Wall - What A Lovely Life

di Astrea_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Autumn Time ***
Capitolo 2: *** What you wouldn't think about me ***
Capitolo 3: *** Now I know who you are ***
Capitolo 4: *** My bestfriend's brother ***
Capitolo 5: *** Neighbours ***
Capitolo 6: *** How you make me smile ***
Capitolo 7: *** Moonlight ***
Capitolo 8: *** Imagination plays bad jokes ***
Capitolo 9: *** Love is a bit like craziness ***
Capitolo 10: *** When end is another way to say beginning ***
Capitolo 11: *** Change of plans ***
Capitolo 12: *** Sorry ***
Capitolo 13: *** Epilogo ***
Capitolo 14: *** Noemi's missing moment ***
Capitolo 15: *** Camilla's missing moment ***
Capitolo 16: *** Alice's missing moment ***
Capitolo 17: *** Arianna's missing moment ***



Capitolo 1
*** Autumn Time ***


WALL

-What A Lovely Life-

Capitolo 1: Autumn time

ALICE’s pov

3 ottobre 2011

Avevo sempre odiato l’autunno, si, l’autunno era in assoluto il periodo dell’anno che più odiavo. 
Il perché? C’era anche bisogno di chiederlo? La fine dell’estate, l’inizio della scuola, le foglie gialle e appassite che cadono dagli alberi, l’umida e bagnata pioggia, il freddo e gelido vento, tutte caratteristiche che io, Alice Coldare, potevo esattamente definire come a me diametralmente opposte. 
Per chi non lo sapesse, odiavo anche la matematica, in particolar modo la geometria, ecco perché utilizzavo questo linguaggio così attinente a quella materia per parlare di cose che sortissero lo stesso malsano effetto su di me.  Da tutto ciò l’equazione autunno=geometria era per me universalmente valida e riconosciuta, come i corollari. 
Un'altra cosa che il mio corpo e la mia mente si rifiutavano categoricamente di tollerare era il mio ragazzo quando citofonava con una frequenza di tre secondi per invitarmi a darmi una mossa e scendere giù, perché lui, poverino, non poteva certo aspettare cinque minuti in più: ecco, questa era una di quelle mattine in cui l’avrei volentieri arso vivo insieme ai libri di matematica e alle foglie secche.
“Arrivo”, urlai fiondandomi sulle scale del condominio, avendo notato il pallino rosso che segnalava l’impossibilità momentanea di utilizzare l’ascensore: qualcuno era stato più veloce di me e mi aveva fregato. 
Abitavo al quarto piano di un condominio nel bel mezzo della città e, nonostante certe volte fosse abbastanza difficile tornare a casa a causa del traffico, mi piaceva abitare qui.
“Finalmente!”, sospirò Chris vedendomi uscire dal portone principale.
“Buongiorno, eh!”, lo salutai io avvicinandomi, ma lasciando che fosse lui a colmare del tutto le distanze con un bacio.
“Allora, andiamo?”, disse non appena le nostre labbra si staccarono.
Salimmo sul suo motorino e ci avviammo verso il liceo, arrivando pochi minuti dopo: l’avevo detto io che abitavo in centro! Scesi frettolosamente restituendogli il casco, poi con un lieve bacio lo salutai.
“Ci vediamo dopo!”, gli dissi già a qualche metro di distanza.
“A dopo amore!”, mi salutò con un sorriso stampato in faccia.
Io e Chris stavamo insieme da due anni, praticamente una vita se considerate che l’unico pseudo-ragazzo antecedente a lui dovette sopportarmi per la bellezza di soli dieci giorni, poi lo mollai e indovinate per chi? Risposta ovvia, per il mio Chris. Da allora niente e nessuno ci ha più separati.
“Ehi bella!”, mi salutò Noemi spuntandomi alle spalle.
“Buongiorno Mi! Allora, com’è andato il fine settimana?”, le chiesi, continuando la nostra sfilata verso l’ingresso della scuola.
“Al solito. Certo mi sono divertita, ma nulla di serio.”, commentò senza perdersi in troppi particolari.
“E il tuo caro Leonardo che fine ha fatto?”, chiesi riferendomi a quello che per quindici giorni di fila era stato la sua fissa onnipresente.
“Carino, molto carino, ma niente.”, dichiarò annoiata.
Sorrisi, ormai ci ero abituata. Lei era fatta così: si prendeva una cotta per un ragazzo, ci usciva, magari si mettevano insieme e dieci giorni dopo era già finito tutto.
“Piuttosto, hai visto Arianna e Cami?”, mi chiese.
“No, ma stamattina dovevano venire insieme, strano che non si siano ancora viste in giro!”, commentai cercandole con lo sguardo.
“Eccole!”, mi fece notare Noemi puntando l’indice contro le due ragazze ferme alle scale. 
La nostra scuola era piuttosto grande. Nonostante l’edificio, per fortuna o sfortuna, fosse unico, racchiudeva numerosi indirizzi scolastici, quali il liceo scientifico, classico, linguistico, pedagogico e tecnologico. Ciò permetteva ai poveri disgraziati che si erano iscritti di poter mantenere i contatti anche con chi non aveva fatto la stessa scelta. Prendete noi, ad esempio: Cami al classico, io e Arianna allo scientifico e Mimi al linguistico, ma sempre insieme in ogni momento libero.
“Odio il latino, non è concepibile che ai giorni nostri ancora siamo obbligati a studiarlo! Ma se è una lingua morta, a me a cosa diamine serve? Tanto con i morti mica ci parlo io!”, si lamentò Arianna, non avendo ancora notato il nostro arrivo.
“Dai Aria, non dirmi che sei preoccupata per il compito!”, la canzonai con un buffo sorriso.
Io e Arianna eravamo nella stessa classe.
“Sono dieci minuti che provo a farla calmare ma non ne vuole sapere! Neppure gli esercizi di yoga sembrano sortire effetto su di lei!”, bofonchiò Camilla alzandosi.
“A che serve studiare? L’importante è che ci sia qualcuno che ti passi la versione!”, disse Mimi nel tentativo di rassicurarla.
“Si certo, hai dimenticato di dire che questo funziona solo se il tuo sex appeal è pari o superiore a quello di Noemi Acrirubi!”, sbuffò ironicamente Arianna.
“Ragazze, basta perdere tempo! Alzate e muovete quei culi lardosi verso le rispettive classi!”, dissi con tono minaccioso, nascondendo un sorriso sotto i baffi.
“Ci vediamo dopo!”
Ci salutammo frettolosamente, senza troppe smancerie, e con Arianna mi diressi verso la nostra classe.
“La smetti di tormentare quelle povere ed innocenti dita?”, la supplicai notando quella sottospecie di tranello del diavolo che aveva creato con le sue mani.
“È solo un test!”, aggiunsi nel vano ed estremo tentativo di calmarla.
“Sai quanto m’interessa del test di latino!”, borbottò ironicamente.
“E allora si può sapere cosa ti succede?”, chiesi non riuscendo più a seguirla.
“Credo che per il momento dovrai accontentarti di un nome: Matteo.”, disse varcando la soglia dell’aula.
Involontariamente feci roteare gli occhi, sorpresa e non sapendo minimamente cosa aspettarmi da quell’indizio che Arianna mi aveva appena lanciato.
Prendemmo posto nei banchi, dando il via a quella noiosissima routine che ormai si ripeteva già da qualche settimana. Si: l’autunno faceva davvero schifo.

5 ottobre 2011

Il mercoledì pomeriggio era l’unico giorno della settimana in cui nessuna di noi aveva impegni, per questo a inizio anno lo eleggemmo come giorno perfetto per passare del tempo insieme, così, come consuetudine, quel pomeriggio ci incontrammo. Eravamo solite fare shopping, andare al cinema o al parco, o magari organizzare una di quelle sedute casalinghe di bellezza, ma quello era un pomeriggio di confidenze, dunque il luogo appropriato era casa di Camilla, l’unica di noi a non avere fratelli o sorelle, per di più entrambi i suoi genitori lavoravano e ciò equivaleva a dire casa libera fino alle otto di sera.
Mi ero goffamente appollaiata sulla sedia vicino la scrivania, mentre tra le braccia stringevo il morbido cuscino rosso che solitamente era poggiato al centro del letto. Mimi, dall’alto della sua posizione, seduta sulla scrivania, teneva lo sguardo fisso su Arianna, seduta ai piedi del letto. Infine Camilla si era comodamente seduta sul letto, mentre distrattamente giocava con un peluche.
“Allora, si può sapere cos’altro è successo? Hai forse visto volare una pecora?”, chiesi ironicamente nel tentativo di interrompere quell’insopportabile silenzio.
“Beh, in un certo senso è addirittura peggio!”, cominciò Noemi come per introdurre il discorso.
Rimanemmo in silenzio, in attesa che riprendesse la parola, con gli occhi fissi su di lei.
“Allora, la questione è piuttosto semplice: alla fine io e Leo ci siamo messi insieme!”, annunciò con una tranquillità spaventosa ed inquietante.
“Che cosa?”, esclamammo in coro non appena realizzammo mentalmente ciò che aveva detto.
“Si. Cioè, pensavo non mi piacesse più ed in effetti era così, ma ieri è venuto sotto casa mia con un mazzo di rose rosse… cosa ci posso fare io? Mi è sembrato così carino e coccoloso che non ho saputo dirgli di no!”, confessò con il sorriso sulle labbra.
“Carino e coccoloso?”, replicai interdetta.
“Ok, diciamo che è anche un bonazzo da paura, che è un tipo popolare ed è simpaticissimo!”, aggiunse subito dopo come volendo rimediare a una mancanza.
“Hai dimenticato la cosa più importante!”, le fece notare Arianna.
“Cioè?”, domandò Mimi non riuscendo a capire a cosa si stesse riferendo.
“A te piace?”, chiese Arianna con fare inquisitorio.
Strabuzzò gli occhi, come se quella domanda fosse inopportuna e fuori luogo, poi ci rifletté un attimo.
“Si, oggi mi piace.”, confessò.
“E chissà domani…”, controbatté Cami in tono canzonatorio.
“Non farmi la predica Cam, non è colpa mia se un giorno uno mi piace e il giorno dopo no! Ora mi piace, poi si vedrà!”, si giustificò facendo spallucce.
“Mi sembra ancora strano.”, commentai guardando Noemi.
“Suvvia, non fatemi credere che siete veramente sorprese! Del resto lo sapevate che prima o poi sarebbe successo!”, dichiarò Mimi cercando di sembrare sicura di sé.
“Certo Mi, tu ne cambi uno al mese!”, la canzonò nuovamente Cami, di certo la più saggia e matura di noi.
“Dai Cam, è giovane, bella e simpatica, lasciale vivere la sua giovinezza!”, commentò Arianna nel tentativo di spezzare una lancia in favore dell’amica.
“E poi c’è la coppia che non scoppia che mantiene gli equilibri!”, aggiunse sarcastica poco dopo riferendosi palesemente a me e Chris.
Proprio in quell’istante sentì il cellulare vibrare. Lo estrassi dalla tasca e lessi il nome di colui che mi chiamava: Amore. Alzai il cellulare per far notare alle altre la chiamata, scuotendolo leggermente a destra e sinistra, poi alzandomi, mi spostai nell’angolo più lontano da loro della stanza.
“Ehi Chris!”, dissi accettando la chiamata.
“Amore, scusa, so che sei con le altre…”, iniziò.
Ma che carino, si ricordava perfino dei mercoledì pomeriggio!
“Tranquillo, non disturbi!”, lo rassicurai immediatamente.
E più o meno era davvero così.
“Domani sera viene mia cugina… sei dei nostri?”, chiese aspettandosi una risposta affermativa.
Ecco cosa ci voleva per finire male il pomeriggio: questa fantastica notizia.
“Certo amore mio!”, riposi con tono falsamente contento.
“Bene, allora ti lascio alle tue amiche! Salutami tutti!”
“Certo! Ciao Chris!”, lo salutai alla svelta.
“Ciao amore!”, ricambiò prima di chiudere la chiamata.
“Allora? Cos’è questa faccia?”, mi chiese Arianna mentre riprendevo posto sulla sedia.
“Domani viene sua cugina e staremo con lei”, bofonchiai annoiata e seccata.
“Certo che sembrate una di quelle coppiette sessantenni voi due! Dov’è finita la grinta?”, mi rimproverò scherzosamente Noemi, anche se, sotto sotto, aveva proprio ragione.
Possibile che con Chris ogni giorno fosse diventato uguale all’altro?
“Ma loro si amano!”, commentò Cami con gli occhi sognati per quell’amore che ancora non aveva avuto la fortuna di incontrare.
Si, noi ci amavamo, ci amavamo ogni giorno come se fosse l’altro.
Sospirai, riprendendomi dai miei pensieri, del resto non avrei neppure dovuto riflettere su una cosa del genere, non ce ne sarebbe dovuto essere il bisogno… ma allora perché c’era?
“Aria!”, la chiamò Mimi attirando la sua attenzione, ma facendo automaticamente voltare nella sua direzione anche me e Cami.
“Che fine ha fatto il tuo caro Matteo?”, domandò con un sorriso malizioso stampato sulle labbra.
Arianna sorrise, leggermente imbarazzata.
“Nessuna fine.”, rispose un po’ troppo evasiva per i nostri gusti.
“E allora perché le tue guance sono diventate improvvisamente rosso scarlatto?”, chiesi, notando il caratteristico colore che le sue goti assumevano in situazioni a lei poco gradite.
Di sottecchi vidi Cam e Mimi sorridere compiaciute, mentre io rimanevo con gli occhi puntati su Arianna.
“Uffa, non è che c’è molto da dire!”, sbuffò, celando un sorriso.
“Meglio, così potrai raccontarci tutto in poco tempo!”, dichiarò Camilla, incoraggiandola e inchiodandola al contempo.
“Questo fine settimana non si è fatto sentire, lunedì mattina l’ho intravisto da lontano, ma lui non mi ha salutata, parlava con l’amichetta di Luca e poi nel pomeriggio mi ha chiamata dandomi delle spiegazioni, ma questo già lo sapevate. Quello che non sapete è che martedì pomeriggio siamo usciti insieme.”, disse.
Sgranammo gli occhi. Silenzio. La soglia di attenzione era altissima, i nostri visi la imploravano di andare avanti.
“No, non ci siamo baciati. No, non stiamo insieme. No, non credo di amarlo.”, aggiunse poco dopo rispondendo alle domande che sapeva avremmo voluto farle, guardando prima Mimi, poi me ed infine Cam. Io mi lasciai andare ad un sospiro liberatorio, Cami sorrise come se in fondo sapesse già tutto, mentre Noemi torse il labbro delusa.
“Ma è successa una cosa…”
Tornammo a fissarla.
“Abbiamo incontrato Luca, con la sua ragazza!”, annunciò guardando me.
“Mio fratello?”, chiesi sorpresa, mentre una strana luce si accendeva nei miei occhi. “E da quando è fidanzato?”, aggiunsi poi, realizzando le sue parole.
“Non so se fosse la sua fidanzata, ma stavano praticamente pomiciando!”, mi disse Arianna.
“Ah, e allora stai sicura che non era la sua fidanzata!”, borbottai, decisamente non d’accordo con il comportamento che mio fratello aveva deciso di adottare con le persone del mio stesso sesso.
“Insomma, si è staccato dalla tipa bionda, si è avvicinato a noi e ha iniziato a squadrare Matteo, poi incenerendolo con gli occhi ha detto: “Stai attento a quello che fai!”. Io praticamente sono rimasta a bocca aperta e occhi sgranati. Matteo non sapeva assolutamente cosa fare. Luca si è voltato verso di me e ha continuato dicendo: “È ancora troppo piccola!”, ovviamente parlava ancora con Teo.” , terminò Arianna innervosita e ancora adirata con l’energumeno che mi ritrovavo per fratello.
Noemi scoppiò a ridere, contagiando anche Cam che cercava inutilmente di contenersi. Io sorrisi lievemente, in parte soddisfatta di ciò che Luca aveva fatto.
“Non so che dire.”, commentai, tentando di trattenere uno smagliante sorriso.
“Che tipaccio che è tuo fratello!”, sghignazzò Mimi. “Dai, vuole proteggerti!”, aggiunse sarcasticamente.
“No, io credo più che voglia soltanto prendermi in giro e rovinare la mia vita.”, borbottò a labbra serrate Arianna.
Si, l’autunno di Arianna esisteva ed aveva anche un nome: Luca.

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Angolo Autrice

Salve a tutti! 
Finalmente dopo tanto tempo mi sono decisa a pubblicare ciò che da anni custodisco segretamente nella mia cartella!XD
Non è la prima volta che mi trovo a scrivere storie, ma non l'avevo mai fatto in questa sezione.
Che dire, questo è solo il primo capitolo, un piccolo assaggio di ciò che a breve arriverà! ;)
Spero vi sia piaciuto, a presto!

                                                                                                            Astrea_

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Capitolo 2
*** What you wouldn't think about me ***


WALL

-What A Lovely Life-

Capitolo 2: What you wouldn’t think about me

CAMILLA’s pov
8 ottobre 2011

La conoscenza formale, prettamente legata allo studio dei libri e alle ricerche attendibili sviluppate su manuali cartacei grandi quanto un palazzo di Manhattan, sarebbe stata sufficiente a rendermi una delle persone più sagge tra i miei coetanei? Perché un libro e un paio di occhiali da riposo sortivano sugli adolescenti lo stesso effetto di una mela marcia in un negozio pieno di leccornie su un bambino? Perché l’arte di dare una definizione specifica per ogni cosa era divenuta uno squallido diversivo per pretendere di conoscere ciò che non rientrava nel nostro giro d’azione?
Mi rigirai, mentre ero ancora stesa sul letto. Spesso mi capitava di perdermi tra i mille pensieri e ragionamenti che la mia mente si trovava a formulare senza neppure il mio esplicito consenso. Io, Camilla Discriva, ero per definizione una secchiona. Io, Camilla Discriva, odiavo le definizioni e la conoscenza nozionistica. Io, Camilla Discriva, ero davvero stanca dell’insulso e falso mondo di cui gli altri continuavano a circondarmi. 
Alzai leggermente il volume della musica le cui note si propagavano per tutta la stanza. Socchiusi gli occhi, lasciandomi trasportare dalla crude e dolce verità raccontata in modo così semplice e diretto dal mio adorato Ligabue. In quel momento era come se intorno a me si creasse una bolla di sapone, o meglio una meno fragile e più resistente campana di vetro, la cui funzione non era quella di isolarmi dal resto del mondo, ma di proteggermi, di accogliermi, di offrirmi un posto sicuro al riparo da intemperie e problemi, lontano da tutto e da tutti.
Sobbalzai lievemente quando il cellulare vibrò all’improvviso contro la mia gamba. Subito ricordai dell’appuntamento che avevo con le altre e d’istinto controllai l’orologio: erano esattamente le cinque e mezzo di sabato pomeriggio.
Presi il cellulare e svogliatamente sbloccai la tastiera e mi decisi a leggere il messaggio. In poche chiare e concise righe Arianna mi rendeva nota la loro posizione, lontana da me esattamente una rampa di scale e pochi metri.
Scesi all’ingresso per aprire il cancello e il portone.
“Camilla, tesoro, sono le tue amiche?”, domandò mia madre sbucando dalla cucina.
“Si.”, risposi frettolosamente senza prestarle troppa attenzione.
“Stasera andrete alla festa?”, chiese mio padre intromettendosi in quella che pensavo fosse una conversazione già chiusa.
“Si.”, confermai anche questa volta per nulla interessata.
Mi fissarono per un po’, mentre io, sulla soglia della porta, evitavo accuratamente di voltarmi verso di loro.
“Ciao Cam!”, mi salutarono varcando la porta, ma immediatamente notarono la presenza dei miei.
“Salve!”, salutò Alice con un sorriso a trentadue denti, subito imitata anche da Arianna e Noemi, la quale teneva uno strano e voluminoso borsone stretto tra le mani e a giudicare da come lo portava doveva essere anche piuttosto pesante.
Decisi di troncare immediatamente quella scena quasi patetica in cui i miei squadravano come fossero radar o investigatori me e le mie amiche per carpire informazioni.
“Noi andiamo su a prepararci!”, annunciai trascinando al piano superiore le mie amiche.
“Allora Cam, hai già deciso cosa indossare?”, mi chiese Mimi lanciando un eloquente sguardo al borsone che trascinava sulle scale.
“Si, pantaloni neri, tacchi e camicia.”, annunciai senza entusiasmo buttandomi a peso morto sul mio letto.
“Sapevo che avresti risposto così!”, disse entrando con le altre nella mia stanza.
Aveva gli occhi fissi su di me, con uno sguardo a metà tra il divertito e il maligno.
“Ed è per questo che ci sono qua io!”, trillò con una voce che mi penetrò dritta nel cervello. Si, io, Camilla Discriva, temevo terribilmente le idee spaventosamente poco razionali e radicali di Noemi Acrirubi, soprattutto quando aveva a disposizione ben quattro ore ed un’unica cavia: io. 

8 ottobre 2011

Eravamo appena arrivate alla festa con un leggero voluto ritardo, secondo le precise direttive di Noemi.
La musica già invadeva forte e prorompente tra le quattro mura del locale, mentre le luci psichedeliche ruotavano senza sosta. Qualcuno già si scatenava in pista, strusciando i corpi l’uno sull’altro, mentre la maggior parte dei presenti era intenta a fare conversazione, alias tempo di rimorchiare. I più audaci erano già in prossimità del bar, mentre sorseggiavano drink che di lì a poco gli avrebbero fatto perdere la completa lucidità.
“Salve ragazze!”, ci aveva salutate Davide non appena ci aveva viste prendere posto su dei divanetti.
Mimi sorrise alla sua vista, mentre il ragazzo calò leggermente il capo per poterle lasciare un bacio tutt’altro che puro e casto. Si, la storia con Leonardo, come previsto, non era durata molto, così dopo pochi giorni di fidanzamento e uno di lutto, la mia cara amica aveva deciso di trovarsi già un altro ragazzo: Dave, come lo chiamava lei.
Li guardai e involontariamente sentì il mio volto piegarsi in una smorfia di disgusto per quei due che pomiciavano così, sui divanetti di una discoteca, conoscendosi da solo pochi giorni, davanti a tutte noi.
Anche Arianna non sembrava soddisfatta, ma di certo lei era più tollerante a riguardo rispetto alla sottoscritta.
L’attenzione di Alice, invece, era stata catturata dall’arrivo del suo fantastico fidanzato, il quale le aveva immediatamente proposto di andare a ballare e lei, senza pensarci troppo, aveva accettato.
Guardai Arianna negli occhi e, con uno sguardo d’intesa, decidemmo di spostarci da lì.
Ci alzammo contemporaneamente, ma Noemi non parve neppure accorgersene, e ci dirigemmo ai margini della pista. Indecise sul da farsi, iniziammo ad ondeggiare, muovendoci lievemente a ritmo di musica.
“Ciao Arianna!”, esclamò Matteo avvicinandosi a noi con un sorriso stampato in faccia.
“Ciao Teo!”, rispose ricambiando il saluto. “Lei è Camilla, una delle mie migliori amiche!”, dichiarò presentandoci.
Matteo allungò la mano, sorridendomi, ed io lo imitai, stringendogliela.
“Sono felice di conoscerti! Arianna mi ha parlato tanto di voi, di te!”, disse sempre sorridendo.
A quel ragazzo doveva piacere davvero molto la mia amica! I suoi occhi avevano iniziato a luccicare nell’esatto momento in cui l’aveva vista ed ora non la smetteva più di sorridere. L’ostentazione dei suoi sentimenti era talmente palese da risultare irritante, o almeno lo era per me che in quel momento morivo dall’invidia. Cercai di piegare le labbra in quello che sarebbe potuto sembrare un sorriso sincero, ma non fui certa di riuscirci.
“Ti dispiace se te la rubo per un ballo?”, chiese, incrociando il suo sguardo con quello di Arianna.
Immediatamente lei si voltò verso di me, interrompendo il contatto visivo con quel ragazzo. Sapeva che se lei avesse accettato io sarei rimasta sola ed era palesemente contraria a ciò.
“Certo che no, vai pure Aria!”, dissi cercando di convincerla con gli occhi.
La vidi completamente restia alle mie parole, ma ormai avevo deciso: Arianna doveva godersi la sua serata.
“E poi io ho da fare una cosa!”, aggiunsi facendole l’occhiolino.
Sapevamo entrambe che non c’era nulla che dovessi fare, ma lei non poteva rimanere incollata a me tutta la serata solo per farmi compagnia, non sarebbe stato giusto. Mi voltai con un falso sorriso e ancora sorridendo mi diressi verso il bancone, sedendomi sul primo sgabello.
Non avevo intenzione di bere, ma rimanere in piedi a guardare non era certo tra le mie prerogative.
Mi voltai, dando le spalle al barista e cercai tra la folla le mie amiche. Ormai la sala era piena di gente che danzava maliziosamente a ritmo di musica sotto i riflettori colorati. Intravidi Mimi letteralmente avvinghiata a Davide, mentre Alice ballava adorabilmente con Christian. Arianna, dall’altro lato del locale, si muoveva a ritmo di musica affiancata da Matteo. Tra la folla scorsi anche Luca, il fratello maggiore di Alice, intendo a strusciare o farsi strusciare, questo dettaglio era poco chiaro, da una bionda con un seno prorompente e un vestito davvero poco coprente. Ecco: tutto come da definizione. Alice con il suo storico fidanzato, Luca, con un’altra estroversa e intraprendete gallina senza cervello, Noemi con il ragazzo di turno, Arianna con un amico innamorato di lei ed io con la mia più completa e totale solitudine.
Chiusi gli occhi. Ero stufa di essere me stessa, lo ero completamente, davvero. 
Presa da un istinto incontrollabile mi girai verso il barman e lo scrutai bene in faccia. Lui si accorse di essere osservato e si voltò nella mia direzione. Ancora non avevo smesso di fissarlo. Corrugò la fronte e si avvicinò.
“Posso fare qualcosa per te?”, mi chiese piegando le labbra in un mezzo sorriso.
“Qualcosa di forte, subito.”, ordinai senza pensarci due volte, altrimenti di certo me ne sarei pentita e tirata immediatamente indietro.
Mi porse un bicchiere, uno di quello piccoli e bassi. Dentro c’era del liquido di uno strano colore marroncino. Non feci domande. Presi il bicchiere di vetro e lo osservai per qualche secondo, ancora non completamente sicura di ciò che stavo per fare, ma bastò poco a convincermi. 
Io, Camilla Discriva, volevo un’altra definizione, ora. 
Sorrisi malignamente e con un solo sorso lo buttai giù.
“Un altro.”, ordinai con sguardo vacuo.
Dopo il terzo bicchiere persi completamente il conto. La testa mi scoppiava, la gola era in fiamme, ma mi sentivo stranamente leggera e felice.
“Hai intenzione di berne ancora molti?”, chiese una voce stranamente dolce e sensuale al contempo.
“Non credo questo possa interessarti.”, bofonchiai senza neppure voltarmi verso colui che aveva parlato.
“Invece mi interessa, eccome se mi interessa!”, ribatté alle mie spalle.
“Si può sapere chi diavolo sei e cosa diamine vuoi da me?”, sbottai girandomi in direzione della voce.
Un ragazzo alto, magro, con dei jeans stretti e una camicia di seta, si parò davanti ai miei occhi. Aveva i capelli biondi e gli occhi azzurri, due profonde pozze d’acqua in cui ebbi la sensazione di annegare.
“Sono Francesco e voglio ballare con te. Ti bastano come risposte?”, mi chiese avvicinandosi pericolosamente al mio viso.
“Diciamo che possono essere sufficienti.”, mormorai, completamente spiazzata dalla situazione.
 In condizioni normali di certo sarei stata più che in imbarazzo, ma l’alcol probabilmente aveva contribuito in modo eccessivo ad eliminare del tutto questa sensazione.
“Era un si o un no?”, domandò a pochi centimetri dalle mie labbra.
“Forse.”, soffiai sul suo viso.
“Come faccio a convincerti?”, mi chiese, mentre nei suoi occhi si accendeva una strana luce.
Per un attimo mi mancò il respiro, sentivo il cuore battere frenetico e una voglia matta di baciarlo.
Ormai il cervello aveva smesso di funzionare e nonostante fosse quello l’effetto che volevo produrre, in quel momento mi pentii di aver bevuto così tanto.
“No”, sentì urlare una voce dentro di me, come per impedirmi di dire ciò che stavo per dire. Ma stasera io ero fuori definizione e lo avrei dimostrato fino in fondo.
“Baciami.”, sussurrai con quella che alle mie orecchie sembrò voce seducente.
Francesco non ci mise molto ad accontentarmi ed in pochi secondi sentì le sue calde e morbide labbra poggiarsi sulle mie: il mio primo bacio.
Da quel momento non ricordai più nulla di quella serata.


9 ottobre 2011

Sentivo la testa stranamente pesante scoppiarmi, mentre i raggi del sole iniziavano a filtrare nella stanza, costringendomi ad aprire gli occhi. Mi voltai alla mia destra, come alla ricerca di qualcosa, o forse qualcuno, ma non c’era nessuno. Mi sentì inspiegabilmente delusa dal non aver trovato nulla al mio fianco. Stropicciai per l’ultima volta gli occhi, prima di aprirli definitivamente. Ciò che vidi mi sorprese: quella non era la mia camera. Cercai di cogliere qualche indizio, senza alcun risultato. Un brivido percosse la mia schiena. 
Ero nuda. Ero nuda, su un letto di cui non conoscevo il proprietario e in una stanza che non avevo mai visto prima, ed ero sola. All’improvviso ricordai della festa, dell’alcol, di Francesco, del bacio e poi il nulla.
Una lacrima scese sulla mia guancia. Sul comodino, accanto al letto, c’era un biglietto.
“Per Camilla”, indicava la scritta.
Con una vaga speranza lo presi tra le mani ed iniziai a leggere quelle poche righe, ma subito la luce che per qualche secondo si era accesa nei miei occhi, morì alla vista di quelle parole.
“È stato bello, ma come tutte le belle cose finisce. Ciao Camilla, Francesco.”
Strinsi quel pezzo di carta tra le mani, stropicciandolo, mentre fiumi di lacrime scendevano dai miei occhi.
Presi la mia borsa e ne estrassi il cellulare. Non sapevo chi chiamare, né cosa fare, né dove mi trovassi, né dove andare. Cercai di ragionare con lucida e calma freddezza, senza lasciarmi trasportare dalla disperazione. Forse l’unica che avrebbe potuto trovarmi era Alice, del resto Francesco frequentava la nostra scuola e Luca, popolare com’era, avrebbe dovuto conoscerlo e mi avrebbero potuta trovare. Forse, invece, sarebbe stato più semplice uscire fuori e vedere dove mi trovassi , per poi decidere sul da farsi. D’istinto scartai questa opzione: avevo paura, troppa paura. Senza pensarci oltre, composi frettolosamente il numero.
“Cam!”, esclamò lei come sollevata, evidentemente le avevo fatte davvero preoccupare molto.
“Vienimi a prendere Ali.”, la supplicai tra i singhiozzi, senza neppure cercare di nascondere il pianto, sarebbe stato inutile.
“Dove sei?”, disse lei agitandosi.
“Non lo so… io… io… ero qui con Francesco e ora…”, balbettai, senza riuscire né a calmarmi né a fermare le lacrime che scorrevano imperterrite.  
“Ok, non fa niente, ora chiedo a Luca e vediamo un po’ di capirci qualcosa! Tu rimani tranquilla, stiamo arrivando!”, esclamò chiudendo la chiamata.
D’impulso scoppiai in quella che sembrava avere tutta l’aria di una crisi nervosa. Mi raggomitolai, avvicinando le gambe al petto e cingendole con le gambe. Volevo uscire fuori dalle righe? L’avevo fatto ed anche nel peggiore dei modi. Restai lì per qualche minuto, commiserandomi inutilmente, poi mi decisi a vestirmi e a raccogliere le mie cose.
Quando sentì il campanello suonare ebbi un sussulto: e se non fosse stata Alice? Scossi la testa, non poteva che essere lei. Aprì la porta e senza neppure rendermene conto venni circondata da sei braccia calde e familiari, le mie amiche. Un sorriso amaro si dipinse sulle mie labbra: la principessa aveva appena distrutto la sua fiaba. Io che aspettavo l’amore, quello vero, io che ancora non avevo dato il primo bacio perché aspettavo il principe azzurro, avevo smesso di aspettare e non sarei più potuta tornare indietro.

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A
ngolo Autrice
Salve a tutti! Anche se con molto ritardo ecco il secondo capitolo.
Spero che la storia vi piaccia, in ogni caso se avete consigli o suggerimenti non pensateci due volte a dirmelo! :)
Alla prossima!
                              
                                                                                                                                                      A
strea_

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Capitolo 3
*** Now I know who you are ***


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-What A Lovely Life-

Capitolo 3 - Now I know who you are

NOEMI’s pov
11 ottobre 2011

L’ora di educazione fisica era di certo la cosa più noiosa ed inutile che dovessi sopportare a scuola, persino peggio della matematica e quella già la detestavo parecchio. Ero costretta a mettere una tuta e delle scarpette da ginnastica e far finta di giocare a pallavolo, ma ovviamente si trattava solo di una messa in scena. Ormai tutti, anche il professore si era rassegnato, sapevano che la mia era solo presenza e che mai e poi mai mi sarei avvicinata a quell’oggetto di forma sferica che gli altri si divertivano a far volare sulla rete. Che buffo e sciocco passatempo!
Sbuffai, ignorando completamente la partita che si stava svolgendo intorno a me, riprendendo il filo del mio discorso interiore. Dopo quella festa Cam era cambiata. Era sempre assorta nei suoi pensieri, con lo sguardo vuoto e la voce insicura. Non si lasciava più avvicinare da nessun essere di sesso maschile e fuggiva continuamente anche da noi, le sue migliori amiche da sempre.
Probabilmente ciò che era accaduto l’aveva scossa davvero molto ed era più che comprensibile.
In una sola serata aveva bevuto per la prima volta, baciato per la prima volta e fatto sesso per la prima volta.
Mi sentivo profondamente in colpa, del resto sapevo quanto lei odiava intensamente le feste e nonostante tutto quella sera non mi ero minimamente preoccupate di lei o di quello che stesse facendo. Scossi lievemente la testa: ormai il danno era fatto.
“Bene ragazzi, l’ora è finita! Tornate pure in classe!”, annunciò il professore irrompendo nel campo.
Esultai silenziosamente mentre mi spostavo verso gli spogliatoi.
“Attenta!”, urlò un ragazzo, evidentemente troppo in ritardo.
Una palla, una dura e grande palla, mi colpì in pieno volto, lasciandomi intontita e buttandomi pesantemente a terra. Portai le mani sulla fronte e strizzai gli occhi, mentre sentivo già gli altri accorrere.
“Tutto bene, spettacolo finito!”, dissi racimolando un po’ di forze per alzarmi, nel tentativo di evitare scene patetiche.
“Acrirubi sei sicura?”, mi chiese il professore preoccupato.
“È solo un pallone tirato da uno stupido ragazzino!” , sdrammatizzai riprendendo a camminare.
La testa mi ruotava un po’, ma decisi di non farci troppo caso.
“Allora, lo stupido ragazzino ti ha fatto male?”, disse un ragazzo parandosi davanti a me, con gli occhi puntati nei miei.
Probabilmente doveva essere stato lui a colpirmi.
L’inaspettata vicinanza mi fece quasi sobbalzare. Lo guardai bene: aveva degli occhi azzurro cielo profondi come l’oceano. Dei corti ricci biondi scendevano sulla sua fronte, mentre gli altri si disponevano scombinati sul suo capo. Era alto e snello, ma dalla magliettina aderente al suo corpo a causa del sudore si poteva notare la sua perfetta muscolatura. Teneva le grandi mani poggiate sui fianchi, come se si fosse messo in posa o come a voler bloccare il mio passaggio, con le dita aperte, poggiate in modo sicuro e deciso.
Restai immobile ed in silenzio per qualche secondo, perdendomi nella completa adorazione di colui che avevo davanti, poi riuscii a riprendermi da quello stato catatonico.
Feci una smorfia di sfida.
“Lo stupido ragazzino dovrebbe migliorare la mira.”, borbottai a labbra serrate.
“Grazie del consiglio!”, disse lui sorridendo, quasi come se mi stesse prendendo in giro.
Il suo sorriso era divertente, malizioso, seducente, impertinente, presuntuoso, arrogante e stranamente dolce e maledettamente sexy.
“Fabio”, annunciò porgendomi la mano.
Ebbi un sussulto e deglutii involontariamente: cosa diamine mi stava succedendo?
“Non ti dirò il mio nome”, dichiarai con un finto sorriso disegnato sulle labbra.
“Bene, ti chiamerò Nemo allora!”, esclamò con un ghigno.
“Ma che strafottente!”, pensai.
Lo guardai con sufficienza, recuperando la calma prima che potessi saltargli addosso per picchiarlo e poi anche bacia… No, mantenere la calma.
“Primo: tu non dovrai neppure chiamarmi. Secondo: Nemo? Cos’è, una latinizzazione di nessuno?”, gli feci notare.
Si, studiare con Cami era inspiegabilmente produttivo e questi ne erano gli evidenti risultati.
Ed ecco che Fabio sorrise di nuovo, con quel suo sorriso tutto incluso, e non seppi per quale motivo venne da sorridere anche a me.
“Ci vediamo in giro, Nemo!”, mi salutò lui con un cenno della mano, prima di voltarsi e sparire negli spogliatoi.
Per qualche istante rimasi a guardare lo spazio vuoto che fino a poco tempo fa Fabio aveva occupato, poi mi lasciai scappare un sonoro sospiro: oltre che uno stupido ragazzino senza mira era anche un deficiente, un impertinente, sfacciato, presuntuoso, arrogante, stramaledettamente sexy deficiente, più o meno come il suo sorriso.

14 ottobre 2011

“Basta, davvero! Non ne voglio più parlare! Ne ho fin sopra i capelli di lui e di tutto ciò che ha a che fare con lui o con noi! Basta!”, urlò completamente fuori di sé Alice.
Quel pomeriggio aveva terminato prima gli allenamenti di pallavolo, così le avevo proposto di fare un giro in centro e lei aveva immediatamente accettato.
“Ali, non dire così! State insieme da quasi tre anni! È normale che ogni tanto litighiate!”, osservai, ma la mia voce sembrò davvero poco convincente, forse perché ero io la prima a non credere a ciò che avevo appena detto.
“Non lo so, è che certe volte mi sembra tutto così terribilmente monotono!”, si lamentò.
Attraversammo la strada per raggiungere l’altro lato del largo viale, dove si concentravano i negozi d’abbigliamento.
“Magari dovresti provare qualcosa di nuovo!”, suggerii già immaginandomela mentre usciva con qualche bel ragazzo.
“Certo che tu sei proprio d’aiuto a superare le crisi di coppia!”, borbottò. “Piuttosto, sai che fine ha fatto Cam? Non la sento da stamattina.”, aggiunse con tono palesemente preoccupato.
“Se non sbaglio oggi aveva una lezione di yoga…”, risposi, fermandomi a contemplare un vestito esposto in una vetrina.
“Come credi che stia?”, mi chiese catturando la mia attenzione.
“Ancora un po’ scossa e delusa, tanto delusa da sé stessa e dalle sue idee.”, constatai con un tono di voce basso e profondamente triste.
“Dovremmo aiutarla e starle vicino.”, consigliò Ali. “Cami è forte, ha solo bisogno di un po’ di tempo.”, disse accennando ad un sorriso.
Questa volta fu lei a fermarsi per poter meglio osservare un paio di scarpe che aveva intravisto in un negozio.
“Arianna oggi è andata al campo per l’allenamento di atletica.”, disse dopo qualche minuto.
“Non riesco proprio a capire come le possa piacere quello sport!”, aggiunse con una smorfia di puro disgusto riprendendo la nostra
passeggiata.
“E lo chiedi a me?!”, esclamai divertita. “Magari poi doveva vedersi con Teo…”, iniziai con tono malizioso.
“Sinceramente non credo proprio, lo sai com’è fatta Arianna e sai anche che non è assolutamente innamorata di Matteo.”, controbatté Ali smontando subito le mie fantasie.
“Hai ragione, ma non riesco a capire perché. Certe volte è proprio strana!”, commentai.
Matteo era un ragazzo carinissimo ed aveva un carattere d’oro, inoltre era palesemente cotto a puntino di Arianna, ma lei sembrava non calcolarlo minimamente, se non come amico, anche se fingeva l’esatto contrario. Feci roteare gli occhi verso l’alto.
“Io credo che lei sia già innamorata di qualcuno, ma che non riesca ancora a rendersene conto.”, affermò come a voler lanciare una bomba.
Sorrisi divertita.
“Smettila con questa storia! Tuo fratello e Arianna non si piacciono! È inutile che provi in tutti i modi possibili ed inimmaginabili a far mettere insieme quei due!”, la canzonai.
Ali era convinta che Luca avesse un debole per Arianna e che lo nascondesse dietro quell’atteggiamento esageratamente cinico, egocentrico e megalomane, mentre, sempre dal suo tutt’altro che modesto punto di vista, Arianna temeva fortemente i suoi sentimenti: teoria che non si reggeva minimamente in piedi.
“E tu stasera devi uscire con Davide?”, mi domandò cambiando discorso.
“No, stamattina l’ho lasciato.”, la informai.
Mi guardò strabuzzando gli occhi.
“Si.”, asserii. “E poi oggi ho conosciuto un ragazzo molto interessante.”, dichiarai riferendomi all’incontro-scontro di stamane.
“Wow, magari questa è la volta buona!”, scherzò Ali.
“Dai, è carinissimo, davvero, anzi no, direi che è proprio sexy!”, le confidai.
“E come si chiama il principino?”, sghignazzò prendendosi gioco di me.
Generalmente non avevo alcun problema nel raccontare tutto nei minimi dettagli alle mie amiche e a fornire loro tutte le informazioni riguardo ai ragazzi con cui mi sentivo, ma questa volta esitai nel risponderle.
“Nemo.”, mi lasciai scappare con un ebete sorriso disegnato sulle mie labbra.

18 ottobre 2011

Adoravo le lezioni di spagnolo, erano le mie preferite: quella lingua mi affascinava totalmente. Era una delle poche materie che davvero studiavo per interesse e non per obbligo. In generale mi piacevano tutte le lingue, ma avevo un inspiegabile debole per lo spagnolo. Era una lingua così naturale, allegra e sensuale che non avrebbe di certo potuto competere con il retorico italiano, il freddo tedesco, il sempliciotto inglese o il troppo dolce francese. Ero completamente assorta nella lezione e seguivo al massimo della concentrazione la spiegazione alla lavagna della professoressa quando all’improvviso sentii vibrare il mio cellulare nella tasca dei pantaloni.
Lo estrassi e lo misi nell’astuccio, poi senza attirare l’attenzione del docente lessi il messaggio che proveniva da Alice.
“E come previsto la nostra Aria ci da dentro: uno a zero per la miglior tiratrice di schiaffi!”
Corrugai la fronte: perché Alice non poteva semplicemente raccontare i fatti e non inviare messaggi così criptici?
“Che?”, scrissi semplicemente, tornando poi a seguire la lezione.
Ma non ebbi neppure il tempo sufficiente per cercare di capire cosa stesse ora dicendo la professoressa quando notai che Alice mi aveva già risposto.
“Care Cam e Mimi, grandi svolte in diretta dalla palestra. Lo spettacolo ha visto come spettatori  4A e 5B al completo. I protagonisti? Arianna ha appena dato un sonoro schiaffo al povero ed indifeso Matteo che cercava di baciarla!”, spiegò.
Strabuzzai gli occhi: sapevo che non si sarebbe lasciata avvicinare troppo da Teo, ma addirittura uno schiaffo! Sorrisi, si, Arianna non si smentiva mai.
Chiesi alla professoressa di uscire dall’aula per recarmi in bagno, in realtà volevo proprio vedere la faccia di Matteo. Lei non tardò ad
acconsentire, invitandomi però a non impiegarci troppo tempo e mi diressi velocemente in palestra.
“Ehi Nemo!”, mi salutò Fabio parandosi davanti a me a una distanza ben oltre il limite di sicurezza.
Rimasi immobile per qualche secondo, mentre i nostri occhi si scrutavano.
“Fuggi dalla classe?”, soffiò con le labbra a pochi centimetri dal mio volto.
Il cuore batteva freneticamente e potevo sentire il respiro farsi più affannoso, mentre mi mancava l’aria.
“Si e ora gradirei fuggire anche da te!”, sbottai cercando di rimanere il più tranquilla possibile.
“Sembra proprio che io faccia uno strano effetto su di te.”, dichiarò con un ghigno.
Evidentemente la mia reazione era stata così palese da far si che se ne accorgesse anche lui.
“Mi dispiace che tu abbia notato questa espressione di disgusto.”, bofonchiai non potendo ammettere l’evidenza: negare e sempre negare, no?
Lui sorrise.
“Noemi!”, mi chiamò Cami vedendomi in fondo al corridoio. “Hai letto il messaggio?”, mi chiese divertita.
Notai una strana luce accendersi negli occhi azzurri di Fabio: anche lui era divertito in quel momento. Aumentò leggermente le distanze tra noi, rimanendo però abbastanza vicino al mio viso.
“Si, andiamo in palestra?”, proposi voltandomi verso di lei.
Annuì.
“Adesso so chi sei!”, sussurrò Fabio.
Potevo sentire il suo fresco respiro stuzzicare il mio collo mentre i suoi splendidi occhi erano puntati su di me.
“Allora ciao, Noemi!”, disse sottolineando l’ultima parola.
Sul suo viso potei notare un ghigno prima che si voltasse e andasse via.
Il mio nome. Ora sapeva il mio nome.

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Angolo Autrice
Salve! Terzo capitolo online pronto per voi! Ho notato, comunque, che le recensioni purtroppo scarseggiano nonostante ci siano dei lettori e questo, beh, un po' mi dispiace. Vabbé, in ogni caso continuerò lo stesso a postare ka storia, anzi colgo l'occasione anche per ringraziare i lettori!
Alla prossima,
                                                                                                                   Astrea_

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Capitolo 4
*** My bestfriend's brother ***


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Capitolo 4: My bestfriend’s brother

ARIANNA’s pov

21 ottobre 2011

Odiavo profondamente i pettegolezzi: era da esattamente tre giorni che non si parlava d’altro che del fantastico spettacolo al quale la sottoscritta aveva dato luogo in palestra con l’ausilio della povera vittima sacrificale e la comparsa delle tre grazie pronte a sostenermi.
Tutto ciò era estremamente patetico e noioso. Certo, quella mattina avevo perso leggermente il controllo ed il mio comportamento era stato biasimabile, ma le reali conseguenze erano state minime se non nulle.
Matteo aveva riportato solo un leggero e temporaneo rossore, mentre la mia mano era rimasta indolenzita per qualche minuto. Il professore non si era accorto di nulla, impegnato com’era ad accogliere la classe successiva alla quale apparteneva il suo pupillo: Luca Coldare, il capitano della squadra di calcio.
Tuttavia i miei compagni di classe, uniti a quelli di Matteo, avevano deciso di spargere il verbo in tutta la scuola, cosicché tutti potessero sapere del mio inspiegabile rifiuto ad uno dei ragazzi più carini, simpatici della scuola.
Sbuffai sentendo i commenti di un’oca giuliva seduta sulla panchina vicino l’uscita di scuola.
“Allora, hai chiarito con Chris?”, chiesi ad Ali nel tentativo di non pensare più a quella terribile storia.
“Cambiamo argomento?”, borbottò lei a labbra serrate con un finto sorriso.
“Dunque, io oggi ho lezione di danza, Cami e Aria hanno il corso di inglese e Ali il conservatorio, giusto?”, chiese Noemi conoscendo già le risposte.
Annuimmo.
“Bene, quindi che ne dite di organizzarci già per domani sera?”, propose con tono entusiasta.
“Io non esco.”, dichiarò Cam, facendo si che le nostre previsioni si avverassero.
“Ma noi questo già lo sapevamo…”, iniziai guardandola divertita.
“Ed è per questo che abbiamo pensato di organizzare una specie di pigiama party e ovviamente tu non hai nessuna plausibile scusa per mancare!”, concluse Ali con le movenze di chi stesse facendo un ricatto.
“Credo di non avere scelta.”, sospirò Cami celando un sorriso.
“No!”, confermò Mimi.
“A casa mia alle sette, non un minuto prima, né uno dopo!”, annunciò Alice trionfante.
“Cam, non provare neppure a darci buca! Mimi, non ingegnarti troppo per cose che poi non prenderemo proprio in considerazione! E tu.”, disse con fare minaccioso rivolgendosi a me.
“Non provare ad arrivare in ritardo! E non vestirti troppo sexy, altrimenti finiresti avvinghiata a Luca!”, trillò.
Feci una smorfia simile ad un sorriso in risposta a ciò che aveva appena detto, senza prestarle troppa attenzione, poi  insieme a Mimi, ci avviammo verso il suo motorino.
Sbuffai.
“Aria, smettila! Ultimamente il tasso della tua acidità è addirittura superiore alla norma, ciò equivale a dire che sei peggio di uno yogurt andato a male!”, si lagnò porgendomi il casco.
“Scusa, sono parecchio nervosa.”, mi giustificai salendo sul mezzo.
“Lo so, ma non puoi scaricare la tensione su di noi, né puoi farti condizionare in questo modo da una stupidaggine!”, esclamò partendo.
Non risposi e la conversazione cadde per non essere più riaperta.


22 ottobre 2011

Suonai il campanello con ben venti minuti di ritardo e un sorriso smagliante stampato in faccia, sperando che mi sarebbe stato d’aiuto a placare l’ira funesta di Alice. 
Mentre attendevo che qualcuno venisse ad aprire sentivo già le sue lamentele senza fine che mi rimbombavano in testa, mentre Cam e Mimi si prendevano gioco di me e del supplizio che dovevo sopportare.
Nessuno venne ad aprire: di certo si trattava di uno scherzetto architettato per farmela pagare. Suonai un’altra volta e continuai ad attendere.
Pochi minuti dopo sentì la chiave girare nella serratura.
“Finalmente!”, sbottai infastidita dall’infantile comportamento di Ali.
Quando la porta si spalancò rimasi completamente sorpresa, con gli occhi sgranati e le labbra semiaperte ad osservare la persona che si trovava a pochi centimetri da me.
Luca, con addosso solo un asciugamano tenuto sulla vita e interamente bagnato faceva mostra di sé.
Aveva i capelli castani scombinati, delle goccioline d’acqua scendevano veloci sul suo petto per finire poi sui suoi perfetti e scolpiti addominali. I suoi occhi color nocciola mi fissavano, palesemente divertiti dalla mia reazione.
Rimasi interdetta ancora per qualche secondo.
“Hai smesso di farmi la radiografia?”, mi canzonò con un ghigno, avendo sicuramente notato i miei occhi fissi sul suo corpo.
Velocemente spostai lo sguardo sul suo viso e lo incenerii, poi piegai le labbra in un sorriso forzato.
“Apri la porta sempre in queste condizioni?”, domandai sarcasticamente.
Lui sorrise, appoggiandosi allo stipite della porta e, diamine, quant’era sexy!
Mi imposi di non guardarlo, neppure negli occhi, avrebbe finito per farmi perdere la concentrazione e la freddezza di cui necessitavo in quel momento.
“Solitamente piace.”, constatò lui.
“E ci credo!”, urlò una voce dentro di me, ovviamente la misi a tacere in un batter d’occhio.
“Mi fai entrare o hai intenzione di tenermi bloccata qui ancora per molto?”, bofonchiai.
“Prego.”, sussurrò mettendosi di lato, in modo tale che per entrare sarei dovuta passare obbligatoriamente accanto a lui.
Presi un respiro e con passo deciso mi avviai verso la porta.
Ebbi un sussulto quando il mio braccio sfiorò il suo petto nudo e bagnato. Di scatto mi voltai verso Luca e notai che il suo viso era già puntato nella mia direzione. I nostri sguardi si incrociarono, mentre le nostre labbra erano a soli pochi centimetri di distanza e potevo sentire il suo respiro cadere dolce sul mio collo.
I suoi occhi penetravano nei miei.
“Finalmente sei arrivata!”, trillò Ali, catturando la nostra attenzione e costringendoci involontariamente a voltarci verso di lei.
Notai una scintilla di malizia accendersi nei suoi occhi, subito seguita da un sorriso carico di soddisfazione: si, avevo appena subito la vendetta di Alice Coldare.
Con lo sguardo fisso sul pavimento mi diressi verso la mia amica, per poi andare nella sua camera, dove ad aspettarci c’erano Camilla e Noemi, appollaiate sul letto di Ali, totalmente assorte nell’audace scelta del film da vedere.
Le salutai e loro ricambiarono distrattamente.
Casanova?”, propose Mimi.
“Non esiste! Ne ho fin sopra ai capelli dei tipi come lui!”, borbottò Cami, scartandolo definitivamente.
“Che ne dite di Se non fossi arrivata Luca e Aria si sarebbero baciati?”, disse Ali sarcasticamente.
Di scatto Cam e Mimi si girarono verso di me con degli sguardi a metà tra interrogativi e sorpresi.
“Non è assolutamente vero!”, provai a difendermi.
“Certo, quindi adesso vuoi farmi credere che tu e mio fratello mezzo nudo non eravate a cinque centimetri, mangiandovi con gli occhi, bloccati sotto la porta d’ingresso?”, controbatté ironicamente.
Sbuffai, mentre vedevo i volti delle mie amiche farsi sempre più perplessi.
Detestavo Ali e le sue stupide idee ed odiavo profondamente Luca, lo odiavo con tutta me stessa, ma nonostante ciò egli aveva un qualche incontrollato potere su di me.
Quando eravamo piccoli eravamo soliti passare molto tempo insieme e giocavamo spesso. Per quello che potevo ricordare e per ciò che mi aveva raccontato la mamma, eravamo anche piuttosto amici.
L’odio che nutrivo nei suoi confronti è nato solo successivamente e non senza motivo.
Ero una bambina di soli cinque anni, quando un bimbo con dei bellissimi occhi color nocciola decise che era arrivata l’ora di ricevere il mio primo bacio. Così quel bimbo, approfittando della vicinanza fornita dal mio porgergli il piattino con la torta al cioccolato preparata dalla mamma per il mio compleanno, posò lievemente le sue labbra sulle mie, baciandomi. Ma ciò parve non bastargli, dunque decise di rimboccarsi le maniche e darsi da fare. Alla recita di fine anno di terza elementare mi avevano assegnato la parte di Biancaneve, così ero stata obbligata ad indossare un vestito lungo e largo. Quando dovetti scendere le scalette dietro il palco per  andare a cambiarmi, inciampai sull’ultimo gradino, ma un ragazzino, con un carattere un po’ troppo intraprendente per i miei gusti, mi afferrò prontamente e mi rimise in piedi, poi mentre ero ancora tra le sue braccia, mi baciò sulle labbra. Infine un ragazzo con degli odiosissimi occhi color nocciola ed un odiosissimo carattere mi rubò un bacio giocando ad obbligo e verità durante la gita di primo liceo. 
Tre crimini per un solo colpevole: Luca.
“Allora non saresti dovuta arrivare!”, commentò semplicemente Noemi, riscuotendomi dai miei pensieri.
“E se vedessimo Chocolat?”, propose Cam focalizzando la conversazione nuovamente sulla scelta di un film, del resto non solo io trovavo le ipotesi di Alice infondate,  assurde e ripetitive.
Alice storse il naso, forse più per l’appena avvenuto cambio di conversazione che per il film.
Orgoglio e pregiudizio?”, suggerii con voce incerta, nel tentativo di evitare che potesse riaprire il discorso, già sapendo che non avrebbero visto un altro dei film tratti dai romanzi della Austen, mentre presi posto tra Cami e Mimi.
Cime tempestose?”, continuai.
Fecero una smorfia.
Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, alla silenziosa ricerca di qualche titolo.
La porta si spalancò improvvisamente, facendoci sobbalzare: era Luca.
“Ali, io esco. Mamma e papà sono dalla nonna. Non fate troppo casino e non combinate guai.”, disse rivolto alla sorella.
Lo fissai. Indossava dei semplici jeans scuri, una cinta nera in vita ed una camicia bianca, con i capelli ancora umidi scombinati sul capo.
“Smettila di fare il papino, sai benissimo che sono molto più matura e responsabile di te!”, rispose la sorella facendogli la linguaccia.
Sorrisi. Luca fece un ghigno divertito.
“Ciao.”, salutò voltandosi.
Prima che chiudesse la porta potei notare il suo sguardo posarsi su di me ed incrociare il mio, mentre le sue labbra si piegavano in un sorriso maliziosamente beffardo.
Spostai subito lo sguardo sul pavimento e l’attimo dopo sentii la porta chiudersi.
Percepivo gli sguardi sospettosi delle mie amiche ispezionarmi dettagliatamente, in attesa di una qualche spiegazione.
“”Il diario di Briget Joans”?”, sbottai.
Vidi le altre sorridermi minacciosamente divertite, mentre si preparavano ad un agguato, che prevedeva un’intensa seduta di solletico, di cui la vittima ero io: ora si che la festa poteva iniziare.

23 ottobre 2011

Mi rigirai svogliatamente tra le coperte: per quanto potessi ancora tenere gli occhi chiusi ormai ero sveglia. Le altre dormivano ancora, cercando di recuperare il sonno che avevamo perso quella notte.
Dopo qualche minuto decisi finalmente di alzarmi. Senza fare troppo rumore per evitare che si svegliassero, cercai le pantofole e uscii dalla stanza, dirigendomi in cucina. Aprii il frigo e ne estrassi la scatola del succo di frutta, poi, preso un bicchiere, lo versai in esso.
“Buongiorno.”, disse una voce che ben conoscevo alle mie spalle.
Sussultai per lo spavento.
“Cosa vuoi Luca?”, domandai seccata mentre riponevo nuovamente il succo nel frigo.
“Come siamo acide di prima mattina.”, commentò lui.
Non risposi, sperando che si decidesse a troncare subito la conversazione.
Mi sedetti su una sedia e poggiai il bicchiere sul tavolo.
Luca, ancora vicino alla porta, si fece avanti, poggiandosi ai mobili della cucina, proprio di fronte a me.
“Vi siete divertite ieri sera?”, chiese con un sorriso malizioso sulle labbra.
“Non vedo come questo possa interessarti.”, controbattei con tono sicuro, sfidandolo con lo sguardo.
Pensavo che si sarebbe arreso, che avrebbe abbassato gli occhi e che se ne sarebbe andato, invece la sua reazione fu completamente opposta. 
Si avvicinò al tavolo, dal lato opposto rispetto al mio, e poggiò le mani sul freddo marmo, usandole come leva per sporgersi in avanti e trovarsi con il viso a pochi centimetri dal mio.
Rimasi immobile, completamente rapita da quei maledettissimi occhi color nocciola.
Deglutii impercettibilmente e sbattei le palpebre per riacquistare il controllo del mio corpo e soprattutto della mia mente.
“Sei brava a picchiare le persone.”, disse, mentre un sorriso divertito, ammiccante e beffardo si dipingeva sul suo viso.
Probabilmente era giunta anche a lui la voce di ciò che era accaduto in palestra.
“Vuoi provare?”, lo provocai.
I nostri respiri si confondevano, mentre i nostri occhi si cercavano, lottando tra di loro. Sentivo il cuore battere a mille.
Piegò le labbra in un ghigno, tirandosi leggermente indietro.
“Se non sbaglio hai già avuto tre occasioni per farmi provare, ma non l’hai mai fatto.”, constatò ironico.
Continuai a fissarlo con sguardo minaccioso, arrabbiato, disgustato, intollerante, sprezzante, furioso e… attratto, completamente attratto dai suoi occhi. 
Strizzai gli occhi, indignata per l’assurdità di quel pensiero appena concepito. 
Luca allontanò definitivamente il suo viso, voltandosi in direzione del bagno.
“Ci si vede.”, mi salutò strizzandomi un occhio, prima di scomparire definitivamente.
Si, io, Arianna Donfalli, odiavo profondamente ed intensamente Luca Coldare.

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Angolo Autrice
Lo so, ne è passato di tempo dall'ultimo capitolo... Mi scuso per l'eccessivo ritardo, ma sono stata davvero molto impegnata.
Questa volta nessuna immagine e non perché non ci sia, ma dovete sapere che io sono una vera frana con l'html e tutte le assurde tecnologie del ventunesimo secolo, dunque fino a quando qualcuno non si deciderà ad aiutarmi (e qui faccio riferimento al genietto informatico della mia sorellina) credo proprio che dovremmo accontentarci solo del capitolo. 
Buona lettura a tutti! 
Alla prossima,
                                                                                                                   Astrea_

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Capitolo 5
*** Neighbours ***


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Capitolo 5: Neighbours

ALICE’s pov
25 ottobre 2011

“Chris, smettila! Non costringermi a dire cose di cui poi potrei pentirmi!”, lo supplicai velocizzando il passo, con la speranza di raggiungere casa prima di continuare quella discussione.
Quel pomeriggio io e Chris ci eravamo dati appuntamento all’ingresso della palestra, in modo tale che una volta finito l’allenamento di pallavolo avremmo potuto fare una tranquilla passeggiata insieme, ma evidentemente lui aveva deciso di non rispettare i piani. 
Avevamo litigato spesso negli ultimi tempi e la maggior parte delle volte per sciocchezze. 
Ormai era da settimane che non riuscivamo ad avere un dialogo degno di essere definito tale, al quale avevamo sostituito rapide battute scambiate tra i corridoi ai vari cambi d’ora o di battibecchi in giro per la città. 
Sbuffai. Ero stanca di tutto ciò ed in parte anche di lui.
“No, Ali, non posso smetterla! Sembra quasi che tu mi stia evitando! Non rispondi alle chiamate e passi più tempo con le tue amiche che con me! Cosa diamine sta succedendo?”, chiese alzando il tono di voce.
Aveva perfettamente ragione, ma non potevo spiegargli ciò che realmente sentivo, forse perché in realtà non ero riuscita a capirlo neppure io. 
Non volevo lasciarlo, ma non volevo neppure continuare in questo modo. Ero semplicemente stufa di quella solita routine giornaliera di cui lui era il coprotagonista. Temevo fortemente che la noiosa abitudine si stesse sostituendo all’amore che nutrivo per Chris, nonostante avessi provato più volte a ripetermi che io l’amavo con tutta me stessa. Al contempo non volevo assolutamente mentirgli perché la sincerità era sempre stata alla base del nostro rapporto ed avevo iniziato ad evitarlo, seppur non completamente
conscia di ciò.
“Nulla, non succede nulla.”, borbottai continuando a guardare avanti in direzione di casa, consapevole del fatto che se avessi provato ad esporgli questo concetto lui l’avrebbe sicuramente inteso come un modo cortese di dirgli che tra noi era finita.
All’improvviso mi afferrò per un polso, bloccandomi e costringendomi a voltarmi verso di lui.
I nostri sguardi si incrociarono. Dai suoi occhi traspariva tutta la preoccupazione e la paura che stava provando, paura per quello che sarebbe potuto succedere di lì a qualche minuto. Ebbi quasi l’impressione che stesse tremando.
Deglutii rumorosamente e cercai di svincolarmi dalla sua presa, senza però molto successo.
“Lasciami.”, ordinai con voce glaciale.
Lui fece come gli avevo detto, continuando però a guardarmi negli occhi.
“Ali, amore…”, iniziò con tono mieloso e dolce, forse cercava di trasmettermi sicurezza e tranquillità.
“Chris, ho bisogno di tempo.”, sussurrai.
Lo vidi irrigidirsi e stringere i pugni, nel tentativo di trattenere la crescente rabbia.
“Mi stai lasciando?”, chiese, ma questa volta la sua voce era completamente atona.
“No, credo solo che dovremmo prenderci una pausa.”, spiegai puntando gli occhi sui miei piedi, non riuscendo più a reggere il suo sguardo deluso e profondamente triste.
“Era questo ciò che non volevi dire per paura di pentirtene?”, domandò a labbra serrate.
“No.”, confessi con un sospiro. “Ho davvero bisogno di riflettere.”, aggiunsi.
Percepii i suoi occhi spostarsi da me per puntare il suolo, seguiti dalla testa.
“Va bene.”, mormorò con finto tono sicuro.
Alzai lo sguardo per poterlo osservare. 
Aveva la testa china, le mani nascoste nelle tasche dei jeans e le spalle raccolte.
I suoi occhi puntarono improvvisamente i miei, scrutandoli, aspettando un segnale, una parola, un qualcosa, ma non riuscii a dire nulla.
Piegò le labbra accennando a un piccolo e triste sorriso, poi si voltò e andò via.
Chiusi gli occhi, sospirando. Forse era davvero finita.

27 ottobre 2011

Ottenuti gli appunti di latino di Cam, uscii da casa sua e mi avviai in direzione del palazzo dove abitavo. 
Camilla era migliorata tantissimo nell’ultimo periodo. Lei attribuiva tutto alla lezione di yoga supplementare che aveva deciso di introdurre nel suo programma pomeridiano, io, invece, credevo che si trattasse soltanto del tempo che, come si sa, cura tutte le ferite. Tuttavia la sorpresa più grande non proveniva affatto da Camilla, né da Arianna, ma da Noemi. Avevo la strana sensazione che quel ragazzo, Fabio, le interessasse davvero, magari si trattava di un colpo di fulmine o di una freccia lanciata da cupido. Ogni volta che lo incontrava aveva degli atteggiamenti piuttosto strani da quelli abituali, atteggiamenti tipici delle ragazze timide ed impacciate, caratteristiche che discostavano, e non poco, dal carattere di Mimi. Delle volte sembrava in imbarazzo, altre completamente assorta nella contemplazione dei suoi occhi, per poi finire ad arrossire quando si parlava di lui. Tutti sintomi di una sola malattia: l’amore. Involontariamente sorrisi pensando alla strana piega che aveva assunto la vita sentimentale di Noemi, mentre la mia era completamente andata in pezzi.
Non sentivo né vedevo Christian da due giorni e la cosa più buffa era che non avevo la necessità né di chiamarlo né di incontrarlo.
Attraversai la strada, svoltando poi a sinistra e decisi di accelerare il passo.
Anche Aria ultimamente se la passava meglio di me. Dopo la brutta esperienza con Matteo, aveva iniziato a socializzare con i ragazzi più grandi, sperando nella loro eventuale maggiore maturità. Così Dario, un ragazzo molto carino del quinto anno, era riuscito ad ottenere il suo numero di telefono oltre che la promessa di un’uscita insieme, un giorno.
In un solo pomeriggio ero passata dall’avere una storia lunga ed invidiata al tornare praticamente single, teoricamente ancora impegnata.
Entrai nel portone principale del palazzo e mi avvicinai all’ascensore, chiamandolo.
Lo presi e premetti il pulsante che indicava il piano dove era situato il mio appartamento. Qualche minuto dopo le porte si aprirono e uscii sul pianerottolo.
Squadrai la strana situazione che stava avendo luogo davanti la mia porta.
Un ragazzo, a vista d’occhio poteva avere circa la mia età, se ne stava poggiato alla parete che divideva gli ingressi di due appartamenti, circondato da una decina di scatole marroni tutte ancora imballate.
Lo guardai meglio. Aveva dei capelli corti e neri che scendevano ribelli sulla sua carnagione chiara. I suoi occhi, dei bellissimi occhi grigi, erano puntati su di me.
“E tu chi sei?”, chiesi senza neppure pensarci.
“Se questo fosse un telefilm ti risponderei “chiunque tu vuoi che io sia”.”, rispose incrociando le braccia sotto al petto.
Sorrisi forzatamente, facendo una smorfia che dovette davvero sembrare brutta a giudicare dall’ampio sorriso che si disegnò sulle sue labbra.
“Ma questo non è un telefilm.”, gli feci notare con tono acido e seccato.
“E questi non sono affari tuoi, Coldare.”, ribatté lui con voce calda e sicura.
“Come diamine fai a sapere chi sono io?”, domandai strabuzzando gli occhi.
Quello sconosciuto sapeva il mio cognome.
Lui non rispose, semplicemente spostò lo sguardo sul cartellino bianco posto sotto il campanello, con aria di sufficienza. Idiota. Ero una completa idiota.
“Sei un buon osservatore.”, commentai, incrociando anch’io le braccia.
Non riuscivo ancora a capire se si trattasse di un postino, di un addetto della ditta di traslochi o di un possibile nuovo inquilino, ma preferii non prendere in considerazione l’ultima opzione.
“Hai intenzione di rimanere ancora molto lì a guardarmi?”, mi chiese notando che non accennavo a muovermi.
Sobbalzai, presa da un immediato imbarazzo: cosa stavo facendo ancora lì?
“Il tempo necessario per vederti sparire!”, replicai.
Piegò le labbra in un ghigno beffardo.
“Allora ne avremo per molto, perché sono il tuo nuovo vicino.”, esclamò con tono divertito.
Sgranai gli occhi: solo questo ci mancava.
Lui lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e lentamente si avvicinò a me, fino ad arrivare a poche spanne dal mio viso.
Rimasi immobile, completamente spiazzata dal suo inaspettato gesto.
I suoi occhi verdi penetravano nei miei, mentre sentivo le sue braccia sfiorare lievemente le mie, ancora incrociate.
“Se dovesse servirti il sale, o qualsiasi altra cosa, sai già a chi rivolgerti.”, ammiccò con tono e sguardo volontariamente maliziosi e seducenti.
“Grazie, ma credo di avere tutto in casa.”, controbattei a labbra serrate. “E ora scusami ma devo proprio andare.”, aggiunsi poco dopo con una smorfia simile ad un sorriso, svincolandomi da quell’imbarazzante posizione.
Estrassi le chiavi di casa dalla tasca e aprii la porta, poi mi voltai di scatto verso di lui.
“Quelle”, iniziai puntando le scatole, “Vedi di farle sparire al più presto.”, gli dissi con voce intimidatoria.
Lui sorrise in un ghigno, mentre potevo sentire i suoi occhi guardare ogni singola parte del mio corpo e la cosa mi infastidiva non poco.
Mi voltai e varcai la soglia d’ingresso, sbattendo la porta alle mie spalle.
Sospirai: wow.

30 ottobre 2011

Mio fratello aveva appena vinto un’altra partita da capitano della squadra di calcio locale ed io ero completamente, totalmente, incondizionatamente fiera ed orgogliosa di lui. Sorrisi, vedendolo finalmente uscire dal campo per recarsi nello spogliatoio e frettolosamente salutai le mie amiche che avevo letteralmente trascinato allo stadio per sostenere Luca. Cam e Mimi si avviarono con il motorino, mentre Aria, non avendo voluto minimamente dare ascolto alle mie parole, seguite da consigli, suggerimenti, suppliche, preghiere, ordini, intimidazioni, minacce e ricatti, aveva deciso di assecondare l’invito di Dario, così ora si trovava a salire sulla sua auto per farsi scarrozzare in giro per la città.
Sbuffai: quando avrebbe cominciato a darmi ascolto? Scossi la testa, decisa a non pensarci più e mi fiondai all’uscita degli spogliatoi, in attesa del mio fantastico fratello. Per sua fortuna non c’era nessun oca giuliva ad attenderlo, ultimamente il numero delle sue amichette stava aumentando a dismisura, nonostante avessi provato a dirgli più volte che tale comportamento non solo fosse squallido, ma anche opportunista, meschino e maschilista.
Ovviamente lui aveva semplicemente obiettato dicendo che era giovane, bello e popolare e che voleva divertirsi. Uomini: scaricati sulla terra senza il manuale d’istruzione.
Qualche minuto dopo lo vidi uscire, si era già cambiato e aveva fatto anche la doccia a giudicare dai capelli completamente bagnati.
Gli corsi incontro e gli saltai addosso. Lui prontamente avvolse le sue braccia sulla mia schiena e mi sollevò.
“Sei stato bravissimo!”, esclamai con enfasi.
Lui mi rimise giù sorridendomi e scombinandomi i capelli. Sapeva che odiavo quel gesto, ma anch’io sapevo che lui adorava farlo e per quel giorno glielo concessi.
Mi affiancai a lui e ci dirigemmo verso l’auto dei nostri genitori.
“Le tue amiche sono già andate via?”, mi chiese con tono falsamente indifferente.
“Forse volevi chiedermi se Aria fosse già andata via.”, replicai io con un sorriso smagliante, aggrappandomi al suo braccio destro.
“Mi pare di aver detto le tue amiche, non Aria.”, sottolineò lui cercando inutilmente di svincolarsi dalla mia presa.
“È andata via con Dario.”, dissi, intuendo che non avrebbe mai ammesso il suo interesse.
Vidi i suoi occhi, vivaci e solari fino a pochi attimi fa, rabbuiarsi, e la sua testa chinarsi lievemente verso il suolo.
“Ah.”, disse soltanto.

---

Angolo Autrice

Buon pomeriggio! :)
Lo so, sono di nuovo in ritardo, ma, sapete, è una vera fatica portare avanti una long durante l'anno scolastico, quindi sero che mi capirete... ^-^
Ecco il nuovo capitolo su Alice: che ne pensate? Vi è piaciuto? Non abbiate paura di commentare, mi raccomando! ;)
Ringrazio lo stesso coloro che leggono.
A presto,
                                                                 
Astrea_

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Capitolo 6
*** How you make me smile ***


6

WALL

-What A Lovely Life-


Capitolo 6: How you make me smile

CAMILLA’s pov
2 novembre 2011

Suonai il campanello, assumendo una posizione comoda per poter meglio favorire l’attesa alla quale Aria mi avrebbe sicuramente sottoposta prima di scendere ad aprire la porta. Ben dieci minuti dopo, finalmente la signorina si decise a venire giù e farmi entrare. La casa di Arianna si trovava poco lontano dal centro, ma era davvero enorme. Era circondata da un giardino, di cui un angolo era stato adibito a roseto per la passione che sua madre nutriva per quei fiori. Aria odiava le rose, sua madre ci racconta sempre che da piccola faceva di tutto per distruggerle o tagliarle, ma poi crescendo, aveva imparato a rispettare anche gli interessi della madre. Sul retro, invece, c’era una piscina e un giardinetto all’inglese, vicino al quale era posta un’antichissima quercia sul cui ramo principale erano legate le corde di un’altalena. Entrai nell’ampio ingresso della villa e seguii Aria fino al piano superiore, poi ci spostammo nell’ala nord, dove c’era la sua camera. Mimi era già lì, seduta sul tappeto a sfogliare delle riviste di moda, ma ancora non vedevo Alice. La salutai e tolsi il cappotto, lasciandolo sulla poltrona nell’angolo.
“Allora, Alice che fine ha fatto?”, chiesi rivolgendomi ad Aria.
“Non lo so, credo che debba aspettare che quell’energumeno del fratello si decida ad accompagnarla.”, si lamentò Arianna lasciandosi cadere di peso sulla poltrona.
Io mi accomodai sul letto, e puntai lo sguardo sul soffitto.
“Lo sapevo io che l’arancione sarebbe stato meglio evitarlo questo autunno!”, sbottò Mimi, chiudendo finalmente quella stupida rivista.
Io e Aria annuimmo, facendo finta che tutto ciò potesse interessarci.
“Invece di leggere quegli stupidi giornali perché non ci spieghi un po’ com’è che adesso sei diventata una cosa sola con Fabio?”, chiese Aria, con sguardo divertito.
Il viso di Mimi si fece improvvisamente ed inaspettatamente rosso porpora, mentre la sua testa puntò d’istinto il tappeto.
Nello stesso istante sentimmo suonare il campanello, probabilmente era arrivata anche Ali.
Aria sorrise, palesemente divertita, poi corse giù ad aprire e qualche minuto dopo tornò seguita anche da Alice.
“Ma dico io, possibile che siate sempre tutte in anticipo?”, sbuffò fintamente irritata Ali facendo il suo ingresso.
“Ali, sei tu quella in ritardo.”, le feci notare mentre si sedeva.
“Ordiniamo qualcosa da mangiare?”, propose Mimi.
Annuimmo.
“Cinese?”, chiesi.
Noemi storse il naso, non le piaceva molto la cucina orientale.
“Pizza e patatine?”, replicò con occhi supplichevoli.
“No, dai, qualcosa di diverso!”, si lamentò Aria.
“Facciamo le crepes!”, propose infine Ali, trovandoci tutte d’accordo.
Scendemmo in cucina e cominciammo a preparare l’impasto.
“Sbaglio o avevamo iniziato un discorso?”, iniziò Arianna rivolgendosi a Noemi.
Sbuffò, facendo roteare gli occhi.
“Che discorso?”, s’intromise immediatamente Alice.
“Fabio.”, la informai.
Sorrise maliziosamente, iniziando a fissare Noemi.
“Ok, lo so, non è normale, ma credo mi piaccia. Cioè, no, mi piace. Solo che… non lo so, davvero, è strano…”, dalle sue parole e dal suo tono di voce si poteva capire quanto quella conversazione la mettesse in imbarazzo.
“Mi, tranquilla, siamo solo noi, le tue amiche!”, dissi per provare a tranquillizzarla.
Si sedette sullo sgabello della penisola della cucina, lasciando sia farina che frusta.
“Questa volta credo che sia diverso.”, confessò con gli occhi assorti nella contemplazione di chissà quale ricordo.
“Noemi si sta innamorando!”, ci scherzò su Alice.
“Parla proprio lei che incontra vicini supersexy davanti casa e si fa pure avvicinare!”, la canzonò scherzosamente Arianna.
“Almeno io ho il coraggio di ammettere e raccontare, mica come te che parli con mio fratello mentre noi dormiamo ed io lo vengo a sapere per caso da lui!”, controbatté indignata.
La guardai con sguardo curioso ed interrogativo, imitata da Noemi, entrambe non riuscivamo a capire a cosa si stesse riferendo.
Arianna sbuffò.
“Il problema qui è che tu sei ossessionata da questo stupido pensiero! Abbiamo parlato per caso perché ci siamo ritrovati per caso in cucina! E non l’ho detto perché non ci siamo detti nulla di importante né per me è stato importante!”, spiegò alzando il tono di voce.
“Ok ragazze, forse è meglio calmarci un po’, chi vuole fare un po’ di yoga? Alle crepes ci pensa Noemi!”, proposi.
Ali e Aria si voltarono contemporaneamente verso di me, incenerendomi con lo sguardo: ok, quella non era una buona idea.
Poi, Aria puntò nuovamente Ali.
“E si può sapere tu come lo sai?”, chiese.
“E si può sapere a te cosa interessa?”, replicò Ali.
“Bene, non lo voglio sapere.”, concluse Aria incrociando le braccia.
“Lo vedi come sei? Cosa ti costa ammettere che ti interessa perché mio fratello ti piace? Non c’è nulla di male!”, riprese Alice.
Noemi ormai aveva iniziato ad ignorarle completamente, mentre continuava con la preparazione di quella che sarebbe dovuta essere la nostra merenda.
“Non posso ammettere una cosa non vera!”, controbatté.
“E allora perché continui a fare domande? Luca potrà anche non piacerti, non ancora, ma di sicuro ti interessa!”, esclamò Ali, convinta e sicura delle sue parole.
“Basta, sono stufa di questi discorsi. Tuo fratello non mi piace, non m’interessa e non voglio saperne più nulla di lui.” 

3 novembre 2011

Quella mattina avevo promesso ad Arianna che sarei passata a prenderla al termine del suo allenamento di atletica per accompagnarla a comprare un libro che Dario le aveva consigliato di leggere per il quale sembrava avesse sviluppato un interesse ben oltre la norma.
Così, con ben mezz’ora di anticipo, mi ero recata al campo. Presi posto sugli spalti ed immediatamente cercai la mia amica tra i ragazzi che correvano sulla pista. La vidi mentre provava la corsa veloce, per poi allontanarsi leggermente per raggiungere un ragazzo alto e rosso, che dalla descrizione che mi aveva più volte fornito, sembrava proprio essere Marco, un suo caro amico.
Gli sorrise, cominciando a scambiare qualche battuta, poi lui si allontanò per la prova della corsa veloce. La sua falcata era ampia, rapida e tagliente, sicura. Le sue braccia scorrevano su e giù per il corpo, fornendogli un ulteriore spinta, mentre sul suo volto si dipingeva un’espressione di apparente sforzo. Tagliò il traguardo, rallentando per poi fermarsi qualche metro più in là.
Aria gli corse subito incontro, allegra più che mai, porgendogli entusiasta la mano per invitarlo a battere il cinque, gesto che lui percepì e ricambiò prontamente, lasciandosi andare ad un grido di pura gioia. Anche l’allenatore si avvicinò a lui, dandogli una pacca sulla spalla, probabilmente voleva congratularsi per il risultato appena conseguito.
Vidi Arianna controllare l’orario sull’orologio che aveva al polso ed istintivamente rivolse lo sguardo verso le tribune, incrociando il mio. La salutai con un cenno della mano, subito ricambiato dalla mia amica, che dopo aver preso per un braccio quel ragazzo, lo trascinò con sé fino alle gradinate dove ero seduta.
“Ehi Cam!”, mi salutò elettrizzata.
“Ciao Ari!”, ricambiai.
“Lui è Marco!”, disse presentandomi il ragazzo che aveva portato con sé, confermando la mia precedente ipotesi.
Lo guardai meglio per imprimere quel viso nella mia mente.
I capelli rossi e crespi gli scendevano bagnati per il sudore sulla fronte, gli occhi verdi e stanchi mi fissavano. Aveva delle piccole e quasi invisibili lentiggini sul naso e sulle guance, ma era davvero difficile notarle.
Il suo fisico slanciato e atletico era messo in mostra da un paio di pantaloncini corti e una canotta molto aderente e sudaticcia che lasciava intravedere i suoi addominali scolpiti con anni ed anni di allenamento.
La sua espressione, il suo viso, seppur palesemente esausti, sembravano trasmettere dolcezza, dolcezza e amore, tanto amore, così tanto amore che mi lasciarono interdetta per qualche minuto, immobile davanti a quella mano che lui aveva allungato in attesa che io la stringessi.
“Camilla”, dissi tutto d’un fiato qualche attimo dopo, afferrandola.
Lui sorrise.
“Sai, oggi Marco ha battuto il suo record personale sui 100 metri! È stato davvero bravissimo!”, aggiunse Arianna per smorzare il silenzio.
Sorrise ancora timidamente e fece sorridere anche me.
“Allora ti faccio i miei complimenti!”, dissi incrociando involontariamente il suo sguardo.
“Grazie”, rispose semplicemente.
Rimasi incatenata al suo sguardo ancora qualche secondo, prima che fosse Aria ad attirare la mia attenzione.
“Vado a farmi una doccia e andiamo!”, mi disse avviandosi verso gli spogliatoi. “Ciao Marco!”, lo salutò, sparendo poi dietro la porta.
“Vuoi che ti faccia compagnia?”, mi chiese lui sedendosi accanto a me.
D’istinto aumentai le distanze, facendomi un po’ più di lato. Lui rimase negativamente sorpreso dalla mia reazione e con lo sguardo corrugato si alzò, voltandomi le spalle, pronto ad andare via.
“Scusa, non volevo. Rimani.”, sussurrai alzandomi anch’io, trovandomi inaspettatamente a pochi passi da lui.
Lui si voltò con un mezzo sorriso sulle labbra.
“Hai da fare questo pomeriggio?”, mi chiese dolcemente.
“Si”, risposi storcendo il labbro.
Probabilmente lui interpretò la mia risposta come un modo per dirgli che non ero minimamente interessata a lui, ma che la sua compagnia in quel momento mi era utile per non rimanere sola ad aspettare la mia amica. Errore, grande grosso madornale errore.
“Ma domani sono libera.”, aggiunsi sorridendo e lui sorrise con me, prendendo posto al mio fianco.
E così iniziammo a parlare del più e del meno, della scuola, dello yoga, dell’atletica, dei cartoni animati e dei fumetti che tanto adorava, della musica e persino delle scuse Marco usava da piccolo per convincere la madre a non mandarlo a scuola e mi sorpresi di come tutto ciò poteva essere così naturale, così semplice, così bello. In quella mezz’ora capii più cose di Marco di quante avrei mai potute capirne di Francesco in cinquant’anni e per un attimo mi convinsi che non tutti erano come quel viscido, che oltre al bianco e al nero c’erano tante altre tonalità e sfumature, ma forse era ancora presto per vederle tutte. D’altronde per ora mi bastava vedere il rosso dei capelli di Marco e il verde dei suoi occhi, il resto poteva anche aspettare. 


5 novembre 2011

“Pronti per ordinare?”, chiese cordialmente il cameriere avvicinandosi al nostro tavolo, stranamente molto numeroso.
Noemi aveva organizzato una strana serata in pizzeria i cui partecipanti erano stati strategicamente invitati la mattina precedente.
“Certo! Allora, una margherita e una diavola!”, disse Fabio lanciando un dolce sguardo in direzione di Mimi, ordinando per lei la sua pizza preferita, chiaro indizio di quanto ormai avesse imparato a conoscerla.
Noemi piegò le labbra in un sorriso forzato, palesemente imbarazzata da quel semplicissimo ed innocuo gesto al quale non era proprio abituata.
“Una margherita anche per me.”, aggiunsi, subito imitata da Marco che sedeva al mio fianco.
“Bene, allora tre margherite, una diavola e…”, riassunse il cameriere.
“Un’ortolana per me”, aggiunse Arianna.
“Una wrustel e patatine e una capricciosa.”, ordinò poi Alice per lei e per suo fratello, anche lui stranamente invitato da Noemi, ma poi letteralmente trascinato di peso dalla sorella fuori casa.
“Io vorrei una quattro stagioni.”, aggiunse Dario stringendo trionfante la mano di Aria che sedeva al suo fianco.
“Lo stesso anche per me!”, concluse Guido che era stato costretto dal suo nuovo amico e vicino di casa Luca a partecipare all’allegra serata per condividere la sciagura.
L’atmosfera era piuttosto imbarazzante e la stramba disposizione dei posti non faceva altro che accentuarla. Arianna si era trovata tra Dario e Luca, il quale era affiancato dalla sorella accanto alla quale aveva preso posto Guido. Poi c’era Fabio, Noemi, io e Marco a chiudere il cerchio.
Concludemmo l’ordine aggiungendo delle bevande, poi il cameriere ci lasciò soli.
Feci cadere immediatamente lo sguardo sulla tovaglia, nel tentativo di evitare di incrociare gli occhi imbarazzanti e vacui degli altri commensali, di cui il silenzio che si era impadronito del tavolo era un limpido e chiaro indizio.
“Vado a fumare una sigaretta.”, annunciò Luca alzandosi dalla sedia, catturando l’interesse di tutti noi.
“Dovresti sapere che il fumo fa male”, lo canzonò Aria, puntando gli occhi nei suoi.
Lo sguardo di Dario si posò immediatamente su di lei, mentre potei notare la sua presa intorno alla mano della mia amica farsi più forte e possessiva.
“E tu dovresti sapere che non mi interessa.”, controbatté Luca, senza curarsi né del rimprovero di Aria ne della reazione di Dario, poi ci diede le spalle e uscì a passo lento ma deciso dal locale.
Aria sbuffò, corrugando lievemente la fronte, poi il silenzio tornò a regnare padrone del tavolo.
“Ho un’idea!”, esclamò all’improvviso Marco attirando l’attenzione di tutti i presenti.
I nostri sguardi lo pregavano di proseguire, speranzosi che ciò che stava per dire sarebbe potuta essere una buona soluzione per salvare la serata che non sembrava proprio essere cominciata nel migliore dei modi.
Si alzò dal tavolo dirigendosi verso il cameriere che prima aveva preso le nostre ordinazioni e gli sussurrò qualcosa nell’orecchio. Lo vidi annuire e spostarsi verso il proiettore.
Marco tornò entusiasta verso di noi, puntato da sette paia di occhi incuriositi.
“Karaoke gente! Questa è l’ora del karaoke!”, annunciò prendendo in mano il microfono.

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Angolo Autrice
Rieccocci qui, con un altro capitolo. Che dire, ringrazio i lettori e coloro che hanno inserito la storia tra i seguiti o i preferiti. grazie! Un altro grazie va a confettina veramente per tutto quello che fa!
Alla prossima,

                                                                                                                                                 Astrea_

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Capitolo 7
*** Moonlight ***


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Capitolo 7: Moonlight

ARIANNA’s pov
8 novembre 2011

Il compito di letteratura inglese era presumibilmente andato bene, ma dire semplicemente ciò sarebbe potuto risultare un eufemismo. Il compito di letteratura inglese era dunque stato uno dei miei migliori successi scolastici, un sicuro trionfo sulle domande a trabocchetto che la professoressa aveva astutamente inserito nel test, dalle quali però io non mi ero fatta trarre in inganno, assicurandomi un esito più che positivo come risultato della prova. Così, ancora con il sorriso pieno di soddisfazione stampato sulle labbra, mi avviai verso il cortile della scuola dove avrei trascorso i miei dieci minuti di pausa con le mie amiche ed ovviamente anche con Dario, la cui presenza non mi dispiaceva affatto, ma non potevo neppure dire di gradirla completamente. In alcune occasioni diventava opprimente e fastidiosa. Scrollai la testa come per liberarmi di questi pensieri e presi posto sulla panchina dove eravamo soliti incontrarci. Dario era già lì ad aspettarmi. Mi salutò con un bacio sulla guancia, per poi incatenare la sua mano con la mia.
Iniziai a raccontargli con enfasi del compito di letteratura e probabilmente ero talmente eccitata, contenta ed elettrizzata da trasmettere il mio stato d’animo anche a lui. Continuavo a parlare e raccontare, senza neppure preoccuparmi di prendere fiato, così in pochi secondi mi ritrovai messa a tacere dal suo dito che si era poggiato sulle mie labbra, mentre percepivo il suo volto a pochi centimetri dal mio. Il respiro si fece più pesante ed affannoso, mentre la distanza continuava a diminuire in modo lento e regolare, come se mi stesse chiedendo il permesso. Rimasi paralizzata al solo pensiero di ciò che sarebbe successo di lì a pochi secondi. Avevo gli occhi sgranati per la sorpresa ed il terrore, mentre sentivo il cuore scalpitare e una forte morsa nella bocca dello stomaco. Provai a concentrarmi sulle sue labbra in modo da far passare in secondo piano tutte le altre sensazioni che percepivo e che probabilmente erano sbagliate. Per un istante mi imposi di lasciarlo fare, di provare, di non tirarmi indietro, poi come un fulmine, il viso di Luca apparve nella mia testa. Fu un attimo. Maledetto. Non feci in tempo a fare nulla per allontanarlo perché qualcuno lo aveva già fatto prima di me. Luca Coldare aveva appena tirato un pugno in pieno viso a Dario, facendolo cadere dalla panchina.
Lo guardai con sguardo esterrefatto, mentre rimanevo esattamente immobile nella mia posizione. Sentivo Dario lamentarsi dal dolore, ma non me ne curai minimamente.
“Che c’è?”, mi chiese Luca con tono di sfida, non interrompendo però il nostro contatto visivo.
“Ti rendi conto di quello che hai fatto?”, gli domandai.
Non ero preoccupata per Dario, semplicemente non riuscivo a capire i suoi gesti, le sue parole, non riuscivo a capire lui, Luca. Dario si rimise in piedi, avvicinandosi a Luca.
“Si può sapere cosa cazzo ti è saltato in mente?”, gli chiese con tono duro, ma potevo capire dai suoi gesti piuttosto tranquilli che non avrebbe ricambiato il pugno.
Luca lo ignorò completamente, continuava a tenere i suoi occhi fissi nei miei.
“Ti avevo detto che sei troppo piccola per certe cose.”, rispose facendo spallucce.
Abbassai il viso in direzione delle mie ginocchia, delusa da quella sua insignificante risposta.
Lui si girò e andò via, sparendo oltre l’ingresso principale della scuola.
Rimasi ancora immobile per qualche secondo, poi fui distratta dalla voce di Dario, che riprendeva posto accanto a me massaggiandosi la mascella.
“Quello lì è proprio un bifolco energumeno senza cervello.”, commentò sprezzante.
“Tu ti credi superiore a lui, vero?”, iniziai puntandogli un dito contro.
Lui si ritrasse leggermente, sorpreso dalla mia spropositata reazione.
“Meglio un bifolco energumeno senza cervello che un insicuro e possessivo bradipo senza personalità che si lascia dare un pugno da un energumeno.”, controbattei alzandomi e lo lasciai lì, solo seduto su quella panchina con la mascella sanguinante. 

12 novembre 2011

Mi rigirai per l’ennesima volta nello scomodissimo letto che avevamo sistemato accanto a quello di Alice, nella sua camera. I miei genitori erano fuori casa quel fine settimana, così mentre mio fratello era stato indirizzato dalla nonna senza la minima possibilità di replicare, io ero stata gentilmente invitata a casa di Alice, o per meglio dire ero stata obbligata dalla mia amica a trascorrere due notti a casa sua, sotto lo stesso tetto di suo fratello. Sbuffai e strinsi forte le braccia intorno al mio corpo, come a proteggermi dal freddo.
Alice dormiva tranquilla al mio fianco, con uno splendido ed innocuo sorriso sulle labbra, felice e beata.
All’improvviso sentii dei rumori provenire dal corridoio. Sobbalzai spaventata, poi pensai si trattasse dei genitori di Ali che magari erano andati in bagno e mi tranquillizzai.
Sobbalzai nuovamente quando udii un lieve scatto, subito seguito dal rumore della serratura. Afferrai il cellulare e mi alzai, senza pensarci due volte, dirigendomi all’ingresso.
E se fossero stati i ladri?
Puntai la luce del cellulare sull’ombra spalmata davanti alla porta e trattenni il respiro per qualche secondo.
Luca.
Prese con forza il mio polso e puntò la luce verso il basso, mentre con l’altro braccio mi spingeva con le spalle verso la porta.
“Cosa diamine ci fai tu qui?”, sussurrò.
Il suo tono di voce era nervoso, preoccupato, agitato, sorpreso.
I suoi occhi erano puntati nei miei. Indossava una semplice felpa blu con il cappuccio e dei jeans grigi, retti in vita da una cinta.
“Potrei farti la stessa domanda”, risposi tutto d’un fiato.
“Bene, torna a dormire.”, ordinò lui mollando la presa.
“Dove stai andando?”, gli chiesi senza spostarmi di un millimetro, ancora ferma con le spalle in direzione della porta, per impedirgli di uscire.
Non rispose.
Con un braccio cercò di scansarmi, ma opposi resistenza.
“Vengo con te.”, annunciai con voce ferma e sicura.
“Mi pare di non averti invitata.”, controbatté lui.
“Scegli: o mi porti con te o inizio ad urlare e sveglio i tuoi.”, lo ricattai.
Lo vidi pensarci su, poi storse il labbro e fece roteare gli occhi.
“Prendi questa.”, disse allungandomi una felpa che era stata lasciata sul divano.
Tornò indietro verso la sua camera, senza dirmi nulla, poi dopo qualche minuto lo vidi uscire nuovamente e dirigersi verso di me.
“Metti anche questo e queste.”, disse indicando un pantalone della tuta e delle scarpe da ginnastica.
Infilai subito la parte inferiore della tuta e le scarpe, poi afferrai la felpa e lo seguii fuori casa. Si avviò per le scale ed iniziò a scendere silenziosamente, gradino dopo gradino. L’aria gelida penetrava dal portone dell’ingresso, probabilmente aperto, disperdendosi su tutta la rampa di scale.
Un leggero brivido corse veloce lungo la mia schiena, così decisi di infilare immediatamente la felpa sopra la maglia del mio pigiama.
“Hai intenzione di dirmi dove stiamo andando?”, chiesi poco dopo sempre bisbigliando.
“Il patto era portarti con me non dover anche parlare.”, mi fece notare senza neppure degnarmi di uno sguardo.
Uscimmo dal palazzo e ci avviammo per le strade buie e desolate.
Luca aveva le mani nascoste nelle tasche dei jeans e lo sguardo fisso in avanti, come a voler accuratamente evitare il mio.
“Avevo intenzione di fare un giro, ma visto che ci sei tu mi accontenterò di una breve passeggiata.”, m’informò poco dopo con voce sommessa voltando a destra ed entrando in un piccola ma deliziosa cornetteria.
“Più che altro avevi voglia di un cornetto.”, lo corressi con tono seccato, storcendo il labbro.
Possibile che evadesse di casa, di notte, per un semplice cornetto?
“Non riuscivo a dormire.”, spiegò successivamente quasi in un sussurro sincero, facendo spallucce.
Scossi la testa e senza indugiare oltre lo seguii all’interno del locale, non curandomi minimamente dell’abbigliamento maschile che indossavo.
La sala era quasi vuota, fatta eccezione per una coppietta molto intima e un gruppo chiassoso e quasi certamente ubriaco.
“Siediti qui. Io vado ad ordinare.”, disse indicandomi un tavolino con delle poltroncine rosse poco distante dal bancone.
Per la prima volta non replicai e feci come mi aveva detto.
Qualche minuto dopo tornò con in mano due enormi cornetti fumanti, uno alla nutella con granelle di nocciola, l’altro invece farcito con nutella e farina di cocco.
Mi porse il secondo, ma quel suo gesto mi lasciò totalmente spiazzata.
Lo presi, di sicuro dovetti sembrare impacciata, e sentii le guance farsi bollenti.
“Come fai a sapere che mi piace il cocco?”, gli chiesi a bassa voce, come se non fossi certa di voler sapere la risposta.
“So  molte più cose di quanto tu immagini.”, disse ammiccando, prima di addentare il suo soffice e caldo cornetto.
Sbuffai, del resto avrei dovuto immaginare che avrebbe giocato anche quella volta.
Rimanemmo in silenzio, a contemplarci l’un l’altro, scrutandoci, mentre mangiavamo quei cornetti, seduti nel bel mezzo della notte in un piccolo locale di cui non conoscevo neppure il nome.
“Ti sei sporcata.”, disse tutto d’un tratto sfiorando con il suo dito un punto indefinito del mio viso vicino alle mie labbra.
M’irrigidii lievemente a causa di quel lieve contatto, poi accennai ad un sorriso.
Si sporse verso di me, avvicinandosi con una calma quasi snervante.
Le sue labbra erano velate da un leggero alone di nutella ed erano maledettamente vicine alle mie ed io non riuscivo a non guardarle, ero completamente attratta da esse come se si trattasse di stregoneria.
 “Sei proprio una bambina! Non sai neppure mangiarti un cornetto senza sporcarti!”, commentò con tono giocoso ad una spanna dal mio viso.
Il suo respiro cadeva caldo sulle mie labbra. Deglutii, cercando di camuffare quella strana sensazione di vuoto che aveva pervaso il mio corpo, facendomi sentire inspiegabilmente leggera.
“E ora dovrei baciarti, no?”, chiese in un sussurro.
In quell’istante desiderai con tutta me stessa che colmasse la lieve distanza che ci separava, perché ancora una volta io non avrei avuto la forza di fermarlo.
Socchiusi gli occhi, sperando che in quel gesto cogliesse il mio consenso.
 “Non crederai mica che lo faccia davvero? Non sono mica uno di quei tipi romantici dalla lacrima facile!”, esclamò secco indietreggiando di colpo.
Spalancai gli occhi, delusa e profondamente umiliata.
“Ma no! Cosa sto dicendo? Magari quella era una tattica per farti baciare da me! Così, hai provato a fare la sexy con me? Mi dispiace, ma a quanto pare non sei stata abbastanza convincente.”, aggiunse poco dopo con un sorriso sornione disegnato sulle labbra e sguardo beffardo.
Lo incenerii con lo sguardo, mentre sentivo la rabbia salire e annebbiare la mia vista.
Sentivo le vene pulsare troppo ed il respiro mancare. Per un attimo pensai di star per scoppiare in quel preciso istante.
“Sei un idiota! Un completo, totale, perfetto idiota!”, esclamai scaraventando quel piccolo pezzo di coretto che ancora non avevo avuto il tempo di mangiare sul tavolo.
“E io sono ancora più idiota di te visto che sono qui con un idiota!”, aggiunsi maledicendomi per essere voluta uscire con lui, mentre gesticolavo freneticamente, ormai fuori controllo.
Mi alzai inviperita, senza dargli l’opportunità di replicare e mi avviai verso l’uscita del locale.
“Aria, io…”, mi chiamò Luca, probabilmente ancora fermo sulla sua poltroncina.
Non seppi mai se fu colpa del modo in cui pronunciò il mio nome, o di quegli occhi color nocciola che in quell’istante non potevo vedere, del profumo, il suo profumo, emanato dalla felpa che indossavo, o del cornetto e delle luci soffuse, del moto di rabbia che mi aveva appena colta, o forse semplicemente di quelle stupide labbra, ma mi voltai verso di lui e lo guardai.
Lo guardai per un solo istante, ma a me sembrarono anni.
E poi corsi, corsi verso di lui e lo baciai.                                           

 16 novembre 2011

Dopo quell’incidente di percorso avevo deciso d evitare accuratamente Luca per tutto il resto della mia permanenza a casa sua e nonostante all’inizio mi fosse sembrata un’impresa titanica, riuscii a non rimanere mai sola con lui e a non incappare in conversazioni a trabocchetto con Alice, cosicché non potemmo parlare di ciò che era successo quella notte, mentre alle mie amiche raccontai brevemente dell’accaduto, pregandole di sorvolare su quello spiacevole episodio. Se da un lato ciò non poteva farmi che bene, dall’altro avrei dovuto aspettarmi la sua squallida reazione, che prese atto soltanto il lunedì mattina successivo.
Quella mattina, infatti, io e Alice stavamo scendendo di fretta le scale, con in mano il borsone nel quale avevo riposto tutti i miei indumenti, pronta per tornare a casa immediatamente dopo la scuola. Non appena varcammo la soglia del portone principale notammo Luca seduto sulla sua moto avvinghiato ad una rossa che sensualmente gli si strusciava contro. Lo fissai ad occhi sgranati, completamente sorpresa e stupefatta, forse ferita e amareggiata, ma del resto lui non era mica il mio ragazzo. Non potevo certo essere gelosa, né pretendere un voto di fedeltà dopo un semplice bacio che a quanto sembrava non aveva avuto nessuna importanza per lui, neppure questa volta. Un altro stupido gioco, il quarto, di Luca Coldare.
Rimasi interdetta a guardarlo ancora per qualche minuto, fino a quando Ali non mi prese per il gomito e mi trascinò via alla fermata dell’autobus. Sentii una profonda morsa all’altezza del cuore. Bastardo, pensai prima di prendere posto accanto alla mia amica che era già salita sul mezzo.
Comunque sia ormai erano già passati due giorni da quella mattina e avevo deciso di buttarmi tutto alle spalle, così il pomeriggio di quel mercoledì ci incontrammo tutte a casa di Cam, come da consuetudine.
“Oggi l’ho rivisto!”, trillò entusiasta Ali.
“Rivisto chi?”, chiese Cam alle prese con lo yoga.
“Come chi? Guido, ovviamente! E abbiamo pure parlato! È maledettamente misterioso e sexy quel ragazzo!”, commentò con gli occhi sognati.
“E Chris?”, chiesi riportandola con i piedi per terra.
“Non lo vedo e non lo sento da quella sera ormai.”, sbuffò con tono leggermente malinconico.
“Bene bene, che dice Marco, invece?”, chiese Noemi per cambiare discorso, spostando l’attenzione da Alice a Camilla.
“È un perfetto gentiluomo pronto ad aspettare i miei tempi!”, disse con gli occhi che le luccicavano per l’emozione. Chissà, forse aveva davvero trovato l’amore che tanto cercava.
“E a te?”, chiese poco dopo, rivolta a Noemi. 
“Credo di avere un grosso grasso problema.”, scherzò Mimi, facendosi improvvisamente seria.
“Cosa succede?”, chiese preoccupata.
“Fabio.”, confessò con un sospiro.
Tutte noi la guardammo interdette, invitandola a proseguire.
“Lui mi piace, credo mi piaccia davvero, troppo e io… io non so cosa fare, come comportarmi… e se dovessi rovinare tutto? Se dovesse andare male? Io… Lui… noi…”, mormorò calando lo sguardo verso il basso.
D’istinto mi avvicinai a lei, circondando le sue spalle con le mie braccia.
“Non succederà, lui ti ama.”, la rassicurai.
“E se io non fossi capace di amare? Se io non fossi capace di amare lui?”, chiese, insicura come non mai.
“Non esiste un modo per amare e non si può neppure imparare a farlo. Lo si fa e basta e scommetto che tu sarai bravissima con lui!”, la rincuorò Cam stringendole la mano.
Noemi accennò ad un sorriso.
“Lo spero”, sussurrò più a sé stessa che a noi.
“Comunque, stiamo sorvolando sull’evento del secolo.”, annunciò Ali con tono trionfante, riportando allegria e vivacità nella stanza.
“L’appassionate bacio al chiaro di luna tra Aria e Luca!”, continuò poco dopo con fare da presentatrice televisiva, ignorando i patti.
Tutte sorrisero, portando però la loro attenzione sulla sottoscritta.
“Tutto ciò ci porta ad una sola conclusione, che tra l’altro io avevo già preannunciato da mesi.”, aggiunse Alice.
“Ti piace!”, esclamò poi squillante facendo un giro completo sulla sedia, al termine del quale mi puntò l’indice contro, mentre sul viso era già comparso un sorriso malizioso.
Gli occhi le brillavano, mentre cercava di rimanere seria per poter interpretare al meglio il ruolo dell’investigatore, squadrandomi da capo a piedi.
“No!”, sbottai immediatamente, ma mi accorsi di essere stata troppo precipitosa per sembrare sincera.
Un momento: io ero sincera! Beh, forse fino a qualche settimana fa lo sarei stata, o forse neppure allora. Sentivo le guance bollenti, probabilmente erano diventate rosso porpora.
Ne ebbi la conferma quando le mie amiche, se così potevamo chiamarle, scoppiarono a ridere dopo essersi lanciate uno sguardo d’intesa tra loro. Sbuffai leggermente facendo roteare gli occhi.
“Mi dispiace darle ragione, ma questa volta è proprio così. Ti piace!”, commentò Cami tornando tranquilla alle sue posizioni yoga.
“Andiamo Arianna, si vede lontano un miglio!” aggiunse Mimi dall’alto della mia scrivania, ora d’accordo anche lei con le assurde teorie di Ali: che avesse fatto il lavaggio del cervello a tutte?
Aveva una strana espressione dipinta sul volto, a metà tra il divertito e il curioso.
“E allora metti gli occhiali perché mi sa proprio che non ci vedi!”, risposi acida come non mai.
Ok, l’intera storia mi rendeva un po’ più suscettibile e nervosa del solito.
“Ahahah”, fece finta di ridere, poi con un agile salto scese dalla scrivania e si avvicinò al letto, subito imitata da Alice e Camilla.
Mi presero le mani e assunsero espressioni serie e comprensive… Ma si erano messe d’accordo?
Le guardai una per una, tutte mi invitavano a parlare, a confessare e i loro occhioni dolci di certo non aiutavano.
“Dai Arianna, siamo tue amiche, a chi puoi dirlo se non a noi?”, iniziò Mimi.
“Sai che puoi fidarti!”, aggiunse immediatamente Cami, prima che potessi replicare.
“E poi non ci sarebbe nulla di male e noi saremmo contente per te! Noi ti vogliamo bene!”, concluse Alice. Chiusi gli occhi, quasi per pensare a ciò che stavo per fare. Me ne sarei pentita, lo sapevo, ma come potevo dire di no alle mie migliori amiche?
“E va bene, mi piace”, confessai tutto d’un fiato. “Ma comunque lo odio!”, aggiunsi l’istante successivo.

---

Angolo Autrice

Lo so, sono di nuovo in ritardo, ma di nuovo vi chiedo scusa.
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e ringrazio coloro che hanno aggiunto la storia alle preferite, alle seguite e alle ricordate.
Spero di non dovervi fare attendere molto per il prossimo chap,
                                                                                                          Astrea_

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Capitolo 8
*** Imagination plays bad jokes ***


WALL

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Capitolo 8: Imagination plays bad jokes

NOEMI’s pov
18 novembre 2011

Sorrisi istintivamente quando, attraversando la strada, notai Fabio, già seduto ad aspettarmi sulla panchina del parco che dava sul piccolo laghetto artificiale.
Lui era di spalle, intento ad osservare il paesaggio davanti ai suoi occhi.
Nell’ultima settimana avevo imparato a conoscerlo, seppur tra di noi si era istaurato un rapporto piuttosto strano da quelli che ero solita intraprendere con i ragazzi.
Lui era diverso, completamente diverso.
Eravamo usciti più volte insieme, ma, dovevo confessarlo, ancora non aveva neppure provato a baciarmi. “Diamo tempo al tempo”, aveva detto una volta, quando io, imbranata e frettolosa, avevo provato ad avvicinarmi alle sue labbra. “Il primo bacio è un passo importante!”, aveva aggiunto con aria canzonatoria, carezzandomi il viso con la mano destra con fare dolce.
Praticamente, dunque, non potevo certo dire che stavamo insieme, ma teoricamente era esattamente il contrario e di certo non avrei esitato un solo secondo a far capire ad una qualsiasi gallinella che si fosse avvicinata a lui, che era già impegnato, con la sottoscritta ovviamente.
Scossi lievemente la testa per liberarmi di quei pensieri, assurdi pensieri che per la prima volta riuscivo a formulare.
Varcai l’ingresso del parco, dirigendomi verso Fabio. Pochi metri dopo arrivai alle sue spalle, senza che lui si accorgesse neppure del rumore dei miei passi che si facevano strada sulle foglie secche ancora ai bordi del vialetto.
Velocemente gli misi le mani sugli occhi. Lui provò a voltarsi, ma fu un tentativo del tutto inutile.
“Chi sono?”, chiesi cercando di imitare la voce di una vecchietta.
Lui sorrise.
“Allora, vediamo un po’… Amber? No Amber aveva appuntamento alle sette, non alle cinque… Allora forse Jennifer!”, disse provocandomi.
Storsi il labbro, piacevolmente innervosita dal suo scherzetto.
“Ma come, tesoro! Ti sei dimenticato di me!”, dissi, reggendo il suo gioco.
“Bene, allora credo proprio che non ti dispiacerà affatto se io decida di tornare a casa in questo preciso istante!”, annunciai, scoprendo finalmente i suoi occhi.
Lui sfruttò la vicinanza delle mie mani al suo viso per bloccarmi per i polsi.
“Si, ne ero sicuro. Teresa, la mia migliore amante!” , commentò con aria soddisfatta.
Tentai di svincolarmi dalla sua presa e lui mi lasciò fare, poi gli tirai un leggero buffo sul capo.
“Eh si, del resto anche io sono molto impegnata! Facciamo in fretta! Tra mezz’ora ho appuntamento con Jonathan!”, esclamai, facendo riferimento a quel ragazzo che a suo avviso ci provava con me.
Lui sorrise forzato, trascinandomi sulla panchina accanto a lui, facendomi sedere al suo fianco.
“Che ne diresti se dessimo buca a Jonathan e Teresa?”, mi chiese con tono malizioso mentre avvicinava il suo volto al mio.
“Dico che ci sarebbero sempre Jennifer e Amber!”, borbottai aumentando leggermente le distanze.
“Potrebbero fare una cosa a quattro!”, propose ridendoci su.
“Ma che porco spiritoso che sei!”, mugugnai in tono scherzoso.
“Bimba viziata e altezzosa!”, controbatté, abbracciandomi.
“Sai, mi piaci davvero.”, aggiunse poco dopo guardandomi dritto negli occhi.
Sorrisi e lui ricambiò il mio sorriso.
“Sai, stranamente anche tu mi piaci, nonostante tu sia così… tu!”, dissi, facendo roteare gli occhi, completamente imbarazzata per quello che avevo appena detto.
Lui sorrise, scuotendo leggermente il capo, come rassegnato ma contento ed io in quel momento ero felice, davvero felice. 

20 novembre 2011

Ciò che accadde quella domenica mi lasciò completamente traumatizzata e spaventata. Seppur in alcuni casi mi incolpai persino di aver esagerato, lavorando troppo con la fantasia, in altri sembrava che qualcuno si stesse prendendo gioco di me, architettando scherzi di cattivo gusto che prendevano vita sotto forma di strane coincidenze.
Come quando al centro commerciale fummo bloccate dalla commessa del vestito di abiti da sposa che voleva costringermi a provare l’ultimo arrivo della loro famosa e acclamata boutique.
Alice, ovviamente, scoppiò a ridere e divertita dall’assurdità della situazione fece credere alla commessa che davvero io fossi una futura sposa in cerca del suo abito nuziale accompagnata dalle tre fide amiche se durante la cerimonia avrebbero svolto il ruolo di damigelle d’onore.
Iniziò anche ad adularla, facendo sarcastici commenti sulla sua capacità di scovare tra le centinaia di donne che si trovavano lì, soltanto le future spose.
Così, seguita da una divertita Arianna e un’imbarazzata Camilla, fui costretta ad entrare nel negozio e provare quello stupidissimo abito. Quando Cam tirò su la cerniera, per poi farmi voltare in direzione del grande specchio, per poco non mi venne un infarto.
Io, Noemi Acrirubi, con indosso un bellissimo abito bianco.
Sbattei le palpebre, sperando che quando le avessi riaperte mi sarei rivista con camicia, pantaloni e tacchi, come ero solita vestire, ma nulla, l’incubo continuava.
Alice non smetteva di ridere e questo non faceva che irritarmi ancora di più.
“Questo vestito le sta davvero benissimo!”, dichiarò entusiasta la commessa. “Anche se non capisco proprio perché una giovane ragazza come lei voglia già sposarsi! Quanti anni ha? Venti? Ventitre? Non è ancora giovane? Ci pensi bene prima di compere un passo così importante!”, aggiunse poco dopo.
Sgranai gli occhi adirata.
“Sa cosa le dico? Ha perfettamente ragione! Io non voglio sposarmi!”, urlai furibonda, per poi chiudermi nuovamente nel camerino.
Mi cambiai, poi frettolosamente uscii dal negozio senza neppure salutare o ringraziare, seguita immediatamente dalle mie amiche.
“Dai Mi, non fare così! È stato divertente!”, disse Ali nel tentativo di tranquillizzarmi.
“Divertente un corno! Non è stato divertente Ali!”, controbattei.
Cam mi afferrò per un braccio facendomi sedere su una panchina lì vicino.
“Ehi, tranquilla! Era solo un passatempo! Non devi mica prenderla sul serio!”, aggiunse Cami, con voce pacata e serena, trasmettendomi immediatamente un po’ di tranquillità.
Aria mi sorrise, stringendomi una mano.
“E poi è ancora presto per parlare di matrimonio! Stai tranquilla!”, concluse Ari.
Sorrisi, del resto avevano ragione. Era stato solo uno stupido gioco.
Alzai lo sguardo, pronta per riprendere il pomeriggio di sano shopping e nuovamente rimasi traumatizzata da ciò che vidi.
Un negozio che vendeva tutto il necessario per i neonati.
Si, qualcuno mi stava perseguitando.
Cambiai immediatamente rotta. Probabilmente le miei amiche mi guardarono con occhi incuriositi ed incerti, non comprendendo il mio strano comportamento ma preferirono non fare domane ed io preferii non appurare nulla.
A passo svelto mi diressi verso la gelateria, bisognosa di un gelato al cioccolato. Presi posto ad un tavolino, poi raggiunta anche dalle altre e per la terza vola in poche ore rimasi completamente interdetta.
Una bella e allegra famigliola faceva mostra di sé perfettamente davanti ai miei occhi.
Il marito teneva un braccio intorno alla vita della moglie, mentre con l’altra sorreggeva un bel maschietto che si teneva ben stretto sulle spalle del papà. La  donna invece aveva tra le mani un passeggino, nel quale dormiva beata una bella bambina.
Puntai lo sguardo sul metallo del tavolo: quella non era davvero la mia giornata. 

24 novembre 2011

Avevo provato a seppellire tutti gli avvenimenti di domenica pomeriggio nella mia mente ed anche con un discreto successo, convincendomi che si era trattato solo di stupide coincidenze a cui io avevo voluto dare importanza.
Dunque non ci misi molto a scaricare tutta la colpa sulla mia facile impressionabilità.
Anche Ali, Cam e Aria preferirono non proferire più parola sull’accaduto e ciò mi fu di grande aiuto.
Il mercoledì successivo poi, decidemmo di andare al cinema per vedere un film, anche se non con molto entusiasmo. Infine quella mattina Fabio mi aveva chiesto nuovamente di uscire, così, presi cappotto e borsa mi precipitai frettolosamente fuori casa, già con venti minuti di ritardo.
Fabio era davanti casa mia ad aspettarmi.
“Ce l’hai fatta finalmente!”, disse con un sorriso stampato sul suo bellissimo viso.
Mi avvicinai a lui, stampandogli un dolce bacio sulla guancia.
“Allora dove mi porti?”, gli chiesi infilandomi il cappotto.
“Dove vuole principessa!”, rispose sarcasticamente.
“Come siamo smielati oggi! Quanto zucchero hai mangiato prima di venire qui?”, scherzai mentre lui mi prese la mano.
“Sai, è un po’ che penso a una cosa…”, disse attirandomi verso di se.
Lui intercettò il mio sguardo e ancora una volta ebbi la sensazione di perdermi nei suoi occhi azzurro cielo.
Non riuscii a dire nulla, ero talmente ipnotizzata sui suoi occhi e dal suo dolce tocco da non riuscire a pensare altro che a lui, alle sue labbra rosse e alla voglia che avevo di baciarle.
“Cosa?”, riuscii soltanto a sussurrare, ma alle mie orecchie sembrò più una preghiera volta a farlo continuare.
“Questo.”, disse semplicemente, prima di colmare del tutto la piccola distanza che ci divideva, facendo combaciare le sue labbra con le mie.
Al solo tocco dischiusi le labbra e incatenai le mie braccia intorno al suo collo, mentre potevo sentire il suo braccio circondarmi la vita e la sua mano accarezzarmi il viso.
Finalmente ci stavamo baciando ed era bellissimo, la cosa più bella, più dolce e più giusta che avessi mai fatto. Ero esattamente dove volevo e dovevo essere ed era tutto così perfetto.
Poi fu come un lampo.
Mi rividi con l’abito da sposa, con il pancione, mentre pulivo casa o preparavo la cena da brava mogliettina che aspetta il proprio marito. E rividi quel negozio per neonati e mi ci immaginai mentre compravo tutine e pappine dal colore nauseante. E pensai ai pannolini che emanavano cattivi odori per casa e mi vidi mentre ero costretta a cambiarli ad un capriccioso e piagnucoloso marmocchio che non voleva saperne di dormire. E pensai a quella famiglia perfetta. E lì, in quel preciso istante, mentre baciavo Fabio, ebbi paura.
Ebbi paura del fatto che forse quella sarebbe stata davvero la volta giusta, ebbi paura che finalmente sarei potuta riuscire ad amarlo con tutta me stessa.
Mi svincolai dalla sua dolce presa e allontanai il mio viso dal suo.
Sentivo i suoi occhi interrogativi fissi su di me, mentre cercava la mia mano con la sua. Indietreggiai di qualche passo per segnare la distanza, senza riuscire ad alzare il viso.
Tenevo lo sguardo chino verso i piedi, sicura che non sarei mai e poi mai riuscita a sostenere la sua espressione, sicuramente sorpresa, amareggiata e delusa.
“Non posso.”, mormorai prima di scappare via e fuggire, fuggire da lui e da quell’amore che seppur non cercato era riuscito a trovarmi, ma che io avevo appena rifiutato.
Stupida me, stupido Fabio e stupido amore.

---

Angolo Autrice

Buona Befana e, anche se un po' in ritardo, buon anno nuovo! ;-)
Come da tradizione, io stamattina ho avuto la mia calza colma di dolciumi di ogni tipo che (purtroppo...) non riesco a smettere di mangiare. T.T
Vabbé, mi scuso per la lunga attesa... Se devo essere sincera ancora mi aspetto qualche commento, però... Fatevi sentire, insomma! :P
Ringrazio comunque coloro che leggono e che inseriscono la storia tra i preferiti, le seguite e le ricordate. 

A presto,

                                                                                Astrea_

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Capitolo 9
*** Love is a bit like craziness ***


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-What A Lovely Life-

Capitolo 9: Love is a bit like craziness

CAMILLA’s pov
29 novembre 2011

Il martedì mattina era di certo la giornata scolastica che preferivo in assoluto, un concentrato di tutte le materie che trovavo interessanti e capaci di stimolare il mio intelletto, che culminava con l’ultima ora di inglese, la mia perfetta ciliegina sulla torta.
Al suono della campanella dell’ultima ora mi recai con un sorriso compiaciuto e soddisfatto dipinto sul volto nei pressi dello scalone principale, dove eravamo solite incontrarci prima di uscire definitivamente dall’edificio.
“Cam!”, mi chiamò Aria, mentre scendeva gli ultimi gradini, subito seguita da Ali, la cui espressione era palesemente turbata.
“Com’è andata oggi?”, mi chiese.
“Una giornata fantastica.”, risposi semplicemente, aggiungendo uno dei miei migliori sorrisi per confermare la tesi appena conferita.
“Bene, almeno tu non hai di che lamentarti!”, borbottò Alice, mostrando il suo cattivo, se non pessimo, umore.
“Cosa le è successo?”, chiesi ad Ari, evitando accuratamente di porre la domanda alla diretta interessata.
“Christian è venuto in classe nostra a ricreazione, voleva parlarle, lei ha accettato ed ha fatto tardi per il test di francese, così la prof le ha messo due sul registro.”, raccontò in modo molto succinto, a bassa voce, quasi come se non volesse farsi sentire da Alice, che sospirava svogliata ed annoiata alle nostre spalle.
“Dai, recupererai! Piuttosto, cosa ti ha detto Christian?”, le domandai, con la vana speranza di strapparle un sorriso.
“Che è un perfetto idiota?”, si intromise Noemi arrivando alle nostre spalle.
Probabilmente doveva aver sentito parte del discorso.
Negli ultimi giorni avevamo potuto notare come il suo umore, notevolmente cambiato, fosse direttamente collegato alla figura di Fabio. La sua improvvisa ed inaspettata completa assenza aveva generato un’aura negativa che circondava Mimi e della quale era impossibile sbarazzarsi. Lei, del resto, non parlava più di lui, non usciva più con lui, non lo vedeva più né per i corridoi né all’uscita di scuola. Ci aveva brevemente raccontato di ciò che era accaduto la settimana scorsa, ma inizialmente nessuna di noi aveva dato molta importanza a quell’incidente di percorso che invece ora si rivelava tanto fatale.
“Che gli manco e che vuole tornare con me.”, continuò Ali, ignorando completamente il commento poco carino di Noemi, totalmente disinteressata alla conversazione, come se il soggetto non ne fosse stato lei.
“E tu cosa gli hai detto?”, le chiesi.
“Che ho bisogno di un altro po’ di tempo.”, borbottò con tono insicuro facendo spallucce.
Scossi leggermente il capo, affranta.
“Ragazze, io vado a scambiare due chiacchiere con quel gruppo di ragazzi!”, dichiarò Mi, indicando una schiera di circa sei ragazzi che continuavano a guardare nella nostra direzione.
“E Fabio?”, le chiesi, sperando che questa semplice domanda potesse far scattare in lei quella scintilla che tardava ad accendersi, una scintilla che avrebbe potuto farla rinsavire.
“Non sono una tipa da storie serie.”, disse come per giustificarsi prima di salutarci e andare via, ma nei suoi occhi potei notare una vena di tristezza che lei aveva strategicamente preferito provare a celare.
D’istinto mi trovai a guardare verso l’alto e a far roteare gli occhi, poi raggiunsi Ali e Aria, le quali si erano già avviate verso il cancello.
“Ehi Cam!”, mi salutò Marco, piombandomi alle spalle, afferrandomi per i fianchi.
Sobbalzai per la sorpresa mista allo spavento, poi sorrisi.
“Salve ragazze!”, aggiunse poi rivolgendosi alle mie amiche.
“Ciao!”, lo salutai, subito imitata da Ali e Aria, poi gli scoccai un sonoro bacio sulla guancia.
Lui afferrò la mia mano, poi con un abile gesto face passare il braccio dietro le mie spalle.
“Che ne dici di andare a fare un giro?”, mi propose.
Lo guardai nei suoi profondi occhi verdi e sorrisi, entusiasta della proposta.
Ci pensai un attimo, ma fui colta da un impeto di razionalità l’esatto istante prima di accettare.
“Mi piacerebbe, ma devo tornare a casa.”, gli spiegai chiaramente dispiaciuta.
Storse lievemente il labbro.
“Ma si dai, chiamo mia madre e le dico che pranzo fuori!”, proposi, sorridendo.
Nei suoi occhi vidi quasi accendersi una luce, prima che potesse ricambiare il mio sorriso.
“Bene, allora andiamo!”

3 dicembre 2011

“Sai, di solito la gente non viene qui!”, commentò girandosi intorno.
“Si, di solito la gente lo trova noioso.”, aggiunsi, forse un po’ troppo rammaricata per come gli adolescenti avessero ripudiato in tal vile modo la lettura dei libri scritti nei secoli precedenti.
“Ma a me piace.”, confessai facendo spallucce, non riuscendo a trovare un motivo valido ed universalmente riconosciuto che potesse avvalere maggiormente ciò che avevo appena detto.
“Lo so e piace anche a me.”, sussurrò al mio orecchio, costringendomi ad indietreggiare per l’imprevista vicinanza.
Mi scontrai dolcemente con il primo dei tanti scaffali contenenti romanzi di autori italiani del Novecento, sezione che si affiancava a quella dei libri dell’Ottocento, mentre le sue braccia mi circondavano come a volermi proteggere.
Quell’improvvisa ed equivocabile situazione mi trasse in un profondo imbarazzo, tant’è che sentii le guance farsi più calde, probabilmente per colpa del sangue che vi affluiva, donandole quel caratteristico colore rosso che si sposava con la mia carnagione chiara, effetto che tuttavia detestavo ardentemente.
Il mio cuore scalpitava, lo percepivo pulsare prepotentemente nel mio petto.
I miei occhi erano incatenati ai suoi, di un caratteristico verde speranza.
Per un attimo abbassai il volto, nel tentativo di riacquistare lucidità, e il mio sguardo finì sulla sezione dedicata ai classici della letteratura inglese dell’Ottocento, che si trovava sul lato opposto rispetto a quella che avevamo appena esaminato.
La mia attenzione cadde involontariamente sui libri firmati dalla Austen.
Sorrisi, svincolandomi dolcemente dalla presa e mi avvicinai a quei libri, posti al secondo ripiano.
Con il dito scorsi velocemente sui diversi volumi, poi mi fermai su uno e lo estrassi.
“Dovresti leggere questo.”, dissi, indicandogli Orgoglio e Pregiudizio, capolavoro della scrittrice inglese Jane Austen.
Marco mi aveva seguita, fermandosi a pochi passi da me che ancora gli davo le spalle. Prese il libro, sfiorando impercettibilmente la mia mano. Quel leggero contatto mi provocò un brivido che veloce percorse tutta la schiena. Poi tentò di ripristinare la posizione in cui ci eravamo ritrovati prima circondandomi con le braccia in modo tale da tenermi bloccata tra il suo corpo e lo scaffale.
Mi voltai verso di lui, trovandomi con le labbra a poche spanne dalle sue.
Ebbi un leggero sussulto e lui parve accorgersene.
“Orgoglio e Pregiudizio, il cui protagonista maschile, il misterioso e affascinante Mr. Darcy ha mietuto milioni di vittime tra le adolescenti di tutto il mondo, facendole innamorare perdutamente del prototipo dell’uomo perfetto. Credi davvero che non abbia letto un capolavoro come quello?”, chiese stuzzicandomi, mentre agitava lievemente il libro tra la mano.
Sentivo il suo dolce respiro sul mio collo.
Sorrisi. Forse l’avevo sottovalutato.
“Magari potrei rileggerlo ancora una volta.”, aggiunse poi, avvicinandosi ancora di più alle mie labbra.
In quell’istante ebbi l’assoluta certezza di ciò che stava per succedere: le labbra di Marco stavano per unirsi alle mie.
Presi un respiro profondo e cercai di racimolare tutte le mie forze, oltre che quel po’ di raziocinio sul quale ancora potevo contare, e lo scostai lievemente.
“No”, sussurrai.
Marco indietreggiò, fino a lasciarmi completamente libera da quella presa.
“Scusami.”, mormorò imbarazzato e probabilmente anche affranto per il rifiuto che aveva appena ricevuto.
Calai lo sguardo verso il basso.
“Scusami tu… è che”, iniziai, nel tentativo di fornirgli una valida giustificazione al mio comportamento.
“Non devi dire nulla.”, disse, mettendomi a tacere.
“No, invece devo dirti tutto!”, controbattei iniziando a muovere freneticamente qualche passo tra le file di scaffali.
“Io voglio baciarti, davvero, e voglio anche stare con te, ma…”, continuai ad un passo dai tavolini che erano stati posti sul fondo della parete per favorire la lettura dei milioni di volumi custoditi in quella biblioteca.
Marco si avvicinò a me, poggiando le mani sulle mie spalle, impedendomi di poterlo guardare direttamente negli occhi.
“Ho paura”, sussurrai.
La sua presa si fece più forte, come se con quel semplice contatto volesse trasmettermi la sua presenza e la sua sicurezza.
Deglutii e presi posto sulla sedia di legno scuro che affiancava il tavolino.
Marco, ancora una volta in completo silenzio, mi imitò, sedendosi sul lato opposto al mio, poi finalmente mi guardò negli occhi.
Non sembrava turbato, né dispiaciuto, arrabbiato o timoroso. Gli accennai un sorriso, poi presi un profondo respiro.
“Io non sono vergine”, confessai tutto d’un fiato prima di raccontargli come la mia vita si fosse stravolta in soli due mesi e per la prima volta non provai né vergogna, né paura.


9 dicembre 2011

Mi precipitai frettolosamente fuori dall’autobus, rabbrividendo per lo sbalzo di temperatura. Quella mattina l’aria era gelida e un freddo e tagliente vento contribuiva a rendere il clima ancora più rigido. Mi strinsi nel cappotto e feci rotta verso la pista di pattinaggio. Quell’anno la festività dell’immacolata era caduta di venerdì, ragion per cui ci era stato concesso di anticipare il fine settimana annullando le lezioni del sabato, notizia che subito aveva fatto breccia negli scalpitanti cuori degli studenti. Per approfittare meglio di quella fortunata coincidenza, Aria aveva proposto di trascorrere la mattinata alla pista di ghiaccio, allestita per le imminenti festività natalizie.
Ecco perché in quel preciso istante mi trovai a salutare Aria e Mimi che già facevano la fila per ottenere i tanto agognati pass.
Poco dopo arrivò anche Ali, facendo il suo trionfale ingresso a cavallo della moto guidata dal fratello, la quale si fermò a pochi metri di distanza da noi. Alice salutò Luca con un cenno della mano, il quale, senza degnarci neppure di uno sguardo, ripartì con forte rombo.
“Salve ragazze!”, ci disse una volta che ci ebbe raggiunte.
Io e Noemi ricambiammo immediatamente il saluto, mentre potei notare gli occhi di Aria posarsi sulla moto che riprendeva velocità fino a sparire dietro l’angolo alla fine della strada. Sospirò lievemente, poi tornò con lo sguardo su di noi, palesemente decisa a concentrare tutti i suoi pensieri sulle sue amiche e sulla pista che di lì a poco avremmo dovuto affrontare.
“Ehm”, mugugnai con l’intento di attirare l’attenzione, cosicché tutte si voltarono nella mia direzione.
“Devo dirvi una cosa.”, confessai con tono neutrale per non lasciar trapelare nulla.
Proprio in quell’istante, come se fosse stato programmato o come se si trattasse di uno scherzo del destino, arrivò Marco.
“Ecco, ho chiamato anche lui.”, spiegai.
Gli sguardi delle mie amiche si confondevano tra diverse reazioni, tra cui colsi principalmente malizia, sorpresa, soddisfazione e felicità.
Marco salutò tutte, poi mi lasciò un leggero bacio sulla guancia.
Aspettammo ancora per qualche minuto che ci fossero consegnati i pass, poi, una volta ottenuti, Marco mi prese per mano e mi trascinò letteralmente sulla pista.
“Vediamo quello che sai fare!”, mi disse in tono di sfida.
Sorrisi con un piccolo ghigno beffardo disegnato sul viso ed iniziai a pattinare, aumentando costantemente la velocità.
Evidentemente non sapeva ancora con chi aveva a che fare.
Lui mi seguiva apparentemente senza alcun problema e fu proprio per questo che decisi di rendere il gioco più difficoltoso.
Inserii dei giri e degli improvvisi cambi di direzione e, se dapprima Marco seppe tenermi testa, alla fine si ritrovò con il sedere sul freddo e bagnato ghiaccio.
D’istinto scoppiai a ridere, decelerando per potermi avvicinare a lui.
La sua faccia era dolorante, continuava a massaggiarsi il punto indolenzito con la mano, mentre corrugava il naso e arricciava gli occhi e le labbra.
Mi chinai su di lui.
“Ti sei fatto male?”, gli chiesi con voce preoccupata.
“Di certo non mi sono fatto bene.”, rispose ironicamente come un bambino capriccioso che vuole essere coccolato.
Sorrisi e solo allora mi accorsi di quanto vicini fossero i nostri volti. Per un istante mi persi nei suoi occhi e lui nei miei.
Gli offrii le mani come leva per alzarsi e lui non esitò ad afferrarle.
Quel semplice contatto aveva contribuito a diminuire ancora di più le distanze tra i nostri corpi.
Ci trovavamo in un angolo della pista di ghiaccio, con una canzone alla quale, almeno personalmente, non prestavo attenzione che ci faceva da sottofondo musicale, mano nella mano e le sue labbra erano come una calamita per me.
La sua pelle chiara era messa in risalto dal rosso dei sui capelli e delle sue labbra, mentre i suoi occhi verdi mi perforavano tutta, anima e corpo.
Respirai profondamente, ben conscia di quello che stavo per dire o, peggio, fare.
“Marco, io…”, iniziai, ma prontamente lui mi interruppe.
“Shhh”, sussurrò.
“Ora ascolta me, poi ti prometto che ti lascerò dire tutto ciò che vorrai e che ti ascolterò.”, mi disse mantenendo un tono di voce basso, il che contribuiva a creare un’atmosfera ancora più intima e romantica.
“È da un po’ che volevo parlarti e nonostante abbia provato questo discorso ore ed ore davanti allo specchio, ora non mi ricordo una sola parola di quelle bellissime parole che avevo preparato per l’occasione. Lo so, starai pensando che è patetico dirti questi dettagli, oltre che tremendamente imbarazzante da parte mia dire tutte queste cose ad alta voce, ma ti prego, non interrompermi proprio adesso che ho trovato il coraggio, anche se io lo definirei masochismo, per, per… .”, si fermò un attimo, accennando ad un lieve sorriso impacciato.
Aumentò leggermente la presa sulle mie mani, come a voler aumentare o solidificare il contatto, poi tornò a guardarmi negli occhi.
“Sono innamorato.”, confessò tutto d’un fiato.
“Sono innamorato del modo in cui sposti i capelli quando ti cadono sul volto, del modo in cui fissi le persone per carpirne informazioni, del modo in cui ti soffermi a guardare un libro, sognando, immaginando. E poi sono innamorato del rossore sulle tue guance che prende vita ogni volta che sei in imbarazzo, ecco, proprio come adesso. E sono innamorato del modo in cui ingegnosamente sei riuscita a farmi cadere oggi sul ghiaccio. Sono innamorato della tua reazione ogni volta che mi avvicino e persino della tua odiosa razionalità e puntualità, ma soprattutto sono innamorato di te.”, disse fermandosi un attimo per riprendere fiato.
“E non importa se tutto ciò potrà sembrarti patetico, perché per me non lo è, non lo è affatto.”, aggiunse poco dopo.
“Quindi ora hai solo due possibilità: o scappi da questo pazzo lasciandolo così, impalato nel bel mezzo della pista e credo proprio che in tal caso qualcuno dovrà aiutarmi a uscire di qui sano e salvo perché mi sono davvero fatto male, oppure… Oppure questo pazzo potrebbe strapparti un sì, ma per farlo il tuo fattore di pazzia dovrebbe ricevere un rapido ed ingente incremento, altrimenti non vedo proprio come tu possa accettare. Quindi la domanda che ora ti pongo, che probabilmente ti sembrerà uscita direttamente da un telefilm americano, ma alle critiche ci penseremo poi, è: quanto ci tieni a diventare pazza?”, mi chiese ultimando il lungo sproloquio.
Le sue mani erano ancora incatenate alle mie,ma i suoi muscoli erano tesi, il suo respiro era più veloce del solito ed i suoi occhi mi fissavano con amore e speranza.
Il mio cuore pulsava forte nel mio petto e per un attimo ebbi la sensazione che potesse uscirne.
Sorrisi guardando Marco: era tutto ciò che avevo sempre sognato.
“Sono talmente pazza che mi avevi convinta già all’ora ascolta me”, confessai.
“E sono talmente pazza da non riuscire a fare a meno di te, perché si, sono innamorata di un pazzo.”, aggiunsi con la voce commossa per l’emozione.
Lui svincolò una mano dalla presa, poi la poggiò sulla mia fronte, spostando una ciocca di capelli.
Sorrideva ed i suoi occhi erano luminosi, felici, brillavano.
Si avvicinò lentamente alle mie labbra, poi finalmente mi baciò.
In quel bacio riscoprii tutta la dolcezza e la tenerezza dell’amore, dell’amore vero che per anni avevo aspettato e che aveva finito con il sorprendermi all’improvviso. Da degli appuntamenti e poi viene quando gli pare, diceva Liga, ed il mio era appena arrivato.
Mi allontanai leggermente dalle sue labbra, il necessario per poterlo guardare nuovamente negli occhi e sorrisi e lui sorrise con me, del nostro amore, del nostro noi.
Poi decise di colmare nuovamente le distanze facendo combaciare perfettamente le nostre labbra. Fece scivolare le sue braccia lungo i miei fianchi, mentre io incatenai le mie mani intorno al suo collo e con le dita giocherellavo con i suoi soffici capelli rossi. Fu in quell’istante che alzai il piede destro e sorrisi, sorrisi mentre baciavo Marco.
Si, avevo avuto la mia romantica dichiarazione.
Si, avevo avuto il mio favoloso bacio.
Si, avevo avuto il mio perfetto principe azzurro.
Si, c’era Marco ora con me.

---

Angolo Autrice
Sì, lo so, è passato praticamente un secolo dall'ultimo mio ggiornamento e, sì, vi chiedo immensamente scusa.
La prossima volta cercherò di essere un po' meno in ritardo XD
Allora, vi è piaciuto questo capitolo? Su, fatemelo sapere! 

Alla prossima!
                              
                                                                                                                                                      Astrea_

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Capitolo 10
*** When end is another way to say beginning ***


Cap 10

WALL

-What A Lovely Life-

Capitolo 10: When end is another way to say beginning

ALICE’s pov
14 dicembre 2011

Uscii velocemente di casa e mi fiondai davanti all’ascensore.
Distrattamente premetti il bottone che consentiva di chiamarlo, poi controllai frettolosamente l’orologio: ero in perfetto orario.
Quel mercoledì pomeriggio, infatti, come da consuetudine io e le mie amiche ci saremmo dovute incontrare.
Avevamo deciso di fare un giro in centro, entusiaste come non mai di poter osservare le vetrine dei negozi già addobbate per le festività natalizie. L’appuntamento era dunque alla fine del corso, nella piazza principale della città.
Con il piede ticchettai sul pavimento del pianerottolo per ingannare l’attesa, poi finalmente le porte dell’ascensore si aprirono.
D’istinto mi feci avanti per potervi entrare, ignorando completamente la presenza della persona che invece doveva uscirvi, così da scontrarmi con Guido, il mio nuovo vicino di casa.
Immediatamente indietreggiai, puntando lo sguardo verso il basso, completamente imbarazzata per la situazione che si era creata.
“Scusa.”, biascicai alzando il volto.
Lui sembrava divertito a giudicare dal ghigno beffardo disegnato sulle sue labbra.
Involontariamente il mio sguardo si posò su di lui, facendogli una veloce analisi.
La mano destra era nascosta nelle tasche dei pantaloni neri, mentre la sinistra reggeva il casco, probabilmente del motorino o della moto. Indossava una felpa grigia, con degli strani disegnini che la coloravano. I suoi capelli erano come scombinati dal vento, segno che probabilmente il casco non era stato utilizzato nella corsa. I suoi splendidi occhi grigio opaco erano ancora puntati su di me. Sorrisi imbarazzata da quel contatto visivo.
“Tranquilla, non mi è dispiaciuto affatto.”, rispose con l’aria di presuntuoso, arrogante, saccente e altezzoso ragazzino.
Lo puntai con sguardo truce, mettendomi di lato in modo tale da consentirgli di poter uscire dall’ascensore senza alcun rischio di contatto fisico con la sottoscritta.
Lui recepì il messaggio e si avviò verso il suo portone.
Sospirai come sollevata e con un soddisfatto sorriso sulle labbra accennai a entrare nell’ascensore, ma fui bloccata dalle sue parole.
“Hai da fare adesso?”, mi chiese.
D’istinto la sua voce, dolce e strafottente allo stesso tempo, oltre che smisuratamente sexy e misteriosa, mi costrinse a girarmi, svelandomi nuovamente la sua figura, già voltata nella mia direzione.
“Sto uscendo.”, risposi con ovvietà.
“Ti va un giro in moto?”, domandò con un accenno di sorriso.
Non risposi, ma continuavo a tenere i miei occhi fissi nei suoi.
Sentivo l’adrenalina scorrere nelle mie vene ed il cuore scalpitare forte.
Probabilmente accettare sarebbe stato sbagliato, inopportuno, la peggior decisone che avessi mai potuto prendere in quella precisa e complicata situazione sentimentale, ma rifiutare sarebbe stata una bugia, una grande, grossa bugia, un tradimento a me stessa e alle emozioni che sentivo in quel momento.
Lui non attese oltre.
Mi sorrise malizioso, si diresse con passo sicuro verso di me, mi prese per mano e mi scaraventò insieme a lui nell’ascensore.
Non ebbi neppure il tempo di realizzare ciò che accadde.
In pochi secondi mi trovi a cavallo della sua moto, con un casco nero in testa, inebriata dal profumo, il suo profumo, e le braccia avvinghiate intorno alla sua vita, pronti a partire.
Diede subito gas, aumentando velocità
La sua guida non era sicura come quella di mio fratello, no, la sua al contrario, poteva essere definita spericolata. Lo sentivo sfrecciare sul grigio dell’asfalto e percepivo la sua puerile soddisfazione nel sentire il vento che gli accarezzava ferocemente la pelle.
Svoltò improvvisamente e mi avvinghiai ancora di più alla sua schiena.
Mi sorpresi del piacevole imbarazzo che quel maggiore contatto fece scaturire in me.
Da quanto tempo conoscevo Guido? Due mesi? E quanto bene lo conoscevo? A dir il vero non lo conoscevo per nulla.
Eppure nonostante il suo stile di guida, nonostante le poche informazioni che sapevo sul suo conto, mi sentivo perfettamente al sicuro su quella moto, perfettamente al sicuro con lui.
Di rado provai ad aprire gli occhi per capire dove fossimo diretti.
Gli edifici si facevano sempre più bassi ed isolati l’uno dall’altro, segno che stavamo abbandonando la città, mentre la vegetazione subiva un costante incremento.
Riconobbi la strada poco trafficata che imboccammo, era quella che portava verso le montagne a nord.
Poco dopo, Guido accostò in uno spiazzo adibito a belvedere.
Forse era tempo di conoscere meglio il misterioso ragazzo.
Scese dalla moto, aiutando poi anche me.
Togliemmo i caschi, lasciandoli nel bauletto, poi ci avvicinammo alla staccionata che dava sullo scosceso pendio.
“Allora, mi dirai mai qualcosa di te?”, gli chiesi in modo semplice e diretto.
“Mi hai mai chiesto qualcosa?”, controbatté lui, ma la sua voce non era sarcastica o affranta.
Per qualche secondo rimanemmo in silenzio, poi mi decisi nuovamente a tentare di rompere il ghiaccio.
“Tu e mio fratello siete diventati proprio amici, eh?”, iniziai, riferendomi alle loro continue uscite e ai pomeriggi che passavano l’uno a casa dell’altro, ovviamente evitandomi nel modo più accurato possibile.
Lui sorrise lievemente.
“Siamo compagni di classe”, spiegò.
“E?”, domandai per farlo proseguire.
Avevo voglia di ascoltarlo, di conoscerlo.
“E cosa?”, mi chiese spiazzato e dubbioso.
“Ti sei trasferito, no?”, gli feci notare quel suo particolare della sua vita che avrebbe potuto facilmente prendere come spunto.
“Si, da Torino.”, confermò senza sbilanciarsi oltre.
Annuii e questa volta non feci altre domande.
“E tu? Che ci fai qui con un quasi sconosciuto amico di tuo fratello?”, mi chiese poco dopo, interrompendo il silenzio che si era calato tra noi.
“La stessa cosa che tu stai facendo con una quasi sconosciuta sorella del tuo amico.”, commentai facendo spallucce, soddisfatta della mia risposta.
Lui sorrise con un ghigno disegnato sul viso.
“I miei hanno divorziato. Mia madre ha un altro, mio padre due mesi fa ha chiesto il trasferimento in una qualsiasi altra città e questa è stata la prima meta disponibile. Abbiamo fatto le valige ed abbiamo comprato casa. Aveva bisogno di cambiare aria e io non potevo lasciarlo da solo. Fine della storia. Ora tocca a te.”, disse.
Nel breve racconto avevo potuto notare i suoi occhi tingersi di un velo di tristezza, probabilmente dovuta al dolore e alla sofferenza che questi eventi gli avevano procurato.
Con un abile conclusione del discorso, fece ricadere l’attenzione su di me.
“Ho appena dato buca alle mie amiche perché non sono riuscita a dirti di no.”, confessai, accennando ad un mezzo sorriso, immediatamente ricambiato dal suo.
“Le tue amiche saranno arrabbiate con me allora.”, ipotizzò avvicinandosi con passo lento ma sicuro.
“Probabile.”, commentai immaginando le mille teorie che stavano sviluppano riguardo alla mia assenza.
Guido si fermò a poche spanne di distanza da me.
“E il tuo ragazzo cosa dirà quando gli racconterai che hai passato il pomeriggio con me?”, sussurrò sul mio orecchio.
Se voleva sedurmi ci stava riuscendo alla grande.
“Non ho un fidanzato”, annaspai, mentendo sul piccolo dettaglio ancora non concluso che costituiva Christian.
Il suo volto si fece ancora più vicino al mio, ormai potevo sentire il suo respiro.
“Meglio così allora.”
In quel momento il mio cuore perse un battito. Deglutii per cercare di riacquistare lucidità.
“Noi…”, iniziai seppur contro la mia volontà per allentare l’ormai palpabile tensione.
Non mi diede neppure il tempo di continuare il mio buono proposito che mi mise a tacere con un favoloso, appassionato, dolce bacio.
Christian. Il suo volto mi balenò in testa e mi sentii profondamente in colpa per quello che stavo facendo, seppur mi sentivo completamente attratta da Guido.
“No… non posso… non ora. E poi non voglio neppure darti la soddisfazione di baciarmi ad una sottospecie di primo appuntamento, anche se forse avrei dovuto pensarci prima.”, mormorai insicura allontanandomi dalle sue labbra.
Indietreggiai di qualche passo e provai a sorridere, per smorzare la tensione e l’imbarazzo che si era appena creato.
“Allora, quante ragazze hai portato qui per baciarle?”, gli chiesi, sedendomi a gambe incrociate a qualche passo dalla sua moto.

Lui mi guardò sbigottito, poi fece qualche passo nella mia direzione e si accovacciò sull’asfalto di fronte a me. Mi sorrise beffardo ed iniziò a parlare, raccontandomi di lui, della sua vita e per me fu come averlo conosciuto da sempre.


18 dicembre 2011


Luca parcheggiò l’auto nel posto macchina che ci era stato assegnato nel cortile del palazzo, a poche metri dall’entrata principale. Scesi dalla macchina, ancora con il sorriso soddisfatto e compiaciuto stampato in faccia da tifosa sfegatata quale ero e mi avviai verso l’ingresso. Luca aveva appena vinto un’altra partita di calcio, tuttavia questa volta non aveva segnato alcun goal, ma non era questo a preoccuparmi. Seppure i suoi compagni avessero provato a rianimarlo in tutti i modi possibili ed immaginabili per poter mettere in atto un perfetto gioco di squadra, il suo sguardo, alla continua ricerca di qualcosa, o forse qualcuno, era rimasto completamente, totalmente spento, sintomo del suo umore tetro. Solo quando arrivai nei pressi delle scale situate nell’atrio, notai la presenza di Chris, appollaiato su dei gradini. Accelerai, non volendo ancora parlare con lui. Lui si alzò di scatto e mi afferrò per il polso, costringendomi a voltarmi. Lo guardai bene. Aveva l’aria trasandata di chi ha dormito poco e male.
“Adesso te la fai con gli amichetti di tuo fratello?”, mi chiese in tono accusatorio, riferendosi palesemente a Guido.
Negli ultimi giorni ci eravamo visti assiduamente ed eravamo anche usciti spesso, ragion per cui non mi fu difficile immaginare che ci avesse visti.
“Non credo siano affari che ti riguardano.”, obiettai stizzita ed innervosita dal suo atteggiamento.
“Sbaglio o io e te ancora non ci siamo lasciati?”, mi chiese in tono retorico.
“Cosa vuoi da me, Chris?”, domandai nel tentativo di centrare subito il bersaglio della conversazione.
“Mettiamoci una pietra sopra, sono disposto a dimenticare.”, propose accennando ad un mezzo sorriso.
Sospirai svincolandomi dalla sua presa.
“Io no.”, confessai in un sussurro. “Chris, mi dispiace…” iniziai, ma lui mi interruppe.
“Cosa? Cosa ti dispiace? Che lui abbia una moto e io no? Che lui giochi a fare il misterioso mentre di me sai tutto? Che lui abbia i capelli scompigliati e l’aria da cattivo ragazzo? Cosa? Voglio sapere cosa! È la trasgressione che ti attira?? Dimmi cosa diamine!”, urlò gesticolando freneticamente.
Luca, che fino ad allora era rimasto fuori per lasciarci parlare in tranquillità, si parò davanti a me, forse spaventato dal tono di voce di Chris. Lo scansai, certa che non mi avrebbe mai potuta fare del male e certa anche del fatto che non volessi intermediari.
“No Chris, mi dispiace non poter più ricambiare questo sentimento e no, non cerco trasgressione, solo amore che sia capace di stravolgermi e di rassicurarmi al contempo.”, spiegai con calma, cercano di non ferirlo ulteriormente.
“Il mio non era abbastanza?”, chiese stringendo la mano destra in un pugno.
“Chris…”, accennai.
“Smettila di ripetere il mio nome e rispondi!”, mi intimò alzando la voce.
“Non più.”, confessai, poi abbassai il capo, dispiaciuta.
“Quindi è finita? E non provare a dire che ti dispiace…”, mi chiese in un sussurro.

“Sì, è finita.”, sospirai guardandolo dritto negli occhi.

21 dicembre 2011


“Scopa!”, esclamai trionfante ritirando le carte dal tavolo con un sorriso vittorioso stampato in faccia.  

Aria sbuffò, rassegnata, mentre Noemi esultò per il punto appena conquistato. Cami semplicemente sorrise, troppo intenta a lasciarsi distrarre da Marco.
Quello era l’ultimo giorno di scuola prima delle festività natalizia, quindi seppur la presenza fosse obbligatoria, le lezioni erano state sospese previa autorizzazione del preside per svolgere l’assemblea d’istituto, ciò equivaleva a dire torneo clandestino di scopa.
Terminammo la nona partita della giornata pochi minuti dopo, conquistando un’altra favolosa vittoria. Decidemmo di mettere via le carte, ormai stufe di quel gioco.
Noemi si allontanò alla ricerca di un certo Roberto, ragazzo con il quale aveva cominciato ad uscire da qualche giorno. Cam e Marco decisero, invece, di fare un giro in cortile.
“Ehi!”, mi salutò Guido lasciandomi un bacio sull’angolo delle labbra.
Sorrisi. Aria, in evidente imbarazzo, decise di tagliare la corda, adducendo una non assolutamente valida scusa.
“Allora, sei brava a scopa?”, mi chiese con un sorriso beffardo e uno sguardo malizioso, mentre prendeva posto sulla sedia di fronte alla mia, ma con il busto rivolto verso lo schienale e posò su questo gli avambracci.
“Ma bravo, potremmo eleggerti re dei doppi sensi.”, scherzai.
Incrociai il suo sguardo, improvvisamente fattosi serio e mi ricomposi.
Si passò una mano tra i capelli, come pensieroso, poi prese un bel respiro.
“Non sono bravo in queste cose…”, iniziò.
Lo squadrai. Con il piede destro tamburellava con cadenza costante sul pallido pavimento dell’aula. Le sue mani fluttuavano nell’aria, come se volessero aiutarlo ad esprimersi. Sulla sua fronte si era disegnata une leggera piega, mentre i suoi occhi erano puntati nei miei. Sorrisi: non avevo bisogno che continuasse con quella tortura.
“Sai, credo che tu sia il peggior pilota di moto, il peggior vicino di casa oltre che il peggior approfittatore, il peggior finto cattivo ragazzo e l’ultima persona a cui chiederei mai del sale, ma contro ogni logica tu mi piaci.  Quindi credo che potremmo frequentarci, insomma, conoscerci meglio, provarci, io e te insieme. Tutto qui.”, confessai facendo spallucce.
Lui sorrise, sollevato.
“Non posso crederci, hai fatto tutto tu.”, disse con un ghigno beffardo avvicinandosi al mio viso, ormai solo a poche spanne da me.
“Si, bene, bene, ma io direi di procedere con calma.”, puntualizzai retrocedendo di qualche centimetro.
Mi guardò con un ghigno dipinto sulle labbra.
“Hai intenzione di andarci davvero per le lunghe?”, mi chiese con tono malizioso.
“Credo che per oggi potremmo fare un’eccezione.”, mi lasciai scappare, assuefatta dal suo sguardo, dal suo odore, da lui.
Lui mi guardò ancora per un istante, poi mi lasciò un leggero bacio a stampo sulle labbra.
Rimasi completamente sorpresa dal gesto inaspettato.
Strizzai gli occhi, mentre lo vedevo crogiolarsi in una soddisfatta risata: mi stava provocando.
Forse avremmo potuto anche accelerare un po’ i tempi, pensai, prima di convincermene ciecamente.
“Bene, credo che ora tu possa baciarmi seriamente.”, lo informai con finto tono saccente, mettendo fine alle mie riflessioni.
“Ma non dovevamo procedere con calma?”, mi chiese facendomi l’imitazione.
“Stiamo procedendo con calma! Sono già passati sette minuti!”, dissi indicando l’orologio.
Lui sorrise.
“Mettiamo subito le cose in chiaro: non mi farò mettere i piedi in testa da te.”, dichiarò prima i colmare del tutto le distanze con un vero bacio.
“Vedremo.”, mormorai tra un bacio e l’altro.
“Vedremo.”, ripeté lui sulle mie labbra.

---

Angolo Autrice
Salve a tutti! Che dire, ormai samo agli sgoccioli, manca davvero poco alla fne...
spero che il capitolo sia di vostro gradimento! Presto posterò anche dei missing moments, giusto per non far mancare nulla!
ringrazo tutti coloro che silenzosamente continuano a seguire e  leggere la storia, a presto.
 
                                                                                                              Astrea_

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Capitolo 11
*** Change of plans ***


Cap 11

WALL

-What A Lovely Life-


Capitolo 11: Change of plans

NOEMI’s pov
25 dicembre 2011

Natale.
Mi lasciai cadere di peso sul divano, non curandomi dei numerosi parenti che erano accorsi per il pranzo a casa.  I miei genitori avevano iniziato i preparativi due giorni prima e nonostante ciò non avevano fatto altro che cucinare per tutta la mattina, insieme.
 Voltai lo sguardo sul resto della famiglia ora riunita in soggiorno per la tradizionale apertura dei regali.
Mia zia, sorridente e radiosa, era stretta dalle braccia salde e forti di mio zio. La nonna, invece, stringeva teneramente la mano del nonno, seduto al suo fianco. Il fratello di mia madre aveva appoggiato il braccio sinistro sul cammino, mentre con il destro circondava le spalle della moglie. Persino mio cugino si era presentato con la fidanzata ed ora sedevano felicemente abbracciati sulla poltrona.
Pensai a Fabio e a come sarebbe stato averlo lì in quel momento, poi spontaneamente sorrisi.
Sarebbe piaciuto a tutti, ai miei genitori, ai miei nonni, ai miei zii, ai miei cugini ma soprattutto a me.
Scossi lievemente il capo e mi concentrai sull’apertura dei regali. Ad iniziare fu Margherita, la mia cuginetta di soli quattro anni, poi mano a mano tutti scartammo i pacchetti.
Invidiai le facce serene e piene d’amore dei miei genitori e per un attimo provai ad immaginare la mia vita tra vent’anni.
Dapprima non vidi nulla, poi l’immagine di Fabio mi balzò nuovamente. Sbattei le palpebre frettolosamente.
Dovevo assolutamente dimenticarlo.
Nel tardo pomeriggio Aria, Cam e Ali vennero a casa mia, per passare insieme la serata di Natale e per poterci finalmente scambiare i regali che avevamo comprato con settimane d’anticipo e meditata ricerca.
“È favoloso!”, esclamai aprendo l’ultimo pacchetto.
“Sì, lo so, è il mio regalo!”, commentò Aria, facendo spallucce e celando un sorriso.
“Bene, ora che ne dite di mangiare qualcosa?”, propose Cam, agitando la mano all’altezza dello stomaco.
“Sandwich o creapes?”, chiesi.
“Io direi entrambi, la serata è lunga e la fame è molta!”, sghignazzò Ali.
Sorrisi e mi recai in cucina, pochi minuti dopo ero già in camera con due vassoi pieni della nostra cena.
“Allora, come va con Marco?”, chiese Aria con un ampio sorriso sulle labbra.
“È fantastico, premuroso, gentile, dolce, romantico, affettuoso… Perfetto!”, concluse Cami con gli occhi sognanti.
“Attenta alle carie! Con tutta questo zucchero sfido chiunque a non preoccuparsene!”, scherzò Aria, di certo la più fredda di noi.
“Ali, invece a te come va con il supersexy vicino di casa?”, spostando l’attenzione su quest’ultima.
“Boh, bene direi… anzi no, direi che è semplicemente tutto ciò che avevo sempre voluto, la metà che completa ed il bello è che non c’è mai da annoiarsi!”, trillò entusiasta.
“A quanto pare anche la nostra Mimi non si annoia mai!”, commentò Cam come se mi stesse rimproverando, ma forse era quello lo scopo, alludendo celatamente alle mie relazioni sentimentali.
“Ti riferisci a Roberto o a Giovanni?”, aggiunse Aria rincarando la dose, ma il suo tono era ben diverso, quasi scherzoso.
Abbassai lo sguardo non sapendo cosa dire, poi presi un respiro profondo e confessai ciò che da settimane provavo a dire ed ammettere senza risultati.
“Devo dimenticare una persona di cui credo di essermi innamorata.”, sussurrai con il volto calato verso il basso.
“Non sarebbe più facile viverlo, questo amore?”, mi chiese Ali poggiandomi una mano sulla spalla.
“Ho troppa paura per farlo.”


29 dicembre 2011


La festa di compleanno di Camilla era sempre stata la giusta occasione per incontrare gli amici nel periodo di vacanza, del resto il 29 dicembre era perfettamente interposto tra il Natale e il Capodanno.
Sorrisi, constatando una moltitudine di persone che invadeva la sala.
Cam abitava in una villetta in posizione abbastanza centrale, più piccola di quella di Aria, ma di certo molto più facile da raggiungere. La casa disponeva di una specie di seminterrato lasciato quasi sempre inutilizzato, eccezion fatta per le feste.
Un altro numeroso gruppo fece il suo ingresso scendendo dalle scalette.
Suo cugino, Davide, si divertiva a fare il dj, scegliendo i pezzi che gli altri già ballavano al centro della stanza, con le luci soffuse.
Notai Cam, la festeggiata, ballare con Marco. Poco distanti da loro Ali e Guido giocavano appassionatamente con il biliardino.
Mi avvicinai ad Arianna, la quale, seduta vicino al buffet, stava bevendo del succo d’arancia rossa.
“Siamo rimaste solo io e te.”, sospirai sedendomi accanto a lei.
Aria mi sorrise comprensiva.
“Dev’essere strano per te.”, commentò.
Si, era davvero molto strano ed era ancore più strano il fatto che non volessi assolutamente andare a ballare per conoscere altri ragazzi.
“Ciao Noemi, sei uno schianto stasera!”, mi salutò Luca, il fratello di Ali, avvicinandosi.
Notai lo sguardo di Aria farsi immediatamente più duro e rigido.
“Ciao mostriciattolo!”, esclamò poi rivolgendosi a lei.
Fece un breve sorriso forzato e arricciò il naso.
“Possibile che tu non abbia nulla di meglio da fare che venire qui? Dove sono tutte le ragazza che ti scopi?”, lo provocò Arianna con tono tagliente e studiatamente disgustato.
Luca, oltre che fratello di una delle mie migliori amiche, era molto apprezzato, se così si può dire, dalla popolazione femminile della scuola. Nei primi anni aveva preferito non far caso all’ascendente che esercitava su molte ragazze, dimostrandosi sempre piuttosto gentile, eccezion fatta per il caso Arianna. Crescendo invece, era diventato molto più menefreghista e ciò aveva contribuito enormemente a creare intorno a lui il mito del “bello e dannato”, o peggio ancora dello “stronzo al quale nessuna sa dire no”. A tutto ciò andava aggiunta un’aria da bravo ragazzo, un bellissimo sorriso beffardo, uno sguardo malizioso e seducente, la maglietta da capitano della squadra di calcio, una favolosa moto e un carattere molto complicato.
“Avevano da fare, così ho pensato che potresti sostituirle tu.”, rispose calmo con un sorriso smagliante dipinto sulle labbra.
Aria lo guardò con sguardo truce, senza degnarlo neppure di una risposta.
“Balliamo?”, le chiese poco dopo con voce maliziosamente seducente e impertinente.
“Credi che potrei mai accettare?”, replicò con aria di sufficienza.
“Non c’è una sola persona al mondo oltre me con la quale tu voglia ballare, qui e in questo momento. E poi, credi che io ti lascerei ballare con qualcun altro? Sarebbe troppo facile così.”, controbatté.
Sorrisi: non mi ero mai accorta di quanto carini fossero quei due insieme, seppur non facessero altro che punzecchiarsi. Alice, dopotutto, sembrava proprio avere ragione.
“Non farti troppi problemi, non ballerò e basta.”, concluse Aria stizzita.
“Allora ti farò compagnia qui.”, dichiarò sedendosi accanto a lei.
Aria sbuffò, innervosita.
“Ok, basta! Andiamo a ballare!”, sbottò alzandosi di colpo.
Luca sorrise soddisfatto, poi si spostarono verso il centro della sala e fu proprio mentre seguivo Aria con lo sguardo che notai Fabio.
Scattai sulla sedia, completamente sorpresa e spiazzata dalla sua presenza.
Tornai a fissarlo e notai una tipa con i capelli nero corvino liscissimi che gli si strusciava contro.
Fui colta da un inspiegabile moto d’ira, che si trasformò in una profonda fitta al cuore quando li vidi baciarsi appassionatamente.
Deglutii, probabilmente lui ci aveva messo poco a dimenticarmi o forse non aveva proprio nulla da dimenticare.
Una lacrima silenziosa e solitaria scese lungo il mio volto, rigandolo.
Lo guardai per l’ultima volta e i nostri occhi si incrociarono.
Lui rimase immobile per qualche secondo, mentre la mora continuava a muoversi sinuosamente intorno a lui, poi io mi voltai, interrompendo il breve contatto visivo.
Feci rotta verso le scale e iniziai a salire i primi gradini, quando fui trattenuta per un polso. Di scatto mi girai: Fabio, con i capelli biondi che gli ricadevano sulla fronte leggermente bagnati per il sudore e gli occhi azzurri fissi nei miei, mi stava trattenendo.
“Dobbiamo parlare.”, mi disse con tono serio.
“I fatti parlano da se.”, controbattei cercando inutilmente di svincolarmi.
“Sei tu quella che è scappata.”, mi fece notare lui.
“E tu quello che non ci ha messo molto a trovarne un’altra.”, lo accusai,
“Non mi sembra che tu sia stata da meno, e poi lo sai benissimo che non è lei che amo.”, si difese.
“Ma quella con la quale fai sesso.”, continuai al suo posto.
“Credi quello che vuoi Mi. Fino a quando non riuscirai ad accettare quello che provi tutto sarà inutile, persino tentare di farti ingelosire.”, commentò lasciando la presa.
Poi si voltò e senza aggiungere altro andò via.


1 gennaio 2012

Mi guardai allo specchio per l’ultima volta e presi un profondo respiro.
Sorrisi lievemente poi uscii di casa. Presi il mio motorino e mi immersi nelle strade poco trafficate di quella domenica pomeriggio.
Quella mattina, la mattina di Capodanno, ero giunta ad una nuova importante consapevolezza: non avrei più potuto fare a meno di Fabio. Non sapevo dire se lo amavo davvero o se mi piaceva soltanto, non ero brava con emozioni e sentimenti. Ma avevo l’assoluta certezza del fatto che volessi trascorrere con lui ogni attimo della mia vita d’ora in poi, così l’avevo chiamato per pregarlo di incontrarci il prima possibile ed ora mi stavo recando al parco proprio per vederlo.
Parcheggiai il mezzo poco distante dal laghetto del parco, poi mi avvicinai al luogo dove ci eravamo dati appuntamento: il chioschetto che ora era rigorosamente chiuso.
Mi sedetti sul muretto lì accanto ed iniziai ad aspettare, giocherellando nervosamente con le mani.
“Ciao.”, mi salutò Fabio con un cenno della mano, senza alcun sorriso sulle labbra.
Deglutii, l’inizio non era certo dei migliori.
“Ciao.”, ricambiai.
Lui si sedette accanto a me, mantenendo però una certa distanza.
“Allora, cosa volevi dirmi?”, mi chiese.
“Volevo dirti che avevi ragione.”, dissi tutto d’un fiato, imbarazzata dal discorso che stavamo per fare.
“Su cosa? Sul fatto che dobbiamo parlare o su quello che non vuoi ammettere ciò che provi?”, mi chiese quasi sarcasticamente.
“Entrambi.”, sussurrai con un filo di voce.
“Bene, facciamo passi in avanti.”, commentò ironico.
“Fabio, così non sei d’aiuto.”, mi lamentai mordendomi le labbra.
“Non era mia intenzione esserlo.”, mi fece notare con voce fredda e atona.
Sbuffai, completamente innervosita dal suo comportamento.
“Sai perché ti ho fatto venire qui?”, iniziai alzando la voce.
Non gli diedi neppure il tempo di rispondere che ripresi a parlare.
“Ti ho fatto venire qui perché finalmente avevo trovato il coraggio di dirti ciò che provo e non volevo aspettare un solo attimo per farlo. Sai, quando stai per far cambiare la tua vita in meglio, non vedi l’ora che accada, quindi mi sono detta: perché non farlo subito? E ti ho chiamato. Ti ho chiamato per dirti che sono stata una stupida a scappare. Sono stata una stupida perché avevo paura. Non mi ero mai innamorata prima, le mie relazioni erano come un gioco, non ne rimanevo mai sentimentalmente coinvolta. Ma con te è stato tutto diverso, fin da quando ti ho visto per la prima volta. Mi sembravo una di quelle ragazzine che tanto prendevo in giro perché innamorate. E sono arrivata a immaginare una vita insieme a te ed è stato a quel punto che ho capito veramente quanto la mia vita si stesse legando alla tua, quanto poca autonomia da te mi rimaneva. Non ce l’ho fatta. Pensavo che non vedendoti più, non sentendoti ti avrei dimenticato, ma mi sbagliavo anche su questo. La lontananza non ha fatto altro che farmi capire quanto tu fossi importante per me. Poi ti ho visto a quella festa con lei e l’avrei voluta uccidere per quanto ne ero gelosa.
Dapprima non volevo ammetterlo a me stessa, ma ieri sera… ieri sera ho pensato all’anno che era appena trascorso. Indovina un po’ quali erano i miei ricordi più belli? Non riuscivo a non ricordare quando incidentalmente mi hai tirato quella pallonata in testa, o quando hai scoperto il mio nome nel corridoio della scuola, quando uscivamo, quando parlavamo e ho capito che non ne avrei voluto più fare a meno.”, dissi fermandomi per riprendere fiato.
All’inizio il mio tono di voce era quasi isterico, ma andando avanti ero riuscita a modularlo meglio, fino a giungere ad averne uno degno di una conversazione civile. I miei occhi luccicavano, li sentivo pizzicare, ma mi imponevo mentalmente di non piangere.
Guardai Fabio. Aveva lo sguardo fisso sull’erba, i gomiti poggiati sulle cosce e le mani intrecciate con le quali giocava distrattamente.
“Probabilmente a te adesso non interesserà più nulla di tutto ciò, ma dovevo dirtelo. Sentivo il bisogno di dirti che… che si, mi sono innamorata, mi sono innamorata di te.”, conclusi con un mezzo sorriso.
Fabio non disse nulla. Rimase immobile nella stessa posizione in cui era prima, come se il discorso non lo riguardasse minimamente.
Sentii una dolorosa fitta allo stomaco. Chiusi gli occhi per un istante, poi deglutii, pronta a congedarmi, ma fui bloccata dal suono della sua voce.
“Questa volta sono io che ho bisogno di tempo. Non voglio essere il tuo burattino, non voglio che sia tu a decidere per entrambi come hai già fatto una volta. Potevamo provarci insieme, a capire come sarebbe potuta andare tra di noi, ma tu sei scappata e hai deciso di non volermi più vedere e poi oggi vieni qui e mi dici che sei innamorata di me. Ancora una volta hai fatto tutto tu. Mi dispiace, ma non ce la faccio, non ora almeno.”, disse con un’espressione rammaricata dipinta sul volto.
Lo guardai ancora un istante negli occhi poi annuii, mentre percepivo il mio cuore sgretolarsi lentamente nel petto. Mi imposi di non piangere, non volevo che mi vedesse così debole.
“Allora adesso vado.”, dissi alzandomi con fare impacciato, ma soprattutto imbarazzato.
“Ci vediamo a scuola.”, ricambiò con un cenno della mano, poi corsi via il più velocemente possibile.

---

Angolo Autrice

Ed eccoci giunti al penultimo capitolo, anche se ho intenzione di aggiungere un breve epilogo, ma per il momento è solo un'idea.

Lo so, lo so, lieti fine e finali aperti... ma che volete farci, sono una romanticona, non ci riesco proprio ad evitarlo!

Comunque, ancora grazie a chi ha ancora la pazienza di leggere, a presto, 

                                                                                                                                                                                                Astrea_

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Capitolo 12
*** Sorry ***


Cap 12

WALL

-What A Lovely Life-

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Capitolo 12: Sorry

ARIANNA’s pov
9 gennaio 2012

Il suono della campanella che segnava l’inizio delle lezioni di quel nuovo anno mi ridestò dal flusso dei miei pensieri.
Alzai gli occhi al cielo, come rassegnata dall’imminente ingresso in aula per la prima lezione del nuovo anno.
Il rientro era sempre stata la parte più traumatica delle vacanze e, come volevasi dimostrare, quella mattina tutti gli studenti camminavano lenti e apatici, con le mani davanti alla bocca per mascherare l’ondata senza fine di sbadigli che testimoniavano le poche ore di sonno di cui avevano potuto godere quella mattina.
Le mie amiche, tutte ormai fidanzate stabilmente, stavano sparpagliate nel cortile della scuola, ognuna avvinghiata al proprio ragazzo.
Sorrisi, mentre distrattamente parlavo con i miei compagni di classe, poi decidemmo di avviarci verso l’aula, onde evitare di ricevere un rapporto per il ritardo dall’odiosissimo professore di latino che non avrebbe esitato un attimo ad approfittare della situazione per spedirci seduta stante dal preside. Una canaglia? No, peggio.
Presi posto nel mio banco, aspettando l’arrivo di Alice, la quale però sembrava non arrivare.
Il professore entrò in classe già con indosso gli occhiali da vista, salutando con un cordiale ma distaccato buongiorno. Cattivo, cattivissimo segno.
Poggiò la cartella di pelle sulla cattedra, poi si tolse il pesante cappotto, appendendolo.
Aprì il registro ed iniziò a fare l’appello.
“Coldare?”, chiamò senza ricevere alcuna risposta.
“Bene bene, qualcuno sa spiegarmi che fine ha fatto la vostra compagna?”, chiese con sguardo truce e tono sadicamente soddisfatto.
“Professore… ecco, lei…”, iniziai cercando di trovare una qualsiasi plausibile scusa.
Il professore mi squadrò con occhi intimidatori e un sorriso beffardo appena accennato sul volto, mentre giocherellava con gli occhiali che aveva appena tolto dal viso.
“Ecco professore, stamattina lei è venuta in classe, ma poi si è ricordata di aver prestato il libro di latino a suo fratello per una ripetizione in vista di un compito, così è andata da lui per farselo restituire.”, buttai lì, cercando di sembrare sincera e ingenua.
“Donfalli mi stai prendendo in giro?”, mi chiese con fare inquisitore, studiando ogni mia più piccola reazione o movimento, in modo da poter carpire informazioni.
“Non mi permetterei mai.”, risposi con quanta più calma potessi.
Mi osservò per l’ultima volta, poi accennò ad un piccolo sorriso e continuò l’appello.
Tirai un sospiro di sollievo e sperai che Alice arrivasse immediatamente.
“Bene, prendete i libri.”, annunciò rimettendo gli occhiali sul naso.
Proprio in quel momento si spalancò la porta: Alice.
“Buongiorno professore! Mi scusi per il ritardo!”, disse immediatamente.
Fece qualche passo verso la cattedra, chiudendo la porta alle sue spalle.
“E cos’è che ha avuto di così importante da fare per arrivare ben dieci minuti dopo l’inizio della lezione?”,gli chiese con sguardo palesemente divertito.
Stronzo.
Iniziai a fare segni ad Alice, sbracciandomi, così come i miei compagni, nel tentativo di farle capire ciò che avrebbe dovuto rispondere. Le indicai lo zaino aperto e con le dita segnalai la classe di suo fratello.
Lei mi guardò confusa, di certo non aveva capito nulla di tutto quello che silenziosamente stavo cercando di comunicarle.
Il professore seguì lo sguardo di Ali, finendo per posare i suoi occhi su di me.
Mi bloccai all’istante e piegai le labbra in un sorriso forzato.
Anche lui sorrise, poi si girò nuovamente verso Alice.
“Allora Coldare, vuoi rispondere o hai bisogno del suggerimento della Donfalli?”, la punzecchiò.
“Si, ecco… Credo proprio che mio fratello abbia dimenticato lo zaino a casa, così siamo dovuti tornare indietro a prenderlo.”, disse, per poi voltarsi verso di me con sguardo interrogativo.
Chiusi gli occhi, arricciandoli.
“Cara Donfalli ti sei appena guadagnata un pass diretto per l’interrogazione, adesso!”, esordì il professore guardandomi dritta negli occhi con aria di sfida.
Nessuno osò controbattere.
Ali mi guardò dispiaciuta, mimando con le labbra uno scusa, poi fece rotta verso il banco.
“E tu, Coldare, non credere di essertela cavata così! Vai immediatamente dal preside!”, ordinò.
Ali non se lo fece ripetere due volte e uscì dall’aula, mentre io mi preparai per il patibolo.
Mezz’ora dopo tornai al mio posto con un cinque appena conquistato e un umore decisamente pessimo.
Quell’infame aveva provato in tutti i modi a mettermi in difficoltà ed ovviamente non era stato difficile per lui raggiungere il suo obiettivo, visto che l’ultima volta che avevo aperto un libro di latino era stata letteralmente l’anno scorso.
Sbuffai: che inizio anno!
Le restanti due ore che ci separavano dalla ricreazione passarono tranquille, parlando di come avevamo trascorso le vacanze natalizie.
Durante l’intervallo quasi tutta la classe scese giù in cortile, i pochi restanti, invece, si catapultarono ai distributori del secondo piano.
Io rimasi in classe. Mi avvicinai alla finestra e cercai con lo sguardo le mie amiche, ovviamente con i propri ragazzi.
Sorrisi, finalmente erano felici. Cami aveva trovato quell’amore che tanto aveva aspettato, Ali aveva trovato quello pazzo e divertente che aveva provato a vivere con Chris, senza risultati, mentre Noemi semplicemente aveva capito come non si potesse vivere senza.
Senza neppure rendermene conto il mio sguardo si posò su Luca.
Era con una ragazza, seduto sulla sua moto mentre lei provava in ogni modo ad avere un contatto più ravvicinato con lui.
Mi sorprese la sua ritorsione, palesemente non interessato a quella spilungona con un seno prorompente che non poteva certo non interessargli  fisicamente.
Ebbi uno strano sussulto seguito da una specie di fitta allo stomaco, ma preferii non farci caso, probabilmente era solo colpa della fame.
I  miei occhi si posarono nuovamente su di lui e per un attimo mi sentii come quelle stupide ragazzine che nascoste dietro una finestra spiano il ragazzo di cui sono segretamente innamorate.
Mi rimproverai mentalmente per il pensiero che avevo appena formulato. Non potevo essere innamorata di lui. Il perché? Semplice, era l’odioso fratello maggiore della mia migliore amica, nonché capitano della squadra di calcio e il bello e bastardo della scuola che mi aveva illuso per più di una volta con dei baci che poi si erano rivelati insignificanti, almeno per lui. E se questo non era abbastanza, come motivazione valida avrei anche potuto aggiungere il fatto che… che era tremendamente affascinante, sexy, provocante, non me la dava mai vinta e mi rispondeva a tono, sapeva esattamente come prendermi e quando era il momento di smettere, perché era proprio allora che lui iniziava e…. si, mi piaceva.
Scossi la testa: l’interrogazione di latino doveva avermi davvero sconvolta.


15 gennaio 2012

 Uscimmo soddisfatte dal negozio, con in mano numerosi sacchetti contenenti gli ultimissimi acquisti. Avevamo predestinato quella domenica a giornata di shopping nel centro commerciale della città.
“Quel vestitino nero che hai comprato è davvero favoloso!”, commentò Mimi, rivolgendosi a Cami.
“Si, lo so.”, disse con un ampio sorriso. “Credo che lo metterò alla prossima uscita con Marco.”, aggiunse poco dopo con gli occhi sognanti.
“Ragazze!”, esclamò Alice con aria sconvolta, allargando le braccia e fermandosi all’improvviso.
La guardammo perplesse, mentre ci chiudevamo a cerchio in attesa che continuasse.
“Non potete capire cos’è successo.”, aggiunse, incuriosendoci.
“Dai, dicci! Cosa ha fatto Guido questa  volta?”, la incitai.
“Ma no, non si tratta di Guido!”, spiegò.
“Si tratta di Luca!”, annunciò con un sorriso smagliante stampato sul viso.
Feci roteare gli occhi, di certo avrei preferito non venire a conoscenza di tutto ciò che faceva, non avrebbe fatto altro che farmi sentire peggio.
“Ali, è tuo fratello, non un idolo mondiale!”, le fece notare Cami, dopo avermi lanciato un veloce sguardo.
“Cam, lasciami parlare!”, la rimproverò Ali, non avendo recepito il messaggio.
“Sapete che giorno era ieri?”, chiese poi in estasi.
“Stai cominciando a diventare irritate.”, le feci notare.
“E va bene! Siete proprio delle guastafeste! Ieri sera, sabato sera sottolineo, mio fratello è uscito con il suo gruppo di amici, tra i quali c’è anche Guido. Quindi ci siamo incontrati in un locale e non potete capire quello che ho visto.”, trillò.
“Non credo ci sia bisogno di procedere nel racconto delle prodezze sessuali di tuo fratello.”, la rimproverò
Mimi.
“Ed è qui che vi sbagliate.”, borbottò. “Non ha fatto altro che starsene seduto in un angolino per tutta la sera a bere. E quando ho chiesto a Guido cosa gli fosse successo, sapete cosa mi ha risposto?”, chiese in modo retorico.
“Che gli ha raccontato di aver baciato una tipa qualche notte fa e che questa tipa, di cui non ha voluto svelare l’identità, non riesce proprio a togliersela dalla testa, nonostante ci abbia inutilmente provato con due o tre ragazze. Considera che ieri sera persino quella sgualdrinella della Giordano di 5C ci ha provato con lui. Ma Luca non se l’è proprio filata!”, raccontò con un ghigno di soddisfazione.
“Aria, questa è la volta buona!”, aggiunse subito dopo.
“No Ali, non lo è. Perché lui mi bacerà un’altra volta, io lo lascerò fare ed il giorno dopo lo ritroverò già tra le braccia di un’altra. Sappiamo entrambe come andrà a finire.”, commentai con lo sguardo basso, mentre sentivo gli occhi pizzicarmi per le lacrime che volevano uscire, ma che prontamente ritrassi.
“Non puoi dire così! Il problema è che tra di voi si è instaurato un rapporto di amore-odio! Probabilmente lui non saprà come comportarsi, avrà paura di essere respinto… è una situazione strana!”, mi rincuorò Cami.
“Dai Aria, facciamo così: ora pensiamo a fare shopping, ai problemi ci pensiamo poi!”, esclamò Mimi, nel tentativo di alleggerire l’atmosfera.
“E poi ho appena visto un vestito verde che scommetto farebbe impazzire Luca e tutti i ragazzi solo guardandoti con quello indosso!”, esclamò, prima di trascinarmi con entusiasmo in un negozio.
“E fammi un bel sorriso, dai!”, mi incitò ancora Mi, prima di riprendere la seduta mensile di shopping.


19 gennaio 2012

Avrei potuto continuare a mentire agli altri, agli amici, ai miei genitori, ai compagni e persino a lui, ma non a me stessa. Avevo provato in tutti i modi possibili ed immaginabili a screditare quel nascente pensiero che si era ormai insediato nella mia mente, senza giungere ad alcun risultato. Nonostante ne fossi diventata consapevole, non significava che l’avessi completamente accettato. In realtà si trattava di una specie di convivenza obbligata, alla quale non potevo sottrarmi, ma della quale non ero neppure fiera. Ovviamente avevo evitato di comunicare queste riflessioni alle mie amiche e non perché non mi fidassi di loro o me ne vergognassi, bensì non riuscivo a cogliere quali sarebbero potuti essere gli eventuali vantaggi di tale dichiarazione. Così avevo preferito seppellire questo sentimento nel mio cuore, sapendo che comunque non sarebbe bastato ignorarlo per dimenticarlo. Ero profondamente, completamente innamorata di Luca Coldare e ciò era davvero un enorme, colossale, abissale, catastrofico problema.
La cosa più buffa era che per capirlo mi era bastato guardalo negli occhi, quel mercoledì sera a casa di Alice quando per caso avevo incrociato il suo sguardo. Lui era seduto sul divano del salotto, io vicino lo stipite della porta aspettavo Alice che era ancora in camera sua alla ricerca della borsetta giusta da portare con sé. Lui si era voltato verso di me. Indossava i pantaloni blu della tuta della squadra di calcio e una felpa grigia. Mi aveva osservata per qualche minuto, poi mi aveva salutata. Io, imbambolata davanti a lui, avevo ricambiato il suo saluto, imbarazzata dal fatto che fossimo soli.
I suoi occhi, così teneri e dolci, il suo viso, calmo e tranquillo, il suo piccolo sorriso appena accennato mi erano sembrati così veri e sinceri che in quell’istante avrei voluto fiondarmi tra le sue braccia e abbracciarlo, mentre tutto ciò che riuscii a dire fu un semplice: “Divertiti ad annoiarti stasera.”. Ovviamente lui aveva risposto a tono, mettendo su il suo classico ghigno beffardo mozzafiato e continuammo così fino a quando Alice non fu letteralmente costretta a trascinarmi fuori di casa.
Scossi lievemente la testa, liberandomi da quei ricordi, ma soprattutto preparandomi a ciò che mi attendeva.
Quella sera, infatti, ci sarebbe stata la prima di una lunga serie di diciotto anni. Il festeggiato, un mio compagno di classe di nome Alberto, ci aveva tutti invitati a casa sua, una villetta piuttosto grande situata nei pressi della mia. Tutto il salone era completamente stato adibito a sala da ballo, con tanto di dj e luci psichedeliche che illuminavano a tratti volti a me conosciuti. Nell’altra stanza, invece, era stato posto un enorme buffet, mentre il giardino era stato addobbato con fiocchi e palloncini.
Ovviamente Ali si era presentata alla festa con Guido e i due avevano subito deciso di andare a ballare. Cami e Mimi, seppur fossero state invitate perché buone conoscenti dello stesso invitato, avevano preferito non venire.
Mi diressi immediatamente alla ricerca dei miei compagni di classe e li trovai tutti in giardino a ballare sulle note delle canzoni che provenivano dalla sala. Sorrisi e mi avvicinai a loro, pronta a divertirmi.
Era già tardi quando notai il suo sguardo fisso su di me e in quel momento giurai di sentire il cuore perdere un battito. Da quando era lì e perché mi guardava così spudoratamente?
Indossava una camicia azzurra, con i primi bottoni studiatamente lasciati aperti, e una giacca, mentre i pantaloni gli fasciavano perfettamente le gambe. Era appoggiato allo stipite della porta della vetrata che dava sul giardino e teneva le braccia incrociate sul petto. I capelli gli cadevano ribelli sulla fronte e le sue labbra erano piegate in un fantastico sorriso sghembo. Dire che fosse bellissimo probabilmente era addirittura un insulto.
Abbassai lo sguardo, imbarazzata e allo stesso intimorita da quel contatto visivo che lui non accennava a voler interrompere. Mi voltai in direzione di due mie amiche e presi a parlare con loro, cercando in quella superficiale e banale conversazione una distrazione che tenesse lontana la mia mente da lui: inutile dire che fu del tutto improduttivo.
Di sottecchi vidi una ragazza bionda avvicinarsi a lui: Monica, la sorella del festeggiato, che per quanto potessi ricordare mi sembrava essere una sua compagna di classe. Forse l’aveva invitato.
Una fitta al cuore si impadronì del mio petto: stavo sbagliando tutto, non potevo permettermi di illudermi e soffrire per lui, dovevo smetterla, ne ero consapevole. Ma nonostante ciò, non riuscii a impedirmi uno sguardo furtivo in sua direzione.
Lei mi sembrò ammiccargli, ma dalla mia posizione non potei verificare la reazione di Luca. Sperai con tutta me stessa che l’avesse allontanata, ma sapevo bene che le possibilità che davvero fosse accaduto ciò erano davvero poche, se non addirittura nulle. L’unica certezza che ebbi fu che pochi istanti dopo lui non c’era più e con lui neppure la biondina. Sospirai e tornai a ballare, non volevo assolutamente pensare, soprattutto se i pensieri mi conducevano a lui. Mi stavo facendo del male con le mie stesse mani.
Quando finalmente decisi che era giunta l’ora di dar sollievo alle mie gambe concedendomi una pausa dalle audaci danze, mi diressi verso il buffet che era stato preparato nell’altra sala, intenzionata a bere qualcosa.
Presi una delle tante bottiglie di alcolici e ne versai il contenuto in un bicchiere. A prima vista mi sembrava essere vodka.
All’improvviso sentii due mani posarsi sui miei fianchi. D’istinto mi girai, spaventata da quell’inaspettata vicinanza con una persona di cui ancora non conoscevo l’identità, ma il contatto visivo con gli occhi di Luca mi tranquillizzò all’istante, nonostante i nostri corpi quasi si sfioravano. I suoi occhi erano fissi nei miei. Cercai di rimanere lucida e terminai di bere, probabilmente la vodka non mi avrebbe fatto altro che bene. Aspettai che lui dicesse qualcosa o che perlomeno mi spiegasse la ragione di quel gesto, ma rimase in silenzio. Continuava a guardarmi, mentre la sua presa si intensificava.
“Cosa c’è? Monica ti ha dato buca?”, lo schernii con tono duro e acido, lasciando però che continuasse a cingermi i fianchi.
Luca non disse nulla e ciò mi irritò non poco.
“Cosa vuoi Luca?”, gli chiesi schietta, non volendo permettergli di continuare a giocare in quel modo con me, nonostante non potevo negare di gradire quel contatto.
“A dir il vero sono stato io a rifiutare il suo ardito invito.”, disse con un sorriso disegnato sulle labbra.
“Ed è per questo che subito dopo siete spariti entrambi?”, chiesi intrepida, senza neppure rifletterci.
Lui rise, poi mi guardò, ma questa volta il suo sguardo era diverso. Se avessi dovuto utilizzare un solo aggettivo per descriverlo, in quel momento avrei detto che quello sguardo era semplicemente dolce, ma probabilmente la dolcezza era ciò che volevo vedere, non ciò che realmente era.

Non illuderti, continuavo a ripetermi nella mente.
“Non sarai mica gelosa!”, iniziò sornione, mentre le sue dita giocherellavano con la stoffa del vestito che ricadeva sul mio fianco.
Non avrei resistito ancora a lungo, o forse avevo già smesso di farlo. L’idea che mi balenò in testa era del tutto malsana e sbagliata, ma, ovviamente, non me ne curai. Ed in quell’istante mi resi conto che c’era riuscito un’altra volta, come quella notte in cornetteria: era riuscito a farmi perdere il controllo. Tutta colpa sua.
Di getto presi la sua mano e percepii un brivido risalire lungo la schiena. Lo trascinai con me verso le scale e mi incamminai verso il piano superiore, poi entrai nel bagno e chiusi la porta alle mie spalle. Luca non si oppose minimamente, il suo sguardo curioso e dubbioso era fermo su di me.
Provai imbarazzo, ma ormai era tardi per ripensarci. Probabilmente le mie goti dovettero diventare rosse, perché lo vidi sorridere, mentre con una mano mi accarezzava la guancia destra.
“Allora Donfalli, non mi avrai mica portato qui per fare sesso?”, scherzò.
Lo guardai truce e ritrassi il viso, interrompendo il contatto che lui aveva appena stabilito tra noi.
“Dobbiamo parlare.”, quasi sibilai nel dirlo.
Lui asserì con la testa e d’un tratto lo vidi farsi serio.
“Così non va.”, iniziò lui in un sussurro.
Era appoggiato al lavabo, mentre io, di fronte a lui, mi sedetti sul bordo della vasca.
Per qualche secondo calò il silenzio, poi lo vidi avanzare lentamente verso di me ed abbassarsi alla mia altezza, così che potessimo guardarci negli occhi senza alcun problema. Si sporse verso di me, ormai i nostri visi erano ad una spanna di distanza e potevo sentire il suo alito sulla mia pelle.
 “Baciami. Adesso. Devi essere tu a farlo.”, sussurrò sulle mie labbra.
Sobbalzai per l’improvvisa ed inaspettata vicinanza.
“Dammi un motivo per fidarmi di te.”, gli dissi con tono duro e deciso.
“Non ne ho neppure uno che sia razionalmente valido. Fallo e basta.”, rispose lui, pacato e tranquillo, facendo spallucce.
“Non mi basta.”, constatai. “Non mi basta più.”, replicai subito dopo.
Lui mi fissò più intensamente, cercando una risposta alla mia tacita richiesta nei miei occhi. Volevo che confessasse ciò che provava per me, volevo esserne certa, volevo che mettesse le cose in chiaro una volta per tutte.
“Cinque parole.”, mormorai ad un soffio dal suo viso, ormai troppo vicini.
Lo vidi deglutire, poi puntò lo sguardo sul pavimento.
“Non posso, non sono pronto per tutto questo. Tu mi piaci, ma…”, quasi balbettò sulle prime parole.
La sua voce mi colpì come un fulmine a ciel sereno. Lui non ricambiava i sentimenti, per lui si trattava solo e soltanto di un’altra stupida storiella con una stupida ragazzina.
Mi alzai di scatto, come colpita da un flusso di corrente elettrica e lui insieme a me.
Accennai ad un sorriso forzato, ma forse più deluso e amareggiato, poi tornai a guardarlo.
“Va bene.”, riuscii a dire trattenendo le lacrime, poi lo scansai avviandomi verso la porta, ma fui bloccata dalla sua mano che forte afferrò il mio esile polso.
“Aspetta.”, sussurrò, facendomi voltare, cosicché i nostri occhi tornassero a scrutarsi.
“Io…”,iniziò senza successo, ma nel suo sguardo vidi accendersi un piccolo barlume di luce. “Io…”, riprovò per la seconda volta.
Scosse lievemente il capo, poi riprese a parlare, ma questa volta nei suoi occhi non c’era alcuna luce.
“Mi dispiace.”, sussurrò, liberandomi dalla sua presa.
“Vaffanculo Luca. Addio.”, sibilai a denti stretti prima di aprire energicamente la porta e poi sbatterla con forza alle mie spalle.
Corsi giù per le scale, alla ricerca del cappotto, poi trovatolo, mi catapultai fuori dalla villa e chiamai mio padre. Solo quando tornai a casa, nella mia stanza, mi lasciai finalmente andare e piansi, piansi come non avevo mai pianto prima, piansi per amore, per Luca.

---

Angolo Autrice

Finito, finito, finito! E sì, ci sarà un breve epilogo e quattro missing moments!

Spero la storia vi sia piaciuta, era da tanto che ci lavoravo ma purtroppo ci ho messo così tanto a concluderla che nel frattempo sono cresciuta anch'io.

Comunque, bando alle chiacchiere, volevo ringraziare tutti quelli che l'hanno seguita e chi l'ha inserita tra i preferiti, ma per i saluti finali ci risentiamo presto!

                                                                                                                                                                                                  Astrea_

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Capitolo 13
*** Epilogo ***


Epilogo

WALL

-What A Lovely Life-

Epilogo. Il tempo passa e cura le ferite.

 

Noemi aveva finalmente capito cosa significasse amare una persona, l’aveva amata a tal punto da non demordere al primo tentativo fallito. 
Ci aveva riprovato, Noemi, a far andare le cose per il verso giusto, ma questa volta aveva scelto la strada che Fabio aveva utilizzato tempo prima con lei.
Non sperava di riconquistarlo alla prima chiacchierata scambiata per i corridoi, ma credeva che con il tempo anche lui sarebbe tornato da lei, cosi come aveva fatto lei.
Lo incontrava casualmente a scuola, lo salutava, ci parlava e lui sembrava anche gradire le brevi conversazioni che avevano.
Un giorno lei lo aveva perfino invitato a mangiare un gelato dopo la tanto divertente assemblea d’istituto e una forte iniezione di coraggio, ma ciò che la sorprese maggiormente fu il fatto che Fabio accettò il suo invito. Da quel momento avevano ricominciato ad uscire insieme di tanto in tanto, solo il tempo poi ci avrebbe detto come sarebbe finita.
E Noemi sembrava piuttosto serena, più tranquilla, aveva trovato un nuovo modo per esprimere la sua esuberante personalità: concentrarsi sulle sue amiche e, in particolar modo, sul suo amato Fabio.

 Discorso completamente diverso era quello riguardante Camilla.
Lei lo aveva sognato il suo amore, lo aveva aspettato per anni, lo aveva immaginato, desiderato, venerato, contemplato e alla fine era arrivato travestito da semplice ragazzo, abile tanto nello sport quanto proteso alla lettura e prolisso nel parlare. Era perfetto per lei, le donava quel tocco di vitalità di cui la sua monotona e banale vita necessitava. Sapeva di aver sofferto tanto, anche per la storia di Francesco, ma con Marco, ne era sicura, sarebbe stato tutto diverso. Si fidava ciecamente ed incondizionatamente di lui, sarebbe stata disposta a tutto per lui e di ciò ne era pienamente consapevole.
Inutile dire che la presenza di Marco l’aveva completamente stravolta, in senso positivo ovviamente.
Era più felice, più sicura di sé stessa, aveva finalmente trovato il suo posto nel mondo.
Era più determinata, meno accondiscendente, ma sempre troppo generosa e altruista per il mondo troppo egoista e menefreghista che la circondava; ma ora a difenderla, a combattere con lei c’era qualcuno, c’era Marco.

 Alice era maturata molto in quel lasso di tempo. 
Aveva lasciato da parte un pezzo importante, fondamentale, della sua vita: il suo primo amore, Christopher. All’inizio non era stata una scelta facile, continuava a chiedersi e richiedersi se avesse fatto davvero la cosa giusta, ma poi, ogni qualvolta veniva riscossa dal turbinio dei suoi pensieri dal sorriso smagliante e sincero di Guido, si convinceva che non avrebbe potuto fare altro. Guido era entrato prepotentemente nella sua vita, in pochi giorni l’aveva scombussolata tutta, dalla testa ai piedi. Si era scoperta intrappolata in una rete nella quale neppure sapeva di essere caduta, ma non era riuscita, né tantomeno aveva provato, a liberarsi.
Avevano deciso di andarci piano, innamorarsi richiedeva tempo, molto tempo, ma loro a disposizione ne avevano tutto quello del mondo, l’importante era saper aspettare. Del resto non era facile restare accanto ad una come Alice, con tutti i suoi cambiamenti d’umore e le mille idee che le frullavano per la testa, figuriamoci quindi decidere di passare ogni attimo della propria vita con lei!

 Ed infine c’era Arianna
Sì, lei aveva sofferto, aveva sofferto davvero tanto dopo quella sera, perciò aveva optato per una decisione radicale: un taglio netto.

Così, all’improvviso, un giorno durante il cambio d’ora aveva comunicato ad Ali che mai più avrebbe sofferto così per un ragazzo, mai.
E da allora era come rinata. Sorrideva, scherzava, chiacchierava di continuo con gente che neppure conosceva, ma nei suoi occhi non c’era più quella luce di speranza e gioia infantile. Usciva, frequentava qualche locale, spesso andava in discoteca, diceva che soltanto allora aveva scoperto quanto divertente fosse ballare e scatenarsi in una sala gremita di persone, mentre le luci psichedeliche e la musica a tutto volume ti confondevano i sensi. Ma sapevano tutti, forse anche lei, che quella era una splendida facciata che con cura stava costruendo per nascondere la ferita ancora aperta del suo cuore.
Dopo quella sera, lei e Luca non si erano mai più rivolti la parola.

---

Angolo Autrice   

Siamo arrivati alla fine! Siiiiiiiiiiiiiii!!*.*

Che dire, inizio ringraziando tutti quelli che hanno letto e quelli che hanno inserito la storia tra le seguite o le ricordate e vista l'unicità dell'evento 

(non capita mica tutti i giorni di pubblicare un epilogo!xD), lo faccio singolarmente.

Ringrazio dunque Aislinn_05 e prettyreckles che l'hanno segnata tra le storie ricordate e 

AundreaMalfoy, DreamWriter, Mai Annabeth Lily Cullen, marty_chic, probabilidad, rossy87, roxi, TyreKP e _anda, che invece l'hanno messa tra le seguite.

Il ringraziamento più grande va però a confettina, lei sa perché!;) Davvero, grazie!

Ah, per chi volesse saperne ancora qualcosa, nei prossimi giorni pubblicherò dei missing moments! 

                                                                                                                                                                          Astrea_

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Capitolo 14
*** Noemi's missing moment ***


miss

WALL

-What A Lovely Life-

Missing moment: “New habits”

ALICE’s pov
Mio fratello aveva appena vinto un’altra partita da capitano della squadra di calcio locale ed io ero completamente, totalmente, incondizionatamente fiera ed orgogliosa di lui. Sorrisi, vedendolo finalmente uscire dal campo per recarsi nello spogliatoio e frettolosamente salutai le mie amiche che avevo letteralmente trascinato allo stadio per sostenere Luca. Cam e Mimi si avviarono con il motorino, mentre Aria […].(Capitolo 5)

---

NOEMI’s pov
Quella mattina ero stata letteralmente obbligata dalla mia cara amica Alice a recarmi allo stadio per poter supportare suo fratello nella tanto importante partita di calcio. Appena finita la suddetta partita mi ero catapultata fuori da quella struttura, subito seguita da Cami, poi dopo aver salutato tutti ci eravamo avviate al mio motorino.
Per prima cosa avevo accompagnato Cam, in seguito, ovviamente solo dopo aver scambiato quattro chiacchiere, mi ero decisa che si era fatta ora, anche per me, di tornare a casa.
Quando arrivai davanti al cancello del mio palazzo potei notare una piacevole, inaspettata e gradita sorpresa.
Fabio mi sorrideva appoggiato al muretto dell’ingresso principale.
Lasciai immediatamente il motorino nell’area adibita a parcheggio, poi mi catapultai letteralmente su di lui, abbracciandolo e posandogli un lieve bacio sulla guancia.
“Che ci fai qui?”, esordii, ma la mia voce sembrò troppo entusiasta persino al mio poco critico orecchio.
Mantieni la calma, Mimi, mi suggeriva una vocetta dentro la mia testa. Ovviamente non la ascoltai, ma non perché non volessi, semplicemente c’erano altri fattori a distrarmi, tra cui primo fra tutti il suo sorriso, quello che ormai ben conoscevamo tutti.
“Ero da queste parti e ho pensato di suonare, ma tua madre mi ha detto che eri andata alla partita e che saresti tornata di lì a poco.”, mi spiegò sollevandosi dal muretto.
Spalancai gli occhi un po’ sbalordita e sorpresa dal suo comportamento: aveva parlato con mia madre?
Probabilmente lui dovette comprendere la mia espressione.
“Tranquilla, ho ben specificato che sono un tuo amico.”, chiarì subito dopo, nel tentativo di tranquillizzarmi.
Era la prima volta che un ragazzo veniva sotto casa mia ed era la prima volta che un ragazzo parlava con mia madre.
Rimasi in silenzio, rimuginando sull’ambigua e nuova situazione che lui, Fabio, aveva appena creato senza che io ne sapessi nulla.
“Non dovresti preoccuparti tanto per così poco.”, mi rimproverò lui avvicinandosi a me.
“Non ho chiesto mica la tua mano a tuo padre!”, enfatizzò guardandomi con ovvietà e allo stesso tempo incredulità.
Lo trucidai con lo sguardo per la battuta poco felice.
Lui allargò ancora di più il sorriso, poi mi prese le mani ed iniziò a giocherellare con esse.
“Andiamo Mimi, ho chiesto solo dov’eri! Niente di più! Non puoi farti spaventare da una sciocchezza!”, continuò.
In effetti aveva completamente e assolutamente ragione. Era una sciocchezza, solo che era così nuova per me.
“Scusa, è che non ci sono abituata.”, provai a dire nel tentativo di giustificarmi tenendo gli occhi bassi.
Lui staccò una mano dalla mia e la poggiò sotto il mio mento, costringendomi ad alzare il volto. Ci guardammo per un attimo negli occhi e sorrise ancora, facendo sciogliere anche me come un ghiacciolo al sole.
“Sai, tua madre sembra simpatica! Magari un giorno potresti presentarmela!”, scherzò beffardo.
Feci una finta risata, poi mi riappropriai della mano che prima aveva liberato dalla mia.
“Ma come siamo spiritosi.”, borbottai sarcasticamente.
“Al massimo ti posso presentare mio padre, quello sì che ti starebbe simpatico con le sue manie di protezionismo della sua unica pargoletta.”, gli intimai immaginando quante scenate avrebbe fatto il giorno in cui gli avrei portato un ragazzo in casa.
Avrebbe dato di matto, sicuro.
“No, quello è meglio che te lo tieni per te.”, rispose con troppa foga per sembrare indifferente.
Sorrisi.
“Allora com’è stata la partita?”, mi chiese poi per cambiare l’argomento di conversazione.
“Non ci capisco molto di calcio, ma la squadra del fratello di Alice ha vinto, quindi suppongo sia stata una bella partita, almeno per noi.”, dichiarai.
“Si, quasi dimenticavo la tua avversione per lo sport.”, ammiccò facendo chiaro riferimento al modo poco carino in cui ci eravamo conosciuti.
“Diventi ogni giorno più simpatico Fabio.”, replicai fintamente acida.
Del resto era lui quello che mi aveva buttato un pallone in testa, involontariamente, ma l’aveva fatto.
“Nemo.”, sussurrò avvicinandosi pericolosamente alle mie labbra.
Con lui era così: abbracci, baci sulla guancia e coccole, parole dolci appena sussurrate e labbra che si sfioravano senza mai toccarsi veramente, nulla di serio insomma.
La sua vicinanza mi faceva sudare freddo. Sentivo le gambe farsi sempre più deboli e dei piccoli brividi percorrevano tutta la lunghezza della mia schiena. Per non parlare di una volta in cui, dopo che lui mi avesse sussurrato delle dolci parole a fior di labbra, avevo sentito un vuoto tremendo allo stomaco, seguito da una strana sensazione: le farfalle.
Ero consapevole della stramba piega che stava prendendo il rapporto con Fabio, ma non me ne preoccupavo, non ancora perlomeno, troppo presa dai suoi sguardi e dalle sue carinerie, alle quali non ero assolutamente abituata. Mi riempiva d’attenzioni e non pretendeva nulla da me, nulla neppure dal mio corpo.
Rimasi imbambolata, completamente rapita dai suoi occhi.
Riprenditi cazzo, tu non sei così!, urlò la solita vocetta, ma questa volta la ascoltai.
Riacquistai un po’ di lucidità e mi scansai di poco, facendo aumentare le distanza così da poter respirare senza farmi condizionare dal suo dannatissimo sorriso.
E sì, se non si era ancora capito avevo una fissa per quel dannatissimo sorriso. Era il suo punto forte, o il mio punto debole, dipende dai punti di vista.
“Domai mattina ti passo a prendere io, andremo insieme a scuola.”, disse, ma dal suo tono di voce potei capire che non si trattava propriamente di un invito, più di un affermazione convinta.
“Cosa?”, chiesi scettica.
“Ti accompagno a scuola.”, ripeté tranquillo scollando le spalle.
Corrugai la fronte, perplessa.
“Non credi di correre un po’ troppo?”, domandai.
Non stavamo insieme, non ci eravamo neppure mai baciati e lui già si presentava sotto casa mia e voleva anche accompagnarmi a scuola!
“Io mi sento di farlo e se a te va bene non vedo di cosa dovremmo preoccuparci.”, chiarì con tono pacato.
“Certo che sei strano forte.”, mi lasciai scappare in un sussurro, ma me ne pentii immediatamente quando vidi piegarsi le sue labbra in un altro splendido dannatissimo sorriso.
“Solo perché non ti bacio e non ho ancora provato a portarti a letto?”, mi chiese cercando di capire meglio ciò che intendessi.
“Te l’ho già detto, non sono abituata a tutto questo.”, ripetei con la voce rotta dalla paura e dall’insicurezza.
“Vorrà dire che ci abitueremo insieme.”, aveva semplicemente detto, posandomi un lieve bacio sulla tempia sinistra.
Non risposi e lui dovette percepirla come riluttanza, tant’è che si allontanò leggermente da me in modo che potesse guardarmi bene negli occhi.
“Sempre che tu voglia.”, aveva aggiunto questa volta incerto.
Ma come poteva anche solo pensare che non lo volessi?
“Ma certo che lo voglio!”, risposi con troppa enfasi, gettandomi su di lui.
“Mi piacerà abituarmi a ricevere tutte queste attenzioni da te.”, continuai senza neppure rendermi conto di ciò che dicevo.
Ma perché mai dovevo ridicolizzarmi fino a quel punto? Ovviamente la colpa era ancora tutta del suo sempre dannatissimo sorriso.
“Va bene koala, ora devo andare. Ci vediamo domani mattina e non farmi aspettare troppo mentre ti prepari, tanto comunque saresti bellissima.”, disse.
Si avvicinò in direzione delle mie labbra, poi all’ultimo istante lo vidi deviare in direzione della guancia, dove posò un leggero bacio.
“A domani!”, lo salutai appena riuscii a riprendere il controllo di me stessa.
Poi lo vidi andare via sotto i miei occhi: quella sarebbe stata la domenica pomeriggio più lunga di tutta la mia vita.

---

Angolo Autrice

Ecco il primo dei quattro missing moments, poi finalmente chiuderò la storia e la smetterò di rompere le scatole, promesso!xD

Il problema, però, è che oggi mi è successa una cosa strana.

Mentre stavo finendo di scrivere un'altra storia, una completamente diversa da questa, mi è venuta la malsana idea di sperimentare una piccola cosuccia... 

Ovviamente a me non piace proprio come è finita tra Arianna e Luca, quindi chissà...xD

Vabbè, un saluto a tutti coloro che leggono, grazie mille!!! :)

                                                                                                                                                                                                                                                          Astrea_

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Capitolo 15
*** Camilla's missing moment ***


2

WALL

-What A Lovely Life-

“Reason and sense.”

CAMILLA’s pov
Marco tornò entusiasta verso di noi, puntato da sette paia di occhi incuriositi.
“Karaoke gente! Questa è l’ora del karaoke!”, annunciò prendendo in mano il microfono. (Capitolo 6)
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CAMILLA’s pov
Marco non aveva fatto altro che cantare per tutta la serata, seguito inderogabilmente dall’energica Alice, entrambi intenti a smorzare la palpabile tensione che all’inizio si era impadronita dell’atmosfera. Dire che erano stati bravi era davvero un eufemismo. In un primo momento, tuttavia, ero piuttosto certa che la sua tutt’altro che geniale idea non avrebbe fatto altro che incrementare l’imbarazzo già insostenibile tra i commensali, poi subito dopo averlo sentito iniziare a cantare, mi ero convinta dell’esatto contrario.
Era stonato, tanto, forse troppo, spesso perdeva anche il ritmo ed era così buffo vederlo concentrato a dare del suo meglio senza risultati decenti. Tutti sorrisero allo spettacolo, poi Alice decise di fargli compagnia, così pochi attimi dopo si trovarono a duettare vecchi successi degli anni ottanta, mentre noi li incitavamo applaudendo come dei matti scatenati ad un concerto del loro cantante preferito.
La situazione era tornata a farsi irrequieta con l’arrivo delle pizze ed il conseguente ritorno in sala di Luca, ma a differenza di ciò che era successo prima, si lasciò andare a qualche battuta con Guido e poi anche con Marco e Fabio, evitando accuratamente scambi di parole con Aria e Dario.
Infondo la serata era trascorsa piacevolmente, così mi sorpresi quando ci accorgemmo che si era fatto già tardi e che dovevamo assolutamente rincasare.
Marco prontamente si offrì di riaccompagnarmi a casa ed io, lasciata da parte la riluttanza iniziale, accettai di buon grado il suo invito.
Salutammo gli altri e ci dirigemmo verso il suo motorino a studiata distanza, cosicché non potesse esserci alcun rischio di sfioramenti involontari.
“Sai, quando l’altro ieri mi hai detto che, che si, insomma, ci saremmo potuti rivedere non ci credevo davvero… poi, invece, oggi Arianna mi ha chiamato e mi ha invitato dicendomi che ci saresti stata anche tu. Non nego che avrei gradito più una tua telefonata che la sua, ma sono contento lo stesso.”, commentò tutto d’un tratto con la voce palesemente titubante.
Avrebbe voluto che fossi stata io a chiamarlo, ripetei nella mia mente, cercando di metabolizzare quello che aveva appena detto.
“Non avevo il tuo numero.”, mi giustificai semplicemente, rendendomi conto solo dopo che in realtà non gli dovevo nessuna spiegazione.
“Ah”, fece ed in quel momento arrivammo finalmente al suo mezzo.
Mi porse il casco, poi ne prese un altro e se lo mise in testa, fissandolo bene. Feci lo stesso anche io e pochi istanti dopo salimmo entrambi sul motorino.
“Dov’è che abiti?”, mi chiese, voltando lievemente la testa all’indietro nella mia direzione.
Con accuratezza e precisione gli diedi tutte le indicazioni di cui necessitava per raggiungere la destinazione, poi partì. Durante tutto il tragitto non scambiammo più neppure una parola, sia a causa dell’evidente imbarazzo che del rumore assordante del motore e di tutte le macchine che sfrecciavano sulle strade della città.
Quando finalmente arrivammo davanti al cancello di casa mia si fermò accanto la marciapiede, poggiando i piedi a terra.
Si tolse il casco ed io nuovamente lo imitai.
Stavo per salutarlo quando lo vidi boccheggiare, nel tentativo evidente di dirmi qualcosa.
Mi fermai e lo guardai dritto negli occhi, aspettando che parlasse, ma nulla.
“Allora? Dovevi dirmi qualcosa?”, gli chiesi cercando di sembrare cordiale.
Non volevo spaventarlo, perché già così sembrava timido e restio, figuriamoci se l’avessi aggredito.
Lui annuì con la testa, poi prese un respiro profondo, come a farsi coraggio.
“Se era il numero il problema, possiamo rimediare.”, propose con gli occhi fissi nei miei.
Sentii il mio cuore perdere un battito: non ero pronta, non ora, non così presto.
“Ecco, vedi, in effetti…”, cercai di mettere insieme parole di senso compiuto, senza alcun risultato.
Lui abbassò lo sguardo in direzione del grigio asfalto, probabilmente convinto che io non fossi minimamente interessata a lui.
Ed era qui che le cose si complicavano. Non poteva piacermi, questo era ovvio, lo conoscevo da appena due giorni, ma non potevo negare l’interesse che nutrivo nei suoi confronti. Di certo mi sarebbe piaciuto conoscerlo se i tempi non fossero stati quelli che erano.
“Capito.”, disse mentre giocherellava con i laccetti del casco. “Sarà per un’altra volta allora.”, continuò poco dopo.
Non riuscii a dire nulla, così lo vidi andare via sotto i miei occhi, impotente di dire o fare qualsiasi cosa, ma non appena lo vidi scomparire dietro l’angolo mi pentii profondamente di ciò che non avevo appena fatto.
Entrai in casa cercando di non fare troppo rumore, conscia che i miei genitori stessero dormendo.
Salii al piano superiore e mi recai in camera mia, mi misi il pigiama, poi presi il cellulare e guidata da quello stupidissimo e stramaledettissimo istinto mandai un messaggio ad Arianna.
Lei mi rispose pochi secondi dopo e sussultai prima di leggere, magari non aveva assecondato la mia richiesta, invitandomi personalmente a chiedere il numero di Marco al diretto interessato, senza includere terzi che non avevano alcun diritto di elargire recapiti telefonici, a maggior ragione se poi si trattava dello stesso numero che pochi minuti fa avevo rifiutato. Mi diedi dell’idiota e continuai ad inveire contro me stessa ancora per qualche secondo, poi solo quando mi resi conto dell’inutilità e dell’assurdità di quell’azione, mi decisi ad aprire la cartella e potei giurare di sentire i miei occhi luccicare quando lessi nove cifre ed un piccolo consiglio alla fine: fanne buon uso, mi suggeriva Aria.
Sorrisi compiaciuta, questa volta soddisfatta del mio comportamento e decisi che era giunta l’ora di far sapere a Marco che sì, avevo il suo numero e che sì, volevo avere il suo numero.
Mi sentivo esattamente come quelle adolescenti alla prese con la prima cotta impossibile che tanto avevo criticato per anni. Stavo vivendo una lotta interiore tra ciò che sentivo di fare e ciò che avrei, invece, dovuto giudiziosamente fare. Avevo già sofferto per colpa di un ragazzo e la ferita non si era ancora del tutto rimarginata. Una vocina dentro di me mi urlava a squarciagola che non ero ancora pronta ad affrontare tutto di nuovo, dall’altro lato invece, sentivo le parole appena sussurrate del mio cantante preferito, Ligabue: non si può sempre perdere, per cui giochiamoci, cantava in una delle sue magnifiche canzoni.
Magari io e Marco saremmo potuti diventare ottimi amici.
Con questa nuova convinzione, mi decisi finalmente a scrivere quelle poche parole sul cellulare.
“Buonanotte Marco, Camilla.”, tre semplici parole. Del resto non volevo comunicargli nulla, volevo solo che sapesse che avevo il suo numero e volevo che lui avesse il mio.
Respirai sommessamente, poi digitai il numero e senza indugiare oltre premetti sul tasto di invio.
Sentivo l’ansia e la trepidazione correre come brividi sulla mia schiena. E se si fosse arrabbiato e non volesse avere a che fare più nulla con me?
Fortunatamente le mie macchinazioni mentali furono interrotti dalla vibrazione del telefono a contatto con il mio braccio. Come era accaduto poco prima, sussultai nel constatare che era davvero arrivato un messaggio.
Strizzai bene gli occhi e mi imposi di non essere codarda. Morivo dalla voglia di leggere la sua risposta ma allo stesso tempo temevo che non mi sarebbe piaciuta affatto.
Mi feci coraggio e lessi.
“Cos’è, hai cambiato idea?:) Ne sono contento. Buonanotte Camilla, sogni d’oro.”
Sorrisi come un ebete mentre leggevo e rileggevo quello stupidissimo stramaledettissimo semplicissimo messaggio, poi solo quando capii che di quel passo avrei finito per consumare lo schermo del cellulare e rovinarmi la vista, lo spensi.
Quella notte mi addormentai beata con il sorriso sulle labbra ed il cuore galoppante, ricolmo di emozioni.

---

Angolo Autrice

Salve a tutti! Allora, voglio semplicemente ringraziare tutti quelli che leggono ed in particolare dream to fly per aver lasciato una recensione... grazie mille! 

Non mi soffermo molto perché ho intenzione di pubblicare immediatamente anche fgli altri due missing moments... 

insomma voglio proprio completarla completamente questa storia!xD 

Al prossimo chap! ;)

                                                                                                                                         Astrea_

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Capitolo 16
*** Alice's missing moment ***


3

WALL

-What A Lovely Life-

“And it just seems to be so natural.”

ALICE’s pov
“Allora, quante ragazze hai portato qui per baciarle?”, gli chiesi, sedendomi a gambe incrociate a qualche passo dalla sua moto.

Lui mi guardò sbigottito, poi fece qualche passo nella mia direzione e si accovacciò sull’asfalto di fronte a me. Mi sorrise beffardo ed iniziò a parlare, raccontandomi di lui, della sua vita e per me fu come averlo conosciuto da sempre.(Capitolo 10)

---
ALICE’s pov
“Non tutte hanno il privilegio di salire sulla mia moto!”, controbatté con gli occhi fissi nei miei.
La sua espressione era serena, i suoi lineamenti rilassati, il suo sorriso mi toglieva il fiato per quanto fosse bello e sincero. Tutto di lui in quel momento mi trasmetteva tranquillità e pace.
Non risposi, seppur avessi già formulato in mente una battuta degna di metterlo in difficoltà. Non volevo continuare a giocare, battibeccando con lui per motivi che poi non avrei neppure ricordato, volevo soltanto conoscerlo meglio, capire chi si celasse dietro la maschera e quella sembrava essere l’occasione perfetta per farlo, non l’avrei sprecata.

“Devi essere molto legato a tuo padre…”, iniziai, con voce insicura e sguardo basso, convinta comunque che lui non avrebbe aggiunto altro sull’argomento, non intenzionato a confidarsi con un’estranea.
Lo vidi abbassare lo sguardo a sua volta, probabilmente imbarazzato. Del resto non aveva tutti i torti ad essere così restio alla prospettiva di aprirsi a me, la sorella di un suo amico, di cui a stento conosceva il nome.
Ma ancora una volta mi stupì, lasciandomi perplessa dal suono della sua voce così naturale e dal suo gesticolare così genuino, mentre con gli occhi fissava il paesaggio che si apriva davanti a noi.
“Si, diciamo che io sono la sua famiglia e lui è la mia.”, commentò sorridendomi, ma sul suo volto ricomparse il velo di tristezza, lo stesso di poco fa.
Nonostante ciò, però, non potei non notare la naturalezza con la quale si espresse, come se quella fosse una cosa a cui fosse abituato, come se si sentisse completamente e totalmente a suo agio, esclusa la riluttanza iniziale.
Quella piccola grande constatazione mi fece spuntare un sorriso ebete ed idiota sulle labbra, così preferii tornare a concentrarmi sulla sua espressione, ancora frustrata e perduta probabilmente tra i rimpianti e rimorsi che aleggiavano nella sua mente.
Solo in quel momento mi resi conto di avergli rievocato brutti ricordi o pensieri e mi sentii in colpa per aver ripreso l’argomento senza curarmi delle sue emozioni e dei suoi sentimenti, senza sapere se lui fosse pronto per parlarne, ma soprattutto senza sapere se lui volesse davvero parlarne.
La voglia e il desiderio che avevo di conoscerlo avevano avuto il sopravvento su altre componenti che in realtà sarebbero dovute essere molto più importanti. Mi diedi immediatamente dell’egoista e mi maledissi per non aver realizzato prima quanto questa conversazione potesse riaprire vecchie ferite.
Rimasi in silenzio, rimuginando su qualche buon argomento di cui parlare con lo sguardo fisso sulla fresca erbetta.
“È da tanto che non vedo mia madre. L’ultima volta che l’ho sentita, due settimane fa, era a Venezia con il suo nuovo compagno e le sue due figlie.”, aggiunse poco dopo, richiamando la mia attenzione.
Alzai il volto in direzione del suo e notai che lui aveva già gli occhi puntati su di me.
Non seppi cosa dire, un semplice “mi dispiace” sarebbe sembrato come dettato dalle circostanze e, d’altro canto, non potevo certo porgli domande data la scarsa confidenza che c’era tra noi fino a qualche ora prima, inoltre ormai avevo deciso che non avrei ulteriormente provato a scavare nella sua vita.
Lui parve comprendere i miei dubbi e lo vidi rivolgermi un sorriso appena accennato, ma dolce.
“Non preoccuparti, non so neppure io perché te lo stia dicendo.”, confessò iniziando a giocherellare con un bracciale che teneva al polso.
Ricambiai il sorriso, poi mi imposi mentalmente di dire qualcosa.
“È bello che tu riesca a parlarne con qualcuno.”, dissi per poi pentirmene l’istante esattamente dopo che ebbi finito di pronunciare quella frase. Cosa mai potevo o volevo aspettarmi che dicesse?
“Tuo fratello dice che sei un impiastro, ma a me non sembri tanto male.”, dichiarò sorridendomi sghembo.
Sorrisi anch’io di rimando.
“Se questo doveva essere una specie di complimento allora grazie!”, borbottai, ma era evidente che il broncio che avevo messo su era del tutto finto.
“Certe volte mi manca mia madre.”, si lasciò scappare poi, abbassando lo sguardo sul terreno.
Avrei voluto abbracciarlo, dirgli che io sarei stata lì per lui, che avrebbe potuto contare sia su di me che su mio fratello, avrei voluto dirgli che comunque sarebbe andata suo padre ci sarebbe sempre stato, ma non feci nulla. Rimasi immobile a guardarlo e aspettai che, se avesse voluto, continuasse.
In me non c’era più curiosità, soltanto desiderio di farlo sentire meglio, più sereno, come lo era all’inizio di quella conversazione.
“Era tutto così diverso quando lei era con noi! Ma soprattutto papà…”, lasciò la frase incompiuta, probabilmente non riuscendo a trovare le giuste parole.
Mi guardò negli occhi e solo allora continuò.
“Era diverso, più allegro, vivace… più felice, più vivo.”, concluse.
E così, spinta da chissà quale forza suprema, lo abbracciai. Lo strinsi forte a me, la sua testa poggiava sulla mia spalla, mentre la mia era immersa nei suoi capelli scombinati.
Il suo profumo, la sua vicinanza, tutto di lui mi dava alla testa.
Ci staccammo solo quando sentii il mio cellulare vibrare nella tasca dei jeans.
Sullo schermo lampeggiava la foto di Chris, segno che era lui a chiamarmi, ancora. Senza indugiare oltre, rifiutai la chiamata e riposi il cellulare nuovamente in tasca.
“Perché non rispondi?”, mi chiese curioso Guido.
“Non avevo voglia di parlare con quella persona.”, spiegai sperando che non facesse altre domande, ma ovviamente lui non poteva che fare ciò che non avevo predetto.
“Allora è vero che c’è un ragazzo!”, dedusse, cercando nei miei occhi una spiegazione.
“Stiamo, o meglio stavamo insieme da talmente tanto che neppure mi ricordo quanto tempo sia!”, mi lamentai.
“E la durata è un problema?”, domandò scettico, arricciando un sopracciglio.
“No, se stai con la persona che ami. Io Chris non lo amo più da tanto ormai, solo che sono talmente abituata a lui che mi dispiace lasciarlo.”, mi lasciai sfuggire senza rendermene neppure conto.
“Se non è lui la persona giusta non puoi mica forzare le cose!”, constatò con ovvietà facendo spallucce.
 Non risposi, e non perché credevo avesse torto, ma perché non volevo sprecare il pomeriggio a parlare dell’idiota proprio quando accanto a me c’era Guido.

“Guarda, c’è una farfalla!”, dissi indicandogli un puntino giallo a qualche metro da noi alzandomi di scatto per avvicinarmi di più e guardarla meglio.
Evidentemente dovetti fare una faccia davvero molto ridicola perché qualche istante dopo lo sentii iniziare a ridere a crepapelle.
“Che c’è?”, chiesi corrugando la fronte, indispettita dalla sua reazione.
“Sei troppo buffa!”, commentò continuando a ridere.
Serrai gli occhi e con calma mi avvicinai a lui gattonando.
“Ora te lo do io un buon motivo per ridere!”, ghignai malefica, iniziando a fargli il solletico.
Lui rideva, ed io con lui, e non riuscivo a fare a meno della sua risata. Era da tanto, forse da troppo, che non mi sentivo così leggera e libera, così felice. Era da tanto che non stavo così bene con qualcuno che non fossero le mie amiche, era da tanto che il mio cuore, forse, non batteva forte e frenetico all’avvicinarsi di un ragazzo.
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Angolo Autrice
Ecco il terzo missing moment! Ancora poco e pubblicherò anche il qaurto ed ultimo...!!
Che dire, ringrazio ancora tutti i lettori!
                                                                                                                                     Astrea_











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Capitolo 17
*** Arianna's missing moment ***


4

WALL

-What A Lovely Life-

“Labels and kiss”

NOEMI’s pov
“Non farti troppi problemi, non ballerò e basta.”, concluse Aria stizzita.
“Allora ti farò compagnia qui.”, dichiarò sedendosi accanto a lei.
Aria sbuffò, innervosita.
“Ok, basta! Andiamo a ballare!”, sbottò alzandosi di colpo. (Capitolo 11)
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ARIANNA’s pov
Era la prima volta dopo il poco felice accaduto di quella fatidica notte, episodio che in futuro avrei rinnegato fino allo strenuo, che ci ritrovavamo così vicini e soprattutto da soli, seppur fossimo circondati da un centinaio di persone. Stava superando la distanza di sicurezza, ma mi fu impossibile fare qualsiasi cosa per impedirglielo. Eravamo come il polo positivo e quello negativo di una calamita in quel momento: non potevamo fare altro che attirarci tra noi. Mi maledissi per aver formulato un pensiero del genere: al massimo ero io ad essere attratta completamente ed incondizionatamente da lui e non solo in quel momento. Ma mi maledissi ancora una volta, consapevole che constatazioni di quel tipo non mi erano d’aiuto nell’affrontare la situazione nella quale mi trovavo.
Luca poggiò le mani sui miei fianchi e io non protestai al contatto, troppo concentrata a cercare di mantenere un briciolo di controllo sulle mie azioni e sulle mie imprevedibili reazioni, visto che quelle erano un altro grande problema.
Iniziammo a muoverci a ritmo di musica, senza esagerare nei movimenti. Lui mi sorrise, poi con una calma straziante avvicinò le sue labbra al mio orecchio. Deglutii, cercando di non farglielo notare, di certo di motivi per prendermi in giro ne aveva già a sufficienza per i prossimi due anni.
“Non credi che dovremmo parlare io e te?”, sussurrò, ma nonostante la musica assordante riuscii a sentire perfettamente la sua voce limpida e cristallina.
Il suo tono quella sera era diverso, lo percepii immediatamente. Non c’era la solita ironia o il sarcasmo, non stava cercando di mettermi in difficoltà per l’ennesima volta, per poi ridersela sornione. Mi scansai leggermente, così da poterlo guardare negli occhi. Non erano beffardi, né maliziosi e mi persi in essi.
“Cosa dovremmo dirci?”, chiesi poi, riprendendomi dallo stato di trance in cui sembravo essere caduta temporaneamente, senza comunque rispondere alla sua domanda e lui, ovviamente, non poté non notarlo.
“Non si risponde ad una domanda con un’altra domanda.”, mi fece notare con aria da finto saputello.
Lo vidi fermarsi, aveva smesso di ballare e mi fissava dritto negli occhi con un’espressione seria dipinta sul volto. Immediatamente mi fermai anche io.
Presi un respiro profondo e lo fissai di rimando, ma non saltargli addosso mi costò molto più sforzo del previsto.
“E non sono io questa volta ad averti baciata.”, continuò centrando subito il nocciolo della questione.
Abbassai immediatamente il volto, imbarazzata, mentre potevo chiaramente sentire il sangue affluirmi alle guancie.
Come potevo spiegare a lui una cosa che non riuscivo a spiegare neppure a me stessa?
“Tu puoi farlo ed io no? È questo che stai cercando di dirmi?”, lo aggredii come una stupida bambina, tergiversando il discorso.
Si, mi sentivo decisamente ridicola per ciò che avevo appena detto.
“Aria cresci, diamine!”, aveva sibilato lui a denti stretti, stringendo la mano in un pugno.
I suoi occhi fiammeggiavano di rabbia.
“E cosa dovrei fare, sentiamo?!”, lo incitai, posando le mani sui fianchi e guardandolo con aria di sfida.
“Continui a fare solo domande senza dare riposte.”, commentò ed in quel momento parve calmarsi.
Mi quietai anch’io di riflesso e l’atmosfera tra noi si alleggerì notevolmente.
“Possibile che tu davvero non riesca a capire?”, chiese più a sé stesso che a me, tanto che a stento riuscii a sentire la sua flebile voce.
Con calma lo vidi muovere un passo verso di me. Poggiò la sua mano sulla mia guancia, mentre con l’altra spostò dietro l’orecchio una ciocca dei miei capelli. Mi guardò bene negli occhi, scrutandomi, cercando di capire probabilmente cosa stessi pensando in quel momento.
Pochi istanti dopo lo vidi riprendere l’avanzata verso il mio viso, ormai eravamo soltanto ad una spanna di distanza.
Io rimanevo immobile, sotto il tocco delle sue mani, mentre lo guardavo disarmata e ipnotizzata, completamente rapita da lui.
Scappa, urlò quella che riconobbi essere la mia coscienza, ma la ignorai.
“Non scappi, non mi picchi, non mi allontani, rimani immobile… perché?”, soffiò sulle mie labbra, ormai troppo, troppo vicino.
Non riuscivo a formulare una risposta degna di senso compiuto.
“Perché…”, boccheggiai senza giungere ad alcun risultato.
“Perché vuoi baciarmi.”, concluse lui al posto mio.
Riacquistai un minimo di freddezza, ne necessitavo assolutamente per cercare di salvarmi la faccia almeno un pochino.
“Sei tu quello che avanza, non io.”, replicai tentando di sembrare atona, ma non credo ci riuscii per davvero.
Lui sorrise sghembo.
Poi colmò definitivamente la distanza tra noi e mi baciò, dolce.
D’istinto portai le mie mani dietro al suo collo ed iniziai a giocare con i suoi capelli, mentre lui fece scendere un braccio a circondarmi la schiena e con una mano mi accarezzava la guancia.
Ci staccammo solo quando entrambi fummo a corto di ossigeno. I nostri occhi si cercarono, trovandosi subito.
“Pensavo che all’ultimo secondo mi avresti schiaffeggiato.”, confessò con un mezzo sorriso disegnato sulle labbra, facendo sorridere anche me.
“Chissà cosa penserà la gente ora che ci ha visti baciare. T’immagini? Magari crederanno che stiamo insieme!”, esclamò ridendo come un matto.
Le sue parole furono come un tuffo al cuore.
Mi allontanai, svincolandomi immediatamente dalla sua labile presa.
L’aveva fatto ancora, un’altra volta: mi aveva presa in giro, illudendomi.
“Perché è questo che ti preoccupa, no? Cosa penserà la gente di te, di noi? E non dovrei neppure usare il noi, visto che non c’è e non c’è mai stato, per mia immensa fortuna!”, inveii contro di lui alzando di un’ottava il mio tono di voce.
Lui sgranò gli occhi, sorpreso dalla mia reazione e ciò non fece altro che innervosirmi ancora di più.
Credeva di avere a che fare con un’altra delle sue puttanelle?
Lo fulminai con lo sguardo e feci per andarmene, ma lui mi bloccò per un polso.
“Dai Ari, ci stavamo divertendo! E poi non ti sono mai piaciute le etichette!”, aveva provato a dire, cercando probabilmente di farmi ragionare a modo suo.
Ci stavamo divertendo, aveva detto. Mi diedi della stupida per averlo assecondato. Per tutta la serata il suo obiettivo era stato sempre e solo quello: divertirsi.
Sorrisisi amareggiata, svincolandomi nuovamente dalla sua presa.
“Vai a divertirti con qualcun’altra, io ho smesso di giocare. Dovevo crescere, no? Bene, inizio da adesso.”, dichiarai cercando di sembrare sicura e decisa.
Poi a passo di marcia mi allontanai da lui alla ricerca delle mie amiche, ma nella sala non intravidi nessuna di loro. Avevo bisogno di un po’ di aria, ma soprattutto avevo bisogno di restare da sola, necessitavo urgentemente di pensare a ciò che era appena successo. Volevo piangere, urlare, spaccare con le mani il mondo intero, ma tutto ciò che invece riuscii a fare fu risalire le scale e chiudermi nella camera da letto di Camilla, dove trovai l’agognata tranquillità.
Quando mi decisi che si era fatta ora di tornare giù e dare segni della mia esistenza, lo vidi.
Era seduto sulle scale con una bionda ossigenata tra le gambe, circondato dai sui fanatici amici senza cervello. Scherzavano e ridevano insieme, mentre lei cercava di sedurlo con gesti e occhiate che di casto non avevano davvero nulla.
Evidentemente aveva deciso davvero di seguire il mio consiglio.
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Angolo Autrice  
Sì, questa volta è veramnete finito finito! Allora, ovviamente rinnovo i ringraziamenti a chi ha letto e chi mi ha seguita...
In particolare Aislinn_05, prettyreckles e roxi che hanno tentuto fino alla fine la storia tra le ricordate, grazie mille!
Ringrazio anche
AundreaMalfoy, DreamWriter, Mai Annabeth Lily Cullen, marty_chic, probabilidad, rossy87, TyreKP, _anda e _Liz_ per averla inserita tra le seguite,
davvero grazie di cuore!
Ovviamente riservo ancora un ringraziamento speciale per dream to fly, sperando che anche questi ultimi capitoli ti siano piaciuti.
Bene, bene... mi pare di aver ricordato tutto...
Per chi fosse interessto, alla fine ho deciso di lavorare su un possibile sequel... Insomma, se non s'era capito dalla storia ora lo dico io:
a me non va proprio giù che tra il mio caro e piccolo Luca e Arianna finisca così!ù.ù
Comunque sia, ancora GRAZIE!
Alla prossima,
                                                                                                                                        Astrea_

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