Amare nei Sette Regni

di Artemisia17
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Catelyn e Ned ***
Capitolo 2: *** Danaerys e Drogo ***
Capitolo 3: *** Loras e Renly ***
Capitolo 4: *** Ygritte e Jon ***
Capitolo 5: *** Danaerys e Viserys ***
Capitolo 6: *** Cersei e Jaime ***
Capitolo 7: *** Sandor e Sansa ***



Capitolo 1
*** Catelyn e Ned ***


Catelyn e Ned

Ned spalancò la porta finestre lasciando che i primi fiocchi di neve invernali si infrangessero contro il petto nudo.
La luna emanava una luce spettrale e illuminava il cortile di Grande Inverno, deserto. Ma il Lord riuscì comunque a notare una sottile luce provenire da Est. Voltandosi, guardò il piccolo corpo adagiato sul letto matrimoniale. La pelle bianca, dolce e soffice come la neve, tremava per il freddo ma Catelyn non emetteva un suono. Stava lì, aspettava, a occhi chiusi, con un lieve sorriso sulle labbra, arrossate da una notte di passione. Eddard si avvicinò silenziosamente al letto, sorvolando i vestiti dimenticati sul pavimento.
Non voleva svegliare la sua Lady.
Rimase lì a guardarla, poi, lentamente, cominciò a baciarle il collo, le spalle, la schiena, finché Catylen aprì gli occhi, il viso illuminato dal sole nascente.

“Ned”, sussurrò piano, con un tono fintamente severo e divertito. Eddard era sempre stato un nome troppo duro e acuminato per lei, richiamava istantaneamente l’inverno, con i suo pericoli mortali. Eddard era un Lord, Ned suo marito. Quest’ultimo accarezzò il volto della moglie, percorrendo con delicatezza tutte le rughe, uno per ogni loro anno insieme.
Anni di amore, di tenerezza, di dovere e di ritrovata dolcezza. I due si strinsero forte. E l’alba arrivò.

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Capitolo 2
*** Danaerys e Drogo ***


Danaerys e Drogo


Drogo regnava incontrastato nel suo Khalasar.
Era il più bravo nella caccia e nel cavalcare, il più forte e abile in combattimento, uno dei più alti e di certo era quello con più carisma. Eppure quando il Khal entrava nella sua tenda personale, sentiva tutto quel potere e influenza, scivolargli via inesorabilmente tra le dita. Vi era sempre una gran baccano, un paiolo che bolliva, un andare e venire di ancelle e postulanti, in attesa di essere ricevuti.
E al centro di questa tela meravigliosamente tessuta, stava comodamente seduta sua moglie, come una bellissima e letale vedova nera.
Ma questa sgradevole sensazione svaniva all’istante, quando lei si alzava per venire da lui. Qualcosa nel suo sorriso, lo calmava immediatamente. Dany scacciava i mendicanti, dava ordini alle ancelle, rassettava la tenda e, ad un tratto, la pace regnava sovrana. Vi era inoltre un delicato momento, quando loro si erano già seduti ma la cena doveva ancora arrivare, che Drogo adorava. Mentre lui le raccontava gli eventi della giornata, molto spesso risse vinte o ostaggi da torturare, lei si sedeva dietro di lui e gli srotolava la lunga treccia. Ogni volta che una piccola campanellina rimbalzava nella ciotolina, Drogo si rilassava. Dopo aver finito, lei li pettinava, cosa che procurava qualche smorfia al marito, e li detergeva con dell’olio. Poi dopo aver finito, lo baciava. Era un rito a cui Drogo non mancava mai. In quei giorni, poi, gli piaceva ancora di più. La pancia di sua moglie cresceva di giorno in giorno, e lui si scopriva a guardarla con un sorriso ebete.
Ma non si faceva illusioni, se c’era un posto in cui la sua autorità era messa in discussione, era proprio la sua tenda. E di questo lui era stranamente contento.

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Capitolo 3
*** Loras e Renly ***


Loras era profondamente annoiato dalle donne.
Erano sempre le stesse. Che fossero bionde, more o rosse, tutte loro erano così terribilmente prevedibili. Come piccole lucciole vagavano nell’oscurità, fino a quando non incontravano qualcosa che le strappasse dalla loro passività. Infine si accasciavano al suolo, morte.
Ma nonostante questa sua apatia nei loro confronti, il più piccolo dei Tyrell non era stupido. Capiva che un cavaliere cordiale e romantico riscuoteva più successo di uno zotico per niente interessato alle donne.
Non credeva che fossero tutte così, sua nonna e sua sorella ne erano la dimostrazione, ma purtroppo erano la maggioranza.
Per cui dopo un torneo importante, non correva tra le braccia di una donna. Si avviava delicatamente verso i suoi appartamenti, pregustando il suo premio. Non era così carino ed educato, bello e raffinato con le donne solo per il suo piacere. Gli piaceva vedere una rabbia gelosa sul volto del compagno. Combatteva tenace e valoroso, preciso negli affondi, rapido nelle parate ma soprattutto letale nella giostra. Voleva che lui vedesse. Che notasse la prestanza e tonicità dei suo muscoli, che lo acclamasse durante il delicato momento che precedeva lo scontro delle lance, che fremesse segretamente del pericolo che correva e che provasse il suo stesso, caldo trionfo nella vittoria. Loras non lo avrebbe mai ammesso davanti ad anima viva o morta ma nutriva una segreta paura che un giorno il suo amato lo lasciasse per una qualche lucciola travestita da principessa.
O semplicemente decidesse che il giovane cavaliere non fosse degno del fratello del re. Così alto e attraente, elegante e carismatico, amato dalle folle e da ogni abitante dei Sette Regni. Con un fremito di orgoglio, Loras pensò che lui doveva diventare re. Si fermò davanti alla porta, la maniglia che sembrava scottare sotto le sue dita. Per la prima volta indeciso, aprì.
Un sorriso meravigliosamente beffardo e galante, che mostrava i bellissimi denti bianchi, lo accolse.
“ Buongiorno Cavaliere di Fiori.”. Gli sussurrò la voce roca e palpitante.
“Buongiorno, Renly Baratheon.”.
“Buongiorno amore mio.”.

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Capitolo 4
*** Ygritte e Jon ***


Jon cavalcava lentamente e assonnato dietro alla colonna di bruti.
Spettro lo seguiva pigramente, stanco quanto l’amico. Jon non aveva avuto molto tempo per dormire quella notte. Il pensiero gli fece scappare un ghigno.
Un proiettile non meglio identificato si andò a schiantare contro la nuca nel ragazzo e la neve gelida gli entrò nei vestiti. Reprimendo un urlo di rabbia e di fastidio, si voltò verso il nemico. La ragazza in questione gli fece una linguaccia prima di scomparire tra la massa di gente e oggetti, in una vampata di rosso fuoco. Jon, senza neanche pensarci, smontò e si lanciò all’inseguimento. La fanciulla bruta sfrecciava tra i carri con una maestria innata e il guardiano faceva fatica a vederla, finché scomparve dietro un paio di strani bovi. Jon si arrestò guardingo e cominciò a preparare una palla di neve, per ogni evenienza.
Passato il carro e varie famiglie, della ragazza nessuna traccia. Jon guardò interrogativo Spettro che lo guardò a sua volta dubbioso.
Entrambi si voltarono nello stesso momento per veder passare un altro carretto. La ragazza intanto, quatta quatta, si avvicinava. Con un balzo mise una manciata di neve sulla schiena del ragazzo e si voltò per scappare via. Jon, cercando di non badare al bruciore gelido, fu più veloce. Pestò il lungo mantello e Ygritte cadde. Jon si lanciò contro di lei, ma Spettro gli fece lo sgambetto.  Entrambi finirono su un morbido cumulo di neve fresca.
“ Tu non sai niente, Jon Snow.” Gli sussurro Ygritte in una nuvola di vapore caldo.
Jon preferì baciarla.
Da lontano, il metalupo si godeva la scena.

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Capitolo 5
*** Danaerys e Viserys ***


Viserys era sempre stato un ragazzo orgoglioso.
La sua condizione lo imponeva ma ciò gli risultava difficile e doloroso, soprattutto perché lui non era re.
E questo gli procurava un dolore acuto al petto, quasi come una ferita fisica infertagli quando era ancora bambino e non ancora rimarginata. Viserys dubitava che si sarebbe mai rimarginata.
Quando vivevano ancora con il vecchio cavaliere, solo due cose lenivano il dolore, e entrambe se ne erano andate.

Una era la corona di sua madre. Amava lucidarla fino a farla brillare, sotto la luce del sole cocente. I piccoli diamanti emanavano un luce magica e cristallina che faceva scomparire all’istante ogni ansia o preoccupazione. Poi dopo averla ammirata per diversi minuti, controllava che non ci fosse nessuno in giro e se la provava : ogni volta gli era più giusta e immaginava quando avrebbe fatto il suo ingresso nella sala del trono e tutti si sarebbero inchinati davanti a loro. Già, loro.

Perché l’altra cosa era Danaerys. Sua sorella. Sua moglie. Due cose che andavano a braccetto nella famiglia Targaryen. Quando aveva venduto la corona, aveva sentito qualcosa dentro di sé morire. Il suo ultimo brandello di regalità, probabilmente. Ma quando aveva visto quello sporco barbaro irrompere nel giardino fiorito, e capì che Dany non sarebbe stata più sua, qualcosa dentro di lui si ruppe. Track. Viserys sentì il suo cuore lacerarsi e si girò per vedere se anche gli altri avessero sentito lo strappo.
Il suo cuore si era diviso in due : una parte per il Trono di Spade e l’altra per sua sorella.
Perché una parte l’amava e l’altra la odiava. Una notava quanto fosse bella, gentile e dolce con lui e l’altra le urlava che non avrebbe mai dovuta nascere, che era un mostro, che aveva ucciso la loro madre. Prima la osservava, pensando che un giorno avrebbe conquistato per lei i Sette Regni e poi sarebbe stati per sempre insieme, e l’attimo dopo la picchiava selvaggiamente. Forse era proprio in uno di questi momenti che aveva ideato quel matrimonio.
Ma nonostante tutti quei sentimenti, Viserys tentò di compiacersi, inutilmente, del suo trionfo diplomatico. Godette perfino quando vide le lacrime sul viso della sorella. E pregò silenziosamente che Drogo la riportasse indietro e lui sarebbe stato costretto a sposarla. Dolcemente costretto. Forse, se fosse successo, avrebbe pure tentato di essere gentile con lei. D’altronde lui era il Principe del Drago. Come suo fratello.

Ma Viserys si infuriò quando vide per la prima volta la felicità negli occhi di lei. Lei non aveva il diritto di amare, di essere felice. Al massimo con lui. Quello sguardo doveva essere rivolto a lui. Ma per lui c’era solo disprezzo e commiserazione. Per questo quando vide le lacrime sul viso della sorella si mise a ridere. Era preoccupata per lui. Finalmente. I luridi barbari lo presero per le braccia, lo tennero fermo.
Un coccio di quel cuore malato si scusò con lei. Perdonami sorella. Ha prevalso l’altra parte. Ho amato più quel trono su cui non mi sono mai seduto. Ricordami, sorellina.
Non ebbe il coraggio di dirglielo. E mentre una colata di oro fuso gli stava per investire la testa, gli venne in mente una massima di suo padre, in un raro momento di lucidità.

Nel gioco del Trono di Spade si vince o si muore.

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Capitolo 6
*** Cersei e Jaime ***


I leoni sono regali, maestosi.I re della savana. 
Il leone si sveglia con un grande sbadiglio, si alza pigramente e va dalla sua allegra famigliola. La sua leonessa, degna cacciatrice, gli ha procurato il pranzo, i cuccioli che scalciano per averne un poco. Il cacciatore mangia, sazio, con accanto il fratello minore, di solito meno forte ma più astuto. Dopo è l’ora della pennichella con i cuccioli che giocano attorno a lui. E la notte è il tempo della caccia, con la sua amata leonessa.

Jaime si alzò con un grosso e rauco sbadiglio. Lentamente sgusciò fuori dal letto e andò alla latrina. Ancora addormentato, tentò, bofonchiando, di sistemarsi degnamente l’armatura. Impresa vana. Jaime, con il grande mantello color porpora armeggiato sulle spalle, uscì nel cortile di Grande Inverno.
Odiava il Nord. Faceva troppo freddo, c’era troppo bianco. Amava al contrario i colori caldi e le stagioni focose. Lui che aveva scelto una vita nella Guardia Reale, completamente vestito di bianco candido per simboleggiare la sua purezza.
Il cavaliere rise da solo e un paio di armigeri si girarono verso di lui, stupiti. Circumnavigò un buffo pupazzo di neve e attraversò vari corridoi prima di arrivare agli appartamenti reali. Riprese frettolosamente le guardie alla porta prima di entrare.
La sala fredda era vanamente riscaldata da un grosso camino accesso. Una tavola imbandita giaceva al centro della stanza con i suoi familiari a tavola. Cersei si alzò per salutarlo. Con un sorriso furbo e malizioso gli sistemò la casacca e il mantello.
“ Ora, sembri un leone.” Gli sussurrò felice prima di prendergli la mano e invitarlo a fare colazione. Davanti ai loro cuccioli, Cersei e Jaime si comportavano come marito e moglie ma mai nessuno aveva fatto rimostranze. La piccola e delicata Myrcella mangiava composta accanto al fratellino Tommen. Jaime scompigliò i capelli del figlio e si complimentò con la figlia per il bellissimo pupazzo di neve all’ingresso. Entrambi sorrisero, felici. Fu Cersei stessa a porgergli la scodella di zuppa, con un grande sorriso amorevole che si incrinò all’arrivo del fratello minore, Tyrion. Il nano fece un salto, fintamente terrorizzato alla vista della sorella, facendo ridere a più non posso i bambini. Jaime rise anche lui, soprattutto per la faccia della sorella, furente. Dopo mangiato, Tyron si recò al bordello e Tommen volle giocare al cavaliere con lui. Si allenarono per ore con quelle ridicole spadine di legno, ma il bambino era così felice che Jaime non ebbe cuore di commentare. Myrcella, corsa a fare un altro pupazzo alto come suo zio, annunciò a squarciagola un partita a palle di neve. Tommen nella foga di andare, inciampò su un tappeto.
Cersei era girata di schiena, ma Jaime sapeva che stava ridendo. La abbracciò con trasporto, petto contro petto, cuore con cuore. Le accarezzò i capelli biondi e lisci come la seta, ammirò la bellezza del viso ovale, la pelle setosa del seno. Ogni cosa di lei lo faceva impazzire, ogni suo gesto era un ordine per lui, ogni sorriso una sferzata di amore. Era pazzo di lei, dei suoi figli. Dei loro figli.
“ Andiamo a caccia stanotte ?”. Gli sussurrò maliziosa lei. Jaime sorrise. Cersei era la sua leonessa e Jaime il suo leone.   
   

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Capitolo 7
*** Sandor e Sansa ***


Cammini lenta e aggraziata sul selciato di pietre bianche, i capelli ramati che brillano sotto i raggi del sole.
I tuoi capelli, dovrei odiarli. Mi ricordano così tanto il fuoco, che distrugge tutti, che ha distrutto la mia vita. Eppure li adoro con la loro base castana e quei riflessi: biondo, rosso, ramati, come una fiamma viva.
Leggi attenta quel ridicolo libro di preghiere come se gli dei potessero salvarti. Povero, ingenuo, stupido, passerotto. Gli dei non vengono mai sulla terra e se lo fanno è per tormentare i mortali, per avere qualcosa da raccontare. Non si curano di noi. E noi non dovremo curarci di loro. Ma tu leggi, febbrile e attenta, conscia del mio sguardo che ti buca la schiena. I tuoi occhi azzurri si spostano da una riga all’altra, frenetici.
Comincio a camminare, le maglie dell’armatura espandono il loro canto di morte per tutto il portico. Odio i mantelli bianchi, sono così ipocriti. Io almeno sono sincero, non derido nessuno portando un bel mantello candido. Il mio è lordo di sangue. Per un secondo rimani ferma, spaventata, ma ricominci a camminare, questa volta più eretta e vigile.
Hai paura, uccellino ? Pensi che sia Swann o Kettleblack ? Oppure il tuo caro promesso Joffrey ? Non menti bene, uccellino.
Ti affianco e quando mi scorgi, il sollievo scoglie il tuo nodo alla gola e le spalle tese. Pensi che io sia meno pericoloso ? No, lo leggo nei tuoi occhi. Hai ancora paura di me. Ma forse cominci a fidarti. Ti guardo più attentamente.
Non ti farò del male uccellino né ti costringerò in una gabbia. Rido da solo alle mie speranze. Tu sei una lady, io neanche un cavaliere. Non c’è futuro per noi. Eppure continuiamo a camminare, uno di fianco all’altra, tu che mi guardi il viso sfigurato. Sei l’unica che mi guarda davvero, Sansa.      
 

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