come lo ricordavo, affollato, rumoroso e pieno di ragazze disinibite.

Passai qualche minuto a perlustrarlo alla ricerca dei miei amici ma, non riuscendo ad individuarne nemmeno uno, mi fiondai al bar per prendere qualcosa da bere.

< Un Cuba Libre > ordinai al barman dietro il bancone in vetro.

< Due > disse una voce di donna al mio fianco. 

Mi voltai e trovai Isobel poggiata al bancone con le braccia scoperte. Era davvero bellissima. La gonna a vita alta nera che indossava non faceva altro che risaltare le sue curve fenomenali, il top fiorato scollato a cuore ne metteva in risalto il seno prosperoso e il rossetto di un esagerato fucsia le rendeva le labbra terribilmente sexy.

< Occhio Styles > mi richiamò < Potresti perdere la bava > disse prima di afferrare il suo Cuba Libre e andarsene.

< Hey, amico > salutò Louis avvicinandosi al bancone e ordinando un Mojito < Contento che ci sia anche Bell? > domandò lanciando uno sguardo al centro della pista.

< Non molto > confessai bevendo un sorso di Cuba Libre.

< Come mai? > chiese lui fissandomi sconvolto. Aveva ragione, dopotutto quello che gli aveva detto, dopo tutte le rotture di scatole che aveva fatto, non essere contento di vederla era strano.

< Non lo so > confessai un po’ amareggiato < Non credo mi darà mai una seconda possibilità > dissi poi guardando anche io verso la pista da ballo dove la individua facilmente.

Stava ballando in modo mooolto sensuale con quel suo amico scuro e la cosa non mi stava affatto bene.

< Se la guardi così la consumi > ghignò Louis divertito < E comunque se non ci provi non lo saprai mai > suggerì prima di sparire anche lui inghiottito dalla folla di ragazzi e ragazze.

Aveva ragione, se non ci avessi provato non lo avrei mai scoperto, e poi io ero Harry Styles. Se volevo una cosa la ottenevo, in un modo o nell’altro.

Mentre mi avviavo verso la bionda che sembrava avermi rapito il cuore ed i pensieri scorsi Liam seduto su un divanetto mentre sorseggiava una coca così decisi di fare una deviazione.

< Ehi Liam > lo chiamai.

< Sì? > rispose lui alzando lo sguardo verso di me.

< Ti lascio il mio cocktail, non farlo bere a nessuno > dissi serio facendolo scoppiare in un fragorosa risata che però venne attutita dal ritmo incalzante della canzone.

< Ok, ci penso io > disse dopo qualche istante.

Lo ringraziai e poi tornai sui miei passi, notando solo in quel momento che, oltre al ragazzo che già avevo visto fuori dal locale, ce ne era anche un altro che la toccava un po’ troppo approfonditamente.

Non so per quale motivo ma sentì una gran voglia di prenderlo a pugni. Quella ragazza era solo MIA. Poco importava che la conoscessi da meno di una settimana, che lei probabilmente mi odiava e che dopo quella sera non l’avrei mai più rivista. Nessuno doveva permettersi di toccarla in quel modo.

Mi feci largo tra le folla a gomitate ma finalmente la raggiunsi e cominciai a ballarci insieme.

Ben presto il suo amico se ne andò mentre l’altro, che oltretutto era pure brutto, continuava a toccarla.

La strattonai per un braccio in modo da farla voltare verso di me.

< Ehi > protesto levando la mia mano dal suo braccio accaldato < Mi stavo divertendo > aggiunse facendo per voltarsi di novo ma non riuscendoci.

L’avevo bloccata. Di nuovo.

< Harry lasciami > urlò strattonando di nuovo le braccia per liberarsi dalla mia presa.

< No > risposi deciso < Quel porco ti sta toccando > aggiunse lanciando uno sguardo di sfida al ragazzo dietro di lei.

< Stiamo solo ballando > si difese lei < E poi non sei ne il mio ragazzo ne mio fratello, quindi sparisci > aggiunse per tornare a girarsi.

Questa volta la lasciai fare. Se non riuscivo a convincere lei, sarei riuscito a convincere quella specie di gambero.

< Ehi > dissi rivolto al ragazzo < Sparisci > aggiunsi indicando con la testa la porta del locale.

< E chi saresti tu? > chiese avvicinandosi e cercando di farmi paura.

< Nessuno > intervenne Bell < Lui non è nessuno > aggiunse tirando il ragazzo per la manica.

< Lei è mia > insistetti < Stalle lontano > 

< Harry smettila > mi supplicò. Io non la ascoltai e continuai a sostenere lo sguardo di quel bamboccio fino a quando, capendo che non era aria per lui, se ne andò.

< Grazie per avermi appena rovinato la serata > singhiozzò prima di scappare verso i bagni del locale.

Io la guardai allontanarsi impotente. Forse avevo esagerato, in fondo non ero nessuno. Quale diritto avevo di decidere cosa dovesse fare? 

Nessuno, quella era la verità. Per quanto mi potesse dar fastidio io non avevo nessun diritto di impedirle di ballare con qualcuno.

 

Erano passati dieci minuti e Bell ancora non usciva da quei maledetti bagni. Si esatto, non avevo distolto lo sguardo nemmeno un secondo. Mi dispiaceva averla fatta piangere e averle rovinato la serata.

Forse se le avessi chiesto scusa si sarebbe accorta che non ero un totale stronzo e mi avrebbe perdonato.

Decisi che quella era la cosa giusta da fare.

Mi alzai dai divanetti sui quali mi ero seduto accanto a Liam e cominciai a farmi largo verso i bagni.

Finalmente raggiunsi quella porta di legno e vi entrai. Non c’era nessuno, solo il rumore attutito della musica e quello di…singhiozzi misto a grugniti. E quei grugniti non erano di certo appartenenti ad una donna.

< T-ti prego > la sentì mormora < Non farmi del male > quella voce l’avrei riconosciuta tra mille.

Aprì una ad una tutte le porte fino a quando non la trovai. Era seduta sulla tazza del water, con il trucco sbavato e le lacrime agli occhi mentre un bastardo le stava di fronte con i pantaloni già abbassati.

Quello fu la goccia che fece traboccare il vaso.

Senza preoccuparmi di ciò che sarebbe potuto accadere, senza preoccuparmi del fatto che avrei potuto prenderle di santa ragione e rimanere livido per settimana, senza preoccuparmi di cosa avessero detto Paul o Simon se lo fossero venuti a scoprire lo voltai e gli tirai un cazzoto in pieno viso.

Era talmente ubriaco che barcollò per qualche istante cadendo poi sul pavimento umido del bagno. Svenuto.

< H-harry > balbettò Bell fiondandosi tra le mie braccia già pronte ad accoglierla.

< Tranquilla > le sussurrai all’orecchio < Ti porto via, ok? > le dissi cominciando a guidarla fuori dal bagno.

Il locale era ancora più affollato se possibile e individuare i ragazzi fu un’impresa ardua. Finalmente però li trovai tutti e quattro seduti dui divanetti accanto a Liam. 

< Ragazzi io vado a casa > annunciai senza tanti giri di parole.

< Perché, che succede? > domandò Louis. Lo guardai sperando che capisse ma purtroppo non ci riuscì. 

< Stavano per violentare Bell > confessai alla fine < La porto a casa > 

A quelle parole scattarono in piedi tutti e quattro e mi seguirono verso il bancone del bar dove avevo lasciato Bell.

La ritrovai esattamente dove l’avevo lasciata, sola ed impaurita.

< Adesso vieni a casa con noi, ok? > le dissi prima di prenderla per mano e guidarla fuori dal locale. La notte londinese ci accolse sotto le sue luci e il suo silenzio.

< Grazie > mormorò un attimo prima che la macchina di Liam ci si fermò davanti consentendoci di tornare finalmente a casa.

 

Arrivammo a casa in circa quindici minuti che passai ad accarezzare i capelli morbidi di Bell.

Quella ragazza era bellissima e molto più forte di quanto si immaginasse.

Dopo i primi minuti in cui aveva pianto, sfogando la sua paura, si era ripresa e aveva anche insistito per tornare al suo collegio.

Io ed i ragazzi, Louis in particolare, insistemmo affinché di fermasse a dormire da noi e dopo un po’ acconsentì.

Mentre Liam apriva la porta e accendeva la luce, io l’aiutavo ad entrare.

< Stasera dormirò sul divano > annunciai a tutti < Tu puoi prendere la mia camera > dissi rivolto solo ad Isobel.

< Non se ne parla nemmeno > sbottò lei venendomi in contro < E’ già tanto che mi ospitiate, non intendo prendermi anche il tuo letto. Dormirò io sul divano > 

Il tono sembrava non ammettere repliche, ma io ero un tipo testardo, così insistetti.

< No > dissi risoluto < Insisto >

La vidi sbuffare e poi illuminarsi. Aveva avuto un’idea.

< Allora dormiremo insieme > concluse soddisfatta della sua idea.

< Sei sicura? > domandai un po’ spiazzato da quella sua trovata.

< Certo > disse lei dirigendosi verso la mia camera senza che io le avessi dato indicazioni. Doveva avere buona memoria.

< Vai amico che stasera ci sarà il secondo tempo > commentò malizioso il pakistano.

< Malik non dire cazzate > lo ripresi per avviarmi poi anche io verso la mia stanza.

La trovai in bagno a lavarsi i denti con le dita sottili mentre indosso aveva solo una mia maglia a maniche corte dell’Abercrombie.

< Scusa se te l’ho presa, ma quella roba per dormire è un po’ scomoda > borbottò sciacquandosi la bocca e tornando in camera da letto.

< Oh > risposi sorpreso < Figurati. Ti spiace se dormi in boxer? > aggiunsi cominciando a sfilarmi la giacca e la camicia.

< No > rispose semplicemente lei andando a coricarsi sotto le coperte del mio letto.

Io finì di spogliarmi, andai in bagno per lavarmi i denti e tornai in camera da letto.

Alzai le coperte e mi ci infilai sotto lasciando che il fresco delle lenzuola pulite mi solleticasse le gambe.

Stavo per spegnere la luce dell’abatjour e darle la buona notte quando la sentì sfiorarmi la mano.

< Sì? > le dissi voltandomi verso di lei.

< Grazie > soffiò a pochi centimetri dalle mie labbra prima di lasciarci un leggero bacio.

Fui colto alla sprovvista e mi ci volle qualche secondo per capire ciò che era appena successo ma quando i miei neuroni riuscirono a ricollegare il tutto reagì. Le afferrai viso delicato tra le mani e tornai a posare le mie labbra sulle sue, questa volta, approfondendo il bacio.

Quando ormai eravamo entrambi senz’aria si staccò, mi sorrise e mi augurò la buona notte.

Feci lo stesso, spensi l’abatjour e mi girai per abbracciarla.

La sentì muoversi per trovare una posizione più comoda ed infine intrecciare le sue dita alle mie.

Quegli spazi sembrano essere stati fatti apposta per essere riempiti dalle sue dita. Le baciai una spalla e mi addormentai.

 
 
 
 
 
 

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Capitolo 14
*** Di risvegli e prime gelosie ***


ANGOLO AUTRICE:

Ok, fanciulle!! Sono diplomataaaaaaaaaaaaaaaaaaaa....yuppiiiiiiiiiiiiiiiii e con una votazione di 95/100. Sto ballando la conga dalla felicità xD Tornando a discorsi più seri passo a pubblicare un altro capitolo. E' più che altro un capitolo di passaggio che mi ersviva per introdurre il personaggio di Eleneonor nella vita dei ragazzi quindi non aspettatevi grandi cose. Pian piano il rapporto tra il riccio e l'italiana si farà più intenso e difficile, complice la reputazione e la fama di lui, e la precarietà della stabilità a Londra della bella italiana.Non spaventatevi però si sistemerà tutto ;) Al più presto cercherò di introdurre anche il personagio di Amalia, la quale avrà una relazione con un membro della band, di cui però non svelo il nome. Ad ogni modo godetevi questo capitolo e grazie per essere con me, nonostante i ritardi e gli errori che commetto.
Un bacio, Sybeoil!



Capitolo 13

 

 

 

 

 

 

Mi svegliai la mattina dopo con la mano ancora stretta in quella del riccio e il viso immerso nell’incavo del suo collo. Profumava di pesca, ed io avevo sempre adorato la pesca. 

Lentamente mi mossi cercando di raggiungere il cellulare che la sera prima avevo abbandonato acceso sul comodino lì accanto e lo afferrai per vedere se qualcuno mi avesse cercata.

Quindici chiamate perse e oltre trentasei messaggi. Cazzo!

La sera prima tra una cosa e l’altra mi ero dimenticata di avvertire Vicktor e Ben. Si saranno sicuramente preoccupati a morte, magari era meglio se li chiamavo e rassicuravo sul mio stato di salute.

Sciolsi quella specie di abbraccio in cui mi ero incastrata con il riccio e feci per scendere dal letto quando un paio di forti braccia mi si ancorarono per fianchi trascinandomi nuovamente sul materasso caldo.

< Dove scappi? > chiese Harry con gli occhi ancora socchiusi.

< Devo fare una chiamata > spiegai lasciandogli un bacio sul naso e alzandomi per andare in bagno.

Era meglio evitare che le urla di Vicktor si espandessero per tutta la casa perforando vetri e pareti. Certo, adoravo quell’uomo tutto muscoli e peli biondi, però era un tantino troppo protettivo. Avevo diciotto anni, sapevo cavarmela.

Mi incamminai verso la porta bianca che segnava l’entrata al bagno e sentì Harry sbuffare infastidito. Mi voltai gli sorrisi facendogli una linguaccia e poi mi chiusi la porta alle spalle prima che il cuscino su cui avevo appena dormito mi si spalmasse sul sedere.

< Sei terribile > urlai attraverso la porta per dargli ancora più fastidio.

Lo sentì ridacchiare ed infine alzarsi, io invece mi feci coraggio e composi il numero del biondo il quale rispose al primo squillo.

< Dove sei? Sei viva? Ti hanno rapita? > urlò quasi in preda all’isteria prima che riuscissi a fermarlo.

< Sto bene Vicktor, davvero sto bene > dissi sperando di tranquillizzarlo senza però avere molto successo < Ieri sera è stata una serata un po’ particolare > aggiunsi prima di rendermi conto che ciò che avevo detto mi avrebbe condannata.

< Cosa vuol dire? Ti ha fatto del male Harry? > chiese ancora in preda al panico mentre sentivo la voce di Ben urlare qualcosa di incomprensibile.

< No no no no > smentì immediatamente < Anzi, se non fosse stato per lui mi avrebbero stuprata > dissi in un sussurro.

< Cosa? > sbottarono all’unisono sia Ben che il biondo < Vengo a prenderti, dove sei? > aggiunse quasi all’istante.

< Sono a casa di Harry e tu non ti muovi > ordinai severa < Oggi probabilmente passerò la giornata qui, poi mi riaccompagnerà a casa. Non preoccuparti > aggiunsi aprendomi in sorriso sincero.

< Sei sicura? > mi domandò sapendo già la risposta che gli avrei dato ma volendone essere sicuro.

< Si > annuì decisa < Divertiti > aggiunsi prima di chiudere la chiamata e darmi uno sguardo allo specchio.

Ciò che vidi fu ORRORE. Avevo i capelli in completo disordine, le occhiaie toccavano terra tanto erano profonde e quella maglia che avevo fregato dall’armadio del riccio mi stava tre volte.

Stavo giusto per svestirmi e infilarmi sotto la doccia in modo da lavare via l’odore di alcool e la stanchezza quando la porta si spalancò lasciando entrare un Harry quasi del tutto nudo.

Indossava solo il paio di boxer con cui era andato a dormire la sera prima mentre nella mano ne stringeva un paio puliti.

Stava per levarseli quando un mio urlo lo costrinse a fermarsi.

< Che c’è? > domandò voltandosi nella mia direzione e guardandomi spaventato.

< Che fai? > domandai con ovvietà.

< La doccia? > rispose lui. Faceva anche l’ironico.

< Lo vedo, ma non pensi sia meglio aspettare che io esca? > domandai fingendo un imbarazzo che in realtà non possedevo. In fondo lo avevo già visto come mamma lo aveva fatto.

< Pensavo ti saresti unita > ammiccò con una luce maliziosa negli occhi.

Dio quegli occhi! Avrei potuto farci l’amore giorno e notte senza stancarmene. Erano il paradiso al centro esatto dell’inferno.

< Pensavi male mio caro > lo sbeffeggiai cominciando ad avviarmi fuori dal bagno decisa a non dargliela vinta.

Se c’era una cosa che non mi aveva mai abbandonato e che, più di tutti mi procurava danni, era l’orgoglio.

< Invece no > affermò lui prendendomi per i fianchi e buttandomi dentro il box doccia in cui poi entrò anche lui costringendomi tra il muro e il suo corpo.

< Tu adesso farai la doccia con me > disse sicuro accennando un sorriso al quale risposi con una leggera pacca sulla spalla.

Prima che potessi ribattere o per lo meno dibattermi nel tentativo di andarmene, il riccio mi prese il viso tra le mani e poggiò le sue labbra sulle mie. Quel bacio appena accennato si trasformò ben presto in un bacio più approfondito.

Le nostre lingue si cercavano affamate, desiderose una dell’altra. Si muovevano in simbiosi quasi fossero state create per giocare insieme.

Mi staccai un attimo da quelle labbra che sapevano di miele per fissarlo negli occhi e sorridere mentre lui, con le sue grosse mani che tanto adoravo, cominciava ad accarezzarmi ogni pezzo di pelle disponibile insinuandosi sotto la maglia e sfilandola.

Eravamo entrambi in biancheria intima quando il riccio, con la mano che non era impegnata ad accarezzarmi la coscia, aprì il getto d’acqua gelata immergendomi sotto.

< E’ fredda > balbettai mentre centinai di goccioline ghiacciate mi scorrevano sulla pelle chiara.

Molto gentilmente Harry regolò la temperatura dell’acqua e poi tornò a concentrarsi sulle mie labbra.

< Mi fai impazzire > mi sussurrò ad un orecchio prima di sganciarmi il reggiseno e farlo volare fuori dal box doccia seguito dai suoi boxer.

Questa volta, come la prima, non sarei potuta tornare indietro. Ma in fondo, cosa c’era di male se per una volta mi godevo la vita non badando alle regole?

Avevo passato diciotto anni di vita a comportarmi bene, fare in modo che la gente mi vedesse per la brava ragazza, a costruirmi una buona reputazione e tutto per cosa? 

Per nulla! Per continuare ad essere giudicata, indicata e disprezzata.

Era arrivato il momento di dire basta e quello era il mio modo per far capire che, finalmente, avevo ripreso in mano le redini della mia vita.

Passò a baciarmi il collo provocandomi piccoli brividi di piacere lungo tutta la spina dorsale mentre io inarcavo il corpo con il solo desiderio di sentirmi ancora più vicina a lui.

Arrivò al seno con cui iniziò a giocherellare, mordendolo, solleticandolo, accarezzandolo dolcemente. Le mie mani, fino ad allora ancorate alla carne delle mie gambe, andarono a stringersi intorno alle sue spalle muscolose lasciandoci leggeri graffi che presto si arrossarono.

Mentre lui passava a giocherellare con l’elastico degli slip io cominciai ad aumentare il ritmo dei respiri.

< H-Harry > balbettai a mezza voce.

Intuendo l’urgenza nella mia voce il riccio mi sfilò gli slip e dopo avermi sollevata da terra e poggiata con la schiena al muro entrò dentro di me.

Un gemito strozzato mi fuoriuscì dalle labbra semidischiuse mentre con le mani accarezzavo quei meravigliosi ricci.

Le spinte delicate dell’inizio aumentarono d’intensità fin quando si fecero quasi insostenibili.

Sentivo il suo respiro accelerato solleticarmi la pelle del collo su cui continuavano a scorrere impercettibili gocce d’acqua. Le sue mani, serrate sulle mie natiche, continuavano a mantenermi in equilibrio mentre con un’ultima spinta entrambi venimmo.

Rimanemmo ancora qualche minuto così, l’uno dentro l’altra, sospesi da terra e dal mondo mentre l’acqua continuava a scorrerci addosso lavando via l’odore del sesso appena fatto.

< Magari è meglio se ci laviamo e poi scendiamo > gli sussurrai ad un orecchio.

< Hai ragione > convenne mettendomi con i piedi di nuovo a terra e consentendomi di reggermi sulle mie gambe mollicce.

< Ti prego dimmi che usi lo shampoo alla camomilla > sussurrai chiudendo gli occhi ed incrociando le dita scatenando una risata nel riccio.

< Ebbene si, mia piccola fedele, uso lo shampoo alla camomilla > disse lui tirando fuori da non so dove una boccetta di shampoo alla camomilla.

Io amavo quell’uomo.

< Styles > lo richiamai < Credo di amarti > affermai decisa.

Vidi la sua espressione farsi improvvisamente seria e spaventata mentre  ingoiava un groppo di saliva.

< Tu che cosa? > domandò allontanandosi lentamente.

Non pensavo che delle semplici parole, dette per scherzo tra l‘altro, potessero provocargli una reazione simile.

< Dimmi che non ti sta per venire un infarto > scherzai avvicinandomi a lui ed in particolare alle sue labbra < Stavo scherzando > soffiai quando fui a pochi centimetri di distanza.

Lo sentì rilassarsi e sorridermi mentre tornava a concentrare la sua attenzione sui miei occhi.

< Vieni qua, va > disse abbracciandomi e dandomi un bacio sul collo che si trasformò in un succhiotto bello evidente.

< Styles! > lo ripresi fintamente offesa < Mi rimarrà il segno per una settimana almeno > 

< Così nessuno potrà toccarti > affermò lui serio cominciando ad insaponarsi e schizzandomi di tanto in tanto < Sei mia > aggiunse strizzandomi l’occhio.

Io gli tirai uno scappellotto e poi cominciai anche io ad insaponarmi.

 

 

***

 

Quarantacinque minuti dopo uscimmo dalla doccia puliti e profumati. Io mi avvolsi nel mio accappatoio blu scuro mentre a lei diedi un asciugamano che arrivava a mala pena sotto il sedere.

Lo feci apposta, lo ammetto! Ma ehi, mica è colpa mia se è bella ed io ho un debole per le belle ragazze.

< Styles, sta cosa mi copra a mala pena > si lamentò infatti girando il collo per osservarsi la schiena < E poi ho freddo > aggiunse incrociando le braccia ancora bagnate.

< Per quello non c’è problema > le risposi io aprendo le braccia e avvolgendocela dentro. 

< Grazie > la sentì sussurrare prima che qualche rompicoglioni, che successivamente catalogai come Louis, bussasse alla porta della stanza.

< Harry credo che Isobel se ne sia… > si interruppe a metà frase quando, spalancando la porta del bagno senza nemmeno chiedere permesso, entrò e ci vide abbracciati.

< Oh, scusate > disse subito dopo abbassando lo sguardo.

< No stai tranquillo > gli sorrise Bell sciogliendo l’abbraccio e dirigendosi in camera. Molto probabilmente lo aveva fatto per lasciarci da soli.

< Scusa > ripeté il moro avvicinandosi e chiudendosi la porta alle spalle < Figurati > gli risposi sollevando le spalle e sorridendo.

< Come è andata? > chiese poi scoppiando dalla curiosità e facendo con la testa un cenno alla stanza accanto.

< Benone > risposi ampliando il sorriso che già avevo stampato in faccia. Stavo per aggiungere altro quando il visino di Bell spuntò da dietro la porta chiedendoci scusa.

< Ehm > mormorò arrossendo fino alla punta delle orecchie < Ecco, la mia biancheria è rimasta di qua > disse poi abbassando lo sguardo.

< Oh > fece Louis < Oooooooh > aggiunse sorridendo divertito dalla situazione e muovendosi per andarsene, finalmente, fuori dalle balle.

< Bacon o uova? > chiese alla mia bionda prima di varcare definitivamente la porta della mia camera da letto.

< Veramente io bevo solo del latte e caffè > disse lei ancora intimidita.

< E latte e caffè sia > disse Louis strizzandogli l’occhio e lasciando definitivamente la stanza.

< Scusalo > dissi avvicinandomi, cingendola per la vita e lasciandogli una scia di baci umidi lungo tutto il collo e la spalla scoperta.

< Fa niente > disse lei intrecciando le braccia dietro il mio collo e accarezzandomi la nuca. 

Stavo per sciogliere il nodo che aveva fatto all’asciugamano e ricominciare a fare ciò che avevamo già fatto nella doccia ma venni bloccato dalle sue piccole mani.

< Harry non possiamo > disse sulle mie labbra < Sotto ci aspettano > sorrise.

< Uffaaaaa > sbuffai lasciandola andare.

Tornai in camera e cominciai a vestirmi. Infilai un paio di boxer grigi che trovai nell’armadio, un pantalone delle tuta piuttosto largo e comodo anch’esso grigio ed una t-shirt bianca scollata a V.

Con la coda dell’occhio vidi Bell indossare la biancheria intima e litigare con la gonna che aveva indosso la sera prima. 

< Tieni, metti questo > le dissi passandogli un paio di miei pantaloni della tuta. Le sarebbero stati tre volte ma per lo meno sarebbe stata comoda.

< Grazie > disse sincera infilandoseli e facendo cento nodi all’elastico in vita per evitare di perderli. < So che sono una rompi palle però, non è che avresti anche una maglietta da darmi? > domandò abbozzando un sorriso.

< Preferirei vederti in reggiseno > cominciai malizioso < Ma sì, se vuoi puoi prendere una mia maglietta > aggiunsi quasi subito.

< Grazie > ripeté questa volta alzandosi sulle punte per lasciarmi un bacio a stampo.

Andai nell’armadio e ne tirai fuori una vecchia t-shirt dell’Abercrombie grigia che le tirai beccandola in faccia. Lei la afferrò e la indossò avviandosi poi lungo il corridoio.

Io la seguì sorridendo fino a quando arrivammo entrambi in cucina.

 

Le voci che prima si sentivano provenire dal corridoio tacquero all’istante appena io e Bell facemmo il nostro ingresso in cucina.

Era davvero una scena comica. Da una parte c’erano i miei quattro migliori amici, non che coinquilini, con le bocche semi aperte e gli occhi leggermente fuori dalle orbite mentre dall’altra, c’eravamo io ed Isobel, con le mani intrecciate e due sorrisi ebeti stampati in faccia.

Lei si vergognava un sacco, lo si vedeva da come mi stringeva la mano e da come, con l’altra, giocava con una ciocca di capelli.

< Ciao > disse imbarazzata tenendo lo sguardo sul pavimento.

< Ciaoooooooooo > urlò Boo Bear saltandole al collo e cogliendola alla sprovvista. 

Mi lanciò uno sguardo supplichevole ma io mi limitai ad alzare le spalle come a volerle dire che non sapevo che farci. Il che poi era anche la verità. Lou era fatto così e non si poteva fare nulla per cambiarlo.

< Ragazzi lei è Isobel > dissi ad alta voce per salvarla dall’abbraccio stritola ossa di Louis < Resterà con noi oggi > aggiunsi guardandola e sorridendole. 

Gli altri tre si alzarono dagli sgabelli su cui erano seduti e si presentarono uno ad uno.

< Piacere io sono Liam > disse il più normale del gruppo stringendole la mano e sorridendole cordiale. 

< Isobel > rispose lei ricambiando la stretta.

< Io invece sono DJ Malik > si pavoneggiò il moro avvicinandosi e lasciandole due baci sulle guance.

< Io invece sono solo Isobel > rispose lei con un punta di ironia nella voce.

< Ifo infece fono Nifall > borbottò il biondo ingurgitando l’ultimo cucchiaio di cereali. 

< Lo sapevo > ammiccò la mia bionda sorridendo < A dire il vero conosco il nome di tutti voi > aggiunse voltandosi nella mia direzione.

< Anche quando noi… > la domanda mi sorse spontanea. 

Lei mi guardò, sorrise e poi scosse la testa venendomi ad abbracciare.

< No > disse < Ho scoperto chi eri e chi eravate il giorno dopo per televisione. Stavano trasmettendo una vostra canzone, ho rischiato di morire soffocata con del succo d’arancia > 

La vidi scoppiare a ridere e trascinarsi dietro tutta la compagnia. Aveva una risata contagiosa quasi quanto quella di Niall. 

Finimmo di fare colazione tutti insieme e poi Louis e Bell si offrirono di lavare i piatti mentre noi altri ci andammo a spaparanzare sul divano in salotto.

 

 

***

Morivo dalla voglia di chiederle come era proseguita la sua serata con il riccio. Ovviamente, anche non avesse voluto dirmelo, sarei poi comunque venuto a saperlo, ma ero comunque curioso di conoscere il suo punto di vista.

Ma, cosa ancora più importante, non vedevo l’ora di rinfacciargli il fatto che io avesse ragione e che in fondo Harry non era tanto male.

< Allora > cominciai leggermente imbarazzato. Di solito non lo ero mai, nemmeno quando i discorsi si facevano davvero difficili, ma quella ragazza aveva un so che di strano. Sembrava troppo adulta, troppo sicura di ciò che voleva. Mi metteva ansia a volte però rimaneva comunque simpatica e adorabile. < Come è andata la serata? > domandai sciacquando l’ennesima tazza.

< Bene > rispose lei sorridendo imbarazzata < Insomma, abbiamo dormito e poi stamattina, si ecco noi… > 

< Avete fatto sesso? > la incoraggiai sorridendo divertito per quel suo imbarazzo e per il fatto che fosse arrossita.

< Louis! > mi riprese schizzandomi con l’acqua del lavandino < Smettila subito! Non sono affari tuoi > aggiunse concentrando tutta la sua attenzione su un cucchiaio.

< Scusa non volevo > risposi io sorridendo e schizzandola esattamente come lei aveva fatto con me.

< Ok sei perdonato > fece lei passando a lavare l’ultima tazza.

< Visto comunque che avevo ragione? > le dissi mentre mi asciugavo le mani su uno strofinaccio che avevo trovato accanto al frigo.

< Riguardo a cosa? > domandò vaga, facendo finta di non capire.

< Lo sai riguardo a cosa > la stuzzicai solleticandole i fianchi coperti dalla maglia leggera di Harry.

< No, Louis > disse lei cominciando ad indietreggiare < Niente solletico, ti prego > supplicò incrociando le mani a modi preghiera.

< Allora ammettilo > la provocai riscaldandomi le mani. Ero pronto a farla ridere talmente tanto da toglierle il respiro.

< Mai > mimò con le labbra prima di afferrare lo strofinaccio che avevo usato prima e brandirlo come arma.

< Allora te ne pentirai > affermai serio poco prima di prenderla e cominciarle a fare il solletico.

Rideva così forte e così spontaneamente da attirare anche gli altri quattro i quali, divertiti dalla scena che trovarono, tutti tranne Harry, scoppiarono a ridere.

Il riccio invece mise su il broncio e andò a chiudersi in camera. Ok che era la sua ragazza, almeno credo lo fosse, però se uno non poteva nemmeno scherzarci non c’era gusto.

< Ci penso io > mi sussurrò la bionda liberandosi dalla mia presa e avviandosi lungo il corridoio.

Io rimasi in cucina, leggermente deluso dal comportamento di Harry. Cosa credeva, che gli avrei rubato la ragazza? Era il mio migliore amico, dannazione! Per me era quasi un fratello. E poi in ogni caso avevo Ele, non le avrei mai fatto un torto del genere. Amavo quella ragazza.

< Ahia, Boo Bear > commentò il pakistano < L’hai fatta grossa > aggiunse scoppiando in una risata divertita.

< Gli passerà > mi limitai a dire prima di afferrare il cellulare e notare una chiamata persa da parte della mia ragazza.

Premetti il tasto rapido di richiamata e attesi che dall’altra parte mi rispondessero mentre, con indosso il pantalone del pigiama ed una maglia grigia, andavo a sedermi sul terrazzino.

< Amore > la sentì dire appena rispose. Adoravo sentire la sua voce, anche se solo per telefono.

< Ehi piccola > sussurrai chiudendo gli occhi e godendomi il sole primaverile che Londra aveva deciso di donarci < Come stai? > le domandai .

< Io benissimo > trillò euforica. Sono sicuro che se solo non fosse stata impegnata a dover tenere il cellulare, avrebbe sbattuto le mani.

< Che ne dici se passo a prenderti e oggi passi la giornata con me? > le domandai senza pensarci. Avevo voglia di vederle e in più volevo farle conoscere Bell, ero sicuro che sarebbero andate d’accordo.

< Voglio farti conoscere una persona > dissi senza aggiungere altro.

< Chi? > domandò con la curiosità dipinta nella voce. 

< Lo scoprirai se accetti > le sorrisi divertito da quel piccolo gioco. Avrebbe accettato di sicuro, era più curiosa di una volpe. 

< Ok, ma solo perché sono curiosa > disse ridendo.

< Tra un’ora sono lì > dissi e staccai la chiamata diretto verso la mia stanza.

Mentre attraversavo il corridoio per andare a prendere un paio di scarpe in camera vidi il riccio sdraiato sul letto con accanto Bell, alzarsi e venirmi in contro.

Quando fu a pochi centimetri di distanza mi saltò addosso rischiando di farmi cadere.

< Scusa scusa scusa scusa > cominciò a dire riempiendomi la faccia di piccoli bacetti che feci finta di schifare.

< Ok > feci mollando la presa e lasciandolo cadere a terra < Ti perdono se la pianti di baciarmi. Abbiamo una reputazione da difendere > dissi strizzandogli l’occhio.

< Uffa > mormorò fingendo delusione < Ma io ti amo > aggiunse mordendosi il labbro inferiore e facendo scoppiare a ridere l’italiana.

< Anche io > dissi per consolarlo < Ora però vado a prendere Ele, voglio che conosca Isobel > aggiunsi più a bassa voce.

< Oh, ok > annuì lui tornando in camera per caricarsi la bionda sulla schiena e portarla in salotto dagli altri.

Io invece entrai in camera, mi infilai un paio di scarpe e poi uscì di casa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 15
*** Di presentazioni e di chiarimenti ***


ANGOLO AUTRICE:

Waaaaaaaaaaaaaa sono tornata con il quattordicesimo capitoloooo!! *.* Mi credete che sto ballando la conga? Comunque sia, direi di parlare di cose serie, tipo il nuovo personaggioooooooooo. Finalmente sono riuscita ad inserire anche EEEEEEEEEEl sono così contenta! E' inutile dire che le due diventeranno mooolto amiche e che spesso, si alleeranno contro un nemico comune xD Bene dopo avervi annoiato abbastanza vi lascio a godervi il capitolo! Ricordatevi che le vostre RECENSIONI mi fanno più che PIACERE. Quindi vedete di scrivereeee....Un bacio, Sybeoil!


Capitolo 14

 

 

 

 

 

< Allora > cominciò El saltandomi addosso appena mi vide < Chi è questa persona che vuoi farmi conoscere? >

Le sorrisi misterioso e poi scossi la testa in segno di diniego. Non le avrei rivelato nulla questa volta. Volevo che Isobel fosse una sorpresa, ero fermamente convinto che quelle due sarebbero andate d’amore e d’accordo. Sembravano due facce della stessa medaglia. Da una parte c’era la mia El, divertente, solare e sempre pronta allo scherzo mentre dall’altra c’era Isobel, riflessiva, razionale e dolce. 

Credo si completassero a vicenda proprio come facevamo io ed Harry. 

< Non te lo dirò fino a quando non saremo arrivati a casa > le dissi continuando a tenere lo sguardo fisso sulla strada innanzi a me. 

Non volevo dover fare una deviazione all’ospedale più vicino, non in uno dei pochi giorni liberi che ci erano concessi.

< Eddaiiii > insistette la mora al mio fianco sporgendo il labbro inferiore in fuori per farmi cedere.

Ridacchiai divertito da quei tentativi melensi di convincermi a vuotare il sacco sull’identità della misteriosa persona e poi scossi ancora una volta la testa.

< Mi dispiace Carotina, ma questa volta sarò muto > 

La sentì sospirare e poi girarsi verso il finestrino da cui si vedeva scorrere la campagna inglese. Si vedeva lontano un miglio che quello che aveva messo su era solo un finto broncio, studiato per l’occasione, nella speranza di ottenere qualche informazione in più.

Vedendola così piccola e arrabbiata ebbi la tentazione di cedere e rivelarle tutto ma poi tornai in me stesso e accantonai quell’idea.

Adesso che ci riflettevo non avevo bene idea del perché volessi farle conoscere la bionda a tutti i costi, in fondo non sapevo quasi nulla di lei, non sapevo se effettivamente con Harry sarebbe durata o meno, eppure sentivo la necessità di integrarla nel nostro gruppo.

Quella ragazza mi piaceva a pelle e, quando le persone mi piacciono a pelle, devo per forza farle sentire parte della mia famiglia.

< Spero non sia uno dei tuoi soliti scherzi > disse all’improvviso rompendo il silenzio che si era creato nell’abitacolo.

< Certo che non è uno scherzo > ribattei scandalizzato < Devo davvero presentarti una persona > aggiunsi socchiudendo gli occhi per un istante.

< Sarà meglio per te, Tomlinson > minacciò puntandomi l’indice contro il braccio < Perché io purtroppo non ho ancora finito la mia sessione d’esami. Me ne manca uno e se per colpa tua, prendo un brutto voto, è la volta buona che la tua voce aumenterà di dieci ottave > 

La guardai con un misto di paura e confusione. Come avrebbe fatto la mia voce ad aumentare di dieci ottave? 

< Come diavolo potresti aumentare le mia voce di dieci ottave? > domandai continuando a fissare la strada ed imboccando l’uscita per Londra.

< Perché ti staccherò le palle > rispose lei sorridendo malefica.

Istintivamente mi venne da portarmi una mano sul basso ventre, come a voler coprire i gioielli di famiglia da eventuali urti e sradicamenti. 

< Giuro che c’è davvero qualcuno che voglio farti conoscere > ripetei preda del panico < Credo che diventerete amiche > aggiunsi senza accorgermi di aver appena fornito un’utilissima informazione al nemico.

< Allora è una ragazza! > esclamò la mora saltando sul sedile mentre io mi immettevo nelle vie trafficate di Londra.

< Maledizione! > borbottai tirando piccoli colpettini  al volante della macchina. 

< E’ inglese? > proseguì la mora sfoderando tutte le domande del suo interrogatorio.

< Non intendo rispondere ad altre domande > dissi io risoluto come mai ero stato in sua presenza.

< Nemmeno se ti prometto che stasera guarderemo il cartone della Carota danzante? > domandò lei fissandomi come si fissano i bambini che fanno i capricci.

Ci pensai su qualche istante, giusto il tempo di valutare i pro e i contro di ogni mia possibile risposta. Alla fine, accertato il fatto che comunque avremmo visto lo stesso quel cartone, risposi un deciso e secco no.

< Siamo quasi arrivati, abbi un po’ di pazienza > dissi cominciando ad imboccare il viale che portava a casa mia e dei ragazzi.

 

Parcheggiai la macchina nel box vicino casa e aspettai che El scendesse a mi raggiungesse. Insieme arrivammo davanti al portone del nostro appartamento cominciando a salire che scale che conducevano a casa. Persino dal piano terra si sentivano provenire le urla di quei quattro squinternati dei miei coinquilini.

< Sono sempre i soliti > commentò El divertita accelerando il passo. Quei quattro idioti le erano mancati, lo si capiva dalla luce d’impazienza che aveva negli occhi.

Sorridendo divertito infilai le chiavi nella toppa aprendo la porta e lasciando che la mora potesse correre dentro casa per riabbracciare gli altri. La seguì all’interno dell’appartamento il più rapidamente possibile, non volevo perdermi la sua faccia quando avrebbe visto la bionda.

< Ehilaaaa > urlò entrando in salotto e lanciandosi a peso morto su Liam e Niall impegnati in una partita a FIFA. 

< Ehi bellezza > la salutò il biondo scoccandole un bacio sulla guancia che la fece sorridere.

< Ehiii > si limitò a dire Liam lasciandole due delicati bacini sulle guance.

< E gli altri due? > domandò la mia ragazza notando l’assenza del riccio e del moro. 

< Oh, uno è con la sua ragazza > rispose Liam riferendosi al riccio. 

< L’altro è in bagno > concluse il biondo in riferimento al moro che, probabilmente, si stava sistemando i capelli.

< Aspettate > li fermò El sedendosi ritta < Chi è fidanzato con chi? > domandò facendo una faccia stranita e confusa.

< Oh, Louis non te lo ha detto? > domandò il biondo ingenuamente.

< No > rispose la mora lanciandomi uno sguardo assassino che io mi occupai di ignorare.

< Beh, Harry è fidanzato > spiegò Liam alzando le spalle per riprendere poi a giocare alla play.

< Come sarebbe a dire fidanzato? > ripeté la ragazza non riuscendo a capacitarsi della cosa < E come mai non ne so niente? Perché i giornali non lo hanno ancora reso pubblico? > 

< Calma, calma, calma > la fermò il biondo sorridendo divertito < Stanno insieme da circa, dodici ore? > disse rivolgendosi all’amico.

< E i giornali non sanno niente per questo motivo > completò il moro annuendo soddisfatto.

< Oh, quindi è lei che volevi farmi conoscere? > chiese poi rivolgendosi a me.

< Esattamente > risposi io correndo ad abbracciarla e lasciandole un bacio umido sulla guancia.

< Bene allora sbrighiamoci > disse lei alzandosi in piedi < Sono curiosa > aggiunse sorridendo.

< Ok > acconsentì < Però sarà meglio chiamarli non vorrei interrompere cose strane > borbottai.

 

***

< Harry > sentì la voce di Louis urlare il nome del riccio dal piano di sotto e due risate rauche fargli eco.

A quelle dei ragazzi se ne aggiunse una terza. Era una risata femminile, delicata e contagiosa che scatenò in me la curiosità per cui Amalia mi aveva soprannominata Volpe.

< Cosa diavolo vuole adesso > sentì borbottare il riccio sdraiato al mio fianco mentre con un colpo di reni si metteva in piedi.

< Non lo so > risposi ridendo divertita. Stare in quella casa, circondata da Harry e i suoi amici, mi metteva allegria. Sembravano usciti da un cartone animato. 

< Cosa c’è, Louis? > strepitò sull’uscio della stanza.

< Scendete un secondo > disse di rimando il più grande provocando un sospiro nervoso nel mio riccio e un risolino in me.

< Sei una palla al piede > urlò Harry tornando a chiudersi in camera.

Con tutta la delicatezza del mondo, ovvero quella di un elefante in calore, si gettò accanto a me sul letto facendomi saltare e cominciando a lasciarmi leggeri baci sul collo.

< Harry, no > lo bloccai spingendolo leggermente per una spalla e obbligandolo ad allontanarsi. Non mi sembrava il caso di fare cose strane con gli altri quattro in casa, soprattutto dopo l’accaduto della mattina.

< Scendiamo dai > dissi afferrandogli una mano e sollevandolo dal letto.

Prima di lasciare la stanza e raggiungere gli altri nel salotto al piano di sotto però, diedi voce al pensiero che mi assillava dalla sera precedente.

< Harry? > chiamai in un sussurro nascondendo il viso già rosso dall’imbarazzo dietro i capelli < Ma io e te, cosa siamo? > domandai in uno slancio di coraggio.

< Ehii > mi richiamò il riccio affiancandomi e sollevandomi il mento con due dita < Tu mi piaci, e non intendo lasciarti andare > chiarì posando la sua fronte contro la mia e socchiudendo gli occhi.

< Quindi posso considerarmi la tua ragazza? > domandai con un pizzico di esitazione nella voce.

< Tu devi considerarti la mia ragazza > disse strizzandomi l’occhio mentre intrecciava le sue dita alle mie.

< Hazza ti muovi? > strillò Louis dal piano di sotto. Sembrava lo stessero strozzando tanto era stato acuto l’urlo. Mentre urlava sentì ancora quella risata femminile e contagiosa. Ok, non potevo resistere oltre, dovevo scoprire a chi appartenesse quella risata.

< So che preferiresti rimanere qui > cominciai iniziando a trascinarlo fuori dalla stanza < Ma io sono curiosa di scoprire a chi appartiene quella risata tanto dolce > dissi sorridendo zuccherosa.

< Ok > acconsentì il ricciolino seguendomi fuori dalla stanza e poi lungo le scale che portavano al piano di sotto.

< Arriviamo > urlò quando ormai eravamo praticamente in salotto.

< Hazzaaaaa > strepitò una mora dal fisico perfetto e un sorriso tanto bello quanto accecante mentre si fiondava tra le braccia del mio riccio.

Credo che la mia faccia parlasse per me. Insomma non ero mai stata una ragazza gelosa, anzi,. Ero talmente ingenua da non essermi nemmeno accorta di avere un intero albero di corna in testa. Eppure vedere tutta quella perfezione racchiusa tra le braccia del mio riccio mi fece sentire facilmente sostituibile. Troppo facilmente sostituibile. 

In fondo cosa pretendevo? Era famoso, bello e ricco. Ed io, io ero solo una delle tante conosciuta per caso in un aeroporto. 

Insomma, io non avevo nulla in più delle altre se non il mio accento italiano. Non ero bella come quella ragazza che ancora stringeva tra le mani, non ero famosa e non avevo un sorriso capace di far sciogliere un ghiacciolo.

< Non devi essere gelosa, sai? > mi disse il biondino che mi si era avvicinato di soppiatto.

< Io non sono gelosa > puntualizzai senza però riuscire a mettere da parte quello sguardo assassino.

< Certo ed io esco con Demi Lovato > scherzò il biondo tirandomi una leggera pacca sulla spalla e facendomi scoppiare a ridere.

< Ok, forse un po’ ma è così bella > cedetti alla fine.

< Si ed è anche fidanzata > sghignazzò Niall alle mie spalle.

< E con chi? > chiesi ingenuamente, come ogni domanda uscisse dalla mia bocca. 

< Con quell’idiota laggiù > disse indicando Louis la cui espressione sembrava quella di un bambino a cui avessero appena promesso una gita a Gardaland. 

< Quindi lei è la ragazza di Louis? > domandai incredula. Quanto potevo essere idiota da uno a cento? Insomma, sono la ragazza di Harry da nemmeno dodici ore, e già mi facevo prendere da questi stupidi dubbi?

Come diavolo avrei resistito?

Quando finalmente sciolse l’abbraccio notai negli occhi verdi del riccio uno scintilla di calore e felicità. Doveva volere veramente bene a quella ragazza.

< El, qui ci sarebbe la persona che volevo presentarti > disse all’improvviso Louis indicando me e sorridendo come un ebete.

Io, sentendomi tirata in causa, sollevai lo sguardo incontrando quello profondo e divertito della ragazza.

Aveva un viso davvero stupendo, sicuramente faceva la modella, ne aveva tutte le caratteristiche.

< Piacere io sono Eleonor > si presentò la mora tendendomi una mano che strinsi amichevolmente. In fondo, dopo quella prima impressione un po’ affrettata, sembrava una ragazza alla mano. 

< Piacere, Isobel > sorrisi sincera. 

< Louis ha insistito così tanto affinché ti conoscessi > cominciò sedendosi sul divano e facendomi segno di seguirla < Devi davvero essergli simpatica > aggiunse in un sorriso.

< Oh > borbottai imbarazzata < Beh, grazie credo > 

< Ma che grazie > scattò lei spintonandomi scherzosamente < Boo Bear non si sbaglia mai ed io sono sicura che diventeremo amiche > terminò con una strizzata d’occhio.

< Oggi pomeriggio ad esempio usciremo insieme > disse all’improvviso scattando in piedi e guardandosi in giro alla ricerca di qualcosa che alla fine trovò.

< Noi cosa? > domandai ancora confusa. 

< Andremo a fare shopping > spiegò gentilmente < Quale modo migliore di conoscerci? > aggiunse con un altro enorme sorriso che non potei fare a meno di ricambiare.

Si, quella ragazza era decisamente una forza della natura.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 16
*** Di chiamate e nuove amicizie ***


ANGOLO AUTRICE:

Bentornateeeeeeeeeeee mie piccole lucciole *.* Scrivere questo capitolo è stata una faticaccia, non avevo idee ed è stato frustrante. Chiedo scusa per la pesantezza del capitolo e per gli errori di grammatica. Spero che lascerete un piccolo commentino ino ino. Un bacio immenso, Sybeoil!





Capitolo 15

 

 

 

 

< E così sei italiana, eh? > mi domandò El mentre entravamo in un negozio Prada in cui il capo meno costoso costava comunque più dell’affitto di casa mia. 

< Sì > rispose sentendomi improvvisamente un pesce fuor d’acqua. Non ero mai stata in un negozio tanto elegante nemmeno quando ero a Torino, figuriamoci in un paese straniero. Quel pensiero mi fece capire quanto lontana fossi dal mondo di Harry. Quanto diversa fossi da lui e dai suoi amici e quanto, quel mondo luccicante in cui i soldi sembravano piovere dal cielo, non mi si addicesse.

Improvvisamente tutta quell’eccitazione e quel battere accelerato del cuore che avevo provato la sera prima con Harry, sembrava distante anni luce. Non potevo stare con lui quando i nostri mondi erano così distanti e diversi. Cosa avrei mai potuto offrirgli che già non possedeva? 

Io non avevo nulla e mai avrei avuto nulla. Avrei sempre condotto una vita precaria, sospesa sul sottile filo del fallimento. Lui invece era circondato dal successo, dall’amore e da tutto ciò che io non sarei mai stata in grado di donargli. Forse era meglio finirla prima ancora che cominciasse e che, entrambi, ci affezionassimo troppo.

Io ero abituata a soffrire ma Harry? Se si fosse innamorato, avrebbe poi sopportato la separazione e le differenze? 

Sarebbe stato in grado di superare gli ostacoli? Non credo, per quanto lo reputassi maturo non credo sarebbe stato in grado di far fronte a tanti ostacoli come quelli che io rappresentavo.

< Ehi > mi richiamò dolcemente El posandomi una mano sul braccio e sorridendomi cordiale.

< Scusa > borbottai abbozzando anche io un sorriso < Pensavo > mi giustificai.

< Non erano bei pensieri, vero? > chiese lasciando perdere per un secondo un meraviglioso paio di scarpe per ascoltare le preoccupazione di una stupida sconosciuta.

< No > ammisi con voce roca. Non volevo parlarne con una persona di cui conoscevo solo il nome, eppure quella ragazza dal viso pulito e il sorriso dolce, mi ispirava forza e simpatia.

< Vuoi parlarne? > mi chiese gentilmente invitandomi a sedere su delle poltroncine in pelle messe a disposizione per i clienti.

< Sono solo stupidi pensieri > scherzai buttandola sul ridere < Nulla di cui preoccuparsi > aggiunsi nella speranza di convincerla.

< Lo sai vero che non devi preoccuparti se tu ed Harry siete diversi ? > chiese accarezzandomi una spalla fasciata dalla manica leggera della maglia che indossavo.

< Come hai fatto? > domandai rimanendo scioccata dalla facilità con cui aveva indovinato i miei pensieri. 

< Perché sono esattamente gli stessi pensieri che avevo io quando ho conosciuto Louis > sorrise comprensiva.

< Si, ma tu non abiti a chilometri di distanza. Non devi lavorare come una schiava per riuscire ad arrivare a fine mese > sbottai frustrata.

Credo che il bisogno di un abbraccio mi si dovesse leggere in faccia tanto era frustata la mia espressione. Infatti la mora, senza dire una sola parola, si avvicinò e mi strinse tra le sue braccia esili facendomi sentire ancora di più a mancanza di Amalia. Se ci fosse stata lei in quel momento avrebbe saputo cosa dirmi e come farmi sorridere.

< Io non posso convincerti che tutto si supererà e che, se davvero ci tenete l’una all’altro, tutto andrà a meraviglia, però posso dirti di non preoccuparti e goderti il momento > disse la mora ancora stretta a me < Non lasciare che i pensieri ti impediscano di divertirti. In fondo sei nella città dei tuoi sogni, no? > domandò interrompendo l’abbraccio.

< Grazie > sussurrai ricacciando indietro le lacrime che si erano affacciate. Non potevo piangere, da quando ero arrivata a Londra ne avevo già versate troppe, non lo avrei fatto anche quel giorno.

< Ed ora a tutto shopping > gridò saltando in piedi facendo venire un infarto alla commessa e scatenando una mia risata spontanea.

< E shopping sia > mi arresi sorridendole riconoscente. 

 

Finalmente arrivammo in un negozio i cui prezzi erano accessibile anche per me. È inutile dire che El aveva già svaligiato mezza Londra e che, ogni volta che individuava un capo d’abbigliamento o un paio di scarpe che le piacevano, correva a comprarle. Assomigliava in modo inquietante alla tizia del film I Love Shopping solo che lei era molto più divertente. 

< Io amo la roba di Hollister > mi sussurrò all’orecchio prima di trascinarmi all’interno dell’immenso negozio. Girammo come pazze per tutti i reparti fino a quando la mora individuò quella che secondo lei sarebbe stata una perfetta maglia. 

Appena la vide ci si fiondò sopra come una cacciatore sulla propria preda, guardandosi in torno circospetta. Faceva davvero morire dal ridere.

Io invece, con la mia solita calma snervante, cominciai a girare per i vari reparti raccattando qua e la maglie e pantaloni che mi piacevano. Alla fine del giro, quando finalmente arrivò il momento di provarsi quell’immensa montagna di vestiti che io e la mora avevamo selezionato, ci dirigemmo verso i camerini.

Provai di tutto e di più, a partire dalle felpe più grandi di tue taglie ad arrivare ad un paio di calzini con sopra la scritta coca cola. El anche non si risparmiò nulla, anzi, se possibile provò anche più capi di me.

Decisi piuttosto in fretta cosa comprare e cosa scartare, mentre la mora, sempre combattuta tra una qualcosa e un qualcos’altro, ci mise del tempo in più.

Alla fine optò per due paia di jeans uno strappato sul ginocchio ed uno con delle borchie sulle tasche posteriori uguale a quello scelto da me, una maglia bianca di pizzo, una canotta anch’essa in pizzo, un vestitino morbido e due felpe. 

Andammo a pagare e finalmente uscimmo da quel negozio. La mora era talmente carica di borse e borsettine che rischiò un paio di volte di inciampare sui suoi stessi passi.

Ovviamente mi offrì di aiutarla ma non volle saperne, continuando imperterrita ad inciampare. 

< Che ne dici di un frappé? > domandò passando accanto ad uno Sturbucks. 

Io annuì grata di quella proposta, sentivo lo stomaco cominciare a reclamare cibo, per lo meno quella sorta di bevanda l’avrebbe tenuto a freno per un po’.

Una volta entrate nel locale tutti gli sguardi si puntarono su di noi, in particolare sulla mora che obbligai a sedersi. Io invece, dopo aver posato le borse accanto al nostro tavolo, andai ad ordinare due frappé.

Uno alla fragola per me ed uno al cioccolato per El. Quando tornai al tavolo lo trovai circondato da ragazzine adoranti che fissavano ad intermittenza prima El e poi le borse che aveva ai piedi.

Sembrava che avessero visto la madonna. Era inquietante.

Una un po’ più coraggiosa delle altre si fece avanti e, timidamente, chiese alla mora un autografo che però molto gentilmente lei si rifiutò di fare sostenendo di non essere lei la persona famosa.

La ragazzina la ringraziò comunque e poi se ne andò seguita dalle altre.

< Non pensavo fossi tanto famosa > scherzai ridendo.

< Non lo sono infatti > disse lei sorridendo divertita < Solo che stando con Louis la gente pensa che anche io sia una celebrità > spiegò tirando un sorso al suo frappé.

< E non è una bella cosa? > domandai pensando che forse sarebbe potuta succedere la stessa cosa anche a me ora che “stavo” con Harry.

< Dipende > ammise < A volte vorresti solo goderti qualche istante di solitudine con il tuo ragazzo, magari un po’ di intimità, e non puoi perché sei circondata dai flash dei fotografi > la vidi sospirare < In quel caso devi sorridere e fingere che vada tutto bene, in fondo senza i fan un cantante non è nulla, giusto? > 

Io la guardai sbigottita da quelle parole. Avevo sempre pensato che la fama, il fatto di essere famosi fosse una meraviglia e che l’essere continuamente pedinati dai paparazzi fosse sopportabile. Non avevo mai pensato che potesse essere così frustrante.

< Giusto > annuì e sorrisi.

 

< Allora > cominciò mentre uscivamo dal locale e ci dirigevamo di nuovo verso casa < Passata un po’ la malinconia di oggi? >

In effetti un po’ si era dissipata però c’era comunque una piccola parte di me che pensava a quanto difficile sarebbe stata la storia con Harry. A quante differenze avremmo dovuto superare, gli ostacoli e il fatto che io fossi lì con una borsa di studio non aiutava.

Non potevo di certo andarmene in giro con uno dei ragazzi d’ora d’Inghilterra.

< Più o meno > risposi divenendo sincera. Quando ero con lei non riuscivo a mentire, i suoi occhi da cerbiatta non me lo permettevano.

< Prova a parlarmene > propose gentilmente < Magari ti aiuta > aggiunse guardandomi.

< Il fatto è che i nostri mondi, il mio e il suo intendo, sono troppo diversi, troppo distanti. Io vengo da un paese che si trova a chilometri di distanza, per riuscire ad arrivare a fine mese devo lavorare come una dannata. Non ho sogni per il mio futuro, non ho piani e tanto meno non ho una vita come la sua. Siamo troppo diversi e ho paura che questo possa essere un problema > mi fermai un secondo per prendere fiato e sospirare. Le parole che io stessa avevo pronunciato mi avevano colpito al petto come un macigno.

< Non dico di essere innamorata di lui, insomma ci conosciamo da pochi giorni, però sento di essermi affezionata. Lui mi piace e nella mia vita ho già perso troppo per potermi permettere di perdere anche lui >

Vidi El fermarsi in mezzo al viale alberato di Hyde Park e abbracciarmi. Quella era la seconda volta in un giorno che la mora metteva da parte il fatto di essere praticamente due sconosciute e mi abbracciava.

< Non devi preoccuparti di queste cose > disse sciogliendo l’abbraccio e ricominciando a camminare < Anche Harry prima di diventare famoso lavorava come te. Non devi vergognarti di questa cosa e nemmeno del fatto che, come dici tu, i vostri mondi sono troppo distanti. Non è stupido e capirà. E oltretutto non l’ho mai visto guardare nessun’altra come guarda te > aggiunse ammiccando e risultando estremamente buffa.

< Come sarebbe a dire? > domandai non capendo il senso delle ultime parole. Come mi guardava Harry?

< Non lo hai notato? > domandò seriamente scioccata da quelle amia rivelazione.

< No > ammisi ridendo.

< Beh, ha un modo di guardarti che sembra volerti consumare con gli occhi. Non l’ho visto fissare il suo sguardo sul viso di una donna, di solito lo fissava sul corpo, ma con te lo fissa sul viso. Sui tuoi occhi, sulle tue labbra, sul tuo sorriso. Insomma lui ti vede non ti guarda solamente > concluse.

Io la guardai stupefatta. Non pensavo fosse capace di tanta profondità d’animo. In fondo stava con Louis la cui profondità era pari a quella di due centimetri di acqua.

Non fraintendetemi, adoro quel ragazzo, però quando si tratta di argomenti importanti lui tende sempre a buttare tutto sul ridere e spesso non è la cosa migliore.

< Beh, non me ne ero accorta > borbottai imbarazzata < Ma ti credo > aggiunsi alzando lo sguardo al cielo plumbeo di Londra. 

 

Arrivammo a casa poco dopo e trovammo tutti e cinque i ragazzi seduti sul divano a giocare a FIFA. Erano uno spettacolo davvero buffo e divertente. Niall era seduto mezzo storto con due pacchi di patatine in una mano e il joystick nell’altra mentre cercava di segnare. Liam era seduto tutto composto con le gambe ben chiuse e il joystick stretto convulsamente tra le due mani, Louis saltava come un criceto impazzito urlando ordini ad Harry che se la rideva sotto i baffi mentre faceva l’esatto opposto di quello che l’amico gli diceva. In fine c’era Zayn che, semi sdraiato sul divano, continuava a fissare la sua immagine riflessa in una credenza poco distante.

< Lo sapete che siete uno spettacolo inquietante > disse la mora entrando in casa e abbandonando le borse vicino alla porta.

< Amoreeeee > urlò il suo ragazzo abbandonando il gioco e correndole in contro. 

Per evitare di essere travolta dall’uragano Louis mi scansai di lato sorridendo divertita alla scena del moro che riempiva El di piccoli bacetti umidi.

< Mi stai uccidendo > balbettò la mora stretta tra le braccia muscolose del fidanzato. 

< Oh, scusa > sussurrò staccandosi dalla ragazza e sorridendomi pericolosamente.

< Ora tocca a te > disse infatti avvicinandosi pericolosamente e costringendo me ad indietreggiare.

Per mia fortuna il mio super ragazzo volò in mio aiuto salvandomi dalle grinfie del brutto uomo tutto baci e abbracci.

< Giù le mani dalla mia donna > fece Harry serio nei confronti dell’amico frapponendosi tra me e lui.

< M io volevo solo abbracciarla > mormorò sconsolato il moro tornando tra le braccia della fidanzata pronta ad accoglierlo.

< Questo è un diritto che spetta solo a me > enunciò il riccio stritolandomi tra le sue braccia e lasciandomi un leggero bacio sulle labbra.

< Resti qui stanotte? > mi sussurrò all’orecchio mentre ero ancora avvolta nel suo caldo abbraccio.

< Domani ho lezione non posso > biascicai delusa.

< Ok > disse lui sciogliendo l’abbraccio < Allora ti riaccompagno in collegio > disse.

< D’accordo > acconsentì seguendolo in camera dove recuperai tutta la mia roba.

Mi ero appena chiusa la porta alle spalle e stavo giusto per ispezionare la stanza alla ricerca di eventuali rimasugli di mia proprietà quando sentì le braccia del riccio circondarmi la vita da dietro.

Le sue labbra si poggiarono delicate sul mio collo risalendolo fino ad arrivare alla mandibola di cui ne tracciarono il profilo. 

Mi lasciai andare a quella sensazione di piacere e piegai la testa all’indietro incastrandola nell’incavo della sua spalla mentre le sue mani mi accarezzavano, senza alcune fretta, la pancia.

Desiderando che quell’attimo non finisse mai mi voltai ritrovandomi il suo viso a pochi centimetri del mio. Lasciai che i miei occhi annegassero in quei suoi pozzi verdi giada mentre il mio corpo veniva cullato dalle sue carezze capaci di provocarmi brividi anche con quaranta gradi.

In poco tempo la distanza che ci separava venne colmata e le sue labbra morbide si avvolsero sulle mie trasportandole in un’altra dimensione.

Quando lo baciavo era sempre così. Sembravo perdere il contatto con la realtà dimenticandomi il mio nome, il luogo in cui mi trovavo e cosa diavolo stessi facendo.

Lasciai subito libero accesso alla sua lingua fresca assaporandone il gusto di cereali. Mentre le sue mani si dirigevano al gancio del mio reggiseno le mie andarono ad intrecciarsi ai suoi ricci morbidi mentre il respiro di entrambi accelerava e la sua eccitazione diventava evidente.

< Harry non possiamo > sussurrai sulle sue labbra < Devo tornare in collegio > aggiunsi sperando di convincerlo.

< Va bene > borbottò arrendendosi e smettendola di torturare il mio povero reggiseno.

< Mi sei mancata oggi > aggiunse continuando ad abbracciarmi e accarezzarmi la schiena.

< Ma se sono stata via solo un pomeriggio > scherzai sorridendo divertita.

< Non importa > sussurrò lui sciogliendo l’abbraccio e dandomi un altro bacio prima di andare a chiudersi in bagno.

Io rimasi solo in camera a raccattare i vari vestiti e oggetti che mi appartenevano.

Quando finalmente Hrry fu pronto ed io ebbi recuperato tutto ciò che mi apparteneva uscimmo dalla stanza e ci dirigemmo in salotto per salutare gli altri.

Li trovammo esattamente come li avevamo lasciati. Niall, Zayn e Lima seduti sul divano a giocare alla play e Louis ed El abbracciati.

Erano davvero una splendida coppia e lei per lui era perfetta. Gli assomigliava un sacco, era divertente, solare, bambina e adulta allo stesso tempo.

Insomma una coppia perfetta.

< Bene ragazzi > proruppe il riccio < Io accompagno Bell in collegio, ci vediamo dopo ok? > i tre seduti sul divano annuirono come automi lanciandomi ognuno il proprio saluto mentre gli altri due sciolsero l’abbraccio e si avvicinarono.

< Noi veniamo con voi, tanto devo riaccompagnare El > spiegò Louis sorridendomi contento.

Insieme ci dirigemmo fuori dall’appartamento. Lou ed El erano sommersi dalle borse tanto che entrambi non videro l’ultimo gradino delle scale e vi inciamparono finendo con il sedere a terra.

< Mi sa che ho un po’ esagerato > ammise la mora ridendo di gusto alla vista del fidanzato ancora impegnato nel tentativo di rialzarsi.

< Nooo, ma va > la canzonò il moro riuscendo finalmente ad alzarsi e a dirigersi verso la propria macchina.

Prima però che le nostre strade si separassero mi dedicò un sorriso e mi abbracciò. 

Anche El fece la stessa cosa con l’aggiunta di un biglietto in cui aveva segnato il proprio numero di telefono.

< Mi raccomando, chiamami > disse seria lasciandomi un bacio sulla guancia per scappare poi via.

< Adoro quella ragazza > dissi quando fummo solo io e il riccio. 

< Lo sapevo > annuì lui.

Lo seguì per qualche metro fino a raggiungere una specie di box di cui il riccio estrasse la chiave.

< Avrò l’onore di andare in macchina con Harry Styles > scherzai aspettando che alzasse la serranda ed estraesse la macchina.

< Ritieniti fortunata > urlò mentre faceva manovra per uscire dal box e si fermava per farmi accomodare.

Devo ammettere che stare seduta alla sinistra invece che alla destra era un pochetto strano. Insomma io ero abituata a guidare a sinistra e avere il passeggero alla destra, mentre qui era il contrario.

< Dove si trova il tuo collegio? > chiese una volta risalito in macchina.

Gli dissi la via e lui partì. Il viaggio ovviamente durò pochissimo dato che casa sua distava poco da dove risiedevo io, ma fu comunque piacevole. Silenzioso ma piacevole.

Mentre eravamo in macchina sentì il cellulare vibrarmi nella tasca dei jeans. Lo afferrai e risposi senza nemmeno guardare chi fosse. Appena accettai la chiamata sentì un urlo stridulo invadermi il canale uditivo e raggiungere il cervello per perforarlo. Amalia doveva avere una buona notizia da darmi altrimenti non si spiegava quel suo continuo urlare.

< Mal ti vuoi calmare? > strepitai non riuscendo a capire una sola parola di ciò che stava farfugliando.

< Ok, ok sono calma > disse finalmente prendendo un paio di respiri profondi < E’ solo che sono eccitatissima > spiegò. Me la immaginai stesa sul letto con le gambe per aria e un sorriso a trentadue denti stampato su quel viso d’angelo.

< Cosa dovevi dirmi? > le chiesi prima che ricominciasse ad urlare ed io tornassi a non capire una mazza.

< Volevo dirti > cominciò trattenendo a stento le urla < Che vengo a Londra per due settimaneeee > sbottò alla fine.

Io rimasi scioccata a quella notizia. Come sarebbe a dire che sarebbe venuta a Londra per due settimane?

< Co-cosa? > domandai non riuscendo ancora a capacitarmene.

< Durante le vacanze pasquali verrò da te > ripeté questa volta con calma scandendo per bene tutte le parole e rendendole ben più chiare.

< Parto la prossima settimana > aggiunse notando il mio silenzio.

< Oddiooooooooo > saltai sul sedile facendo venire un infarto ad Harry e rischiando di sbattere la testa contro il soffitto dell’auto. Solo in quel momento realizzai la portata della notizia che mi aveva appena dato.

Avrei avuto la mia migliore amica a Londra per due settimane. Le avrei potuto far conoscere Harry, Vicktor, Bene, El e tutti gli altri.

< Ti sto amando > borbottai sorridendo come un ebete.

< Anche io mi amere > scherzò dall’altra parte del telefono < Comunque ora vado dolcezza ci sentiamo in settimana > 

< Ok, un bacio > la salutai e attaccai la chiamata.

Con ancora il sorriso sulle labbra mi voltai verso Harry che aveva seguito la mia conversazione con un grosso punto interrogativo sulla fronte. Dopotutto avevo parlato in italiano e lui quella lingua non la parlava.

< Chi era? > domandò infatti arrestando la macchina davanti al collegio.

< La mia migliore amica > risposi felice < Vieni quei per due settimane > aggiunsi notando la sue voglia di spiegazioni.

< E perché urlavi? > domandò confuso.

< Beh, perché sono felice > dissi abbracciandolo.

Lo sentì sorridere sul mio collo e poi sciogliere l’abbraccio.

Prima di scendere dall’auto e concludere così quella splendida giornata afferrai il suo telefonino e vi memorizzai il mio numero di cellulare. 

< Ti chiamo stasera > disse dandomi un bacio sulle labbra.

< Ok > annuì io scendendo dall’auto e dirigendomi verso il porticato del collegio. Sentivo lo sguardo del riccio fisso su di me così mi voltai e lo trovai a guardarmi camminare. Sorrideva ed era bellissimo.

Sorrisi timidamente e poi varcai la porta del collegio mentre sentivo la macchina del riccio muoversi per tornare a casa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 17
*** Di abbracci e nuovi arrivi ***


ANGOLO AUTRICE:

Buonsalve a tutti :) Mi prostro ai vostri piedi per l'immenso ritardo con cui pubblico questo sedicesimo capitolo ma la mi è saltata la connessione internet :( Ad ogni modo ringrazio tutti coloro che hanno letto, recensito e inserito la storia tra le preferite, seguite o ricordate. Siete una vera meraviglia dolcezze :3 Parlando di cose serie, ovvero del capitolo, Amalia è finalmente tra noi e già ha fatto colpo. Il bel pakistano è già caduto preda della sua disarmante bellezza. Ci sarà un possibile futuro tra i due o sarà una scintilla destinata a spegnersi in un bagno di lacrime? Se siete curiosi di scoprirlo continuate a seguirmi. Un bacio, Sybeoil!










Capitolo 16

 

 

 

 

 

Era ormai trascorsa una settimana intera da quella domenica in cui il mio strano rapporto con Harry aveva trovato una soluzione razionale. Una settimana dal giorno in cui Amalia mi aveva chiamata annunciandomi che sarebbe venuta a trovarmi. 

In quei sette giorni la mia amicizia con il biondo e il suo compagno di stanza, con cui tra l’altro sospettavo ci fosse del tenero, era cresciuta esattamente come quella con Eleonor e il resto della band di quello che potevo considerare il mio ragazzo.

Per nostra, e soprattutto mia fortuna, la notizia della nostra relazione non era trapelata ad alcun giornale. Probabilmente una parte del merito andava anche riconosciuta a quella testa di carota di Louis che, ogni volta che saltava fuori l’argomento ragazze e relazioni durante le interviste, sviava le domande concentrando l’attenzione su di lui e sulle sue battute che non facevano ridere. 

Quella sera sarebbe finalmente arrivata la mia migliore amica per trascorrere due intere settimane con me ed io non vedevo l’ora di riabbracciarla.

Nonostante avessi insistito per andare sola all’aeroporto, in modo più che altro da non destare i sospetti di paparazzi e giornalisti, Harry aveva comunque voluto accompagnarmi sostenendo che era perfettamente in grado di camuffare il suo aspetto.

In effetti conciato in quel modo sembrava di tutto meno che Harry Styles il membro dei One Direction. Quel ridicolo cappello a forma di panda gli copriva mezza faccia e tutti i riccioli mentre gli occhiali da sole sommati all’enorme felpone di proprietà di Paul facevano il resto.

Era buffo vederlo camminare per l’aeroporto conciato in quel modo con una smorfia di disappunto ogni qual volta lo sguardo di una ragazza si posasse su di lui. Aveva paura di essere riconosciuto, si vedeva lontano un miglio.

< Nemmeno tua madre potrebbe riconoscerti conciato in questo modo > scherzai mentre mi arrestavo davanti al gate dal quale sarebbe arrivata Mal.

< Non scherzare > fece lui serio guardandosi intorno circospetto < Se mi riconoscono sono fregato > aggiunse stringendo maggiormente la mia mano intrecciata alla sua.

< Se ti riconoscono > sussurrai ad un millimetro dalle sue labbra < Possiamo sempre scappare insieme > dissi prima di lasciargli un leggero bacio.

Sorrisi spontaneamente e poi tornai a voltarmi in direzione del gate da cui vidi arrivare una Mal eccitata e sorridente.

All’istante mollai la mano del mio ragazzo e corsi ad abbracciare una delle mie ragioni di vita. Il mio sole in mezzo alla tempesta, un diamante grezzo in mezzo a tanti zirconi. Corsi ad abbracciare l’altra metà della mia anima.

< Mi sei mancata tantissimo > mi sussurrò all’orecchio mentre eravamo ancora strette una nelle braccia dell’altra.

Un paio di colpi di tosse ci distrassero facendoci tornare alla realtà. Harry era alle mie spalle con un sorriso sincero stampato su quel viso d’angelo e la mano già tesa nella direzione della mia amica.

< Io sono Harry > disse stringendogliela < Piacere di conoscerti >

Vidi Mal sgranare gli occhi e sorridere maliziosa prima di contraccambiare il saluto e presentarsi a sua volta con il suo inglese maccheronico.

< Quindi tu sei il tipo della toccata e fuga > aggiunse poi guardandomi con un misto di divertimento e rimprovero per non averle detto nulla.

< Emm, si direi di si > abbozzò il riccio prendendomi per mano e avviandosi verso il rullo su cui scorrevano le valige delle migliaia di passeggeri.

Mi fermai un secondo ad osservare tutte quelle persone che si muovevano convulsamente verso i rispettivi chek-in diretti in chissà quale parte del mondo. Ignari del destino che li attendeva dietro l’angolo, della vita che avrebbero vissuto o delle difficoltà che avrebbero affrontato.

Era bello vederli camminare immersi ognuno nei propri pensieri, inconsapevoli di tutto e di tutti.

Era qualcosa a cui avevo sempre pensato. Qualcosa che mi piaceva notare nei luoghi affollati. Fin da piccolina avevo lo strano vizio di osservare attentamente tutte le persone intorno a me, studiarle ed analizzarle una ad una.

Osservandole, sentendole parlare al telefono, potevo quasi ricostruirne un pezzo di vita. Potevo sentirmi parte di qualcosa che va al di là del semplice esistere, potevo sentirmi parte dell’Universo. Ora forse penserete che sono una pazza e, forse avete anche ragione, rimane però il fatto che osservare la gente rimane uno dei miei passatempi preferiti.

C’era una persona che amavo particolarmente osservare. Aveva folti capelli ricci neri come la notte, due occhi verdi come la giada e un paio di labbra belle da morire.

Potevo rimanere ad osservarlo per ore intere senza mai annoiarmi. Ogni singolo dettaglio del suo viso, ogni più piccola piega, ogni più piccola ruga era ormai scalfita nella mia memoria. Anche in quel momento, mentre aspettavamo che la valigia di Mal sbucasse dal rullo, mi persi a contemplare il profilo perfetto del mio ragazzo. 

< Faresti meglio a disincantarti > sussurrò Mal a pochi centimetri dal mio orecchio rischiando di farmi venire un infarto.

< Sei una stronza > dissi divertita < Mi hai fatto prendere un colpo, e comunque non posso farci niente se mi piace osservare > ribattei leggermente piccata.

< Lo so > annuì Mal < Solo che lo osservi in modo diverso > spiegò sorridendomi dolcemente. Adoravo quel suo sorriso, era così spontaneo e zuccheroso che portava a sorridere anche te.

< E come lo guarderei? > chiesi in ogni caso, giusto per capire cosa intendesse con quelle parole. 

< Lo guardi con gli occhi di chi è innamorato > disse con ovvietà prima di allontanarsi e raggiungere Harry che nel frattempo aveva recuperato la sua valigia. 

Io non guardavo Harry con gli occhi di chi è innamorato perché io non ero innamorata di Harry. È vero, mi piaceva stare in sua compagnia e sì, farci anche sesso, ma questo non voleva dire che ne fossi innamorata. Lo conoscevo da così poco tempo che non riuscivo ad immaginarmi innamorata di Harry Styles il divo.

< Bell > chiamò il mio ragazzo < Andiamo o hai intenzione di rimanere qui? > domandò notando che non accennavo a muovere un passo. Tornando con i pensieri alla realtà londinese sorrisi e afferrai la mano del mio ragazzo dirigendomi poi verso l’uscita dell’aeroporto dove ad attenderci c’era Zayn.

 

***

Eravamo arrivati all’aeroporto con non so quante ore di anticipo. Bell aveva paura di fare tardi e non esserci quando la sua amica fosse atterrata così io ed Harry, che ormai sbavava per quella ragazza, ci eravamo dovuti camuffare e accompagnarla.

Io sinceramente sarei rimasto volentieri a casa a poltrire ancora un po’ su quel morbido divano che tanto amavo ma il riccio aveva insistito talmente tanto affinché lo accompagnassi che alla fine mi ero deciso ad alzarmi e seguirlo.

Ora mi ritrovavo seduto nell’enorme macchina di Harry, sul sedile posteriore aggiungerei, mentre aspettavo una sconosciuta. Non era una cosa piacevole o divertente, anzi, era l’esatto opposto. Mi stavo annoiando a morte e nemmeno la mia immagine riflessa nello specchietto retrovisore riusciva a distrarmi. Ero talmente annoiato che presi in seria considerazione l’idea di cominciare a chiamare alcuni dei contatti che avevo in rubrica. Magari avrei beccato una fan carina.

Poi però mi ricordai della reazione che avevano tutte quando dicevo chi fossi e accantonai l’idea. Non era bello essere la causa dello svenimento di qualche dolce ragazzina.

Dovevo comunque distrarmi in qualche modo, altrimenti quando quei tre sarebbero arrivati, mi avrebbero trovato addormentato.

Mi ricordai all’improvviso di Twitter e il cielo parve aprirsi per illuminare la mia strada. Finalmente avevo trovato un modo per impiegare il tempo.

Estrassi il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans ed entrai all’interno del sito venendo immediatamente sommerso dai tweet delle fan.

Erano tantissimi e di paesi diversi. Alcuni erano anche di ragazze italiane. Mmm, io adoravo l’Italia.

Ero rimasto in quel paese per così poco tempo che mi risultava strano affermare di averlo visitato e di essermene innamorato. Eppure era così. 

Amavo ogni singola cosa dell’Italia. A partire dal cibo che sapeva di buono, di casa, di giusto, fino ad arrivare alle ragazze.

Oh, le ragazze italiane! Erano qualcosa di indescrivibile. Ti guardavano con quei loro occhi languidi, ti parlavano con quelle loro labbra carnose al punto giusto e ti abbracciavano con quei loro corpi perfetti.

Credo non ci fossero ragazze più belle delle italiane. Sono perfette!

Se non sbaglio vi era anche una specie di “battaglia” tra le nostre fan inglesi e quelle del Bel Paese che ovviamente era stata vinta dalle italiane. 

Mentre sorridevo al pensiero delle ragazze che avevo incontrato durante il nostro breve soggiorno nella penisola a forma di stivale vidi arrivare Harry, nascosto da quel suo buffo travestimento, Bell raggiante e felice come non l’avevo mai vista e poi lei, la famosa Amalia.

Quando i miei occhi si posarono sulla figura della nuova arrivata rimasi quasi incantato. Era davvero bellissima. 

Alta con un fisico da far invidia alle modelle, folti boccoli dello stesso colore del cioccolato fondente e un due occhi color del caramello.

Aveva la pelle leggermente abbronzata e liscia su cui si posavano morbidi un paio di leggins marrone scuro e una tunica di lino che aveva stretto in vita con una cintura. 

La vidi ridere ad una battuta della bionda e poi aprire lo sportello del sedile sul quale ero seduto io. Istintivamente mi tirai indietro e la osservai osservarmi.

Era davvero stupenda, non avevo mai visto tanta bellezza racchiusa in un solo corpo. 

< E lui chi sarebbe? > domandò in quello che credo fosse italiano dato che non capì una sola parola di ciò che disse.

< Lui è Zayn > rispose la bionda in inglese in modo da includere anche me e il riccio nella conversazione < E’ un altro membro della band e amico di Harry > aggiunse dedicandomi un sorriso. 

In quei pochi giorni mi ero davvero affezionato a quella ragazza. Era bella, simpatica, solare ed estremamente forte. Sapeva far valere i suoi diritti e se qualcuno osava metterle i piedi in testa, beh, lei lo rimetteva al suo posto in meno di trenta secondi.

Credo fosse la ragazza giusta per il nostro riccio. Se non altro lo manteneva con i piedi per terra e gli impediva di gasarsi o di fare il coglione. 

Ricordandomi poi del luogo in cui mi trovavo e di chi c’era con me tornai con la mente alla realtà ed allungai una mano per presentarmi.

< Come ti hanno già detto io sono Zayn > dissi con tutta la spavalderia che possedevo convinto di fare colpo in qualche modo.

< Io sono Amalia > rispose lei regalandomi un sorriso mozzafiato. 

< Stanca? > domandai non sapendo bene cosa altro chiedere mentre il riccio metteva in moto e partiva alla volta di casa nostra.

< Non molto a dire la verità > rispose Amalia < Sono eccitata > ammise strizzandomi l’occhio.

< Non vedo l’ora di presentarti gli altri > disse la bionda interrompendo il silenzio che si era venuto a creare < Li troverai simpaticissimi > aggiunse lanciandomi uno sguardo allusivo.

Cosa voleva che facessi?

< Già, soprattutto la fogna vivente di Niall > scherzai io facendo ridere anche il riccio alla guida.

< Lo credo anche io Zayn > convenne Harry < Credimi Amalia, quel ragazzo è un vero pozzo senza fondo > 

< Allora credo proprio che io e questo Niall andremo d’accordo > scherzò la riccia sporgendosi con la testa fuori dal finestrino.

< Sei mai stata a Londra? > domandai per fare conversazione. In fondo da qualche parte avrei pur dovuto cominciare, sarebbe rimasta con noi per quindici giorni, perciò prima trovavo qualcosa di cui discutere meglio era.

< No mai > ammise con rammarico < Nonostante mia zia abbia una casa qui a Londra, io non ci sono mai venuta >

< Vedrai, ti piacerà > le assicurò il riccio mentre svoltava a sinistra ad un incrocio non distante da casa nostra. 

< Sono d’accordo con Harry > intervenne la bionda lanciando sguardi che non promettevano nulla di buono < Zayn potrebbe farti da guida turistica personale > propose sorridendo incoraggiante.

< Si perché no > acconsentì la riccia voltandosi verso di me per sorridermi. In quel momento avrei potuto prendere Isobel e baciarla tanto le volevo bene. 

In meno di cinque minuti, mi aveva organizzato un appuntamento con Amalia. Non che io non fossi in grado di cavarmela da solo, ma quando una ragazza mi piaceva sul serio, diventavo piuttosto imbranato.

Svoltammo nella via di casa nostra e ciò che vedemmo ci lasciò spiazzati. Ammassati sotto casa c’erano una ventina di fotografi agguerriti e con le loro macchine fotografiche già pronte a scattare.

< Cosa diavolo ci fanno qui tutti questi paparazzi? > domandò Bell allarmata. Lei era sicuramente quella che rischiava di più se fosse finita sulla copertina di qualche rivista di gossip.

In fondo lei si trovava a Londra grazie ad una borsa di studio che le consentiva appunto di studiare e perfezionare il suo inglese, non di conoscere e frequentare una band inglese.

Sicuro come il fatto che Niall in quel preciso istante si stesse strafocando a casa seduto sul divano, se la notizia della relazione tra lei ed Harry fosse venuta allo scoperto, le avrebbero levato la borsa di studio e lei sarebbe dovuta tornare in Italia.

< Non ne ho idea > rispose altrettanto terrorizzato il riccio prima di accelerare e proseguire dritto senza fermarsi nel vialetto di casa.

Avremmo parcheggiato in una delle vie accanto a casa e poi ci saremmo avviati a piedi passando dal retro.

In quel modo, se Dio ci avesse assistito, i paparazzi non ci avrebbero scoperti.

< Harry > chiamai dal sedile posteriore < La macchina lasciala nel vialetto della signora Holmes, la prenderai più tardi > proposi indicando il vialetto deserto di una casa.

< Ok, va bene > annuì il riccio svoltando per immettersi nel vialetto della casa della signora Holmes. 

< Ok, ragazze > disse il riccio spegnendo il motore < Dovremo passare dal retro della casa il che vorrà dire cavalcare un paio di staccionate. Pensate di farcela? > domandò come se stesse parlando di una questione di vita o di morte.

< Per chi ci hai prese? > si indignò Bell tirandogli una pacca scherzosa sulla spalla < Siamo più che in grado di saltare un paio di staccionate > 

< Ok, allora andiamo > disse mettendo una mano sulla portiera pronto per lasciare l’abitacolo.

< E le mie valige? > domandò Amalia ricordandosi della sua roba rimasta nel bagagliaio.

< Le lasciamo qui > risposi io < Tanto poi stasera ti riaccompagniamo a casa tua > aggiunsi.

Lei mi sorrise e poi annuì scendendo dalla macchina.

Camminammo con le gambe piegate attenti a non fare rumori e a non farci scorgere dai paparazzi. Arrivammo davanti alla prima staccionata, quella della casa dei signori Burnes, Bell e Amalia la superarono senza problemi dimostrando tutta la loro agilità Harry invece ebbe qualche piccola difficoltà.

Volendo fare il gradasso aveva preso la rincorsa per saltare la staccionata solo che aveva messo male il piede e così era volato dall’altra parte come un sacco di patate.

< Ti sei fatto male? > chiesi scavalcando di corsa.

< La mia schienaaa > si lamentò passandosi una mano dietro la schiena vicino al fondoschiena.

< Meno male che eravamo noi quelle incapaci a scavalcare > lo prese in giro Bell prima di chinarsi e lasciargli un bacio a fior di labbra.

< Ora sto molto meglio > affermò Hazza alzandosi in piedi e riprendendo a camminare.

Arrivammo anche alla seconda staccionata e, per fortuna, questa volta il riccio non fece nessuna mossa inconsueta uscendone illeso.

Finalmente arrivammo sul retro di casa nostra e, tra una risata di Bell ed una di Amalia riguardo la caduta di Harry, riuscimmo ad entrare senza essere visti.

L’appartamento era silenzioso come quando lo avevamo lasciato segno che Niall, Liam e Louis non l’avevano ancora distrutta. Infilai le chiavi nella toppa di casa e spinsi lasciando che la porta si aprisse rivelando l’interno dell’appartamento dei One Direction. 

< Wooow > esclamò la mora entrando all’interno e soffermandosi sul salone d’ingresso < E’ stupendo > aggiunse voltandosi nella mia direzione dato che ero l’unico rimasto.

Harry e Bell erano già volati in soggiorno dagli altri tre.

< Già, è davvero molto bello > convenni poggiando le chiavi su un mobile accanto alla porta d’ingresso e togliendomi la giacca che indossavo.

< Di là ci sono gli altri > aggiunsi cominciando a dirigermi verso il soggiorno < Vieni, te li presento >

Amalia sorrise, mi afferrò la mano seguendomi verso l’altra stanza.

Non so se fosse per la novità, la sorpresa di quel gesto che sembrava così naturale o la bellezza di quella ragazza, ma quando le sue dita sfiorarono il palmo della mia mano sentì i brividi percorrermi la spina dorsale. 

 

 

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Capitolo 18
*** Di promesse e amari ricordi ***


ANGOLO AUTRICE:

Bentornateeeeeee....chiedo immensamente scusa per il ritardo ma ho avuto probolemi con la connessione e anche con il capitolo, non voleva farsi scrivere il piccoletto. Voglio ringraziare di cuore tutte coloro che hanno commentato i capitoli precedenti o che semplicemente hanno inserito la storia tra le preferite, le seguite o le ricordate. Senza di voi non sarei qui!  Dunque in questo capitolo cominceremo a sondare l'animo della new entry che, a quanto pare, sembra attratta dal bel moretto. Che tra i due possa scoccare la scintilla ed incendiare i cuori? Per Bell i due hanno del potenziale quindi mai demoralizzarsi. Bene, vi lascio godervi il capitolo in pace senza la mia onnipresente rottura di balle :)                                                                                 Tutti i commenti, di qualunque genere tranne offensivi, sono più che graditi :D


Capitolo 17

 
 
 
 
 

Trovare quel ragazzo dalla pelle olivastra e i capelli color ebano sul sedile posteriore dell’auto che avrebbe dovuto condurmi a casa mi colse di sorpresa, devo ammetterlo. Ciò che però mi sconvolse di più fu la reazione che il mio cuore ebbe quando i suoi occhi incontrarono i miei fondendocisi. Insomma, mi era già capitato di incontrare bei ragazzi, alcuni ci avevano anche provato spudoratamente pensando fossi una modella o una specie di velina, eppure quando colsi il suo sguardo sentì il cuore accelerare di colpo. 

Fu come se lo avessero spronato a correre i cento metri in due secondi netti. Lo osservai durante tutto il tragitto dall’aeroporto a casa della band del riccio cercando di non farmi notare. Era davvero un bel ragazzo.

La mascella squadrata si sposava alla perfezione con la riga dritta e severa del naso che sormontava delle labbra belle da morire. 

Lo sguardo cupo e misterioso vagava solitario al di fuori del finestrino lungo i paesaggi che la periferia di Londra offriva, mentre il corpo sembrava percorso da centinaia di piccole scosse elettriche che lo paralizzavano. Stava seduto immobile senza muovere un solo muscolo. L’unica cosa che ogni tanto veniva smossa era la bocca che usava per parlare con me o con il ragazzo di Bell. 

La prima impressione che avevo avuto di lui devo dire che non era stata delle migliori. Aveva la classica aria da bello e dannato, a poco servivano quei riccioli e quell’espressione da cherubino innamorato, si vedeva lontano un miglio che era un donnaiolo. 

La cosa mi andava più che bene, in fondo io non sono nessuno per giudicare la vita altrui, ma se solo avesse fatto del male alla mia amica giuro che gli avrei staccato le palle a morsi.

Bell è la ragazza può buona che conosca, forse è addirittura la ragazza più buona dell’intero pianeta. Prima di pensare a sé pensa sempre agli altri, odia quando non può accontentare tutti o quando non riesce a soddisfare le aspettative altrui. 

Ama con un’intensità che non ho mai trovato in nessuno, riesce a darti l’anima per davvero se solo gliela chiedi e non si merita di soffrire ancora.

 

È bastato quello stronzo di Luca a farle passare le pene dell’inferno, non ha di certo bisogno di un altro stronzo che la illuda per poi abbandonarla come un fazzoletto usato. 

Dopo la fregatura che aveva ricevuto con quello stronzo mi ero fatta una promessa. Avevo giurato che mai più nessun ragazzo avrebbe fatto soffrire quella meravigliosa creatura che è Bell e, se solo qualcuno si fosse azzardato a farle del male, se la sarebbe vista con me.

So che posso sembrare piccolina e indifesa, ma ehi, se è il caso picchio duro! 

Dopo gli innumerevoli e, decisamente stupidi, sproloqui mentali nei quali mi ero persa tornai a concentrare la mia attenzione sulla voce soave e delicata della mia amica.

In quel momento stava ridendo ad una battuta che il ricciolino alla guida aveva fatto su qualcuno a me sconosciuto. Bell aveva la risata più bella che orecchie umane avessero mai udito. Era spontanea, solare, realmente divertita ma mai volgare. Credo che anche Harry se ne fosse accorto perché lo beccai a rimirare incantato il viso divertito della bionda al suo fianco. Rimasi ad osservarlo per captare ogni sua reazione e capire quali fossero i reali sentimenti che provava verso la mia amica. Fui sorpresa quando nel suo sguardo, perso nella piega del sorriso incantevole di Bell, lessi solo amore. Si, amore!

Non credo ci fossero altre parole per descrivere ciò che lessi in quello sguardo smeraldino. In quel preciso momento, mentre tutta la sua attenzione era concentrata sulle labbra piene di Bell che rideva sommessamente, il suo sguardo che sono sicura, incantava chiunque, esprimeva amore puro e semplice.

Anche al moretto al mio fianco non sfuggì quello sguardo da pesce innamorato perché lo sentì ridacchiare sotto voce e mormorare qualcosa che non compresi.

Maledetta me e il giorno in cui mi rifiutai di capire l’inglese.

Dato però, che la curiosità era sempre stato il mio più grande difetto, Bell diceva sempre che prima o poi mi avrebbe uccisa, raccolsi quel poco d’inglese che conoscevo e chiesi a Zayn ( mi pare si chiamasse così ) cosa avesse detto.

< Cosa? > domandò ruotando il capo nella mia direzione e mantenendo il tono di voce basso, quasi non volesse farsi sentire dai due davanti. 

< Ti ho chiesto che cosa hai detto prima > ripetei sorridendo divertita dal mio modo di parlare. Sembrava stessi dialogando con un parente di E.T l’extraterrestre. 

< Oh > annuì il moretto < Stavo semplicemente constatando che il cretino del mio amico li davanti si è innamorato > disse.

Istintivamente mi aprì in un megasorriso che andava da orecchio a orecchio.

< Sì, lo credo anche io > confermai battendo le mani come una bambina eccitata alla vigilia di Natale.

< Non l’ho mai visto guardare nessuna ragazza in quel modo > continuò il ragazzo < Insomma quando guarda Bell è come se vedesse il sole per la prima volta. Sembra perdersi in un mondo tutto suo che a noi è precluso a priori. Quando la guarda non esiste più l’Harry famoso, ma solo l’Harold bambino, quello dei sorrisi e delle fossette > 

Rimasi profondamente colpita dalle parole che uscirono dalla bocca di quel ragazzo. Da un tipo come lui mi sarei aspettata parolacce, prese in giro, atti di bullismo non magiche parole capaci di perforarti l’anima.

Sembrava stesse recitando una poesia o uno di quel link che circolano sempre su Facebook. 

Ne rimasi così impressionata che mi incantai ad osservarlo con la bocca leggermente socchiusa e gli occhi che ancora un po’ gli intonavano una serenata.

< Ehi, ehi tutto bene? > domandò schioccandomi due dita davanti agli occhi per farmi riprendere.

< Eh? > saltai su serrando la bocca e assumendo un’espressione meno da pesce lesso e più da ragazza fica < Sì, si tutto bene > dissi poi passandomi una mano in quella sorta di ragnatela che erano i miei capelli.

< Sembrava avessi visto Leonardo Di Caprio > scherzò il moretto tornando a guardare fuori dal finestrino.

< Quasi > sussurrai più a me stessa che a lui. In fondo mica potevo confessargli lo strano effetto che il suo sguardo aveva su di me, lo avrei sicuramente spaventato e rovinato ogni più piccola possibilità che tra noi potesse nascere qualcosa. No, dovevo fare la brava bambina e comportarmi come se nulla fosse, se davvero gli interessavo avrebbe fatto la prima mossa.

O forse la prima mossa l’avrebbe fatta quella sagoma della mia migliore amica. 

< Zayn potrebbe farti da guida turistica personale > disse infatti sorridendomi complice ed entusiasta. Nonostante in quel momento il mio affetto nei suoi confronti si fosse trasformato in sana ed equilibrava voglia di uccidere, devo ammettere che aveva avuto una brillante idea.

Lei e quel suo cervelletto super sviluppato avrebbero conquistato il mondo un giorno, ne ero più che convinta.

 

***

Dopo essere sfuggiti ai mortali flash dei paparazzi appostati sotto casa di Harry, aver parcheggiato nel vialetto di una povera signora ed aver scavalcato almeno cinque staccionate per raggiungere il giardino di casa della band, arrivammo finalmente a casa.

L’appartamento era silenzioso quindi le opzioni su cosa stessero facendo gli altri tre erano solo due: dormire o giocare. 

Io ero più propensa a credere alla prima, in fondo la sera prima eravamo stati alzati fino a tardi perché quel demente di Louis si era intestardito a vedere un orrido film splatter che davano su un canale sconosciuto. Harry invece, che li conosceva molto meglio di me, era sicuro che Liam, Niall e Louis fossero già svegli e stessero giocando alla play in salotto dove si diresse appena mise piede in casa. Io lo seguì per lasciare Zayn e Amalia da soli, secondo me avevano del potenziale come coppia. 

Credo fosse una questione di completezza, uno completava l’altra e vice versa. 

La vivacità, la solarità e la mondanità di Malia facevano da contrappeso alla riservatezza, mistero e profondità d’animo del pakistano. Per di più erano entrambi bellissimi e quindi perfetti l’uno per l’altra.

Appena misi piede in salotto scoppiai in una sonora e sincera risata. La scena che mi si presentò davanti agli occhi era a dir poco comica.

Sdraiati in modo scomposto sul divano, con Liam che aveva la testa a penzoloni giù dal bracciolo, Louis con i piedi poggiati sulla spalla del moro e Niall che se ne stava svaccato con la bocca semi aperta da cui colava un rivoletto di bava, trovammo il resto della band più alla moda d’Inghilterra. Se qualche fan li avesse visti ora, in quello stato pietoso, avrebbe cambiato idea riguardo la loro bellezza e la loro perfezione.

< Sono proprio imbecilli > commentò il pakistano che nel frattempo ci aveva raggiunto con Amalia . 

Spostando lo sguardo sui due notai con piacere che le loro mani erano intrecciate ed, involontariamente, mi ritrovai a sorridere. 

Non scambiatemi per una di quelle ossessionate che vogliono far mettere insieme tutti quanti per forza di cose, però Amalia era la mia migliore amica e per me ha sempre fatto tanto, quello era un po’ il mio modo di ricompensarla. 

In circa quindici anni che la conoscevo non l’avevo mai vista lasciarsi andare. Era capitato solo una volta che, all’età di circa sedici anni, si fosse quasi innamorata di un nostro ex compagno di scuola. 

Si chiamava Matteo ed era bello da togliere il fiato. Capelli nero corvino rasati ai lati della testa e lasciati più lunghi sopra, occhi di un azzurro ghiaccio che non avevo mai più trovato in nessuno e un fisico da far invidia a Luca Marin. Era davvero, davvero bellissimo e, come è naturale pensare, faceva strage di cuori. A scuola tutte lo desideravano e tutte lo volevano; tutte tranne la mia migliore amica. 

Lei era l’unica ragazza in tutto il liceo a cui non interessasse e a cui non facesse né caldo né freddo. Persino io ammetto di essermi presa una bella cotta per lui a quei tempi, ma Amalia nulla, sembrava che per lei non esistesse. Ovviamente questo suo atteggiamento non fece altro che incuriosire il bello e dannato che, non so bene se per vincere una scommessa con se stesso o per dimostrare che lui poteva avere chi voleva quando voleva, si intestardì nel voler conquistare Malia. 

All’inizio credevamo fosse una specie di gioco, una presa in giro, in fondo non eravamo molto popolari all’interno della scuola anche se devo dire che Amalia è sempre stata molto ammirata. 

Con il passare del tempo però Matteo si fece più insistente e Amalia cominciò a cedere. Ogni giorno il suo sorriso si allargava sempre più quando i suoi occhi scuri incontravano quelli chiari di lui per i corridoi. 

Decisero di frequentarsi. Passarono i giorni, le settimane e Amalia sembrava non essere più la stessa. Sembrava vivere in un mondo tutto suo. A scuola era calata, non si preoccupava quasi più di me, della sua famiglia che in quel periodo stava vivendo un brutto momento. Per lei sembrava esistere solo Matteo. Senza che lei se ne accorgesse si stava innamorando di uno stronzo che le avrebbe solo fatto del male. 

La colpa però non fu solo di Matteo ma anche mia. Sembravano così felici, così innamorati che la lasciai andare. Lasciai che si godesse il momento mettendomi da parte senza capire cosa in realtà lui stesse tramando.

A quel tempo Amalia era ancora vergine, e dopo tre mesi che usciva con Matteo decise di fare l’amore. Pensava che sarebbe stato tutto perfetto, che lui l’avrebbe baciata dolcemente, l’avrebbe spogliata con lentezza e poi l’avrebbe fatta sua con delicatezza mentre le sussurrava di amarla. 

Ci furono i baci, ma privi di sentimento. Le tolse i vestiti, ma con poca delicatezza. La fece sua, senza amarla. 

La sua prima volta, la prima volta che si rendeva così vulnerabile e nuda di fronte ad un uomo, fu solo per sesso. Puro, semplice ed effimero sesso.

Come quello che compri all’angolo di una strada. 

Dopo averla avuta l’abbandonò. La lasciò il giorno dopo dicendole che lei non valeva nulla, che era solo una scommessa e che non sapeva nemmeno scopare. 

Ma ciò che rese il tutto ancora più terribile fu il fatto che lo fece davanti agli occhi di metà del corpo studenti. 

La mia Amalia, la ragazza più solare e felice che conoscessi stava piangendo per la prima volta. Per la prima volta si sentiva sola ed indifesa. Osservai la scena da lontano, nascosta dietro due ragazzi di un anno più grandi. Osservai il ghigno demoniaco stampato sul bel viso di Matteo, gli occhi colmi di lacrime della mia amica e le sue mani tremanti strette intorno al bordo della maglietta.

Alla fine, quando tutto stava per avere fine, quando Matteo stava per girare i tacchi e andarsene mi feci largo tra gli altri studenti e mi avviai verso i due.

Mi frapposi tra il ragazzo e la mia amica e dopo averle sorriso mi voltai, osservai i bei lineamenti di Matteo, e gli tirai un pugno dritto sul naso.

Gli ruppi il setto nasale e finì dritta dal preside. 

Quell’anno non venni sospesa solo perché ero la migliore studentessa dell’istituto e non potevano permettersi di perdere l’unica ragazza in grado di far arrivare la scuola tra i primi tre posti delle olimpiadi di matematica e chimica. 

Da quel giorno Amalia non si innamorò più. Giurò a se stessa che mai più avrebbe lasciato campo libero ad un ragazzo. Ebbe molte storie, anche con ragazzi parecchio più grandi, ma non si innamorò mai. 

Nonostante avesse sempre il sorriso stampato sulle labbra e la battuta pronta, si vedeva che le mancava qualcosa. Che era incompleta e, sono sicura, che quel qualcosa si chiami Zayn. 

L’urlo sofferente di Louis che tentava di ribaltare il riccio giù dal divano mi risvegliò dai ricordi nei quali mi ero immersa. 

Ora sul divano, intenti ad imitare un combattimento di wrestling, c’erano il riccio, Liam, Louis, Niall e Zayn. Vederli ridere e giocare come bambini mi fece tornare alla mente la mia infanzia e subito una lacrima si precipitò fuori dall’occhio.

Cercai di ricacciarla indietro prima che qualcuno nella stanza se ne accorgesse ma non feci in tempo. Sentì il pollice di Amalia sfiorarmi la guancia ed asciugarmi la goccia di acqua salata.

< Brutti ricordi? > mi chiese mettendosi davanti a me in modo da nascondere il mio viso ai cinque. 

< Già > mi limitai a rispondere accennando un sorriso. 

< Bell > mi chiamò lei prendendomi il mento tra l’indice e il pollice della mano destra < Tuo padre ormai fa parte del passato. Dimentica ciò che ti ha fatto, dimentica il fatto che ti abbia abbandonata quando eri una bambina o che ti picchiasse. Lui fa parte del tuo passato, non ha diritto di rovinarti anche il presente > 

La osservai commossa e colma di gratitudine. Malia era una delle poche persone che riusciva sempre a farmi stare meglio. L’unica che riuscisse a farmi spuntare un sorriso anche in mezzo alle lacrime ed io l’adoravo per questo. 

< Hai ragione > asserì asciugandomi definitivamente le lacrime e sorridendo < Basta brutti ricordi > aggiunsi abbracciandola. 

Mi era davvero mancata!

 


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