Ineritanz: il lato comico di Inheritance

di Zio Scipione
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap 1 ***
Capitolo 2: *** Cap 2-3 ***
Capitolo 3: *** Cap 4-5 ***
Capitolo 4: *** Cap 5-6 ***
Capitolo 5: *** Cap 7-9 ***
Capitolo 6: *** Cap 10-15 ***
Capitolo 7: *** Cap 16-20 ***
Capitolo 8: *** Cap 21-26 ***
Capitolo 9: *** Cap 27-33 ***
Capitolo 10: *** Cap 34-44 (fine) ***



Capitolo 1
*** Cap 1 ***


LA BRECCIA
 
Peragon stava combattendo. Non si sa dove, né quando o contro chi, ma stava combattendo.
«Sono tre anni che non leggo Brisingr» osservò l’elfa Arya, che atterrò come un agente segreto. «Non mi ricordo più come finisce».
«Allora, mi sembra… uhm… Brisingr… toh, mi si è accesa la spada. Dicevo, Brisingr finiva con… ecco! Oromis che diceva: “Murtagh, ti prego” e lui: “Avada Kedavra”. Poi mentre fuggiva ha rivelato di essere il Principe Mezzosangue… ehm, volevo dire mio fratello Ernest e Morzan era mio padre, però per finta, perché quello vero era Brom, che si sollazzava con la moglie di Morzan quando lui era via a depredare villaggi e scippare vecchie. In sostanza avevamo conquistato Feinster e legato lady Lorana per interrogarla, o sbaglio?»
«Sì, ma dov’è finita?»
«Boh. Licenza poetica» disse Peragon, e tagliò dieci teste, sminuzzò dieci lance e infranse dieci scudi con una mano, mentre  con l’altra giocava a scacchi con Arya.
«Scusami, Arya, mi puoi rinfrescare la memoria su… chi erano gli altri personaggi?»
«Allora c’erano Nasuada, Roran, Angela e…»
Non vi sarete dimenticati di me! – Disse una voce provenire dall’alto, che aveva tutta l’aria di essere quella di Ilaria d’Amico. Era la dragonessa.
«Shakira!» disse Peragon. «Mi sei mancata in tutti questi tre lunghissimi maledetti anni!»
Poi si rivolse verso Arya.
«Dove siamo, esattamente?»
«A Belatona, mi dicono. Dobbiamo sconfiggere Lord Bruciachiodo».
Eragon sbirciò un attimo la mappa. Eccola, proprio sopra Feinster.
«Ehi, Arya, ma si pronuncia Belàtona o Belatòna?»
«Non perdiamoci nella retorica. Guarda là, il maschio!»
«Vuoi dire il… mastio».
«No, il maschio! Quel Blödhgarm è proprio un bel maschione, non come te! Noi elfi siamo super».
«Ah, si? Guarda di che sono capace».
Peragon afferrò una lancia che era stata infilzata nel terreno davanti a lui solo per fare questa scena e la lanciò dritta verso il torrione.
«Mannaggia, l’ho mancato. Evidentemente è protetto dai famigerati incantesimi di protezione senza nome».
«Guarda qua» disse Arya brandendo un’altra lancia (aveva lo zaino dei giochi di ruolo, che ci puoi infilare dentro tutto).
Non solo con un colpo impalò il cuore di due persone affiancate, ma ebbe anche il buon gusto di urlare «Brisingr!» incendiando quei due malcapitati e non solo, e soprattutto riaccendendo la spada a Peragon per farlo innervosire.
Ma all’improvviso, nel mezzo della mischia, un cavaliere nero balzò fuori dalla breccia nella fortezza brandendo una lancia che, a giudicare dagli effetti speciali che aveva intorno, aveva tutta l’aria di nascondere qualcosa.
«I Nazgûl!» gridò Peragon.
«Ma che dici, sciocchino. Quello è un banale cavaliere che… occavolo, punta verso Shakira! Sta scagliando la lancia! Presto dì telepaticamente a Shakira di spostarsi!»
«Non posso! Non c’è campo!»
Splat.
La povera dragonessa finì trafitta e cadde sul campo di battaglia.
«Bisogna sconfiggere quel cavaliere!» disse Peragon. «Ha trafitto Shakira, è invincibile!»
Zac! «Non mi sono neanche sporcato le unghie» disse Blödhgarm ridacchiando sul cadavere del cavaliere.
Tutti corsero verso la povera Shakira, compresi gli undici paggi elfici di Eragon che avevano il compito di truccarlo prima delle battaglie e illuminarlo durante i combattimenti.
«Come stai?» disse Peragon.
Bene– disse lei – gli elfi mi hanno guarita in otto secondi.
«Siamo elfi, Peragon» disse Arya. «Ne devi fare di strada tu…»
«Falla tu la protagonista, allora».
«Bando alle ciance» disse Wynexywbbd, uno degli elfi. «La lancia che abbiamo rimosso è una delle dodici Dauthdaertya. Ora è tua, Peragon, visto che sei il protagonista».
«Beh, infondo non c’è male ad essere il protagonista».
«Si chiama Niernen, che vuol dire brufolo sottocutaneo» disse Arya.
«Vabbè che siete elfi, ma come hai fatto a indovinare…»
«C’è scritto sopra» rispose lei con un’espressione affranta
«Ah… sì… certo… non l’avevo visto…» disse lui cercando di nascondere il fatto che ancora non aveva imparato a leggere.
Ma nel frattempo si sentì uno spatacatacherash e il palazzo crollò… indovinate su chi? Indovinate su un milione di Varden e soldati avversari su chi cadde? Ma certo, su Roran.

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Capitolo 2
*** Cap 2-3 ***


LA CADUTA DEL MARTELLO
 
«Occavoloccavoloccavolo!» gridò Peragon. «Non mi puoi uccidere Roran, adesso, così. Eh, Paolì! Eppure è morto, è il titolo del capitolo!»
In un attimo d’ira, Peragon si lanciò sulla metà di fortezza rimasta in piedi a tutta velocità, sconfiggendo senza neanche accorgersene un arciere, cinque guardie e Lord Bruciachiodo in persona, per arrivare sotto l’arco che era crollato, ma dall’altra parte.
Là c’erano Roran e Paolini che ridevano copiosamente.
«Ve l’eravate fatta tutti sotto, eh?» disse Paolini.
 
RE GATTO
 
Lord Bruciachiodo sconfitto senza fargli dire una parola. Belatona: una città in fiamme e un popolo in rovina. Un esercito che si appropria di ogni cosa e non sa se massacrare i prigionieri o spedirli lontani dalle loro terre e dai loro cari. Questi sono i Varden.
“Eppure Brom me l’aveva spiegata la differenza tra noi e quel Galbanino” pensava Peragon. “Ma non la riesco ad afferrare”.
“Noi siamo i buoni, piccolo mio” disse Shakira. “Siamo amici dell’autore”.
“Ah…”
Nasuada aveva appena preso posto al castello tenendosi per sé tutte le belle salette impreziosite dagli arazzi e pensava agli eserciti, alle battaglie, alla politica, agli Urgali che puzzavano troppo; sì insomma lo so che non ve ne frega niente di Nasuada e non sapete neanche se è veramente nera o è solo un’invenzione del regista del film, ma purtroppo è essenziale per lo svolgimento della storia.
Ciò che sappiamo con certezza è che sicuramente era emo. Non solo si tagliava sulle braccia, ma mostrava anche quelle cicatrici con orgoglio davanti al suo popolo e non se l’era nemmeno fatte guarire da Angela.
Peragon, poi, non la sopportava proprio. Infatti non appariva mai nella stessa scena con lei, il che fece correre la voce, negli accampamenti, che fossero in realtà la stessa persona. In realtà le voci si smentirono quando si ritrovarono entrambi nel salone del castello, a ricevere un ospite importante.
«Salute e grazie al re Grimrr Zampamonca» disse un paggio, «re dei gatti mannari, signore di Rohan, ministro della magia, premio nobel per il nome più impronunciabile della trilogia (condiviso con Shrrgnien) e soprattutto… Colui Che Va In Bagno Da Solo».
«Ooooh» dissero ammirati i Varden.
Nel salone entrò un basso signorotto, con una veste malconcia e tanti piccoli teschi appesi come una cinturina dalla spalla al fianco.
«Ma lei non è un gatto» disse Peragon. Nasuada gli tirò una padellata sul naso.
«Nasuada, da quando vai in giro con le stoviglie?»
«Zitto e spera che ‘sti gatti non vogliano soldi per combattere. Sai, di bancomat a Belatona non ce ne sono e anche se ci fossero l’abbiamo rasa al suolo».
«Salve, gente» disse Grimrr.
«Cip cip…» rispose Angela, e il gatto la guardò malissimo. Ma veramente male, che anche Peragon ci rimase male.
Poi Nasuada si rivolse a lui.
«Benvenuto, re Gri… Grimme… insomma, re Zampamonca» disse Nasuada. «Il vostro popolo è disposto a combattere al nostro fianco?»
«Certo, regina Nasuada» disse Grimrr. «Sarà un onore combattere Galbanino, il più grande che possiate offrirci. Il nostro popolo aspira solo a quello».
«Dunque combatterete senza compenso, per l’onore, la pace e la gloria?»
«Aspetta aspetta aspetta aspè» disse il gatto. «Parliamo del rimborso spese. Allora i miei gatti mi chiedevano, a testa s’intende, tremila euro al mese netti (con possibili aumenti e premi in cambio di vittorie), tre cotte di maglia: una per quando combatteranno in forma di gatti, l’altra per la forma umana, la terza per il sabato sera, sai con gli Urgali ci sarà da divertirsi, poi ci servirebbe del cibo, beh ovviamente, e lo vogliamo fresco e succulento, s’intende fegato, caviale, e qualsiasi altra cosa adatta al nostro rango, ferie pagate, malattia, assicurazioni varie, auto aziendale, ah sì una spada, e la tessera della coop».
Nasuada rimase un secondo a riflettere.
«Allora?» disse Grimrr.
Nasuada rimaneva ferma sul suo trono.
«Chi tace acconsente, eh? Generosona».
Non fece una piega.
«Beh?»
«È svenuta» disse Jörmundur.
«Kvaiiiishhhhterr» disse Eragon e Nasuada si svegliò.
«Non avete sentito? Devo ripetere?» disse Grimrr.
«No, no, ho sentito. E penso che tre cotte di maglia siano tre di troppo. Vi arrangiate. Di cibo mangerete gli avanzi degli Urgali. Di quello che avete detto vi posso dare al massimo la tessera della coop. La mia, però, quindi ve la dovete passare».
«Mi puoi ripetere perché siamo i buoni?» sussurrò Arya a Peragon.
«Credo che a Brom piacesse scherzare» rispose lui.
«Bene, se non c’è altro» disse Nasuada. «Ah, sì, c’è altro. Visto che sono più sospettosa di un agente della CIA, vi farò ispezionare quel cervellino che avete, uno per uno dagli stregoni del Vrangr Gata così se siete spie di Galba vi faccio fuori subito».
«Va bene, ma non da quella» e indicò Angela.
 
Il giorno dopo Peragon si recò da Angela e le chiese spiegazioni sul cip cip.
«Te lo dirò un’altra volta».
«Perché?»
«Perché l’autore di questa parodia non ha ancora finito il libro e quindi non ne ha idea di quel cip cip».

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Capitolo 3
*** Cap 4-5 ***


DOPO L’ASSEDIO
 
“Galbanino è pazzo, imprevedibile, e tutto quello che vuoi ma se è arrivato là dove sta, a parte qualche tangente e bustarella, a parte qualche favore lavorativo qua e là, a parte qualche parentela a Uru’baen, un briciolo d’intelligenza suppongo ce l’abbia”.
Brom abbassò la pipa. “Ed è forte, esperto, strafigo e ha un drago che neanche in un libro fantasy lo trovi. Però lo devi battere. Tu. Non Arya o Blödhgarm, che tra l’altro non ho idea di chi sia, ma tu”.
Peragon aprì gli occhi. Quello era il videomessaggio che Brom aveva registrato in un ricordo. L’aveva visto spesso da quando Silente gliel’aveva fatto vedere nel pensatoio la prima volta, ma non gli era stato di grande aiuto.
Una cosa gli poteva essere d’aiuto: quella pallina che era diventato Glaedr e che ora se ne stava nello scrigno sotto il letto.
Pronto? Pronto? Ci sei? C’è qualcuno in linea? Provò a dire mentalmente Peragon, ma sentì solo: La invitiamo a richiamare più tardi, grazie.
La porta della tenda si scostò.
«Ehi, Peragon!» disse Arya entrando. «Che facevi?»
«Cerco di contattare Glaedr, ma come l’altro giorno non c’è campo».
«Ah, peccato. Pensi che impazzirà là dentro?»
«Sì, così col cavolo che lo finiamo sto libro! A proposito, la lancia sbrilluccicante dov’è?»
«Nella mia tenda, se non ti dispiace».
«No» rispose Peragon spezzando in due una spada tra il pollice e l’indice. «Affatto».
«E poi tu hai già…».
«…Arya, quante volte te l’ho detto di…»
«…Brisingr!»
I pantaloni di Peragon andarono a fuoco.
«Spenghya du pathnalon!» disse, e si spensero.
«Menomale che questo è un libro e la gente non ti vede, perché sei rimasto inesorabilmente in mutande».
«Certo, e questa potrebbe diventare una scena a luci rosse».
«La possiamo far diventare. Ma solo per questa volta».
«Uhm…».
Splaf! Si aprì la porta della tenda ed entrò un tizio.
«Peragon! Arya!» disse. «Mia madre sta partorendo!»
Peragon lo fissò male, ma così male che ci rimase male persino Glaedr tutto acquattato nella sua pallina.
«No, dico, ma chi stracavolo sei?»
 
 
COS’È UN UOMO
 
Roran Fortemartello era (come si evince dal contesto) forte, cubico e con due spalle larghe tre metri, e il suo peso muscolare lo faceva sprofondare nel fango di quaranta centimetri, ma infondo era un romanticone e il suo primo pensiero fu quello di andare a trovare Katrina, la neo-moglie che aveva perso tra la folla dell’accampamento settimane prima.
«Ciauz, marituccino mio! Ti lovvo tantiximo!» gli disse, non appena le si parò davanti.
«Ti sembra questo il momento di parlare il nanico?»
«Non era nanico, amorino mio <3, non sei contento di rivedermi?»
«Certo, cos’hai cucinato?»
«Niente».
«Che ccooosaaa?»
«LOL scherzavo! Asd, ti ho fatto lo stufato».
«Meglio di niente, donna».
Si sedette al tavolino di legno e mangiò lo stufato, il piatto e il tavolino di legno.
«Ti vedo strano, IMHO c’è qlk ke nn va».
«Se smetti di parlare nanico te lo dico».
«Va bene, dai».
«Nulla… ho ammazzato una pattuglia di soldati, ho ammazzato un’altra pattuglia soldati, ho abbattuto un castello a mani nude e ho ammazzato una terza pattuglia di soldati».
«Non mi nascondi niente?»
«Ah sì, e mi è crollata Belatona in testa, ma non ci ho fatto caso. Tanto in questo libro ti possono pure staccare la testa a morsi e i manager di mio cugino ti guariscono all’istante».
«Senti amoruccio puccioso, non è che sei così forte da lavare anche i piatti?»
«Certo! Sono così figo che mentre parlavamo ho lavato quelli e tutta la tenda».
«Romanticone, che ne diresti di darmi un erede… adesso?»
Arrivò un tizio sullo sfondo.
«Ma non eri già incinta?» disse.
«Chi cavolo sei?» chiese Roran.
«Il fratello di quello che ha rovinato la giornata a tuo cugino. Mia madre sta partorendo!»

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Capitolo 4
*** Cap 5-6 ***


IL PREZZO DEL POTERE

«Ecco, mia signora. Non ne hai più bisogno». Con un morbido fruscio l’ancella Farica tolse le bende dalle braccia tagliuzzate di Nasuada. «Ma, per favore, smettila di tagliarti!»
Nasuada non rispose e rimase immobile finché non arrivo Orrin, re del Surda.
«Allora, che te ne pare?» gli disse mostrandogli le braccia.
«Che sei emo?»
«Ma no, che dici. Noi Varden pratichiamo la Prova dei Lunghi Coltelli per vedere chi è più figo e vince chi si taglia di più».
«Sei emo».
«Bando alle ciance, che volevi dirmi?»
Nasuada si voltò verso la finestra e scorse le case di Belatona che andavano a fuoco.
Potrei sposare Orrin, pensò. Ma sarei felice? Non accetta la mia forte emo(tivi)tà.
«Ecco» disse Orrin, «siamo qui da una settimana e la città va ancora a fuoco. Non è un problema, insomma; capita ogni tanto di lasciare una povera città indifesa in fiamme per una settimana, soprattutto se sei il capo dei buoni, ma, diciamo, quegli Urgali non sono un po’ troppo esaltati?»
«No, gli Urgali mi sono utilissimi».
«Ma generalmente nelle storie fantasy sono loro i cattivi».
«Non caccerò via gli Urgali. Perché poi? Solo perché appiccano incendi nelle nostre città, uccidono i nostri uomini e violentano le nostre elfe?»
«Puzzano e fanno i rutti a tavola».
«Su questo punto hai perfettamente ragione, ma in battaglia ci servono: sono alti tre metri e larghi altrettanto e hanno delle asce insanguinate da far rabbrividire i film horror».
«Sono già insanguinate anche prima di combattere?»
«Certo, se le colorano prima. Altrimenti come fanno a spaventare subito tutti?»
«Senti, Nasuada, questa discussione è perfettamente inutile, lo so che non c’entra niente con lo svolgimento della storia e Paolini l’ha inserita solo per allungare il tutto di cinque pagine, ma ho i miei motivi per odiare gli Urgali».
Nasuada rimase in silenzio per un attimo e poi parlò.
«Hai perso qualcuno per mano loro?»
Le gemme sulla corona di Orrin scintillarono quando il nano annuì.
«Ehi!» disse Nasuada. «Qua dicono che sei un nano!»
«Vabbé che non sono alto, e non mi taglio la barba da mesi, ma darmi del nano mi sembra eccessivo!»
«Comunque, mio caro, che facciamo adesso? Come uccideremo Galbanino? Come sconfiggeremo Murtagh e il suo drago Fastidio?»
«E che ce ne frega? Noi siamo solo personaggi secondari!»
 
UN PARTO DIFFICILE
 
Un urlo: acutissimo, roco, straziante, in mi bemolle.
Peragon trasalì come se Shakira gli avesse infilzato una squama nel callo del piede, e in effetti l’aveva fatto, ma il ragazzo non se ne accorse tanto era potente quell’urlo.
«L’inutilità di questi capitoli mi sconcerta» osservò Arya mentre correva alla tenda della signora partoriente.
Assieme a lui tutti gli ex abitanti di Carvahall se ne stavano ansiosi intorno alla tenda incriminata.
«Arya» le disse Peragon, un attimo prima che rientrasse. «Perché ci vuole tanto? Non puoi anestetizzarla con un incantesimo?»
«Certo che potrei, ma questi qua non vogliono perché odiano il fantasy».
Albriech, il figlio della donna, si alzò da dov’era seduto per correre nella tenda della madre.
«Petrificus Totalus!» gridò Arya. «Non mi distraete!»
Il sole era alto nel cielo, poi diventò basso e infine scomparve, e tutti gli abitanti di Carvahall, Peragon, Shakira e qualche curioso stavano ancora là a fissare la tenda immobile.
Si udì un urlo agghiacciante e poi il silenzio.
«No» mormorò Peragon. «Non può essere morta, Arya mi ha promesso che non l’avrebbe fatta morire, a costo di uccidere tutti gli altri».
La testa di Arya sbucò dalla tenda.
«Peragon, vieni subito».
Il Cavaliere entrò di corsa nella tenda. Là c’erano diverse donne che piangevano e si disperavano. Nel mezzo c’era Elain, la donna, stesa sul pavimento con due x al posto degli occhi, la lingua di fuori e gli uccellini che le giravano sopra la testa cinguettando.
«È… è morta?» chiese Peragon.
«Ma no. Visto che non potevo addormentarla con la magia le ho dato una randellata in testa».
«Complimenti per l’inventiva. E il bambino?»
«Eccola» disse Arya indicando un fagottino di stracci, «però...» e singhiozzò anche lei.
«Però?»
Gertrude, la guaritrice che si trovava nella tenda, si tolse il fazzoletto dagli occhi e diverse lacrime le rigarono il viso.
«La bambina di Elain» disse la donna, «è nata… oh santo cielo, poveretta…»
«Cosa?»
Arya si fece coraggio.
«La bambina è nata truzza».
«Oh santa polenta!»
 
NINNANANNA
 
«Peragon, devi guarire la bambina» disse Arya.
«Ma non hai visto l’ultima volta che casino ho combinato?»
«Ehi, piano con gli insulti» disse Elva.
«Fallo tu, Arya, ti prego».
«Non credo che dopo la randellata me lo lascino fare».
«Ma io devo risparmiare le energie! Nasuada non mi ha fatto neanche proteggere Roran con un cavolo di incantesimo di base inutile per farmi risparmiare le forze!»
«Senti, qua abbiamo un contratto di ottocentoventuno pagine. Non possiamo affrontare le situazioni così superficialmente».
«Ve bene, ma nel frattempo tu fammi un’assicurazione, così se creo un altro mostro almeno siamo coperti».
Gertrude rientrò nella tenda, posando la bambina nella sua culla.
Quando Peragon la guardò rimase sconcertato. Aveva una magliettina con scritto HoUzE4EvEr, gli occhialoni da sole multicolore sfaccettati e diversi piercing negli angoli più improponibili della faccia.
«Ci sarà parecchio lavoro da fare» disse Peragon. Gertrude si sedette ad una sedia a giocare ad Angry Dragons, un giochino in cui con una fionda si dovevano lanciare dei draghetti verso Uru’Baen e uccidere il re Galbanino a forma di maiale.
«Non l’avevano vietato quel gioco?» osservò Peragon e si mise a giocare con lei.
Dopo due ore si sentì un mugolio.
«Cavolo, la bambina!»
Peragon ritornò davanti alla culla, lasciando a malincuore Gertrude proprio al penultimo livello.
- Ma che ccavolo!– pensava Peragon – E mo come faccio? Non so neanche come si dice truzzo nell’antica lingua! E se poi mi diventa come Elva?
- Guarda ti sento! È colpa tua se so leggere la mente.
- Scusa, Elva, è che non so neanche da che parte cominciare.
- Ti passo un dizionario dell’antica lingua, disse Arya inserendosi nella conversazione
-Piccolo mio! – disse Shakira –Ascolta i suggerimenti di Arya, ne sa più di te!
- E allora perché lo devo fare io il lavoro?
- Non è mica colpa mia se ‘sti Varden sono razzisti, disse Arya
- Non siamo razzisti! E tu, Peragon, sbrigati che domani si parte per Dras Leona
- Nasuada! Ma tu non sai parlare telepaticamente
- La sto aiutando io, disse Angela
- Ma insomma mi fate lavorare?!
«Peragon, non vedo cambiamenti» disse Gertrude.
«Stai zitta, pure tu, accipigna!» e la fece sobbalzare dalla sedia.
«No, che non avevo salvato!» disse recuperando l’iPhone da terra.
«Non ne posso più di queste vocette nella testa!»
«Posso consigliarti uno psicologo, mio caro?»
Un ora dopo Peragon uscì dalla tenda stanco ma trionfante.
«Sai che se ora arrivassero i cattivi saremmo fottuti?» sussurrò ad Arya. «Con le poche energie che mi rimangono, con Murtagh ci potrei soltanto fare una partita a tris»
«Oppure stringere la mano a tutti i Varden che vogliono complimentarsi con te».

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Capitolo 5
*** Cap 7-9 ***


NESSUN RIPOSO
 
I Falchineri erano la scorta personale di Nasuada. Erano due nani, due umani e due urgali, ma talvolta gli urgali si magiavano gli altri quattro, così dopo un po’ di volte si era deciso di fare tre umani e tre nani oppure sei urgali.
Li potrei ammazzare in un colpo solo, pensava Roran, mentre varcava l’accesso alla sala dove risiedeva Nasuada, sfiorando con le sue spalle scolpite le teste dei nani.
La porta davanti a lui si aprì e ne uscì un piccolo paggio intimorito.
«Lady Nasuada può riceverti» disse e Roran entrò.
Nella sala c’era solo Nasuada, nessun altro. Su di un tavolo erano sparsi vari fogli, tra cui la mappetta che si trova in seconda di copertina, una decina di omini di plastica e varie schede sui personaggi.
«Fortemartello» gli disse.
«Sì, mia signora?»
«Ho una missione importantissima per te».
«Davvero? Non so se sono in forze, sai, due giorni fa mi è appena crollata la facciata di un castello sulla testa e…»
«No, niente, una cosa così. Non preoccuparti».
«Ah, allora dimmi pure».
La telecamera zummò sulla faccia contratta di Nasuada.
«Devi conquistare Arughia».
«Ma si trova dall’altra parte del mondo! Non stiamo andando a Uru’Baen?»
«Certo, ma Galbanino potrebbe ricevere rinforzi da Arughia. Sì, lo so che ormai c’è tutto il nostro regno tra Arughia e Uru’Baen e ad Arughia non escono nemmeno più i giornali perché i corrieri li ammazziamo tutti preventivamente, ma… uffa, la voglio!».
«Almeno avrò le difese magiche di Peragon?»
«No. Non può sprecare energie per simili inezie come conquistare Arughia».
«Ah, e per guarire la figlia del fabbro, che magari morirà calpestata dagli urgali tra due giorni, gli fai passare una notte intera a scaricarsi le pile!»
«Che vuoi? Il nostro scrittore non ci avrà pensato, non è mica Tolkien».
«Non dire quel nome, che infrangiamo il copiright!»
«Più di così?» disse un urgali.
«Ma certo, ma certo. Andrò ad Arughia senza nessuno nessunissimo potere fantasy…»
«Hai sempre Carn».
«Come non detto. E, dimmi un po’, quante migliaia di guerrieri ho a disposizione?»
«Duecento. E non migliaia».
«Vai! Scommetto che il tutto lo devo fare in una settimana».
«Ovvio. Compresi i sei giorni di cavallo».
 
DANZANDO CON LE SPADE
 
L’esercito dei Varden era partito da Belatona e si dirigeva minacciosamente verso Dras Leona.
«Lady Nasuada» disse Orrin «se non la smetti di conquistare città non ci rimarrà nessuno per combattere il re a Uru’Baen!»
«Che ci posso fare? Mi piacciono le città e le voglio conquistare tutte».
«Va bene, ma almeno possiamo mandare solo Peragon e il suo drago a distruggerle? Lui e Shakira sono andati e venuti da Dras Leona venti volte, ormai fanno colazione là e pranzo qua».
Intanto il povero Peragon, Arya, Shakira, Blodhgarm e gli altri elfi camminavano insieme al gruppo dei Varden.
«Ehi, Arya» le disse lui, «sono dieci giorni che camminiamo, non hai voglia di combattere? Di squartare qualcuno, di trucidare, di spezzare povere vite?»
«Mmm, sì. Combattiamo?»
«Va bene!»
Peragon sfoderò Brisingr un secondo prima che Arya gliel’accendesse nel fodero chiedendogli che spada volesse usare.
«En guard!»
I due ingaggiarono svariati duelli che, mi duole dirlo, non vi descriverò per due motivi. Primo, è impossibile renderli comici. Secondo, mi si fonderebbero i polpastrelli a descrivere tutti i tlang, cling, spash, wooom, sbrang che Arya e Peragon si fanno in queste scene.
Peragon, com’era prevedibile, venne inderogabilmente battuto e ribattuto.
«Non è giusto! È che a combattere con te mi emoziono, perché, beh, ti amo, anche se qua tutti se lo sono dimenticato».
«Va bene, allora sfiderai Wywbhhlaxxnm, uno dei tuoi elfi».
«Siamo sicuri che sia uno dei miei? Non me ne ricordo neanche uno, a parte Blodhgarm».
«Eccomi», disse sguainando il fioretto.
Tlang, sblang, troing, smash, flap, blubbll (quest’ultimo fu il verso di Peragon quando per schivare un fendente si ritrovò a… esternare il suo pranzo da dove era entrato).
«Almeno non mi hai battuto dieci volte su dieci, come Arya. Solo due volte mi hai fregato».
«Infatti abbiamo duellato due volte».
«Speravo che non si venisse a sapere».
La verità, disse una voce profonda e altisonante, è che devi imparare a vedere ciò che guardi.
Sei la mia coscienza? Come nei cartoni animati…
Sono Glaedr, idiota.
Così Peragon passò il pomeriggio a collezionare sconfitte con gli elfi e perfino a briscola lo battevano sempre.
«Non me la raccontano giusta» disse a Shakira quella sera. «Secondo me si dicono le carte con la mente».
Certo, piccolo mio, ma dovresti allenarti di più con la spada. Comunque… pensi che Glaedr ritornerà quello di prima?
Beh, considerando che ora è alto venti centimetri ed è sferico… no.
 
NIENTE ONORI NÉ GLORIA, SOLO FASTIDIOSE VESCICHE
 
«Se mi pagassero a ore» disse Roran, «Paolini sarebbe povero».

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Capitolo 6
*** Cap 10-15 ***


MANGIALUNA
«Ed erano tutti terrorizzati, immaginatevi, il colonnello voleva radere al suolo le loro foreste per rubargli l’unobtanium. Dall’altra parte Jack aveva litigato con Neytiri, e quindi lei non lo voleva ascoltare. Alla fine lei uccide il colonnello e Jack rimane su Pandora per sempre. E vissero tutti felici e contenti. Sono sette euri, undici per chi ha sentito il racconto in tre dì».
Angela stava in piedi in una radura e intorno a lei almeno dodici urgali, compreso Nar Garzhvog, e altrettanti gatti mannari (senza il loro abito da sera perché, ricorderete, Nasuada non gliel’aveva dato) la ascoltavano assorti.
In quel momento arrivò Peragon.
«Angela! Ma che… diastole ci stai facendo qui?!»
«Racconto una storia».
«Ma non dovremmo combattere? Uccidere Galbatorix? Spodestare l’impero?»
«Ma  la tua storia era interessante» disse un urgali. «Perché noi non abbiamo storie così interessanti, Uthbxtril?»
«Perché i menestrelli ve li pappate, forse».
«Forse… hai ragione… burp».
«Ecco dov’è finito il bardo di Nasuada!»
Peragon guardò Angela. «Tralasciando la situazione completamente illogica, che acciderzoli vuol dire Uthbxtril?»
«Vuol dire Mangialuna».
Trascorse un attimo di silenzio
«E Mangialuna che vuol dire?»
«Che devi stare attento ai conigli dagli occhi fuxia».
Trascorse un secondo momento di silenzio, un po’ più imbarazzante. Ma così imbarazzante che la fidanzata di Grimr Zampamonca cadde dalla testa dell’urgali su cui si era appollaiata perché questo era rimasto sbigottito dalla faccia di Peragon.
«No, dico» disse il cavaliere. «Ma questo capitolo, no, giusto così, tanto per dire, a che cavolo centra?»
 
ARUGHIA
E adesso vengono le mazzate.
Questo pensavano Roran e i suoi quattro compagni di viaggio, perché erano sei giorni che cavalcavano e secondo tutte le statistiche non era mai passata una settimana senza battaglie.
Ovviamente quella simpaticona di Nasuada per sei giorni di percorso non intendeva certo dodici ore di cammino e dodici di riposo. Sei giorni erano sei giorni, quindi ventiquattr’ore di cammino al giorno.
Il viaggio fu così stancante che non solo la compagnia dovette cambiare cavallo ogni giorno, ma dal terzo al quinto giorno dovette cambiare anche Roran con una controfigura, perché altrimenti ad Arughia ci arrivavano, ma di certo non vivi.
Lungo il percorso fecero incazzare un paio di contadini, perché ovviamente i cavalli nuovi non ce l’avevano nelle valige, e quando per sbaglio rubarono i cavalli alla riunione generale dei cavalieri neri (incazzusi più di tutti) decisero che era meglio arrivare col cavallo morto che arrivare sottoforma di filetti.
Una volta arrivati all’accampamento di Arughia li accolse un vecchio, bianco per antico pelo, gridando: «guai a voi, anime prave, non isperate mai veder lo cielo», ah no, scusate stavo copiando Dante invece che il Signore degli Ane… ma cosa… io… non stavo assolutamente copiando il Signore degli Anelli, (oh no, l’ho detto! Spero che l’editore tagli questa riga)
«Ehi, nonnetto, dov’è il capitano Brigman?» chiese Roran.
«Come ti permetti! Sono io, giovane insolente! Tu devi essere Forterastrello».
«Fortemartello».
«Come? Chi ha suonato al campanello?»
«Bando alle ciance, questi sono i documenti di Nasuada. Ora, se non ti dispiace mi farei un sonnellino».
«Bah, un sonnellino! Alla tua età picchiavo urgali a mani nude, di notte e sotto la neve».
«Piano con i termini, ex-capitano. Già, ora sono io il vostro nuovo capitano. E vi ordino… oggi nanna per tutti!»
«Che cosa c’entrano i putti?»
 
«Fortepastello!» gridò Brigman. «Sveglia!»
«Che vuoi?» bofonchiò lui socchiudendo gli occhi. «Ho detto che oggi si dormiva».
«L’hai detto ieri, Fortecancello. Hai dormito per trentasei ore. Sono le nove di sera ed è l’ultimo giorno che hai per conquistare questa cavolo di inutile città».
«Oh cavolo. Prepararsi alla battaglia!»
«Canaglia sarà tua madre».
Brigman uscì dalla tenda e Roran approfittò di essere solo per aprire il portatile e andare su facebook. Per fortuna Nasuada era online. Putroppo Roran si ricordò che non sapeva leggere e dovette chiamare il paggio intimorito delle scene precedenti per farsi scrivere e leggere i messaggi.
Roran: ciao nasuà
Nasuada: ciaoo
Roran: mi disp ma nn riesco a prendere arughia entro stase
Nasuada: vabbè nn disperarti xD! t do 1 altro gg
Roran: grz
Nasuada: d niente ciauz!
 
DRAS LEONA
A cosa pensi, piccolo mio?
A quello che mi ha detto Glaedr l’altro giorno. Tipo “devi vedere ciò che guardi” o “devi guardare ciò che vedi”.
Non preoccuparti, è una tipica frase che dicono  nei libri, come «conosci te stesso» o «non mentire a te stesso» o «non possiamo lasciarlo lì».
«Ehi, Peraguz» disse Arya. «Parlando parlando siamo arrivati a Dras Leona».
«Già, è incredibile che un viaggio duri meno di  sei capitoli per ogni chilometro fatto».
La muraglia di Dras Leona, o ciò che si avvicinava vagamente a una cinta muraria, si ergeva proprio davanti a loro.
«Puah, scommettiamo che non ci metto più di una mezzoretta a conquistarla» disse Peragon. «Le mura sono di fango secco e quei tizi che si tagliano le gambe e le mani non credo proprio che riusciranno a difenderla».
Ma Peragon imparò a stare zitto.
Da dietro quegli ammassi informi e marroncini si levò una figura rossa, brillante, scattante, agile, affascinante, rilucente, sì insomma era Murtagh.
«Scagliatevi pure contro le mura, se volete» poi guardò in basso. «Vabbè, scagliatevi contro queste cacchette, ma non conquisterete mai Dras Leona finche ci saremo io e Fastidio a difenderla. Sì, Peragon, vedi quella barra rossa in alto a destra? Quella che segna un miliardo? È la mia vita, fratello».
 
FALSO AMICO, VERO NEMICO
 
Roran dormiva bello tranquillo nella sua tenda.
So che non è interessante, ma poveraccio, lo facciamo dormire una volta tanto?
«No» disse l’editore. «Ci vuole mistero, dinamismo, spauracchio, sàspenz».
D’accordo. L’hai voluto tu.
Proprio in quel momento un essere misterioso, con una sàspenz che non vi dico, entrò nella tenda mostrando un certo dinamismo e non vi dico che spauracchio fece prendere a Roran quando lo vide, che per motivi narrativi dormiva con gli occhi aperti.
In un attimo la sagoma scura gli balzò addosso. Purtroppo per quel tizio, da quando era diventato figo Roran non dormiva più abbracciato all’orsetto di peluche, bensì al suo nuovo martello deluxe già insanguinato.
«Non preoccuparti, sono un tuo amico» disse quello.
È inutile dire che Roran gli fracassò il martello in testa.
«Ero un tuo amico!» disse mentre tentava di pugnalare Roran.
«Ma che dici, maledetto!»
«Beh, amico su Facebook».
E i lettori di questa parodia smisero di leggere per lo sconforto di questa battuta.
 
FARINA DI FUOCO
 
«Fortecammello!»
«Capitano Brigman?»
«Fortecammello! Che è successo qua?»
«Sono stato assalito da questo sicario senza scrupoli. Spero che non abbia fatto fuori qualcuno prima di arrivare a me».
«Capitano Roran!» disse uno dei suoi tre-quattro amici di Carvahall. «Hanno trovato un cadavere!»
«E ti pareva. Chi è?»
«Il paggio intimorito dei capitoli precedenti».
«Bah, chissenefrega. Però, visto che Nasuada mi ha ordinato di riempire le pagine gli faremo un bel funerale di due capitoli, che ne dite?»
«Diciamo che avevamo sette giorni di tempo per conquistare Arughia, e se ne sono andati già otto giorni senza aver concluso niente».
«Allora attacchiamola! Carica! All’arrembaggio!»
«Frena, Fortevitello» disse Brigman. «È dall’inizio della saga che tentiamo di conquistarla. Credi che non abbiamo provato a lanciarci come degli idioti sulle mura e a lanciare sacchi di farina gridando ‘All’arrembaggiooo?’»
«In realtà no, vi facevo più dignitosi».
«Beh, bando alle ciance, come speri di prendere Arughia?»
«In questo modo». Poi si girò verso gli altri Varden. «Dividetevi in gruppetti e andate ad aprire le dighe sulle colline, voi costruitemi una zattera larga un metro e lunga duecento, voialtri andate al negozio di bricolage e compratemi un po’ di piastrelle. Svelti, vi do quindici minuti, massimo sedici».
«Non seguo il tuo ragionamento, Fortebidello».
«Ingrosseremo il fiume che entra nella città per sfondare le porte ed entreremo tutti su una lunga zattera».
«E le piastrelle?»
«Danno un tocco di eleganza, no?».
«E una volta arrivati alle mura della città?»
«Ci lanciamo come degli idioti sulle mura lanciando sacchi di farina e gridando ‘All’arrembaggio’»
A Brigman caddero i baffi.
 
Quella sera tutto fu pronto ed è inutile dire che in quattro e quattr’otto entrarono ad Arughia.
«Mi sfugge ancora come ci siamo riusciti» disse Carn a Roran, una volta dentro la città.
«Perché sono figo».
«Ah, l’avevo dimenticato».
«Bene, ora le mazzate».
Questo pezzo, sinceramente, ve lo vorrei risparmiare, ma se proprio ci tenete ecco un contenuto multimediale che riassume i momenti salienti:
http://www.youtube.com/watch?v=jDz0sEwe9kQ
Nota dell’Editore: il cavaliere che parla è Roran e quelli sono i Varden davanti alle mura di Arughia. Il tizio che ha caricato il video sicuramente ha sbagliato a scrivere il titolo, visto che non esiste un’opera intitolata il Signore degli Anelli. E comunque al minuto 0:13 si sente chiaramente la parola «Roran». Ecco.

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Capitolo 7
*** Cap 16-20 ***


POLVERE E CENERE
 
Decine di grandi edifici si frapponevano tra i Varden e il cuore di Arughia. I primi raggi dell’alba illuminavano i bastioni, tingevano d’oro le sommità delle torri, facevano rilucere le strade, i vicoli, le vie, i sentieri, e le calli di Arughia, baluginavano sul dente d’oro di Brigman. Il cielo era limpido, gli uccellini, le nuvolette…
«Sì, occhei, ma tutte queste cose durante una battaglia che c’entrano?»
In lontananza un gallo cantò.
«Come non detto».
I Varden si preparavano a massacrare di mazzate gli uomini, a violentare le donne, a vendere i  bambini al mercato nero degli zingari e ad abbandonare i cagnolini sull’Arughia-Uru’Baen.
Erano i buoni.
«Non me la sento» disse un Varden in lacrime. «Massacriamo tutti, ma risparmiate i cagnolini… sniff, sob…»
«Fortepannello!» gridò il capitano Brigman. «Abbiamo sfondato il primo cancello di Arughia. E mo che facciamo?»
Roran guardò attraverso il labirinto di edifici.
«Fammi pensare… io so dare mazzate, ma non so con che modalità si conquistano le città» disse Roran. Poi disse la prima corbelleria che gli passò in mente.
«Piazziamo una bella bandierina-Varden al centro di Arughia, che ne dite?»
Una guardia superstite si alzò da terra gridando: «No! La bandierina no! Fatte tutto il sopracitato, compresi i cagnolini, ma la bandierina no, a costo della mia vita!»
Zac.
«Accontentato» urlò Roran. «Ora nascondetevi nei carretti di fieno, e quando arrivano le guardie assassinatele e nascondetele. Usate l’occhio dell’aquila per scoprire chi ha giurato fedeltà a Galbanino. Nulla è reale, tutto è…».
«Roran, questa è pubblicità occulto-subliminale» osservò Carn.
«Menomale che quel tizio non ha fatto in tempo a suonare la campanella d’allarme».
«Quale, questa?»
Driiiiinnnnn.
«Se non muori in questa battaglia, Carn» disse Roran. «Ti ammazzo dopo».
«Pfff… io, morire in questa battaglia? Avanti, realismo, sono un mago! Questi dieci che stanno arrivando…»
«A me sembrano cento…»
«…cento che stanno arrivando avranno al massimo la spada e lo scudo, che vuoi che mi facciano?»
«E quel tizio scheletrico alto due metri col mantello viola, i capelli lunghi e il bastone cosa ti sembra?»
«Come fai a dire che è un mago?»
«Credo che debbano vestirsi così per contratto. Avanti, fulminalo!»
«Aspetta, devo guardare il libro degli incantesimi».
«Non te li ricordi a memoria?»
«Sì, ma sono un mago di livello 3, con soli 1532 PE. E per ottenere “lanciare incantesimi migliorato” occorrono 2340 PE! Devo fare ancora due campagne per ottenere lo slot talenti + bonus + modificatori di razza, di classe, senza contare i…»
«Carn, attaccalo diamine!»
«Non posso! Ho portato il libro con le ricette di nonna Morgana invece di quello degli incantesimi!»
Lo stregone malvagio si avvicinò. «Avada Kedavra!»
Ma anche quello fece una brutta fine, si polverizzò sgretolandosi al suolo.
«Sapevo…» disse Carn mentre moriva, «che “Liofilizzare cibi” mi sarebbe servito… un giorno…».
 
INTERREGNO
 
Roran era seduto ad un tavolo, nel palazzo di Arughia a giocherellare col suo martello, finché cadendogli sull’alluce gli ricordò che aveva cose più importanti da fare.
Aprì il portatile e contatto Nasuada.
Roran scrive: ei nasuada
Nasuada scrive: rorannn!!!!1! cm va?
Roran scrive: bn bn, t ho conkuistato la city
Nasuada scrive: t 6 ftt male? state bn?
Roran scrive: carn e morto XD, e io non o piu 1 alluce LOL
Nasuada scrive: e lord halstead?
Roran scrive: ki e?
Nasuada scrive: cm ki e? lo dovevate fare fuori.
Roran: era il reggente di arughia?
Nasuada: nn solo, nn aveva messo mi piace alla my foto!!!!1
E andarono avanti così per ore e ore.
 
THARDSVERGÛNDNZMAL
 
«Eh?»
«Puppa!»
 
- ok, la rifacciamo -

THARDSVERGÛNDNZMAL (2° tentativo)
 
È una cosa inguardabile, inaudita, impensabile!
«Dai, Shakira, cosa vuoi che sia» disse Peragon, «ti è solo caduta una squama».
Mi è solo caduta una squama?! Sai cosa significa per un drago? È come se a te cadesse il naso!
«Non preoccuparti, faremo un trapianto».
Ma saremo sì e no nel trecento, dove lo vado a fare un trapianto? E poi esistono solo tre draghi al mondo, dove trovo un donatore?
«Non possiamo pensare a queste cose, adesso. Ci sono Murtagh e Fastidio a guardia di Dras Leona, come faremo ad entrare?».
Ma Shakira era intrattabile. Per fortuna era appena riemerso un personaggio relativamente importante nei libri precedenti.
«Gimli! Da quanto tempo!»
«Mi chiamo Orik, ma comunque… ben trovato!»
«Che stai facendo, là in una pozzanghera di fango con… puah… del fango tra i denti, ma che…»
« Thardsvergûndnzmal».
«Ah, certo, tasvergunzal a te, amico mio».
«Idiota, thardsvergûndnzmal non è un saluto per nani, vuol dire “non mi rompere le cosiddette, che sono impegnato”».
«Ah, scusami. E che stai facendo?»
«Un gioco nanico».
«Bello! Di che si tratta?»
«Di un Erôthknurl».
«Eh?»
«Puppa!»
 
DECISIONI
 
«Spiegamelo di nuovo» disse Nasuada.
Peragon spostò il peso da un piede all’altro. «Per quale motivo?»
«Qua hanno tagliato tre capitoli, se non fai un riassunto non si capisce niente».
«Ma c’eravamo solo io e Arya che duellavamo per cinquanta pagine!»
«Risparmia le precisazioni» disse Jörmundur.
«Jörmundur!» disse Nasuada. «Sono duecento pagine che non dici una parola, pensavamo che fossi morto in battaglia».
«No, è soltanto che l’autore non ha voglia di fare la o con in due puntini ogni volta, quindi mi usa poco».
«Allora?» riprese Nasuada rivolta a Peragon.
«Il piano è questo» disse lui. «Ci avviciniamo alle “mura” di Dras-Leona e passiamo sottoterra, poi…»
«Ehi» disse Jörmundur, «perché mura è tra virgolette?»
«Perché non sono vere e propr… un momento, tu riesci a leggere le parole che dico?»
«Mangio molte carote».
Ba-dum, tss! – Fece Orik seduto ad una batteria al lato della tenda.
«Beh, comunque» continuò il consigliere, «Dras-Leona non ha un sistema fognario sotterraneo. Cioè, credevo che si capisse che questi qua non hanno bagni e non si lavano».
«Sì» disse Peragon con una molletta al naso, «si era capito. Ma ieri sera a Voyager hanno detto che esiste un antichissimo tunnel templare-maya scavato sotto la città. Sfruttando quel passaggio potremmo entrare a Dras-Leona e cogliere Murtagh alle spalle! Io e gli altri elfi potremmo…»
«Gli elfi sono impegnati» disse Arya. «Domani mattina devono andare al concorso intercontinentale di manicure e si stanno preparando da mesi. Potrai portare al massimo Wyrden».
«Perché è l’unico elfo che non fa la manicure?»
«No, perché è l’unico elfo eterosessuale».
Ba-dum, tss!
«Orik, finiscila o ti mandiamo a Colorado» disse Nasuada.
«Per carità!» rispose lui.
«Non posso portare solo Arya e Wyrden!» si lamentò Peragon. «Mi volete vedere arrostito?»
«Sì!» risposero tutti in coro impulsivamente, ma ritornarono seri.
Angela entrò proprio in quel momento. «Qualcuno ha bisogno della buona cara Angela?»
Peragon la scrutò. «Mi vogliono arrostito» disse.

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Capitolo 8
*** Cap 21-26 ***


SOTTO IL MONTE E LA ROCCIA
 
L’atmosfera era oscura, incombente e odorava di ioduro di potassio. Se non fosse stato per la torcia elettrica apparsa nelle mani di Angela per licenza poetica, non sappiamo dove sarebbero andati a sbattere il naso quei quattro.
Nasuada, Shakira e Jormundur (senza puntini sulla o per non farsi riconoscere) li avevano accompagnati fino all’ingresso del tunnel e se n’erano lavate le mani.
C’erano così poche persone disposte ad accompagnare Peragon in quella missione, anche Glaedr era ritornato in standby quando l’aveva scoperto. Il cavaliere si era visto costretto a rivolgersi perfino ad Elva, che gli aveva comunque detto di no.
Quella mattina Peragon aveva caricato la sua batteria di riserva, la cintura di Beloth il Savio, con l’energia dei poveri animaletti che venivano strangolati dal macellaio dei Varden. Gli fece impressione, si sentì sporco, voleva diventare vegetariano. Poi si ricordò che ammazzava persone di mestiere e si rasserenò.
«Dovremmo avanzare con prudenza» bisbigliò Wyrden.
«Ma voi elfi frasi utili e concrete non ne dite mai?» osservò Angela.
Wyrden le stava per tirare una sberla, quando due occhi luminosi apparvero in fondo al tunnel.
«Maronn!» disse Peragon. «Wyrden, cosa vedono i tuoi occhi da elfo?»
«Niente. Questa frase era del Signore degli Anelli» rispose lui.
«Opera che, peraltro, l’autore di questo libro non ha mai letto» disse l’avvocato di Paolini.
Per fortuna per tutti quanti, era Solembum.
I gatti mannari si erano infiltrati a Dras Leona appena i Varden erano arrivati. Il loro compito era di intenerire le guardie con le loro faccine coccolose per renderle meno malvagie.
«E mo?» disse Peragon quando si trovò di fronte tre corridoi identici.
«A sinistra!» disse Angela. «Sempre a sinistra».
«È un messaggio subliminale filocomunista?»
«Per favore, non sforiamo nella politica» disse Arya.
«Beh, allora prenderemo tutte le strade a caso!» disse Angela.
«Sìììì!» risposero tutti.
Dopo un bel po’ di bivi presi a caso l’allegro gruppetto si ritrovò in una stanza circolare piena di archi, rune ed elementi architettonici fantasy.
All’improvviso sbucarono, da non si sa dove, parecchi uomini armati fino ai denti di armi malvage, quali asce insanguinate, pugnali spinati, mazze spinate e insanguinate.
«Lo sapevo» disse Peragon. «In un dungeon appaiono sempre i nemici».
 
Come al solito per la battaglia vi riserviamo il contenuto multimediale!
http://www.youtube.com/watch?v=7hPkZi2ps2c&feature=related
Potete osservare la ricostruzione dei sotterranei di Dras Leona, e i tre personaggi che vi compaiono: Eragon davanti, Arya nel mezzo e Wyrden dietro (Angela è stata omessa per motivi di budget).
 
«Abbiamo vinto!» gridò Wyrden. «Ora corriamo, prima che il sole sorga».
«Sii prudente» disse Arya. «Di solito in queste ambientazioni ci sono sempre…
Zac! E Wyrden finì infilzato.
«…le punte. Come non detto. Ma film non ne vedi?»
 
PER NUTRIRE UN DIO
 
La prima cosa che Peragon notò fu che i colori gli sembravano diversi.
La seconda cosa, tralasciando i dettagli artistici, fu che si trovava imprigionato con catene di ferro e con qualche cosa nella bocca, e Arya con lui.
“Se potessi liberarmi con la magia”pensò Peragon.
Arya strattonò le catene e fece cenno di no con la testa.
“Uff! Se riuscissi per un attimo a comunicare con lei! È che qua sotto non c’è campo…”
Lui e Arya imprigionati, Wyrden morto, Angela catturata o uccisa, Solembum (e chi se ne frega?) poteva giacere morto da qualche parte. Eppure erano i più temibili maghi-guerrieri-stregoni-paladini-ranger di tutta Alagaesia. Nessuno aveva tanti punti esperienza quanto loro.
“Devo formulare un incantesimo mentale. Ma esisteranno? In Harry Potter sì, quindi non vedo perché qui no. Però devo pensare a qualcosa di semplice, nel caso qualche pensiero si intromettesse e sbagliassi tutto. Quindi… kverst malmr du huildrs edtha, mar  frëma né thön eka threyja!”
Ma non successe niente, perché la storia deve andare così.
Ma ecco un tintinnare di campane lungo le gallerie. Tre novizi sacerdoti varcarono l’ingresso avvolti nei loro abiti dorati. Dietro di loro i sacerdoti-emo venivano trasportati su delle barelle (perché essendo anche stupidi oltre che mutilati, gli avevano dato l’invalidità del 125%).
Infine entrò il sommo sacerdote: senza braccia, senza gambe, senza denti e senza senso.
Tutti i sacerdoti cominciarono a intonare un rituale, che Peragon non capì perché quando Oromis aveva trattato quell’argomento lui stava giocando a Temple Run sotto il banco.
«Benvenuti nelle sale di Tosk» disse il sommo sacerdote. O almeno cercò di dire, perché si era tagliato anche le corde vocali.
«Mmmpf» rispose Peragon, sputando il lenzuolo dalla bocca.
«Due volte hai profanato i nostri sacri luoghi, e hai pure ucciso i nostri Ra’caz. Non esiste tortura abbastanza grave per quello che hai fatto. Però possiamo comunque torturarti… raccontandoti tuuuutta la storia dell’Helgrind, a partire da quando…»
Un novizio si avvicinò al sacerdote.
«Questo è troppo, signore» bisbigliò. «Pensate a tutti noi che dobbiamo ascoltarvi…»
«D’accordo, mi limiterò a dire due cosette».
«Grazie, signor Re Stregone di Angmar».
«Non sono il Re Stregone di Angmar! Il Signore degli Anelli non esiste! E se anche esistesse, l’autore di questo libro non l’ha letto! E neanche tu! Torna al tuo posto!»
Poi si rivolse a Peragon. «Bene. Ti dirò solo che noi adoratori dell’Helgrind, a differenza di ciò che si pensa, non stiamo ad adorare le montagne come dei fessi. Noi adoriamo i Lethrblaka e i loro figli».
«Su, su, taglia un po’».
«Non fare queste battutacce e ascolta! Noi offriamo i pezzi del nostro corpo – eccetto l’alluce, che non è molto saporito – ai Ra’caz. E loro ci ricompensano svelandoci i misteri della loro religione, l’aldilà, la salvezza, il paradiso, eccetera eccetera».
«E ti hanno mai detto qualcosa?»
«Non sono fatti tuoi! E va bene, ancora no».
«Ma allora non sei molto …tagliato… per fare il sacerdote».
«Smettila o ti friggo all’istante!»
«So che non mi ucciderai. Ma perché? Galbanino non mi vuole morto?»
«Galbanino è cattivo. Io sono cattivo. E nei fantasy i cattivi si ostacolano sempre tra di loro».
«E quindi cosa devo fare?»
Il sacerdote si mise a sghignazzare e poi parlò. «Voglio fare un gioco con te. Uhuhuhahahah!»
In quel momento quattro schiavi entrarono nella sala, portando due grosse uova.
«Frittatina?» chiese Peragon.
«No. Sono i Ra’caz. Li faremo nascere qui, così appena nati vi mangeranno» disse, e se ne andò con tutta la compagnia.
Ma non poteva finire così. Non poteva. Dopo tre libri e mezzo non poteva finire così banalmente.
Dopo svariati tentativi, che ricordano il sopracitato Saw, e che per questo motivo eviterò di citare, una porticina si aprì e ne uscì un giovane.
«Salve. Mi chiamo Licenza Poetica, sono venuto a liberarvi». Ma scomparve di scena con un pugnale di ametista infilato nella schiena.
Alle spalle del ragazzo una fessura si aprì, con la luce che proveniva da dietro, la musica epica e i riflessi luminosi sulla telecamera. Là sulla soglia della porta vi era Solembum, dal ghigno felino. Dietro di lui Angela l’erborista.
E dietro ancora, un messicano.
 
INFEDELI IN FUGA
 
Angela fece il suo ingresso nel cerchio di pietra dentro il quale Peragon e Arya erano stati incatenati.
«Che idiota» disse Angela spezzando le catene che tenevano legati i due amici.
«Già» rispose Peragon lanciando uno sguardo sul giovane adepto svenuto, «non ci voleva molto a liberarci».
«Veramente mi riferivo a te, perché ti sei fatto legare come un salame nella pausa tra un capitolo e l’altro».
Si udì un crepitio.
«Le uova si stanno schiudendo!» disse Arya.
«Addio frittatina» osservò Peragon.
Non appena un becco puntuto e scheletrito sbucò da una delle due uova, Solembum l’agguantò e lo sbranò. Nel frattempo il messicano che era sbucato sullo sfondo si rese utile e sfracellò l’altro uovo prima che si aprisse.
«Il novizio» disse Arya, «dovremo portarlo con noi…»
«Ma lasciamolo là» rispose Angela. «Piuttosto preoccupiamoci di questo messicano che mi stava seguendo. Magari se lo ignoriamo se ne va».
Arya levò lo sguardo verso la porta di uscita. «E ora preoccupiamoci del maestro».
Peragon osservò i resti dei piccoli Ra’caz. «Arrostino?»
Successivamente, mentre gli eroi si preparavano alla battaglia, Peragon disse l’unica frase intelligente che dirà in tutto il libro.
«Ragazzi, un momento… io sono disarmato, come faccio a fare le figate con la spada?»
«Tieni» disse Angela porgendogli una spada trasparente.
«È di plexiglass?»
«No, sciocchino. È la spada di Goemon, puoi usarla tu… finchè lui non viene a riprendersela».
Percorrendo il corridoio sbucarono nella buona vecchia cattedrale di Dras-Leona, nella quale Peragon aveva avuto già diverse esperienze, tutte negative.
A meno di cinque passi da lui c’era il Sommo Sacerdote. Accanto a lui una donna gli pugnalava il braccio, raccogliendo il suo sangue in un calice da vino.
«Le vostre attività emo sono finite!» gridò Arya.
«Uccideteli!» urlò il sacerdote. «Ammazzate gli infedeli! Non fateli scappare!»
Fu in quel momento che una spettacolare battaglia ebbe inizio. Solo che, siccome il sacerdote era sprovvisto di tutti gli arti necessari al combattimento, la battaglia fu immaginaria, e quindi si svolse in questo modo: stavano tutti fermi a guardarsi male.
Splat! Il sacerdote era morto.
«Scusate se ho avuto la brillante idea di infilzarlo con la spada» disse Angela.
«Ma figurati, fai pure» disse Arya, «visto che riesci a uccidere venti guardie con la sola mente, a soggiogare uomini potenti in quattro minuti e a fare dodici mila punti a Fruit Ninja con gli occhi bendati». Poi guardò Peragon. «Dov’è Brisingr?»
«È ricomparsa automaticamente nel mio inventario».
 
INFIDA-NERA-CAVERNA-SPINOSA
 
(Attenzione, questo capitolo è visto da Shakira, quindi se leggete cose strane non siete voi ad avere le traveggole).
 
Shakira scendeva in picchiata verso la città-fatta-di-cacca, illuminata dal sole nascente e dall’aria-senz’acqua-un-po’-secca-copriti-che-fa-freddo.
Non capiva come poteva una sagoma di cartone a forma di Peragon a ingannare i soldati, Murtagh e Fastidio, ma per il momento preferiva crederci.
Riprese a volteggiare sulla città dei sacerdoti-anemici-perché-si-tagliuzzano e scorse il profilo scintillante di Fastidio.
Una campana suonava nella torre dell’edificio accanto e senza pensarci due volte le sparò addosso una fiammata blu-e-gialla (verde, quindi? N.d.R.)
Quando Fastidio la vide, si lanciò contro di lei sputando fiamme. Una reazione davvero originale, complimenti.
Le sfrecciò sopra la testa e la ferì sulla membrana dell’ala destra. Era più grande di lei, perché Galbanino l’aveva fatto gonfiare con la pompa per biciclette prima di inviarlo a Dras-Leona. Per questo stesso motivo al morso di Shakira si sentì un pfffff, e il drago volò via atterrando sul selciato.
Shakira si lanciò verso l’infida-nera-caverna-spinosa degli adoratori-anemici perché erano stati loro a ferire il suo compagno-di-cuore-di-mente-e-di-partite-online, e anche Arya-elfa-bella-e-forte-ma-sensibile-dai-capelli-mezzi-gialli-e-mezzi-arancioni e Angela-non-ho-ancora-capito-chi-cavolo-sia, senza dimenticare Solembum-non-so-che-appellativo-dargli e dove era morto il povero Wyrden-ci-eravamo-già-dimenticati-di-lui.
Fastidio ruggì rumorosamente e si lanciò verso la dragonessa. All’ultimo istante lei si spostò e il drago sbatté la testa. Poi scivolò su una buccia di banana e infine cadde rovinosamente, passando attraverso una porta su cui era stato messo un secchio pieno d’acqua che gli cadde in testa.
Poi Shakira soffiò fiamme su di lui con il massimo della forza che aveva in corpo. Si sarebbe schermato con gli incantesimi di Murtagh, ma lo doveva finire il mana prima o poi.
 
MARTELLO ED ELMO
 
Roran aveva mangiato qualcosa di avariato per cena, e ora gli faceva male un po’ lo stomaco.
Beh, non ho niente da dire su di lui, solo che, poverino, non volevo escluderlo dal libro dopo tutta la fatica che ha fatto.
 
E LE MURA CADDERO…
 
Spatapunfete! Peragon si voltò di scatto, con un’espressione che è un peccato non fargli un bel primo piano al ralenti.
L’Helgrind era crollato. Tutti si erano voltati verso la cattedrale: le guardie notturne, i mercanti che andavano ad aprire le botteghe, i nobiluomini ubriachi dopo festini di corte, sì vabbene, non è il momento di descrivere la società quattrocentesca.
Arya aveva abbandonato il messicano che li aveva seguiti fino alla soglia della cattedrale, perché Peragon gli aveva promesso che l’avrebbe portato con lui…
«Ma non gli ho promesso fino a dove, eh eh» diceva Peragon, mentre vedeva l’Helgrind che gli crollava addosso.
Una macchia bianca si stagliava sui tetti scuri e inzuppati di fango, erano i gatti mannari. Peragon si sentì rincuorato nonostante fosse certo che non sarebbero intervenuti finché non si fossero trovati una pistola puntata sul naso.
Tra le mani portava Aren, l’anello che Brom gli aveva lasciato. Sicuramente Galbanino, per quanta energia aveva a disposizione, avrebbe usato Aren giusto per cuocersi due spaghetti o per ricaricarsi l’aipàd (oggetto elfico di indubbia inutilità), ma Peragon si sentì ancora una volta rincuorato. Diciamo che si stava sentendo un po’ troppo rincuorato ultimamente, più di quanto potesse permettersi.
Però Aren era qualcosa di speciale per lui, l’unica cosa che gli rimaneva di Brom, e quell’energia l’avrebbe conservata per sempre.
Certo, certo.
In realtà appena lo tirò fuori dalla tasca iniziò a gridare tutte le parole dell’antica lingua con il dizionario davanti e, oltre a scaricarsi l’anello, devastare tutto l’ecosistema circostante e provocare ottocentosessantadue incidenti domestici a Dras-Leona, riuscì per fortuna ad aprire i cancelli della città.
Mentre i Varden si facevano strada con le spade sguainate, Peragon adocchiò Roran, ma lo perse subito di vista, e per fortuna, se no se ci concentriamo troppo su di lui partono altre cinquecento pagine di martellate.
Poi vide Arya, che era circondata da una ventina di soldati brutti, pelosi e puzzolenti. Peragon si lanciò contro l’uomo che la stava attaccando, gli strappò via la spada a mani nude e lo affettò in più parti, poi si strappò la maglietta e si mise di profilo con il sole sullo sfondo.
«È inutile che fai il figo, non c’è trippa per gatti» disse Arya. «E poi quello lo stavo battendo benissimo da sola».
«Lo so» rispose lui, «Consideralo un regalo».
«Beh, comunque ce l’abbiamo fatta, la città è presa».
«Perché ogni volta che noi due finiamo di combattere contro il tizio di turno finisce tutto l’assedio?»
«Perché se no sto libro sarebbe diventato così grosso da provocare attacchi di panico ed epilessia ai lettori più sensibili».
Nel frattempo il drago Fastidio volò via da Dras-Leona, non perché avesse accettato la sconfitta, ma per farsi cambiare la camera d’aria.

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Capitolo 9
*** Cap 27-33 ***


SULLE RIVE DEL LAGO DI LEONA
 
Peragon attraversò a grandi falcate l’accampamento immerso nell’oscurita. Aveva trascorso le ultime ore a colloquio con Nasuada, Arya, Garzhvog, Orik, Orrin, Oin, Gloin, Bifur, Bofur, Bombur e tutti gli altri personaggi super secondari di cui nessuno si ricorda.
Camminava nell’oscurità, evitando i falò e le torce perché si era stancato di firmare autografi.
Davanti a lui apparve Elva, la bambina diventata una strega per un errore di ortografia.
«So cosa sei venuto a dirmi» disse lei.
«Lo so ma te lo dirò lo stesso perché i nostri lettori non ci leggono nel pensiero. Hai ucciso tu il povero Wyrden, per colpa tua Arya si è quasi tagliata la mano, per colpa tua quel messicano ci ha importunati lungo tutti i sotterranei di Dras-Leona, per colpa tua ho perso la cinturina di Gucci dentro quelle caverne schifose».
A Elva brillarono gli occhi, come in un manga ad eccezionali livelli di pucciosità, e si scusò.
Dopodiché Peragon andò a trovare Arya, sempre speranzoso, ma qualcosa lo anticipò. Un paggio intimorito (il cugino di quello che era morto ad Arughia).
«Oh grande e ineguagliabile ammazzaspettri» disse.
Peragon contrasse i pettorali e prese in mano la spada.
«Dimmi pure, e vedrò se dall’alto della mia grandiosità potrò aiutarti».
Il paggio lo guardò. «Tu chi cavolo sei? Io stavo parlando con Arya. La mia signora desidera che tu vada da lei domattina prima dell’alba».
«Dille pure che per le undici e mezza, dodici meno un quarto al massimo ci sarò».
Il paggio si allontanò verso la tenda di Nasuada.
«Si fa confusione ora che entrambi abbiamo ucciso uno spettro» disse Peragon.
«Sì, ma tu l’hai ucciso per caso quindi non vale».
«Vabbè, in ogni caso ti potrebbero chiamare principessa».
«No, visto che non lo sono».
«Come? In tutti i siti su Eragon e pure su Wikipedia c’è scritto “Arya drottningu”».
«Ma non le hai lette le appendici del libro? Non vuol dire mica principessa».
«Ma scusami, facciamo giusto un’ipotesi improbabile, proprio un evento che non potrebbe mai accadere in questo libro, se, ecco, tua madre dovesse morire, ma ripeto è solo una mera invenzione, chi le succederebbe al trono? Tu, no?».
«Gli elfi fanno un sacco di cose complicate, che ne vuoi sapere tu di successioni elfiche, che non le sa neanche Paolini».
«Beh, comunque, vuoi venire nella mia tenda, che fa freddo?»
«Sì, ma ricordati che non c’è trippa per gatti».
Insieme si sedettero all’interno della tenda, e da questo punto in avanti l’autore invita di mandare a nanna i bambini.
 
«Ecco» disse Arya, «tra gli averi di Wyrden ho trovato una cosa che… diciamo… volevo condividere con te».
«È faelnirv?» chiese Peragon.
«Sì, ma quel furbacchione di Wyrden aveva aggiuno un ingrediente particolare, una pianta».
«Ne conosco il nome?»
«Sì, ma non lo dire che ci mettono il bollino giallo».
Peragon bevve un sorso di faelnirv, poi due, poi tre e poi perse il conto. Arya fece lo stesso.
«Eh eh ah oh uh» disse Peragon.
«Perché ridi? Ah ah oh uh» chiese Arya.
«Perché… ah ah… quelli là fuori sono tutti morti! Ah ah eh eh!»
«LoL!»
Diciamo che, per risparmiarci ulteriori scene pietose la serata andò avanti più o meno [URL= http://www.youtube.com/watch?v=Q4vBs3KvLl4]così[/URL].
 
CONCLAVE DI RE
 
L’accampamento devastato, Nasuada scomparsa, Castigo che tornava vittorioso dal suo padrone (da solo perché evidentemente l’attore di Murtagh stava facendo un altro film mentre hanno girato queste scene).
‘È un libro, non un film’ disse la vociona di Glaedr a Peragon, quando tutto si fu calmato. ‘E poi avreste dovuto fermarli!’
«Ecco, ehm» rispose Peragon. «In quel momento i nostri sensi elfici stavano, come dire, affrontando problemi tecnici. E poi sarebbe un tantino scortesuccio uccidere un drago, che tra l’altro il vuvvueffe ha dichiarato in estinzione, causa la presenza di quattro soli esemplari nell’intero universo, e uno di loro è una pallina di venti centimetri!»
Ma non perse troppo tempo con Glaedr e corse verso Roran.
«Roran!» gridò. «Stai bene? Katrina sta bene?»
«Beh…»
«Non mi interessa. Nasuada è scomparsa, non dobbiamo lasciare i Varden allo sbando».
Roran guardò il cugino e disse: «tu devi prendere il suo posto».
«Ma siamo impazziti? Tu, mio strafigo cugino, sarai il suo successore. Persino gli Urgali hanno i tuoi poster nelle tende».
«Ecco, credo re Orrin sia il più indicato».
«Non hai scelta, Peragon, tu sarai il nostro nuovo capo» disse Jörmundur (sì, ho imparato a mettere i puntini sulla o. Si deve fare control + shift + due punti + o).
«Io…» cercò di dire lui. «Non avrei mai voluto ricoprire questo ruolo».
«Perché, qualcuno ti voleva?» disse Orik.
«Non fare battute inopportune» riprese Orrin. «Quanto a te, Peragon, ovviamente sarò io a darti tutte le disposizioni necessarie».
«Gli elfi lo faranno» disse Blödgarm.
«Lui fa parte del clan Ingeitum» disse Orik. «E io sono il suo re».
«Non mi metterò a fare i comodi dei nani» disse Orin. «I traduttori mi hanno perfino scambiato per uno di voi!»
«Come ti permetti?!»
«Insomma…» diceva Jörmundur.
«Leghista!»
«Un po’ di contegno…»
«Comunista!»
«Scempiaggini!» disse Blödgarm.
«Sembrate dei bambini!»
«Voto Fortepadello!»
«Brigman, nessuno ti ha invitato!»
«Smettetela!»
«Mi dissocio!»
«Approfittatore dell’altrui subordinazione!»
«Non è colpa mia se mi hanno ristrutturato la tenda con i soldi dei Varden, a mia insaputa…»
E via dicendo.
Poi Roran si introdusse nella discussione e calmò un po’ le acque.
«Troppe lacrime versate. Troppo sangue sacrificato. Troppe pagine imbrattate» disse. «A questo punto io andrò a Uru’Baen, dovessi distruggerla da solo».
«Sì, adesso sei così figo che ci conquisti una città da solo».
«L’ho già fatto».
Trascorse un secondo di silenzio.
«Fortegirello» disse Arya. «Se dev’essere così… avrai la mia spada».
«E la mia ascia» disse Orik.
«E il mio arco» disse Legolas.
 
LA STANZA DELL’ORACOLO
 
Nasuada si trovava distesa su un pavimento di piastrelle. Era completamente immobilizzata, l’unica cosa che riusciva a muovere era l’alluce destro.
Non udiva alcun rumore, né vedeva niente a parte un soffitto pieno, a quanto pare, di linee colorate (tipo nel film Tron).
È veramente impossibile scrivere un capitolo di comicità su questa scena, dato che non accade assolutamente niente. Perfino il tizio incaricato di sfamare Nasuada era così neutro e indifferente che non fece nemmeno una smorfia quando la regina dei Varden gli staccò il braccio a morsi. Quello se lo incollò di nuovo e prese una fetta di pane, infilandola in bocca alla povera Nasuada. Poi prese un pezzo di morbido formaggio e fece altrettanto.
C’è da dire però che aveva delle unghie alquanto carine.
«Ti piace quel formaggio? Lo produco io stesso» disse una voce alle sue spalle. Un uomo avanzava nella stanza, finché fu visibile. «Già, io sono re Galbanino! Uah, uah, uah!»
«Un’apparizione decisamente modesta per un personaggio che si fa aspettare da quattro libri».
«Nasuada cara, comunque benvenuta a Uru’baen. Allora non sei veramente una afro-zingara vestita di stracci come nel film».
«E tu non sei un settantenne pelato sulla sedia a rotelle. E comunque sappi che non ti rivelerò niente!»
«Tanto io so già tutto. La disposizione del tuo esercito? Le capacità di Peragon? Cos’hanno mangiato i lettori a colazione stamattina? Il fatto che usi Glaedr per bilanciare le gambe del tavolo? So già tutto».
«Allora perché mi hai rapita?»
«Perché sono crudele e ti devo torturare lo stesso, anche senza motivo. Sai cosa pensavo? Saresti perfetta come personaggio cattivo. Perché non abbiamo un personaggio cattivo come te?»
«Forse perché in seimila personaggi sei il solo cattivo».
«Non direi. Murtagguccio? Vieni dallo zio Galba».
Murtagh entrò lentamente. «…zio Galba».
«Vero che è bello stare qui? Non vorresti Nasuada come amica?»
«…vero zio Galba».
«Ma che cattivo?» disse Nasuada, «quel poveretto ha solo il quoziente intellettivo negativo».
«Bene Murty ora torna pure nella tua cameretta. Quanto a te, Nasuada, ecco la scelta: o diventi cattiva, o ti stacco la testa a piccoli colpetti di tagliaunghie».
«Per quale motivo non mi fai diventare cattiva con la sola imposizione delle mani?»
«Ne sarei capace, ma come ti ho già detto sono cattivo e ho una voglia matta di torturare qualcuno».
 
VAGHI FRAMMENTI CONFUSI
 
Solembum si infilava nella tenda di Peragon a passi felpati. Il gatto saltò sulla branda e cominciò a leccarsi le zampe, mentre fissava il ragazzo con i suoi azzurri come il ghiaccio.
«Non sono un cane che va e viene ai tuoi comandi, Cavaliere. Cosa vuoi?»
«È urgente» rispose lui. «Tre libri fa mi avevi detto ‘quando il tuo potere non ti basterà, recati alla rocca di Kuthian e pronuncia il tuo nome per schiudere la Volta delle Anime’».
«Non lo nego».
«Beh, diciamo che dopo tutto questo tempo una domanda sorge spontanea. Insomma sono anni che su internet la gente si chiede il significato di questa frase, ma nessuno ha saputo rispondere. Non ho dormito la notte per quattro anni! Ho riletto tutti i libri sei volte in cerca di questa risposta! Certo, ho trovato un sacco di falsi spoiler su relazioni amorose segrete come quella di Arya-Galbatorix, Nasuada-Orik o, non farmici pensare, Castigo-Islanzadi. E quindi… dove si trova questa benedettissima rocca?»
«Passaparola».
«Come?»
Solembum lo fissò in silenzio.
Peragon fece lo stesso, in attesa della fatidica risposta.
«Per me è la cipolla».
***
Un’ora dopo i due stavano ancora a discutere.
«Quindi non lo sai veramente?»
«Per la seicentesima volta, no che non lo so! Me l’ha detto l’autore di dire quella frase, non l’ho mica scritto io il libro».
Poi passarono due secondi e il gatto cambiò voce.
«Accendi… accendi la televisione…»
«Cosa?»
«La televisione… accendila sul due».
Peragon eseguì e si trovò davanti una puntata di Voyager.
“Si dice che i Draghi vivessero a Vroengard, nella città di Dorù Araeba, un luogo colmo di misteri. Si dice che il santo graal, i teschi di cristallo, i Maya, la Massoneria e il bunker di Hitler si trovino in questa città misteriosa. Ma ora ci trasferiremo a Rennes-le-Chateaux, poco distante dalla Rocca di Kuthian, anch’essa a Dorù Araeba. Insomma: scopriremo mai il mistero dei Cavalieri dei Draghi? O forse è più corretto dire… dei Cavalieri Templari?
Ci sono prove da verificare, testimoni da ascoltare, villaggi da saccheggiare. Sì, ma… dopo la pubblicità”.
 
FRA LE ROVINE
 
«Cosa diavolo era?!» gridò Peragon alla vista di un mostro marino. Lui, Shakira e Glaedr stavano sorvolando il mare diretti a Vroengard.
«Era un Nidhmmnnyhmnn» disse Glaedr, «una delle più inutili cose presenti in questo mondo fantasy. Lo usano per preparare il sushi nei ristoranti più chic di Ellesméra».
«Perché tu e Oromis non ce ne avete mai parlato?» chiese Peragon.
«Perché ci saremmo trasformati in una serie di decine di libroni, peggio del Trono di Spade».
In ogni modo, dopo diecimila chilometri tra le nuvole  e le tempeste (più una piccola parentesi spaziale) i tre riuscirono ad atterrare sull’isola in rovina di Vroengard.
«Ecco la rocca di Kuthian» disse Glaedr dopo un breve giro turistico di Dorù Araeba.
«Bene» disse Peragon, «ora entriamo e concludiamo questo libro!»
«Calma, calma, calma, calma, calma…» disse Glaedr, «il nostro contratto prevede ancora duecento ventotto pagine. Ci andremo domani. Ora dobbiamo sorbirci qualche altra decina di pagine dove si parla solo delle riflessioni mentali di Nasuada».
 
I BRUCOTARLI
 
«Con il cucchiaio?» gridò Galbanino in tono glaciale. «Hai ucciso tre uomini con il cucchiaio? Spero vivamente che sia un errore di traduzione».
Nasuada non rispose.
Durante gli ultimi giorni di prigionia Nasuada aveva cercato di stringere amicizia con il carceriere, ma perfino le più elaborate motivazioni della ragazza ebbero come risposta un «brrmpf» di quell’uomo, che evidentemente non sapeva dire altro. Il giorno della cucchiaiata la stava conducendo ad una sudicia latrina per – come scrive Paolini – “fare quello che doveva fare”.
«Siamo il Comitato per la Censura dei Libri» aveva detto un uomo vestito di nero a Paolini mentre scriveva il libro. «Abbiamo ricevuto una segnalazione. Qua si parla di… cacca».
«Sì…» disse Paolini.
«Come le salta in mente una cosa del genere? Ha mai letto libri dove i personaggi fanno la cacca? Harry Potter, in sette anni passati ad Hogwarts, non è mai andato in bagno eccetto che per combattere. Aragorn e Legolas, secondo lei, si sono mai fermati a fare qualche bisognino lungo la via? La risposta è no. E se lei vuole avere successo come i due esempi sopracitati non deve scrivere quell’infima parola».
«D’accordo» rispose Paolini.
Dopo aver passato parecchio tempo in compagnia del carceriere Nasuada aveva appurato che quello si lucidava le unghie prima di andare a trovarla e, credendo di piacergli, aveva tentato “in altri modi” di persuaderlo a lasciarla andare. Ma quello non si lasciava imbrogliare. Nasuada sospettava che si trattasse di un automa a molla ideato dal re, sia per la sua inflessibilità, ma anche perché ogni tanto si bloccava e un soldato lo doveva far ripartire girandogli una chiavetta sulla schiena.
Insomma, dopo parecchi giorni di routine (visita del carceriere, cacca, pane e galbanino, torture, sonno) Nasuada si era decisamente stancata e, mentre mangiava l’insipida minestrina, aveva afferrato la posata e accucchiaiato il povero carceriere.
Poi Nasuada tentò di usare le sue avances anche su Murtagh, e magari su di lui avrebbero funzionato, se non fosse che il re oscuro per soggiogarlo al suo volere gli metteva nel brodino talmente tanti anestetici che ogni tanto il giovane cavaliere dubitava di essere ancora vivo.
Quel giorno Galbanino si sentiva più cattivo del solito. Estrasse uno scrigno da sotto il mantello. Uno scrigno che, a detta di Paolini, emetteva degli inquietanti ‘scri-scri’ (e ogni tanto anche degli ‘scri-scrà’). Il re lo aprì ed estrasse un bruco dal suo interno.
Nasuada rabbrividì pensando a cosa stava per accadere.
«Questo, Nasuada, è un brucotarlo. Non è come sembra. Non è facile da catturare, anzi». Poi lo mangiò in un solo boccone. «Delizioso. Ora penserò a come torturarti».
Da questo momento partirono le più atroci torture che salteremo perché, a meno che non siate psicopatici o insegnanti di matematica, non fanno ridere.
Quando poi il re era uscito dalla sala, Nasuada era rimasta da sola con Murtagh.
Come di certo ci si aspetterà in una scena drammatica e/o romantica come questa, i due cominciarono a parlare di argomenti importantissimi tra cui la sella di Fastidio o il mercato del Surda, dove Nasuada e suo padre Ajihad vendevano fazzoletti al semaforo e pulivano i vetri delle carrozze.
 
LA ROCCA DI KUTHIAN
 
La dragonessa e il suo cavaliere si stavano svegliando a Dorù Araeba. Il sole, il bosco, gli scoiattoli e tutto il resto facevano il loro dovere scenico.
«Peragon, vai a prendere un po’ di legna» disse Shakira.
«Uffa, perché non ci va Glaedr?» rispose lui ancora con gli occhi chiusi.
«Sono un passeggero a ridotta capacità motoria» disse il drago.
Appena aprì gli occhi Peragon si ritrovò una lumaca gigante a un millimetro dal naso.
«Vabbé che è un fantasy» disse alla lumaca, «ma i brucotarli, il drago cinese, i gufi spaziali, i budini maledetti, tutti nell’arco di dieci pagine sono un’esagerazione!»
«La prima regola della caccia» osservò Glaedr, «è non mangiare la…»
Crunch crunch! Shakira aveva già divorato gran parte delle lumache presenti in zona. Poi ne aveva arrostita una per Peragon, con cui fece colazione.
«Bene ora devi pronunciare il tuo nome davanti alla porta» osservò Shakira.
Peragon si schiarì la voce.
«Ehm ehm. Peragon. Peragon!»
«Ne deduco che non abbiamo avuto successo» disse Glaedr.
«Pee. Raaa. Goon!»
«C’è una sola spiegazione» continuò il drago.
«Peràààgon».
«Questo vuol dire solamente che..»
«Piragun! Paregon! Poregan!»
«Vuoi stare zitto, perdincibacco!?! Quello che voglio dire è che dobbiamo dire i nostri veri nomi per schiudere la porta. Ve la sentite? Se quel servizio di Voyager ci avesse mentito, allora perderemmo la nostra libertà. Volete provare? Affidereste a Roberto Giacobbo la vostra stessa vita?»
I tre rimasero in silenzio a guardarsi.
«Peragòn».

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Capitolo 10
*** Cap 34-44 (fine) ***


LACUNE COLMATE, PROLOGO
 
«Mi chiedo che senso ha scrivere un capitolo di quattro pagine e dividerlo ulteriormente in altri capitoli» disse l’editore a Paolini, «con lo stesso titolo, tra l’altro».
«Per lo stesso motivo di Harry Potter e i Doni della Morte, Twilight: Breaking Dawn, Lo Hobbit e molti altri» rispondeva il neo-scrittore.
«Non mi hai convinto» riprese l’editore.
«Altra motivazione: se me lo lasci mio padre ti dà un milione di dollari entro un’ora» disse Paolini.
«Mi hai convinto».
 
LACUNE COLMATE, PARTE PRIMA
 
Nel campo dei Varden c’era una rete wi-fi che però potevano usare solo Nasuada e re Orrin.
In teoria, almeno. Nonostante Nasuada fosse brava a schermare i suoi pensieri quanto le sue reti internet, la potenza di Peragon unita ad Arya, Shakira e Glaedr, bastò a scoprirne la password, che tra l’altro era murtagghino4ever.
Grazie a questo stratagemma Peragon si era scaricato diverse applicazioni (e si era scaricato anche la cintura di Beloth il Savio a furia di stare collegato).
Ora, come ricorderete, si trovava davanti alla benedettissima Rocca di Kuthian da quattro giorni insieme ai due draghi. Per fortuna si ricordò che tra le inutili applicazioni aveva anche un generatore di Veri Nomi. Gli bastò inserire nome, cognome, luogo di nascita, altezza, peso, cosa aveva mangiato quella mattina e il suo record a Fruit Ninja per scoprirlo.
«E ora» disse Glaedr, «andiamo ad aprire la… la… com’è che si chiamava?»
«La Rocca di Kuthian?» suggerì Peragon.
«Sì… credo…»
«Glaedr» disse il cavaliere mentre la porta si schiudeva e apparivano glifi e decorazioni scopiazzati dalle porte di Moria. «Qui dentro troveremo gli eldunarì dei draghi?»
«Assolutamente no» rispose, «per prima cosa possiedo un radar infallibile che mi consente di scovare tutte le forme di vita nel raggio di mille chilometri; per seconda cosa tutti i draghi noti sono nelle mani di Galbanino, e lui non se ne sarebbe fatto sfuggire uno in tutti questi decenni; per terza cosa sarebbe una soluzione talmente banale che nemmeno Paolini si potrebbe abbassare a tanto».
 
LACUNE COLMATE, PARTE SECONDA
 
«Perché siamo in un altro capitolo con lo stesso titolo?» domandò Peragon mentre scendevano nelle viscere della terra.
«Perché quando dici una frase a effetto» spiegò il drago, «deve cambiare il capitolo. Però siccome era la stessa scena Paolini l’ha lasciato uguale».
«Allora proseguiamo» disse Shakria, e i tre arrivarono in una sala scavata nella roccia.
«Questa dovrebbe essere il centro della roccia… della roggia…  della…»
«Della rocca, Glaedr?» suggerì Peragon.
«Sì, sì, giusto, la rocca. Non so come ho fatto a dimenticarmi già il nome della ro… della…»
«Rocca» intervenne Shakira.
«Sì, della rocca. Ora su, inoltriamoci in questo salone di pietra e scopriamo se la Roggia di Julian cela dei segreti».
«Vuoi dire la Rocca di Kuthian?» chiese Shakira.
«E io cosa ho detto?»
«Glaedr» disse Peragon, «hai preso le bustine di potassio e magnesio stamattina?»
Ma una voce squarciò le profondità della rocca.
«Salute Peragon Ammazzaspettri, salute Shakira, salute Glaedr. Non hai l’Alzheimer, il nome della Rocca è soggetto ad un incantesimo di memoria».
«Il nome di che?» chiese Glaedr.
«Chi sei?» gridò Peragon. «Fatti vedere!»
Dal fondo della sala apparve una creatura a metà tra un uomo e un drago, fatta di metallo, che avanzava a passi lenti e cigolanti.
«Il mio nome è Umaroth» disse la creatura, «e le pietre che vedete alle mie spalle sono gli eldunarì e le uova di tutti i draghi del passato».
 
LACUNE COLMATE, PARTE TERZA
 
«Che c’è, ho detto qualcosa che non andava?»
«No, signor Umaroth» disse Peragon. «Ma da quel che ho capito ogni volta che uno dice qualcosa di importante deve cambiare il capitolo».
«Sai, Peragon» continuò Umaroth, «noi draghi antichi sappiamo chi sei. Ci siamo sempre stati, in tutte le scene. In realtà abbiamo lavorato dietro le quinte affinché la storia si svolgesse secondo il copione. Sì, caro Peragon, siamo stati noi a mandare in onda quella puntata di Voyager. Siamo noi che abbiamo infilato l’acciaioluce sotto l’albero di Menoa. Siamo noi che vendevamo strane sostanze ad Angela, siamo noi che abbiamo curato gli effetti speciali di ogni battaglia. Siamo noi che ti abbiamo fatto la barba ogni notte, perché tu non ci hai mai pensato».
«E dunque» disse Shakira, «ora verrete con noi per sconfiggere Galbanino?»
«Beh, è una scelta difficile. La risposta è…
 
LACUNE COLMATE, PARTE TRE E MEZZO
 
«Ciao, sono Roran, e ora assisterete a settantadue pagine di martellate».
Cambia capitolo, per piacere.
 
LACUNE COLMATE, PARTE QUARTA
 
Peragon, Shakira e Glaedr erano appena usciti dalla Rocca di Kuthian. Non ricordavano nulla di ciò che era successo, soprattutto Glaedr, ma la loro barra azzurra del mana era aumentata notevolmente. In più Peragon scoprì di avere degli eldunarì dove meno si aspettava.

LA CITTÀ DEL DOLORE
 
La distesa che i Varden avevano percorso per un’intera saga ora lambiva la città di Uru’baen. Sebbene Paolini faccia le traduzioni dall’antica lingua in modo che non siano comprensibili lo stesso, ha fatto un passo falso e Uru’baen ce l’ha tradotta nel titolo del capitolo.
Al contrario di Dras-Leona le mura circondavano tutta la città e, sempre al contrario di Dras-Leona, non erano fatte di sterco di cavallo ma di acciaio inossidabile e cemento armato di spada. La caratteristica più curiosa di Uru’baen era la fortezza, la cui ombra arrivava fino a Furnost.
(Nota dell’Editore: la città di Furnost non ha niente a che vedere con la città di Fornost del Signore degli Anelli; esattamente come la città nanica Farthen Dûr non ha niente a che vedere con la città nanica Khazad Dûm o altri luoghi tolkieniani, quali Eregion e Rohan. Questo messaggio si autodistruggerà).
«Ci siamo» disse Roran. «Quest’avventura sta per concludersi».
«Non credo» osservò Jörmundur. «Non so come la pensi, ma mancano duecento pagine».
Roran scrutava le mura pensoso. I Varden non sarebbero nemmeno riusciti ad oltrepassarle, figuratevi se in più potevano sconfiggere Galbanino, il suo drago Shuriken, Murtagh e Fastidio tutti insieme.
«Dobbiamo annunciarci a sua maestà il Galbanino» osservò Orrin.
«Ma sei impazzito?» disse Jörmundur. «Cosa vuoi ottenere?»
«Scusate, non potete capirmi» continuò il re del Surda, «voi siete solo schifose persone comuni, mica siete re come me e il mio amico Galba. Noi re rispettiamo una certa etichetta».
«Galbanino non ti considera certo suo pari» intervenne Roran, «è solamente un pazzo furioso».
«Come ti permetti, plebeo insolente? Nessuno mi dice cosa fare».
«Orrin!» disse Jörmundur. «Eri il personaggio più positivo del libro, che ti succede?»
«Non mi sono mai sentito insultato così» disse il re.
«Io insulto chi mi pare» rispose Roran. «Prrr! Lallallero! Non m’importa niente, faccia di serpente…» ma Orrin gli saltò addosso con la spada sguainata. Essendo un personaggio d’azione, e comunque un figo spaziale, Roran aveva già afferrato il martello e aveva risposto al colpo.
«Anacronistico…» osservò Jörmundur, «un nano combatte con la spada contro un uomo col martello…»
«Non sono un nano!» gridò Orrin. «Quello è Orik!»
«Ah, scusa, i soliti errori di traduzione».
Quella sera poi Roran tornò da Katrina, e insieme fecero un picnic sul terrapieno dell’accampamento, perché Roran non riusciva a stare lontano da luoghi bellici per più di ventisei minuti.
«Cosa hai fatto oggi?» gli chiese.
«Niente di particolare. Ho squartato una trentina di soldati per Jörmundur, ho squartato una ventina di orribili mostri per i Varden, già che c’ero ho squartato una decina di polli per il macellaio e… ah, sì, ho dato una martellata in testa al nostro re».
 
Quella sera Blödhgarm se la spassava su Facebook quando finalmente Peragon lo contattò in chat.
Blödhgarm: Peragon! LOL ke succede??
Peragon, Shakira, Glaedr e altri 879: Non preoccuparti, sono di ritorno.
Blödhgarm: bn bn, faccio sparire gli ologrammi d te e shak?
Peragon, Shakira, Glaedr e altri 879:  non ancora. Chiama tutti i personaggi importanti della saga, eccetto quelli morti e i cattivi, e venite alla collina qui vicino.
Blödhgarm: re orrin è un personaggio impo?
Peragon, Shakira, Glaedr e altri 879: no ._.
Blödhgarm: km desideri XD kosa avete trovato?
Peragon, Shakira, Glaedr e altri 879: non posso dirtelo in chat, se Galba ti ruba la password siamo fregati
Blödhgarm: ok xD arriviamo
 
«Mostrati, Ammazzaspettri» disse la regina Islanzladriel quando lei e gli altri raggiunsero la collina. Peragon si tolse il mantello dell’invisiblità che gli aveva dato Sil… Oromis.
«Rimani comunque uno stupido moccioso, ma devo ammettere che sei migliorato».
«Grazie, mia signora. Ci troveremo bene a Ellesméra».
«Chiudi il becco. Non ti lascerò mia figlia, zotico».
«Cosa avete trovato a Vroengard?» chiese Orik.
«Già», disse Arya, «raccontateci tutto».
Sblam! Peragon estrasse un tomo infinito e lo appoggiò su una roccia.
«Se lo volete sapere, leggetevi il libro. Io non ripeto niente».
«Io sono sotto shock…» aggiunse Shakira.
«E io ho l’Alzheimer…» concluse Glaedr.
«Beh, il punto è…» disse Peragon, «che nel mio zaino ci sono centinaia di draghi».
 
LACUNE COLMATE, PARTE QUINTA
 
«Che è successo?» chiese Orik.
«Non farci caso» disse Peragon, «succede ogni volta che diciamo qualcosa di importante».
 
MUSCOLI CONTRO METALLO
 
La battaglia si battagliava. Le frecce degli elfi sfrecciavano, i martelli dei nani martellavano, le spade dei Varden spadavano, i martelli di altri nani picchiavano ancora più forte, le corna degli Urgali incornavano e i martelli di un terzo gruppo di nani le dava ancora meglio.
Diverse pattuglie di soldati malvagi (tutti uguali, tra l’altro) si riversarono tra le strade di Uru’baen per sostenere l’attacco dei Varden.
«Che banalità! Cos’è questo capitolo?» disse l’editore. «Io lo salterei pure».
«Ma qui muore Islanzladriel» replicò Paolini.
«Beh, falla morire da un’altra parte. Magari alla Clinica per Elfi Ultramillenari di Tel’Naerì. E comunque questo cattivo di nome Barst non ha affatto senso… come fa da solo a sconfiggere i vari eserciti attaccanti? Insomma, lo so che è fantasy, ma le leggi fisiche andrebbero rispettate lo stesso. E poi il resto dei soldati è una manica di incapaci, come fanno a sopravvivere?»
«Sono infiniti» disse Paolini. «Compaiono per le strade ed escono dalle pareti».
«Va bene, va bene, va bene» continuò l’editore. «Ma questo Lord Barst come lo facciamo morire? L’hai reso invincibile, diamine! Bisognerebbe inventare un personaggio ancora più irrealistico ed esagerato che lo sconfigga».
«C’è già… Roran! Gli abbiamo fatto conquistare una città ipermurata da solo, perché non dovrebbe uccidere un panzone con la mazza?»
«Ma se ha pure perso il martello».
«Beh, che ne so, lo prende a pugni e lo uccide».
«Uhm…» sospirò l’editore. «Qua ci vuole un bell’espediente stereotipato».
Paolini ci pensò un attimo.
«Eureka! Facciamo apparire dal nulla un uccello che lo acceca!»
«Fantastico, è una trovata mai sentita!»
«Davvero?»
L’editore fissò Paolini con intensità ed espirò.
«No, ma mi paghi abbastanza perché sia così».
 
IL NOME DEI NOMI
 
Le trappole disseminate nel palazzo di Galbanino erano così tante e così in stile Prince of Persia che Peragon e i suoi compari d’avventura fecero una fatica immane ad oltrepassarle.
Ovviamente, essendo questa la missione finale, Peragon scelse i propri compagni in modo che passassero inosservati, giusto due o tre.
Ma ovviamente non ci riuscì.
Shakira, non poteva lasciarla indietro! Gli sarebbe servita per un eventuale scontro galattico volante. Arya era l’amore della sua vita e non poteva dirle di no in una scena cruciale come questa. Di Elva gli faceva comodo sfruttare i suoi poteri fregandosene di lei, e quindi se l’era portata. Blödhgarm era l’unico che sapeva combattere in modo decente, e aveva chiamato anche lui. Gli altri elfi gli servivano per gli effetti scenici. I nani se la cavavano bene nelle rocche. Gli Eldunarì erano indispensabili. I gatti mannari erano veloci e furtivi…
Insomma, tutti i Varden lo stavano seguendo nel palazzo. L’unico che non era venuto era Roran, che aveva le spalle così larghe che non passava per il corridoio.
Il bello fu che quando Peragon, Arya ed Elva giunsero alla sala del trono, un terzo dei loro accompagnatori era terzo era svanito nel nulla per licenza poetica, un altro terzo si era perso per conto proprio e il restante terzo era stato schiacciato dal martello gigante subito davanti all’entrata.
Sul trono nero era seduto il re Galbanino. Finalmente è sbucato! Siamo dovuti andare noi a casa sua pur di inserirlo in una scena.
«Vi stavo aspettando» disse.
«Come facevi a sapere che saremmo venuti?» chiese Peragon.
«Non lo sapevo. L’ho detto solo perché i cattivi dicono così».
«Arrenditi!» gridò Arya.
«Sperate di sconfiggermi così facilmente?»
«No, ma anche i buoni hanno le loro esclamazioni di circostanza».
Il re si levò in piedi.
«Taci, Legolas figlio di Thranduil».
«Il suo nome è Arya» rispose Peragon.
«Non ho chiesto il tuo parere, Aragorn. E ora preparatevi a soccombere!» E sguainò la sua spada bianca.
«Quella fu la spada di Vrael!» osservò il drago dorato.
«Proprio così, Gandalf. Adesso, se non vi dispiace, abbiamo un altro invitato alla festa. Vermilinguo, vieni pure!»
Murtagh entrò lentamente nella sala da una porticina, seguito da Fastidio.
«Ora voglio proprio divertirmi» disse il re.
Murtagh si avvicinò al fratellastro e gli sussurrò: «troppo fantasy gli ha dato alla testa. Pensa di essere Saruman».
«L’avevo capito» rispose Peragon.
Il re zittì i due cavalieri e riprese a parlare.
«Desidero che vi sfidiate per il mio compiacimento. Non con la spada, ma con le barzellette. Ci sarà da spanciarsi».
Arya guardò Elva inorridita. «Santi numi» sussurrò, «non conosce Peragon, non sa a cosa andiamo in contro…»
Peragon squadrò il suo avversario, che prendeva posizione davanti a lui.
«Murthag, ascoltami…» disse, «rinuncia a questo scontro! Liberati dal giuramento, sei solo uno schiavo per Galbanino…»
Murtagh lo fissò a sua volta e rispose.
«Il re mi tratta benissimo. Nella mia camera ci sono perfino due divani: uno è divano letto… l’altro ancora da leggere! Pffff!»
Arya si accasciò al suolo, mentre Elva dava segni di instabilità.
«Per Durza gli spiriti erano come dei parenti» rispose Peragon. «Di più! Erano tras-parenti! Ah uh ah ah uh ah!»
«Pensa che io ho ucciso i tuoi maestri» replicò Murtagh, «per veder scritto sui giornali ‘Glaedr assassinato… è giallo’!»
«Non l’ho capita…» disse l’altro. «Ma a proposito di Glaedr, lo sapevi che quando ha visto gli Eldunarì a Vroengard è rimasto proprio… di sasso!»
«Basta!» disse Galbanino. «Ora smettetela!»
«Un drago» continuò Murtagh, «dice a un fanghur: ‘lo vedi quel cinghiale?’. ‘Sì’ risponde quello, ‘ma non riesco a metterlo a fuoco’! Uah uah uah uah!»
«Vi prego, fermatevi!» gridava il re.
«Sai perché la madre di re Orrin non lo ascoltava mai?» replicò Peragon. «Perché era… Surda!»
«Senti questa… Perché gli elfi hanno un quoziente intellettivo superiore a quello dei nani? Perché i nani... sono gente terra terra!»
Galbanino si accasciò sul suo trono con una mano sulla fronte. «Basta… basta…» sibilò. «Waìse neiat…»
 
UN BREVE EPILOGO
 
Ora che il libro è finito vorrete sapere perché diamine c’è un drago verde in copertina. Beh, l’uovo verde si schiude e proprio Arya diventa il terzo cavaliere. Ma va? Non ve  lo sareste mai e poi mai aspettato, scommetto.
In ogni caso Nasuada diventa regina ma continua la politica dittatoriale di Galbanino, Orrin rimane incazzoso come sempre, Orik se ne torna a mangiare la terra, Murtagh sparisce dalla circolazione senza motivo, gli Urgali diventano di nuovo cattivi, Roran diventa di nuovo contadino, Arughia si proclama malvagia insieme ad altre città dell’Impero, gli elfi ritornano autistici come sempre, le uova di drago e gli Eldunarì vengono nascosti di nuovo… insomma in Alagaesia ritorna tutto esattamente come prima.
Beh, ora c’è Peragon a difenderla, no?
No.
Anche lui sparisce dalla circolazione, così com’era spuntato.
Quattro tomi indigesti per niente.

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