I celati dall'Oceano

di Ignis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una notte di pioggia ***
Capitolo 2: *** Dodici anni dopo ***
Capitolo 3: *** L'asta delle anime ***
Capitolo 4: *** La nuova vita ***
Capitolo 5: *** Ambientarsi ***
Capitolo 6: *** Ufficialmente nostra ***
Capitolo 7: *** Bozze di altri mondi ***
Capitolo 8: *** La prigione di cristallo ***
Capitolo 9: *** Fratelli e sorelle ***



Capitolo 1
*** Una notte di pioggia ***


01. Una notte di pioggia

La pioggia batteva incessantemente contro il vetro della finestra. L’acqua cadeva copiosa e scrosciante, sferzando violentemente tutto ciò che incontrava; la finestra era coperta da un velo d’acqua che deformava le scurissime figure all’aperto. Ogni tanto spuntava fuori un fulmine dal nulla, e allora tutto si illuminava per un solo istante di bianco; un attimo dopo era già tutto finito e restava solo l’eco di un tuono.
Era un normalissimo temporale estivo, ma Louane lo fissava come fosse uno spettacolo di fuochi artificiali. Le altre bambine della sua età probabilmente se ne stavano rintanate sotto le coperte ad aspettare che quell’inferno finisse.
«Avanti, Lou, dovresti essere già a letto» la rimproverò dolcemente la madre entrando nella sua cameretta.
La bambina si voltò verso la donna e sorrise raggiante. «Mamma!»
Corse ad abbracciarla, ma la donna non si lasciò incantare: ne approfittò per prenderla in braccio e portarla sul letto direttamente. La avvolse tra le coperte morbide e la baciò sulla guancia.
«Avanti, niente scherzi: mettiti a dormire».
Madre e figlia non si assomigliavano per niente: la donna aveva dei corti capelli corvini lucenti e perfettamente lisci e occhi marroni e caldi incastonati come gemme in una pelle fortemente abbronzata; la bambina invece aveva la pelle rosea, una folta chioma di capelli biondi e occhioni di un ambiguo verde acqua.
La madre prese ad accarezzarle la guancia e il collo con le mani, poste sotto la cascata bionda della piccola. Dapprima sorrideva dolcemente, persa nei suoi pensieri da adulta; lentamente però il suo sorriso svanì lasciando posto a un’espressione pensierosa.
«Mamma?» fece Louane, preoccupata.
La madre si riscosse e tornò a sorridere, poco convinta: «non è niente, piccola. Avanti, mettiti a dormire».
«Prima raccontami una storia».
«Non se ne parla. A nanna!»
«Io voglio sentire una storia!»
La donna sospirò. «Lou, sei sempre la solita».
Louane ridacchiò, sorridendo gongolante.
«Allora, cosa vuoi che ti racconti?» chiese la madre mettendosi seduta sul bordo del letto.
«Raccontami una storia di una principessa» implorò la figlia.
«Agli ordini. Dunque... c’era una volta una piccola principessa che viveva in un mondo di fiori e cieli azzurri».
La bambina restò a fissare la madre, già assorta.
«La principessa era molto felice nel suo mondo. Un giorno però, un orco s’incapricciò della sua bellezza e la rapì, portandola nel cuore della Terra: immersa nell’oscurità, la principessa non era più circondata da prati e sopra la sua testa non c’era il cielo».
«No, che brutto senza il cielo!» si lamentò Louane strizzando gli occhi. «Se non ho il cielo e i fiori io muoio» stabilì.
La donna le accarezzò la guancia delicatamente, poi continuò a raccontare.
«Trascorse moltissimo tempo, ma la principessa non fu liberata... fu invece costretta a fare da serva all’orco malvagio. Poi un giorno...»
Un fortissimo tuono fece tremare i vetri della finestra, facendo sobbalzare entrambe. Louane iniziò a frignare, nascondendosi sotto le coperte.
«Avanti, Lou, va tutto bene. Non piangere, piccola. Coraggio» intervenne la madre, accarezzando il rigonfiamento sotto le coperte mentre iniziava a scostare il bordo del lenzuolo.
«Ho paura» frignò la bambina, sprofondando ancor di più nel letto.
«Non dire sciocchezze, Lou. A te piacciono i temporali, giusto?» ribatté la madre, accennando a una risata.
«Non è un temporale!» replicò Louane con sicurezza. «E’ l’orco!»
«L’orco?» la donna rise di gusto. «E’ solo una storia, Louane. Non c’è nessun orco, là fuori. Sono i tuoni del temporale... non mi pare che tu ne abbia mai avuto paura».
Louane strisciò verso il cuscino, ma non fece spuntare la testa bionda da sotto le coperte. «E’ l’orco, vuole prendere la principessa!» insisté la bambina. «L’ho visto io!»
«Ma no, Lou, te lo sarai immaginato...»
«E’ vero!» protestò Louane sbucando fuori dalle coperte.
La madre sospirò. «Direi che è ora di smetterla con le storie di orchi, eh?»
«Ma...!»
«Ora basta, Lou. Dormi, avanti».
La piccola si accoccolò meglio sotto le coperte, sdraiandosi su un fianco. «Attenta all’orco, mamma» sussurrò triste, mentre le lacrime le invadevano gli occhi. «Vuole prendere la principessa».
La donna le baciò la guancia, poi la fronte, poi ancora la guancia. «Stai tranquilla, piccola Lou. Non accadrà nulla alla principessa».
Ci fu un altro tuono più morbido: sembrava che il temporale stesse passando.
«Adesso dormi, su!» ordinò la madre.
Louane chiuse gli occhi. «Buonanotte» mormorò a fior di labbra.
La donna si alzò in piedi e si diresse verso la porta. «Buonanotte, Louane. Sogni d’oro».
«Ti voglio bene».
«Anche io, tesoro».

Colette chiuse piano la porta della cameretta della figlia, sospirando lieve.
«Finalmente» mormorò. «Ogni sera è una battaglia, con Louane».
Vincent le cinse le spalle in un abbraccio caldo. «Chissà da chi avrà preso. Tu che ne dici, Colette?»
La donna voltò la testa per dare un bacio appassionato sulle labbra di suo marito, per poi sorridere. «Mah, non saprei».
Risero entrambi a bassa voce, mentre lo scrosciare della pioggia riempiva la casa.
«Ho sentito un po’ di confusione, prima. Cos’è successo?» chiese lui, conducendola verso la cucina senza sciogliere l’abbraccio, passando al suo fianco e portando la mano sulla vita di Colette.
«Le stavo raccontando solo la storia sbagliata. Questa bambina viaggia troppo con la fantasia».
«Davvero? Che storia?»
«Una principessa che viene rapita da un orco e portata sottoterra» Colette ridacchiò. Perse immediatamente il sorriso, però, quando scorse lo sguardo serio di Vincent. «Cosa c’è?»
«Non dovresti scherzarci sopra, Colette. E’ una faccenda reale. Questo è un anno bisestile, ricordalo».
Lei stavolta rise forzatamente. «E’ solo una favola inventata su due piedi, Vince. Di cosa ti preoccupi?»
Vincent la abbracciò stretta, baciandola. Lei ne fu sorpresa, ma ricambiò il bacio. Assaggiandolo, si accorse che sapeva di paura e di affetto.
«Lo sai bene. Ogni anno bisestile potrebbe essere l’ultimo di tutta una vita. Finora ci è andata bene, ma...»
Colette si strinse a lui. «No. Non dirlo, Vincent. Non accadrà».
«Non puoi fuggire dalla realtà, Colette...»
«NON ACCADRÀ!»
Ora Colette tremava. Vincent la strinse ancora più forte, carezzandole le spalle. «Amore, ora calmati. Mi dispiace».
«Non accadrà...» ripeté lei debolmente, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. «Non a noi».
Vincent la coccolò per diversi minuti, tenendola stretta in quel modo, quasi temendo che le sarebbe scivolata dalle braccia una volta allentata la presa.
«Che succede?»
I due coniugi sciolsero l’abbraccio e si voltarono verso il loro unico figlio maschio, che si stropicciava gli occhi assonnati e li fissava con sguardo stanco.
«Nulla, tesoro» mormorò dolcemente Colette avvicinandosi e abbassandosi per trovarsi faccia a faccia con il bambino. «Ti abbiamo svegliato? Scusa, piccolo. Ora torna a dormire, su».
«Hai gli occhi rossi».
La madre si strofinò l’occhio sinistro con la mano. «Sono solo stanca. Tra poco anche mamma andrà a dormire. Adesso a letto, Jean».
Lui fece dietro-front e si allontanò con un grugnito, a passi lenti e strascicati.
Colette si rialzò e si diresse verso la camera da letto. «Basta così, per oggi. Andiamo a dormire».

Era notte fonda, ma la pioggia ancora infuriava contro le imposte, testarda nel voler entrare in casa facendosi beffe dei muri.
Vincent, Colette e i loro figli dormivano profondamente, beatamente inconsapevoli di ciò che stava per accadere.
Sbam, sbam, sbam!
«Chi è?» borbottò Colette con la voce impastata dal sonno.
Vincent impallidì nell’oscurità. «Colette, vai da Jean e Louane. Dì loro di nascondersi e di non muoversi di lì, poi vatti a nascondere anche tu. Presto!»
La donna fece mente locale e si precipitò verso la porta insieme al marito, tanto in fretta che arrivarono insieme alla soglia, troppo stretta per farli passare insieme. Colette baciò dolcemente il marito, mentre una lacrima le rigava il viso.
Sbam, sbam!
«Presto!» la esortò Vincent, una nota disperata nella voce.
Lei lo guardò tristemente un’ultima volta, poi corse via, i piedi nudi che zampettavano rapidi sul pavimento.
Vincent non era pronto. Non lo era mai stato, pur sapendo che prima o poi sarebbero arrivati anche da loro. Era un anno bisestile, e all’avidità dei Marini non c’era scampo.
Andò ad aprire il più lentamente possibile, mentre sentiva Colette che usciva dalla camera di Louane per raggiungere Jean.
Sarebbe bastato fingere che in quella casa non c’erano altre persone oltre lui. Bastava quello...
Aprì la porta, e subito svariate gocce di pioggia investirono lui e l’entrata della casa.
Davanti a lui, la sagoma massiccia e imponente di un Marino. Come tutti loro era alto almeno due metri e molto muscoloso: alla luce dorata della lampadina la sua pelle riluceva di uno strano colore verde acqua che gli ricordò subito Louane, con i suoi occhi color letto di fiume.
Non ebbe bisogno di fingere spavento per la sua messinscena. «Cosa? Perché...?»
Il Marino sibilò tra i denti triangolari. «Non oserai aprire bocca finché non te lo dirò io, sporco Terrestre». Chinò la testa e si fece più stretto per entrare in casa, fissando Vincent con il suo minaccioso sguardo oscuro: i suoi occhi, come quelli di tutti i Marini, erano due profondi e imperscrutabili pozzi neri come la pece che sembravano capaci di esternare solo odio, rabbia e disprezzo.
«Sei solo in casa, Terrestre?» chiese il Marino con voce bassa e roca, tanto da sembrare un vero e proprio squalo ringhiante.
«Sì, qui abito solo io...» mormorò l’uomo, mostrandosi sempre più spaventato.
Sapeva che sarebbe stato preso. Si sarebbe sacrificato per salvare la donna che amava e i due unici frutti del loro amore. Sarebbe bastato questo per salvarli tutti e tre per gli anni successivi.
«Bene, Terrestre. Dì pure addio alla tua gabbia polverosa, perché non la vedrai mai più». Lo prese per le braccia e prese a trascinarlo via.
Doveva recitare la sua parte fino in fondo, altrimenti il Marino si sarebbe insospettito. «No, la prego! Non lo faccia! No!»
Quello mostrò le zanne, irritato. «Taci, Terrestre. Non ti serve strillare, ormai è deciso». Non sembrò comunque che questo ammonimento gli fosse sufficiente, perciò il Marino decise di farlo tacere con le cattive: una lieve botta contro il muro con la testa e l’uomo si afflosciò nelle sue mani. Non gli restava che portarlo via.
«No, si fermi!»
Il Marino si voltò in direzione della voce, stupito.
Era una donna. Non aveva i soliti caratteri somatici dei Terrestri bretoni, anzi: sembrava più un’asiatica che un’europea.
«Ormai è deciso, lui viene con me» tagliò corto il Marino, prendendo l’uomo in spalla come un sacco di patate.
«No! Non lo faccia! Non lo porti via! No!»
Lui ringhiò, sempre più irritato. «Non sono qui per ascoltare le tue grida strazianti, donna!»
Ma lei aveva deciso. «Prenda me al suo posto!»
Il Marino si fermò. Si voltò lentamente verso la donna, stupito. «Prendere te al posto suo?»
Le catture organizzate ogni quattro anni erano fatte per motivi diversi. Erano per rifornimento delle macellerie specialistiche, per commercio, per il lavoro... ma anche per evitare che la popolazione Terrestre aumentasse troppo: prendendo le femmine si decimavano le possibilità di aumento della specie. Quell’anno era stata scelta la regione europea ancora una volta, la preferita per il commercio per via della popolazione varia. Gli sarebbe convenuto?
Il Marino ghignò, ridendo con voce cupa.
«Sia come vuoi, donna».
Vincent scivolò dalla spalla del Marino a terra senza un lamento, mentre l’essere agguantava i polsi di Colette e la trascinava via.
«Non farò resistenza» mormorò Colette.
«Puoi scommetterci» sibilò quello mentre usciva e veniva nuovamente investito dalla pioggia.
Colette si voltò verso la casa e sospirò, affranta. «Addio, Jean. Addio, Louane. Vincent, ti amo» sussurrò.
La porta sbatté violentemente, spinta da una forte folata di vento di quella notte di pioggia.

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Capitolo 2
*** Dodici anni dopo ***


Nel capitolo precedente: a soli sei anni la piccola Louane perde la madre. Può sembrare una cosa normale che capita a chiunque, e in effetti lo è... ma solo per il mondo della nostra protagonista. La bella Colette, infatti, è stata catturata dai Marini per essere sfruttata fino alla sua morte. Il mondo che ci si presenta è avvolto da una minacciosa ombra nera... Louane riuscirà a vivere in superficie o sarà costretta a entrare anche lei nell’Oceano come serva, o ancor peggio come cibo?

02. Dodici anni dopo

Quella mattina la cittadina portuale di Baia Nuova era immersa in un piacevole torpore mattutino. Il cielo era del tutto privo di nuvole, l’aria frizzante e si sentiva un piacevole odore di fiori: la primavera era nell’aria. Gli uccellini cinguettavano allegri sin da prima che il sole sorgesse, inoltre le vie iniziavano a riempirsi appena delle prime voci. In giornate simili ci si dice che nulla può mai andare storto... ma si sa: il buongiorno non dipende solo dal mattino, ma anche dal risveglio.
La sveglia iniziò a suonare i suoi bip frenetici con lentezza e poca intensità. Era già fastidiosa di per sé, perciò cercava sempre di iniziare a dare il buongiorno con più delicatezza per poi farsi più determinata per svegliare chiunque accanto a lei stesse ancora beatamente riposando tra le braccia di Morfeo. Si sapeva, però, che con quella persona in particolare non c’era molto da fare.
Il suo suono aumentò frequenza e volume, facendosi più insistente: ancora la mano che cercava non aveva intenzione di alzarsi. Continuò ancora con il suo crescendo, cercando di ottenere un risultato: nulla.
Finalmente una mano si avvicinò e premette l’interruttore, ma non era di chi la sveglia segretamente sperava.
Jean si grattò la nuca e sbadigliò sonoramente. «Andiamo, ogni mattina è la stessa storia...»
Louane dormiva beata tra le coperte: le palpebre immobili, le labbra schiuse appena, in posizione fetale... ogni volta che la guardava, il ragazzo si convinceva di più che sua sorella assomigliasse più a una bambina, o addirittura a una bambola, che a una diciottenne. Una cosa era certa: a lui non assomigliava per niente, perché se lei aveva preso tutto dal padre, lui era tale e quale a sua madre... almeno per quel che riusciva a ricordare.
A qualunque cosa o persona assomigliasse, era il momento di interrompere quella patetica sceneggiata. Pensò velocemente a un modo originale per svegliarla – lo faceva quasi ogni mattina, ormai – poi si avvicinò al lato più lungo del letto e sollevò il materasso.
Louane si svegliò giusto in tempo: rotolò giù con un gridolino e si ritrovò a terra in ginocchio, tutta ammaccata.
«Tu sei completamente pazzo, Jean! Mi volevi ammazzare?!» ringhiò irritata. «Non è nemmeno suonata la sveglia, stavolta!»
Jean rimise a posto il materasso e fece il giro della stanza per tirare una sberla sulla nuca alla sorella minore. «E’ appena suonata, genio. Vedi di prepararti alla svelta, che devo andare a lavoro... ah, giusto, dimenticavo che sei sorda».
«Non sono sorda, stupido idiota!» soffiò lei. «E comunque non svegliarmi più in questo modo. Lo sai che mi dà fastidio. Stavo facendo un sogno bellissimo e me l’hai fatto dimenticare!».
«Non essere così crudele. Almeno mi diverto».
«Ah, certo. Sarebbe terribile se tu non trovassi il primo svago alle sei del mattino».
«Sapevo che avresti capito» ghignò Jean. «Dai, che la colazione è pronta...»
Detto questo uscì dalla stanza. Louane gemette ancora: «Jean! Puoi fare l’adulto quanto ti pare, con il tuo bel lavoro da geometra e la macchina sportiva e la promessa sposa, tanto io lo so che resti solo un bambino!»
Qualcuno si affacciò alla porta. Louane per un attimo si allarmò nel credere che fosse sempre Jean, tornato per vendicarsi, ma tirò un sospiro di sollievo nel vedere spuntare invece il viso rotondo e gentile di Marion.
«Lou, per una volta ti sei svegliata subito, allora!» trillò. «Ma... che ci fai lì per terra?»
Louane fece un sorriso sardonico. «Sto contando le mattonelle, Marion».
«Beata te che hai anche il tempo di pensare alle mattonelle... adesso però alzati, ci pensiamo questo pomeriggio».

Lei era Louane, giovane Terrestre all’ultimo anno dell’Ultima Scuola. La sua giornata si strutturava all’incirca così: veniva accompagnata dal fratello fino a scuola in auto, poi ne usciva circa a metà del pomeriggio e allora, solo allora, poteva passare del tempo libero prima di tornare in casa per la cena e andare a dormire. Ogni giornata seguiva questo semplicissimo schema, senza alcuna pausa: i giorni erano solo numerati e non divisi in settimane. Ci si poteva giusto accontentare della lontana promessa di quattro mesi liberi dalla scuola in estate e del mese di vacanze invernali, per chi era più giovane; non era il caso di chi lavorava, che invece poteva decidere da solo se non lavorare per un certo periodo di giorni.
Nessuno, a scuola, lavorava per ottenere un lavoro preciso. La stessa Louane non aveva aspirazioni particolari per il futuro: le sarebbe certamente piaciuto fare qualcosa di artistico come la pittrice, la scultrice o la cantante; anche fare l’architetto non le sembrava un lavoro da scartare, o ancora l’atleta, oppure una semplice commessa: le andava bene qualsiasi cosa, dato che non era la migliore né la peggiore in nessuna attività. Era però una di quelle persone che dalla vita si aspettavano ancora qualcosa, perciò aveva deciso che finiti gli studi avrebbe lavorato da qualche parte.
Poi c’erano gli altri. Gli altri, che non si poteva propriamente dire che vivessero. I Terrestri di quel genere passavano le giornate con la freddezza e la passività dei morti viventi: ogni loro lavoro era perfetto e impeccabile, ogni loro gesto era studiato, non stringevano legami con nessuno. Erano detti i Precoci: erano quelle persone che si preparavano psicologicamente e fisicamente al giorno in cui sarebbero stati tolti al Cielo per entrare nell’Oceano.
La realtà, da prima che Louane nascesse, era quella: i Marini ogni anno bisestile visitavano tutte le città del globo per caricare i loro colossali sottomarini di Terrestri e portarli nelle loro città subacquee, dove gli sarebbero serviti come schiavi, manodopera gratuita, animali domestici o anche semplice carne da macello. Per questo i Precoci si adoperavano per saper fare qualsiasi cosa al meglio e non avevano alcuna relazione umana: cercavano di assicurarsi una vita più lunga servendo i Marini e una separazione indolore dalla terraferma.
La madre di Louane, per quanto ne sapeva la ragazza, era l’opposto: aveva vissuto pienamente la sua vita in superficie, quasi isolandosi in un futuro tutto rosa dove non credeva affatto che i Marini potessero irrompere. Aveva creduto fino alla fine che la sua felicità sarebbe durata per sempre, arrivando talvolta a farsi beffe del pericolo che incombeva giusto dietro l’angolo. Louane non la ricordava molto, ma quando pensava a lei sentiva una pena profonda: essere catturati in quella maniera doveva essere davvero distruttivo.
E quello era un altro anno bisestile che affrontava. Il primo che aveva visto era troppo piccola per capire cosa succedesse, il secondo aveva perso la madre, il terzo per la prima volta aveva visto un Marino in carne e ossa. Il quarto, quello passato, la sua migliore amica Marion era andata a vivere a casa sua dopo aver perso anche sua madre, dopo aver perso suo padre giusto l’anno prima.
Era una vita tranquilla, ma l’equilibrio raggiunto poteva spezzarsi in un battito di ciglia con l’arrivo degli anni bisestili e con loro dei Marini. Fino a una ventina di anni prima i Marini erano largamente diffusi anche sulla terraferma per controllare meglio i Terrestri e i loro movimenti, ma con la tecnologia più sofisticata degli anni successivi erano diminuiti drasticamente: si vedevano in giro solo negli anni bisestili e al massimo un paio di volte l’anno, nel caso di Baia Nuova.
Il massimo che si poteva fare per tirare avanti vivendo era evitare di pensarci, un po’ come si fa con la morte.

Louane fece le ultime due bracciate e toccò finalmente il bordo della piscina, aggrappandosi al bordo per riprendere fiato.
«Un minuto e dieci secondi» lesse l’insegnante sul cronometro. «Non male, anche se il tuo record è di cinquantotto secondi».
Louane gemette, alzando gli occhi al cielo: il suo insegnante di nuoto pretendeva sempre che si registrasse un nuovo record ogni giorno. «Farò del mio meglio» borbottò.
«E’ una buona occasione, Louane» insisté lui. «Potresti gareggiare a livello agonistico, oppure...»
«Oppure insegnare nuoto, sì, lo so benissimo» tagliò corto lei. «Ma il nuoto non mi attira particolarmente... non penso di sceglierlo per il mio lavoro».
Quello si chinò e le poggiò una mano sulla spalla, guardandola serio. «Promettimi che ci penserai, Louane».
Non le restava molto da fare quando quell’uomo la guardava così. Sorrise: «Ci penserò».
«Brava ragazza» fece lui, ricambiando il sorriso. Poi si voltò verso il gruppo di studentesse lì vicino: «Carole, pensi di farcela prima del prossimo anno bisestile? In acqua!»
Louane raggiunse le scalette e si avvicinò al resto della sua classe.
«Davvero, Lou, tu diventi campionessa di nuoto» disse Brigitte. «La stoffa ce l’hai, no?»
«Mai quanto te e Fleur» ribatté la bionda scuotendo la testa. «Poi io cerco solo di impegnarmi in tutto quello che faccio... non è che nulla mi faccia impazzire in particolare».
«La solita neutrale, insomma» sospirò Marion. «Quand’è che cambierai?»
«Devo cambiare?»
Qualcuna rise, poi la voce dell’insegnante le zittì: «Voi andate a farvi la doccia e a cambiarvi!»
«Andiamo» disse Brigitte. «Se si arrabbia di più è peggio».

Si mise l’accappatoio, poi si massaggiò la testa. «Odio le cuffie» sibilò.
«E’ perché hai tanti capelli» disse Marion. «Se te li tagliassi non te li troveresti tutti schiaffati in testa da un pezzo di gomma verde, no?»
«La fai facile, tu, che ti tieni i capelli così corti» ribatté Louane. «Hai finito col phon?»
«Sì, è nella borsa».
Louane si ravviò i capelli e accese il phon per asciugarseli. Quando ebbe finito si asciugò meglio e iniziò a rivestirsi.
«Lou, mi presti una molletta?»
Louane frugò nello zaino e passò una molletta a Brigitte. Poi si ricordò: «Ah! Com’è andata con Alan?»
«Stendiamo un velo» rispose lei. «Voglio dire, ha un fisico da dio e il sorriso da rivista, ma non smette di parlare di scuola neanche a pagarlo settantasettemila ron!»
«Davvero? Che delusione...» commentò Louane. «Ecco perché è un secchione, allora».
«Perché?» fece Marion.
«Perché di solito chi va bene a scuola non ha il fisico da palestrato. Vuol dire che pensa solo al fisico e alla testa... scommetto che è uscito con te solo perché si è caricato il doppio del lavoro per il giorno prima e quello dopo, Bri».
«Che delusione davvero» concordò Brigitte. «La prossima volta che mi trovo un armadio a due ante davanti giuro che mi metto a urlare».
Le ragazze risero, poi ripresero a chiacchierare fra loro. Marion si vestì del tutto e chiuse la borsa, poi se la mise in spalla e fece per uscire. «Io aspetto fuori insieme a Olivia, ci vediamo dopo».
Ma non sarebbe uscita così presto. Non prima di aprire la porta e balzare letteralmente all’indietro gridando.

Erano tre Marini, uno di loro era inoltre più alto dell’architrave della porta. Quello stava dietro gli altri due, appoggiato al muro, mentre i due più bassi entrarono nello spogliatoio.
Le ragazze strillarono. Non fu perché alcune di loro non si erano ancora rivestite del tutto: non potevano certo pensare a una cosa simile in quel momento. Si erano di nuovo dovute rendere conto che quello era un anno bisestile, e la presenza di Marini in una scuola durante uno di quegli anni poteva significare solo una cosa: cercavano giovani Terrestri da portare con loro.
Il primo Marino era alto, dai lineamenti sottili e dolci che lo facevano sembrare piuttosto bello e la carnagione pallida. Ruotava i sottili occhi neri a mandorla di qua e di là, osservando le ragazze con superiorità. «Quanto chiasso» sibilò con una voce profonda. «Vediamo di fare in fretta».
Il secondo Marino era ben piantato, ma non eccessivamente. Aveva i lineamenti duri e marcati di un adulto e lo sguardo di chi è abituato a farsi ubbidire. Osservava anche lui le ragazze, ma le fissava un po’ come si potrebbero guardare dei cuccioli in allevamento. «Con calma, con calma. Troveremo sicuramente quello che cerchiamo».
Nello spogliatoio era calato un silenzio glaciale. Louane prese la mano di Marion e la strinse forte, sentendo che la ragazza ricambiava la stretta. Voltò lo sguardo verso di lei: aveva riflesso negli occhi un misto di terrore e rabbia per il dejà vu che le si presentava davanti.
«Vediamo un po’... questa? Il nome» intimò. La ragazza interpellata sussurrò appena, terrorizzata, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime: «Yasmine...»
Il primo Marino la afferrò con violenza per la spalla e la mostrò all’uomo fuori dalla porta. Quello pescò una cartella dalla pila che reggeva tra le mani e lesse: «Yasmine. E’ portata per le materie scientifiche e anche per l’economia domestica... molto meno per le materie umanistiche e per la lingua, nonché per le attività motorie e la musica».
«Potrebbe essere un problema» asserì il secondo Marino. «Direi di no».
Il Marino che teneva la ragazza la spinse con malagrazia verso una delle panchine. Lei prese a massaggiarsi la spalla, singhiozzante e tremante come una foglia.
«E questa?» chiese ancora il Marino.
«Nicole, portata per la musica e per alcune materie scientifiche, più la lingua».
«Direi di no» disse il primo Marino, e gettò anche quella ragazza contro la panchina come uno straccio vecchio.
La stessa cosa si ripeté per altre ragazze. Louane tremava convulsamente, mentre Marion cercava di farle coraggio accarezzandole le spalle.
Ora che Louane si trovava davanti alla possibilità di finire nell’Oceano era terrorizzata. L’aveva vista come una cosa troppo remota, qualcosa che sapeva che sarebbe accaduto ma che credeva di affrontare solo una volta diventata almeno un’adulta fatta. E ora aveva una paura folle di affrontare il dolore che sarebbe arrivato dopo quella visita, qualunque fosse stato l’esito.
Sentiva la mano di Marion sulle spalle, calda e confortante. Se avesse perso lei non sapeva come avrebbe reagito: sarebbe stato un dolore fortissimo. Non era solo per la separazione, ma anche per quello che sapeva sarebbe successo in seguito: Marion odiava i Marini per quello che le avevano fatto, perciò difficilmente avrebbe accettato un padrone. Avrebbe opposto resistenza fino alla morte, e Louane lo sapeva bene. Cosa avrebbe fatto se...?
«Vediamo lei».
Sentì la mano di Marion scivolare via, poi la ragazza che veniva agguantata per l’avambraccio e strattonata in avanti.
No, l’avrebbero rifiutata. Dovevano rifiutarla. Non potevano prendere lei. Non potevano...
«Marion... oh, vedo che abbiamo un genio. Sembra essere portata per tutte le materie, fatta eccezione per le attività motorie, la musica e l’economia domestica».
Non potevano farlo. Non dovevano farlo. Marion doveva restare in superficie. Non potevano portarla via...
Louane guardò Marion, che teneva gli occhi chiusi con un’espressione fredda, sebbene le lacrime le rigassero il viso.
«Che ne dici?» disse il primo Marino. «A me sembra promettente».
«Mah... direi che...» cominciò il secondo.
«No!»
Il Marino non aveva fatto in tempo a finire la frase. Lui, insieme agli altri due, si voltarono a guardare la ragazza che aveva gridato, e così tutte le altre Terrestri presenti.
Louane aveva preso la mano di Marion scattando in avanti, e ora guardava i due Marini a occhi sgranati. «N-no...» mormorò ancora.
Marion la guardò come a dire: che diavolo stai facendo, scema? a occhi spalancati, e così le altre. Il primo Marino sembrava infastidito, l’altro invece la guardava solo con un certo stupore.
«...direi che voglio sapere chi è questa» completò il secondo Marino.
«No!» gridò Marion, ma il Marino la spinse via con violenza, per poi prendere Louane per i capelli. «Allora vediamo questa. Il nome?»
«Louane» sussurrò la ragazza.
Il Marino fuori dalla porta pescò la sua cartella quasi subito e lesse. «Louane... ecco qui. Non sembra avere pecche in nessun campo... nella lingua sembra essere particolarmente portata, ma come sapete non è un dettaglio che conta molto. Anche nelle attività motorie sembra avere qualche dote in più. Per il resto non spicca, ma non si può dire che vada male».
I due Marini nella stanza si guardarono.
«Che te ne pare?» fece il primo. «Non sarà un esemplare proprio fantastico».
«Vediamo la genealogia» disse il secondo.
«Ha avuto una madre per un quarto asiatica, ma il carattere è andato scemando con la discendenza. Come potete vedere ha l’aspetto di un’Europea in tutto e per tutto».
«Quindi?» incalzò il primo. «Questo buco sta iniziando a diventare rumoroso» sibilò, accennando alle ragazze scartate che piangevano.
Il secondo Marino fissò Louane per un lungo istante, poi rispose: «direi che va bene. Carichiamola».
«Oh, era ora...»
Louane sentì il Marino che le lasciava i capelli e le agguantava i polsi. Riuscì a sentire il sottile lembo di pelle tra dito e dito, dalla consistenza quasi gommosa, mentre veniva portata fuori.

«No! Louane! Fermi!» gridò Marion da dentro lo spogliatoio, ma c’era poco da fare: venne del tutto ignorata.
Louane intanto si sentiva quasi come già in acqua. I suoni le arrivavano ovattati e confusi, non sentiva i polsi che le dolevano sotto la stretta del Marino, non sentiva le lacrime sul viso. Era tutta persa nei suoi pensieri.
Aveva salvato Marion. Era riuscita a salvare la sua migliore amica da una fine terribile, e di questo non poteva che andare fiera. Ce l’aveva fatta... ma ora cosa ne sarebbe stato, di lei?
Non avrebbe più rivisto Marion. Non avrebbe saputo se secondo lei era stata un’azione nobile, stupida, da amica, da folle suicida. Non avrebbero più studiato insieme in camera sua e non avrebbe più potuto sentirla mentre faceva uno dei suoi ragionamenti senza grinze per i teoremi matematici. Non avrebbero più mangiato insieme, non sarebbero andate a scuola insieme, non sarebbero più andate a dormire insieme quando l’una o l’altra era spaventata per un compito in classe o per un incubo. Mai più...
Suo padre, che dopo la morte di sua madre l’aveva seguita passo dopo passo con premura quasi ossessiva, consigliandole, aiutandola quando ne aveva bisogno o anche quando poteva farcela da sola. Suo padre, che le aveva raccontato tantissime storie di lui esploratore, lui aviatore, lui astronauta. Chi l’avrebbe potuto sostituire?
E Jean. Il suo fratellone tuttofare, quello che trovava sempre la soluzione giusta e non aveva paura di nulla. Era come un cavaliere: era sempre stato pronto a salvarla nei momenti difficili. E anche se si punzecchiavano un po’, gli voleva sempre un bene dell’anima. E quella mattina era stata l’ultima volta che l’aveva svegliata con uno dei suoi metodi pazzi.
«Inizia ad essere rumorosa, sbrighiamoci» borbottò il Marino davanti a lei.
Stava piangendo. Tremava violentemente, non riusciva quasi a respirare dai tanti singhiozzi, aveva gli occhi inondati di lacrime e il naso che le colava. Non voleva farsi vedere in quello stato, ma non riusciva a smettere di piangere.
Non sentì nemmeno quando si fermarono, e il secondo Marino le mise un paio di anelli metallici attorno ai polsi per ammanettarla. Sentì soltanto che la sollevarono e la chiusero in una cella di metallo, all’interno di una di quelle vetture simili a enormi pillole di metallo che chiamavano innocentemente “capsule antipressione”. Sentì solo il freddo dell’interno, in netto contrasto con il calore del suo corpo e delle sue lacrime, poi il portellone che veniva chiuso e la faceva piombare nell’oscurità.
Erano stati i suoi ultimi attimi in superficie, e non aveva nemmeno avuto il buonsenso di alzare lo sguardo per osservare il cielo un’ultima volta.

Ed eccoci qua con il primo/secondo capitolo (a voi la decisione: il capitolo precedente era un prologo o un capitolo? Chi lo sa...). Ringrazio subitissimissimo chi ha inserito la fiction tra le seguite, le ricordate o anche tra le preferite... e ovviamente chi ha recensito. Grazie mille! *si prostra*
Per chi mi conosce: spero che la scomparsa di Wakko! dal sito non ti abbia sconvolto troppo ^^” Eccomi qui con il secondo capitolo. E questa volta, come già detto nella descrizione – credo – si vedrà persino una fine. Non mi ricordo bene, ma mi sembra che la storia non superi i trenta capitoli... boh x°D
Per chi non mi conosce: complimenti per aver trovato I celati dall’Oceano. La storia si basa solo lontanamente sulla trama che avevo scritto – o meglio, iniziato a scrivere – in precedenza per Wakko!, perciò non preoccuparti per quella storia: non ti perdi niullaH u__u
In ogni caso, per chi sentisse un attacco di nostalgia o curiosità, sappiate che se volete sono disposta (sigh...) a postare i vecchi capitoli, così potrete fuggire orripilati urlando *__*
Ora risponderò alle recensioni. Come faccio sempre, ricordatevi che rispondo alle recensioni solo se sono almeno tre, e le risposte sono riferite alle recensioni del capitolo precedente... oh, basta, rispondiamo +_+

roxell18: sono contenta che il primo capitolo ti sia piaciuto! ^__^ E’ ancora un po’ presto per chiamarla storia, però xDD Grazie per il complimento. Adesso hai scoperto che è successo... ma era prevedibile. Senza problemi non ci sarebbe storia, no? U__U Spero che recensirai anche questo capitolo, e... beh, non posso pretendere che tu mi dica cosa ti piace della storia: siamo solo al secondo capitolo e abbiamo visto solo uno dei personaggi che seguiremo =P Per ora mi basterà che tu mi dica cosa ne pensi dell’ambientazione e dei personaggi che abbiamo visto. Magari anche del mio modo di scrivere. Lo so, sono mooooolto pretenziosa. Sarà per questo che non mi recensiscono mai? Forse. Al prossimo capitolo!

SyamTwins: eddai, mi fai arrossire! °////° Grazie davvero. Sono contenta che il mio modo di scrivere ti piaccia *__* E che anche l’ambientazione ti piaccia *___* Non mi resta che chiederti di recensire anche questo capitolo e di dirmi che ne pensi dei personaggi visti, in particolare Louane. Spero che tu continui a seguire *_____* Ciao!

beainlove: mi ricordo di te °__° vuol dire che i miei poteri psichici riescono ancora a conservare qualche brandello di memoria... x°D Grazie per essere tornata. Spero che tu continui a leggere. Dimmi man mano cosa ti piace della storia e avrai un compenso in denaro mi farai felice come una Pasqua *^* Ci si legge! ^w^

Ecco fatto. Spero che questo capitolo di I celati dall’Oceano vi piaccia. E che recensiate in tanti. E che preferiate la fiction. E che la seguiate. Insomma, che mi facciate capire che apprezzo quello che scrivo *___* Mi renderebbe davvero contenta. Ciao ciao!

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Capitolo 3
*** L'asta delle anime ***


Nel capitolo precedente: Louane è una diciottenne che vive nella riserva europea di Terrestri. Siamo in un mondo dove la popolazione umana è stata schiavizzata dai Marini, esseri dalle caratteristiche particolari che li fanno assomigliare ai pesci: pelle azzurra, mani e piedi palmati, occhi neri, denti da squalo e branchie. La ragazza vive nel terrore dei Marini, ma sa bene che un giorno toccherà anche a lei scendere negli abissi dell’Oceano sconosciuto per servire queste creature dalla forza sovrumana. Un giorno i Mercanti di Terrestri arrivano alla sua scuola, però, e decidono di prendere un terrestre per classe per via dell’insufficienza nell’Oceano. Sono sul punto di scegliere Marion, la migliore amica di Louane, ma quest’ultima si frappone tra l’amica e i Marini per impedirgli di portarla via: un evento più unico che raro. La ragazza viene perciò presa al posto di Marion. Viene rinchiusa in una capsula antipressione e portata via immediatamente: si addormenta quasi subito. Quale sarà il destino della nostra eroina?

03. L’asta delle anime

Non mi dirai che stai piangendo, Lou?!» esclama Jean. «Era solo uno scherzo!»
«No... vai via, non venire! Gli orchi sono cattivi... gli orchi sono tutti cattivi!» strilla Louane di rimando, affondando di più la testa nei cuscini.
Un paio di battiti di cuore discordano: uno è rapido, leggero e spaventato; l’altro è lento e agghiacciato.
Jean si avvicina silenziosamente alla sorella, accarezzandole goffamente i capelli.
«Io non sarò mai cattivo con te, Lou». Arrossisce: pur avendo già undici anni dire cose simili resta sempre una cosa imbarazzante.
«Gli orchi... i Marini hanno portato via la mamma, Jean! Non ho più voglia di giocare!» singhiozza Louane. «Tu sei l’orco, e io ho paura di te».
Jean sorride. «Sei la solita fifona, Lou...»
«Non è vero» si lamenta la bambina.
Dita di piccole mani che s’intrecciano: gli occhi arrossati di Louane fissano stupiti quelli scuri e confortanti di Jean.
«Giuriamo, Lou. Non giochiamo più agli orchi... ma tu non avere paura di me mai più».
Un abbraccio forte.
«Ti voglio bene, Jean».
«Anch’io ti voglio bene».

«Fai attenzione con quella, è merce buona!»
Poco lontano echeggiò il rumore di qualcosa di duro e pesante cadere a terra.
Se non fosse stato per l’odore troppo pulito e per la sensazione del metallo duro sotto di lei, Louane avrebbe giurato di essere davvero tornata indietro nel tempo per rivivere quel frammento di vita con Jean, il suo unico, adorato fratello maggiore. Strizzò gli occhi, cercando di tenerlo a mente come le aveva insegnato suo padre: per ricordare un sogno bisognava continuare a pensarci appena ci si era svegliati.
Le venne in mente che doveva fare colazione: aveva una fame tremenda, come se avesse saltato il pranzo e la cena. Si alzò a sedere, ancora a occhi chiusi, poi la sua testa cozzò contro un soffitto duro che rispose con un clangore metallico.
Solo allora iniziò a tastare intorno a lei, e le sue dita trovarono la paglia che aveva sparso qua e là mentre cercava di dormire in poco più di un metro quadro di gabbia in acciaio inossidabile. Rabbrividì, rendendosi conto che era davvero successo: ciò che fino a quel giorno aveva ritenuto solo un possibile incubo era diventata la più terribile delle realtà.
Aprì gli occhi, sbattendoli più volte per abituarsi alla luce bianca attorno a lei.
Si trovava in una piazza. Il suolo era ricoperto di piccole pietre quadrate dello stesso colore grigio scuro e al centro della piazza culminava un’enorme fontana con al centro un’imponente statua di un marino in armatura. Dietro di essa Louane riconobbe un grande edificio dalla facciata piena di colonne che riconobbe come il Santuario, poi c’era un altro edificio molto più grande del primo che non poteva che essere il Palazzo dei Sovrani. Dietro di lei, se avesse continuato a guardare, c’erano alti edifici dalle mura cerulee come tutti gli altri dove erano stati stabiliti vari negozi.
Louane smise di guardarsi troppo attorno per concentrarsi su quello che succedeva attorno a lei.
C’erano tantissime gabbie come la sua. Alla sua sinistra c’era un uomo che doveva aver superato la cinquantina, mentre alla sua sinistra c’era un ragazzino che non poteva avere più di tredici anni. E più in là ancora poteva vedere giovani donne, uomini nel fiore degli anni, altri bambini e anziani... un eterogeneo gruppo di persone, tutte con uno sguardo spento, spaventato o semplicemente rassegnato. Louane si chiese che sguardo avesse ai loro occhi: era spaventata o rassegnata? Non sapeva dire come si sentiva.
Provò a guardare verso l’alto, oltre le sbarre. Il cielo delle città nell’Oceano era di un colore di gran lunga più scuro. Il sole era solo una sfocata luce attutita da chissà quanta acqua di mare, ogni tanto ostacolata dal passaggio di qualche pesce.
Si trovava a Umi, la città più importante dell’Oceano, ed era stata portata lì perché si decidesse della sua sorte. O forse no.
«Questa, dici?» fece una voce profonda.
Louane alzò lo sguardo verso la voce, trovandosi incapace di alcun tipo di reazione se non impallidire e tremare.
Era lo stesso Marino che aveva deciso di portarla lì. Parlava con un altro tizio più alto e meno muscoloso, ma comunque dall’aria minacciosa.
«Sì, questa» ripeté il primo con voce ferma.
«Mah, non lo so...» tentennò il secondo, aguzzando lo sguardo su Louane e analizzandone a fondo l’aspetto come per cercare di vederle le interiora. «E’ carne giovane, per di più è in forma. Sarebbe merce davvero ottima... oppure un piacere unico da tenere a casa come giocattolino».
«Ho detto di no» insisté il primo mentre a Louane si gelava il sangue nelle vene. «L’ho trovata io, in più per averla sono andato fino in Europa. Tu tieniti pure i tuoi americani, ma la francese me la porto all’asta insieme all’altro».
«Uffa...» si lamentò il secondo sbuffando. «Cerchi sempre gli affari migliori, vedo. Sappiamo tutti e due che hai buon naso negli affari, ma non puoi continuare a sprecarti in privato vendendo ciò che trovi all’asta. Se entrassi nel mio campo avresti un posto fisso e una paga stabile, in più non dovresti nemmeno farti tutti quei viaggi all’estero pagandoli di tasca tua. Se me la dai potrei metterci una buona parola, lo sai...»
Fu il turno del primo di sbuffare. «Cerchi sempre di abbindolarmi, vedo. Ti ripeto per l’ennesima volta che tante parole con me sono sprecate, in più non mi piacciono così tanti paroloni tutti insieme. Vedi di tenere fuori il naso dai miei affari, altrimenti te lo spezzo insieme alle tue serate tranquille nei bordelli di nascosto da tua moglie. E ricordati che per pensarla così sembri molto più animale dei Terrestri».
«Ci andiamo giù pesante...» sibilò il secondo tra i denti. «Se ti dà così fastidio vedrò di non offrirti mai più nulla, amico». Fece un rapido cenno della mano a un paio di uomini: «caricate quei due sul furgone per Mack, non li voglio più vedere!»
Il Marino (che evidentemente si chiamava Mack) fissò Louane per un lungo istante, poi si allontanò. Fu solo allora che Louane riprese fiato, tutta tremante al pensiero di quello che l’aspettava.
La stavano portando all’asta. Non aveva bisogno di guardarsi intorno per sentire su di sé lo sguardo dei Precoci lì presenti, carichi di invidia e disprezzo: venivano portati all’asta solo i Terrestri più promettenti, che erano anche quelli con maggiori probabilità di finire nelle mani di una famiglia ricca, o comunque con la certezza assoluta di non finire al macello.

Una mezz’ora più tardi stava tremando meno violentemente, ma restava sempre terribilmente tesa e col fiato corto, gli occhi sgranati. Poco distanti si sentiva il vociare eccitato di una folta folla di Marini mentre qualcosa o qualcuno veniva portato via dall’acquirente vincitore. Sulla sua gabbia avevano appoggiato uno spesso drappo di cotone grezzo color avorio per impedire a sguardi curiosi di vederla in anticipo, ma questo non riusciva a calmarla molto: non vedere ciò che le stava attorno le impediva di abituarsi all’ambiente e di calmarsi. Si strinse nelle spalle, massaggiandosi le braccia: non tremava solo per la paura, ma anche per il gelo che le assaliva la pelle.
«Calmati, stai facendo vibrare tutta la gabbia» borbottò una voce scocciata.
Louane sobbalzò. Accanto alla sua gabbia doveva esserci quella dell’altro uomo che avevano portato all’asta con lei. Dalla voce sembrava un adulto fatto, ma la voce era abbastanza morbida da farle intuire che non doveva aver superato i quarant’anni.
«Non ci riesco... non hai paura?» chiese Louane con voce rotta, dopo qualche minuto passato a cercare di comporre la frase senza mettersi a piangere.
«No, non ho paura. Questi bastardi con i denti da piranha non si meritano la nostra paura, ragazza. Si vantano di essere superiori, ma trattando così la gente dimostrano solo di essere dei mostri».
La parola orco galleggiò invitante davanti agli occhi di Louane, ma la ragazza non la nominò. Stavano parlando in lingua marina per capirsi, ma dall’accento interessante Louane intuì che doveva trattarsi di un sudamericano... eppure veniva dall’Europa. Non rifletté molto sull’argomento, troppo impegnata a cercare una risposta intelligente a quella frase tagliente.
«Io non voglio restare qui... come faccio a pensare a una cosa come l’orgoglio in un momento simile? Avevo una famiglia, delle amiche, una vita...»
L’uomo restò per molto tempo in silenzio prima di rispondere, tanto che Louane credette che la loro chiacchierata fosse finita. «Io mi sono fatto avanti al posto di mio fratello nonostante lui fosse un Precoce» rivelò.
Louane fu percorsa da un brivido.
«So già cosa stai per chiedermi» continuò l’uomo in tono sprezzante. «“Perché salvare la vita a un Precoce, che ha dedicato la sua in tutto e per tutto alla cattura da parte dei Marini?” …la verità è che, a mio parere, nessuno merita questa schifezza di esistenza. Chiunque deve poter vivere la sua vita... e io ho voluto dare a mio fratello un’opportunità per poter respirare, amare e sorridere come un vero essere umano, e non come un pezzo di carne». L’uomo disse quelle parole con fermezza, con il tono determinato e sicuro di un comandante. Louane ne restò affascinata, iniziando a lacrimare.
«Io sono sicuro della mia decisione. Sopporterò ogni sopruso a testa alta, senza piegarmi sotto le crudeltà che potrei affrontare. Per lui» concluse l’uomo. «Immagino che tu non possa capire, dato che sarai stata trascinata fuori dalla tua scuola a forza... ti ho vista. Quanti anni hai, ragazza? Sei davvero giovane. Cerca comunque di non farti rubare la vita dai Marini. Continua a vivere, nonostante tutto».
Louane singhiozzava, tra le lacrime, incapace di rispondere. Altro che incapace di capire... lei si trovava nella sua stessa situazione, e invece di accettare il destino che si era scelta aveva iniziato a piangersi addosso per quello che l’aspettava. Dove sperava di arrivare, con quell’atteggiamento? Era come diceva quell’uomo: doveva resistere e continuare a mantenersi viva. Perché per quanto l’orco potesse portare in profondità la principessa, lei non avrebbe mai potuto smettere di respirare.
Si sentirono dei passi in avvicinamento.
«Ti auguro tutta la dolcezza che tu possa trovare in quest’acqua salata, ragazza. E non piangere più, sii forte» si congedò l’uomo in tono impacciato. Poi si sentirono i passi fermarsi proprio davanti alle due gabbie e la gabbia dell’uomo che veniva sollevata.
Louane, nascosta dietro il palco, restò sola.

«Sei un grande, Mark!» esultò uno dei presenti.
«Il migliore dell’asta, Mark!» urlò un altro.
«Cosa viene adesso? Facci vedere, Mark!» strepitò qualcun altro, impaziente.
Mark sorrise soddisfatto. Erano i momenti che preferiva: la gente festante davanti a lui e quell’orgoglio che lo invadeva di aver trovato una merce di valore: un Terrestre dall’aspetto unico nel suo genere, che non sembrava appartenere a nessun continente particolare, di bell’aspetto e anche portato per i lavori pesanti. Un vero affare, per non parlare della perla che aveva tenuto per ultima da mostrare alla folla.
«Bene, gente» esordì Mark con un gran sorriso. «E’ ora di presentarvi il secondo pezzo, direi».
La folla esultò allegra. Mark fece un cenno a un uomo là dietro per farsi portare la gabbia con la ragazza francese, poi scorse un volto familiare tra la folla. «Ehi, Nash!»
Il ragazzo davanti a lui era un adolescente alto nella media – poco più di due metri – dal fisico atletico. Il suo sguardo color pece era vivo e accattivante, la linea della mascella ben marcata, i capelli lunghi e corvini gli cadevano un po’ ovunque attorno al viso, legati solo sulla nuca da una coda di cavallo... insomma, non era assolutamente il tipo di persona che ci si aspetterebbe di vedere a un’asta, eppure Mark non fu molto sorpreso.
«Non ne avete mai abbastanza, voi King, vero?» ridacchiò Mark in tono bonario.
«Basta cincischiare, fa vedere» ribatté brusco Nash in tono impertinente.
Per tutta risposta il Marino rise ancora più forte. «Bene. Vediamo se questa perla bianca farà al caso tuo». Poi si rivolse alla folla: «L’ho presa nientemeno che in Francia. Ha frequentato finora l’ultimo anno dell’Ultima Scuola e le sue abilità sono uniformi... può essere davvero qualsiasi cosa. Ed eccola qui».
La gabbia era al suo posto, alla sua destra. Afferrò la stoffa della coperta senza alzarla.
«Il prezzo iniziale è di settecento ron – eh eh, volevate lo sconto? Sono prede di valore, non i lumaconi che si vendono al mercato. Si dia inizio all’asta!» detto questo alzò finalmente la coperta in un gesto teatrale.

Louane si era seduta in posizione più rilassata. Teneva le gambe piegate ad angolo ottuso e ben serrate tra loro, le braccia appoggiate contro le ginocchia e la testa inclinata verso il basso. Quando la gabbia fu scoperta prese a tremare leggermente, ma le parole dello sconosciuto le avevano dato un nuovo coraggio: la forza di affrontare quello che le sarebbe capitato davanti. Per Marion.
Il problema era che i Marini restavano creature di cui aveva paura come tutti i Terrestri normali. E vederne un’intera piazza davanti agli occhi non contribuiva a calmarla.
«Grandiosa!» «Che roba!» «Dove hai pescato una così?» furono le prime esclamazioni, insieme a un “oh” di stupore generale. Cosa doveva fare?
Non le servì pensarci. Mark aprì la sua gabbia e la tirò fuori, dopo essersi procurato di attivare le manette magnetiche per tenerla ferma. Uscì barcollando: era restata seduta per troppo tempo e aveva le gambe informicolite.
La somma dell’asta continuava a salire, e così l’imbarazzo di Louane: non riusciva a capire come riuscissero i Marini a valutare la qualità di un Terrestre con una sola occhiata. Ormai erano a diecimila, ventimila, venticinquemila...
«Quarantamila per King! Di più...?»
Iniziò a guardare la folla, destando l’attenzione di parecchi curiosi. La fissavano come un animale dello zoo, ma Louane cercò di ignorarli per concentrarsi sui possibili acquirenti.
«Cinquantamila per Ashes! Cinquantacinquemila per King! Sessantamila per gli Ashes!»
Erano rimasti in due, ma Louane non riusciva a distinguerli tra la folla. I Marini sembravano tutti uguali...
«Settantamila offerti da King! E uno... e due... aggiudicata a Nash King per la cifra di Settantamila ron!» esclamò Mark. «Vieni qua a firmare le scartoffie, ragazzo. Con questo ho finito, gente!»
La folla proruppe in un’ovazione vivace. Possibile che le aste assomigliassero molto più a delle esibizioni di celebrità? Louane non riusciva a capacitarsene.
«Anche oggi hai ottenuto quello che vuoi, eh, Nash?» ridacchiò Mark. «Bisogna ammettere che hai occhio... e sei stato anche fortunato ad essere venuto proprio oggi».
«Sei tu ad avere occhio» ribatté Nash con un ghigno divertito. «Sbrighiamoci a firmare, rischio di fare tardi».
Louane fissò con un certo stupore chi aveva davanti. Dall’aspetto e dall’atteggiamento sembrava un adolescente, in più gli arrivava a malapena alla spalla: un vero e proprio gigante. Le sarebbe persino sembrato simpatico se l’avesse degnata di un solo sguardo; il Marino sembrava infatti deciso a far finta che non ci fosse, dedicando tutta la sua attenzione a scavalcare il palco per andare a firmare.
Louane si fece trainare passivamente da Mark, che la teneva ancora per i polsi. Una volta tolte le manette prese a massaggiarsi i polsi indolenziti, ma il ragazzo la agguantò di nuovo senza troppe cerimonie mentre con l’altra mano impugnava la penna e firmava tre o quattro fogli per poi compilare un assegno e porgerlo all’uomo.
«Ecco fatto. Ora muoviti, prima che cambi idea e decida di volere la firma di un adulto» rise Mark.
«Manca poco, ormai» ribatté Nash tranquillo. «Ci vediamo».
Si allontanarono quindi in tutta fretta, per quanto Louane riuscisse a tenere il passo, verso la stazione. Ora la ragazza aveva un nuovo padrone, presto avrebbe ottenuto una nuova casa e sarebbe stata circondata da nuovi volti... avrebbe anche ottenuto un nuovo nome. Cosa sarebbe successo di lì in poi?

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Capitolo 4
*** La nuova vita ***


Nel capitolo precedente: Al risveglio di Louane tutt’attorno a lei c’è un grande mercato pieno di Marini: sono arrivati al grande mercato di Umi, dove i Terrestri dalle qualità migliori vengono venduti all’asta ai più ricchi. Il Mercante di Terrestri che l’ha catturata ha scelto di portare all’asta solo lei e un uomo dalle idee molto chiare su come affrontare la faccenda, cosa che riesce anche a persuadere Louane su come affrontare ciò che l’aspetta. L’asta comincia, e dopo lo sconosciuto Louane viene tirata fuori dalla gabbia ed esposta al pubblico. Dopo una rapida serie di offerte ad ottenere Louane è un giovane Marino. Viene firmato il contratto e pagato l’importo, poi il ragazzo si allontana senza dire una parola verso la stazione. In quale famiglia sarà mai capitata Louane?

04. La nuova vita

I sommergibili marini erano stati studiati e migliorati appositamente per compiere un infinito numero di viaggi senza risentire della pressione dell’acqua e riuscire a trasportare fino a una trentina di passeggeri ciascuno. Erano divisi in due zone distinte: una più piccola per il pilota, davanti, e una più grande divisa in cabine per i passeggeri. In fin dei conti non era molto diverso dal vagone di un treno.
Nella cabina Louane si era seduta vicinissima all’unico oblò per poter guardare fuori, ma non si era rivelata una scelta molto felice: non si vedeva altro che il blu intenso di un mare pressoché deserto.
Il ragazzo seduto sui sedili davanti a lei non la guardava nemmeno. Fissava l’esterno del sommergibile con aria assorta, come se ci fosse davvero qualcosa di interessante da guardare. Louane approfittò di quel momento per guardarlo meglio: era enorme come tutti gli altri Marini, ma non sembrava un adulto: sembrava avere i tratti di un adolescente nonostante i lineamenti ben definiti. I suoi capelli erano di un nero lucido come quelli di tutti gli altri Marini, le sopracciglia non troppo folte. Aveva un naso regolare, labbra sottili e un mento marcato; sul collo spiccavano le fessure delle branchie. La corporatura era piuttosto muscolosa e faceva intuire un’attività fisica regolare, le spalle larghe lo facevano sembrare ancora più imponente. Circondati dai capelli c’erano i suoi occhi: la cornea di un bianco perfetto e le iridi nere fuse con la pupilla, come una coppia di pozzi infiniti.
Quando il ragazzo si accorse che Louane lo stava fissando, la ragazza distolse lo sguardo con un fremito. Non poteva sapere quali fossero i voleri del suo nuovo padrone, dopotutto: le avevano sempre insegnato a non fare nulla che potesse irritare un Marino, cosa che poteva essere una qualunque azione fino anche all’essere troppo remissivi.
«Ascolta bene quello che ti dico» esordì il ragazzo con voce roca.
Louane si voltò verso di lui senza guardarlo negli occhi.
«E guarda in faccia il padrone quando ti parla» aggiunse bruscamente.
Louane alzò lo sguardo malvolentieri: sentiva che il fissare quelle due voragini inespressive le avrebbe fatto dimenticare tutto quello che doveva sapere.
«Bene». Si schiarì la voce. «Adesso sei stanca del viaggio, perciò ti dico solo poche cose: vedi di ricordartele. Adesso sei proprietà della famiglia King, una delle famiglie più importanti di Seahorse. Tieni chiusa la bocca finché non arriviamo e mentre andiamo a casa resta vicina a me. Non tentare di scappare, sai benissimo che è tutto inutile».
La ragazza cercava di prestare attenzione alle parole del Marino, ma si sentiva stanchissima. Aveva un disperato bisogno di dormire e di sentire qualcuno parlare francese, tutto qui... eppure nulla in quella cabina avrebbe potuto darle quello che voleva. Non poteva addormentarsi davanti al padrone, né tantomeno chiedergli di parlare francese: sicuramente non avrebbe nemmeno capito di cosa stava parlando, poi le aveva appena proibito di spiccicar parola.
«Per ora ti basti sapere questo» concluse il ragazzo. Si voltò verso la porta della cabina e le ciocche di un nero lucido raccolte dall’elastico vibrarono sfiorandogli la pelle di un azzurrino chiaro. «Adesso puoi anche finirla di fissarmi in quel modo, tanto non mi fai pena».
E pensare che un attimo prima era stato lui a dirle di guardarlo in faccia. Louane distolse lo sguardo per fissarlo sullo spigolo tra pavimento e parete della cabina, rannicchiandosi sul sedile e stringendo a sé le ginocchia.
Il resto del viaggio trascorse in silenzio: Louane non aveva nulla da dire, e comunque quel ragazzo non aveva alcuna voglia di starla a sentire.
Quindi sono proprio un pezzo di carne, per i Marini.

Arrivati alla fermata il Marino le afferrò il braccio e la trascinò fuori dalla cabina senza sforzo. In un certo senso la ragazza glie ne fu grata: le sembrava di non riuscire più a muoversi come voleva.
Quando furono usciti dal sommergibile Louane osservò il porto. Era proprio come le avevano insegnato: un enorme edificio dai soffitti trasparenti dove i sommergibili venivano continuamente portati all’interno della barriera e all’esterno, impedendo all’acqua marina di invadere la città. I Marini camminavano un po’ ovunque, presi dai loro impegni.
«Buongiorno, bellezza» esordì una voce profonda. «E’ da un po’ che non ci si vede».
Davanti a loro c’era una ragazza. Doveva essere alta almeno due metri – che per gli standard dei Marini donna non era poco – e aveva un bel fisico slanciato che la faceva sembrare ancora più alta. Portava i capelli tagliati molto corti e sul volto aveva dipinto un bel ghigno accattivante.
«Lexi!» esclamò il ragazzo Marino con un sorriso allegro. «Era ora che ti facessi viva! Che diavolo hai combinato?»
La donna sorrise tranquilla. «Oh, se sei convinto che una guardia possa avere molto tempo libero ti lascio fare. Posso anche tornare la prossima volta che potrò permettermi un giorno di pausa...» ridacchiò e lo abbracciò forte, stropicciandogli la coda di cavallo. «Come stai, fratellino? Ti sei alzato parecchio. L’ultima volta che ti ho visto sarai stato alto al massimo un metro e ottanta, mentre adesso mi hai persino superata!»
Il ragazzo rise. «Certo che ti ho superata. Sono anche sicuro di diventare più alto... magari anche più di papà».
«E come no» ribatté Lexi. Solo allora si accorse che, nascosta dietro le spalle larghe del fratello, stava una ragazza dalla pelle troppo rosea per essere Marina. «E questa dove l’hai presa?»
«Ah, già» il ragazzo la strattonò in avanti, facendola vedere alla sorella. «L’ho trovata ad Umi. Niente male, vero?»
Lexi la osservò con interesse. «Effettivamente. E’ un’europea, giusto?»
«Sì. Ho pensato che sarebbe andata bene».
«Decisamente».
«E il tuo dove l’hai lasciato?»
«Serviva agli altri, quindi per oggi glie l’ho prestato. Basta che non cercano di mangiarlo, altrimenti la vedo brutta per loro... ma basta chiacchiere. Dobbiamo metterla in sesto, no? La macchina è qua fuori, andiamo».

«Di nuovo all’asta? Avevi detto che non ci saresti più andato!» protestò Lexi. «Sei ancora minorenne, no? Potevi andarci con qualcun altro».
«E con chi, scusa? Papà non ha tempo per venire alle aste e mamma detesta quel genere di posti».
«E allora potevi andare da un’altra parte».
«Sì, magari a prendermi qualche baccalà che sa fare due più due al bazar... scordatelo».
«Ah, come ti pare... ma se lo scoprono stai fresco».
Louane ascoltava senza dire nulla. Se ne stava seduta sul sedile posteriore di un’elegante BMW nera spaziosissima, tanto che si sarebbe potuta stendere sui sedili posteriori senza starci scomoda. Non avrebbe potuto farlo, comunque: quella macchina le ricordava troppo quella del padre di Nicole, che le accompagnava spesso a pattinare quando stava in superficie... si sforzò di non pensarci e guardò fuori dal finestrino, dove tutto sembrava assumere una sfumatura d’azzurro... non pensava che ci si sarebbe mai abituata.
La macchina proseguì a lungo per una via principale, poi svoltò verso la periferia della città. Quando dopo qualche minuto entrò in una cancellata, Louane non credette ai suoi occhi.
«Eccoci a casa... ehi, papà ha preso degli altri pesci per i coralli!» disse Lexi.
Casa King? Meglio dire villa King: era un enorme edificio di almeno tre piani che ricordava gli alloggi di un nobile. A circondare la casa c’era l’acqua: due enormi piscine colme di acqua di mare, coralli, spugne e pesci vari. Loro si stavano avviando sulla larga strada tra le due piscine, che avvolgeva il maniero come una fascia protettiva. Louane fissava ad occhi spalancati, spostandosi di continuo tra un finestrino e l’altro.
«Dici che le piace?» chiese Lexi con una risata al fratello.
«Deve piacerle» rispose quello, spiccio.
Lexi non disse nulla. Accelerò per parcheggiare la macchina accanto all’entrata della villa, che si presentava come una breve serie di gradini in marmo e un enorme portone in legno con dei battenti decorativi in ottone.
Uscirono dalla macchina, e Louane fu prontamente afferrata dal ragazzo e trascinata verso il portone.
«Un po’ più di grazia no, eh?» commentò Lexi con una risata, avvicinandosi e sciogliendo la presa del fratello. «Guarda che i Terrestri sono creaturine delicate. Non puoi mica pigliarli come un trolley...»
La donna prese Louane per mano. Louane ne fu quasi confortata: aveva la pelle morbida e tiepida, tutto il contrario del ghiaccio gommoso che sentiva della pelle dell’altro Marino. Non sentiva le membrane che aveva tra le dita della mano, quindi sembrava quasi di toccare un altro Terrestre.
«Vieni, piccola. Ti salvo io da quel barbaro di un Nash» disse Lexi. Avevano già salito le scale e stavano aprendo la porta, sicuramente troppo pesante perché una Terrestre come lei potesse aprirla da sola.
Già, Nash... si era dimenticata che il ragazzo si chiamava così. Louane non ebbe tempo per pensare ad altro, perché un attimo dopo si ritrovò all’interno.
Era ancora più grande di quel che sembrava. L’atrio era enorme e a scacchiera, con enormi quadrati di marmo bianco e verde. Le porte che davano sulle stanze del primo piano erano enormi, sebbene più piccole del portone d’ingresso. Una scalinata sorretta da colonne bianche disegnava una curva al centro dell’atrio che portava al secondo piano.
Davanti a lei c’era un’altra Marina. Aveva la pelle leggermente più scura di quella di Lexi e Nash, quindi doveva essere già oltre i quarant’anni: nonostante questo le rughe sul suo viso erano pochissime e i suoi capelli conservavano la loro lucentezza. Nell’insieme si presentava come una donna molto elegante, dalla crocchia che le legava i capelli al tailleur che indossava.
«Lexi! Oh, che bello rivederti!» esclamò, gettandosi al collo della ragazza e costringendola a lasciare la presa su Louane, che non poté fare altro che restare a guardare.
«Devi assolutamente raccontarmi tutto, Lexi. Oh, tu e la tua folle abitudine di non farti sentire!» protestò ancora la Marina prendendo la ragazza per le spalle.
«Mamma, basta così!» protestò Lexi. «Dove si è cacciata Rura? Deve pensare alla ragazza».
«La ragazza?» ripeté la signora King. «Oh, ma certo... dov’è?» si guardò intorno finchè I suoi occhi neri non si posarono su Louane. «Eccola qui. Devo dire che stavolta sembra proprio perfetta...»
Louane arrossì sotto il suo sguardo.
«Bene» esordì la signora King. «Rura, pensaci tu».
«Sì, signora» rispose prontamente qualcuno. Louane si sentì sfiorare delicatamente il braccio da delle dita sottili.
Accanto a lei stava una giovane donna. Aveva sicuramente meno di trent’anni e nell’insieme aveva davvero un bell’aspetto: occhi a mandorla, pelle olivastra e capelli corti e lisci che non le arrivavano più in giù del mento. Indossava un paio di occhiali dalla montatura quadrata e la camicia e i pantaloni che indossava le davano un’aria molto professionale. Louane si sentì quasi in dovere di sorriderle debolmente: si sentiva molto meglio ora che aveva visto un’altra Terrestre... quindi in quella casa non sarebbe stata l’unica in mezzo a uno squadrone di uomini-squalo.
Salirono le scale fino al secondo piano e si diressero verso una delle porte. Tutte le stanze davano sul corridoio, che assomigliava a una sorta di balconata che dava sull’atrio.
Quando furono entrate Louane si guardò intorno: l’arredamento era molto semplice. C’erano un letto anonimo a una piazza, un armadio a due ante, una scrivania provvista di computer, una libreria piena di quaderni, fascicoli, cartelle e fogli vari e un comodino. La stanza le sembrò enorme, ma forse fu solo la sua impressione.
Rura chiuse la porta alle sue spalle, facendo la massima attenzione a non fare rumore, poi si voltò verso Louane e sospirò profondamente.
L’atto di abbracciarla le venne istintivo. Le gettò le braccia al collo e seppellì il viso nel suo petto, singhiozzando e piangendo senza ritegno.
«Lo so... lo so...» la cullava la voce di Rura. «Va tutto bene. Qui sei al sicuro. Non sapranno che hai pianto. Su, su...»
Louane non la ascoltava. Continuava a piangere, sfogandosi di tutta la tensione e la stanchezza accumulate. Si aggrappò alla donna tanto forte da costringerla a inginocchiarsi a terra.
«Voglio tornare a casa... Jean... papà... Marion... Voglio andarmene da qui!»
Rura non disse nulla: non capiva il francese, quindi non poteva nemmeno consolarla. Continuò a carezzarle la testa per tutto il tempo, passandole le dita tra i capelli.
Passò almeno mezz’ora. Quando Louane si fu calmata aveva gli occhi rossi e leggermente gonfi.
Rura le accarezzò la guancia delicatamente, sorridendole appena. Non le importava dei vestiti bagnati di lacrime. «Sei stata bravissima. Ora ti devo chiedere di riposare: domani mattina presto verrò a chiamarti insieme a Cleò per prepararti».
«Cleò?» ripeté, confusa dalla stanchezza e dalla testa gonfia, mentre la donna la aiutava a sedersi sul letto. «Prepararmi per cosa?»
«Ti verrà spiegato tutto domani. Ora devi pensare a riposare e recuperare le forze... temo proprio che ne avrai bisogno». Prese il pigiama appoggiato sulle coperte e la aiutò a togliersi i vestiti – quelli che aveva indossato per tutto il tempo, da quando era uscita dalla piscina della sua scuola – per poi farglielo indossare, quindi la fece stendere sotto le coperte.
«Non te ne andare» sussurrò Louane.
Rura sorrise. «Non me ne vado da nessuna parte. Al tuo risveglio sarò ancora qui».

«...svegliati, ragazza! Dobbiamo prepararti».
Louane aprì gli occhi. Contro ogni sua aspettativa aveva dormito come un sasso: doveva essere stata davvero esausta. Il pigiama morbido e le coperte fresche, poi, erano stati un ulteriore invito al riposo: si sentì perfettamente riposata. In compenso arrivarono la fame... e il bisogno urgente del bagno.
La donna accanto al letto era una donna avanti negli anni, ma non vecchissima. I capelli castani erano striati d’argento e sul suo viso le rughe sembravano più copiose, ma dal suo viso si riusciva a leggere una forza d’animo mai vista.
«Mi scusi...» sbadigliò Louane. «Ci metto sempre molto a svegliarmi».
«Male» la rimproverò la donna. «Vedi di comportarti con più rispetto quando sei con me, ragazza. Adesso giù dal letto, prima che inizi a perdere la pazienza sul serio».
Più tardi Louane scoprì che quella donna era Cleò e che apparteneva alla madre del signor King: in poche parole era il Terrestre con più potere in quella casa. Rura le spiegò che non si impietosiva più di tanto per i nuovi arrivati solo per un motivo: aveva già visto arrivare tutti i Terrestri di quella casa confusi e spaventati, così la sua pazienza era andata lentamente sfumandosi. Quanto ai modi bruschi, purtroppo, erano parte del suo carattere. La giovane francese scoprì tutto questo mentre faceva un bagno, le venivano asciugati i capelli, limate le unghie, depilate gambe e ascelle, aggiustate le sopracciglia. Louane chiese spiegazioni, ma le due donne sembravano ostinate a non volerle dire a che serviva farla bella.
Quando ebbero finito Louane si ritrovò conciata così: i suoi capelli erano arricciati in boccoli sulle punte dei capelli, sulle labbra aveva steso del semplice burro di cacao. Indossava una maglia di un azzurro uniforme, ma che appariva a righe verticali per via della trama; un paio di pantaloni bianchi e delle ballerine nere completavano il tutto.
«Sarà così ogni giorno?» chiese Louane con nervosismo.
«No, solo per oggi» rispose secca Cleò. «Per i prossimi giorni le tue cure saranno affidate solo ed esclusivamente al tuo nuovo padrone».
Fecero per portarla fuori dal bagno, ma qualcuno da fuori fu più rapido ad aprire la porta.
Era una donna. Sembrava più grande di Rura: il suo corpo era formoso e le sue curve erano accentuate da una camicia a righe sbottonata sul collo e da una gonna a tubino. I capelli ricci e castani le incorniciavano il viso, che era caratterizzato da grandi occhi scuri e labbra carnose.
«Bene bene» commentò. «Un nuovo bocconcino, vedo».
«Eh? Fammi vedere!» intimò una voce maschile alle sue spalle.
«Vic, Syona, volete togliervi di mezzo?» ringhiò un’altra voce, sin troppo familiare per Louane.
Non ebbe il tempo per reagire da sola: Rura la spinse fuori e prontamente Nash, appostato là fuori, le afferrò l’avambraccio e la strattonò in avanti.
Restò per un lungo istante a fissarla, inespressivo. Louane non riuscì a capire cosa stesse pensando, perciò chinò il capo e arrossì d’imbarazzo.
«Era ora» commentò infine il ragazzo. «Seguimi, è il momento. Dre?»
«Eccomi...» rispose una voce giovanile.
Louane non credette ai propri occhi. Accanto a Nash arrivò un altro ragazzo della stessa altezza, ma non fu quella la cosa sbalorditiva. Ciò che la sorprese di più era che fosse identico a lui in ogni minimo dettaglio, tranne che per i capelli: se Nash li aveva lunghi, il suo gemello li aveva tanto folti che numerose ciocche andavano a fargli ombra sugli occhi, nascondendoli in parte alla vista.
«E’ lei?» chiese stupito Dre.
«E chi altri?» sbottò irritato Nash.
Il fratello rise. «Sei così di cattivo umore di prima mattina?»
«Sai com’è, di queste alzatacce alle quattro del mattino farei volentieri a meno» commentò l’altro. «Piuttosto tu come fai ad essere così fresco?»
«Ho riposato bene...?» tirò a indovinare Dre. «Chi se ne importa? Avanti, Coco morirà dalla voglia di vedere il suo regalo».
Qualcosa le fu subito chiaro: era un regalo di compleanno. Sì, perché i Marini non festeggiavano un compleanno con torta e candeline da spegnere come facevano i Terrestri: davano il regalo al festeggiato il giorno stabilito all’ora esatta in cui era nato cantando una canzone di rito, quasi si trattasse di un’investitura per l’anno successivo.
Non le restava che scoprire a chi era stata destinata.
Nash e Dre le presero le mani e la condussero su per le scale, arrivando al terzo piano. Quando si fermarono fu davanti a una porta decorata con un paio di fiocchi ai lati dello stipite; Dre appoggiò l’orecchio sul legno per decidere se era il momento di entrare o no, poi fece cenno di sì con la testa.
Entrarono.
La stanza era molto più grande di quella dove aveva passato la notte. C’erano un enorme letto a baldacchino coperto da veli bianchi, una piccola scrivania e un armadio, ma il normale finiva lì: il resto erano tutti peluche, pupazzi, giocattoli e disegni disposti ordinatamente negli scaffali.
Al centro della stanza, sopra un tappeto pieno di arabeschi colorati, stava una bambina. Indossava un vestitino blu scuro per l’occasione e strizzava gli occhi, probabilmente su comando di qualcuno per reggere la sorpresa. Attorno a lei erano disposti i familiari: Lexi, la signora King, una ragazzina dall’aria gracile seduta su una sedia a rotelle e un uomo adulto che Louane intuì dovesse essere il signor King.
Era nervosissima. Si mosse con passo silenzioso seguendo Dre, poi i due gemelli la piazzarono davanti alla piccola, che evidentemente era proprio Coco. Si sedette in ginocchio solo dopo che Nash la spinse in giù.
«Ora puoi aprire gli occhi» disse la signora King in tono dolce.
Coco, al centro del tappeto, spalancò gli occhioni neri e fissò le labbra in una “o” di sorpresa, senza parole.
Louane si sentì di nuovo in imbarazzo ed arrossì. Aveva pensato a tutte le possibilità, tranne quella che il suo proprietario diventasse una bambina di... quanti anni? Cinque?
«Ooh! E’ bellissima!» sussurrò la bambina. «Grazie, grazie, grazie!»
I genitori risero, Lexi incrociò le braccia al seno e sorrise compiaciuta.
«Vorrei vedere! L’ho presa io!» si vantò Nash.
«Nash, Dre, grazie tantissimo!» esultò la bambina, balzando in piedi e andando ad abbracciare i due fratelli. Louane si voltò per guardarla e se ne pentì subito: avrebbe voluto fare lo stesso con suo fratello.
La bambina smise di prestare attenzione ai suoi familiari e si avvicinò a Louane, guardandola da una decina di centimetri di distanza con un sorriso raggiante. «Come ti chiami?»
«Non ha un nome» rispose prontamente Nash. «Daglielo tu».
Coco, inaspettatamente, decise immediatamente.
«Wakko!»
«Wakko?» ripeté Dre con una risata tranquilla.
«Che razza di nome» borbottò a bassa voce Nash, attento a non farsi sentire. «E che le faresti fare, scusa?»
«Da oggi» annunciò Coco con tono solenne «Wakko è il mio cucciolo!»
«Cucciolo?!» ripeterono i fratelli in coro.
«Cucciolo» confermò Coco. Appoggiò una mano sui capelli di Louane e prese ad accarezzarle i capelli biondi. «Brava, Wakko! Da oggi sono la tua padrona!»
Louane fissò la sua nuova padrona a occhi sgranati. Accennò a un sorriso nervoso.
«Tutti fuori! Wakko è spaventata perché ci sono troppe persone!» sentenziò Coco.
«Agli ordini, principessa» disse il signor King. «Attenzione a trattarla con cura. I Terrestri sono delicati».
«Lo so, lo so...»
Louane fissò tutti i Marini finché la porta non si fu chiusa.
«Da oggi dormirai nella mia stanza! Che bello, che bello!» trillò Coco, saltellando per la stanza e battendo le mani.
Louane la guardò senza poter fare a meno di ridere. Possibile che, nonostante tutto, quella vita sarebbe potuta diventare qualcosa di più di una prigionia?

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Capitolo 5
*** Ambientarsi ***


Solo quando Louane e il suo nuovo padrone entrano nel sommergibile che li poterà a casa, quest’ultimo dà le informazioni a Louane: lui si chiama Nash King e fa parte di un’influente famiglia della città di Seahorse. Obbligo di Louane è quello di essere tutto ciò che la sua padrona, Coco, vorrà che lei sia, e di ubbidire ciecamente a qualsiasi suo ordine. Arrivano poi a casa King, che si rivela essere nient’altro che una maestosa villa interamente circondata dall’acqua. A Louane vengono spiegate tutte le regole della famiglia, che è composta da ben nove membri. Dopo una manciata di ore in cui Louane ha potuto riposarsi dal viaggio e prepararsi per la presentazione al resto della famiglia arriva la sorpresa: Coco è una Marina di soli sei anni, che come ruolo da interpretare le affida quello di... cucciolo! Louane è costretta a lasciarsi alle spalle il suo vecchio nome: d’ora in poi sarà Wakko.

05. Ambientarsi

Inizialmente Louane sentì soltanto il calore sulle palpebre: un calore tiepido e avvolgente, stranamente concentrato sul suo viso. Poco dopo scorse il rossore: c’era una luce oltre le sue palpebre chiuse.
Il sole! Louane aprì gli occhi, ma li richiuse subito infastidita e delusa; non era infatti il cielo azzurro quello che l’aspettava... ma il viso altrettanto azzurro di una bambina dai capelli corvini.
«Wakko! Svegliati, svegliati! Prima di andare a scuola giochiamo insieme!»
Lei grugnì e tentò invano di riparare gli occhi dalla torcia che la bambina le puntava contro. La piccola invece s’impuntò e le afferrò il braccio per trascinarla fuori dal letto... o meglio, dalla cuccia, così come era solita chiamarla. «Avanti! Devo darti da mangiare, spazzolarti I capelli e vestirti carina un’altra volta! Alzati! Alzatii!»
La piccola Marina aveva la forza di uno scaricatore di porto Terrestre. Louane non poté fare altro che scivolare fuori dalle coperte e cercare di svegliarsi in fretta, ma il pulsare ritmico del braccio che sentiva contro la pelle morbida e fresca della bambina le annunciava già l’inevitabile. Fece una smorfia cercando di non farsi notare, mentre Coco la portava fuori trotterellando.
Continuava a ripetersi che non si sarebbe mai abituata alla struttura di villa King. Una volta uscita dalla stanza si ritrovava sempre su quella specie di corridoio sospeso sull’atrio d’ingresso dell’edificio, come ad affacciarsi da un balcone. La grandezza di quel luogo le faceva girare la testa, così come la luce artificiale che non le permetteva di distinguere il giorno dalla notte con una semplice occhiata.
«Non è giusto, però. Voglio poterti portare a scuola e farti vedere a tutti i miei compagni di classe, Wakko! Perché non si possono portare i Terrestri?» si lamentò per l’ennesima volta la piccola, mentre cercava di muovere alla bell’e meglio i piedi palmati giù per le scale.
«Sarebbe divertente» commentò Louane con falso entusiasmo. Era suo dovere farsi piacere tutto quello che piaceva alla sua padroncina, indipendentemente da cosa fosse... in realtà una scuola elementare non era altro che l’ennesimo covo di Marini, solo più pericoloso: i bambini lì venivano istruiti anche a non balzare scompostamente sulle prede vive. Non che si trattava di una cosa immorale: era semplicemente una regola d’etichetta per non sembrare uno di quei pazzi che venivano sbattuti in prigione per animalismo eccessivo.
Arrivate in cucina Coco corse per quello che poté verso la credenza e tirò fuori una lattina, poi arraffò un piatto e una forchetta da un altro vano; consegnò infine il tutto a Wakko con un «Mangia, mangia!»
Finiva sempre così. Coco era troppo piccola per aprire una lattina – si sarebbe potuta tagliare le dita, o ancor peggio la membrana tra di esse – quindi lasciava sempre fare al suo animaletto domestico.
La signora King entrò proprio mentre Wakko si sedeva a terra. «Coco, fai sedere Wakko al tavolo quando fai colazione. A pranzo mangia in un’altra stanza ed è tutto a posto, ma così rischierà di ammalarsi. Non mi va di iniziare a spendere soldi per lei prima che sia tornata la nonna, va bene?»
«Va bene» rispose Coco docile. «Wakko, siediti accanto a me».
«Neanche per sogno! Non può sedersi troppo vicino, rischieresti di prenderti qualche malattia. Da quel che ho capito è arrivata da poco e dobbiamo ancora depurarla. Farle il bagno non basta per scongiurare tutti i germi che potrebbe portare addosso».
Ogni volta che sentiva parlare di depurazione Louane si rincuorava del fatto che ci fossero ancora tracce della terraferma su di lei. Avevano buttato via i vestiti con cui era arrivata nell’Oceano e la strigliavano tutto il giorno da ormai una settimana pur di farla assomigliare a tutti gli altri Terrestri – qualsiasi cosa volesse dire – ed evitare un contagio di chissà che cosa. Di cosa avevano paura, di diventare Terrestri anche loro?
Si guardò il braccio e sospirò, vedendo che sulla sua pelle si era formata l’ennesima chiazza violacea di un ematoma. Non le restava che aprire il suo barattolo di speciale cibo per Terrestri e sperare di non ricevere altre botte per quei primi giorni: in una settimana aveva collezionato più lividi di un pugile durante la sua intera carriera.

Lentamente aveva imparato a conoscere gli abitanti della villa King. La più vecchia e detentrice del potere della famiglia era Kala, la madre del signor King: di lei non conosceva altro che la sua passione per i viaggi, dato che da quando era arrivata lì non l’aveva mai vista; si era presa Calì come amministratrice della casa mentre era via e per questo la vedeva solo in quel paio di giorni in croce che tornava per una pausa.
Il secondo in capo era Alexander King, suo figlio: il suo lavoro principale era il giudice, ma per quell’anno era anche sindaco della città; in poche parole aveva un certo potere. Gli era stato regalato Vic dagli amici per anniversario di nozze, ma siccome non aveva bisogno di nulla in particolare lo aveva adottato come animale domestico. Al giovanissimo ventitreenne sembrava stare bene, perché prendeva la routine quotidiana con leggerezza e non veniva mai trattato male dai Marini di casa.
Alisha King era casalinga. Sembrava essere diventata adulta esclusivamente per accudire i sei figli che aveva avuto e durante il giorno non faceva altro che occuparsi della casa, mentre il poco tempo libero che le restava lo trascorreva a riposarsi o a passeggiare con le amiche; Rura la aiutava nelle faccende e le alleggeriva la fatica per quanto poteva, aiutandola anche a mettersi in tiro per le occasioni speciali.
Kane King restava pressoché uno sconosciuto. Louane sapeva che si era sposato da qualche anno e che non aveva ancora figli, ma Rura si era anche premurata di dirle che era a capo di un centro commerciale, cosa che lo aveva fatto diventare ancora più ricco di quanto non fosse già. Lexi era ancora nubile nonostante il luogo dove lavorava fosse pieno zeppo di uomini: forse era per il suo carattere troppo sbarazzino per quel genere di ambienti. Lei lavorava infatti in prigione come guardia, appoggiata da un Terrestre da guardia che le era stato affidato allo scopo: sembrava che tutti in famiglia la ammirassero per questo.
Sui gemelli Dre e Nash non c’era molto da capire: s’intuiva al primo sguardo che avessero caratteri completamente opposti come nel più banale dei cliché. Dre era gentile e modesto, sempre pronto a rendersi utile e ad appoggiare gli altri se necessario; Nash invece era presuntuoso e cinico tutto il tempo e si divertiva in particolare a stuzzicare gli altri con frecciatine e commenti sarcastici. Havor, che per Dre era una sorta di precettore – non era molto portato per lo studio: probabilmente il suo unico difetto – sosteneva tranquillamente che Nash non era mai stato così pungente prima dell’arrivo di Louane: questo contribuì a farla sentire ancora più braccata, dato che prendeva di mira soprattutto lei.
Syona, la Terrestre di Nash, era un caso estremamente particolare: Nash l’aveva comprata all’asta per puro capriccio e nel momento in cui dovette decidere il ruolo da assegnarle le disse solo «fai quello che ti pare». Probabilmente un caso unico e mai visto in tutta Seahorse, dato che questo significava che Syona poteva fare in assoluto tutto quello che desiderava e avere gli stessi diritti dei Marini senza che nessuno potesse metterle freni; era probabilmente per questo che un po’ tutti in casa la tolleravano a malapena.
Shania era poco più grande di Coco e se ne stava tutto il giorno in camera sua. A Louane era vietato avvicinarsi nel modo più assoluto perché non ancora depurata, mentre tutti gli altri potevano a patto di comportarsi bene. Era in assoluto la più coccolata della casa, motivo di enorme invidia da parte di Coco.
Nonostante tutto ci si sarebbe potuta abituare, ma dubitava di poter tornare mai alla serenità di quando era ancora in Francia con la sua famiglia.

«Ciao Wakko! Fai la brava! Torno presto, tranquilla!»
Louane salutò la padroncina con un cenno della mano e il sorriso più luminoso che riuscì a fare. Le aveva fatto indossare una minigonna grigia con una camicia bianca e le aveva gonfiato i capelli a furia di spazzolarli, per poi applicarvi una singola mollettina blu. Ai piedi aveva pensato bene di metterle un paio di scarpe a tacco alto straordinariamente scomode, mentre le sue braccia e le sue dita erano cariche di bracciali e anelli di qualsiasi tipo. La ragazza non poté che essere grata a Coco di averla risparmiata dal farle indossare anche orecchini e collane, o magari persino una delle tiare in oro da principessa che aveva scorto nell’enorme bauletto di travestimenti della sua cameretta.
«Sembri Sara Long*».
Louane sospirò. «Evitiamo certi commenti quando sono addobbata così. Più che un’attrice sembro un manichino di gioielleria».
Vic, che aveva parlato, ridacchiò. «Allora vai a scaricare tutti gli addobbi in camera di Coco. Oggi proviamo a giocare a pallavolo».
«In due?»
Possiamo fare qualche passaggio! Avanti. Finora ho sempre giocato tutto solo... adesso che c’è un altro animale domestico in casa vuoi che continui? Poi non va bene essere troppo asociali quando si è cuccioli».
«Va bene, vado, vado!» borbottò Louane seccata. Fece per avviarsi verso la scalinata con passo spedito, ma i tacchi la fecero barcollare e cadere a terra.
«Ecco perché sembravi così alta! ...vedo che oggi sono bianche» Vic fu colpito da un’altra scarica di risa. Louane arrossì per l’imbarazzo e si alzò a sedere, facendo per togliersi da subito le scarpe.
«Non se ne parla nemmeno, Wakko!» la riprese subito Cleò. La bionda si guardò intorno, non capendo subito dove si trovasse, poi si rese conto che l’aveva vista dal terzo piano della villa: si sporgeva dal parapetto come un avvoltoio. «Lascerai le impronte sul marmo se cammini a piedi nudi. Togliti le scarpe solo quando sarai in camera!»
Vic le si avvicinò. «Se vuoi ti porto in braccio io».
Louane scosse la testa. «L’ultima cosa di cui ho bisogno è l’aiuto di un pervertito che ogni giorno cerca di scoprire il colore della mia biancheria» dichiarò in tono secco. Si rialzò in piedi e si avviò verso le scale con più calma.
«Così perdi un sacco di tempo, però!» protestò il ragazzo imbronciato.
«Peggio per te. Io non ci perdo nulla» rispose a tono Louane.
Non sapeva esattamente perché, ma non riusciva a sciogliersi e ad essere amichevole con Vic. Era davvero molto simpatico e con lei era sempre stato carino... ma era il suo prendere tutto con superficialità a irritarla di più. Le sembrava quasi che lui non tenesse affatto alla sua vita in superficie, e questo non faceva che peggiorare le sue opinioni per lui.
Quando fu finalmente arrivata in camera di Coco, Louane si tolse finalmente le scarpe e si sedette sul proprio giaciglio con un sospiro di sollievo: anche se le aveva indossate per poco, quelle scarpe iniziavano già a farle male. Prima di togliersi anche il resto aprì l’armadio – ne avevano comprato un altro apposta per il suo guardaroba, escludendo i vari travestimenti che le faceva indossare Coco – alla ricerca di qualcosa di più pratico. Pescò un paio di pantaloni da ginnastica, una maglietta a maniche corte e un paio di scarpe da tennis, poi si prese anche un elastico per legarsi i capelli. Una volta preso tutto iniziò a spogliarsi, quando la porta si aprì all’improvviso.
Syona non fece caso né a Louane né al suo squittio sorpreso. Si diresse subito all’armadio della ragazza per frugarci dentro, tirando fuori un paio di pantaloncini corti. Continuò a cercare per un po’, con Louane impietrita al suo posto, poi afferrò la maglietta che la bionda aveva preso per sé e fece per andarsene.
«Ehi!» protestò Louane. «Quella volevo metterla io!»
Syona le lanciò un’occhiata di sufficienza, poi sorrise con malizia e disse qualcosa in spagnolo sudamericano. Uscì dalla stanza senza degnare Louane di una parola in Marino.
Alla giovane francese non restò molto da fare: tornò all’armadio per cercare un’altra maglietta a maniche corte. Ci mise anche più tempo del previsto, perché Syona aveva pensato bene di mettere a soqquadro tutto il guardaroba: come si permetteva di comportarsi in modo così incivile?

L’umore di Louane non migliorò quando scoprì che Syona avrebbe giocato con loro.
«Oggi ho proprio voglia di muovermi un po’» dichiarò Syona. «Poi se siamo in tre possiamo fare un gioco, piuttosto che fare solo passaggi. Che ne dite di torello?»
«Ma no, alla fine sarebbe come fare dei passaggi normali... e per di più solo in due. Giochiamo a schiaccia tre, invece!» propose Vic.
«Per me va bene» concordò Louane.
Syona le lanciò un’occhiataccia, poi sorrise. «Certo, come volete».
Fu da quel momento, precisamente da quel momento, che Louane ebbe la certezza del disprezzo di Syona nei suoi confronti. Non restava che scoprirne il motivo.

«Avanti, Nash!»
«No».
«Per favore».
«No».
«Ti prego, ti imploro, ti supplico».
«No, no e no».
«Ti ci trascino».
«Non mi puoi costringere!»
Eyla abbassò lo sguardo, lasciando che i suoi boccoli neri scivolassero a coprirle il viso. «Non è giusto. Perché devi essere sempre così cattivo con me? Sono la tua ragazza...»
«Appunto. Devo mantenere la disciplina». Nash sorrise divertito e le cinse le spalle con un braccio. «Spiacente, ma non verrò al cinema stasera. Mia nonna torna a casa e mio padre vuole che ci siamo tutti».
«E chi se ne frega? Sono più importante io o tua nonna?»
«Mia nonna».
«Bastardo. Sei l’essere più crudele dell’Oceano. Vai a farti sbattere in cella con gli altri pazzi». Eyla si strinse di più a lui. «Stiamo insieme oppure no? Perché non passi più tempo con me? Non riesci ad essere più dolce?»
«Siamo arrivati» disse Nash, alzando lo sguardo sulla monofamiliare davanti a loro.
«Ti odio» mormorò la Marina.
Nash la guardò, poi sorrise intenerito. Si chinò su di lei: «certo che riesco ad essere più dolce... ma se lo fossi, resteresti la mia ragazza?» le baciò la fronte.
Eyla gli cinse il collo con le mani e lo baciò sulle labbra. Era sempre fresco, il tocco di Eyla: le sue mani erano come l’acqua degli abissi marini e le sue labbra lasciavano sempre una piacevole sensazione di umido sulla pelle. Nash rispose al bacio, facendo scendere le mani sulla sua vita e stringendola a sé con trasporto.
Inaspettatamente fu proprio lui a interrompere il contatto. «A domani, allora».
«Nash...» che a Eyla dispiacesse, era un dato di fatto. «C’è qualcosa che non va?»
«No, va tutto bene» rispose lui tranquillo. «Ciao».
Dopotutto non c’erano motivi per cui qualcosa dovesse andare storto.
«Coda di cavallo» esordì Dre dopo un po’, raggiungendolo.
«Trickster**» lo apostrofò Nash con una risata.
«Sei sicuro di non volerti tagliare i capelli?» chiese il gemello per l’ennesima volta.
«Potrei chiederti la stessa cosa» ribatté Nash.
Ci fu un breve silenzio.
«Allora?»
«Allora cosa?»
«Allora che diavolo ti prende?» sbottò Dre. «Sei diventato scorbutico all’improvviso. Posso sapere che cos’hai una volta per tutte?»
«No».
Dre lo guardò allibito, ma non indagò. «E per la festa?»
«Non ci vado. Esco con Eyla».
«Ah».
Il loro dialogo era strano. C’era qualcosa di diverso dalla loro solita complicità: qualcosa che era andato consumandosi, ma c’era sempre stato... e ora mancava del tutto. Per quanto si sforzasse, non riusciva a trovare una risposta.
Percorsero il resto della strada verso casa in silenzio. Quando furono arrivati scorsero due persone che giocavano con un pallone: Wakko e Vic.
I due Terrestri smisero di giocare appena i due fratelli si furono avvicinati. Dre li gratificò di un sorriso; Nash rivolse loro un’occhiata di sufficienza e fece per passare oltre.
«Nash, hai finito di fare l’antipatico, per oggi? Non ti hanno fatto niente, mi pare».
Il ragazzo si fermò, voltandosi verso Dre. «Hai ragione».
Prese il pallone dalle mani di Vic e lo fece rimbalzare un paio di volte. «Mark mi ha detto che è particolarmente brava a nuotare. Vediamo se è vero». Prese la palla tra le mani e la lanciò con forza verso una delle due enormi piscine che circondavano la villa. Quella atterrò con un lieve tonfo sulla superficie dell’acqua, increspandola.
«Riporta» ordinò Nash, fissando Wakko e indicando la palla.
La ragazza non aveva scelta. Si voltò verso la piscina e si tolse le scarpe, poi si tuffò vestita in acqua e nuotò verso la palla più in fretta che poté.
«Ah, è vero che è veloce» commentò Nash.
«Perché devi essere così odioso?» sbottò il gemello con risentimento.
«E che t’importa? Sono animali domestici. Devono ubbidire ai padroni e giocare ai giochi che decidono loro senza fare storie. Considerala come una prova per testare la sua ubbidienza».
«Nonostante... tu...» Dre rinunciò a esprimere il suo pensiero in partenza. «Lascia perdere».
«Bene». Nash si diresse verso casa con passo strascicato.
Wakko spuntò poco dopo dall’acqua, lo sguardo in cerca di Nash. Quando lo vide che se ne andava non riuscì a nascondere la confusione.
«Vieni, devi andare ad asciugarti» disse Dre. Le porse la mano per aiutarla ad uscire, poi si fece seguire da entrambi gli animali domestici fino all’entrata.
«Signorino Dre! Non può far entrare quella ragazza! E’ completamente bagnata! Il marmo...» cominciò Cleò non appena li vide.
Dre le porse le scarpe da ginnastica di Wakko dopo averle strappate di mano alla bionda. «Allora vai a mettere a posto queste. Vic, porta Wakko in braccio fino in bagno e chiama Rura, così non deve toccare il pavimento».
Cleò non trovò niente da ridire. Wakko fece per protestare, ma Vic l’aveva già afferrata ridacchiando tra sé.
«Quindi insieme al bianco hai scelto il rosa di pizzo, eh?» bisbigliò divertito.
Wakko gli tirò una sberla in testa. «Maniaco. Fallo ancora e ti picchio».
«Ma se mi hai già picchiato?!»
«Zitto».

*Una famosa cantautrice Marina. E’ famosa per l’abbigliamento succinto che indossa nei suoi video e per i numerosi anelli che ha alle dita, che si è fatta applicare a costo di forare le membrane che ha sulle mani.
**Una sorta di demonio ingannevole che appare nell’omonimo film vincitore del Disco Blu: tutti gli appartenenti alla specie sono accomunati da folti capelli che servono per nascondere gli occhi rossastri.

Hello everybody.
In ritardo? Forse. Pigra? Sempre. Troppo pigra? Mai.
Rieccoci qui con un nuovo capitolo. Voglio un applauso u_u
Ho deciso che aggiornerò le storie in ordine di mia preferenza personale e di numero di recensioni ricevute all’ultimo capitolo. Se volete che aggiorni prima questa storia piuttosto che le altre, non vi resta che continuare a recensire uwu
Ringrazio chi preferisce, ricorda e/o segue la storia. Oh, ragassHi çAç sono cosHì oGGogliosHa.
Infine ringrazio tutti coloro che leggono in silenzio. Anche se non so cosa ne pensate. °-°
Adesso rispondo alle recensioni. Stavolta siamo a cinque. Cinque! Mi farete impazzire °A°

Elienne: grazie per la recensione *w* Ebbene sì, la nostra Lou si è decisa di fare resistenza, ma non ha potuto evitare di scoppiare in lacrime. Povera piccola!
Te lo spiego subito: i Marini appartengono a una particolare classe di pesci maggiormente evoluti che vengono detti pesci polmonati. Sono pesci che esistono anche nel nostro bel mondo reale, ma da loro ho preso solo il nome x°D In realtà i Marini possiedono due distinte “piccole circolazioni” che trasportano l’ossigeno al cuore: una che si lega ai polmoni e un’altra che passa per le branchie. I Marini sono anche capaci di contrarre branchie e polmoni per sfruttare entrambe nello stesso momento, nel caso ne avessero il bisogno – della serie: gonfiare un palloncino durante un’immersione.
Non lasciarti ingannare dal comportamento dei Marini. Sanno trattare i Terrestri con più gentilezza solo perché sono assolutamente sicuri di essere superiori, quindi non hanno bisogno di far sentire i Terrestri ancora più inferiori di quanto non sono già.
Sto blaterando troppo =S Grazie per la recensione. Al prossimo capitolo!

_WonderWay: grazie per il commento in positivo *__* E’ esattamente ciò a cui miravo. Ho scartato quello che non mi serviva e ho riciclato quello che poteva tornarmi utile. Spero che dopo aver letto questo capitolo tu non voglia uccidermi... ma se Nash è così secsi è impossibile che qualcun’altra non ci faccia un pensierino! Lol. *va a sotterrarsi* Lo sapevo, sono andata di corsa. E ho l’impressione di aver corso anche qui. PoverameH. T_T
Vabbè. Piagnistei a parte, spero che continuerai a seguire la storia. I tuoi disegni sono troppo secsi *O*

beainlove: con te sto iniziando a disperare. Sono contenta che i capitoli che scrivo ti piacciano, ma come faccio a capire cosa intendi con “bello”? Non mi dici nient’altro. Sarebbe carino se mi scrivessi qualcosa di più, se proprio vuoi lasciare una recensione.

Ombrosa: ehi laggiù! *^* Sono contenta che tu abbia recensito. Devo confessare che anche io avrei paura dei Marini... dovrei farci l’abitudine prima di averci a che fare. Immaginati in stile anime/manga sarebbero anche fiQi, ma dal vivo... ARGH. Louane è una fortunella in questi capitoli. Vedremo se le cose cambieranno... per il momento non posso che ringraziarti sinceramente per la tua recensione e sperare che tu legga anche questo capitolo *____*

Kahoko: che bella recensione! *O* Sono contenta di conoscere un parere spassionato. La storia è in crescita e la scaletta dei capitoli in ri-ristrutturazione, ma dovrei continuare a scrivere in modo decente. A grandi linee. Insomma °^°
Grazie per avermi scritto una recensione così completa ^O^ Sono quelle che preferisco. Non so se si è notato, lol... ma spero vivamente di leggerne un’altra *w*

Fine. Al prossimo capitolo, genteH! Ciao.

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Capitolo 6
*** Ufficialmente nostra ***


Il compito di Louane sembrava semplice: giocare con Coco, ubbidire ai suoi ordini e assecondare i suoi capricci... ma se non ci si può comportare come esseri senzienti è piuttosto dura. In aggiunta a ciò sembra che Nash si diverta a mettere a dura prova la sua capacità di adattamento, facendole pesare maggiormente il suo non essere considerata come una vera e propria persona. Louane impara presto a conoscere gli altri Terrestri che girano per casa: tra tutti, sembra che solo Vic, appartenente ad Alexander, sia costretto a comportarsi da animale domestico oltre a Louane... mentre Syona, la Terrestre di Nash, può comportarsi tranquillamente come più preferisce senza dover rispondere di nulla a nessuno. Pare che Nash, agli occhi del gemello e della sua ragazza Eyla, ultimamente si comporti in modo strano. Cosa gli sarà mai preso?

06. Ufficialmente nostra

«La parte più irritante della faccenda è che sono maledettamente buoni, non pensi anche tu?»
Louane fissò il piatto di croccantini ripieni davanti a loro. «Già. Si chiamassero “cereali”, ma anche “crocchette” andrebbe bene... no. Ci danno il mangime».
Vic ne prese una manciata e li mise in bocca, sgranocchiandoli rumorosamente. «Il bello è che i Marini fanno molta più impressione quando mangiano. Alla fine sono sempre una specie di mezzi squali, quindi ingoiano pesce crudo senza scartare nulla. Meno male che mangiamo separati a pranzo e a cena!»
Lei rise di gusto. Era divertente stare lì seduti a pescare bocconi da un piatto con Vic facendo gli aristocratici: era un modo per sfuggire alla routine.
Fu qualcosa di nero ad attirare la sua attenzione sul collo di Vic. Louane si chiese come aveva fatto a non notarlo prima. «Che cos’è quello?»
«Ah» Vic si sfiorò il collo per riflesso, dove era legata una striscia in pelle nera chiusa con una cinghia.
«Oh mio dio, e quella cicatrice che cos’è?» esclamò Louane sconvolta, indicando l’avambraccio di Vic. C’era una spessa cicatrice dritta e bianca, come un taglio chirurgico di precisione.
Vic rise. «L’operazione. Quando diventi un servitore dei King non può succederti nulla, ma gli animali domestici come noi hanno bisogno di un modo per essere riconosciuti e riportati a casa. I King hanno una montagna di ron a disposizione, quindi mi hanno fatto installare un chip dentro il corpo quando sono stato depurato. Il collare invece me l’ha fatto la signora madre del mio padrone per bellezza. Lo so, non è proprio un bello spettacolo da vedere» disse, sfiorandosi il braccio.
Louane fece una smorfia d’orrore. «Toccherà anche a me mettere un chip?!»
«Non so, può darsi» rispose Vic. «Pare che tu dia molto fastidio a Nash, perciò non credo che vorranno spendere troppi soldi per te... oltretutto dopo esserti messa il chip dovrai evitare gli sforzi fisici per circa una settimana, e allora chi la sente Coco? No, probabilmente ti metteranno solo un collare o ti legheranno un nastro ai capelli... qualcosa del genere».
Louane si pulì le mani dalle briciole. «Non ho ancora capito perché ce l’ha tanto con me. Sono una Terrestre, lui è uno dei miei padroni Marini, la città ruota intorno a lui e magari anche tutto l’Impero, ma perché continua a vessarmi così? Non gli ho fatto nulla di male, a parte esistere!»
«E’ da un po’ che ci penso» disse Vic pensieroso, leccandosi le dita. «I Marini possono avere tanti motivi per detestare istintivamente qualcuno. Non si parla di Terrestri, ma di persone in generale... è un po’ nella loro natura. Dovresti averlo imparato a scuola, credo».
Come dimenticare? Una delle lezioni più importanti per poter prevedere il comportamento di un Marino. La mente Marina risentiva ancora dei suoi istinti animali molto più degli uomini – uno dei motivi per cui la prigione era più una sorta di manicomio – e ogni tanto era portata a comportarsi come in natura. I forti schemi eretti dall’Impero, tuttavia, impedivano spesso ai Marini di comportarsi come desideravano... e questo comportava un forte stress che andava a scaricarsi sul primo malcapitato a tiro.
«Esatto» sorrise Vic. «Non resta che scoprire perché reagisce in questo modo. Il motivo c’è di sicuro... ma non prenderla come un fatto personale. Considera che Nash è il fratello preferito di Coco, quindi potrebbe anche essere per gelosia: magari non gli sta bene che tu sia il nuovo giocattolino di sua sorella».
Louane annuì. «Non ci avevo mai pensato sul serio. Immagino che per tutti i fratelli sia così». Ricordava alla perfezione il giorno in cui Jean aveva presentato in famiglia la sua ragazza: arrivata la sera si era ritrovata ad occhi asciutti, tante erano state le occhiatacce che aveva lanciato ad entrambi.
«Sì, forse» tagliò corto Vic sbrigativo. «Ti conviene andare a rimetterti in ghingheri prima che Coco rientri e ti trovi vestita così».
Dannazione. «Giusto, sarà meglio...» si alzò in piedi e corse fuori dalla stanza, con Vic che ridacchiava tra sé.

Il rientro di Coco da scuola prima dell’arrivo di Kala fu provvidenziale: la bambina pensò personalmente a cambiare gli abiti a Louane per metterle qualcosa di più comodo. Louane quasi si pentì di essere andata in camera della bambina ad agghindarsi di nuovo.
«La nonna odia i gioielli e i vestiti eleganti: le piacciono di più i vestiti sportivi!» diceva la bambina mentre la aiutava a togliere gli addobbi sparsi sul suo corpo. «Non le piace nemmeno il trucco. Posso solo spazzolarti i capelli».
E glie li spazzolò. In fondo era piacevole, in più l’entusiasmo di Coco era contagioso, ma la sua forza eccessiva nell’operazione le costò un gomitolo di capelli grosso quanto una noce, mentre quelli ancora ben saldi sul suo capo finirono per gonfiarsi. Coco ebbe l’idea poco geniale di inumidirle la chioma per renderla più docile, ma Louane sapeva bene che disastro sarebbe diventato più tardi... tuttavia non ebbe il coraggio di contraddire Coco, che in quel momento sembrava del tutto esaltata: non sapeva come avrebbe potuto reagire contro di lei, visto e considerato che restava la sua padrona ufficiale.
Per pranzare la famiglia decise di aspettare l’arrivo della nonna, così si ritrovarono tutti con del tempo libero in più. Alexander si andò a sedere comodamente in salotto a leggere un libro, Nash e Dre si misero a giocare a un videogioco, Vic e Louane si rincorrevano su richiesta di Coco, che li guardava e non la smetteva di ridere, Alisha continuava a lamentarsi dell’ordine del salotto rovinato per colpa di tutta la famiglia.
«Presa di nuovo!» ridacchiò Vic, dopo aver acchiappato Louane per l’ennesima volta afferrandola per la vita. Forse una presa imbarazzante in superficie, ma lì perdeva completamente di significato: erano solo due Terrestri che giocavano, con una bambina ad applaudire ogni volta che Vic faceva bene qualcosa.
«Così pestate tutto il tappeto, Coco! Dre, porta tua sorella a giocare fuori con Wakko».
«Mamma!» protestarono i gemelli, non vedendo il motivo per cui il tappeto non si dovesse calpestare.
«Ubbidisci, Dre. Coco, il salotto non è assolutamente il posto migliore per giocare, credevo di avertelo già insegnato!»
«Ma Nash gioca sempre qui ai videogiochi e tu non gli dici niente!» frignò la bambina.
«I videogiochi sono un’altra faccenda, piccola. Vai a giocare fuori, da brava» disse dolcemente il padre.
Dre abbandonò il joystick a terra accanto a Nash. «Scusa, fratello, ma il dovere mi chiama».
Nash non disse niente, ma la sua espressione si fece così cupa da far credere che stesse succedendo qualcosa di peggio che la sospensione di una corsa virtuale di auto. A Louane parve che il suo sguardo si posasse per un attimo su di lei, ma si sbrigò a guardare altrove mentre Coco, con la sua solita delicatezza, le prendeva il braccio e le strizzava ancora una volta la pelle.
«Non possiamo andare in acqua, perciò giocheremo lungo il muro di casa. Attenta a non farti male, Coco» si raccomandò Dre.
Coco rideva come una pazza. Aprì il pesante portone di casa con sorprendente facilità e la trascinò giù per le scale esterne. «Parla, Wakko! Parla! Parla!»
Louane rimase interdetta. «Ehm...»
«Come mi chiamo io? Chi sono io?» le domandò Coco, come se giocassero agli indovinelli.
«Padroncina» borbottò la ragazza incerta.
Coco sorrise imbarazzata, come se le avessero fatto il miglior complimento del mondo, ma ovviamente non arrossì. «E Dre? E Dre?»
Non seppe cosa rispondere: non le era stato specificato che relazione aveva con gli altri della casa, così decise di fare la finta tonta. Coco era proprio il tipo di bambina cui piace sentirsi superiore almeno al suo animaletto. «Il signorino Dre...?» fece, inclinando la testa di lato.
Bastò a conquistare la bambina, che lasciò la presa per tenerle le mani più delicatamente. «Dre è il padrone! Pa-dro-ne!» sillabò.
Louane guardò di sottecchi Dre, sempre con un’espressione confusa. «Padrone?»
Dre sorrise. «Padrone» confermò.
Coco rise e trotterellò avanti, sempre con la sua Terrestre e il fratello maggiore al seguito. «Wakko, vieni! Vieni a vedere!»
Iniziarono a fare il giro della casa, dedicandosi soprattutto al contenuto delle piscine che la circondavano. Coco immergeva tranquillamente le braccia fin oltre il gomito, facendo attenzione a non bagnare la manica della maglietta e accarezzando i pesci che si avvicinavano in superficie e le baciavano le manine palmate. Louane fu invitata spesso a fare la stessa cosa, ma sembrava proprio che lei e i pesci non fossero fatti per essere amici. Dre sorvegliava dall’alto con l’aria di chi si diverte un mondo, mentre Louane in un certo senso si sentiva in imbarazzo. Era considerata meno di niente, lì: perché si sarebbe dovuta sentire così?
«Andiamo, di là ci sono i coralli! Dre, poi mi aiuti a staccarne un pezzo? Mi serve» esclamò Coco, che si portò di nuovo avanti rispetto agli altri due.
Prima che Louane potesse raggiungerla Dre l’afferrò per il braccio. «Rallenta e ascoltami senza fare la stupida».
Lo disse molto freddamente. No, non proprio freddamente, quanto piuttosto in modo parecchio intimidatorio... come se ce ne fosse bisogno: in quei primi giorni Louane non aveva la minima intenzione di venir meno a un qualunque ordine.
«Ordini, padrone» rispose Louane con un sorriso. Doveva pur sempre fare l’animale domestico, e l’animale domestico aveva il dovere di fare l’affettuosa con tutta la famiglia.
«Sembra che mio fratello ti abbia presa in antipatia, Wakko. Vorrei consigliarti, per la sua salute mentale e la tua salute fisica, di stargli alla larga più che puoi fino a nuovo ordine».
Louane non riuscì a trattenersi. Voltò lo sguardo verso di lui, un’espressione leggermente dubbiosa in viso. «Perché?»
Non era relativo a quell’ordine, quanto alla situazione in generale. Il modo che aveva Nash di trattarla così male poteva essere una reazione naturale allo stress o alla gelosia per sua sorella, ma le sembrava piuttosto esagerato. E ora quell’ordine: perché doveva tenersene alla larga? Così non credeva certo che la situazione sarebbe migliorata, anzi: forse lo stress di Nash si sarebbe accumulato sempre più; a quel punto avrebbe anche potuto divorarla in un agguato notturno.
Dre osservò il suo viso con attenzione. Per un po’ sembrò analizzarla minuziosamente, con gli occhi neri che si ingrandivano e riducevano, come una coppia di obiettivi di videocamera. Strinse appena le labbra tra loro e a Louane parve di scorgere il profilo particolare della mascella oltre la pelle azzurrina: deglutì rumorosamente. Infine il ragazzo sospirò e la lasciò andare. «Lo scoprirò. Disinteressatene e raggiungi Coco».
Louane sentì un brivido percorrerle la schiena non appena fece il primo passo. Non aveva detto “non ti deve interessare” come avrebbe fatto un essere umano, ma “disinteressatene”. Come se fosse possibile lasciar perdere una cosa che la riguardava tanto da vicino.
Coco era accovacciata accanto alla piscina. Proprio in un angolo, dove c’era una sorta di scalino, si era stranamente formato del corallo verdazzurro. «Vieni, Dre, vieni a prendermene un pezzo!» esclamò Coco galvanizzata.
Dre sbuffò fingendosi scocciato, ma sorrideva tranquillo. Come se quel suo avvertimento fosse stato solo un sogno ad occhi aperti di Louane.
Il ragazzo si tirò su la manica e fece per immergere il braccio, ma una mano sottile s’immerse al posto suo e afferrò un pezzo di corallo più in fretta di lui. Una mano palmata che non era di Coco, né tantomeno di Louane.

Pensando a una donna Marina di quasi novant’anni Louane aveva sempre immaginato una vecchia piegata in due dagli acciacchi con la pelle blu e le zanne ridotte a pochi, modesti triangoli bianchi. Quella che invece era effettivamente Kala era una donna forte con pochissime rughe, nonostante la pelle più scura e le varie chiazze azzurrine che segnalavano la sua età. La sua dentatura era perfettamente a posto e gli occhi erano brillanti quanto quelli di Coco. Anche l’abbigliamento era particolare: indossava un paio di jeans e un giubbotto di pelle sopra la sua maglia, tanto che a prima vista Louane l’aveva scambiata per Lexi, che invece era arrivata proprio insieme a lei. Attorno a un dito aveva un anello matrimoniale che forava le membrane interessate e che saltava inevitabilmente all’occhio: era nero con riflessi violacei e sottilissimo, evidentemente fatto con il guscio di un mollusco, chssà poi come.
Coco mostrava con orgoglio il braccialetto d’oro bianco che le aveva regalato Kala King, continuando a guardarlo e a giocherellarci. Nash e Dre avevano intascato i soldi in regalo con entusiasmo moderato: dato che la nonna non voleva comprargli videogiochi o altre cose per ragazzi della loro età, lasciava che ci pensassero da soli fornendogli soltanto la grana. Alisha salutò Kala con modi anche troppo affettati, mentre Alexander la baciò sulla fronte e l’accolse calorosamente, abbandonando alla svelta il giornale sul divano.
I saluti non furono da meno neanche da parte dei Terrestri. Salutò Havor e Rura come vecchi amici, arrivò ad abbracciare Cleò come una sorella e accarezzò Syona e Vic come fossero figli suoi.
«E questa chi sarebbe?» esordì con la sua voce potente, guardando Louane come se la vedesse per la prima volta.
«Lei è Wakko, nonna! E’ il mio nuovo cucciolo! Ti piace? Non è carinissima?»
Louane avvampò, sentendo per l’ennesima volta tutti gli sguardi su di sé.
«Fammi pensare» borbottò lei. «E’ difficile dirlo così su due piedi. Devo testarla».
Le si avvicinò e le gettò le braccia al collo in un abbraccio, sotto lo sguardo attonito di Marini e Terrestri presenti.
«Mamma, cosa stai facendo?» rise Alexander, mentre Alisha alzava esasperata gli occhi al cielo: non doveva essere la prima volta che succedeva.
«Solo un attimo» sussurrò Kala a Louane. La ragazza sentì chiaramente il suo fiato gelido sibilare tra le zanne e rabbrividì, mentre le sue dita fredde le sfioravano delicatamente la gola insieme a qualcosa di morbido e sottile che non era carne.
«Ecco fatto». Nonna Kala sciolse la presa e la guardò di nuovo. «Adesso sì che è perfetta, a mio parere».
Louane si toccò il collo incerta. Sentì sotto le dita qualcosa di liscio che sembrava pelle: lasciò scorrere i polpastrelli e le parve di sentire un nastro legato in un fiocco; dalla consistenza sembrava raso.
«Un collare! Che bello, grazie nonna!» esultò Coco abbracciandola. «Adesso quindi è tutta mia?»
«Ufficialmente tua... anzi, nostra». Kala rise. «Ricordati di prendertene cura, però».
«Sì, i collari sono costosi» ghignò Nash sommessamente.
«Nash, mascalzone!» lo riprese Kala, mentre i gemelli scoppiavano a ridere di gusto. Louane li guardò come tutti, ma un’occhiata di Dre la convinse a guardare Coco che la fissava a sua volta.
La famiglia era calorosa, il rapporto con gli altri Terrestri era più o meno tranquillo... perché doveva sembrarle tutto così complicato?

Ciao ragazzi.
Lo so che non aggiorno da un po’. E pensare che mi ero ripromessa di aggiornare più spesso °__° Il fatto è che durante le vacanze non ho mai voglia di fare niente, mentre quando c’è scuola ho meno voglia di mettermi a lavorare di più. Poi ci sono le altre fic da continuare, di cui una da concludere una volta per tutte, i progetti in mente da appuntare sul computer, i progetti che sogno di presentare a una casa editrice, le recensioni che sto trascurando... insomma, di cose da fare ce ne sono; aggiungete la mia natura pigra e lavativa e forse capirete perché sono così in ritardo. Ma via: dato che l’ultimo capitolo è stato il più commentato rispetto agli altri ultimi capitoli delle mie fiction in corso, come promesso ho deciso di aggiornare questa per prima e di occuparmi in seguito delle altre. Contenti?
Voglio ringraziare tutti i meravigliosi lettori che mi seguono e che ogni tanto tornano a controllare se ho aggiornato oppure no. Le letture “a sbafo” non mi vanno molto giù in generale, ma ripensandoci dovrei almeno essere grata del fatto che c’è qualcuno a leggere quello che scrivo. Vi ringrazio moltissimo... anche se c’è una cosa strana: gli ultimi due capitoli hanno più visite dei precedenti. C’è qualcuno che salta i capitoli per arrivare ai punti più interessanti, o forse dipende dal fatto che ci ho messo tanto a rispondere? Boh.
Passiamo ai nomi noti. Mentre sto scrivendo ci sono esattamente 10 persone che preferiscono la mia storia. Non posso che ringraziarli tutti, in ordine alfabetico perché quello cronologico non lo ricordo: beainlove, black horse (che segue anche *__* grazie!), Cobwy23, Daphne_Descends, Elienne, Lady Koishan, Milou_ (che mi ha riacchiappata al lazo xD ringraziate lei se scrivo invece di fare i compiti), Ombrosa, PizzaPazza e pollon74. Grazie davvero.
Ringrazio i magnifici 6 che, bene o male, si ricordano ancora di questa fic (e magari, per una minima possibilità, anche di me): bersa, demetra85, Ghen (che non ringrazierò mai abbastanza, credo), Kicici, redarcher e SyamTwins. Chi ricorda non si scorda *^* Ok, pessima battuta.
Per finire con l’elenco di nomi, ovviamente, elenco chi segue. In tutto siete in 19 a seguire °O° Fantastico! E ho pubblicato solo cinque capitoli! LOL. Finiamola con questi elenchi ^_^ Ringrazio broncino, Chiara_, clakki94, darllenwr, Desyree92, Devily, eleonora96, Elisabeth Black, EnMilly, flavia93, francydenis, Ishimaru, Levsky, Luc, mondred, rasonier, TheCrowAndTheWolf e _WonderWay (e mi prostro ai suoi piedi).
Non resta che ringraziare le CINQUE *Q* recensioni ricevute per lo scorso capitolo, e in particolare le recensioni di darllenwr (è difficilissimo scrivere il tuo nick .__.) che ho trovato molto piacevoli da leggere. Per motivi inappellabili (pigrizia) non posso rispondere alle tue recensioni agli altri capitoli, ma rispondo alle domande sulla storia che mi hai fatto tu in generale, pubblicandole anche per gli altri. E’ per evitare di vedermi fatta la stessa domanda troppo spesso, quindi prestate attenzione. u_ù

Nel testo si parla di un’auto, quindi l’ambientazione della storia è coeva alla nostra o comunque risale all’epoca moderna, o sbaglio?
Sì, è ambientata ai giorni nostri. Si tratta però di un universo alternativo in cui, parallelamente alla razza Terrestre, si è sviluppata quella Marina.

Quale potrebbe essere la linea evolutiva di queste feroci quanto evolute creature, appartengono anche loro al genere homo oppure con gli umani hanno solo una vaga somiglianza esteriore? Vengono da un altro mondo? Inoltre, da quel che ho capito possono respirare anche fuori dall’acqua, quindi hanno caratteristiche simili a quelle degli anfibi?
Queste creature appartengono al genere homo: gli organi interni sarebbero speculari a quelli umani se non avessero quelle particolari modifiche che gli permettono di nuotare molto in profondità, di respirare sia sott’acqua che in superficie e di possedere una forza elevata. Il mondo è lo stesso, quindi niente dischi volanti di sorta (xD). Quanto alla respirazione, hanno una particolare morfologia dell’apparato respiratorio molto simile a quella dei nostri pesci polmonati. Possono cambiare liberamente l’apparato respiratorio da utilizzare in qualsiasi momento, infatti quando sono sott’acqua non possono parlare e quando sono fuori dall’acqua le loro branchie restano ben chiuse. Niente anfibi, anche se in effetti non è affatto male come idea. *se l’appunta*

Come mai in questo universo narrativo i governi terrestri non pensano di lanciare qualche bomba di profondità sulle loro città, c’è forse un “patto scellerato” sul modello di quello che in alcune teorie del complotto i governi terrestri avrebbero stipulato con gli alieni?
Molto semplice: non ci sono governi terrestri. Il mondo intero è sotto il comando dell’impero Marino, quindi i Terrestri vivono sotto loro stretto controllo, se non per poche aree d’eccezione che, comunque, contro i Marini possono fare ben poco. Senza un governo autonomo o un’organizzazione segreta ben strutturata i Terrestri sono impotenti, in poche parole. Per dirlo in modo più semplice, prova a immaginare che i Terrestri si trovino in riserve naturali: sono territori liberi, ma sempre sorvegliati.

La protagonista conosce già la lingua dei Marini?
Sì: è come l’inglese per noi. La lingua dei Marini permette ai Terrestri di comunicare tra loro anche se provenienti da nazioni differenti e di poter ubbidire agli ordini dei padroni appena approdano nel ventre oceanico.

...bene. Le domande sono queste qui. Se ce ne sono altre chiedete: potrebbe essere qualcosa di importante per lo sviluppo della storia, quindi potrebbero anche essere utili per me e per la sua stesura!
Detto questo passo finalmente a rispondere alle recensioni, poi me ne vado a nanna, che è tardi e domani c’è scuola.

Daphne_Descends: hai recensito *^* sono così contenta che non ti dico! Speravo proprio di ricevere una recensione da qualcuno che sa scrivere così bene .___. Ahem. Sei riuscita a inquadrare subito I personaggi e sono contenta çwç credevo di aver scritto male le informazioni e le scene e che non si capisse bene >////< Lou per il momento regge perché è abituata a quest’esistenza e sapeva che prima o poi sarebbe successo. Basterà incrociare le dita e sperare che la Forza della Perseveranza non ceda. Spero proprio che tu recensisca il prossimo capitolo. Sono contentissima che ti piaccia *////* Dimmi anche che ne pensi dell’ambientazione; sono curiosissima di sapere il più possibile del tuo punto di vista.

Lady Koishan: evviva hai recensito di nuovo! *saltella* Credo che tu sia l’unica, finora, ad aver inquadrato Vic. Ho sempre paura che passi troppo inosservato e spero davvero di no. Cercherò di fare Syona più odiosa, dato che non riesco a convincermi da sola (xD) ma per quanto riguarda Nash... mah. Vedremo. Spero vivamente che questo capitolo ti sia piaciuto, dato che mi sono divertita tanto a scriverlo ^___^ fammi sapere, mi raccomando!

darllenwr: mi viene sempre da scrivere il tuo nick con la doppia “r”. xDxD Sono contenta di tutte le tue recensioni e dei giudizi positivi: sembri scrivere con molto impegno il tuo parere riguardo i capitoli. Nel quinto capitolo non è successo molto, ma cercherò di impegnarmi di più per i prossimi. Fammi sapere presto che cosa ne pensi, va bene? Grazie moltissime anche per le domande, cui spero di aver risposto in modo abbastanza esauriente. Spero proprio di poter leggere una tua nuova recensione.

Milou_: alla fine ti ho fatto aspettare così tanto da spingerti a contattarmi. Mi dispiace ^^” ma la pigrizia è dura a morire. Passando alla tua recensione, spero che questa nonna intraprendente ti stia simpatica! Scopriremo di più nel prossimo capitolo, che spero leggerai. La famigliola è destinata ad affrontare le tempeste, con i problemi in arrivo... *alone di mistero* ...e ovviamente cercherò di impegnarmi di più, ma fammi sapere cosa pensi di questo capitolo in una nuova recensione. Grazie per quella che hai scritto e per avermi riacchiappata. ^^” Ciao!

Levsky: finalmente qualcuno cui piacciono i personaggi che piacciono a me x°° anche se da brava mammina li amo tutti. Avevi anche letto la vecchia versione, quindi! °O° *smemorata* sono contenta che tu sia tornata a rileggere la mia fiction migliorata. Stavolta finisco, lo giuro ^^” Fammi sapere le tue impressioni anche riguardo come scrivo, che è il tema che mi preoccupa di più. Magari in una nuova recensione? *_* Mi farebbe più che piacere. Intanto non posso che sperare che questo capitolo ti piaccia.

Fine. Al prossimo capitolo. Che arriverà... boh. Può essere entro la fine dell’anno? Vedremo, vedremo...
Ignis

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Capitolo 7
*** Bozze di altri mondi ***


A villa King arriva Kala, il membro più anziano della famiglia, nonché apparentemente il più attivo e rilassato. Non sembra esserci un vero motivo per cui Nash debba avercela tanto con Louane, ma Dre l’avvisa comunque di stargli alla larga per evitare guai. Non resterà che eseguire gli ordini... ma come si può evitare il peggio, quando si vive sotto lo stesso tetto con quest’ultimo?

07. Bozze di altri mondi

Fuori della villa c’era solo silenzio, Coco era immersa in un sonno tanto pesante da sembrare morta, il letto era comodo, era stanca... nulla di nuovo, quindi si sarebbe dovuta addormentare subito.
Invece si sentiva braccata.
Il semplice stare nella stessa casa con Nash King la metteva a disagio: se era lui a non volerla, allora avrebbe dovuto togliersi di mezzo... ma allora perché aveva scelto proprio lei, all’asta? Forse perché aveva voglia di maltrattare un Terrestre.
Louane si rigirò nel letto, lasciandosi sfuggire uno strano, involontario grugnito che somigliava all’uggiolio di un cane. Il punto era quello: perché? Tutto qui, nulla di nuovo. E non riusciva a venirne a capo. Certo, non che Nash si mostrasse particolarmente gentile nei confronti di ragazze che non fossero sue parenti.
Improvvisamente si irritò per i suoi stessi pensieri. Perché diavolo Nash King, che nemmeno era il suo diretto padrone, doveva starsene tra i suoi ragionamenti notturni e impedirle di dormire? Fece un sospiro esasperato e strizzò gli occhi, decisa a imporsi il sonno. Sarebbe bastato evitare di incrociarlo per il resto della vita – o finché non si fosse sposato e fosse andato a vivere altrove – e ogni cosa si sarebbe sistemata. E magari anche evitando Dre, che gli assomigliava fin troppo, avrebbe trovato la pace.
Si addormentò senza nemmeno accorgersene.

Il mattino seguente iniziò malissimo per due motivi. Il primo fu il sogno legato alla sua depurazione, avvenuta il giorno precedente: sognò di annegare nel liquido che sapeva di collutorio che le avevano fatto bere e che intanto qualcuno cercava di tagliarle il braccio con un bisturi per infilarle il chip nella carne. Decisamente l’ultimo sogno ideale da fare dopo un’esperienza come la sua: non era affatto bello essere sterilizzati sia dentro che fuori.
Il secondo motivo fu il risveglio stesso, non certo uno dei migliori. Il primo volto che vide, infatti, non fu quello di Coco, bensì quello di Syona.
«Alzati, miciona» la canzonò con un sorrisetto «e vieni con me a divertirti».
Louane si sentiva a pezzi. «Perché? Che ore sono?» chiese in tono stanco.
«Oh, fidati, è l’ora giusta. Garantisco io» rispose quella. «Vuoi venire o no?»
Louane fece una smorfia. «Che cosa andiamo a fare?»
«Oh, qualcosa di divertente. Tu fidati e seguimi».
La ragazza fu costretta a seguirla fuori dalla stanza. C’era pochissima luce... ma che ora era? Certo, in fondo all’Oceano non c’era moltissima luce, ma nemmeno le lampade erano accese. Più andavano avanti, poi, più sembrava aumentare la sensazione di pericolo: Louane non aveva proprio voglia di far arrabbiare nessuno, specialmente la mattina presto e dopo così poco tempo dal suo arrivo in quella casa.
Syona la teneva per una mano. «Ti spiego il piano. Vedi quella porta laggiù? Entra lì. C’è una scrivania sulla destra, e tra le altre cose dovrebbe starci un quaderno con l’immagine di una macchina da corsa. Basta che lo prendi e me lo porti; al resto penso io».
Louane rabbrividì. «Syona, io non sono sicura... non mi va di mettermi nei guai» borbottò.
«Ah, che noia... e io che speravo che fosse arrivato qualcuno di interessante. Puoi scegliere di farlo oppure no, ma ti assicuro che ne vale la pena».
Louane sospirò. «Va bene... poi però mi dici cosa vuoi farne, di quel quaderno».
«Sicuro!» trillò Syona, rispondendo decisamente troppo in fretta. «Adesso vai, vai e colpisci!»
La bionda si ritrovò costretta ad avvicinarsi con passo felpato alla porta. Ruotò la maniglia, e fece una smorfia nel sentire il cigolio dei cardini, che in quella situazione le sembrò assordante. Si voltò verso Syona in cerca di sostegno, ma lei si limitò a guardarla con impazienza.
La stanza era enorme. C’erano una libreria, una sorta di bacheca piena di ritagli di giornale e fotografie, una scrivania come aveva detto Syona, un letto piuttosto grande e una porta finestra che dava sul balcone. In un angolo Louane mise a fuoco anche una chitarra elettrica... ma soprattutto c’era carta ovunque. Un’invasione vera e propria.
Deglutì. Perché era stata così pazza da seguire Syona? Quella doveva essere sicuramente la camera da letto di uno dei gemelli. Ci avrebbe messo la mano sul fuoco: era troppo in disordine per essere quella di Lexi o di Kane, e sapeva già dove si trovavano quelle di Shania e Coco.
Si voltò per andarsene, ma sulla soglia trovò Syona, che le sorrideva con malizia.
«Ci sarà da ridere, stamattina... grazie per la collaborazione, miciona». Fece una breve risata, e prima che Louane potesse dire o fare altro, la giovane donna aveva già chiuso la porta con forza, facendo baccano sia per quello che per far scattare la serratura.
Perfetto. Adesso sono morta. Mi mangeranno per cena. Louane si mise le mani tra i capelli e scivolò in ginocchio sul pavimento, lasciandosi sfuggire un lamento.
«Ragazzi, la colazione» annunciò la voce di Alisha in corridoio, ovattata dai muri e dalla porta.
«Sì» risposero in coro Nash e Dre, più lontani.
Quella risposta in stereo non fece che spaventare ancora di più la povera Louane, che cercò invano di pensare a una scappatoia. Non le veniva in mente nessun modo utile per andarsene di lì... non senza fare una gran scena e venire scoperta comunque. Di saltare dal balcone per tuffarsi in piscina non se ne parlava assolutamente: aveva sentito che in quelle vasche c’erano anche dei pesci pericolosi per i Terrestri, e il salto in sé la spaventava abbastanza... poi avrebbe fatto rumore con il tuffo e sarebbe stata scoperta una volta rientrata in casa, magari sporca di acqua di mare dalla testa ai piedi. No, non avrebbe mai funzionato.
Più si scervellava, meno pensieri lucidi e validi riusciva a ideare. Non le restava che aspettare la punizione.
Mentre il suo sguardo puntava al vuoto, adocchiò per caso la scrivania. Poteva essere solo una scusa inventata da Syona per cacciarla nei pasticci, ma poteva anche darsi che il quaderno ci fosse davvero. Si sollevò in piedi e scavò tra gli altri libri e fogli di carta – sì, anche la scrivania ne era sommersa – per cercarlo. Lo trovò sotto un libro di matematica: raffigurava una bella macchina sportiva, con uno sfondo che lasciava capire che il mezzo si stava spostando a gran velocità. Louane lo aprì e iniziò a sfogliarlo, curiosa e dimentica dei Marini che sarebbero potuti entrare da un momento all’altro.
Erano tutti disegni, tutti fatti con una matita morbida. All’inizio erano tutti semplici e poco curati: raffiguravano coralli, pesci, soprammobili e oggetti vari. Più Louane sfogliava, più il tratto si faceva definito, finché non apparvero le prime prove di disegno di occhi e altri tratti del viso, oltre che studi per le mani e i capelli.
Louane finì su due facciate precise, raffiguranti Nash e Dre. Il tratto, lì, era davvero preciso e accurato: si riusciva a cogliere persino la lieve trasparenza delle mani palmate e il taglio degli occhi aveva un che di realistico che li faceva assomigliare a squali più che mai.
Dre era in una posa rilassata: stava seduto su un divano a leggere una rivista, i capelli che gli coprivano un occhio e l’altro che si piegava in un’espressione placida. Nash era, invece, messo in una posa più aggressiva: in piedi, spalle curve in avanti, l’ espressione truce di chi sta per fare qualcosa di violento, mani lungo i fianchi che sembravano ansiose di uccidere qualcosa. Rigido, ma decisamente fedele: Louane stessa riusciva a immaginare Nash in quella posa.
Continuò a sfogliare il quaderno, e le immagini si fecero più a effetto: pesci trasparenti, angoli di città, altri Marini che ridevano... persino un vecchio Terrestre e una bambina Terrestre che passeggiavano fianco a fianco, con un clima talmente libero e sereno che a Louane parve di vedere un’immagine della superficie.
Era sbalordita. Non avrebbe mai immaginato che tra i Marini ci fosse qualcuno tanto abile nel disegno... li aveva sempre considerati creature troppo aggressive per potersi interessare all’arte. Si diede subito della stupida: esistendo Marini attori e Marini cantanti, c’erano sicuramente anche Marini disegnatori. Più avanti c’erano anche il ritratto di una ragazza, uno di Alexander, una caricatura...
Louane si fermò sull’ultima immagine, posta accanto a una facciata ancora immacolata – una delle poche rimaste tali. Non era niente di speciale, eppure la colpì profondamente.
In mezzo a piccole bolle e pesci vari, brillava un piccolo cerchio di luce immerso in tratti fittissimi di pastello blu. Il sole visto dagli abissi.
Le veniva da piangere. Strinse forte il quaderno istintivamente, facendo un gran respiro e cercando di decidere se tenerlo aperto ancora un po’ o chiuderlo immediatamente. Voleva continuare a guardare, ma allo stesso tempo la vista del sole circondato dai pesci le faceva paura. Una strana, inquietante paura. Un sentimento che non avrebbe dovuto provare.
«Perché è chiuso a chiave?» borbottò una voce bassa e pensierosa al di là della porta, accompagnata dallo scatto della serratura.
Louane sussultò, e fece solo in tempo a chiudere all’istante il quaderno, pur tenendo un dito tra le pagine per non perdere il segno, come era fin troppo abituata a fare. La porta si aprì.
Dre indossava soltanto un paio di pantaloni e si teneva un asciugamano sulla spalla; in una mano aveva un libro ridotto male, probabilmente di scuola. I capelli erano umidi e afflosciati sulla fronte, ma Louane riuscì a scorgere uno degli occhi neri oltre la zazzera. In quel momento alla ragazza sembrò più minaccioso del solito.
Dre restò immobile per un paio di secondi, senza dire né fare niente. Poi sollevò una mano e accostò la porta, avvicinandosi di un passo.
Louane indietreggiò, stringendosi istintivamente il quaderno al petto e iniziando a tremare senza riuscire a fermarsi. Si sentiva pronta a fuggire a gambe levate in ogni momento.
Le dita della mano libera di Dre ebbero un guizzo, poi il Marino strinse il pugno. Le labbra si schiacciarono in una linea forzata, di chi si trattiene dal dire o fare qualcosa. Il momento passò in fretta: la mano tornò a rilassarsi e il ragazzo sospirò lentamente, abbassando il viso. Poi, però, puntò gli occhi verso Louane. «Wakko».
Lei sobbalzò. Annuì a stento, mentre i suoi brividi si facevano più violenti.
Lui sollevò una mano e se la mise tra i capelli, sollevandoli dall’occhio sinistro. Il suo sguardo era molto calmo, in una maniera che sfiorava il gentile... o almeno fu quello che Louane riuscì a intuire in quel momento.
«Puoi tenerlo. Però devi uscire subito» bisbigliò.
Nessuna punizione. Non era nemmeno arrabbiato... sembrava stanco, però, come se avesse fatto qualcosa per cui aveva speso tutte le sue energie. E non doveva essere sveglio da molto. Louane fece due passi di lato, come per fare attenzione a mantenere sempre la stessa distanza da Dre, gettando ogni tanto un’occhiata a terra per evitare di calpestare i fogli – cosa quasi impossibile.
Si avvicinò alla porta, e allo stesso tempo Dre fece un passo verso di lei. Louane lo guardò con una certa esitazione, ma Dre non si mosse oltre. Rassicurata, fece un altro passo, ma a quel punto Dre si avvicinò ancora. Erano a distanza di meno di mezzo metro, proprio sulla soglia. Il ragazzo sembrò sul punto di dire qualcosa, ma qualcuno fu più veloce.
«Dre, hai preso il mio libro».
Louane si voltò e mise a fuoco Nash, anche lui troppo vicino, una maglietta e un paio di pantaloni addosso, i capelli umidi lasciati sciolti. Ancora più selvaggio e minaccioso che mai. La ragazza si strinse nelle spalle, nel tentativo di farsi il più piccola possibile.
Era stato Dre a dirle di tenersi alla larga da Nash. Era stata Syona a dirle di entrare lì dentro. Era nei guai più di prima.
Dre fece un sorriso tranquillo. «Scusa. Tieni» disse, porgendogli il libro che aveva in mano.
Nash continuava a fissare Louane con espressione indecifrabile. Assottigliò lo sguardo, facendosi ancora più feroce. «Sbrigati, perdiamo l’autobus» disse ancora, rivolto a Dre.
«Sì, sono pronto tra un attimo». Dre restava calmissimo.
Nash spostò finalmente lo sguardo sul corridoio e lo attraversò per entrare in un’altra stanza, due porte più in là – probabilmente camera sua.
Louane si appoggiò all’architrave della porta, ormai del tutto priva di energie. «Oddio».
«Già. Oddio» concordò Dre. La sua voce era vicina in una maniera inquietante: la ragazza credette di sentire i polmoni del Marino fremere nel riempirsi e svuotarsi d’aria. «Syona fa scherzi di questo genere. Ti conviene smettere di ubbidire a tutto quello che ti viene ordinato, Wakko. Torna a dormire».
Detto questo la spinse senza tanti complimenti fuori dalla porta, richiudendosi all’interno.
Louane sospirò pesantemente, stringendosi il quaderno al petto. Dopo essersi chiesta se fosse il caso di nasconderlo o meno, tornò in camera di Coco e lo ficcò dentro la federa del cuscino. Non era il caso di azzardarsi a tenerlo allo scoperto e venire punita dai coniugi King per furto.
Si stese sul letto, chiedendosi perché Dre aveva deciso di regalarle il suo quaderno. Forse non era un regalo, e in un qualsiasi momento sarebbe tornato a prenderselo. Forse gliel’aveva dato perché non voleva che morisse di crepacuore, spaventata com’era da tutta la situazione. Altrimenti era così assonnato da non far caso a quello che stava facendo. Oppure...
Louane si sentì arrossire e schiacciò il viso contro la metà del cuscino ancora fredda. In quel momento si sentiva solo molto fortunata; pensava al momento in cui Nash era arrivato lì, spaventandola meno del solito.
Scosse la testa. No, Dre non aveva fatto nulla per mandare via il fratello. Non aveva fatto assolutamente nulla... la sensazione di totale sicurezza che aveva sentito doveva essere stata solo una sua impressione.

A metà mattinata, una volta usciti quasi tutti i Marini da casa, Louane se ne stava seduta sul letto, sempre sfogliando il quaderno. Si ritrovò a guardare e riguardare soprattutto gli ultimi disegni, ma in modo particolare l’ultimo: quel pallido sole abissale che sembrava richiamarla.
Chi voleva prendere in giro? Si sarebbe potuta affezionare ai suoi padroni, e magari si sarebbe potuta abituare al cibo che le propinavano... ma la nostalgia di casa non sarebbe mai scomparsa. Voleva tornare, e quel disegno gliel’aveva semplicemente ricordato.
Quando una chioma morbida le accarezzò il collo, Louane sussultò e si voltò di scatto, finendo per cozzare con la testa contro il cranio di Syona. Scivolò distesa sul letto, massaggiandosi la testa. «Oh...»
Anche la donna si portò una mano alla fronte. «Sì, sì, sono sveglia!» protestò.
In quel momento la ragazza fece mente locale. Ma certo: era tutta colpa di Syona. «Mi sono spaventata a morte! Avevo paura che mi divorassero!» si lamentò. Sentiva persino le lacrime agli occhi: quei sentimenti di puro terrore le stavano tornando alla mente, e non era certo piacevole.
«Oh, andiamo, non ci credo. Non può essere stato tanto terribile. I Marini non sono mica mostri» minimizzò Syona. «Devi soltanto farci l’abitudine. Più spesso ci avrai a che fare, più sarà facile abituarti».
«La fai facile, tu! Scommetto che non mi hanno sbranata soltanto perché avrebbero rischiato di fare tardi a scuola...» frignò ancora Louane.
Syona fece per aggiungere qualcosa, ma in quel momento arrivò qualcun altro nella stanza. Tutte e due lo fissarono sbigottite.
«Che succede? Non sta bene litigare tra signorine». Havor le guardava con rimprovero, ma il tono che aveva scelto di usare era addolcito, quasi fosse intenerito dalla scena. «Che cos’è successo? Riguarda forse i signorini Dre e Nash?»
«Papi, calmati, non è niente. Ha solo fatto un brutto incubo. Si stava consolando con il regalo del signorino Dre...»
Louane avvampò senza saperne il motivo.
«Prego?» disse Havor interdetto.
«Io me ne vado. Adios!» trillò Syona balzando fuori dalla stanza.
Vigliacca. Louane, tra i propri pensieri, digrignava i denti, arrossendo ancora di più una volta accortasi dello sguardo di Havor, fisso sul quaderno che stringeva tra le braccia. «Ecco... posso spiegare...»
Lui, per tutta risposta, sorrise dolcemente. «Sono sorpreso. Il signorino Dre è particolarmente legato ai suoi disegni... non lo ritenevo capace di lasciare il proprio quaderno con tale facilità. Immagino si sia trattato di un caso eccezionale».
La ragazza non sapeva cosa dire. Havor era semplicemente troppo adulto: la intimidiva e la faceva sentire maledettamente infantile, in particolare per i vestiti: lei indossava una comoda tuta, lui invece portava un completo nero che lo faceva assomigliare a un maggiordomo. Fece un gran respiro e disse: «non riesco a immaginare perché... semplicemente, stamattina Syona mi ha chiusa in camera di Dre – cioè, del signorino Dre – e...»
Lo sguardo di Havor mutò leggermente, in un bagliore di comprensione. Parlò lentamente, nel modo più chiaro possibile: non si sentiva nessun accento che facesse intuire a Louane la sua provenienza. «Il signorino Dre è una persona brillante, nonostante il suo rendimento scolastico non lo sia altrettanto. La sua capacità di comprendere bene le persone è una delle sue doti maggiori. Sono certo che in quel quaderno c’è qualcosa che desiderava che tu vedessi». Poi le sue sopracciglia sussultarono e aggiunse: «ripensandoci, quello stesso quaderno potrebbe essere utile per un altro scopo ancora».

Liceo di Seahorse, aula sette.
Dre se ne stava curvo su un foglio di carta a scarabocchiare. Eyla, che se ne stava seduta accanto a lui, se n’era accorta, e lo guardava accigliata.
Finalmente Dre si rese conto di essere osservato, così fece passare lo sguardo oltre i capelli che gli coprivano gli occhi per raggiungere il viso della ragazza. «Che ti prende?» chiese in tono innocente. «Hai una faccia».
Eyla sbuffò, sovrappensiero, mettendosi a braccia conserte e fingendo di affondarci il viso. Da uno spiraglio tra le ciocche ondulate fissò Dre. «Cosa stai disegnando?»
Era un tono troppo aggressivo per poter essere una domanda posta a caso: Dre lo capì all’istante. «Fammi pensare».
Eyla strabuzzò gli occhi. «“Fammi pensare”? Che ci vuole a dirmi cosa stai disegnando?» sbottò indignata. Prima che Dre potesse impedirglielo, quindi, allungò la mano e gli sfilò il foglio da sotto le mani, tagliandogli un dito con la carta.
«Ah...! Datti una calmata, Eyla!» protestò Dre offeso, portandosi subito il taglietto alle labbra per leccarlo. «Potresti almeno scusarti» aggiunse, non sentendo arrivare una risposta.
Eyla fissava il foglio. Più lo fissava, più la sua fronte si corrugava, e più la sua fronte si corrugava più forte stringeva i lembi di carta tra le dita, accartocciandoli e minacciando di strappare lo schizzo che aveva occupato buona parte dell’ora senza professore che stavano trascorrendo. Il viso sottile di una ragazza spiccava sul foglio, con due pupille circondate da aureole sottili di grafite, a indicare i bordi di due iridi.
«Chi è lei?» chiese fredda.
Il ragazzo sorrise. «Coco l’ha chiamata Wakko. Carina, no?»
«Carina? Carina?! Al diavolo te e tuo fratello!» sibilò Eyla. «Perché stai disegnando lei? Te l’ha chiesto Nash, vero? E dove è finito il quaderno che usi di solito?»
Dre sospirò. «Quanto siamo nervosi, stamattina...»
«Dre, non ho voglia di scherzare. Rispondi».
Lui fece spallucce. «Non me l’ha chiesto Nash, sono io che avevo voglia di disegnare qualcosa di nuovo. Il quaderno l’ho dato a Wakko stamattina».
Lei sembrava sul punto di esplodere, ma inspirò profondamente le narici e sembrò calmarsi. Poi, all’improvviso, prese il foglio dal bordo superiore e lo strappò di netto in due, e poi in quattro, accartocciandole poi tutte insieme. Restituì i resti a Dre, che la guardava con irritazione.
«Sei impazzita? Perché fai così?» le chiese, esasperato.
«Tu... tu il tuo quaderno non lo dai mai a nessuno... e adesso mi dici che ce l’ha quella Terrestre. Dovrei restare calma, secondo te?» disse Eyla in tono tagliente. «Mi spieghi perché hai fatto una cosa del genere dopo neanche una settimana che è qui?»
«E’ qui da due settimane, primo» obiettò Dre. «Secondo, quello che decido di fare non dovrebbe preoccuparti».
Ma Eyla già non lo ascoltava più. Teneva lo sguardo fisso sul proprio banco, come allucinata da qualcosa che vedeva soltanto lei.
«Non ti sembra che sia il caso di finirla con questa storia?» le chiese Dre. «Di questo passo Nash diventerà pazzo. Dovresti concedergli più libertà...»
«Nash farà tutto quello che gli dico, finché resterà il mio ragazzo».
«Sta andando fuori di testa! Adesso che c’è Wakko è diventato intrattabile. Te ne sarai accorta anche tu, no?»
«E’ per il nostro bene. Per il bene della nostra storia». Strinse le labbra. «Lo sta facendo per me spontaneamente. Superato questo unico ostacolo sarà tutto perfetto».

Auguri di Buona Pasqua. 8D

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Capitolo 8
*** La prigione di cristallo ***


Con un brutto scherzo Syona, la Terrestre personale di Nash, chiude a chiave Louane in una camera da letto, che si rivela essere la stanza di Dre. Nella camera Louane trova un blocco da disegno con tanti disegni e ritratti vari, ma a colpirla particolarmente sono i disegni che le ricordano la vita di superficie. Dre non impiega molto tempo per trovarla in camera sua, ma invece di arrabbiarsi decide di regalarle il proprio quaderno, senza un motivo apparente. Secondo Havor – il Terrestre che si occupa di Dre – quel regalo inaspettato potrebbe servire a uno scopo molto utile: di cosa si tratterà? E in che modo Eyla, la ragazza di Nash, sta contribuendo al continuo malumore del suo ragazzo?

08. La prigione di cristallo

Louane si avvicinò alla porta, incerta sul da farsi. «Non... non credo sia una buona idea, Havor. Dovremmo lasciar perdere...»
Lui le sorrise candidamente. «Non sei nella posizione di esprimere una tua opinione e pretendere di essere ascoltata, Wakko».
Lei sospirò. «Giusto. Ma non sono sicura lo stesso. I signori King sono molto gelosi di lei, e io sono arrivata da poco...»
«Non ne avranno a male» rispose con noncuranza l’uomo. «Anche io mi faccio carico di Shania per quanto riguarda la sua istruzione e la sua salute, e sono più che sicuro che ciò che stiamo facendo sarà utile per entrambe».
Shania, quella fragile Marina costretta su una sedia a rotelle. Louane sapeva già che passava quasi tutto il tempo dentro casa, se non per qualche rara passeggiata all’aperto – sempre che l’interno di un contenitore, fatto di un minerale trasparente resistentissimo e posto in fondo all’Oceano, si potesse definire “aperto” – e che nessun bambino era mai venuto nella villa dei King a trovarla, anche perché non andava a scuola. Solo la famiglia e i Terrestri più fidati potevano avvicinarsi, di norma, perciò Louane non si sentiva assolutamente all’altezza per poterle fare compagnia.
Havor bussò, e la ragazza si sentì morire per l’ansia. Cos’aveva fatto per meritarsi tutta quell’agitazione?
«Entra!» esclamò una voce acuta dall’interno.
Havor entrò, chiudendosi la porta alle spalle prima che Louane potesse entrare. Lei riuscì a sentire la sua voce ovattata: «Buongiorno, signorina Shania. Avete dormito bene?»
«Sì...» rispose la voce di Shania. Era stranamente debole per essere la voce di una Marina, cosa che ricordava a Louane tutte le volte che aveva saltato i pasti per mangiare a casa e tutte le volte che era stata costretta a rimanere in camera di Coco quando la bambina usciva. «Devo fare colazione?»
«Certamente, signorina. Deve mantenersi in forze e prendere le sue medicine... saltare i pasti nuocerebbe alla sua salute, lo sa bene».
Louane si rese improvvisamente conto di essere libera, così fece per andarsene... ma non fece in tempo a muovere tre passi che Havor riapriva la porta.
«Dove pensi di andare? Vieni subito qui» le intimò l’uomo, prendendola per un braccio. La trascinò dentro senza che lei potesse fare niente.
La camera da letto di Shania era straordinariamente povera. Non c’erano tanti giocattoli o peluche come nella stanza di Coco, non c’era nemmeno una carta da parati allegra o un minimo di colore alla mobilia. Era tutto desolatamente bianco, come in un ospedale: pareti bianche, pavimento bianco. La scrivania e la sedia erano in legno smaltato, ma sulla scrivania non c’era niente, mentre le coperte del letto e i libri nella libreria erano gli unici elementi multicolori.
Nel letto stava seduta Shania. L’aveva già vista – di sfuggita, perché non le permettevano mai di starle così vicino – ma non si era mai accorta del suo aspetto desolato. Era straordinariamente magra e la sua pelle non pareva conservare una minima traccia di azzurro; i suoi occhi grandi e acquosi sporgevano ed erano quasi del tutto neri; le membrane delle mani sembravano pronte a strapparsi da un momento all’altro. Anche i denti sembravano più grandi del normale, pur avendo un aspetto smussato. Louane sentì di avere paura anche di lei: paura che le succedesse qualcosa mentre era lì.
Shania batté le palpebre un paio di volte, poi sorrise: la pelle del suo viso si tese sul teschio. «Tu sei Wakko...»
Louane deglutì. «S-sì...»
«Le raccomando di essere gentile con lei. Si spaventa facilmente, non è ancora abituata all’ambiente» disse Havor. Inizialmente Louane pensò che si stesse riferendo a lei, poi si rese conto che parlava con Shania. Fece un sorriso di scuse in direzione della bambina. Quella annuì. «Non preoccuparti».
Con sommo orrore di Louane, Havor chiuse la porta alle sue spalle mentre usciva. Terrorizzata, la ragazza guardò di nuovo Shania, che continuava a sorridere.
Vuole farmi calmare. Mi devo calmare. Calmati, Wakko! Louane si sforzava, ma era troppo difficile: quel sorriso che voleva essere rassicurante era irto dei denti più grossi che avesse mai visto in bocca a un Marino, in proporzione, e gli occhi sporgenti di quella bambina le mettevano ancora più ansia.
«Vieni qui» la invitò Shania, toccando delicatamente le coperte del letto. «Siediti».
Louane si avvicinò al letto. Trovando uno sgabello lì accanto, si sedette lì. A quel punto Shania era più in alto di lei: non sarebbe mai riuscita a farsi passare il nervosismo.
Lentamente, Shania sollevò una mano bianca e magra per sfiorare i capelli biondi di Louane. Fece un sorriso timido e affondò la mano nella chioma, accarezzandole la testa. «Quanto sei morbida. Io non ho i capelli così».
Louane aveva toccato i capelli di Coco, scoprendo che i capelli dei Marini erano morbidi, sì, ma in modo diverso rispetto alla morbidezza Terrestre. La consistenza dei loro capelli era gommosa, come per toccare delle frange sottili e un po’ viscide.
Mentre Shania la accarezzava, Louane si costrinse a osservarla con più attenzione per abituarsi alla sua presenza. Le membrane tra le mani erano davvero sottili, e in alcuni punti sorgevano anche dei piccolissimi fori: c’era da chiedersi non se, ma quando si sarebbero rotte del tutto. La pelle delle braccia non era proprio bianca: era azzurro chiaro, ma aveva anche delle chiazze biancastre sparse dappertutto, a darvi un aspetto squamoso e sciupato. Vedeva il collo e il petto di Shania palpitare a ogni respiro, così il suo sguardo si fermò sulle branchie: erano cosparse da una sostanza giallastra, diversa da quella azzurro chiaro cui era abituata. Evidentemente Shania non era capace di produrre la pellicola di protezione per le branchie quando stava in superficie. Shania la guardava ancora, sorridendo mentre faceva scorrere le dita sul suo viso. «Sì, sei davvero morbida. Nash ti ha presa proprio carina».
Nash. Louane si lasciò sfuggire un sospiro.
«Eh, lo so» mormorò Shania. «Mi sa che Eyla gli ha chiesto qualcosa di strano, perché in questi giorni è tanto arrabbiato... poi con me un po’ ci parla lo stesso»
«Eyla?» ripeté Louane.
Shania fece una piccola smorfia. «Lei e Nash sono fidanzati. È stato molto cattivo, ma quando glielo dico lui fa finta di niente...»
«Perché cattivo?» chiese ancora Louane, sempre più stupita. Nash aveva fatto qualcosa di male mettendosi con quella Eyla (chiunque fosse) e quella ragazza gli aveva detto di fare qualcosa che lo rendeva scontroso con tutti. Di cosa poteva trattarsi?
«Scusa, Wakko... è un segreto... stai buona, eh?» Shania la guardò con un’occhiata apprensiva.
Louane si rese conto di essersi alzata in piedi, perciò si sedette subito al proprio posto, arrossendo un po’. Subito dopo le prese la mano e iniziò ad accarezzarla. «Scusa, non volevo. Scusa, scusa, scusa, signorina Shania» mormorò.
Si stupì quando anche la bambina parve dispiaciuta. Quell’espressione svanì comunque in fretta. «Wakko, tu ce l’hai un fratello?»
Louane rimase spiazzata. Era chiaro che Shania non conosceva le regole da seguire con i Terrestri, o forse non aveva intenzione di rispettarle. I Marini dovevano comportarsi come se i Terrestri fossero stati creati dal nulla appositamente per loro, senza pensare alla loro famiglia o alla loro vita di superficie. La domanda la sorprese abbastanza da paralizzarla per parecchi secondi, in attesa di una smentita che non arrivò.
«Allora?» la incalzò Shania con un altro sorriso, che accartocciò la pelle attorno agli occhi e li fece sembrare ancora più sporgenti.
Louane strinse le labbra. «Ecco... sì...»
Shania parve estasiata dalla notizia. «È più grande? È più piccolo? Com’è? È bello? Giocate insieme?»
«È più grande... gli voglio tanto bene. Sì, è anche carino, cioè, non è male... e...»
La voce le si spense in gola. Jean le mancava davvero troppo per poterne parlare in tutta tranquillità con una Marina: non era passato abbastanza tempo dall’ultima mattina in cui l’aveva visto, sorridente e irritante come al solito. L’aveva svegliata facendola cadere dal letto e mentre l’accompagnava a scuola in macchina non aveva fatto che parlare di Desirée e di quanto fosse ansioso per il matrimonio. L’aveva salutato in modo più freddo del solito, e non poteva fare a meno di pentirsene ogni volta che ci ripensava.
«Che c’è? Raccontami!» la pregò Shania. «Avanti...»
Louane strinse le labbra. «Ecco...»
Prima che potesse dire altro, la bambina era tornata all’attacco. «E sopra com’è? È vero che l’acqua sopra è tutta piatta e che sopra non c’è niente? Come fate? Non hai paura di cadere verso l’alto? E la terra, è vero che è diversa da quella che sta sotto il mare? E che ci sono dei pesci che nuotano nell’aria?»
Di tutto ciò, Louane riuscì ad afferrare soltanto l’ultima parte. «Pesci che nuotano nell’aria?» ripeté. «Del tipo?»
«Aeeeh...» fece, stringendo i pugni, poi indicò la libreria. «Mi prendi un attimo quel libro blu?»
La ragazza si avvicinò alla libreria e prese l’unico libro blu del ripiano che Shania le aveva indicato. Sopra, a caratteri cubitali, c’era scritto “Creature dell’Oceano”. Louane lo porse alla bambina, che se lo aprì sulle ginocchia e prese a sfogliare rapidamente. Dal canto suo, la Terrestre non poteva fare a meno di temere che si tagliasse con la carta, magari su una delle sottilissime membrane.
«Ah! Ecco, tipo questo». Shania le mostrò la pagina, dove c’era fotografato un pinguino mentre nuotava. «Se non è un pesce, allora cos’è?»
Sul libro diceva chiaramente che era un uccello acquatico, ma evidentemente voleva sentirselo dire da una fonte diretta. «Sì, si chiama uccello. Quelli sopra l’acqua hanno le ali con tante penne e piume per volare».
«Volare?»
«Sì, insomma, nuotare nell’acqua».
Shania pareva pendere dalle sue labbra. «E come sono fatti, allora? Me ne disegni uno?»
Louane batté le palpebre. «Signorina Shania, tu non hai dei libri che parlano della superficie? Ce ne sono così tanti...» disse, guardando di nuovo la libreria e ripensando a quelle sparse per la casa.
Shania scosse la testa. «Non ci sono da nessuna parte. Papà dice che tutto quello che sta sotto il mare che è terrestre sono solo i Terrestri. Allora, me ne disegni uno?» Si sporse da un lato del letto molto lentamente, aprì una cassetto e ne trasse un blocco da disegno e una matita di plastica. Li porse a Louane.
«Io non so disegnare bene» si schermì la Terrestre.
«Provaci, dai, ti prego!» la pregò Shania.
Se si fosse scoperto che la piccola signorina Shania era arrivata a doverla pregare per farsi accontentare, Louane sarebbe finita dritta tra le fauci di Alexander King e consorte. Prese il quaderno e fece del suo meglio per disegnare un gabbiano. Ciò che venne fuori alla fine fu una sorta di birillo con un cono per becco e triangoli per fare ali, coda e zampe, ma Shania parve molto soddisfatta.
«Quindi le pinne degli uccelli come si chiamano?»
«Ali. Servono per volare» rispose Louane.
«E tu, Wakko, hai mai volato? Anche tu vivi sopra il mare, quindi...»
«Ma no... è come stare fuori in questa città, oppure dentro questa casa. Con le ali si spinge l’aria verso il basso... per riuscire a volare dovrei avere una membrana come quella che tu hai tra le mani, solo che sarebbe tra le braccia e le gambe».
Shania rise. La sua risata aveva un suono strano: erano come tanti piccoli singhiozzi. «Che strano! Una cosa così esiste?»
Louane sorrise e tentò di disegnarle un pipistrello. Ci riuscì, ma piuttosto male. «Più o meno è così... ma non so come si dice in lingua marina. Nella mia lingua è chauve-souris».
Shania sgranò gli occhi: sembravano pronti a caderle in grembo. «Chau...?»
Louane sorrise imbarazzata. «Non... non so come altro dirlo, altrimenti non avrei usato la mia lingua. Scusami».
La bambina però era davvero colpita. «No, va bene! Ripetilo, dai!»
«Chauve-souris» ripeté la ragazza docile.
Continuarono a ripetersi “pipistrello” in francese finché non tornò Havor, deciso a far terminare quello spettacolo e a far fare colazione a Shania. Portò fuori Louane con decisione, ma pareva soddisfatto.
«Benissimo. È stato così terribile?» le chiese.
Louane sorrise e scosse la testa. Havor ricambiò il sorriso.
«Domani mattina potrai tornare a parlare con lei. È il momento migliore, quando i signori King sono tutti fuori o quasi... ma chiedi sempre a me il permesso. In questo modo, gradualmente, dovresti riuscire ad abituarti ai Marini» disse.
Louane fece un sorriso più largo. «Grazie, Havor!» trillò felice. Fece per andarsene, ma lui la fermò.
«Un’altra cosa ancora. D’ora in poi, quando vai nelle stanze della signorina Shania, porta il quaderno del signorino Dre. Potrebbe essere utile».
Louane lo guardò un po’ stupita. «Per cosa?»
Lui si limitò a sorridere senza rispondere. Si congedò con un mezzo inchino e appoggiò la mano sulla maniglia della camera di Shania.
A Louane tornò in mente una cosa. «Aspetta!»
«Sì?» fece Havor voltandosi verso di lei.
«Shania nella sua libreria non ha libri che parlano della superficie... e mi ha anche detto che non ci sono libri sulla superficie da nessuna parte. È vero?»
Havor fece un sospiro pesante. «Qui siamo a Seahorse, nel territorio tra Fishtide, Stomias e Arothron. Nessuna delle città sotto la loro giurisdizione possiede materiale che parli della terraferma. Wakko» disse serio «sono felice che la signorina Shania mostri interesse nei confronti tuoi e dei Terrestri, ma ti sarei grato se evitassi di parlarne troppo con lei. Non è ancora abbastanza saggia da saper distinguere cosa può sapere e cosa no».
Detto questo uscì dal corridoio, lasciando Louane a riflettere. Non capiva, semplicemente, perché si dovesse tenere segreto. In ogni caso i Terrestri erano sottomessi ai Marini, perciò perché preoccuparsi di nascondere qualcosa?

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Capitolo 9
*** Fratelli e sorelle ***


Louane fa la conoscenza di Shania, la penultima dei sei figli di Alexander e Alisha King. La bambina è estremamente cagionevole di salute e dall’aspetto molto fragile, ma dalla mente abbastanza vivace da fare a Louane molte domande sulla terraferma. Nel frattempo i misteri si fanno più insistenti, tra lo strano comportamento di Nash e la mancanza d’informazione riguardo i Terrestri in quel territorio. Pare proprio che nessuno abbia informazioni riguardo la terraferma e i suoi abitanti, in fondo al mare: perchè? Nel frattempo, sembra che il segreto dietro il comportamento scontroso e intrattabile di Nash stia per essere svelato...

09. Fratelli e sorelle

Louane, diciotto anni, animaletto domestico di Coco da due settimane con il nome Wakko. Abilità generiche che indicano una buona capacità di adattamento a qualsiasi mansione. Capelli biondi, occhi verde acqua, carnagione chiara, arti snelli, voce dal tono medio-alto con un timbro morbido. Acquistata per la somma di 70.000 ron – metà del prezzo d’acquisto per una capsula antipressione usata. In quel momento, però, ognuna delle sue caratteristiche era assolutamente inutile, perché la sua testa era da tutt’altra parte.
La sua testa, già. La teneva appoggiata ad una mano, al momento, con i capelli biondi che le sfioravano l’avambraccio e lo nascondevano alla vista. Se ne stava stesa a pancia in sotto sul proprio giaciglio in camera di Coco, e gli occhi li teneva fissi su un certo quaderno.
Da quando Dre aveva deciso di regalarglielo, Louane aveva preso a sfogliarlo ogni volta che poteva. Le piacevano troppo i disegni, i tratti che davano forma alle immagini, di qualunque tipo esse fossero. Non solo: quel quaderno era la sua unica prova che i Marini fossero comunque esseri umani quanto i Terrestri. Riusciva a vedere la dedizione con cui Dre aveva definito i particolari e sfumato le ombre, per non parlare dei piccoli errori che si potevano notare a un esame più attento: alla fine nessuno poteva dire di essere perfetto, anche se in generale tutti i lavori erano impeccabili. C’erano anche delle pagine strappate, proprio lì, tra il disegno della ragazza e quello dello squalo tigre.
«Oh, ti prego. Mi fai venire la nausea».
Louane era convinta di essere al sicuro, sotto le coperte, con la tenue luce della finestra a illuminare la stanza, perciò era prevedibile che al sentire quella voce saltasse su con uno squittio e nascondesse di scatto il quaderno sotto il cuscino.
Syona, che se ne stava appoggiata contro lo stipite della porta, ridacchiò sommessamente. «Scusa, tesorino. Ti ho spaventata?» domandò in tono leggero, giocherellando con un ricciolo castano.
«Syona... fammi un altro scherzo come quello dell’altra volta e io...!» ringhiò minacciosa Louane. «Tu... non hai idea di quello che...!»
Syona ignorò i suoi farfugli e si avvicinò a lei con passo svelto, infilando una mano sotto il cuscino e prendendo il quaderno. Lo sollevò subito davanti al viso, facendo un paio di passi lontano da Louane. «Sì, sì, Wakko, ne abbiamo già parlato, ora basta fare chiasso. Se continui ad abbaiare qualcuno finirà per agitarsi» disse in tono noncurante, con gli occhi che le brillavano mentre guardava il quaderno. «Però. Non immaginavo che l’avresti preso sul serio, alla fine. Hai fatto davvero un gran bel lavoro... ed è stato pure divertente». Le rivolse un sorriso sornione.
La bionda in quel momento era nera per la furia. «Divertente?! Per te, forse! Ho passato il più orrendo quarto d’ora della mia vita! Credevo che sarei stata divorata!»
Syona sorrise melliflua. «Siamo nervosetti, eh? Ti ho già detto che la tua paura è una cosa stupida» la schernì, richiudendo il quaderno e appoggiando la mano libera su un fianco. «Sono qui per dirti un paio di cosette, comunque. Primo: scegli la fragola».
Ecco un altro nonsense. «Per che cosa?» domandò Louane irritata.
«Lo scoprirai tra un attimo» disse Syona calma. «E poi...»
Riaprì il quaderno e lo sfogliò piano. Poi lo aprì sulle pagine con la ragazza e lo squalo, dove stavano anche i bordi delle pagine strappate. «...sei curiosa di sapere cosa c’era qui?»
Louane aggrottò la fronte, sporgendosi un po’ verso di lei. «Perché, tu lo sai?»
Non poteva negare di essere abbastanza curiosa. Dre aveva conservato nel quaderno anche i suoi primi lavori, che non si potevano dire belli per eccellenza. E le pagine strappate erano tutte raggruppate lì, quindi non potevano essere solo delle bozze venute male. Di cosa poteva trattarsi?
«Sì, lo so» disse Syona, palesemente soddisfatta di aver attirato tutta la sua attenzione. «È una storia molto interessante, e anche abbastanza divertente, se ci si pensa. Ma, sai, sono faccende private, non dovrei proprio dirtelo...»
Ormai Louane si sentiva presa in giro in tutto e per tutto. «Syona, ormai me ne stai parlando. Di cosa si tratta?» insisté.
«Come siamo curiose, all’improvviso!» ridacchiò Syona deliziata. Fece spallucce. «No, non te lo dirò io. Se lo vuoi sapere, prova a chiedere a...»
«Syona, dai, vieni!»
Il tempismo perfetto di Vic interruppe la loro conversazione. Il ragazzo entrò nella stanza, agguantò il polso di Syona e la trascinò via.
«Dai, sbrigati. Sta per arrivare Coco, se ti vede qui potrebbe innervosirsi. E chi lo sente poi il padrone?»
«Oh, il cucciolotto non vuole essere preso a bastonate? Povero piccolo...» ribatté ironica Syona mentre uscivano, buttando a terra con noncuranza il quaderno.
«Aspetta, Syona!» esclamò Louane, sporgendo inutilmente una mano verso di lei. «Cosa volevi dirmi? Aspetta!»
Ma se n’era già andata. Come al solito Syona prima creava scompiglio, poi spariva. Avrebbe mai avuto pace?
Con un sospiro, Louane riprese il quaderno e lo liberò dalla polvere, rimettendolo poi nella federa del cuscino. Avrebbe proprio fatto meglio a non farsi vedere troppo con quello in mano.
Allo stesso tempo, però, alla lista di misteri se n’era aggiunto un altro: le pagine strappate. Era ovvio che si trattava di qualcosa di importante, ma Syona non si era neanche preoccupata di dirle a chi avrebbe dovuto chiedere informazioni.
...ma cosa le importava, poi? In fin dei conti non era affatto tenuta a ficcare il naso negli affari dei suoi padroni. Lì era un animale domestico: poteva sorridere e fare la carina, magari lamentarsi un po’ quando si faceva male, mai mordere la mano che la nutriva, mai parlare francese, mai cercare di scappare.
Solo che concentrarsi su altro, magari per cercare di distrarsi, la faceva sentire un po’ meno animale domestico del solito. Un po’ più umana.
Quando Coco entrò, Louane si stava sfiorando distrattamente il nastro con il fiocco che aveva legato al collo.
«No, Wakko, cattiva!» la rimproverò Coco, avvicinandosi subito e scansandole la mano per sistemarle meglio il nastro. «Non lo devi togliere mai, capito?»
«Sì, padroncina» rispose ubbidiente Louane.
La bambina sorrise. «Adesso vieni di là, ti faccio il bagno!»

Normalmente Louane aveva la possibilità di lavarsi per conto proprio, ma evidentemente Coco aveva deciso di cambiare registro... e Louane non poteva opporsi al suo volere: ne aveva pieno diritto. Senza che Louane potesse dire la sua – guai a lei se solo ci avesse provato! – venne trascinata nel bagno di casa, dove stavano una vasca enorme e vari prodotti, tra bagnoschiuma, shampoo e balsami vari. C’era anche Rura, che le rivolse un sorriso a metà tra il rassegnato e il comprensivo che fece sentire Louane un po’ più protetta. Se c’era anche lei, poteva essere certa che Coco non facesse casini.
Dopo aver aperto l’acqua e chiuso il tappo per far riempire la vasca, Coco le mostrò due bottiglie di bagnoschiuma. «Dai, Wakko, scegli!»
Louane sollevò le sopracciglia. «Scelgo io?»
Lei annuì convinta. «Sì, vediamo se indovini!»
”Indovinare”? Indovinare cosa? Sembrava proprio che quella mattina nessuno avesse intenzione di dirle le cose come stavano.
Tornò a guardare le bottiglie. Su una c’era scritto “Pesca”, sull’altra “Fragola”. Ora si spiegavano le parole di Syona, almeno in parte: secondo la donna infatti avrebbe dovuto scegliere la fragola.
Louane ci pensò su prima di rispondere. Poteva rispondere “Fragola” e decidere di fidarsi di nuovo di Syona... ma poteva esserci dietro un altro trucco per uno scherzo di pessimo gusto. Altrimenti poteva scegliere la pesca, e decidere di affrontare un rischio che forse c’era o forse no. E se Syona le aveva detto “fragola” proprio perché sapeva che non l’avrebbe scelta?
«Wakko?» la chiamò Coco. «Dai, è facile!»
Oh, basta.
«Pesca» disse Louane.
Coco fece un grandissimo sorriso di dentini affilati. «Hai indovinato! Bravissima, Wakko! Dopo ti faccio mangiare qualcosa di dolce!»
Louane sorrise soddisfatta. Ora era tutto chiaro: ogni volta che Syona le diceva di fare qualcosa, a lei sarebbe bastato fare esattamente il contrario di quello che le veniva detto. Lanciò un’occhiata a Rura, la quale sembrò improvvisamente a disagio. Se un attimo prima Louane era soddisfatta, un attimo dopo era già un po’ nervosa.
In fondo, però, la situazione era ridicola. Dopotutto si trattava solo di scegliere tra il bagnoschiuma alla pesca e quello alla fragola! Non era il caso di farne una questione così importante. Che differenza poteva mai esserci?

«Mi sa che Eyla ce l’ha con te».
Nash aggrottò la fronte. Si stava ancora vestendo, e Dre gli era entrato in camera per chiacchierare... ma quello era l’ultimo argomento che si aspettava. A dispetto della sua espressione, comunque, fece spallucce e continuò a cercare la maglietta nel cassetto.
«Eyla ce l’ha sempre con me. Anzi, credo che per lei essere arrabbiata con me sia diventata una specie di abitudine» rispose.
Il suo tono aveva solo una leggera punta di nervosismo, ma ormai erano giorni che Nash non riusciva ad essere completamente tranquillo. Una cosa che iniziava a preoccupare seriamente un po’ tutti, soprattutto il fratello gemello.
«...ascolta» riprese Dre. «Eyla ti ama».
Nash sbuffò insofferente.
«Ti ho detto “ascolta”» sibilò il fratello. «Se fai qualcosa che la fa arrabbiare, lei prima distrugge te, poi si distrugge da sola».
Nash afferrò con forza la maglietta che aveva in mano e diede uno strattone brusco con le mani, strappandola in due. Poi lanciò le due metà contro il muro. «Ma certo! È Nash quello nervoso, diamo tutti la colpa a lui! Sicuramente è lui che sta diventando sempre più pazzo! È questo quello che pensi, vero?!» tuonò.
Dre aveva incassato la testa tra le spalle. «Non ho mai detto questo. Adesso stai calmo. In questi giorni sembri davvero fuori di testa... spero proprio che Lexi non sia costretta a metterti dietro le sbarre».
Dietro le sbarre, sì. Dove andavano i Marini che diventavano animali. Ma per andarci bisognava fare di più che strappare una maglietta, e lo sapevano entrambi; per questo motivo Nash fece un respiro profondo, rilassò le spalle e prese un’altra maglietta da indossare.
«Non so cosa le prende, di recente. Diventa sempre più gelosa anche per le cose stupide, fraintende quello che dico, si fa film mentali...»
«Ho notato» disse Dre. «È diventata gelosa anche di Wakko».
Vide chiaramente le spalle di Nash sussultare. Inarcò le sopracciglia.
«Nash... mi dici perché hai scelto Wakko, all’asta?»
Lui però sembrava troppo impegnato a decidere cosa indossare ai piedi per prendere seriamente quella domanda. «Era l’unica decente. Un maschio non andava bene per Coco, e non si sarebbe divertita con una troppo grande per lei».
«E non ci sono altri motivi?»
«Dre».
«Nash».
Ci fu un lungo silenzio, durante il quale Nash fu impegnato a preparare il borsone per uscire. Poi il ragazzo scosse la testa. «Senti, non ci sono altri motivi. Se ci fossero, te li direi. Sei mio fratello».
Uscì dalla camera, seguito a ruota dal gemello. Dre, piuttosto che seguirlo, si diresse in camera propria.
«Buona passeggiata, Nash»
«Grazie... ah, Dre». Nash si voltò verso di lui. «Dov’è finito il tuo quaderno?»
«L’ho dato via. Iniziava ad irritarmi».
Lo sguardo di Nash si incupì. Dre se ne accorse subito.
«Ehi, ehi. Non preoccuparti. È solo un quaderno».
«Sì» rispose Nash, per niente convinto.
Scese le scale, arrivò nell’enorme ingresso.
Coco era già lì, e gli rivolse un bellissimo sorriso appena lo vide. Accanto c’era Wakko, che sembrava sorpresa di vederlo. Non in senso positivo, e Nash non faceva fatica a intuire il motivo.
«Andiamo» disse il ragazzo, avvicinandosi a Coco e lasciandole una carezza distratta sul capo. «Oggi vuoi nuotare, no?»
«Sì! Andiamo!» trillò la bambina, più che allegra che mai.
Fu mentre aprivano il portone di casa, cioè quando Wakko fu piuttosto vicina, che Nash sentì quel profumo.
«Coco» mormorò appena. «Sento un profumo...»
Lei sorrise; pareva piuttosto soddisfatta. «Sì! Ho usato il bagnoschiuma alla pesca! Buono, vero?»
Nash si voltò a guardare Wakko. La ragazza sembrò farsi piccola piccola sotto il suo sguardo, come se temesse di essere trafitta da milioni di coltelli. Una delle cose che lo irritavano di più.
Solo che quella volta non era affatto irritato. Anzi, si sentì stranamente calmo.
«Sì, buono».
Chiuse la porta alle proprie spalle.

Nelle giornate in cui non c’era scuola, Nash e Coco si svegliavano presto per andare a fare una passeggiata in centro, oppure una nuotata al parco; spesso facevano entrambe le cose. Coco probabilmente era affezionata a Nash più che a tutti gli altri suoi fratelli e sorelle: questo perché aveva sempre tempo per giocare con lei, e piuttosto che mantenere sempre quel certo autocontrollo che aveva Dre, Nash si prestava volentieri anche ai giochi più spericolati.
Quel giorno, però, Coco aveva deciso di portare con loro anche Louane, per farle fare una passeggiata e mostrarle più Oceano di quello che aveva messo a fuoco appena arrivata.
A Louane, in una situazione normale, non avrebbe potuto che fare piacere. Non aveva visto granché di Seahorse – non ancora – e il giorno in cui era arrivata non era assolutamente dell’umore giusto per guardarsi intorno senza scoppiare in un pianto disperato. Cosa non proprio lecita se in compagnia dei propri padroni. Lì però c’era Nash, ed era sicura che sarebbe rimasta tutto il tempo tesa come una corda di violino.
Contro ogni sua aspettativa, però, non accadde. Nash aveva preso Coco in braccio, e ora camminavano dietro di lei – da dove la potevano controllare – ridendo e chiacchierando di cose stupide.
«A scuola la maestra ci ha chiesto di disegnare il nostro eroe e di spiegare perché è il nostro eroe!» raccontava Coco, tutta contenta.
«Ah sì? E tu di chi hai parlato?»
«Di Kane!» esclamò la bambina raggiante.
Nash pareva contrariato. «Ma come?! Non hai parlato di me?»
«Ma Nash, tu non sei un eroe, sei un fratello!»
E ridevano, per poi parlare di cartoni animati, di videogiochi, di persone. Sembravano persi nel loro mondo.
Louane ogni tanto si voltava verso di loro, e Nash le lanciava un’occhiata... beh, soddisfatta. Era evidente che la presenza di Coco riusciva a placare parecchio il suo atteggiamento nei suoi confronti: non l’aveva ancora guardata male, neanche una volta.
Erano andati in centro, e intorno a loro giravano parecchi Marini, con pochissimi Terrestri che se ne andavano in giro da soli o controllati. Era quel genere di situazioni in cui Louane, di altezza nella media, si sentiva estremamente piccola; le persone, le porte dei negozi, ciò che si vendeva nei negozi... beh, tutto era semplicemente enorme. Era un lato dell’Oceano cui doveva abituarsi: il fatto che sarebbe stato tutto più grosso rispetto a lei.
«...e poi Capitan Spada si è gettato contro la porta per entrare!» Coco ridacchiò.
«E poi?» la incalzò Nash. «Poi che è successo?»
Sembrava così stupido interessarsi a una cosa così... beh, così infantile. Eppure Nash si stava davvero divertendo, Louane lo sentiva. E non poteva fare a meno di invidiarlo.
«Poi gli è rimasto il naso incastrato nella porta. Fortuna che c’era Tenente Gallo con lui!» Coco rise ancora, fortissimo, poi esclamò: «Ah! Aah! C’è Kynan! Nash, mettimi giù, mettimi giù! KYNAAAAAN!»
Coco iniziò a strillare e ad agitarsi tanto che Nash dovette metterla subito giù. Parecchia gente si era voltata verso di loro.
Il “Kynan” di cui parlava Coco era un bambino che se ne stava più avanti in compagnia di una ragazza. No, a giudicare dalla pelle, probabilmente era sua madre.
«Ciao Coco» salutò il bambino in tono neutro. Poi spostò lo sguardo su Louane. «È quella Wakko?»
«Ah! Sì, sì!»
Louane s’irrigidì mentre Coco le prendeva con poca grazia il braccio – ormai in vari punti era nero, oppure giallognolo, tante erano le volte che veniva agguantata in quel modo – e la trascinava verso il suo amichetto. Dopodichè Coco la costrinse a mettersi in ginocchio davanti a lui.
«Puoi accarezzarla! È buona buona!» lo rassicurò Coco.
Kynan era un bambino intelligente: lo si capiva dal suo sguardo. Lo vide sollevare la mano e chiuse gli occhi.
«Che... che fa?» domandò Kynan. «Ha paura?»
«Non lo so...» fece Coco. «Ehi, Wakko, non chiudere gli occhi! Tienili aperti!»
Louane riaprì gli occhi, ubbidiente, e finalmente Kynan le toccò i capelli.
Fu un tocco estremamente delicato, La manina del bambino la sfiorava appena, e a Louane quasi venne da sorridere.
«È diventata rossa» notò Kynan.
«Sì! Carina, vero? Puoi accarezzarla più forte, però, tanto non le fa male!» disse Coco.
Kynan scosse la testa. «I Terrestri hanno la testa tenera come un uovo di pesce, non lo sai? Bisogna fare piano».
Coco sgranò gli occhi. «Eh?!»
Sarebbe stato divertente continuare a seguire quel discorso sull’essere delicati o essere naturali con i Terrestri, ma in quel momento Louane sentì due mani posarsi sulle sue spalle, e una voce proprio sopra la sua testa.
«Coco, mi presti Wakko un attimo? Intanto continuate a parlare» disse Nash sbrigativo.
«Va bene» replicò Coco ubbidiente.
Louane si rimise in piedi più in fretta che poté, poi seguì Nash due o tre metri più in là.
Il ragazzo si mise a braccia conserte. «Smettila. Lo detesto».
Lei batté le palpebre. «Di che stai parlando?» fece. «Padrone?» aggiunse.
«Di quello» rispose Nash, accennando a Coco e Kynan. «È solo irritante. E non fare quella faccia, sai benissimo di cosa sto parlando!»
Lo sguardo di Louane era semplicemente vacuo. «Eh?»
«Tu... tu stai facendo la carina solo per piacere di più a Coco!» sbottò il Marino, aggrottando la fronte. «Stai cercando di manipolarli, Wakko. Datti una regolata».
Fu il turno di Louane di aggrottare la fronte. «Ma... ma io non sto cercando di manipolare proprio nessuno, padrone!» ribatté. «Quando avrei cercato di farlo? E come, scusa? Io qui sono soltanto un animaletto!»
«Sei arrossita davanti a loro solo per farti guardare di più!»
«Non ci posso fare niente! Diventare rossa non è una cosa che controllo!» ribatté Louane. «È una cosa che faccio quando...»
Quando sono felice.
Le parole le morirono in gola. Si ritrovò a fissare Nash in viso senza sapere più che cosa dire.
Era arrossita perché era felice. Beh, normale: quella era probabilmente una delle poche carezze gentili che aveva ricevuto da quando era arrivata.
Non solo. Stava parlando con Nash tranquillamente, senza preoccuparsi di rispondergli a tono... e lui non sembrava avere alcuna intenzione di volerla azzannare.
Purtroppo, però, durò pochissimo. Nash scosse la testa. «Tu stai soltanto cercando di confonderci le idee. Falla finita».
Distolse lo sguardo, ignorando quello assolutamente confuso di Louane.
L’ultima cosa che Louane sentiva di poter fare a un qualsiasi Marino era il lavaggio del cervello. Non avrebbe saputo da dove cominciare, e sicuramente non era il tipo da mettersi a... sedurre nessuno per ottenere qualcosa: si sarebbe fatta schifo da sola.
Cercare di far valere le proprie ragioni ora, comunque, era impossibile. Era ovvio che Coco stravedeva per il suo nuovo animaletto, e di certo per Dre non doveva essere una cosa normale cedere il suo quaderno a chiunque. Perfino Shania era stata felicissima appena l’aveva vista entrare in camera propria.
Sì, ma Nash? Da come aveva parlato, sembrava che si stesse riferendo anche a se stesso. Louane non ci arrivava proprio: per il momento Nash l’aveva quasi sempre trattata male, e non le sembrava che il ragazzo le concedesse favoritismi, anzi.
Quindi...?
«Nash, Nash! Kynan ha detto che possiamo andare a nuotare insieme! Andiamo? Ti preeeego!» cinguettò Coco, avvicinandosi a Nash e afferrandogli il lembo della maglietta.
Lui fece un gran sorriso. «Certo! Sarebbe divertente».
Mentre i Marini si avviavano insieme verso il parco per nuotare, ridendo e scherzando tra loro e senza degnarla di uno sguardo, Louane si sentì molto più Terrestre del solito.

Il “parco” per i Marini erano altre piscine situate in mezzo a una vasta zona piena di tavolini, sedie e chioschi sparsi qua e là. Erano estremamente vaste, estremamente profonde – alcune raggiungevano perfino gli scogli del fondale oceanico – ed erano piene di vegetali. Era un divertimento silenzioso, quello: ci si entrava per passare del tempo insieme, ma mentre i Marini usavano le branchie non potevano parlare. Se si voleva parlare bisognava per forza riaffiorare in superficie o sedersi ai tavoli, cosa che di solito alla gente che andava lì per nuotare dava parecchio fastidio.
Coco si era assicurata che Louane prima di uscire si mettesse un costume sotto i vestiti, ma Louane dubitava che la sua presenza sarebbe stata una buona idea in un parco. Lì i Marini nuotavano e davano sfogo a tutta la loro voglia di nuotare, e in un certo senso era una valvola di sfogo per gli istinti: certamente Nash o la madre di Kynan non le sarebbero arrivati addosso, ma una bambina dell’età di Coco era portata a fare quel genere di errori.
«Wakko, tu resta fuori dall’acqua» le ordinò infatti Nash mentre si sfilava la maglietta e la ficcava nel borsone, che aveva appoggiato sul tavolino.
Come Louane aveva già avuto modo di vedere in precedenza – ma non in circostanze così tranquille – Nash era più muscoloso di Dre. Non in maniera molto evidente, ma c’era un qualcosa nella forma delle braccia che lo lasciava intuire. Per il resto, era come un qualsiasi altro ragazzo Terrestre: era solo più grosso e più azzurro.
...a che serviva fare paragoni, comunque?
«Oh, perché? Voglio giocare con lei!» si lamentò Coco.
«Sì, anche io!» le fece eco Kynan.
«Non se ne parla, bambini» li redarguì la mamma di Kynan. «Potrebbe farsi male, e comunque non potrebbe andare molto in profondità: i Terrestri possono respirare solo fuori dall’acqua, ricordate?»
«Infatti» disse Nash. «Riuscirete tranquillamente a divertirvi anche senza di lei. Coco, dille di smetterla di fissarmi».
Louane distolse lo sguardo per conto suo e avvampò per l’imbarazzo. Non vide l’espressione che fecero i Marini attorno a lei, né se qualcuno la guardò ancora: era troppo impegnata a fissarsi le ginocchia e a sperare che il calore alle orecchie scemasse in fretta.
L’aveva fissato senza neanche rendersene conto. Tutte le altre volte che l’aveva guardato era stata troppo occupata ad avere paura per mettersi effettivamente ad osservarlo con attenzione, perciò stavolta ci si era soffermata con cura.
Fino a un mese prima, i Marini le sembravano tutti esattamente uguali. E ora? Ora avevano ciascuno un volto diverso.
Forse era stata Shania. O forse Dre, con il quaderno che le aveva regalato.
Non sapeva proprio darsi una risposta. Lì la sua vita non poteva essere “felice”, eppure iniziava a ragionare nel modo sbagliato. Anche prima, per un attimo, aveva desiderato di poter ridere e scherzare insieme a loro, e magari essere più alta, con una pelle azzurra e degli occhi neri come le profondità dell’Oceano.
Sicuramente stava impazzendo. Avrebbe dovuto passare più tempo insieme a Vic, probabilmente, e riabituarsi a una compagnia Terrestre. Non era una cosa sana, desiderare di cambiare natura in quella maniera. Neanche nel proprio subconscio.
«Ehi, tu. Che diavolo stai combinando?» domandò una voce. Louane si voltò di scatto.
Era una ragazza – una bella ragazza, a dirla tutta – e la guardava fisso. Louane aveva sfogliato fin troppe volte il quaderno di Dre per non riconoscere in lei la ragazza ritratta vicino al disegno dello squalo. Batté le ciglia una volta, chiedendosi per un attimo se stava avendo un’allucinazione.
«Chi ti credi di essere, Terrestre? Perché diavolo te ne stai seduta al tavolo? Alzati subito da lì!» le intimò ancora la ragazza, mettendosi a braccia conserte.
Louane non si mosse. «Il padrone mi ha detto che posso farlo, signorina» rispose in tono pacato.
Lei sembrava sul punto di azzannarla. «Come osi?! Sei soltanto una bestiaccia, tu! Sta’ al posto tuo!»
La agguantò per il braccio all’altezza del gomito e con uno strattone la fece alzare. O meglio, Louane si alzò più in fretta che poté: con uno scatto simile da parte di una ragazza Marina, per quanto giovane e fuori allenamento, le si poteva anche smontare la spalla.
«Chi ti credi di essere?» sibilò la sconosciuta.
Louane la fissava smarrita... e, sì, anche spaventata. Non era mai sicuro per un Terrestre rimanere in balia di un perfetto estraneo, ma credeva che almeno lì, seduta al tavolo e senza dare fastidio a nessuno, sarebbe rimasta in pace, esattamente come pensavano anche Nash e la madre di Kynan.
«Io... io s-sono la... sono Wakko... io...» balbettò Louane. Si sentiva sbiancare. Forse sarebbe svenuta: di certo il suo cervello aveva una mezza idea di spegnere la luce.
Lei assottigliò lo sguardo. «Ah, allora sei tu. Ma certo. Sei quella nuova».
Sentì la sua presa farsi più forte contro la carne. Louane si lasciò sfuggire un lamento che aveva cercato di soffocare. Ma faceva male, male, male...
«Sei proprio quella lì... e... questo profumo...»
«Aaaaaah! Aaah!» Louane strillò, una, due volte. Faceva malissimo, sentiva che le ossa si sarebbero accartocciate sotto quella presa, e si chiedeva perché ancora non sentiva il cric che certamente sarebbe arrivato, quello che forse avrebbe messo fine a quello stringere insopportabile. Qualche Marino si voltò verso di loro, infastidito dal chiasso, e qualcuno protestò a voce alta, ma Louane era diventata sorda.
«Chiudi il becco! Chi credi di incantare?» sbraitò la ragazza.
«Eyla, falla finita! Lasciala andare! Non vedi che le fai male? Lasciala!»
Di colpo tra Louane e la ragazza si parò Nash, che prese il braccio della sconosciuta e lo strinse per farle mollare la presa. Con un lamento Eyla fu costretta a lasciare il braccio di Louane, che subito lo riavvicinò al corpo e se lo massaggiò piano. Lo sentiva pulsare dolorosamente e sulla pelle erano rimasti dei segni rossi.
«Sei diventata matta? Mi vuoi dire che succede? Che bisogno c’era di aggredire Wakko in questo modo?!» ringhiò Nash a denti stretti.
Coco intanto si era avvicinata a Louane e le accarezzava piano la testa. «Shh, shh... ti ha fatto tanto male? Stai buona, Wakko...» poi fece una smorfia. «Che... Wakko, che cos’hai? Sei malata?»
Faceva così male che a Louane era sfuggita una lacrima. E non riusciva a smettere di tremare: si era spaventata a morte.
Eyla – evidentemente era lei, la ragazza di cui Shania le aveva parlato – guardò in basso, offesa. «Perché la difendi? Non sai neanche cos’ha fatto».
«Perché, che dovrebbe aver fatto?» ribatté Nash secco. «Eyla, è solo un animale. Un animaletto domestico. Qualsiasi cosa abbia fatto, non c’è bisogno di spezzarle il braccio per punirla... e se mai ce ne sarà bisogno, sicuramente non dovrai occupartene tu».
Probabilmente le sue grida si erano sentite fin sotto l’acqua: ormai erano in tanti nei paraggi a guardare verso di loro. Louane non osava neanche immaginare cosa sarebbe potuto succedere se Nash non fosse uscito dall’acqua così in fretta.
«Anche tu la difendi». Eyla era cupa in viso. «Benissimo. Nash, sei solo uno stupido, sai? Fai il finto tonto, ma il naso ce l’ho».
Nash scosse la testa. «È una coincidenza. Stai farneticando».
«Una coincidenza! Ah! Questa sì che è buona!» sbottò Eyla. «Vieni a parlarmi di coincidenze quando quella ragazza, quella che tu hai pagato settantamila ron, quella che sei andato a comprare personalmente, quella che ha quasi la tua stessa età e vive in casa con te, ha addosso il tuo profumo preferito!»
La Marina si divincolò dalla sua stretta e gli tirò uno schiaffo.
«Sei uno stupido, Nash. Ti odio».
Detto questo si allontanò dal parco a grandi passi, con gli sguardi dei Marini là attorno che la seguivano stupiti.
A Nash era rimasta una chiazza un po’ troppo rossa in viso. Si massaggiò la guancia, lo sguardo cupo fisso a terra.
«Coco... dai, torniamo in acqua».
Coco aggrottò la fronte. «Eyla è stata cattivissima! Ti fa male?»
Nash fece un sorriso amaro. «Un pochino».
Da arrabbiato che era, era diventato parecchio mansueto. Però non guardava Louane neanche di striscio.
Mentre Nash e Coco tornavano in acqua a divertirsi, Louane non pensò di voler essere come loro. Pensò solo che, effettivamente, quel posto non faceva assolutamente per lei.

Rieccomi.
Vipregononuccidetemi.
Sì, è passato quasi un anno dall’ultimo aggiornamento, me ne sono accorta. Ma non è una cosa voluta: vorrei scrivere la storia spontaneamente e non in maniera troppo forzata.
Questo capitolo è forse un po’ più lungo dei precedenti e spero che sia venuto abbastanza bene. Ci vediamo al prossimo: non so quando, non so neanche se vi vedrò... ma so che ci sarà. Di questo sono abbastanza sicura.
Grazie a tutti quelli che nonostante il ritardo disumano continuano a seguire/preferire/ricordare la storia, grazie a quelli che forse lasceranno una recensione, grazie anche a quelli che mi preferiscono come autrice e grazie a quelli che decidono di curiosare nel mio account per vedere se ho scritto anche altre fiction.
...sì, questo era un invito molto implicito.
Al prossimo capitolo!
Ignis

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