Una goccia di splendore di Alkimia (/viewuser.php?uid=47113)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo episodio ***
Capitolo 2: *** Secondo episodio ***
Capitolo 3: *** Terzo episodio ***
Capitolo 4: *** Quarto episodio ***
Capitolo 5: *** Quinto episodio ***
Capitolo 6: *** Sesto episodio ***
Capitolo 7: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Primo episodio ***
Preamboli di dubbia
utilità:
Nella
mitologia norrena, Snotra era una delle divinità maggiori
(gli Æsir) residenti ad Asgard, il suo nome viene associato
alla schiera di divinità benevole e protettive ed era nota
per la sua saggezza, per la sua attitudine a comprendere le cose e per
il suo nobile aspetto (tra l'altro, wikipedia docet, snotr significa
appunto “assennato”).
Considerando che la versione “marveliana” di Asgard
è parecchio riveduta e corretta, la mia fantasia perversa ha
fatto del personaggio di Snotra una sorta di studiosa, istitutrice dei
figli di Odino.
La storia (fino a eventuale nuovo ordine del mio musO ispiratore...
perché lui è un maschio, ma è una
lunga storia) è composta da sei capitoli/episodi
più un eventuale epilogo sul quale io e Loki ancora dobbiamo
metterci d'accordo. Ogni capitolo è collegato a una
citazione di una canzone di Fabrizio De Andrè
perché ognuno ha i suoi vezzi...
“Io sono la regina dei refusi”. Citazione
pseudo-colta. Per quanto spesso io rilegga le cose prima di postarle,
mi sfugge sempre qualcosa. Sorry.
Pareri, critiche, commenti, suggerimenti sono sempre bene accetti.
Buona lettura.
_________________________________
UNA GOCCIA DI SPLENDORE
1° Episodio
“E neppure la notte ti
lascia da solo:
gli altri sognan se
stessi e tu sogni di loro”
Le stelle erano al loro
posto, inesorabili.
Snotra non aveva mai
trovato particolarmente confortante il silenzio e
l’immobilità delle notti di Asgard né
amava l’inattività e la mancanza di illuminazione.
Le sue notti erano fatte di lunghe ore scandite dal tremolio delle
fiamme e dalla loro luce dorata che le permetteva di leggere le pagine
dei suoi libri o di scrivere i suoi appunti e vergare le sue memorie.
Quella notte
però non riusciva a rimanere concentrata. Aveva letto tre
volte l’inizio di un capitolo ma la sua mente rimaneva
impermeabile alle parole impresse sulla carta.
Richiuse il pesante
volume che teneva poggiato in grembo e si avvolse una ciocca di capelli
attorno all’indice, con un gesto distratto. Da un
po’ di tempo aveva cominciato a notare che il rosso dei suoi
capelli era diventato meno scintillante. In tutti i Nove Regni gli
individui nascono, crescono, invecchiano, si disse, perché
mai ad Asgard avrebbe dovuto essere diverso? Anche ad Asgard il tempo
scorre, per quanto lentamente; anche ad Asgard le persone muoiono.
Il pensiero le
incupì lo sguardo e la donna si ritrovò a fissare
la lingua di cielo visibile tra le tende di seta dorata, una stringa di
nero chiazzato di stelle. L’aria portava l’odore
della pioggia e anche qualcos’altro: presentimenti funesti
che Snotra cercava inutilmente di ignorare.
Da quanti giorni il
figlio di Odino era partito? Il tempo aveva preso a scorrere ad un
ritmo strano e lei aveva perso il conto dei tramonti trascorsi da
quando Thor aveva lasciato il palazzo per tornare su Midgard e
riportare indietro Loki.
Loki era vivo .
Doveva restare un
segreto, secondo il volere del Padre degli Dei, ma non c’era
quasi nulla che riuscisse a rimanerle celato tra quelle pareti dorate e
quella di mantenere un segreto era un’abilità che
a Thor era sempre mancata. Era stato lui, infatti, ad andare da lei e
chiederle se c’era un modo per tornare su Midgard, se nella
biblioteca del palazzo c’era qualche testo che spiegasse come
viaggiare attraverso i Nove Regni senza l’ausilio del
Bifrost. Quando gli aveva chiesto il motivo di questa domanda formulata
con evidente apprensione, il figlio di Odino non era stato in grado di
mentirle.
«Devo tornare
sulla Terra. Loki si trova lì ed è mio dovere
riportarlo a casa».
Snotra si era lasciata
sfuggire un moto di stupore e si era portata la mano al petto sentendo
il cuore pulsarle al ritmo di un'emozione alla quale non sapeva dare un
nome.
«Dunque, lo
hai perdonato?» aveva chiesto semplicemente, dopo qualche
istante di silenzio. Non era l’unica domanda che le si era
affacciata nella mente dopo quella rivelazione, ma era
l’unica la cui risposta le importasse davvero.
«Ho provato
a… comprenderlo»
«E ci sei
riuscito?»
«Non lo so. Ma
è mio fratello».
Credi che lui abbia perdonato te?
Il coraggio di dare voce
a quest'altra domanda però le era mancato. Snotra aveva
semplicemente posato una mano sul braccio di Thor e gli aveva rivolto
un mezzo sorriso triste. Esisteva un modo per lasciare Asgard anche ora
che il Bifrost era distrutto; se in passato Thor fosse stato un alunno
un po’ più diligente lo avrebbe saputo, come lo
sapeva suo fratello.
Snotra si
scoprì incapace di restare seduta alla sua scrivania e
decise di recarsi alla biblioteca del palazzo per riporre il libro che
non era riuscita a leggere.
La biblioteca era
diventata il suo regno incontrastato e lei aveva fatto dello studio e
della cura degli infiniti testi del palazzo la sua ragione di vita, fin
da quando aveva smesso di essere la precettrice dei figli di Odino che
il tempo voleva troppo cresciuti per aver ancora bisogno di
insegnamenti.
Il tempo sa essere un
tale mentitore, alle volte.
Aveva appena posato il
volume sullo scaffale, allineandolo ordinatamente con gli altri, quando
sentì il rombo lontano di un tuono. La notte si arrese alla
tempesta e Snotra seppe che Thor era tornato e quasi certamente non era
tornato da solo. Il principe non era quel genere di persona disposta ad
arrendersi.
La donna si
appoggiò con le spalle alla fiancata di un alto scaffale, il
cuore le martellava nel petto e lei sentì evaporare il suo
consueto buon senso. Sarebbe stato saggio tornare nelle sue stanze e
fingere di non sapere, come avrebbe voluto il Padre degli dei, e invece
si ritrovò a camminare verso i gradini che conducevano al
pianterreno, lungo l'angusto corridoio che portava a un'entrata
secondaria del palazzo riservata alle guardie.
Il rumore della pioggia
e l'aria umida entravano dalla porta che qualcuno aveva lasciato
aperta. Nella penombra, Snotra scorse il profilo di una guardia in
piedi accanto al battente e si nascose dietro a una colonna, restando a
fissare impietrita la scena di Loki che attraversava la soglia,
seguendo con indolenza Thor e Odino, i polsi incatenati, lo sguardo
fiammeggiante sul viso pallido in parte nascosto da un'ingombrante
arnese che gli teneva chiusa la bocca. I loro abiti gocciolavano sul
pavimento lucido e lei sentì una lama di dolore
attraversarle il petto.
Loki era vivo, ancora
una volta i fratelli che lei aveva istruito e visto crescere non si
erano uccisi a vicenda, ma nel tetro spettacolo che scorreva silenzioso
davanti ai suoi occhi, la donna non trovò nulla che la
facesse sentire sollevata.
Odino mormorò
alcuni ordini alle guardie che si erano recate con lui in cortile e
queste si allontanarono, assieme a Loki e a Thor, lungo parte opposta
del corridoio.
Se non altro, al dio
degli inganni era stata risparmiata la pubblica umiliazione di essere
trascinato in ceppi davanti a tutto il popolo della Patria Eterna.
La donna
osservò il re di Asgard fermarsi a metà del
corridoio e sospirare; fu un sospiro colmo di pena che di certo non
aveva allentato di un solo grammo il peso che il sovrano doveva avere
nel petto.
«Snotra».
La voce di Odino fece quasi eco, suonando tanto stanca quanto
autoritaria.
Lei uscì dal
suo nascondiglio, incapace di staccarsi dalla colonna, convinta che le
gambe non l'avrebbero sostenuta. Forse avrebbe dovuto chiedere perdono
per quella sortita, ma ritenne più sensato non dire niente,
anche perché lo sguardo velato del suo re le aveva come
portato via la voce.
«Potevi
risparmiarti questo spettacolo penoso» mormorò
Odino, quasi inespressivo, senza alcuna nota di rimprovero.
«Prima o poi
avrei visto o saputo, mio re» replicò lei,
chinando il capo con fare umile.
Il Padre degli dei fece
vagare lo sguardo sul soffitto istoriato, come se cercasse di scorgere
nella penombra i tratti delle rune incise sulle pareti, inseguendo
pensieri densi come le nuvole che si erano addensate nel cielo. Dopo
lunghi istanti di silenzio, si avvicinò alla donna e le
posò una mano sulla spalla.
Snotra
osservò la luce sbiadita proveniente dai bracieri posti
troppo lontano calcare i chiaroscuri sul viso del re e all'improvviso
fu consapevole di quanto lui fosse vecchio e stanco.
«Hai portato
un gran fardello per molto tempo, mi fa quasi orrore pensare che sia
stato vano» disse Odino, poi all'improvviso le sue labbra si
incresparono in un sorriso privo di allegria, più simile a
una smorfia di pena.
«Non era un
fardello, mio re, era una promessa... e non sono stata in grado di
mantenerla».
«Rammenti la
notte in cui Loki fu portato via da Jotunheim?».
«Era una notte
assai simile a questa, mio re. Era una notte di buio e
pioggia».
***
Era una notte di buio e pioggia. Ma prima della pioggia c'era stata la
neve.
L'aria sembrava avere il sentore del metallo, Snotra ne inspirava
grandi boccate cercando di imprimersi nella mente l'odore della guerra,
come se abituarsi a quel senso di minaccia incombente potesse farla
abituare anche alla paura.
Il vento gelido soffiava contro il tessuto teso della tenda, producendo
secchi schiocchi che impedivano ai pensieri di restare concentrati su
qualcosa di costruttivo.
L'esercito di Asgard, troppo numeroso per poter attraversare il Bifrost
dopo ogni battaglia, si era accampato in una vallata ai margini di un
enorme lago ghiacciato, a poche ore di marcia dal cuore della Capitale
di Jotunheim le cui alte torri di pietra scura svettavano verso un
cielo lontanissimo fatto di nubi argentee e stelle cieche.
Lei era solo una fanciulla ma Lord Alcuin, il suo maestro, aveva
preteso che lo accompagnasse e, dopo lunghe settimane di guerra, lei
ancora non sapeva se definirlo un bene o un male.
Lord Alcuin, il primo studioso della corte di Asgard, era vecchio e
aveva bisogno di assistenza, di qualcuno che trasportasse i volumi che
si era caparbiamente trascinato dietro e che lo aiutasse a sistemare le
pagine e pagine di appunti che scriveva per redigere le cronache della
Campagna di Jotunheim, la guerra di Odino contro il popolo di Laufey,
re dei Giganti di Ghiaccio, che aveva sfidato l'autorità del
Padre degli dei minacciando il benessere di Midgard.
Una folata di vento fece alzare il telo che chiudeva l'accesso alla
tenda, lasciandolo a sventolare come una bandiera e lasciando che la
neve turbinasse all'interno.
«Maledizione».
Snotra imprecò. Su Jotunheim la neve non cadeva in soffici
fiocchi, era come se volesse lapidare la terra, annegarla,
distruggerla. La giovane gettò una coperta sui libri
impilati sul tavolino addossato ad una parete di tela, cercando di
proteggere i volumi dai cristalli di ghiaccio che stavano piovendo
dentro il riparo.
Dall'apertura irrimediabilmente spalancata, Snotra scorse un lembo di
cupo paesaggio dove il bianco della neve combatteva una battaglia persa
in partenza contro il nero del cielo. Poco dopo sentì lo
scricchiolio di passi che si avvicinavano goffi, incespicando sul suolo
ghiacciato.
«Mio signore!» esclamò la giovane,
scorgendo la malferma figura di Lord Alcuin arrancare verso la loro
tenda. «Venite dentro, vi prenderà un
malanno».
Snotra non amava particolarmente il suo maestro – che la
trattava come una sciocca buona solo a trasportare pesi e ad annuire ai
suoi lunghi e tediosi discorsi, ma il fatto che un uomo anziano se ne
andasse in giro da solo, nell'infinita tormenta di neve che Jotunheim
offriva ad ogni tramonto, le sembrava un vero e proprio oltraggio al
buon senso. Con un sospiro rassegnato, corse fuori dalla tenda e prese
Lord Alcuin sottobraccio, trascinandolo dentro e passando i minuti
seguenti a combattere contro il vento nel tentativo di chiudere
l'entrata.
Aveva appena fissato il telo a un picchetto per tenerlo fermo, con le
dita intirizzite e doloranti per il freddo, quando si sentì
un tremendo boato, come se il cielo stesso fosse crollato sotto il peso
delle nuvole.
Il fragore di quel suono la fece rabbrividire più del vento
gelido. Lord Alcuin alle sue spalle si tolse il cappuccio della pesante
mantella, e mosse a vuoto le labbra sotto i lunghi baffi candidi prima
di trovare la forza di parlare.
«Apri questa tenda, ragazza» biascicò,
con la voce ancora un po' incrinata per lo spavento.
Malgrado l'ordine ricevuto, Snotra restò immobile a fissare
il nulla davanti a sé, fino a quando un grido di mille
bocche non fece vibrare l'intero accampamento.
Ci attaccano. Siamo
perduti.
La giovane si voltò, guardandosi attorno con aria febbrile.
Solo dopo avrebbe realizzato qual'era stato davvero il suo pensiero di
quei tremendi minuti: se fosse accaduta qualche disgrazia, avrebbe
dovuto portare in salvo Alcuin o i libri del palazzo di Asgard con le
annotazioni per le Cronache della guerra?
Alla fine, si costrinse a trovare la forza d'animo per scostare il telo
che chiudeva la tenda e che lei aveva così faticosamente
risistemato. Una folata di aria gelida la investì con
violenza, spingendole in viso un nugolo di cristalli di ghiaccio, tanto
che la ragazza temette che le avrebbero ferito il viso.
La neve era fitta come nebbia solida e solo dopo molti sforzi lei
riuscì a mettere a fuoco lo spettacolo che si presentava
all'orizzonte.
Una delle torri del palazzo di Jotunheim era crollata. Il cuore del
regno dei Giganti era stato spezzato: avevano vinto.
Nel giro di pochi minuti, il grande accampamento divenne una distesa di
fuochi. I soldati già si preparavano per una notte di
festeggiamenti e la neve aveva lasciato il posto da una pioggia fitta e
gelata, così pungente da sembrare una cascata di dardi.
Snotra ascoltava nel silenzio della sua tenda quella pioggia innaturale
martellare contro il tessuto impermeabile. Non era sicura che fosse un
buon segno e comunque l'esercito che aveva combattuto quell'ultima
battaglia ancora non faceva ritorno.
Eppure, canzoni allegre si levavano tra lo scoppiettio delle fiamme
– di quelle che erano riusciti ad accendere malgrado il
temporale.
Snotra si sporse oltre l'uscio del suo rifugio, bagnandosi i capelli
rossi come quelle stesse fiamme che danzavano nei bracieri sotto le
tettoie improvvisate.
L'improvviso nitrito di un cavallo a pochi metri da lei la fece
sobbalzare. La giovane si riparò gli occhi con una mano,
cercando di vedere meglio oltre la cortina di acqua che scorreva a
catinelle. Il destriero emerse dal nulla, come se fosse fatto della
stessa ombra insidiosa che avvolgeva ogni angolo di Jotunheim, con in
sella un soldato dal mantello di velluto dorato appesantito dalla
pioggia e premuto contro la schiena. Solo quando l'uomo
smontò dalla sella e le si avvicinò, lei si rese
conto che si trattava di un alto graduato dell'esercito di Asgard,
sicuramente un generale.
«Dov'è Lord Alcuin?» le
domandò bruscamente.
«Nella tenda».
Senza aggiungere altro, il generale entrò nel riparo, con il
mantello gocciolante che gli rimaneva attaccato alle spalle e il dorato
dell'armatura nascosto da macchie di sangue e fango. Snotra, ormai
fradicia, lo seguì.
«Gli ordini erano di parlare con voi, se fosse accaduto
qualcosa» disse il nuovo arrivato guardando Lord Alcuin. Da
fuori arrivavano acuti i nitriti di protesta del cavallo lasciato in
balia del temporale.
«La guerra è vinta, ma il Padre degli dei risulta
disperso. Gli ultimi che l'hanno visto, riferiscono che era ferito
forse gravemente» asserì lapidario il militare.
Lord Alcuin scattò in piedi. Era molto anziano, di
corporatura esile, indebolito dalle troppe primavere che aveva vissuto,
ma la forza della disperazione rese quel suo gesto particolarmente
scattante e fluido. Un'ombra di panico gli attraversò lo
sguardo velato da vecchio. Era un uomo pieno di sé e del
tutto privo di umiltà, ma era pur sempre uno dei
più fidati consiglieri a palazzo, un sapiente di Asgard, e
amava il suo re con tutta la devozione di cui un cuore sarebbe stato
capace.
Snotra non sapeva se provare più pena per il suo anziano
maestro o se temere per quel re che non aveva mai visto, se non
raramente da lontano, nei corridoio della reggia dove viveva da sei
mesi come apprendesti dello studioso.
«Organizzate delle ricerche sul campo di battaglia, con
uomini fidati. Non date la notizia fino a quando non avrete trovato
qualcosa» ordinò Lord Alcuin in tono pratico.
Snotra ignorava se fosse mai stato un soldato, di certo aveva letto
molte cronache belliche e in ogni caso, per quanto fosse
presuntuoso, non era uno stupido.
Il generale fece un rapido cenno di assenso e uscì. Lord
Alcuin si lasciò cadere sulla sedia e nascose il viso nel
palmo della sua grande mano rugosa.
Snotra restò in piedi a rabbrividire per le vesti e i
capelli fradici, pensando a cosa sarebbe accaduto se Odino non fosse
stato ritrovato o se fosse stato trovato morto. Il suo unico figlio,
Thor, era un bambino ancora in fasce e sua moglie, la regina Frigga,
sarebbe riuscita a preservare il trono e la pace del regno nell'attesa
che il principe crescesse?
La fanciulla si morse il labbro. Erano pensieri sciocchi e
sconsiderati, se li avesse espressi ad alta voce forse avrebbero potuto
accusarla di tradimento, ma le settimane trascorse a pochi passi da un
campo di battaglia avevano smorzato in lei la fiamma della speranza che
dovrebbe ardere maestosa nel cuore di ogni giovane.
Snotra si avvolse i capelli in un panno e si sedette in terra, accanto
a Lord Alcuin, posandogli gentilmente una mano candida e liscia su
quella che lui teneva appoggiata al ginocchio, con il dorso percorso da
vene azzurrine e screziato da piccole macchie. Poteva anche non amarlo
come una discepola avrebbe dovuto amare il suo maestro, ma ora provava
una gran pena per lui, una pena che sarebbe divenuta le pena di tutti
loro se il re non fosse tornato.
Seduta in quella posizione scomoda, con il freddo che le penetrava fin
dentro le ossa, Snotra si preparò a una lunga attesa, fatta
di incertezza e apprensione.
I minuti e forse le ore a seguire furono uno stillicidio di tempo che
scorreva lento. Il suono della pioggia era ipnotico e rendeva i
pensieri una massa di immagini aggrovigliate nella mente della ragazza
che ormai non sentiva più nemmeno il freddo.
Prima di quel momento, Snotra non aveva mai davvero riflettuto su
quanto fosse aleatorio il benessere del mondo in cui viveva; tutto
poggiava su un trono e sulle spalle di chi vi era seduto. Essere re
doveva significare una tale condanna...
Il corso delle sue riflessioni fu interrotto dallo scalpiccio degli
zoccoli di alcuni cavalli fuori dalla tenda. Lord Alcuin si
alzò e si diresse verso l'uscita con la rigidità
di un condannato a morte che sale al patibolo. Snotra lo
seguì con il cuore in tumulto.
Il maestro scambiò con il generale parole che la fanciulla
non fu in grado di udire, entrambi si allontanarono verso una zona
dell'accampamento e lei li seguì per un tratto di strada
fangosa, mentre l'acqua torbida delle pozzanghere le inzaccherava
l'orlo della veste di lana.
«Tornatene nella tenda, ragazza» le
abbaiò contro Lord Alcuin. «Di certe faccende una
donna meno sa e meglio è».
Snotra strinse i pugni, irritata. Non pretendeva di entrare nel merito
di faccende riguardanti la guerra o la politica, ma era una donna che
si apprestava a diventare una studiosa, il sapere sarebbe
stato la sua vita e troppo spesso quel maestro bigotto le aveva negato
la possibilità di conoscere, anche se poi non si era fatto
scrupoli a condurla con sé su Jotunheim. Ma non era quello
il momento di recriminare, né lei sentiva di averne la
forza. Strinse stizzita i pugni, afferrando i lembi della veste per
sollevarla e affrettare il passo mentre tornava nella tenda.
I fuochi e le canzoni continuavano a levarsi verso quel cielo ostile da
ogni angolo dell'accampamento.
Snotra si sentì esausta, di colpo. La tensione non si era
ancora allentata e i pensieri pieni di incertezza e timore continuavano
ad agitarsi nella sua mente, eppure si sentiva come se ogni fibra del
suo essere si fosse spenta di colpo. Quando sollevò il telo
per entrare nella tenda, le sembrò enormemente pesante. Si
trascinò dentro senza rendersi conto delle lacrime che le
erano salite agli occhi.
Forse fu per la stanchezza che il grido di spavento non le
arrivò mai alle labbra.
Dentro la tenda c'era qualcuno, una figura imponente, in piedi accanto
al tavolino dei libri. Uno scampolo di raziocino filtrò
attraverso la nebbia dello sgomento e la giovane riuscì a
mettere a fuoco Gungnir, la lancia di Odino che il visitatore stava
usando come sostegno.
«Mio re...» mormorò Snotra, troppo
sorpresa per decidere se fosse opportuno inginocchiarsi in quella
situazione tanto inusuale.
La risposta che giunse dal silenzio all'interno della tenda fu il
vagito di un bambino. Per un istante la giovane fu convinta di averlo
solo sognato.
Odino mosse qualche passo in avanti, continuando a puntellarsi
sull'asta della sua lancia. Si avvicinò al cono di luce
proiettato da una lampada e la fanciulla poté vedere il foro
sanguinante sul volto del re di Asgard, dove prima c'era il suo occhio
destro.
Snotra aveva visto molti feriti in quei giorni e il sangue e la carne
martoriata avevano quasi smesso di farle ribrezzo, ma quello sfregio
sul volto del Padre degli dei le fece tremare il cuore: neanche i re
sono invincibili, neanche loro possono essere sempre al sicuro.
Fu solo dopo un lungo istante che lo sguardo della ragazza cadde sul
bambino, un maschio, che il re teneva nella piega del braccio. Sembrava
che il piccolo stesse piangendo, ma senza lacrime e senza singhiozzi,
semplicemente sembrava soffrire ed essere consapevole di quella
sofferenza più di quanto fosse naturale per un neonato.
«Sei l'allieva di Lord Alcuin» disse Odino
all'improvviso, la sua voce era stanca e sarebbero trascorsi secoli
prima che Snotra lo sentisse di nuovo parlare con quel tono fiaccato
dagli eventi.
La fanciulla spostò più volte lo sguardo tra il
bambino e il volto deturpato del dio, chiedendosi da quale parte
cominciare a sentirsi sconvolta.
«Padre degli dei... vi stanno cercando...»
farfugliò, pur essendo consapevole di quanto la cosa fosse
irrilevante in quell'esatto momento e di quanto quell'informazione
dovesse essere superflua.
«Ne sono certo» replicò Odino fissandola
con l'unico occhio rimastogli. Quello sguardo trapassava come una lama.
«Qual'è il tuo nome?».
«Snotra, mio re».
Il Padre degli dei indicò il bambino con un cenno del mento
e la ragazza si avvicinò per prenderlo in braccio,
osservando che il piccolo era del tutto privo di vestiti o coperte.
Snotra si chiese come fosse possibile che un esserino dall'aria tanto
fragile sopravvivesse in quel freddo ostile restando completamente
nudo.
I Giganti di Ghiaccio
non indossano vesti...
Un fremito di paura fece tremare le gambe della ragazza quando la
consapevolezza della scoperta si accese nella sua mente.
Odino sembrò averle letto nel pensiero.
«È il figlio di Laufey ed è un
innocente» dichiarò lasciandosi cadere seduto
sulla sedia di Lord Alcuin. «Lo avevano abbandonato al
margine della città. Voglio che sia condotto ad
Asgard».
Il bambino spinse istintivamente il capo verso il petto di Snotra,
forse sperando di essere allattato, ma da dove la sua pelle era entrata
in contatto con il tessuto bagnato di fredda pioggia degli abiti di lei
aveva cominciato a spandersi un alone bluastro. Dopo qualche secondo,
il piccolo cominciò a piangere con singhiozzi striduli.
La fanciulla era combattuta tra l'orrore e la pietà. Ma se
il suo re aveva deciso di mostrare misericordia per quella creatura,
chi era lei per decidere diversamente?
«Mio re, ad Asgard nessuno lo accetterà»
rispose in tono pratico.
«Ad Asgard nessuno lo saprà»
replicò Odino e Snotra seppe che quelle parole contenevano
un ordine preciso, pesante come una condanna. «Ma tu devi
fare qualcosa per me».
«Cosa, mio re?». Oltre a portare per sempre il
fardello di un simile segreto?
«La regina si trova sola ai confini di Asgard, in ritiro per
pregare i nostri avi per la buona riuscita della guerra.
Darò ordine ad Heimdall di aprire il Bifrost per te, tu
andrai da mia moglie e le porterai il bambino».
La giovane spalancò la bocca per lo stupore.
«Intendete dire...». Non avrebbe dovuto indugiare o
discutere le decisioni del suo sovrano, ma quello che Odino le stava
chiedendo le sembrava inconcepibile.
«Intendo dire che il bambino verrà allevato da me
e dalla regina. L'erede di Laufey cresciuto come un principe di Asgard:
un domani potrebbe essere la sola speranza di un'unione pacifica con
Jotunheim».
Snotra deglutì, il bambino si lamentava e scalciava
debolmente tra le sue braccia.
«Padre degli dei, la vostra saggezza vi pone al di
là di qualsiasi critica» disse, imponendosi di
mantenere un atteggiamento contegnoso, sperando che i suoi occhi e la
sua espressione non tradissero il suo sconcerto. «Ma se
davvero è questo ciò che auspicate per il futuro
di questa creatura, un domani dovrete rendergliene conto, almeno con
lui dovrete farlo. E quando accadrà...»
«Quando accadrà ci amerà come una
famiglia e sarà in grado di capire, in nome di
quell'amore» replicò secco Odino. «Era
destinato a morte certa, ora avrà una vita, un padre, una
madre e un fratello».
Snotra comprese che una sola parola in più l'avrebbe spinta
oltre il limite del confronto che il suo sovrano era disposto a
tollerare. Non erano le azioni di Odino ad essere sbagliate, quanto il
loro movente, ma la giovane non poté fare altro che sperare
nella lungimiranza del Padre degli dei e accordargli la sua fiducia. E
se anche non fosse stata disposta a farlo, questo non l'avrebbe assolta
dallo svolgere il compito che Odino le aveva appena affidato.
«La regina,» mormorò la giovane
appoggiando il bambino su una branda, «si chiederà
che nome dargli».
Odino si alzò dalla sedia e si trascinò fino al
giaciglio dove Snotra era intenta ad avvolgere il piccolo in una
mantella, prima di mettersi a cercare vestiti asciutti per se stessa.
C'era una tenerezza sincera nello sguardo che il Padre degli dei stava
ora rivolgendo a quel figlio che aveva deciso di adottare.
Allungò una mano verso di lui e il bambino gli strinse
debolmente l'indice tra le dita sottili.
«Loki» disse, come se fosse stata una folgorazione
improvvisa.
Odino lasciò la tenda di Snotra dopo qualche minuto, per
tornare dai suoi soldati e rassicurarli, unendosi ai festeggiamenti per
la vittoria. Lei si cambiò i vesti bagnati, mentre il
bambino, Loki, si divincolava debolmente sul materasso della branda,
anche lui troppo provato per continuare a piangere.
La sua pelle aveva conservato in parte quell'alone bluastro e i suoi
occhi erano arrossati in modo innaturale. E i suoi occhi sembravano
così dannatamente imploranti. Imploravano per la fame e per
il calore, per delle braccia che lo stringessero.
Snotra si avvicinò alla branda e restò in piedi a
scrutare l'esserino sul materasso; ebbe di nuovo la sensazione che lui
fosse in qualche modo consapevole di quello che aveva attorno. Gli
sfiorò un piedino che si dibatteva tra le pieghe delle
coltri di pelliccia e lì dove la sua mano era passata a
sfiorargli la pelle, l'alone bluastro sparì per lasciare
posto a un normale colorito roseo e perfetto come quello di qualsiasi
bambino.
«Da quanto tempo ti avevano lasciato solo a
morire?» chiese Snotra in un filo di voce, mentre gli occhi
del piccolo si fissavano nei suoi.
Era sciocco e forse anche rischioso indugiare e trattenersi
lì quando aveva ordini precisi, impartiti direttamente dal
Padre degli dei, ma l'intero accampamento era troppo impegnato a
festeggiare la vittoria e a celebrare Odino per ricordarsi di lei o
ritrovarsi anche solo per sbaglio a passare nell'angolo remoto del
campo in cui era piantata la sua tenda. Indugiare, comunque, non le
avrebbe reso quel compito più gradito né avrebbe
allentato la morsa che le attanagliava il petto. Fare ciò
che le era stato ordinato continuava in qualche modo a sembrarle un
tradimento. Un tradimento verso quello che era sempre stato il suo
mondo, o un tradimento verso la creatura che ora aveva davanti agli
occhi.
Snotra amava la conoscenza. La conoscenza è l'esatto opposto
della menzogna.
«E tu sei contaminato» disse, stupendosi della
freddezza della sua voce, preoccupandosi per un istante che il bambino
potesse accorgersene. «Sei contaminato dalla solitudine e
dall'abbandono. Quanto amore occorrerà per cambiare le
cose?».
Alla fine, la fanciulla distolse lo sguardo e chiuse gli occhi,
prendendo piccoli respiri per cercare di mantenersi lucida. Avvolse il
bambino in una coperta e si gettò una mantella sulle spalle.
Fuori dalla tenda il vento ululava acuto, come se Jotunheim stesse
piangendo la propria disfatta.
Quando Snotra uscì all'aperto e la pioggia le
sferzò il viso, si chiese se anche il sangue dei Giganti di
Ghiaccio fosse gelido.
«Che i miei avi m'assistano» mormorò
prima che la luce del portale del Bifrost le invadesse lo sguardo.
Dietro le sue palpebre c'era solo bianco. La luce sembrava esserle
entrata dentro gli occhi, fino a consumarli. Non fu il suo sguardo a
dirle che era a casa, fu l'odore nell'aria, che non sapeva
più di metallo e acqua stagnante, fu il calore che la
sorprese di colpo, rendendole quasi insopportabile il peso della
mantella sulle spalle.
Snotra cercò faticosamente di mettere a fuoco l'immagine
della grande cupola dorata attorno a sé e fece appena in
tempo a vedere Heimdall sollevare dalla fessura di metallo la lama
della grande spada che azionava il Bifrost.
Senza dire una parola e senza degnarla di uno sguardo, il Guardiano del
regno si voltò e tornò al suo posto, all'ingresso
della cupola, immobile come una statua.
La fanciulla si accorse che Loki si era addormentato tra le sue
braccia, sopraffatto dalla stanchezza e dalla fame. Pensò
che quando si sarebbe svegliato avrebbe dovuto nutrirlo o non sarebbe
sopravvissuto al viaggio verso i confini del regno.
«Un cavallo ti attende alle porte della
città» disse la voce cavernosa di Heimdall,
distante e profonda come se giungesse da un altro luogo.
I suoi passi disegnavano una fugace scia opalescente sulla superficie
luminosa del ponte dell'arcobaleno. Davanti ai suoi occhi Asgard si
ergeva maestosa nel suo immutato e opulento splendore, con le torri che
svettavano verso un cielo terso, di un azzurro luminoso come una stola
di raso perfettamente stirata. Snotra abbassò lo sguardo su
Loki e non fu sorpresa di accorgersi che la sua pelle aveva adesso un
colore perfettamente normale, un rosa appena un po' troppo pallido;
forse da grande sarebbe stato un bellissimo principe. Quel pensiero la
fece sospirare e lei si impose di continuare ad attraversare il ponte,
fino all'enorme cancello dorato che segnava l'ingresso della Patria
Eterna.
Come aveva detto il Guardiano, c'era un cavallo ad attenderla una volta
varcato il cancello.
Snotra alzò gli occhi al cielo e fu allora che si accorse
dei due corvi che volavano in circolo sopra la sua testa, due macchie
nere che si muovevano rapide contro l'azzurro del cielo.
Non era mai stata particolarmente brava a cavalcare e viaggiare fino ai
confini di Asgard con un neonato in braccio le sembrava un'impresa
impossibile. Sbuffò e si tolse la mantella che
ripiegò a triangolo. Con estrema cura, avvolse Loki nella
parte di stoffa più larga e legò le due
estremità più sottili al pomello della sella,
pregando che reggesse.
Il bambino durante tutta quella manovra, aprì un paio di
volte gli occhi ed emise qualche basso lamento, prima di scivolare di
nuovo nel sonno.
«Che ne sarà di tutta questa faccenda solo le
Norne lo sanno...» borbottò Snotra, dando un
leggero colpo di talloni nel fianco del cavallo.
Attraversò indisturbata gli ampi viali lastricati che
convergevano tutti nel piazzale dinnanzi al palazzo del re. La
superficie dorata della costruzione rifletteva un'immagine distorta e
sbiadita della città che si stendeva ai suoi piedi in un
dedalo di palazzi, torri e giardini pensili. Asgard era perfettamente
uguale a come l'aveva lasciata il giorno in cui aveva seguito Lord
Alcuin e l'esercito di Odino su Jotunheim, eppure adesso Snotra
guardava la sua terra con occhi diversi; ora che la guerra le aveva
insegnato come tutto fosse fragile e precario, anche
l'incolumità del re, anche il cuore del re. Asgard le
sembrava assai più simile al riflesso distorto contro la
facciata dorata della reggia che non all'immagine reale che offriva di
sé agli occhi dei suoi abitanti.
Snotra spronò il cavallo, con estrema cautela, preoccupata
che l'animale cominciasse a muoversi troppo velocemente e mettesse a
repentaglio il suo equilibrio e quello del piccolo che viaggiava con
lei. Il destriero trottò placido attraverso una via laterale
che costeggiava il palazzo, in pochi minuti se lo lasciarono alle
spalle anche se la sua ombra incombeva sulla ragnatela di stradine
secondarie che costituivano i quartieri meno belli della
città.
La giovane aveva lasciato Jotunheim e le sue lunghe notti, ora che
vedeva il sole cominciare a tramontare nel cielo della sua
città si sentiva quasi turbata dall'idea del buio. Non le
piaceva, non le era mai piaciuto, quando calava la sera e tutto
rallentava fino a fermarsi nel riposo della notte. E lei aveva ancora
della strada da fare.
Approfittò delle ultime ore di luce per fermarsi e cercare
un posto in cui comprare del latte.
Non conosceva quella zona della città, la zona meno ricca.
Anche se la sua famiglia non era particolarmente benestante, era
comunque di nobile levatura e negli ultimi anni la giovane aveva visto
solo templi, biblioteche e case di studiosi più nobili e
ricchi di lei. E aveva incontrato tanta gente che aveva nascosto a
malapena la propria perplessità – e in alcuni casi
il proprio disappunto – davanti all'idea che una giovane
donna di buona famiglia avesse deciso di dedicarsi allo studio invece
di cercare un marito o tentare di entrare a corte come dama di
compagnia.
«Questo posto pullula di persone stupide, Loki»
mormorò Snotra, scendendo di sella e slegando il bambino dal
groviglio con il quale lo teneva assicurato alla sella.
«Essere intelligenti è molto faticoso alle volte,
ma è anche più divertente».
Legò le briglie del cavallo a un palo in una piccola piazza
doveva aveva scorto una bottega di generi alimentari. I due corvi
planarono verso il basso e si andarono ad appollaiare
sull'estremità di quello stesso palo.
Nella bottega, Snotra comprò una mezza misura di latte che
si fece mettere in un piccolo otre, e un pezzo di pane per
sé. Tornò dove aveva lasciato il cavallo e
cominciò a versare il latte a piccolissimi sorsi tra le
labbra schiuse di Loki che beveva avidamente, tendendosi sempre di
più verso il collo dell'otre.
«Non posso andare più veloce di così,
esserino ingordo» borbottò la ragazza.
«Finirei per farti soffocare».
Il piccolo lasciò cadere all'indietro la testa e di nuovo i
suoi occhi si fissarono in quelli di Snotra. Erano occhi dal colore
indefinito, come quelli di tutti i neonati. Ogni cosa in lui ora era
anonimo e indefinito, come per tutti i bambini molto piccoli, e
guardandolo la fanciulla cominciò a sperare che la decisione
di Odino fosse stata assai più saggia e sensata di quanto le
era apparso in un primo momento. Perché mai Loki non avrebbe
dovuto essere come tutti gli altri? Perché mai l'amore di
una famiglia non avrebbe potuto preservarlo da ogni male?
Snotra gettò via l'otre ormai vuoto, e cullò per
qualche minuto il piccolo tra le braccia. Ora che era al caldo e
nutrito, il bambino fece anche qualcosa di assai simile a un sorriso.
Forse era una smorfia senza senso, come quelle dei bambini durante i
loro primi mesi di vita, ma a Snotra sembrò davvero un
sorriso e le parve bello come un miracolo.
Tenendo Loki stretto contro il suo petto, la giovane
cominciò a sbocconcellare distrattamente il pezzo di pane
che aveva comprato per sé, assaporando il silenzio che
ascoltava più che il sapore di ciò che stava
masticando.
Asgard non era un posto rumoroso. Era un luogo ordinato e piano di
luce, l'antitesi del caos, un faro di speranza e un'oasi di pace in
mezzo al continuo rumore dell'universo.
La guerra era finita, i nemici erano stati battuti, piegati, sconfitti.
Era tornato il silenzio e l'ordine. E tutto sarebbe rimasto immutato
per secoli, forse per sempre.
La mente di Snotra si strinse attorno a quegli improvvisi pensieri
piacevoli, come la schiena di un gatto sotto la mano del padrone che lo
accarezza in risposta alle sue fusa.
Fu il gracchiare improvviso dei corvi a riportarla alla
realtà. A farle spalancare gli occhi e a rammentarle che era
lì per eseguire gli ordini del suo re, ordini che la
turbavano, ordini che non condivideva...
Spezzò ciò che era rimasto del suo pane e lo
gettò ai piedi del palo, dove i corvi volarono a beccarlo
con voracità.
Mentre fissava impensierita i due uccelli che si contendevano le ultime
briciole, le arrivò alle narici un odore acido e sgradevole
e Snotra si ritrovò a sobbalzare sgranando gli occhi nel
vedere il rigurgito di latte che colava sulla sua spalla. Loki continua
a fare le sue smorfiette simili a sorrisi.
«Oh, ti prego...» borbottò lei
arricciando il naso. «Pensavo che fossimo amici e invece ti
comporti da piccolo furfante».
Cercò di pulire alla meno peggio quel disastro, pensando
all'imbarazzo di quando avrebbe dovuto incontrare la regina, poi
tornò in sella e proseguì il suo viaggio.
Man mano che si allontanava dal cuore della città le strade
si facevano più strette, meno trafficate e più
polverose.
Il tramonto era già trascorso da un po'. Snotra
arrivò a un bivio sul sentiero si fermò a fissare
la biforcazione segnata tra l'erba, indecisa da quale parte andare.
I corvi gracchiarono con forza e fecero un rapido giro a mezz'aria. La
fanciulla osservò un piccola piuma nera staccarsi del loro
manto e volteggiare leggera nel vuoto prima di sparire, portata via da
una folata di vento. I due uccelli le planarono a un palmo dal naso,
facendo innervosire il cavallo che pesò nervosamente gli
zoccoli contro il terreno, poi volarono verso destra continuando a
gracchiare sempre più forte.
«Ho capito!» esclamò Snotra stizzita,
battendo una mano sul collo del cavallo cercando di calmarlo. Quando
l'animale smise di scuotere la testa e di pestare gli zoccoli, lei
tirò gentilmente le briglie e lo guidò verso la
diramazione del sentiero che proseguiva verso destra.
I due corvi continuarono a mostrare a Snotra la via, fino a condurla a
una costruzione che si ergeva al centro di una radura. Come molti degli
edifici di Asgard, aveva la facciata di metallo dorato, anche se il
fatto che fosse immersa nella boscaglia rendeva quella superficie meno
lucida. Era una grande palazzina, ma assai più bassa delle
costruzioni che si ergevano in città e a differenza della
città, il bosco non era affatto silenzioso, ma non c'era
nulla di sgradevole nella sinfonia di suoni che quel luogo spandeva
nell'aria, quel misto di foglie che frusciavano nel vento e frinire di
grilli e versi lontani di rapaci notturni che cominciavano la loro
caccia.
La fanciulla si sentì quasi in pace, fino a quando il
bambino legato alla sella non cominciò ad agitarsi,
ricordandole il motivo della sua presenza lì.
I corvi si appollaiarono sull'arcata del portone, dove la luce di una
grande luna faceva scintillare i solchi delle rune incise sul metallo.
Snotra smontò di sella e lasciò il cavallo legato
accanto a un albero. L'animale si mise placidamente a mangiare l'erba
che cresceva nello spiazzo davanti alla palazzina.
«Benvenuto a casa, Loki» mormorò la
giovane, prendendo tra le braccia il piccolo e dirigendosi spedita
verso l'ingresso della costruzione.
Aprì il pesante portone e si ritrovò in un atrio
buio, illuminato a malapena da un paio di vecchie lampade ad olio
fissate alle pareti. Quella costruzione doveva essere antica, aveva
anche l'odore delle cose antiche, come quello dei vecchi libri nella
biblioteca della reggia, con il loro sentore dolciastro e quasi
impercettibile.
I corvi entrarono da una finestra aperta e volarono in cerchio
nell'atrio vuoto per poi lanciarsi in picchiata verso una scalinata che
conduceva di sopra. Mentre saliva i gradini, Snotra si rese conto di
quanto era spossata da quel viaggio, di come la stanchezza ora riusciva
ad avere la meglio su qualsiasi pensiero. Non pensava più
alla tremenda peculiarità della sua missione, né
a tutto quanto concerneva il bambino che aveva tra le braccia, anche se
sapeva, nel profondo, che il ricordo di quella notte non le avrebbe mai
più permesso di dormire.
Il piccolo palazzo era deserto. La regina aveva scelto di ritirarsi
davvero totalmente dal mondo e questo era un bene per i piani di Odino:
in nessun'altra maniera si sarebbe potuto ingannare un intero regno sui
natali di Loki.
Ingannare un intero
regno...
Quelle parole avevano ripreso a farle eco nella mente, attraverso la
nebbia della stanchezza.
Snotra cercò di dimenticarle o le sarebbe mancato il
coraggio di continuare a camminare lungo quel corridoio per consegnare
definitivamente quel bambino alla sua nuova famiglia.
Perché?
Strinse Loki un po' più forte a sé. Avrebbe
potuto decidere di non fare come Odino aveva comandato, avrebbe potuto
decidere di crescerlo lei quel bambino e crescerlo nella
verità. Le menzogne generano solo problemi, lo aveva sempre
saputo. Una menzogna di quella portata avrebbe generato disastri
enormi...
Ma se avesse detto la verità sulle origini di Loki,
probabilmente lo avrebbero ucciso – e forse avrebbero ucciso
anche lei per insubordinazione, oppure l'avrebbero bandita, come
prevedeva la legge per coloro che disobbedivano agli ordini diretti del
re. E se anche non avessero ucciso Loki, lo aveva detto lei stessa: ad
Asgard nessuno lo avrebbe mai accettato. Sarebbe stato condannato
comunque all'infelicità, ad essere un reietto, a vivere in
mezzo al popolo che aveva ucciso i suoi progenitori.
Snotra sentì il peso di tutte quelle riflessioni piegarle le
gambe e si ritrovò a cadere con le spalle contro il muro
come unico sostegno. Le pareti del corridoio vorticarono davanti ai
suoi occhi e lei sentì solo il verso stridulo dei corvi di
Odino che le martellava graffiante nelle orecchie. Per un attimo ebbe
l'impressione che gli uccelli le stessero per volare addosso, forse le
avrebbero cavato la lingua per costringerla per sempre al silenzio,
forse le avrebbero strappato anche gli occhi per impedirle di scrivere
la verità.
La verità...
Una verità pesante come il granito di cui era fatta la torre
crollata del palazzo di Jotunheim. La vita e forse la
felicità di Loki valevano la dannazione di una giovane
anima? Valevano una tale menzogna?...
Snotra sentì qualcosa che le si posava sul viso, ma non era
un artiglio di corvo, era una mano che le stava accarezzando la
guancia. La fanciulla aprì gli occhi di colpo e vide il viso
della regina chino su di lei.
«Stai bene, fanciulla?» le chiese.
Frigga aveva grandi occhi scuri, occhi di madre, toccati dalla dolcezza
e dalla pietà.
Snotra sussultò, cercando di rimettersi in piedi e assumere
un contegno adatto alla circostanza.
«Mia regina...» mormorò, al culmine
dell'imbarazzo, accennando una riverenza.
«Siamo lontane dalla corte e siamo sole» disse
Frigga in tono quasi divertito. «I convenevoli e le
formalità non occorrono».
La regina tese le braccia per lasciare che Snotra le desse il bambino.
«Sapete già tutto, mia regina?» chiese
la giovane, timidamente. Frigga annuì e, per quanto ne fosse
curiosa, la ragazza pensò che il modo in cui Odino
comunicava con sua moglie non la riguardasse affatto.
La regina guardava Loki già come una madre. Aveva sempre
avuto cuore, o almeno questo era ciò che Snotra aveva capito
dai racconti delle dame di corte, ma sembrava che dalla nascita del
principe Thor la sua bontà e la sua dolcezza fossero
aumentate. Forse è questo che fanno i figli ad una donna,
pensò la fanciulla, la rendono migliore, la riempiono di
bontà.
Un pianto di bambino squarciò il silenzio. La giovane
alzò la testa di scatto, quasi turbata da quel suono.
Il pianto dei bambini piccoli avrebbero dovuto essere sempre uguale, o
così Snotra aveva sempre pensato, ma quegli strilli non
somigliavano affatto a quelli di Loki.
«Thor» sospirò la regina, alzando gli
occhi al cielo e scuotendo il capo ma un istante dopo il suo volto si
atteggiò in un sorriso.
Snotra restò ferma in mezzo al corridoio, come imbambolata.
Ovviamente Frigga poteva rinunciare a qualsiasi cosa in quel suo ritiro
di preghiera, ma non poteva lasciare a palazzo un figlio tanto piccolo.
La giovane ebbe l'impressione che la regina si trovasse lì
anche per la sua stessa sicurezza e per quella del principe: se Asgard
avesse perso la guerra, se la Patria Eterna fosse stata invasa e il
palazzo violato, loro sarebbero stati fuori pericolo.
«Vieni pure» mormorò Frigga
allontanandosi verso una grande porta celata da un drappo color
porpora. «Non mi hai detto il tuo nome».
«Snotra, mia regina» si affrettò a dire
la ragazza, seguendo la sovrana oltre la porta.
Si ritrovarono in una stanza dall'arredamento semplice ed essenziale:
un letto, uno scrittoio, una cassapanca e, naturalmente una culla.
Frigga si sporse all'interno della culla e mormorò qualche
parola dolce che fece calmare il pianto del bambino che riposava al suo
interno. Poi fece cenno a Snotra di appoggiare Loki sul letto e
armeggiò con qualcosa riposto nella cassapanca.
La regina porse alla fanciulla una minuscola veste da bambino e lei se
la rigirò tra le mani un po' imbarazzata. Aveva avuto
fratelli minori, ma c'era sempre stata qualche balia a prendersi cura
di loro e lei non aveva idea di come si facesse indossare quella roba a
un neonato.
Frigga sembrò comprendere la sua difficoltà e le
tolse il piccolo indumento dalle mani.
«Guarda» le disse sorridendo. Ma non stava
sorridendo a lei, stava sorridendo a Loki e Snotra ne fu sollevata.
Dei gesti lenti e delicati con cui la regina vestì il
bambino Snotra non avrebbe ricordato molto, in quel momento era troppo
presa dai suoi pensieri. Quando riemerse dalle sue riflessioni si rese
solo conto del fatto che adesso Loki era avvolto in una casacca di
velluto appena troppo grande per lui e che non aveva più
niente che sembrasse sofferente.
Ormai è
fatta...
Ormai tutto sembrava essere stabilito e non c'era modo di tornare
indietro.
Snotra sentì il gelo venefico dell'angoscia salirle dallo
stomaco alla testa mentre si chiedeva come sarebbe stato il futuro di
quel bambino. Si accorse che non era più in grado di
sopportare la vista di Loki e si voltò per non permettere
alla regina di scorgere l'emozioni che le scorrevano sul viso. Si
avvicinò alla culla sistemata a pochi passi dal letto e si
sporse per osservare il bambino adagiato tra le lenzuola morbide.
Il principe Thor era un bel bambino, già grande per avere un
anno di età, con un ciuffo di sottili capelli dorati come il
grano maturo e due occhi azzurri uguali a quelli di suo padre. Le
sorrise quando la vide china su di lui, scoprendo gengive rosa sulle
quali stavano per spuntare i dentini.
Istintivamente, Snotra ricambiò quel sorriso e
allungò una mano per accarezzare la guancia paffuta con la
nocca del dito.
«Dovrebbero dormire» osservò Frigga.
«E tu, mia giovane Snotra, dovresti mangiare qualcosa e
riposare».
La ragazza sentiva lo stomaco chiuso, ma le parve scortese rifiutare
l'invito della regina. Eppure quando si voltò verso di lei e
la vide con Loki in braccio, pronta a metterlo nella culla accanto a
Thor, le venne quasi l'impulso di strapparglielo via. Celò
il pugno serrato per il nervosismo tra le pieghe della veste e
respirò lentamente per un istante.
«Permettete, mia regina?» disse, tendendo le mani
verso il bambino.
Frigga annuì,
«Certo. Lo hai portato tu qui, hai il diritto di salutarlo
come credi».
Ci sarebbero stati giorni, in un futuro lontano, in cui Snotra avrebbe
davvero desiderato che quel saluto dato a Loki quella notte fosse stato
un addio.
La regina si allontanò e restò ad attendere la
sua visitatrice sulla soglia della porta. La fanciulla
adagiò il bambino nella culla, accanto a Thor che per un
attimo fissò incuriosito quell'ospite inatteso prima che la
sua bocca sdentata si aprisse in un sorriso infantile ed emettesse un
pigolio che a Snotra piacque interpretare come una risata di
contentezza.
«Sì, mio piccolo principe, hai un fratello, fai
bene ad esserne contento» mormorò la giovane
accarezzando con la punta del dito la manina paffuta di Thor che
stropicciava l'orlo del lenzuolo. Poi si chinò a un palmo
dal faccino di Loki, cercando di nuovo lo sguardo di quegli occhi dal
colore indefinito.
«Stanotte ho sacrificato la verità e la mia anima
per il tuo futuro, Loki. E ti giuro che farò tutto quanto
è in mio potere perché questo futuro sia il
più radioso che un individuo possa ottenere».
Il bambino fece uno sbadiglio e chiuse più volte gli occhi,
come se volesse dormire, ma prima di addormentarsi gettò
all'indietro la testa calva come a volersi tendere verso Snotra. Lei
gli posò un bacio sulla fronte liscia e pallida poi se ne
andò.
___________________________________________________
Note:
La citazione
a inizio capitolo è dal brano “Un
matto”.
Per essere precisi, il titolo stesso della fanfiction è una
citazione di De Andrè, dal brano “Smisurata
preghiera”.
Lord Alcuin è pura improvvisazione (il nome l'ho
spudoratamente copiato da “Il dardo e la rosa”).
Ho sempre pensato che ci fosse una spiegazione plausibile per il fatto
che nessuno sapesse che Loki non era figlio naturale di Odino e Frigga,
a meno che gli asgardiani residenti nel palazzo non pensassero che il
secondogenito del re fosse stato portato dalla cicogna. Qui ho provato
a dare una mia versione di come potevano essere andate le cose. Va da
sé che la differenza di età tra Loki e Thor
dovrebbe essere, a rigor di logica, abbastanza esigua per giustificare
il fatto che nemmeno lui si sia mai chiesto da dove sia spuntato fuori
il fratellino (va bene che nella versione filmica Thor non brilla per
intelligenza, ma c'è un limite a
tutto...).
I corvi di Odino, il mito vuole che li mandasse in giro a osservare gli
avvenimenti per poi farsi riferire. Qui mi piace immaginare che siano
lì non tanto per “controllare” quanto
per “vegliare” sul piccolo viaggio di Snotra.
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Capitolo 2 *** Secondo episodio ***
2° Episodio
"Si accontenta di cause leggere
la guerra del cuore,
il lamento di un cane
abbattuto
da un'ombra di passo,
si soddisfa di brevi
agonie
sulla strada di casa
uno scoppio di sangue,
un'assenza apparecchiata
per cena..."
L'alba arrivò
all'improvviso, un rigagnolo dorato all'orizzonte che si faceva largo
nel cielo, spingendo da parte le nuvole che avevano tenuto sotto
assedio Asgard durante la notte.
Snotra aveva passato
molte ore davanti alla porta chiusa di un balcone, ad ascoltare la
pioggia abbattersi sulla città. La sola idea di restare
chiusa tra le mura del palazzo le faceva girare la testa, c'era troppo
silenzio lì dentro e il silenzio portava troppi pensieri. E
nel silenzio viaggiavano le voci e le malignità e le
insinuazioni.
Al riposo non vi era
più abituata da tempo e anche se così non fosse
stato, in nessun modo sarebbe riuscita a dormire, non quella notte, non
dopo quello che aveva visto.
Nella sua mente
risuonava il tintinnio tetro delle catene ai polsi di Loki, una nenia
di pena e sconfitta che solo il suono della pioggia riusciva a
toglierle dalla testa.
Ma adesso era quasi
giorno e la pioggia era cessata.
Passi felpati giunsero
alle sue spalle e Snotra ebbe quasi paura di voltarsi, ma non c'era
niente che potesse fare per evitare di affrontare i fantasmi che
l'avevano perseguitata per tutta la vita, i fantasmi generati da quella
menzogna che le sussurravano all'orecchio gelide parole di scherno e
che lei era riuscita a zittire per un arco di tempo abbastanza vasto da
concedersi l'illusione che fossero andati via.
Maledizione, quanto era
stata cieca!
I passi appartenevano a
una giovane ancella che attendeva composta che lei si voltasse e la
degnasse della sua attenzione.
«Il Padre
degli dei vi informa che avete piena libertà di far visita
al prigioniero» disse l'ancella.
Prigioniero...
Era stato Odino a usare
quel termine o si era trattato dell'interpretazione della messaggera?
Non aveva importanza, qualsiasi termine o titolo non avrebbe cambiato
lo stato delle cose.
Se Snotra fosse stata
faccia a faccia con il suo re, avrebbe ammesso che non era affatto
certa di aver voglia di far visita a Loki.
L'ancella fece una
rapida riverenza, si voltò e fece per allontanarsi, ma
esitò e tornò a rivolgersi a Snotra come se le
fosse tornata in mente una parte del messaggio che aveva dimenticato di
riferire.
«Il Padre
degli dei ha detto che tale concessione è accordata solo
a voi»
aggiunse, prima di lasciare la stanza.
La donna si
passò una mano sul viso e sorrise nervosamente al proprio
riflesso sbiadito sul vetro del balcone. Con il tempo Odino aveva
sviluppato uno strano senso del pudore nel darle ordini, ma non mancava
di esercitare il suo diritto di sovrano per quanto spesso lo facesse
parafrasando e non dandole mai comandi diretti.
Era comunque abbastanza
ovvio che la concessione fosse accordata solo a lei . Chi altri avrebbe voluto un
simile privilegio? Chi altri avrebbe avuto qualcosa da dire a Loki?
«Come se io
avessi davvero qualcosa da dirgli, poi...» mormorò
la donna tra sé e sé.
Ad ogni modo, ormai la
notizia del suo ritorno a palazzo doveva aver cominciato a circolare.
Quella notte stessa forse l'evento era giunto alle orecchie di qualcuno
e aveva finito per tenere sveglio tutto il palazzo, impegnandolo in un
atroce passaparola.
Snotra si chiese se
adesso la corte di Asgard non fosse persino un po' spaventata da lui,
dal principe che era stato a un passo dall'assassinare il proprio
fratello, dal dio che aveva cospirato e ingannato e ucciso riuscendo
quasi a piegare Midgard per impossessarsene. Ma i giusti, o coloro che
si credono tali, provano comunque un senso di benessere nel guardare un
criminale attraverso la grata della sua cella, si sentono fieri delle
proprie sicurezze pensando che quelle sbarre bastino a tracciare il
confine netto tra il bene e il male.
Era questo
ciò che Loki era diventato, un criminale?
Snotra tornò
nella sua camera e si lavò il viso in un catino di acqua
fredda. Non volle ancelle a pettinarle i capelli o ad aiutarla a
vestirsi, non avrebbe voluto nessuno per tutto il giorno e forse anche
per l'indomani, e per il giorno dopo ancora. Avrebbe voluto
semplicemente venire dimenticata, per una volta. In gioventù
aveva temuto così tanto di essere lasciata in disparte, di
venire ignorata, e adesso non desiderava altro.
Odiò i suoi
stessi pensieri, ma non poteva rinnegarli né zittirli.
Si sedette davanti allo
specchio e si spazzolò lentamente i capelli rossi. Li
intrecciò e li sciolse più volte fino a quando
non fu soddisfatta del risultato, fino a quando la treccia non ricadde
diritta dalla nuca lungo la schiena.
Odino le aveva ordinato
alla sua velata maniera di andare da Loki, ma non aveva detto di farlo
subito e, in un primo momento, rimandare le sembrò persino
una buona idea, prendersi tempo per riordinare i pensieri. Ma non c'era
alcun pensiero che riuscisse a sollevarsi e a prendere forma nella sua
mente, ogni riflessione volteggiava impalpabile e sottile come una
bolla di sapone per poi dissolversi, inghiottita dalle mille cose che
Snotra non sapeva o non comprendeva.
Una pessima posizione
per la dea della saggezza.
No, non si trattava di
ciò che non conosceva o che non capiva; si trattava di
ciò che provava, delle emozioni e dei sentimenti che la
legavano a quel principe caduto in disgrazia, che si era trascinato
verso il fondo con le sue stesse mani, illudendosi di star scalando le
vette per la gloria.
Con un gesto stizzito,
la donna stese il braccio sul piano del mobile da toeletta che aveva
davanti a sé, gettando all'aria spazzole e fermagli e
piccole ampolle di profumo o unguenti. Si prese la testa tra le mani e
si rese conto che l'angoscia che le faceva martellare le tempie era ben
al di là delle lacrime.
Perché mai
Odino voleva che lei andasse da Loki? Lei si era occupata della sua
istruzione e di quella di Thor, e se il risultato del suo lavoro era
stata la rovina e la corruzione dell'anima di quel giovane principe
allora sarebbe stato assai meglio tenerla lontana da lui.
Il sole filtrava tra le
tende, gettando lame di luce dorata nella stanza. Troppa luce, troppo
dorato, troppo splendore...
Snotra pensò
che se fosse riuscita a piangere forse si sarebbe sentita meglio, ma
evidentemente tutti quegli anni di studio, il lungo tempo trascorso ad
affinare le sue abilità intellettive come se fossero armi,
l'avevano inaridita.
Il sole ormai era alto
in cielo e sembrava volerle dire che aveva già rimandato
abbastanza.
Uscì dalla
camera per trovarsi di fronte una guardia che l'avrebbe scortata
dovunque avessero rinchiuso Loki.
La guardia le porse una
piccola chiave argentata,
«Nell'eventualità
in cui lo riterreste opportuno, Lady Snotra» le
mormorò.
Lei fissò il
piccolo oggetto poggiato sul palmo della mano. Dunque non gli avevano
tolto quella specie di museruola, perché era certa che fosse
a quello che serviva la chiave.
Quando Snotra se la
lasciò scivolare nella tasca dell'abito si accorse di avere
con sé anche una piccola scatola metallica che neanche
ricordava di aver preso. Ne tastò i contorni e riconobbe che
si trattava di un unguento lenitivo che si usava per le screpolature
della pelle o per le piccole ferite.
La voglia di piangere si
condensò in un groppo ad altezza della gola, ma le lacrime
non giunsero mai ai suoi sottili occhi verdi. Per questo Odino aveva
voluto che fosse lei la sola ad andare da Loki, perché lo
amava quanto la sua famiglia, ma lui riteneva che la sua famiglia lo
avesse tradito e derubato di ciò che gli spettava; contro di
lei invece non aveva accuse tanto gravi da muovere.
La legge avrebbe
certamente trovato una punizione tremenda ed esemplare per il
tradimento di Loki, ma il re non era crudele e meno che mai lo sarebbe
stato con colui che ai suoi occhi era ancora suo figlio, per questo gli
aveva concesso una cella al primo livello dei sotterranei, dove le
prigioni beneficiavano ancora di una fila di piccole finestre
triangolari. Per questo gli aveva concesso la visita di colei che era
stata sua maestra e sua amica. Per tutto questo ora Snotra non avrebbe
dovuto sentirsi così, con quel malessere che aumentava man
mano che si avvicinava alle prigioni, eppure non poté fare a
meno di ricordarsi ciò che aveva pensato la notte in cui
aveva condotto Loki ad Asgard, alla consapevolezza che era affiorata
prepotente in lei dopo aver lasciato il palazzo in cui la regina si era
trasferita durante la guerra su Jotunheim: lui sarebbe stato sempre la
sua spina nel fianco.
E nonostante tutto, lo
aveva amato. Cercò di ricordarsene mentre il suo sguardo si
abituava alla penombra di quel luogo immobile.
La cella aveva grate
quadrate con gli angoli ornati da spunzoni di metallo, uguali a quelle
in fondo alla sala delle armi che celavano il Distruttore. E al pari di
quelle, le sbarre si sarebbero dissolte al passaggio dell'unica persona
che poteva avere accesso a quella cella.
Snotra si tenne a
distanza per qualche istante, fissando la scena davanti a
sé. Per un attimo le sembrò di essere in un
sogno, di vedere quelle cose da lontano, come se non fosse davvero
presente.
La cella era quadrata e
spoglia, con un letto e una superficie pensile che poteva essere usata
come tavolo. Dalla finestra triangolare filtrava la smagliante luce del
sole che lei aveva visto nella sua stanza e che proiettava una strana
forma concava sul pavimento ai piedi del letto, in mezzo alle ombre di
quell'angusto spazio.
Loki era seduto sul
margine del materasso, la schiena rigidamente appoggiata alla testata
di metallo e le gambe ripiegate come se cercasse di non farsi sfiorare
dalla luce. Il suo sguardo era cupo e assente, tanto che in un primo
momento nemmeno si accorse della donna che lo stava fissando
qualche metro più in là.
Facendo appello a tutto
il suo sangue freddo, Snotra colmò la distanza che la
separava e attraversò le sbarre che scomparirono attorno al
suo profilo per permetterle il passaggio, per poi richiudersi
immediatamente con un sottile suono metallico.
Loki alzò
lentamente la testa e posò lo sguardo su di lei. La
osservò pensieroso solo per un istante e Snotra
capì: si aspettava o lei o il boia; o l'ultimo scampolo di
grazia da parte di Odino o la definitiva inflessibilità
della legge. Lei era la mano che suo padre gli stava tendendo, e se
Loki ne fu contento non lo diede a vedere.
Snotra infilò
una mano nella tasca, cercando la chiave per togliergli il bavaglio, ma
quando le sue dita ne sfiorarono il profilo piatto cambiò
idea. Non aveva alcuna voglia di starlo a sentire, qualsiasi cosa le
avesse detto, il solo suono della sua voce avrebbe potuto farla a pezzi
e lei lo sapeva. Quello che aveva davanti agli occhi era già
abbastanza per farla sentire spezzata, incrinata come uno specchio che
rifletteva un'immagine distorta di quelle che erano state le sue
aspettative e le sue speranze. Quei piccoli tagli arrossati sul viso di
Loki, quei lividi lasciati dai ceppi sui suoi polsi erano
più di quanto potesse sopportare.
Pensò che
estraniarsi, riuscire a trasformare l'angoscia in lucida freddezza
l'avrebbe aiutata a gestire quella situazione, ma cosa c'era
esattamente da gestire se non era nemmeno in grado di trovare la forza
di ascoltare la sua voce? Se non riusciva nemmeno a parlargli?
Estrasse dalla tasca il
vasetto con l'unguento e vi intinse la punta del dito. Loki ritrasse
quando lei allungò la mano per toccarlo, ma Snotra
sbuffò e gli afferrò bruscamente la nuca con
l'altra mano, stringendo i capelli per costringerlo a tenere ferma la
testa. Le dita tremarono quando toccò la pelle tumefatta
sulla fronte, alla radice del naso e sulle guance, avrebbe voluto
premere su quei lividi e far sanguinare di nuovo quei tagli, come se
sentisse la necessità di fargli provare una minima parte del
dolore che lui aveva causato a tutti loro.
Eri un bambino così dolce...
Le sembrò una
cosa infinitamente sciocca da dire e preferì tenerla per
sé. Si chiese se fosse altrettanto sciocco sperare che ci
fosse ancora qualcosa di quel bambino dentro il giovane uomo teso sotto
le sue dita, che la fissava come un cane rabbioso.
Istintivamente il pugno
nel quale gli stringeva i capelli si aprì e le sue dita
scorsero sulla nuca in una carezza. Ritrasse la mano dopo qualche
secondo, trattenendo un sospiro e solo in quel momento si rese conto di
non aver aperto bocca. Non solo non riusciva a sentirlo parlare, ma non
riusciva nemmeno a rivolgergli la parola eppure doveva sforzarsi,
sapeva che se non lo avesse fatto in quel momento non ne sarebbe mai
più stata in grado; aveva davanti a sé il ragazzo
che aveva cresciuto eppure le sembrava un estraneo. Parlarsi in quel
momento sarebbe stato come parlarsi per la prima volta e Snotra
cercò di ricordare quando era successo, come,
perché...
«Era il giorno
di un funerale». Le parole le sfuggirono dalle labbra mentre
si voltava per richiudere il vasetto dell'unguento. Non sapeva
perché lo aveva detto, ma Loki doveva aver compreso, infatti
quando tornò a guardare verso di lui lo vide annuire con
un'espressione imperscrutabile.
«Era il giorno
di un funerale e tu mi chiedesti se ero triste».
***
«Sei triste, Lady Snotra?».
La giovane donna, in equilibrio precario sull'ultimo gradino della
scala di legno, guardò giù e vide il volto il
crucciato in un broncio enfatico, tipico dei bambini che vogliono darsi
un'aria da grandi per fare colpo su qualche adulto.
Il principe Loki aveva un viso affilato, dai tratti sottili che nei
suoi primi anni sembravano talvolta quelli di una bambina.
«Lo sono, naturalmente» rispose lei, estraendo
dallo scaffale più alto una pergamena impolverata e
scendendo cautamente dalla scala, reggendosi l'orlo della veste per non
inciampare.
Non le aveva mai rivolto la parola prima di quel momento, non ce n'era
mai stata occasione in effetti. Era il piccolo Thor ad essere entrato
stranamente in confidenza con lei, adorava farsi raccontare della
guerra contro i Giganti di Ghiaccio e preferiva chiederlo alla giovane
apprendista che non all'arcigno Lord Alcuin, e per quanto noioso fosse
ripetere all'infinito sempre le stesse storie, a Snotra piaceva vedere
il viso del bambino illuminarsi di entusiasmo quando un qualche
particolare lo colpiva particolarmente. Thor non si era mai reso conto
di quanto la immalinconisse raccontare della campagna di Jotunheim, ma
era piccolo ed era normale che prestasse più attenzione ai
propri desideri che non ai sentimenti degli altri.
Loki invece non aveva quella stessa esuberanza, non chiedeva mai a
nessuno di parlare, restava timidamente ad aspettare che suo fratello
lo raggiungesse per giocare e insieme sparivano da qualche parte nei
giardini del palazzo dove fingevano di essere i guerrieri che avevano
fatto cadere Jotunheim o che avevano sedato le rivolte di Nornheim.
Come mai quella mattina Loki avesse deciso di andare da lei e
addirittura porle una domanda personale, Snotra non fu mai in grado di
capirlo.
Lo aveva osservato in tutti quegli anni, la promessa che gli aveva
fatto quando era ancora in fasce – e che lui certamente non
era in grado di ricordare – l'aveva portata a tenerlo
d'occhio seppure con discrezione. Conosceva quel bambino quasi quanto
sua madre ed era sollevata dall'essersi resa conto che, dopo tutti i
timori e le preoccupazioni, Loki non era diverso dagli altri. Certo,
era più delicato di Thor, quasi gracile al confronto con il
fratello, e aveva un'indole introversa e solitaria, ma era un ragazzino
sveglio, con una pazienza e una posatezza inusuale per la sua
età che sembrava essere fatta apposta per bilanciare il
carattere irruento ed esuberante di Thor.
Lo aveva osservato in silenzio e nell'ombra, e nel silenzio e
nell'ombra aveva imparato ad amarlo. Per questo, quella mattina, fu
contenta di trovarlo lì, contro ogni sua aspettativa. E per
giunta stranamente disposto al dialogo.
Purtroppo, il piccolo principe non avrebbe potuto scegliere momento
peggiore per mettere da parte la sua timidezza e cercare di scambiare
qualche parola. Snotra aveva un importante compito da assolvere e il
tempo stringeva.
Lord Alcuin era morto durante la notte del giorno prima. Era stata una
morte nel sonno, dolce e serena, ma la cosa non aveva mancato di
portare scompiglio la mattina successiva e il giorno del funerale.
Odino aveva disposto che gli venissero tributati tutti gli onori di cui
un così leale suddito e un tale esimio intellettuale era
degno, per questo si stava organizzando un funerale in pompa magna e
lei, la discepola del vecchio studioso, aveva il compito di redigere il
discorso commemorativo che sarebbe stato letto durante la cerimonia
funebre.
La morte di Lord Alcuin l'aveva scossa. Non era mai riuscita ad amare
fino in fondo il suo maestro, ad essergli devota; era risentita nei
suoi confronti perché lui la trattava come l'avevano sempre
trattata la maggior parte delle altre persone con cui si era
confrontata in quegli anni, come una donna che in quanto tale era
irrimediabilmente fuori posto nel ruolo di studiosa. Tuttavia il
vecchio sapiente si era adoperato per trasmetterle la sua conoscenza,
come ci si aspettava che facesse e l'aveva coinvolta in un monumentale
lavoro di catalogazione della biblioteca del palazzo che la sua morte
aveva lasciato incompiuto. Per quanto spesso Snotra si era sentita
irritata dall'aria di sufficienza con cui il vecchio la trattava,
quella mattina aveva avvertito un enorme senso di vuoto: pur con tutti
i suoi difetti, Lord Alcuin aveva tentato di farle da guida e adesso
lei avrebbe dovuto proseguire da sola lungo un sentiero che non aveva
imparato ancora del tutto a dipanare.
Per di più, ora che il suo maestro era scomparso, chi
avrebbe preso il suo posto? Chiunque fosse stato, non era certo che
accettasse di continuare a tenerla con sé come allieva e
probabilmente lei avrebbe dovuto lasciare il palazzo e abbandonare
incompiuto il duro lavoro a cui si era dedicata in quegli anni.
La domanda del principe Loki era quanto mai superflua. Era triste,
molto molto triste.
Aveva scritto il discorso commemorativo per Lord Alcuin e le era
sembrato bello chiuderlo con una citazione di un poema che il vecchio
maestro amava molto, ma rileggendolo per l'ennesima volta la mattina
del funerale, le era venuto il dubbio che la citazione non fosse
corretta, così si era ritrovata a cercare l'unica copia del
poema presente nella biblioteca, abbandonata sullo scaffale
più alto, in un angolo polveroso.
«Io non penso di essere triste» aggiunse Loki,
seguendola mentre lei si dirigeva verso uno scrittoio dove poter
dispiegare la pergamena. «Lord Alcuin non mi era simpatico.
Pensi che sia sbagliato?».
Snotra si fermò in mezzo a un corridoio formato da due file
di scaffali e guardò il suo giovane interlocutore.
«Hai tutto il diritto di non trovare Lord Alcuin simpatico e
di non disperarti per la sua scomparsa, ma la pietà verso i
morti è un sentimento giusto, che chiunque sia dotato di
umanità dovrebbe tener presente» gli rispose con
un mezzo sorriso.
Loki corrugò leggermente le sopracciglia scure e sottili,
come se stesse cercando di afferrare il senso di quanto gli era stato
appena detto.
«Era un maestro noioso» concluse, arricciando le
labbra.
In un'altra circostanza, Snotra avrebbe riso e annuito ma si sorprese a
pensare come la scomparsa di qualcuno metta in risalto i suoi pregi
più che i suoi difetti e il commento di Loki le parve assai
fuori luogo, anche per un bambino.
«Il tempo ti insegnerà ad apprezzare certe
cose» gli disse con voce atona. «Ora devo chiederti
di lasciarmi, per favore. Devo ultimare il mio discorso per il
funerale».
«Lo hai scritto tu? Sarà un discorso molto
bello».
Bambino ruffiano...
«Ti ringrazio per la fiducia, Loki».
Snotra osservò il giovane principe voltarsi e lasciare la
biblioteca. Restò ferma qualche istante a guardare nella
direzione verso la quale si era allontanato, chiedendosi se in
realtà non ci fossero aspetti di quel bambino che le erano
sfuggiti, se non ci fosse qualcosa di sgradevole che non aveva ancora
rilevato. Scosse la testa e si disse che la malinconia stava
proiettando nella sua testa ansie che non avevano alcuna ragion
d'essere.
I funerali erano un evento raro ad Asgard. L'aura di potere ed energia
che avvolgeva la Patria Eterna rendeva il suo popolo resistente al
tempo, più di quanto avvenisse per altre razze che abitavano
l'universo, eppure tutti meritano riposo, anche gli dei.
La cerimonia fu celebrata nella sala del trono, dove molta gente si era
riunita per porgere al vecchio sapiente l'estremo saluto. Snotra, i
capelli rossi raccolti in una retina di velo scuro, cercò di
non pensare a quanta gente ci fosse mentre saliva su un piccolo podio e
leggeva il suo discorso commemorativo cercando di non guardare davanti
a sé la miriade di occhi che la fissava.
Il pomeriggio scemò nel silenzio composto con cui la folla
lasciò l'immenso salone dove le luci smorzate delle lampade
riflettevano ombre cupe sulle superfici lucide.
Snotra avvertì nell'aria una cappa di pesantezza
appiccicosa, come dopo una breve pioggia in un giorno arso dalla calura
estiva. La cortina di lacrime che le aveva velato gli occhi non le
impedì di osservare assorta le guardie che accerchiarono il
carro che avrebbe portato via il feretro. La giovane donna si accorse
di essere rimasta sola nella sala, accanto a una colonna, eppure non si
mosse, quasi temendo che il suono dei suoi passi avrebbe fatto eco in
mezzo al vuoto che sentiva essersi impadronito di lei.
Solo dopo lunghi minuti si costrinse ad andare via.
«Lady Snotra, debbo parlarti». La voce della regina
la colse alla sprovvista, a metà di un corridoio.
La giovane non ricordava quando a palazzo avevano cominciato a
chiamarla ''lady''; era un titolo che le spettava di diritto ma quando
era giunta lì, agli occhi di tutti era poco più
di una bambina con strane aspirazioni che a molti sembravano solo i
capricci di un cuore troppo giovane che non ha ancora compreso quale
dev'essere il suo posto nel mondo.
Snotra si voltò incontrando lo sguardo di Frigga, i cui modi
gentili imponevano obbedienza tanto quanto il fare deciso e autoritario
di suo marito.
«Mia regina». La giovane accennò una
compita riverenza e attese che la sovrana le spiegasse il motivo della
sua presenza.
«Mi rendo conto che il momento non è dei
più adatti. Abbiamo appena salutato il tuo maestro, il
nostro prezioso Lord Alcuin, e parlare già di chi
sarà il suo successore forse ti sembrerà
indelicato» asserì Frigga.
Snotra non riuscì a trattenersi dal corrugare la fronte,
«In tutta onestà, mia regina, è
così» ammise, cercando di non far trasparire
troppo palesemente il proprio fastidio. Le sembrava assurdo che si
stesse discutendo in quel preciso momento di chi avrebbe sostituito
Lord Alcuin e di chi, quindi, l'avrebbe forse mandata via.
La regina si sporse verso di lei e le afferrò una mano.
«Vorremmo che fossi tu» dichiarò.
«Io e il re, vorremmo che facessi da maestra ai nostri figli,
e che ti occupassi della biblioteca e di tutto ciò a cui era
dedito Lord Alcuin, prima di lasciarci».
Snotra sgranò gli occhi, attonita e imbarazzata.
«Mia regina, sono troppo giovane...»
farfugliò, sentendosi persino un po' sciocca. «E
poi, la scomparsa del mio maestro mi ha reso quanto mai chiara la
profondità di tutte le mie lacune».
E poi Lord Alcuin è stato appena seppellito, e...
«È per i miei figli» replica Frigga.
«Sono più che sicura che saresti un'insegnate
perfetta, io mi fido del tuo cuore, Lady Snotra, che sarà di
certo capace di colmare ogni lacuna, ammesso che tu ne abbia
davvero».
«Mia regina, mi state ampiamente sopravvalutando».
Snotra osservò che Frigga non le aveva lasciato la mano. Si
rese conto che alla sovrana non importava altro che lei accettasse di
fare da istitutrice ai principi e forse era corsa a parlargliene
perché pensava che lei si decidesse a lasciare presto il
palazzo ora che Lord Alcuin era morto. E si rese anche conto, come era
accaduto in passato, che non si può rispondere di no alla
richiesta di un sovrano. Nemmeno alla richiesta più assurda
o controversa...
Chiuse gli occhi e da un angolo della sua mente cominciò a
soffiare il vento gelido che frustava la desolazione di Jotunheim la
notte in cui portò via Loki.
«Ma è un grande onore quello che mi fate, e io non
posso che accettare, sperando di non deludervi mai» concluse
la ragazza, mettendo insieme un minimo di forza d'animo per abbozzare
un sorriso assai poco convincente.
Passò una settimana dal funerale prima che Snotra
cominciasse a ricoprire ufficialmente il suo nuovo incarico.
La mattina della sua prima lezione ai due principi, si sentiva
stranamente nervosa. Raggiunse la sala in cui i due bambini la stavano
aspettando e prima di entrare prese un bel respiro, cercando di
scacciare via dal suo viso ogni traccia di incertezza.
L'attitudine all'insegnamento è un dono. Lord Alcuin ne era
ampiamente sprovvisto e lei era quasi certa di non essere da meno.
La sala era un 'ampia stanza con al centro un grande tavolo ovale posto
davanti a una vetrata ad arco dalla quale entrava la luce del mattino.
Sul piano del tavolo, decorato con intagli geometrici, erano impilati
in ordine libri e fogli.
Loki e Thor sedevano su un lato. Avevano trascorso una settimana senza
le loro lezioni giornaliere e, a giudicare dalle loro faccine distratte
e assonnate, non stavano certo morendo dalla voglia di rimettersi a
studiare.
Loki se ne stava con il mento appoggiato ai palmi delle mani e i gomiti
puntellati sul piano del tavolo. Thor sedeva scomposto, facendo
dondolare avanti e indietro la sedia che produceva un fastidioso
scricchiolio ritmico.
«Thor, smettila per favore» intimò
Snotra pazientemente, «potresti cadere».
«Tanto anche se si rompe la testa è
vuota...» borbottò Loki, accigliato.
Thor smise di dondolarsi e si voltò a guardare il fratello,
come se fosse indeciso sull'interpretazione da dare alle sue parole.
Alla fine si risolse a fargli una linguaccia e si voltò
dall'altro lato con aria offesa.
«Ehi, cosa sono questi bisticci?»
borbottò Snotra.
«È stata colpa tua, se tu non ti fossi messo a
urlare nostro padre non ci avrebbe scoperti»
mormorò Thor a bassa voce, forse credendo che solo suo
fratello avrebbe potuto udirlo.
«Non è stata mia l'idea di quel gioco
stupido» protestò Loki.
«Ma tu non hai detto di no»
«Perché tu sei una cocciuta testa vuota»
«E tu sei una femminucc...»
«Basta!» Snotra alzò la voce per farsi
udire al di sopra del loro litigioso scambio di battute.
«Qual'è il problema? Avanti, sentiamo».
Thor e Loki si scambiarono un'occhiataccia, poi guardarono verso la
loro nuova maestra e cominciarono a parlare a raffica, accavallando le
voci.
«Non avevamo il permesso di giocare...»
cominciò il fratello minore.
«Non è che non potevamo giocare, solo non dovevamo
fare rumore...» replicò il maggiore, quasi urlando
per sopraffare la voce dell'altro.
Snotra sgranò gli occhi. Aveva pensato che occuparsi
dell'istruzione di due bambini fosse difficile, ma non pensava di dover
fare i conti anche con quel genere di situazione e si sentì
quanto mai inadatta e desiderosa di girare sui tacchi e tornarsene al
confortante silenzio della biblioteca del palazzo.
«Non capisco se continuate a gracchiare come due cornacchie
che si beccano a vicenda» esclamò, cercando di
mostrarsi ferma e paziente, anche se aveva una gran voglia di afferrare
i due principi per i capelli e sbattere le loro teste l'una contro
l'altra fino a quando non si fossero ricordati di essere
fratelli.
«Il fatto è questo, Lady Snotra» disse
Thor alzandosi in piedi, mentre Loki si gettava contro lo schienale
della sedia a braccia conserte, con aria contrariata. «Nostro
padre ci aveva detto di non fare giochi rumorosi in questi giorni per
rispettare il lutto per la morte di Lord Alcuin. Io volevo solo fare
una gara di corsa in giardino, che non si fa rumore, ma Loki
è inciampato e si è messo a piagnucolare,
così nostra madre lo ha scoperto e lo ha detto a nostro
padre e lui ci ha messi in punizione».
«Io gli avevo detto di non andare a correre in giardino, non
l'ho certo fatto di proposito a cadere» replicò
Loki mentre distoglieva lo sguardo e una sfumatura di rossore gli
coloriva le guance pallide. «E se l'idea è stata
di Thor non capisco perché nostro padre ha dovuto mettere in
castigo anche me!».
Il giovane principe sembrava prossimo al pianto per quanto era
arrabbiato.
Snotra fece cenno a Thor di rimettersi seduto e si avvicinò
al tavolo. Per un attimo, uno stormo di uccelli attraversò
in volo il riquadro di cielo incorniciato dalla vetrata e lei si
sentì stupidamente invidiosa della loro libertà.
Oh, certo, c'erano forme di prigionia assai peggiori, però
era incredibile quanto lo sguardo dei due principi la facesse sentire
spalle al muro. Guardò i loro occhi, entrambi azzurri; molti
a palazzo dicevano che avevano ereditato gli occhi del re e nessuno
aveva mai notato che il colore degli occhi di Loki era diverso,
più chiaro, quasi innaturale. È sorprendente
quanto la gente riesca a vedere solo ciò che vuole.
«Avete entrambi disobbedito, non importa di chi sia stata
l'idea» sentenziò la giovane donna, cercando di
non mostrarsi troppo severa. «La prossima volta, Thor,
faresti meglio a non interpretare gli ordini di tuo padre secondo
convenienza. E tu, Loki, quando tuo fratello ha una cattiva idea non
devi assecondarlo, devi farglielo notare».
I due bambini annuirono automaticamente.
«Però resta il fatto che adesso nostra madre non
ci lascia uscire» borbottò Thor dopo qualche
secondo.
«Sì, sono giorni che stiamo chiusi in
camera» gli fece eco Loki.
Snotra sorrise,
«Oh, è questo il problema? Molto bene. Prendete
quei libri e quei fogli, su!»
«Lady Snotra?»
«È una bellissima giornata, bambini. Andiamo a
fare lezione in giardino».
Il tempo di quella prima lezione Snotra preferì impiegarlo a
cercare di capire quanto i due giovani principi avessero assimilato
delle lezioni di Lord Alcuni. Fece loro molte domande, cercando persino
di metterli in difficoltà e alla fine poté dirsi
soddisfatta di quanto aveva verificato. I due bambini avevano imparato
bene, e la loro istruzione era degna dei due potenziali eredi al trono
di Asgard. Entrambi facevano a gara a chi dava la risposta migliore, a
chi si esprimeva meglio nell'esporre un concetto, anche se entrambi
finivano spesso per confondersi; Thor perché si distraeva
con estrema facilità e Loki perché si preoccupava
troppo di commettere qualche errore.
Alla fine, Snotra sorrise incoraggiante ai sue piccoli allievi.
«Lord Alcuin è stato un bravo maestro»
dichiarò.
«Lord Alcuin non ci aveva mai portato a fare lezione in
giardino» rispose Thor.
«Questo perché temeva che tu ti distraessi ad ogni
moscerino che vedevi passare» osservò la donna con
fare bonario.
Il giovane principe incassò il colpo con una smorfia e Loki
ridacchiò sommessamente.
Una guardia li raggiunse dopo qualche minuto, salutando Snotra con
sussiego.
«Devo portare il principe Thor alla palestra per i suoi
allenamenti» annunciò.
La donna guardò i due fratelli seduti sul bordo della
fontana,
«Oh, certo. La lezione è finita per oggi, vai pure
Thor» disse.
Il primogenito di Odino scattò in piedi con aria contenta,
«Grazie, Lady Sotra» mormorò
educatamente, prendendo a correre lungo il sentiero lastricato che
portava al palazzo, lasciandosi alle spalle la guardia che faceva
fatica a tenere il suo passo agile di bambino.
Snotra lo guardò sgambettare via, quasi temendo che cadesse,
ma Thor saltò agile una piccola aiuola e sparì
tra gli alti fusti degli alberi. La giovane donna sentì su
di sé lo sguardo di Loki e si voltò verso di lui.
Il bambino era rimasto seduto sul bordo della fontana, agitando
pigramente le gambe esili a penzoloni. Tamburellava le dita sulla
copertina del libro che aveva sulle ginocchia e teneva lo sguardo fisso
su Snotra, tanto che lei provò uno strano disagio e si
sentì in dovere di dire qualcosa.
«Tu non vai ad allenarti?» gli chiese.
Loki scosse la testa in un cenno negativo,
«No, hanno detto che sono troppo minuto e che è
bene aspettare ancora un po' prima di cominciare l'addestramento da
guerriero» rispose scrollando le spalle, sconsolato.
Snotra sentì una strana tenerezza invaderle il petto, come
quando le capitava di osservare il piccolo Loki da lontano, solo che
adesso quella sensazione le arrivava amplificata dalla sua vicinanza.
Si era sempre sentita in dovere di dover fare qualcosa per quel
ragazzino, era stata lei la prima ad abbracciarlo, a scaldarlo, a
vestirlo, a nutrirlo... ancora prima della donna che lo aveva scelto
come figlio, e questo la faceva sentire legata intimamente a quel
piccolo principe dall'aria delicata. Era un sentimento strano, che a
volte persino la spaventava.
Eppure, prima di quella mattina non aveva mai potuto fare davvero
qualcosa per Loki.
Si mise a sedere accanto a lui e gli sorrise, non come la maestra che
vuole lusingarlo o come il genitore che vuole rabbonirlo, era una
sorriso complice, quasi da amica.
«E a te dispiace così tanto non poterti allenare
con Thor?» domandò.
Loki smise di tamburellare con le dita contro il libro, tese le mani e
le sue unghie si conficcarono nella rilegatura morbida sul dorso del
volume.
«Sì, mi dispiace, se inizio più tardi
non diventerò mai bravo come lui»
borbottò con un tono cupo che davvero suonava insolito sulle
labbra di un bambino. Era così insolito da essere doloroso e
Snotra sentì di nuovo farle eco nella testa il vento di
Jotunheim e sentì il suo alito freddo avvolgerla come la
stretta di un nemico.
«Loki, non tutti nascono per avere i medesimi
talenti» gli disse infine.
Il bambino sollevò la testa di scatto, con una strana
scintilla di interesse nello sguardo.
«E che talenti dovrebbe mai avere un principe, oltre a saper
combattere?» chiese tendendosi verso di lei, come se da
quella risposta dipendesse la sua stessa vita.
«L'intelletto, tanto per cominciare» rispose la
donna ridendo per un secondo prima di tornare seria.
«È un dote che tu mi sembri avere a sufficienza,
anche se talvolta la usi per fini sbagliati, mi pare»
«Che vuol dire? Quando la uso per fini sbagliati?»
«Quando menti»
«Io non... mento».
Snotra inclinò il viso di lato e lanciò al
bambino un'occhiata furba, di bonario rimprovero,
«Loki» disse scandendo lentamente le parole di quel
nome, assaporandolo tra sé e sé, ricordando
quanto le fosse caro.
Lui sospirò e distolse lo sguardo me lei continuò
a parlare.
«Quando prima hai detto che non sei caduto di proposito, era
una menzogna bella e buona... anzi, neanche tanto buona. Sei caduto e
hai urlato perché volevi che scoprissero il gioco che stavi
facendo con Thor, perché volevi che lo
rimproverassero?»
«Non volevo che lo rimproverassero, è che tutti
pensano che sia così in gamba e non lo è... non
quanto credono gli altri, intendo».
Snotra cercò di mascherare l'espressione dolorosamente
sbigottita che stava per comparirle in volto. Loki era invidioso di suo
fratello, lo era sul serio, non nel modo sciocco ed effimero con cui lo
sono di solito i bambini.
La donna si alzò in piedi e diede le spalle al piccolo,
cercando di mascherare il suo turbamento.
«Mio padre ci ha puniti entrambi, però Thor
continua a fare le cose che gli piacciono, come gli allenamenti per
diventare guerriero. Io invece devo starmene chiuso in
camera» aggiunse il principe, in tono petulante.
Snotra tornò a voltarsi e appoggiò le mani sulle
spalle di Loki, scuotendolo leggermente.
«Ascoltami bene» gli intimò.
«Se un giorno Thor si trovasse a combattere per te, lo
farebbe senza indugio. Allo stesso modo, tu devi usare la tua
intelligenza per aiutarlo, non per danneggiarlo».
Il bambino sembrò spaventato nell'udire quelle parole,
sgranò gli occhi e poi di colpo la sua espressione di fece
triste e allarmata.
«Non voglio danneggiarlo!» esclamò,
mentre una lacrima si andava formando tra le ciglia.
«Però nessuno ci vede mai per quello che siamo,
agli occhi di tutti lui è
troppo grande e io troppo
piccolo».
«Non è rendendo più piccoli gli altri
che si dimostra la propria grandezza, Loki»
replicò Snotra, poi si sforzò di sorridere e gli
batté una mano sulla spalla. «Andiamo, vieni con
me».
«Dove?» chiese lui titubante.
Lei non rispose, gli fece solo cenno di seguirlo e si
incamminò verso il palazzo.
Snotra condusse Loki nella biblioteca.
Il bambino cominciò a camminare lentamente tra gli alti
scaffali di libri, proseguendo con il naso all'insù e, di
tanto in tanto, inciampando in qualche sgabello che non faceva in tempo
a vedere tanto era concentrato nel guardarsi attorno.
La donna si mise a cercare qualcosa in un vecchio baule, senza perdere
di vista il piccolo principe che proseguiva la sua muta esplorazione.
Alla fine trovò quello che stava cercando.
«Tieni» disse porgendo a Loki un vecchio volume che
lui prese con curiosità. «Quando ti annoierai a
stare chiuso in camera, invece che rimuginare su Thor, mettiti a
leggere, un libro è sempre un'ottima compagnia»
Il titolo diceva 'Tradizioni dei Nove Regni'.
«Però, Lady Snotra, perché dovrei
conoscere queste cose? Parla degli altri Nove Regni, ma noi di Asgard
non siamo più... non siamo migliori, ecco?» chiese
il bambino, la domanda suonava del tutto ingenua.
«Tanto migliori che non dovremmo neanche saperne di
più sul conto degli altri popoli?» gli chiese con
un sorriso furbo. «La conoscenza, il sapere è
un'arma molto potente, Loki, più potente di qualsiasi cosa
un guerriero possa imparare a maneggiare e a differenza della forza
fisica e dell'attitudine al combattimento è una cosa che
chiunque può coltivare, se ne ha la voglia, non importa
quanto sia... piccolo».
Il sorriso sul volto di Loki divenne luminoso come un raggio di sole e
Snotra lo ricambiò con calore.
«Grazie Lady Snotra» mormorò il bambino.
Lei lo guardò con un'espressione molto seria e accorata,
«Loki, devi promettermi che non sarai più
invidioso di Thor, non è un sentimento che si conviene a un
fratello. Anzi, credo che sia un sentimento sbagliato sempre, a
prescindere. E devi promettermi che non gli farai più
dispetti. Me lo giuri?».
Il giovane principe si strinse al petto il libro che le aveva dato la
sua maestra e assunse un'espressione enfaticamente pensosa, come se
stesse valutando se dare o meno una risposta affermativa alla domanda.
«Promesso» concesse, infine.
«Molto bene, e adesso torna in camera, prima che tuo padre
decida di mettere in castigo anche me».
Loki esitò un attimo e sorrise divertito.
«Non mi chiedi se ho mentito quando ho detto che
promettevo?»
«Loki!».
Era solo la battuta di un bambino, un modo di giocare con le parole, ma
per un attimo Snotra ebbe l'impressione di aver scorto una scintilla di
malizia in fondo a quegli occhi color del ghiaccio. La sua mente
incespicò nel tentare di mettere assieme un monito che
suonasse serio e definitivo, ma non ne fu in grado perché
all'improvviso Loki le andò incontro e
l'abbracciò, cingendole la vita e posandole il viso sul
petto.
Era una stretta piena di entusiasmo e calore e Snotra non seppe
spiegarsi come mai sentì per un attimo una strana e aliena
sensazione di gelo. Ma la tenerezza che aveva sempre provato per quel
bambino e il tormento per il segreto che aveva celato in nome della sua
salvezza ebbero la meglio e lei si ritrovò a ricambiare la
stretta di Loki con un braccio, mentre con la mano libera gli passava
un'affettuosa carezza tra i capelli corvini.
__________________________________
La canzone da cui è presa la citazione si intitola
Desamistade.
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Capitolo 3 *** Terzo episodio ***
Ehm, ehm...
*tira via le ragnatele e i batuffoli di lanuggine*
No,
non avevo dimenticato questa storia anche se l'ho lasciata per tutto
questo tempo a macerare nell'oblio. In molti di voi mi hanno chiesto
delle sorti di questa fanfiction in privato e vi ringrazio,
perché è
stato uno dei motivi che mi ha spinto a non dimenticarla –
non che
ne avessi intenzione, comunque.
Mi
scuso per il tremenderrimo ritardo con cui aggiorno e tutto quello
che posso fare per farmi perdonare è promettervi che per il
prossimo
aggiornamento non ci vorranno mesi (^_^'')
*******
3° Episodio
''Saper leggere il libro
del mondo
con parole cangianti e nessuna scrittura,
nei sentieri nascosti in un palmo di mano,
segreti che fanno paura...''
Loki si alzò
in piedi. La sua ombra sembrò incombere su Snotra come se
lui fosse capace di modellare il buio che si era drappeggiato attorno.
Il cuore della donna
mancò un battito.
Lui prese a camminare
per l'angusto spazio della cella. Snotra seguì i movimenti
del giovane principe con la coda dell'occhio: il suo passo era stanco,
strascicato e le catene che ancora gli tenevano i polsi tintinnavano
nel silenzio vuoto della prigione.
La luce del sole che
filtrava dalla finestrella triangolare si era fatta leggermente
più calda e intensa, una lama di pulviscolo dorato che
attraversava la stanza chiusa e che non bastava a sfoltirne le ombre.
Loki si fermò
di fronte al letto sul quale la donna era rimasta seduta, si
appoggiò con le spalle al muro in una posa che voleva
sembrare indolente, beffarda, e la fissò.
Snotra cercò
di rimanere insensibile al peso di quello sguardo, al colore di quegli
occhi così simile ai riflessi azzurrini del ghiaccio perenne
del mondo da cui Loki proveniva.
Non era uno sguardo che
faceva domande, gli occhi del principe caduto parlavano e basta. Le
dicevano che lei aveva fallito, le dicevano che era come tutti gli
altri. Avevano parole dure che affondavano come lame, e ogni parola era
corroborata da un fiotto di sangue che la donna sentiva fuggirle via
dal cuore.
Non era mai stata una
guerriera, le lunghe settimane della sua gioventù trascorse
al campo di battaglia durante la campagna di Jotunheim non facevano di
lei una combattente, una donna d'azione e mai, prima di quel momento,
Snotra si era trovata a riflettere su quanto coraggio possedesse, se
fosse in quantità necessaria ad alzarsi e lasciare quella
cella, lasciare Loki al suo destino fingendo di poter dimenticare. Si
chiese se fosse più coraggioso voltargli le spalle o
togliergli quella museruola e starlo ad ascoltare.
Quando la sua mano
scivolò nella tasca a cercare la piccola chiave argentata,
si disse che non occorre alcun coraggio per gettarsi da un precipizio,
che basta solo una scintilla di pazzia e lei era stata folle tutta la
vita, folle nel credere che Loki potesse salvarsi, che il ghiaccio e il
vento freddo di Jotunheim non avessero scritto sulla sua pelle un
destino già segnato e pieno di dolore. Il dolore che avrebbe
inflitto agli altri, il dolore che continuava a infliggere a se stesso,
il dolore che lei aveva finto di non vedere e aveva seguitato a
ignorare con la stolida convinzione di poter contribuire a sconfiggerlo
in nome di una promessa fatta sulla culla di un bambino in fasce.
Loki guardò
con una punta di divertito interesse la chiave che Snotra reggeva tra
le dita.
Quando la donna
infilò la chiave nella piccola fessura sul retro della
museruola, questa si staccò e cadde sul pavimento con un
tonfo metallico che le sembrò talmente forte da scuotere le
intere fondamenta del palazzo e da procurarle un leggero tremore che
sperò di nascondere, ritraendosi immediatamente da Loki.
«Sei
invecchiata, lady Snotra»
«Sì,
è vero».
La voce del principe
caduto, arrochita dalle lunghe ore di silenzio, sembrava provenire da
molto lontano.
La museruola aveva
lasciato un alone livido sulle guance del dio e dei piccoli solchi sul
contorno delle labbra, come i segni di una cucitura, come la sua bocca
non fosse altro che una cicatrice stralabrata, un taglio infetto e
purulento da cui non poteva sgorgare altro che sangue misto a veleno.
Snotra ebbe la
sensazione di un pugno allo stomaco. Si portò con quanta
più compostezza poteva una mano al ventre e cercò
di non piegarsi su se stessa. Le girava la testa e il peso degli occhi
di Loki non le sembra più così sopportabile.
Loki, il dio
dell'inganno, capace di trasformare il suo tradimento e la sua caduta
nella colpa e nella condanna di tutti coloro che lo avevano amato, con
la stessa capacità con cui la sua magia creava illusioni e
trasformava una fiamma in una colomba.
Di certo, il Padre degli
dei lo aveva privato dei suoi poteri nell'istante stesso in cui aveva
messo piede sul suolo di Asgard, ma certi sortilegi, certe
capacità erano l'essenza stessa di Loki, facevano parte
della sua persona tanto quanto il nero corvino dei capelli o le mani
affusolate.
Snotra
realizzò che erano trascorsi lunghi istanti di silenzio,
troppo lunghi. Si accorse di non avere nulla da dire e questo le parve
una sconfitta che Loki non mancò di farle notare.
«Nemmeno una
parola dalla mia maestra?» domandò canzonatorio.
«Nessun rimprovero? Nessuna domanda per soddisfare una mente
curiosa come la tua?».
«Non sono mai
stata quel genere di maestra, puoi forse negarlo?»
replicò lei, meravigliandosi della calma che riusciva ad
ostentare, riuscendo a imprimere alla voce persino un po' di
ilarità.
«Già,
non lo sei mai stata. Tu sei il secondino mosso a pietà che
porta una coperta calda al prigioniero dopo che tutti gli altri lo
hanno maltrattato fino allo sfinimento».
Lo aveva amato
moltissimo. Il dolore che le provocarono quelle parole le fece capire
che lo amava ancora, che da questo punto di vista nulla era cambiato e
nemmeno il peggior crimine che lui avrebbe potuto perpetuare avrebbe
fatto vacillare la solidità di quell'effetto.
«Pietà...»
borbottò a mezza voce, con un sorriso di amaro sarcasmo,
come se quella parola le suonasse come uno scherzo di cattivo gusto.
Scosse la testa, poi tornò a guardare il suo interlocutore.
«Menti, stai cercando di insultarmi o è davvero
così che ti sei sentito in tutti questi anni: un prigioniero
maltrattato fino allo sfinimento ?».
Ora fu il turno di Loki
di sorridere amaramente e scuotere la testa. Guardò oltre la
sua spalla, forse alla lama di luce che spaccava a metà il
buio.
«Le mie azioni
non sono state mosse da sogni e fatti immaginari. Se così
fosse, sarei folle e allora davvero fareste bene ad avere
paura» replicò il dio dell'inganno. E parlava con
quel suo tono formalmente cortese, con la sua algida calma e il suo
contegno regale. Parlava come se, in fin dei conti, non fosse accaduto
niente perché forse per lui era sempre stato così
che dovevano andare le cose, perché forse tutta la sua vita
era stata vissuta in funzione di quel momento, e il fatto che fosse
stato sconfitto era solo un imprevisto che non aveva saputo prevedere.
Un imprevisto al quale già meditava di porre rimedio.
Snotra non sapeva cosa
rispondergli, se non che quasi certamente uno di loro due era pazzo
davvero.
«Tu sapevi,
lady Snotra, quello che il Padre degli dei ha tenuto celato all'intero
regno? Ha tessuto una menzogna immane per tutta la mia vita, e poi
chiamano me il dio dell'inganno. Tu sapevi?»
domandò Loki. Ora la sua voce suonava incrinata, aveva
agitato le mani parlando e il tintinnio delle catene era suonato come
una tempesta, amplificato dalla totale assenza di altri rumori.
Snotra
abbassò lo sguardo.
«Tu
sapevi» sentenziò Loki. C'era una nota di
disappunto e stupore nella sua voce.
Quando la donna
tornò a guardarlo, si accorse che l'espressione del giovane
principe era quanto meno perplessa: una crepa nella sua corazza di
ghiaccio.
Loki si
staccò dal muro, alzò lo sguardo al soffitto e
per lunghi secondi sembrò risucchiato dai suoi stessi
pensieri. I suoi occhi si muovevano febbrili come se stessero tentando
di contemplare ora un ricordo vagamente felice e ora uno triste; come
se le reminiscenze danzassero davanti a lui vorticosamente, simili a
fanciulle ad un ballo mentre gli spettatori cercano inutilmente di
distinguere i loro volti che si confondono nella rapidità
dei movimenti.
Il dio dell'inganno
tornò a voltarsi verso di lei, con uno scatto repentino,
come un assetato che allunga la mano verso una caraffa di acqua fresca.
«Eppure, non
mi hai mai considerato da meno di Thor...»
sussurrò.
Era solo questo il
punto? Ah, ma di certo doveva essere un punto focale, doveva essere il
punto per Loki, il
fulcro della questione, l'origine di ogni cosa.
«Non sei mai
stato da meno di Thor.
Se solo fossi stato in grado di capirlo, Loki...».
Snotra sentì
il pianto farsi una massa dentro il suo petto, come una valanga di neve
pronta a travolgere ogni cosa. Ma sapeva che non poteva concedersi di
piangere ora, non davanti a Loki.
Lei e il principe si
scambiarono una lunga occhiata, poi la donna dondolò appena
la testa in un cenno rassegnato; si voltò e
lasciò la cella. Le sbarre si dissolsero al suo passaggio
per poi ricomparire dietro di lei con quel suono metallico, poi non ci
fu altro rumore se non il fruscio delle vesti e il battito del proprio
cuore che Snotra sentiva pulsarle nelle tempie.
Il corridoio era vuoto,
buio come una tomba e la donna lo percorse con passi resi rapidi dalla
marea di penose emozioni che la stavano sommergendo, offuscandole la
ragione.
All'ingresso delle
segrete, le guardie la scrutarono cercando di capire se fosse tutto a
posto.
Il prigioniero era dove
doveva essere. Il criminale giaceva sconfitto e incatenato come
meritava. Nessuno doveva preoccuparsi che l'ordine delle cose venisse
turbato, del resto era solo questo che importava a tutti loro, il loro
prezioso ordine, quel mantenere intatto il dorato delle superfici.
Ritornata al
pianterreno, Snotra affrettò ancora di più il
passo. Non incontrò nessuno nella grande galleria; un vento
dal sapore estivo agitava i tendaggi di raso, facendoli gonfiare ad
ogni folata.
La donna si mosse di
lato, come attirata da quella brezza, dalle promesse di sole e calore
che prometteva, come se potesse soffiarle via il gelo che sentiva
paralizzarla fin dentro le viscere. Spostò con gesti nervosi
una tenda che si rifiutava di aprirsi e si ritrovò su una
lunga balconata che percorreva quasi per intero un lato del palazzo.
Si appoggiò
alla balaustra con i palmi delle mani, come se temesse di poter
rovinare a terra da un momento all'altro. Guardò Asgard,
esageratamente bella sotto quel sole; guardò l'orizzonte
seminascosto dalle costruzioni della città, oltre il mare
opalescente che sprofondava tra le stelle.
Le sembrò
impossibile che ombre tanto grandi potessero allungarsi sulla Patria
Eterna, minacciare la sicurezza e la felicità dei suoi
abitanti.
Il cielo terso e
assolato di quella tarda mattinata le riportò alla mente un
ricordo che le fece esplodere il pianto nel petto, e lei si
trovò, piegata in avanti contro il parapetto a piangere
lacrime che il vento estivo non era in grado di asciugare.
***
Snotra camminava per la grande galleria che portava alla biblioteca.
Era una di quelle giornate in cui chiunque, anche il più
triste degli individui, avrebbe potuto pensare che nell'universo
c'è solo bellezza. Il sole era caldo e un vento piacevole
accarezzava la città portando ora l'odore dell'erba dei
campi a nord, ora l'aroma del mare che si stendeva a perdita d'occhio
alle porte di Asgard.
Rettangoli di luce si riflettevano sul pavimento, intervallati dalle
strisce di ombra proiettata dalle colonne che reggevano l'alto soffitto
istoriato.
Snotra lanciò un'occhiata da entrambi i lati del corridoio:
non c'era nessuno. Sorrise e strinse un po' più forte i
libri che aveva tra le mani, poi cominciò a percorrere il
corridoio saltando, in modo da atterrare solo sulle strisce
più chiare, dove la luce del sole filtrava tra il colonnato.
Si sentiva allegra. Gli ultimi anni erano stati pieni di soddisfazioni
e il destino le aveva regalato la vita che aveva sempre sognato.
Inoltre, era la precettrice dei figli del re e i suoi due allievi le
davano continue soddisfazioni.
La chiamavano la dea
della saggezza. Titolo quanto mai altisonante e pieno di
responsabilità per una donna ancora piuttosto giovane.
Alle volte si chiedeva se in futuro il destino le avrebbe fatto
scontare tanta buona sorte.
Piroetta dopo piroetta, aveva quasi raggiunto l'ingresso della
biblioteca, quando si aprì una porta e la figura maestosa di
Odino comparve alla fine del corridoio proprio quando Snotra aveva
fatto l'ultimo balzo un po' più lungo degli altri.
La giovane donna atterrò a un palmo dal suo re.
Sentì il rossore coprirle il viso con la stessa
rapidità di una fiamma su una superficie cosparsa di pece, e
proprio come il fuoco con la pece si sentì bruciare tanto
che c'era da meravigliarsi che non le uscisse fumo dalle orecchie.
Saltellare per i corridoi del palazzo come un infante: una condotta non
particolarmente adatta alla dea della saggezza e nemmeno a una semplice
donna che svolgesse il ruolo di precettrice dei due potenziali eredi al
trono.
«Mio re...» farfugliò con la voce
stridula per l'imbarazzo. Un'altra vampata di rossore le fece sentire
le guance sul punto di fondersi. «M... magnifica giornata,
non trovate?».
Odino sorrise bonario. Il dorato delle sue vesti sembrava attirare
tutta la luce proveniente dall'esterno.
«Lady Snotra, giornata magnifica davvero, specie per una
cavalcata» disse il sovrano. «Ti unirai a noi
questo pomeriggio, voglio sperare».
Era più che un semplice invito. Snotra aveva imparato a
cogliere il tono di comando anche nelle richieste più
affabili del Padre degli dei poiché il sovrano le portava un
grande rispetto e sembrava incapace di darle ordini in modo secco e
diretto. In cuor suo, Snotra gli era grata per questa sorta di
trattamento di favore.
Odino aveva un enorme riguardo per il sapere e la conoscenza e quindi
per coloro che ne erano i depositari nel suo regno. Per questo spesso,
quando i suoi figli erano ancora bambini, li prendeva con sé
e li portava nella galleria dei trofei, nel cuore del palazzo, dove
raccontava loro le molte vicende della storia dei Nove Regni. Ad ogni
storia corrispondeva un insegnamento, e gli insegnamenti di un padre
erano assai più validi di qualsiasi lezione Snotra avrebbe
mai potuto impartire ai due giovani principi.
«Sarò molto lieta di unirmi a voi,
maestà» asserì la donna, con un sorriso
cordiale. «Ehm... unirmi a cosa, comunque?»
«A una cavalcata, come avevo accennato. Oggi
porterò i miei figli a visitare un campo di addestramento
dell'Accademia d'armi. Dovresti venire, anche se nei miei ricordi
l'equitazione non è la tua dote migliore».
La donna rispose con un sorriso tirato e un rapido cenno di assenso.
In tutti quegli anni, Odino non aveva mai fatto neppure lontanamente
menzione al segreto che lei condivideva con i due sovrani, non si era
mai lasciato scappare neppure la più vaga allusione alla
cosa, tanto che il ricordo di ciò che era stato aveva quasi
smesso di tormentarla quando era da sola. Tanto che a volte poteva
fingere che non fosse mai successo, che non aveva fatto ritorno da
Jotunheim in gran segreto, portando con sé un bambino che
aveva dovuto scortare a cavallo fino ai confini del regno, sotto lo
sguardo vigile dei corvi di Odino.
I ricordi di quella lunga e scomoda cavalcata, il peso di quell'atto
che era allo stesso tempo un atto di tradimento e di misericordia,
erano stati offuscati dalla speranza che il presente rinnovava giorno
dopo giorno, che tutto sommato Loki fosse felice, che fosse a tutti gli
effetti figlio del re e della regina di Asgard e, come tale, destinato
a grandi cose.
Snotra trattenne un sospiro, accennò un inchino con fare
ossequioso e si voltò per raggiungere la biblioteca.
Si chiuse pesantemente la grande porta di ottone alle spalle, come a
voler lasciare dietro di sé i pensieri che per un attimo
l'avevano turbata.
Non c'era ragione di essere preoccupata. Loki era al sicuro da quel
passato che, in qualche misura, nemmeno lo riguardava e lei aveva
prestato fede alla sua promessa, aveva fatto tutto quanto era in suo
potere per aiutarlo, perché lui avesse la vita serena che
meritava; ormai lui era un ragazzo venuto fuori dall'infanzia, attento
a ciò che avrebbe potuto diventare in futuro e ancora
indeciso sul tipo di strada da scegliere, con l'insicurezza tipica di
ogni giovane. Del resto, il risultato degli sforzi di Snotra non era
privo di imperfezioni, ma queste erano da imputarsi al carattere del
giovane principe, Loki era così desideroso di mostrarsi
capace e degno agli occhi della sua famiglia, Loki era... era
lì, seduto allo scrittoio più distante
dall'ingresso, in fondo al labirinto di scaffali e vani straripanti di
antiche pergamene. Era seduto da solo, davanti a un enorme libro con i
margini delle pagine ingialliti e rovinati; doveva essere uno di quei
volumi dimenticati a cui nemmeno Snotra metteva mai mano, uno di quelli
molto molto vecchi, che minacciavano di cadere a pezzi al solo
guardarli.
Tuttavia, Loki non stava guardando le pagine. Guardava lei, ancora
ferma a ridosso della porta. Da quella distanza, la donna non riusciva
a distinguere l'espressione negli occhi chiari del giovane principe, ma
dopo qualche secondo lo vide accennare un sorriso.
Snotra lo raggiunse e ricambiò il sorriso. Quando fu vicino
a lui e allo scrittoio, Loki balzò in piedi e mosse un
passo.
«Che ci fai chiuso qui dentro, con un sole simile?»
domandò la donna, scuotendo il capo.
«Tutto questo sole mi fa venire mal di testa»
borbottò il ragazzo, come se lo imbarazzasse doverlo
ammettere.
Certo che il sole gli faceva male, pensò Snotra, cercando di
non far trasparire il suo turbamento. Per quanto potesse credere che
certi ricordi fossero sopiti, in realtà erano disseminati
ovunque ed era fin troppo facile riportarli alla luce, alle voste
bastava davvero solo un raggio di sole.
«Verrai con noi, oggi?» le chiese poi Loki.
«Sì. Sei stato tu a chiedere a tuo padre di
coinvolgermi in questa... gita,
quindi?»
«Pensavo che con te ad accompagnarci sarebbe stata meno
noiosa».
Loki sorrise con quel suo strano ghigno sghembo. Snotra si chiese come
fosse possibile che il sorriso di quel ragazzo apparisse allo stesso
tempo così innocente eppure tanto artificioso.
Pensò che fosse perché ormai Loki stava
crescendo, il suo viso aveva perso i tratti ancora un po' morbidi e
arrotondati dell'infanzia – paffuto non lo era mai stato,
comunque – e aveva assunto lineamenti affilati e decisi, gli
zigomi pronunciati, il naso diritto, le labbra sottili che avevano
perso la pienezza e la dolcezza che erano state tipiche del bambino; i
suoi capelli erano diventati più scuri, di quel nero lucido
d'inchiostro così diverso dal biondo dorato o ramato degli
asgardiani e che sembravano gridare a gran voce la sua
diversità.
Giorno dopo giorno, Loki assomigliava sempre di più all'uomo
che sarebbe diventato; diverso dal resto della sua gente, eppure in lui
c'erano già i segni evidenti di una regalità e di
una bellezza dissimile da quella che caratterizzava gli altri
asgardiani, ma proprio per questo ancora più capace di
risaltare agli occhi di chi avrebbe saputo guardare; una goccia di
splendore che non tutti sarebbero stati in grado di afferrare.
«Cosa stavi leggendo?» domandò Snotra,
allungando uno sguardo oltre la spalla di Loki per cercare di
riconoscere il libro poggiato sullo scrittoio.
«Niente di importante». Lui si voltò
bruscamente e chiuse il volume con un tonfo, lo prese e se lo strinse
al petto per evitare che la donna ne potesse riconoscere la copertina o
il titolo.
«Lo sai che non mi piace quando menti». Snotra si
accigliò.
La sua espressione severa sembrò colpire il ragazzo.
«Oh, in realtà vorrebbe essere una sorpresa, per
te. Vedrai, sarai fiera di me».
La donna avrebbe voluto replicare che era già fiera di lui,
ma il rumore di vetri infranti le impedì di parlare. Lei e
Loki sobbalzarono e si voltarono nella direzione da cui era provenuto
il rumore.
Una freccia aveva colpito la finestra ed era volata dentro, rompendo il
vetro e atterrando sul pavimento.
Il giovane principe assunse un cipiglio da guerriero coraggioso
– poco ci mancò che gonfiasse il petto per
apparire più grande di quanto non fosse – e si
avvicinò alla finestra, facendo cenno alla sua maestra di
restare indietro. Quando guardò di sotto, nel cortile
interno su cui affacciava la biblioteca, vide Thor guardare verso
l'alto con aria mortificata, reggendo in mano un arco. Alle sue spalle,
il suo istruttore aveva ancora le mani premute sul viso per lo spavento
e sbirciava tra le dita, preoccupato di ciò che avrebbe
potuto vedere.
«Siamo sotto assedio?» chiese Snotra
scherzosamente, per cercare di mitigare un po' la tensione del momento
e lo spavento collettivo.
«Snotra, fratello... state bene?» gridò
Thor dabbasso. «Non volevo colpire la finestra, mi... mi
dispiace».
«Noi stiamo bene. La finestra un po' meno»
scherzò Loki, con un mezzo sorriso, poi raccolse la freccia
e la gettò oltre il davanzale. Suo fratello
l'afferrò al volo.
«Torna pure ad allenarti, Thor. Ma se io fossi nel tuo
addestratore, ti farei esercitare al tiro con l'arco in un luogo
più distante dalle finestre del palazzo»
«Avete ragione, lady Snotra, perdonate...»
sospirò l'istruttore, ancora un po' scosso.
Snotra guardò i due che si allontanavano verso il fondo del
cortile, avvolti dal sole prepotente di quella tarda mattinata.
Anche il principe Thor era cresciuto, era molto più alto di
Loki e più robusto. Il suo viso era meno spigoloso, e
appariva più dolce grazie ai suoi occhi, azzurri come il
cielo d'estate e altrettanto luminosi, a differenza di quelli del
fratello, che erano glaciali anche quando rideva. Thor aveva conservato
qualcosa di infantile nel suo aspetto, malgrado le braccia che si erano
fatte forti e muscolose e le mani grandi che sembravano fatte
appositamente per impugnare ogni tipo di arma, il suo viso non aveva
perso del tutto quelle rotondità tipiche dei volti dei
bambini, anche se le sue guance cominciavano ad essere ricoperte di una
sottile peluria dorata. Anche per Thor era evidente che da grande
sarebbe diventato bellissimo, di quella bellezza che avrebbe fatto
voltare tutte le fanciulle al suo passaggio e che probabilmente lo
avrebbe riempito di corteggiatrici più o meno interessanti.
Quel tipo di bellezza che però avrebbe potuto apparire tanto
abbagliante quanto scontata a occhi meno superficiali.
«Il tiro con l'arco non è una disciplina adatta a
Thor» mormorò Loki. Snotra si voltò a
guardarlo e vide che stringeva ancora al petto il suo libro.
Era vero, Thor non aveva la pazienza necessaria a tendere l'arco,
prendere la mira e assicurarsi di tenere la mano perfettamente salda al
momento di scoccare, né era in grado di regolare in modo
adeguato la sua straordinaria forza. L'ultima volta che Snotra aveva
ricevuto un abbraccio dal figlio di Odino, le erano rimasti i lividi
per giorni... e Thor era un giovanotto affettuoso che amava dispensare
abbracci, una caratteristica che invece Loki aveva perso quando si era
lasciato alle spalle gli anni dell'infanzia, malgrado non mancasse mai
di ricordare alla sua maestra quanto le volesse bene in altri modi
– come prometterle una sorpresa e dirle che l'avrebbe resa
fiera di lui.
«No, il tiro con l'arco non è la sua miglior
attitudine» convenne Snotra. «Ma sarebbe sciocco
lasciare che smetta di tentare».
Loki annuì con poca convinzione. «Preferisco
impiegare il mio tempo per cose in cui sono certo di aver successo, a
che serve sforzarsi per niente?»
«Ad essere certi di aver provato e aver dato il meglio,
immagino. Dobbiamo sempre lasciare a noi stessi la
possibilità di sorprenderci, dovresti ricordartelo invece di
preoccuparti così tanto di sorprendere gli altri».
Se Loki aveva colto il velato suggerimento, non lo diede a vedere.
«Sono un arciere migliore di Thor, anche se ho impiegato
più tempo di lui a riuscire a tendere l'arco»
disse, voltandosi per andare a riporre il libro su uno scaffale.
Per un attimo, Snotra fu tentata di guardare dove il giovane principe
avrebbe lasciato il libro, per ritrovarlo quando lui se ne fosse andato
e riuscire così a scoprire che cosa stesse studiando
così in segreto, ma si disse che sarebbe stata prova di
grande mancanza di fiducia e andava contro tutte le lezioni
sull'onestà che aveva cercato di impartire ai suoi due
giovani allievi. E poi, il ragazzo aveva detto che era una sorpresa.
«Sì, sei un arciere migliore di Thor, lo so. E
questo cosa c'entra?» domandò la donna, alzando la
voce per farsi sentire oltre la fila di scaffali dietro i quali Loki
era sparito.
«Nulla. Mi chiedevo se lo sapesse anche nostro
padre» rispose lui, rispuntando dal lato opposto a quello da
cui si era allontanato.
«Non commettere l'errore di pensare che tuo padre non tenga
il suo sguardo ben puntato su di te» lo ammonì
lei.
Loki sorrise di nuovo in quel suo modo così bello e
così ambiguo.
«No, certo che no» concluse.
Anche lui stava diventando bravo con le armi. Tempo prima, Odino gli
aveva fatto dono di alcuni pugnali dalla forma elegante e il manico
scuro con intarsi di ossidiana; lui forse non aveva la forza fisica
necessaria a brandire una grande spada o armi pesanti, ma era diventato
bravissimo a maneggiare quelle piccole lame, e a differenza di Thor
aveva grande pazienza, un'ottima capacità di concentrazione
e una mano molto ferma per questo era anche un eccellente tiratore.
Aveva i movimenti fluidi di un felino e quando lanciava i pugnali
questi saettavano in direzione del bersaglio con la stessa micidiale
precisione delle onde di luce che si sprigionavano dalla lancia di
Odino.
Loki era un guerriero ma, come in molte altre cose, lo era a modo suo,
nella misura in cui decideva di esserlo, secondo regole che lui stesso
sceglieva.
Un giorno Snotra, o forse suo padre, gli avrebbe impartito una lezione
sul fatto che un guerriero – come anche un re o qualsiasi
individuo ricopra una posizione di responsabilità
– non può pensare di agire sempre e solo secondo
le sue regole, che sono gli eserciti a vincere le battaglie, non i
singoli uomini, che sono i popoli a fare i regni e non il cerchio
dorato di una corona. Ma Loki era solo un ragazzo e forse crescendo
avrebbe imparato da solo tutto ciò di cui necessitava.
I cavalli li attendevano nel cortile.
C'erano due bellissimi purosangue dal pelo fulvo che erano stati
sellati per i due principi e una giumenta con una criniera liscia,
quasi argentea, destinata a Snotra.
Le tre bestie, che nulla avevano da invidiare ai migliori rappresentati
della loro specie, se ne stavano in disparte, a una rispettosa distanza
dal cavallo di Odino, il leggendario destriero a otto zampe dal pelo
nero. Una creatura maestosa che si diceva fosse in grado di correre
anche tra le stelle.
Snotra aveva avuto ben poche occasioni di ammirare il destriero del
Padre degli dei, per un attimo fu quasi tentata di avvicinarsi a lui e
provare ad accarezzargli il muso, ma come se l'animale le avesse letto
nella mente, si voltò a guardarla in modo quasi minaccioso,
e la donna indietreggiò, avvicinandosi agli altri cavalli,
con i loro grandi occhi liquidi e neri che li facevano apparire assai
meno spaventosi.
«Non avevo mai visto una donna vestita da uomo»
esclamò alle sue spalle la voce del giovane Thor.
Snotra lo guardò perplessa poi abbassò gli occhi
facendo un breve inventario del suo abbigliamento. Indossava dei
calzoni sotto la lunga casacca di velluto.
«Non sono vestita da uomo» protestò,
ridacchiando.
«Hai una concezione ben curiosa delle donne,
fratello» borbottò Loki.
«Meglio averne una concezione curiosa che non averne affatto
una» replicò il figlio di Odino con un'occhiata
canzonatoria.
Il volto pallido di Loki divenne così rosso che Snotra non
riuscì a trattenere una leggera risata. Quando rise, Loki
alzò di scatto lo sguardo su di lei, ed era uno sguardo
ferito.
Così
suscettibile, mio giovane principe?
Decise di ignorare l'accaduto e fece cenno ai ragazzi di montare in
sella. «Vostro padre sta arrivando, è meglio che
ci trovi pronti a partire».
Odino li raggiunse dopo qualche minuto, un mantello di fili d'oro
drappeggiato sulle spalle. Il sovrano sembrava essere di buon umore: la
compagnia dei suoi figli, al di fuori delle formalità del
palazzo, gli era sempre cosa gradita e Snotra si sentì quasi
un'intrusa in quel momento di intimità familiare,
né le era chiaro come mai Loki avesse chiesto a suo padre di
portarla con loro.
Per un attimo le sovvenne un'idea che subito però le
sembrò esagerata, impossibile: che lui si sentisse a disagio
quando era con Thor e suo padre?
Pensò che avrebbe potuto chiederglielo, ma si
ricordò che era una cosa sciocca e insensata e che non c'era
motivo di turbare Loki con un simile quesito. Perché mai
avrebbe dovuto sentirsi a disagio? Davvero avvertiva di essere in
qualche modo più profondo diverso da loro, da suo fratello?
Snotra osservò i due giovani portare i cavalli nella scia
del poderoso destriero del re.
Sì, i due principi di Asgard apparivano estremamente
diversi, anche nell'abbigliamento, per il quale si ostinavano a
scegliere sempre gli stessi colori – il blu e il rosso per
Thor, il verde e il nero per Loki – ma questo succede spesso
anche tra figli nati dagli stessi genitori.
Snotra deglutì. Loki le voleva bene e si fidava di lei,
invidiava la forza di Thor ed era ansioso di dimostrare di essere bravo
almeno quanto lui in tutto ciò che riteneva importante, ma
se avesse provato qualcosa di così disturbante gliene
avrebbe certamente parlato e lei sarebbe riuscita a rassicurarlo.
Non c'è
assolutamente niente che non va in te, mio caro ragazzo...
Spronarono i cavalli.
Gli zoccoli del destriero di Odino facevano quasi tremare la terra,
sollevando schizzi di rena e ghiaia dal pavimento del cortile. Era come
rincorrere la scia di un tuono.
E Snotra aveva decisamente dimenticato com'era stare in sella.
Quando le guardie aprirono una delle porte del palazzo, i cavalli
videro davanti a loro solo un'immensa prateria e si lanciarono al
galoppo senza che ci fosse bisogno di spronarli.
La donna strinse nervosamente le redini e diede un piccolo strattone,
pregando che l'animale rallentasse, ma così non fu; la
giumenta continuò a correre e lei sentì il calore
dello sforzo emanare dal pelo argenteo.
Percorsero a velocità folle una distanza che non fu in grado
di calcolare e solo quando i cavalli cominciarono ad essere stanchi si
decisero a rallentare. Allora Snotra si voltò e si accorse
che la città non era altro che un'increspatura dorata
all'orizzonte, con il profilo del palazzo del re che svettava come la
pennellata imprecisa di un pittore.
«Hai un brutto colorito, Snotra» disse Thor,
avvicinandosi e scrutandola a metà tra il divertito e il
preoccupato. «Da quanto tempo non cavalcavi?».
«Da troppo tempo, evidentemente».
«Possiamo fermarci per qualche minuto, se vuoi»
intervenne Loki.
Snotra guardò davanti a sé, la sagoma di Odino si
stagliava sulla cima di una salita coperta di morbida erba. Se fosse
caduta di sella almeno non sarebbe stata una caduta troppo dolorosa,
pensò, soprattutto finché il suo cavallo non si
fosse di nuovo messo a correre all'impazzata.
«Vostro padre ci aspetta» replicò la
donna con stoicismo. «Non si fa aspettare un re».
L'accampamento sorgeva in una gola tra due dolci colline, oltre uno
sterminato campo di grano.
La città era lontana e Snotra si sentì come in un
altro mondo. Lasciava così di rado il palazzo e in tutti
quegli anni, dalla morte di Lord Alcuin, non aveva mai lasciato la
capitale del regno.
Certo, Asgard era il luogo più bello di tutti Nove Regni,
opulenta e superba, simbolo di ordine e potenza, la degna dimora di una
stirpe di dei che da sempre proteggeva l'armonia dell'universo. Eppure
in quel momento le parve che nulla potesse competere con lo spettacolo
del cielo terso che faceva da cupola a quel mare d'erba, al bosco che
si scorgeva in lontananza, dove gli alberi e le piante erano cresciuti
senza alcun ordine preciso, dove la natura non aveva nulla da
dimostrare.
Il campo dell'Accademia delle armi, dove i più promettenti
guerrieri del regno venivano mandati a completare il loro
addestramento, era circondato da palizzate di metallo opaco alte almeno
tre metri. Una porta semicircolare fu aperta per permettere al sovrano
e al suo piccolo corteo di entrare all'interno.
Le palizzate delimitavano un'area molto vasta, per metà
occupata da file ordinate di robuste tende e padiglioni. Nell'altra
metà c'erano grandi spazi aperti, intervallati da colonne o
bacheche alle quali erano appese spade e pugnali o faretre piene di
frecce.
A Snotra non sfuggì l'esclamazione di entusiasmo che Thor
non era stato in grado di trattenere. Loki invece si guardava attorno
incuriosito, ma non sembrava particolarmente colpito da ciò
che stava osservando.
Gli ufficiali avevano chiamato a raccolta tutti i giovani cadetti che
si erano disposti in quattro file, in ordine di età. Quando
Odino smontò da cavallo, tutti loro si inginocchiarono nello
stesso istante e per un attimo rimasero immobili, il capo chino, come
se nemmeno respirassero.
Snotra sentì Loki accanto a lei trattenere il fiato.
Odino allargò le braccia e posò le mani sulle
spalle dell'ufficiale più alto in grado, in testa alla
colonna. I giovani guerrieri si alzarono tutti contemporaneamente, con
un unico movimento agile, in un leggero fruscio di stoffa e tintinnio
di lame.
«Mio re, miei principi, siate i benvenuti»
salutò l'ufficiale. «Mia lady, benvenuta anche a
voi».
La donna rispose con un sorriso formale al saluto del militare e
ascoltò distrattamente Odino parlare con lui e gli altri
responsabili del campo. Accanto a lei, Thor e Loki parlavano tra loro a
bassa voce, commentando ogni particolare del campo di addestramento.
«Non sarebbe male trascorrere un paio di mesi in questo
posto, eh fratello?» bisbigliò Thor, entusiasta.
«Non sarebbe male. Ma avranno una biblioteca da
campo?» replicò il più giovane.
«Cosa te ne fai di un libro se puoi avere una
spada?»
«Thor, questa potrei rammentarla in futuro»
interloquì Snotra.
Il giovane biondo aggrottò la fronte,
«Io voglio essere un guerriero» borbottò
con un cipiglio quasi infantile. «In questo i libri non
possono aiutarmi... cioè... sono, ehm, interessanti, ma le
mie aspirazioni vanno al di là, ecco».
La donna sospirò pesantemente,
«E come credi di fare, se un giorno sarai re, quando ti
necessiterà la conoscenza oltre che la forza?» lo
sfidò.
Thor ristette, si guardò le punte dei piedi, in evidente
disagio, poi sollevò lo sguardo sorridendo beffardo.
«Per quello avrò sempre Loki a darmi una
mano!» esclamò, dando una pacca sulla spalla del
fratello. Corse via prima che Snotra avesse tempo di replicare,
raggiungendo suo padre che era diversi metri più avanti,
insieme agli ufficiali che gli stavano parlando dell'organizzazione del
campo e delle reclute più promettenti.
«Che idiota borioso» sibilò Loki,
guardando il fratello correre via.
«Loki!». Snotra cercò di non gridare
troppo forte, ma non poté fare a meno di mostrarsi
scandalizzata.
«Lo hai sentito anche tu, no?» replicò
il principe, sulla difensiva.
«Sì, l'ho sentito. Quello che non gli ho mai
sentito sulle labbra però sono insulti rivolti a
te»
«Io non dico cose stupide. Perché dovrei meritarmi
degli insulti?».
«Thor non è stupido, è solo concentrato
su certe cose invece che su altre». Snotra passò
una mano tra i capelli corvini del ragazzo e sembrò che Loki
facesse uno sforzo immane per non sottrarsi a quella carezza.
«Crescerà e il fatto che tu sia più
acuto e più maturo non ti dà il diritto di
denigrarlo, non è un comportamento né giusto
né saggio».
Lui arricciò il naso. «Sono... più
acuto e più maturo?».
«Sì, ma non essere così
vanesio» concluse Snotra con una smorfia canzonatoria. Loki
sorrise. «E adesso raggiungiamo tuo padre e tuo
fratello».
La visita all'accampamento si protrasse più di quanto
previsto. Odino ebbe la cortesia di parlare personalmente con ogni
recluta, spronando i giovani a dare del loro meglio, perché
anche in tempi di pace come quelli, è utile mantenere alta
la guardia.
Dopo aver visto tutto quanto c'era da vedere, il re si intrattenne nel
padiglione degli ufficiali a parlare con loro delle truppe di stanza
negli altri regni e delle notizie che giungevano dai luoghi al di
là dei confini di Asgard. Volle che Loki e Thor fossero
presenti e ascoltassero, e così anche Snotra si trattenne
con loro, ma la sua mente non era lì; i suoi pensieri erano
tornati alla campagna di Jotunheim, alle sconfinate distese di ghiaccio
e roccia, al cielo immerso nel buio di una notte senza fondo.
Sentì persino il freddo serpeggiarle oltre i vestiti,
lambirle la pelle.
«Stai tremando, Snotra» sussurrò Thor,
seduto accanto a lei.
La donna scosse la testa e tentò di sorridere,
«Non ero più abituata a trascorrere tanto tempo
all'aperto».
Il figlio di Odino le prese la mano come per trasmetterle un po' del
suo calore. Era sempre caldo, come il sole di quella bella giornata, e
come quel sole sembrava portare con sé promesse di gloria e
grandezza.
Sì, sarebbe cresciuto e avrebbe imparato ad essere saggio e
avveduto, come si addice a un uomo del suo rango.
Odino stava ancora parlando con gli ufficiali e Snotra aveva del tutto
perso il filo del discorso, quando dall'esterno si levò un
coro di grida.
I responsabili del campo si scambiarono occhiate basite. Dopo tanto
tempo passato a insegnare rigore e disciplina ai loro allievi ecco che
accadeva un imprevisto proprio durante la visita del sovrano.
Snotra pensò, non senza una certa irriverenza, che le
piacevano gli imprevisti e che forse quella gita avrebbe smesso di
essere noiosa.
«Vi porgo le mie più umili scuse, mio
re» disse l'ufficiale più alto in grado, alzandosi
con movimenti rigidi. «Con il vostro permesso, vado ad
assicurarmi che sia tutto a posto. Voi continuate pure, il discorso
è troppo interessante per essere interrotto dagli schiamazzi
di un paio di ragazzi».
Quando l'ufficiale uscì dalla tenda, le grida ripresero e
nel giro di pochi secondi divennero un unico coro di voci, un suono
inarticolato nel quale non si riusciva a distinguere una sola parola.
«Ha l'aria di essere una questione più
interessante dei nostri discorsi» commentò Odino.
Snotra riuscì a cogliere una leggera nota di ironia nella
sua voce, ma gli altri ufficiali che erano con lui trasalirono e i loro
volti sbiancarono di colpo.
Thor e Loki si scambiarono una rapida occhiata e si affrettarono a
seguire il re fuori dal padiglione.
A prima vista, sembrava esserci stata una specie di rissa. Un ragazzo
dall'armatura di cuoio lavorato stava in piedi davanti al primo
ufficiale con il naso rotto, ridotto a una chiazza sanguinolenta,
schiumante di rabbia. Alle sua spalle si era radunato l'intero
accampamento che ne stava palesemente prendendo le parti. Dall'altro
lato, c'era un altro ragazzo, di corporatura più piccola,
completamente coperto di fango, con un brutto taglio sul palmo della
mano, sorretto da un giovane corpulento con una gran massa di capelli
rossi.
Odino non sembrò gradire lo spettacolo. Si
accigliò e spostò più volte lo sguardo
tra i due ragazzi – tra il ragazzo sanguinante e lo
scricciolo ricoperto di fango.
«E questi incidenti accadono spesso?»
domandò torvo agli ufficiali.
«No, mio re, affatto. Ma ci premureremo immediatamente di
allontanare chi ha causato questo increscioso episodio» disse
l'ufficiale, guardando ostile la recluta coperta di fango come se desse
per scontato che fosse colpa sua, anche se, a quanto sembrava, nessuno
aveva ancora interrogato i giovani sull'accaduto.
«Non sono stata io!» strillò questa,
sussultando e disseminando ovunque schizzi di fanghiglia
grigia. Strinse i pugni e dalla mano ferita caddero grandi
gocce scarlatte che si persero nell'erba.
Stata?...
«Come osi, Sif?» esclamò l'ufficiale,
incollerito. «Aggredisci un tuo compagno e ora hai anche la
sfrontatezza di mentire dinnanzi al Padre degli dei! Ti ho accettata
tra le mie reclute per l'amicizia che mi lega a tuo padre, ma sapevo
fin dall'inizio che questo non è posto per una
ragazzina».
La giovane di nome Sif si passò il dorso della mano sul
volto, cercando di tirare via un po' di sudiciume. Non servì
a molto.
L'idea che una giovane fanciulla avesse scelto la vita da soldato era
interessante, almeno quanto era odioso il fatto che venisse palesemente
sfavorita dai suoi superiori che evidentemente non aspettavano altro
che una scusa per mandarla via.
«Volstagg!» disse l'ufficiale, al ragazzone dai
capelli rossi che continuava a sorreggere Sif. «accompagnala
nei suoi alloggi e assicurati che si ripulisca e faccia i
bagagli».
Lui esitò, guardando la compagna con un misto di
pietà e comprensione.
«Sei forse diventato sordo, ragazzo?».
«Agli ordini, signore...» borbottò
Volstagg, con uno sguardo polemico che contraddiceva la
formalità delle sue parole. Appoggiò le grosse
mani sulle spalle esili della ragazza, incurante del fango, e la
strattonò con quanta più delicatezza
poté – non molta, ad ogni modo, pur con tutta la
buona volontà la delicatezza non sembrava
appartenergli.
«Aspettate!».
Nello stupore generale, Thor fece un passo avanti.
Snotra incrociò per un istante lo sguardo di Odino e
capì che il Padre degli dei era curioso di vedere cosa aveva
da dire suo figlio e come avrebbe gestito quella questione, tanto
quanto lo era lei.
Per un attimo il giovane principe parve intimidito dall'aver attirato
su di sé l'attenzione di tutti, ma fu solo un attimo. Subito
dopo assunse un cipiglio serio e autoritario e si voltò
verso gli ufficiali,
«Non avete lasciato che la ragazza spiegasse le sue ragioni.
Lui ha il naso rotto ma anche lei è ferita oltre che... ehm,
sudicia» disse.
Snotra vide il lampo di un sorriso fiero passare rapidamente sul volto
del re. Pretendere giustizia anche per una causa poco rilevante era
senz'altro una dote che un futuro sovrano avrebbe dovuto possedere.
Gli ufficiali zittirono. Erano già pieni di collera e
vergogna per l'increscioso episodio avvenuto sotto gli occhi del loro
re, non si sarebbero messi anche a contraddire il principe di Asgard.
Sif fece un cenno di gratitudine alla volta di Thor,
«Mi stavo allenando da sola al lancio del giavellotto, vicino
al ponte sulla pozza di fango quando lui è venuto a
importunarmi» spiegò in tono monocorde. Certo, una
giovane in un accampamento di reclute non è una buona idea,
ma non per le ragioni che volevano far valere gli ufficiali.
«L'ho allontanato con una spinta e lui ha sguainato la spada.
Gli ho detto di metterla giù e quando ho alzato le mani mi
ha tagliata. Non ci ho visto più, e gli ho tirato un pugno
con la mano sana, lui mi ha spinta e sono finita nella
pozza».
«Bugiarda!» esclamò il ragazzo,
tamponandosi il naso. «Mi ha aggredito, io non le ho fatto
niente».
«E il taglio sulla sua mano, come lo spieghi?»
chiese Thor.
«Mi ha aggredito, dovevo pur difendermi»
«Sta mentendo» disse un'altra voce. La piccola
folla di reclute si aprì per lasciar passare due ragazzi che
dovevano essere più o meno coetanei di Thor e Loki.
«Noi non sappiamo com'è cominciata, ma abbia visto
che è stato lui a ferirla per primo».
«Sif era disarmata quando lui ha sguainato la
spada».
Dai ragazzi radunati fuori al padiglione si levò un
borbottio sommesso. Sif e i suoi difensori erano in netta minoranza,
avevano tutti contro, ma avevano la giustizia dalla loro parte.
Odino alzò un braccio e il parlottio cessò di
colpo. «Quindi, Thor?».
«Questa la voglio proprio sentire...»
sussurrò Loki all'orecchio di Snotra.
La situazione non era facile come sembrava. Anche appurato che Sif
fosse nel giusto, aveva comunque attirato su di sé il
malanimo di quasi tutto il campo, era evidente che lì non
era benvoluta né dai suoi compagni né dagli
ufficiali addestratori e con quell'episodio aveva compromesso ancora di
più la sua posizione. La fanciulla aveva il destino segnato
comunque, se non ora, avrebbero trovato in futuro un altra scusa per
cacciarla via, senza contare che i ragazzi che si erano schierati dalla
sua parte ne avrebbero comunque risentito perché il resto
delle reclute li avrebbe considerati come dei traditori.
Scegli bene, mio giovane
principe...
Snotra teneva gli occhi fissi su Thor e quasi poteva sentire il suo
cervello agitarsi nel tentativo di trovare una soluzione.
«È vero, un campo di addestramento forse non
è un posto adatto a una fanciulla»
esordì il figlio di Odino.
«Cos...». Sif tentò di protestare, ma
Volstagg le lanciò una gomitata per zittirla.
«Specie per una fanciulla che dimostra un tale
valore» proseguì Thor. «Io penso che
lady Sif si meriti qualcosa di più, così come
pure i suoi compagni che si sono comportati in modo onorevole nei suoi
riguardi. C'è posto per loro, al palazzo di mio
padre».
Un mormorio attonito scosse la folla di reclute. Forse la benevolenza
di Thor era stata un po' eccessiva, ma aveva trovato comunque una
valida soluzione al problema.
Odino sembrava soddisfatto.
«Non avrebbe fatto meglio a chiedere in dono un
cucciolo?» scherzò Loki, parlando a bassa voce
perché solo Snotra potesse sentire.
«Si è assicurato dei compagni che molto
probabilmente gli saranno fedeli» rispose lei.
«È stato incredibilmente astuto»
«Vuoi dire per uno come lui?».
Snotra non ebbe tempo di replicare, perché Thor si
avvicinò a lei e a Loki e li guardò come in cerca
di approvazione.
«Credo che tuo padre sia molto fiero di te» gli
disse lei.
«Ma spero che io resterò sempre il tuo compagno di
giochi preferito» aggiunse Loki.
Thor gli rivolse un sorriso affettuoso, «Sempre,
fratello».
Snotra si offrì di prendersi cura della ragazza.
Portò Sif in una tenda, l'aiutò a lavarsi via il
fango e le medicò il taglio alla mano.
Da sotto quello strato di sporcizia melmosa emerse una fanciulla con un
viso bellissimo, illuminato da grandi occhi verdi. Da grande sarebbe
stata il genere di donna capace di sedurre anche principi e re, era
sorprendente che invece avesse scelto la vita guerriera.
«Mi trovate strana, lady Snotra?»
domandò Sif portandosi al petto la mano fasciata da una
garza di lino.
«Certo che no. Sai, ho scelto anche io una strada che non
tutti ritengono adatta a una donna...»
«Oh, quindi non siete un'ancella?».
Snotra fece una smorfia. «Un'ancella?!».
Sif arrossì e distolse lo sguardo, mordendosi il labbro.
«Perdonate...» farfugliò imbarazzata.
«Pensavo foste... me evidentemente no... cioè, che
cosa fate?».
«Curo la biblioteca del palazzo di Asgard, dove è
depositato tutto il nostro sapere e la nostra storia. E sono la maestra
dei figli di Odino... il che fa di me una specie di eroe da leggenda,
suppongo».
La fanciulla rise. Aveva una risata allegra e argentina, da ragazza; in
lei c'era qualcosa che la risolutezza del suo carattere e la disciplina
militare non erano stati in grado di cancellare, qualcosa che emergeva
nettamente nella bellezza del suo volto quando sorrideva.
«Il principe Thor è stato generoso nei miei
riguardi e verso Fandral, Hogun e Volstagg» ammise Sif.
«Thor ha un cuore bellissimo». Il cuore di un re.
Snotra lasciò la ragazza ai suoi preparativi per l'indomani,
quando lei e gli altri tre giovani guerrieri sarebbero partiti per
raggiungere la città.
L'idea della cavalcata che l'attendeva al ritorno non era abbastanza
inquietante da guastarle l'umore, ma avrebbe preferito addormentarsi e
risvegliarsi l'indomani già a palazzo.
Raggiunsero la capitale che era già sera.
Le stelle sospese sopra le costruzioni dorate sembravano una miriade di
fiamme. In notti come quelle, il cielo sembrava davvero incendiarsi di
luce.
Loki e Thor lasciarono i cavalli alle cure degli stallieri e corsero a
cercare la regina, per raccontarle i fatti avvenuti durante la visita
all'accampamento.
Odino li guardò sparire oltre la soglia del palazzo e
restò per qualche secondo immobile, fermo in mezzo al
cortile.
«Fa quasi paura vederli crescere»
mormorò.
«Farebbe paura se non fossero i degni figli di un grande re,
maestà» rispose Snotra, con un sorriso.
«Sono anche i degni allievi di un'ottima maestra»
«Voi mi lusingate, mio re...»
«Lascia queste formalità ad altri, Snotra, la
corte è piena di amanti della cortesia e dell'etichetta. Io
ti sono grato per quello che stai facendo per i miei figli».
Odino strinse le labbra ed esitò, ma infine aggiunse:
«Soprattutto per Loki».
Lei scrutò il viso del sovrano nella penombra della sera. Il
Padre degli dei non si poteva ancora definire vecchio, ma il tempo
aveva lasciato segni evidenti sul volto nobile e fiero.
Snotra avrebbe voluto chiedergli se quello che si stava facendo per
Loki fosse abbastanza, ma non ebbe il coraggio di insinuare un tale
dubbio nella mente del suo re. Del resto, il tempo era dalla loro
parte: se c'era ancora qualcosa da fare per Loki, avrebbero potuto
farla in futuro, appena se ne fosse presentata l'occasione.
Non era una combattente, era vero, ma quella era la sua personale
battaglia.
La donna si ritirò nelle sue stanze senza nemmeno cenare. La
lunga giornata l'aveva sfiancata e il viaggio a cavallo le aveva
lasciato in dono una scia di dolore sordo in fondo alla schiena e lungo
le gambe.
Si fece preparare un bagno caldo per cercare di distendersi.
Il vapore profumato che si levava in spire leggere dalla vasca
appannava le pareti a specchio della stanza da bagno. Snotra prese un
gran respiro e lasciò che i pensieri si dissolvessero come
la condensa sulle superfici lucide.
Raggomitolata nell'acqua che si andava via via raffreddando, con i
lunghi capelli rossi sparsi come un mantello sulle spalle puntellate di
lentiggini, la donna assaporò per una buona mezz'ora il
piacere del silenzio, quando anche la mente si svuota e non resta altro
che un piacevole limbo di tranquillità.
Indossò una veste da camera e si chiuse nelle sue stanze. Si
accorse di non essere nemmeno in grado di leggere e decise di mettersi
a letto.
Con il viso poggiato di lato sul guanciale, guardava il rettangolo di
cielo stellato incorniciato dalla finestra. Lo fissò fino a
quando l'arabesco di luci non si confuse in un'unica massa indistinta
di bianco e nero e le palpebre le si fecero pesanti.
Forse aveva appena preso sonno quando delle bussate decise alla porta
la fecero destare di colpo. Forse il rumore l'aveva strappata alle
grinfie di qualche strano sogno molesto e agitato.
«Snotra?». La voce di Loki.
La donna si stropicciò il viso con le mani e
rammentò: lui le aveva promesso una sorpresa.
Si alzò in fretta e si avvolse in una vestaglia verde, come
il colore del mantello che Loki amava portare.
Il ragazzo era sulla soglia della porta, gli occhi accesi da una
scintilla di entusiasmo quasi vorace.
Le prese la mano e la condusse con sé. Snotra non fece
domande, sarebbero state superflue e inutili e poi, lei si fidava di
Loki.
Il palazzo dormiva, avvolto nel silenzio e protetto dal buio grazie
alla luce delle stelle, la stessa luce che permetteva a Snotra e Loki
di vedere dove mettevano i piedi mentre attraversavano corridoi e scale
e saloni deserti.
L'intera città dormiva, quieta e al sicuro sotto il suo
cielo.
Il giovane principe portò la sua maestra fino alla
biblioteca. Dentro era tutto buio, ad eccezione di alcune candele
accese in un candelabro a quattro braccia; le loro fiammelle creavano
una bolla di luce dorata che illuminava a malapena uno scrittorio e una
sedia.
Loki usò una candela per accendere un paio di lampade,
illuminando un intero corridoio formato da due file parallele di
scaffali alti quasi fino al soffitto, poi fece cenno a Snotra di
sedersi.
Lei si sistemò su una delle sedie accanto agli scrittoi e
rivolse al suo allievo un sorriso incoraggiante.
«Sto aspettando» lo spronò. Si accorse
che l'attesa e la curiosità l'avevano davvero resa
impaziente.
Loki si allontanò di qualche passo e in mezzo alla luce
tremula delle fiamme sembrò un attore su un palcoscenico.
Tolse una candela dall'alloggio del candelabro, tenendola con cautela
tra due dita per non scottarsi con la cera calda che colava.
Un brutto presentimento attraversò la mente di Snotra e lei
strinse le palpebre. Cosa voleva fare il ragazzo?
Loki chiuse il pugno attorno alla fiamma.
Lei trattenne il respiro, augurandosi di aver capito male, ma quando il
giovane aprì la mano e le mostrò la fiammella che
gli danzava sospesa sul suo palmo senza bruciarlo, si rese conto che
aveva capito fin troppo bene.
«Loki...»
«Aspetta».
Il principe agitò l'altra mano sulla piccola lingua di fuoco
che si appiattì e poi si allargò,
cambiò forma e colore. Quando lui allontanò le
mani, c'era una colomba dal piumaggio bianchissimo poggiata sui suoi
palmi. Loki le diede una piccola spinta e la colomba volò
diritta verso Snotra, andandosi a posare nella conca delle braccia che
teneva incrociate in grembo.
Il ragazzo sorrideva compiaciuto e soddisfatto, aspettando la reazione
entusiasta della sua maestra.
Ma la donna era sconvolta.
La magia faceva parte di Asgard, era la forza al di sopra di tutto e
tutti che teneva in vita Yggdrasil, fino alle sue radici dove
dimoravano le Norne. Ma che qualcuno decidesse di farne un'arte e di
usarla come strumento era un'altra cosa, qualcosa di presuntuoso e
persino meschino, per certi versi. La magia apparteneva all'universo,
gli individui che lo popolavano non dovevano affidarsi a un tale
strumento perché ne avevano a disposizione altri... armi per
combattere e non trucchi da codardi, medicine per guarire e non
incantesimi con cui ingannare il destino, la volontà e i
talenti per perseguire i propri fini e non le scorciatoie offerte dalla
magia.
E Loki aveva tutto questo, aveva delle personali abilità
guerriere, e aveva tutto il talento e la forza d'animo di cui un
individuo può necessitare per nutrire le proprie
aspirazioni.
«Loki... come ti è venuta in mente una cosa
simile, perché non me ne hai parlato?»
domandò Snotra sentendo la colomba agitarsi tra le sue mani
nel tentativo di sbattere le ali e spiccare il volo.
Il giovane principe contrasse il viso in un'espressione contrariata.
«Volevo riuscirci da solo, doveva essere una sorpresa...
pensavo che saresti stata contenta di me».
Snotra deglutì e scosse il capo. «Io sono contenta
di te, come lo è la tua famiglia...»
«Non è vero! Non sono contenti di me come lo sono
di Thor! Io... volevo solo avere qualcosa di speciale»
«Ma tu sei speciale, Loki! Proprio per questo non ti serve la
magia, è un insulto a te stesso, alle tue doti e alla tua
intelligenza perdere tempo con questo genere di cose quando hai mille
altre possibilità di riuscire in ciò che
desideri».
Il respiro del ragazzo si era fatto affannoso come se cercasse di
trattenersi dallo scoppiare a piangere o mettersi a gridare.
«Non ho mille
possibilità, ne ho molte poche. Questa è quella
che ho scelto, è una mia scelta!»
«È la scelta sbagliata!». Ora fu Snotra
a gridare; la colomba le volò via dalle mani e percorse il
poco spazio che separava la donna dal suo interlocutore. Loki
l'afferrò, stringendola nervosamente; l'animale
lanciò un pigolio i protesta.
«Pensavo che saresti stata contenta»
ripeté lui, gli occhi arrossati da lacrime di frustrazione.
«Pensavo che tu... che tu fossi diversa da tutti
loro».
Loro? Loro cosa, chi?...
Per gli inferi, cosa stava accadendo?
Snotra non si era mai sentita così confusa. La rabbia di
Loki era come un terremoto che aveva fatto crollare ogni cosa, spostato
i profili delle montagne, delle sue certezze e delle sue speranze.
Forse la sua reazione era stata troppo aggressiva, pensò,
forse se avesse cercato di essere un po' mano diretta, di non mostrarsi
subito così sconvolta... forse, forse...
Non c'era forse che tenesse, non sarebbe cambiato niente; Loki non
stava chiedendo alcun consiglio o parere, desiderava solo
un'approvazione incondizionata. Un'approvazione che Snotra non poteva
concedergli e in qualunque modo gli avesse fatto notare il suo errore e
perché era tale, sarebbe stato lo stesso...
«Loki, ascolta, ti prego». Avrebbe voluto fare un
altro tentativo, se non altro per calmarlo, perché non
poteva sopportare di vederlo così sconvolto.
Lui fece una passo all'indietro. La rabbia e il disappunto sparirono
dal suo viso, scivolando via come una maschera, e lasciarono il posto a
un'espressione gelida che non esprimeva alcuna emozione.
Dopo averle rivolto un ultimo sguardo indecifrabile, Loki si
voltò e corse via.
«Aspetta!» gridò Snotra. La sua voce si
spanse nel silenzio della biblioteca, perdendosi nel buio.
La donna corse dietro al ragazzo, tenendo sollevato l'orlo della veste
e sentendo il dolore dei muscoli tesi per la cavalcata accendersi di
nuovo. Corse goffamente fuori dalla biblioteca, lungo la galleria,
incapace di raggiungerlo. Loki sparì tra le ombre della
notte.
Snotra chiamò il suo nome, ma lui non si fermò,
non tornò indietro.
A un certo punto, il piede della donna impattò contro
qualcosa lasciato sul pavimento e lei quasi inciampò. A quel
punto capì che era inutile continuare a inseguire Loki e
restò ferma ai piedi di una scala, con il fiato corto.
Abbassò lo sguardo per cercare di capire contro cosa era
andata a urtare.
La colomba era abbandonata accanto al primo gradino, le ali aperte e il
petto squarciato, macchie di sangue scarlatto imbrattavano il candore
delle piume.
Snotra si chinò, sfiorò con la punta delle dita
la curva di un'ala e in quel momento seppe che la sua battaglia era
perduta, che il destino l'aveva sconfitta.
___________________________________________________________________________________
Note:
Il
film non è che dica granché su Asgard in
generale, né mostra molto
del regno di Odino per questo io mi sono presa la libertà di
fare a
modo mio e sì, nella mia testa, ad Asgard hanno un'accademia
militare e nella mia testa Babbo Orbo (che comunque non è un
personaggio che amo particolarmente) assolve i suoi compiti di
sovrano anche andando a far visita alle varie maestranze del Regno,
tra cui appunto, i tizi dell'Accademia...
Odino
il cavallo a otto zampe ce l'ha pure nel film, lo si vede nella scena
in cui va a recuperare Thor&Co. su Jotunheim.
Non
ho un bestiario asgardiano a portata di mano XD ma se hanno cavalli
credo sia plausibile che ci possano essere anche le colombe.
A
proposito di colombe... NESSUN ANIMALE È
STATO MALTRATTATO PER SCRIVERE QUESTA FANFICTION.
La
citazione iniziale è dal brano Khorakhanè
|
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Capitolo 4 *** Quarto episodio ***
4° Episodio
''Quanti
cavalli hai tu seduto alla porta,
tu che sfiori il cielo col tuo dito più corto,
la notte non ha bisogno,
la notte fa benissimo a meno del tuo concerto.
Ti offenderesti
se qualcuno ti chiamasse un tentativo?''
Asgard era un'esplosione
di luce, un fuoco alimentato dal sole. Uno spettacolo bello da far
male, come una pianta velenosa.
Snotra
strizzò gli occhi, le lacrime avevano reso le ciglia
cispose, appiccicaticce, dovette strofinarle con la punta delle dita
per schiarirsi la vista.
La luce sembrava
qualcosa di enorme, di solido, che la teneva inchiodata.
Se avesse potuto parlare
con Thor, lo avrebbe implorato di scatenare una tempesta, di spegnere
quell'enorme bagliore con il grigio acciaio delle nuvole.
Chiuse gli occhi e si
accorse di non avere altre lacrime da piangere.
Una folata di vento
portò l'odore lontano del mare e un vago sentore di metallo.
E sembrò parlare con la voce di Loki: tu sapevi . Un'affermazione che aveva il
tono impietoso dell'accusa, che di colpo l'aveva spogliata di ogni
riflesso positivo, che l'aveva resa uguale agli altri agli occhi del...
prigioniero.
Lei sapeva. Lei aveva
mentito, come tutti.
Era una consapevolezza
che ribaltava la prospettiva in modo vertiginoso, creava un senso di
vuoto sotto i suoi piedi e ora Snotra si chiedeva con quale coraggio
Asgard potesse additare Loki come ''il traditore''. Le sue colpe erano
riflesse nelle loro, in un contorto gioco di specchi, un labirintico
sentiero fatto di ombre e peccati, di omissioni e di perdoni mai
concessi.
La loro colpa non era
sapere, era non aver fatto nulla mentre la mente di Loki si andava
sgretolando sotto il peso di una diversità percepita ma mai
compresa del tutto, fino alla rivelazione di Odino. E in quei giorni
Snotra non era lì a palazzo, non aveva potuto vedere quello
che stava accadendo, né fare nulla.
La donna
cercò di ricomporsi. Non c'era altro da fare al momento se
non attendere l'evolversi dei fatti, ma le erano bastate poche occhiate
a Loki in quella cella per capire che era giunto oltre un punto di non
ritorno, compromesso per sempre. E lei neppure sapeva cosa era accaduto
davvero al dio degli inganni dopo la sua caduta dal Bifrost,
né aveva avuto modo di domandarlo.
A lui non lo avrebbe
potuto chiedere di certo, non poteva fidarsi della risposta. E poi...
Codarda!
E poi aveva idea che
fosse qualcosa di terribile e non voleva ascoltare.
Forse Thor e Odino
conoscevano la risposta, una risposta comunque parziale, imprecisa, ma
era sempre meglio di niente; e loro sarebbero stati cauti e gentili nel
raccontare.
Codarda!
Snotra cercò
di scacciare quella voce dalla sua testa, cercò di zittire
l'eco del vento che le ripeteva le parole di Loki. Prese un lungo
respiro nel tentativo di calmarsi e tornò dentro, il volto
impassibile in un'espressione neutra e indecifrabile.
Il palazzo aveva
cominciato a popolarsi. La corte degli Æsir riempiva i
corridoi e le gallerie; in molti si erano riversati sulle terrazze per
godere di quel sole straordinario. Nessuno si voltò verso di
lei, mentre Snotra tornava verso le proprie stanze, eppure la dea della
saggezza riuscì comunque a percepire stralci di
conversazione. Il nome di Loki rimbalzava di bocca in bocca, come una
maledizione; persino nella sala del banchetto, attorno alla tavola
imbandita, le risate erano meno squillanti.
La strada che mancava
per raggiungere le sue stanze le sembrò infinita. Snotra
mise un piede avanti all'altro, in quell'atmosfera stranamente glaciale
che contrastava in maniera quasi dolorosa con il sole e il caldo dei
riflessi sulle superfici dorate.
Quando finalmente
imboccò il corridoio dove affacciavano i suoi alloggi, le
sembrò di essersi lasciata alle spalle il rumore del
chiacchiericcio della corte e avvertì persino una lieve
frescura in mezzo all'ombra silenziosa e confortante del corridoio.
«Lady
Snotra!». Non lo aveva visto subito; Thor spuntò
dietro a un angolo, aveva ancora indosso il mantello, il morbido
tessuto color porpora ondeggiava nella scia dei suoi passi. Il Mjolnir
era ancora stretto nel suo pugno, così saldamente che le
nocche della mano erano sbiancate nella furia della presa.
La donna lo
guardò avvicinarsi. Avrebbe voluto dirgli che era tutto
finito, che poteva posare le armi, smettere i panni del guerriero, che
adesso era a casa, erano tutti a casa.
Il dio del tuono le
prese le mani nelle sue e Snotra non capì se voleva offrirle
sostegno o chiedergliene un po'. Il volto del principe era sempre stato
un libro aperto ai suoi occhi, ma ora l'emozione che gli aleggiava
nello sguardo le sembrava indecifrabile.
Rabbia? Pena?
Stanchezza, quella di
sicuro. Anche lui doveva aver trascorso la notte insonne.
«Dunque, vuoi
raccontarmi cosa è accaduto su Midgard?» gli
chiese Snotra, in tono gentile.
Thor annuì,
stranamente assorto. Offrì il braccio alla donna e insieme
si diressero verso uno dei salotti lasciati vuoti dalla corte che ora
occupava il pianterreno.
Braci consumate si
stavano spegnendo dove prima c'era un grande fuoco, forse rimasto
acceso durante la notte. Snotra guardò la loro luce fioca
pulsare di un bagliore rosso e pensò al sangue, quasi ne
sentì l'odore, salato e ferruginoso.
Scacciò dalla
sua mente l'immagine delle chiazze scarlatte tra le piume bianche della
colomba, era un orrore che apparteneva al passato, e si
voltò verso Thor.
«Racconta»
chiese. E non voleva sapere solo di Loki, e il principe non
parlò solo del mostro ma anche degli
eroi, di soldati
leggendari e uomini di metallo e di uomini dal cuore grande da poter
contenere una rabbia immensa, e di sicari con il coraggio di riscattare
la propria coscienza. Parlò di un foro enorme in mezzo al
cielo, un foro che bruciava della furia della guerra e della follia,
del male che viene da lontano.
Thor allentò
la presa delle dita; il Mjolnir cadde sul pavimento con un sordo tonfo
metallico che aprì la strada a un silenzio denso come il
buio.
«Ho parlato
con lui» disse Snotra, quando l'assenza di rumore si fece
troppo pesante e troppo pregna di pensieri.
Thor si voltò
lentamente, nascondendo lo sguardo.
Lo stai odiando e te ne vergogni?
Si chiese la donna.
«Dobbiamo...
arrenderci?». Una domanda scomoda, quella del dio del tuono,
una domanda vigliacca. Snotra pensò che fosse quasi sleale
mettere lei in condizioni di trovare una risposta e probabilmente
confermare una verità già piuttosto evidente.
«Attenderemo
il giudizio di Padre Tutto» si limitò a
rispondere. No, non sarebbero state le sue parole a condannare Loki:
lei aveva promesso, tanti anni prima, a cospetto delle ombre e dello
sguardo innocente di un bambino in fasce.
Le braci al centro della
stanza erano ancora mezze accese, sembravano ancora sangue che pulsava
via da un cuore.
«Quando
è accaduto, Snotra?» chiese Thor, chinando il capo
afflitto. «Ci hai visti crescere, lo saprai, saprai quando
è cominciata. Io ero troppo preso dalla mia boria giovanile,
ma tu...».
Snotra scosse il capo.
Thor era troppo preso dalla sua boria giovanile per accorgersi che
l'animo di Loki stava diventando guasto, e lei? Era semplicemente
accecata dall'amore e dalla speranza? Lei forse aveva sempre saputo,
aveva sempre sentito che Loki era in bilico, e piuttosto che tendergli
una mano per trascinarlo via dal bordo del precipizio, aveva cercato di
fargli credere che non esisteva alcun baratro. Anche se in quel
momento, nei suoi ricordi, si fece strada un'immagine precisa, un fatto
lontano a cui nessuno aveva dato troppo peso.
Aveva a che fare con una
notte stellata e una festa da ballo, come una favola scritta nel modo
sbagliato.
***
L'aria aveva un piacevole odore di erba appena tagliata.
Snotra osservò distrattamente il crocchio di ancelle ridere
a voce fin troppo alta e scambiarsi sguardi da congiura.
Il giardino era in fiore e lei si era sistemata all'ombra di un albero
a leggere un libro.
Pensò che quelle giovani dovessero annoiarsi davvero molto,
altrimenti non c'era spiegazione per la rete di pettegolezzi che erano
riuscite a mettere in piedi sulle storie che riguardavano la scelte
delle varie dame di corte per il ballo.
Perché doveva esserci un ballo quella sera, ed era previsto
che le donne del palazzo sfoggiassero tutta la loro divina e opulenta
bellezza.
Questa faccenda degli abiti da festa era diventata una vera e propria
disputa, combattuta silenziosamente nel chiuso delle stanze.
Se si annoiavano le ancelle, tanto da farne un argomento di
conversazione, Snotra non poteva immaginare quanto dovessero annoiarsi
le donne per aver deciso di farsi la guerra a suon di metrature di
tessuti pregiati, pizzi e gioielli.
Girava persino voce che alcuni grandi lord della Patria Eterna
volessero cogliere l'occasione per presentare a corte le loro figlie in
età da marito. Lei sapeva che era ben più di una
voce.
Snotra sorrise al pensiero: questo voleva dire che i due eredi di
Odino, i suoi due allievi scapestrati, erano davvero diventati
adulti?
Sì, lo erano diventati e da tempo, solo che lei preferiva
non pensarci.
Thor e Loki erano due magnifici giovani uomini, ognuno a suo modo, come
lei aveva sempre sospettato sarebbero stati.
Anche se con il passare del tempo era accaduto ciò che lei
temeva maggiormente: le luci attorno al figlio di Odino si erano fatte
più brillanti e le ombre attorno a Loki erano divenute
più fitte.
Il più giovane dei suoi principi aveva fatto le sue scelte,
aveva cominciato a percorrere la sua strada e Snotra non poteva fare
niente per intervenire, non sarebbe stato giusto; lei era solo la sua
maestra, poteva dargli indicazioni e consigli ma non era suo compito
mettergli il guinzaglio.
Il bivio aveva cominciato ad aprirsi davanti a Loki quella notte di
tanto tempo prima... la donna ricordava l'episodio con la chiarezza con
cui si ricorda un incubo che ha turbato il sonno, come qualcosa che
resta in qualche modo inafferrabile eppure presente, concreto.
Loki, la fiamma che diventa una colomba, la colomba col il petto
squarciato e le ali candide chiazzate di sangue.
Snotra non aveva potuto tacere sull'episodio, aveva informato il re e
lui aveva deciso di non negare a suo figlio quel diletto, se lo
riteneva opportuno, perché per quanto invisa a molti, la
magia era comunque una pratica che sarebbe tornata utile prima o poi,
la stessa Asgard affondava le sue radici in qualcosa di più
grande e più mistico di semplici pilastri di metallo e cielo
tra i rami di Yggdrasil.
Certo, lei lo sapeva, e di certo non poteva permettersi di confutare
una decisione presa dal Padre degli dei, tuttavia era convinta che il
punto della questione non fosse la legittimità delle arti
magiche, quanto i motivi che avevano spinto Loki a interessarsene, a
studiare da solo, lavorando sodo nell'ombra, in segreto.
Loki era in cerca di una scappatoia, Snotra non sapeva bene per quale
ragione, ma sapeva che era sbagliato e che questo avrebbe finito solo
per renderlo inviso agli occhi degli altri che già
difficilmente avevano la pazienza di guardare oltre il muro di
introversia che circondava il più giovane dei due eredi al
trono.
Asgard non sapeva attendere, non aveva la solerzia di dissipare le
ombre, preferiva le luci. E Loki non apparteneva ad Asgard, per questo
lui e il mondo che lo aveva sempre circondato restavano sempre
distanti, inconciliabili; si tenevano sospesi sul filo del rasoio che
quasi c'era da temere che un solo passo falso si sarebbe rivelato
letale.
Snotra chiuse il libro con un gesto repentino. Le spesse pagine di
pergamena produssero un tonfo che zittì di colpo il
chiacchiericcio querulo delle ancelle.
«Perdonate, lady Snotra, non volevamo disturbarvi»
disse una di loro, mortificata – o almeno, fingendo di
esserlo.
La donna sbatté le palpebre quando il sole che filtrava
attraverso la tettoia di edera e fiori le ferì la vista.
«Non importa» sospirò.
Si alzò, sistemandosi il libro sotto al braccio e raggiunse
il palazzo.
Sorpassò tre dame di corte che la salutarono con un sorriso
formale e realizzò di non aver ancora pensato al suo vestito per il
ballo. A dirla tutta, non aveva neppure davvero pensato di andarci
né era stata invitata ufficialmente: ricopriva una carica
importante alla corte di Odino e poteva godere della stima dei sovrani
e dell'affetto dei principi, ma non apparteneva alla nobiltà
più blasonata.
In verità, neppure le importava del ballo, quasi avrebbe
preferito non ricevere alcun invito formale così da poter
avere una scusa pronta nel caso, all'indomani dell'evento, qualcuno
avesse fatto notare la sua assenza.
Si chiese se le era mai importato davvero di cose del genere, se nel
suo cuore non fosse rimasta una pallida luce della ragazza che, dietro
al suo amore per la conoscenza, aveva nutrito come ogni fanciulla sogni
romantici e speranze radiose, scintillii troppo fiochi
perché l'ombra di altre scelte e di altre passioni potesse
lasciarli brillare troppo a lungo.
Aveva forse dei rimpianti? No, non era ancora così vecchia
per il rimpianto. Certamente un giorno lo sarebbe stata, sarebbe venuto
il tempo di interrogarsi a proposito delle sue scelte, di chiedersi
come sarebbe stata la sua esistenza se avesse intrapreso una strada
diversa, ma non ancora.
Era ancora felice di essere ciò che era, nonostante tutto.
Entrò nella biblioteca. Il silenzio polveroso di quel luogo
le era ancora troppo caro per dar voce a qualsiasi rimpianto.
«Tu da dove vieni?» domandò guardando il
dorso del libro che aveva con sé. «Oh, giusto,
terzo scaffale a sinistra...».
Canticchiò tra sé e sé un motivetto da
ballo e cercò la collocazione esatta del volume. Quando
voltò l'angolo dello scaffale vide una figura in movimento e
sobbalzò per la sorpresa, con un singulto spaventato.
«Oh, lady Snotra, vi prego, perdonatemi!»
squittì l'intrusa con voce sottile.
La donna la guardò: giovane minuta, capelli biondi raccolti
in una treccia, un bel viso delicato. Sigyn, figlia di una famiglia di
origine antichissima; lei e i suoi genitori erano giunti a corte il
giorno prima e, come altri nobili, erano stati invitati a restare a
palazzo fino al ballo.
Snotra aveva sentito che il lord suo padre era tra quelli che avevano
condotto la figlia a palazzo perché venisse presa in
considerazione come futura moglie di uno dei figli di Odino. Uno
qualsiasi, non era importante quale dei due, l'ambizione del vecchio
lord non lasciava posto ad alcun tipo di reticenza.
Snotra guardò la fanciulla. Di norma non le piaceva che
qualcuno si intrufolasse nella biblioteca mentre lei non c'era, ma
Sigyn aveva un'aria così mortificata che la donna non ebbe
cuore di rimproverarla.
«Cercavate qualcosa in particolare, lady Sigyn? Posso
aiutarvi?».
La ragazza sembrò stupita dal fatto che lei rammentasse il
suo nome e Snotra trattenne a stento un sorrisetto compiaciuto.
Lo studio allena la
memoria, mia giovane ospite.
«Avevo sentito parlare della biblioteca del palazzo, ero
curiosa. La porta era aperta e pensavo voi foste dentro»
«Vi interessano i libri?».
Sigyn corrugò la fronte e assunse un'aria pensierosa, come
se stesse cercando di scegliere accuratamente le parole giuste.
«Sono un'interessante distrazione. La vita al palazzo di mio
padre è piuttosto...
tranquilla» concluse.
Oh, allora la noia non era un problema che affliggeva solo le donne
della capitale.
Snotra fece un vago cenno affermativo e stava per invitare la giovane a
trattenersi lì tutto il tempo che desiderava quando un
rumore concitato di passi ruppe il silenzio della biblioteca.
Attese qualche istante ascoltando solo lo scalpiccio di piedi che
correvano sul pavimento lucido. Il ritmo di quella corsa non era
affatto cambiato nel corso degli anni.
«Thor!» esclamò in tono irritato, ancora
prima che il principe comparisse.
«Snotra! Come facevi a sapere che ero io? Oh, non
importa...». Il figlio di Odino giunse trafelato da dietro a
uno scaffale. Aveva gli occhi che gli brillavano di gioia e orgoglio.
Era sempre stato alto per la sua età, anche da bambino, ma
adesso sembrava davvero un gigante. Un gigante con il viso da ragazzo e
gli occhi buoni.
«Thor, non farmi vergognare di essere stata la tua maestra,
ti prego, comportati a dovere» borbottò Snotra.
Il principe non sembrò afferrare e la donna gli
indicò la ragazza alle sue spalle con un'occhiata severa.
Thor nemmeno si era accorto che c'era qualcun altro nella biblioteca:
doveva essere davvero emozionato per qualche ragione, quando qualcosa
lo colpiva a tal punto perdeva totalmente la capacità di
concentrarsi sulle cose più evidenti. Come tutti i guerrieri
nati per essere tali, aveva la fermezza del soldato che sferra il colpo
contro il nemico che ha davanti, un nemico alla volta, un colpo alla
volta, incurante dell'intera battaglia attorno a sé.
Thor si inclinò di lato per guardare la ragazza quasi
nascosta dietro la sua maestra. Le buone maniere gli imposero di
dedicarle l'attenzione necessaria a salutarla formalmente e a
sorriderle in modo cordiale per quanto sbrigativo.
Sigyn ricambiò con uguale cortesia ma, fissandola di
sottecchi, Snotra si accorse che la fanciulla non sembrava affatto
impressionata dal figlio di Odino e questa era di certo una
novità. Per qualche ragione Sigyn non doveva trovare Thor
abbastanza attraente – nonostante fosse straordinariamente
bello – né abbastanza interessante –
nonostante fosse il figlio primogenito del re – e questo fece
provare a Snotra una simpatia immediata per lei, la rendeva meno
scontata ai suoi occhi di tutte le altre ragazze che aveva visto in
giro.
«Snotra!». Thor si era già dimenticato
della loro graziosa ospite; si gettò sulla donna,
stringendola in un abbraccio da fermarle il cuore.
«A cosa è... dovuto tanto entusiasmo?»
chiese lei, ansimando nella presa troppo stretta delle braccia del
principe.
«Thor, per le Norne, lasciala respirare».
Snotra intravide il volto di Loki spuntare oltre la fila di scaffali. I
suoi passi non facevano rumore.
Thor la sciolse dall'abbraccio e lei si sentì come se fosse
risalita a galla dopo un tuffo che l'aveva spinta troppo in
profondità.
La donna vide Loki sorridere, ma non stava sorridendo a lei quanto alla
fanciulla alle sue spalle, spettatrice casuale di rocambolesche
dimostrazioni d'affetto e entusiasmo. Ed era il sorriso che Snotra
conosceva, un'increspatura perfetta sul tessuto di una maschera senza
volto, un sorriso tanto bello quanto costruito.
«Lady Sigyn» disse Loki con squisita cortesia,
accennando un lieve inchino. «Penserete di essere in un
circo, ormai...».
Ah, questo è
interessante. Pensò Snotra con una punta di
divertimento. Un leggero rossore era salito a coprire le guance della
ragazza. E quando era accaduto che Loki aveva imparato il suo nome?
Beh, non aveva importanza, la lusinga celata in quel saluto era
piuttosto evidente, ma era sincera? Questo era notevolmente
più importante.
«No, affatto, è bello scoprire che i principi di
Asgard sono tutt'altro che formalità e bei
vestiti».
Formalità e
bei vestiti? Snotra avrebbe voluto ridere.
Lanciò a Loki uno sguardo interrogativo, ma lui rispose con
un'occhiata del tutto calma e neutrale.
Dopo la notte della fiamma tramutatasi in colomba, per qualche attimo
Snotra aveva pensato di aver perso Loki, di aver smarrito il suo
affetto, ma così non era stato. O almeno, questo era quello
che dicevano le apparenze.
Il giorno dopo c'era stato qualche momento di imbarazzo in cui, tra
loro due, le parole avevano faticato a prendere forma. Poi,
semplicemente, Loki le aveva detto che non era importante quello che
era accaduto, che non poteva certamente aspettarsi che le persone che
gli volevano bene – oh,
quindi sai, lo sai che ti voglio bene! - accettassero
sempre e comunque le sue scelte, che andava bene così, che
non c'era motivo di perpetuare ostilità o silenzi
imbarazzati solo perché lei non approvava la sua decisione.
Quel discorso era stata una freccia avvelenata scoccata con micidiale
precisione contro il suo petto. Era lei che gli aveva insegnato ad
usare le parole, era lei che gli aveva suggerito le astuzie della
retorica e quindi poteva vedere cosa si celava dietro il tono neutrale
e studiato con cui Loki aveva fatto quel piccolo discorso.
Ti sei messa contro di
me, mi hai deluso. Era questo che voleva dirle in
realtà. E se
io non posso avere il tuo appoggio incondizionato, tu non puoi avere
tutto lo spazio che c'è nel mio cuore.
Snotra era consapevole dell'iniquità di quel ricatto,
dell'insensatezza delle accuse di Loki, ma allo stesso tempo sapeva di
non avere scelta se non accettare il nuovo stato delle cose,
poiché l'altra opzione era perderlo del tutto, era mettersi
davvero contro di lui e la sola idea le sembrava folle. Era lui che
pareva sempre intenzionato a vivere tutto come se fosse una disputa, ma
questo atteggiamento non le apparteneva e di certo sarebbe stato
inadatto alla dea della saggezza.
Dall'esterno nulla sembrava cambiato tra loro due, ma Snotra sapeva
cosa c'era dietro la superficie dei sorrisi che Loki le rivolgeva,
delle lunghe ore che ancora trascorrevano a parlare di libri e materie
di studio. Una volta lei gli camminava accanto su una strada polverosa
e difficile, ma retta; adesso i loro passi si muovevano scivolosi sulla
crosta di ghiaccio di un lago gelato che da un momento all'altro
avrebbe potuto cedere.
Era una precarietà che faceva male, che quasi la spaventava,
ma Snotra si aspettava che, diventando adulto, Loki avrebbe compreso e
che le cose sarebbero cambiate.
Lui era già un uomo ormai e nessun cambiamento era davvero
avvenuto, ma Snotra non aveva ancora perso la speranza. Lei lo
conosceva, lo aveva cresciuto, poteva ancora portare un po' di luce per
aiutarlo a dissipare le ombre, se solo lui glielo avesse concesso. Lei
aveva fatto una promessa, ed era più che decisa a
mantenerla: Loki poteva mettere tra loro tutta la fredda distanza che
desiderava, ma niente l'avrebbe mai davvero allontanata dall'adempiere
a quel giuramento.
«Ho una notizia!». L'esclamazione entusiasta di
Thor si intromise bruscamente in quel flusso di pensieri dolorosi e non
bastò ad addolcirli.
«Oh, certo, stavamo parlando di te» disse Snotra
con un mezzo sorriso.
«Come al solito» intervenne Loki, sarcastico.
Thor era impaziente, sembrava che la notizia dovesse essere una
sorpresa ma non vedeva l'ora di rivelarla.
«Ho detto a mio padre che non avremmo cominciato senza di
te» disse. «Cioè, tu devi esserci, sei
la mia maestra preferita»
«Forse perché sono l'unica che ti abbia
sopportato...».
Thor non ascoltò quella battuta, si era già
voltato per dirigersi verso l'uscita della biblioteca. Sembrava davvero
emanare luce, come se la sua gioia si fosse intrecciata al tessuto del
suo abito.
Snotra si accostò a Loki e lui la prese sottobraccio.
«Si sposa?» gli domandò perplessa, con
un filo di voce. A giudicare dalla marea di giovani donne riversatesi a
palazzo in quei giorni, non era un'ipotesi tanto improbabile.
«Hai per caso sentito i pianti straziati di tutte le
fanciulle di Asgard?» rispose lui, scuotendo la testa.
«E allora, cosa?»
«Nostro padre gli ha fatto un regalo»
«Ah. E cosa gli avrà regalato?»
«Oh, vedrai...».
In quel momento Snotra si voltò, ricordandosi di Sigyn. La
giovane si era allontanata di qualche passo, con cauta discrezione, e
si era messa a sfogliare dei libri fingendo di non esistere.
La donna scambiò uno sguardo con Loki.
«Lady Sigyn, dovete perdonarci» disse lui con
misurata umiltà. «Mio fratello tende ad essere
sempre un po' prevaricatore e io non posso fare a meno di dargli corda,
specie quando è così felice. Non era nostra
intenzione essere scortesi».
La fanciulla spalancò gli occhi,
«Non dovete scusarvi, principe. Io sono solo
un'ospite».
Snotra si chiese di nuovo come e quando Loki avesse imparato il nome di
quella ragazza. Lui aveva certo un ottima memoria, una mente allenata
alla conoscenza, come la sua, ma fin da quando la corte si era riempita
di ospiti giunti da ogni dove per il ballo, non era sembrato
particolarmente interessato alle frotte di giovani donne messe in
mostra dalle loro famiglie. Se rammentava proprio quella fanciulla in
particolare tra tutte le altre, allora doveva esserci un motivo.
«Possiamo andare?!». La voce di Thor
arrivò come un tuono dall'uscio della grande porta. Quel
povero ragazzo ormai doveva essere ustionato dall'impazienza, tanto
stava friggendo.
«Lady Sigyn, unitevi a noi, immagino sarete curiosa quanto lo
sono io» propose Snotra con un sorriso.
«Oh, voi siete molto gentile signora, ma io... non sono
affari miei, davvero»
«Non c'è bisogno di fare tutte queste cerimonie.
Sono sicura che anche ai nostri due amabili principi farà
piacere, dico bene, Loki?».
Snotra rivolse al ragazzo un sorriso complice, ma quando
incontrò il suo sguardo lo vide raggelarsi, quasi
poté vedere un'ombra di irritazione, forse persino di
rabbia, rimescolare l'azzurro glaciale dei suoi occhi.
Cosa diamine stava accadendo? Pensava che a Loki piacesse la fanciulla,
pensava di fargli piacere invitandola! Da quando era diventata
così poco abile a capire le situazioni, a capire lui?
L'espressione cupa di Loki mutò presto in un sorriso
amichevole rivolto a lady Sigyn. Per occhi non avvezzi a conoscere quel
volto sarebbe stato quasi impossibile notare la rabbia frustrata
dell'attimo prima. Ma Snotra l'aveva notata e ne era rimasta ferita:
sapeva che le cose tra lei e il giovane principe erano cambiate, da
tanto tempo, ma in quel momento lui gli parve un muro cosparso di
rostri e schegge di vetro, impenetrabile e impossibile da scalare, che
poteva ferire chiunque si azzardasse anche solo a sfiorarlo.
Loki offrì il braccio a lady Sigyn con impeccabile
cavalleria, Snotra li seguì in silenzio e insieme si
accodarono a Thor che sembrava fare una gran fatica a mantenere
un'andatura normale, senza mettersi a correre verso la loro
destinazione – qualsiasi essa fosse.
«I sotterranei?» chiese Snotra dopo qualche minuto,
riconoscendo la scala di pietra spoglia che conduceva alla cripta del
palazzo di Odino.
L'ingresso a quella particolare area sotterranea era solitamente
vietato se non ai membri della famiglia reale e a poche guardie scelte
appositamente per sorvegliare il tesoro del re: reliquie e oggetti
preziosi rinvenuti durante le tante guerre che Asgard aveva combattuto
per assicurare giustizia e sicurezza in ogni angolo dei Nove Regni.
La porta della cripta del tesoro aveva due battenti dorati, coperti di
rune e arabeschi. Erano molti i segreti che circondavano quel luogo,
probabilmente c'erano antichi incantesimi di difesa incisi tra quelle
decorazioni.
Fuori dalla porta, nelle tenue luce di pochi bracieri accesi, c'erano i
compagni di Thor.
A palazzo avevano cominciato a chiamarli ''Lady Sif e i tre guerrieri''
e a Snotra sembrava che quella denominazione fosse una sorta di sciocco
sberleffo ai danni della giovane asgardiana, come a voler ribadire che
lei, in quanto donna, non poteva essere una guerriera, che sarebbe
sempre stata diversa dai guerrieri
veri e propri.
I compagni di Thor salutarono Snotra e lady Sigyn, poi le porte si
aprirono verso l'interno e tutti insieme scesero i gradini della ripida
scalinata che conduceva a un corridoio di colonne avvolto in una luce
plumbea.
La poca illuminazione proveniva da un alone bianco e lattiginoso dietro
ad una grata sul fondo della cripta. Snotra sapeva cosa c'era
lì dietro, glielo aveva detto lord Alcuin molto tempo prima:
il Distruttore, il micidiale colosso di metallo e fuoco che obbediva
alla voce del re.
La donna sentì lady Sigyn trasalire accanto a lei e vide le
dita sottili della fanciulla stringersi attorno al braccio di Loki.
I loro passi producevano un'eco attutita. Quel posto avrebbe dovuto
parlare di gloria, ma era silenzioso perché c'è
molta meno gloria di quanto si pensi nei trofei di guerra, il sangue
non fa alcun rumore quando scorre. Quel silenzio sembrava quasi un
monito e, nel suo cuore, Snotra sperò che chiunque posasse
lo sguardo su quel corridoio fosse in grado di ascoltarlo.
La pietra sembrava emanare un freddo innaturale e l'aria della cripta
era umida e pesante. In parte ciò era dovuto al buio perenne
in cui quel luogo era sprofondato, per ragioni di sicurezza, in parte
alla presenza di una delle reliquie posta su una colonna proprio
davanti alla grata che celava il Distruttore.
Lo scrigno degli Antichi Inverni, gioiello della corona di Jotunheim,
brillava di una pallida luce azzurra, fredda come il riflesso del
ghiaccio sotto la luna.
Forse gli altri astanti non avvertivano la stessa sensazione
perché non avevano alcun ricordo legato a quell'oggetto, ma
Snotra sentiva artigli gelidi spandersi da quella luminescenza
bluastra, dita fatte di freddo e di ricordi e pensieri taglienti come
il vento della piana di Jotunheim che si allungavano verso di lei come
per ghermirla, come per gettarle nel cuore un vecchio terrore che lei
credeva sopito.
Lo sguardo della donna si posò su Loki che non sembrava aver
minimamente notato l'influenza dell'oggetto. Era stato molte volte in
quella cripta ad ascoltare i racconti di suo padre e nulla era mai
accaduto; anzi, in quel particolare momento sembrava persino annoiato
e, all'occhio attento di Snotra, ancora irritato. Era perché
lo imbarazzava che lei capisse il suo interesse per Sigyn?
Loki aveva davvero interesse per quella fanciulla? Certo,
perché non avrebbe dovuto, era graziosa e le era sembrata
una ragazza intelligente.
Snotra guardò i due giovani principi. Si chiese se avessero
già conosciuto l'amore di una donna. Forse, forse
sì... ai suoi occhi era impossibile non amarli.
Il Padre degli dei, affiancato da due guardie, era in piedi accanto a
una bassa colonna coperta da una stola di raso. Guardò Thor
con sommo affetto, con una fierezza che gli illuminava il viso anche in
quella fitta penombra che sapeva di gelo e di antico.
Quello avrebbe dovuto essere un momento privato, tra padre e figlio, ma
il giovane principe non aveva resistito alla tentazione di invitare i
suoi amici più cari ad assistere a quel trionfo personale
– perché era certo di questo che si trattava.
Snotra sorrise di tenerezza. Thor era forte e buono, ma la saggezza e
l'arguzia ancora non gli appartenevano. Ciò che gli
apparteneva invece era la smania della battaglia e lei sapeva che
presto il figlio di Odino avrebbe assaggiato anche lui il furore della
guerra. E Loki lo avrebbe seguito e lei avrebbe atteso il loro ritorno
assieme alla regina, sulla terrazza più alta del palazzo,
aspettando di veder comparire il lampo opalescente del Bifrost che
annunciava il ritorno a casa dei due principi e dei loro valorosi
amici. Sarebbero stati giorni densi come piombo fuso, lenti e
soffocanti, ma loro avrebbero fatto ritorno, fianco a fianco, per
portare altra gloria alla corona di Asgard e un nuovo orgoglio nel
petto della regina.
Sì, quel momento sarebbe giunto presto, le parole di Odino
non fecero che confermarlo.
«Ti avevo promesso un dono, Thor, per quando saresti stato
pronto per la battaglia» disse il re, solenne anche con la
voce velata d'affetto.
Gli sguardi dei presenti erano tutti calamitati dal drappo e dal
misterioso dono che celava. Tutti, tranne quello di Loki: lui guardava
Thor, come se cercasse sul suo viso la prova di qualcosa che Snotra non
sapeva definire, come se si aspettasse che da un momento all'altro lui
inciampasse nei suoi stessi piedi.
Una delle due guardie sollevò il drappo. L'aria
sembrò fermarsi per un istante e diventare stupore.
«Il Martello Mjolnir» dichiarò Odino.
«Forgiato dal cuore di una stella morente dalla maestria dei
nani fabbri di Svartalfheim. Se riuscirai a sollevarlo, sarà
tuo».
«Un dono assai saggio». Snotra sentì la
voce di Loki bassa al suo orecchio. Quando gli era arrivato alle
spalle?
Si voltò verso di lui e annuì. Sì, era
un dono saggio e pregno di significato, un significato che Loki non
aveva fatto alcuna fatica a comprendere: un martello può
distruggere, ma serve anche per edificare. La lotta a volte si rivela
necessaria, ma non deve mai ridursi a mera violenza o dimostrazione di
forza, deve piuttosto servire a scopi più alti e non deve
mai essere perpetuata per fini egoistici.
Snotra si promise che ne avrebbe parlato con Thor alla prima occasione.
Era davvero importante che lui comprendesse e che non deludesse suo
padre, e lei era pur sempre la sua maestra.
Thor avanzò verso la colonna e strinse una mano attorno
all'impugnatura del martello. La testa era un enorme blocco di un
materiale che sembrava a metà tra una pietra e un metallo
raro, opaco e compatto. Il manico era avvolto in un nastro di cuoio
invecchiato e sembrava morbido al tatto, come per facilitarne
l'impugnatura. Dall'estremità del manico pendeva una fibbia
e Snotra ricordò il potere enorme di quell'oggetto, la
facoltà di richiamare a sé la potenza del fulmine
e del tuono, la capacità di essere maneggiato solo da colui
che è designato come suo possessore.
Thor sembrava nervoso. Il solo pensiero che non riuscisse a sollevare
il Mjolnir riempiva di pena il cuore della sua maestra e Snotra strinse
i pugni così forte da conficcarsi le unghie nei palmi.
Avvertì una mano serrarsi nervosamente attorno alla sua:
Sif. Se non fosse stata del tutto presa dall'agitazione del momento,
avrebbe avuto anche tempo di stupirsi di quel gesto.
Aveva trascorso del tempo assieme ai nuovi amici di Thor quando
giunsero a palazzo dal campo di addestramento dell'Accademia militare,
aveva fatto da maestra anche a loro e tentato di infilare in quelle
teste boriose nozioni utili che non avessero a che fare con armi o
regole efficaci per gli scontri corpo a corpo. Forse qualche cosa
l'avevano imparata davvero...
Aveva passato del tempo con quei ragazzi, aiutando a medicarli quando
si facevano male durante l'addestramento o facendo il tifo per loro
durante gare e tornei, e anche se non li aveva visti crescere come
invece era stato per Thor e Loki, si era molto legata a quei quattro
giovani.
E la sua era stata la mano che Sif aveva cercato, in quell'impeto di
agitazione. No, forse non c'era nulla di cui stupirsi.
Il cuore di Sif apparteneva a Thor, questo lo sapevano tutti tranne il
diretto interessato.
La donna si chiese se la bella guerriera avrebbe partecipato al ballo.
Avrebbe davvero dovuto andarci!
Snotra ricambiò la stretta della ragazza e
intrecciò le dita alle sue. La mano di Thor si chiuse
attorno all'impugnatura del Mjolnir.
Nel silenzio e nella penombra, si sentì nettamente un
sottile stridore elettrico; contorte linee di luce percorsero la
superficie del martello. Thor tirò il braccio verso di
sé, il Mjolnir si lasciò sollevare senza alcuna
reticenza, come se fosse fatto di pezza.
Un fulmine, uno squarcio di luce bianchissima e incandescente, si
sollevò dall'arma volando fino al soffitto, colpendolo in
uno sbuffo di scintille e fumo, lasciando un alone di bruciato sulla
pietra.
Tutti guardarono la scena ammirati. Lady Sigyn aveva lasciato il
braccio di Loki e si era portata le mani alla bocca, celando una
smorfia di stupore e apprezzamento.
Il Mjolnir, l'arma leggendaria forgiata dai nani e rimasta dormiente
per secoli, ora aveva trovato un proprietario, il solo con il diritto e
il potere di impugnarla.
Il tramonto era uno squarcio violetto nel cielo, lì dove
Asgard precipitava nel mare e le grandi lune cominciavano
già a specchiarsi tra le acque lucide.
Loki accarezzava distrattamente le foglie vellutate di una pianta
ornamentale cresciuta in una fioriera della balconata. Sotto di lui la
città cominciava ad accendere i fuochi per prepararsi al
calare del buio.
Snotra restò a guardarlo per qualche secondo, osservando
silenziosa la sua figura slanciata contro il cielo che si andava
scurendo. Non era tanto più basso di Thor, ma non gli
assomigliava, in niente, come se neppure fossero cresciuti sotto lo
stesso tetto, e questo aveva poco a che fare con le loro diverse
discendenze.
Il giovane inclinò leggermente la testa, per farle sapere
che aveva notato la sua presenza.
«Pensavo di riuscire a prenderti alle spalle»
scherzò lei.
«Nessuno può prendermi alle spalle». La
risposta suonò seriosa, fin troppo, ma quando Loki si
voltò a guardare la sua maestra aveva un accenno di sorriso
sul volto.
E a lei parve così bello, quella goccia di splendore che
continuava a scorrere sulla sua strada. Se solo avesse avuto la
pazienza di dirigersi verso il fiume, invece di puntare sempre al
cielo!
Snotra gli si avvicinò e lo abbracciò con fare
materno, appoggiandogli la guancia sulla spalla.
«Sono stata sciocca, oggi» ammise con un sospiro.
Sentì la risata come un leggero sussulto nel petto di Loki.
«Asgard sprofonderà in mare il giorno in cui tu
farai qualcosa di sciocco» le rispose.
«Non avrei dovuto invitare lady Sigyn a venire con noi, ma
non sapevo con esattezza a cosa avremmo assistito»
«Credo che lo spettacolo le sia piaciuto».
Snotra si sciolse dall'abbraccio per poter guardare meglio in viso il
suo interlocutore. Gli lanciò un'occhiata bonaria di
rimprovero.
«Non fare il soldatino algido con me...»
borbottò. «Sei interessato a quella ragazza ed
è stato sciocco da parte mia portarla ad assistere a un
momento di gloria che riguardava esclusivamente tuo fratello».
Loki inarcò un sopracciglio.
«Sono interessato a quella ragazza? Sul serio?»
disse, enfatizzando il tono dubbioso.
«Sì che lo sei. Dimmi: di quante altre fanciulle
ricordi il nome?»
«Non mi interessano le ragazze, ma sarebbe triste stroncare
sul nascere qualsiasi speranza mia madre possa nutrire»
«Loki!»
«Cosa c'è? È la
verità».
Sì, avrebbe potuto essere vero. Ma avrebbe anche potuto
essere un modo come un altro per evitare di addentrarsi in un discorso
che non desiderava affrontare con lei.
«Beh, se vuoi che tua madre non disperi, ad ogni modo, devi
invitare lady Sigyn a ballare questa sera» concluse la donna,
facendogli una smorfia.
Loki scrollò le spalle. «Potrebbe disperarsi lei,
allora».
I due si guardarono in viso e risero. Per un attimo a Snotra
sembrò di essere tornata indietro nel tempo, prima di quella
maledetta colomba, a quando lei poteva leggere Loki come un libro
aperto, a quando lui si confidava e aveva fiducia in lei.
«Sono contento per Thor, è rimasto molto
soddisfatto. E anche mio padre» disse lui, dopo qualche
istante di silenzio.
Thor... avrebbe davvero dovuto parlare con lui, quanto prima. Dopo il
ballo magari.
«Il Mjolnir...» mormorò Loki lo sguardo
gli si fece di colpo distante e freddo. «Non pensavo che
Padre lo avrebbe fatto davvero. Non ora, almeno...».
«Di cosa stiamo parlando?» chiese Snotra,
l'apprensione nella voce la faceva respirare in modo strano.
Loki si riscosse, il suo sguardo tornò presente e
guardò la sua maestra con una punta di stupore e persino di
commiserazione. Povera
sciocca, sembravano dire i suoi occhi.
«Odino ha scelto il suo erede, quella di oggi era una prova,
no? Se Thor è degno di sollevare il Mjolnir allora
è senz'altro degno di portare la corona» concluse
il principe, la voce priva di qualsiasi emozione, come se stesse
facendo una semplice constatazione sul tempo.
Snotra poté quasi percepire il movimento della maschera che
calava su quel bel viso nobile. E non era tanto l'idea della maschera a
turbarla, quanto il fatto che non potesse in alcun modo comprendere
ciò che Loki riusciva a celare al di sotto, non
più.
«Io non credo... Thor di certo non è pronto e voi
due siete entrambi troppo giovani» disse lei semplicemente.
«Sì, può darsi».
Le ombre erano calate su Asgard. Ombre dense cariche della frescura
della sera, il cielo era una vastità trapuntata di stelle.
Una notte perfetta per festeggiare.
«Dobbiamo andare a prepararci, immagino» disse
Loki, appoggiando la mano sul braccio della donna e tirandole un
leggero buffo, come per ridestarla.
« Dobbiamo?
Quel ballo non è posto per me» replicò
con un sorriso, tentando di dimenticare la maschera e le preoccupazioni
e il freddo che aveva sentito aleggiare nella voce del principe.
«Non vorrai lasciarmi da solo tra le grinfie di padri ansiosi
di farmi conoscere le loro figlie? Sarebbe imperdonabile».
Imperdonabile. Cos'altro
è imperdonabile ai tuoi occhi, mio caro principe?
«Verrò. Più tardi. Ammesso che trovi un
abito adatto» concluse Snotra. «Tu intanto, invita
lady Sigyn a ballare!».
Loki le rivolse uno dei suoi sorrisi taglienti e dolci allo stesso
tempo. Lei sentì che la stava ancora guardando mentre si
allontanava.
Snotra tornò nelle sue stanze. Davvero non aveva voglia di
presenziare a quel ballo e davvero non aveva ricevuto alcun invito
formale – evidentemente perché era scontato che
lei ci fosse, e l'invito di Loki poteva comunque bastare – ma
in qualche modo quella giornata le era parsa così densa e
assurda che pensò che un'altra anomalia non avrebbe fatto
alcuna differenza.
Si preparò al meglio, indossando i pochi gioielli che
possedeva e chiedendo ad un'ancella di prepararle il suo abito migliore
e acconciarle i capelli in modo decoroso.
Non le piacevano le acconciature elaborate, quel loro tirare sulla nuca
e ai lati del capo le faceva venire mal di testa.
Quando fu pronta, attese comunque a lungo prima di raggiungere il
salone dove era stata allestita la festa.
Rimase per molto tempo seduta su una sedia accanto allo scrittoio a
pensare. Pensò a Thor e a Loki, a quello che lui le aveva
detto sul terrazzo a proposito della scelta di Odino. Pensò
fino a quando i pensieri non si dissolsero in una nebbia di stanchezza
e le parve che tutto dentro la sua testa fosse diventato silenzioso.
Man mano che si avvicinava alla sala, sentiva la musica crescere e il
chiacchiericcio farsi più fitto.
Nessuno fece caso a lei quando entrò da una delle porte
laterali. Solo la regina Frigga, seduta su una poltrona e accerchiata
da dame di corte le rivolse un sorriso caloroso e un cenno di saluto.
La luce era così accecante da far sembrare bianca ogni cosa.
Nell'aria l'odore di incensi profumati si mischiava all'aroma del vino
e all'odore di erba che il vento lasciava salire dal giardino del
palazzo.
La sala era enorme, ma sembrava stringersi tante erano le persone che
la occupavano.
«Lady Snotra, ballate?». La richiesta la colse di
sorpresa. Fandral le aveva sbarrato la strada e ora la fissava
tendendole la mano.
«Sei molto gentile a chiederlo, ma no, caro, grazie»
«Siete sicura?».
Snotra guardò la pista, dame e cavalieri lanciati in una
danza armoniosa sotto la luce di una miriade di candele. Un gruppo di
musici suonava un motivo allegro dall'alto di una balconata
semicircolare.
«Mai stata più sicura in vita mia!»
esclamò, sgranando gli occhi.
No, decisamente quel posto non faceva al caso suo.
«Sareste l'unica donna con la quale non ha ballato»
intervenne Volstagg, dopo aver inghiottito un frutto –
probabilmente con tutto il nocciolo. «Se non lo teniamo
d'occhio avrà l'ardire di chiedere un ballo anche alla
regina».
Snotra guardò i tre guerrieri ridacchiando.
«Dov'è Sif?» domandò poi,
notando la sua assenza.
«Non è voluta venire» rispose Hogun con
il suo cipiglio torvo.
«E perché mai? Sono uscita dal guscio persino io
per questa follia del ballo!»
«Le sue parole sono state qualcosa di tipo: non mi
mischierò a quel branco di oche solo per dar loro un'altra
occasione di sbeffeggiarmi» spiegò Fandral mimando
la voce dell'amica con un improbabile falsetto.
Snotra sospirò. «Andate a prenderla! Portatela
qui, ditele che la voglio a questa festa prima di subito e che chiunque
osi sbeffeggiarla oltre a essere oca è anche
invidiosa».
I tre giovani guerrieri fissarono la donna con aria perplessa.
«Non lo sto chiedendo, lo sto ordinando». Non era
propriamente nella posizione di dare ordini a quei ragazzi, ma non
aveva importanza. Sif aveva lo stesso diritto di partecipare a quella
festa di qualsiasi altra giovane asgardiana presente nella sala.
Fandral, Volstagg e Hogun si affrettarono a lasciare la festa per
andare a prendere Sif e Snotra si guardò attorno, cercando
con lo sguardo Thor e Loki, ma non li trovò in quella bolgia
di volti ridenti, fino a quando non fu il figlio di Odino a trovare lei.
Thor le si affiancò e le concesse un galante baciamano.
«Sei straordinariamente bella stasera» le disse,
sorridendo e porgendole un calice di vino. «Mi sorprende che
nessuno ti abbia chiesto di ballare»
«Non devi adularmi, non hai più l'età
perché io possa tormentarti con lo studio quindi non hai
bisogno di rabbonirmi» scherzò lei.
«No, sul serio, dovresti farla più spesso questa
cosa» insistette Thor, indicando con un vago gesticolare la
sua acconciatura.
Snotra scosse il capo e ridacchiò. Sperò che Thor
le chiedesse dov'erano i suoi compagni e se aveva visto Sif, ma il
giovane principe sembrava più interessato alle occhiate
maliarde delle fanciulle sparse per la sala.
La donna gli prese la mano e strinse con fermezza.
«Thor...».
«Sì?».
Sii saggio, ti prego,
fallo per il bene di tutti. Sii saggio stasera, sii saggio in futuro.
Aveva questa e molte altre cose da dirgli, ma quello non era il momento
adatto. Si limitò a sorridergli.
«Nulla. Domani...»
«Domani cosa?»
«Domani spero che tu abbia un po' di tempo per parlare con la
tua vecchia maestra... ma non voglio angustiarti ora, va' a
divertirti»
«Sarebbe ignobile da parte mia non trovare tempo per la mia
meravigliosa maestra!».
Snotra sorrise, intenerita. Si sollevò sulle punte per
riuscire a raggiungere la guancia del principe e gli diede un bacio,
poi lo spinse via verso il centro della sala.
Lui si voltò un attimo verso di lei prima di sparire tra la
folla rumorosa.
«Oggi sono stato sgarbato» disse, alzando la voce
per farsi sentire al di sopra del chiacchiericcio e della musica.
«Forse è opportuno che mi faccia
perdonare».
Snotra lo guardò, bevendo un altro sorso di vino da calice.
Comprese in ritardo il senso di quelle parole e si augurò di
aver capito male.
Dall'altro lato della sala, lady Sigyn, appena arrivata, stava per
sparire in mezzo a un crocchio di ragazze.
No, Thor... non lo
fare... non lei.
Strinse il calice tra le dita così forte che quasi credette
di sentire lo stridore del vetro prima che andasse in frantumi. Sapeva
che non c'era una vera e propria ragione per essere preoccupata
all'idea che Thor danzasse con la fanciulla, eppure era certa che era
meglio se non fosse accaduto, era meglio se...
Loki.
Loki arrivò qualche minuto dopo. Si mosse a ridosso del
muro, quasi avesse timore di venire sfiorato dalla folla o di
confondersi con essa. Congedò con rapidi gesti della mano i
domestici che gli si avvicinavano porgendo vassoi di cibo e
coppe di vino.
Snotra lo vide fermasi accanto alla parete, nel cono d'ombra proiettato
da una colonna. Lo vide incrociare le braccia sul petto con fare quasi
indolente e passare la sala in rassegna con lo sguardo. E infine, vide
i suoi occhi fissarsi in un punto, proprio lì, dove Thor e
Sigyn stavano ballando assieme.
Snotra si fece largo a fatica tra la gente festante che parlottava e
rideva, e camminava senza badare a dove mettesse i piedi.
«Loki...»
«Snotra, sei venuta dunque. I miei complimenti, sei
splendida».
Parole pronunciate in tono del tutto neutrale, pronunciate da dietro
quella sua dannata maschera di normalità e tranquilla
cortesia. La donna agitò la mano come se volesse scacciare
via quelle idiozie cerimoniose come si scaccia un insetto molesto.
«Loki»
«Cosa c'è?»
«Thor voleva scusarsi con lady Sigyn per
stamattina».
Il giovane principe annuì distrattamente, come per una cosa
di poco conto. «Mi sembra opportuno».
«Non... non farlo, ti prego. Ti prego»
sospirò lei, le sembrò di star singhiozzando.
«Fare cosa?»
«Questo atteggiamento, questa freddezza nei confronti di
ciò che ti accade attorno e questa maledettissima e
insensata competizione con tuo fratello!». Snotra non
riuscì a trattenersi dall'alzare la voce e dall'afferrare un
lembo della casacca di seta verde che lui indossava. Avrebbe voluto
strappare la stoffa di quell'abito per concedersi l'illusione di star
strappando via quella sua orrenda maschera.
Ma Loki sorrise, di un sorriso glaciale e privo di allegria.
«Non sono in competizione con Thor»
dichiarò. «Sarebbe sciocco, se fossimo in
competizione lui avrebbe già vinto».
Con un gesto brusco, il principe si ritrasse dalla presa di Snotra e si
allontanò. Lei non riuscì a fare altro se non
fissarlo mentre spariva tra la folla, evitando i passanti e ignorando
quei pochi che provavano a rivolgergli la parola.
Lo seguì con lo sguardo fino a quando non divenne una
macchia indistinta in mezzo alla miriade di persone, un puntino di
ombra in mezzo allo sfavillio di luce.
E lei si sentì prossima al pianto, sconfitta ancora una
volta, come la notte della colomba, come forse era sempre stata:
combatteva davvero una battaglia persa in partenza e non c'era niente
che potesse fare per cambiare lo stato delle cose.
Si appoggiò con le spalle al muro; i pensieri che era
riuscita a zittire meno di un'ora prima ora le si riversarono di nuovo
nella testa, più dolorosi, più rumorosi, una
cacofonia di ricordi, affanni, speranze disilluse che riusciva a
sovrastare anche il frastuono del ballo, che rendeva le luci meno
scintillanti ai suoi occhi. O forse era perché ora i suoi
occhi erano piani di lacrime.
Le lacrime non traboccarono mai oltre le ciglia. Si asciugarono e le
lasciarono lo sguardo velato e stanco.
«Lady Snotra...». Da quanto tempo era
lì, all'ombra della colonna, come se si stesse nascondendo?
Si passò una mano sul viso e guardò Sigyn che si
era fermata davanti a lei.
«Oh, lady Sigyn, perdonate... ero assorta» si
affrettò a dire. Sentì una ciocca di capelli
cominciare a cedere e tentare di liberarsi dalla presa
dell'acconciatura.
«Scusate, ma stavo cercando Loki. L'ho visto arrivare, ma ero
impegnata con il principe Thor» spiegò la ragazza,
come se volesse giustificarsi. «È stato gentile da
parte sua invitarmi a danzare, ma... io speravo... mi piacerebbe avere
occasione di parlare con il principe Loki, sapete
dov'è?».
Troppo tardi, dolce
fanciulla.
«Loki non c'è» rispose semplicemente la
donna.
Sigyn fece vagare lo sguardo verso un punto indistinto e
arrossì.
«Domani immagino che mio padre vorrà lasciare il
palazzo. Abbiamo approfittato fin troppo della generosa
ospitalità di sua maestà» disse dopo
qualche istante. «Mi piacerebbe poter parlare con Loki, prima
di partire... sapete se arriverà?».
Snotra sorrise, era un sorriso triste e dolce, come la curva dello
stelo di un fiore che sta per appassire.
«Loki è andato via».
È. Andato.
Via.
______________________________________________________________
Note:
Li faranno i balli di gala su Asgard? Non lo so, nella mia testa la
corte di Odino è molto simile a una corte medioevale avvolta
in carta stagnola dorata. (preso paura che mettessi Loki a ballare con
qualcuno, eh? XD)
Nella graphic novel “Le fatiche di Loki” si parla
della forgiatura del martello da parte dei nani fabbri di Svartalfheim,
su commissione di Loki stesso. Nel film il martello è
già nella cripta nel falshback di Thor e Loki bambini, ho
voluto lasciare comunque il riferimento ai nani per il tocco
“favolistico” che dà.
Sigyn si è letteralmente autoinvitata al ballo e nella
storia, non era previsto che scrivessi di lei e Loki in questa
raccolta, un po' perché questo episodio non lo avevo affatto
immaginato così, un po' perché non mi sono mai
fatta un'idea davvero mia del personaggio di Sigyn dato che il mio
interesse per lei è nato con Hymeneal di
Eleuthera, storia che rimane (assai meritatamente, secondo me) la
più popolare del fandom.
Io voglio bene a Sif. Anche Snotra vuole bene a Sif. Non c'è
un perché, è così e basta.
Nella storia che ho in mente devono succedere ancora un paio di cose e
non so se staranno tutte in un solo capitolo o se dovrò
dividere in due diversi episodi, quindi il prossimo potrebbe essere
l'ultimo o il penultimo capitolo. Vi farò sapere.
Intanto, grazie a chiunque abbia letto, e soprattutto a chiunque non si
sia lasciato scoraggiare dali aggiornamenti lentissimi.
La citazione iniziale è del brano Oceano.
Per domande sulla fanfiction e curiosità in generale su la
vita, l'universo e tutto quanto: profilo
Ask
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Capitolo 5 *** Quinto episodio ***
5° Episodio
“Quello che non
ho è di farla franca,
quello che non ho è quel che non mi manca.
Quello che non ho sono le tue parole
per guadagnarmi il cielo, per conquistarmi il sole”
I giorni si erano susseguiti nella parvenza di una normalità
forzata.
Per timore di turbare la
suscettibilità dei sovrani, nessuno faceva mai menzione
dell'accaduto ma tutti ormai sapevano che c'era un prigioniero nelle
segrete del palazzo e che questo prigioniero era Loki, il secondogenito
di Odino, miracolosamente tornato dalla morte.
Il nome del dio degli
inganni non veniva mai pronunciato, il suo stesso ricordo sembrava
essere ammantato di una paura superstiziosa, come fosse un fantasma che
se invocato avrebbe attirato sciagura su tutta Asgard.
Malgrado non fosse mai
stata divulgata la verità sulla distruzione del Bifrost e
sull'incidente a cui era seguita la scomparsa di Loki, la corte degli
Æsir sapeva che non c'era da aspettarsi nulla di buono da lui
e dal suo ritrovamento – altrimenti perché Odino,
invece di rinchiuderlo in una cella, non lo aveva accolto a braccia
aperte e non aveva dato una festa per celebrare il suo ritorno? Cos'era
accaduto a Loki nel lungo periodo in cui lo avevano creduto morto?
Anche Snotra si era
imposta di continuare normalmente con la sua vita di sempre. Teneva in
ordine la biblioteca, aiutava i membri della corte nelle loro ricerche
e i più giovani nei loro studi, presenziava ai consigli di
corte e a tutti gli eventi ufficiali. Fingeva che non fosse accaduto
nulla, fingeva di aver dimenticato il volto di Loki per metà
coperto da quel bavaglio metallico, i suoi capelli scuri cresciuti in
disordine, i lividi e i tagli sul suo viso. Fingeva di essere come gli
altri, di non avere a cuore la sorte del principe tornato dalla morte.
Ma di notte, nel
silenzio e nel buio della propria stanza, le sembrava di sentire il
respiro di Loki fare eco nella cella vuota, i colpi sordi delle sue
mani che battevano contro le pareti spoglie, le sembrava di vedere i
suoi occhi troppo azzurri scrutare febbrili l'unica apertura alla
ricerca di uno spiraglio di luna.
Era certa che Loki non
facesse nulla di tutto ciò, che neppure se lo avessero
torturato fino all'anima avrebbe mai ceduto alla disperazione... Loki
aveva già ceduto alla disperazione, in che altro modo
potevano altrimenti spiegarsi le sue azioni? Semplicemente non avrebbe
dato a nessuno la soddisfazione di vedere la sua pena. Loki era capace
di soffrire in silenzio, come un fiore reciso, abile a morire petalo
dopo petalo senza emettere il minimo suono.
Snotra sapeva che i
respiri spezzati e i gemiti e i pugni contro le pareti erano solo
spiragli dei suoi incubi ad occhi aperti, così come sapeva
che se avesse preso sonno quegli incubi sarebbero diventati ancora
più mostruosi, popolati da colombe morte e feste da ballo
senza allegria, e ombre, ombre altissime, e lame di ghiaccio e neve
così fitta da far mancare il fiato.
Notte dopo notte, la
donna era diventata sempre meno capace di distinguere gli incubi dalla
realtà.
Doveva essere trascorsa
una settimana dal ritorno di Loki quando quella notte priva di stelle
Snotra si alzò dal letto, con il cuore che le pulsava
dolorosamente facendole sentire il sangue rombarle nelle orecchie.
Era davvero come un
incubo troppo intrecciato alla realtà, le sue percezioni
erano distorte, il buio sembrava far stringere le pareti attorno a lei,
e nel buio la donna si mosse, come una sonnambula, perfettamente
consapevole della direzione che stava percorrendo, anche se non poteva
vederla.
Attraversò la
sua stanza da letto e l'anticamera, i piedi nudi che non facevano alcun
rumore sul pavimento dorato e freddo, uscì nel corridoio e
intravide scorci della città addormentata tra le tende
smosse dalla brezza notturna.
Faceva freddo lungo
quelle scale e lei sentì il crespo della pelle d'oca sulle
braccia lasciate nude dalla veste da camera.
«Lady
Snotra?...». La guardia all'ingresso del corridoio delle
celle la fissò con un misto di perplessità e
imbarazzo.
Quasi certamente
sembrava una folle in preda al delirio in quel momento.
«Devo vedere
il prigioniero» asserì. Doveva , davvero, non era un desiderio
nato da un capriccio, era una vera e propria necessità.
«Non ho
ricevuto ordini al riguardo» replicò la guardia.
«E voi... vi sentite bene?».
La scosse il capo in uno
scatto stizzito. «Hai forse ricevuto ordini che vietano
espressamente che io lo veda?» esclamò, ignorando
la domanda sul suo – evidentemente precario – stato
di salute.
«Io non... no,
non ho...» la guardia cominciò a farfugliare
sempre più in imbarazzo. «Forse dovrei...
attendere il parere del Padre degli dei».
Snotra annuì.
«Certo, va' pure a svegliarlo, io attendo qui».
La guardia strinse
nervosamente le mani attorno alla lancia, forse chiedendosi fin dove
potesse spingersi per fermarla e pensando che nessuna minaccia sarebbe
stata credibile.
Alla fine si fece da
parte per lasciarla passare.
«Se accade
qualcosa, la responsabilità è solo
vostra» borbottò alle sue spalle.
«Non sai
quanto è vero» rispose lei.
Il buio del corridoio
sembrava un'enorme ragnatela e Snotra aveva l'impressione di rimanervi
sempre più impigliata passo dopo passo.
Dalla cella di Loki non
giungeva alcun rumore. Neppure il suo regolare del respiro durante il
sonno.
Loki era come lei, non
era uno a cui piacesse dormire, che apprezzasse l'immobilità
e il riposo.
La luce della luna
combatteva faticosamente una battaglia persa in partenza contro tutta
quella oscurità, riducendosi a una sottile striscia argentea
sospesa dalla piccola finestra a un punto imprecisato del pavimento.
Loki era una sagoma
nera, seduta diritta come un fuso su una sedia nell'angolo.
«Il sonno dei
giusti non arriva al tuo letto, Snotra?». Loki era una voce
irridente e un po' arrochita che sembrava emanare dal buio stesso.
«Nemmeno al
tuo, a quanto vedo».
La donna
sfiorò la spessa grata, ma le sbarre non si dissolsero per
lasciarla passare e si trovò a tastare la loro solida
consistenza, il metallo freddo e un po' ruvido impossibile da smuovere.
Si chinò per
mettersi a sedere a terra, con le spalle poggiate contro il muro nel
quale affondava il ferro della grata e il capo chinato su una sbarra
orizzontale.
«Che ci fai
qui?» chiese Loki con voce atona.
«Ho supposto
che non ci fosse nessun altro sveglio con cui parlare».
Attimo di silenzio. Al
buio i silenzi sono più fitti, più definitivi.
Dopo qualche istante
Snotra sentì il respiro di Loki contro la sua tempia. Si era
avvicinato alla grata e si era chinato accanto a lei senza emettere il
minimo rumore. La voce del principe caduto a un palmo dal suo orecchio
la fece sussultare.
«Una volta mi
dicesti che non sarebbe mai cambiato niente»
sibilò Loki nell'oscurità. Era a pochi centimetri
da lei, ma la donna non poteva vederlo. «Non sentirti in
dovere di perpetuare anche quest'altra menzogna».
Snotra si
scostò dalla grata con il fiato corto per lo spavento di
quella vicinanza improvvisa.
«Non muovere
accuse che non merito, Loki» protestò, indignata.
«Se pensi che ferirmi sia un modo come un altro di
vendicarti, puoi anche smettere, sono già ferita abbastanza.
Lo siamo tutti».
«Mi
sarà di grande consolazione quando Odino mi farà
tagliare la testa» sputò lui con astio.
Avrebbe voluto dirgli
che il re non avrebbe mai fatto nulla del genere, ma di colpo non ne fu
così sicura. Di certo i crimini di cui il dio dell'inganno
si era macchiato non sarebbero rimasti impuniti.
«Cosa ti
è accaduto?» chiese semplicemente.
«Thor non te
lo ha raccontato? O forse ti riferisci a tutte quelle cose che hai
finto di non vedere in tutti gli anni in cui mi hai fatto da maestra,
in cui mi hai mentito?»
«Mi riferisco
a quello che è successo dopo che sei caduto dal
Bifrost».
La risata di Loki fu un
rantolo febbrile e acuto, tanto che Snotra fu grata che
l'oscurità le impedisse di vederlo in viso in quel momento.
«Non
risponderti e lasciarti alla tua curiosità : questa sì che
sarebbe una vendetta!» esclamò il dio, tra le
risate.
Snotra serrò
le palpebre, imponendosi di restare ferma dov'era, come davanti a un
animale che ringhia e che ti inseguirebbe se tu provassi a scappare.
La risata
scemò nel silenzio e dopo qualche istante, la donna
sentì il rumore di Loki che si spostava, mettendosi seduto
proprio accanto a lei, nella medesima posizione, come se fosse il suo
riflesso contorto su uno specchio invisibile. Ora c'era solo la grata a
separarli e nello spazio tra le sbarre le loro mani poggiate sul
pavimento si sfioravano. Erano entrambe gelate.
Nel buio freddo di un
infinito incubo a occhi aperti, Loki cominciò a raccontare.
Le parlò del
vuoto in cui era precipitato, della consistenza di quel vuoto che ti
entra dentro mentre lotti per respirare e ti fa sentire sul punto di
implodere. Le raccontò di essere precipitato all'infinito, i
muscoli tesi aspettando il dolore dell'impatto che non arrivava mai.
Alla fine era giunto
nella più buia desolazione della galassia e lì
aveva incontrato qualcuno che lo aveva accolto, accolto per scelta e
non per insulsi secondi fini diplomatici – o almeno, Loki
sembrava assolutamente convinto di ciò, sembrava aver
assoluto bisogno di esserne convinto.
«Si chiama
Thanos. Mi ha fatto da maestro. È stato un grande
maestro» disse il dio, poi si interruppe, la sua voce
esitò un istante. «Certo, non come te»
concesse infine.
Poi parlò
delle molte cose che Thanos gli aveva mostrato, mondi, stelle, soli...
fino a quando i suoi sogni non erano diventati così grandi
da togliergli il sonno e invadere ogni anfratto della sua anima, fino a
quando nella sua mente non era rimasto più nient'altro se
non un'accecante luce azzurra.
«Il Tesseract,
ce ne parlasti una volta... la gemma più preziosa della
corona di Asgard, nascosta su Midgard perché era troppo
potente e il suo potere era così sconfinato da poter
corrompere anche il cuore indomito del più potente degli
dei».
Loki
picchiettò le dita contro il pavimento e sospirò.
Doveva essere stata una liberazione per lui poter raccontare
ciò che gli era accaduto. Raccontarlo e basta, non gli
serviva altro, non voleva alcuna assoluzione.
«Ciò
che è seguito te lo avrà raccontato
Thor» concluse. «Midgard e quei fenomeni da
baraccone dei suoi paladini...».
Snotra tacque mentre
cercava di assimilare il racconto del principe caduto. Era stato Thanos
di Titano a insegnargli l'odio? Avrebbe voluto chiederglielo, era certa
che quando si erano verificati i fatti tremendi che avevano portato
alla distruzione del Bifrost, l'anima di Loki non fosse corrotta sino a
quel segno.
«Hai scelto
Midgard solo perché era lì che si trovava il
Tessercat?» domandò invece.
«Oh, adesso
vuoi che ti parli di Thor»
«Tu lo amavi,
Loki. Lo hai sempre amato... posso essermi sbagliata su molte cose, ma
non su questa»
«Se lo dici
tu...».
Snotra si
aggrappò alla grata, stringendo i pugni attorno alle sbarre
così forte che si tagliò un palmo contro
un'imperfezione del metallo.
«Non riuscirai
a ingannarmi su questo, Loki! Anche quando hai complottato contro di
lui, non hai mai davvero attentato alla sua vita»
«No, infatti.
Non ho mai voluto ucciderlo, non voglio la sua morte ma la sua
distruzione. Le due cose non devono necessariamente
coincidere».
La ferma convinzione e
la calma con cui il dio aveva pronunciato quell'affermazione fece
sentire Snotra come se tutto il sangue le fosse fuggito via dal cuore.
Si staccò dalla grata e si lasciò cadere sul
pavimento, sentendosi debole, svuotata.
«E quella
volta... quella volta su Nornheim?» domandò con un
filo di voce e le parole che si spezzavano in singhiozzi privi di
lacrime.
«Oh, quella
volta, la nebbia, giusto» cantilenò Loki,
divertito. «Decidi tu cosa pensare di quell'episodio, io ho
risposto già a troppe domande queste notte».
***
Alla fine era successo. Una volta, due, tante... troppe per un cuore
solo.
I figli di Odino erano partiti a combattere le battaglie per la gloria
di Asgard e per la giustizia dei Nove Regni.
Alla fine, i figli di Odino erano diventati uomini.
Snotra non aveva potuto fare altro che rivolgergli parole incoraggianti
prima di ogni partenza, vederli stemperare la tensione scambiandosi
battute sarcastiche sulla forma dei loro elmi o sul colore dei
mantelli, come se fossero ancora ragazzi con niente di gravoso di cui
preoccuparsi.
Lo spazio per lei nelle giornate dei due principi era sempre
più esiguo e mentre loro erano via, restava semplicemente
alle spalle della regina, condividendo con Frigga l'attesa sempre
troppo lunga del loro ritorno.
In questo, pensava, non era dissimile da tutte le altre donne della
Patria Eterna che imparavano a dare un nome alle stelle, notte dopo
notte, aspettando di veder comparire il bagliore del Bifrost che
annunciava il rientro delle truppe.
Snotra aveva studiato le stelle di ogni cielo, non aveva nomi da
inventare per loro.
«A cosa pensi?». La voce di Frigga suonò
gentile, come sempre.
Erano sedute attorno a un tavolo rotondo, su una terrazza. Ancelle
solerti servivano vino aromatico in piccole coppe di bronzo.
Penso che la campagna di
Nornheim stia durando troppo a lungo.
«Al nuovo catalogo della biblioteca che sto tentando di
redigere» rispose Snotra, riscuotendosi.
Non era sua abitudine mentire alla sovrana, ma non voleva turbarla
né cominciare alcuna discussione penosa.
Ma era vero, la campagna di Nornheim stava durando anche troppo,
più del solito. Un re tiranno e malvoluto non voleva saperne
di deporre la corona, malgrado gli ordini di Odino, e l'esercito di
Asgard era dovuto intervenire per liberare il popolo dalla morsa di
quel sovrano iniquo.
Thor e Loki erano partiti, assieme a Lady Sif e i Tre Guerrieri e a un
grande contingente di soldati valorosi.
Le stelle avevano lasciato il posto a molte albe e molti tramonti si
erano inanellati sul filo del tempo, ma di loro non giungevano ancora
notizie.
«Ai tempi delle grandi guerre combattute dal Padre degli dei,
il saggio di palazzo seguiva l'esercito per redigere la cronaca delle
battaglie in modo da mantenere vivo il ricordo delle nostre
vittorie» commentò Frigga, rigirandosi la coppa di
vino tra le mani senza vuotarla.
Snotra accennò un sorriso triste. «Poi il tempo ha
insegnato che le guerre non sono atti da celebrare, in nessun
caso» replicò.
Il tempo era passato e le cose erano cambiate. Asgard era progredita:
nella sua eterna immobilità, quel mondo era andato avanti.
Il rincorrersi folle delle stagioni aveva trasformato gli dei in
leggende, le leggende in echi lontanissimi, sussurrati a stento in
mezzo al continuo respiro elettrico dell'universo, quasi lavati via
dalla memoria degli umani che un tempo li avevano temuti e venerati. Le
grandi guerre appartenevano al passato, come le grandi minacce e i
grandi pericoli. Quelli che un tempo erano atti eroici e grandiosi ora
erano favole e la pace e l'equilibrio erano diventati i nuovi valori da
difendere.
Il tempo dei mostri era finito.
Ogni battaglia combattuta, ogni goccia di sangue versata, ogni lacrima
era, agli occhi di Odino, una sconfitta. Ma in tutti i Nove Regni
sempre ci sarebbe stato bisogno del male per stabilire l'equilibrio, un
equilibrio precario che si stava ancora delineando nel drappeggio di
luci e ombre dell'infinito nascere e morire delle stelle. A chi sarebbe
toccato il compito di regolare con il male l'asse della bilancia? Chi
era destinato, in futuro, ad aprire di nuovo la porta ai mostri? Solo
le Norne forse conoscevano la risposta, e le tre streghe erano gelose
del loro sapere.
«Tu ami i miei figli quanto me». Frigga
parlò ancora, mentre un soffio di vento faceva frusciare la
stoffa delle tende e il tessuto damascato della tovaglia.
«Immagino sia giusto che tu sappia...».
Snotra guardò per un attimo il proprio riflesso cupo e
sbiadito nel cerchio del bicchiere. Doveva essere davvero cupa e
sbiadita quanto la sua immagine sulla superficie del vino, altrettanto
facile da far dissolvere.
Il pizzicare di agitazione e curiosità le fece contrarre il
cuore nel petto.
«Sapere cosa, mia regina?».
Frigga si alzò dalla sedia con un unico movimento fluido ed
elegante. C'era qualcosa nel portamento della regina, nei suoi gesti
precisi e compiti, che ricordava Loki. Forse, alla fine di tutto, non
era così estraneo a quel mondo come gli eventi suggerivano.
Lui e Thor erano impegnati nelle stesse guerre, fianco a fianco, come
fratelli.
Snotra pensò che queste sono cose che non si possono
cancellare, né possono ritenersi soggette
all'interpretazione o al caso.
O forse lei vedeva solo ciò che voleva vedere. Era un dubbio
che l'aveva tormentata tutta la vita, ma non era quello il momento di
pensarci.
Frigga si allontanò verso la balaustra di muratura e
scrutò il cielo immobile per qualche istante.
«Odino ha scelto colui che sarà il suo
successore» annunciò.
Snotra ebbe un tremito; aveva ancora la coppa tra le mani e il vino
dondolò nel recipiente facendo accartocciare il suo
riflesso.
«Ma non ha voluto condividere la sua scelta neppure con me.
Tu cosa pensi?».
Snotra sentì un gran bisogno di bere d'un fiato il vino che
aveva nel bicchiere e vuotarne un altro e un altro ancora, ma non lo
fece.
«Penso che Thor e Loki siano entrambi, per motivi diversi,
ancora inadatti a diventare re» ammise. Le sue stesse parole
le suonarono come uno schiaffo in pieno viso. «Tuttavia, il
Padre degli dei e saggio ed è ancora con noi per guidare il
futuro sovrano di Asgard» aggiunse con un accenno di sorriso.
Frigga annuì, la fronte corrugata dai pensieri le si distese.
«Immagino sia tardi persino per noi» disse poco
dopo, ostentando una certa tranquillità.
Snotra si alzò, obbediente, lisciandosi la stoffa
dell'abito. Non sapeva quanto tardi fosse, ma era certa che non avrebbe
chiuso occhio quella notte.
Odino aveva scelto il suo erede. Perché? Come mai
così presto?
C'è sempre un
disegno, in ogni decisione che il Padre degli dei prende,
tentò di ricordarsi. Ma ora quel disegno le appariva solo un
insieme di linee contorte. Che fosse tutto deciso per mettere alla
prova i due principi? O, più semplicemente, forse in cuor
suo, il re di Asgard aveva sempre saputo a quale dei suoi figli avrebbe
lasciato il regno.
Snotra camminava verso le sue stanze, tormentandosi l'orlo delle
maniche a losanga, pensando alle reazioni che sarebbero seguite
all'annuncio della decisione di Odino. Pensando alle reazioni dei due
principi, soprattutto, di quello scelto per salire al trono e di quello
destinato a rimanere per sempre in disparte. Come aveva detto a Frigga,
nessuno dei due era pronto, né per salire al trono
né per sopportare di rinunciarvi.
«Lady Snotra!» la voce trafelata di una guardia
spezzò il silenzio quieto della notte. «Il Bifrost
si è attivato, stanno tornando!».
La donna prese un lungo respiro e non poté fare a meno di
sorridere mentre si voltava a guardare il messaggero. «Un
meraviglioso tempismo!» esclamò.
Il lampo di luce trafisse il cielo di Asgard, cadendo perpendicolare
sull'orizzonte al limitare della città. Fu come un'alba
improvvisa che destò l'intera capitale.
Non c'era più posto per il sonno, il mattino sarebbe stato
atteso a suon di canzoni.
Snotra scese le scale, saltando i gradini due a due, rischiando di
inciampare nei diversi strati di gonne e sottovesti, ma quasi ridendo
ogni volta che era sul punto di perdere l'equilibrio.
Nella sala d'ingresso del palazzo vide le guardie schierate per
accogliere i principi tornati dalla battaglia e i loro valorosi
compagni. Si aspettava di scorgere un corteo di soldati, con Thor e
Loki in testa, ma mentre si avvicinava alle grandi porte spalancate si
accorse quasi subito che qualcosa non andava.
Non giungevano grida di esultanza dal gruppo di soldati che avevano
appena varcato la soglia. Né la voce di Thor né
quella di Loki si era alzata al di sopra del silenzio della sala, un
silenzio che ora sembrava gelido e carico di preoccupazione.
Snotra si avvicinò a grandi passi. La visuale di
ciò che stava accadendo dinnanzi all'ingresso le era
preclusa dalle file di guardie schierate.
Quando fu abbastanza vicina fece appena in tempo a udire la voce di
Odino lanciare un ordine con tono palesemente turbato.
«Portatelo nella Camera della Guarigione, ORA!».
Il cuore di Snotra sembrò arrestarsi, come trafitto da una
freccia che aveva viaggiato sul campo di battaglia, oltre il Bifrost,
nella scia delle truppe che erano tornate.
Chi era stato ferito così gravemente da dover essere
condotto con tanta fretta nella Camera della Guarigione? Uno dei due
principi, di certo, a giudicare dalla reazione del re.
Una voce, un respiro venefico e maligno si fece strada nei suoi
pensieri.
Quale dei due
preferiresti sapere in salvo? Domandò la voce,
impietosa, irridente. Il
figlio di Odino dal cuore puro o il tuo allievo prediletto con l'anima
piena di ombre che fingi di non vedere? Se dovessi scegliere la vita di
uno solo, chi sceglieresti?
Quei pensieri erano privi di logica, inopportuni e decisamente non le
appartenevano. Forse era colpa del vino che aveva bevuto poco prima,
forse era l'agitazione a renderla così poco lucida. E poi,
lei le conosceva le ombre dell'anima di Loki, le conosceva bene...
Chi sceglieresti,
dall'alto della tua insensata saggezza?
Snotra scosse il capo stizzita per mandare via quella voce e si fece
largo tra le guardie allineate davanti alla porta, spingendole via
bruscamente.
«Loki!» esclamò. Quel nome
sembrò accartocciarsi alle sue orecchie, come una pergamena
gettata nel fuoco.
Loki era in piedi sotto la grande arcata del portone principale, un
braccio stretto attorno alle spalle della regina, il volto pallido
atteggiato in un'espressione contrita sotto l'elmo con le sporgenze
appuntite. Sulla stoffa verde che spuntava dalle placche dell'armatura
c'erano macchie scure di sangue rappreso, sangue non suo.
Il principe si voltò verso di lei, gli occhi chiari velati,
si staccò delicatamente dalla regina tese le braccia verso
la sua maestra.
Snotra affondò il viso nel suo petto, inspirando l'odore
della guerra: sangue, terreno e sudore.
«Cosa è accaduto a Thor?» chiese,
disperata.
Loki le accarezzò una guancia, tergendole una lacrima con il
palmo della mano. Aprì la bocca come per parlare, ma le
parole faticavano a prendere forma sulle sue labbra.
La donna seguì con lo sguardo dei soldati trascinare una
barella di fortuna verso la Camera della Guarigione; Sif
camminò nella loro scia per qualche metro assieme a Odino e
Frigga, poi il re voltò l'angolo, allontanando con un gesto
imperioso la giovane guerriera che rimase in piedi a guardare Thor
ferito che scompariva dalla sua vista nella penombra di un corridoio.
«Io... io forse dovrei andare con loro»
farfugliò Loki, ritrovando finalmente la voce. Sembrava
così stravolto e confuso che per un attimo Snotra
pensò che il suo abbraccio fosse l'unica cosa che gli
impediva di rovinare al suolo. «Se Thor non... se non dovesse
farcela...».
«Non dirlo neppure. È forte, ce la
farà» esclamò lei, prendendogli il viso
tra le mani.
Sif era ancora impietrita all'imbocco del corridoio. La donna si chiese
se non fosse il caso di andare da lei, ma non aveva il coraggio di
separarsi da Loki.
Lo amava così tanto che per un attimo si chiese se i
pensieri di poco prima non fossero stati più sensati di
quanto era disposta ad ammettere. Si disse che no, non avrebbe provato
più pena se ci fosse stato lui su quella barella al posto di
Thor, ma non riusciva a trovare un solo modo per dimostrare questa
verità a se stessa.
Un'altra lacrima capitolò oltre le ciglia.
Fandral, Volstagg e Hogun si avvicinarono con passo stanco e
strascicato.
«Noi gli dobbiamo la vita...» mormorò
Fandral, stringendo nervosamente l'elsa della sua spada, come se ancora
non si fosse abituato all'idea di essere a casa, di essere al sicuro.
«È grazie a Thor che siamo vivi, è
stato lui a portarci in salvo in quella pianura» aggiunse
Hogun.
Loki guardò i suoi compagni senza dire nulla.
«E anche quella cosa... quel fumo, non è stata una
brutta idea» commentò Volstagg con un cenno di
approvazione alla volta del principe. «Anche se...».
«Ho fatto ciò che dovevo» rispose Loki,
laconico, poi abbassò lo sguardo sul pavimento e i suoi
occhi si rabbuiarono. «Eppure non abbastanza» disse
infine, in un soffio di voce appena percettibile.
Si stava colpevolizzando per non essere riuscito a proteggere Thor?
Snotra stava per dirgli che era una cosa ridicola e che non doveva
prendersi alcuna responsabilità per l'accaduto, ma per un
attimo scorse un moto di rabbia sul viso provato del principe.
Lui strinse un po' più forte Snotra tra le braccia e la
guardò, e lei si sentì tremendamente piccola e
inadeguata.
«Se dovesse accadere qualcosa a Thor»
mormorò Loki, guardandola negli occhi, come a volersi
assicurare che lei capisse perfettamente le sue parole, «non
potrei mai perdonarmelo».
Dunque davvero si sentiva responsabile? Lei non capiva, ancora una
volta i pensieri e i sentimenti di quel giovane uomo erano come serpi,
inafferrabili e troppo veloci, capaci di sgusciarle via dalle mani e
dalla mente ancora prima che lei riuscisse a comprendere.
«Non devi sentirti in colpa. E Thor starà
bene» concluse la donna. «Ora va' da tua madre e
tuo padre, sono certa che ti vorranno avere vicino».
Loki annuì debolmente, strinse per un attimo le dita attorno
a quelle della sua vecchia maestra e si allontanò. Si
fermò un istante accanto a Sif, a guardarla con
un'espressione che Snotra non riuscì a interpretare, poi
sparì anche lui verso il fondo del corridoio.
«Voi state bene, siete feriti?» domandò
la donna, osservando i quattro giovani asgardiani alla ricerca di
qualche danno. La guerra era ancora nei loro occhi, sui loro visi
contratti.
Fandral scosse la testa. «Solo graffi e niente che un bagno
caldo non possa sistemare».
«Ma Thor ce la farà, come avete detto, vero lady
Snotra?» incalzò Volstagg.
Lei sentì su di sé lo sguardo di Sif, occhi verdi
che pungevano come aghi di pino. Annuì con convinzione:
anche se così non fosse stato, non c'era motivo di farli
disperare. Più li guardava e più non le
sembravano affatto dissimili dai giovani ragazzi ancora un po' ingenui
e inesperti che erano giunti a palazzo tanto tempo prima per diventare
i compagni d'armi dei figli di Odino. Solo che ora tornavano da una
battaglia, quei ragazzi avevano sentito ardere i fuochi della guerra,
avevano rischiato le loro vite e ne avevano spezzate altre... anche
Thor e Loki, avevano combattuto e ucciso.
A Snotra sembrava un pensiero così surreale, l'idea del
sangue sulle mani dei suoi due allievi che aveva conosciuto fin dalla
culla. Pensò a ciò che le aveva detto la regina
Frigga, al fatto che presto Odino avrebbe proclamato il suo successore,
pensò che non ci può essere alcuna innocenza nel
potere e sotto al peso di una corona.
In qualche modo, l'idea che uno dei due principi salisse al trono, le
sembrava sgradevole, come se fosse una condanna terribile e non un
onore, una conquista o un diritto di sangue.
Era un pensiero sciocco, se ne rendeva conto. Asgard e l'importanza del
suo ruolo nel destino dei Nove Regni poggiavano sulla
solidità di quel trono e di quella corona, sulla giustizia e
la saggezza del re, e forse c'era un che di criminoso nel soffermarsi a
pensare per più di un attimo a uno scenario diverso,
nell'attribuire a quella corona un valore che fosse meno alto di quanto
era.
Snotra si massaggiò per un attimo la fronte e si disse che
no aveva alcuna importanza indugiare in quel tipo di riflessioni. Uno
dei due figli di Odino sarebbe asceso al trono e così
avrebbero fatto i suoi figli e i figli dei suoi figli,
perché quella era la natura delle cose.
Uno dei due figli di Odino...
Odino ha un figlio
soltanto.
No. Gli eredi del re erano due, entrambi cresciuti con lo stesso
diritto su quel trono.
Ma tu chi dei due
preferiresti? Quale sceglieresti?
Di nuovo la voce, malefica, insistente, come il calore venefico di una
febbre nelle vene. Snotra provò un tremendo senso di
vertigine e barcollò, appoggiandosi al
muro.
Quale dei due ami di
più?
«Lady Snotra, vi sentite bene?». Sif le
posò una mano sulla spalla e la scosse gentilmente.
Si sentì ridicola: non era lei che stava tornando da una
battaglia durata troppo a lungo. O forse la sua era una battaglia che
durava da tutta una vita, da quella tremenda notte nevosa su Jotunheim.
«Sono solo un po' scossa» rispose Snotra,
riprendendosi e tentando di sorridere. «Comincio a essere
vecchia per tutte queste emozioni in una sola sera».
Cominciava a essere vecchia, cominciava a essere stanca. Una vita di
segreti e di timori, di tentativi di mantenere una promessa tradita
già in partenza, l'avevano consumata dentro, svuotata, resa
codarda dal vivere costantemente nella paura che qualcosa andasse
troppo storto perché lei potesse porvi rimedio.
Accompagnò i quattro guerrieri al piano superiore e si
assicurò che la servitù si prendesse cura di
loro, poi tornò nelle sue stanze ad attendere il mattino,
sperando che l'alba portasse con sé buone notizie sulla
salute di Thor.
Ma l'alba giunse troppo lentamente e in silenzio. Asgard aveva cantato,
durante la notte, senza che la notizia del ferimento del principe Thor
si diffondesse, Odino non aveva voluto privare la gente dei
festeggiamenti, allarmando inutilmente il popolo.
Snotra sentiva la notte pesarle nello sguardo, gli occhi pizzicavano
per la stanchezza e la luce del sole che cominciava a farsi sempre
più decisa li faceva quasi lacrimare.
Voleva vedere Thor, andare a rincuorare la regina, magari. Certamente
Frigga era rimasta al capezzale del figlio tutta la notte e doveva aver
bisogno di riposo.
La Camera della Guarigione era un'ampia stanza ovale chiusa da porte
con intarsi di madreperla e priva di finestre per conservare
all'interno delle pareti una fresca penombra e un totale e immobile
silenzio.
Sif, vestiti puliti e capelli sciolti sulle spalle, era seduta a terra
accanto alla porta e puliva con un panno il suo scudo, con gesti
nervosi e meccanici. Da quanto tempo era lì?
«Dicono che si riprenderà»
esclamò la giovane guerriera, vedendo Snotra avvicinarsi.
«Come avevate detto voi».
«Avere sempre ragione è uno dei miei difetti
migliori» scherzò la donna, lieta di apprendere
buone notizie sulla salute di Thor. Persino Sif si concesse una mezza
risatina.
«Avete... parlato con Loki, lady Snotra?»
domandò poi la ragazza, decidendosi finalmente a mettere via
lo scudo d'argento.
«No, non ne ho avuto occasione dopo il vostro rientro.
C'è qualcosa in particolare di cui dovrei
sapere?».
A Snotra non sfuggì il velo di rossore che salì a
coprire le guance di Sif. La guerriera distolse lo sguardo e
fissò il disegno di una runa sul pavimento.
«Abbiamo avuto una lite, io e Loki, prima del nostro ritorno,
per la nebbia. Non so se ho fatto bene a prendermela con lui, ero
preoccupata per Thor e lui... alle volte sa essere così...
non si capisce che diamine gli passi per la testa!».
Snotra si accorse di essersi morsa le labbra a sangue, si
passò una mano sul viso e spostò più
volte lo sguardo tra la porta chiusa e la giovane seduta a terra. Non
avrebbe neppure dovuto fermarsi a parlare con lei, avrebbe dovuto
essere lì per vedere Thor!
Sospirò pesantemente e scosse la testa, poi si mise a sedere
in terra, accanto a Sif.
Adesso che Loki era un uomo e che le ombre delle quali si era
circondato erano visibili a tutti, lei sapeva che tutto ciò
che aveva sempre fatto per lui, ogni suo tentativo era solo un enorme
fallimento. Il destino di Loki era scritto nel suo sangue, in quella
carnagione troppo pallida e in quegli occhi troppo azzurri che
gridavano una storia che lei e Odino inutilmente avevano tentato di
tacere. Forse Loki non avrebbe mai scoperto le sue vere origini, ma
ormai era evidente che la consapevolezza di essere in qualche modo
diverso gli apparteneva, lo sentiva come lo sentivano tutti gli altri
asgardiani; non aveva importanza quante volte avrebbe combattuto
accanto a Thor, quante volte avrebbe aiutato lui e i suoi compagni,
tutti avrebbero sempre percepito nel giovane principe una distanza
incolmabile e, per alcuni forse, persino spaventosa.
Tutte le volte che Snotra aveva tentato di raccontarsi il contrario
– come la notte appena trascorsa – aveva mentito,
perpetuato quella menzogna, lucidandola a specchio per farla apparire
simile alla verità. Ma la migliore imitazione di una
verità resta pur sempre una bugia.
«Sono certa che Loki si sarà già
dimenticato del vostro diverbio, lui...» azzardò
Snotra.
Lo sguardo di Sif si indurì. «Ma io non lo
dimentico» borbottò, accigliata. «Thor
ha lottato come una furia per portarci in salvo, è per
questo che ha riportato così tante ferite. Quando credevamo
di avercela fatta, sono arrivate altre truppe dei ribelli e Loki ha
usato la magia per far calare una nebbia che ci nascondesse alla vista
dei nemici»
«Non capisco, qual'è il problema?»
«Thor era ferito, era rimasto indietro! Con quella nebbia
abbiamo rischiato di perderlo, se lo avessimo perso, sarebbe morto,
vulnerabile com'era. Ma a questo Loki non ha pensato».
Snotra sentì la testa pensante, forse era solo colpa della
stanchezza, ma i pensieri cominciavano ad addensarsi nella sua mente e
a farsi di piombo. Grandi masse di idee e preoccupazioni e ipotesi,
troppo enormi per poter essere elaborate.
Sentì parole trattenute nel respiro si Sif, cose che la
giovane guerriera non osava dire. Si massaggiò le tempie,
cercando qualcosa di appropriato da replicare, ma c'era una sola
domanda che adesso le martellava il capo come pioggia battente.
«Credi che Loki lo abbia fatto di proposito?». Lo
chiese chiudendo gli occhi, non voleva vedere il volto di Sif per paura
di leggerle negli occhi pensieri che non era in grado di sopportare.
«Io... credo che abbia sbagliato, e non mi piace il modo
stolido con cui si rifiuta di ammetterlo. Come possiamo fidarci di lui
se commette simili errori?»
concluse la guerriera, aggrottando le sopracciglia.
Osservazione maledettamente giusta.
«Gli parlerò» promise Snotra.
«E credete servirà?»
«Ho cresciuto io quei ragazzi, li conosco, so come trattare
Loki». Ora la voce della donna suonava piccata, con una nota
di testardaggine fin troppo infantile.
Sif la guardò senza dire niente. Quello sguardo e quel suo
silenzio furono più eloquenti di qualsiasi parola.
La migliore imitazione
di una verità resta pur sempre una bugia.
Snotra si lasciò la giovane alle spalle e sgusciò
nella stanza con enorme cautela. La penombra e il fresco dell'ambiente
la travolsero come un'improvvisa folata di vento. Il silenzio della
Camera della Guarigione sembrava consistente come una lastra di vetro e
sembrava far mancare l'aria.
Frigga era seduta sul bordo del grande letto, sistemato come un altare
al centro della stanza. Quel luogo non le era estraneo, visto che
passava lunghe giornate al capezzale di Odino, magari proprio in quella
stessa posizione, ogni volta che il re cadeva nel Sonno degli dei.
Snotra credeva di essere pronta a sopportare quella vista, ma il
tremore che la colse diceva il contrario.
Thor, figlio di Odino.
Dio del tuono.
Guerriero implacabile.
L'unico in grado di impugnare il Mjolnir.
In tutti i Nove Regni si tessevano storie su di lui, su Midgard i
vecchi miti erano resisti al tempo e il suo nome era famoso
più di quello di qualsiasi altro dio tra gli Æsir.
In quella stanza troppo buia e troppo silenziosa, Thor era solo un
ragazzo ferito, un bellissimo giovane uomo addormentato sotto una
cupola di luce dorata.
Frigga teneva una mano appoggiata su quella del figlio e ne scrutava il
viso, concentrata come se da un momento all'altro lui avrebbe potuto
apparire gli occhi e sorprenderla con un solo sguardo, come
se fosse appena venuto al mondo.
Snotra pensò che la regina neppure si fosse accorta di lei,
poi Frigga parlò, in un sussurro morbido, senza distogliere
lo sguardo dal volto di suo figlio.
«Dicono sia solo questione di tempo»
asserì con un sorriso stanco. «Come se non avessi
aspettato abbastanza per riabbracciarlo».
La donna si sentì a disagio, quasi un'intrusa in quella
stanza. Si chiese se non avesse fatto male, se non avesse osato troppo
intromettendosi in quella bolla di silenzio e pena credendo di poter
essere utile. Restò a qualche metro di distanza dal letto,
immobilizzata da uno strano pudore che non credeva avrebbe provato. Non
era forse parte di quella famiglia? No, non lo era. Ne condivideva le
gioie e i dolori e i segreti, ma questo non bastava.
Spiò con circospezione il corpo di Thor. Le lenzuola lo
coprivano fino alla vita, i solchi rosa di troppe cicatrici gli
coprivano il petto nudo. La luce dorata stava curando quei tagli e
presto forse non ne sarebbe rimasta più traccia; Snotra si
chiese quanto tremende dovessero apparire quelle ferite la notte
passata, prima che il processo di guarigione cominciasse.
«La consapevolezza di poterlo riabbracciare vi
aiuterà a sopportare meglio l'attesa, mia regina»
mormorò Snotra.
«Dicono sia stato valoroso»
«Lo è stato di certo»
«Odino dice che le guerre sono finite, che ora più
che mai si adopererà per mantenere la pace e per evitare i
conflitti» aggiunse Frigga dopo qualche secondo, la voce e lo
sguardo che tradivano la grandezza della sua speranza.
Snotra non aveva parole da aggiungere, avrebbe voluto cercarne ma fu
interrotta dal rumore sordo della porta che veniva aperta e poi
richiusa con cautela.
Un servitore era entrato ed era rimasto rispettosamente sulla soglia,
attendendo che la sovrana si decidesse a notarlo. Frigga lo
guardò per un istante senza dire niente, ma di certo c'era
un motivo valido se si era azzardato ad interrompere la sua veglia.
«Il Padre degli dei chiede la vostra presenza, mia
regina» squittì l'uomo, in evidente imbarazzo.
«Non può attendere?»
«Mi ha detto di dirvi che ha chiesto di voi».
Le richieste di un re non sono mai richieste, sono ordini. Anche per la
sua consorte.
Frigga sospirò, angustiata. Snotra le sia
avvicinò,
«Resterò io con vostro figlio, mia
signora» le disse. «Non sarà solo, se
dovesse svegliarsi mentre conferite col re».
La sovrana esitò ancora qualche secondo, prima di alzarsi.
«Mio marito comincia a manifestare l'impazienza delle persone
non più giovani» commentò, scuotendo il
capo.
Era per questo che il re di Asgard aveva deciso di lasciare il trono a
uno dei suoi figli? Perché sentiva che stava invecchiando?
Snotra sentì il suono leggero dei passi di Frigga che
lasciava la stanza e la porta che veniva richiusa piano. Quando
restò sola, si accorse di non riuscire a fissare l'immagine
del ragazzo ferito, della cupola di luce e denso pulviscolo dorato che
gettava riflessi innaturali sulla pelle del giovane principe ancora
rovinata da lividi e tagli.
Camminò in circolo attorno al grande letto, fissando ora il
fuoco delle lanterne, ora il suo stesso riflesso opaco sul pavimento.
Solo dopo lunghi, interminabili minuti, si costrinse a fermarsi accanto
al bordo del materasso e a guardare il volto di Thor.
Sembrava quasi una scultura commemorativa su un sarcofago, come nelle
usanze di popoli antichi che il tempo aveva cancellato. Un brutto
paragone da fare.
Eppure la donna ammirò per un attimo l'espressione seria,
solenne, del viso immobile; i capelli biondi e i lineamenti nobili e
decisi sotto la barba da guerriero che da qualche tempo il figlio di
Odino si era lasciato crescere.
Thor era fatto per essere un re. La rivelazione si accese nei pensieri
di Snotra come una cometa. Ora se ne rendeva conto, non poteva essere
che lui. Certo, non era pronto, ma era scritto nel suo destino a chiare
lettere, un destino che lei aveva avuto davanti agli occhi tutta la
vita, una fiamma che si era accesa e che si era espansa, che un giorno
sarebbe diventata un incendio, un solo maestoso e bellissimo nel cielo
di Asgard e di tutti i Nove Regni.
Non era una questione di legami di sangue e di discendenze, era una
questione di cuore e anima, e l'idea fece salire alla gola di Snotra un
gemito di commozione.
Si piegò in avanti, chinandosi in ginocchio accanto al letto
e allungò una mano verso il polso di Thor. Quando
attraversò la cupola di luce sentì una sensazione
di calore umido ma curiosamente la pelle del principe era fresca.
Mi dispiace, Thor,
pensò, per
quello che ti è accaduto e se ho mai avuto dubbi su di te o
se ti ho messo in disparte, ma tuo fratello aveva bisogno di me, ha
ancora bisogno di me, di te, del bene di tutti noi... ma non ho mai
amato uno di voi due più dell'altro...
Ora capiva l'impazienza di Frigga, anche lei adesso era ansiosa che il
principe si svegliasse, si sentì come se avesse moltissime
cose da dirgli, anche se non sapeva bene cosa.
«È angosciante vederlo in questo stato».
La voce di Loki spezzò bruscamente il silenzio.
Snotra si voltò con un sussulto, chiedendosi quando era
entrato, da quanto tempo fosse lì, com'era possibile che non
lo avesse udito arrivare.
Lo guardò dal basso. Era alto quasi quanto suo fratello, da
bambino aveva una corporatura esile quanto quella di una fanciulla,
adesso aveva un fisico asciutto, un viso magro e affilato eppure
riusciva ad apparire maestoso non meno degli altri membri della
famiglia reale.
Loki forse non era destinato ad essere un re, ma era comunque cresciuto
come tale.
Lo sguardo del principe assunse una sfumatura strana mentre abbassava
gli occhi sulla sua maestra, come a volerla biasimare per quella posa
così poco consona: non sei un'ancella o una sguattera,
sembrava volerle dire, che ci fai in ginocchio?
Loki le tese la mano e Snotra restò a fissare per un istante
il palmo aperto verso di lei. Una mano bianca dalle dita affusolate,
una mano che difficilmente si sarebbe potuta immaginare coperta di
sangue. La donna l'afferrò e lasciò che lui
l'aiutasse a rialzarsi; osservò immobile il principe
guardare il fratello in silenzio, con la mascella contratta e lo
sguardo imperscrutabile.
Le parole scambiate con Sif poco prima le parvero frasi lontane di una
favola. Forse Loki era stato maldestro e precipitoso nell'usare la
magia della nebbia per coprire la loro fuga, nel non pensare al rischio
per Thor, ma mai, in nessun universo possibile, il suo errore sarebbe
stato intenzionale, per nulla al mondo lui avrebbe messo a rischio la
vita di suo fratello.
Snotra se lo ripeté più volte, mentre la sua mano
si sollevava nell'impulso di accarezzare la guancia di Loki, il solco
appena accennato di occhiaie livide. Ma qualcosa fermò
quell'impulso.
La migliore imitazione
di una verità resta pur sempre una bugia.
Il dubbio aveva il sapore del sangue in bocca, come in una terribile
malattia, ed era altrettanto stomachevole e persistente.
Dubbio? E da quando?
La mano di Snotra si sollevò sulla sua stessa tempia, per
sistemarsi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Da sempre...
La donna deglutì e fece un lungo respiro per schiarirsi la
gola. Gli occhi di Loki erano ancora fissi su Thor.
«Spero che tu e Sif vi siate chiariti»
mormorò Snotra con finta leggerezza. Quello non era
né il luogo né il momento, ma se voleva mettere
Loki con le spalle al muro e prenderlo alla sprovvista, difficilmente
avrebbe avuto un'altra occasione.
Se lui si sentì davvero preso alla sprovvista, non lo diede
a vedere. La maschera di gelo e imperturbabilità ora era ben
calata sul suo bel viso e sembrava impenetrabile.
«È corsa a piagnucolare da te perché
non ha il coraggio di affrontarmi?». Loki non si diede
neppure la pena di spostare lo sguardo.
«Forse pensa che io abbia la strana abilità di
capirti, che sciocchezza».
Qualcosa, forse fastidio, forse malinconia, trapelò dalla
superficie uniforme della maschera, attraverso gli occhi azzurro
ghiaccio. Loki voltò piano il capo verso la sua
interlocutrice e, incredibilmente, sorrise. Lo stesso identico sorriso
di quando era fanciullo, quella curva perfetta a metà tra la
più candida innocenza e la più contorta malizia,
come l'espressione peculiare di un attore che ha passato tanto tempo
davanti allo specchio nel tentativo di perfezionare quella singola
espressione per la sua battuta ad effetto. Occhi, sorriso, maschere...
un labirinto in cui era impossibile rintracciare la
sincerità ed era altrettanto impossibile dare per scontato
che non ve ne fosse traccia.
Dubbio, pesante come una tempesta sopra le sue spalle: Snotra ebbe
quasi la sensazione di venir spinta contro il pavimento.
«Il tuo discernimento è impossibile da
offuscare» sentenziò Loki. «Quindi,
dimmi, cosa crede lady Sif? Che io abbia di proposito fatto qualcosa
per nuocere a Thor?»
«È quello che hai fatto?»
«Siamo tornati tutti sani e salvi perché io ho
fatto in modo che riuscissimo a fuggire. Thor si riavrà a
breve. Dove sarebbe la mia mancanza?».
Lucido, inflessibile. La sua voce non si era incrinata neppure un
secondo per la rabbia di essere stato anche solo lontanamente
sospettato di una colpa tanto grave come quella che Sif aveva
insinuato.
Lucido, inflessibile, freddo. Fin troppo lucido.
Le reazioni più istintive sono quelle più genuine
e sincere. Ma Loki non aveva avuto altra reazione se non quella di
proporre un ragionamento logico, perfettamente misurato e inappuntabile.
Logica, non istinto. Lucidità, non rabbia.
La migliore imitazione
di una verità resta pur sempre una bugia.
Snotra serrò i pugni in un moto di quella che per un attimo
le parve paura. Loki era sempre stato così, del resto, fin
da bambino, non aveva mai ecceduto con reazioni rabbiose, non era da
lui alzare la voce per farsi ascoltare o pestare i piedi o piangere.
Tranne che per quell'unica volta... il ricordo investì la
sua mente tanto da far addensare le ombre della stanza: piume candide
imbrattate di sangue, l'innocenza screziata di macchie scarlatte come
il talamo di una vergine. E quella rabbia, quella notte, era stata
vera, sincera viscerale.
Come poteva Snotra essere certa che non ci fosse altra rabbia dentro il
cuore di Loki? Come poteva essere sicura che non ci sarebbero state
altre conseguenze... altro sangue?
Come poteva aver ignorato queste domande così a lungo?
Ma forse era tutta colpa della stanchezza e dell'agitazione, colpa del
tempo, dei troppi anni trascorsi che le avevano reso i pensieri sempre
meno lucidi, che avevano instillato in lei sentimenti e idee distorte
che si erano ammassate deformando il meccanismo della sua mente.
E al di là di ogni paura e di ogni dolore, restava tuttavia
una certezza inconfutabile. Amava Loki con tutta se stessa, era un
affetto enorme e solido, come granito, immutabile e impossibile da
appannare o da scalfire. I dubbi su di lui non facevano altro che
renderlo più forte: più credeva che Loki stesse
smarrendo la via, più si sentiva in dovere di amarlo e
aiutarlo.
Forse era per questo che sembrava preferirlo a Thor, ma non era una
preferenza, semplicemente lei era consapevole del fatto che Loki
necessitava di più attenzioni e cure perché era
più fragile e anche più pericoloso, per se stesso
almeno, se non per gli altri.
E adesso muovergli accuse impossibili da provare non sarebbe servito a
nulla. Snotra sentì di nuovo il peso del dubbio quasi come
una sferzata imprimersi dentro di lei e bruciare, e di nuovo
sentì che, per adesso, quello era un peso che doveva portare
da sola.
«Di certo Thor non avrebbe avuto alcuna remora a sacrificarsi
per voi» concluse la donna. «Ma io non sono
più giovane e ho bisogno di sapervi al sicuro,
entrambi».
Loki fece un vago cenno di assenso. «Nostro padre ha detto
che non ci saranno più guerre. Ha parlato di una nuova era,
sai cosa significa?».
Sì, Snotra lo sapeva. Si limitò ad annuire.
«Non cambierà nulla, vero? Qualche che sia la
decisione di Padre Tutto, non cambierà nulla?»
domandò Loki dopo qualche secondo.
La donna alzò il capo per guardarlo in viso. Le
sembrò che fosse di nuovo il bambino che cercava in lei la
conferma della propria bravura, che cercava nel suo sguardo la luce per
dissipare le ombre e le insicurezze che lo tenevano frenato, che gli
facevano male.
Snotra scosse la testa, una ciocca di capelli rossi le
scivolò davanti agli occhi. Alcune cose erano già
cambiate, per sempre, altre non sarebbero cambiate mai.
Si sforzò di sorridere, grata tra sé e
sé per l'espressione che ora aleggiava sul volto di Loki,
che le rimandava solo i ricordi migliori del loro passato. Il peso del
dubbio si fece un po' meno vessante.
«Casa, famiglia, affetto non sono cose che una corona
può cambiare, mio giovane principe» concluse.
«Snotra...». Loki lanciò uno sguardo in
direzione del letto.
La cupola di luce dorata si stava dissolvendo, sbiadiva secondo dopo
secondo, si assottigliava portando via con sé quel riverbero
innaturale dalla pelle di Thor ora del tutto priva di cicatrici.
Il figlio di Odino aprì gli occhi e voltò piano
la testa sul guanciale.
«Voi due, sempre a ciarlare!» esclamò
con una punta di sarcasmo, la voce impastata e fioca.
Loki e Snotra lo fissarono muti e immobili per un istante.
«Oh, sta' zitto, torna a dormire!» lo
rimbeccò la donna cercando di essere ironica, ma la voce le
si spezzava per la contentezza e le parole uscirono a scatti.
Un attimo dopo era già saltata sul materasso, le braccia al
collo di Thor. Il battito del cuore accelerato per l'entusiasmo copriva
ogni cosa, ogni pensiero ombroso di poco prima.
«Non sarete stati in ansia per me?» chiese il
principe, inarcando un sopracciglio.
«Neppure per un istante» rispose Loki, enfatizzando
un'espressione di superiorità.
I due fratelli si guardarono in viso con un'intensità che
sembrava rendere l'aria più rarefatta, e un attimo dopo
stavano ridendo.
Snotra spostò lo sguardo tra i due giovani uomini, le loro
bocche schiuse per la risata leggera, i loro occhi sereni. Come poteva
essere una menzogna, un inganno tutto ciò?
La migliore imitazione
di una verità resta pur sempre una bugia.
No, no, no! Non quei sorrisi, non quegli sguardi. C'era amore in quegli
occhi, un amore forgiato da anni trascorsi assieme, pur con tutti i
conflitti dati da caratteri differenti, pur con tutte le
incomprensioni, pur con lo spettro di una diversità evidente
che aleggiava su Loki come una condanna. Era amore, ed era vero, e come
ogni amore era nonostante
tutto.
Snotra baciò la fronte di Thor, annunciò che
sarebbe andata ad avvisare il re e la regina e lasciò la
stanza.
Dalla porta socchiusa arrivavano le voci dei due fratelli che
commentavano con foga alcuni eventi della battaglia. Voci che suonavano
per lei come il primo vento d'estate dopo il lungo inverno.
Snotra sorrise mentre imboccava le scale.
______________________________________________________________________
Note:
Snotra
sorride ed è la quiete prima della tempesta. La
“tempesta” in
questione la conosciamo tutti: è quello che poi succede nel
film. Il
prossimo capitolo sarà l'ultimo, e prometto che non
impiegherò anni
a scriverlo. :D
Il
riferimento a Nornheim e tutto quello che ci ruota attorno viene da
una scena eliminata presente nel dvd, è famosissima nel
fandom, ma
per chi non la conoscesse: QUI CON
TANTO DI SOTTOTITOLI (tra
l'altro odio che sia stata tagliata, perché diceva molto del
rapporto preesistente tra Loki e Thor e lasciava anche pensare che,
in condizioni di – quasi – normalità,
Loki fosse persino un
tipetto gradevole).
La
storia del re tiranno di Nornehim, il motivo per cui Thor&Co.
sono andati a combattere lì, viene dalla mia serie di
fanfiction nel
fandom di The Avengers, ma questa storia e quella serie non sono in
nessun modo collegate.
Nel
mio headcanon c'è tutto un mondo di roba sul rapporto tra
Loki e
Sif, forse un giorno ne scriverò, per ora diciamo solo che
tra
qualche particolare seminato nel film e l'episodio mitologico del
taglio dei capelli non posso fare a meno di pensare che tra loro i
rapporti siano burrascosi.
Per
domande e curiosità:
Profilo Ask
La
citazione iniziale è dal brano Quello che non ho.
|
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Capitolo 6 *** Sesto episodio ***
Sesto episodio
"... state a sentire sulla
porta
la nostra ultima canzone
che vi ripete un'altra volta:
per quanto voi vi crediate assolti,
siete per sempre coinvolti."
«Di cosa
parlano le nostre storie, lady Snotra?».
Snotra era sempre stata
brava con i ricordi, possedeva la naturalezza del talento per la
conoscenza.
Dalla notte in cui Loki
era tornato, prigioniero nella propria casa che non era più
tale, i ricordi della sua lunga vita al servizio della famiglia di
Odino si erano manifestati con la prepotenza di una valanga, aprendo
squarci sanguinanti sulla sua anima. La donna si era sentita come se
fosse l'imputata ad un processo dove la sua stessa mente era giudice,
difensore e carnefice.
I suoi ricordi non
l'avevano né assolta né condannata, infine,
così come Loki le aveva mosso delle accuse e le aveva
ritrattate nel semplice gesto di sedersi accanto a lei e raccontare
ciò che gli era accaduto mentre Asgard lo aveva creduto
morto.
Loki, una voce
graffiante nel buio della cella, la domanda e la risposta ad ogni cosa
e nessuna soluzione al rompicapo che era stato per tutta la vita della
sua maestra.
Quel loro colloquio
aveva ancora un sapore onirico nei ricordi di Snotra, e non valeva
tutti i suoi sogni e tutti i suoi incubi. Le restava solo la sensazione
del suo viso premuto contro le sbarre e delle sue labbra posate sulla
fronte di Loki nell'estrema tacita promessa di un affetto che nessun
crimine e nessuna ombra avrebbe mai potuto spegnere.
Le restava quello e la
consapevolezza di non avere più lacrime da versare.
Non sapeva neppure se a
Loki importasse, se gli era mai importato.
Sì, certo che sì .
La biblioteca sembrava
un cantiere in costruzione. Con l'intento – fallito
– di svuotarsi la mente, la dea della saggezza si era
dedicata a un monumentale lavoro per risistemare i volumi e le
pergamene. Casse di documenti antichi erano disposte in disordine
contro le pareti, libri dalle copertine lucenti erano impilati sul
pavimento o sugli scrittoi più lontani dall'ingresso.
Snotra pensava a come
sarebbe stato tutto più ordinato e pulito quando avrebbe
finito, ma per adesso quel caos precario non faceva altro che
ricordarle che, in qualche modo, il suo mondo stava andando in pezzi.
«Di cosa
parlano le nostre storie, lady Snotra?».
La bambina, una tra i
tanti suoi allievi, era la figlia di un alto ufficiale della guardia di
Odino. Una bambina bellissima, con fluenti riccioli biondi e occhi
grigi, come i più splendidi figli di Asgard.
La piccola teneva la
mano posata su un grosso volume che odorava di polvere e troppo tempo
trascorso. I bordi di pelle della rilegatura erano lisi e in qualche
punto la decorazione dorata si era scrostata, interrompendo la
regolarità del disegno geometrico sul frontespizio.
Snotra avrebbe
riconosciuto quel volume tra mille e le parve un caso quasi doloroso
che la bambina fosse incappata proprio in quel libro, proprio quella
mattina: le cronache della Campagna di Jotunheim, redatte da lord
Alcuin, il suo maestro, tanto e tanto tempo prima, nel freddo e nel
buio di una tenda al margine di un accampamento di soldati.
«Di cosa
parlano le nostre storie, lady Snotra?».
La piccola allieva
ripeté la domanda con cortese insistenza, con la
caparbietà tipica dei bambini. A Snotra sembrò di
rivedere un giovanissimo principe Thor, sempre affamato di racconti di
eroi e battaglie.
«Parlano di
guerra» le rispose, con voce atona.
«E le storie
di Midgard, sono diverse?».
Midgard. Se ne parlava
parecchio in quei giorni, da quando era stato annunciato che ci sarebbe
stato un processo per stabilire la condanna per il principe Loki, per i
suoi crimini contro il mondo degli uomini che adesso, agli occhi degli
asgardiani, appariva come una terra esotica e lontana, anche se molti
di loro l'avevano ignorata per secoli.
Il giorno del processo
era quello.
«Di cosa
parlano le storie di Midgard?» insistette la bambina.
Snotra sorrise
tristemente. «Spesso parlano d'amore».
La piccola
annuì, in un dondolio di onde dorate. La maestra la
congedò con una carezza sul capo e ascoltò i suoi
passi trotterellare via e poi lasciare il posto a un silenzio enorme,
impossibile da riempire.
Snotra restò
seduta tra i suoi libri, cercando di concentrarsi sull'idea di quando
quel posto sarebbe tornato in ordine. Pensò che quello
poteva essere il suo ultimo lavoro, prima di chiedere al re il permesso
di ritirarsi a vita privata nella casa che un tempo era appartenuta a
suo padre, al di là dei campi fuori le mura dorate della
capitale. Lontano, via da lì...
Pensò che non
aveva più nulla da fare lì a palazzo e che quello
che aveva fatto non era stato davvero nulla di speciale. La
solidità di quel pensiero la colse di sorpresa: nella caduta
di un singolo individuo c'era la caduta di tutto ciò in cui
lei aveva creduto e questo perché lei, la saggia e brillante
Snotra, non aveva saputo tenere fede a una promessa.
Aveva fatto tutto il
possibile per riuscirci, pensò. E forse era vero, ma non
bastava a darle la pace che aveva perso nello stesso istante in cui
aveva varcato i cancelli di Asgard tenendo tra le braccia un bambino
affamato al quale si era tentato di imporre un destino non suo.
Forse, se avesse
lasciato per sempre quel luogo, i ricordi sarebbero sbiaditi e
avrebbero fatto meno male.
Sì, la casa
della sua famiglia era davvero abbastanza lontano da lì, si
disse, un attimo prima di ricordare che nessun luogo sarebbe mai stato
abbastanza lontano.
Ma intanto, quello era
il giorno del processo. E anche se ora progettava di fuggire dalla sua
stessa vita pur di attutire il dolore, non era codarda al punto da
mancare a quell'evento.
Attese, nel silenzio e
nella troppa luce che filtrava dalle finestre, che giungesse l'ora
prestabilita. Attese circondata dai suoi ricordi, come se fossero
colombe trattenute in una gabbia prima di lasciare che prendessero il
volo. Colombe, o forse avvoltoi...
Alla fine,
semplicemente, lasciò la biblioteca e si diresse verso la
sala del trono.
«Thor vi
cercava, lady Snotra». Sif la raggiunse quando stava per
entrare nella sala gremita.
Lo so, lo posso immaginare, ma non volevo che mi trovasse.
«Vi chiederei
se state bene, ma immagino sia una domanda sciocca»
mormorò la giovane guerriera, titubante. Sembrava volesse
abbracciarla o prenderle la mano o offrirle un qualsiasi tipo di
conforto ma forse si rendeva conto che il suo stato d'animo in quel
momento andava ben oltre qualsiasi tentativo di consolazione.
«Nessuno
voleva che si arrivasse a tanto» disse ancora Sif.
Snotra provò
una rabbia dolorosa che le vibrò dentro, in un battito
troppo forte del suo cuore stanco. «Nessuno ha fatto niente
per evitarlo» commentò laconica. Era un'accusa a
tutti e a nessuno allo stesso tempo.
La sala del trono era
gremita, un mare di volti e occhi puntati nella medesima direzione.
Il ricordo che si
affacciò nella mente di Snotra a quello spettacolo fu il
più doloroso di tutti. Più del volto di Loki
deluso e arrabbiato la notte in cui le aveva mostrato la magia,
più dei suoi occhi indignati e furiosi la sera del ballo in
cui lady Sigyn aveva danzato con Thor, più di lui bambino
che cercava risposte che non sarebbero mai arrivate. Il ricordo del
giorno in cui ogni barriera che tratteneva Loki dal cadere era
definitivamente crollata. Il giorno in cui il giovane principe aveva
scelto la sua strada e aveva cominciato a percorrerla.
Lo scenario che ora la
donna aveva davanti a sé era come un'immagine speculare di
quella stessa sala del trono, altrettanto gremita di gente dall'aria
impaziente, con quel medesimo sole caldo e la brezza che faceva
ondeggiare le tende. Ma in quel ricordo la gente non era
così silenziosa e tesa, era felice ed esultante, e non
attendeva un traditore, ma un re...
***
Snotra non riusciva a stare ferma.
Quella mattina si era vestita con cura, aveva indossato persino i
propri gioielli, cosa che non faceva quasi mai. Si era lasciata
pettinare dalle ancelle ma aveva proibito loro di acconciarle i capelli
in qualche modo astruso: non voleva mal di testa quella giornata, quel
vago senso di vertigine che aveva per l'agitazione e l'euforia era
già bastevole, insieme a quella sensazione di vuoto nello
stomaco che aveva identificato come pura e semplice
felicità. Aveva lasciato i capelli sciolti, con un fermaglio
a forma di libellula su un lato. Aveva approvato la propria immagine
allo specchio – si era costretta ad ammettere che era il
meglio che riuscisse a fare – e aveva lasciato le sue stanze.
A metà del corridoio era tornata indietro e si era tolta il
fermaglio e cambiato gli orecchini, indossandone un paio di
più vistosi.
Non capiva molto di quel genere di cose e la vanità non era
mai stata una sua caratteristica, sapeva solo che in certi frangenti un
paio di orecchini vistosi sono meglio, per principio.
Il palazzo di Asgard era deserto: tutti erano accorsi alla sala del
trono già da ore. La corte degli Æsir e tutti i
cittadini della capitale che l'enorme sala poteva contenere, erano
disposti in due grandi ali di folla lungo la passerella dorata che
immetteva nella stanza dall'entrata principale e l'attraversava tutta
fino al rialzo del trono di Odino, in cima a due serie di gradini
semicircolari. Oltre il colonnato, su una balconata a perdita d'occhio,
c'era ancora altra gente, un mare di volti accesi di
curiosità.
Il brusio delle tante voci raccolte in quell'unico luogo sembrava
spingersi fino alla torre più alta del palazzo. Snotra si
soffermò ad ascoltarlo, lo sentì vibrare dentro
di sé come una musica piacevole.
Aveva atteso quel giorno con trepidazione e solo ora si rendeva conto
di quanto trovasse emozionante quello che stava per accadere.
Quello era il giorno in cui Thor sarebbe diventato re.
Mentre raggiungeva la sala dove si sarebbe tenuta l'incoronazione,
ricordi caldi come raggi di sole le scorrevano nella mente. Ricordava
ogni cosa dell'infanzia e della fanciullezza di Thor, la sua
ingenuità che celava un cuore grande come una delle lune di
Asgard, la sua fierezza e il suo animo battagliero. Per certi versi, il
figlio di Odino non aveva ancora perduto del tutto
quell'ingenuità da ragazzo e troppo spesso il suo carattere
fiero rivelava un orgoglio testardo e persino una certa arroganza, ma
lei era certa che il tempo avrebbe temperato quei difetti con
l'esperienza e la saggezza, e con il peso della
responsabilità di portare una corona.
Da questo punto di vista, Snotra seguitava a pensare che salire al
trono fosse una condanna, che ci fosse qualcosa di assai sgradevole
nell'essere re, ma quel giorno era stato tanto sospirato e appariva
troppo perfetto perché le sue remore la turbassero davvero.
Thor aveva la sua famiglia a spalleggiarlo e aveva lei, avrebbe
imparato ad essere un buon re e sarebbe certamente diventato un grande
re, questo lei lo sapeva, se lo sentiva dentro, anche se aveva
impiegato tempo a comprenderlo.
In prossimità della sala, Snotra si imbatté in
Sif e i suoi tre compagni. Thor aveva voluto che loro fossero sui
gradini del trono, accanto alla sua famiglia. Aveva rivolto a lei lo
stesso invito, ma la donna aveva detto che preferiva guardare da
lontano.
Lei era una donna matura, apparteneva al passato, quello era il momento
della gioventù che accettava l'onere di scrivere il futuro
di Asgard e quindi di tutti i Nove Regni.
Sarebbe rimasta in disparte, ma non avrebbe mai staccato gli occhi da
Thor. Non lo aveva mai fatto, del resto, né con lui
né con suo fratello.
«Dov'è Thor, lo avete visto?» chiese ai
quattro guerrieri che si erano fermati a salutarla.
«No, lady Snotra. Cominciamo a pensare che se la sia data a
gambe» rispose Fandral, sorridendo sornione.
«Non sarebbe così assurdo, avete visto quanta
gente c'è?» gli fece eco Volstagg, lanciando
un'occhiata stranita in direzione della sala del trono.
«Non era questo che voleva? Essere acclamato e adulato da
tutta la città?». Sif finse un'aria di
sopportazione.
Snotra scosse il capo, divertita. Era in piedi, in mezzo all'ampio
corridoio, spostando il peso da un piede all'altro, come una bambina
irrequieta e il tempo sembrava essersi cristallizzato nell'impazienza
dell'attesa.
«Credo sia nell'anticamera, ad ogni modo»
interloquì Hogun, con il suo consueto cipiglio serioso.
Fandral aveva detto che si aspettava di vederlo sorridere almeno in
quell'occasione, ma non era successo.
Certo, la giornata era ancora lunga. Molte cose potevano ancora
accadere.
Sif si avvicinò alla donna e le strinse una mano attorno al
braccio. Gli occhi verdi della bella asgardiana tradivano una gioia
luminosa come le stelle.
«Il vostro posto era accanto a noi»
mormorò la giovane guerriera. «E sono certa che
Thor voglia vedervi: vi deve così tanto».
«E io devo tanto a lui e alla sua famiglia, ma parlare di
debiti in simili circostanze mi sembra così
sciocco».
Era sciocco, sì. Lei non aveva mai fatto nulla di
più di quanto il suo cuore le aveva suggerito e in cambio
aveva ricevuto altrettanto affetto, non erano cose sulle quali si
poteva ragionare o far di conto.
Snotra fece una carezza sul braccio di Sif accanto a lei e sorrise ai
Tre Guerrieri. «Raggiungete la sala del trono, io vado a
vedere se trovo Thor... e Loki, qualcuno ha visto Loki?».
I quattro giovani si scambiarono una rapida occhiata e scossero il capo.
«È tutta la mattina che manca, ieri sera non era
neppure al banchetto» osservò Hogun, inespressivo.
«Starà rimuginando su qualche modo di rovinare la
festa» aggiunse Fandral, sarcastico.
Sì, Loki non amava feste e banchetti, vi partecipava per
quel minimo che il suo rango e la buona educazione richiedevano, ma di
certo tutti sapevano che non avrebbe davvero guastato la festa di Thor.
Il giorno prima Snotra lo aveva trovato in biblioteca, intento a
leggere le Cronache della campagna di Jotunheim, redatte da Lord
Alcuin. Quando aveva riconosciuto il volume che Loki teneva in grembo,
aveva sussultato: il vento freddo di quella notte era ancora nei suoi
pensieri a gridare accuse mai del tutto taciute o smentite. La voce dei
suoi ricordi e delle sue colpe sembrò riacquistare potenza
come non accadeva da molto tempo.
Loki aveva poi chiuso il libro e le aveva rivolto un mezzo sorriso
cordiale. Avevano parlato dell'indomani, di quanto entrambi fossero
felici per Thor, e Snotra aveva scorto negli occhi del principe cadetto
un'euforia e un senso di attesa che non potevano non essere sinceri.
Loki attendeva quel giorno con la stessa trepidazione con cui lo
attendeva chiunque altro avesse a cuore Thor e questo era bastato a
zittire l'eco dei ricordi scomodi e dei sensi di colpa di cui la donna
non era mai riuscita a liberarsi.
Tutti erano felici. Il cuore della dea della saggezza non poteva
desiderare altro.
Raggiunse l'anticamera, una delle gallerie laterali alla sala del
trono, e fu investita da un servitore che camminava a grandi passi
nervosi, allontanandosi dalla stanza.
«Oh, scusate lady Snotra, vi chiedo infinitamente
scusa...» balbettò l'uomo, mortificato.
Lei gli rivolse un sorriso gentile, ma notò la sua aria
alterata.
«Niente di grave... almeno credo»
commentò, guardandolo con più attenzione e
rendendosi conto di quanto apparisse spaventato.
Il domestico annuì, e si allontanò stringendo
sottobraccio un vassoio d'argento. Da lontano Snotra lo
sentì mormorare qualcosa a proposito del fatto che odiava i
serpenti.
Quella giornata doveva aver stravolto tutti, pensò la dea.
La galleria era in penombra, illuminata solo dal fuoco di un enorme
braciere di pietra che lasciava le ombre addensarsi contro le tende
alle pareti.
Sul fondo del colonnato, Snotra scorse Loki e Thor che parlavano a
bassa voce, e di istinto si bloccò, dietro al basamento del
braciere, pensando che non era il caso di intromettersi in quel loro
momento privato.
Non riusciva a sentire cosa si stessero dicendo, ma vide che
sorridevano.
Una guardia arrivò per portare al figlio di Odino il suo
elmo. Thor se lo rigirò tra le mani con espressione tesa e
abbassò lo sguardo, come se tutte le sue certezze avessero
cominciato a vacillare sotto l'enorme eloquenza di ciò che
stava per accadere.
Loki mormorò qualcosa, sorrise e Thor sorrise con lui,
ritrovando il suo solito sguardo limpido ancora tanto simile a quello
di un semplice ragazzo.
I due principi si voltarono l'uno in direzione dell'altro. C'era una
dolcezza inattesa ora sul volto di Loki e Snotra sentì gli
occhi pizzicarle di commozione.
Thor posò una mano sulla guancia del fratello. I due si
scambiarono ancora qualche parola, poi si voltarono verso l'apertura
che conduceva alla sala del trono e Snotra non riuscì
più a scorgerne l'espressione. Loki si avviò
davanti a Thor, il mantello verde drappeggiato sulle spalle; il figlio
di Odino attese qualche secondo, in una posa rigida, il capo sollevato
a scrutare il cielo che si vedeva oltre la balconata lontana.
Snotra si fece avanti e il principe si voltò, attirato dal
rumore di passi. Lei gli sorrise, raggiante.
«Potrebbero cominciare senza di te, se seguiti ad
esitare» lo canzonò.
Thor ridacchiò sommessamente e scosse il capo. Nella luce
incerta della sala, la sua vecchia maestra ebbe persino l'impressione
che lui fosse arrossito e che voleva cercare di nasconderlo, chinandosi
a prenderle la mano e portandosela alle labbra per imprimervi un
leggero bacio, un ossequio tanto formale quanto spontaneo.
«A te posso dirlo: ho visto la sala, là fuori
è spaventoso» ammise alla fine il figlio di Odino.
«Se fosse pieno di pentapalmi sarei più a mio
agio».
«Puoi sempre immaginare che siano davvero tutti dei
pentapalmi...»
«Qualche vecchio lord in effetti rassomiglia a un
pentapalmo»
«Thor!».
Snotra rise e gli batté un buffetto sul braccio. Thor
picchiettò le dita contro il fondo dell'elmo,
«Sarò re, Snotra... è bello. Ma mi fa
impressione l'idea che la gente debba inginocchiarsi al mio
cospetto» mormorò.
«La devozione della gente è qualcosa che un re
deve sapersi guadagnare» rispose lei, togliendogli l'elmo
dalle mani e sistemandoglielo sul capo. «Ora va' e rendimi
fiera di inginocchiarmi al tuo cospetto, mio principe».
Thor annuì, sorridendo. «E tu resta dove posso
vederti... che se dovessi esagerare è bene che la mia
maestra mi faccia un cenno per ricondurmi all'ordine».
«Sì, immagino ce ne sarà bisogno! Vai,
non è questo il giorno per far spazientire tuo
padre».
Thor deglutì, ingoiando un mare di parole e l'ultimo
scampolo di nervosismo, poi si voltò per raggiungere la sala
del trono.
Snotra si affrettò a raggiungere un'altra entrata.
Camminò rasente al muro, alle spalle della moltitudine
radunatasi al cospetto di Odino. Scorse le figure in piedi sulle scale
che portavano allo scranno reale, i volti dei quattro guerrieri e di
Frigga e Loki atteggiati in un'espressione seria e solenne. Il re
sedeva apparentemente tranquillo, scrutando con aria indecifrabile la
folla di presenti.
La donna si sistemò accanto ai piedi della scalinata, di
fianco ad una colonna, alle spalle di Volstagg che se ne stava
impettito sul penultimo gradino.
Il boato che si alzò dalle centinaia di bocche
sembrò vibrare fin dentro le fondamenta. Thor era lo sbuffo
rosso del suo mantello dal lato opposto dell'immensa sala, piccole lame
di luce si riflettevano sulla superficie color platino dell'elmo alato.
Snotra lo seguì con lo sguardo mentre percorreva ad ampie
falcate la passerella, nessuna traccia di insicurezza o timore era
leggibile sul suo viso, era rimasta solo la serenità di chi
si appresta ad andare in contro al proprio destino, con un pizzico di
boriosa incoscienza.
Thor fece volteggiare a mezz'aria il Mjolnir e le acclamazioni dei
presenti esplosero in un ruggito di entusiasmo.
Snotra guardò davanti a sé e incontrò
gli occhi di Loki. Ogni traccia della dolcezza e del calore che gli
aveva animato lo sguardo mentre parlava con Thor poco prima era
scomparsa, come se fosse l'ennesima maschera e come se quello fosse
ora, finalmente, il suo vero volto. Un volto atteggiato in una rigida
espressione di muta furia. In mezzo al frastuono delle grida di
incitamento, a Snotra sembrò sentire un grido rabbioso che
si alzava prepotente dalla testa di Loki, salendo dal fondo delle sue
viscere.
Non poteva essere vero... Snotra pensò che era stata solo
una sua impressione, perché un attimo dopo il volto di Loki
tornò normale e imperscrutabile e lei non ebbe
più tempo di pensare a lui perché fu assorbita da
quello che stava accadendo attorno a loro.
Le acclamazioni cessarono di colpo e divennero una compita cascata di
applausi quando Thor giunse ai piedi del trono, si
inginocchiò al cospetto di Odino e si scoprì il
capo ostentando un'umiltà non del tutto genuina, liberandosi
dell'elmo. Il Padre degli dei si alzò e ogni rumore si
spense di colpo; nel silenzio si udì distintamente il sordo
tonfo metallico del Mjolnir che veniva appoggiato contro il pavimento.
Thor fece vagare per un attimo lo sguardo sui suoi amici, si
soffermò un'istante a guardare Snotra alle spalle di
Volstagg, poi spostò il capo in direzione di sua madre e le
strizzò l'occhio. Frigga trattenne una risata e scosse
impercettibilmente la testa per ricordagli di mantenere il giusto
contegno.
Poi il Padre degli dei batté l'estremità della
lancia sul pavimento e per un attimo l'intero universo parve fermarsi
per ascoltare le sue parole.
«Thor, figlio di Odino, mio erede, mio
primogenito...».
A Snotra non sfuggì il lieve tremore nella voce del re, la
vibrazione dell'orgoglio e della gioia, di un affetto che il sovrano
difficilmente manifestava in pubblico.
Il discorso di Odino fu lungo e solenne e lei quasi non
riuscì a seguirlo per intero, perché la
commozione le confondeva i pensieri. Lacrime le velarono gli occhi,
rendendo la sala e l'ambiente attorno una macchia indistinta di dorato
e ritagli di cielo.
«... giuri di sorvegliare i Nove Regni?» chiese
infine il Padre degli dei, pronunciando la formula di rito.
«Lo giuro»
«E giuri di preservare la pace?»
«Lo giuro»
«E giuri di mettere da parte qualunque ambizione egoista e di
prodigarti per il bene dei Regni?». Odino
pronunciò quest'ultima richiesta con particolare enfasi, e
con particolare enfasi Thor rispose.
«Lo giuro!» esclamò il dio del tuono
quasi in un ruggito, sollevando il Mjolnir nel pugno.
«In questo giorno...». Odino riprese la formula. Ad
ogni sua parola il cuore di Snotra batteva un po' più forte,
ogni suo battito era un passo in più verso il futuro.
«... io, Odino, Padre degli dei...».
Il cuore le era arrivato alla gola, tanto da farle mancare il respiro.
La donna deglutì e inspirò profondamente. Tutte
le sue emozioni le martellavano nelle tempie. Probabilmente, alla fine
di quella cerimonia, si sarebbe sentita sfiancata come dopo una
tremenda corsa, ma sarebbe stata una stanchezza piacevole.
Thor sembrava assorbire le parole di suo padre e illuminarsi sempre di
più, come una stella che attira verso di sì
l'energia dell'intera galassia.
«... ti proclamo...».
Sì, che l'esplodesse pure il cuore nel petto! Tutto era come
doveva essere e lei era felice, la sua vita sarebbe potuta finire in
quell'istante e non le sarebbe importato.
Ma il cuore di Snotra parve bloccarsi, si contrasse dolorosamente in un
istante di silenzio troppo prolungato, l'istante di silenzio che
avrebbe dovuto contenere l'ultima parola che separava Thor dal trono di
Asgard.
Il sorriso del principe si spense, sfumando rapidamente in
un'espressione attonita.
Quella parola non giunse mai. Ne giunsero altre, tremende e pronunciate
con una visibile nota di sgomento nella voce di Odino.
«I giganti di ghiaccio» esclamò,
deglutendo e serrando il pugno attorno all'asta della sua lancia. La
lama di Gungnir emanò un riflesso plumbeo, lo stesso che
sembrava passare nello sguardo del re.
Un brusio spaventato cominciò a serpeggiare tra la folla e
parve come se si stesse innalzando un muro di paura, l'eco di un
terrore antico fece vibrare l'aria. Snotra si sentì
raggelare.
Il dorato della sala e il calore dei fuochi scomparve, risucchiato
dalla violenza del ricordo. Con la sua mente, la donna era
lì, nella pianura di Jotunheim, sotto la pioggia di
cristalli di ghiaccio, le braccia strette attorno a un neonato che
piangeva per la fame.
Indietreggiò, piegata dal peso di quelle emozioni tremende
che troppo in fretta si erano sostituite alla gioia della cerimonia;
indietreggiò fino a quando non andò a urtare
contro il muro, vi appoggiò le spalle e tentò di
calmarsi.
Guardò verso il trono. Si accorse che le guardie stavano
facendo uscire i presenti, e sembrava un'impresa impossibile riuscire a
sgombrare tutta quella folla, specie ora che cominciava a essere
intontita dalla sorpresa e dalla paura. Sui gradini c'erano Thor e
Loki, stretti attorno a Odino.
Loki era di spalle e Snotra non poté vederlo in viso.
Non era davvero importante, pensò, gli Jotun non sapevano di
Loki e lui non sapeva di essere uno di loro. Lui non era uno di
loro! Lei lo aveva portato via da quel mondo e dal suo gelo, tantissimo
tempo fa!
«Lady Snotra!» esclamò Fandral con voce
concitata, afferrandola per un braccio. «Abbiamo ricevuto
ordine di scortare voi e la regina via di qui e di farvi da
guardia».
Lei notò il balugino della lama che il guerriero aveva
sfoderato, come se fosse un riflesso lontano di un lampo all'orizzonte.
Odino e i suoi figli già non c'erano più.
«Non vi dovete preoccupare, lo Sterminatore avrà
già provveduto agli intrusi, questa è solo una
misura cautelativa» aggiunse Fandral, credendo forse che il
suo sguardo smarrito fosse dovuto alla paura dei Giganti.
La dea della saggezza non disse niente e si lasciò condurre
via senza neppure badare a dove stavano andando, trascinando
meccanicamente un piede avanti all'altro nella direzione in cui il
guerriero la pilotava. Solo quando si ritrovò chiusa in una
stanza riccamente arredata, seduta di fronte a Frigga riuscì
a riaversi.
«Non c'è nulla da temere, vero?»
domandò la regina con un sospiro.
«No, mia signora» rispose lei, meccanicamente.
«Un'intrusione... con un tempismo odiosamente perfetto. Thor
sarà furioso e deluso»
«La sua incoronazione è solo rimandata, immagino.
Potremo continuare la cerimonia domani».
Frigga annuì e si passò una mano sul viso.
«Naturalmente. Ma oggi sembrava tutto così
perfetto».
Snotra stirò con i palmi delle mani le pieghe sul tessuto
della gonna di broccato. Ora che ci faceva caso, sentiva anche male ai
lobi delle orecchie per quei tremendi orecchini. Come l'era venuto in
mente di indossarli?
La regina aveva ragione, l'intrusione dei giganti di ghiaccio aveva
avuto davvero un pessimo tempismo, come se...
La donna sentì un groppo alla gola.
… come se
qualcuno l'avesse programmata.
Era un'idea sciocca. Se qualcuno avesse complottato un simile
tradimento, Heimdall lo avrebbe scoperto, e nessuno può
giungere su Asgard senza l'ausilio del Bifrost.
Snotra si massaggiò le tempie. Questo non era del tutto
vero, lo sapeva, lei stessa aveva insegnato a Thor e a Loki...
Loki.
No. questo era sciocco e insensato. Loki poteva anche conoscere le vie
che legavano Asgard agli altri mondi, ma di certo non possedeva
l'energia oscura sufficiente ad aprirle. Il talento magico di Loki era
vasto, ma non arrivava a tanto, se così fosse stato, lo
avrebbero saputo. L'idea che lui avesse finto di essere meno potente di
quanto era in realtà era stupida, oltre che estremamente
macchinosa. A Loki piaceva veder riconosciuti i propri meriti, gli
piaceva dar sfoggio delle sua abilità, e comunque, non aveva
alcuna ragione per introdurre giganti di ghiaccio su Asgard.
Snotra si prese la testa tra le mani. Perché mai stava
pensando a Loki in quei termini? Poteva aver nutrito dei dubbi su di
lui, sul fatto che la sua rivalità con Thor lo avesse reso
più maldisposto di quanto fosse opportuno, ma questo era
ingiusto. Del resto, il più giovane dei due principi era un
uomo adulto adesso, ed era ovvio ritenere che certi problemi si fossero
risolti ormai naturalmente, con il tempo.
Il silenzio e l'inattività le parvero insopportabili in quel
frangente, la confondevano, la portavano a farsi domande prive di
logica. Quando la porta della stanza si aprì e comparve Sif
con un mezzo sorriso incoraggiante, Snotra si sentì grata
che fosse tutto finito.
«Gli intrusi sono stati eliminati»
annunciò la guerriera. «Erano un numero assai
esiguo, si erano introdotti nella cripta per rubare lo Scrigno degli
Antichi Inverni, pare. Il pericolo è cessato,
comunque».
Frigga annuì e ricambiò con gentilezza il sorriso
di Sif. «Immagino che il re avrà bisogno di me,
ora» disse congedandosi, e avviandosi frettolosamente fuori
dalla stanza.
Snotra scambiò con Sif una lunga occhiata eloquente.
«Thor si starà strappando i capelli, come una
femminuccia isterica» disse la bella asgardiana, tentando di
dissimulare quanto le stava a cuore la situazione.
«Di certo è un peccato per tutto il vino che era
stato fatto arrivare per i festeggiamenti. E per il
banchetto...» osservò Volstagg, con estrema
convinzione.
«Dobbiamo solo pazientare. Forse domani questa situazione
sarà chiarita e Thor potrà essere
incoronato» concluse Snotra. Salutò i quattro
guerrieri e lasciò anche lei la stanza.
Ora il mal di testa era pressante, una massa di dolore al centro del
cranio. Il pizzichio ai lobi delle orecchie era diventato troppo
fastidioso e la dea della saggezza si tolse gli orecchini con un gesto
brusco, reprimendo a stento l'impulso di lanciarli contro una colonna
della galleria.
Dal fondo del corridoio, scorse Loki andarle in contro e ne fu quasi
sollevata.
Stava andando da lei, voleva parlarle, aveva bisogno del suo sostegno
forse, di certo voleva fare qualcosa di buono per quella spiacevole
situazione che si era venuta a creare.
L'aria angustiata del principe fece sentire Snotra tremendamente in
colpa per aver anche solo minimamente sospettato di lui.
«Thor ha... ha combinato un disastro! Io stento a
crederlo!» esclamò Loki.
Snotra lo fissò basita. Sembrava davvero turbato per suo
fratello.
«Ha fatto infuriare nostro padre» spiegò
il principe, massaggiandosi la fronte. «E ora credo che lui
non sia più tanto in animo di proclamarlo re. A volte mi
chiedo cos'abbia in testa, mio fratello. Sa essere veramente stolto nel
momento e nel modo meno opportuno!».
La donna spalancò la bocca in un'espressione stupita. Quelle
parole le stavano facendo male: possibile che alla fine Thor si fosse
rivelato così deludente?
«Loki, pensavo di averti insegnato molto tempo fa che
è ingiusto inveire contro tuo fratello»
osservò lei in tono bonario, cercando di alleggerire un po'
la situazione.
«Sì, hai ragione... è che sono in pena
per lui. Ha insistito con nostro padre per andare su Jotunheim e
vendicarsi della sortita dei Giganti di Ghiaccio; Odino è
andato su tutte le furie, hanno avuto una brutta discussione e io...
davvero, questo giorno doveva essere perfetto e felice, e
invece...».
Snotra posò una mano sulla spalla del giovane uomo.
«Parlerò con Thor...»
«No, lo farò io» disse Loki, e parve
quasi spaventato. Era giusto, naturale, che fosse turbato per la sorte
di suo fratello e per la tensione tra lui e il re; come poteva essere
altrimenti? Loki amava davvero Thor, di questo lei era certa.
«Cosa ti preoccupa, caro?» gli chiese.
«Temo che possa fare una sciocchezza, contravvenire agli
ordini di Padre e andare comunque su Jotunheim. Cosa pensi che
accadrebbe, se succedesse una cosa simile?».
Lo sguardo di Loki era velato e pregno di impazienza.
«La punizione per chi disobbedisce agli ordini diretti del re
è l'esilio, nella migliore delle ipotesi, lo sai
bene» asserì Snotra.
Lui scosse il capo e si massaggiò la nuca. Non era da lui
quell'atteggiamento così scomposto, e da tanto tempo
sembrava aver sviluppato l'abilità di mostrarsi impermeabile
a qualsiasi emozione, in molti dicevano che era troppo insensibile,
quasi spietato, sempre pronto a godere delle disgrazie altrui. Ora
Snotra poteva rendersi conto con sollievo che non era affatto
così.
«Quindi non pensi che nostro padre adotterebbe misure
più... drastiche?» domandò.
«L'esilio mi sembra abbastanza». Perché
diamine ne stavano parlando?
«Sì... sì, è
abbastanza». Loki mormorò a voce così
bassa che sembrò solo un pensiero sfuggitogli per sbaglio
dalla testa.
«Ma sono supposizioni sciocche» si
affrettò a precisare la donna. «Thor non farebbe
mai niente di tanto grave».
Il principe scosse il capo e mise insieme un sorriso cupo.
«No, certo che no».
In quel momento si udì il rombo di un tuono in lontananza e
il rumore della porta della sala del banchetto che veniva aperta di
colpo. Il ruggito furioso di Thor risuonò per tutto il
piano.
Loki e Snotra si scambiarono uno sguardo allarmato.
«Vado a parlargli!» esclamò
frettolosamente il principe. La donna lo guardò
allontanarsi, quasi correndo, verso la sala dove si sarebbero tenuti i
festeggiamenti per l'incoronazione.
Chissà per quanto tempo quell'evento sarebbe stato ancora
rimandato.
Snotra tornò nelle proprie stanze e si cambiò
d'abito, indossando qualcosa di più comodo. Pensò
che quella sarebbe stata una lunga giornata e si rammaricò
ancora una volta che non fosse più la giornata che tutti
avevano atteso.
Sperò che prima o poi Thor venisse a parlare con lei.
«Verrà?...» domandò al
proprio riflesso nello specchio davanti al quale era seduta.
Lo sperava davvero, ma sapeva che il principe ormai si riteneva al di
là dei suoi consigli e sapeva anche che era naturale, che i
suoi due giovani allievi non sarebbero rimasti né giovani
né suoi allievi per sempre. Era una consapevolezza
agrodolce, forse simile a quella che comincia a serpeggiare nei cuori
delle madri il giorno in cui si accorgono che i figli non necessitano
più di essere tenuti per mano.
«Arrivo tardi» disse ad alta voce, scambiando con
se stessa un sorriso di autocommiserazione. «Quei due hanno
smesso di tenermi per mano molto tempo fa...».
Eppure, ora che il tempo stava iniziando a chiedere il suo tributo al
suo volto di donna, ancora una volta Snotra si ritrovò a
pensare che non aveva alcun rimorso per la vita che aveva scelto. Se
pure alcune sue azioni passate le avevano tolto il sonno molte notti e
la tranquillità per molti giorni, non riteneva di doversi
pentire di ciò che aveva scelto di diventare.
Era una questione sulla quale si era interrogata più volte
nel corso dei lunghi anni che si erano rincorsi sotto il cielo della
Patria Eterna. Ogni volta si era data sempre la stessa risposta, ed era
qualcosa che almeno in parte poteva farla sentire in pace.
Qualcuno bussò alla sua porta, un'ancella entrò
per avvisarla che c'era un messaggero per lei che l'attendeva al piano
inferiore.
Snotra non aveva idea di chi potesse averle inviato un messaggio,
né come mai qualcuno si fosse preso il disturbo di giungere
a palazzo appositamente per lei in una simile giornata.
Il messaggero aveva tutta l'aria di essere un contadino, se ne stava in
piedi, rigido e composto come se cercasse di occupare il minor spazio
possibile, in fondo alla grande scala che saliva dall'atrio principale
della casa di Odino, guardandosi attorno con aria frastornata e
sorpresa.
Doveva venire da molto lontano se l'atmosfera della reggia lo aveva
tanto colpito.
L'uomo fece un goffo inchino e si torse nervosamente le mani,
schiarendosi la voce.
«Lady Snotra, ehm... io vengo da parte di vostro
padre...» disse, sforzandosi di mantenere la voce ferma.
Certo. Veniva da veramente lontano, dunque. Le terre della famiglia di
Snotra erano parecchio distanti dalla capitale, erano più
che altro un piccolo appezzamento di campagna per una famiglia dal
piccolo nome, seppure appartenente all'antica nobiltà fin
dall'inizio dei tempi.
«È accaduto qualcosa di grave?»
domandò la donna, preoccupata. Quella giornata non poteva
che peggiorare, pensò, ma il suo interlocutore scosse la
testa.
«No, signora. Giungo a portarvi una lieta notizia: vostro
fratello convolerà a nozze a breve. La vostra famiglia
richiede la vostra presenza»
«Oh. Quale dei miei fratelli?»
«Il primogenito maschio, naturalmente».
Naturalmente, certo. Nelle missive che suo padre le spediva
regolarmente non veniva fatta alcuna menzione della cosa. Snotra
sperò che non fosse un matrimonio arrangiato in tutta fretta
per qualche astruso gioco di dote ed eredità o, peggio, per
rimediare a qualche errore poco cavalleresco che suo fratello aveva
potuto commettere.
La donna sospirò. Era sempre un piacere poter tornare a casa
e riabbracciare la sua famiglia, anche se non viveva nella casa di suo
padre da quando era poco più che fanciulla, da quando aveva
cominciato la sua vita da studiosa, approdando a palazzo come allieva
di Lord Alcuin. Ma non era sicura che quello fosse il momento migliore
per lasciare la capitale.
«Dovrò chiedere al re il permesso di
partire» disse. Stava per aggiungere che non era del tutto
certa che Odino le avrebbe accordato il permesso di lasciare il
palazzo, poi si ricordò che non aveva alcun ruolo nei
disastri di quella giornata e che Thor aveva preferito scaricare la sua
rabbia sulle suppellettili della sala del banchetto piuttosto che
cercare il suo supporto e che sì, non toccava a lei farlo
ragionare o sollevargli il morale, era un compito di cui si era
– giustamente – fatto carico Loki e di sicuro un
fratello vi avrebbe potuto adempiere meglio di una vecchia maestra.
Quando Snotra raggiunse il salotto privato del Padre degli dei e chiese
alla guardia di turno di annunciarla al sovrano, si sentì
persino in colpa al pensiero di dover disturbare Odino per una simile
faccenda, in un tale frangente. E a lei i matrimoni neppure piacevano.
Dalla finestra vide l'azzurro del cielo di Asgard scurirsi appena per
il passaggio di qualche nuvola portata dal vento. E poi,
all'improvviso, il lampo di luce opalescente del Bifrost accendersi
come un lampo foriero di tempesta.
Perché il Ponte dell'Arcobaleno era stato aperto? Forse che
Thor aveva deciso di disobbedire a suo padre e recarsi su Jotunheim?
No, era impossibile. Loki aveva detto che se ne sarebbe occupato e Loki
era sempre capace di convincere Thor, in qualche maniera, a volte con
un'abilità manipolatoria fin troppo acuta, ma il minore dei
due fratelli era anche quello più posato e riflessivo, era
normale che si adoperasse per far ragionare il primogenito.
Forse il passaggio era stato aperto per consentire a qualche ospite
giunto per l'incoronazione di far ritorno a casa.
Quando le fu dato il permesso di entrare, Snotra trovò Odino
seduto scomposto su una grande poltrona, il braccio mollemente a
penzoloni oltre il bracciolo intarsiato, con la mano che reggeva una
coppa di vino mezza vuota. La preoccupazione in lui ora era ben
evidente, come se fosse stata dipinta in ogni ruga del suo nobile viso.
Ma non era solo preoccupazione, era anche stanchezza, un senso di
spossatezza che doveva venire da dentro.
Il re era invecchiato davvero, pensò Snotra con una punta di
malinconia.
«Lady Snotra, cosa posso fare per te?»
domandò Odino con voce appena impastata, come se fino a un
attimo prima fosse stato assopito.
«Mi duole disturbarvi per una simile facezia,
maestà, ma è appena giunto a palazzo un
messaggero da parte della mia famiglia» spiegò
lei. In passato aveva creduto che quella di arrossire davanti al suo re
fosse una cosa che non le sarebbe mai più capitata, ma si
sbagliava. «Mio fratello, il primo figlio maschio di mio
padre, si sposa ed è richiesta la mia presenza. Sono venuta
a chiedervi il permesso di poter lasciare il palazzo».
Il Padre degli dei annuì, aggrottando le sopracciglia.
«Ma, mio signore, se ritenete che debba restare...».
Odino la zittì con un cenno e posò la coppa di
vino sul tavolino accanto alla poltrona. «Vorrei che ci fosse
qualcosa da fare, per mio figlio, intendo»
borbottò. «Ma credo che, a me tanto quanto che a
lui, non resti che attendere che metta più giudizio.
È quel tipo di attesa che a un padre piace pensare abbia
fine... io l'ho pensato con troppo ottimismo e troppo
prematuramente».
Snotra si mosse il labbro e abbassò lo sguardo. Era certa di
stare ancora arrossendo.
«Il principe Thor ha cuore, mio re, e non è
stolto. Forse, semplicemente, le sue lezioni ancora non sono finite, ma
non dovete rammaricarvi al pensiero di non avergli insegnato a
sufficienza... o suppongo che quello debba essere un mio, di
rammarico».
Odino accennò un sorriso e fece un vago gesto con la mano,
come per invitare Snotra a cancellare quel pensiero.
«Mi dicevi che devi partire, per un... uhm, matrimonio. Sei
libera di andare, naturalmente» concesse infine, con un cenno
di assenso.
«Vi ringrazio, mio re».
Snotra accennò una riverenza e uscì dalla stanza.
Mentre si allontanava lungo il corridoio, vide una guardia correre
trafelata verso il salotto del re e picchiare frettolosamente alla
porta.
La donna si bloccò, voltandosi a guardare la scena,
chiedendosi cosa fosse successo ancora, ma il messaggero mandato da suo
padre le si avvicinò timidamente.
«Dobbiamo partire prima che faccia sera, mia lady, altrimenti
dovremo rimandare la partenza a domattina e non faremmo in tempo a
giungere per le nozze» osservò.
«Come mai un matrimonio così precipitoso, si
può sapere?».
L'uomo si torse di nuovo le mani, mortificato. «Non lo so,
non mi è stato detto... sono solo un messaggero,
signora...».
Snotra imprecò tra sé e sé e
tornò nelle sue stanze dove un paio di ancelle l'aiutarono a
preparare i bagagli.
Avrebbe voluto salutare Loki e Thor prima di lasciare il palazzo, ma
quando chiese dove fossero nessuno seppe cosa rispondere e il tramonto
cominciava a incombere nel cielo per cui non poté fare altro
che salire sulla carrozza che il re le aveva fatto mettere a
disposizione, assieme a una piccola scorta, e partire alla volta delle
terre di suo padre.
Il sole stava calando all'orizzonte del mare, alla fine del Ponte
dell'Arcobaleno e le ombre si stavano incupendo ai margini della
strada.
Snotra si sporse dal finestrino della vettura per guardare il palazzo
del re, già lontano, stagliarsi in fondo al sentiero e
riflettere in tetri bagliori la luce del giorno che si andava
spegnendo.
Quell'immagine le fece salire dal cuore alla testa strani pensieri,
paure fumose e inafferrabili, senza volto né nome. Si
lasciò cadere sul sedile, sentendo il cuore martellarle nel
petto, provò a pensare che era solo colpa della tremenda
giornata che aveva vissuto, delle troppe emozioni contrastanti che si
erano susseguite troppo repentinamente. Arrivò quasi a
convincersene, ma il suo cuore non volle saperne di riprendere un ritmo
meno agitato.
Quando, due giorni dopo, Snotra giunse alla casa di suo padre
scoprì che non c'era alcun matrimonio e quando si
voltò per indicare il contadino messaggero che era venuto a
prenderla, questo era sparito.
E allora, la dea della saggezza comprese. E capì di essere
stata stolta e cieca fino all'ultimo istante.
______________________________________________
Note:
Spero che la ripresa (il più preciso possibile) delle scene
del film non vi abbia annoiato. La scena prima dell'incoronazione
è la stessa che ho citato e linkato nel precedente capitolo.
Io, che sono fondamentalmente stupida, l'ho presa molto a cuore la cosa
e ho tirato fuori questa
Sì, quando tutto questo sarà finito dovranno
internarmi.
Naturalmente la storia non finisce così. C'è un
epilogo tutto ambientato al “presente” a cui manca
l'ultima pagina e che pubblicherò appena
sopporterò l'idea di mettere il punto di conclusione a
questa storia che, per varie ragioni, ho amato tantissimo scrivere e mi
“pesa” l'idea che sia finita.
Intanto, grazie a tutti quelli che hanno letto e commentato **
Per domande, curiosità and so on: Profilo
Ask
Il brano da cui è tratta la citazione è Nella mia
ora di libertà.
|
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Capitolo 7 *** Epilogo ***
Prima
di lasciarvi all'epilogo, devo assolutamente mostrarvi il regalo che
ho ricevuto da Callie_Stephanides, un TRAILER
stupendo di Una goccia
di splendore, troppo geniale e troppo bello per non essere condiviso.
Colgo l'occasione per ringraziarla ancora una volta per questa
sorpresona **
E
colgo anche l'occasione per ringraziare Lady Loki76 per aver segnalato
la storia per l'inserimento tra le scelte.
Epilogo
Il processo aveva avuto fine.
Loki era stato condotto al cospetto del re. Condotto non era proprio il
termine adatto: era entrato nella sala del trono sulle sue gambe, lo
sguardo sollevato, altezzoso, il volto pallido e segnato ma
impassibile, quasi calmo.
La sua figura sembrava aver assorbito ogni briciola di rumore e nel
silenzio gelido che era calato nella sala, si era potuto udire
distintamente il tintinnio ritmico delle catene ai polsi del principe
caduto. C'era persino qualcosa di lugubre in quella scena.
Odino aveva parlato. Per tutto il tempo il volto di Loki non era stato
attraversato da nessuna emozione. Il re gli aveva chiesto cosa avesse
da dire, la risposta dell'imputato era stato il più totale e
freddo silenzio. La folla radunata sembrava incapace anche solo di
respirare.
Se il piano di Loki era quello di far spazientire il Padre degli dei,
poteva dirsi riuscito. Odino non aveva avuto alcuna reazione
particolare, ma Snotra aveva sentito la rabbia sgomenta e rassegnata
vibrare con sempre maggiore intensità nella sua voce.
Non occorreva il dono della preveggenza per indovinare il verdetto.
Odino disse che la sentenza non sarebbe stata ancora pronunciata
perché i crimini di Loki erano tali e tanti che stabilire
una punizione adeguata era un'impresa straordinariamente difficile.
L'esilio era una soluzione impraticabile.
La morte era una soluzione troppo semplice.
Snotra aveva guardato Loki lasciare la sala; le guardie che lo
scortavano si trattenevano dal toccarlo, come se scottasse, i volti dei
presenti erano tutti tesi, preoccupati, e lei, ancora una volta aveva
paura per
lui e non di
lui, proprio come quella volta, quando era
giunta nelle terre della sua famiglia e aveva scoperto che quello del
messaggero giunto con la notizia del matrimonio era stato tutto un
inganno, anzi, solo una piccola parte di un inganno ancora
più grande.
Era tornata di corsa al palazzo, senza avere alcuna risposta da dare
alle richieste di spiegazioni di suo padre e dei suoi fratelli.
Sapeva cosa stava per accadere, cosa forse era già accaduto.
Aveva cavalcato ininterrottamente, ignorando il dolore del suo corpo
disabituato a un simile sforzo ed era già alle porte della
capitale quando aveva sentito il boato, la luce dell'esplosione che
aveva fatto impallidire il cielo.
Quando finalmente era arrivata al palazzo di Odino tutto era
già finito. Loki non c'era più, e lei lo aveva
pianto chiedendosi se il principe che aveva tanto amato fosse mai
esistito davvero.
Di tutti i suoi ricordi, quello era il più confuso. Non ne
aveva un'immagine precisa conservata in memoria, tutto ciò
che ricordava era l'enorme bolla di luce sprigionatasi dal Bifrost
mandato in pezzi e il silenzio totale che era seguito sotto le stelle
di Asgard e nei suoi pensieri per molti giorni a venire.
Quel silenzio assomigliava a quello che ora riempiva la sala, proprio
come quella volta, era ciò che Loki si era lasciato alle
spalle, andandosene.
Snotra vide il prigioniero sparire dietro gli enormi battenti dorati e
guardò verso il rialzo dove era sistemato il trono. Thor si
stava occupando di portare via la regina che si aggrappava al suo
braccio come se non avesse nient'altro al mondo; Odino era in piedi,
davanti al seggio regale, le dita serrate al manico di Gungnir tanto
forte da far sbiancare le nocche e uno sguardo velato rivolto a... a
lei. Il re la stava guardando con insistenza, quasi come
se fosse
dimentico della fola radunata nella sala.
Quando Odino si voltò per lasciare il luogo dove era
avvenuto il processo, fece un impercettibile segno alla volta di Snotra
e lei capì che voleva vederla.
Mentre raggiungeva la saletta privata che Odino teneva per
sé, la donna si domandò cosa altro avesse da
chiederle, cosa altro si aspettava che potesse fare. Fu un pensiero
rabbioso, pieno di sorda disperazione. La bocca le si riempì
di amaro al pensiero che forse era normale che fosse così,
lei c'era stata all'inizio, era giusto che ci fosse anche alla fine.
Entrò nella stanza senza farsi annunciare, sapeva che non ce
n'era bisogno.
Trovò Odino in piedi, sul balcone. Ora le sembrava
più piccolo, stagliato immobile contro la città
che splendeva nel sole di quella mattina. Il riverbero d'oro e stelle
sulle facciate degli edifici aveva un riflesso freddo, crudele.
Questa è
Asgard, luce e oblio e silenzio. Aggrappata al suo
stesso essere, senza possibilità di resa.
Snotra si
fermò sulla soglia del terrazzo.
Il re cominciò a parlare con una voce che sembrava
lontanissima.
«Sono andato lontano, stanotte» esordì.
«Ho usato il potere del Tesseract per giungere dove nessuno
si spinge mai: fino alle radici di Yggdrasil, dove dimorano le Norne.
Le ho interrogate, su noi e su Loki...».
«Mio re...». Snotra deglutì. La paura
non le era estranea, ma non ne aveva mai provata tanta come in quel
momento. Non era certa di voler ascoltare cosa avesse da dire Odino, ma
non poteva tirarsi indietro.
«Le tre vegliarde mi hanno detto cose tremende, dopo tutta la
fatica che ho fatto per convincerle a rivelarmi qualche stralcio di
futuro. Questa non è la fine di Loki, lui ha un destino da
compiere e qualsiasi decisione io prenda ciò non
può cambiare».
È per questo che conoscere il futuro è
così orribile, credeva Snotra: abbandonarsi all'idea che
è tutto scritto significa deporre le armi e attendere che il
tempo consumi noi, o i nostri nemici, o ciò che amiamo senza
provare a lottare, senza assumersi la responsabilità di
scegliere. Ma l'animo degli individui è fatto per la
battaglia, per questo le storie di Asgard erano sempre state storie di
guerra, per rammentare agli dei, nella loro scintillante
immortalità, che non conta ciò che è
scritto, ma ciò che ognuno sceglie di vivere, il modo in cui
decide di agire, in attesa che il destino si compia.
Le storie degli umani invece erano storie d'amore perché
loro sanno resistere al fato meglio degli dei, perché la
loro vita effimera li rende affamati e li rende bisognosi di combattere
per qualcosa che vada al di là della guerra in sé
per sé.
Gli umani cercano un senso. Gli dei hanno la presunzione di conoscerlo
già.
Snotra aveva sempre disprezzato l'idea di conoscere il destino, la
trovava una cosa da deboli e da codardi, ma capiva la
necessità che aveva spinto Odino a interrogare le Norne.
«Quale destino spetta a Loki, mio re?»
domandò.
«L'oscurità. Egli sarà il Male,
ciò contro cui noi dovremmo sempre lottare, ciò
che in tutti i Nove Regni ognuno dovrà sempre temere... la
pace che ho tanto anelato non può esistere, lady Snotra,
sarebbe un universo privo di equilibrio. Loki deve fare ciò
che è nato per fare: portare caos, renderci
infelici...»
«... ed essere infelice a sua volta» concluse la
donna, cupa.
«Qualsiasi prigione io possa costruirgli attorno,
riuscirà a violarla e a liberarsi. Qualsiasi catena io gli
imponga prima o poi radunerà la rabbia sufficiente a
spezzarla e con quella rabbia progetterà nuovi inganni e
nuovi tradimenti» aggiunse Odino.
Snotra scosse il capo. «C'è del buono in Loki, mio
re, l'ho avuto davanti tutta la vita...».
«Oh certo, Loki ha un cuore e conosce l'amore, altrimenti non
sarebbe in grado di provare sentimenti così totali e
devastanti».
«Perché state dicendo a me tutte queste cose, mio
signore?».
Odino aprì la bocca, come per parlare, ma dalle sue labbra
schiuse non emerse alcun suono. Restò a fissare la sua
interlocutrice con uno sguardo pieno di amara tenerezza e lei non
capì se provava pena e affetto per lei, per ciò
che l'aveva costretta ad ascoltare, o se, dopo tutto quel tempo, era il
suo modo di chiederle scusa, di essere pentito per non averla ascoltata
tanto tempo prima.
«Perché voglio che tu sappia che, qualsiasi cosa
accada, non hai alcuna colpa. Il destino di Loki era già
scritto» asserì il Padre degli dei, ma la donna
capì che c'era dell'altro, qualcosa che non le diceva.
«E comunque vada, sappi che mi rincresce».
Snotra sentì quelle parole bruciarle dentro.
Annuì, trattenendo un gemito di pena e angoscia e si
inchinò rigidamente prima di voltarsi e lasciare la stanza.
Quello che le aveva detto Odino l'aveva fatta pensare.
Snotra si ritrovò seduta al davanzale della sua finestra a
chiedersi come fosse possibile ciò che le Norne avevano
predetto. L'anima di Loki era irrimediabilmente compromessa, ma lei era
certa che il male assoluto fosse un'altra cosa.
Più ci pensava e più tutto il malessere e la
disperazione si attenuavano, la morsa dentro al suo petto si allentava
a lasciare qualche spiraglio di speranza uscire a far luce.
Il destino che le Norne avevano stabilito per Loki era troppo enorme
per avverarsi. Doveva di sicuro esserci qualcosa che non tornava, del
resto lei lo sapeva che le tre streghe non parlavano mai con chiarezza,
non svelavano mai del tutto i segreti che il tempo tesseva sotto le
stelle.
Forse, semplicemente, le Norne avevano taciuto una cosa tanto logica
che non era neppure necessario menzionare: Loki poteva essere salvato,
perché il cuore che aveva non lo rendeva solo capace di
provare un odio così definitivo e una rabbia così
cieca, ma preservava anche tutto quello che di buono c'era mai stato in
lui.
Si prese la testa tra le mani, i suoi pensieri scivolavano via con
così tanta fretta da bruciare, come le dita di qualcuno che
precipita stretto ad una corda.
Precipitare...
Per un attimo Snotra sentì il grido di Loki aprirsi come una
ferita nella sua testa, lo vide cadere nel buio insieme ai frammenti
del Bifrost appena distrutto.
Thor le aveva detto, sconvolto e impietrito, che suo fratello non aveva
urlato quando aveva lasciato andare la presa.
Quando Loki aveva intessuto la trama del suo primo tradimento, l'aveva
fatta allontanare dal palazzo con l'inganno, forse perché
pensava che lei potesse svelare i suoi piani, forse perché
gli sarebbe mancato il coraggio di andare fino in fondo sentendo su di
sé lo sguardo della sua maestra. E questo voleva dire che
Loki non solo aveva un cuore, ma aveva anche una coscienza.
Quella volta lei non c'era e non aveva potuto fermarlo. Adesso...
adesso era lì, e lui era ancora capace di parlarle, di
sedersi accanto a lei e smettere di mentire almeno per qualche minuto.
Finché c'era lei, Loki non sarebbe mai stato perduto.
Se ci fosse stata lei, non sarebbe mai caduto da quel ponte!
Erano pensieri gonfi di un orgoglio e di una caparbietà
tipici di un cuore troppo vecchio, forse, la presunzione di poter
risolvere tutto è qualcosa che appartiene solo a chi pensa
di aver vissuto tanto a lungo da conoscere i dettagli di ogni ombra.
Erano pensieri disperati, ma Snotra si disse che ciò che
aveva imparato a conoscere, ciò che ricordava e
ciò che poteva fare con il suo cuore e con le sue parole era
tutto quanto avesse come arma, e che quella era la sua battaglia
perché quello era l'amore più importante che
avesse avuto.
Perché quella era stata la promessa della sua
gioventù come un matrimonio o come il voto di una
sacerdotessa.
Attese la notte, o fu la notte ad attendere lei.
Stavolta le parve che il buio fosse meno fitto, mentre scendeva le
scale che portavano ai sotterranei.
Il cuore di Snotra traboccava di speranza, dell'entusiasmo che
accompagna le novità, anche se non c'era niente di nuovo in
quello che si era proposta di fare. Voleva salvare Loki, strappargli il
male dal cuore, parola dopo parola, giorno dopo giorno,
verità dopo verità. Non importava quanto tempo ci
avrebbe impiegato, quanto veleno le sarebbe toccato mandare
giù.
All'ingresso del corridoio delle prigioni non c'era nessuna guardia.
Questo era strano, pensò la donna. Quando provò a
chiamare qualcuno e le rispose solo la sua eco attutita,
cominciò a pensare che fosse preoccupante.
L'ansia aveva dita gelide che afferravano da dentro e irrigidivano i
muscoli e il cuore, tanto da rendere ogni battito un po' più
doloroso.
Snotra si stropicciò il viso e sentì il freddo
sulle sue guance come se stesse accarezzando carne morta.
La prigione di Loki era vuota.
Che lo avessero spostato? Che Odino avesse scelto un luogo dove
rinchiuderlo per fargli scontare la sua pena?
Il dubbio cominciò a gettare ombre sulla speranza. Di nuovo.
Era sempre stato il suo più grande errore, limitarsi a
vedere solo ciò che voleva vedere, ciò che la
faceva stare in pace o che almeno attutisse l'eco del vento gelido che
la inseguiva in tutti i suoi incubi.
Snotra si aggrappò a quel che restava della speranza. Era
ciò che aveva sempre fatto, ora se ne rendeva conto, e lo
aveva fatto per così tanto tempo che non poteva comportarsi
altrimenti.
Un comportamento inappropriato alla dea della saggezza. Non importa...
Titoli e riconoscimenti non le interessavano più, sarebbe
stata ben lieta di sacrificare tutto il suo buon senso pur di mantenere
accesa quella speranza. Avrebbe ravvivato quel fuoco fino a quando
tutto il giacchio non fosse stato sciolto dagli occhi di Loki. Era la
sua promessa ed era ancora in tempo per mantenerla.
Si voltò e salì di corsa le scale. Raggiunse
l'atrio del palazzo con il respiro affannato e una goccia di sudore che
colava dalla tempia come una lacrima.
Il portone si aprì di colpo lasciando entrare una folata di
aria notturna e il nitrito dei cavalli che le guardie stavano radunando.
«Svegliate il Padre degli dei!» tuonò un
ufficiale. «Allertate tutti, il prigioniero è
scappato, dev'essere fuggito a cavallo!».
Nessuno fece caso a lei, Snotra era poco più di un'ombra
appoggiata con le spalle a una colonna alta come una montagna.
Fissò il frenetico via vai di soldati, il baluginio delle
loro armi e il frusciare dei loro mantelli. In pochi minuti, l'atrio si
riempì di guardie e la servitù fu chiamata per
accendere i fuochi nei bracieri.
I cavalli partirono al galoppo sulle tracce del fuggitivo.
Stava succedendo tutto ad una velocità folle.
Snotra sentì un violento senso di nausea e la stanza le
vorticò attorno. Pensò a Loki da solo nella
notte, braccato dai soldati. Come sperava di potersi nascondere?
Loki. Da solo.
La donna alzò di istinto lo sguardo verso la grande
scalinata che portava ai piani superiori. C'era un solo posto in cui
Loki si sarebbe sentito nascosto e al riparo, e lui era astuto, tanto
da sapere che scappare a cavallo era un'opzione impraticabile, lo
avrebbero seguito e lo avrebbero raggiunto, lo avrebbero trovato sempre
e lui sarebbe stato ancora una volta solo contro tutti.
Nessuno però avrebbe pensato che il prigioniero poteva
essere ancora lì, dentro al palazzo, magari ad attendere che
le guardie fossero abbastanza lontane e impegnate a cercarlo altrove
per poi sparire davvero.
Snotra avrebbe chiamato le guardie, doveva farlo, doveva portarle da
Loki e permettere che lo riportassero in cella. Ma non adesso.
Sgusciò via senza che nessuno la notasse. Man mano che
saliva le scale, il trambusto proveniente dall'atrio si attutiva ma
più il silenzio aumentava più i suoi pensieri si
facevano nebbiosi.
Raggiunse il piano dove si trovava la biblioteca.
Nel buio, gli scaffali sembravano muri neri che spuntavano dal nulla,
come alberi in mezzo alla nebbia.
La donna avanzò con cautela tra i libri ammucchiati sul
pavimento che attendevano di essere risistemati. Scorse Loki in piedi
alla finestra, che scrutava il cortile con sguardo privo di emozione.
Lei era certa che l'avesse sentita arrivare – nessuno
riusciva mai a prenderlo alle spalle – ma non si mosse fino a
quando non gli si piazzò di fronte.
«Qual è il piano?» gli chiese,
semplicemente.
Loki si strinse nelle spalle. La donna si accorse solo in quel momento
di quanto gli fossero cresciuti i capelli e si ricordò degli
abiti smessi che aveva quella mattina durante il processo... qualcosa
non tornava.
«Appena avranno smesso di agitarsi come formiche,
raggiungerò il Tesseract, non posso portarlo con me, ma
posso sempre usarlo per lasciare questo dannato posto» disse
lui, incrociando le braccia sul petto.
«Non te lo lascerò fare»
replicò Snotra.
Ma in quel momento vide, nella fioca luce che filtrava da fuori, lo
scintillio di una placca dorata sul petto del suo interlocutore. Loki
indossava di nuovo i suoi abiti consueti, le insegne del suo rango, e
questo significava che non era più privo di poteri.
Com'è
possibile?
Le parole di Odino le risuonarono nella mente.
«Qualsiasi
prigione io possa costruirgli attorno,
riuscirà a violarla e a liberarsi».
Il destino che lei aveva tanto temuto per Loki si stava dunque
avverando?
«Non te lo lascerò fare»
ripeté, allungano una mano ad afferrargli il braccio.
Sentì Loki muoversi piano e prenderle la mano, non era
più freddo, ma lei sì. Il palmo del principe
chiuso attorno alle sue dita sembrava scottare.
«Ancora non capisci, Snotra?» mormorò.
«Quello che vuoi non ha alcuna rilevanza. Neppure quello che
voglio io ce l'ha»
«Davvero? Che cosa vorresti?»
«Salvarmi»
«Ma tu sei salvo, Loki! Sei a casa, può ancora
tornare tutto come prima... può...».
Il principe le lasciò andare la mano e le premette quel
palmo sulla bocca.
«Sta' zitta! Mi sono spinto troppo oltre... è
così che deve essere, ora lo so, è
così che è sempre stato. È
ciò che mi ha salvato allora, dalla morte su Jotunheim: non
fu Odino con la sua pomposa misericordia, fu il fato che aveva progetti
per me»
«Il tuo futuro non deve essere questo!»
gridò lei, liberandosi dalla stretta del dio dell'inganno.
Immaginava le Norne ridere nel loro buio con bocche sdentate e
raggrinzite. «Questo è solo ciò che tu
stai scegliendo, ora, in questo preciso momento ed è la
scelta sbagliata».
Snotra sentì il sorriso di Loki, non lo vide ma lo
sentì: una curva crudele che faceva diventare il suo bel
viso una maschera spaventosa. Vide quel viso chinarsi sul suo fino ad
essere visibile nel sottile raggio di luna che entrava dalla finestra e
il sorriso scomparire, lasciare il posto a un'espressione triste.
Loki le baciò la fronte, trattenne le labbra premute sulla
sua pelle per qualche lungo secondo.
«Meritavi una vita più felice...»
soffiò contro la sua tempia.
Snotra non capì subito, ma all'improvviso sentì
le mani del principe attorno al suo viso farsi davvero incandescenti.
Loki, non farlo...
Il pensiero spazzato via da un calore insopportabile e poi da un freddo
tremendo.
Dolore e confusione.
Snotra si sentì sbalzare in aria e urtare violentemente
contro il muro. L'ultima cosa che sentì fu il sentore del
sangue dentro la bocca quando ricadde sul pavimento, poi la penombra
della biblioteca si sommò al buio più totale e
lei perse i sensi.
La donna riemerse lentamente dall'incoscienza. Le sembrò che
il mondo attorno a lei vibrasse come un giunco mosso dal vento, che
tremasse nella brezza prima di tornare diritto e stabile.
Per un istante si concesse l'idea di aver sognato, poi dal buio
affiorarono le sagome squadrate degli scaffali della biblioteca e lei
sentì il pavimento freddo e duro sotto di sé.
Quanto tempo era rimasta lì a terra? Cosa era accaduto nel
frattempo?
Tese le orecchie ma c'era solo silenzio. E nel silenzio la voce di
Odino che ripeteva ciò che gli avevano detto le Norne;
pensieri troppo grandi per essere zittiti dalla sua testa dolorante per
l'impatto.
Era stato Loki a farle questo, si disse tastandosi la testa dove gli
doleva maggiormente.
Loki la conosceva, sapeva che non lo avrebbe mai lasciato andare. Loki
pensava che lei non potesse salvarlo... forse perché era
vero. Ma se non poteva salvarlo, poteva almeno provare a fermarlo,
impedirgli di lasciare Asgard per diventare il mostro che le Norne
avevano predetto.
Snotra si rimise in piedi e corse barcollando fuori dalla biblioteca.
Le mura dorate e le sete dei tendaggi vorticavano ancora sotto la sua
vista, ma lei seguitava a mettere in fila i passi, sempre
più in fretta sorretta dal peso immane di quella promessa
fatta sulla culla al cospetto di due bambini in fasce.
La promessa. Ancora quella promessa. Sempre.
Il Tessercat... Loki aveva detto che voleva usarlo per lasciare il
palazzo.
La preziosissima gemma si trovava in una delle torri del palazzo,
pronta all'uso per viaggiare nell'universo. Thor aveva detto che gli
sarebbe servita per tornare su Midgard nel caso in cui i suoi compagni
difensori del pianeta avrebbero avuto bisogno del suo aiuto e che
l'avrebbe usata per riabbracciare la mortale di cui si era innamorato,
non appena a palazzo – e nel suo cuore – fosse
tornata la tranquillità.
Era quello che Thor meritava: la pace che duramente aveva imparato ad
apprezzare e a rispettare. Era quello che tutti meritavano.
Salire le scale della torre le sembrò come arrampicarsi sul
fianco di una montagna. Mentre arrancava lungo i gradini, Snotra
pensò che stava certamente facendo una sciocchezza a
dirigersi lì da sola, ma quando aveva ripreso i sensi in
biblioteca non sapeva quanto tempo aveva passato da svenuta ed era
preoccupata che se si fosse messa a cercare qualcuno sarebbe stato
troppo tardi. Metà delle guardie di palazzo dovevano essere
fuori a cercare Loki, probabilmente con loro c'erano anche Odino e
Thor, e i quattro guerrieri.
Le strade di Asgard dovevano ardere di rabbia e paura sotto il cielo
nero pece di quella notte senza fine.
Snotra raggiunse la cima della torre. Davanti alla porta della sala che
ospitava il Tesseract c'era una guardia riversa sul pavimento. Le si
gelò il sangue a quella vista.
Si chinò sul soldato e gli tastò il collo, sotto
la punta delle dita sentì il battito delle sue pulsazioni e
tirò un sospiro di sollievo, poi si rimise in piedi e
aprì la porta della sala.
All'interno la stanza era di forma circolare, seguiva perfettamente il
perimetro delle torri della casa di Odino e alle pareti c'erano
finestre lunghe e sottili, fessure prive di imposte che affacciavano
sulla via principale della città sprofondata nel silenzio
dell'abbraccio notturno.
Al centro della sala c'era una bassa colonna di marmo bianchissimo e
lucido. Il Tessercat splendeva in cima alla colonna, emanando
un bagliore azzurrino che si mescolava alle venature del marmo.
Nella luce di poche candele lasciate accese accanto alle pareti, la
bolla di luce che si sprigionava dalla gemma sembrava gelida ma grande
come un incendio.
Loki era in piedi davanti alla colonna.
Snotra pensò che se avesse aperto un varco usando quello
straordinario cubo, lei avrebbe potuto lanciarsi alle sue spalle.
«Loki, ti prego, ascoltami».
Il principe restò immobile come una statua, i suoi occhi
freddi e distanti.
«Non posso credere che tu abbia dimenticato tutti gli anni
trascorsi in questa casa, non posso credere che tutto quello che resta
nei tuoi ricordi sia infelicità... io sono stata felice di
averti avuto nella mia vita, di essermi potuta occupare di te, di
averti voluto bene. Questo non conta niente per te?».
Ancora una volta, la sola risposta che Snotra ottenne fu silenzio e
immobilità. Loki sembrava sbiadito nel riverbero di luce
azzurra che emanava dal Tesseract, non sembrava neppure che respirasse.
La donna mosse un passo verso di lui e fece per allungare la mano. E
capì.
Quello non era Loki, era solo un inganno. Lui doveva aver sentito i
passi avvicinarsi e pensando che si trattasse di una guardia era
ricorso a quel trucco.
Quando la donna si guardò attorno per cercare con attenzione
dietro gli arazzi che pendevano dal soffitto fino al pavimento
sentì un suono attutito di passi dietro di sé, il
cuore le si contrasse in un singulto di spavento e si voltò
di colpo.
Fece un tempo a vedere la guardia alle sue spalle, reggersi malferma
sulle gambe e impugnare la lancia. Fece in tempo a vedere l'ombra
emergere dall'arazzo e il baluginio di una lama piccola e argentata: i
pugnali dal manico di ossidiana che Odino aveva donato a Loki molto
tempo prima; li aveva ancora, sapeva certamente ancora usarli con
estrema maestria.
Il volto velato di sudore della guardia si fece teso e il soldato
allungò una mano verso la donna, spingendola di lato per
gettarla in terra.
Snotra barcollò di lato, ma la spinta della guardia ancora
provata non era stata abbastanza forte e lei non cadde,
puntò i piedi sul pavimento e tornò diritta, il
volto contratto del soldato davanti a sé, l'ombra e la lama
alle sue spalle.
Una lama rivolta altrove secondo un calcolo sbagliato che prevedeva che
lei fosse sul pavimento subito dopo il lancio.
Una lama talmente affilata da non fare neppure male mentre le affondava
tra le scapole. Tanto che quando Snotra sentì la voce di
Loki urlare neppure capì perché.
I secondi si dilatarono nel silenzio perfetto che precede il tuono.
Snotra si vide come in un sogno cadere di fianco sul pavimento e sopra
di sé vide l'aria incresparsi per una potente vibrazione di
energia che colpì la guardia in pieno petto e la fece volare
con violenza fuori dalla stanza. Tutto scorse a rallentatore e i suoni
si fecero ovattati, suoni di passi rapidi che si avvicinavano.
Snotra vide Loki chinarsi a terra accanto a lei nel momento in cui
sentì qualcosa di caldo colarle sulla schiena e solo allora
diventò consapevole della lama affondata tra le sue spalle.
Loki cadde sulle ginocchia.
«No!» ringhiò con gli occhi azzurri
velati di sconcerto. Era uno sconcerto sincero, era un dolore umano e,
in un certo senso stupendo. Ora non c'era alcuna maschera sul suo
bellissimo viso.
Ora il dolore si era trasformato in una scia di freddo che aveva preso
a serpeggiarle dalla ferita fin dentro le viscere. Loki le
sollevò con cautela la testa e se la poggiò sulla
coscia.
«No... io, non volevo questo... non tu!».
«Loki...». Snotra cercò di parlare, ma
il freddo le congelava le parole e i respiri in gola e il calore
dell'affetto a stento riusciva a sciogliere quel ghiaccio che ora aveva
il sapore del sangue contro la sua lingua.
«Di cosa
parlano le nostre storie, lady Snotra?»
«Parlano di
guerra»...
Avrebbe voluto stringere con più forza le dita attorno alla
mano di Loki che ora era posata sulla sua guancia.
«Loki... perdonami...».
La bocca del principe si mosse tentando di afferrare parole che il
dolore cercava di strappargli via.
«No, tu perdonami. Non volevo questo... non doveva
accadere... io...».
Sorridere tristemente al suo adorato giovane principe almeno non
richiedeva troppo sforzo. Le immagini cominciavano a sbiadire attorno a
lei, ma gli occhi del ragazzo brillavano dietro la cortina di lacrime.
Quelle lacrime erano come il suo tocco sulla pelle congestionata di lui
neonato, condotto da Odino nella sua tenda; lì dove posava
le mani, il blu freddo degli Jotun spariva e lasciava il posto a una
carnagione rosa e perfetta. Allo stesso modo, quelle lacrime
disfacevano il gelo che anno dopo anno, eternità dopo
eternità, Loki aveva addensato dentro di sé e nei
suoi occhi.
«Avevo promesso... non ce l'ho fatta... però
tu...».
Due lacrime, da due occhi diversi. Caddero sul pavimento quasi nello
stesso punto.
«E le storie di Midgard, sono diverse?»
«Spesso
parlano d'amore».
Snotra sentì il cuore rallentare e le sembrò
strano, con tutto l'affetto che aveva portato dentro, che ancora
portava avrebbe dovuto essere un meccanismo inattaccabile. Ebbe paura,
non della sua morte, ma dell'idea che ciò che restava della
coscienza di Loki morisse con lei, con l'ultimo battito.
Ora lo sentiva, in mezzo al gelo che le precludeva ogni altra
sensazione, sentiva il sangue scorrere via, ma non lavava dalla sua
anima la speranza.
«... tu combatti, perché io ti ho sempre
amato».
L'amore e la speranza non sono emozioni sagge, sono quanto di
più folle e sconsiderato esista.
Eppure morire con l'amore sulle labbra e la speranza tra le dita
sembrò una bella morte alla dea della saggezza.
"E
l'anima d'improvviso prese il volo
ma non mi sento di sognare con loro,
no, non mi riesce di sognare con loro."
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Note:
Che
dire? La stesura di questa storia, per quanto sia stata frammentaria
e incostante, mi ha preso moltissimo e alla fine mi ha svuotata. Thor
e Loki sono personaggi che amo molto, entrambi... un po' come Snotra,
li amo della stessa quantità di amore, ma per motivi
differenti. Tra
i due film che abbiamo visto e quello che arriverà, ci sono
molte
idee che mi si sono accese in testa, tante cose da dire sui due
principi di Asgard, e con questa storia più che altro ho
voluto fare
un po' il punto.
Snotra.
Parliamone... non è scontato che io ami i miei OC, ma Snotra
l'ho
davvero adorata tanto da commuovermi io stessa per la sua morte che
non ho potuto evitare perché la sua vita finiva
lì, lei lo aveva
già capito. Non che volessi farle fare l'eroina ma le parole
di
Odino sono state per lei la goccia che fa traboccare un vaso
stracolmo.
Eppure
non è detto che io non scriva più di lei in
futuro, che non ci
siano altri ricordi da raccontare o che non verrà citata in
altri
racconti. Ma l'arco narrativo di Una goccia di splendore finisce qui,
perché questa è la sua storia e io amato
scriverla... di
solito mi diverto a scrivere, questa volta il divertimento è
un
concetto riduttivo, ho davvero amato
raccontare tutto questo.
La
citazione finale è dal brano Un malato di cuore.
Per tutto il resto... grazie di cuore a chi ha letto, commento,
seguito, preferito. E pazientato, soprattutto, visto il ritmo
irregolare e a volte tremendo degli aggiornamenti.
Alla
prossima lettura :)
Luciana
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