Wall - What A Lovely Life di Astrea_ (/viewuser.php?uid=144693)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Autumn Time ***
Capitolo 2: *** What you wouldn't think about me ***
Capitolo 3: *** Now I know who you are ***
Capitolo 4: *** My bestfriend's brother ***
Capitolo 5: *** Neighbours ***
Capitolo 6: *** How you make me smile ***
Capitolo 7: *** Moonlight ***
Capitolo 8: *** Imagination plays bad jokes ***
Capitolo 9: *** Love is a bit like craziness ***
Capitolo 10: *** When end is another way to say beginning ***
Capitolo 11: *** Change of plans ***
Capitolo 12: *** Sorry ***
Capitolo 13: *** Epilogo ***
Capitolo 14: *** Noemi's missing moment ***
Capitolo 15: *** Camilla's missing moment ***
Capitolo 16: *** Alice's missing moment ***
Capitolo 17: *** Arianna's missing moment ***
Capitolo 1 *** Autumn Time ***
WALL
-What A Lovely Life-
Capitolo 1: Autumn
time
ALICE’s pov
3 ottobre 2011
Avevo
sempre odiato l’autunno, si, l’autunno era in
assoluto il periodo dell’anno che più odiavo.
Il perché? C’era anche bisogno di chiederlo? La
fine dell’estate, l’inizio della scuola, le foglie
gialle e appassite che cadono dagli alberi, l’umida e bagnata
pioggia, il freddo e gelido vento, tutte caratteristiche che io, Alice
Coldare, potevo esattamente definire come a me diametralmente opposte.
Per chi non lo sapesse, odiavo anche la matematica, in particolar modo
la geometria, ecco perché utilizzavo questo linguaggio
così attinente a quella materia per parlare di cose che
sortissero lo stesso malsano effetto su di me. Da
tutto ciò l’equazione autunno=geometria era per me
universalmente valida e riconosciuta, come i corollari.
Un'altra cosa che il mio corpo e la mia mente si rifiutavano
categoricamente di tollerare era il mio ragazzo quando citofonava con
una frequenza di tre secondi per invitarmi a darmi una mossa e scendere
giù, perché lui, poverino, non poteva certo
aspettare cinque minuti in più: ecco, questa era una di
quelle mattine in cui l’avrei volentieri arso vivo insieme ai
libri di matematica e alle foglie secche.
“Arrivo”, urlai fiondandomi sulle scale del
condominio, avendo notato il pallino rosso che segnalava
l’impossibilità momentanea di utilizzare
l’ascensore: qualcuno era stato più veloce di me e
mi aveva fregato.
Abitavo al quarto piano di un condominio nel bel mezzo della
città e, nonostante certe volte fosse abbastanza difficile
tornare a casa a causa del traffico, mi piaceva abitare qui.
“Finalmente!”, sospirò Chris vedendomi
uscire dal portone principale.
“Buongiorno, eh!”, lo salutai io avvicinandomi, ma
lasciando che fosse lui a colmare del tutto le distanze con un bacio.
“Allora, andiamo?”, disse non appena le nostre
labbra si staccarono.
Salimmo sul suo motorino e ci avviammo verso il liceo, arrivando pochi
minuti dopo: l’avevo detto io che abitavo in centro! Scesi
frettolosamente restituendogli il casco, poi con un lieve bacio lo
salutai.
“Ci vediamo dopo!”, gli dissi già a
qualche metro di distanza.
“A dopo amore!”, mi salutò con un
sorriso stampato in faccia.
Io e Chris stavamo insieme da due anni, praticamente una vita se
considerate che l’unico pseudo-ragazzo antecedente a lui
dovette sopportarmi per la bellezza di soli dieci giorni, poi lo mollai
e indovinate per chi? Risposta ovvia, per il mio Chris. Da allora
niente e nessuno ci ha più separati.
“Ehi bella!”, mi salutò Noemi
spuntandomi alle spalle.
“Buongiorno Mi! Allora, com’è andato il
fine settimana?”, le chiesi, continuando la nostra sfilata
verso l’ingresso della scuola.
“Al solito. Certo mi sono divertita, ma nulla di
serio.”, commentò senza perdersi in troppi
particolari.
“E il tuo caro Leonardo che fine ha fatto?”, chiesi
riferendomi a quello che per quindici giorni di fila era stato la sua
fissa onnipresente.
“Carino, molto carino, ma niente.”,
dichiarò annoiata.
Sorrisi, ormai ci ero abituata. Lei era fatta così: si
prendeva una cotta per un ragazzo, ci usciva, magari si mettevano
insieme e dieci giorni dopo era già finito tutto.
“Piuttosto, hai visto Arianna e Cami?”, mi chiese.
“No, ma stamattina dovevano venire insieme, strano che non si
siano ancora viste in giro!”, commentai cercandole con lo
sguardo.
“Eccole!”, mi fece notare Noemi puntando
l’indice contro le due ragazze ferme alle scale.
La nostra scuola era piuttosto grande. Nonostante l’edificio,
per fortuna o sfortuna, fosse unico, racchiudeva numerosi indirizzi
scolastici, quali il liceo scientifico, classico, linguistico,
pedagogico e tecnologico. Ciò permetteva ai poveri
disgraziati che si erano iscritti di poter mantenere i contatti anche
con chi non aveva fatto la stessa scelta. Prendete noi, ad esempio:
Cami al classico, io e Arianna allo scientifico e Mimi al linguistico,
ma sempre insieme in ogni momento libero.
“Odio il latino, non è concepibile che ai giorni
nostri ancora siamo obbligati a studiarlo! Ma se è una
lingua morta, a me a cosa diamine serve? Tanto con i morti mica ci
parlo io!”, si lamentò Arianna, non avendo ancora
notato il nostro arrivo.
“Dai Aria, non dirmi che sei preoccupata per il
compito!”, la canzonai con un buffo sorriso.
Io e Arianna eravamo nella stessa classe.
“Sono dieci minuti che provo a farla calmare ma non ne vuole
sapere! Neppure gli esercizi di yoga sembrano sortire effetto su di
lei!”, bofonchiò Camilla alzandosi.
“A che serve studiare? L’importante è
che ci sia qualcuno che ti passi la versione!”, disse Mimi
nel tentativo di rassicurarla.
“Si certo, hai dimenticato di dire che questo funziona solo
se il tuo sex appeal è pari o superiore a quello di Noemi
Acrirubi!”, sbuffò ironicamente Arianna.
“Ragazze, basta perdere tempo! Alzate e muovete quei culi
lardosi verso le rispettive classi!”, dissi con tono
minaccioso, nascondendo un sorriso sotto i baffi.
“Ci vediamo dopo!”
Ci salutammo frettolosamente, senza troppe smancerie, e con Arianna mi
diressi verso la nostra classe.
“La smetti di tormentare quelle povere ed innocenti
dita?”, la supplicai notando quella sottospecie di tranello
del diavolo che aveva creato con le sue mani.
“È solo un test!”, aggiunsi nel vano ed
estremo tentativo di calmarla.
“Sai quanto m’interessa del test di
latino!”, borbottò ironicamente.
“E allora si può sapere cosa ti
succede?”, chiesi non riuscendo più a seguirla.
“Credo che per il momento dovrai accontentarti di un nome:
Matteo.”, disse varcando la soglia dell’aula.
Involontariamente feci roteare gli occhi, sorpresa e non sapendo
minimamente cosa aspettarmi da quell’indizio che Arianna mi
aveva appena lanciato.
Prendemmo posto nei banchi, dando il via a quella noiosissima routine
che ormai si ripeteva già da qualche settimana. Si:
l’autunno faceva davvero schifo.
5 ottobre 2011
Il
mercoledì pomeriggio era l’unico giorno della
settimana in cui nessuna di noi aveva impegni, per questo a inizio anno
lo eleggemmo come giorno perfetto per passare del tempo insieme,
così, come consuetudine, quel pomeriggio ci incontrammo.
Eravamo solite fare shopping, andare al cinema o al parco, o magari
organizzare una di quelle sedute casalinghe di bellezza, ma quello era
un pomeriggio di confidenze, dunque il luogo appropriato era casa di
Camilla, l’unica di noi a non avere fratelli o sorelle, per
di più entrambi i suoi genitori lavoravano e ciò
equivaleva a dire casa libera fino alle otto di sera.
Mi ero goffamente appollaiata sulla sedia vicino la scrivania, mentre
tra le braccia stringevo il morbido cuscino rosso che solitamente era
poggiato al centro del letto. Mimi, dall’alto della sua
posizione, seduta sulla scrivania, teneva lo sguardo fisso su Arianna,
seduta ai piedi del letto. Infine Camilla si era comodamente seduta sul
letto, mentre distrattamente giocava con un peluche.
“Allora, si può sapere cos’altro
è successo? Hai forse visto volare una pecora?”,
chiesi ironicamente nel tentativo di interrompere
quell’insopportabile silenzio.
“Beh, in un certo senso è addirittura
peggio!”, cominciò Noemi come per introdurre il
discorso.
Rimanemmo in silenzio, in attesa che riprendesse la parola, con gli
occhi fissi su di lei.
“Allora, la questione è piuttosto semplice: alla
fine io e Leo ci siamo messi insieme!”, annunciò
con una tranquillità spaventosa ed inquietante.
“Che cosa?”, esclamammo in coro non appena
realizzammo mentalmente ciò che aveva detto.
“Si. Cioè, pensavo non mi piacesse più
ed in effetti era così, ma ieri è venuto sotto
casa mia con un mazzo di rose rosse… cosa ci posso fare io?
Mi è sembrato così carino e coccoloso che non ho
saputo dirgli di no!”, confessò con il sorriso
sulle labbra.
“Carino e coccoloso?”, replicai interdetta.
“Ok, diciamo che è anche un bonazzo da paura, che
è un tipo popolare ed è
simpaticissimo!”, aggiunse subito dopo come volendo rimediare
a una mancanza.
“Hai dimenticato la cosa più
importante!”, le fece notare Arianna.
“Cioè?”, domandò Mimi non
riuscendo a capire a cosa si stesse riferendo.
“A te piace?”, chiese Arianna con fare inquisitorio.
Strabuzzò gli occhi, come se quella domanda fosse
inopportuna e fuori luogo, poi ci rifletté un attimo.
“Si, oggi mi piace.”, confessò.
“E chissà domani…”,
controbatté Cami in tono canzonatorio.
“Non farmi la predica Cam, non è colpa mia se un
giorno uno mi piace e il giorno dopo no! Ora mi piace, poi si
vedrà!”, si giustificò facendo
spallucce.
“Mi sembra ancora strano.”, commentai guardando
Noemi.
“Suvvia, non fatemi credere che
siete veramente sorprese! Del resto lo sapevate che prima o poi sarebbe
successo!”, dichiarò Mimi cercando di sembrare
sicura di sé.
“Certo Mi, tu ne cambi uno al mese!”, la
canzonò nuovamente Cami, di certo la più saggia e
matura di noi.
“Dai Cam, è giovane, bella e simpatica, lasciale
vivere la sua giovinezza!”, commentò Arianna nel
tentativo di spezzare una lancia in favore dell’amica.
“E poi c’è la coppia che non scoppia che
mantiene gli equilibri!”, aggiunse sarcastica poco dopo
riferendosi palesemente a me e Chris.
Proprio in quell’istante sentì il cellulare
vibrare. Lo estrassi dalla tasca e lessi il nome di colui che mi
chiamava: Amore. Alzai il cellulare per far notare alle altre la
chiamata, scuotendolo leggermente a destra e sinistra, poi alzandomi,
mi spostai nell’angolo più lontano da loro della
stanza.
“Ehi Chris!”, dissi accettando la chiamata.
“Amore, scusa, so che sei con le
altre…”, iniziò.
Ma che carino, si ricordava perfino dei mercoledì pomeriggio!
“Tranquillo, non disturbi!”, lo rassicurai
immediatamente.
E più o meno era davvero così.
“Domani sera viene mia cugina… sei dei
nostri?”, chiese aspettandosi una risposta affermativa.
Ecco cosa ci voleva per finire male il pomeriggio: questa fantastica
notizia.
“Certo amore mio!”, riposi con tono falsamente
contento.
“Bene, allora ti lascio alle tue amiche! Salutami
tutti!”
“Certo! Ciao Chris!”, lo salutai alla svelta.
“Ciao amore!”, ricambiò prima di
chiudere la chiamata.
“Allora? Cos’è questa
faccia?”, mi chiese Arianna mentre riprendevo posto sulla
sedia.
“Domani viene sua cugina e staremo con lei”,
bofonchiai annoiata e seccata.
“Certo che sembrate una di quelle coppiette sessantenni voi
due! Dov’è finita la grinta?”, mi
rimproverò scherzosamente Noemi, anche se, sotto sotto,
aveva proprio ragione.
Possibile che con Chris ogni giorno fosse diventato uguale
all’altro?
“Ma loro si amano!”, commentò Cami con
gli occhi sognati per quell’amore che ancora non aveva avuto
la fortuna di incontrare.
Si, noi ci amavamo, ci amavamo ogni giorno come se fosse
l’altro.
Sospirai, riprendendomi dai miei pensieri, del resto non avrei neppure
dovuto riflettere su una cosa del genere, non ce ne sarebbe dovuto
essere il bisogno… ma allora perché
c’era?
“Aria!”, la chiamò Mimi attirando la sua
attenzione, ma facendo automaticamente voltare nella sua direzione
anche me e Cami.
“Che fine ha fatto il tuo caro Matteo?”,
domandò con un sorriso malizioso stampato sulle labbra.
Arianna sorrise, leggermente imbarazzata.
“Nessuna fine.”, rispose un po’ troppo
evasiva per i nostri gusti.
“E allora perché le tue guance sono diventate
improvvisamente rosso scarlatto?”, chiesi, notando il
caratteristico colore che le sue goti assumevano in situazioni a lei
poco gradite.
Di sottecchi vidi Cam e Mimi sorridere compiaciute, mentre io rimanevo
con gli occhi puntati su Arianna.
“Uffa, non è che c’è molto da
dire!”, sbuffò, celando un sorriso.
“Meglio, così potrai raccontarci tutto in poco
tempo!”, dichiarò Camilla, incoraggiandola e
inchiodandola al contempo.
“Questo fine settimana non si è fatto sentire,
lunedì mattina l’ho intravisto da lontano, ma lui
non mi ha salutata, parlava con l’amichetta di Luca e poi nel
pomeriggio mi ha chiamata dandomi delle spiegazioni, ma questo
già lo sapevate. Quello che non sapete è che
martedì pomeriggio siamo usciti insieme.”, disse.
Sgranammo gli occhi. Silenzio. La soglia di attenzione era altissima, i
nostri visi la imploravano di andare avanti.
“No, non ci siamo baciati. No, non stiamo insieme. No, non
credo di amarlo.”, aggiunse poco dopo rispondendo alle
domande che sapeva avremmo voluto farle, guardando prima Mimi, poi me
ed infine Cam. Io mi lasciai andare ad un sospiro liberatorio, Cami
sorrise come se in fondo sapesse già tutto, mentre Noemi
torse il labbro delusa.
“Ma è successa una cosa…”
Tornammo a fissarla.
“Abbiamo incontrato Luca, con la sua ragazza!”,
annunciò guardando me.
“Mio fratello?”, chiesi sorpresa, mentre una strana
luce si accendeva nei miei occhi. “E da quando è
fidanzato?”, aggiunsi poi, realizzando le sue parole.
“Non so se fosse la sua fidanzata, ma stavano praticamente
pomiciando!”, mi disse Arianna.
“Ah, e allora stai sicura che non era la sua
fidanzata!”, borbottai, decisamente non d’accordo
con il comportamento che mio fratello aveva deciso di adottare con le
persone del mio stesso sesso.
“Insomma, si è staccato dalla tipa bionda, si
è avvicinato a noi e ha iniziato a squadrare Matteo, poi
incenerendolo con gli occhi ha detto: “Stai attento a quello
che fai!”. Io praticamente sono rimasta a bocca aperta e
occhi sgranati. Matteo non sapeva assolutamente cosa fare. Luca si
è voltato verso di me e ha continuato dicendo:
“È ancora troppo piccola!”, ovviamente
parlava ancora con Teo.” , terminò Arianna
innervosita e ancora adirata con l’energumeno che mi
ritrovavo per fratello.
Noemi scoppiò a ridere, contagiando anche Cam che cercava
inutilmente di contenersi. Io sorrisi lievemente, in parte soddisfatta
di ciò che Luca aveva fatto.
“Non so che dire.”, commentai, tentando di
trattenere uno smagliante sorriso.
“Che tipaccio che è tuo fratello!”,
sghignazzò Mimi. “Dai, vuole
proteggerti!”, aggiunse sarcasticamente.
“No, io credo più che voglia soltanto prendermi in
giro e rovinare la mia vita.”, borbottò a labbra
serrate Arianna.
Si, l’autunno di Arianna esisteva ed aveva anche un nome:
Luca.
---
Angolo Autrice
Salve a tutti!
Finalmente dopo tanto tempo mi sono decisa a pubblicare ciò
che da anni custodisco segretamente nella mia cartella!XD
Non è la prima volta che mi trovo a scrivere storie, ma non
l'avevo mai fatto in questa sezione.
Che dire, questo è solo il primo capitolo, un piccolo
assaggio di ciò che a breve arriverà! ;)
Spero vi sia piaciuto, a presto!
Astrea_
|
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Capitolo 2 *** What you wouldn't think about me ***
WALL
-What A Lovely Life-
Capitolo
2: What you wouldn’t think about me
CAMILLA’s pov
8 ottobre
2011
La
conoscenza formale, prettamente legata allo studio dei libri e alle
ricerche attendibili sviluppate su manuali cartacei grandi quanto un
palazzo di Manhattan, sarebbe stata sufficiente a rendermi una delle
persone più sagge tra i miei coetanei? Perché un
libro e un paio di occhiali da riposo sortivano sugli adolescenti lo
stesso effetto di una mela marcia in un negozio pieno di leccornie su
un bambino? Perché l’arte di dare una definizione
specifica per ogni cosa era divenuta uno squallido diversivo per
pretendere di conoscere ciò che non rientrava nel nostro
giro d’azione?
Mi rigirai, mentre ero ancora stesa sul letto. Spesso mi capitava di
perdermi tra i mille pensieri e ragionamenti che la mia mente si
trovava a formulare senza neppure il mio esplicito consenso. Io,
Camilla Discriva, ero per definizione una secchiona. Io, Camilla
Discriva, odiavo le definizioni e la conoscenza nozionistica. Io,
Camilla Discriva, ero davvero stanca dell’insulso e falso
mondo di cui gli altri continuavano a circondarmi.
Alzai leggermente il volume della musica le cui note si propagavano per
tutta la stanza. Socchiusi gli occhi, lasciandomi trasportare dalla
crude e dolce verità raccontata in modo così
semplice e diretto dal mio adorato Ligabue. In quel momento era come se
intorno a me si creasse una bolla di sapone, o meglio una meno fragile
e più resistente campana di vetro, la cui funzione non era
quella di isolarmi dal resto del mondo, ma di proteggermi, di
accogliermi, di offrirmi un posto sicuro al riparo da intemperie e
problemi, lontano da tutto e da tutti.
Sobbalzai lievemente quando il cellulare vibrò
all’improvviso contro la mia gamba. Subito ricordai
dell’appuntamento che avevo con le altre e
d’istinto controllai l’orologio: erano esattamente
le cinque e mezzo di sabato pomeriggio.
Presi il cellulare e svogliatamente sbloccai la tastiera e mi decisi a
leggere il messaggio. In poche chiare e concise righe Arianna mi
rendeva nota la loro posizione, lontana da me esattamente una rampa di
scale e pochi metri.
Scesi all’ingresso per aprire il cancello e il portone.
“Camilla, tesoro, sono le tue amiche?”,
domandò mia madre sbucando dalla cucina.
“Si.”, risposi frettolosamente senza prestarle
troppa attenzione.
“Stasera andrete alla festa?”, chiese mio padre
intromettendosi in quella che pensavo fosse una conversazione
già chiusa.
“Si.”, confermai anche questa volta per nulla
interessata.
Mi fissarono per un po’, mentre io, sulla soglia della porta,
evitavo accuratamente di voltarmi verso di loro.
“Ciao Cam!”, mi salutarono varcando la porta, ma
immediatamente notarono la presenza dei miei.
“Salve!”, salutò Alice con un sorriso a
trentadue denti, subito imitata anche da Arianna e Noemi, la quale
teneva uno strano e voluminoso borsone stretto tra le mani e a
giudicare da come lo portava doveva essere anche piuttosto pesante.
Decisi di troncare immediatamente quella scena quasi patetica in cui i
miei squadravano come fossero radar o investigatori me e le mie amiche
per carpire informazioni.
“Noi andiamo su a prepararci!”, annunciai
trascinando al piano superiore le mie amiche.
“Allora Cam, hai già deciso cosa
indossare?”, mi chiese Mimi lanciando un eloquente sguardo al
borsone che trascinava sulle scale.
“Si, pantaloni neri, tacchi e camicia.”, annunciai
senza entusiasmo buttandomi a peso morto sul mio letto.
“Sapevo che avresti risposto così!”,
disse entrando con le altre nella mia stanza.
Aveva gli occhi fissi su di me, con uno sguardo a metà tra
il divertito e il maligno.
“Ed è per questo che ci sono qua io!”,
trillò con una voce che mi penetrò dritta nel
cervello. Si, io, Camilla Discriva, temevo terribilmente le idee
spaventosamente poco razionali e radicali di Noemi Acrirubi,
soprattutto quando aveva a disposizione ben quattro ore ed
un’unica cavia: io.
8 ottobre 2011
Eravamo
appena arrivate alla festa con un leggero voluto ritardo, secondo le
precise direttive di Noemi.
La musica già invadeva forte e prorompente tra le quattro
mura del locale, mentre le luci psichedeliche ruotavano senza sosta.
Qualcuno già si scatenava in pista, strusciando i corpi
l’uno sull’altro, mentre la maggior parte dei
presenti era intenta a fare conversazione, alias tempo di rimorchiare.
I più audaci erano già in prossimità
del bar, mentre sorseggiavano drink che di lì a poco gli
avrebbero fatto perdere la completa lucidità.
“Salve ragazze!”, ci aveva salutate Davide non
appena ci aveva viste prendere posto su dei divanetti.
Mimi sorrise alla sua vista, mentre il ragazzo calò
leggermente il capo per poterle lasciare un bacio tutt’altro
che puro e casto. Si, la storia con Leonardo, come previsto, non era
durata molto, così dopo pochi giorni di fidanzamento e uno
di lutto, la mia cara amica aveva deciso di trovarsi già un
altro ragazzo: Dave, come lo chiamava lei.
Li guardai e involontariamente sentì il mio volto piegarsi
in una smorfia di disgusto per quei due che pomiciavano
così, sui divanetti di una discoteca, conoscendosi da solo
pochi giorni, davanti a tutte noi.
Anche Arianna non sembrava soddisfatta, ma di certo lei era
più tollerante a riguardo rispetto alla sottoscritta.
L’attenzione di Alice, invece, era stata catturata
dall’arrivo del suo fantastico fidanzato, il quale le aveva
immediatamente proposto di andare a ballare e lei, senza pensarci
troppo, aveva accettato.
Guardai Arianna negli occhi e, con uno sguardo d’intesa,
decidemmo di spostarci da lì.
Ci alzammo contemporaneamente, ma Noemi non parve neppure accorgersene,
e ci dirigemmo ai margini della pista. Indecise sul da farsi, iniziammo
ad ondeggiare, muovendoci lievemente a ritmo di musica.
“Ciao Arianna!”, esclamò Matteo
avvicinandosi a noi con un sorriso stampato in faccia.
“Ciao Teo!”, rispose ricambiando il saluto.
“Lei è Camilla, una delle mie migliori
amiche!”, dichiarò presentandoci.
Matteo allungò la mano, sorridendomi, ed io lo imitai,
stringendogliela.
“Sono felice di conoscerti! Arianna mi ha parlato tanto di
voi, di te!”, disse sempre sorridendo.
A quel ragazzo doveva piacere davvero molto la mia amica! I suoi occhi
avevano iniziato a luccicare nell’esatto momento in cui
l’aveva vista ed ora non la smetteva più di
sorridere. L’ostentazione dei suoi sentimenti era talmente
palese da risultare irritante, o almeno lo era per me che in quel
momento morivo dall’invidia. Cercai di piegare le labbra in
quello che sarebbe potuto sembrare un sorriso sincero, ma non fui certa
di riuscirci.
“Ti dispiace se te la rubo per un ballo?”, chiese,
incrociando il suo sguardo con quello di Arianna.
Immediatamente lei si voltò verso di me, interrompendo il
contatto visivo con quel ragazzo. Sapeva che se lei avesse accettato io
sarei rimasta sola ed era palesemente contraria a ciò.
“Certo che no, vai pure Aria!”, dissi cercando di
convincerla con gli occhi.
La vidi completamente restia alle mie parole, ma ormai avevo deciso:
Arianna doveva godersi la sua serata.
“E poi io ho da fare una cosa!”, aggiunsi facendole
l’occhiolino.
Sapevamo entrambe che non c’era nulla che dovessi fare, ma
lei non poteva rimanere incollata a me tutta la serata solo per farmi
compagnia, non sarebbe stato giusto. Mi voltai con un falso sorriso e
ancora sorridendo mi diressi verso il bancone, sedendomi sul primo
sgabello.
Non avevo intenzione di bere, ma rimanere in piedi a guardare non era
certo tra le mie prerogative.
Mi voltai, dando le spalle al barista e cercai tra la folla le mie
amiche. Ormai la sala era piena di gente che danzava maliziosamente a
ritmo di musica sotto i riflettori colorati. Intravidi Mimi
letteralmente avvinghiata a Davide, mentre Alice ballava adorabilmente
con Christian. Arianna, dall’altro lato del locale, si
muoveva a ritmo di musica affiancata da Matteo. Tra la folla scorsi
anche Luca, il fratello maggiore di Alice, intendo a strusciare o farsi
strusciare, questo dettaglio era poco chiaro, da una bionda con un seno
prorompente e un vestito davvero poco coprente. Ecco: tutto come da
definizione. Alice con il suo storico fidanzato, Luca, con
un’altra estroversa e intraprendete gallina senza cervello,
Noemi con il ragazzo di turno, Arianna con un amico innamorato di lei
ed io con la mia più completa e totale solitudine.
Chiusi gli occhi. Ero stufa di essere me stessa, lo ero completamente,
davvero.
Presa da un istinto incontrollabile mi girai verso il barman e lo
scrutai bene in faccia. Lui si accorse di essere osservato e si
voltò nella mia direzione. Ancora non avevo smesso di
fissarlo. Corrugò la fronte e si avvicinò.
“Posso fare qualcosa per te?”, mi chiese piegando
le labbra in un mezzo sorriso.
“Qualcosa di forte, subito.”, ordinai senza
pensarci due volte, altrimenti di certo me ne sarei pentita e tirata
immediatamente indietro.
Mi porse un bicchiere, uno di quello piccoli e bassi. Dentro
c’era del liquido di uno strano colore marroncino. Non feci
domande. Presi il bicchiere di vetro e lo osservai per qualche secondo,
ancora non completamente sicura di ciò che stavo per fare,
ma bastò poco a convincermi.
Io, Camilla Discriva, volevo un’altra definizione, ora.
Sorrisi malignamente e con un solo sorso lo buttai giù.
“Un altro.”, ordinai con sguardo vacuo.
Dopo il terzo bicchiere persi completamente il conto. La testa mi
scoppiava, la gola era in fiamme, ma mi sentivo stranamente leggera e
felice.
“Hai intenzione di berne ancora molti?”, chiese una
voce stranamente dolce e sensuale al contempo.
“Non credo questo possa interessarti.”, bofonchiai
senza neppure voltarmi verso colui che aveva parlato.
“Invece mi interessa, eccome se mi interessa!”,
ribatté alle mie spalle.
“Si può sapere chi diavolo sei e cosa diamine vuoi
da me?”, sbottai girandomi in direzione della voce.
Un ragazzo alto, magro, con dei jeans stretti e una camicia di seta, si
parò davanti ai miei occhi. Aveva i capelli biondi e gli
occhi azzurri, due profonde pozze d’acqua in cui ebbi la
sensazione di annegare.
“Sono Francesco e voglio ballare con te. Ti bastano come
risposte?”, mi chiese avvicinandosi pericolosamente al mio
viso.
“Diciamo che possono essere sufficienti.”,
mormorai, completamente spiazzata dalla situazione.
In condizioni normali di certo sarei
stata più che in imbarazzo, ma l’alcol
probabilmente aveva contribuito in modo eccessivo ad eliminare del
tutto questa sensazione.
“Era un si o un no?”, domandò a pochi
centimetri dalle mie labbra.
“Forse.”, soffiai sul suo viso.
“Come faccio a convincerti?”, mi chiese, mentre nei
suoi occhi si accendeva una strana luce.
Per un attimo mi mancò il respiro, sentivo il cuore battere
frenetico e una voglia matta di baciarlo.
Ormai il cervello aveva smesso di funzionare e nonostante fosse quello
l’effetto che volevo produrre, in quel momento mi pentii di
aver bevuto così tanto.
“No”, sentì urlare una voce dentro di
me, come per impedirmi di dire ciò che stavo per dire. Ma
stasera io ero fuori definizione e lo avrei dimostrato fino in fondo.
“Baciami.”, sussurrai con quella che alle mie
orecchie sembrò voce seducente.
Francesco non ci mise molto ad accontentarmi ed in pochi secondi
sentì le sue calde e morbide labbra poggiarsi sulle mie: il
mio primo bacio.
Da quel momento non ricordai più nulla di quella serata.
9 ottobre 2011
Sentivo
la testa stranamente pesante scoppiarmi, mentre i raggi del sole
iniziavano a filtrare nella stanza, costringendomi ad aprire gli occhi.
Mi voltai alla mia destra, come alla ricerca di qualcosa, o forse
qualcuno, ma non c’era nessuno. Mi sentì
inspiegabilmente delusa dal non aver trovato nulla al mio fianco.
Stropicciai per l’ultima volta gli occhi, prima di aprirli
definitivamente. Ciò che vidi mi sorprese: quella non era la
mia camera. Cercai di cogliere qualche indizio, senza alcun risultato.
Un brivido percosse la mia schiena.
Ero nuda. Ero nuda, su un letto di cui non conoscevo il proprietario e
in una stanza che non avevo mai visto prima, ed ero sola.
All’improvviso ricordai della festa, dell’alcol, di
Francesco, del bacio e poi il nulla.
Una lacrima scese sulla mia guancia. Sul comodino, accanto al letto,
c’era un biglietto.
“Per Camilla”, indicava la scritta.
Con una vaga speranza lo presi tra le mani ed iniziai a leggere quelle
poche righe, ma subito la luce che per qualche secondo si era accesa
nei miei occhi, morì alla vista di quelle parole.
“È stato bello, ma come tutte le belle cose
finisce. Ciao Camilla, Francesco.”
Strinsi quel pezzo di carta tra le mani, stropicciandolo, mentre fiumi
di lacrime scendevano dai miei occhi.
Presi la mia borsa e ne estrassi il cellulare. Non sapevo chi chiamare,
né cosa fare, né dove mi trovassi, né
dove andare. Cercai di ragionare con lucida e calma freddezza, senza
lasciarmi trasportare dalla disperazione. Forse l’unica che
avrebbe potuto trovarmi era Alice, del resto Francesco frequentava la
nostra scuola e Luca, popolare com’era, avrebbe dovuto
conoscerlo e mi avrebbero potuta trovare. Forse, invece, sarebbe stato
più semplice uscire fuori e vedere dove mi trovassi , per
poi decidere sul da farsi. D’istinto scartai questa opzione:
avevo paura, troppa paura. Senza pensarci oltre, composi
frettolosamente il numero.
“Cam!”, esclamò lei come sollevata,
evidentemente le avevo fatte davvero preoccupare molto.
“Vienimi a prendere Ali.”, la supplicai tra i
singhiozzi, senza neppure cercare di nascondere il pianto, sarebbe
stato inutile.
“Dove sei?”, disse lei agitandosi.
“Non lo so… io… io… ero qui
con Francesco e ora…”, balbettai, senza riuscire
né a calmarmi né a fermare le lacrime che
scorrevano imperterrite.
“Ok, non fa niente, ora chiedo a Luca e vediamo un
po’ di capirci qualcosa! Tu rimani tranquilla, stiamo
arrivando!”, esclamò chiudendo la chiamata.
D’impulso scoppiai in quella che sembrava avere tutta
l’aria di una crisi nervosa. Mi raggomitolai, avvicinando le
gambe al petto e cingendole con le gambe. Volevo uscire fuori dalle
righe? L’avevo fatto ed anche nel peggiore dei modi. Restai
lì per qualche minuto, commiserandomi inutilmente, poi mi
decisi a vestirmi e a raccogliere le mie cose.
Quando sentì il campanello suonare ebbi un sussulto: e se
non fosse stata Alice? Scossi la testa, non poteva che essere lei.
Aprì la porta e senza neppure rendermene conto venni
circondata da sei braccia calde e familiari, le mie amiche. Un sorriso
amaro si dipinse sulle mie labbra: la principessa aveva appena
distrutto la sua fiaba. Io che aspettavo l’amore, quello
vero, io che ancora non avevo dato il primo bacio perché
aspettavo il principe azzurro, avevo smesso di aspettare e non sarei
più potuta tornare indietro.
---
Angolo Autrice
Salve a tutti! Anche se con molto ritardo ecco il secondo capitolo.
Spero che la storia vi piaccia, in ogni caso se avete consigli
o suggerimenti non pensateci due volte a dirmelo! :)
Alla prossima!
Astrea_
|
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Capitolo 3 *** Now I know who you are ***
WALL
-What A Lovely Life-
Capitolo
3 - Now I know who you are
NOEMI’s pov
11 ottobre 2011
L’ora
di educazione fisica era di certo la cosa più
noiosa ed inutile che dovessi sopportare a scuola, persino peggio della
matematica e quella già la detestavo parecchio. Ero
costretta a mettere una
tuta e delle scarpette da ginnastica e far finta di giocare a
pallavolo, ma
ovviamente si trattava solo di una messa in scena. Ormai tutti, anche
il
professore si era rassegnato, sapevano che la mia era solo presenza e
che mai e
poi mai mi sarei avvicinata a quell’oggetto di forma sferica
che gli altri si
divertivano a far volare sulla rete. Che buffo e sciocco passatempo!
Sbuffai, ignorando completamente la partita che si stava
svolgendo intorno a me, riprendendo il filo del mio discorso interiore.
Dopo
quella festa Cam era cambiata. Era sempre assorta nei suoi pensieri,
con lo
sguardo vuoto e la voce insicura. Non si lasciava più
avvicinare da nessun
essere di sesso maschile e fuggiva continuamente anche da noi, le sue
migliori
amiche da sempre.
Probabilmente ciò che era accaduto l’aveva scossa
davvero
molto ed era più che comprensibile.
In una sola serata aveva bevuto per la prima volta,
baciato per la prima volta e fatto sesso per la prima volta.
Mi sentivo profondamente in colpa, del resto sapevo
quanto lei odiava intensamente le feste e nonostante tutto quella sera
non mi
ero minimamente preoccupate di lei o di quello che stesse facendo.
Scossi
lievemente la testa: ormai il danno era fatto.
“Bene ragazzi, l’ora è finita! Tornate
pure in classe!”,
annunciò il professore irrompendo nel campo.
Esultai silenziosamente mentre mi spostavo verso gli
spogliatoi.
“Attenta!”, urlò un ragazzo,
evidentemente troppo in
ritardo.
Una palla, una dura e grande palla, mi colpì in pieno volto,
lasciandomi intontita e buttandomi pesantemente a terra. Portai le mani
sulla
fronte e strizzai gli occhi, mentre sentivo già gli altri
accorrere.
“Tutto bene, spettacolo finito!”, dissi racimolando
un
po’ di forze per alzarmi, nel tentativo di evitare scene
patetiche.
“Acrirubi sei sicura?”, mi chiese il professore
preoccupato.
“È solo un pallone tirato da uno stupido
ragazzino!” ,
sdrammatizzai riprendendo a camminare.
La testa mi ruotava un po’, ma decisi di non farci troppo
caso.
“Allora, lo stupido ragazzino ti ha fatto male?”,
disse
un ragazzo parandosi davanti a me, con gli occhi puntati nei miei.
Probabilmente doveva essere stato lui a colpirmi.
L’inaspettata vicinanza mi fece quasi sobbalzare. Lo
guardai bene: aveva degli occhi azzurro cielo profondi come
l’oceano. Dei corti
ricci biondi scendevano sulla sua fronte, mentre gli altri si
disponevano
scombinati sul suo capo. Era alto e snello, ma dalla magliettina
aderente al
suo corpo a causa del sudore si poteva notare la sua perfetta
muscolatura.
Teneva le grandi mani poggiate sui fianchi, come se si fosse messo in
posa o
come a voler bloccare il mio passaggio, con le dita aperte, poggiate in
modo
sicuro e deciso.
Restai immobile ed in silenzio per qualche secondo,
perdendomi nella completa adorazione di colui che avevo davanti, poi
riuscii a
riprendermi da quello stato catatonico.
Feci una smorfia di sfida.
“Lo stupido ragazzino dovrebbe migliorare la
mira.”,
borbottai a labbra serrate.
“Grazie del consiglio!”, disse lui sorridendo,
quasi come
se mi stesse prendendo in giro.
Il suo sorriso era divertente, malizioso, seducente,
impertinente, presuntuoso, arrogante e stranamente dolce e
maledettamente sexy.
“Fabio”, annunciò porgendomi la mano.
Ebbi un sussulto e deglutii involontariamente: cosa
diamine mi stava succedendo?
“Non ti dirò il mio nome”, dichiarai con
un finto sorriso
disegnato sulle labbra.
“Bene, ti chiamerò Nemo allora!”,
esclamò con un ghigno.
“Ma che strafottente!”, pensai.
Lo guardai con sufficienza, recuperando la calma prima
che potessi saltargli addosso per picchiarlo e poi anche
bacia… No, mantenere
la calma.
“Primo: tu non dovrai neppure chiamarmi. Secondo: Nemo?
Cos’è, una latinizzazione di nessuno?”,
gli feci notare.
Si, studiare con Cami era inspiegabilmente produttivo e
questi ne erano gli evidenti risultati.
Ed ecco che Fabio sorrise di nuovo, con quel suo sorriso
tutto incluso, e non seppi per quale motivo venne da sorridere anche a
me.
“Ci vediamo in giro, Nemo!”, mi salutò
lui con un cenno
della mano, prima di voltarsi e sparire negli spogliatoi.
Per qualche istante rimasi a guardare lo spazio vuoto che
fino a poco tempo fa Fabio aveva occupato, poi mi lasciai scappare un
sonoro
sospiro: oltre che uno stupido ragazzino senza mira era anche un
deficiente, un
impertinente, sfacciato, presuntuoso, arrogante, stramaledettamente
sexy
deficiente, più o meno come il suo sorriso.
14 ottobre 2011
“Basta,
davvero! Non ne voglio più parlare! Ne ho fin
sopra i capelli di lui e di tutto ciò che ha a che fare con
lui o con noi!
Basta!”, urlò completamente fuori di sé
Alice.
Quel pomeriggio aveva terminato prima gli allenamenti di
pallavolo, così le avevo proposto di fare un giro in centro
e lei aveva
immediatamente accettato.
“Ali, non dire così! State insieme da quasi tre
anni! È
normale che ogni tanto litighiate!”, osservai, ma la mia voce
sembrò davvero
poco convincente, forse perché ero io la prima a non credere
a ciò che avevo
appena detto.
“Non lo so, è che certe volte mi sembra tutto
così
terribilmente monotono!”, si lamentò.
Attraversammo la strada per raggiungere l’altro lato del
largo viale, dove si concentravano i negozi d’abbigliamento.
“Magari dovresti provare qualcosa di nuovo!”,
suggerii
già immaginandomela mentre usciva con qualche bel ragazzo.
“Certo che tu sei proprio d’aiuto a superare le
crisi di
coppia!”, borbottò. “Piuttosto, sai che
fine ha fatto Cam? Non la sento da
stamattina.”, aggiunse con tono palesemente preoccupato.
“Se non sbaglio oggi aveva una lezione di
yoga…”, risposi,
fermandomi a contemplare un vestito esposto in una vetrina.
“Come credi che stia?”, mi chiese catturando la mia
attenzione.
“Ancora un po’ scossa e delusa, tanto delusa da
sé stessa
e dalle sue idee.”, constatai con un tono di voce basso e
profondamente triste.
“Dovremmo aiutarla e starle vicino.”,
consigliò Ali. “Cami
è forte, ha solo bisogno di un po’ di
tempo.”, disse accennando ad un sorriso.
Questa volta fu lei a fermarsi per poter meglio osservare
un paio di scarpe che aveva intravisto in un negozio.
“Arianna oggi è andata al campo per
l’allenamento di
atletica.”, disse dopo qualche minuto.
“Non riesco proprio a capire come le possa piacere quello
sport!”, aggiunse con una smorfia di puro disgusto
riprendendo la nostra
passeggiata.
“E lo chiedi a me?!”, esclamai divertita.
“Magari poi
doveva vedersi con Teo…”, iniziai con tono
malizioso.
“Sinceramente non credo proprio, lo sai
com’è fatta Arianna
e sai anche che non è assolutamente innamorata di
Matteo.”, controbatté Ali
smontando subito le mie fantasie.
“Hai ragione, ma non riesco a capire perché. Certe
volte
è proprio strana!”, commentai.
Matteo era un ragazzo carinissimo ed aveva un carattere
d’oro, inoltre era palesemente cotto a puntino di Arianna, ma
lei sembrava non
calcolarlo minimamente, se non come amico, anche se fingeva
l’esatto contrario.
Feci roteare gli occhi verso l’alto.
“Io credo che lei sia già innamorata di qualcuno,
ma che
non riesca ancora a rendersene conto.”, affermò
come a voler lanciare una
bomba.
Sorrisi divertita.
“Smettila con questa storia! Tuo fratello e Arianna non
si piacciono! È inutile che provi in tutti i modi possibili
ed inimmaginabili a
far mettere insieme quei due!”, la canzonai.
Ali era convinta che Luca avesse un debole per Arianna e
che lo nascondesse dietro quell’atteggiamento esageratamente
cinico,
egocentrico e megalomane, mentre, sempre dal suo tutt’altro
che modesto punto
di vista, Arianna temeva fortemente i suoi sentimenti: teoria che non
si
reggeva minimamente in piedi.
“E tu stasera devi uscire con Davide?”, mi
domandò
cambiando discorso.
“No, stamattina l’ho lasciato.”, la
informai.
Mi guardò strabuzzando gli occhi.
“Si.”, asserii. “E poi oggi ho conosciuto
un ragazzo
molto interessante.”, dichiarai riferendomi
all’incontro-scontro di stamane.
“Wow, magari questa è la volta buona!”,
scherzò Ali.
“Dai, è carinissimo, davvero, anzi no, direi che
è
proprio sexy!”, le confidai.
“E come si chiama il principino?”,
sghignazzò prendendosi
gioco di me.
Generalmente non avevo alcun problema nel raccontare
tutto nei minimi dettagli alle mie amiche e a fornire loro tutte le
informazioni riguardo ai ragazzi con cui mi sentivo, ma questa volta
esitai nel
risponderle.
“Nemo.”, mi lasciai scappare con un ebete sorriso
disegnato sulle mie labbra.
18 ottobre 2011
Adoravo
le lezioni di spagnolo, erano le mie preferite: quella
lingua mi affascinava totalmente. Era una delle poche materie che
davvero
studiavo per interesse e non per obbligo. In generale mi piacevano
tutte le
lingue, ma avevo un inspiegabile debole per lo spagnolo. Era una lingua
così
naturale, allegra e sensuale che non avrebbe di certo potuto competere
con il
retorico italiano, il freddo tedesco, il sempliciotto inglese o il
troppo dolce
francese. Ero completamente assorta nella lezione e seguivo al massimo
della
concentrazione la spiegazione alla lavagna della professoressa quando
all’improvviso sentii vibrare il mio cellulare nella tasca
dei pantaloni.
Lo estrassi e lo misi nell’astuccio, poi senza attirare
l’attenzione del docente lessi il messaggio che proveniva da
Alice.
“E come previsto la nostra Aria ci da dentro: uno a zero
per la miglior tiratrice di schiaffi!”
Corrugai la fronte: perché Alice non poteva semplicemente
raccontare i fatti e non inviare messaggi così criptici?
“Che?”, scrissi semplicemente, tornando poi a
seguire la
lezione.
Ma non ebbi neppure il tempo sufficiente per cercare di
capire cosa stesse ora dicendo la professoressa quando notai che Alice
mi aveva
già risposto.
“Care Cam e Mimi, grandi svolte in diretta dalla
palestra. Lo spettacolo ha visto come spettatori
4A e 5B al completo. I protagonisti? Arianna
ha appena dato un sonoro schiaffo al povero ed indifeso Matteo che
cercava di
baciarla!”, spiegò.
Strabuzzai gli occhi: sapevo che non si sarebbe lasciata
avvicinare troppo da Teo, ma addirittura uno schiaffo! Sorrisi, si,
Arianna non
si smentiva mai.
Chiesi alla professoressa di uscire dall’aula per recarmi
in bagno, in realtà volevo proprio vedere la faccia di
Matteo. Lei non tardò ad
acconsentire, invitandomi però a non impiegarci troppo tempo
e mi diressi
velocemente in palestra.
“Ehi Nemo!”, mi salutò Fabio parandosi
davanti a me a una
distanza ben oltre il limite di sicurezza.
Rimasi immobile per qualche secondo, mentre i nostri
occhi si scrutavano.
“Fuggi dalla classe?”, soffiò con le
labbra a pochi
centimetri dal mio volto.
Il cuore batteva freneticamente e potevo sentire il
respiro farsi più affannoso, mentre mi mancava
l’aria.
“Si e ora gradirei fuggire anche da te!”, sbottai
cercando di rimanere il più tranquilla possibile.
“Sembra proprio che io faccia uno strano effetto su di
te.”, dichiarò con un ghigno.
Evidentemente la mia reazione era stata così palese da
far si che se ne accorgesse anche lui.
“Mi dispiace che tu abbia notato questa espressione di
disgusto.”, bofonchiai non potendo ammettere
l’evidenza: negare e sempre
negare, no?
Lui sorrise.
“Noemi!”, mi chiamò Cami vedendomi in
fondo al corridoio.
“Hai letto il messaggio?”, mi chiese divertita.
Notai una strana luce accendersi negli occhi azzurri di
Fabio: anche lui era divertito in quel momento. Aumentò
leggermente le distanze
tra noi, rimanendo però abbastanza vicino al mio viso.
“Si, andiamo in palestra?”, proposi voltandomi
verso di
lei.
Annuì.
“Adesso so chi sei!”, sussurrò Fabio.
Potevo sentire il suo fresco respiro stuzzicare il mio
collo mentre i suoi splendidi occhi erano puntati su di me.
“Allora ciao, Noemi!”, disse sottolineando
l’ultima
parola.
Sul suo viso potei notare un ghigno prima che si voltasse
e andasse via.
Il mio nome. Ora sapeva il mio nome.
---
Angolo Autrice
Salve! Terzo capitolo online pronto per voi! Ho notato, comunque, che
le recensioni purtroppo scarseggiano nonostante ci siano dei lettori e
questo, beh, un po' mi dispiace. Vabbé, in ogni caso
continuerò lo stesso a postare ka storia, anzi colgo
l'occasione anche per ringraziare i lettori!
Alla prossima,
Astrea_
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Capitolo 4 *** My bestfriend's brother ***
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-What A Lovely Life-
Capitolo 4: My
bestfriend’s brother
ARIANNA’s pov
21 ottobre 2011
Odiavo profondamente i
pettegolezzi: era da esattamente tre giorni che non si parlava
d’altro che del fantastico spettacolo al quale la
sottoscritta aveva dato luogo in palestra con l’ausilio della
povera vittima sacrificale e la comparsa delle tre grazie pronte a
sostenermi.
Tutto ciò
era estremamente patetico e noioso. Certo, quella mattina avevo perso
leggermente il controllo ed il mio comportamento era stato biasimabile,
ma le reali conseguenze erano state minime se non nulle.
Matteo aveva riportato
solo un leggero e temporaneo rossore, mentre la mia mano era rimasta
indolenzita per qualche minuto. Il professore non si era accorto di
nulla, impegnato com’era ad accogliere la classe successiva
alla quale apparteneva il suo pupillo: Luca Coldare, il capitano della
squadra di calcio.
Tuttavia i miei
compagni di classe, uniti a quelli di Matteo, avevano deciso di
spargere il verbo in tutta la scuola, cosicché tutti
potessero sapere del mio inspiegabile rifiuto ad uno dei ragazzi
più carini, simpatici della scuola.
Sbuffai sentendo i
commenti di un’oca giuliva seduta sulla panchina vicino
l’uscita di scuola.
“Allora, hai
chiarito con Chris?”, chiesi ad Ali nel tentativo di non
pensare più a quella terribile storia.
“Cambiamo
argomento?”, borbottò lei a labbra serrate con un
finto sorriso.
“Dunque, io
oggi ho lezione di danza, Cami e Aria hanno il corso di inglese e Ali
il conservatorio, giusto?”, chiese Noemi conoscendo
già le risposte.
Annuimmo.
“Bene,
quindi che ne dite di organizzarci già per domani
sera?”, propose con tono entusiasta.
“Io non
esco.”, dichiarò Cam, facendo si che le nostre
previsioni si avverassero.
“Ma noi
questo già lo sapevamo…”, iniziai
guardandola divertita.
“Ed
è per questo che abbiamo pensato di organizzare una specie
di pigiama party e ovviamente tu non hai nessuna plausibile scusa per
mancare!”, concluse Ali con le movenze di chi stesse facendo
un ricatto.
“Credo di
non avere scelta.”, sospirò Cami celando un
sorriso.
“No!”,
confermò Mimi.
“A casa mia
alle sette, non un minuto prima, né uno dopo!”,
annunciò Alice trionfante.
“Cam, non
provare neppure a darci buca! Mimi, non ingegnarti troppo per cose che
poi non prenderemo proprio in considerazione! E tu.”, disse
con fare minaccioso rivolgendosi a me.
“Non provare
ad arrivare in ritardo! E non vestirti troppo sexy, altrimenti
finiresti avvinghiata a Luca!”, trillò.
Feci una smorfia
simile ad un sorriso in risposta a ciò che aveva appena
detto, senza prestarle troppa attenzione, poi insieme a Mimi,
ci avviammo verso il suo motorino.
Sbuffai.
“Aria,
smettila! Ultimamente il tasso della tua acidità
è addirittura superiore alla norma, ciò equivale
a dire che sei peggio di uno yogurt andato a male!”, si
lagnò porgendomi il casco.
“Scusa, sono
parecchio nervosa.”, mi giustificai salendo sul mezzo.
“Lo so, ma
non puoi scaricare la tensione su di noi, né puoi farti
condizionare in questo modo da una stupidaggine!”,
esclamò partendo.
Non risposi e la
conversazione cadde per non essere più riaperta.
22 ottobre 2011
Suonai il campanello con ben
venti minuti di ritardo e un sorriso smagliante stampato in faccia,
sperando che mi sarebbe stato d’aiuto a placare l’ira funesta
di Alice.
Mentre attendevo che
qualcuno venisse ad aprire sentivo già le sue lamentele
senza fine che mi rimbombavano in testa, mentre Cam e Mimi si
prendevano gioco di me e del supplizio che dovevo sopportare.
Nessuno venne ad
aprire: di certo si trattava di uno scherzetto architettato per farmela
pagare. Suonai un’altra volta e continuai ad attendere.
Pochi minuti dopo
sentì la chiave girare nella serratura.
“Finalmente!”,
sbottai infastidita dall’infantile comportamento di Ali.
Quando la porta si
spalancò rimasi completamente sorpresa, con gli occhi
sgranati e le labbra semiaperte ad osservare la persona che si trovava
a pochi centimetri da me.
Luca, con addosso solo
un asciugamano tenuto sulla vita e interamente bagnato faceva mostra di
sé.
Aveva i capelli
castani scombinati, delle goccioline d’acqua scendevano
veloci sul suo petto per finire poi sui suoi perfetti e scolpiti
addominali. I suoi occhi color nocciola mi fissavano, palesemente
divertiti dalla mia reazione.
Rimasi interdetta
ancora per qualche secondo.
“Hai smesso
di farmi la radiografia?”, mi canzonò con un
ghigno, avendo sicuramente notato i miei occhi fissi sul suo corpo.
Velocemente spostai lo
sguardo sul suo viso e lo incenerii, poi piegai le labbra in un sorriso
forzato.
“Apri la
porta sempre in queste condizioni?”, domandai sarcasticamente.
Lui sorrise,
appoggiandosi allo stipite della porta e, diamine, quant’era
sexy!
Mi imposi di non
guardarlo, neppure negli occhi, avrebbe finito per farmi perdere la
concentrazione e la freddezza di cui necessitavo in quel momento.
“Solitamente
piace.”, constatò lui.
“E ci
credo!”, urlò una voce dentro di me, ovviamente la
misi a tacere in un batter d’occhio.
“Mi fai
entrare o hai intenzione di tenermi bloccata qui ancora per
molto?”, bofonchiai.
“Prego.”,
sussurrò mettendosi di lato, in modo tale che per entrare
sarei dovuta passare obbligatoriamente accanto a lui.
Presi un respiro e con
passo deciso mi avviai verso la porta.
Ebbi un sussulto
quando il mio braccio sfiorò il suo petto nudo e bagnato. Di
scatto mi voltai verso Luca e notai che il suo viso era già
puntato nella mia direzione. I nostri sguardi si incrociarono, mentre
le nostre labbra erano a soli pochi centimetri di distanza e potevo
sentire il suo respiro cadere dolce sul mio collo.
I suoi occhi
penetravano nei miei.
“Finalmente
sei arrivata!”, trillò Ali, catturando la nostra
attenzione e costringendoci involontariamente a voltarci verso di lei.
Notai una scintilla di
malizia accendersi nei suoi occhi, subito seguita da un sorriso carico
di soddisfazione: si, avevo appena subito la vendetta di Alice Coldare.
Con lo sguardo fisso
sul pavimento mi diressi verso la mia amica, per poi andare nella sua
camera, dove ad aspettarci c’erano Camilla e Noemi,
appollaiate sul letto di Ali, totalmente assorte nell’audace
scelta del film da vedere.
Le salutai e loro
ricambiarono distrattamente.
“Casanova?”, propose Mimi.
“Non esiste!
Ne ho fin sopra ai capelli dei tipi come lui!”,
borbottò Cami, scartandolo definitivamente.
“Che ne dite
di Se non
fossi arrivata Luca e Aria si sarebbero baciati?”, disse Ali
sarcasticamente.
Di scatto Cam e Mimi
si girarono verso di me con degli sguardi a metà tra
interrogativi e sorpresi.
“Non
è assolutamente vero!”, provai a difendermi.
“Certo,
quindi adesso vuoi farmi credere che tu e mio fratello mezzo nudo non
eravate a cinque centimetri, mangiandovi con gli occhi, bloccati sotto
la porta d’ingresso?”, controbatté
ironicamente.
Sbuffai, mentre vedevo
i volti delle mie amiche farsi sempre più perplessi.
Detestavo Ali e le sue
stupide idee ed odiavo profondamente Luca, lo odiavo con tutta me
stessa, ma nonostante ciò egli aveva un qualche
incontrollato potere su di me.
Quando eravamo piccoli
eravamo soliti passare molto tempo insieme e giocavamo spesso. Per
quello che potevo ricordare e per ciò che mi aveva
raccontato la mamma, eravamo anche piuttosto amici.
L’odio che
nutrivo nei suoi confronti è nato solo successivamente e non
senza motivo.
Ero una bambina di
soli cinque anni, quando un bimbo con dei bellissimi occhi color
nocciola decise che era arrivata l’ora di ricevere il mio
primo bacio. Così quel bimbo, approfittando della vicinanza
fornita dal mio porgergli il piattino con la torta al cioccolato
preparata dalla mamma per il mio compleanno, posò lievemente
le sue labbra sulle mie, baciandomi. Ma ciò parve non
bastargli, dunque decise di rimboccarsi le maniche e darsi da fare.
Alla recita di fine anno di terza elementare mi avevano assegnato la
parte di Biancaneve, così ero stata obbligata ad indossare
un vestito lungo e largo. Quando dovetti scendere le scalette dietro il
palco per andare a cambiarmi, inciampai sull’ultimo
gradino, ma un ragazzino, con un carattere un po’ troppo
intraprendente per i miei gusti, mi afferrò prontamente e mi
rimise in piedi, poi mentre ero ancora tra le sue braccia, mi
baciò sulle labbra. Infine un ragazzo con degli odiosissimi
occhi color nocciola ed un odiosissimo carattere mi rubò un
bacio giocando ad obbligo e verità durante la gita di primo
liceo.
Tre crimini per un
solo colpevole: Luca.
“Allora non
saresti dovuta arrivare!”, commentò semplicemente
Noemi, riscuotendomi dai miei pensieri.
“E se
vedessimo Chocolat?”, propose Cam
focalizzando la conversazione nuovamente sulla scelta di un film, del
resto non solo io trovavo le ipotesi di Alice infondate,
assurde e ripetitive.
Alice storse il naso,
forse più per l’appena avvenuto cambio di
conversazione che per il film.
“Orgoglio e
pregiudizio?”,
suggerii con voce incerta, nel tentativo di evitare che potesse
riaprire il discorso, già sapendo che non avrebbero visto un
altro dei film tratti dai romanzi della Austen, mentre presi posto tra
Cami e Mimi.
“Cime
tempestose?”,
continuai.
Fecero una smorfia.
Rimanemmo in silenzio
per qualche secondo, alla silenziosa ricerca di qualche titolo.
La porta si
spalancò improvvisamente, facendoci sobbalzare: era Luca.
“Ali, io
esco. Mamma e papà sono dalla nonna. Non fate troppo casino
e non combinate guai.”, disse rivolto alla sorella.
Lo fissai. Indossava
dei semplici jeans scuri, una cinta nera in vita ed una camicia bianca,
con i capelli ancora umidi scombinati sul capo.
“Smettila di
fare il papino, sai benissimo che sono molto più matura e
responsabile di te!”, rispose la sorella facendogli la
linguaccia.
Sorrisi. Luca fece un
ghigno divertito.
“Ciao.”,
salutò voltandosi.
Prima che chiudesse la
porta potei notare il suo sguardo posarsi su di me ed incrociare il
mio, mentre le sue labbra si piegavano in un sorriso maliziosamente
beffardo.
Spostai subito lo
sguardo sul pavimento e l’attimo dopo sentii la porta
chiudersi.
Percepivo gli sguardi
sospettosi delle mie amiche ispezionarmi dettagliatamente, in attesa di
una qualche spiegazione.
“”Il
diario di Briget Joans”?”, sbottai.
Vidi le altre
sorridermi minacciosamente divertite, mentre si preparavano ad un
agguato, che prevedeva un’intensa seduta di solletico, di cui
la vittima ero io: ora si che la festa poteva iniziare.
23 ottobre 2011
Mi rigirai svogliatamente tra
le coperte: per quanto potessi ancora tenere gli occhi chiusi ormai ero
sveglia. Le altre dormivano ancora, cercando di recuperare il sonno che
avevamo perso quella notte.
Dopo qualche minuto
decisi finalmente di alzarmi. Senza fare troppo rumore per evitare che
si svegliassero, cercai le pantofole e uscii dalla stanza, dirigendomi
in cucina. Aprii il frigo e ne estrassi la scatola del succo di frutta,
poi, preso un bicchiere, lo versai in esso.
“Buongiorno.”,
disse una voce che ben conoscevo alle mie spalle.
Sussultai per lo
spavento.
“Cosa vuoi
Luca?”, domandai seccata mentre riponevo nuovamente il succo
nel frigo.
“Come siamo
acide di prima mattina.”, commentò lui.
Non risposi, sperando
che si decidesse a troncare subito la conversazione.
Mi sedetti su una
sedia e poggiai il bicchiere sul tavolo.
Luca, ancora vicino
alla porta, si fece avanti, poggiandosi ai mobili della cucina, proprio
di fronte a me.
“Vi siete
divertite ieri sera?”, chiese con un sorriso malizioso sulle
labbra.
“Non vedo
come questo possa interessarti.”, controbattei con tono
sicuro, sfidandolo con lo sguardo.
Pensavo che si sarebbe
arreso, che avrebbe abbassato gli occhi e che se ne sarebbe andato,
invece la sua reazione fu completamente opposta.
Si avvicinò
al tavolo, dal lato opposto rispetto al mio, e poggiò le
mani sul freddo marmo, usandole come leva per sporgersi in avanti e
trovarsi con il viso a pochi centimetri dal mio.
Rimasi immobile,
completamente rapita da quei maledettissimi occhi color nocciola.
Deglutii
impercettibilmente e sbattei le palpebre per riacquistare il controllo
del mio corpo e soprattutto della mia mente.
“Sei brava a
picchiare le persone.”, disse, mentre un sorriso divertito,
ammiccante e beffardo si dipingeva sul suo viso.
Probabilmente era
giunta anche a lui la voce di ciò che era accaduto in
palestra.
“Vuoi
provare?”, lo provocai.
I nostri respiri si
confondevano, mentre i nostri occhi si cercavano, lottando tra di loro.
Sentivo il cuore battere a mille.
Piegò le
labbra in un ghigno, tirandosi leggermente indietro.
“Se non
sbaglio hai già avuto tre occasioni per farmi provare, ma
non l’hai mai fatto.”, constatò ironico.
Continuai a fissarlo
con sguardo minaccioso, arrabbiato, disgustato, intollerante,
sprezzante, furioso e… attratto, completamente attratto dai
suoi occhi.
Strizzai gli occhi,
indignata per l’assurdità di quel pensiero appena
concepito.
Luca
allontanò definitivamente il suo viso, voltandosi in
direzione del bagno.
“Ci si
vede.”, mi salutò strizzandomi un occhio, prima di
scomparire definitivamente.
Si, io, Arianna
Donfalli, odiavo profondamente ed intensamente Luca Coldare.
---
Angolo Autrice
Lo so, ne è passato di tempo dall'ultimo capitolo... Mi
scuso per l'eccessivo ritardo, ma sono stata davvero molto impegnata.
Questa volta nessuna immagine e non perché non ci sia, ma
dovete sapere che io sono una vera frana con l'html e tutte le assurde
tecnologie del ventunesimo secolo, dunque fino a quando qualcuno non si
deciderà ad aiutarmi (e qui faccio riferimento al genietto
informatico della mia sorellina) credo proprio che dovremmo
accontentarci solo del capitolo.
Buona lettura a tutti! Alla prossima,
Astrea_
|
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Capitolo 5 *** Neighbours ***
WALL
-What A Lovely Life-
Capitolo 5: Neighbours
ALICE’s pov
25 ottobre 2011
“Chris, smettila! Non
costringermi a dire cose di cui poi potrei pentirmi!”, lo
supplicai velocizzando il passo, con la speranza di raggiungere casa
prima di continuare quella discussione.
Quel pomeriggio io e
Chris ci eravamo dati appuntamento all’ingresso della
palestra, in modo tale che una volta finito l’allenamento di
pallavolo avremmo potuto fare una tranquilla passeggiata insieme, ma
evidentemente lui aveva deciso di non rispettare i piani.
Avevamo litigato spesso
negli ultimi tempi e la maggior parte delle volte per sciocchezze.
Ormai era da settimane
che non riuscivamo ad avere un dialogo degno di essere definito tale,
al quale avevamo sostituito rapide battute scambiate tra i corridoi ai
vari cambi d’ora o di battibecchi in giro per la
città.
Sbuffai. Ero stanca di
tutto ciò ed in parte anche di lui.
“No, Ali, non
posso smetterla! Sembra quasi che tu mi stia evitando! Non rispondi
alle chiamate e passi più tempo con le tue amiche che con
me! Cosa diamine sta succedendo?”, chiese alzando il tono di
voce.
Aveva perfettamente
ragione, ma non potevo spiegargli ciò che realmente sentivo,
forse perché in realtà non ero riuscita a capirlo
neppure io.
Non volevo lasciarlo,
ma non volevo neppure continuare in questo modo. Ero semplicemente
stufa di quella solita routine giornaliera di cui lui era il
coprotagonista. Temevo fortemente che la noiosa abitudine si stesse
sostituendo all’amore che nutrivo per Chris, nonostante
avessi provato più volte a ripetermi che io
l’amavo con tutta me stessa. Al contempo non volevo
assolutamente mentirgli perché la sincerità era
sempre stata alla base del nostro rapporto ed avevo iniziato ad
evitarlo, seppur non completamente
conscia di
ciò.
“Nulla, non
succede nulla.”, borbottai continuando a guardare avanti in
direzione di casa, consapevole del fatto che se avessi provato ad
esporgli questo concetto lui l’avrebbe sicuramente inteso
come un modo cortese di dirgli che tra noi era finita.
All’improvviso
mi afferrò per un polso, bloccandomi e costringendomi a
voltarmi verso di lui.
I nostri sguardi si
incrociarono. Dai suoi occhi traspariva tutta la preoccupazione e la
paura che stava provando, paura per quello che sarebbe potuto succedere
di lì a qualche minuto. Ebbi quasi l’impressione
che stesse tremando.
Deglutii rumorosamente
e cercai di svincolarmi dalla sua presa, senza però molto
successo.
“Lasciami.”,
ordinai con voce glaciale.
Lui fece come gli avevo
detto, continuando però a guardarmi negli occhi.
“Ali,
amore…”, iniziò con tono mieloso e
dolce, forse cercava di trasmettermi sicurezza e
tranquillità.
“Chris, ho
bisogno di tempo.”, sussurrai.
Lo vidi irrigidirsi e
stringere i pugni, nel tentativo di trattenere la crescente rabbia.
“Mi stai
lasciando?”, chiese, ma questa volta la sua voce era
completamente atona.
“No, credo
solo che dovremmo prenderci una pausa.”, spiegai puntando gli
occhi sui miei piedi, non riuscendo più a reggere il suo
sguardo deluso e profondamente triste.
“Era questo
ciò che non volevi dire per paura di pentirtene?”,
domandò a labbra serrate.
“No.”,
confessi con un sospiro. “Ho davvero bisogno di
riflettere.”, aggiunsi.
Percepii i suoi occhi
spostarsi da me per puntare il suolo, seguiti dalla testa.
“Va
bene.”, mormorò con finto tono sicuro.
Alzai lo sguardo per
poterlo osservare.
Aveva la testa china,
le mani nascoste nelle tasche dei jeans e le spalle raccolte.
I suoi occhi puntarono
improvvisamente i miei, scrutandoli, aspettando un segnale, una parola,
un qualcosa, ma non riuscii a dire nulla.
Piegò le
labbra accennando a un piccolo e triste sorriso, poi si
voltò e andò via.
Chiusi gli occhi,
sospirando. Forse era davvero finita.
27 ottobre 2011
Ottenuti gli appunti di latino
di Cam, uscii da casa sua e mi avviai in direzione del palazzo dove
abitavo.
Camilla era migliorata
tantissimo nell’ultimo periodo. Lei attribuiva tutto alla
lezione di yoga supplementare che aveva deciso di introdurre nel suo
programma pomeridiano, io, invece, credevo che si trattasse soltanto
del tempo che, come si sa, cura tutte le ferite. Tuttavia la sorpresa
più grande non proveniva affatto da Camilla, né
da Arianna, ma da Noemi. Avevo la strana sensazione che quel ragazzo,
Fabio, le interessasse davvero, magari si trattava di un colpo di
fulmine o di una freccia lanciata da cupido. Ogni volta che lo
incontrava aveva degli atteggiamenti piuttosto strani da quelli
abituali, atteggiamenti tipici delle ragazze timide ed impacciate,
caratteristiche che discostavano, e non poco, dal carattere di Mimi.
Delle volte sembrava in imbarazzo, altre completamente assorta nella
contemplazione dei suoi occhi, per poi finire ad arrossire quando si
parlava di lui. Tutti sintomi di una sola malattia: l’amore.
Involontariamente sorrisi pensando alla strana piega che aveva assunto
la vita sentimentale di Noemi, mentre la mia era completamente andata
in pezzi.
Non sentivo
né vedevo Christian da due giorni e la cosa più
buffa era che non avevo la necessità né di
chiamarlo né di incontrarlo.
Attraversai la strada,
svoltando poi a sinistra e decisi di accelerare il passo.
Anche Aria ultimamente
se la passava meglio di me. Dopo la brutta esperienza con Matteo, aveva
iniziato a socializzare con i ragazzi più grandi, sperando
nella loro eventuale maggiore maturità. Così
Dario, un ragazzo molto carino del quinto anno, era riuscito ad
ottenere il suo numero di telefono oltre che la promessa di
un’uscita insieme, un giorno.
In un solo pomeriggio
ero passata dall’avere una storia lunga ed invidiata al
tornare praticamente single, teoricamente ancora impegnata.
Entrai nel portone
principale del palazzo e mi avvicinai all’ascensore,
chiamandolo.
Lo presi e premetti il
pulsante che indicava il piano dove era situato il mio appartamento.
Qualche minuto dopo le porte si aprirono e uscii sul pianerottolo.
Squadrai la strana
situazione che stava avendo luogo davanti la mia porta.
Un ragazzo, a vista
d’occhio poteva avere circa la mia età, se ne
stava poggiato alla parete che divideva gli ingressi di due
appartamenti, circondato da una decina di scatole marroni tutte ancora
imballate.
Lo guardai meglio.
Aveva dei capelli corti e neri che scendevano ribelli sulla sua
carnagione chiara. I suoi occhi, dei bellissimi occhi grigi, erano
puntati su di me.
“E tu chi
sei?”, chiesi senza neppure pensarci.
“Se questo
fosse un telefilm ti risponderei “chiunque tu vuoi che io
sia”.”, rispose incrociando le braccia sotto al
petto.
Sorrisi forzatamente,
facendo una smorfia che dovette davvero sembrare brutta a giudicare
dall’ampio sorriso che si disegnò sulle sue labbra.
“Ma questo
non è un telefilm.”, gli feci notare con tono
acido e seccato.
“E questi non
sono affari tuoi, Coldare.”, ribatté lui con voce
calda e sicura.
“Come diamine
fai a sapere chi sono io?”, domandai strabuzzando gli occhi.
Quello sconosciuto
sapeva il mio cognome.
Lui non rispose,
semplicemente spostò lo sguardo sul cartellino bianco posto
sotto il campanello, con aria di sufficienza. Idiota. Ero una completa
idiota.
“Sei un buon
osservatore.”, commentai, incrociando anch’io le
braccia.
Non riuscivo ancora a
capire se si trattasse di un postino, di un addetto della ditta di
traslochi o di un possibile nuovo inquilino, ma preferii non prendere
in considerazione l’ultima opzione.
“Hai
intenzione di rimanere ancora molto lì a
guardarmi?”, mi chiese notando che non accennavo a muovermi.
Sobbalzai, presa da un
immediato imbarazzo: cosa stavo facendo ancora lì?
“Il tempo
necessario per vederti sparire!”, replicai.
Piegò le
labbra in un ghigno beffardo.
“Allora ne
avremo per molto, perché sono il tuo nuovo
vicino.”, esclamò con tono divertito.
Sgranai gli occhi: solo
questo ci mancava.
Lui lasciò
cadere le braccia lungo i fianchi e lentamente si avvicinò a
me, fino ad arrivare a poche spanne dal mio viso.
Rimasi immobile,
completamente spiazzata dal suo inaspettato gesto.
I suoi occhi verdi
penetravano nei miei, mentre sentivo le sue braccia sfiorare lievemente
le mie, ancora incrociate.
“Se dovesse
servirti il sale, o qualsiasi altra cosa, sai già a chi
rivolgerti.”, ammiccò con tono e sguardo
volontariamente maliziosi e seducenti.
“Grazie, ma
credo di avere tutto in casa.”, controbattei a labbra
serrate. “E ora scusami ma devo proprio andare.”,
aggiunsi poco dopo con una smorfia simile ad un sorriso, svincolandomi
da quell’imbarazzante posizione.
Estrassi le chiavi di
casa dalla tasca e aprii la porta, poi mi voltai di scatto verso di lui.
“Quelle”,
iniziai puntando le scatole, “Vedi di farle sparire al
più presto.”, gli dissi con voce intimidatoria.
Lui sorrise in un
ghigno, mentre potevo sentire i suoi occhi guardare ogni singola parte
del mio corpo e la cosa mi infastidiva non poco.
Mi voltai e varcai la
soglia d’ingresso, sbattendo la porta alle mie spalle.
Sospirai: wow.
30
ottobre 2011
Mio fratello aveva appena vinto
un’altra partita da capitano della squadra di calcio locale
ed io ero completamente, totalmente, incondizionatamente fiera ed
orgogliosa di lui. Sorrisi, vedendolo finalmente uscire dal campo per
recarsi nello spogliatoio e frettolosamente salutai le mie amiche che
avevo letteralmente trascinato allo stadio per sostenere Luca. Cam e
Mimi si avviarono con il motorino, mentre Aria, non avendo voluto
minimamente dare ascolto alle mie parole, seguite da consigli,
suggerimenti, suppliche, preghiere, ordini, intimidazioni, minacce e
ricatti, aveva deciso di assecondare l’invito di Dario,
così ora si trovava a salire sulla sua auto per farsi
scarrozzare in giro per la città.
Sbuffai: quando avrebbe
cominciato a darmi ascolto? Scossi la testa, decisa a non pensarci
più e mi fiondai all’uscita degli spogliatoi, in
attesa del mio fantastico fratello. Per sua fortuna non c’era
nessun oca giuliva ad attenderlo, ultimamente il numero delle sue
amichette stava aumentando a dismisura, nonostante avessi provato a
dirgli più volte che tale comportamento non solo fosse
squallido, ma anche opportunista, meschino e maschilista.
Ovviamente lui aveva
semplicemente obiettato dicendo che era giovane, bello e popolare e che
voleva divertirsi. Uomini: scaricati sulla terra senza il manuale
d’istruzione.
Qualche minuto dopo lo
vidi uscire, si era già cambiato e aveva fatto anche la
doccia a giudicare dai capelli completamente bagnati.
Gli corsi incontro e
gli saltai addosso. Lui prontamente avvolse le sue braccia sulla mia
schiena e mi sollevò.
“Sei stato
bravissimo!”, esclamai con enfasi.
Lui mi rimise
giù sorridendomi e scombinandomi i capelli. Sapeva che
odiavo quel gesto, ma anch’io sapevo che lui adorava farlo e
per quel giorno glielo concessi.
Mi affiancai a lui e ci
dirigemmo verso l’auto dei nostri genitori.
“Le tue
amiche sono già andate via?”, mi chiese con tono
falsamente indifferente.
“Forse volevi
chiedermi se Aria fosse già andata via.”, replicai
io con un sorriso smagliante, aggrappandomi al suo braccio destro.
“Mi pare di
aver detto le tue amiche, non Aria.”, sottolineò
lui cercando inutilmente di svincolarsi dalla mia presa.
“È
andata via con Dario.”, dissi, intuendo che non avrebbe mai
ammesso il suo interesse.
Vidi i suoi occhi,
vivaci e solari fino a pochi attimi fa, rabbuiarsi, e la sua testa
chinarsi lievemente verso il suolo.
“Ah.”,
disse soltanto.
---
Angolo Autrice
Buon
pomeriggio! :)
Lo so, sono di nuovo in ritardo, ma, sapete, è una vera
fatica portare avanti una long durante l'anno scolastico, quindi sero
che mi capirete... ^-^
Ecco il nuovo capitolo su Alice: che ne pensate? Vi è
piaciuto? Non abbiate paura di commentare, mi raccomando! ;)
Ringrazio lo stesso coloro che leggono.
A presto,
Astrea_
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Capitolo 6 *** How you make me smile ***
6
WALL
-What A Lovely Life-
Capitolo 6: How you make me smile
CAMILLA’s pov
2 novembre 2011
Suonai il campanello, assumendo una posizione comoda per
poter meglio favorire l’attesa alla quale Aria mi avrebbe sicuramente
sottoposta prima di scendere ad aprire la porta. Ben dieci minuti dopo,
finalmente la signorina si decise a venire giù e farmi entrare. La casa di
Arianna si trovava poco lontano dal centro, ma era davvero enorme. Era
circondata da un giardino, di cui un angolo era stato adibito a roseto per la
passione che sua madre nutriva per quei fiori. Aria odiava le rose, sua madre
ci racconta sempre che da piccola faceva di tutto per distruggerle o tagliarle,
ma poi crescendo, aveva imparato a rispettare anche gli interessi della madre.
Sul retro, invece, c’era una piscina e un giardinetto all’inglese, vicino al
quale era posta un’antichissima quercia sul cui ramo principale erano legate le
corde di un’altalena. Entrai nell’ampio ingresso della villa e seguii Aria fino
al piano superiore, poi ci spostammo nell’ala nord, dove c’era la sua camera.
Mimi era già lì, seduta sul tappeto a sfogliare delle riviste di moda, ma
ancora non vedevo Alice. La salutai e tolsi il cappotto, lasciandolo sulla
poltrona nell’angolo.
“Allora, Alice che fine ha fatto?”, chiesi rivolgendomi
ad Aria.
“Non lo so, credo che debba aspettare che
quell’energumeno del fratello si decida ad accompagnarla.”, si lamentò Arianna
lasciandosi cadere di peso sulla poltrona.
Io mi accomodai sul letto, e puntai lo sguardo sul
soffitto.
“Lo sapevo io che l’arancione sarebbe stato meglio
evitarlo questo autunno!”, sbottò Mimi, chiudendo finalmente quella stupida
rivista.
Io e Aria annuimmo, facendo finta che tutto ciò potesse
interessarci.
“Invece di leggere quegli stupidi giornali perché non ci
spieghi un po’ com’è che adesso sei diventata una cosa sola con Fabio?”, chiese
Aria, con sguardo divertito.
Il viso di Mimi si fece improvvisamente ed
inaspettatamente rosso porpora, mentre la sua testa puntò d’istinto il tappeto.
Nello stesso istante sentimmo suonare il campanello,
probabilmente era arrivata anche Ali.
Aria sorrise, palesemente divertita, poi corse giù ad
aprire e qualche minuto dopo tornò seguita anche da Alice.
“Ma dico io, possibile che siate sempre tutte in
anticipo?”, sbuffò fintamente irritata Ali facendo il suo ingresso.
“Ali, sei tu quella in ritardo.”, le feci notare mentre
si sedeva.
“Ordiniamo qualcosa da mangiare?”, propose Mimi.
Annuimmo.
“Cinese?”, chiesi.
Noemi storse il naso, non le piaceva molto la cucina
orientale.
“Pizza e patatine?”, replicò con occhi supplichevoli.
“No, dai, qualcosa di diverso!”, si lamentò Aria.
“Facciamo le crepes!”, propose infine Ali, trovandoci
tutte d’accordo.
Scendemmo in cucina e cominciammo a preparare l’impasto.
“Sbaglio o avevamo iniziato un discorso?”, iniziò Arianna
rivolgendosi a Noemi.
Sbuffò, facendo roteare gli occhi.
“Che discorso?”, s’intromise immediatamente Alice.
“Fabio.”, la informai.
Sorrise maliziosamente, iniziando a fissare Noemi.
“Ok, lo so, non è normale, ma credo mi piaccia. Cioè, no,
mi piace. Solo che… non lo so, davvero, è strano…”, dalle sue parole e dal suo
tono di voce si poteva capire quanto quella conversazione la mettesse in
imbarazzo.
“Mi, tranquilla, siamo solo noi, le tue amiche!”, dissi
per provare a tranquillizzarla.
Si sedette sullo sgabello della penisola della cucina,
lasciando sia farina che frusta.
“Questa volta credo che sia diverso.”, confessò con gli
occhi assorti nella contemplazione di chissà quale ricordo.
“Noemi si sta innamorando!”, ci scherzò su Alice.
“Parla proprio lei che incontra vicini supersexy davanti
casa e si fa pure avvicinare!”, la canzonò scherzosamente Arianna.
“Almeno io ho il coraggio di ammettere e raccontare, mica
come te che parli con mio fratello mentre noi dormiamo ed io lo vengo a sapere
per caso da lui!”, controbatté indignata.
La guardai con sguardo curioso ed interrogativo, imitata
da Noemi, entrambe non riuscivamo a capire a cosa si stesse riferendo.
Arianna sbuffò.
“Il problema qui è che tu sei ossessionata da questo
stupido pensiero! Abbiamo parlato per caso perché ci siamo ritrovati per caso
in cucina! E non l’ho detto perché non ci siamo detti nulla di importante né
per me è stato importante!”, spiegò alzando il tono di voce.
“Ok ragazze, forse è meglio calmarci un po’, chi vuole
fare un po’ di yoga? Alle crepes ci pensa Noemi!”, proposi.
Ali e Aria si voltarono contemporaneamente verso di me,
incenerendomi con lo sguardo: ok, quella non era una buona idea.
Poi, Aria puntò nuovamente Ali.
“E si può sapere tu come lo sai?”, chiese.
“E si può sapere a te cosa interessa?”, replicò Ali.
“Bene, non lo voglio sapere.”, concluse Aria incrociando
le braccia.
“Lo vedi come sei? Cosa ti costa ammettere che ti
interessa perché mio fratello ti piace? Non c’è nulla di male!”, riprese Alice.
Noemi ormai aveva iniziato ad ignorarle completamente,
mentre continuava con la preparazione di quella che sarebbe dovuta essere la
nostra merenda.
“Non posso ammettere una cosa non vera!”, controbatté.
“E allora perché continui a fare domande? Luca potrà
anche non piacerti, non ancora, ma di sicuro ti interessa!”, esclamò Ali,
convinta e sicura delle sue parole.
“Basta, sono stufa di questi discorsi. Tuo fratello non
mi piace, non m’interessa e non voglio saperne più nulla di lui.”
3 novembre 2011
Quella mattina avevo promesso ad Arianna che sarei
passata a prenderla al termine del suo allenamento di atletica per
accompagnarla a comprare un libro che Dario le aveva consigliato di leggere per
il quale sembrava avesse sviluppato un interesse ben oltre la norma.
Così, con ben mezz’ora di anticipo, mi ero recata al
campo. Presi posto sugli spalti ed immediatamente cercai la mia amica tra i
ragazzi che correvano sulla pista. La vidi mentre provava la corsa veloce, per
poi allontanarsi leggermente per raggiungere un ragazzo alto e rosso, che dalla
descrizione che mi aveva più volte fornito, sembrava proprio essere Marco, un
suo caro amico.
Gli sorrise, cominciando a scambiare qualche battuta, poi
lui si allontanò per la prova della corsa veloce. La sua falcata era ampia,
rapida e tagliente, sicura. Le sue braccia scorrevano su e giù per il corpo,
fornendogli un ulteriore spinta, mentre sul suo volto si dipingeva
un’espressione di apparente sforzo. Tagliò il traguardo, rallentando per poi
fermarsi qualche metro più in là.
Aria gli corse subito incontro, allegra più che mai,
porgendogli entusiasta la mano per invitarlo a battere il cinque, gesto che lui
percepì e ricambiò prontamente, lasciandosi andare ad un grido di pura gioia. Anche
l’allenatore si avvicinò a lui, dandogli una pacca sulla spalla, probabilmente
voleva congratularsi per il risultato appena conseguito.
Vidi Arianna controllare l’orario sull’orologio che aveva
al polso ed istintivamente rivolse lo sguardo verso le tribune, incrociando il
mio. La salutai con un cenno della mano, subito ricambiato dalla mia amica, che
dopo aver preso per un braccio quel ragazzo, lo trascinò con sé fino alle
gradinate dove ero seduta.
“Ehi Cam!”, mi salutò elettrizzata.
“Ciao Ari!”, ricambiai.
“Lui è Marco!”, disse presentandomi il ragazzo che aveva
portato con sé, confermando la mia precedente ipotesi.
Lo guardai meglio per imprimere quel viso nella mia
mente.
I capelli rossi e crespi gli scendevano bagnati per il
sudore sulla fronte, gli occhi verdi e stanchi mi fissavano. Aveva delle
piccole e quasi invisibili lentiggini sul naso e sulle guance, ma era davvero
difficile notarle.
Il suo fisico slanciato e atletico era messo in mostra da
un paio di pantaloncini corti e una canotta molto aderente e sudaticcia che
lasciava intravedere i suoi addominali scolpiti con anni ed anni di
allenamento.
La sua espressione, il suo viso, seppur palesemente
esausti, sembravano trasmettere dolcezza, dolcezza e amore, tanto amore, così tanto
amore che mi lasciarono interdetta per qualche minuto, immobile davanti a
quella mano che lui aveva allungato in attesa che io la stringessi.
“Camilla”, dissi tutto d’un fiato qualche attimo dopo,
afferrandola.
Lui sorrise.
“Sai, oggi Marco ha battuto il suo record personale sui
100 metri! È stato davvero bravissimo!”, aggiunse Arianna per smorzare il
silenzio.
Sorrise ancora timidamente e fece sorridere anche me.
“Allora ti faccio i miei complimenti!”, dissi incrociando
involontariamente il suo sguardo.
“Grazie”, rispose semplicemente.
Rimasi incatenata al suo sguardo ancora qualche secondo,
prima che fosse Aria ad attirare la mia attenzione.
“Vado a farmi una doccia e andiamo!”, mi disse avviandosi
verso gli spogliatoi. “Ciao Marco!”, lo salutò, sparendo poi dietro la porta.
“Vuoi che ti faccia compagnia?”, mi chiese lui sedendosi
accanto a me.
D’istinto aumentai le distanze, facendomi un po’ più di
lato. Lui rimase negativamente sorpreso dalla mia reazione e con lo sguardo
corrugato si alzò, voltandomi le spalle, pronto ad andare via.
“Scusa, non volevo. Rimani.”, sussurrai alzandomi
anch’io, trovandomi inaspettatamente a pochi passi da lui.
Lui si voltò con un mezzo sorriso sulle labbra.
“Hai da fare questo pomeriggio?”, mi chiese dolcemente.
“Si”, risposi storcendo il labbro.
Probabilmente lui interpretò la mia risposta come un modo
per dirgli che non ero minimamente interessata a lui, ma che la sua compagnia
in quel momento mi era utile per non rimanere sola ad aspettare la mia amica.
Errore, grande grosso madornale errore.
“Ma domani sono libera.”, aggiunsi sorridendo e lui
sorrise con me, prendendo posto al mio fianco.
E così iniziammo a parlare del più e del meno, della
scuola, dello yoga, dell’atletica, dei cartoni animati e dei fumetti che tanto
adorava, della musica e persino delle scuse Marco usava da piccolo per
convincere la madre a non mandarlo a scuola e mi sorpresi di come tutto ciò
poteva essere così naturale, così semplice, così bello. In quella mezz’ora
capii più cose di Marco di quante avrei mai potute capirne di Francesco in
cinquant’anni e per un attimo mi convinsi che non tutti erano come quel
viscido, che oltre al bianco e al nero c’erano tante altre tonalità e
sfumature, ma forse era ancora presto per vederle tutte. D’altronde per ora mi
bastava vedere il rosso dei capelli di Marco e il verde dei suoi occhi, il
resto poteva anche aspettare.
5 novembre 2011
“Pronti per ordinare?”, chiese cordialmente il cameriere
avvicinandosi al nostro tavolo, stranamente molto numeroso.
Noemi aveva organizzato una strana serata in pizzeria i
cui partecipanti erano stati strategicamente invitati la mattina precedente.
“Certo! Allora, una margherita e una diavola!”, disse
Fabio lanciando un dolce sguardo in direzione di Mimi, ordinando per lei la sua
pizza preferita, chiaro indizio di quanto ormai avesse imparato a conoscerla.
Noemi piegò le labbra in un sorriso forzato, palesemente
imbarazzata da quel semplicissimo ed innocuo gesto al quale non era proprio
abituata.
“Una margherita anche per me.”, aggiunsi, subito imitata
da Marco che sedeva al mio fianco.
“Bene, allora tre margherite, una diavola e…”, riassunse
il cameriere.
“Un’ortolana per me”, aggiunse Arianna.
“Una wrustel e patatine e una capricciosa.”, ordinò poi
Alice per lei e per suo fratello, anche lui stranamente invitato da Noemi, ma
poi letteralmente trascinato di peso dalla sorella fuori casa.
“Io vorrei una quattro stagioni.”, aggiunse Dario
stringendo trionfante la mano di Aria che sedeva al suo fianco.
“Lo stesso anche per me!”, concluse Guido che era stato
costretto dal suo nuovo amico e vicino di casa Luca a partecipare all’allegra
serata per condividere la sciagura.
L’atmosfera era piuttosto imbarazzante e la stramba
disposizione dei posti non faceva altro che accentuarla. Arianna si era trovata
tra Dario e Luca, il quale era affiancato dalla sorella accanto alla quale
aveva preso posto Guido. Poi c’era Fabio, Noemi, io e Marco a chiudere il
cerchio.
Concludemmo l’ordine aggiungendo delle bevande, poi il
cameriere ci lasciò soli.
Feci cadere immediatamente lo sguardo sulla tovaglia, nel
tentativo di evitare di incrociare gli occhi imbarazzanti e vacui degli altri
commensali, di cui il silenzio che si era impadronito del tavolo era un limpido
e chiaro indizio.
“Vado a fumare una sigaretta.”, annunciò Luca alzandosi
dalla sedia, catturando l’interesse di tutti noi.
“Dovresti sapere che il fumo fa male”, lo canzonò Aria,
puntando gli occhi nei suoi.
Lo sguardo di Dario si posò immediatamente su di lei,
mentre potei notare la sua presa intorno alla mano della mia amica farsi più
forte e possessiva.
“E tu dovresti sapere che non mi interessa.”, controbatté
Luca, senza curarsi né del rimprovero di Aria ne della reazione di Dario, poi
ci diede le spalle e uscì a passo lento ma deciso dal locale.
Aria sbuffò, corrugando lievemente la fronte, poi il
silenzio tornò a regnare padrone del tavolo.
“Ho un’idea!”, esclamò all’improvviso Marco attirando
l’attenzione di tutti i presenti.
I nostri sguardi lo pregavano di proseguire, speranzosi
che ciò che stava per dire sarebbe potuta essere una buona soluzione per
salvare la serata che non sembrava proprio essere cominciata nel migliore dei
modi.
Si alzò dal tavolo dirigendosi verso il cameriere che
prima aveva preso le nostre ordinazioni e gli sussurrò qualcosa nell’orecchio.
Lo vidi annuire e spostarsi verso il proiettore.
Marco tornò entusiasta verso di noi, puntato da sette
paia di occhi incuriositi.
“Karaoke gente! Questa è l’ora del karaoke!”, annunciò
prendendo in mano il microfono.
---
Angolo Autrice
Rieccocci qui, con un altro capitolo. Che dire, ringrazio i lettori e
coloro che hanno inserito la storia tra i seguiti o i preferiti.
grazie! Un altro grazie va a confettina veramente per tutto quello che
fa!
Alla prossima,
Astrea_
|
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Capitolo 7 *** Moonlight ***
WALL
-What A Lovely Life-
Capitolo 7:
Moonlight
ARIANNA’s pov
8 novembre 2011
Il compito di letteratura
inglese era presumibilmente
andato bene, ma dire semplicemente ciò sarebbe potuto
risultare un eufemismo.
Il compito di letteratura inglese era dunque stato uno dei miei
migliori
successi scolastici, un sicuro trionfo sulle domande a trabocchetto che
la
professoressa aveva astutamente inserito nel test, dalle quali
però io non mi
ero fatta trarre in inganno, assicurandomi un esito più che
positivo come
risultato della prova. Così, ancora con il sorriso pieno di
soddisfazione
stampato sulle labbra, mi avviai verso il cortile della scuola dove
avrei
trascorso i miei dieci minuti di pausa con le mie amiche ed ovviamente
anche
con Dario, la cui presenza non mi dispiaceva affatto, ma non potevo
neppure
dire di gradirla completamente. In alcune occasioni diventava
opprimente e
fastidiosa. Scrollai la testa come per liberarmi di questi pensieri e
presi
posto sulla panchina dove eravamo soliti incontrarci. Dario era
già lì ad
aspettarmi. Mi salutò con un bacio sulla guancia, per poi
incatenare la sua
mano con la mia.
Iniziai a raccontargli
con enfasi del compito di
letteratura e probabilmente ero talmente eccitata, contenta ed
elettrizzata da
trasmettere il mio stato d’animo anche a lui. Continuavo a
parlare e
raccontare, senza neppure preoccuparmi di prendere fiato,
così in pochi secondi
mi ritrovai messa a tacere dal suo dito che si era poggiato sulle mie
labbra,
mentre percepivo il suo volto a pochi centimetri dal mio. Il respiro si
fece
più pesante ed affannoso, mentre la distanza continuava a
diminuire in modo
lento e regolare, come se mi stesse chiedendo il permesso. Rimasi
paralizzata
al solo pensiero di ciò che sarebbe successo di
lì a pochi secondi. Avevo gli
occhi sgranati per la sorpresa ed il terrore, mentre sentivo il cuore
scalpitare e una forte morsa nella bocca dello stomaco. Provai a
concentrarmi
sulle sue labbra in modo da far passare in secondo piano tutte le altre
sensazioni che percepivo e che probabilmente erano sbagliate. Per un
istante mi
imposi di lasciarlo fare, di provare, di non tirarmi indietro, poi come
un
fulmine, il viso di Luca apparve nella mia testa. Fu un attimo.
Maledetto. Non
feci in tempo a fare nulla per allontanarlo perché qualcuno
lo aveva già fatto
prima di me. Luca Coldare aveva appena tirato un pugno in pieno viso a
Dario,
facendolo cadere dalla panchina.
Lo guardai con sguardo
esterrefatto, mentre rimanevo
esattamente immobile nella mia posizione. Sentivo Dario lamentarsi dal
dolore,
ma non me ne curai minimamente.
“Che
c’è?”, mi chiese Luca con tono di sfida,
non
interrompendo però il nostro contatto visivo.
“Ti rendi
conto di quello che hai fatto?”, gli domandai.
Non ero preoccupata per
Dario, semplicemente non riuscivo
a capire i suoi gesti, le sue parole, non riuscivo a capire lui, Luca.
Dario si
rimise in piedi, avvicinandosi a Luca.
“Si
può sapere cosa cazzo ti è saltato in
mente?”, gli
chiese con tono duro, ma potevo capire dai suoi gesti piuttosto
tranquilli che non
avrebbe ricambiato il pugno.
Luca lo
ignorò completamente, continuava a tenere i suoi
occhi fissi nei miei.
“Ti avevo
detto che sei troppo piccola per certe cose.”,
rispose facendo spallucce.
Abbassai il viso in
direzione delle mie ginocchia, delusa
da quella sua insignificante risposta.
Lui si girò
e andò via, sparendo oltre l’ingresso
principale della scuola.
Rimasi ancora immobile
per qualche secondo, poi fui distratta
dalla voce di Dario, che riprendeva posto accanto a me massaggiandosi
la
mascella.
“Quello
lì è proprio un bifolco energumeno senza
cervello.”, commentò sprezzante.
“Tu ti credi
superiore a lui, vero?”, iniziai puntandogli
un dito contro.
Lui si ritrasse
leggermente, sorpreso dalla mia
spropositata reazione.
“Meglio un
bifolco energumeno senza cervello che un
insicuro e possessivo bradipo senza personalità che si
lascia dare un pugno da
un energumeno.”, controbattei alzandomi e lo lasciai
lì, solo seduto su quella
panchina con la mascella sanguinante.
12 novembre 2011
Mi rigirai per
l’ennesima volta nello scomodissimo letto
che avevamo sistemato accanto a quello di Alice, nella sua camera. I
miei
genitori erano fuori casa quel fine settimana, così mentre
mio fratello era
stato indirizzato dalla nonna senza la minima possibilità di
replicare, io ero
stata gentilmente invitata a casa di Alice, o per meglio dire ero stata
obbligata dalla mia amica a trascorrere due notti a casa sua, sotto lo
stesso
tetto di suo fratello. Sbuffai e strinsi forte le braccia intorno al
mio corpo,
come a proteggermi dal freddo.
Alice dormiva
tranquilla al mio fianco, con uno splendido
ed innocuo sorriso sulle labbra, felice e beata.
All’improvviso
sentii dei rumori provenire dal corridoio.
Sobbalzai spaventata, poi pensai si trattasse dei genitori di Ali che
magari
erano andati in bagno e mi tranquillizzai.
Sobbalzai nuovamente
quando udii un lieve scatto, subito
seguito dal rumore della serratura. Afferrai il cellulare e mi alzai,
senza
pensarci due volte, dirigendomi all’ingresso.
E se fossero stati i
ladri?
Puntai la luce del
cellulare sull’ombra spalmata davanti
alla porta e trattenni il respiro per qualche secondo.
Luca.
Prese con forza il mio
polso e puntò la luce verso il
basso, mentre con l’altro braccio mi spingeva con le spalle
verso la porta.
“Cosa diamine
ci fai tu qui?”, sussurrò.
Il suo tono di voce era
nervoso, preoccupato, agitato,
sorpreso.
I suoi occhi erano
puntati nei miei. Indossava una
semplice felpa blu con il cappuccio e dei jeans grigi, retti in vita da
una
cinta.
“Potrei farti
la stessa domanda”, risposi tutto d’un
fiato.
“Bene, torna
a dormire.”, ordinò lui mollando la presa.
“Dove stai
andando?”, gli chiesi senza spostarmi di un
millimetro, ancora ferma con le spalle in direzione della porta, per
impedirgli
di uscire.
Non rispose.
Con un braccio
cercò di scansarmi, ma opposi resistenza.
“Vengo con
te.”, annunciai con voce ferma e sicura.
“Mi pare di
non averti invitata.”, controbatté lui.
“Scegli: o mi
porti con te o inizio ad urlare e sveglio i
tuoi.”, lo ricattai.
Lo vidi pensarci su,
poi storse il labbro e fece roteare
gli occhi.
“Prendi
questa.”, disse allungandomi una felpa che era
stata lasciata sul divano.
Tornò
indietro verso la sua camera, senza dirmi nulla,
poi dopo qualche minuto lo vidi uscire nuovamente e dirigersi verso di
me.
“Metti anche
questo e queste.”, disse indicando un
pantalone della tuta e delle scarpe da ginnastica.
Infilai subito la parte
inferiore della tuta e le scarpe,
poi afferrai la felpa e lo seguii fuori casa. Si avviò per
le scale ed iniziò a
scendere silenziosamente, gradino dopo gradino. L’aria gelida
penetrava dal
portone dell’ingresso, probabilmente aperto, disperdendosi su
tutta la rampa di
scale.
Un leggero brivido
corse veloce lungo la mia schiena,
così decisi di infilare immediatamente la felpa sopra la
maglia del mio pigiama.
“Hai
intenzione di dirmi dove stiamo andando?”, chiesi
poco dopo sempre bisbigliando.
“Il patto era
portarti con me non dover anche parlare.”,
mi fece notare senza neppure degnarmi di uno sguardo.
Uscimmo dal palazzo e
ci avviammo per le strade buie e
desolate.
Luca aveva le mani
nascoste nelle tasche dei jeans e lo
sguardo fisso in avanti, come a voler accuratamente evitare il mio.
“Avevo
intenzione di fare un giro, ma visto che ci sei tu
mi accontenterò di una breve passeggiata.”,
m’informò poco dopo con voce
sommessa voltando a destra ed entrando in un piccola ma deliziosa
cornetteria.
“Più
che altro avevi voglia di un cornetto.”, lo corressi
con tono seccato, storcendo il labbro.
Possibile che evadesse
di casa, di notte, per un semplice
cornetto?
“Non riuscivo
a dormire.”, spiegò successivamente quasi
in un sussurro sincero, facendo spallucce.
Scossi la testa e senza
indugiare oltre lo seguii
all’interno del locale, non curandomi minimamente
dell’abbigliamento maschile
che indossavo.
La sala era quasi
vuota, fatta eccezione per una
coppietta molto intima e un gruppo chiassoso e quasi certamente
ubriaco.
“Siediti qui.
Io vado ad ordinare.”, disse indicandomi un
tavolino con delle poltroncine rosse poco distante dal bancone.
Per la prima volta non
replicai e feci come mi aveva
detto.
Qualche minuto dopo
tornò con in mano due enormi cornetti
fumanti, uno alla nutella con granelle di nocciola, l’altro
invece farcito con
nutella e farina di cocco.
Mi porse il secondo, ma
quel suo gesto mi lasciò
totalmente spiazzata.
Lo presi, di sicuro
dovetti sembrare impacciata, e sentii
le guance farsi bollenti.
“Come fai a
sapere che mi piace il cocco?”, gli chiesi a
bassa voce, come se non fossi certa di voler sapere la risposta.
“So
molte più cose
di quanto tu immagini.”, disse ammiccando, prima di addentare
il suo soffice e
caldo cornetto.
Sbuffai, del resto
avrei dovuto immaginare che avrebbe
giocato anche quella volta.
Rimanemmo in silenzio,
a contemplarci l’un l’altro, scrutandoci,
mentre mangiavamo quei cornetti, seduti nel bel mezzo della notte in un
piccolo
locale di cui non conoscevo neppure il nome.
“Ti sei
sporcata.”, disse tutto d’un tratto sfiorando con
il suo dito un punto indefinito del mio viso vicino alle mie labbra.
M’irrigidii
lievemente a causa di quel lieve contatto,
poi accennai ad un sorriso.
Si sporse verso di me,
avvicinandosi con una calma quasi
snervante.
Le sue labbra erano
velate da un leggero alone di nutella
ed erano maledettamente vicine alle mie ed io non riuscivo a non
guardarle, ero
completamente attratta da esse come se si trattasse di stregoneria.
“Sei
proprio una
bambina! Non sai neppure mangiarti un cornetto senza
sporcarti!”, commentò con
tono giocoso ad una spanna dal mio viso.
Il suo respiro cadeva
caldo sulle mie labbra. Deglutii,
cercando di camuffare quella strana sensazione di vuoto che aveva
pervaso il
mio corpo, facendomi sentire inspiegabilmente leggera.
“E ora dovrei
baciarti, no?”, chiese in un sussurro.
In
quell’istante desiderai con tutta me stessa che
colmasse la lieve distanza che ci separava, perché ancora
una volta io non
avrei avuto la forza di fermarlo.
Socchiusi gli occhi,
sperando che in quel gesto cogliesse
il mio consenso.
“Non
crederai mica
che lo faccia davvero? Non sono mica uno di quei tipi romantici dalla
lacrima
facile!”, esclamò secco indietreggiando di colpo.
Spalancai gli occhi,
delusa e profondamente umiliata.
“Ma no! Cosa
sto dicendo? Magari quella era una tattica
per farti baciare da me! Così, hai provato a fare la sexy
con me? Mi dispiace,
ma a quanto pare non sei stata abbastanza convincente.”,
aggiunse poco dopo con
un sorriso sornione disegnato sulle labbra e sguardo beffardo.
Lo incenerii con lo
sguardo, mentre sentivo la rabbia
salire e annebbiare la mia vista.
Sentivo le vene pulsare
troppo ed il respiro mancare. Per
un attimo pensai di star per scoppiare in quel preciso istante.
“Sei un
idiota! Un completo, totale, perfetto idiota!”,
esclamai scaraventando quel piccolo pezzo di coretto che ancora non
avevo avuto
il tempo di mangiare sul tavolo.
“E io sono
ancora più idiota di te visto che sono qui con
un idiota!”, aggiunsi maledicendomi per essere voluta uscire
con lui, mentre
gesticolavo freneticamente, ormai fuori controllo.
Mi alzai inviperita,
senza dargli l’opportunità di
replicare e mi avviai verso l’uscita del locale.
“Aria,
io…”, mi chiamò Luca, probabilmente
ancora fermo sulla
sua poltroncina.
Non seppi mai se fu
colpa del modo in cui pronunciò il
mio nome, o di quegli occhi color nocciola che in
quell’istante non potevo
vedere, del profumo, il suo profumo, emanato dalla felpa che indossavo,
o del
cornetto e delle luci soffuse, del moto di rabbia che mi aveva appena
colta, o
forse semplicemente di quelle stupide labbra, ma mi voltai verso di lui
e lo
guardai.
Lo guardai per un solo
istante, ma a me sembrarono anni.
E poi corsi, corsi
verso di lui e lo baciai.
16
novembre 2011
Dopo
quell’incidente di percorso avevo deciso d evitare
accuratamente Luca per tutto il resto della mia permanenza a casa sua e
nonostante all’inizio mi fosse sembrata un’impresa
titanica, riuscii a non
rimanere mai sola con lui e a non incappare in conversazioni a
trabocchetto con
Alice, cosicché non potemmo parlare di ciò che
era successo quella notte,
mentre alle mie amiche raccontai brevemente dell’accaduto,
pregandole di
sorvolare su quello spiacevole episodio. Se da un lato ciò
non poteva farmi che
bene, dall’altro avrei dovuto aspettarmi la sua squallida
reazione, che prese
atto soltanto il lunedì mattina successivo.
Quella mattina, infatti, io e Alice stavamo scendendo di
fretta le scale, con in mano il borsone nel quale avevo riposto tutti i
miei
indumenti, pronta per tornare a casa immediatamente dopo la scuola. Non
appena
varcammo la soglia del portone principale notammo Luca seduto sulla sua
moto
avvinghiato ad una rossa che sensualmente gli si strusciava contro. Lo
fissai
ad occhi sgranati, completamente sorpresa e stupefatta, forse ferita e
amareggiata, ma del resto lui non era mica il mio ragazzo. Non potevo
certo
essere gelosa, né pretendere un voto di fedeltà
dopo un semplice bacio che a
quanto sembrava non aveva avuto nessuna importanza per lui, neppure
questa
volta. Un altro stupido gioco, il quarto, di Luca Coldare.
Rimasi interdetta a guardarlo ancora per qualche minuto,
fino a quando Ali non mi prese per il gomito e mi trascinò
via alla fermata
dell’autobus. Sentii una profonda morsa all’altezza
del cuore. Bastardo, pensai
prima di prendere posto accanto alla mia amica che era già
salita sul mezzo.
Comunque sia ormai erano già passati due giorni da quella
mattina e avevo deciso di buttarmi tutto alle spalle, così
il pomeriggio di
quel mercoledì ci incontrammo tutte a casa di Cam, come da
consuetudine.
“Oggi l’ho rivisto!”, trillò
entusiasta Ali.
“Rivisto chi?”, chiese Cam alle prese con lo yoga.
“Come chi? Guido, ovviamente! E abbiamo pure parlato!
È
maledettamente misterioso e sexy quel ragazzo!”,
commentò con gli occhi sognati.
“E Chris?”, chiesi riportandola con i piedi per
terra.
“Non lo vedo e non lo sento da quella sera ormai.”,
sbuffò con tono leggermente malinconico.
“Bene bene, che dice Marco, invece?”, chiese Noemi
per
cambiare discorso, spostando l’attenzione da Alice a Camilla.
“È un perfetto gentiluomo pronto ad aspettare i
miei
tempi!”, disse con gli occhi che le luccicavano per
l’emozione. Chissà, forse
aveva davvero trovato l’amore che tanto cercava.
“E a te?”, chiese poco dopo, rivolta a Noemi.
“Credo di avere un grosso grasso problema.”,
scherzò
Mimi, facendosi improvvisamente seria.
“Cosa succede?”, chiese preoccupata.
“Fabio.”, confessò con un sospiro.
Tutte noi la guardammo interdette, invitandola a
proseguire.
“Lui mi piace, credo mi piaccia davvero, troppo e
io… io
non so cosa fare, come comportarmi… e se dovessi rovinare
tutto? Se dovesse
andare male? Io… Lui… noi…”,
mormorò calando lo sguardo verso il basso.
D’istinto mi avvicinai a lei, circondando le sue spalle
con le mie braccia.
“Non succederà, lui ti ama.”, la
rassicurai.
“E se io non fossi capace di amare? Se io non fossi
capace di amare lui?”, chiese, insicura come non mai.
“Non esiste un modo per amare e non si può neppure
imparare a farlo. Lo si fa e basta e scommetto che tu sarai bravissima
con lui!”,
la rincuorò Cam stringendole la mano.
Noemi accennò ad un sorriso.
“Lo spero”, sussurrò più a
sé stessa che a noi.
“Comunque, stiamo sorvolando sull’evento del
secolo.”,
annunciò Ali con tono trionfante, riportando allegria e
vivacità nella stanza.
“L’appassionate bacio al chiaro di luna tra Aria e
Luca!”,
continuò poco dopo con fare da presentatrice televisiva,
ignorando i patti.
Tutte sorrisero, portando però la loro attenzione sulla
sottoscritta.
“Tutto ciò ci porta ad una sola conclusione, che
tra
l’altro io avevo già preannunciato da
mesi.”, aggiunse Alice.
“Ti piace!”, esclamò poi squillante
facendo un giro
completo sulla sedia, al termine del quale mi puntò
l’indice contro, mentre sul
viso era già comparso un sorriso malizioso.
Gli occhi le brillavano, mentre cercava di rimanere seria
per poter interpretare al meglio il ruolo dell’investigatore,
squadrandomi da
capo a piedi.
“No!”, sbottai immediatamente, ma mi accorsi di
essere
stata troppo precipitosa per sembrare sincera.
Un momento: io ero sincera! Beh, forse fino a qualche
settimana fa lo sarei stata, o forse neppure allora. Sentivo le guance
bollenti, probabilmente erano diventate rosso porpora.
Ne ebbi la conferma quando le mie amiche, se così
potevamo chiamarle, scoppiarono a ridere dopo essersi lanciate uno
sguardo
d’intesa tra loro. Sbuffai leggermente facendo roteare gli
occhi.
“Mi dispiace darle ragione, ma questa volta è
proprio
così. Ti piace!”, commentò Cami
tornando tranquilla alle sue posizioni yoga.
“Andiamo Arianna, si vede lontano un miglio!”
aggiunse
Mimi dall’alto della mia scrivania, ora d’accordo
anche lei con le assurde
teorie di Ali: che avesse fatto il lavaggio del cervello a tutte?
Aveva una strana espressione dipinta sul volto, a metà
tra il divertito e il curioso.
“E allora metti gli occhiali perché mi sa proprio
che non
ci vedi!”, risposi acida come non mai.
Ok, l’intera storia mi rendeva un po’
più suscettibile e
nervosa del solito.
“Ahahah”, fece finta di ridere, poi con un agile
salto
scese dalla scrivania e si avvicinò al letto, subito imitata
da Alice e
Camilla.
Mi presero le mani e assunsero espressioni serie e
comprensive… Ma si erano messe d’accordo?
Le guardai una per una, tutte mi invitavano a parlare, a
confessare e i loro occhioni dolci di certo non aiutavano.
“Dai Arianna, siamo tue amiche, a chi puoi dirlo se non a
noi?”, iniziò Mimi.
“Sai che puoi fidarti!”, aggiunse immediatamente
Cami,
prima che potessi replicare.
“E poi non ci sarebbe nulla di male e noi saremmo contente
per te! Noi ti vogliamo bene!”, concluse Alice. Chiusi gli
occhi, quasi per
pensare a ciò che stavo per fare. Me ne sarei pentita, lo
sapevo, ma come
potevo dire di no alle mie migliori amiche?
“E va bene, mi piace”, confessai tutto
d’un fiato. “Ma
comunque lo odio!”, aggiunsi l’istante successivo.
---
Angolo Autrice
Lo
so, sono di nuovo in ritardo, ma di
nuovo vi chiedo scusa.
Spero
che anche questo capitolo vi sia piaciuto e ringrazio coloro che hanno
aggiunto la storia alle preferite, alle seguite e alle ricordate.
Spero
di non dovervi fare attendere molto per il prossimo chap,
Astrea_
|
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Capitolo 8 *** Imagination plays bad jokes ***
WALL
-What A Lovely Life-
Capitolo 8: Imagination plays bad
jokes
NOEMI’s pov
18 novembre 2011
Sorrisi
istintivamente quando, attraversando la strada,
notai Fabio, già seduto ad aspettarmi sulla panchina del
parco che dava sul
piccolo laghetto artificiale.
Lui era di spalle,
intento ad osservare il paesaggio
davanti ai suoi occhi.
Nell’ultima
settimana avevo imparato a conoscerlo, seppur
tra di noi si era istaurato un rapporto piuttosto strano da quelli che
ero
solita intraprendere con i ragazzi.
Lui era diverso,
completamente diverso.
Eravamo usciti
più volte insieme, ma, dovevo confessarlo,
ancora non aveva neppure provato a baciarmi. “Diamo tempo al
tempo”, aveva detto
una volta, quando io, imbranata e frettolosa, avevo provato ad
avvicinarmi alle
sue labbra. “Il primo bacio è un passo
importante!”, aveva aggiunto con aria
canzonatoria, carezzandomi il viso con la mano destra con fare dolce.
Praticamente, dunque,
non potevo certo dire che stavamo
insieme, ma teoricamente era esattamente il contrario e di certo non
avrei
esitato un solo secondo a far capire ad una qualsiasi gallinella che si
fosse
avvicinata a lui, che era già impegnato, con la sottoscritta
ovviamente.
Scossi lievemente la
testa per liberarmi di quei
pensieri, assurdi pensieri che per la prima volta riuscivo a formulare.
Varcai
l’ingresso del parco, dirigendomi verso Fabio.
Pochi metri dopo arrivai alle sue spalle, senza che lui si accorgesse
neppure
del rumore dei miei passi che si facevano strada sulle foglie secche
ancora ai
bordi del vialetto.
Velocemente gli misi le
mani sugli occhi. Lui provò a
voltarsi, ma fu un tentativo del tutto inutile.
“Chi
sono?”, chiesi cercando di imitare la voce di una
vecchietta.
Lui sorrise.
“Allora,
vediamo un po’… Amber? No Amber aveva
appuntamento alle sette, non alle cinque… Allora forse
Jennifer!”, disse
provocandomi.
Storsi il labbro,
piacevolmente innervosita dal suo
scherzetto.
“Ma come,
tesoro! Ti sei dimenticato di me!”, dissi,
reggendo il suo gioco.
“Bene, allora
credo proprio che non ti dispiacerà affatto
se io decida di tornare a casa in questo preciso istante!”,
annunciai,
scoprendo finalmente i suoi occhi.
Lui sfruttò
la vicinanza delle mie mani al suo viso per
bloccarmi per i polsi.
“Si, ne ero
sicuro. Teresa, la mia migliore amante!” ,
commentò con aria soddisfatta.
Tentai di svincolarmi
dalla sua presa e lui mi lasciò
fare, poi gli tirai un leggero buffo sul capo.
“Eh si, del
resto anche io sono molto impegnata! Facciamo
in fretta! Tra mezz’ora ho appuntamento con
Jonathan!”, esclamai, facendo
riferimento a quel ragazzo che a suo avviso ci provava con me.
Lui sorrise forzato,
trascinandomi sulla panchina accanto
a lui, facendomi sedere al suo fianco.
“Che ne
diresti se dessimo buca a Jonathan e Teresa?”, mi
chiese con tono malizioso mentre avvicinava il suo volto al mio.
“Dico che ci
sarebbero sempre Jennifer e Amber!”,
borbottai aumentando leggermente le distanze.
“Potrebbero
fare una cosa a quattro!”, propose ridendoci
su.
“Ma che porco
spiritoso che sei!”, mugugnai in tono
scherzoso.
“Bimba
viziata e altezzosa!”, controbatté,
abbracciandomi.
“Sai, mi
piaci davvero.”, aggiunse poco dopo guardandomi
dritto negli occhi.
Sorrisi e lui
ricambiò il mio sorriso.
“Sai,
stranamente anche tu mi piaci, nonostante tu sia
così… tu!”, dissi, facendo roteare gli
occhi, completamente imbarazzata per
quello che avevo appena detto.
Lui sorrise, scuotendo
leggermente il capo, come rassegnato
ma contento ed io in quel momento ero felice, davvero felice.
20 novembre 2011
Ciò
che accadde quella domenica mi lasciò completamente
traumatizzata e spaventata. Seppur in alcuni casi mi incolpai persino
di aver
esagerato, lavorando troppo con la fantasia, in altri sembrava che
qualcuno si
stesse prendendo gioco di me, architettando scherzi di cattivo gusto
che
prendevano vita sotto forma di strane coincidenze.
Come quando al centro
commerciale fummo bloccate dalla
commessa del vestito di abiti da sposa che voleva costringermi a
provare
l’ultimo arrivo della loro famosa e acclamata boutique.
Alice, ovviamente,
scoppiò a ridere e divertita
dall’assurdità della situazione fece credere alla
commessa che davvero io fossi
una futura sposa in cerca del suo abito nuziale accompagnata dalle tre
fide
amiche se durante la cerimonia avrebbero svolto il ruolo di damigelle
d’onore.
Iniziò anche
ad adularla, facendo sarcastici commenti
sulla sua capacità di scovare tra le centinaia di donne che
si trovavano lì,
soltanto le future spose.
Così,
seguita da una divertita Arianna e un’imbarazzata
Camilla, fui costretta ad entrare nel negozio e provare quello
stupidissimo
abito. Quando Cam tirò su la cerniera, per poi farmi voltare
in direzione del
grande specchio, per poco non mi venne un infarto.
Io, Noemi Acrirubi, con
indosso un bellissimo abito
bianco.
Sbattei le palpebre,
sperando che quando le avessi
riaperte mi sarei rivista con camicia, pantaloni e tacchi, come ero
solita
vestire, ma nulla, l’incubo continuava.
Alice non smetteva di
ridere e questo non faceva che
irritarmi ancora di più.
“Questo
vestito le sta davvero benissimo!”, dichiarò
entusiasta la commessa. “Anche se non capisco proprio
perché una giovane
ragazza come lei voglia già sposarsi! Quanti anni ha? Venti?
Ventitre? Non è
ancora giovane? Ci pensi bene prima di compere un passo così
importante!”,
aggiunse poco dopo.
Sgranai gli occhi
adirata.
“Sa cosa le
dico? Ha perfettamente ragione! Io non voglio
sposarmi!”, urlai furibonda, per poi chiudermi nuovamente nel
camerino.
Mi cambiai, poi
frettolosamente uscii dal negozio senza
neppure salutare o ringraziare, seguita immediatamente dalle mie amiche.
“Dai Mi, non
fare così! È stato divertente!”, disse
Ali
nel tentativo di tranquillizzarmi.
“Divertente
un corno! Non è stato divertente Ali!”,
controbattei.
Cam mi
afferrò per un braccio facendomi sedere su una
panchina lì vicino.
“Ehi,
tranquilla! Era solo un passatempo! Non devi mica
prenderla sul serio!”, aggiunse Cami, con voce pacata e
serena, trasmettendomi
immediatamente un po’ di tranquillità.
Aria mi sorrise,
stringendomi una mano.
“E poi
è ancora presto per parlare di matrimonio! Stai
tranquilla!”, concluse Ari.
Sorrisi, del resto
avevano ragione. Era stato solo uno
stupido gioco.
Alzai lo sguardo,
pronta per riprendere il pomeriggio di
sano shopping e nuovamente rimasi traumatizzata da ciò che
vidi.
Un negozio che vendeva
tutto il necessario per i neonati.
Si, qualcuno mi stava
perseguitando.
Cambiai immediatamente
rotta. Probabilmente le miei amiche
mi guardarono con occhi incuriositi ed incerti, non comprendendo il mio
strano
comportamento ma preferirono non fare domane ed io preferii non
appurare nulla.
A passo svelto mi
diressi verso la gelateria, bisognosa
di un gelato al cioccolato. Presi posto ad un tavolino, poi raggiunta
anche
dalle altre e per la terza vola in poche ore rimasi completamente
interdetta.
Una bella e allegra
famigliola faceva mostra di sé
perfettamente davanti ai miei occhi.
Il marito teneva un
braccio intorno alla vita della moglie,
mentre con l’altra sorreggeva un bel maschietto che si teneva
ben stretto sulle
spalle del papà. La donna invece aveva
tra le mani un passeggino, nel quale dormiva beata una bella bambina.
Puntai lo sguardo sul
metallo del tavolo: quella non era
davvero la mia giornata.
24 novembre 2011
Avevo
provato a seppellire tutti gli avvenimenti di
domenica pomeriggio nella mia mente ed anche con un discreto successo,
convincendomi che si era trattato solo di stupide coincidenze a cui io
avevo
voluto dare importanza.
Dunque non ci misi
molto a scaricare tutta la colpa sulla
mia facile impressionabilità.
Anche Ali, Cam e Aria
preferirono non proferire più
parola sull’accaduto e ciò mi fu di grande aiuto.
Il mercoledì
successivo poi, decidemmo di andare al cinema
per vedere un film, anche se non con molto entusiasmo. Infine quella
mattina
Fabio mi aveva chiesto nuovamente di uscire, così, presi
cappotto e borsa mi
precipitai frettolosamente fuori casa, già con venti minuti
di ritardo.
Fabio era davanti casa
mia ad aspettarmi.
“Ce
l’hai fatta finalmente!”, disse con un sorriso
stampato sul suo bellissimo viso.
Mi avvicinai a lui,
stampandogli un dolce bacio sulla
guancia.
“Allora dove
mi porti?”, gli chiesi infilandomi il
cappotto.
“Dove vuole
principessa!”, rispose sarcasticamente.
“Come siamo
smielati oggi! Quanto zucchero hai mangiato
prima di venire qui?”, scherzai mentre lui mi prese la mano.
“Sai,
è un po’ che penso a una
cosa…”, disse attirandomi
verso di se.
Lui
intercettò il mio sguardo e ancora una volta ebbi la
sensazione di perdermi nei suoi occhi azzurro cielo.
Non riuscii a dire
nulla, ero talmente ipnotizzata sui
suoi occhi e dal suo dolce tocco da non riuscire a pensare altro che a
lui,
alle sue labbra rosse e alla voglia che avevo di baciarle.
“Cosa?”,
riuscii soltanto a sussurrare, ma alle mie
orecchie sembrò più una preghiera volta a farlo
continuare.
“Questo.”,
disse semplicemente, prima di colmare del
tutto la piccola distanza che ci divideva, facendo combaciare le sue
labbra con
le mie.
Al solo tocco dischiusi
le labbra e incatenai le mie
braccia intorno al suo collo, mentre potevo sentire il suo braccio
circondarmi
la vita e la sua mano accarezzarmi il viso.
Finalmente ci stavamo
baciando ed era bellissimo, la cosa
più bella, più dolce e più giusta che
avessi mai fatto. Ero esattamente dove
volevo e dovevo essere ed era tutto così perfetto.
Poi fu come un lampo.
Mi rividi con
l’abito da sposa, con il pancione, mentre
pulivo casa o preparavo la cena da brava mogliettina che aspetta il
proprio
marito. E rividi quel negozio per neonati e mi ci immaginai mentre
compravo
tutine e pappine dal colore nauseante. E pensai ai pannolini che
emanavano
cattivi odori per casa e mi vidi mentre ero costretta a cambiarli ad un
capriccioso e piagnucoloso marmocchio che non voleva saperne di
dormire. E
pensai a quella famiglia perfetta. E lì, in quel preciso
istante, mentre
baciavo Fabio, ebbi paura.
Ebbi paura del fatto
che forse quella sarebbe stata
davvero la volta giusta, ebbi paura che finalmente sarei potuta
riuscire ad
amarlo con tutta me stessa.
Mi svincolai dalla sua
dolce presa e allontanai il mio
viso dal suo.
Sentivo i suoi occhi
interrogativi fissi su di me, mentre
cercava la mia mano con la sua. Indietreggiai di qualche passo per
segnare la
distanza, senza riuscire ad alzare il viso.
Tenevo lo sguardo chino
verso i piedi, sicura che non
sarei mai e poi mai riuscita a sostenere la sua espressione,
sicuramente
sorpresa, amareggiata e delusa.
“Non
posso.”, mormorai prima di scappare via e fuggire,
fuggire da lui e da quell’amore che seppur non cercato era
riuscito a trovarmi,
ma che io avevo appena rifiutato.
Stupida me, stupido
Fabio e stupido amore.
---
Angolo Autrice
Buona Befana e, anche
se un po' in ritardo, buon anno nuovo! ;-)
Come da tradizione, io stamattina ho avuto la mia calza colma di
dolciumi di ogni tipo che (purtroppo...) non riesco a smettere di
mangiare. T.T
Vabbé, mi scuso per la lunga attesa... Se devo essere
sincera ancora mi aspetto qualche commento, però... Fatevi
sentire, insomma! :P
Ringrazio comunque coloro che leggono e che inseriscono la storia tra i
preferiti, le seguite e le ricordate.
A presto,
Astrea_
|
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Capitolo 9 *** Love is a bit like craziness ***
WALL
-What A Lovely Life-
Capitolo 9: Love is a bit like
craziness
CAMILLA’s pov
29 novembre 2011
Il martedì mattina
era di certo la giornata scolastica
che preferivo in assoluto, un concentrato di tutte le materie che
trovavo interessanti e capaci di stimolare il mio
intelletto, che culminava con l’ultima ora di inglese, la mia
perfetta
ciliegina sulla torta.
Al suono della
campanella dell’ultima ora mi recai con un
sorriso compiaciuto e soddisfatto dipinto sul volto nei pressi dello
scalone
principale, dove eravamo solite incontrarci prima di uscire
definitivamente
dall’edificio.
“Cam!”,
mi chiamò Aria, mentre scendeva gli ultimi
gradini, subito seguita da Ali, la cui espressione era palesemente
turbata.
“Com’è
andata oggi?”, mi chiese.
“Una giornata
fantastica.”, risposi semplicemente,
aggiungendo uno dei miei migliori sorrisi per confermare la tesi appena
conferita.
“Bene, almeno
tu non hai di che lamentarti!”, borbottò
Alice, mostrando il suo cattivo, se non pessimo, umore.
“Cosa le
è successo?”, chiesi ad Ari, evitando
accuratamente di porre la domanda alla diretta interessata.
“Christian
è venuto in classe nostra a ricreazione,
voleva parlarle, lei ha accettato ed ha fatto tardi per il test di
francese,
così la prof le ha messo due sul registro.”,
raccontò in modo molto succinto, a
bassa voce, quasi come se non volesse farsi sentire da Alice, che
sospirava
svogliata ed annoiata alle nostre spalle.
“Dai,
recupererai! Piuttosto, cosa ti ha detto Christian?”,
le domandai, con la vana speranza di strapparle un sorriso.
“Che
è un perfetto idiota?”, si intromise Noemi
arrivando
alle nostre spalle.
Probabilmente doveva
aver sentito parte del discorso.
Negli ultimi giorni
avevamo potuto notare come il suo
umore, notevolmente cambiato, fosse direttamente collegato alla figura
di
Fabio. La sua improvvisa ed inaspettata completa assenza aveva generato
un’aura
negativa che circondava Mimi e della quale era impossibile sbarazzarsi.
Lei,
del resto, non parlava più di lui, non usciva più
con lui, non lo vedeva più né
per i corridoi né all’uscita di scuola. Ci aveva
brevemente raccontato di ciò
che era accaduto la settimana scorsa, ma inizialmente nessuna di noi
aveva dato
molta importanza a quell’incidente di percorso che invece ora
si rivelava tanto
fatale.
“Che gli
manco e che vuole tornare con me.”, continuò
Ali, ignorando completamente il commento poco carino di Noemi,
totalmente
disinteressata alla conversazione, come se il soggetto non ne fosse
stato lei.
“E tu cosa
gli hai detto?”, le chiesi.
“Che ho
bisogno di un altro po’ di tempo.”,
borbottò con
tono insicuro facendo spallucce.
Scossi leggermente il
capo, affranta.
“Ragazze, io
vado a scambiare due chiacchiere con quel
gruppo di ragazzi!”, dichiarò Mi, indicando una
schiera di circa sei ragazzi
che continuavano a guardare nella nostra direzione.
“E
Fabio?”, le chiesi, sperando che questa semplice
domanda potesse far scattare in lei quella scintilla che tardava ad
accendersi,
una scintilla che avrebbe potuto farla rinsavire.
“Non sono una
tipa da storie serie.”, disse come per
giustificarsi prima di salutarci e andare via, ma nei suoi occhi potei
notare
una vena di tristezza che lei aveva strategicamente preferito provare a
celare.
D’istinto mi
trovai a guardare verso l’alto e a far
roteare gli occhi, poi raggiunsi Ali e Aria, le quali si erano
già avviate
verso il cancello.
“Ehi
Cam!”, mi salutò Marco, piombandomi alle spalle,
afferrandomi per i fianchi.
Sobbalzai per la
sorpresa mista allo spavento, poi
sorrisi.
“Salve
ragazze!”, aggiunse poi rivolgendosi alle mie
amiche.
“Ciao!”,
lo salutai, subito imitata da Ali e Aria, poi
gli scoccai un sonoro bacio sulla guancia.
Lui afferrò
la mia mano, poi con un abile gesto face
passare il braccio dietro le mie spalle.
“Che ne dici
di andare a fare un giro?”, mi propose.
Lo guardai nei suoi
profondi occhi verdi e sorrisi,
entusiasta della proposta.
Ci pensai un attimo, ma
fui colta da un impeto di
razionalità l’esatto istante prima di accettare.
“Mi
piacerebbe, ma devo tornare a casa.”, gli spiegai
chiaramente dispiaciuta.
Storse lievemente il
labbro.
“Ma si dai,
chiamo mia madre e le dico che pranzo fuori!”,
proposi, sorridendo.
Nei suoi occhi vidi
quasi accendersi una luce, prima che
potesse ricambiare il mio sorriso.
“Bene, allora
andiamo!”
3 dicembre 2011
“Sai,
di solito la gente non viene qui!”, commentò
girandosi intorno.
“Si, di solito la gente lo trova noioso.”,
aggiunsi,
forse un po’ troppo rammaricata per come gli adolescenti
avessero ripudiato in
tal vile modo la lettura dei libri scritti nei secoli precedenti.
“Ma a me piace.”, confessai facendo spallucce, non
riuscendo a trovare un motivo valido ed universalmente riconosciuto che
potesse
avvalere maggiormente ciò che avevo appena detto.
“Lo so e piace anche a me.”, sussurrò al
mio orecchio,
costringendomi ad indietreggiare per l’imprevista vicinanza.
Mi scontrai dolcemente con il primo dei tanti scaffali
contenenti romanzi di autori italiani del Novecento, sezione che si
affiancava
a quella dei libri dell’Ottocento, mentre le sue braccia mi
circondavano come a
volermi proteggere.
Quell’improvvisa ed equivocabile situazione mi trasse in
un profondo imbarazzo, tant’è che sentii le guance
farsi più calde,
probabilmente per colpa del sangue che vi affluiva, donandole quel
caratteristico colore rosso che si sposava con la mia carnagione
chiara,
effetto che tuttavia detestavo ardentemente.
Il mio cuore scalpitava, lo percepivo pulsare
prepotentemente nel mio petto.
I miei occhi erano incatenati ai suoi, di un
caratteristico verde speranza.
Per un attimo abbassai il volto, nel tentativo di
riacquistare lucidità, e il mio sguardo finì
sulla sezione dedicata ai classici
della letteratura inglese dell’Ottocento, che si trovava sul
lato opposto
rispetto a quella che avevamo appena esaminato.
La mia attenzione cadde involontariamente sui libri
firmati dalla Austen.
Sorrisi, svincolandomi dolcemente dalla presa e mi
avvicinai a quei libri, posti al secondo ripiano.
Con il dito scorsi velocemente sui diversi volumi, poi mi
fermai su uno e lo estrassi.
“Dovresti leggere questo.”, dissi, indicandogli
Orgoglio
e Pregiudizio, capolavoro della scrittrice inglese Jane Austen.
Marco mi aveva seguita, fermandosi a pochi passi da me
che ancora gli davo le spalle. Prese il libro, sfiorando
impercettibilmente la
mia mano. Quel leggero contatto mi provocò un brivido che
veloce percorse tutta
la schiena. Poi tentò di ripristinare la posizione in cui ci
eravamo ritrovati
prima circondandomi con le braccia in modo tale da tenermi bloccata tra
il suo
corpo e lo scaffale.
Mi voltai verso di lui, trovandomi con le labbra a poche
spanne dalle sue.
Ebbi un leggero sussulto e lui parve accorgersene.
“Orgoglio e Pregiudizio, il cui protagonista maschile, il
misterioso e affascinante Mr. Darcy ha mietuto milioni di vittime tra
le
adolescenti di tutto il mondo, facendole innamorare perdutamente del
prototipo
dell’uomo perfetto. Credi davvero che non abbia letto un
capolavoro come
quello?”, chiese stuzzicandomi, mentre agitava lievemente il
libro tra la mano.
Sentivo il suo dolce respiro sul mio collo.
Sorrisi. Forse l’avevo sottovalutato.
“Magari potrei rileggerlo ancora una volta.”,
aggiunse
poi, avvicinandosi ancora di più alle mie labbra.
In quell’istante ebbi l’assoluta certezza di
ciò che
stava per succedere: le labbra di Marco stavano per unirsi alle mie.
Presi un respiro profondo e cercai di racimolare tutte le
mie forze, oltre che quel po’ di raziocinio sul quale ancora
potevo contare, e
lo scostai lievemente.
“No”, sussurrai.
Marco indietreggiò, fino a lasciarmi completamente libera
da quella presa.
“Scusami.”, mormorò imbarazzato e
probabilmente anche
affranto per il rifiuto che aveva appena ricevuto.
Calai lo sguardo verso il basso.
“Scusami tu… è che”, iniziai,
nel tentativo di fornirgli
una valida giustificazione al mio comportamento.
“Non devi dire nulla.”, disse, mettendomi a tacere.
“No, invece devo dirti tutto!”, controbattei
iniziando a
muovere freneticamente qualche passo tra le file di scaffali.
“Io voglio baciarti, davvero, e voglio anche stare con
te, ma…”, continuai ad un passo dai tavolini che
erano stati posti sul fondo
della parete per favorire la lettura dei milioni di volumi custoditi in
quella
biblioteca.
Marco si avvicinò a me, poggiando le mani sulle mie
spalle, impedendomi di poterlo guardare direttamente negli occhi.
“Ho paura”, sussurrai.
La sua presa si fece più forte, come se con quel semplice
contatto volesse trasmettermi la sua presenza e la sua sicurezza.
Deglutii e presi posto sulla sedia di legno scuro che
affiancava il tavolino.
Marco, ancora una volta in completo silenzio, mi imitò,
sedendosi sul lato opposto al mio, poi finalmente mi guardò
negli occhi.
Non sembrava turbato, né dispiaciuto, arrabbiato o
timoroso. Gli accennai un sorriso, poi presi un profondo respiro.
“Io non sono vergine”, confessai tutto
d’un
fiato prima di raccontargli come la mia vita si fosse stravolta in soli
due
mesi e per la prima volta non provai né vergogna,
né paura.
9 dicembre 2011
Mi
precipitai frettolosamente fuori dall’autobus,
rabbrividendo per lo sbalzo di temperatura. Quella mattina
l’aria era gelida e
un freddo e tagliente vento contribuiva a rendere il clima ancora
più rigido.
Mi strinsi nel cappotto e feci rotta verso la pista di pattinaggio.
Quell’anno
la festività dell’immacolata era caduta di
venerdì, ragion per cui ci era stato
concesso di anticipare il fine settimana annullando le lezioni del
sabato,
notizia che subito aveva fatto breccia negli scalpitanti cuori degli
studenti.
Per approfittare meglio di quella fortunata coincidenza, Aria aveva
proposto di
trascorrere la mattinata alla pista di ghiaccio, allestita per le
imminenti
festività natalizie.
Ecco
perché in quel preciso istante mi trovai a salutare
Aria e Mimi che già facevano la fila per ottenere i tanto
agognati pass.
Poco
dopo arrivò anche Ali, facendo il suo trionfale
ingresso a cavallo della moto guidata dal fratello, la quale si
fermò a pochi
metri di distanza da noi. Alice salutò Luca con un cenno
della mano, il quale,
senza degnarci neppure di uno sguardo, ripartì con forte
rombo.
“Salve
ragazze!”, ci disse una volta che ci ebbe
raggiunte.
Io
e Noemi ricambiammo immediatamente il saluto, mentre
potei notare gli occhi di Aria posarsi sulla moto che riprendeva
velocità fino
a sparire dietro l’angolo alla fine della strada.
Sospirò lievemente, poi tornò
con lo sguardo su di noi, palesemente decisa a concentrare tutti i suoi
pensieri sulle sue amiche e sulla pista che di lì a poco
avremmo dovuto affrontare.
“Ehm”,
mugugnai con l’intento di attirare l’attenzione,
cosicché tutte si voltarono nella mia direzione.
“Devo
dirvi una cosa.”, confessai con tono neutrale per
non lasciar trapelare nulla.
Proprio
in quell’istante, come se fosse stato programmato
o come se si trattasse di uno scherzo del destino, arrivò
Marco.
“Ecco,
ho chiamato anche lui.”, spiegai.
Gli
sguardi delle mie amiche si confondevano tra diverse
reazioni, tra cui colsi principalmente malizia, sorpresa, soddisfazione
e
felicità.
Marco
salutò tutte, poi mi lasciò un leggero bacio
sulla
guancia.
Aspettammo
ancora per qualche minuto che ci fossero
consegnati i pass, poi, una volta ottenuti, Marco mi prese per mano e
mi
trascinò letteralmente sulla pista.
“Vediamo
quello che sai fare!”, mi disse in tono di
sfida.
Sorrisi
con un piccolo ghigno beffardo disegnato sul viso
ed iniziai a pattinare, aumentando costantemente la velocità.
Evidentemente
non sapeva ancora con chi aveva a che fare.
Lui
mi seguiva apparentemente senza alcun problema e fu
proprio per questo che decisi di rendere il gioco più
difficoltoso.
Inserii
dei giri e degli improvvisi cambi di direzione e,
se dapprima Marco seppe tenermi testa, alla fine si ritrovò
con il sedere sul
freddo e bagnato ghiaccio.
D’istinto
scoppiai a ridere, decelerando per potermi
avvicinare a lui.
La
sua faccia era dolorante, continuava a massaggiarsi il
punto indolenzito con la mano, mentre corrugava il naso e arricciava
gli occhi
e le labbra.
Mi
chinai su di lui.
“Ti
sei fatto male?”, gli chiesi con voce preoccupata.
“Di
certo non mi sono fatto bene.”, rispose ironicamente
come un bambino capriccioso che vuole essere coccolato.
Sorrisi
e solo allora mi accorsi di quanto vicini fossero
i nostri volti. Per un istante mi persi nei suoi occhi e lui nei miei.
Gli
offrii le mani come leva per alzarsi e lui non esitò
ad afferrarle.
Quel
semplice contatto aveva contribuito a diminuire
ancora di più le distanze tra i nostri corpi.
Ci
trovavamo in un angolo della pista di ghiaccio, con
una canzone alla quale, almeno personalmente, non prestavo attenzione
che ci
faceva da sottofondo musicale, mano nella mano e le sue labbra erano
come una
calamita per me.
La
sua pelle chiara era messa in risalto dal rosso dei
sui capelli e delle sue labbra, mentre i suoi occhi verdi mi
perforavano tutta,
anima e corpo.
Respirai
profondamente, ben conscia di quello che stavo
per dire o, peggio, fare.
“Marco,
io…”, iniziai, ma prontamente lui mi interruppe.
“Shhh”,
sussurrò.
“Ora
ascolta me, poi ti prometto che ti lascerò dire
tutto ciò che vorrai e che ti
ascolterò.”, mi disse mantenendo un tono di voce
basso, il che contribuiva a creare un’atmosfera ancora
più intima e romantica.
“È
da un po’ che volevo parlarti e nonostante abbia
provato questo discorso ore ed ore davanti allo specchio, ora non mi
ricordo
una sola parola di quelle bellissime parole che avevo preparato per
l’occasione. Lo so, starai pensando che è patetico
dirti questi dettagli, oltre
che tremendamente imbarazzante da parte mia dire tutte queste cose ad
alta
voce, ma ti prego, non interrompermi proprio adesso che ho trovato il
coraggio,
anche se io lo definirei masochismo, per, per… .”,
si fermò un attimo,
accennando ad un lieve sorriso impacciato.
Aumentò
leggermente la presa sulle mie mani, come a voler
aumentare o solidificare il contatto, poi tornò a guardarmi
negli occhi.
“Sono
innamorato.”, confessò tutto d’un fiato.
“Sono
innamorato del modo in cui sposti i capelli quando
ti cadono sul volto, del modo in cui fissi le persone per carpirne
informazioni, del modo in cui ti soffermi a guardare un libro,
sognando,
immaginando. E poi sono innamorato del rossore sulle tue guance che
prende vita
ogni volta che sei in imbarazzo, ecco, proprio come adesso. E sono
innamorato
del modo in cui ingegnosamente sei riuscita a farmi cadere oggi sul
ghiaccio.
Sono innamorato della tua reazione ogni volta che mi avvicino e persino
della
tua odiosa razionalità e puntualità, ma
soprattutto sono innamorato di te.”,
disse fermandosi un attimo per riprendere fiato.
“E
non importa se tutto ciò potrà sembrarti
patetico,
perché per me non lo è, non lo è
affatto.”, aggiunse poco dopo.
“Quindi
ora hai solo due possibilità: o scappi da questo
pazzo lasciandolo così, impalato nel bel mezzo della pista e
credo proprio che
in tal caso qualcuno dovrà aiutarmi a uscire di qui sano e
salvo perché mi sono
davvero fatto male, oppure… Oppure questo pazzo potrebbe
strapparti un sì, ma per
farlo il tuo fattore di pazzia dovrebbe ricevere un rapido ed ingente
incremento,
altrimenti non vedo proprio come tu possa accettare. Quindi la domanda
che ora
ti pongo, che probabilmente ti sembrerà uscita direttamente
da un telefilm
americano, ma alle critiche ci penseremo poi, è: quanto ci
tieni a diventare
pazza?”, mi chiese ultimando il lungo sproloquio.
Le
sue mani erano ancora incatenate alle mie,ma i suoi
muscoli erano tesi, il suo respiro era più veloce del solito
ed i suoi occhi mi
fissavano con amore e speranza.
Il
mio cuore pulsava forte nel mio petto e per un attimo
ebbi la sensazione che potesse uscirne.
Sorrisi
guardando Marco: era tutto ciò che avevo sempre
sognato.
“Sono
talmente pazza che mi avevi convinta già all’ora
ascolta me”,
confessai.
“E
sono talmente pazza da non riuscire a fare a meno di
te, perché si, sono innamorata di un pazzo.”,
aggiunsi con la voce commossa per
l’emozione.
Lui
svincolò una mano dalla presa, poi la poggiò
sulla
mia fronte, spostando una ciocca di capelli.
Sorrideva
ed i suoi occhi erano luminosi, felici,
brillavano.
Si
avvicinò lentamente alle mie labbra, poi finalmente mi
baciò.
In
quel bacio riscoprii tutta la dolcezza e la tenerezza
dell’amore, dell’amore vero che per anni avevo
aspettato e che aveva finito con
il sorprendermi all’improvviso. Da degli
appuntamenti e poi viene quando gli pare, diceva
Liga, ed il mio era appena
arrivato.
Mi
allontanai leggermente dalle sue labbra, il necessario
per poterlo guardare nuovamente negli occhi e sorrisi e lui sorrise con
me, del
nostro amore, del nostro noi.
Poi
decise di colmare nuovamente le distanze facendo combaciare
perfettamente le nostre labbra. Fece scivolare le sue braccia lungo i
miei
fianchi, mentre io incatenai le mie mani intorno al suo collo e con le
dita
giocherellavo con i suoi soffici capelli rossi. Fu in
quell’istante che alzai
il piede destro e sorrisi, sorrisi mentre baciavo Marco.
Si,
avevo avuto la mia romantica dichiarazione.
Si,
avevo avuto il mio favoloso bacio.
Si,
avevo avuto il mio perfetto principe azzurro.
Si,
c’era Marco ora con me.
---
Angolo Autrice
Sì, lo so,
è passato praticamente un secolo dall'ultimo mio
ggiornamento e, sì, vi chiedo immensamente scusa.
La prossima volta cercherò di essere un po' meno in ritardo
XD
Allora, vi è piaciuto questo capitolo? Su, fatemelo
sapere!
Alla prossima!
Astrea_
|
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Capitolo 10 *** When end is another way to say beginning ***
Cap 10
WALL
-What A Lovely Life-
Capitolo 10: When end is another
way to say beginning
ALICE’s pov
14 dicembre 2011
Uscii velocemente di casa e mi fiondai davanti all’ascensore.
Distrattamente premetti il bottone che consentiva di
chiamarlo, poi controllai frettolosamente l’orologio: ero in perfetto orario.
Quel mercoledì pomeriggio, infatti, come da consuetudine
io e le mie amiche ci saremmo dovute incontrare.
Avevamo deciso di fare un giro in centro, entusiaste come
non mai di poter osservare le vetrine dei negozi già addobbate per le festività
natalizie. L’appuntamento era dunque alla fine del corso, nella piazza
principale della città.
Con il piede ticchettai sul pavimento del pianerottolo
per ingannare l’attesa, poi finalmente le porte dell’ascensore si aprirono.
D’istinto mi feci avanti per potervi entrare, ignorando
completamente la presenza della persona che invece doveva uscirvi, così da
scontrarmi con Guido, il mio nuovo vicino di casa.
Immediatamente indietreggiai, puntando lo sguardo verso
il basso, completamente imbarazzata per la situazione che si era creata.
“Scusa.”, biascicai alzando il volto.
Lui sembrava divertito a giudicare dal ghigno beffardo
disegnato sulle sue labbra.
Involontariamente il mio sguardo si posò su di lui,
facendogli una veloce analisi.
La mano destra era nascosta nelle tasche dei pantaloni
neri, mentre la sinistra reggeva il casco, probabilmente del motorino o della
moto. Indossava una felpa grigia, con degli strani disegnini che la coloravano.
I suoi capelli erano come scombinati dal vento, segno che probabilmente il
casco non era stato utilizzato nella corsa. I suoi splendidi occhi grigio opaco
erano ancora puntati su di me. Sorrisi imbarazzata da quel contatto visivo.
“Tranquilla, non mi è dispiaciuto affatto.”, rispose con
l’aria di presuntuoso, arrogante, saccente e altezzoso ragazzino.
Lo puntai con sguardo truce, mettendomi di lato in modo
tale da consentirgli di poter uscire dall’ascensore senza alcun rischio di
contatto fisico con la sottoscritta.
Lui recepì il messaggio e si avviò verso il suo portone.
Sospirai come sollevata e con un soddisfatto sorriso
sulle labbra accennai a entrare nell’ascensore, ma fui bloccata dalle sue
parole.
“Hai da fare adesso?”, mi chiese.
D’istinto la sua voce, dolce e strafottente allo stesso
tempo, oltre che smisuratamente sexy e misteriosa, mi costrinse a girarmi,
svelandomi nuovamente la sua figura, già voltata nella mia direzione.
“Sto uscendo.”, risposi con ovvietà.
“Ti va un giro in moto?”, domandò con un accenno di
sorriso.
Non risposi, ma continuavo a tenere i miei occhi fissi
nei suoi.
Sentivo l’adrenalina scorrere nelle mie vene ed il cuore
scalpitare forte.
Probabilmente accettare sarebbe stato sbagliato,
inopportuno, la peggior decisone che avessi mai potuto prendere in quella
precisa e complicata situazione sentimentale, ma rifiutare sarebbe stata una
bugia, una grande, grossa bugia, un tradimento a me stessa e alle emozioni che
sentivo in quel momento.
Lui non attese oltre.
Mi sorrise malizioso, si diresse con passo sicuro verso
di me, mi prese per mano e mi scaraventò insieme a lui nell’ascensore.
Non ebbi neppure il tempo di realizzare ciò che accadde.
In pochi secondi mi trovi a cavallo della sua moto, con
un casco nero in testa, inebriata dal profumo, il suo profumo, e le braccia
avvinghiate intorno alla sua vita, pronti a partire.
Diede subito gas, aumentando velocità
La sua guida non era sicura come quella di mio fratello,
no, la sua al contrario, poteva essere definita spericolata. Lo sentivo
sfrecciare sul grigio dell’asfalto e percepivo la sua puerile soddisfazione nel
sentire il vento che gli accarezzava ferocemente la pelle.
Svoltò improvvisamente e mi avvinghiai ancora di più alla
sua schiena.
Mi sorpresi del piacevole imbarazzo che quel maggiore
contatto fece scaturire in me.
Da quanto tempo conoscevo Guido? Due mesi? E quanto bene
lo conoscevo? A dir il vero non lo conoscevo per nulla.
Eppure nonostante il suo stile di guida, nonostante le
poche informazioni che sapevo sul suo conto, mi sentivo perfettamente al sicuro
su quella moto, perfettamente al sicuro con lui.
Di rado provai ad aprire gli occhi per capire dove
fossimo diretti.
Gli edifici si facevano sempre più bassi ed isolati l’uno
dall’altro, segno che stavamo abbandonando la città, mentre la vegetazione
subiva un costante incremento.
Riconobbi la strada poco trafficata che imboccammo, era
quella che portava verso le montagne a nord.
Poco dopo, Guido accostò in uno spiazzo adibito a
belvedere.
Forse era tempo di conoscere meglio il misterioso
ragazzo.
Scese dalla moto, aiutando poi anche me.
Togliemmo i caschi, lasciandoli nel bauletto, poi ci
avvicinammo alla staccionata che dava sullo scosceso pendio.
“Allora, mi dirai mai qualcosa di te?”, gli chiesi in
modo semplice e diretto.
“Mi hai mai chiesto qualcosa?”, controbatté lui, ma la
sua voce non era sarcastica o affranta.
Per qualche secondo rimanemmo in silenzio, poi mi decisi
nuovamente a tentare di rompere il ghiaccio.
“Tu e mio fratello siete diventati proprio amici, eh?”,
iniziai, riferendomi alle loro continue uscite e ai pomeriggi che passavano
l’uno a casa dell’altro, ovviamente evitandomi nel modo più accurato possibile.
Lui sorrise lievemente.
“Siamo compagni di classe”, spiegò.
“E?”, domandai per farlo proseguire.
Avevo voglia di ascoltarlo, di conoscerlo.
“E cosa?”, mi chiese spiazzato e dubbioso.
“Ti sei trasferito, no?”, gli feci notare quel suo
particolare della sua vita che avrebbe potuto facilmente prendere come spunto.
“Si, da Torino.”, confermò senza sbilanciarsi oltre.
Annuii e questa volta non feci altre domande.
“E tu? Che ci fai qui con un quasi sconosciuto amico di
tuo fratello?”, mi chiese poco dopo, interrompendo il silenzio che si era calato
tra noi.
“La stessa cosa che tu stai facendo con una quasi
sconosciuta sorella del tuo amico.”, commentai facendo spallucce, soddisfatta
della mia risposta.
Lui sorrise con un ghigno disegnato sul viso.
“I miei hanno divorziato. Mia madre ha un altro, mio
padre due mesi fa ha chiesto il trasferimento in una qualsiasi altra città e
questa è stata la prima meta disponibile. Abbiamo fatto le valige ed abbiamo
comprato casa. Aveva bisogno di cambiare aria e io non potevo lasciarlo da
solo. Fine della storia. Ora tocca a te.”, disse.
Nel breve racconto avevo potuto notare i suoi occhi
tingersi di un velo di tristezza, probabilmente dovuta al dolore e alla
sofferenza che questi eventi gli avevano procurato.
Con un abile conclusione del discorso, fece ricadere
l’attenzione su di me.
“Ho appena dato buca alle mie amiche perché non sono
riuscita a dirti di no.”, confessai, accennando ad un mezzo sorriso,
immediatamente ricambiato dal suo.
“Le tue amiche saranno arrabbiate con me allora.”,
ipotizzò avvicinandosi con passo lento ma sicuro.
“Probabile.”, commentai immaginando le mille teorie che
stavano sviluppano riguardo alla mia assenza.
Guido si fermò a poche spanne di distanza da me.
“E il tuo ragazzo cosa dirà quando gli racconterai che
hai passato il pomeriggio con me?”, sussurrò sul mio orecchio.
Se voleva sedurmi ci stava riuscendo alla grande.
“Non ho un fidanzato”, annaspai, mentendo sul piccolo
dettaglio ancora non concluso che costituiva Christian.
Il suo volto si fece ancora più vicino al mio, ormai potevo
sentire il suo respiro.
“Meglio così allora.”
In quel momento il mio cuore perse un battito. Deglutii
per cercare di riacquistare lucidità.
“Noi…”, iniziai seppur contro la mia volontà per
allentare l’ormai palpabile tensione.
Non mi diede neppure il tempo di continuare il mio buono
proposito che mi mise a tacere con un favoloso, appassionato, dolce bacio.
Christian. Il suo volto mi balenò in testa e mi sentii
profondamente in colpa per quello che stavo facendo, seppur mi sentivo
completamente attratta da Guido.
“No… non posso… non ora. E poi non voglio neppure darti
la soddisfazione di baciarmi ad una sottospecie di primo appuntamento, anche se
forse avrei dovuto pensarci prima.”, mormorai insicura allontanandomi dalle sue
labbra.
Indietreggiai di qualche passo e provai a sorridere, per
smorzare la tensione e l’imbarazzo che si era appena creato.
“Allora, quante ragazze hai portato qui per baciarle?”,
gli chiesi, sedendomi a gambe incrociate a qualche passo dalla sua moto.
Lui mi guardò sbigottito, poi fece qualche passo nella
mia direzione e si accovacciò sull’asfalto di fronte a me. Mi sorrise beffardo
ed iniziò a parlare, raccontandomi di lui, della sua vita e per me fu come
averlo conosciuto da sempre.
18 dicembre 2011
Luca parcheggiò l’auto nel posto macchina che ci era
stato assegnato nel cortile del palazzo, a poche metri dall’entrata principale.
Scesi dalla macchina, ancora con il sorriso soddisfatto e compiaciuto stampato
in faccia da tifosa sfegatata quale ero e mi avviai verso l’ingresso. Luca
aveva appena vinto un’altra partita di calcio, tuttavia questa volta non aveva
segnato alcun goal, ma non era questo a preoccuparmi. Seppure i suoi compagni
avessero provato a rianimarlo in tutti i modi possibili ed immaginabili per
poter mettere in atto un perfetto gioco di squadra, il suo sguardo, alla
continua ricerca di qualcosa, o forse qualcuno, era rimasto completamente,
totalmente spento, sintomo del suo umore tetro. Solo quando arrivai nei pressi
delle scale situate nell’atrio, notai la presenza di Chris, appollaiato su dei
gradini. Accelerai, non volendo ancora parlare con lui. Lui si alzò di scatto e
mi afferrò per il polso, costringendomi a voltarmi. Lo guardai bene. Aveva
l’aria trasandata di chi ha dormito poco e male.
“Adesso te la fai con gli amichetti di tuo fratello?”, mi
chiese in tono accusatorio, riferendosi palesemente a Guido.
Negli ultimi giorni ci eravamo visti assiduamente ed
eravamo anche usciti spesso, ragion per cui non mi fu difficile immaginare che
ci avesse visti.
“Non credo siano affari che ti riguardano.”, obiettai
stizzita ed innervosita dal suo atteggiamento.
“Sbaglio o io e te ancora non ci siamo lasciati?”, mi
chiese in tono retorico.
“Cosa vuoi da me, Chris?”, domandai nel tentativo di centrare
subito il bersaglio della conversazione.
“Mettiamoci una pietra sopra, sono disposto a dimenticare.”,
propose accennando ad un mezzo sorriso.
Sospirai svincolandomi dalla sua presa.
“Io no.”, confessai in un sussurro. “Chris, mi dispiace…”
iniziai, ma lui mi interruppe.
“Cosa? Cosa ti dispiace? Che lui abbia una moto e io no?
Che lui giochi a fare il misterioso mentre di me sai tutto? Che lui abbia i
capelli scompigliati e l’aria da cattivo ragazzo? Cosa? Voglio sapere cosa! È
la trasgressione che ti attira?? Dimmi cosa diamine!”, urlò gesticolando
freneticamente.
Luca, che fino ad allora era rimasto fuori per lasciarci
parlare in tranquillità, si parò davanti a me, forse spaventato dal tono di
voce di Chris. Lo scansai, certa che non mi avrebbe mai potuta fare del male e
certa anche del fatto che non volessi intermediari.
“No Chris, mi dispiace non poter più ricambiare questo
sentimento e no, non cerco trasgressione, solo amore che sia capace di
stravolgermi e di rassicurarmi al contempo.”, spiegai con calma, cercano di non
ferirlo ulteriormente.
“Il mio non era abbastanza?”, chiese stringendo la mano
destra in un pugno.
“Chris…”, accennai.
“Smettila di ripetere il mio nome e rispondi!”, mi intimò
alzando la voce.
“Non più.”, confessai, poi abbassai il capo, dispiaciuta.
“Quindi è finita? E non provare a dire che ti dispiace…”,
mi chiese in un sussurro.
“Sì, è finita.”, sospirai guardandolo dritto negli occhi.
21 dicembre 2011
“Scopa!”, esclamai trionfante ritirando le carte dal
tavolo con un sorriso vittorioso stampato in faccia.
Aria sbuffò, rassegnata, mentre Noemi esultò per il punto
appena conquistato. Cami semplicemente sorrise, troppo intenta a lasciarsi
distrarre da Marco.
Quello era l’ultimo giorno di scuola prima delle
festività natalizia, quindi seppur la presenza fosse obbligatoria, le lezioni
erano state sospese previa autorizzazione del preside per svolgere l’assemblea
d’istituto, ciò equivaleva a dire torneo clandestino di scopa.
Terminammo la nona partita della giornata pochi minuti
dopo, conquistando un’altra favolosa vittoria. Decidemmo di mettere via le
carte, ormai stufe di quel gioco.
Noemi si allontanò alla ricerca di un certo Roberto,
ragazzo con il quale aveva cominciato ad uscire da qualche giorno. Cam e Marco
decisero, invece, di fare un giro in cortile.
“Ehi!”, mi salutò Guido lasciandomi un bacio sull’angolo
delle labbra.
Sorrisi. Aria, in evidente imbarazzo, decise di tagliare
la corda, adducendo una non assolutamente valida scusa.
“Allora, sei brava a scopa?”, mi chiese con un sorriso
beffardo e uno sguardo malizioso, mentre prendeva posto sulla sedia di fronte
alla mia, ma con il busto rivolto verso lo schienale e posò su questo gli
avambracci.
“Ma bravo, potremmo eleggerti re dei doppi sensi.”,
scherzai.
Incrociai il suo sguardo, improvvisamente fattosi serio e
mi ricomposi.
Si passò una mano tra i capelli, come pensieroso, poi
prese un bel respiro.
“Non sono bravo in queste cose…”, iniziò.
Lo squadrai. Con il piede destro tamburellava con cadenza
costante sul pallido pavimento dell’aula. Le sue mani fluttuavano nell’aria,
come se volessero aiutarlo ad esprimersi. Sulla sua fronte si era disegnata une
leggera piega, mentre i suoi occhi erano puntati nei miei. Sorrisi: non avevo
bisogno che continuasse con quella tortura.
“Sai, credo che tu sia il peggior pilota di moto, il
peggior vicino di casa oltre che il peggior approfittatore, il peggior finto
cattivo ragazzo e l’ultima persona a cui chiederei mai del sale, ma contro ogni
logica tu mi piaci. Quindi credo che
potremmo frequentarci, insomma, conoscerci meglio, provarci, io e te insieme.
Tutto qui.”, confessai facendo spallucce.
Lui sorrise, sollevato.
“Non posso crederci, hai fatto tutto tu.”, disse con un
ghigno beffardo avvicinandosi al mio viso, ormai solo a poche spanne da me.
“Si, bene, bene, ma io direi di procedere con calma.”,
puntualizzai retrocedendo di qualche centimetro.
Mi guardò con un ghigno dipinto sulle labbra.
“Hai intenzione di andarci davvero per le lunghe?”, mi
chiese con tono malizioso.
“Credo che per oggi potremmo fare un’eccezione.”, mi
lasciai scappare, assuefatta dal suo sguardo, dal suo odore, da lui.
Lui mi guardò ancora per un istante, poi mi lasciò un
leggero bacio a stampo sulle labbra.
Rimasi completamente sorpresa dal gesto inaspettato.
Strizzai gli occhi, mentre lo vedevo crogiolarsi in una
soddisfatta risata: mi stava provocando.
Forse avremmo potuto anche accelerare un po’ i tempi,
pensai, prima di convincermene ciecamente.
“Bene, credo che ora tu possa baciarmi seriamente.”, lo
informai con finto tono saccente, mettendo fine alle mie riflessioni.
“Ma non dovevamo procedere con calma?”, mi chiese
facendomi l’imitazione.
“Stiamo procedendo con calma! Sono già passati sette
minuti!”, dissi indicando l’orologio.
Lui sorrise.
“Mettiamo subito le cose in chiaro: non mi farò mettere i
piedi in testa da te.”, dichiarò prima i colmare del tutto le distanze con un
vero bacio.
“Vedremo.”, mormorai tra un bacio e l’altro.
“Vedremo.”, ripeté lui sulle mie labbra.
---
Angolo Autrice
Salve a tutti! Che dire, ormai samo agli sgoccioli, manca davvero poco alla fne...
spero che il capitolo sia di vostro gradimento! Presto posterò
anche dei missing moments, giusto per non far mancare nulla!
ringrazo tutti coloro che silenzosamente continuano a seguire e leggere la storia, a presto.
Astrea_
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Capitolo 11 *** Change of plans ***
Cap 11
WALL
-What A Lovely Life-
Capitolo 11: Change of plans
NOEMI’s pov
25 dicembre 2011
Natale.
Mi lasciai cadere di peso sul divano, non curandomi dei
numerosi parenti che erano accorsi per il pranzo a casa. I miei genitori avevano iniziato i preparativi
due giorni prima e nonostante ciò non avevano fatto altro che cucinare per
tutta la mattina, insieme.
Voltai lo sguardo
sul resto della famiglia ora riunita in soggiorno per la tradizionale apertura
dei regali.
Mia zia, sorridente e radiosa, era stretta dalle braccia
salde e forti di mio zio. La nonna, invece, stringeva teneramente la mano del
nonno, seduto al suo fianco. Il fratello di mia madre aveva appoggiato il
braccio sinistro sul cammino, mentre con il destro circondava le spalle della
moglie. Persino mio cugino si era presentato con la fidanzata ed ora sedevano
felicemente abbracciati sulla poltrona.
Pensai a Fabio e a come sarebbe stato averlo lì in quel
momento, poi spontaneamente sorrisi.
Sarebbe piaciuto a tutti, ai miei genitori, ai miei
nonni, ai miei zii, ai miei cugini ma soprattutto a me.
Scossi lievemente il capo e mi concentrai sull’apertura
dei regali. Ad iniziare fu Margherita, la mia cuginetta di soli quattro anni,
poi mano a mano tutti scartammo i pacchetti.
Invidiai le facce serene e piene d’amore dei miei
genitori e per un attimo provai ad immaginare la mia vita tra vent’anni.
Dapprima non vidi nulla, poi l’immagine di Fabio mi balzò
nuovamente. Sbattei le palpebre frettolosamente.
Dovevo assolutamente dimenticarlo.
Nel tardo pomeriggio Aria, Cam e Ali vennero a casa mia, per
passare insieme la serata di Natale e per poterci finalmente scambiare i regali
che avevamo comprato con settimane d’anticipo e meditata ricerca.
“È favoloso!”, esclamai aprendo l’ultimo pacchetto.
“Sì, lo so, è il mio regalo!”, commentò Aria, facendo
spallucce e celando un sorriso.
“Bene, ora che ne dite di mangiare qualcosa?”, propose
Cam, agitando la mano all’altezza dello stomaco.
“Sandwich o creapes?”, chiesi.
“Io direi entrambi, la serata è lunga e la fame è
molta!”, sghignazzò Ali.
Sorrisi e mi recai in cucina, pochi minuti dopo ero già
in camera con due vassoi pieni della nostra cena.
“Allora, come va con Marco?”, chiese Aria con un ampio
sorriso sulle labbra.
“È fantastico, premuroso, gentile, dolce, romantico,
affettuoso… Perfetto!”, concluse Cami con gli occhi sognanti.
“Attenta alle carie! Con tutta questo zucchero sfido
chiunque a non preoccuparsene!”, scherzò Aria, di certo la più fredda di noi.
“Ali, invece a te come va con il supersexy vicino di
casa?”, spostando l’attenzione su quest’ultima.
“Boh, bene direi… anzi no, direi che è semplicemente
tutto ciò che avevo sempre voluto, la metà che completa ed il bello è che non
c’è mai da annoiarsi!”, trillò entusiasta.
“A quanto pare anche la nostra Mimi non si annoia mai!”,
commentò Cam come se mi stesse rimproverando, ma forse era quello lo scopo,
alludendo celatamente alle mie relazioni sentimentali.
“Ti riferisci a Roberto o a Giovanni?”, aggiunse Aria
rincarando la dose, ma il suo tono era ben diverso, quasi scherzoso.
Abbassai lo sguardo non sapendo cosa dire, poi presi un
respiro profondo e confessai ciò che da settimane provavo a dire ed ammettere
senza risultati.
“Devo dimenticare una persona di cui credo di essermi
innamorata.”, sussurrai con il volto calato verso il basso.
“Non sarebbe più facile viverlo, questo amore?”, mi
chiese Ali poggiandomi una mano sulla spalla.
“Ho troppa paura per farlo.”
29 dicembre 2011
La festa di compleanno di Camilla era sempre stata la
giusta occasione per incontrare gli amici nel periodo di vacanza, del resto il
29 dicembre era perfettamente interposto tra il Natale e il Capodanno.
Sorrisi, constatando una moltitudine di persone che
invadeva la sala.
Cam abitava in una villetta in posizione abbastanza
centrale, più piccola di quella di Aria, ma di certo molto più facile da
raggiungere. La casa disponeva di una specie di seminterrato lasciato quasi
sempre inutilizzato, eccezion fatta per le feste.
Un altro numeroso gruppo fece il suo ingresso scendendo
dalle scalette.
Suo cugino, Davide, si divertiva a fare il dj, scegliendo
i pezzi che gli altri già ballavano al centro della stanza, con le luci
soffuse.
Notai Cam, la festeggiata, ballare con Marco. Poco
distanti da loro Ali e Guido giocavano appassionatamente con il biliardino.
Mi avvicinai ad Arianna, la quale, seduta vicino al
buffet, stava bevendo del succo d’arancia rossa.
“Siamo rimaste solo io e te.”, sospirai sedendomi accanto
a lei.
Aria mi sorrise comprensiva.
“Dev’essere strano per te.”, commentò.
Si, era davvero molto strano ed era ancore più strano il
fatto che non volessi assolutamente andare a ballare per conoscere altri
ragazzi.
“Ciao Noemi, sei uno schianto stasera!”, mi salutò Luca,
il fratello di Ali, avvicinandosi.
Notai lo sguardo di Aria farsi immediatamente più duro e
rigido.
“Ciao mostriciattolo!”, esclamò poi rivolgendosi a lei.
Fece un breve sorriso forzato e arricciò il naso.
“Possibile che tu non abbia nulla di meglio da fare che
venire qui? Dove sono tutte le ragazza che ti scopi?”, lo provocò Arianna con
tono tagliente e studiatamente disgustato.
Luca, oltre che fratello di una delle mie migliori
amiche, era molto apprezzato, se così si può dire, dalla popolazione femminile
della scuola. Nei primi anni aveva preferito non far caso all’ascendente che
esercitava su molte ragazze, dimostrandosi sempre piuttosto gentile, eccezion
fatta per il caso Arianna. Crescendo invece, era diventato molto più
menefreghista e ciò aveva contribuito enormemente a creare intorno a lui il
mito del “bello e dannato”, o peggio ancora dello “stronzo al quale nessuna sa
dire no”. A tutto ciò andava aggiunta un’aria da bravo ragazzo, un bellissimo
sorriso beffardo, uno sguardo malizioso e seducente, la maglietta da capitano
della squadra di calcio, una favolosa moto e un carattere molto complicato.
“Avevano da fare, così ho pensato che potresti
sostituirle tu.”, rispose calmo con un sorriso smagliante dipinto sulle labbra.
Aria lo guardò con sguardo truce, senza degnarlo neppure
di una risposta.
“Balliamo?”, le chiese poco dopo con voce maliziosamente
seducente e impertinente.
“Credi che potrei mai accettare?”, replicò con aria di
sufficienza.
“Non c’è una sola persona al mondo oltre me con la quale
tu voglia ballare, qui e in questo momento. E poi, credi che io ti lascerei
ballare con qualcun altro? Sarebbe troppo facile così.”, controbatté.
Sorrisi: non mi ero mai accorta di quanto carini fossero
quei due insieme, seppur non facessero altro che punzecchiarsi. Alice,
dopotutto, sembrava proprio avere ragione.
“Non farti troppi problemi, non ballerò e basta.”,
concluse Aria stizzita.
“Allora ti farò compagnia qui.”, dichiarò sedendosi
accanto a lei.
Aria sbuffò, innervosita.
“Ok, basta! Andiamo a ballare!”, sbottò alzandosi di
colpo.
Luca sorrise soddisfatto, poi si spostarono verso il
centro della sala e fu proprio mentre seguivo Aria con lo sguardo che notai
Fabio.
Scattai sulla sedia, completamente sorpresa e spiazzata
dalla sua presenza.
Tornai a fissarlo e notai una tipa con i capelli nero
corvino liscissimi che gli si strusciava contro.
Fui colta da un inspiegabile moto d’ira, che si trasformò
in una profonda fitta al cuore quando li vidi baciarsi appassionatamente.
Deglutii, probabilmente lui ci aveva messo poco a
dimenticarmi o forse non aveva proprio nulla da dimenticare.
Una lacrima silenziosa e solitaria scese lungo il mio
volto, rigandolo.
Lo guardai per l’ultima volta e i nostri occhi si
incrociarono.
Lui rimase immobile per qualche secondo, mentre la mora
continuava a muoversi sinuosamente intorno a lui, poi io mi voltai,
interrompendo il breve contatto visivo.
Feci rotta verso le scale e iniziai a salire i primi
gradini, quando fui trattenuta per un polso. Di scatto mi girai: Fabio, con i
capelli biondi che gli ricadevano sulla fronte leggermente bagnati per il
sudore e gli occhi azzurri fissi nei miei, mi stava trattenendo.
“Dobbiamo parlare.”, mi disse con tono serio.
“I fatti parlano da se.”, controbattei cercando
inutilmente di svincolarmi.
“Sei tu quella che è scappata.”, mi fece notare lui.
“E tu quello che non ci ha messo molto a trovarne
un’altra.”, lo accusai,
“Non mi sembra che tu sia stata da meno, e poi lo sai
benissimo che non è lei che amo.”, si difese.
“Ma quella con la quale fai sesso.”, continuai al suo
posto.
“Credi quello che vuoi Mi. Fino a quando non riuscirai ad
accettare quello che provi tutto sarà inutile, persino tentare di farti
ingelosire.”, commentò lasciando la presa.
Poi si voltò e senza aggiungere altro andò via.
1 gennaio 2012
Mi guardai allo specchio per l’ultima volta e presi un
profondo respiro.
Sorrisi lievemente poi uscii di casa. Presi il mio
motorino e mi immersi nelle strade poco trafficate di quella domenica
pomeriggio.
Quella mattina, la mattina di Capodanno, ero giunta ad
una nuova importante consapevolezza: non avrei più potuto fare a meno di Fabio.
Non sapevo dire se lo amavo davvero o se mi piaceva soltanto, non ero brava con
emozioni e sentimenti. Ma avevo l’assoluta certezza del fatto che volessi
trascorrere con lui ogni attimo della mia vita d’ora in poi, così l’avevo
chiamato per pregarlo di incontrarci il prima possibile ed ora mi stavo recando
al parco proprio per vederlo.
Parcheggiai il mezzo poco distante dal laghetto del
parco, poi mi avvicinai al luogo dove ci eravamo dati appuntamento: il
chioschetto che ora era rigorosamente chiuso.
Mi sedetti sul muretto lì accanto ed iniziai ad
aspettare, giocherellando nervosamente con le mani.
“Ciao.”, mi salutò Fabio con un cenno della mano, senza
alcun sorriso sulle labbra.
Deglutii, l’inizio non era certo dei migliori.
“Ciao.”, ricambiai.
Lui si sedette accanto a me, mantenendo però una certa
distanza.
“Allora, cosa volevi dirmi?”, mi chiese.
“Volevo dirti che avevi ragione.”, dissi tutto d’un
fiato, imbarazzata dal discorso che stavamo per fare.
“Su cosa? Sul fatto che dobbiamo parlare o su quello che
non vuoi ammettere ciò che provi?”, mi chiese quasi sarcasticamente.
“Entrambi.”, sussurrai con un filo di voce.
“Bene, facciamo passi in avanti.”, commentò ironico.
“Fabio, così non sei d’aiuto.”, mi lamentai mordendomi le
labbra.
“Non era mia intenzione esserlo.”, mi fece notare con
voce fredda e atona.
Sbuffai, completamente innervosita dal suo comportamento.
“Sai perché ti ho fatto venire qui?”, iniziai alzando la
voce.
Non gli diedi neppure il tempo di rispondere che ripresi
a parlare.
“Ti ho fatto venire qui perché finalmente avevo trovato
il coraggio di dirti ciò che provo e non volevo aspettare un solo attimo per
farlo. Sai, quando stai per far cambiare la tua vita in meglio, non vedi l’ora
che accada, quindi mi sono detta: perché non farlo subito? E ti ho chiamato. Ti
ho chiamato per dirti che sono stata una stupida a scappare. Sono stata una
stupida perché avevo paura. Non mi ero mai innamorata prima, le mie relazioni
erano come un gioco, non ne rimanevo mai sentimentalmente coinvolta. Ma con te
è stato tutto diverso, fin da quando ti ho visto per la prima volta. Mi
sembravo una di quelle ragazzine che tanto prendevo in giro perché innamorate.
E sono arrivata a immaginare una vita insieme a te ed è stato a quel punto che
ho capito veramente quanto la mia vita si stesse legando alla tua, quanto poca
autonomia da te mi rimaneva. Non ce l’ho fatta. Pensavo che non vedendoti più,
non sentendoti ti avrei dimenticato, ma mi sbagliavo anche su questo. La
lontananza non ha fatto altro che farmi capire quanto tu fossi importante per
me. Poi ti ho visto a quella festa con lei e l’avrei voluta uccidere per quanto
ne ero gelosa.
Dapprima non volevo ammetterlo a me stessa, ma ieri sera…
ieri sera ho pensato all’anno che era appena trascorso. Indovina un po’ quali
erano i miei ricordi più belli? Non riuscivo a non ricordare quando
incidentalmente mi hai tirato quella pallonata in testa, o quando hai scoperto
il mio nome nel corridoio della scuola, quando uscivamo, quando parlavamo e ho
capito che non ne avrei voluto più fare a meno.”, dissi fermandomi per
riprendere fiato.
All’inizio il mio tono di voce era quasi isterico, ma
andando avanti ero riuscita a modularlo meglio, fino a giungere ad averne uno
degno di una conversazione civile. I miei occhi luccicavano, li sentivo
pizzicare, ma mi imponevo mentalmente di non piangere.
Guardai Fabio. Aveva lo sguardo fisso sull’erba, i gomiti
poggiati sulle cosce e le mani intrecciate con le quali giocava distrattamente.
“Probabilmente a te adesso non interesserà più nulla di
tutto ciò, ma dovevo dirtelo. Sentivo il bisogno di dirti che… che si, mi sono
innamorata, mi sono innamorata di te.”, conclusi con un mezzo sorriso.
Fabio non disse nulla. Rimase immobile nella stessa
posizione in cui era prima, come se il discorso non lo riguardasse minimamente.
Sentii una
dolorosa fitta allo stomaco. Chiusi gli occhi per un istante, poi deglutii,
pronta a congedarmi, ma fui bloccata dal suono della sua voce.
“Questa
volta sono io che ho bisogno di tempo. Non voglio essere il tuo burattino, non
voglio che sia tu a decidere per entrambi come hai già fatto una volta.
Potevamo provarci insieme, a capire come sarebbe potuta andare tra di noi, ma
tu sei scappata e hai deciso di non volermi più vedere e poi oggi vieni qui e
mi dici che sei innamorata di me. Ancora una volta hai fatto tutto tu. Mi
dispiace, ma non ce la faccio, non ora almeno.”, disse con un’espressione
rammaricata dipinta sul volto.
Lo guardai
ancora un istante negli occhi poi annuii, mentre percepivo il mio cuore sgretolarsi
lentamente nel petto. Mi imposi di non piangere, non volevo che mi vedesse così
debole.
“Allora
adesso vado.”, dissi alzandomi con fare impacciato, ma soprattutto imbarazzato.
“Ci vediamo
a scuola.”, ricambiò con un cenno della mano, poi corsi via il più velocemente
possibile.
---
Angolo Autrice
Ed
eccoci giunti al penultimo capitolo, anche se ho intenzione di
aggiungere un breve epilogo, ma per il momento è solo un'idea.
Lo so, lo so, lieti fine e finali aperti... ma che volete farci, sono una romanticona, non ci riesco proprio ad evitarlo!
Comunque, ancora grazie a chi ha ancora la pazienza di leggere, a presto,
Astrea_
|
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Capitolo 12 *** Sorry ***
Cap 12
WALL
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Capitolo 12: Sorry
ARIANNA’s pov
9 gennaio 2012
Il suono della campanella che segnava l’inizio delle
lezioni di quel nuovo anno mi ridestò dal flusso dei miei pensieri.
Alzai gli occhi al cielo, come rassegnata dall’imminente
ingresso in aula per la prima lezione del nuovo anno.
Il rientro era sempre stata la parte più traumatica delle
vacanze e, come volevasi dimostrare, quella mattina tutti gli studenti
camminavano lenti e apatici, con le mani davanti alla bocca per mascherare
l’ondata senza fine di sbadigli che testimoniavano le poche ore di sonno di cui
avevano potuto godere quella mattina.
Le mie amiche, tutte ormai fidanzate stabilmente, stavano
sparpagliate nel cortile della scuola, ognuna avvinghiata al proprio ragazzo.
Sorrisi, mentre distrattamente parlavo con i miei
compagni di classe, poi decidemmo di avviarci verso l’aula, onde evitare di ricevere
un rapporto per il ritardo dall’odiosissimo professore di latino che non
avrebbe esitato un attimo ad approfittare della situazione per spedirci seduta
stante dal preside. Una canaglia? No, peggio.
Presi posto nel mio banco, aspettando l’arrivo di Alice,
la quale però sembrava non arrivare.
Il professore entrò in classe già con indosso gli
occhiali da vista, salutando con un cordiale ma distaccato buongiorno. Cattivo,
cattivissimo segno.
Poggiò la cartella di pelle sulla cattedra, poi si tolse
il pesante cappotto, appendendolo.
Aprì il registro ed iniziò a fare l’appello.
“Coldare?”, chiamò senza ricevere alcuna risposta.
“Bene bene, qualcuno sa spiegarmi che fine ha fatto la
vostra compagna?”, chiese con sguardo truce e tono sadicamente soddisfatto.
“Professore… ecco, lei…”, iniziai cercando di trovare una
qualsiasi plausibile scusa.
Il professore mi squadrò con occhi intimidatori e un
sorriso beffardo appena accennato sul volto, mentre giocherellava con gli
occhiali che aveva appena tolto dal viso.
“Ecco professore, stamattina lei è venuta in classe, ma
poi si è ricordata di aver prestato il libro di latino a suo fratello per una
ripetizione in vista di un compito, così è andata da lui per farselo
restituire.”, buttai lì, cercando di sembrare sincera e ingenua.
“Donfalli mi stai prendendo in giro?”, mi chiese con fare
inquisitore, studiando ogni mia più piccola reazione o movimento, in modo da
poter carpire informazioni.
“Non mi permetterei mai.”, risposi con quanta più calma
potessi.
Mi osservò per l’ultima volta, poi accennò ad un piccolo
sorriso e continuò l’appello.
Tirai un sospiro di sollievo e sperai che Alice arrivasse
immediatamente.
“Bene, prendete i libri.”, annunciò rimettendo gli
occhiali sul naso.
Proprio in quel momento si spalancò la porta: Alice.
“Buongiorno professore! Mi scusi per il ritardo!”, disse
immediatamente.
Fece qualche passo verso la cattedra, chiudendo la porta
alle sue spalle.
“E cos’è che ha avuto di così importante da fare per
arrivare ben dieci minuti dopo l’inizio della lezione?”,gli chiese con sguardo
palesemente divertito.
Stronzo.
Iniziai a fare segni ad Alice, sbracciandomi, così come i
miei compagni, nel tentativo di farle capire ciò che avrebbe dovuto rispondere.
Le indicai lo zaino aperto e con le dita segnalai la classe di suo fratello.
Lei mi guardò confusa, di certo non aveva capito nulla di
tutto quello che silenziosamente stavo cercando di comunicarle.
Il professore seguì lo sguardo di Ali, finendo per posare
i suoi occhi su di me.
Mi bloccai all’istante e piegai le labbra in un sorriso
forzato.
Anche lui sorrise, poi si girò nuovamente verso Alice.
“Allora Coldare, vuoi rispondere o hai bisogno del
suggerimento della Donfalli?”, la punzecchiò.
“Si, ecco… Credo proprio che mio fratello abbia
dimenticato lo zaino a casa, così siamo dovuti tornare indietro a prenderlo.”,
disse, per poi voltarsi verso di me con sguardo interrogativo.
Chiusi gli occhi, arricciandoli.
“Cara Donfalli ti sei appena guadagnata un pass diretto
per l’interrogazione, adesso!”, esordì il professore guardandomi dritta negli
occhi con aria di sfida.
Nessuno osò controbattere.
Ali mi guardò dispiaciuta, mimando con le labbra uno
scusa, poi fece rotta verso il banco.
“E tu, Coldare, non credere di essertela cavata così! Vai
immediatamente dal preside!”, ordinò.
Ali non se lo fece ripetere due volte e uscì dall’aula,
mentre io mi preparai per il patibolo.
Mezz’ora dopo tornai al mio posto con un cinque appena
conquistato e un umore decisamente pessimo.
Quell’infame aveva provato in tutti i modi a mettermi in
difficoltà ed ovviamente non era stato difficile per lui raggiungere il suo
obiettivo, visto che l’ultima volta che avevo aperto un libro di latino era
stata letteralmente l’anno scorso.
Sbuffai: che inizio anno!
Le restanti due ore che ci separavano dalla ricreazione
passarono tranquille, parlando di come avevamo trascorso le vacanze natalizie.
Durante l’intervallo quasi tutta la classe scese giù in
cortile, i pochi restanti, invece, si catapultarono ai distributori del secondo
piano.
Io rimasi in classe. Mi avvicinai alla finestra e cercai
con lo sguardo le mie amiche, ovviamente con i propri ragazzi.
Sorrisi, finalmente erano felici. Cami aveva trovato
quell’amore che tanto aveva aspettato, Ali aveva trovato quello pazzo e
divertente che aveva provato a vivere con Chris, senza risultati, mentre Noemi
semplicemente aveva capito come non si potesse vivere senza.
Senza neppure rendermene conto il mio sguardo si posò su
Luca.
Era con una ragazza, seduto sulla sua moto mentre lei
provava in ogni modo ad avere un contatto più ravvicinato con lui.
Mi sorprese la sua ritorsione, palesemente non
interessato a quella spilungona con un seno prorompente che non poteva certo
non interessargli fisicamente.
Ebbi uno strano sussulto seguito da una specie di fitta
allo stomaco, ma preferii non farci caso, probabilmente era solo colpa della
fame.
I miei occhi si
posarono nuovamente su di lui e per un attimo mi sentii come quelle stupide
ragazzine che nascoste dietro una finestra spiano il ragazzo di cui sono
segretamente innamorate.
Mi rimproverai mentalmente per il pensiero che avevo
appena formulato. Non potevo essere innamorata di lui. Il perché? Semplice, era
l’odioso fratello maggiore della mia migliore amica, nonché capitano della
squadra di calcio e il bello e bastardo della scuola che mi aveva illuso per
più di una volta con dei baci che poi si erano rivelati insignificanti, almeno
per lui. E se questo non era abbastanza, come motivazione valida avrei anche
potuto aggiungere il fatto che… che era tremendamente affascinante, sexy,
provocante, non me la dava mai vinta e mi rispondeva a tono, sapeva esattamente
come prendermi e quando era il momento di smettere, perché era proprio allora
che lui iniziava e…. si, mi piaceva.
Scossi la testa: l’interrogazione di latino doveva avermi
davvero sconvolta.
15 gennaio 2012
Uscimmo
soddisfatte dal negozio, con in mano numerosi sacchetti contenenti gli
ultimissimi acquisti. Avevamo predestinato quella domenica a giornata di
shopping nel centro commerciale della città.
“Quel vestitino nero che hai comprato è davvero
favoloso!”, commentò Mimi, rivolgendosi a Cami.
“Si, lo so.”, disse con un ampio sorriso. “Credo che lo
metterò alla prossima uscita con Marco.”, aggiunse poco dopo con gli occhi
sognanti.
“Ragazze!”, esclamò Alice con aria sconvolta, allargando
le braccia e fermandosi all’improvviso.
La guardammo perplesse, mentre ci chiudevamo a cerchio in
attesa che continuasse.
“Non potete capire cos’è successo.”, aggiunse,
incuriosendoci.
“Dai, dicci! Cosa ha fatto Guido questa volta?”, la incitai.
“Ma no, non si tratta di Guido!”, spiegò.
“Si tratta di Luca!”, annunciò con un sorriso smagliante
stampato sul viso.
Feci roteare gli occhi, di certo avrei preferito non
venire a conoscenza di tutto ciò che faceva, non avrebbe fatto altro che farmi
sentire peggio.
“Ali, è tuo fratello, non un idolo mondiale!”, le fece
notare Cami, dopo avermi lanciato un veloce sguardo.
“Cam, lasciami parlare!”, la rimproverò Ali, non avendo
recepito il messaggio.
“Sapete che giorno era ieri?”, chiese poi in estasi.
“Stai cominciando a diventare irritate.”, le feci notare.
“E va bene! Siete proprio delle guastafeste! Ieri sera,
sabato sera sottolineo, mio fratello è uscito con il suo gruppo di amici, tra i
quali c’è anche Guido. Quindi ci siamo incontrati in un locale e non potete
capire quello che ho visto.”, trillò.
“Non credo ci sia bisogno di procedere nel racconto delle
prodezze sessuali di tuo fratello.”, la rimproverò
Mimi.
“Ed è qui che vi sbagliate.”, borbottò. “Non ha fatto altro
che starsene seduto in un angolino per tutta la sera a bere. E quando ho
chiesto a Guido cosa gli fosse successo, sapete cosa mi ha risposto?”, chiese
in modo retorico.
“Che gli ha raccontato di aver baciato una tipa qualche notte
fa e che questa tipa, di cui non ha voluto svelare l’identità, non riesce
proprio a togliersela dalla testa, nonostante ci abbia inutilmente provato con
due o tre ragazze. Considera che ieri sera persino quella sgualdrinella della
Giordano di 5C ci ha provato con lui. Ma Luca non se l’è proprio filata!”,
raccontò con un ghigno di soddisfazione.
“Aria, questa è la volta buona!”, aggiunse subito dopo.
“No Ali, non lo è. Perché lui mi bacerà un’altra volta,
io lo lascerò fare ed il giorno dopo lo ritroverò già tra le braccia di
un’altra. Sappiamo entrambe come andrà a finire.”, commentai con lo sguardo
basso, mentre sentivo gli occhi pizzicarmi per le lacrime che volevano uscire,
ma che prontamente ritrassi.
“Non puoi dire così! Il problema è che tra di voi si è instaurato
un rapporto di amore-odio! Probabilmente lui non saprà come comportarsi, avrà
paura di essere respinto… è una situazione strana!”, mi rincuorò Cami.
“Dai Aria, facciamo così: ora pensiamo a fare shopping,
ai problemi ci pensiamo poi!”, esclamò Mimi, nel tentativo di alleggerire
l’atmosfera.
“E poi ho appena visto un vestito verde che scommetto
farebbe impazzire Luca e tutti i ragazzi solo guardandoti con quello indosso!”,
esclamò, prima di trascinarmi con entusiasmo in un negozio.
“E fammi un bel sorriso, dai!”, mi incitò ancora Mi,
prima di riprendere la seduta mensile di shopping.
19 gennaio 2012
Avrei potuto continuare a mentire agli altri, agli amici,
ai miei genitori, ai compagni e persino a lui, ma non a me stessa. Avevo
provato in tutti i modi possibili ed immaginabili a screditare quel nascente
pensiero che si era ormai insediato nella mia mente, senza giungere ad alcun
risultato. Nonostante ne fossi diventata consapevole, non significava che
l’avessi completamente accettato. In realtà si trattava di una specie di
convivenza obbligata, alla quale non potevo sottrarmi, ma della quale non ero
neppure fiera. Ovviamente avevo evitato di comunicare queste riflessioni alle
mie amiche e non perché non mi fidassi di loro o me ne vergognassi, bensì non
riuscivo a cogliere quali sarebbero potuti essere gli eventuali vantaggi di
tale dichiarazione. Così avevo preferito seppellire questo sentimento nel mio
cuore, sapendo che comunque non sarebbe bastato ignorarlo per dimenticarlo. Ero
profondamente, completamente innamorata di Luca Coldare e ciò era davvero un
enorme, colossale, abissale, catastrofico problema.
La cosa più buffa era che per capirlo mi era bastato
guardalo negli occhi, quel mercoledì sera a casa di Alice quando per caso avevo
incrociato il suo sguardo. Lui era seduto sul divano del salotto, io vicino lo
stipite della porta aspettavo Alice che era ancora in camera sua alla ricerca
della borsetta giusta da portare con sé. Lui si era voltato verso di me.
Indossava i pantaloni blu della tuta della squadra di calcio e una felpa
grigia. Mi aveva osservata per qualche minuto, poi mi aveva salutata. Io,
imbambolata davanti a lui, avevo ricambiato il suo saluto, imbarazzata dal
fatto che fossimo soli.
I suoi occhi, così teneri e dolci, il suo viso, calmo e
tranquillo, il suo piccolo sorriso appena accennato mi erano sembrati così veri
e sinceri che in quell’istante avrei voluto fiondarmi tra le sue braccia e
abbracciarlo, mentre tutto ciò che riuscii a dire fu un semplice: “Divertiti ad
annoiarti stasera.”. Ovviamente lui aveva risposto a tono, mettendo su il suo
classico ghigno beffardo mozzafiato e continuammo così fino a quando Alice non
fu letteralmente costretta a trascinarmi fuori di casa.
Scossi lievemente la testa, liberandomi da quei ricordi,
ma soprattutto preparandomi a ciò che mi attendeva.
Quella sera, infatti, ci sarebbe stata la prima di una
lunga serie di diciotto anni. Il festeggiato, un mio compagno di classe di nome
Alberto, ci aveva tutti invitati a casa sua, una villetta piuttosto grande
situata nei pressi della mia. Tutto il salone era completamente stato adibito a
sala da ballo, con tanto di dj e luci psichedeliche che illuminavano a tratti volti
a me conosciuti. Nell’altra stanza, invece, era stato posto un enorme buffet,
mentre il giardino era stato addobbato con fiocchi e palloncini.
Ovviamente Ali si era presentata alla festa con Guido e i
due avevano subito deciso di andare a ballare. Cami e Mimi, seppur fossero
state invitate perché buone conoscenti dello stesso invitato, avevano preferito
non venire.
Mi diressi immediatamente alla ricerca dei miei compagni
di classe e li trovai tutti in giardino a ballare sulle note delle canzoni che
provenivano dalla sala. Sorrisi e mi avvicinai a loro, pronta a divertirmi.
Era già tardi quando notai il suo sguardo fisso su di me
e in quel momento giurai di sentire il cuore perdere un battito. Da quando era
lì e perché mi guardava così spudoratamente?
Indossava una camicia azzurra, con i primi bottoni
studiatamente lasciati aperti, e una giacca, mentre i pantaloni gli fasciavano
perfettamente le gambe. Era appoggiato allo stipite della porta della vetrata
che dava sul giardino e teneva le braccia incrociate sul petto. I capelli gli
cadevano ribelli sulla fronte e le sue labbra erano piegate in un fantastico
sorriso sghembo. Dire che fosse bellissimo probabilmente era addirittura un
insulto.
Abbassai lo sguardo, imbarazzata e allo stesso intimorita
da quel contatto visivo che lui non accennava a voler interrompere. Mi voltai
in direzione di due mie amiche e presi a parlare con loro, cercando in quella
superficiale e banale conversazione una distrazione che tenesse lontana la mia
mente da lui: inutile dire che fu del tutto improduttivo.
Di sottecchi vidi una ragazza bionda avvicinarsi a lui:
Monica, la sorella del festeggiato, che per quanto potessi ricordare mi
sembrava essere una sua compagna di classe. Forse l’aveva invitato.
Una fitta al cuore si impadronì del mio petto: stavo
sbagliando tutto, non potevo permettermi di illudermi e soffrire per lui,
dovevo smetterla, ne ero consapevole. Ma nonostante ciò, non riuscii a
impedirmi uno sguardo furtivo in sua direzione.
Lei mi sembrò ammiccargli, ma dalla mia posizione non
potei verificare la reazione di Luca. Sperai con tutta me stessa che l’avesse
allontanata, ma sapevo bene che le possibilità che davvero fosse accaduto ciò
erano davvero poche, se non addirittura nulle. L’unica certezza che ebbi fu che
pochi istanti dopo lui non c’era più e con lui neppure la biondina. Sospirai e
tornai a ballare, non volevo assolutamente pensare, soprattutto se i pensieri
mi conducevano a lui. Mi stavo facendo del male con le mie stesse mani.
Quando finalmente decisi che era giunta l’ora di dar
sollievo alle mie gambe concedendomi una pausa dalle audaci danze, mi diressi
verso il buffet che era stato preparato nell’altra sala, intenzionata a bere
qualcosa.
Presi una delle tante bottiglie di alcolici e ne versai
il contenuto in un bicchiere. A prima vista mi sembrava essere vodka.
All’improvviso sentii due mani posarsi sui miei fianchi.
D’istinto mi girai, spaventata da quell’inaspettata vicinanza con una persona
di cui ancora non conoscevo l’identità, ma il contatto visivo con gli occhi di
Luca mi tranquillizzò all’istante, nonostante i nostri corpi quasi si
sfioravano. I suoi occhi erano fissi nei miei. Cercai di rimanere lucida e terminai
di bere, probabilmente la vodka non mi avrebbe fatto altro che bene. Aspettai
che lui dicesse qualcosa o che perlomeno mi spiegasse la ragione di quel gesto,
ma rimase in silenzio. Continuava a guardarmi, mentre la sua presa si
intensificava.
“Cosa c’è? Monica ti ha dato buca?”, lo schernii con tono
duro e acido, lasciando però che continuasse a cingermi i fianchi.
Luca non disse nulla e ciò mi irritò non poco.
“Cosa vuoi Luca?”, gli chiesi schietta, non volendo
permettergli di continuare a giocare in quel modo con me, nonostante non potevo
negare di gradire quel contatto.
“A dir il vero sono stato io a rifiutare il suo ardito
invito.”, disse con un sorriso disegnato sulle labbra.
“Ed è per questo che subito dopo siete spariti
entrambi?”, chiesi intrepida, senza neppure rifletterci.
Lui rise, poi mi guardò, ma questa volta il suo sguardo
era diverso. Se avessi dovuto utilizzare un solo aggettivo per descriverlo, in
quel momento avrei detto che quello sguardo era semplicemente dolce, ma
probabilmente la dolcezza era ciò che volevo vedere, non ciò che realmente era.
Non illuderti, continuavo a ripetermi nella mente.
“Non sarai mica gelosa!”, iniziò sornione, mentre le sue
dita giocherellavano con la stoffa del vestito che ricadeva sul mio fianco.
Non avrei resistito ancora a lungo, o forse avevo già
smesso di farlo. L’idea che mi balenò in testa era del tutto malsana e
sbagliata, ma, ovviamente, non me ne curai. Ed in quell’istante mi resi conto
che c’era riuscito un’altra volta, come quella notte in cornetteria: era
riuscito a farmi perdere il controllo. Tutta colpa sua.
Di getto presi la sua mano e percepii un brivido risalire
lungo la schiena. Lo trascinai con me verso le scale e mi incamminai verso il
piano superiore, poi entrai nel bagno e chiusi la porta alle mie spalle. Luca non
si oppose minimamente, il suo sguardo curioso e dubbioso era fermo su di me.
Provai imbarazzo, ma ormai era tardi per ripensarci.
Probabilmente le mie goti dovettero diventare rosse, perché lo vidi sorridere,
mentre con una mano mi accarezzava la guancia destra.
“Allora Donfalli, non mi avrai mica portato qui per fare
sesso?”, scherzò.
Lo guardai truce e ritrassi il viso, interrompendo il
contatto che lui aveva appena stabilito tra noi.
“Dobbiamo parlare.”, quasi sibilai nel dirlo.
Lui asserì con la testa e d’un tratto lo vidi farsi
serio.
“Così non va.”, iniziò lui in un sussurro.
Era
appoggiato al lavabo, mentre io, di fronte a lui, mi sedetti sul bordo della
vasca.
Per
qualche secondo calò il silenzio, poi lo vidi avanzare lentamente verso di me
ed abbassarsi alla mia altezza, così che potessimo guardarci negli occhi senza
alcun problema. Si sporse verso di me, ormai i nostri visi erano ad una spanna
di distanza e potevo sentire il suo alito sulla mia pelle.
“Baciami. Adesso. Devi essere tu a farlo.”,
sussurrò sulle mie labbra.
Sobbalzai
per l’improvvisa ed inaspettata vicinanza.
“Dammi un
motivo per fidarmi di te.”, gli dissi con tono duro e deciso.
“Non ne ho
neppure uno che sia razionalmente valido. Fallo e basta.”, rispose lui, pacato
e tranquillo, facendo spallucce.
“Non mi
basta.”, constatai. “Non mi basta più.”, replicai subito dopo.
Lui mi
fissò più intensamente, cercando una risposta alla mia tacita richiesta nei
miei occhi. Volevo che confessasse ciò che provava per me, volevo esserne
certa, volevo che mettesse le cose in chiaro una volta per tutte.
“Cinque
parole.”, mormorai ad un soffio dal suo viso, ormai troppo vicini.
Lo vidi
deglutire, poi puntò lo sguardo sul pavimento.
“Non
posso, non sono pronto per tutto questo. Tu mi piaci, ma…”, quasi balbettò
sulle prime parole.
La sua
voce mi colpì come un fulmine a ciel sereno. Lui non ricambiava i sentimenti,
per lui si trattava solo e soltanto di un’altra stupida storiella con una
stupida ragazzina.
Mi alzai
di scatto, come colpita da un flusso di corrente elettrica e lui insieme a me.
Accennai
ad un sorriso forzato, ma forse più deluso e amareggiato, poi tornai a
guardarlo.
“Va
bene.”, riuscii a dire trattenendo le lacrime, poi lo scansai avviandomi verso
la porta, ma fui bloccata dalla sua mano che forte afferrò il mio esile polso.
“Aspetta.”,
sussurrò, facendomi voltare, cosicché i nostri occhi tornassero a scrutarsi.
“Io…”,iniziò
senza successo, ma nel suo sguardo vidi accendersi un piccolo barlume di luce.
“Io…”, riprovò per la seconda volta.
Scosse
lievemente il capo, poi riprese a parlare, ma questa volta nei suoi occhi non
c’era alcuna luce.
“Mi
dispiace.”, sussurrò, liberandomi dalla sua presa.
“Vaffanculo
Luca. Addio.”, sibilai a denti stretti prima di aprire energicamente la porta e
poi sbatterla con forza alle mie spalle.
Corsi giù
per le scale, alla ricerca del cappotto, poi trovatolo, mi catapultai fuori
dalla villa e chiamai mio padre. Solo quando tornai a casa, nella mia stanza,
mi lasciai finalmente andare e piansi, piansi come non avevo mai pianto prima,
piansi per amore, per Luca.
---
Angolo Autrice
Finito, finito, finito! E sì, ci sarà un breve epilogo e quattro missing moments!
Spero
la storia vi sia piaciuta, era da tanto che ci lavoravo ma purtroppo ci
ho messo così tanto a concluderla che nel frattempo sono
cresciuta anch'io.
Comunque,
bando alle chiacchiere, volevo ringraziare tutti quelli che l'hanno
seguita e chi l'ha inserita tra i preferiti, ma per i saluti finali ci
risentiamo presto!
Astrea_
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Capitolo 13 *** Epilogo ***
Epilogo
WALL
-What A Lovely Life-
Epilogo. Il tempo passa e cura le
ferite.
Noemi
aveva finalmente capito cosa significasse amare una persona, l’aveva amata a
tal punto da non demordere al primo tentativo fallito.
Ci aveva riprovato,
Noemi, a far andare le cose per il verso giusto, ma questa volta aveva scelto
la strada che Fabio aveva utilizzato tempo prima con lei.
Non
sperava di riconquistarlo alla prima chiacchierata scambiata per i corridoi, ma
credeva che con il tempo anche lui sarebbe tornato da lei, cosi come aveva
fatto lei.
Lo
incontrava casualmente a scuola, lo salutava, ci parlava e lui sembrava anche
gradire le brevi conversazioni che avevano.
Un
giorno lei lo aveva perfino invitato a mangiare un gelato dopo la tanto
divertente assemblea d’istituto e una forte iniezione di coraggio, ma ciò che
la sorprese maggiormente fu il fatto che Fabio accettò il suo invito. Da quel
momento avevano ricominciato ad uscire insieme di tanto in tanto, solo il tempo
poi ci avrebbe detto come sarebbe finita.
E
Noemi sembrava piuttosto serena, più tranquilla, aveva trovato un nuovo modo
per esprimere la sua esuberante personalità: concentrarsi sulle sue amiche e,
in particolar modo, sul suo amato Fabio.
Discorso completamente diverso era
quello riguardante Camilla.
Lei lo aveva sognato il suo amore, lo
aveva aspettato per anni, lo aveva immaginato, desiderato, venerato,
contemplato e alla fine era arrivato travestito da semplice ragazzo, abile
tanto nello sport quanto proteso alla lettura e prolisso nel parlare. Era perfetto
per lei, le donava quel tocco di vitalità di cui la sua monotona e banale vita
necessitava. Sapeva di aver sofferto tanto, anche per la storia di Francesco,
ma con Marco, ne era sicura, sarebbe stato tutto diverso. Si fidava ciecamente
ed incondizionatamente di lui, sarebbe stata disposta a tutto per lui e di ciò
ne era pienamente consapevole.
Inutile dire che la presenza di Marco
l’aveva completamente stravolta, in senso positivo ovviamente.
Era più felice, più sicura di sé
stessa, aveva finalmente trovato il suo posto nel mondo.
Era più determinata, meno
accondiscendente, ma sempre troppo generosa e altruista per il mondo troppo egoista
e menefreghista che la circondava; ma ora a difenderla, a combattere con lei
c’era qualcuno, c’era Marco.
Alice
era maturata molto in quel lasso di tempo.
Aveva lasciato da parte un pezzo
importante, fondamentale, della sua vita: il suo primo amore, Christopher.
All’inizio non era stata una scelta facile, continuava a chiedersi e
richiedersi se avesse fatto davvero la cosa giusta, ma poi, ogni qualvolta
veniva riscossa dal turbinio dei suoi pensieri dal sorriso smagliante e sincero
di Guido, si convinceva che non avrebbe potuto fare altro. Guido era entrato
prepotentemente nella sua vita, in pochi giorni l’aveva scombussolata tutta,
dalla testa ai piedi. Si era scoperta intrappolata in una rete nella quale
neppure sapeva di essere caduta, ma non era riuscita, né tantomeno aveva
provato, a liberarsi.
Avevano
deciso di andarci piano, innamorarsi richiedeva tempo, molto tempo, ma loro a
disposizione ne avevano tutto quello del mondo, l’importante era saper
aspettare. Del resto non era facile restare accanto ad una come Alice, con
tutti i suoi cambiamenti d’umore e le mille idee che le frullavano per la
testa, figuriamoci quindi decidere di passare ogni attimo della propria vita
con lei!
Ed infine c’era Arianna.
Sì, lei aveva
sofferto, aveva sofferto davvero tanto dopo quella sera, perciò aveva optato
per una decisione radicale: un taglio netto.
Così, all’improvviso, un giorno durante
il cambio d’ora aveva comunicato ad Ali che mai più avrebbe sofferto così per
un ragazzo, mai.
E da allora era come rinata. Sorrideva,
scherzava, chiacchierava di continuo con gente che neppure conosceva, ma nei
suoi occhi non c’era più quella luce di speranza e gioia infantile. Usciva, frequentava
qualche locale, spesso andava in discoteca, diceva che soltanto allora aveva
scoperto quanto divertente fosse ballare e scatenarsi in una sala gremita di
persone, mentre le luci psichedeliche e la musica a tutto volume ti confondevano
i sensi. Ma sapevano tutti, forse anche lei, che quella era una splendida
facciata che con cura stava costruendo per nascondere la ferita ancora aperta
del suo cuore.
Dopo quella sera, lei e Luca non si
erano mai più rivolti la parola.
---
Angolo Autrice
Siamo arrivati alla fine! Siiiiiiiiiiiiiii!!*.*
Che
dire, inizio ringraziando tutti quelli che hanno letto e quelli che
hanno inserito la storia tra le seguite o le ricordate e vista
l'unicità dell'evento
(non capita mica tutti i giorni di pubblicare un epilogo!xD), lo faccio singolarmente.
Ringrazio dunque Aislinn_05 e prettyreckles che l'hanno segnata tra le storie ricordate e
AundreaMalfoy, DreamWriter, Mai Annabeth Lily Cullen, marty_chic, probabilidad, rossy87, roxi, TyreKP e _anda, che invece l'hanno messa tra le seguite.
Il ringraziamento più grande va però a confettina, lei sa perché!;) Davvero, grazie!
Ah, per chi volesse saperne ancora qualcosa, nei prossimi giorni pubblicherò dei missing moments!
Astrea_
|
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Capitolo 14 *** Noemi's missing moment ***
miss
WALL
-What A Lovely Life-
Missing moment: “New
habits”
ALICE’s pov
Mio fratello aveva appena vinto un’altra
partita da capitano della squadra di calcio locale ed io ero completamente,
totalmente, incondizionatamente fiera ed orgogliosa di lui. Sorrisi, vedendolo
finalmente uscire dal campo per recarsi nello spogliatoio e frettolosamente
salutai le mie amiche che avevo letteralmente trascinato allo stadio per
sostenere Luca. Cam e Mimi si avviarono con il motorino, mentre Aria […].(Capitolo
5)
---
NOEMI’s pov
Quella mattina ero stata letteralmente obbligata dalla mia cara amica
Alice a recarmi allo stadio per poter supportare suo fratello nella tanto
importante partita di calcio. Appena finita la suddetta partita mi ero
catapultata fuori da quella struttura, subito seguita da Cami, poi dopo aver
salutato tutti ci eravamo avviate al mio motorino.
Per prima cosa avevo accompagnato Cam, in seguito, ovviamente solo dopo
aver scambiato quattro chiacchiere, mi ero decisa che si era fatta ora, anche
per me, di tornare a casa.
Quando arrivai davanti al cancello del mio palazzo potei notare una
piacevole, inaspettata e gradita sorpresa.
Fabio mi sorrideva appoggiato al muretto dell’ingresso principale.
Lasciai immediatamente il motorino nell’area adibita a parcheggio, poi
mi catapultai letteralmente su di lui, abbracciandolo e posandogli un lieve
bacio sulla guancia.
“Che ci fai qui?”, esordii, ma la mia voce sembrò troppo entusiasta
persino al mio poco critico orecchio.
Mantieni la calma, Mimi, mi suggeriva una vocetta dentro la mia testa.
Ovviamente non la ascoltai, ma non perché non volessi, semplicemente c’erano
altri fattori a distrarmi, tra cui primo fra tutti il suo sorriso, quello che
ormai ben conoscevamo tutti.
“Ero da queste parti e ho pensato di suonare, ma tua madre mi ha detto
che eri andata alla partita e che saresti tornata di lì a poco.”, mi spiegò
sollevandosi dal muretto.
Spalancai gli occhi un po’ sbalordita e sorpresa dal suo
comportamento: aveva parlato con mia madre?
Probabilmente lui dovette comprendere la mia espressione.
“Tranquilla, ho ben specificato che sono un tuo amico.”, chiarì subito
dopo, nel tentativo di tranquillizzarmi.
Era la prima volta che un ragazzo veniva sotto casa mia ed era la
prima volta che un ragazzo parlava con mia madre.
Rimasi in silenzio, rimuginando sull’ambigua e nuova situazione che
lui, Fabio, aveva appena creato senza che io ne sapessi nulla.
“Non dovresti preoccuparti tanto per così poco.”, mi rimproverò lui
avvicinandosi a me.
“Non ho chiesto mica la tua mano a tuo padre!”, enfatizzò guardandomi
con ovvietà e allo stesso tempo incredulità.
Lo trucidai con lo sguardo per la battuta poco felice.
Lui allargò ancora di più il sorriso, poi mi prese le mani ed iniziò a
giocherellare con esse.
“Andiamo Mimi, ho chiesto solo dov’eri! Niente di più! Non puoi farti
spaventare da una sciocchezza!”, continuò.
In effetti aveva completamente e assolutamente ragione. Era una
sciocchezza, solo che era così nuova per me.
“Scusa, è che non ci sono abituata.”, provai a dire nel tentativo di
giustificarmi tenendo gli occhi bassi.
Lui staccò una mano dalla mia e la poggiò sotto il mio mento,
costringendomi ad alzare il volto. Ci guardammo per un attimo negli occhi e sorrise ancora, facendo sciogliere
anche me come un ghiacciolo al sole.
“Sai, tua madre sembra simpatica! Magari un giorno potresti
presentarmela!”, scherzò beffardo.
Feci una finta risata, poi mi riappropriai della mano che prima aveva
liberato dalla mia.
“Ma come siamo spiritosi.”, borbottai sarcasticamente.
“Al massimo ti posso presentare mio padre, quello sì che ti starebbe
simpatico con le sue manie di protezionismo della sua unica pargoletta.”, gli
intimai immaginando quante scenate avrebbe fatto il giorno in cui gli avrei
portato un ragazzo in casa.
Avrebbe dato di matto, sicuro.
“No, quello è meglio che te lo tieni per te.”, rispose con troppa foga
per sembrare indifferente.
Sorrisi.
“Allora com’è stata la partita?”, mi chiese poi per cambiare
l’argomento di conversazione.
“Non ci capisco molto di calcio, ma la squadra del fratello di Alice
ha vinto, quindi suppongo sia stata una bella partita, almeno per noi.”,
dichiarai.
“Si, quasi dimenticavo la tua avversione per lo sport.”, ammiccò facendo
chiaro riferimento al modo poco carino in cui ci eravamo conosciuti.
“Diventi ogni giorno più simpatico Fabio.”, replicai fintamente acida.
Del resto era lui quello che mi aveva buttato un pallone in testa,
involontariamente, ma l’aveva fatto.
“Nemo.”, sussurrò avvicinandosi pericolosamente alle mie labbra.
Con lui era così: abbracci, baci sulla guancia e coccole, parole dolci
appena sussurrate e labbra che si sfioravano senza mai toccarsi veramente, nulla
di serio insomma.
La sua vicinanza mi faceva sudare freddo. Sentivo le gambe farsi
sempre più deboli e dei piccoli brividi percorrevano tutta la lunghezza della
mia schiena. Per non parlare di una volta in cui, dopo che lui mi avesse
sussurrato delle dolci parole a fior di labbra, avevo sentito un vuoto tremendo
allo stomaco, seguito da una strana sensazione: le farfalle.
Ero consapevole della stramba piega che stava prendendo il rapporto
con Fabio, ma non me ne preoccupavo, non ancora perlomeno, troppo presa dai
suoi sguardi e dalle sue carinerie, alle quali non ero assolutamente abituata.
Mi riempiva d’attenzioni e non pretendeva nulla da me, nulla neppure dal mio
corpo.
Rimasi imbambolata, completamente rapita dai suoi occhi.
Riprenditi cazzo, tu non sei così!, urlò la solita vocetta, ma questa
volta la ascoltai.
Riacquistai un po’ di lucidità e mi scansai di poco, facendo aumentare
le distanza così da poter respirare senza farmi condizionare dal suo
dannatissimo sorriso.
E sì, se non si era ancora capito avevo una fissa per quel
dannatissimo sorriso. Era il suo punto forte, o il mio punto debole, dipende
dai punti di vista.
“Domai mattina ti passo a prendere io, andremo insieme a scuola.”,
disse, ma dal suo tono di voce potei capire che non si trattava propriamente di
un invito, più di un affermazione convinta.
“Cosa?”, chiesi scettica.
“Ti accompagno a scuola.”, ripeté tranquillo scollando le spalle.
Corrugai la fronte, perplessa.
“Non credi di correre un po’ troppo?”, domandai.
Non stavamo insieme, non ci eravamo neppure mai baciati e lui già si
presentava sotto casa mia e voleva anche accompagnarmi a scuola!
“Io mi sento di farlo e se a te va bene non vedo di cosa dovremmo
preoccuparci.”, chiarì con tono pacato.
“Certo che sei strano forte.”, mi lasciai scappare in un sussurro, ma
me ne pentii immediatamente quando vidi piegarsi le sue labbra in un altro
splendido dannatissimo sorriso.
“Solo perché non ti bacio e non ho ancora provato a portarti a
letto?”, mi chiese cercando di capire meglio ciò che intendessi.
“Te l’ho già detto, non sono abituata a tutto questo.”, ripetei con la
voce rotta dalla paura e dall’insicurezza.
“Vorrà dire che ci abitueremo insieme.”, aveva semplicemente detto,
posandomi un lieve bacio sulla tempia sinistra.
Non risposi e lui dovette percepirla come riluttanza, tant’è che si
allontanò leggermente da me in modo che potesse guardarmi bene negli occhi.
“Sempre che tu voglia.”, aveva aggiunto questa volta incerto.
Ma come poteva anche solo pensare che non lo volessi?
“Ma certo che lo voglio!”, risposi con troppa enfasi, gettandomi su di
lui.
“Mi piacerà abituarmi a ricevere tutte queste attenzioni da te.”,
continuai senza neppure rendermi conto di ciò che dicevo.
Ma perché mai dovevo ridicolizzarmi fino a quel punto? Ovviamente la
colpa era ancora tutta del suo sempre dannatissimo sorriso.
“Va bene koala, ora devo andare. Ci vediamo domani mattina e non farmi
aspettare troppo mentre ti prepari, tanto comunque saresti bellissima.”, disse.
Si avvicinò in direzione delle mie labbra, poi all’ultimo istante lo
vidi deviare in direzione della guancia, dove posò un leggero bacio.
“A domani!”, lo salutai appena riuscii a riprendere il controllo di me
stessa.
Poi lo vidi andare via sotto i miei occhi: quella sarebbe stata la
domenica pomeriggio più lunga di tutta la mia vita.
---
Angolo Autrice
Ecco
il primo dei quattro missing moments, poi finalmente chiuderò la
storia e la smetterò di rompere le scatole, promesso!xD
Il problema, però, è che oggi mi è successa una cosa strana.
Mentre
stavo finendo di scrivere un'altra storia, una completamente diversa da
questa, mi è venuta la malsana idea di sperimentare una piccola
cosuccia...
Ovviamente a me non piace proprio come è finita tra Arianna e Luca, quindi chissà...xD
Vabbè, un saluto a tutti coloro che leggono, grazie mille!!! :)
Astrea_
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Capitolo 15 *** Camilla's missing moment ***
2
WALL
-What A Lovely Life-
“Reason and sense.”
CAMILLA’s pov
Marco tornò
entusiasta verso di noi, puntato da sette paia di occhi incuriositi.
“Karaoke gente!
Questa è l’ora del karaoke!”, annunciò prendendo in mano il microfono.
(Capitolo 6)
Marco non aveva fatto altro che cantare per tutta la
serata, seguito inderogabilmente dall’energica Alice, entrambi intenti a
smorzare la palpabile tensione che all’inizio si era impadronita dell’atmosfera.
Dire che erano stati bravi era davvero un eufemismo. In un primo momento,
tuttavia, ero piuttosto certa che la sua tutt’altro che geniale idea non
avrebbe fatto altro che incrementare l’imbarazzo già insostenibile tra i
commensali, poi subito dopo averlo sentito iniziare a cantare, mi ero convinta
dell’esatto contrario.
Era stonato, tanto, forse troppo, spesso perdeva anche il
ritmo ed era così buffo vederlo concentrato a dare del suo meglio senza
risultati decenti. Tutti sorrisero allo spettacolo, poi Alice decise di fargli
compagnia, così pochi attimi dopo si trovarono a duettare vecchi successi degli
anni ottanta, mentre noi li incitavamo applaudendo come dei matti scatenati ad
un concerto del loro cantante preferito.
La situazione era tornata a farsi irrequieta con l’arrivo
delle pizze ed il conseguente ritorno in sala di Luca, ma a differenza di ciò
che era successo prima, si lasciò andare a qualche battuta con Guido e poi
anche con Marco e Fabio, evitando accuratamente scambi di parole con Aria e
Dario.
Infondo la serata era trascorsa piacevolmente, così mi
sorpresi quando ci accorgemmo che si era fatto già tardi e che dovevamo assolutamente
rincasare.
Marco prontamente si offrì di riaccompagnarmi a casa ed
io, lasciata da parte la riluttanza iniziale, accettai di buon grado il suo
invito.
Salutammo gli altri e ci dirigemmo verso il suo motorino
a studiata distanza, cosicché non potesse esserci alcun rischio di sfioramenti
involontari.
“Sai, quando l’altro ieri mi hai detto che, che si,
insomma, ci saremmo potuti rivedere non ci credevo davvero… poi, invece, oggi
Arianna mi ha chiamato e mi ha invitato dicendomi che ci saresti stata anche
tu. Non nego che avrei gradito più una tua telefonata che la sua, ma sono
contento lo stesso.”, commentò tutto d’un tratto con la voce palesemente
titubante.
Avrebbe voluto che fossi stata io a chiamarlo, ripetei
nella mia mente, cercando di metabolizzare quello che aveva appena detto.
“Non avevo il tuo numero.”, mi giustificai semplicemente,
rendendomi conto solo dopo che in realtà non gli dovevo nessuna spiegazione.
“Ah”, fece ed in quel momento arrivammo finalmente al suo
mezzo.
Mi porse il casco, poi ne prese un altro e se lo mise in
testa, fissandolo bene. Feci lo stesso anche io e pochi istanti dopo salimmo
entrambi sul motorino.
“Dov’è che abiti?”, mi chiese, voltando lievemente la
testa all’indietro nella mia direzione.
Con accuratezza e precisione gli diedi tutte le
indicazioni di cui necessitava per raggiungere la destinazione, poi partì.
Durante tutto il tragitto non scambiammo più neppure una parola, sia a causa
dell’evidente imbarazzo che del rumore assordante del motore e di tutte le
macchine che sfrecciavano sulle strade della città.
Quando finalmente arrivammo davanti al cancello di casa
mia si fermò accanto la marciapiede, poggiando i piedi a terra.
Si tolse il casco ed io nuovamente lo imitai.
Stavo per salutarlo quando lo vidi boccheggiare, nel
tentativo evidente di dirmi qualcosa.
Mi fermai e lo guardai dritto negli occhi, aspettando che
parlasse, ma nulla.
“Allora? Dovevi dirmi qualcosa?”, gli chiesi cercando di
sembrare cordiale.
Non volevo spaventarlo, perché già così sembrava timido e
restio, figuriamoci se l’avessi aggredito.
Lui annuì con la testa, poi prese un respiro profondo,
come a farsi coraggio.
“Se era il numero il problema, possiamo rimediare.”,
propose con gli occhi fissi nei miei.
Sentii il mio cuore perdere un battito: non ero pronta,
non ora, non così presto.
“Ecco, vedi, in effetti…”, cercai di mettere insieme
parole di senso compiuto, senza alcun risultato.
Lui abbassò lo sguardo in direzione del grigio asfalto,
probabilmente convinto che io non fossi minimamente interessata a lui.
Ed era qui che le cose si complicavano. Non poteva
piacermi, questo era ovvio, lo conoscevo da appena due giorni, ma non potevo
negare l’interesse che nutrivo nei suoi confronti. Di certo mi sarebbe piaciuto
conoscerlo se i tempi non fossero stati quelli che erano.
“Capito.”, disse mentre giocherellava con i laccetti del
casco. “Sarà per un’altra volta allora.”, continuò poco dopo.
Non riuscii a dire nulla, così lo vidi andare via sotto i
miei occhi, impotente di dire o fare qualsiasi cosa, ma non appena lo vidi
scomparire dietro l’angolo mi pentii profondamente di ciò che non avevo appena
fatto.
Entrai in casa cercando di non fare troppo rumore,
conscia che i miei genitori stessero dormendo.
Salii al piano superiore e mi recai in camera mia, mi
misi il pigiama, poi presi il cellulare e guidata da quello stupidissimo e
stramaledettissimo istinto mandai un messaggio ad Arianna.
Lei mi rispose pochi secondi dopo e sussultai prima di
leggere, magari non aveva assecondato la mia richiesta, invitandomi
personalmente a chiedere il numero di Marco al diretto interessato, senza
includere terzi che non avevano alcun diritto di elargire recapiti telefonici,
a maggior ragione se poi si trattava dello stesso numero che pochi minuti fa
avevo rifiutato. Mi diedi dell’idiota e continuai ad inveire contro me stessa
ancora per qualche secondo, poi solo quando mi resi conto dell’inutilità e
dell’assurdità di quell’azione, mi decisi ad aprire la cartella e potei giurare
di sentire i miei occhi luccicare quando lessi nove cifre ed un piccolo
consiglio alla fine: fanne buon uso, mi suggeriva Aria.
Sorrisi compiaciuta, questa volta soddisfatta del mio
comportamento e decisi che era giunta l’ora di far sapere a Marco che sì, avevo
il suo numero e che sì, volevo avere il suo numero.
Mi sentivo esattamente come quelle adolescenti alla prese
con la prima cotta impossibile che tanto avevo criticato per anni. Stavo
vivendo una lotta interiore tra ciò che sentivo di fare e ciò che avrei,
invece, dovuto giudiziosamente fare. Avevo già sofferto per colpa di un ragazzo
e la ferita non si era ancora del tutto rimarginata. Una vocina dentro di me mi
urlava a squarciagola che non ero ancora pronta ad affrontare tutto di nuovo,
dall’altro lato invece, sentivo le parole appena sussurrate del mio cantante
preferito, Ligabue: non si può sempre perdere, per cui giochiamoci, cantava in
una delle sue magnifiche canzoni.
Magari io e Marco saremmo potuti diventare ottimi amici.
Con questa nuova convinzione, mi decisi finalmente a
scrivere quelle poche parole sul cellulare.
“Buonanotte Marco, Camilla.”, tre semplici parole. Del
resto non volevo comunicargli nulla, volevo solo che sapesse che avevo il suo
numero e volevo che lui avesse il mio.
Respirai sommessamente, poi digitai il numero e senza
indugiare oltre premetti sul tasto di invio.
Sentivo l’ansia e la trepidazione correre come brividi
sulla mia schiena. E se si fosse arrabbiato e non volesse avere a che fare più
nulla con me?
Fortunatamente le mie macchinazioni mentali furono
interrotti dalla vibrazione del telefono a contatto con il mio braccio. Come
era accaduto poco prima, sussultai nel constatare che era davvero arrivato un
messaggio.
Strizzai bene gli occhi e mi imposi di non essere
codarda. Morivo dalla voglia di leggere la sua risposta ma allo stesso tempo
temevo che non mi sarebbe piaciuta affatto.
Mi feci coraggio e lessi.
“Cos’è, hai cambiato idea?:) Ne sono contento. Buonanotte
Camilla, sogni d’oro.”
Sorrisi come un ebete mentre leggevo e rileggevo quello
stupidissimo stramaledettissimo semplicissimo messaggio, poi solo quando capii
che di quel passo avrei finito per consumare lo schermo del cellulare e
rovinarmi la vista, lo spensi.
Quella notte mi addormentai beata con il sorriso sulle
labbra ed il cuore galoppante, ricolmo di emozioni.
---
Angolo Autrice
Salve a tutti! Allora, voglio semplicemente ringraziare tutti quelli che leggono ed in particolare dream to fly per aver lasciato una recensione... grazie mille!
Non mi soffermo molto perché ho intenzione di pubblicare immediatamente anche fgli altri due missing moments...
insomma voglio proprio completarla completamente questa storia!xD
Al prossimo chap! ;)
Astrea_
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Capitolo 16 *** Alice's missing moment ***
3
WALL
-What A Lovely Life-
“And it
just seems to be so natural.”
ALICE’s
pov
“Allora, quante
ragazze hai portato qui per baciarle?”, gli chiesi, sedendomi a gambe
incrociate a qualche passo dalla sua moto.
Lui mi guardò
sbigottito, poi fece qualche passo nella mia direzione e si accovacciò
sull’asfalto di fronte a me. Mi sorrise beffardo ed iniziò a parlare,
raccontandomi di lui, della sua vita e per me fu come averlo conosciuto da
sempre.(Capitolo 10)
---
ALICE’s
pov
“Non tutte hanno il privilegio di salire sulla mia
moto!”, controbatté con gli occhi fissi nei miei.
La sua espressione era serena, i suoi lineamenti
rilassati, il suo sorriso mi toglieva il fiato per quanto fosse bello e
sincero. Tutto di lui in quel momento mi trasmetteva tranquillità e pace.
Non risposi, seppur avessi già formulato in mente una
battuta degna di metterlo in difficoltà. Non volevo continuare a giocare,
battibeccando con lui per motivi che poi non avrei neppure ricordato, volevo
soltanto conoscerlo meglio, capire chi si celasse dietro la maschera e quella
sembrava essere l’occasione perfetta per farlo, non l’avrei sprecata.
“Devi essere molto legato a tuo padre…”, iniziai, con
voce insicura e sguardo basso, convinta comunque che lui non avrebbe aggiunto
altro sull’argomento, non intenzionato a confidarsi con un’estranea.
Lo vidi abbassare lo sguardo a sua volta, probabilmente
imbarazzato. Del resto non aveva tutti i torti ad essere così restio alla
prospettiva di aprirsi a me, la sorella di un suo amico, di cui a stento
conosceva il nome.
Ma ancora una volta mi stupì, lasciandomi perplessa dal
suono della sua voce così naturale e dal suo gesticolare così genuino, mentre
con gli occhi fissava il paesaggio che si apriva davanti a noi.
“Si, diciamo che io sono la sua famiglia e lui è la
mia.”, commentò sorridendomi, ma sul suo volto ricomparse il velo di tristezza,
lo stesso di poco fa.
Nonostante ciò, però, non potei non notare la naturalezza
con la quale si espresse, come se quella fosse una cosa a cui fosse abituato, come
se si sentisse completamente e totalmente a suo agio, esclusa la riluttanza
iniziale.
Quella piccola grande constatazione mi fece spuntare un
sorriso ebete ed idiota sulle labbra, così preferii tornare a concentrarmi
sulla sua espressione, ancora frustrata e perduta probabilmente tra i rimpianti
e rimorsi che aleggiavano nella sua mente.
Solo in quel momento mi resi conto di avergli rievocato
brutti ricordi o pensieri e mi sentii in colpa per aver ripreso l’argomento
senza curarmi delle sue emozioni e dei suoi sentimenti, senza sapere se lui
fosse pronto per parlarne, ma soprattutto senza sapere se lui volesse davvero
parlarne.
La voglia e il desiderio che avevo di conoscerlo avevano
avuto il sopravvento su altre componenti che in realtà sarebbero dovute essere
molto più importanti. Mi diedi immediatamente dell’egoista e mi maledissi per
non aver realizzato prima quanto questa conversazione potesse riaprire vecchie
ferite.
Rimasi in silenzio, rimuginando su qualche buon argomento
di cui parlare con lo sguardo fisso sulla fresca erbetta.
“È da tanto che non vedo mia madre. L’ultima volta che
l’ho sentita, due settimane fa, era a Venezia con il suo nuovo compagno e le
sue due figlie.”, aggiunse poco dopo, richiamando la mia attenzione.
Alzai il volto in direzione del suo e notai che lui aveva
già gli occhi puntati su di me.
Non seppi cosa dire, un semplice “mi dispiace” sarebbe
sembrato come dettato dalle circostanze e, d’altro canto, non potevo certo
porgli domande data la scarsa confidenza che c’era tra noi fino a qualche ora
prima, inoltre ormai avevo deciso che non avrei ulteriormente provato a scavare
nella sua vita.
Lui parve comprendere i miei dubbi e lo vidi rivolgermi
un sorriso appena accennato, ma dolce.
“Non preoccuparti, non so neppure io perché te lo stia
dicendo.”, confessò iniziando a giocherellare con un bracciale che teneva al
polso.
Ricambiai il sorriso, poi mi imposi mentalmente di dire
qualcosa.
“È bello che tu riesca a parlarne con qualcuno.”, dissi
per poi pentirmene l’istante esattamente dopo che ebbi finito di pronunciare
quella frase. Cosa mai potevo o volevo aspettarmi che dicesse?
“Tuo fratello dice che sei un impiastro, ma a me non
sembri tanto male.”, dichiarò sorridendomi sghembo.
Sorrisi anch’io di rimando.
“Se questo doveva essere una specie di complimento allora
grazie!”, borbottai, ma era evidente che il broncio che avevo messo su era del
tutto finto.
“Certe volte mi manca mia madre.”, si lasciò scappare
poi, abbassando lo sguardo sul terreno.
Avrei voluto abbracciarlo, dirgli che io sarei stata lì
per lui, che avrebbe potuto contare sia su di me che su mio fratello, avrei
voluto dirgli che comunque sarebbe andata suo padre ci sarebbe sempre stato, ma
non feci nulla. Rimasi immobile a guardarlo e aspettai che, se avesse voluto,
continuasse.
In me non c’era più curiosità, soltanto desiderio di
farlo sentire meglio, più sereno, come lo era all’inizio di quella
conversazione.
“Era tutto così diverso quando lei era con noi! Ma
soprattutto papà…”, lasciò la frase incompiuta, probabilmente non riuscendo a
trovare le giuste parole.
Mi guardò negli occhi e solo allora continuò.
“Era diverso, più allegro, vivace… più felice, più
vivo.”, concluse.
E così, spinta da chissà quale forza suprema, lo
abbracciai. Lo strinsi forte a me, la sua testa poggiava sulla mia spalla,
mentre la mia era immersa nei suoi capelli scombinati.
Il suo profumo, la sua vicinanza, tutto di lui mi dava
alla testa.
Ci staccammo solo quando sentii il mio cellulare vibrare
nella tasca dei jeans.
Sullo schermo lampeggiava la foto di Chris, segno che era
lui a chiamarmi, ancora. Senza indugiare oltre, rifiutai la chiamata e riposi
il cellulare nuovamente in tasca.
“Perché non rispondi?”, mi chiese curioso Guido.
“Non avevo voglia di parlare con quella persona.”,
spiegai sperando che non facesse altre domande, ma ovviamente lui non poteva
che fare ciò che non avevo predetto.
“Allora è vero che c’è un ragazzo!”, dedusse, cercando
nei miei occhi una spiegazione.
“Stiamo, o meglio stavamo insieme da talmente tanto che
neppure mi ricordo quanto tempo sia!”, mi lamentai.
“E la durata è un problema?”, domandò scettico,
arricciando un sopracciglio.
“No, se stai con la persona che ami. Io Chris non lo amo
più da tanto ormai, solo che sono talmente abituata a lui che mi dispiace
lasciarlo.”, mi lasciai sfuggire senza rendermene neppure conto.
“Se non è lui la persona giusta non puoi mica forzare le
cose!”, constatò con ovvietà facendo spallucce.
Non risposi, e non
perché credevo avesse torto, ma perché non volevo sprecare il pomeriggio a
parlare dell’idiota proprio quando accanto a me c’era Guido.
“Guarda, c’è una farfalla!”, dissi indicandogli un
puntino giallo a qualche metro da noi alzandomi di scatto per avvicinarmi di
più e guardarla meglio.
Evidentemente dovetti fare una faccia davvero molto
ridicola perché qualche istante dopo lo sentii iniziare a ridere a crepapelle.
“Che c’è?”, chiesi corrugando la fronte, indispettita
dalla sua reazione.
“Sei troppo buffa!”, commentò continuando a ridere.
Serrai gli occhi e con calma mi avvicinai a lui
gattonando.
“Ora te lo do io un buon motivo per ridere!”, ghignai
malefica, iniziando a fargli il solletico.
Lui rideva, ed io con lui, e non riuscivo a fare a meno
della sua risata. Era da tanto, forse da troppo, che non mi sentivo così
leggera e libera, così felice. Era da tanto che non stavo così bene con
qualcuno che non fossero le mie amiche, era da tanto che il mio cuore, forse,
non batteva forte e frenetico all’avvicinarsi di un ragazzo.
---
Angolo Autrice
Ecco il terzo missing moment! Ancora poco e pubblicherò anche il qaurto ed ultimo...!!
Che dire, ringrazio ancora tutti i lettori!
Astrea_
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Capitolo 17 *** Arianna's missing moment ***
4
WALL
-What A Lovely Life-
“Labels and kiss”
NOEMI’s pov
“Non farti
troppi problemi, non ballerò e basta.”, concluse Aria stizzita.
“Allora ti farò
compagnia qui.”, dichiarò sedendosi accanto a lei.
Aria sbuffò,
innervosita.
“Ok, basta!
Andiamo a ballare!”, sbottò alzandosi di colpo. (Capitolo 11)
---
ARIANNA’s pov
Era la prima volta dopo il poco felice accaduto di quella fatidica notte,
episodio che in futuro avrei rinnegato fino allo strenuo, che ci ritrovavamo
così vicini e soprattutto da soli, seppur fossimo circondati da un centinaio di
persone. Stava superando la distanza di sicurezza, ma mi fu impossibile fare
qualsiasi cosa per impedirglielo. Eravamo come il polo positivo e quello
negativo di una calamita in quel momento: non potevamo fare altro che attirarci
tra noi. Mi maledissi per aver formulato un pensiero del genere: al massimo ero
io ad essere attratta completamente ed incondizionatamente da lui e non solo in
quel momento. Ma mi maledissi ancora una volta, consapevole che constatazioni
di quel tipo non mi erano d’aiuto nell’affrontare la situazione nella quale mi
trovavo.
Luca poggiò le mani sui miei fianchi e io non protestai al contatto,
troppo concentrata a cercare di mantenere un briciolo di controllo sulle mie
azioni e sulle mie imprevedibili reazioni, visto che quelle erano un altro
grande problema.
Iniziammo a muoverci a ritmo di musica, senza esagerare nei movimenti.
Lui mi sorrise, poi con una calma straziante avvicinò le sue labbra al mio
orecchio. Deglutii, cercando di non farglielo notare, di certo di motivi per
prendermi in giro ne aveva già a sufficienza per i prossimi due anni.
“Non credi che dovremmo parlare io e te?”, sussurrò, ma nonostante la
musica assordante riuscii a sentire perfettamente la sua voce limpida e
cristallina.
Il suo tono quella sera era diverso, lo percepii immediatamente. Non
c’era la solita ironia o il sarcasmo, non stava cercando di mettermi in
difficoltà per l’ennesima volta, per poi ridersela sornione. Mi scansai
leggermente, così da poterlo guardare negli occhi. Non erano beffardi, né maliziosi
e mi persi in essi.
“Cosa dovremmo dirci?”, chiesi poi, riprendendomi dallo stato di
trance in cui sembravo essere caduta temporaneamente, senza comunque rispondere
alla sua domanda e lui, ovviamente, non poté non notarlo.
“Non si risponde ad una domanda con un’altra domanda.”, mi fece notare
con aria da finto saputello.
Lo vidi fermarsi, aveva smesso di ballare e mi fissava dritto negli
occhi con un’espressione seria dipinta sul volto. Immediatamente mi fermai
anche io.
Presi un respiro profondo e lo fissai di rimando, ma non saltargli
addosso mi costò molto più sforzo del previsto.
“E non sono io questa volta ad averti baciata.”, continuò centrando
subito il nocciolo della questione.
Abbassai immediatamente il volto, imbarazzata, mentre potevo
chiaramente sentire il sangue affluirmi alle guancie.
Come potevo spiegare a lui una cosa che non riuscivo a spiegare
neppure a me stessa?
“Tu puoi farlo ed io no? È questo che stai cercando di dirmi?”, lo
aggredii come una stupida bambina, tergiversando il discorso.
Si, mi sentivo decisamente ridicola per ciò che avevo appena detto.
“Aria cresci, diamine!”, aveva sibilato lui a denti stretti,
stringendo la mano in un pugno.
I suoi occhi fiammeggiavano di rabbia.
“E cosa dovrei fare, sentiamo?!”, lo incitai, posando le mani sui
fianchi e guardandolo con aria di sfida.
“Continui a fare solo domande senza dare riposte.”, commentò ed in
quel momento parve calmarsi.
Mi quietai anch’io di riflesso e l’atmosfera tra noi si alleggerì
notevolmente.
“Possibile che tu davvero non riesca a capire?”, chiese più a sé
stesso che a me, tanto che a stento riuscii a sentire la sua flebile voce.
Con calma lo vidi muovere un passo verso di me. Poggiò la sua mano sulla
mia guancia, mentre con l’altra spostò dietro l’orecchio una ciocca dei miei
capelli. Mi guardò bene negli occhi, scrutandomi, cercando di capire
probabilmente cosa stessi pensando in quel momento.
Pochi istanti dopo lo vidi riprendere l’avanzata verso il mio viso,
ormai eravamo soltanto ad una spanna di distanza.
Io rimanevo immobile, sotto il tocco delle sue mani, mentre lo
guardavo disarmata e ipnotizzata, completamente rapita da lui.
Scappa, urlò quella che riconobbi essere la mia coscienza, ma la
ignorai.
“Non scappi, non mi picchi, non mi allontani, rimani immobile…
perché?”, soffiò sulle mie labbra, ormai troppo, troppo vicino.
Non riuscivo a formulare una risposta degna di senso compiuto.
“Perché…”, boccheggiai senza giungere ad alcun risultato.
“Perché vuoi baciarmi.”, concluse lui al posto mio.
Riacquistai un minimo di freddezza, ne necessitavo assolutamente per
cercare di salvarmi la faccia almeno un pochino.
“Sei tu quello che avanza, non io.”, replicai tentando di sembrare
atona, ma non credo ci riuscii per davvero.
Lui sorrise sghembo.
Poi colmò definitivamente la distanza tra noi e mi baciò, dolce.
D’istinto portai le mie mani dietro al suo collo ed iniziai a giocare
con i suoi capelli, mentre lui fece scendere un braccio a circondarmi la
schiena e con una mano mi accarezzava la guancia.
Ci staccammo solo quando entrambi fummo a corto di ossigeno. I nostri
occhi si cercarono, trovandosi subito.
“Pensavo che all’ultimo secondo mi avresti schiaffeggiato.”, confessò con
un mezzo sorriso disegnato sulle labbra, facendo sorridere anche me.
“Chissà cosa penserà la gente ora che ci ha visti baciare. T’immagini?
Magari crederanno che stiamo insieme!”, esclamò ridendo come un matto.
Le sue parole furono come un tuffo al cuore.
Mi allontanai, svincolandomi immediatamente dalla sua labile presa.
L’aveva fatto ancora, un’altra volta: mi aveva presa in giro,
illudendomi.
“Perché è questo che ti preoccupa, no? Cosa penserà la gente di te, di
noi? E non dovrei neppure usare il noi, visto che non c’è e non c’è mai stato,
per mia immensa fortuna!”, inveii contro di lui alzando di un’ottava il mio
tono di voce.
Lui sgranò gli occhi, sorpreso dalla mia reazione e ciò non fece altro
che innervosirmi ancora di più.
Credeva di avere a che fare con un’altra delle sue puttanelle?
Lo fulminai con lo sguardo e feci per andarmene, ma lui mi bloccò per
un polso.
“Dai Ari, ci stavamo divertendo! E poi non ti sono mai piaciute le
etichette!”, aveva provato a dire, cercando probabilmente di farmi ragionare a
modo suo.
Ci stavamo divertendo, aveva detto. Mi diedi della stupida per averlo
assecondato. Per tutta la serata il suo obiettivo era stato sempre e solo
quello: divertirsi.
Sorrisisi amareggiata, svincolandomi nuovamente dalla sua presa.
“Vai a divertirti con qualcun’altra, io ho smesso di giocare. Dovevo
crescere, no? Bene, inizio da adesso.”, dichiarai cercando di sembrare sicura e
decisa.
Poi a passo di marcia mi allontanai da lui alla ricerca delle mie
amiche, ma nella sala non intravidi nessuna di loro. Avevo bisogno di un po’ di
aria, ma soprattutto avevo bisogno di restare da sola, necessitavo urgentemente
di pensare a ciò che era appena successo. Volevo piangere, urlare, spaccare con
le mani il mondo intero, ma tutto ciò che invece riuscii a fare fu risalire le
scale e chiudermi nella camera da letto di Camilla, dove trovai l’agognata
tranquillità.
Quando mi decisi che si era fatta ora di tornare giù e dare segni
della mia esistenza, lo vidi.
Era seduto sulle scale con una bionda ossigenata tra le gambe,
circondato dai sui fanatici amici senza cervello. Scherzavano e ridevano
insieme, mentre lei cercava di sedurlo con gesti e occhiate che di casto non avevano
davvero nulla.
Evidentemente aveva deciso davvero di seguire il mio consiglio.
---
Angolo Autrice
Sì,
questa volta è veramnete finito finito! Allora, ovviamente
rinnovo i ringraziamenti a chi ha letto e chi mi ha seguita...
In particolare Aislinn_05, prettyreckles e roxi che hanno tentuto fino alla fine la storia tra le ricordate, grazie mille!
Ringrazio anche AundreaMalfoy, DreamWriter, Mai Annabeth Lily Cullen, marty_chic, probabilidad, rossy87, TyreKP, _anda e _Liz_ per averla inserita tra le seguite,
davvero grazie di cuore!
Ovviamente riservo ancora un ringraziamento speciale per dream to fly, sperando che anche questi ultimi capitoli ti siano piaciuti.
Bene, bene... mi pare di aver ricordato tutto...
Per chi fosse interessto, alla fine ho deciso di lavorare su un
possibile sequel... Insomma, se non s'era capito dalla storia ora lo
dico io:
a me non va proprio giù che tra il mio caro e piccolo Luca e Arianna finisca così!ù.ù
Comunque sia, ancora GRAZIE!
Alla prossima,
Astrea_
|
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