Se mai finirà quest'inverno.

di Chiamatemi Nessuno
(/viewuser.php?uid=223698)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Il ticchettio scandiva il tempo rimbombando per le pareti del salone principale. A momenti sarebbero scoccate le dieci del mattino, ed avrebbero risuonato per tutta la stanza spezzando il silenzio che albergava nell'abitazione. L'unico suono percettibile, per ora, rimaneva il ticchettio, che leggero si insinuava nei corridoi, sfiorando le porte, urtando i muri, raggiungendo anche lo studio, in cui gli spettatori di quella giornata fredda osservavano ciò che offriva loro la grande finestra posta sulla parete opposta all'entrata.
Un leggero manto bianco ricopriva piante, alberi e steli d'erba, rendendo il paesaggio candido ovunque l'occhio osasse posarsi. Leggiadri fiocchi volteggiavano nell'aria, giocando tra loro fino all'incontro con il suolo, rendendo tutto ancora più bianco. Il sole giocava a nascondersi, sottraendosi all'occhio per dar maggior visibilità al paesaggio leggermente innevato.
« Questa sera vedrete quanta ne sarà caduta » disse Al, rompendo il silenzio definitivamente, « probabilmente chiuderanno la strada per il paese ».
Dave levò gli occhi verso suo padre, per poi tornare ad osservare quello spettacolo. Dave amava la neve, era l'unica cosa su cui poteva fare affidamento nel periodo invernale, l'unica compagna di giochi a cui poteva ambire. Volse lo sguardo verso la madre, con la speranza di un consenso, un "certo Dave, va' pure", ma non fu ciò che ottenne.
L'influenza era ormai passata, ma per sua madre non sarebbe potuto uscire per ancora qualche giorno, una settimana forse, meno se fosse stato fortunato.
« Lo sai... » provò a giustificare lei bisbigliando ed abbassando lo sguardo, « troverai qualcosa da fare in casa, ne sono sicura ».
Terminò con un sorriso, per poi lasciarlo lì, solo, ad osservare tutto quel candore che non poteva ancora sfiorare.
« Benvenuto dunque, caro inverno» bisbigliò.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2. ***


Verso il pomeriggio, il paesaggio ormai imbiancato non fu che un semplice sfondo di una triste giornata invernale.
Il ticchettio del grande orologio del salone non scandiva più il tempo, bensì lo scorrere dei pensieri di Dave.
La sensazione di solitudine stava imperversando in lui, un brivido attraverso la sua schiena come un fulmine, causando un leggero treomolio del suo esile corpo.
« E c-c-così... » tentò di leggere suo fratello. Dave spostò lo sguardo al grande tavolo dello studio, accanto agli scaffali pieni di libri.
« Dio, non è così complicato! » sbottò Al, mentre George si sporgeva sempre più verso il libro, quasi a volerne sfiorare le pagine con la punta del naso.
George avrebbe compiuto sei anni a febbraio, per poi iniziare la scuola primaria i primi del Settembre che sarebbe venuto, ed Al era intenzionato a mandarlo a scuola istruito abbastanza da farlo sembrare un genio. Era più che comprensibile, da un uomo come lui. Sposato con una bella moglie, proprietario di una bellissima villa, carriera brillante e mentalità inviadibile, Al in primis era un uomo invidiabile.
La sapeva lunga, l'aveva sempre saputa lunga su tutto, aveva una conoscenza fuori dal normale ed una cultura inquantificabile, pretendeva che George, il primo genito, seguisse le sue orme. Per questo aveva deciso di istruirlo lui, per lo meno insegnargli le basi.
« E c-così la rag...ragazza tornò nella s-sua ab...ab...abi... »
« ABITAZIONE! DIAMINE GEORGE! »
Dave vide George sussultare. Questi erano i pochi momenti in cui era contento di non essere il preferito. Non avrebbe mai sopportato così tante pressioni, l'attaccamento morboso del padre e le giornate passate con lui senza un attimo per sé. Ma d'altro canto ciò che veniva dato in abbondanza a George veniva tolto a Dave ed a sua madre.
Nonostante la tenerà età, Dave ci aveva pensato spesso, era come se non avesse un padre. Oltre al denaro, per lui il padre non spendeva altro, non ricordava neppure quando fosse stata l'ultima volta in cui egli si fosse rivolto a lui per una qualsiasi cosa, se mai ce ne fosse stata una.
L'attenzione di Dave si spostò repentina al fratello, o meglio ai singhiozzi di George, che aveva ormai iniziato a dar sfogo alla frustrazione con un pianto. A mettere fine a quel tragico quadro fu la voce della madre, che con un lamento esordì: « Al, basta, lascialo riposare ».
Al sbuffò, per poi alzarsi e togliere il libro da sotto il naso gocciolante di George. Lo ripose sul ripiano della libreria apposita ai libri dei bambini, e lanciò un ultimo sguardo a George, che finalmente dava segni di ripresa dal pianto di poco prima.
« Forse se ci lasciaste un po' soli quando tento di farlo esercitare... »
« Piantala Al, io e Dave non diamo nessun fastidio. Sai benissimo poi che non... »
« Basta così. È stato un caso isolato »
« Al... »
Quel lamento fece trasalire Dave. Cosa fosse successo lo sapevano tutti in quella stanza, si considerava una cosa superata, ma negli occhi della madre leggeva terrore, terrore allo stato puro.
« Ora basta. Fuori. » disse Al pacatamente, ma in tono autoritario.
Diane si alzò, prgando Dave con gli occhi di seguirla. Si alzò anche lui, e si incamminò verso la porta. Passò accanto al tavolo sfiorando la sedia su cui sedeva George, al quale aveva già ripreso a tremare il labbro inferiore, di lì a poco le sue guance sarebbero state invase dalle lacrime. Uscì dalla stanza seguito dalla madre, che senza rivolger lui ulteriori sguardi si recò al piano di sopra. Dave sapeva benissimo cosa sarebbe successo dopo l'esercitazione giornaliera si George: suo padre avrebbe raggiunto sua madre, avrebbero discusso per poi dedicarsi ad un arte a lui ancora sconosciuta.
Desiderava con tutto se stesso ritornare nello studio, per lo meno lì aveva di che occuparsi, tra l'osservare la strada ed i suoi album da colorare. A malincuore, si diresse verso il salone principale, accompagnato dal ticchettare del grande orologio, che sembrava scandire ogni suo passo, ogni suo pensiero, ogni suo respiro.
Attraversò la grande porta uscendo definitivamente dal corridoio, ed andò a posizionarsi su una delle poltrone poste accanto al camino. La ruotò tanto da direzionarla verso la parete dove si trovava l'orologio, si accomodò ed iniziò ad osservare. Sentì per un attimo un singhiozzare, probabilmente di George, e ripensò a ciò che sua madre con una lacrima disse lui quel giorno: « sai Dave, tutti i genitori amano i proprio figli, ma ogni tanto li amano un po' troppo ».

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3. ***


Con leggeri movimenti della testa, Dave accompagnava il malinconico dondolare del pendolo incurante di qualsiasi altra cosa.
« Tic, tac » continuava a bisbigliare, quasi volesse mettersi in contatto con quel vecchio orologio che dominava l'intera sala. Impressionante era il modo in cui lo aveva attratto, ogni suo senso non era che dedicato al lento movimento del pendolo. L'oscillazione fece scomparire tutto il resto, tra un tic ed un tac. Niente più pareti, niente più poltrona, niente più corridoi esterni a quella stanza, niente più che non fosse Dave o l'orologio. Tutto era scomparso, ad eccezione di un mobile poco distante dall'orologio.
Dave avanzò verso il mobile in cui sua madre aveva riposto l'argenteria più pregiata che possedeva, e piano iniziò ad arrampicarsi.
Il mobile non era abbastanza alto né abbastanza vicino al Padrone della sala, ma poco importava. Nella sua testa l'importante era riuscire ad ammirare da vicino ciò da cui non riusciva a distogliere lo sguardo.
Ripose i pezzi dell'argenteria uno sopra l'altro, in modo da non farli ondeggiare e cadere, soffermandosi sul secondo ripiano. Da lì era possibile contemplare il pendolo, e godersi ciò che per Dave in quel momento era splendida musica. Non pensò più a nulla, era completamente ipnotizzato, attratto in maniera spropositata da quel ticchettare inebriante.
Sparì tutto. Il mobile non c'era più, l'argenteria era sparita, e non c'era più neanche l'orologio con il pendolo. Erano rimasti solo Dave ed il ticchettio, un modo minuscolo in cui erano inscritti, un barriera sonora che nessuno e nessuna cosa potesse infrangere, nemmeno le urla strazianti di un padre che aveva appena assistito alla morte del primo genito qualche stanza più in là.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 4. ***


Un semplice clack segnò la chiusura della porta, mettendo fine ad un possibile collegamento con ciò che era situato all'infuori di quella stanza, e per George anche con il mondo.
Sentiva già un urlo salire per la gola ed un pianto appannargli gli occhi, ma si trattenne dal manifestare qualsiasi reazione.
Non era più stato solo con suo padre dall'ultima volta, per merito di sua madre. Diane si era sempre opposta, immischiandosi in qualsiasi attività, finché anche Al non si era rassegnato a tentare di passare del tempo solo con il figlio.
Ma George non aveva più avuto paura di suo padre, fino a quel giorno. Al gli rivolgeva un sorriso che a lui appariva inquietante. Come avrebbe voluto che sua madre fosse lì...
Una lacrima rigò la sua guancia, e repentino abbassò la testa per non farlo notare. Ma Al avanzò lo stesso verso di lui.
« Oh no Georgie caro, non devi temere nulla » esordì, rompendo quel silenzio carico di tensione.
Avanzò lentamente verso di lui, e posò una mano sul suo capo. « Devo essere stato troppo duro con te, riproviamo Georgie ». "Georgie", odiava quando iniziava a chiamarlo così.
Il suo campo visivo venne violato da un oggetto, un libro.
« Riproviamo » lo esortò una voce che cominciava già a non riconoscere più, « ora sarà più semplice ».
George alzò la testa ed osservò suo padre. Continuava a sorridergli, il che era preoccupante, Al non sorrideva mai, o almeno non così.
George aprì il libro e titubante riprese a leggere da dove aveva lasciato poco prima, mentre Al gli imponeva la sua presenza.
la tensione impediva una corretta lettura, i balbettii e pause erano sempre più frequenti, inoltre George aveva iniziato a singhiozzare. Le mani del padre avevano iniziato ad insinuarsi sotto la stoffa, per accarezzare la nuda schiena del figlio.
La gola iniziava a bloccarsi e gli occhi ad appannarsi impedendo la lettura e la fuoriuscita di qualsiasi vocabolo, il panico che si stava insinuando in George non lasciava spazio a nient'altro.
« Oh no Georgie, l'esercizio d'evessere portato avanti » tuonò Al, per poi tornare a sorridere ambiguamente.
Il piccolo non riuscì comunque a continuare, la sua gola era chiusa, non riusciva ad emettere suoni.
« Ebbene Georgie, questa volta la medicina dovrà essere amara ». Si alzò e tolse la cinghia dei pantaloni e con essa legò la mani di suo figlio dietro lo schienale della sedia.
Fu allora che finalmente George trovò il coraggio di emettere un suono, richiamò a sé tutta la voce che poté, aprì la bocca e tentò d'urlare, senza successo.
« Bel tentativo, Georgie » ghignò Al, bloccando l'urlo di suo figlio con un panno trovato nell'area circostante.
Gli occhi di George si spalancarano, non era riuscito a salvarsi. Ora sì che era nei guai, era praticamente morto. Al lo guardava divertito, girò intorno alla sedia e si avvicinò al suo volto. Gli occhi del padre ormai preso dalla follia si incontrarono con quelli pieni di terrore del figlio.
La sue mani iniziarono a violare la purezza di George, che ormai era invaso dal panico ed in carenza di ossigeno.
« Guarda cosa fa il tuo papino, Georgie... » ghignò ancora Al, che da accavocciato ritornò ad imporsi in tutta la sua statura davanti agli occhi del figlio. Fu allora che George ebbe una reazione inaspettata.
Al sentì un dolore lancinante, abbassò lo sguardo fino ad incontrare il punto d'incontro tra il piede di suo figlio ed il suo basso ventre. Basito, guardò gli occhi di quel moccioso impertinente che aveva osato arrivare a tanto, accovacciandosi poco più in là per il dolore.
Gli occhi di George sembravano voler uscire dalle orbite, ed il cuore dal suo petto. La respirazione gli era ormai impossibile, l'ansia pervadeva il suo corpo inondandolo di terrore, tutto ciò che riusciva a fare era dimenarsi e tentare di respirare, con tentavi vani continuava a tentare a vuoto. Si sbilanciò fino a cadere, ancora legato alla sedia. Gli era impossibile muoversi ormai, la sua vista era appannata, il corpo non reagiva a nessun impulso, era immobilizzato.
Al vide il petto di suo figlio fare dei movimenti velocemente, diventando fin troppo ampio, per poi scemare in un tremolio. La foga con cui George tentava di respirare si stava affievolendo, stava soffocando, ed Al se ne rese conto.
Il terrore lo aveva immobilizzato a terra, non riusciva a far nulla che non fosse osservare suo figlio annaspare per vivere. Sembrava quasi possibile vedere la vita uscire da quel corpo e gli occhi sembravano voler esplodere.
Solo quando vide il petto fermarsi e gli occhi del piccolo senza più espressione, Al liberò si liberò del terrore nella stanza in un urlo disumano.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1217226