Il sapore del tuo respiro di WhispererOfTheNight (/viewuser.php?uid=150132)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** L'arrivo in Inghilterra ***
Capitolo 3: *** Stanze segrete ***
Capitolo 4: *** Il medaglione ***
Capitolo 5: *** Invenies secretum clavem iuxta cor tuum ***
Capitolo 6: *** Destini uniti ***
Capitolo 7: *** Tombe senza nome ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Scappa.
Era questo quello che la mia mente aveva
ordinato quando avevo visto Claudius avvicinarsi con un ensis in mano.
Nonostante avessi udito personalmente la sentenza di Maxsimus nei miei
confronti, avevo creduto di essermi sbagliato, di non aver capito, che
fosse
tutto uno scherzo. E invece quando scorsi Claudius, capì che
Maximus mi voleva
morto. E conoscevo anche il motivo. Ma ormai era tardi per rimediare,
dovevo
trovare una via di fuga.
Nel
momento in cui Claudius entrò nella
stanza brandendo la spada, io avevo già scavalcato la
finestra e stavo correndo
alle scuderie. I cavalli di Maximus erano rinomati in tutto l'impero
per la
loro velocità e resistenza: se fossi riuscito a prenderne
uno sarei potuto
scappare lontano, dove lui non mi avrebbe mai trovato. Ma appena
afferrai una
sella per montarla sul cavallo più vicino, senti che
qualcuno mi afferrava per
le spalle e mi spingeva contro il pavimento. In un attimo mi ritrovai
la punta
di una spada puntata alla gola.
-Claudius!-
esclamai, cercando di fingermi
sconcertato- Si può sapere che diamine stai facendo?- Mi
spiace Marcus, io
posso solo eseguire gli ordini- disse lui guardando le balle di fieno
in fondo
alla scuderia.
-
Guardami- gli dissi cercando di restare calmo,
ma quando vidi che lui continuava a fissare le balle di fieno, persi la
pazienza. -GUARDAMI!- urlai con la voce che tremava dalla rabbia- come
puoi
uccidermi dopo che abbiamo passato una vita a sostenerci a vicenda?
Siamo
cresciuti insieme, ti sono stato vicino quando è morta la
tua amata Flavia e tu
sei stato la mia famiglia quando mia sorella Livia...- non potei
continuare, la
voce si ruppe nel pianto e anche Claudius non riuscì a
trattenersi e si accasciò
a terra, gettando la spada lontano da sè.
-
Marcus, io devo farlo, se non lo farò, Maximus
ha minacciato di uccidere anche Marzia...- Claudius si interrupe di
nuovo,
portandosi le mani al viso per nascondere le lacrime. Io rimasi
impietrito. Se
Claudius non mi avesse ucciso, sua sorella Marzia sarebbe stata...non
riuscivo
nemmeno a pensarci. Marzia...no non potevo permettere una cosa del
genere.
-Claudius,
riprendi la spada- dissi risoluto- e
fa quello che ti è stato ordinato. Lui alzò gli
occhi e mi fissò basito, come
se non riuscisse a credere a quello che aveva appena sentito.- No...-
sussurrò-
non posso...- Lo costrinsi ad alzarsi e gli misi il mio pugnale in
mano. - Ti
prego Claudius, non puoi rischiare la vita di Marzia, non posso
permettertelo-
gli dissi tra le lacrime e lo abbracciai forte sussurrandogli
all'orecchio- ci
rivedremo un giorno-. Claudius mi strinse a sè e mi
sussurrò a sua volta-
Perdonami, fratello...-
Ma
poi sentì un dolore lancinate alla schiena,
qualcosa che mi bloccò anche il respiro. Sgranai gli occhi
guardando Claudius,
ma lui aveva il pugnale in mano e mi fissava terrorizzato.
Caddì a terra e con
le ultime forze mi girai e vidi un'immagine alla quale non riuscivo a
credere.
Marzia, con la spada che poco prima Claudius aveva gettato e mi
osservava con
gli occhi gonfi. -Perdonami Marcus...- la sentì sussurrare,
ma ormai non
riuscivo nemmeno più a tenere gli occhi aperti.
Sentì una voce lontana che
urlava "che cosa hai fatto?". Poi tutto divenne buio.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** L'arrivo in Inghilterra ***
-Maledizione!-
pensai quando senza accorgermene entrai con il
piede in una pozzanghera. Fantastico. Ci mancava solo questa. Prima la
mia
valigia dispersa all'aeroporto, poi un'ora di attesa interminabile del
pullman
che mi avrebbe dovuto portare in albergo e infine scoprire che
dall'albergo non
c'era nessun mezzo di locomozione che mi avrebbe potuto portare agli
scavi e
che avrei dovuto fare a piedi almeno due chilometri portandomi tutti
gli
attrezzi sulle spalle. Mentre meditavo sulle mie disgrazie,
sentì una voce che
mi chiamava. -Virginia!- Mi voltai e non riuscì a trattenere
un sorriso quando
vidi il bel ragazzo biondo con il quale avevo condiviso gioie e dolori
della
vita universitaria.-Damian- esclamai, cercando di sembrare infastidita-
sapevi
che oggi sarei arrivata ma non ti sei nemmeno preso la briga di venire
a
prendermi all'aeroporto, bell'amico che sei- Mi spiace Virgi, ma
stamattina ho
ricevuto una telefonata che ha fatto scoppiare il caos nello scavo-
esclamò
Damian prendendo il borsone con i miei attrezzi e mettendoselo in
spalla- Che è
successo- domandai incuriosita- Mi ha telefonato il direttore dello
scavo,
dicendomi che sarebbe venuto oggi pomeriggio a controllare la
situazione e noi
non siamo assolutamente preparati ad accoglierlo: abbiamo dovuto
interrompere i
lavori per via del mal tempo e coprire tutto con i teloni per evitare
di
ritrovarci con una bella piscina di fango. I ragazzi sono
già a lavoro per
rimuovere i teloni e ricominciare a scavare, ma abbiamo perso molto
tempo e non
so se riusciremo a completare i lavori per fine mese-. Notai una vena
di
stanchezza nella sua voce e pensai che non avrebbe retto un altro
mese.-Damian-gli dissi- ormai sono quasi sei mesi che sei qui e hai
lavorato
molto, ma adesso devi prendere in considerazione l'idea di riposarti.
Prenderò
io in mano la situazione e tu dovrai solo rilassarti- e finendo la
frase
ripresi il borsone per dare maggior enfasi alle mie parole.
-Virgi...-cominciò
lui, ma lo interruppi prima che potesse controbattere Non
accetterò un no come
risposta- e dicendo questo mi avviai allo scavo poco distante.
Sospirando,
Damian mi seguì camminando dietro di me e in poco tempo
arrivammo al sito.
Rutupiae
era un
insediamento romano che corrispondeva all'odierna Richborourgh , poco
distante dalla
città di Sandwich, nel Kent. Questa città venne
fondata nel 43, dopo l'invasione romana della Britannia e divenne uno
dei porti
principali della Britannia romana, diventando sempre più
civile man mano che
l'invasione si spingeva a nord. Lo scavo era cominciato circa sei mesi
fa,
quando il crollo di una parete di una villa patrizia aveva rivelato
ambienti
fino a quel momento sconosciuti. Damian venne chiamato dal direttore
degli
scavi perchè era il miglior esperto di età romana
presente in zona, ma circa una
settimana fa mi aveva telefonato, ufficialmente perchè aveva
bisogno
"della mia bravura" come mi disse a telefono, ma sono sicura che in
fin dei conti aveva solo voglia di rivedermi. Quindi fui costretta a
prendere
un aereo dall'Italia dove mi trovavo per concludere la ricerca per un
dottorato
e dirigermi in Inghilterra.
- Eccoci
arrivati- disse Damian costringendomi ad
abbandonare i mie pensieri e ad alzare lo sguardo davanti a me.
L'immensa
villa, rimasta quasi illesa nonostante gli evidenti segni del tempo, si
trovava
non lontano dal centro del sito. Era un edificio maestoso, appartenuto
sicuramente a qualche membro molto ricco e influente del luogo, ma
mentre
cercavo di osservare i dettagli scultorei sui basamenti delle colonne
del
portico di accesso, Damon mi tirò lievemente per la manica
dicendomi-Per di
qua-. Sbuffando, lo seguii all'interno della villa. Attraversando il
grande
atrio notai la presenza di attrezzi tra cui diverse pale e picconi
nella grande
vasca dell'impluvium, deducendone che probabilmente non c'era
una stanza
che poteva essere adibita a magazzino. Superammo ancora due ambienti
per poi
ritrovarci in una stanza più piccola dove una grossa
apertura nella parete
lasciava intravedere la presenza di ragazzi al lavoro. Quando entrammo
in
quell'ambiente, rimasi sbalordita. Avevo condotto molti scavi nelle
ville
romane di diverse zone dell'Europa, ma non avevo mai visto nulla del
genere.
Dietro quella parete, c'era quello che a primo impatto mi
sembrò un vero e
proprio ambiente segreto. Non riuscì a vedere nulla che
somigliasse a un
entrata, un qualche tipo di accesso. Niente. Quella stanza era stata
creata con
lo scopo di essere invisibile, ma perchè? Ed era sola, o ne
esistevano altre in
quella villa? Mentre mi ponevo quelle domande, Damian mi chiese- Che ne
pensi?-
Che non ho idea del perchè esiste questa stanza- Ma va!-
ribbattè Damian
ridacchiando- Ti presento Samantah Foster, il mio braccio destro, un'
archeologa di innata bravaura- continuò presentandomi una
ragazza dall'aria
molto insicura-ma allo stesso tempo molto modesta-concluse Damian
sorridendo. Diedi
la mano alla ragazza che la strinse senza troppa forza e senza nemmeno
guardarmi, per poi tornare al suo lavoro. -Loquace- mormorai a Damian
che senza
badare troppo al mio commento continuò a presentarmi gli
altri membri della
squadra. C'erano in tutto un decina di persone tra adulti e ragazzi:
alcuni
erano studenti, altri esperti della zona.
Dopo aver osservato lo strano
posto, pensai
che sarebbe stato utile esplorare l'interno della villa, quindi chiesi
a Damian
di accompagnarmi. L'edificio era composto da svariati ambienti, alcuni
anche
molto grandi e ci mettemmo quasi due ore per vederla tutta. Era
incredibile
l'ottimo stato di conservazione della villa: avevo già visto
ville romane così
ben conservate, ma erano le ville dell'area attorno al Vesuvio che si
erano
conservate perchè sepolte da cenere e lapilli durante
l'eruzione del 79. Rare
erano le dimore conservatesi in superficie nel corso dei secoli: della
maggior
parte restavano solo rovine.
-Virginia!- Damian mi
riportò alla realtà
chiamandomi, e mi resi conto che eravamo arrivati in un cortile interno
nel
quale le colonne del portico mostravano qui e là solo
qualche crepa nei
basamenti.-é meravigliosa Damian- mormorai estasiata-Lo
credo bene- disse
Damian- é una villa unica nel suo genere, ma credo sia
meglio tornare dagli
altri, il direttore potrebbe arrivare a momenti- concluse Damian
incamminandosi
verso l'interno della villa. -Si- risposi, ma prima che potessi girarmi
qualcosa catturò la mia attenzione. Un ragazzo, moro con
degli incredibili occhi
grigi,vestito con una veste azzurra(cosa che mi sembrò
alquanto strana)era
appoggiato a una colonna e mi fissava pensieroso. -Ehi- dissi-
ma appena
provai ad avvicinarmi lui corse in un corridoio. Istintivamente lo
seguii, ma
appena arrivai all'entrata del coridoio, lui non c'era più.
Il mio cervello
riuscì a ripartire solo quando sentì la voce di
Damian. -Allora? Ti vuoi
sbrigare?- chiese scocciato-Damian- chiesi cauta- c'è
qualche altro ragazzo che
lavora agli scavi?-No- rispose lui-vogliamo andare adesso?- Mi
incamminai con
lui controvoglia, ma mentre camminavamo gli chiesi-sai se in questa
villa
tengono degli spettacoli educativi, magari per i ragazzi delle scuole
limitrofe?-La zona è sotto scavo, non fanno avvicinare
nessuno che non sia un
archeologo o uno studente- rispose lui asciutto. La risposta non mi
piacque. Se
non era uno studente o un attore, chi diavolo era quel ragazzo? I miei
pensieri
furono interrotti dallo squillo del cellulare di Damian. -Damian
Howard...che
cosa c'è Samantah?...Dannazione!- esclamò Damian
attaccando. -Che è successo?-
chiesi-é arrivato il direttore- rispose Damian.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Stanze segrete ***
Stanze segrete
-Signor
direttore, le
presento Virginia Cooper, la collega di cui le parlai qualche settimana
fa-
proferì Damian guardandomi con aria soddisfatta. Il
direttore dello scavo era
un uomo particolarmente distinto: gli occhi azzurri trapelavano
esperienza anche
dietro la sottile montatura degli occhiali e nonostante non avesse
un’ aria
minacciosa, suscitava comunque un enorme rispetto.
-Sono incantato- disse il direttore osservandomi paternamente -Carl
Donovan, lo
sfortunato direttore di questo scavo- .L’aggettivo che
usò mi
insospettì.-Sfortunato? Perché sfortunato?-chiesi
curiosa- Perché, mia cara,
questo scavo mi sta dando parecchie grane. Studio questa villa ormai da
vent’anni e non è passato un solo giorno senza
questo dannato posto non mi
desse problemi…ma lei sicuramente non è qui per
sentire le lamentele di un
povero vecchio, è stata chiamata quando il muro di una delle
stanze nella zone
ovest è crollato e ha rivelato quello che, in teoria, non
doveva nemmeno
esistere, dico bene?- Prima di rispondergli pensai che doveva essere
uno
abituato a tenere conferenze, visto che era riuscito a sostenere
l’ultima frase
senza nemmeno prendere fiato. –Si, il mio collega mi ha
telefonato proprio per
questo motivo- Dove si trovava precedentemente- continuò il
direttore- In
Italia signore, studiavo i resti di una villa romana del II secolo per
un
dottorato di ricerca. – Quindi lei è una vera
esperta di ville patrizie del
periodo romano- Si signore- Ha mai visto una cosa del genere?- chiese
indicandomi la stanza nascosta-no signore, ma se mi da la
possibilità di
studiare questa stanza, sono certa di poterle dire quale era il suo
utilizzo-risposi, anche se in realtà non avevo la minima
idea di come avrei
fatto a capirlo- Ottimo, allora non la trattengo oltre- concluse il
direttore
porgendomi la mano- La ringrazio signor direttore- risposi
stringendogli la
mano. Lo guardai allontanarsi con uno degli archeologi che si trovavano
nel
campo finché non sentì Damian mettermi una mano
sulla spalla.-Andiamo?- mi
chiese. Annuendo, ci avviamo nell’ambiente oltre il muro.
Tuttavia avevo una
stana sensazione, come se qualcuno mi stesse osservando, ma non ci feci
caso ed
entrai decisa nella stanza.
-Sam!- esclamò Damian alla ragazza che mi aveva presentato
precedentemente-
avete scoperto qualcosa?-è una stanza come le altre Damian-
disse asciutta la
ragazza- non ha niente di strano, l’unica cosa che non
capiamo è perché ci sia
una stanza che non aveva uscite o aperture di qualche tipo- Esatto- mi
intromisi io- questa stanza doveva pur avere qualche uso, quindi
un’ apertura
deve esserci da qualche parte- e dicendo questo mi avviai verso una
delle
pareti, cominciando a tastarla. Rimasi circa tre quarti d’ora
a testare ogni
punto delle pareti nella speranza che eventuali aperture fossero state
murate
successivamente alla costruzione di quell’ambiente. Nulla. I
muri erano
integri, ma questo non aveva senso. Nella stanza erano state trovate
numerose
anfore, alcune delle quali ancora intatte, e oggetti di vario genere
come
lucerne, statuine fittili e alcuni piccoli unguentari. Era evidente che
era una
specie di deposito, ma come cavolo ci si arrivava? Pensai che il muro
crollato
che ci aveva permesso di trovare quel posto, fosse stato costruito
successivamente e quella non era che una parte della stanza, ma
perché
costruire un muro e lasciare dall’altra parte tante cose? No,
quel posto non mi
convinceva per niente. – Tutto bene?- come al solito, fu la
voce di Damian a
farmi tornare alla realtà.-No, non va tutto bene- risposi io
seccata- questa
stanza non ha senso e più la guardo, meno ne
capisco…uff, ho bisogno di una
pausa- sospirai depressa.-conosco un bella caffetteria poco distante da
qui,
perché non andiamo a prenderci qualcosa?-suggerì
mettendomi una mano introno
alle spalle- si è meglio- gli dissi rincuorata. Mentre ci
dirigevamo verso
l’uscita della villa, fui assalita nuovamente da quella
strana sensazione e
appena voltai lo sguardo mi sembrò di vedere di nuovo il
ragazzo dagli occhi
grigi che avevo visto prima. Mi strofinai gli occhi per essere certa di
quello
che vedevo, ma appena li riaprì, lui non c’era
più. Perfetto. Ora avevo anche
le visioni, ma ero troppo stanca per preoccuparmi della mia saluta
psichica e,
senza pensarci troppo, le attribuì alla stanchezza del
viaggio.
Non ci mettemmo molto per arrivare alla caffetteria del paesino di
Sandwich.
Era un posto davvero incantevole, molto pittoresco e tranquillo e
poiché il mio
albergo si trovava qui, promisi a me stessa di non andarmene
finché non l’avrei
visitata da cima a fondo. La caffetteria era semplicemente stupenda. Il
Red
Cow, così si chiamava il locale, era un bar-caffetteria a
conduzione familiare
che si trovava più o meno al centro della città.
L’enorme mucca rossa in legno
fissata come insegna all’esterno del locale mi fece
sorridere: mi domandavo
perché avessero scelto quel nome per il locale.
L’interno era molto
accogliente: era un posto dall’aria vissuta, sembrava in
piedi da una vita, con
un’ atmosfera che ti rilassava all’istante. Ci
sistemammo ad un tavolo
appartato e subito ci raggiunse una cameriera che prese i nostri ordini.
-Allora Virgi,a parte l’ultima missione, come ti va la vita?-
chiese Damian
osservando il portatovaglioli sul tavolo- Bhe, i miei studi in Italia
mi hanno
permesso di portare a buon punto la mia ricerca, non mi manca molto per
terminarla-risposi credendo che volesse sapere del mio dottorato, ma la
sua
espressione delusa mi fece capire che non voleva parlare di quello.-E
con
Jonh?- chiese senza smettere di osservare il portatovaglioli. Merda.
Chissà perché
avevo la sensazione che prima o poi me lo avrebbe chiesto. Sono sicura
che in
realtà non mi aveva mai perdonato del tutto per quella
storia. -Non ci sentiamo
da più di un anno- risposi asciutta-non eravamo fatti per
stare insieme- Forse
non nella vita, ma in camera da letto andavate alla grande non
è così?- chiese
irritato lui alzando lo sguardo per osservare la mia reazione- Mi hai
chiamata
solo per sbattermi in faccia che sono andata a letto con il tuo
migliore amico
Damian?-chiesi con la voce che cominciava a tremarmi per la rabbia
crescente-
Eravate i miei migliori amici Virginia, eravamo sempre insieme noi tre,
poi voi
due avete cominciato a isolarvi e io sono rimasto solo, credi sia stato
bello
per me?-disse lui con aria desolata- O forse sei solo incavolato
perché non sei
venuto a letto con me- risposi seccata. Lui stava per ribattere, quando
la
cameriera arrivò con i nostri caffè e il conto.
Feci per tirare fuori il
portafogli, ma lui mi precedette, prendendo cinque sterline e
porgendole alla
cameriera-Tenga il resto-disse alla donna che, sorridendo, si
allontanò verso
un altro tavolo. Soffiai sulla tazza di caffè, poi mormorai
-Damian…-Goditi il
caffè- disse lui senza staccare gli occhi dalla sua tazza,
lasciandomi
intendere di non voler proseguire la discussione, anche se ne ero certa
che ne
avremo riparlato. Lo squillo del suo telefono interruppe il flusso dei
miei
pensieri per la seconda volta.-Damian Howard…si arriviamo
subito-. Alzai uno
sguardo interrogativo su di lui-Dobbiamo andare- disse –i
ragazzi hanno trovato
qualcosa di interessante-.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Il medaglione ***
Il
medaglione
Guardavo Marzia
con aria assorta. Lei stava piegando delle lenzuola insieme ad altre
due ancelle, ridacchiando silenziosamente con loro, probabilmente per
via di qualche pettegolezzo. Io la osservavo appoggiato ad una colonna
del portico di accesso. Era così bella. Aveva i capelli
ramati, come molte donne britanniche del resto, e degli occhi verdi
così intensi che si faceva fatica a non esserne attratti. La
carnagione chiara lasciava trasparire le presenza di vene azzurrine che
correvano silenziose sotto la pelle, rendendo la ragazza simile a una
gemma di alabastro. Mentre ammiravo quella bellezza così
eterea, Marzia si girò e notò che la stavo
fissando. Senza accorgermene le mie guance divennero di un vivo color
porpora e per evitare di essere deriso, alzai i tacchi e mi affrettai a
raggiungere i bagni termali. Dovevo preparare gli ambienti per
l’arrivo di alcuni ospiti del padrone ed ero a lavoro da un
po’ quando sentì una voce che mi fece gelare il
sangue. –Marcus? Va tutto bene?-la domanda di Marzia
arrivò come un coltello nello stomaco.-Si certo,
perché?-mi affrettai a rispondere senza nemmeno voltarmi- Ho
notato che prima mi osservavi- continuò lei-
c’è qualcosa che volevi dirmi?-. Mi
sembrò di carpire una nota speranzosa nella sua voce, ma
forse fu solo una mia illusione-No Marzia, va tutto
bene-risposi.-Oh…d’accordo, allora torno alle mie
faccende-rispose lei con un tono chiaramente deluso. Appena si
girò per allontanarsi, fui preso da una strana angoscia,
come se quella fosse la mia ultima occasione per parlarle
–Marzia!- esclamai voltandomi di scatto. Lei si
fermò senza voltarsi, inclinando leggermente la testa dietro
di sé-Si?-chiese aspettando che io parlassi. Animato da non
so quale coraggio, coprii la distanza che mi separava da lei a passi
molto lenti e quando fui abbastanza vicino le
dissi-Marzia…ho una cosa per te-. Lei si voltò e
mi fissò con uno sguardo interrogativo. Tenendo a freno
l’impulso di accarezzare quel viso perfetto, aprii il
sacchetto che tenevo legato alla cintura per estrarvi un medaglione
d’argento. –Tuo
fratello mi ha detto che due settimane fa è stato il tuo
compleanno e siccome la settimana scorsa avevo un po’ di
tempo libero, ho pensato ce ti sarebbe piaciuto ricevere un regalo-
conclusi cercando di non far tremare la mano mentre le porgevo
l’oggetto. Il medaglione non era molto grande, ma abbastanza
da poter recare inciso il disegno di una chiave e una frase in latino:Invenies
secretum clavem iuxta cor tuum . –Che
cosa significa “troverai la chiave del segreto accanto al tuo
cuore”?- chiese Marzia con aria perplessa- Credimi- risposi
io- prima o poi questa frase ti potrebbe tornare utile.-Lei rimase in
silenzio, facendo passare tra le dita il cordoncino che reggeva il
medaglione, poi mormorò
-è davvero meraviglioso…grazie Marcus-. I suoi
occhi erano colmi di gratitudine e a quel punto io non
riuscì più a trattenermi. Avanzi di un altro
passo e le poggiai una mano sulla guancia. La sua espressione
mutò di colpo:i suoi occhi pieni di gratitudine divennero
seri e poggiò la propria mano su quella che io le avevo
posto. Per un attimo i nostri sguardi furono talmente intensi che
avrebbero potuto dare fuoco alla stanza. Poi, lentamente cominciai ad
avvicinare il mio viso al suo e lei fece altrettanto. Eravamo
così vicini che potevo sentire il suo respiro. Le nostre
labbra erano quasi giunte a sfiorarsi quando sentimmo una voce che ci
fece sobbalzare.-Marzia!-la voce di Claudio che cercava la sorella
rimbombava nei corridoi vicini. Marzia si staccò di colpo e,
stringendo il medaglione in mano, corse via. Prima di uscire dagli
ambienti termali, si girò a guardarmi e mi regalò
il più bel sorriso che avessi mai visto. Poi scomparve
dietro l’angolo, lasciandomi con la sensazione di aver perso
un attimo che non sarebbe tornato.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Invenies secretum clavem iuxta cor tuum ***
Invenies secretum clavem
iuxta cor tuum
-Un
medaglione?-chiesi sarcastica
-è questa la scoperta interessante? Un medaglione?-.
Probabilmente in altre
occasioni sarei stata più entusiasta, ma la precedente
conversazione con Damian
mi aveva alquanto irritato, e il fatto che non ci fossimo rivolti la
parola
mentre tornavamo alla villa mi aveva ulteriormente messo di cattivo
umore.
L’unico pensiero di senso compiuto che il mio cervello era in
grado di
formulare era “Stupido bambino immaturo e
rancoroso” al quale si aggiungevano
svariati tipi di insulti che nemmeno io credevo di conoscere.
–Bhe, diciamo che
ad essere interessante non è tanto il medaglione, quanto
quello che vi è inciso
sopra- ribattè Carl Donovan cercando di mantenere un tono il
più affettuoso
possibile. Mi resi conto che forse ero stata troppo brusca e, tirando
un
profondo respiro, presi il medaglione per osservarlo meglio. “Invenies
secretum
clavem iuxta cor tuum”
la
scritta era incisa con molta cura su di un lato del medaglione,
accompagnata da
un’altra incisione…-Una chiave- disse il direttore
probabilmente intuendo che
il mio sguardo si era soffermato su quella.
–“Troverai la chiave del segreto
accanto al tuo cuore”, che roba è una specie di
indovinello?- dissi senza
rendermi conto di aver pensato ad alta voce. Il direttore
ridacchiò a quella
che pensò fosse una battuta e disse- si, sembra che sia una
specie di codice,
ma accanto al mistero del suo significato, resta da capire il
perché si
trovasse celato in una di quelle anfore addossate alla parete-. Girai
il
medaglione dall’altra parte e notando altre incisione nella
parte bassa, lo
spolverai lievemente con un piccolo pennello che presi in prestito da
uno degli
studenti. –M. L. P.-mormorai- sembrano delle
iniziali…è molto probabile che sia
appartenuto a qualcuno che abitava qui, e vista la natura del manufatto
sono
quasi certa che appartenesse a una donna- conclusi alzando lo sguardo
sul
direttore. Lui sorrise compiaciuto- Deduzione brillante, dottoressa
Cooper-disse e, rivolgendosi a Damian, aggiunse- Dottor Howard, mi
domando il
perché non l’abbia chiamata prima-. Damian
alzò lo sguardo su di me e mi fissò
con aria malinconica- un errore imperdonabile signor direttore- disse
sommessamente. Gli occhi verdi di Damian che mi fissavano feriti erano
peggio
di una lancia che mi squarciava il petto e approfittando del fatto che
ormai
era quasi ora di pranzo, mi allontanai velocemente, cercando di fermare
le
lacrime che, prepotenti, tentavano a tutti i costi di bagnarmi le
guance.
La
pausa pranzo era ormai
terminata da un pezzo e mentre tutti,studenti e non, erano tornati a
lavoro, io
mi ero sistemata nel cortile interno su tavolino pieghevole prestatomi
da
Samantah per poter studiare meglio il medaglione. Era di un metallo
abbastanza
pesante, forse ottone, e non era molto grande, tre o quattro centimetri
circa
di diametro, ma la cosa che non riuscivo proprio a comprendere era
l’incisione.
-“Invenies
secretum clavem iuxta cor tuum”- mormorai pensierosa-
Dannazione, che accidenti
significa?-è una chiave- Lo so anche io che è una
chiave genio- sbottai
irritata. Poi però mi colse di nuovo il senso di
inquietudine che ormai mi
prendeva da quando era arrivata in questa villa e alzai lo sguardo
senza
riflettere. Era lì. Il ragazzo dagli occhi grigi. Mi aveva
risposto lui?. Non
so perché, ma la mia mente era come annebbiata e non
riuscivo nemmeno a
comporre un pensiero di senso compiuto che non comprendesse
l’espressione “Ma
che cavolo…?”- Ehm-mi decisi a parlare senza
sapere esattamente cosa dire-
Salve, lavori qui?- Un tempo- mi rispose lui con fare misterioso- Sei
stato tu
a rispondermi prima vero?- Si- Ah…mi spiace se ho alzato i
toni, ma sai oggi
non è stata proprio una bella giornata- tentai di scusarmi
per la mia
precedente imprecazione. Lui però non rispose, ma
continuò a fissarmi con fare
interrogativo. Aveva
lo stesso vestito
dell’altra volta, azzurro, con una cintura di cuoio marrone
ai fianci e i calzari
dello stesso materiale.- Bel costume- gli dissi ancora convinta che
facesse
parte di qualche manifestazione teatrale a scopo educativo -Costume?-
domandò
lui con aria stupita. Cominciava a stancarmi il suo modo di fare- Senti
non ho
tempo da perdere quindi o mi dici che ci fai qui o chiamo la
sorveglianza-
dissi arrabbiata- Lui rimase in silenzio, poi però aggiunse-
Mi chiamo Marcus-.
Io rimasi sbalordita. Avevo davanti un ragazzo, molto bello per giunta,
più o
meno di venticinque o ventisei anni, con i capelli scuri e gli occhi
grigi,
vestito come un romano del periodo imperiale che diceva di chiamarsi
Marcus.
Non riuscivo a immaginare una situazione più bizzarra di
quella. – Marcus- ripetei-
i tuoi genitori devono avere una passione per il mondo latino per
chiamarti
così-. Lui però non rispose. Aveva spostato il
suo sguardo da me al medaglione.
Lo osservò per qualche secondo. Poi vidi delle lacrime
scendergli lungo il
viso-Marzia…- mormorò con la voce rotta dal
pianto- perché…- Ehi che hai?-
chiesi preoccupata- non ti senti bene?Vuoi che chiami un medico?-.
Ancora una
volta lui non rispose, continuando a piangere in silenzio. Non sapendo
cosa
fare, pensai di aggrapparmi all’unica informazione che mi
aveva dato fino a
quel momento-Chi è Marzia -chiesi- possiamo chiamarla,
è una tua amica?- Quando
pronunciai quel nome, sembrava quasi che gli avessero piazzato una
bomba sotto
i piedi. Alzo di scatto la testa su di me, fissando con gli occhi gonfi
e rossi
per il pianto e probabilmente cercò di dirmi qualcosa, ma
dalla sua bocca
uscivano solo lamenti e mormorii incomprensibili. Poi, improvvisamente,
si girò
e corse via verso un corridoio laterale -Ehi aspetta non scappare-
urlai
inseguendolo, ma quando arrivai all’ingresso del corridoio,
lui non c’era più.
Presi la piccola torcia elettrica che avevo in tasca e comincia ad
addentrarmi
nel corridoio. Dopo qualche metro mi accorsi che quello era un vicolo
cieco. Ma
qualcos’altro catturò la mia attenzione. La parete
di fronte a me era fatta di
pietra e vi era inciso sopra il disegno di una chiave, lo stesso
disegno inciso
sul medaglione. Notai anche sotto
l’incisione
una piccola apertura che sembrava quasi fatta apposta per una chiave-
Che cosa
mi stai nascondendo?- mormorai, non del tutto cerca a chi fosse
destinata
quella domanda.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Destini uniti ***
Probabilmente
è più di un anno che non aggiorno questa storia,
quindi chiedo davvero scusa a
chi la seguiva per aver smesso di aggiornarla.
Chiedo venia T__T adesso che l’ho ripresa spero
di poterla continuare e
magari di finirla XD spero vi piaccia questo nuovo capitolo
Destini uniti
-Damian!
Presto corri a vedere- urlai quando finalmente raggiunsi
l’interno e vidi il
mio amico( se così si poteva ancora chiamare). –
Virgi? Che è successo?- chiese
guardandomi a metà tra lo stupito e lo sconcertato.-Ti prego
Damian, vieni a
vedere cosa ho trovato!- continuai a pregarlo.- Damian mi
fissò un secondo
cercando di capire cosa ci fosse di così importante da
vedere, poi sospirando
disse- Andiamo-. Senza perdere tempo lo trascinai nel cortile interno,
vicino
al corridoio dove avevo visto Marcus scomparire. Presi la mia torcia
elettrica
e mi addentrai immediatamente all’interno, seguita da un
Damian sempre più
perplesso. Ma non so per quale motivo, il corridoio mi sembrava
più lungo di
prima, a un tratto vidi una luce, prima flebile, poi sempre
più forte. –Ma che
accidenti…?- mi domandai confusa.-Ehm, Virgi?- Sta zitto
Damian- sbottai accelerando
il passo per raggiungere la luce e senza rendermene conto ci ritrovammo
fuori
dalla villa, in una zona laterale. –Non è
possibile…- mormorai esterrefatta -Virgi
non vorrei deluderti, ma eravamo già a conoscenza di questo
passaggio, veniva
usato dalla servitù per spostarsi all’esterno
della villa-. Senza nemmeno
ascoltarlo, continuai a mormorare – Che fine ha fatto il muro
con il simbolo?-
Il muro con il simbolo? Virgi ma di cosa stai parlando?-
Perchè mi stai facendo
questo? Che diavolo vuoi da me?- cominciai a urlare senza controllo- Ma
con chi
parli Virginia?- Con Marcus accidenti!- sbottai irritata- Chi?- mi
rispose
Damian che mi osservava come se fossi pazza- il ragazzo con gli occhi
grigi,
quello che gira nella villa come se fosse casa sua! -Oh andiamo Virgi,
vuoi
piantarla con questa storia? Non c’è nessuno oltre
noi in questa villa! -
Damian ti prego credimi, c’è qualcun altro qui,
qualcuno che non fa parte del
team dello scavo, ma che conosce la villa come le sue tasche e che
continua a
nascondersi osservando tutti i nostri movimenti- Virginia sei diventata
paranoica, qui non c’è nessuno.- sbottò
Damian. Un silenzio imbarazzato seguì questa
conversazione. Era già la seconda volta che chiedevo a
Damian se vi fosse qualcun
altro all’interno dell' edificio, e viste le risposte negative,
cominciavo anch’io
a credere di essere vittima di allucinazioni visive. Il mio stato di
totale
sconforto però impietosì Damian che aggiunse con
un tono più sommesso- Magari
questa villa era abitata da qualche senzatetto che aveva trovato il
modo di
entrarci e adesso non sa più dove andare, perciò
continua a girare nei dintorni
senza farsi scoprire, questo spiegherebbe come fa a
“nascondersi” senza farsi
scoprire. –Già, può darsi- ribattei
senza convinzione- Oppure è un fantasma-
esclamò Damian con una sonora risata che fece sorridere
anche me. – Credo che
per oggi possiamo chiudere il cantiere, vado dai ragazzi ad avvertirli
di riporre
gli attrezzi- concluse avviandosi verso l’interno della
villa. –Si- risposi con
un sospiro. Ma mentre ci avviavamo, mi fermai, ripensando a quello che
aveva
detto Damian. – Un fantasma…- pensai. Io di certo
non credevo nel
soprannaturale, ne tantomeno in presenze come i fantasmi.
Però quel ragazzo
aveva davvero un’aria bizzarra, come se non appartenesse al
nostro mondo. E poi
che fine aveva fatto il muro con il
disegno della chiave? Me l’ero immaginata? Stavo davvero
impazzendo? Più
ripensavo a quello che era successo, meno riuscivo a capirci.
Marzia era
di fronte al corridoio e mi osservava incuriosita. Non riusciva a
capire perché
mai l’avessi portata a quel vecchio corridoio della
servitù che ormai nessuno
utilizzava più. Ma lei non sapeva che in quel vecchio
passaggio avevo costruito
qualcosa di molto speciale, che conoscevo solo io, e adesso anche lei.
–
Marcus, la signora mi aspetta per il bagno quotidiano, non posso
restare ancora
molto- Ti prego Marzia, vieni con me- le dissi, quasi supplicandola,
lei mi
guardò perplessa, ma mi seguì verso
l’interno del corridoio. La luce della
torcia che avevo acceso rischiarò poco il buio del
passaggio, ma ci permise di
arrivare a quello che io avevo costruito. Appena arrivammo a
destinazione,
Marzia guardò il muro che aveva davanti con aria stupita.
– Marcus, che ci fa
qui questo muro?- Non è un muro qualsiasi Marzia,
è una porta.- risposi
sorridendo. Vedendo che Marzia non riusciva a capire, le dissi- hai il
medaglione che ti ho regalato?- Si certo- disse, toccandosi il
medaglione che
aveva attorno al collo- Bene- dissi- spingi leggermente
l’incisione della
chiave-. Marzia obbedì e appena lo fece, la piccola
incisione si rivelò per
quello che era, una chiave che avevo inserito a incastro nel
medaglione. Senza
proferire parola, Marzia la raccolse e mi guardò
esterrefatta. – Inseriscila nell’apertura
della parete, sotto l’incisione della chiave- Marzia
eseguì e mie istruzioni e
appena girò la chiave nella parete, si sentì un
rumore sordo, il rumore si un
meccanismo che entrava in funzione. La parete si abbassò
lentamente verso
terrà, grazie al sostegno di due cavi che la sostenevano,
finchè non si trovò a
terra in posizione orizzontale, davanti ai nostri piedi. Di fronte a
noi c’era
una stanza segreta, che io avevo costruito, ponendoci tutto quello che
poteva
essere utile: anfore, unguentari, catini, lucerne, una panca di legno e
un
letto dello stesso materiale. Appena entrati nella stanza, tirai una
corda che pendeva
dal soffitto, e il meccanismo entrò di nuovo in funzione,
stavolta risollevando
la parete che tornò in posizione verticale. –
Marzia- cominciai a parlare con
la voce tremante- questo è un posto che ho costruito a tuo
uso esclusivo.
Potrai venire qui quando vorrai, potrà servirti per pregare,
per rifugiarti,
per stare un po’ in solitudine, potrai utilizzarlo come vuoi.
– Come hai ricavato
una stanza da un corridoio?- mi chiese lei, la voce rotta
dall’emozione- ho
utilizzato parte della mia stanza, il signore non viene mai nelle
stanze dei
servi, non lo scoprirà mai- le dissi, rassicurandola.
– Marcus…- mormòrò lei,
guardandomi. Ancora una volta pensai a quanto fosse bella, a quanto
avrei
voluto stringerla a me, a quanto avrei voluto stare con lei ogni attimo
della
mia vita. – E se io volessi portare qualcuno qui?- aggiunse
lei,osservando il
letto. Una fitta mi trapassò il cuore, ma non lo diedi a
vedere e dissi- Puoi
portare chi vuoi qui, Marzia…-ma mentre lo dicevo Marzia si
era avvicinata,
fissandomi con i suoi intensi occhi verdi. – E se volessi
portare te qui?- A
quelle parole, non riuscì più a pensare a nulla.
Io l’amavo, amavo Marzia più
di ogni altra cosa al mondo, e il solo pensiero che anche lei mi
amasse, mi
riempiva l’anima di mille emozioni. Marzia si
avvicinò a me, e mi mise una mano
sulla guancia, un contatto che mi fece tremare. Mi pose le morbide
labbra sulla
fronte, dandomi un bacio dolce e profondo, per poi soffermarsi sulla
mia bocca,
dove le sue labbra si chiusero sulle mie. Una lacrima scese sulla mia
guancia,
bagnandole la mano, ma lei non ci fece caso. Invece mi prese
l’altra mano e mi
condusse verso il letto. Non riuscivo più a elaborare
pensieri, sapevo solo che
la desideravo, che l’amavo, e adesso sapevo che i miei
sentimenti erano
ricambiati e che i nostri destini si erano ormai uniti. Sapevo solo che
i suoi
baci erano dolci e roventi allo stesso tempo, che avevano un gusto
delicato,quasi
come le more che adorava mangiare. Quella notte sapevo solo che amavo
alla
follia il sapore del suo respiro.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Tombe senza nome ***
Tombe senza nome
Guardavo il
panorama dalla finestra della mia camera del Bell Hotel, dove
alloggiavo. Quel
posto era davvero incantevole: affacciava sul fiume Stour, che scorreva
placido
nel silenzio della sera, accompagnato solo dall’ultimo
cinguettio di qualche
uccellino che di lì a poco sarebbe andato a dormire. Ma anche di fronte a
quello spettacolo,
l’unica parola che riecheggiava nella mia testa ormai da ore
era sempre la
stessa. –Un fantasma…- mormorai. No. Era
impossibile. Da scienziata non potevo
credere in queste cose, come non credevo negli alieni e in Babbo
Natale. E
anzi, avevo svariati dubbi anche sull’esistenza di Dio,
nonostante la mia
famiglia fosse formata da cattolici convinti. Perciò anche
soltanto pensare
nella presenza di un fantasma per me rasentava la follia. Ma anche se
mi
aggrappavo disperatamente a tutte le mie convinzioni, il pensiero che
Marcus
fosse un entità senza corpo, di solo spirito,
non mi dava tregua. Esasperata, mi alzai e decisi di fare
qualche
ricerca al mio computer portatile. Digitai la parola
“fantasma” su Google e
immediatamente comparvero le informazione più disparate.
Storie di incontri con
ectoplasmi, spiegazioni pseudo-scientifiche su cosa fossero,
addirittura chi
asseriva di essere andata a letto con un fantasma. Una
di queste cretinate però catturò la mia
attenzione. Era una delle tante spiegazioni senza capo ne coda di cosa
fossero
i fantasmi, ma non so perché mi rimase impressa. “
I fantasmi sono entità
formate di materia ectoplasmatica, che in parole più
semplici potremo definire
spiriti, anime rimaste intrappolate sulla terra. In genere sono persone
morte
in maniera violenta, rimaste attaccate al luogo dove sono defunte.
Perché rimangono
nel luogo dove sono morte? Questo non è un dato del tutto
chiaro. In linea
generale si potrebbe dire che non passano
nell’aldilà perché devono ancora fare
qualcosa nel nostro mondo, qualcosa che non sono riusciti a portare a
termine, hanno
lasciato, insomma, qualcosa in sospeso…”-
Ridicolo!- sbottai a voce alta
chiudendo il portatile di scatto. Quante stronzate, cose in sospeso, ma
per
favore! Eppure, nonostante sapessi che erano solo un mucchi di
sciocchezze, un
tarlo dispettoso nella mia mente non mi dava tregua. -Sei sicura che si
tratti
solo di sciocchezze? Pensaci bene Virginia: un ragazzo che appare a
scompare,
muri nella villa che tu vedi ma che poi scompaiono come per magia e
l’intera dimora
che sembra avere un’aria sinistra, come se nascondesse
qualcosa di orribile tra
le sue stesse mura…tu stessa hai detto che è
impossibile vedere ville patrizie
conservate così bene nell’arco dei millenni,
perché allora questa è
praticamente perfetta?- continuava a ripetere la voce antipatica nella
mia
testa. – Dannazione!- esclamai furibonda. Ma improvvisamente
sobbalzai. Il mio cellulare
aveva cominciato a squillare. Lo afferrai velocemente e vidi un nome
che mi
fece sussultare. John Grey.
-Allora
Dottor Grey, mi illumini, l’esperto è lei- disse
Carl Donovan sorridendo al
giovane archeologo chino sulle due tombe ritrovate a diversi metri
della villa.
– Francamente Professor Donovan, sono molto contento che mi
abbiate chiamato
per analizzare questa sepoltura- disse Jonh senza smettere di fissare
la fossa
nel terreno.- Eri l’unico da queste parti Jonh- disse Damian
con aria
sarcastica guardandolo con sufficienza.
Notando l’aria alquanto tesa di Damian, Carl
Donovan pensò bene di alleggerire
la situazione mandando Damian a controllare lo scavo che procedeva
all’ interno
della villa. Mentre si avviava, Damian mi guardò con aria
ferita, ma il suo
atteggiamento cominciava a
darmi sui
nervi. Da quando Jonh era arrivato sul sito per analizzare la tomba
trovata a
poca distanza dalla villa, Damian era di cattivo umore e non mancava di
sottolineare il suo disappunto nei miei confronti o in quelli di Jonh
con
battutine velenose e frecciatine fuori luogo, anche se io sapevo che
avrebbe
reagito in questo modo. Quando avevo ricevuto la telefonata di Jonh la
sera
precedente che mi aveva avvertito della scoperta e che sarebbe stato
lui ad
analizzare la tomba, immaginai che Damian avesse sfasciato
l’intero cantiere
sentendo che sarebbe stato lui l’archeologo forense ad
occuparsi dei corpi
trovati al suo interno. – Che dire Professore-
cominciò Jonh alzandosi in
piedi- è una tomba a fossa, niente di inusuale, bhe a parte
per la sua
posizione e per i corpi ivi presenti. Infatti la presenza di una tomba
vicino a
una villa non è molto usuale, per di più
solitaria, senza nessun altra
sepoltura nei paraggi. Per quanto riguarda i corpi invece, nonostante
mi ci
vorrà del tempo per analizzarli meglio, a
primo impatto, direi che si tratti di una
donna, vista la larghezza delle ossa pelviche, e bhe, per
l’altro corpo, penso
che abbiamo capito tutti di cosa si tratta. Jonh mi guardò
con aria triste.
Accanto allo scheletro della donna, un piccolo corpicino faceva
capolino dal
terreno. Un bambino.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=824353
|