Il cacciatore di anime

di Miss_Nothing
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Presentazione: Non giudicare mai un libro dalla copertina ***
Capitolo 2: *** Primo giorno ***
Capitolo 3: *** Fine presentazione ***
Capitolo 4: *** Favole ***
Capitolo 5: *** Miss niente ***



Capitolo 1
*** Presentazione: Non giudicare mai un libro dalla copertina ***


A volte raccontare una storia implica ascoltare i ricordi delle persone. Ma quanto ci può essere di vero in un ricordo? I ricordi sfumano, si infrangono, si mischiano come se fossero su una tavolozza di colori e poi è impossibile separarli. Ma ci sono ricordi che seppure vorremmo svanissero restano dentro di noi e non riescono a mischiarsi e a modificarsi con nessun altro.
Alle mie amiche ripetevo sempre che era inutile correre dietro a un fantasma eppure io lo facevo, ogni giorno. Sì. Sono una di quelle persone che predica bene e razzola male ma se avete qualche minuto potete anche ascoltare i miei ricordi.
Sono  nata e cresciuta a Milano. Nell’hinterland di Milano per la precisione. E vivo tutt’ora in quel paese che tanto detesto. Ora ho trent’anni, sono sposata e ho una figlia di cinque anni.
Per quanto ami la mia famiglia a volte penso di farla finita. Molti mi chiedono perché ? Ma io porrei un'altra domanda.  Chi è il mostro che mi ha rovinata?
Ricordo ancora tutto di quel tremendo anno in cui sono cresciuta improvvisamente. Avevo dodici anni e sentivo il mio cuore cambiare battito sotto seno leggermente accentuato. Ero gracile, la pelle pallida come la neve e una massa di capelli rossi che mi copriva il viso ricoperto da lentiggini. Mi sentivo vulnerabile in fondo mio padre era morto proprio quell’anno. Mi ricordo ancora il suo funerale. Le rose nere e rosse adagiate sulla sua tomba, proprio come lui aveva voluto. Mia madre mi stringeva le spalle troppo esili. Sembravo un fantasma in quel vestito nero che rendeva ancora più pallida la mia pelle. E proprio come se fossi un fantasma nessuno chiese di me. Mi ritrovavo a passare le giornate in camera a guardare il tempo cambiare dalla finestra. Amavo la pioggia. I suoi rintocchi mi ricordavano i passi di mio padre quando tornava stanco dal lavoro. Mia madre era un altro pallido fantasma. Cominciò anche lei ad ammalarsi. La ricordo con i capelli scompigliati e coperta da un vecchio e bucato maglione mentre era ai fornelli. Ho questa immagine di lei mentre cucina che non se ne andrà mai. È stato il giorno in cui era svenuta tra le mie braccia. Il giorno in cui si manifestò il primo sintomo.
Non chiedetemi che malattia avesse. Non ricordo il nome so solo che ora è paralizzata e lei è il solo motivo per cui non me ne vado da questo schifo.
Ma continuiamo con la storia.
L’odore di disinfettante dell’ospedale mi inondava le narici per l’ennesima volta. Ormai i medici e le infermiere mi conoscevano. Ero stata solo un mese prima ad aspettare che mio padre sconfiggesse il cancro. Ricordo perfettamente i loro occhi che mi guardavano camminare per il corridoio. Erano occhi ricolmi di compassione. A volte le infermiere mi accarezzavano le spalle come per darmi forza. Illuse. Nessun tocco può darti forza quando sai per certo che per te è la fine.
Potrei aprire un bel discorso sull’illusione. Ma forse è meglio evitare perché mi addentrerei in discorsi troppo complicati per la mia persona che si è fermata solo alla licenza media. Ma ci tengo a dire che per quanto l’illusione e le menzogne siano dolci e per quanto avrei voluto bearmi di esse mi era toccata la cruda, dolorosa e reale realtà.
A volte non ci chiediamo quante persone vivono seriamente la realtà. Posso assicurarvi che sono veramente poche. Il più si trovano in un limbo tra menzogna e fantasia dove possono restare sereni nei loro letti senza aver paura dell’uomo nero. A me non è stato dato questo privilegio.
 
<< Mamma >> Bonficchiai mentre le sfioravo la mano ricoperta dalla flebo. Anche se i dottori avevano affermato che non era nulla di grave ma solo stanchezza sapevo che non era così. Lo leggevo negli occhi verdi di mia madre. Erano opachi, troppo opachi come un vetro non lavato da anni. O per meglio dire come la realtà per i più.
Quel giorno cenai da sola. In casa mia. Mi preparai un panino veloce dopo aver fatto il bagno. Ricordo ancora quel momento. Ero ricoperta dal calore dell’acqua e la mia testa distratta dal profumo dolce degli oli. Ricordo che avrei voluto che quella vasca fosse il mare per poi sprofondare per sempre e ricongiungermi a mio padre. Avrei voluto addormentarmi e morire scivolando in quel confortevole calore ma poi vedevo il viso di mia madre in quella stanza d’ospedale e i pensieri morivano sul nascere mentre i singhiozzi spingevano le mie labbra a dischiudersi.
Quando mi alzai mi guardai allo specchio, completamente nuda a guardare quel corpo da bambina che non voleva cambiare. Mi osservavo il seno, o meglio osservavo le due piccole curve. Il mio corpo era quasi privo di peli se non per un piccolo e quasi invisibile spruzzo sulle gambe.
Ma questo è stato solo l’inizio di una grande decaduta. La vera storia inizia ora.
 
<< Giulia >> Mi chiamò mia zia. Sì, mi chiamo Giulia. Un nome comune come comune è quello che ho subito e che troppo spesso è taciuto.
A volte rimpiango di essere scesa dalle scale quel giorno e di non aver finto di dormire.
Appena scesi le scale mi ritrovai davanti l’uomo che mi avrebbe rovinato la vita. Un catechista di nome Giacomo che all’epoca aveva trent’anni.
Potrei descrivere la scena nei minimi dettagli. I miei passi che scendevano le scale velocemente. Il maglione nero che mi faceva da vestina/pigiama. I capelli annodati in un groviglio di nodi.
Il suo viso che sembrò illuminarsi alla mia vista. I suoi vestiti puliti, simili a quelli che mio padre metteva per recarsi in ufficio.
<< Giulia ho pensato di mandarti a catechismo se a te non  dispiace >> Mi disse dolcemente zia Rosa mentre rimanevo ferma a osservare con i miei occhi grigi. Zia Rosa è una di quelle persone che pensa che la fede possa salvarti da tutto. Un cristiana dop potremmo dire con tanto di crocifisso per ogni sala e rosario a mo’ di ciondolo. La sua figura grassottella e impacciata mi aveva sempre divertito.
Annuii. Non so perché lo feci ma lo sguardo di Giacomo mi aveva ammaliata. Era come ritrovare mio padre di nuovo lì, davanti a me pronto ad aiutarmi.
<< Ciao Giulia >> Mi salutò con la mano ed io ricambiai il saluto alzando la mia manina pallida.
A volte i detti sbagliano ma per questa volta il detto: Non giudicare un libro dalla copertina. Era perfettamente azzeccato. Perché Giacomo sembrava splendente, un angelo della comunità ma le pagine che quella perfetta e impeccabile copertina conteneva erano marce e rovinate. 

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Capitolo 2
*** Primo giorno ***


Il primo giorno di catechismo passò tranquillo e leggero come un pomeriggio estivo.
Era Ottobre e l’aria cominciava a raffreddarsi pronta per schiaffeggiarti il viso. Quel giorno ero come una piccola star. Giacomo mi elogiava e mi spronava a rendermi piacevole e bella agli occhi degli altri. Giacomo voleva rendermi come lui mi desiderava e io lo facevo fare. Mi sentivo tanto un pongo. Facile da manipolare e formare persino per i bambini.
Gli psicologi insistono su questo lato del mio carattere. Cercano di colmare il vuoto e di rendermi di pietra ma fino a ora sono stata di pietra solo poche volte. Per fortuna ho Matteo, il mio adorato marito. Non so come farei senza di lui. Di sicuro sarei divorata dalle belve che compongono quella che noi chiamiamo civiltà.
 
Giacomo mi abbracciò, un abbraccio che mi fece sentire amata. Un abbraccio che non avrei mai immaginato potesse diventare marcio.
<< Sono proprio contento che tu sia venuta >> Mi disse con la sua voce calda che ti trasmetteva una certa sicurezza.
<< Sono contenta anche io >> Borbottai con uno dei miei soliti flebili sussurri.
Ero e sono tutt’ora una persona chiusa, impacciata e timida. Aggiungiamo anche che era una situazione difficile e che avrei fatto qualunque cosa per un po’ d’attenzioni e amore. Mischiamo il tutto ed ecco a voi la preda perfetta. Quel giorno mi accarezzò anche il viso e fu proprio quel tocco che mi fece cadere tra le sue braccia. Anche mio padre mi accarezzava il viso in quel modo, con quella stessa flebile pressione quando fingevo di dormire aspettando che lui arrivasse per darmi la buonanotte.
 
Non so dirvi se mi ero innamorata di Giacomo. In fondo cosa può sapere dell’amore una bambina? Ma lui si era innamorato di me. E me lo ripeteva a volte. Per messaggio, si avevo il cellulare che lui aveva insistito regalarmi. Per telefono. O semplicemente quando mi baciava imboscati in un parco abbandonato.
 
A volte le persone hanno paura che io possa fare del male a mia figlia. C’è questo sciocco stereotipo che una persona vittima di violenza può diventare anch’essa un violentatore. Ma per la maggior parte dei casi non è così. Vedo molti psicologi anche oggi. Mi prescrivono gli antidepressivi. Sì sono depressa e a volte devo prendere anche un sonnifero per evitare di alzarmi gridando in piena notte e svegliare mia figlia e i vicini. È triste abbracciare la propria figlia e vedere le persone con il telefono in mano ad aspettare che io la baci appassionatamente o cominci ad eccitarmi. Mi disgusta il loro comportamento. Mi disgustano loro che un tempo non volevano credere a una bambina chiamata Anna.
Non ho denunciato Giacomo se non quando Anna cominciò la sua crociata. Aveva quindici anni quando Giacomo l’aveva utilizzata per i suoi giochi disgustosi ed era riuscita grazie a una famiglia solida e agli psicologi a trovare la forza per denunciarlo. Ammiro ancora Anna e a volte vado a casa sua con mia figlia che ho chiamato proprio come lei.
Ho dovuto aspettare cinque anni prima di vedere quel mostro dietro le sbarre. A volte chiedo ad Anna se ha avuto paura. Lei mi risponde che tutti hanno paura di affrontare la verità ma lei doveva farlo per evitare che quell’orco rovinasse altre bambine.
A volte rimpiango di non aver avuto quel coraggio. Lei non avrebbe subito nulla almeno.

 

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Capitolo 3
*** Fine presentazione ***


Quando mia figlia crescerà le farò leggere il mio diario. Sì, in quell’anno ho tenuto un diario che a volte rileggo. A volte lo legge mio marito per comprendere i miei silenzi. Non voglio che mia figlia creda in un illusione. Voglio dargli un arma, non voglio farla rimanere impreparata come me.
A volte mi chiedo perché sto scrivendo su questo computer. Penso che sia per non suicidarmi e per dare un arma e la forza anche ad altre persone che sono state vittime di pedofilia. Si, pedofilia. Questa parola che fa tremare e che a volte pensiamo non riconducibile al nostro tempo. Invece siamo e sono tanti. Siamo innumerevoli le vittime e altrettanto tanti sono gli orchi chiamati pedofili. A volte li chiamerò orchi, mostri, uomini neri ma la verità è che hanno un nome: Pedofili. Solo che io non ho sempre il coraggio di pronunciare quella parola. Per me sono quasi come Voldemort nei libri della Rowling. Sono qualcosa di talmente spaventoso che non ho il coraggio di scrivere quel nome ma come dice Albus Silente: Le cose vanno chiamate con il loro nome. Quindi mi sforzerò anche io a volte di chiamarli con il loro vero nome.
 
Caro diario,
Sento qualcosa di strano nascere in me. L’improvvisa voglia di apparire. Che mi sta succedendo? Sto forse crescendo? Avrei tanta voglia di essere come Caterina. Lei ha già le mestruazione e i ragazzi più grandi le stanno dietro. Invece io sono solo Giulia. Giulia il fantasma, Giulia la non nata.
 
Il mio diario è stata una prova che gli psicologi hanno portato in tribunali. Lì dentro ci sono particolari forse troppo spinti per essere solo una fantasia di una bambina. Particolari che sono stati rivisti in qualche filmino amatoriale in cui mi ritraeva mentre Giacomo mi usava come una bambola.
Non so come sarà il vostro viso quando mi addentrerò seriamente nella storia portandovi nel mio mondo. Io sento già ora la sensazione di disgusto che mi preme lo stomaco. E non ho ancora detto nulla. Se volete continuare e vedere la realtà per come è continuate a leggere. Se no fermatevi e chiudete questo libro. Continuate a vivere nel vostro limbo.
| note dell'autrice: e con quest' altro minicapitolo si chiude la presentazione. Tra poco arriveremo nel vivo della storia e già scriverla mi sta pesando. Penso che tutti debbano sapere veramente questa realtà che colpisce gli esseri più vulnerabili. I bambini. I fatti sono presi da un fatto che è appena uscito in cronaca e che ho toccato con mano visto che riguardava una persona che conosco. Anna(non è il suo vero nome), è questa persona che ha avuto il coraggio di denunciare. mentre Giulia rappresenta tutte quelle persone che non hanno il coraggio di parlare. Quando Anna apparirà nel passato di Giulia e nel vivo della vicenda la cronaca si mischierà alla storia. E allora vedrete com'è disgustosa la società in cui viviamo. Grazie per chiunque legga e continuerà a leggere.|

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Capitolo 4
*** Favole ***


Un tempo credevo nelle favole. Come tutti i bambini in fondo. Credevo e trasformavo la mia realtà in una favola e fu quello che feci anche allora. L’oratorio era diventato il mio castello mentre Giacomo il re che mi salvava dalla mia povertà. È difficile ora provare a spiegare come la mia mente ragionasse. È difficile spiegare come la prima parte del dramma era diventata favola. Difficile spiegare tutto di quell’anno. Ma ci proverò. Scusate le frasi semplici, l’immaturità della mia persona e a volte le frasi scontate ma questa è la mia storia e non saprei altrimenti come raccontarla con i miei mezzi.
Trasformare un ricordo in parola, tessere frasi su un foglio bianco e dare un significato ad ogni linea nera è qualcosa di complicato. Ognuno può vedere qualcosa di diverso attraverso le parole. Le parole sono un portale. Un portale che cancella l’ignoranza e cerca d’istruire. E se in questi anni la pedofilia viene taciuta pensate nei miei come dev’essere stata nascosta.
 
A volte basta solo un gesto per rovinare una vita. A me è bastato un bacio. Un bacio che io ho ricambiato e che ha fatto capire all’uomo nero che potevo essere il suo nuovo giocattolo. All’inizio mi sembrava di risentire sulle labbra quel flebile tocco. Spesso avevo allontanato mio marito per questo ma lui era paziente. Sapeva che per me ci voleva tempo. Sapeva che non doveva sforzare i tempi.
 
<< Sei molto bella >> Mi disse Giacomo per poi spostarmi una ciocca rossa dal viso. Sentivo le mie guancie in fiamme mentre abbassavo lo sguardo e mi stringevo nella felpa firmata che lui mi aveva regalato.
<< Lo sai tenere un segreto Giulia? >> Mi chiese con quel tono da cosa importante.
<< Si >> Affermai con un sussurro. Poi lo vidi avvicinarsi mentre mi teneva il viso fermo con le mani. Posò le sue labbra trent’anni sulle mie dandomi così il mio primo bacio. Non me lo diede con la lingua. Almeno non questo.
Era un test. Voleva vedere solo quanto poteva nutrirsi. Si nutrii di me fino ad arrivare all’osso. Si nutrii di me in tutti i modi possibili rubandomi così momenti che non avrei potuto rivivere.
L’unica persona o meglio l’unico oggetto che seppe del bacio fu il mio diario. Sì, sapevo mantenere i segreti come un madre sa accudire il figlio.
Ma riavvolgiamo un attimo il nastro e vediamo intanto cosa è successo a mia madre.
 
Fingevo di leggere una rivista di gossip. Non mi piaceva a dire il vero ma era solo una copertura per poter ascoltare i discorsi delle infermiere e dei dottori. Avevo imparato con mio padre a captare le informazioni reali che si scambiavano e smettere di credere alle false speranze che mi davano.
Mia madre riposava da due settimane nel suo letto d’ospedale. Dormiva quasi tutto il tempo e si svegliava solo per qualche ora pronta ad ascoltare i miei discorsi. O meglio pronta a fingere di ascoltarli tutti.
Intanto io vivevo da zia Rosa che mi spingeva a passare sempre più tempo con Giacomo.
Zia Rosa diceva sempre << Un uomo di chiesa non può essere malvagio quindi puoi passarci quanto tempo vuoi >>
Povera illusa. Giacomo era malvagio fino al midollo persino i suoi peli erano ricolmi di malvagità.
Ma allora lui era considerato come un Gesù sceso in terra. Si spendeva per la comunità, per i ragazzi, per tutti. Balle. Era solo una copertura montata a dovere per poter cacciare.
 
<<  Povera Giulia >> Commentò un infermiera. Ed eccola la prova che aspettavo. Quel povera Giulia sospirato con compassione, tristezza quasi dolore. Quel povera Giulia me lo porto ancora dietro. Lo risento, come se fosse portato dal vento, ogni volta che vedo mia madre.
Quel povera Giulia è uno dei tanti motivi per cui mi sono lasciata così manipolare da lui.

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Capitolo 5
*** Miss niente ***


Zia Rosa ripeteva che ero bellissima ma io non ci credevo molto. Ogni volta che mi guardavo allo specchio non potevo far altro che guardare la bambina dai capelli rossi con il viso ricoperto di lentiggini. Caterina mi aveva soprannominata “Miss niente”. Perché non ero nulla in confronto a lei.
Vi starete chiedendo cosa sta facendo ora questa Caterina. Beh ora è a un centro di recupero per drogati.
 
<< Oggi sei triste Giulietta? >> Mi chiese Giacomo mentre guardavo in basso verso il sagrato. Vedere il mondo dal campanile mi avrebbe dovuto dare un senso di potenza invece mi faceva capire quanto era nulla in confronto al mondo.
<< Ho dei problemi con qualche compagna >> Risposi mentre mi alzavo sulle punte per poter osservare meglio il rosso e l’arancione fondersi in un'unica fiamma che divampava nel cielo. Pronti ad accompagnare il sole all’orizzonte.
Giacomo mi accarezzò la mano. << Che ti dicono? >>
<< Che non sono abbastanza bella >> dissi.
<< Ma sei bellissima >> Mi disse  per poi chinarsi a baciarmi. Questa volta me lo diede con la lingua mentre mi faceva posare una mano sui suoi genitali ricoperti dai jeans.
Ricordo che in quel momento mi ritrovai paralizzata, non sapevo che fare, non osavo muovermi mentre sentivo il suo respiro farsi sempre più affannato.
<< Che cosa c’è Giulietta? >> Mi chiese per poi leccarsi le labbra come se avesse appena gustato qualche prelibatezza.
Non risposi. Non risposi mai a quella domanda.
 
La mano di mia figlia era stretta nella mia mentre ci avviavamo al parco. L’autunno ormai aveva conquistato ogni albero e le foglie si erano tinte di colori caldi.
<< Mamma andiamo sull’altalena? >> Mi chiese Anna con la sua voce squillante. Le sorrisi, un sorriso sincero mentre mi lascio trascinare da lei.
La sua mano si sfilò dalla mia mentre si sedeva su quella vecchia altalena.
<< Mamma spingimi. Voglio volare >> Urlò Anna. Mi diressi dietro di lei per poi cominciare a spingerla.
 
 
Voglio volare, pensai mentre ero seduta sull’altalena. Il parco era quasi deserto e restavo sola a pensare. Avevo dato il mio primo bacio e pure non mi sentivo completa. C’era qualcosa che stonava nella mia favola eppure non riuscivo a individuare cosa.
Guardai per l’ennesima volta quel cielo grigiastro che sembrava promettere pioggia.
 
Giulia è strana. Giulia è troppo questo. Giulia è troppo quello. Giulia era troppo per tutti. Troppo sfortunata. Troppo inutile. Troppo invisibile. Giulia voleva solo essere amata. Essere amata nel modo giusto e non diventare un ossessione.
 
<< Giulia perché non ti lasci baciare oggi? >> Mi chiese Giacomo con una punta di tristezza nella voce.
Non risposi. Ero stanca, stressata e mia madre stava peggiorando. La situazione a scuola era insopportabile.
<< Vado a casa >> Affermai per poi voltarmi e incamminarmi.
Questo momento fu uno dei tanti che lo spinse a consumarmi prima. Sentiva che il filo si stava tendendo. Mi sembra palese dirvi che lui non me la perdonò mai. 

 

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