Il racconto di Emma
-Era tempo che mi ero scoperta innamorata di Severus.
Mi ero accorta di ascoltarlo sempre un po’ più degli altri, di impegnarmi
moltissimo in Pozioni nonostante non fosse la mia materia preferita. Era sempre
più frequente nei miei sogni: situazioni di pericolo in cui lui puntualmente mi
salvava, prendendomi tra le braccia, oppure ero io a fare la parte dell’eroina,
guadagnandomi i suoi infiniti amore ed approvazione, concessi a pochi eletti.
Concessi solo a Lily Evans, in realtà; tua madre, Harry Potter. Quanto la
invidiavo, per la sua bellezza e per ciò che possedeva: il cuore di Sev. E la
consideravo una stupida. So che non dovrei dirtelo, non a te, ma ero accecata
dall’amore. Come poteva rifiutare quel dono paradisiaco che le era stato
offerto? Come poteva rinunciare a Piton? Non era concepibile per me una cosa
del genere. “Se solo fossi lei” pensavo “io farei…”
Avrei fatto tante cose, se fossi stata Lily Evans.
Ma purtroppo non ero lei. Ero solo una piccola, insignificante Corvonero, del
tutto priva di ogni attrattiva. E’ così, Harry, è inutile che scuoti quella tua
chioma ribelle. Sei un ragazzo molto dolce, ma devi accettare la realtà così
come l’ho accettata io. Al confronto di tua madre non ero, e non sono, nulla.
Lei non è solo bellissima: è veramente la donna più dolce, e buona,
intelligente e vivace, che sia mai esistita. La odiavo, la odiavo perché non
potevo odiarla. Come si può odiare una persona così? Per questo la odiavo. Lo
so che sembra una cosa assurda, lo è infatti, ma non potevo sopportare che
facesse soffrire così Severus, lo capisci?
Poi Lily morì, e nascesti tu. Un neonato che
sconfigge Voldemort, grande festa in tutto il Mondo Magico. Ma tu questo lo sai
meglio di me, vero, Potter? Il resto, come si dice, è storia. Severus era
distrutto: divenne ancora più acido, più severo, tenendo fede al suo nome. Un
vero serpente. Ma io sapevo cosa c’era dietro, lo capivo e, se possibile, lo
amavo ancor di più. Durante l’estate gli avevo scritto alcune lettere, col
pretesto di non capire uno o due esercizi per le vacanze. Mi rispose una volta
sola. Ecco, ce l’ho qui.- Porse ad Harry un foglio spiegazzato, ingiallito e
rovinato, col timbro di Hogwarts, che diceva:
“Alla Sig.na
Emma Baker,
Le
allego alcuni quesiti che potranno esserLe d’aiuto nello svolgimento dei
compiti da me assegnati.
Spero
che stia facendo buone vacanze.
Professor
Severus Piton”
-“Spero che stia
facendo buone vacanze”… Quante volte ho letto quelle parole, cercando
significati nascosti… Quante volte ho ammirato la sua calligrafia, il mio nome
scritto dalla sua mano, immaginandolo mentre mi dedicava un momento. A me, e
solo a me! Ero pazza, ero veramente pazza, ma questa pazzia mi dava una tale
gioia… E allora che male poteva esserci? La felicità può essere raggiunta con
qualsiasi mezzo, no? A meno che non nuocia ad altri, ovviamente. E a chi faceva
male la mia ossessione?
Col passare delle
settimane, però, l’ossessione si affievolì, per lasciare il posto ad una quieta
e dolce calma ogni volta che il pensiero del mio professore di Pozioni mi
sfiorava il cervello. Pensavo che fosse l’amore che spariva, invece era un’evoluzione
di quel dolce sentimento, un cambiamento che lo rese ancor più forte e
radicato. Più si avvicinava il momento di tornare a scuola, più divenivo felice
e quieta, al pensiero che avrei finalmente raggiunto il mio porto.
Con tutto questo che ti
sto dicendo, potresti pensare che non mi interessasse altro che Piton, che
nella mia testa non ci fosse altro pensiero, altro interesse. Non è affatto
così. Vedevo gli amici, studiavo molto, andavo bene a scuola ed ero “l’allegria
del focolare” di casa mia. Ma l’amore è così: un pensiero che c’è sempre, anche
quando fai altro, lui o lei ti accompagna ovunque tu sia, con chiunque tu sia.
Sarà sempre con te.
Venne così il momento
di tornare ad Hogwarts. Ero entusiasta, tutti gli studenti lo erano. Al binario
9 e ¾ le urla di gioia non si contavano,
i sorrisi infiniti, gli occhi lucenti. Hogwarts è la casa di tutti noi, è casa
mia, è casa tua, è il primo posto dove mi rifugerei se fossi in pericolo
mortale. Anche se ormai non ha più importanza, no?- aggiunse con un sorriso
mesto.
-Comunque, al binario
salutai i miei genitori e mio fratello, Leo. Leo ha… aveva… cinque anni più di
me. A quel tempo ne aveva quindi ventuno. Era stato espulso da Hogwarts al
penultimo anno, per rissa con un compagno. Un Malfoy, o comunque un qualche
loro cugino. Era morto, il Malfoy, e mio fratello cacciato a pedate. Ma non si
era pentito. “Se potessi tornare indietro lo rifarei” esclamava orgoglioso, e i
miei dovettero fare buon viso a cattivo gioco ed ammirare la sua
determinazione.
Uno o due mesi dopo il
mio ritorno ad Hogwarts mi comunicarono che la mia famiglia era stata
sterminata. Era chiaramente opera di Tu Sai Chi, magari tramite i Mangiamorte,
ma nessuno voleva guastarsi la festa per la sua scomparsa, e attribuirono la
loro morte a: “Causa: incidente magico.”
Sai quanti ce ne
furono, morti per “incidenti magici”… Intanto io ero rimasta sola al mondo, e
non trovavo più una ragione nell’esistenza. Mi sentivo così affine a Severus,
che in quei tempi mi pareva avesse delle attenzioni particolari per me, ma
forse era solo un’impressione. Comunque, dopo la morte dei miei, non trovavo più
neppure beneficio nel mio amore per lui, che andò a nascondersi chissà in quali
meandri del mio cuore.
Probabilmente avrei
smesso di amarlo, e sarei forse ancora viva, se lui, tre o quattro settimane
dopo la brutta notizia, non mi avesse invitata a fermarmi dopo la lezione. Io
arrossii, emozionata, perché, nonostante tutto ciò che mi ripetevo da giorni,
era ancora al centro dei miei pensieri.
“Venga qui, Emma.” mi
disse, col suo tono gelido. Io mi avvicinai timorosa, e fu allora che lui… Mi
prese una mano, mi guardò fissa negli occhi con quei suoi meravigliosi,
penetranti occhi neri, e mi disse: “Io la capisco. Perdere la ragione della
propria vita… so cosa significa. La mia famiglia per me non lo era, ma… Penso
che sappia cosa intendo.”
Annuii, lo sapevo
benissimo. Non sembrava neppure lui: era sempre gelido e freddo, ma aveva
qualcosa di… caldo, dolce. Non saprei descriverlo.
“Volevo solo avvisarla
di non fare sciocchezze. Potrebbe cadere in tentazione, ma… non si tolga la
vita. Sarebbe una grossa perdita, per lei, e per altri.”
Con quell’ “altri”
sembrava voler indicare se stesso… Mi dissi che era una cavolata, ma non
riuscivo a togliermi di dosso quella bellissima sensazione. Mi lasciò la mano e
mi ordinò di andarmene. Io, ovviamente, obbedii, col cuore in subbuglio. Mentre
mi allontanavo mi girai: lui aveva la testa tra le mani, come a rimproverarsi
un momento di debolezza.
Non successe altro per
vari giorni, se non che lui mi aveva ridato un po’di speranza per il futuro.
Ormai mi ero quasi convinta di piacergli, anche se continuavo a ripetermi che
era impossibile e che certo quell’impressione era un parto della mia mente.
Le vacanze di Natale le
passai ad Hogwarts, dato che non avevo più un posto dove andare. Pensavo che in
questo modo l’avrei visto più spesso, ma Severus odiava i canti e l’allegria
che il Natale portava. Si tratteneva ai banchetti sempre lo stretto necessario,
e appena poteva, come un avvoltoio, svolazzava via, avvolto nel suo mantello
nero. Fino alla fine delle vacanze pensai perciò a divertirmi con gli altri
studenti rimasti, senza pensieri o preoccupazioni. Baciai persino un ragazzo,
per la prima volta, non senza sentirmi divorare dal rimorso. Per ovvie ragioni,
troncai la nostra relazione ancor prima che nascesse.
Poi, alcune settimane
dopo l’inizio del secondo semestre, successe Il Fatto, che cambiò la mia, e
penso anche la sua, vita per sempre. Anzi, la mia non la cambiò. La stroncò,
pose un punto fermo al mio cammino di sedicenne allegra e innamorata.
Era un piovoso giorno
di Gennaio, uno come tanti. Ero mediamente felice dell’imminente lezione di
Pozioni: la mia felicità dipendeva ovviamente da Piton, la mia preoccupazione
lo scantinato gelido in cui si teneva la lezione. Arrivati in aula, tutti
imbacuccati dalle punte dei capelli alle unghie dei piedi, con vari strati di
golf sotto il mantello, e cappelli di lana sotto il cappuccio dell’uniforme, ci
accorgemmo subito dello strano tepore emanato dal calderone al centro della
stanza. Chino su di esso il nostro professore, col viso stranamente roseo. Ci
rivolse una sottospecie di sorriso, il gesto più gentile di cui era capace
verso la mandria di caproni che solitamente ci considerava, e ovviamente il mio
cuore cominciò a galoppare davanti a quell’omaggio inaspettato. Era ancora più
affascinante, così accaldato. Cominciammo tutti a toglierci i centomila strati
indossati per prevenire il freddo, perdendo un buon quarto d’ora, e stranamente
Severus non protestò, non disse nulla. Si limitò a fissarmi mentre rimanevo in
canottiera, ed io mi affrettai ad indossare l’uniforme, rossa come il
paraorecchie della Sprout.
Finito lo spogliarello
Piton, lievemente imbarazzato (quanto lo consentiva il suo solito contegno
freddo e distaccato) cominciò a distribuirci varie ampolle piene di un liquido
rosa. Profumava di orchidee e di cioccolato; poco dopo Piton ci spiegò che era
un potente filtro d’amore, e che aveva un profumo diverso a seconda dei gusti
di chi la possedeva. Chiese a due o tre persone di cosa odorassero le loro. Lo
chiese anche a me, ed io risposi “Sento odore di cioccolato e di orchidee.” Severus mi si avvicinò, incuriosito, e mi fu
tanto vicino che potei sentire il suo profumo… Orchidee. Curioso, eh? Sarà
stato proprio per quello, non so. Non lo saprò mai.
Evidentemente quel
pomeriggio era di buon umore, perché ci regalò un altro sorriso e disse,
testuali parole, “Adesso mi permetto di chiedere alle signorine qui presenti a
quali dei vostri compagni propinereste questa roba” ed assunse un’espressione
maliziosa. Tutte arrossirono, e solo Angela Wright ebbe il coraggio di
rispondere. Due ore più tardi la vidi appoggiata al muro del cortile a baciarsi
col suo prescelto, Pietro Gunther.
Mentre Piton ci
scrutava sogghignando, incrociò il mio sguardo. I suoi occhi divennero vacui,
ed io sentii la frase che mi era salita alla mente, “La propinerei a lei,
signore, questa sbobba”, che mi veniva strappata via. Per un secondo mi sentii
gelare, e sudai freddo. Poi Severus girò lo sguardo su Delia Hammont e mi
dimenticò. Sospirai di sollievo, ma una piccola fitta di rammarico attraversò
il mio cuore. Cosa sarebbe successo se… Se davvero avesse potuto sapere cosa
stavo pensando?
Forse hai notato,
Harry, che Piton qualche volta sembra scavarti nel cervello con quei suoi occhi
indagatori. Se ancora non ne hai la certezza, ora te lo confermerò: sì, Severus
Piton è in grado di leggere nel pensiero. A fine lezione ci congedò con un
cenno del capo, e si apprestò a mettere in ordine le boccette di Ambrosia. Ero
l’ultima rimasta in aula, con la mia amica Bianca Roles, quando la voce fredda
e profonda che conoscevo come le mie tasche disse il mio nome.
“Emma Baker.”
“Sissignore.”
“Gradirei che si
fermasse con me per altri cinque minuti, se non le dispiace.”
Lanciò un’occhiata a Bianca.
“Sola.”
Guardai la mia amica
che, discreta come sempre, si affrettò a tagliare la corda. E così, rimasi sola
col professor Piton. Mi sembrava un sogno; solo che temevo potesse trasformarsi
in un incubo.
Ma non successe. Il
nostro dialogo avvenne esattamente come ti dirò ora.
“Emma Baker.”
“Sissignore”
Sorrise lievemente a
quella provocazione.
“Prima, quando ho
chiesto a chi avreste “propinato quella sbobba”...”
“No signore.”
“Cosa?”
“Lei ha detto
“propinato quella roba”. Sbobba…l’ho
pensato io.”
“Ecco, appunto. Quando
ho chiesto a chi avreste propinato quella… diciamo pozione, ho letto nei suoi
occhi una cosa… quantomeno degna di nota.”
“…Cosa ha letto?” Mi
sentii mancare.
Lui mi scrutò per un
secondo con gli occhi neri come le ali di un corvo. Mi si avvicinò lentamente:
sentivo distintamente il profumo di orchidee provenire dal suo mantello, dalla
sua pelle.
“Vuole sapere cos’ho
letto?”
“Sì… signore…” ormai
non respiravo più. Deglutii, mentre Severus mi era sempre più vicino, tanto che
i nostri nasi quasi si toccavano.- Emma fece un profondo sospiro, e perse lo
sguardo nel vuoto.
-Mi prese il viso tra
le mani e mi baciò. Fu una cosa incredibile, mozzafiato. Mi sembrava di essere
nata per quello, mi sembrava che tutta la mia vita avesse ruotato intorno a quell’istante.
Io e Severus, allacciati, persi in un mondo tutto nostro. Mi strinsi a lui,
finalmente: quanto avevo aspettato quel momento!
Dopo quelle che mi
sembrarono ore, o forse fu solo una manciata di secondi, Severus mi allontanò
gentilmente. Io mi staccai da lui, ancora incredula, stordita dalla mia
felicità.
“Ho letto questo nei
tuoi occhi, Emma” mi disse dolcemente, accarezzandomi i capelli. Poi, nei suoi
occhi ci fu un lampo improvviso: lessi chiaramente “Lily” nella sua espressione
colpevole. Staccò le mani dal mio viso come se scottasse, mi guardò con odio,
poi gridò:
“Cos’ho fatto! Ah, Lily
mia, perdonami! Tu,” sibilò, al mio indirizzo “Tu, puttana! Esci da qui!
VATTENE!”
Me ne andai di corsa,
lasciandolo solo con la sua disperazione e il suo senso di colpa. Non riuscivo
ad essere delusa, o quantomeno amareggiata: ero felice. Il mio cervello non
aveva elaborato l’insulto. Riuscivo solo a pensare alle labbra di Severus sulle
mie, alle mani sul mio viso, al suo profumo.
E’ stata la serata più bella della mia vita. E anche l’ultima.
Quella notte mi
addormentai col sorriso sulle labbra, pensando a quel bacio. Lo sentivo ancora
in bocca… Poco dopo udii un urlo. Un gufo era piombato nella stanza, e si
diresse in picchiata verso di me. Alla zampa aveva legata una lettera, e nel
becco teneva un sacchetto. Presi la lettera.
“Cara Emma,
tutto
ciò che devo dirti te lo dirò a voce. Prendi il mantello: me l’ha dato Silente.
Ha detto che mi sarebbe servito.
Questa
lettera brucerà automaticamente a fine lettura.
Tuo,
Severus.”
Non appena finii di
leggere le fiamme divorarono la carta. Riuscii però a salvare l’ultimo lembo,
il più importante.- La ragazza trasse dalla tasca un pezzo di carta, e lo
mostrò ad Harry: sulla carta sbiadita riuscivano a leggersi due parole: “Tuo,
Severus.”
-Mio, capisci. Mio Severus. Afferrai il Mantello
dell’Invisibilità-quello che indossi tu ora, Harry-, mi coprii e mi avviai
verso l’aula di Pozioni: Severus non c’era. Non avevo idea di dove potesse
essere la sua stanza, e non sapevo come raggiungerlo. Stavo per andarmene alla
ventura quando sentii dei passi frettolosi: mi nascosi, dimenticando di essere
sotto il mantello, e…
-Sì, succede anche a
me- la interruppe Harry, sorridendo. –Di dimenticare di averlo addosso, dico.-
Emma gli strizzò l’occhio e riprese:
-Dov’ero rimasta? Ah,
sì, mi nascosi, poi vidi Severus. Si guardò intorno per un attimo, fece per
andarsene; io gli saltai al collo.
“Streghetta” esclamò
lui ridendo “Mi hai fatto prendere un colpo! Adesso mettiti il Mantello e…”
Ci voltammo, ma il
mantello non c’era più. Al suo posto c’era un biglietto:
“Il suo compito è terminato. Ora potete
cavarvela da soli.”
Ci guardammo, poi Sev
mi disse di stringermi a lui più forte che potevo. Mi avvolse nel suo mantello
e si diresse dritto dritto verso la sua camera, immaginai. Per non farmi cadere
mi aveva messo un braccio intorno alla vita.
Il profumo di orchidee
era più forte che mai. Mi strinsi al mio Principe Mezzosangue e gli feci il
solletico. Mi ordinò di smettere immediatamente, ma dalla voce si capiva che
sorrideva.
Sentii lo scatto di una
serratura e la cortina di velluto nero sparì: ero in una camera un po’ spoglia,
un letto a baldacchino e un armadio, tutta nera e marrone. Sul comodino
troneggiavano una foto di una donna dai capelli rossi che si dondolava in
altalena, Lily, e… un’altra foto. Una ragazza bruna e pallida, che rideva sotto
la neve. La foto era stata tagliata, e dal taglio spuntava una mano che
afferrava il braccio della gentil donzella. La mano era di Bianca (avevo
riconosciuto i guanti rossi con le renne verdi), e la ragazza… ero io.
“Ma che…?”
“La presi uno o due
mesi fa” disse Sev, arrossendo un poco.
“Perché?”
“Quando ti ho
insultata, io… Non potevo sopportare l’idea di tradire Lily. Ma hai ragione,
Lily è morta, e in ogni caso ha James.” Nel pronunciare il nome di tuo padre
gli fremettero le labbra, ed io scoppiai a ridere.
Da Severus ho imparato
tante cose: soprattutto imparai l’amore. Ma imparai anche che è possibile amare
due volte. Noi amiamo tutti coloro che ci circondano: la nostra famiglia, i
nostri amici, il nostro lui, o la nostra lei. Severus non aveva altri da amare.
Era convinto che ci fosse solo Lily. Poi scoprì di poterla amare, di poter
amare il suo ricordo, e nel frattempo essere di nuovo innamorato… Di me. Mi spiegò
tutto questo quella notte, nel letto, mentre, avvolti nelle coperte, ci
scambiavamo pensieri e confidenze. Mi disse…
-Aspetta un secondo- la
interruppe Harry –Vuoi dire che tu e Piton avete fatto… Insomma… Ehe?!
-Ehm…-
Emma arrossì, e
si schiarì la voce –Ehm… sì. Sì,
è stata la notte più bella della mia vita… Una
conclusione migliore non la potevo trovare.
-E… com’è Piton… nudo?
Bleah, non riesco ad immaginarlo! E com’è… farlo…
con lui? E…
-Vedi Harry, tutto
dipende da chi fa l’esperienza. Alla tua prima domanda non risponderò,
dopotutto, è sempre il tuo professore, e poi non saprei proprio cosa dirti!
Alla seconda… Beh, ero innamorata. Sono innamorata. Per questo è stato
stupendo.
-Ma…
-Senti, Potter, vuoi
che finisca la storia o che me ne vada?
-No! No, scusami,
continua pure. Mi interessa.
-Immagino. Dicevo, mi
disse che aveva sempre pensato al momento in cui avrebbe rincontrato Lily,
nell’aldilà. Mi disse che non aveva contato James: avrebbe abbracciato Lily con
infinita gioia, e per lei sarebbe stato lo stesso. Ma come amico. Lei era stata
la cosa più bella della sua vita, ma era andata, e adesso ne aveva un’altra.
Così mi disse, mentre arrivava l’alba.
All’improvviso, dei
colpi furiosi alla porta. Severus mi disse di nascondermi in fretta, ed io mi
rintanai sotto il letto. Vidi le pantofole della McGrannitt spuntare dalla
porta ormai aperta, e la sua voce affannata esclamare “Una studentessa! E’
sparita una studentessa! Emma Baker, hai presente Severus, quella brava in
Trasfigurazione!”
Mi sentii arrossire di
orgoglio: così io ero “quella brava in Trasfigurazione”! Vidi Severus (o
meglio, le sue scarpe) avvicinarsi al comodino. Prese la mia foto e la nascose
dietro la schiena.
“Dove hai cercato?”
“Ovunque, Severus,
ovunque… Non c’è, ti dico, non si trova!”
Decisi che dovevo fare
qualcosa. L’intero castello era in subbuglio, o almeno l’intero corpo docente.
Ero a conoscenza del passaggio segreto che dall’armadio di Piton portava al
corridoio accanto, così, bene attenta a non farmi scoprire, aprii leggermente
le ante ed entrai nel mobile.
Percorsi uno stretto
corridoio di pietra, e finalmente sbucai fuori da dietro un’armatura. Mi
scapicollai verso la camera di Piton e arrivai appena in tempo: la McGrannitt
stava per levare le tende.
Finsi di essere stupita
e terrorizzata dalla sua figura, e feci per andare a nascondermi, facendo però
attenzione a farmi vedere. Lei infatti mi notò. Mi fece la ramanzina più lunga
e feroce di tutta la storia di Hogwarts. Poi, vinta dal sollievo, mi abbracciò.
“Dove sei stata,
disgraziata?!”
Dato che le volevo
molto bene, e gliene voglio ancora, mi dispiaceva molto dirle una bugia. Ma non
potevo assolutamente raccontarle la verità. Primo, mi avrebbero espulsa, ma
probabilmente sarei stata cacciata comunque dopo la mia finta fuga. Secondo, e
più importante, il mio Severus avrebbe perso il posto e sarebbe stato bandito
da tutte le scuole del Mondo Magico. Perciò mi inventai una storiella su un appuntamento
con un ragazzo che però non si era presentato. Mi rifiutai di fare nomi, e alla
fine Minerva si rassegnò a non punire lo sciagurato che mi aveva ingannata.
“Dovrei espellerti,
Emma, lo sai bene. Ma, dato che sei stata tratta in inganno, e che in genere
sei una ragazza buona ed assennata, nonché studiosa, opto per un’altra
punizione, sempre grave, ma meno… Meno decisiva, diciamo. Andrai con Gazza
nella Foresta Proibita, domani a mezzanotte.”
Lanciai a Severus uno
sguardo di puro terrore. Gazza mi spaventava molto più che l’espulsione. Ma
sapevo di aver fatto la cosa giusta, mentendo: ora Piton mi guardava in modo
talmente dolce ed ammirato, avrei dato la vita per uno sguardo del genere, ma
non ce n’era neppure stato bisogno. Fino a quel momento.- aggiunse tristemente.
-“Potrei portarla io
nella Foresta, Minerva” disse freddamente Piton “Sai bene il gusto che prova
Gazza nel torturare gli studenti… Ammetto che in parte lo condivido, ma lui
esagera, e poi sai bene che atteggiamenti ha nei confronti delle ragazze… E’
ancor più crudele.”
Dopo questo bel
discorso la McGrannitt stava quasi per cedere. Poi vide il sollievo nei miei
occhi, e decise che era una soluzione troppo poco punitiva.
“No, andrai con Gazza,
ma manderò qualcuno o qualcosa a sorvegliarvi. Stai tranquilla, ma è il minimo,
per ciò che hai fatto.”
Pensai che era
veramente il minimo, ma mi guardai bene dal dire qualcosa. Avrei tanto voluto
che fosse Sev ad accompagnarmi nella foresta, ma se proprio non era possibile,
beh… Almeno ci aveva provato, e gli ero grata per questo.
Così, mi restavano
circa diciotto ore, prima di addentrarmi nella Foresta, e decisi di godermele
fino in fondo. A lezione di Trasfigurazione fui una bomba, fui l’unica a
riuscire a trasformare una civetta in una lampada, e la McGrannitt mi assegnò
dei punti bonus per il pizzo e la decorazione a fiori. A Difesa contro le Arti
Oscure fui in grado persino di sconfiggere un Molliccio a forma di
Dissennatore, applicando un perfetto Patronus… Indovina a cosa pensai mentre lo
creavo. Un momento felice… E quale momento più felice e nitido nella mia mente,
se non le ultime ore trascorse con Severus? La mia fenice esplose di forza e il
Dissennatore si dissolse in pochi secondi. Ero davvero felice. Sì, lo ero.
Ovviamente, la sera
arrivò, e con essa l’ansia della missione che mi aspettava. Che cosa sarebbe
successo? Ne sarei uscita illesa? Non lo sapevo.
Così, mentre mi
rigiravo inquieta nel letto, aspettando i dodici rintocchi del pendolo, fu una
sorpresa per me sentirmi sfiorare il braccio. Sguainai la bacchetta, pronta a
difendermi da un possibile attacco, e invece… Invece il visitatore si tolse il
mantello, mostrandomi un naso adunco e una carnagione giallastra.
Mi trattenni a stento
dal gridare “Severus!” e gli saltai al collo. Lui mi abbracciò e mi sussurrò
“Copriti col mantello, dovremo starci in due”. Così, piegati ed attaccati,
girovagammo tra i corridoi fino a raggiungere un angolino appartato, vicino
alla porta principale, ma nascosto da occhi indiscreti. Ancora una volta ebbi
la prova che Severus era un’altra persona con coloro che amava: era dolce e
premuroso, e abbandonava quasi del tutto l’usuale contegno freddo e distaccato.
“Sei venuto a darmi il
bacio d’addio? Perché sai, potrebbe essere l’ultima volta che ci vediamo.”
“Non essere stupida,
Emma. Sai bene che ci ritroveremo domattina. Mal che vada avrai un braccio
rotto o un taglio che sfigura il tuo bel visino.”
“Mi ameresti lo stesso se
diventassi un mostro pieno di lividi e graffi?” Finsi un’espressione
addolorata. Lui mi diede un pizzicotto.
“Sarò tutto ok, Emma.
Starai benone.”
Ma mi sembrò quasi che
quelle parole di conforto fossero destinate a se stesso, piuttosto che a me.
“Non avrai paura sul
serio, eh, Sev?”
Lui mi strinse a sé,
come se temesse di vedermi sfuggire dalle sue braccia. Mi baciò.
“Ti amo, tesoro mio.”
Era la prima volta che
me lo diceva apertamente, e che mi chiamava con un dolce soprannome. Lo
abbracciai più forte e gli sussurrai “Ti amo anche io, amore mio.”
Ci baciammo. Proprio
mentre ci stavamo staccando dei passi frettolosi ed un miagolio interruppero il
silenzio che regnava nel castello. Il primo di dodici rintocchi risuonò nella
notte buia.
“Gazza e Mrs. Norris!”
esclamai terrorizzata, stringendo il braccio del mio caro professore. Lui mi
accarezzò velocemente i capelli, e mi spinse nel corridoio.
“Gazza” disse, col tono
gelido a cui non ero più abituata “Ti ho portato la studentessa. Vedi di non
farla a pezzi, non vorrei l’ennesima visita del Ministero, una seccatura da
evitare.”
Se non avessi saputo
che fingeva, sarei svenuta di paura.
“Non si preoccupi,
professore” ghignò il perfido custode “Le conserverò un braccio, se lo
desidera.”
Severus alzò un
sopracciglio e sollevò un angolo della bocca. Mi fece avanzare di qualche
passo, ma esitò a lasciarmi la mano. Fece per chinarsi, come per sistemarsi il
mantello, e mi sussurrò “Stai attenta piccola. Ti amo.”. Poi mi lasciò al mio
destino. Mentre lo guardavo allontanarsi, come un pipistrello che vola nei bui
corridoi di un castello stregato, dissi nella mia testa “Anche io, Sev. Non sai
quanto.”
Qualche minuto dopo
seguivo Gazza nel prato che conduceva alla Foresta Proibita. Passammo davanti
alla capanna di Hagrid: lui stava preparando qualcosa nel pentolone di peltro,
con Thor alle calcagna. Mi vide e mi fece un cenno di saluto; poi vide Gazza, e
mi lanciò uno sguardo interrogativo. Col labiale gli dissi “Grazie di tutto,
amico mio”, poi continuai a camminare dietro lo scheletrico custode di
Hogwarts. Ci addentrammo sempre più tra gli alberi scuri, ed io cominciai a
tremare. Di paura o di freddo, non so; propenderei per la prima, comunque. La
missione che dovevo svolgere era scavare venti tane in disparati punti della
Foresta, che avrebbero fatto da casa ai folletti abitanti del bosco. Ne avevo
già costruita una quindicina, abbellendole persino con foglie e rami secchi
perché, secondo Gazza, “il Folletto dei Boschi impazza se non vive nella bellezza”.
Ovviamente era una sua magistrale invenzione, per farmi lavorare di più.
Dicevo, ne avevo costruita una quindicina, quando Gazza mi interruppe.
“Non senti anche tu
questo scricchiolio?” mi domandò con un ghigno malefico “Sarà meglio andare a
vedere, non ti pare? Potrebbe essere il Follettum
Uccidorus…”
“Il che?!”
Gazza sbuffò. “Il
malefico mostro nemico dei cari folletti.”
Ero sicura, e lo sono
ancora, che fosse un’altra invenzione, magari per spaventarmi. Come se non lo
fossi già abbastanza… Comunque fui costretta ad ubbidirgli. Mi condusse verso
il punto da cui, secondo lui, proveniva il rumore, poi mi abbandonò lì da sola.
Mi disse che se avessi distrutto il Follettum
Uccidorus sarei potuta tornare al castello anche senza finire le ultime
quattro o cinque tane. All’inizio pensai che fosse un gesto gentile, e me ne
meravigliai; poi mi accorsi di non avere la bacchetta.
“Non è possibile”
pensai “L’avevo portata! Era proprio qua, in tasca!”
Cercai il custode per
avvertirlo: lo vidi correre via, sghignazzando, tra le dita nodose la mia
bacchetta.
Sprovvista di un’arma
per difendermi, pensai di evitare il Foll-qualcosa, e di finire le mie cinque
tane. Feci per avviarmi verso gli ultimi segnali di dove costruire, quando uno
strano brulichio mi distrasse. Mi guardai intorno: decine, centinaia, forse
migliaia di ragni mi circondavano da tutte le direzioni. Non avevo via di fuga. E non parlo di
ragnetti piccoli; parlo di ragni enormi, il più piccolo misurava almeno
cinquanta centimetri di diametro, senza contare le zampe…-
-Aragog- sussurrò Harry
–So di cosa parli… Ho avuto questa esperienza con Ron.
Allo sguardo
interrogativo della ragazza rispose: -Il mio migliore amico, affetto dalla
peggior specie di aracnofobia.
-Pensa che lo sono
anche io. Al ragno più piccino mi metto ad urlare come una pazza. Ma lì, di
fronte ad un’orda di mostri ad otto zampe, mi si erano paralizzate le corde
vocali. E ancora non avevo visto Aragog…
Nel tentativo di
scappare schiacciai inavvertitamente la zampa di uno degli odiosi animali. A
quel punto, una specie di barrito si levò tra il fogliame, e una stanga dentuta
di almeno otto metri mi sovrastò. Chiedendomi cosa ci facesse un palo appuntito
nella Foresta Proibita, alzai lo sguardo. Non l’avessi mai fatto! Almeno sarei
morta senza sapere cosa mi avesse ucciso. Me lo sono chiesta tante volte, se
sia meglio morire inconsapevoli, e rimanere per l’eternità nel dubbio di cosa
sia stata la causa di ciò che ti è successo, di chi sia la colpa… Oppure se,
conoscendo l’ “assassino”, non si sia più forti. Forse è meglio così, almeno so
cosa temere. Non mi hanno mai convinto i ragni.
Alzai lo sguardo, e
vidi l’essere più terrificante che esista sulla faccia della terra. Occhi rosso
sangue, quattro paia di zampe gigantesche, un enorme corpo peloso, e due specie
di zanne appuntite, rivolte verso il mio viso. Cominciai a tremare: non avevo
via di scampo. I ragni minori mi circondavano da tutti i lati, non avevo mezzi
di trasporto né la bacchetta… Ero perduta. Mentre fissavo quella visione
agghiacciante non potei far altro che pensare ad un nome.
“Severus…” imploravo
nella mia testa “Ti prego, Severus, salvami…”
Ma Severus non c’era.
Non sapeva nulla, non poteva immaginare nulla. Ero condannata a morire lì,
sola, senza che nessuno potesse averne la minima idea. “Chissà quando
scopriranno il mio corpo” pensai “Magari Aragog mi divorerà, e sarò data per
dispersa…”
Non riuscivo a pensare
con lucidità, non mi ero resa conto che non sarei mai più stata viva. Il sangue
non sarebbe più scorso nelle mie vene, i miei polmoni sarebbero diventati
inutili, cosi come tutti gli altri miei organi…
Ma il cuore no. Lo
sapevo, lo sentivo, avrei amato Sev per tutta la vita. Mentre le zanne del
mostro mi penetravano la carne, pensai solo una cosa.
“Severus…”
Un dolore lancinante,
poi più nulla. Non sentivo assolutamente nulla. Ero adagiata sull’erba, nella
foresta, ma non sentivo il terreno sotto di me. Mi tirai su, e mi scopersi a
volteggiare: accanto a me il mio corpo, inerte, i capelli sparsi sul terreno e
sulle spalle. Mi guardai: era la prima volta che mi vedevo dall’esterno, e… Ero
bella. Rimpiansi tutte quelle ore passate a piangermi addosso, i lamenti, in
fondo stavo bene così com’ero. E’ buffo, accorgersi di cose impensabili quando
ormai non potrai averle mai più.
Ero ancora sospesa
nella calda aria di fine giornata, quando dei passi frettolosi si avvicinarono
a me. Corsi a nascondermi, non sapendo se fossi invisibile o no, e vidi
qualcosa che mi lasciò a bocca aperta: Severus camminava svelto attraverso gli
alberi. Quando poi vide il mio braccio riverso sul terreno, cominciò a correre.
Raggiunse il mio corpo, e rimase a fissarlo, immobile. Pensai che non era
possibile; non mi aveva dunque amata? Era stata tutta una farsa?
Poi, quella che
inizialmente pareva indifferenza, si mostrò come ciò che effettivamente era:
shock, incredulità, paura. Devastazione. Severus muoveva un passo dopo l’altro,
incerto sui proprio piedi. Quanto fu talmente vicino da potermi toccare, si
lasciò cadere sulle ginocchia. Prese la mia mano tra le sue, e fece qualcosa
che non gli avevo mai visto fare: si mise a piangere. Grosse lacrime scure gli
rigavano il volto, i suoi occhi neri fissi nei miei, ormai opachi. Mi accarezzò
i capelli, mi sentì il polso, ma non c’era più nulla da fare. Alzò la bacchetta
e spruzzò scintille rosse, il segnale di pericolo. Mentre aspettava i soccorsi
mormorò “Emma… Non lasciarmi, ti prego…”
A quella preghiera, a
quel viso disperato, mi si strinse il cuore che credevo di non avere più. Mi
avvicinai a lui, piano, per non spaventarlo; poi gli sussurrai nell’orecchio
“Severus”
Lui si girò di scatto,
e cercò di abbracciarmi nell’attimo stesso in cui mi vide. Ma si ritrovò solo
aria tra le braccia: io non ero più in grado di avere un contatto fisico, con
nessuno.
“Emma… Allora sei…”
“Sono morta, Sev.
Ringrazia Gazza per questo.”
“Ma… com’è successo?”
“Mi ha lasciata sola di
fronte ad Aragog, senza la mia bacchetta. Dovrebbe averla ancora lui… Magari
riesci a fartela dare. Mi piacerebbe che la tenessi tu.”
Lui era sconvolto, talmente
sconvolto che avrei voluto stringerlo a me, per rassicurarlo. Ma non potevo.
Potevo però parlargli,
e così feci.
“Va tutto bene. Sono
morta… Non ho sofferto, però. Non è sta gran tragedia” dissi, con un sorriso.
“L’unica cosa che davvero mi dispiace è non poterti più stare vicino, amore
mio.”
Severus allungò una
mano verso di me.
“Ti amo, Emma. Ti amo,
ed è così ingiusto.”
“Una volta mi hai detto
di aver bisogno di qualcuno da amare carnalmente, perché Lily non c’era più.
Adesso troverai un’altra con cui farlo?” domandai ansiosa, improvvisamente
preda di questo dubbio orribile.
Lui mi sorrise con
dolcezza. “Come puoi pensare una cosa del genere? Ci sarai sempre e solo tu.
Adesso so che, quando toccherà anche a me morire, troverò qualcun altro ad aspettarmi,
oltre a Lily. Troverò te, ed è un pensiero che mi allieta moltissimo l’evento
della morte. Potrò riabbracciarti… Come vorrei poterlo fare ora!”
Quelle parole così
tenere e sentite mi allargarono gli occhi e il cuore. Feci per avvicinarmi
ancora un po’, ma un rumore di passi sulle foglie secche mi distrasse. Corsi a
nascondermi: la McGrannitt, Hagrid e Silente correvano verso di noi.
“Oh mio dio!” esclamò
Minerva: si accasciò accanto a me e a Severus, e continuava a fissare il mio
corpo con occhi sgranati.
Le ore che seguirono
furono il caos più totale: seguii me stessa mentre mi sballottavano verso il
castello; tutta la scuola era accorsa a vedere. Alcune mie care amiche, tra cui
Bianca, scoppiarono in lacrime. Tutti erano increduli e spaventati.
“Ma che è successo?”
“Gazza l’ha uccisa?” “Tu-sai-chi è tornato!”
“Avevi ragione,
Severus. Non avrei mai dovuto lasciarla sola con Gazza! Mi sentirà, ah, se mi
sentirà!” urlava la McGrannitt tra le lacrime.
Severus non rispose: il
suo viso era scuro, non più una lacrima rigava le sue guance, ma era chiuso nel
mutismo più assoluto. Già mi mancava il suo tocco, mi mancavano i suoi baci… Ma
mi costringevo a non pensarci. Non li avrei avuti più, per un bel po’ di tempo,
almeno mi auguro…
Dopo qualche ora tutto
era tornato alla normalità. La calma più totale regnava nel castello, mentre
l’orologio batteva le cinque di mattina. Non un rumore, non un respiro. Solo il
silenzio della notte.
Un singhiozzo soffocato
attirò la mia attenzione: mi diressi verso la fonte del rumore. Corridoio a
destra, giro l’angolo… La strada mi era familiare. Era la camera di Severus.
Entrai senza farmi
sentire: Sev era seduto sul letto, con in mano la mia fotografia. Quella che
teneva sul comodino. La guardava, e dai suoi occhi uscivano gocce scure, che
gli segnavano il viso, come solchi profondi.
“Severus…”
Lui mi guardò.
“Sei qui.”
Mi tese una mano.
L’afferrai istintivamente, e mi accorsi… Che lo sentivo. Lo sentivo. Potevo
toccarlo.
“Ma che…?”
Mi attirò a sé e mi
strinse in un abbraccio da far sciogliere il sole. Era incredibile poter
sentire tutto questo… Mi baciò con foga, mi guardò, mi baciò ancora. Era un
sogno.
“Com’è possibile tutto
questo?”
Non lo so… Ma è
fantastico.- Emma sospirò. Il ricordo di quei momenti era troppo intenso. Harry
le sfiorò una mano: era inconsistente, il tocco inesistente. Ma sapeva che la
ragazza se n’era accorta.
-Rimanemmo così, mano
nella mano, per tutta la notte, fino all’alba. Al momento di congedarci gli
diedi un ultimo bacio, mettendoci tutto l’amore di cui ero capace. Già il tocco
delle sue labbra cominciava a svanire dalle mie…
“E’ finita, Severus.
Abbiamo avuto questa bellissima possibilità, e l’abbiamo sfruttata a fondo.
Lasciami andare, adesso, è ora.”
“Non è finita. Non
finirà mai.”
“No. Mai. Buona
fortuna, Severus. Ti amo.”
“Addio amore mio…”
Me ne andai, scivolando
sul pavimento di marmo, lasciandomi alle spalle il pezzo più importante della
mia vita.
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