Ho 17 anni e sono un assassino.

di _Evil
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 23 Ottobre ***
Capitolo 2: *** 27 Ottobre ***
Capitolo 3: *** 30 Ottobre ***
Capitolo 4: *** 3 Novembre ***
Capitolo 5: *** 8 Novembre ***
Capitolo 6: *** 12 Novembre ***
Capitolo 7: *** 16 Novembre ***
Capitolo 8: *** 23 Dicembre ***
Capitolo 9: *** Dicembre ***
Capitolo 10: *** ... ***



Capitolo 1
*** 23 Ottobre ***


23 Ottobre 2012
 
Se uccidessi una persona, sarei un malvagio?
Se uccidessi una persona, sarei un pazzo? Un malato, uno psicopatico? 
Ci sono molti modi per rovinarsi la vita: furto, aggressione e qualsiasi altra dannata cosa possa sporcare la tua fedina penale. Ma nulla è come l'omicidio. Uccidere un altro essere umano genera un senso di colpa che non ha nulla a che vedere col nostro mondo irrisorio, fatto di sanzioni al limite del ridicolo atte a spaventare il prossimo "attentatore".
 Non che non funzioni: sono moltissime le persone a non aver mai commesso un furto per semplice paura di quel che sarebbe venuto dopo. Ma quando si uccide, quando si mette la parola fine alla vita di un altro essere umano, non è la paura a dominare il nostro essere. Di fronte a quest'atto degenerante l'unica cosa con cui fare i conti è la nostra coscienza, la nostra moralità e, più importante, la nostra umanità. Perché è nella nostra natura, così come in quella di qualunque altro animale, la preservazione della specie. Per motivi evolutivi, questa preservazione deve essere addirittura più potente di quella dell'individuo. Ma noi siamo speciali. Noi possiamo scegliere.
Ho 17 anni e voglio uccidere una persona.
Nessun risentimento, non ho neanche deciso la vittima. So solo che voglio macchiarmi del più efferrato degli atti, voglio attraversare quel ponte che lega una persona qualunque ad un assassino, e farlo lucidamente, a mente fredda.
Chiunque è in grado di uccidere in preda all'ira, per odio e vendetta. Molti sono in grado di uccidere per soldi. Alcuni invece lo fanno per psicopatia. Ma io ucciderò soltanto perché voglio uccidere, e non per una voglia convulsiva: è un esperimento. Nient'altro che un esperimento.
La mia è una vita noiosa e tranquilla come tutte le altre. Fra pochi anni terminerò questa scuola, prenderò una laurea ed andrò a lavorare. Da bravo consumatore mi limiterò a sottostare alle regole del giogo: guadagnare e comprare. Guadagnare e comprare. Guadagnare e comprare. Guadagnare e comprare.
Avrò una moglie e dei figli che cresceranno per fare la stessa identica cosa: guadagnare e comprare. Guadagnare e comprare. Gudagnare per bere. Guadagnare per mangiare. Guadagnare per vivere. 
Avrei voluto una vita dove poter osservare ed allargare i limiti dell'Universo. Una vita che non avrò mai a causa di una società corrotta ed incivilizzata. Però c'è un altro Universo che posso esplorare in queste condizioni: quello della nostra mente. Fin dove può spingersi l'essere umano? Un essere vivente dovrebbe auto-preservarsi, eppure l'uomo commette il suicidio. Un essere vivente dovrebbe preservare la sua specie e l'ambiente in cui dimora, eppure l'uomo uccide, inquina e distrugge.
Perché? A quale scopo il libero arbitrio se il risultato è questo? E' quello che voglio sperimentare. 
Fin'ora non ho mai avuto nemmeno il coraggio di malmenare un animale, ma alla fine diventerò un omicida. Capirò come ci si sente ad aver causato la morte di un proprio simile. La società, nella sua ipocrisia, mi darà la caccia come un demone uscito dall'Inferno. La stessa società che ha sterminato e continua a sterminare intere etnie a favore di noi privilegiati, farà di tutto per punirmi. Ma io non ho paura: io non esisto. Sono l'Uno che cerca di avere coscienza di sé attraverso una soggettività illusoria. Sono l'essere umano che osserva se stesso attraverso la cellula. Sono Dio che osserva se stesso attraverso l'essere umano. 

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Capitolo 2
*** 27 Ottobre ***


27 Ottobre 2012
 
Ho 17 anni e voglio uccidere una persona.
Non c'è nulla che non va in me, non ho un tragico passato alle spalle come quello di un convenzionale serial killer. Inoltre non ho bisogno di commettere più di un omicidio: per me non avrebbe senso.
Basta uccidere una volta a sangue freddo per essere una persona nuova. Perché ciò che io voglio davvero uccidere... 
 
Nessuno dovrà saperlo. La polizia mi sarebbe soltanto di intralcio, quindi dovrà essere un lavoro pulito ed impeccabile. Ma non voglio che sembri un incidente: le persone devono sapere che qualcuno è stato ucciso. Essendo un liceale, avrei difficoltà a procurarmi un'arma da fuoco. Le armi bianche sono invece troppo rischiose e richiedono la violenza per essere utilizzate. Nel mio omicidio non ci sarà nessuna traccia di violenza.
Ieri sono arrivato alla conclusione che è il veleno ciò di cui ho bisogno. Morte per avvelenamento.
Oggi se ne sente parlare poco, e la cosa non mi stupisce. L'uomo uccide, ma lo fa sempre per rabbia e per soldi. Un raptus spinge ad afferrare un coltello o una pistola piuttosto che del veleno. Inoltre tutti sanno come usare una pistola, ma pochi hanno le conoscenze adatte su dosi letali, concentrati letali e persino come procurarsi il veleno giusto. Un proiettile in testa è una garanzia, ma se col veleno sbagli qualcosa darai il tempo alla vittima di raggiungere l'ospedale dove le verrà somministrato un antidoto. 
Per questo motivo ho passato gli ultimi giorni a navigare su Internet. La mia attenzione è stata inizialmente catturata da un classico: il cianuro. Le pillole di cianuro di potassio uccidono quasi all'istante. Ne utilizzò una anche Hitler per suicidarsi. Probabilmente uno dei metodi meno dolorosi per andarsene da questo mondo. Il problema è che non saprei come convincere qualcuno ad ingerire una pillola di cianuro di potassio, funzionerebbe soltanto con qualche anziano abituato ad assumere farmaci. Io invece ho già deciso chi uccidere: un mio compagno di classe.
Non voglio essere arrestato, certo, ma per assicurarmi di rimanere freddo anche dopo l'assassinio c'è bisogno di qualcuno che sospetti di me, qualcuno che mi interroghi. Se passerò tranquillamente l'interrogatorio della polizia, avrò avuto successo.
Escluse le pillole, ho cominciato a pensare ad altri derivati del cianuro, come l'acido cianidrico. Ve n'è una piccola quantità nei noccioli della frutta e nelle mandorle amare. Oppure potrei semplicemente comprare l'olio di mandorle amare, utilizzato per molte ricette. Ho letto che con due chucchiaini si dice addio a questo mondo per sempre. 
C'è solo un problema: è amaro. Per uccidere qualcuno a scuola dovrei avvelenare la sua bottiglietta, dove i famigerati cucchiaini verrebbero diluiti. Non so quanti sorsi occorrerebbero per un effetto letale, ma la vittima non andrebbe oltre il primo sorso per via del sapore. A meno che non si tratti di acqua minerale.
Una volta ne parlarono spesso in televisione: criminali che iniettavano detersivo nelle bottiglie di acqua minerale al supermercato. Delle persone morirono per aver bevuto quell'acqua. Probabilmente hanno bevuto più di un sorso: per quel che mi riguarda, ogni volta che bevo acqua minerale mi sarebbe impossibile capire se sia avvelenata o no, per quanto fa schifo. Chissà se nella mia classe c'è qualcuno a cui piace?
Per qualche istante sono rimasto affascinato dalla versione liquida del gas nervino utilizzato nei campi di sterminio nazisti, ma alla fine ho deciso per il detersivo. Sono un sadico? Un pazzo? Può darsi. Non nascondo il fatto che tutto questo mi eccita, ma so quello che sto facendo. Sarà il mio primo ed ultimo omicidio.
Perché ciò che io voglio davvero uccidere...
E' la mia umanità.

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Capitolo 3
*** 30 Ottobre ***


30 Ottobre 2012
 
Perché io? 
E' per il fatto che sono un asociale? Il mondo è pieno di persone asociali. Sono davvero un malato? Il mio parlare di esperimenti ed esistenze superiori è soltanto una classica giustificazione da assassino? Come il vampirismo, gli alieni, la voce di Dio? Ma, anche se così fosse, penso che alla fine siamo tutti un po' malati.
 
Questa mattina mia nonna è venuta da noi per l'ennesima puntura. C'è una siringa in un cassetto della cucina che mia madre utilizza ogni volta. Così, dopo pranzo, l'ho presa ed ho bucato la mia bottiglietta dell'acqua. Mentre bevevo, il liquido ad uscire dal foro era talmente poco da non destare il minimo allarme. Perfetto. 
Subito dopo mi sono reso conto che ormai era già iniziato. 
Fin'ora erano solo pensieri. Fantasie di un adolescente che sarebbero potute rimanere nient'altro che fantasie. Ma ora avevo iniziato a sperimentare. Ora, grazie alla pratica, sapevo di poter utilizzare quella siringa per iniettare qualsiasi cosa nelle bottigliette altrui. Quando qualcuno se ne sarebbe accorto, sarebbe stato troppo tardi. 
Durante il pomeriggio ho cominciato a rovistare fra i detersivi di mia madre. E' la dose a fare il veleno, quindi li ho provati tutti. Osservavo ciò che succedeva all'interno di un bicchiere in cui mettevo acqua minerale e detersivo. Alcuni detersivi reagivano, altri no. Alcuni cambiavano colore alla soluzione, altri no.  Sono stato l'intero pomeriggio a sperimentare, lontano da occhi indiscreti, finché non ho trovato la soluzione perfetta: incolore e quasi inodore. Purtroppo non posso verificare se il sapore è talmente forte da scostarsi da quello dell'acqua minerale. Per fortuna la mia è una siringa da parecchi millilitri. Ciò su cui devo concentrarmi ora è studiare la situazione nella mia classe: chi beve acqua minerale? Qual è il momento migliore per iniettare il veleno? Quale il luogo migliore? 
Quanto a ciò che sarebbe successo dopo, sarei stato uno degli ultimi sospettati. 
Di norma sono mite e chiuso in me stesso, ma ho buoni rapporti con tutti. Mi concedo delle battute, ogni tanto. Rido alle battute degli altri, ogni tanto. Ho buoni voti e per i professori sono uno studente modello anche dal punto di vista disciplinare. Cosa può andare storto? Nulla. Per questo sono così eccitato: nulla può andare storto.
Il barista all'interno della scuola, i professori, gli studenti della mia classe e quelli delle classe vicine, tutti saranno sospettati. Ed io sarò un sospettato come gli altri. Probabilmente verranno presi di mira quelli in cattivi rapporti con la vittima. Forse, in assenza di prove, la polizia arresterà chi avrebbe avuto un movente per farlo, pur di chiudere il caso. Tutto per la felicità della stampa e dell'opinione pubblica. Il ragazzo che avrebbero acciuffato sarebbe diventato un eroe dopo qualche anno di processi. Buon per lui. Ma movente a parte, non c'era nulla che avrebbe potuto distinguermi dagli altri. Quindi perché io? Perché solo io voglio fare questa cosa e non qualcun altro come me? Sono così diverso dagli altri?
E' vero, da bambino uccidevo le formiche. Ma non è forse quello che fanno quasi tutti i bambini cresciuti in aperta campagna? A dire il vero io non mi limitavo ad ucciderle. Adoravo torturarle. Si, mi faceva impazzire. 
Vederle agonizzare, troppo piccole per emettere un grido straziante che avrebbe dovuto riportarmi alla realtà. Staccavo loro una zampetta alla volta, oppure le riempivo di ferite con un ago sottilissimo. Il mio era uno sfogo per qualche maltrattamento subito? O sono semplicemente una di quelle poche persone in questo mondo ad essere sincera con se stessa? Chi può dire di non aver mai avuto manie simili da bambino? Chi può dire di non aver mai provato piacere nell'accendere un fuoco o uccidere/torturare qualche piccolo insetto? Siamo tutti un po' malati.
Quando in televisione viene data la notizia di un massacro sconvolgente, un disastro naturale di dimensioni bibliche, qual è il primo pensiero di noi esseri umani? Qualcosa di terribile successo a centinaia di chilometri da casa nostra. Come ci sentiamo? Non abbiamo motivo di essere terrorizzati, non subito almeno. C'è la sorpresa, ma subito dopo cosa c'è? Dispiacere? Malinconia? No, questo arriva subito dopo, quando la ragione inizia a dire la sua. Che cosa succede dentro di noi in quell'istante di tempo  che segue la sorpresa e precede la malinconia? Eccitazione.
Il brivido che solo una grossa esplosione, il panico generale ed un'onda di trenta metri sanno provocare. Le persone sono affascinate dalle catastrofi, sono affascinate dagli omicidi efferrati commessi in famiglia. I media sanno che parlare di corruzione e progetti per il futuro, oltre ad essere inconveniente è anche poco delizioso per il pubblico. Le persone vogliono la violenza. L'hanno voluta migliaia di anni fa all'interno del Colosseo e la vogliono ancora oggi. Solo che nessuno lo ammette. Nessuno dice "non vedo l'ora che un'altra città venga distrutta da un maremoto" oppure "non vedo l'ora di sapere chi è stato ucciso oggi". Eccola la differenza tra me ed una persona qualsiasi. Io non nascondo i miei istinti. Perversioni che condivido con tutti gli altri ma che non ho paura di assecondare. La società non ha alcun effetto su di me. Trovo affascinante questo bisogno inconscio di violenza. Non mi spaventa.
Voglio studiarlo. Voglio capire se esiste davvero, il libero arbitrio di cui si parla.  Voglio sbarazzarmi di questa ipocrisia contagiosa ed assecondare ciò che il mio corpo desidera veramente. 
Io sono l'essere umano.

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Capitolo 4
*** 3 Novembre ***


3 Novembre 2012
 
Ho 17 anni e... 
Sono un assassino? Cos'è un assassino?
Oggi, per la prima volta, ho portato la siringa piena di detersivo a scuola. Era nascosta nel mio zaino, uno strumento di morte occultato da libri e quaderni di una vita quotidiana qualsiasi. Le bottigliette andavano e venivano. Fortunatamente, l'acqua minerale sta quasi diventando una sorta di moda. E' questione di tempo prima che qualcuno vorrà la sua prima bottiglietta, ed andrò io a prendergliela. Nulla di strano in questo, ormai lo faccio spesso. Durante la pausa ricreativa annoto su un pezzetto di carta le varie bevande e merende, e vado a comprarle nel bar. Il barista mette tutto dentro una busta, ed io tocco soltanto quella busta. 
Mancano pochi gesti. Basta che la prossima volta porti la siringa con me e faccia una deviazione in bagno per iniettare il detersivo. Tutto quello che dovrò fare poi, è quello che faccio sempre: poggiare la busta su un tavolo, vedere i miei compagni assalire gli alimenti come morti di fame. L'unica differenza sarà che fra quei morti di fame, uno morirà per davvero. 
Ma finché ciò che non accadrà, io cosa sono? Una persona qualsiasi? Posso ancora tornare indietro dopo essere arrivato fino a questo punto? 
Non ho ucciso nessuno, ma l'ho pianificato. L'ho testato. Ho portato un'arma a scuola. 
Sono un assassino? E se lo sono, quale è stato il gesto determinante? La pianificazione o i primi esperimenti? Il riempire la siringa di detersivo o il portarla a scuola? E' così che ho realizzato quanto sia sottile la differenza fra una persona qualsiasi ed un omicida. E' questione di pochi gesti. Piccoli insignificanti gesti, in questo caso. Persino un bambino potrebbe uccidere con il veleno. Un bambino... 
Che cosa proverebbe un bambino nell'uccidere? Lo stesso bambino che fa strage di insetti ed ama vedere come il fuoco divora l'esistenza, avrebbe dei sensi di colpa? Ho sempre visto i bambini come quanto c'è di più puro, di più vicino a ciò che l'essere umano rappresenta. E' la cultura ed il contesto sociale ad impedirmi di far soffrire un animale, non la mia natura. Molto probabilmente non posso nuocere alle persone a cui voglio bene, ma che cosa posso fare ad una persona qualsiasi se abbandonassi la ragione? La ragione si basa sui ricordi, e questi ultimi si basano a loro volta sulle esperienze personali. Esperienze fortemente condizionate dalla cultura e dalla società. 
Io devo tornare bambino. Devo tornare ad essere quell'uomo a cui non sono ancora state impartite nozioni di bene e male. Cos'è giusto e cos'è sbagliato. Non escludo la possibilità che questo dipendi dalla nostra natura, ma in quel caso lo scoprirò fra poco. 
 
A volte leggo quanto ho scritto. E mi rendo conto quanto possa sembrare folle a chi non capisce quali sono le mie motivazioni. Io sto cercando di abbattere le nostre convinzioni, perché sono dei limiti. La società e la cultura sono dei limiti che donano ordine in cambio di potenziale umano. Siamo davvero disposti a sprecare le nostre potenzialità pur di avere ordine nella nostra vita? Siamo più forti di quello che sembriamo. Più intelligenti di quello che crediamo di essere. Bisogna abbandonare la soggettività, perché è anch'essa una limitazione. Ed il mio omicidio non farà altro che far morire una cellula in più del normale. Persino in questo preciso istante stanno morendo, in contemporanea, decine di persone. Eppure il mondo va avanti, l'essere umano esiste ancora, l'Universo esiste ancora. 
Finché continuerò a rifugiarmi nella convinzione che la morte sia sbagliata, ancora più sbagliata se causata da me, non arriverò mai alla verità. La morte non è sbagliata. E' ciò che domina l'Universo. La vita è un piccolo barlume luccicante nell'oscurità. Vivendo come tutti i giorni, sprechiamo inutilmente questo istante di luce. E' l'unica manifestazione che abbiamo per studiare l'oscurità che ci circonda, prima di tornare ad essere oscurità noi stessi. 
Eleviamo finalmente questa esistenza ad uno stadio superiore. 
Chi è Dio?
Io sono Dio.

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Capitolo 5
*** 8 Novembre ***


8 Novembre 2012
 
Tizio a sinistra della seconda fila. Si chiama così.
Oggi ha voluto la sua prima bottiglietta d'acqua minerale, ed io l'ho segnato sul foglietto sforzandomi di non cambiare espressione. Terminata la lista sono uscito dalla classe ed ho raggiunto le scale con le monete che tintinnavano nelle mie tasche. Ho incrociato la mia professoressa di italiano, che ho salutato. Ma lei mi ha fermato. 
Quel gesto mi ha decisamente turbato. Nonostante non ci fosse alcun motivo per intuire anche lontanamente ciò che avevo intenzione di fare, mi sentivo come un piccolo ladruncolo scrutato dall'alto da chiunque. Tuttavia ero preparato a queste sensazioni, sapevo che in questi istanti ogni particolare l'avrei interpretato come un pericolo.
Sforzandomi di rimanere calmo, ho chiesto alla professoressa cosa c'era che non andava. Lei mi ha guardato con affetto dicendo che aveva appena finito di leggere il mio tema. Me ne parlava quasi con le lacrime agli occhi. "Continua sempre così", mi ha detto, e mi ha lasciato andare. Come avevo immaginato, non c'è motivo di allarmarsi in questi momenti. Nonostante quello che pensi, agli occhi degli altri non sei altro che uno studente che va a prendere le merende. Nulla di pù, nulla di meno.
Ho dato la lista ed i soldi al barista, sorridendo come avevo fatto con la professoressa. L'avrebbero detto alla polizia quando sarebbero stati interrogati che quel giorno io sorridevo beato. Mentre riempiva la busta ho fatto attenzione ad ogni singola bevanda. L'acqua minerale, purtroppo, è stata presto coperta da altra roba. Una complicazione che avevo previsto. Ho afferrato la busta, e per fortuna soltanto io ho notato che la mia mano stava tremando. La mia maledetta mano non ha smesso di tremare un singolo istante.
Sulla via del ritorno, ho camminato il più lentamente possibile. Prima di fare ciò che stavo per fare, dovevo diventare un fantasma. Dovevo smettere di esistere nel mondo altrui, essere fuori da qualsiasi campo visivo. Appena ho notato questi requisiti, mi sono catapultato nel bagno vicino. Vuoto. 
Ho alzato i pantaloni dalla caviglia sinistra ed estratto la siringa, facendo attenzione che non colasse il detersivo. L'avevo avvolta nella carta per ridurre ulteriormente il rischio. A quel punto ho estratto dalle mie tasche un panno che mi sono portato da casa e che ho utilizzato per rovistare delicatamente all'interno della busta. 
Prima di prendere la bottiglia, ho avuto la bruttissima sensazione che qualcuno stesse per entrare da un momento all'altro. Così, come se fosse un errore da poco, ho chiuso a chiave la porta del bagno. Con la destra reggevo la bottiglietta con il panno, e con la sinistra iniettavo il detersivo nel collo di plastica. Dopo quel gesto, quel gesto che avevo ormai fatto innumerevoli volte, tutto è cambiato. Mi è sembrato di scivolare in un altro mondo, fatto di dolore e tristezza. Mentre toglievo le mie impronte dalla maniglia della porta, ho visto "Tizio a sinistra della seconda fila" sputare sangue. Anzi.
Io sapevo come si chiamava quel ragazzo. 
Ho viste le facce in lacrime di genitori e familiari che non conoscevo. Ho visto il volto sofferente di una sorella che forse aveva e forse non aveva. Di un fratellino più piccolo che forse aveva e forse non aveva. Dopo quel gesto, sono entrato in un mondo di pura disperazione. 
Sono tornato in classe, al mio posto, dove sarei dovuto restare fino al termine dell'ora insieme alla busta delle merende. Lui stava chiacchierando col compagno di banco. 
Perché? Perché tutto stava diventando improvvisamente così complicato?
Un suono della campanella, e quel ragazzo avrebbe fatto tutto da solo. Il mio compito era già finito. Non dovevo fare più nulla: solo assistere alla scena e recitare la mia parte sperando che tutto filasse liscio. 
Non era neanche più questione di gesti, era questione di tempo. Io ero già un assassino. Avevo già ucciso. Quel ragazzo era già morto. 
Poi un immagine ha offuscato, con inaudita prepotenza, ogni mio pensiero. Occhi colmi di affetto. Occhi colmi soddisfazione. Ma soprattutto, quegli occhi erano colmi di aspettative. Erano gli occhi della professoressa di italiano incrociata poco fa per le scale. 
A quel punto, senza pensare più a nulla, ho preso dello scotch dal mio astuccio con cui ho chiuso il foro della bottiglia avvelenata, e l'ho messa nel mio zaino mentre nessuno guardava. 
 
Dopo il suono della campanella ho assistito all'enesima scena dei morti di fame che assalivano la busta. Il ragazzo della seconda fila stava cercando, inutilmente, la sua bottiglietta di acqua minerale. "Ah si, scusami, l'ho dimenticata al bar, vado a prenderla". E così ho fatto. Ovviamente non c'era nessuna bottiglietta dimenticata: ne ho comprata una nuova di tasca mia. Ironico, no? Colui che doveva sciogliere i nodi dell'esistenza, offre una bottiglietta d'acqua incontaminata alla sua vittima. Quando sono tornato in classe, ho visto la sua faccia: era il volto di un ragazzo che, in questo momento, sarebbe dovuto essere morto. Ed ora eccomi qua, a ridere davanti la carta mentre scrivo del mio fallimento. 
Affascinante.
Assolutamente affascinante.
Ecco cosa si prova all'essere da un passo dall'uccidere qualcuno. Ho pensato al dolore che avrei causato alla famiglia del ragazzo. Ho pensato alla vita innocente e piena di successi che posso ancora fare, come molte persone si aspettano da me. Ho pensato a tutto quello che implica davvero un omicidio, a tutte le vite che distrugge la morte di un singolo uomo. 
Affascinante.
Ora so di essere pronto. Ora posso davvero farlo, posso uccidere qualcuno. 
Ho 17 anni ed oggi ho ucciso la mia umanità.

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Capitolo 6
*** 12 Novembre ***


12 Novembre 2012
 
Quando sono tornato a casa, quel giorno, sono andato nel mio giardino.
C'era l'albero in cui da bambino catturavo le formiche più grosse per ucciderle. L'ultima volta che l'ho fatto avevo nove anni. Ormai avevo già perso l'abitudine, e il riprovare non ha fatto altro che farmi sentire male.
Forse è più o meno in quel periodo che cominciamo ad immedesimarci nelle altre esistenze. A capire che l'Universo non esiste soltanto dal nostro punto di vista. Ma la voglia di uccidere e di torturare non muore mai: viene solo offuscata. Tutto ciò che si sperimenta da bambini può essere smarrito, ma mai eliminato del tutto: amore, paura, tristezza, odio, sadismo. 
Ho preso la formica più grossa che ho trovato. Era enorme: con le sue tenaglia riusciva a farmi del male. L'ho lasciata libera di correre per la mia mano, per un po', contemplandola. Ho cercato di apprezzare ogni cosa di quella formica, compresi i minuscoli particolari che la rendevano unica rispetto a tutte le altre. Sono andato avanti così per decine di minuti, cercando di creare una motivazione dopo l'altra per non uccidere la formica. Poi, le ho strappato una zampa.
L'ho vista spalancare le fauci come in un urlo, anche se nulla giungeva alle mie orecchie. Ho sorriso.
Non provavo assolutamente nulla. Ero come qualcuno che era stato sul punto di morire a causa di una tossina e, in bilico fra la vita e la morte, era sopravvissuto. Ora il mio organismo era cambiato per sempre. Era immune a quella tossina. Quel giorno io avevo fatto tutto quello che c'era da fare. Avevo già sferrato la coltellata. Avevo già sparato.
Poco dopo ho strappato un'altra zampetta alla formica, poi un'altra ancora provando sempre più piacere nel farlo.L'ho lasciata con due zampette e l'ho messa per terra. Avanzava a stento. L'ho ripresa e ne ho strappata un'altra. Quando infine stavo per schiacciarla, ho deciso di non farlo. In quelle condizioni, sarebbe morta da sola per il dolore, per le ferite, o forse addirittura per l'impossibilità di procurarsi del cibo, di sfuggire ai predatori e tornare nel formicaio. Per la prima volta dopo anni, il pensiero di tutto ciò non mi turbava affatto. Non ho torturato la formica. La formica è ancora lì, su quell'albero. E' su quell'albero vicino. E' su un albero dall'altra parte del mondo. La vita continua, le formiche continuano a morire, l'Universo continua ad esistere. 
 
I giorni seguenti ho notato che gli incubi sono scomparsi. Ho sempre evitato di scriverlo fin'ora, forse perché non riuscivo ad accettarlo, ma ogni notte per me era un tormento. Sognavo il cadavere di un ragazzo senza volto, sognavo la polizia che mi dava la caccia. Sognavo me stesso mentre ingerivo una pillola di cianuro e crollavo nell'oscurità eterna, svegliandomi di soprassalto poco dopo. Ora invece è tutto finito. Sogno ancora di ciò che avrei fatto tra non molto, ma non si tratta più di incubi. Sono sogni stupendi.
E' la sensazione di aver già ucciso e di vivere le giornate, nonostante ciò, come se nulla fosse a darmi questa forza. Forse dovrei fermarmi qui? Dopotutto è proprio questo quello che cercavo. Ma come faccio a sapere che non manchi qualcosa? Non so come reagirei davanti ad un vero cadavere, davanti a due poliziotti intenti ad interrogarmi. Nonostante l'incredibile sensazione che provo, non posso fermarmi qui. Devo trasformare i miei vecchi incubi in realtà ed affrontarli. Soltanto quando sarò in grado di guardare l'essere umano come la forrmica sull'albero  potrò ragionare fuori dagli schemi. A quel punto non ci saranno più formiche ed esseri umani. Soltanto la vita. E la morte.
Soltanto un'immensa oscurità che io avrò il privilegio di esplorare con un flebile fiammifero. E allora sono sicuro che capirò: perché la vita? Perché la morte? E senza la vita, che cos'è la morte?
Chi è Dio? Sono io? E' quella formica? E' la persona che ucciderò con il veleno?
Chi è l'essere umano? Questo essere che pare andare contro qualsiasi ordine impartitogli dalla Natura. Questo essere in grado di uccidere e di amare gli altri, di togliersi la vita e di amare se stesso. Sono io l'essere umano? E' quella formica? L'essere umano è Dio?
Quanto ancora dovrò sopportare questa impotenza?

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Capitolo 7
*** 16 Novembre ***


16 Novembre
 
Ho 17 anni e sono un assassino. 
Nulla e nessuno può ormai metterlo in dubbio. 
Ho ucciso. L'ho fatto. A causa mia un essere umano ha smesso di vivere, per sempre. A causa mia decine di persone stanno soffrendo. A causa mia la polizia sta svolgendo le indagini, i media hanno iniziato a mangiare la foglia, la mia tranquilla realtà è stata scossa da un terremoto. 
E' successo tutto ieri. Il ragazzo della fila in fondo ha ordinato la sua prima bottiglietta d'acqua minerale. Il resto è stato tutto esattamente come l'ultima volta con un'unica, sostanziale differenza: le mie mani non tremavano. Non ho sentito le grida dell'Inferno nella mia testa, la fiducia delle altre persone in me non mi ha impedito di portare a termine il mio compito. E' stato proprio come prendere quella grossa formica dall'albero del giardino di casa, solo molto più eccitante. Il ragazzo della fila in fondo ha preso la bottiglietta avvelenata e l'ha poggiata sul suo banco. Il foro con la siringa era fatto in un punto in cui l'acqua non poteva colare, ed era praticamente invisibile ad occhio nudo. Al suono della campanella, l'ha stappata. Ha bevuto un sorso, due sorsi. Al secondo sorso ha fatto una faccia molto strana, ma ne avrebbe fatto un terzo se non fosse stato per il fatto che a quel punto ha lasciato cadere la bottiglietta.
L'acqua si è sparsa per tutta l'aula. Qualcuno si è scandalizzato, qualcun altro ha riso. Il ragazzo della fila in fondo ha portato le mani alla gola come se non riuscisse a respirare. A quel punto quasi tutti ridevano, convinti di trovarsi di fronte all'impeccabile recitazione di un talentuoso burlone. Soltanto quando ha vomitato sangue hanno smesso di ridere.
Non c'erano professori in aula: chissà cosa comporterà questo in futuro? Il ragazzo della fila in fondo era già a terra quando il prof è finalmente arrivato. Tutti urlavano, me compreso. Urlavo dall'eccitazione. 
L'avevo fatto. L'avevo ucciso io e non riuscivo ancora a crederci. Ero completamente esaltato, completamente preso da quell'incredibile senso di potere. Non metto in dubbio il fatto che in quel momento, probabilmente, ero fuori di senno. Ero fuori dal mondo, come una sorta di autodifesa per non guardare faccia a faccia quello che avevo fatto. E con ciò? La psicopatia non è un fallimento dell'evoluzione. Lo psicopatico non viene rifiutato dal mondo: continua a vivere come fanno tutti gli altri. 
Alla fine ho ripreso il controllo. Ho guardato il ragazzo contorcersi a terra mentre l'insegnante chiamava disperato un'ambulanza. Quando quest'ultima è arrivata, il ragazzo si muoveva a scatti irregolari. Aveva gli occhi vitrei ed un'espressione cadaverica. In quel momento non ho potuto fare a meno di pensare a quanta ipocrisia ci sia nel mondo. Quella classe era dominata dal terrore. Eppure molti dei miei compagni sono ragazzi di campagna, abituati a vedere i loro nonni mentre sgozzavano la gallina o il coniglio. Anche il coniglio si muove a scatti irregolari quando sta per morire, ed anche i suoi occhi si tingono di quel nero cristallino che pare emanare tutto tranne che la vita. Come due sfere di vetro al posto degli occhi. Nonostante tutto ciò, per loro la morte del coniglio non è nulla in confronto a quella di un essere umano. Per me invece sono esattamente la stessa cosa. Sono un assassino tanto quanto lo sono i loro nonni. Tanto quanto lo è un bambino dedito ad uccidere formiche. 
Chi non ha mai ucciso, dopotutto? Tutto muore. Le nostre stesse cellule muoiono ora dopo ora per essere sostituite da nuove. Allo stesso modo, mentre quel ragazzo moriva, tre nuovi bambini sono nati da qualche parte nel mondo. Quando la famiglia lo è venuta a sapere  ed ha pianto disperata, cinque nuove famiglie hanno festeggiato il compleanno dei loro figli. Cos'ho fatto di così crudele? Cos'ho fatto all'essere umano, cos'ho fatto all'Universo? 
Nulla. Assolutamente nulla.
L'uomo è la formica, la formica è l'uomo. La realtà è come un cielo stellato: un'oscurità profonda costellata di flebili luci. Da un punto di vista limitato come quello di una stella, ci si accorge subito se la stella a noi più vicina si spegne per sempre. Ma se si guarda il cielo nella sua interezza, una stella che viene a mancare non è assolutamente nulla. 
 
Il ragazzo della fila in fondo è morto sull'ambulanza, sul tragitto verso l'ospedale. A scuola sono venuti a riprenderci i nostri genitori. Mia madre era sconvolta ed era molto preoccupata anche per me. L'unica cosa che pensai quando la vidi è come mi sarei sentito se l'avessi uccisa. Avrei dovuto provare?
No, ora c'erano altre cose che dovevo fare. Finalmente sarei stato ricompensato per tutto il mio operato.

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Capitolo 8
*** 23 Dicembre ***


23 Dicembre

Soltanto ora riesco a buttar giù qualche riga dopo innumerevoli macchinazioni giudiziarie ed interrogatori, schemi di una società che non mi appartiene, soprattutto dopo l'atto supremo. Gli psicologi si consultano con noi nel vano tentativo di scovare il "giovane killer". Non capiranno mai che è possibile commettere un omicidio anche senza un movente e senza essere degli psicopatici.
Li odio. Odio l'atmosfera ipocrita in cui sono stato catapultato. Odio i giornalisti che circondano la scuola; semplicità o menefreghismo, qualunque sia il movente delle loro gesta ipocrite.
Come avevo immaginato sin dall'inizio, ormai non riesco più a vivere la vita dei tutti i giorni. Dopo quest'esperienza non riesco più a pensare a cose come la scuola, la famiglia e le preoccupazioni quotidiane. Approfittando dello shock che avrei teoricamente dovuto subire dal punto di vista degli altri, mi rinchiudo nella mia stanza per ore ed ore. La stessa stanza da cui sto scrivendo in questo momento, in completa solitudine.
Non ho mai avuto molta privacy: nella mia camera era un continuo entrare ed uscire di mia madre e mio padre. Ora invece mi trattano con timoroso rispetto, o forse dovrei dire "con pietà". Se mi chiudo in camera, raramente vengono a chiamarmi. E se lo fanno bussano sempre.
Con il passare dei giorni la mia depressione peggiora sempre più, libera di vagare incontrastata nei meandri della mia mente e del mio corpo, senza schemi mentali e sociali che possano tenerla a bada. Ho sempre avuto i miei momenti di depressione dovuti a questa società in cui vivo, ma erano sempre stati sporadici ed irregolari finché non ho deciso di fare qualcosa per dare ordine alla mia vita.
Mi sono trovato di fronte a un bivio. Da una parte una vita completamente assorbita dalle questioni sociali, convinto di dover far qualcosa per risanare questo mondo (sempre che sia mai stato sano), dall'altra arrendermi ed adattarmi al mio ambiente vivendo la mia vita come la società si aspetta dedicando all'impegno sociale solo qualche vaga speranza.
Quello che voglio dire è che non mi sono semplicemente alzato una mattina convinto di dover uccidere qualcuno, quella è stata la conclusione a cui sono giunto dopo anni di riflessioni. Da quando mi sono posto il problema ho fin da subito voluto sacrificare la mia felicità per dedicarmi ai mali della società sfornando una possibile situazione dietro l'altra. Ma poi mi sono accorto che, nonostante tutto, io continuavo ad essere lo studente modello, il figlio di genitori, il giovane ragazzo italiano consumatore. Continuavo ad essere umano, con tutti i suoi pregi e difetti.
Non riuscivo ad uscire dalla gabbia in cui sono stato rinchiuso, in cui gran parte dell'umanità è rinchiusa.
Quando la mia depressione diventava insostenibile, preferivo dimenticare tutto e dedicarmi a qualcos'altro, non volendo mai ammettere che una parte di me, di cui tutt'ora mi vergogno, pensava che fosse impossibile cambiare la società. Ma adesso sono qui, chiuso nella mia depressione senza possibilità di distrarmi con qualcos'altro. Perché ormai per tutto il resto io non ho più interesse. I libri che leggevo, la musica che ascoltavo, gli argomenti a cui mi dedicavo. E' tutto scomparso, forse per sempre.
Ora passo gran parte del mio tempo nel Mondo Grigio.

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Capitolo 9
*** Dicembre ***


Dicembre

Il Mondo Grigio è calmo e silenzioso. I colori non esistono ed il tempo non esiste. Nel Mondo Grigio l'unica cosa che conta è il pensiero, che non si esprime a parole ma in sensazioni a me sconosciute. Nelle emozioni che vivo in questa dimensione non riesco a distinguere nulla che mi sia familiare: amore, odio, malinconia, stupore, non c'è nulla di tutto questo. O forse è proprio l'insieme di tutte queste emozioni a creare questi nuovi ed indescrivibili stati d'animo.
E' da anni che visito il Mondo Grigio, ma soltanto ora riesco a farlo volontariamente e con costanza. La prima volta penso che accadde mentre mi trovavo a scuola, durante l'ora di inglese. Una lezione come tutte le altre, e fu proprio questo a catapultarmi in quel mondo. All'improvviso, più o meno inconsciamente, ho realizzato quanto fosse inutile quello che stavo facendo in quella classe. Non solo io: anche i miei compagni erano assorbiti in qualcosa di completamente inutile ed irrilevante. La stessa professoressa stava facendo qualcosa di inutile. In un istante ho esteso questa consapevolezza alle classi vicine e poi a tutta la scuola. Ho inglobato in questa mia illuminazione tutte le scuole d'Italia e tutte le scuole del mondo fino a rendermi conto che in quel preciso momento c'erano milioni e milioni di persone, fra studenti ed insegnanti, a fare qualcosa di completamente inutile.
L'enorme peso di questa consapevolezza mi ha catapultato nel Mondo Grigio. La voce della professoressa si è fatta sempre più ovattata fino a scomparire completamente. I colori sono stati sostituiti da varie tonalità di grigio, dal bianco e dal nero. Non percepivo più alcun movimento e mi sentivo come in una vecchia foto del dopoguerra. La mia testa si è voltata automaticamente, lentamente, verso il cielo. Verso l'Universo sconfinato dove tutti noi avremmo dovuto essere. Per qualche istante sono stato proprio lì, nei meandri scuri dell'Universo, ed ho osservato la Terra dove gli uomini si dichiaravano guerra fra loro ed erano completamente assorbiti dai loro insignificanti schemi sociali, ignorando la vastità dello Spazio e le questioni veramente importanti, cioè quelle che non hanno nulla a che fare con i problemi dell'essere umano.
Dopo quella volta, sono ripiombato in questa sorta di trance soltanto in un paio di altre due occasioni. E' per esperienze come questa che non sono riuscito ad adattarmi alla società come fanno tutti, perché nel farlo dovrei appunto ignorare il fascino che mi trasmette l'Universo. Più che per giustizia sociale, un mondo pacifico dovrebbe esistere proprio per trasformare in realtà anche la più sfrenata immaginazione. L'uomo deve maturare la consapevolezza di essere un osservatore del Mondo.
Dopo aver ucciso, il Mondo Grigio è diventato quotidianità. Ogni giorno la mia mente, per qualche istante, viene catapultata in questa dimensione universale dove tutte le questioni umane diventano insignificanti, persino il voler cambiare la società è insignificante. Essere uomo, donna, vivo, morto. Nulla di tutto questo ha più senso. Tutto quello che conta è il decifrare il tornado di sensazioni in cui ci si ritrova all'improvviso.
In questi giorni è come se tutto, intorno a me e dentro di me, si sgretolasse. Inoltre le ceneri che ne risultano vanno a mischiarsi fra loro al punto che non mi è più possibile ricordare quale fosse la differenza fra me e tutto il resto. Non ricordo più nemmeno perché sto scrivendo. Perché dovrei scrivere? E' così stupido. Così stupido, stupido, stupido.

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Capitolo 10
*** ... ***


Questa è la fine.
Ora riesco a vedere chiaramente quello che l'uomo ha fatto fin'ora e che continuerà a fare fino al suo completo annientamento se qualcuno non interviene. Pensiamo di essere liberi, ma non lo siamo. Forse non lo siamo mai stati.
Tuttavia, io ho appena conquistato qualcosa di inestimabile. Nonostante la mia educazione, il mio aver vissuto in uno schema sociale predefinito interagendo con persone anch'esse educate allo stesso modo, non mi ha impedito di liberarmi da queste catene. Per anni ho riflettuto su cosa andasse fatto e su che ruolo avrei potuto avere io in questo grande progetto.
Le migliori idee arrivano mentre si scrive.
Fu una mia professoressa a dirmelo, e da lì in poi ho cominciato a mettere su carta tutti i miei pensieri, tutte  le riflessioni che mi hanno accompagnato in questi mesi. Ho trasformato in realtà tangibile quello che avevo scritto, poi ho continuato a scrivere, sprofondando sempre di più in quel mondo così freddo all'apparenza. Ma poi l'ho capito. Ho capito cos'è il Mondo Grigo: è la Libertà. E' la mente di un uomo libero, che non vive più condizionato dall'educazione ricevuta, non vive più di una realtà che lui da per scontata. Vive in un mondo ancora in costruzione, dove è l'uomo stesso a costruire il suo futuro. Questo mondo è Grigio perché soltanto una piccolissima parte di ciò che rappresenta l'essere umano è in grado di entrarvi. Quella piccola parte sono io e forse qualcun altro molto lontano da me.
Siamo così pochi che questo nostro mondo sembra incolore, privo di ordine e per questo difficile da esplorare a fondo. Ma cosa succederebbe se tutti, come me, riuscissero a conquistare la libertà della propria mente e quindi del proprio corpo? Cosa succederebbe se l'uomo non fosse più spaventato dall'omicidio e da tutto ciò che delimita la nostra potenzialità? Fin dove può arrivare quest'essere?
Quest'essere che oggi viaggia più veloce del suono stesso, che se solo volesse potrebbe distruggere il mondo intero e probabilmente lo sta già facendo. Per migliaia di anni siamo vissuti con la convinzione di essere inferiori a qualcuno o qualcosa, di essere solo il mattone di una piramide incapace persino di vedere la cima. Abbiamo adorato quest'ultima parlando di dei, descrivendoli come esseri onnipotenti in grado di fare il possibile e l'impossibile. Mentre noi ci siamo sempre descritti come esseri mortali, terreni, peccatori, inferiori, incompleti, imperfetti.
Ora io dimostrerò che tutto questo è falso.
Ho ucciso e lo farei ancora se avesse senso farlo. Mi appare così lontana quell'euforia provata al momento dell'omicidio, quell'eccitazione quasi sessuale di fronte a quel cadavere. Allo stesso modo mi appare lontano e distante quel mondo di lacrime, dolori e sensi di colpa provati ancora prima. Davanti a quello che ho fatto rimane soltanto un'indifferenza sconcertante. Sto forse perdendo le mie emozioni? Ma alla fine, sono davvero così indispensabili queste emozioni? Sono vitali per la mia esistenza? Ultimamente c'è la tendenza di dire che Dio ci ama. Ma l'amore è umano, non divino. Amare implica delle controparti che limitano la libertà di pensiero e di azione. Un vero Dio onnipotente non saprebbe che farsene, dell'amore. Non saprebbe che farsene della rabbia descritta nell'Antico Testamento. L'uomo non ha la più pallida idea di cosa sia un vero Dio.
Creare il mondo in sette giorni? L'onnipotenza e la libertà permettono di andare ben oltre questo. Neanche io riesco a visualizzare bene il concetto di infinito, di onnipotenza e di libertà. Ora che ci penso, il nostro stesso corpo è un dittatore che ci impone dei limiti. Quindi liberiamocene.
Le migliori idee arrivano mentre si scrive.
Non ho più bisogno di scrivere. E presto non avrò più bisogno di molte altre cose.
Io sono Dio.
Io sono l'essere umano.
Io sono la formica sull'albero.
Io sono Libero.
Ho 17 anni e sono un assassino.

FINE.

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