dark angel l'angelo macchiato di sangue

di Black_Sky
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** come una fenice ***
Capitolo 2: *** A Casa ***
Capitolo 3: *** ali bianche per osservare meglio il dolore perchè scappare dai problemi aumenta le sofferenze ***
Capitolo 4: *** se ti senti come se stessi annegando in un mare di lacrime amare ricordati che sai nuotare ***
Capitolo 5: *** Essere forte non vuol dire desiderare di essere un involucro vuoto, per non provare il dolore, ma vuol dire saper affrontare la vita a testa alta nel bene e nel male ***
Capitolo 6: *** Incontri con il passato ***
Capitolo 7: *** Amicizia e dolore ***
Capitolo 8: *** La nostra storia comincia proprio quel giorno di primavera ***
Capitolo 9: *** Un libro, due amici e strane apparizioni ***
Capitolo 10: *** LA ROSA ROSSA E LA PIUMA ARGENTO ***
Capitolo 11: *** RINATA ***
Capitolo 12: *** Ti va di ballare? ***
Capitolo 13: *** Cadendo, sto cadendo ***
Capitolo 14: *** Chi sei? ***
Capitolo 15: *** ricordi ***



Capitolo 1
*** come una fenice ***


                                       Come una fenice

Le giornate, qui a Londra, sono sempre molto fredde, soprattutto in questo periodo dell’anno, quando scende la neve che fa sparire i fiori fino alla primavera.

In questo periodo dell’anno non ci sono molte persone per  le strade, dopo l’orario di chiusura dei negozi addobbati per il Natale, e quei pochi che ci sono lì sono ragazzi ubriachi che esono dalle discoteche.

Io lo so perché è solo dopo la chiusura dei negozi che io riesco finalmente ad uscire di casa, solitamente.

Bene.

Mi chiamo Clove White, ho 17 anni,una sorellina di otto anni di nome Violeta e un fratellino di cinque di nome Jordan. Mi piace disegnare e sono abbastanza brava e per questo frequento il quarto anno al liceo artistico di Londra.

E sono un’assassina.

Sì, ho ucciso delle persone: i miei genitori.

Per questo il pomeriggio devo fare delle sedute con uno psicologo e uno psichiatra. Loro pensano che io sia in stato di shock e mentalmente confusa perché nel sonno ripeto sempre ( a sentire loro) “ mamma, papà scendete dalla macchina. Sto bruciando! Scappate!”

Tutte le volte che mi sveglio trovo lo psicologo, il dottor Carter, e lo psichiatra, il dottor Roberts, che mi fissano.

Mi dicono che i giorni che seguirono la morte dei miei io continuavo a ripetere nel sonno che avevo preso fuoco. Io mi ricordo vagamente quello che successe quella sera di quattro settimane fa.

Alla polizia ho detto che mio padre ha perso il controllo dell’auto ed è andato a sbattere contro il guardrail. Questa cosa non è del tutto  falsa. Mio padre ha veramente perso il controllo dell’auto ed è andato a sbattere contro il guardrail . Non ho detto solamente che papà ha perso il controllo per colpa mia, che avevo preso fuoco. Detta così la faccenda suona impossibile.

Ma è la verità.

Non sono pazza. Per quanto sia impossibile che una persona prenda fuoco come una fenice quando è giunto il momento della sua morte, prima che rinasca.

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Capitolo 2
*** A Casa ***


                                                        Parenti

Sono  passati quindici giorni da quando ero stata dimessa dall’ospedale.

Jordan e Violeta sono stati portati dai nonni paterni che erano gli unici parenti che abitavano in Inghilterra.

Non l’ho detto ma i miei parenti sono sparsi un po’ per il mondo: i miei nonni materni abitano alla periferia di Tokyo, in Giappone; la sorella di mio padre abita a Venezia, con suo marito; mio fratello maggiore, che ha 25 anni, abita in Africa, dove fa il dottore.

Per questo motivo io ero abituata a viaggiare molto. Tutte le feste le facevo per il mondo, andando a trovare i miei parenti. Per Natale e Capodanno partivamo per l’Africa, per Carnevale andavamo a trovare la zia Gertrude e zio Mario nella “città delle meraviglie”, come la chiamo io e prima dell’inizio dell’estate andavamo dai nonni.

Queste diverse città mi sono sempre piaciute molto ognuna per motivi diversi… ora  odio quelle città perché sono lì tutte le persone che amo di più al mondo e che non possono venire qui a Londra per stare con me e confortarmi.

Sì per fortuna ho i miei nonni .

Ora sono a casa loro seduta sulla poltrona ottocentesca di velluto rosso dove si sedeva sempre la mamma, a riguardare le foto di famiglia.

I medici mi hanno detto che domani potrò finalmente tornare a scuola a patto che il pomeriggio torni a casa dei nonni per le sedute con lo psicologo.

Sì, non vedo più da un pezzo il dottor Roberts James, lo psichiatra che mi assisteva. Mi hanno detto che si è trasferito in Francia, dove gli hanno offerto un posto di lavoro migliore.

Mi ero affezionata a lui.

Nonna mi ha portato dei biscotti con il the per le cinque del pomeriggio. È strano starsene seduta qui senza mamma e papà.

Mi mancano le carezze e le parole dolci di mamma, i lamenti e le sgridate di papà.

Non mi sento più io.

Non mi sento più a casa.

Non parlo più.

Non leggo più.

Per tutto il tempo guardo vecchie foto senza versare lacrime, ne ho già versate troppe. Troppe lacrime che solcano i visi dei miei fratelli che ancora pensano alla sera in cui sono morti i nostri genitori.

Non voglio più fare niente.

Casa mia non è più questa.

 

 

 

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Capitolo 3
*** ali bianche per osservare meglio il dolore perchè scappare dai problemi aumenta le sofferenze ***




ALI BIANCHE PER OSSERVARE MEGLIO IL DOLORE PERCHÉ SCAPPARE DAI PROBLEMI AUMENTA LE SOFFERENZE


Ero pronta per andare a scuola, avevo indosso la mia divisa a quadri e stavo aspettando il bus che doveva venirmi a prendere.
Non sapevo come sarebbe potuto essere tornare in classe, con tutto quello che era successo non volevo vedere nessuno.
Non ero ancora pronta a rivedere i miei compagni di classe, loro non avrebbero capito quello che era successo….

Stava  arrivando anche Jake, il mio migliore amico fin dal primo anno delle elementari che era in ritardo come al solito.

Speravo non mi vedesse, non volevo parlargli. Magari dopo.

Invece mi aveva visto perché stava correndo a più non posso verso di me agitando per aria la mano destra.

< Clove! Finalmente sei tornata! Senza di te ero perso…>> Sì, mi aveva visto….

<< Ciao Jake!  Come sempre in ritardo!>> Non potevo far finta di niente così abbiamo aspettato l’arrivo del  bus e intanto abbiamo parlato, quando siamo arrivati davanti a scuola avevo finito di raccontare il perché della mia assenza.

Avevo gli occhi lucidi, lo sapevo. Sentivo di avere le guance rosse.

Jake comunque non ha detto niente e mi ha abbracciata.

Sentivo che il suo cuore batteva fortissimo, e lui stava trattenendo le lacrime.

Lui è fatto così, è molto sensibile ma molto forte.

Ero sicura che appena io me ne fossi andata lui avrebbe cominciato a piangere per i miei, lui era come un quinto figlio per loro e da parte sua li rispettava come fossero i suoi veri genitori.

Veniva a casa mia quasi tutti i pomeriggi, dopo la scuola.

Non parlava mai dei suoi genitori, io non sapevo neanche come si chiamassero. Sapevo soltanto che erano separati e tutte le volte che si sentono o si vedono litigano.

Per questo Jake è sensibile ma sa come trattenere il pianto. Lui sa cosa vuol dire soffrire.

<< A volte…>> mi diceva spesso,<< vorrei un paio di ali, bianche come quelle delle colombe ma forti come quelle di un’aquila, che mi portino in celo e vedere dall’alto tutta la sofferenza che affligge ognuno di noi. Ci sono volte che si vorrebbe scappare dai problemi. Ma scappare da quello che provi vuol dire essere codardi e facendo questo aumenti le tue sofferenze.>>

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Capitolo 4
*** se ti senti come se stessi annegando in un mare di lacrime amare ricordati che sai nuotare ***


Con questa frase in mente me ne andai in classe, dove trovai Christine, la mia vicina di banco con dei fiori in mano.

Quando mi vide si asciugò una lacrima che le era scivolata sul viso abbronzato e mi corse in contro.

Mi disse che pensava non tornassi più dato il tempo che non andavo a scuola, le avevo telefonato il giorno prima per raccontarle della morte dei miei, ma non avendola trovata in casa avevo raccontato tutto a sua madre.

Mi disse che quel pomeriggio, dopo la scuola sarebbe andata al cimitero per posare i fiori sulla tomba dei miei.

In classe la voce era già circolata e tutti venivano a farmi le condoglianze. Scoprii quel giorno che qualcosa non andava, non volevo la pena degli altri, non volevo i fiori.

Volevo stare sola, con il mo migliore amico, magari o con i miei famigliari.

Quel giorno passò molto lentamente, tra le professoresse che mi mettevano note su note per i compiti non svolti, i compagni che erano presi da uno strano silenzio.

Guardandomi bene attorno però c’era qualcosa di diverso, qualcosa che stonava.

Poi la vidi, era una ragazza con i capelli lunghi e neri e gli occhi smeraldo.

Non l’avevo mai vista, era arrivata quando io non c’ero.

Guardandola bene però pensavo di averla già incontrata.

Anche quando, dopo la fine delle lezioni, stavo tornando a casa dei miei nonni con Jake pensavo a quella ragazza.

<< quindi è per quello che… Clove, mi stai ascoltando?!>> No, non lo ascoltavo. Stavo pensando dove  avevo visto la nuova compagna di classe….

<< Scusami è che stavo riflettendo….. Dicevi, scusa?>>

<< Dicevo che tu dovresti riposarti perché hai una brutta cera.>>  rispose dolcemente lui rivolgendomi uno di quei suoi tipici sorrisi comprensivi.

<< in effetti non dormo la notte, da quando sono morti i miei. Mi addormento ma mi sveglio in preda agli incubi…  Quasi tutte le volte che mi sveglio sto urlando e piango….>>

C’eravamo fermati e Jake mi guardava da dietro le lenti degli occhiali con quei suoi occhi azzurri come il cielo .

Mi metteva in ansia quando mi guardava così, fin dalle elementari.

Se mi rivolgeva uno dei suoi sguardi io per distrarmi mi tormentavo con l’indice una malcapitata ciocca di capelli, che si arricciava.

Non riuscivo a sopportare il suo sguardo per molto tempo perché mi imbarazzava e se lo guardavo negli occhi dovevo alzare la testa perché lui è di parecchio più alto di me.

Lo stavo ancora guardando quando mi ha appoggiato la fronte sulla mia e mi ha detto una delle sue solite frasi piene di saggezza, nonostante la sua età è molto, molto maturo.

<  ti sembra di annegare in un mare di lacrime amare ricordati che tu sai nuotare.>>

 

 

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Capitolo 5
*** Essere forte non vuol dire desiderare di essere un involucro vuoto, per non provare il dolore, ma vuol dire saper affrontare la vita a testa alta nel bene e nel male ***


ESSERE FORTI NON VUOL DIRE DESIDERARE DI ESSRE UN'INVOLUCRO VUOTO, PER NON SOFFRIRE, MA VUOL DIRE SAPER AFFRONTARE LA VITA A TESTA ALTA NEL BENE E NEL MALE

Sì io so nuotare.

<< hai ragione Jake, grazie. Non so cosa mi succeda ma in questo periodo non voglio vedere nessuno, tu sei una delle pochissime persone che riesco a sopportare….>>

<< Non ti devi scusare, i tuoi genitori sono morti meno di un mese fa, è normale.>>

Detto questo staccò la fronte dalla mia, quasi a fatica e ricominciammo a camminare.

Tra di noi era sceso un silenzio che non c’era mai stato prima, dato che lui era sempre stato un chiacchierone.

Quel silenzio mi fece pensare ancora alla frase che aveva detto Jake poco prima: anche se ti sembra di annegare in un mare di lacrime amare ricordati che tu sai nuotare.

 Aveva ragione. Io sono sempre stata forte.

Tutti quei pensieri mi fecero venire in mente che non sapevo ancora dove avessi visto la mia nuova compagna di classe. Tutt’un tratto sbattei contro qualcosa e caddi rovinosamente a terra con il sedere.

Ero talmente presa dai miei pensieri che non mi ero nemmeno accorta di aver rallentato il passo, stando dietro a Jake. Quando quest’ ultimo si era accorto che ero rimasta indietro si è fermatoed io gli sono andata addosso.

Jake mi stava porgendo una mano ed io di buon grado ho accettato l’aiuto con piacere.

<< Oplà. Stai più attenta la prossima volta, ok?>> ci risiamo con i suoi modi dolci Jake mi fa diventare rossa come un pomodoro.

Eravamo arrivati davanti a casa e da lì a poco sarei dovuta andare dallo psicologo.

<< vuoi una tazza di the?>> Non avevo voglia della seduta.

<< Ma non dovevi fare una seduta con….>> Stava per ribattere. Allora lo presi per un braccio e lo tirai dentro il cancello.

<< Niente storie, la mia era una domanda retorica. Di cortesia. Forza vieni non ti mangiamo mica!!>>

Dopo aver bevuto il the lo psicologo era arrivato ed io sono dovuta andare con lui.

Prima però dissi a Jake di tornare a casa. Non gli avevo detto il perché. Mi sembrava ovvio. Da quelle sedute io ne uscivo distrutta, dato che mi facevano rivivere il momento della morte dei miei.

L’incontro con il dottore durò più di un’ora e uscita avevo voglia di piangere e corsi in camera mia.

Appena chiusi la porta mi misi a piangere.

Poi delle mani mi presero per la vita.

Sobbalzai per lo spavento. Mi girai d’impulso e mi trovai a due centimetri dalla faccia di Jake che non sorrideva ma i suoi occhi brillavano di comprensione.

Non ce la facevo più e mi misi a piangere, con il volto sul suo petto e le sue braccia che mi circondavano.

<< Vorrei.. essere..vuota..per ..non..soffrire>> mi ci vollero tre minuti per formulare questa frase ad alta voce tra i singhiozzi.

Come sempre la frase saggia di Jake non arrivò molto dopo.

Mi disse << In questo momento devi essere forte ed essere forte non vuol dire desiderare di essere un involucro vuoto, per non provare il dolore, ma vuol dire saper  affrontare la vita a testa alta nel bene e nel male.>>

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Capitolo 6
*** Incontri con il passato ***


Nel bene e nel male, a testa alta.

Sono andata avanti a piangere per più di dieci minuti. Quando poi Jake mi disse che doveva andarsene mi vennero ancora le lacrime agli occhi, non volevo restare da sola quella notte.

Ero sicura che stando lì da sola gli incubi si sarebbero fatti vivi.

Dopo aver fatto i capricci come una bambina di cinque anni mi staccai da Jake e lo lasciai andare.

Erano quasi le undici e mezza di sera quando mi addormentai.

***

dove sono? Non sono più a casa della nonna….”

Mi trovavo in un luogo buio, silenzioso.

Il suono di una campana e la luce improvvisa che invase quel luogo. Ero a Barcellona, nella Sagrada Familia. L’avrei riconosciuta fra mille.

Altre campane e poi una luce abbagliante, tanto da dover chiudere gli occhi.

Quando li riaprii ero in un villaggio. Ero nel villaggio. Sì, dove lavorava mio fratello.

Vidi una bambina correre di circa se anni inseguita da un bambino di circa tredici anni.

I due erano fratello e sorella e mi sembravano familiari.

Ero io con mio fratello. Me ne accorsi quando rividi i miei genitori che ci chiamavano.

Poi altre campane. Poi la luce.

Ero in un parco, con un fiumiciattolo.

I ciliegi in fiore tipici giapponesi e….. eccomi là, seduta per terra a gambe incrociate con in braccio Violeta ancora neonata. Poi sono arrivate la mamma e nonna Ami in kimono, doveva essere un giorno di festa….

Ancora le campane e la luce.

Ero ancora in una chiesa ma questa volta la luce era lieve.

 Poi la voce della mamma e quella del papà.

Papà urlava contro la mamma dicendo che era una bugiarda e poi le diceva che io ero come lei, un mostro.

Poi la luce li illuminò. Non erano lì. C’era solamente una foto di mio padre per terra,una di mia madre sospesa  e un quadro con su un corpo femminile snello con un arco in mano e una faretra piena di frecce sulla spalla. Osservando meglio il quadro si vedeva che lo sfondo non era bianco ma era fatto di piume, piume appartenenti a due ali gigantesche che partivano dalle scapole di quel corpo senza volto. Sulle punte erano rosse di sangue. Il quadro poi si mosse e quella figura uscì dalla cornice.

Incoccò una freccia sull’arco e la lanciò. La freccia colpì entrambe le foto che cominciarono a perdere sangue.

Un’altra freccia che questa volta mi colpì in pieno petto. Mi accasciai a terra. La figura venne verso di me.

I nostri nasi si toccavano ma io non vedevo il suo volto.

La figura poi aprì gli occhi. Due occhi gialli contornati di nero mi osservavano. Erano i miei occhi.

La ragazza ero io. Il quadro con le ali.

La mia copia mi tirò su in piedi ed entrò in me come se fosse un fantasma.

Le mie mani erano sporche di sangue, il mio sangue e quello dei miei genitori.

Urlai.

***

Mi svegliai urlando.

Le mie mani erano sporche di sangue, che mi scendeva dal naso.

Piansi al ricordo dell’incubo fatto poco prima.

Alle foto dei miei grondanti di sangue, le cercai nel cassetto del comodino.

Ebbi paura, non erano più lì.

 

 

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Capitolo 7
*** Amicizia e dolore ***


Cercai quelle stramaledette foto per tutta casa, quella notte ma non le trovai.

I nonni erano andati con Violeta e Jordan a trovare mio fratello in Africa e quindi andai a cercare anche nelle loro camere.

 Quella notte maledii quella casa enorme.

Era grande come un palazzo, con più piani. Al piano terra si trovavano la cucina,la camera della cuoca e il salotto, con divani ottocenteschi e mobili della stessa epoca e la sala da pranzo; al primo piano la sala per il the, con i divani sempre ottocenteschi e tavolini rotondi di legno rossastro, la camera dei nonni e un bagno. Al terzo piano si trovavano le camere dei miei fratelli, la sala della musica, la mia preferita, con un pianoforte a coda nero lucido, un’altra camera per gli ospiti e due bagni. In soffitta c’era la mia camera, che io adoravo. Da lì riuscivo ad avere una panoramica di Londra completamente diversa, riuscivo a vedere le stelle perché il tetto aveva un’apertura fatta di vetro.

Cercai tutta notte ma non trovai niente.

Stavo pensando e capii che era la prima notte che dormivo completamente da sola, senza i nonni o i miei fratelli, oppure la cuoca che dormiva al pian terreno. Anche all’ospedale ho sempre avuto compagnia dei dottori o di Karinn, la donna che era ricoverata con me.

 Erano le sei di mattina ed io mi preparai per andare a scuola, avrei cercato quel pomeriggio le foto dei miei magari con l’aiuto di Jake.

Alle sette ero pronta, chiusi la porta di casa e m’incamminai per le vie della periferia di Londra.

Arrivai alla fermata del pullman e con mia sorpresa trovai Jake, che stranamente non solo era in orario ma addirittura in anticipo.

Non si accorse di me ed era di spalle così gli coprii gli occhi con le mani.

<< Ciao Clove>> mi disse. Non mi aveva visto ma mi aveva riconosciuto. Mi prese le mani e le spostò dal suo viso. Mi lasciò e si girò verso di me.

<< Come hai fatto a riconoscermi? E comunque ciao.>> gli feci io.

<< Ti ho riconosciuta e basta. Hai dormito bene questa notte? Non sembri molto in forma…..>>

<< non molto a dir la verità. Ho fatto un incubo orribile. Ho rivisto alcuni momenti della mia vita come i ricordi visti nel pensatoio di Silente in Harry Potter, intervallati dal suono di campane. È stato orribile, rivedevo i miei fratelli e i miei genitori felici in scene quotidiane. Poi ero in una chiesa e c’erano le foto dei miei ed un quadro con una figura femminile con le ali. Questa figura è uscita dal quadro e ha trafitto le foto con una freccia e queste hanno preso  a perdere sangue, poi ha lanciato una freccia che mi ha beccato il cuore. Quando si è avvicinata ho visto che ero io ed è entrata dentro di me, come un fantasma.>> Finii il mio racconto e spiegai che al mio risveglio non trovavo più le foto e tutto il resto la mia voce si stava affievolendo.

Jake non spiccicò parola fino alla fine del racconto.

Mi disse << secondo me ti senti in colpa per la morte dei tuoi, per il resto non lo so.>>

Io gli risposi che era davvero un grande amico. Mi aiutava nel momento del bisogno e mi spronava ad andare avanti.

 

 

Salve gente,

ringrazio quelli che hanno letto fino in fondo e che continuano a leggere.

Un ringraziamento speciale a Mitzune_chan che mi segue fin dall’inizio e con la quale mi scuso per questo ritardo.

Kira

 

 

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Capitolo 8
*** La nostra storia comincia proprio quel giorno di primavera ***


LA NOSTRA STORIA COMINCIA PROPRIO QUEL GIORNO DI PRIMAVERA
Salii sul bus e continuai a parlare con Jake del più e del meno fino a quando la ragazza nuova salì sul pullman ed io mi girai a guardarla.
Era proprio bella, con i capelli lunghi e neri raccolti in una treccia che le arrivava fino a metà schiena e quei suoi occhi così verdi da ricordarmi il prato del giardino di nonna Ami. Indossava un cappotto nero con il cappuccio in pelo e dei jeans chiari.
Andai da lei spinta dalla curiosità, infondo conoscevo solo il suo nome.
Non sembrò molto sorpresa di vedermi lì.
<< ciao>>  mi disse lei con voce annoiata.
<< Ciao, mi dispiace per essere stata scortese e non essermi presentata prima. Io sono Clove, piacere.>> Mi presentai non troppo convinta.
Si presentò anche lei dicendomi di essere Martina Salvatore, di provenire da un piccolo paesino di montagna in Italia. Era molto simpatica ma avevo la sensazione di averla già vista, conosciuta. Questa sensazione svanì quando mi disse di essere a Londra da poco prima del mio ritorno a scuola, probabilmente mi confondevo con una persona che le somigliava molto.
Jake stava parlando con Thomas e Michael, due ragazzi che frequentavano il corso di Cinematografia con lui poi mi guardò e mi fece segno di no con la testa e tornò a parlare con i due. Io parlai con Martina anche in classe.
Quel pomeriggio tornai a casa con Martina e naturalmente Jake.
Quel giorno non sarei dovuta andare con lo psicologo così li invitai a prendere il the.
Parlammo per un bel po’. 
Poi Martina mi sorprese con una domanda insolita: << Tu credi nel destino?>>
Io e Jake ci guardammo con una faccia piuttosto stupita poi risposi: << Io credo che il destino sia nelle mani di ogni singola persona. Chiunque scrive il proprio destino.>>
La sua espressione era strana, non sapevo cosa potesse pensare in quel momento.
Jake non sembrava molto contento quel giorno, magari non stava bene oppure non gli stava simpatica Martina.
<< Scusate ma io devo proprio andare ragazze, scusatemi >>
Accompagnai Jake alla porta e lo salutai.
<< Carino il tuo ragazzo Clove>> sobbalzai  per lo spavento.
<< Non è il mio ragazzo!>> risposi io a quell’affermazione stupida che aveva fatto Martina.
Poi ci pensai bene. In effetti Jake non era male. Era alto e piuttosto muscoloso: non era uno di quei giocatori di football che sembrano finti ma come una persona a cui piace far palestra. Aveva i capelli biondi che al sole parevano dorati e gli occhi di un azzurro intenso con sfumature verdi quando il tempo non era bello. Poi era dolce e gentile.
Ci rimettemmo a parlare fino alla sera poi lei tornò a casa sua e mi lasciò a riflettere.
Mi misi il pigiama e m’infilai sotto le coperte. Poi incominciai a sfogliare il mio libro preferito: “ Harry Potter e I Doni Della Morte” di J. K. Rowling. Non prestavo davvero attenzione a quello che stavo leggendo e mi addormentai…
***
Ero nella mia camera da letto della mia vecchia casa.
<< Mamma mi racconti una storia?>> Una bambina era sdraiata nel letto di una camera tutta colorata, aveva sei o sette anni. Ero io.
La madre  si sedette sul letto e cominciò a raccontare…
<< La nostra storia incomincia in un giorno di primavera di molto tempo fa. Sulla Terra gli uomini vivevano in pace, avevano un re buono che faceva di tutto per non far soffrire il proprio popolo. Non c’erano ladri e le famiglie  erano sempre disposte ad aiutare chiunque avesse bisogno d’aiuto.
Nei mari i pesci nuotavano felici.  i delfini giocavano tra le onde.
Nei celi, invece, tra le nuvole sorgeva una città popolata da angeli.>>
<< Angeli, mamma?>> chiesi io sorpresa.
<< Esatto Clove, angeli. Creature dall’aspetto umano ma con le ali e poteri magici. Loro vegliavano su tutti gli uomini, per ogni uomo c’era un angelo che lo aiutava, senza farsi vedere. Questi angeli erano molto belli, con occhi e capelli di colori strani ed incantevoli e corpi che farebbero invidia alle stelle del cinema. I loro poteri variavano molto: c’erano quelli che controllavano gli elementi, quelli che parlavano con gli animali e quelli che avevano il potere della telecinesi.
Ad ogni angelo era assegnato un titolo come ad esempio “ Mia, l’angelo della poesia” oppure “ Simon, l’angelo della musica”.
C’era un angelo chiamato “Kamijo,l’angelo della vita”. Era l’angelo più importante insieme a sua sorella “ Kira, l’angelo della morte”.  Erano loro a dare inizio ad una vita e a farla giungere al termine. Per una nuova nascita doveva esserci una morte, per mantenere l’equilibrio. La madre dei due angeli era “ Shara, l’angelo protettrice del destino”. Quel giorno di primavera Kamijo e Kira litigarono e Kira andò sulla Terra portando con se la sua falce con cui metteva fine alle vite degli uomini e degli altri esseri viventi. La madre disperata scese sulla Terra per trovare la figlia.
Intanto sulla Terra alcuni uomini cominciavano a commettere i primi crimini: alcuni divennero ladri, altri spinti dalla vendetta assassini e così via.
Kira si ritrovò a fare i conti con questi criminali per molti anni.
Per tutto il tempo lei li cercava e li uccideva con la sua amata falce.
 Un giorno però Kira venne ferita gravemente da un assassino dopo che questo aveva ucciso la moglie ed i figli.
In fin di vita Kira venne soccorsa da sua madre che non aveva perso la speranza e aveva continuato a cercarla.
Shara non riuscì a salvare la figlia che divenne una sfera di luce e che vagò per il mondo in cerca di quell’assassino che l’aveva uccisa.
La sua falce però rimase in quella grotta dove era morta in modo che nessuno la possa rubare. La povera Shara rimase sulla Terra a custodire la falce della figlia con la speranza che la figlia tornasse a prenderla.>>
La mia copia si era addormentata a metà storia, non l’avevo mai sentita per intero. Ora si, sapevo la storia di Kira.
Chiusi gli occhi.
***
Mi svegliai e andai a cercare il libro che mia mamma leggeva sempre e dal quale aveva preso quella storia.
Lo trovai nella biblioteca di casa. Era un vecchio tomo rilegato in pelle rossa con il titolo scritto in oro.
Si chiamava “ Kira, la falce e le cronache degli angeli custodi”.
Quando lo aprii mi sorpresi: era scritto soltanto sulle prime tre pagine, che riportavano la storia che mi aveva raccontato mamma. Non era stampata ma scritta a mano. L’aveva scritto mia madre, ne avevo riconosciuto la scrittura.
Misi il libro nella cassapanca ai piedi del letto e mi riaddormentai.
 Mi scuso per il ritardio imperdonabile con tutti quelli che seguono questa storia ma internet è andato a farsi benedire .
 Ringrazio di cuore tutti quelli che leggono in silenzio. Un grazie speciale a Mitzune_chan che mi segue dall’inizio con molta pazienza
Dark_hime

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Capitolo 9
*** Un libro, due amici e strane apparizioni ***


UN LIBRO, DUE AMICI E STRANE APPARIZIONI….

Ero a casa mia in compagnia di Jake dopo una dura giornata di scuola.

<< Senti un po’ Jake, non mi hai detto cosa stai tramando... prima arrivi in orario anzi, in anticipo, alla fermata del bus e poi sparisci per tutto il pomeriggio… ed oggi sei uscito dopo di me da scuola. Solitamente sei l’ultimo ad entrare ed il primo a svignartela…. Cosa c’è?>>

Sorrise tristemente prima di rispondermi.

<< Non mi piace quella Martina, nasconde qualcosa. Sono sicuro di averla già vista… non fidarti di lei.>>

<< Anche io ho la sensazione di averla già vista non so dove però ne sono sicura.>> dissi.

<< ma comunque ti ho fatto venire qui per farti vedere questo…>> dissi tirando fuori dalla cassapanca il libro della mamma.

<< Questo libro è il libro di mia madre. Lo aveva scritto lei, ma c’è scritta solo una storia purtroppo…>> spiegai io.

<< Posso?>> mi chiese appoggiando le mani sul libro che si trovava sulle mie gambe e guardandomi negli occhi.

<< Certo fai pure>> mi prese il libro e lo aprì.

…….

….

..

<< Clove ma a che ora hai aperto il libro?!>> mi chiese divertito.

<< Tra le due e le quattro, credo>>

<< allora è per questo che non ti sei accorta che le pagine scritte non sono solo tre ma sono dieci….>> disse scherzoso, io non ci potevo credere! Ero sicura che la storia scritta occupasse tre pagine, invece guardai meglio.

<< ma qui le storie sono due non una!!!!>> incredibile……..

<< ieri sera magari eri troppo stanca e non hai letto tutto….>>

<< dai, leggi..>> lo esortai e lui incominciò a leggere.

Lesse la prima storia, quella di Kira e poi incominciò quella nuova intitolata “Todd, il ragazzo dei fulmini”

<< Quando Kira si trasformò in luce il mondo equilibrato degli angeli si distrusse, lasciando il posto ad un regno violento e desideroso di vendetta. Un’ombra comparve sulla Terra, di riflesso. Gli incidenti aumentarono, gli uomini prendevano abitudini sbagliate poiché gli angeli non vegliavano più su di loro.

Alcuni angeli andarono a vivere sulla Terra poiché la situazione  nei cieli era diventata insostenibile. Nascosero le ali ma mantennero i loro poteri.

Crearono tribù diverse ed insegnarono loro come mantenere la pace in quelle piccole comunità.

Il più anziano fra di loro si chiamava Josh che aveva il potere di controllare il fuoco. Quando fuggì si rifugiò nel deserto, dove poteva esercitare il suo dominio. Qui imparò a controllare anche la sabbia e diede vita ad una nuova comunità chiamata Popolo del Sole. Si sposò ed ebbe quattro figli maschi. Il più grande era Ash, seguito dai gemelli Kim e Juan. Il più piccolo si chiamava Todd. Ash aveva il potere di controllare il fuoco ereditato dal padre mentre i gemelli avevano il potere della sabbia. Il quarto figlio invece non aveva alcun potere, non creava il fuoco come il fratello maggiore e non riusciva a far spostare la sabbia a suo piacimento con la mente, al contrario dei fratelli.

All’età di quindici anni decise così di compiere un viaggio per trovare se stesso.

Vago senza meta per il deserto per molti giorni, fino ad arrivare in un luogo con alberi da frutto e prati verdi con molti fiori.

La luce del sole però non era più forte come nel deserto. Incominciò a piovere. Todd non aveva mai visto la pioggia e tantomeno il temporale. Un fulmine gli cadde vicino e lui per ripararsi mise le mani davanti . il fulmine non toccò terra e rimase sospeso fino a quando lui non tolse le mani.

Scoprì così di avere il potere di controllare i fulmini.

Vagò a lungo per migliorare questo potere. Un giorno però sbagliò la traiettoria di un fulmine che lo colpì. Non morì ma rimase gravemente ferito. Quando si rimise in sesto non c’erano più tracce dell’accaduto.

Si sposò ed ebbe dei figli tramandandogli i suoi poteri e la sua conoscenza.>>

Quando Jake finì di leggere mi guardò e aspettò una mia reazione che non si fece attendere per molto tempo.

<< Bella storia ma ieri non c’era! Ne sono sicura!>> dissi io. Mi guardò male.

<< secondo me devi dormire di più!>> disse. Poi guardò l’orologio e si alzò di scatto dal divano facendomi spaventare.

<< Santo cielo che imbecille…. È tardissimo….>> disse facendo una faccia preoccupata.

<< ma sei idiota?! Mi hai fatto prendere un colpo!>> ribattei io lanciandogli un cuscino in faccia.

<< ci vediamo domani Clove! Devo scappare, ciao!>>

Lasciò il libro sul tavolino rotondo che aveva davanti e corse fuori.

Sempre il solito ritardatario!

E come si dice “il lupo perde il pelo ma non il vizio”.

 

 

 

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Capitolo 10
*** LA ROSA ROSSA E LA PIUMA ARGENTO ***


LA ROSA ROSSA E LA PIUMA ARGENTO

Il giorno seguente andai a scuola e tornai a casa con Jake, come al solito.

Aprii il cancello in ferro battuto di casa dei nonni e feci entrare Jake, poi andai a preparare il the e a prendere il libro della mamma.

Jake intanto si era seduto su una delle tre sedie sempre di ferro battuto sotto il gazebo in giardino. Appoggiai la teiera sul tavolino rotondo di fronte a Jake e gli versi il the in una delle due tazzine di porcellana della mamma.

Bevemmo il the parlando delle storie di “Kira, la falce e le cronache degli angeli custodi”.

Finito il the andammo a fare un giro per il giardino di casa.

<< Ma quanto è grande questo giardino?!>>Mi chiese  Jake stupito dalla grandezza del parco di casa dei miei nonni.

Ci fermammo davanti ad un cespuglio di rose bianche, uno dei molti sparsi per tutto il giardino.

Guardai il cielo. Ogni tanto lo facevo, mi rasserenava.

Era una mia impressione o c’era qualcosa che volava e che emanava una luce abbagliante?

Cadde qualcosa.

Jake andò in bagno ed io rimasi lì fuori a fissare quello che cadeva dal cielo.

Cadeva lentamente, danzando con il vento.

Quando toccò terra mi resi conto che era una piuma.

Ma non di un piccione come pensavo: era lunga circa 30 cm e argentata.

La raccolsi.

Appena la toccai sentii freddo e subito dopo caldo.

Vidi tutto capovolgersi.

Sentii un gran rumore quando la mia testa toccò terra con poca grazia, andando a sbattere su una delle pietre vicino al cespuglio delle rose.

vidi la piuma caduta dal celo diventare rossa, ancora nella mia mano.

Ebbi paura.

poi svenni.

***

Volevo urlare ma non riuscivo.

Volevo aprire gli occhi ma non ne avevo la forza.

Non sentivo ne il caldo ne il freddo, non vedevo la luce ma solo il buio.

Non mi ricordavo nulla.

<>  chiese qualcuno con una voce preoccupata e famigliare.

<> rispose il dottore.

Lo riconobbi: era il dottor Carter. Pensavo di non dover vederlo mai più.

Al contrario del dottor Roberts, lo psicologo era acido e viscido.

Il dottor Carter non mi ispirava fiducia.

L’atra persona che parlava era Jake.

Riuscii ad aprire gli occhi e venni investita dalla luce abbagliante del sole.

I due non si accorsero del mio risveglio ed io osservai la stanza dove mi trovavo.

Era molto piccola ma accogliente. Le pareti color panna sorreggevano un soffitto bianco latte. Il tutto era illuminato grazie ad una finestra molto grande che dava sulla città.

Data l’altezza eravamo all’incirca al quarto piano.

Il letto su cui ero sdraiata era affiancato ad un comodino in legno molto chiaro con appoggiata in bella vista la piuma che avevo visto cadere.

Jake era appoggiato con la schiena all’armadio in legno con le braccia conserte e con un espressione preoccupatissima.

Il dottore invece era in piedi davanti al letto con in mano una cartelletta azzurra.

Stavano discutendo sul da farsi.

<< potrà tornare a casa appena si sveglia però deve rimanere con lei almeno fino a quando torneranno i nonni, mi raccomando non si deve sforzare>> terminò il dottore.

<< Quindi posso tornare a casa mia?>> chiesi io aprendo per la prima volta la bocca.

Jake saltò quasi per aria e poi mi corse in contro e mi abbracciò.

Io ricambiai l’abbraccio.

<< Se ce la fai puoi tornare a casa quando vuoi , ma>> ed eccolo lì il ma che c’è sempre << almeno per questa notte devi rimanere in ospedale per i controlli>> finì il dottore.

Io e Jake ci guardammo e lui poi disse che sarebbe rimasto con me quella notte.

Lo sapevo che Jake era un ragazzo d’oro, lo era sempre stato.

***

Erano ormai le quattro del mattino quando Jake si addormentò.

Avevamo parlato tutta sera  a parlare di tutto.

Spensi la luce del comodino prima di sdraiarmi e mi addormentai.

***

Ero in una stanza buia, senza finestre e senza porte.

Non riuscivo a vedermi neanche le mani.

Poi una luce abbagliante invase la stanza e comparve una figura.

Ero io solo che ero diversa.

Avevo i capelli blu elettrico con le punte bianche, mossi e lunghi fino al sedere al posto della mia cresta castana. I miei occhi, solitamente di un color prato erano rosso sangue.

Teneva in mano una falce argentata con delle incisioni sull’impugnatura e la lama lunga circa due metri, doveva essere molto pesante ma l’altra me la teneva con la mano destra con  la lama sulla spalla sinistra.

Aveva anche delle ali bianche come la neve con le punte argentate.

Ci fissammo per un po’ poi lei si girò dall’altra parte e volò via dopo avermi detto “Perché non ti ricordi di me? Guardati dentro. Non mi puoi tenere nascosta ancora per molto tempo.”

 

Mi scuso per il ritardo e spero che questo capitolo sia decente.
Kira

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Capitolo 11
*** RINATA ***


RINATA
La mattina seguente tornammo a casa.
Appena arrivai sentii la testa girarmi. Probabilmente non mi ero ancora rimessa del tutto.
Poi delle fitte allucinanti allo stomaco.
Mi piegai in due con le mani sulla parte dolorante.
La vista si appannò.
Jake cercava di tranquillizzarmi ed alzarmi da terra.
Mi portò in braccio fino al divano dove mi appoggiò con delicatezza prima di andare a prendere qualcosa in cucina.
Non vidi più nulla, sentii uno strano calore partire dal petto e diffondersi in tutto il corpo.
Poi all’improvviso rividi, mi guardai le mani.
Caddi dal divano.
Avevo le unghie luminose, come negli anime giapponesi, solo che era vero.
Osservai le braccia e vidi delle righe che partivano una da ogni dito e che mi salivano fino a sparire dentro le maniche corte della T-shit che lampeggiavano di una luce bianca.
Poi sentii la testa pesante e svenni.
***
<>                                
Mi trovavo in una chiesa con una figura incappucciata.
<> Dice lei. Poi si leva il cappuccio e mostra le ali. Era la stessa figura che vedevo in tutti i miei sogni. Poi continua: << State attenti, finalmente Kira è tornata.>>



Scusate il ritardo e il capitolo breve però sono stata incasinata e questo capitolo è fondamentale
kira

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Capitolo 12
*** Ti va di ballare? ***


TI VA DI BALLARE?

Mi trovavo in un luogo buio, freddo e puzzolente.
Si accese una luce improvvisa e vidi che mi trovavo vicino ad un laghetto limpidoma intorno era tutto bianco.
Poi mi sentii in fiamme e lo stomaco cominciò a farmi male, mi piegai dal dolore.
Quando il dolore mi passò mi rialzai.
Sento la pelle pizzicare ed il cuore bruciare.
Non appena mi guardai le mani vidi delle linee luminose che percorrevano la carne che partavano dalle dita fino alle scapole, i miei capelli non erano del solito biondo cenere ma di un forte blu elettrico.
Mi avvicinai alla sponda del piccolo lago e mi specchiai.
Più mi guardavo, più mi rendevo conto di non essere io.
Anche gli occhi, prima azzurro cielo erano giallognoli, la bocca era rossa e i denti somigliavano molto a quelli del Conte Dracula.
Non feci in tempo a spaventarmi che caddi in ginocchio con un dolore terribile alla schiena. Mi sentii improvvisamente pesante e poi, subito dopo, leggera come una piuma.
Mi rialzai e mi rispevcchiai.
Indossavo la stessa T-shirt dei Guns ‘n Roses e i jeans chiari ma altro attirò la mia attenzione: le ali che mi spuntavano dalla schiena. Erano bianche con sfumature azzurre e argento.
Ero spaventata, i miei occhi avevano cambiato nuovamente colore, diventano rosso aranciato. Cambiavano colore in base all’emozione che provavo. Quando lo capii fui sorpresa e gli occhi diventarono azzurri.
Poi sentii una voce familiare, quella di mia mamma.
Poi dalla superfice dellì’acqua spuntarono i miei genitori, come dei fantasmi luminosi. Si abbracciavano ma piangevano.
<< Clove, non avere paura. Sono io, sono venuta per aiutarti a capire. Tesoro, non piangere la mia morte e quella di tuo padre, noi stiamo bene. Prenditi cura dei tuoi fratelli. Perdonaci Clove se non ti abbiamo detto la verità, io e tuo padre. Noi non siamo i tuoi veri genitori, ti trovammo per caso un giorno fuori dalla porta di casa, con il libro di Kira. Eri così piccola, il medico disse che avevi solo qualche giorno, non c’erano tracce dei tuoi genitori così ti adottammo. Quella sera in cui siamo morti però ci è apparso un angelo e ci ha portato con lui in questo mondo fantastico di luce. Sì Clove, un’angelo uguale a quelli del libro. Scoprirai chi sei, qual è il tuo destino ma io non ti posso rivelare più nulla. Devi scoprire da sola tutto. Un’ultima cosa ti posso dire: non arrabbiarti per quello che puoi scoprire. >>
<< Mamma! Papà! Non andate!>>
Troppo tardi, i miei genitori erano scomparsi nel nulla.
Mi guardai nuovamente, niente era cambiato: avevo le ali e tutto il resto. Poi caddi nel lago.

***
Mi svegliai nel mio letto.
Stavo piangendo, il sogno era stato così reale che ero bagnata.
Anzi, ero troppo bagnata! Mi alzai di scatto e andai a specchiarmi.
Urlai dallo spavento.
Avevo la maglietta strappata sulla schiena, le linee luminose sulle braccia, i capelli, gli occhi, la bocca e i denti: tutto come nel sogno. Solo le ali non c’erano più.
Cosa avrebbe detto Jake?
<< Clove, finalmete! Era tanto che aspettavo questo momento! >>
Non feci in tempo a voltarmi che Jake mi aveva già stretto in un forte abbraccio.
<< Jake…>> non riuscii a dire nulla.
<< Non ti preoccupare. Ti spiegherò tutto più tardi. Ora vai a cambiarti, stai bagnando ovunque! >>
Non capivo nulla, cosa sapeva Jake che io non sapevo?
Dopo essermi staccata dall’abbraccio vidi che sul letto c’erano già dei vestiti, probabilmente li aveva preparati Jake. Li presi e andai a cambiarmi.
***
Erano ormai più di venti minuti che ero in bagno per cambiarmi.
Ero già pronta da un bel po’ ma mi vergognavo ad uscire.
 Non mi ricordavo di avere un vestito così corto: indossavo un abitino con scollo a cuore e balze che partivano da sotto il seno. La parte alta era in pelle nera e le balze bianche. Il tutto abbinato ad un paio di collant nere,giubbotto in pelle nera e per completare l’opera delle Converse nere.
Mi sembrava strano vedermi allo specchio con i capelli di quel colore innaturale e gli occhi che per la vergogna erano di un blu scuro, quasi nero.
Pensai di star ancora sognando.
Mi risvegliò la voce di Jake che mi fece sobbalzare.
Uscii dal bagno a testa bassa.
<< Wow… >> sentii esclamare il mio amico.
Alzai lo sguardo e mi trovai davanti uno sconosciuto.
Mi spaventai e andai a sbattere contro la porta che avevo appena chiuso.
Lui si avvicinò e poi parlò.
<< Sono io, sono Jake >>
Era lui, la voce era la stessa e lo sguardo era sincero.
Mi porse la mano e mi alzai. Lo osservai: i capelli biondi erano scomparsi lasciando il posto a dei capelli d’oro, gli occhi sembravano lapislazzuli. Se prima era bello ora era mozzafiato.
<< Vieni a fare un giro? >> mi chiese lui dopo qualche minuto.
<< Sì, andiamo >>
Volevo delle risposte, volevo sapere chi ero io e chi era davvero Jake.
Lui mi guidò sulla terrazza al terzo piano e poi mi circondò la vita con le braccia.
<< Chiudi gli occhi >> mi sussurrò lui in un orecchio.
Li chiusi.
Poi sentii uno strano vento soffiarmi sulla schiena e li riaprii.
La terrazza di casa non c’era più, l’unica cosa che vedevo erano gli occhi di Jake, che brillavano come pietre preziose e due magnifiche ali d’oro.
Mi aggrappai al collo di Jake, per paura di cadere.
La città era scompars sotto di noi, stretti in quello strano abbraccio.
Rimanemmo così per un bel po’.
<< Ti fidi di me? >> mi chiese poi serio.
<< Certo Jake >> risposi io convinta.
<< Ti va di ballare? >>




Note dell'autrice
salve a tutti e buon anno!!
spero che questo capitolo vi sia piaciuto.
Ringrazio di cuore Mitzune_chan che mi segue dall'inizio!
grazie mille
kira

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Capitolo 13
*** Cadendo, sto cadendo ***


Ero un po’ sorpresa ma accettai.

Jake mi prese per la vita e mi tirò a sé.

Io ero senza parole, Jake intanto mi guardava divertito.

Poi mise i suoi piedi sotto i miei, per tenermi su ed io strinsi le braccia attorno al suo collo.

Cominciammo a volteggiare nel cielo ormai pieno di stelle, le sue ali brillavano tanto quanto il sole a mezzogiorno e mi chiedevo come fosse possibile rimanere lì senza essere visti.

Dopo qualche minuto Jake finalmente parlò: << Senti Clove, so che sarai distrutta  spaventata e piena di domande ma devi capire che non ti posso rivelare tutto ora. >>

<< Ma… >>

Non mi fece finire di parlare e m’interruppe senza neanche ascoltarmi.

<< No, scoltami. Ti posso dire poche cose di tutto ciò che vorresti sapere… la prima è che ti devi fidare di me. La seconda è che non devi aver paura di nulla se io sarò con te. Soprattutto è importate che tu non ti spaventi davanti a ciò che sei, che eri e che sarai. Prometti di non rinunciare mai alla tua natura… promettimelo. >>

<< Ok, te lo prometto. Ma tu promettimi che mi spiegherai, anche con il tempo, ma mi spiegherai.>> lo promisi a bassa voce, ma lui mi sentì perche mi posò una mano sulla testa, accarezzandomi con dolcezza ed io mi appoggiai al suo petto, con il viso vicino al suo cuore.

O dove doveva esserci il suo cuore … non batteva nulla sotto quella pelle.

Non sapevo come comportarmi ma qualcosa mi diceva che potevo fidarmi di lui, come mi ero sempre fidata del resto.

Rimanemmo abbracciati volteggiando nel cielo fino all’alba poi tornammo a casa.

Il giorno seguente non andammo a scuola.

Jake venne a prendermi verso le due del pomeriggio, prendemmo il pullman e scendemmo all’ultima fermata, davanti ad una chiesetta gotica.

Entrammo senza dire nulla e trovammo delle suore ad accoglierci.

Erano molto giovani, la più piccola aveva circa la mia età e la più grande sui 25/26 anni.

Portavano una tunica bianca ricamata lunga fino alle caviglie e un velo argentato.

Jake le salutò da lontano e loro arrivarono contente. Quando si accorsero della mia presenza però si rabbuiarono e i loro sorrisi si spensero del tutto quando Jake mi mise un braccio al collo.

Lì per lì non capii il perché poiché Jake cominciò a parlare in una lingua che non conoscevo e che non avevo mai sentito. I suoni dolci, nessun suono stonato. Le suore continuavano a osservarmi male.

Poi però ci accompagnarono sul retro della chiesetta, in un piccolo giardino.

Il prato era molto curato, gli alberelli fioriti facevano da cornice ad un piccolo laghetto con l’acqua talmente limpida da vedere i due pesci che lo abitavano: erano due pesci meravigliosi, dalle mille sfumature di ogni colore. Nuotavano sempre lontani, su una traiettoria circolare. Sempre nello stesso verso.

Rimasi incantata nell’osservare quelle creature bellissime fino a quando la voce melodiosa della più grande delle suore mi risvegliò da quello stato di trance.

Stava parlando ancora in quella strana lingua che non riuscivo a comprendere.

Ripeteva le stesse parole come un mantra e poi le si aggiunsero tutte le altre.

Jake mi spinse verso la riva del laghetto e mi mise le mani sulle spalle.

Poi d’un tratto le suore si zittirono e lui, dopo avermi guardato negli occhi, mi spinse in acqua.

Non pensavo che quel laghetto fosse così profondo.

Non mi aspettavo di non riuscire più a risalire in superficie.

Non mi aspettavo che Jake mi buttasse giù.

L’ultima cosa che mi aspettavo era di non riuscire più a vedere il fondo del laghetto.

Più mi agitavo più affondavo, almeno questa era la mia impressione.

Così decisi che era inutile agitarsi tanto e mi fermai.

Di colpo il nero dell’acqua che mi circondava lasciò il posto ad una luce abbagliante: una luce innaturale e bellissima.

Poi il vuoto.

L’acqua del lago era sparita ed io stavo precipitando.

Cadevo sempre più giù, in quel bagliore immenso e accecante.

Non riuscivo ad urlare, muovermi o fare altro.

Stavo cadendo.

 

mi scuso per il ritardo e per il capitolo cortissimo ma ho trovato il modo di pubblicare con l'HTML sul nuovo pc solo oggi e qundi d'ora in avanti scriverò e pubblicherò con più regolarità.
ringrazio quelli che leggono, seguono, hanno messo tra le preferite e recensiscono questa storia.
Kira

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Capitolo 14
*** Chi sei? ***


Cadevo sempre più in basso.

Intorno a me c’era solo nero, non il nero della notte, carico di sogni e sentimenti diversi, ma un nero pesante e senza emozioni.

Continuavo a cadere, nel buio che mi inghiottiva e che mi circondava.

Perché Jake mi aveva spinta?

Cerca di calmarti, Clove. Jake non ti può aver tradito, lo conosci da troppo tempo.

Ricordati quando vi siete conosciuti, era stato così dolce.

***

Era una giornata calda e tutta la famiglia White era seduta fuori dall’abitazione, sotto il gazebo.

Thomas, il figlio più grande era uscito con gli amici e Clove era rimasta da sola, a disegnare.

Si stava annoiando a morte e per questo era uscita, senza farsi vedere, per fare uno scherzo ai suoi genitori.

Si era nascosta dietro ad un cespuglio di rose ma poi si era addormentata.

Si svegliò che era già sera e il suo vestitino bianco e azzurro era troppo leggero. Tornò in casa e venne messa in castigo per una settimana. Il giorno seguente, non potendo guardare la tv, giocare o disegnare Clove si era rifugiata sotto una pianta a fare i compiti di matematica quando un bambino era passato correndo fuori dal cancello, inciampando in qualcosa e cadendo per terra.

Clove allora era corsa subito per vedere come stesse.

Il bambino da quel giorno passò sempre di lì a parlare con la piccola Clove, diventarono amici e ben presto s’incontrarono tutti i pomeriggi.

Insieme giocavano nel cortile, parlavano e insieme disegnavano. Il bambino divenne di famiglia e si iscrisse alla stessa sua stessa scuola.

***

Cadevo sempre più giù.

Poi cominciai a sentire un profumo dolcissimo come quello del marzapane  e luci di ogni colore si accesero abbagliandomi.  

Cominciai a prendere velocità e poi mi schiantai a terra.

Pian piano cominciai a sentire dei rumori attorno a me e mi risvegliai.

Ero sdraiata su un prato dal profumo buonissimo  ed il cielo era di un azzurro vivo.

Lì accanto a me trovai la testa dorata di Jake. Era sdraiato per terra, accanto a me.

Lo presi dentro per farlo svegliare ma nonostante i miei ripetuti tentativi lui non si mosse di neanche mezzo centimetro.

Mi guardai un po’ attorno. Ciò che vidi era magnifico: il prato fiorito si estendeva fino all’orizzonte, fondendosi con il colore del cielo. Neanche una nuvola.

Poi sentii qualcosa tirarmi verso il basso e mi ritrovai nuovamente sdraiata accanto ad un preoccupatissimo Jake.

Io essendo un po’ tanto arrabbiata con lui gli sfuggii via e mi rialzai in piedi, sotto il suo sguardo impaurito, e corsi via, verso l’orizzonte.

Corsi sempre più veloce, cercai un posto dove nascondermi ma non trovai nessun albero e nessun luogo a parte il prato immenso.

Corsi fino a quando il fiato me lo permise, guardandomi dietro ogni tanto per controllare se Jake fosse nei paraggi.

Mi girai un’altra volta indietro  quando caddi in un lago.

Era nero e scuro, senza vita.

Dopo un primo spavento cominciai a nuotare verso la sponda opposta del lago.

Nuotai ad ampie bracciate fino alla riva.

Mi issai sul terreno e mi sedetti per riprendere fiato.

Approfittai della situazione per guardare il paesaggio, aspettandomi di vedere prati fioriti dai colori brillanti. Rimasi scioccata nel trovarmi in un luogo tetro e morto.

Il prato aveva lasciato il posto ad un terreno privo di vita, non c’erano colori ad animare quel vuoto e gli alberi erano morti e privi di foglie. Anche il cielo era scuro e offuscato da nuvole nere.

Mi osservai riflessa nell’acqua nera del lago: dovevo essere conciata malissimo dopo quella caduta e la nuotata.

I capelli corti e blu elettrico, rasati da una parte erano scompigliati, gli occhi scuri e stanchi.

La camicia bianca era attaccata alla pelle e i jeans e le scarpe scure pesanti di acqua.

Avrei voluto togliermi quei vestiti di dosso, poi mi ricordai di essere in un posto sconosciuto e con Jake nei paraggi.

Pensando a Jake mi resi conto della cavolata che avevo fatto scappando da lui senza lasciarlo spiegare ma prima che potessi fare altri pensieri fui interrotta da un brusco rumore, forte e assordante.

Stavo per girarmi quando qualcosa dentro di me si bloccò, bloccando tutti i muscoli e immobilizzandomi, pensai in modo ironico che mi avessero lanciato un immobilus, essendo una grande fan di Hary Potter….

Ma la sensazione era quella.

Respiravo a fatica, con la bocca semiaperta e il busto ruotato leggermente all’indietro.

Qualcuno mi si avvicinò con cautela.

Il cuore cominciò a battermi forte in petto, come se volesse uscirne.

Da una parte, se fosse stato Jake, non sarei riuscita a guardarlo negli occhi e chiedergli scusa senza arrabbiarmi con lui per il lago ma dall’altro lato volevo che fosse lui perché non sapevo nulla di ciò che poteva succedere se avessi incontrato qualcuno, figuriamoci se poi non sapevo neanche chi fosse!

Poi per una frazione di secondo i miei muscoli tornarono a funzionare ed io caddi per terra.

Sbattei forte la testa su un sasso sulla riva del fiume.

Sentii il sangue caldo sulla fronte e poi il freddo dell’acqua.

Svenni, di nuovo.

***

Ero in servizio quando la vidi.

Era una ragazza, dai capelli blu elettrici  molto particolari, bagnata fradicia.

Subito mi allarmai, se l’avessero vista gli altri l’avrebbero portata da Lei.

Mi avvicinai con cautela e concentrandomi riuscii a sparire, così non si sarebbe accorta di me.

Come se fosse fatto apposta un rumore assordante ruppe il silenzio.

Loro si stavano preparando, dovevo fare presto.

Si voltò di scatto ma non abbastanza in fretta per sfuggire al mio potere.

La immobilizzai.

La osservai per un po’. La riconobbi subito.

Era di una bellezza assolutamente unica, dal fisico perfetto e gli occhi bellissimi.

Respirava affannosamente e l’espressione spaventata.

Mi distassi solo per una frazione di secondo, in fondo quelli come me non provavano sentimenti, ma quello bastò per farmi perdere il controllo su di lei e farla cadere.

La vidi cadere, sbattere la testa su una pietra per poi cadere in acqua e perdere coscienza.

Mi tuffai, spinto da una forza che non sapevo neanche di avere.

Il panico mi invase quando non la trovai.

Passava il tempo e di lei nessuna traccia.

Quando ormai stavo per tornare in superficie, la vidi, sul fondo del vecchio Fiume d’Argento.

Uno scoppio terribile mi sbalzò all’indietro e chiusi per alcuni secondi gli occhi.

La mia specie poteva resistere sott’acqua, era il nostro elemento ma non potevo fare molto: era da un sacco di tempo che non nuotavo.

L’esplosione sicuramente era stata colpa Sua, come sempre.

Poi, appena tornai a guardare dove fosse la ragazza la ritrovai.

Si era svegliata e si agitava sotto i detriti che l’avevano sommersa.

Mi avvicinai con cautela e tentai di aiutarla.

Le tolsi di dosso un resto di tronco che le bloccava le gambe e una rete da pesca che l’avvolgeva completamente.

Non sembrava molto convinta di quello che faceva e quando mi chinai su di lei per aiutarla a risalire porgendole entrambe le mani lei le afferrò senza quasi pensarci.

La sua presa era debole e quindi la avvicinai a me, per poi nuotare il più velocemente possibile verso la superficie. Quando fui con la testa fuori dall’acqua tirai su anche lei.

Aveva il fiatone e le mancava l’aria. Respirava talmente male che faceva fatica anche a stare a galla.

Poi vidi Loro, e portai via con molta fatica la ragazza, che non riusciva neanche più a tenere gli occhi aperti.

***

Mi aveva salvata.

Gli sarei stata sempre riconoscente.

Mi svegliai in una grotta, buia e umida.

Lui era ancora accanto a me.

Stava dormendo, con il viso pallido disteso  e i capelli ricci e scuri che gli incorniciavano il volto.

Cercai di alzarmi, senza riuscirci.

Caddi pesantemente a terra.

In quel momento lui si svegliò e si appoggiò sul gomito, guardandomi.

Quando incontrai i suoi occhi nero pece il mio cuore mancò un battito.

Rimasi con la bocca aperta e lui fece un sorriso dolce.

Approfittò del momento e con uno scatto repentino mi attirò verso di se, senza che io potessi oppormi.

Non sapevo perché.

Avevo paura.

Mi rendevo conto solo in quel momento che non sapevo chi fosse, cosa volesse, perché mi avesse salvato e soprattutto cosa fosse.

***

E se l’avesse trovata?

Continuavo a volare sopra quella distesa verde e fiorita, senza trovarla.

Perché ero stato così stupido da non dirle niente e buttarla così nella Prima Porta.

No …

Non potevo essere così idiota!

E se l’avesse trovata Lui, l’avrebbe riconosciuta sicuramente e cosa le avrebbe fatto?

Poi sentii un rumore fortissimo, e mi trovai alla Porta della Luna.

Trovai Luna come sempre, con i capelli del colore delle stelle e gli occhi blu mezzanotte.

Se ne stava rivolta verso la Porta, con la veste nera senza maniche e lunga fino alle caviglie, svolazzante.

Teneva nella mano destra la sua bacchetta di vetro e nell’altra la chiave che apriva la Porta.

<< l’ha trovata, Jake. L’ha trovata.>>

La voce le uscì a forza dalla gola, come se fosse difficile annunciare quella notizia.

Come temevo.

***

Mi ero lasciato prendere un po’ la mano.

Non avevo resistito e avevo fatto di testa mia.

Il suo sguardo era impaurito.

Mi resi conto di quello che stavo facendo solo quando la guardai bene negli occhi.

Il suo sguardo era tra l’ammaliato e l’impaurito e colorato di un verde acquoso e pronto al pianto.

La abbracciai d’istinto.

Dapprima cercò di respingermi, con così poca forza che non mi mosse minimamente ma poi si arrese e si lasciò abbracciare, ricambiando il gesto.

Era da tanto che non la vedevo, e lei non si poteva neanche ricordare il mio volto.

Passammo così abbracciati cinque minuti buoni. Io, con la testa appoggiata alla sua spalla e lei con la sua faccia appoggiata sul mio petto. Poi, tutt’un tratto, lei alzò la testa e mi guardò negli occhi, per poi chiedermi una cosa  che poteva essere considerata normale in queste circostanze ma non nel nostro caso: “Chi sei?”


Questo è il nuovo capitolo! spero vi piaccia, grazie mille per chi legge questa storia e ci la recensisce.
grazie davvero
Kira

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Capitolo 15
*** ricordi ***


Sapevo che sarebbe successo, che lui l’avrebbe trovata.

Perché doveva essere tutto così difficile, proprio non lo capivo.

Sentivo la presenza di Clove vicino a me ma sapevo che lei era vicino all’altro.

Perché da quando l’Ombra era comparsa sul nostro mondo tutti noi siamo stati costretti a dividerci.

Non mi piaceva neanche un po’ la situazione che era andata a crearsi.

Se lui avesse parlato? No, non era ancora il momento, non era quello il programma.

###

Mio Dio quanto era   bella.

<< come? Non mi riconosci?>>

Lei fece una faccia tra il confuso e il triste.

<< No, non ti ho mai visto.>>

Una fitta al petto. Terribile e fortissima.

No si ricordava di me, di NOI.

Ma io non avevo dimenticato nulla, come avrei potuto?

<< io sono Matt.>> gli dissi guardandola negli occhi.

Lei non ricordava, non avrebbe mai ricordato se l’avesse consegnata al Capo, com’era suo dovere.

Ero sempre stato un ragazzo rispettoso dei propri superiori e avevo sempre eseguito gli ordini. Ma ora come potevo consegnare al Capo la ragazza che aspettavo da più di 400 anni e che amavo più di se stesso?

Cos’avrebbe fatto l’altro?

Lui la cercava, lo sapevo.

Lui l’avrebbe protetta e salvata dal suo destino.

Lui l’avrebbe portata al sicuro tra i Creatori, i pochi rimasti ancora in vita.

Così presi la decisione più triste e terribile della mia esistenza.

<< Senti, ti riporto da Jake. Qui sei in pericolo.>>

Lei annuì e usciti dalla grotta la presi per mano e cominciammo a volare verso la Porta Della Luna.

###

<> gridava la ragazza dai capelli blu elettrico al ragazzo che correva dietro di lei.

Erano entrambi bellissimi: lei, con i capelli blu al vento e il vestito corto nero che le lasciava scoperte le spalle e le gambe lunghe e lui con dei pantaloni scuri e una camicia bianchissima.

Era alto e con un fisico perfetto, i capelli d’oro scompigliati e gli occhi azzurrissimi impauriti.

Erano stati alla festa della Luna quella notte, come tutti gli anni, ma quella volta tutto era andato rotoli: Lui era tornato e aveva fatto ingresso al Palazzo di Cristallo con il suo esercito.

Tutti loro erano stati presi di sorpresa.

Molti erano stati catturati, forse la maggior parte ed uccisi a sangue freddo.

Il Castello ormai era distrutto, il grande lampadario di cristallo era stato fatto cadere sul pavimento argentato del palazzo, che si era tinto di un rosso intenso, con i cadaveri dei Creatori che giacevano a terra in posizioni contorte, con il sangue che sgorgava dalla bocca e gli occhi spalancati.

Anche Matt quel giorno si era divertito a vedere il terrore negli occhi e sulle espressioni di quegli angeli che gli avevano procurato tante sofferenze, la SUA Clove stava ballando con l’altro.

Era bellissima ma non era per lui ma per Jake.

Jake, era lui il problema, se solo non fosse mai esistito.

O forse bastava ucciderlo.

Si era fatto spazio tra i Creatori uccidendo chiunque incontrasse, arrivando alla porta di legno sbiancato dietro alla quale si erano nascosti.

Entrò dopo averla distrutta ma loro non c’erano.

Corse alla finestra aperta e li vide, tenersi per mano e correre all’orizzonte.

Li inseguì, per il Prato Bianco, in mezzo alla neve; per la Steppa degli Alberi morti, fino ad arrivare al Prato dei Salici Piangenti, dove lei cadde per terra, tra le felci.

Jake si fermò per aiutarla e Matt lo attaccò alle spalle.  Un fulmine colpì il biondo che cadde a terra incosciente. Ma a Matt non bastava, lui voleva solo riavere Clove e per ottenere ciò doveva eliminare per sempre l’altro.

Il corpo privo di sensi dell’amico giaceva accanto a lei e Clove non sapeva che fare. Non aveva più i suoi poteri, non sapeva ancora utilizzarli. Ma non poteva lasciare il suo migliore amico lì, per terra, davanti ad un pazzo assassino che li stava raggiungendo a grandi passi.

Prese l’amico per le braccia e senza farsi notare lo trascinò fino  a un grande Salice Piangente circondato da alte felci. Lo fece sdraiare e strappò delle felci per coprirlo.

Quando Matt arrivò la vide seduta massaggiandosi la caviglia dolorante. Probabilmente aveva preso una storta poco prima di cadere.

Matt si bloccò di colpo: lei era bellissima, con i capelli scompigliati e il volto rosso per la corsa.

Ma lui non c’era.

Si guardò attorno.

<< Non lo ucciderai. Non te lo permetterò. >>

Clove si era alzata e gli parlava.

<< Chi me lo impedirà? Un angelo senza poteri come te?!>> gli disse in tono divertito lui.

<< Sarò anche senza poteri ma lo proteggerò come lui ha fatto con me. Anche a costo della vita.>> gli aveva risposto la ragazza.

<< No, non morirai per lui.>> e detto questo si avvicinò prendendola per la vita sottile.

Spalancò le ali scure, del colore della notte e la portò via.

In fondo lui voleva lei, non perdere tempo con Jake.

Volarono per un bel po’ e lei era terrorizzata.

Aveva volato sempre e solo con Jake, stretta nell’abbraccio caldo e forte dell’amico. Invece Matt era freddo e lei non aveva nessuna voglia di andare con lui, lo faceva solo per salvare Jake, ancora steso sotto le felci.

Matt volava sempre più in alto, alzandosi sempre più. Attraversò le nuvole e finalmente arrivò alla sua meta: il Palazzo del suo Capo.

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