Ironia

di Aout
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



Prologo

 
Fa caldo. No, fa mostruosamente caldo.
Indosso una magliettina leggera leggera di cotone bianco, così che magari qualche raggio di sole decida di riflettersi e smetterla di infastidirmi. I pantaloncini di jeans sono corti e ai miei piedi non ci sono altro che delle infradito a separarmi dall’afa scostante.
E allora come è possibile che mi senta sotto una trapunta di piume d’oca?
Peccato però che vi sia ovviamente una piccola e trascurabile differenza: non c’è nessun paesaggio invernale ad attendermi fuori dalla finestra, i pochi centimetri di neve caduti si sono sciolti ormai da tempo immemorabile ed anzi l’asfalto dei marciapiedi accoglie morbido le mie piante scottate.
Scorgo una pubblicità su un cartellone a qualche decina di metri davanti a me: un bicchiere di sfumatura rossastra è circondato da una schiera di pupazzetti che saltellano contenti. Inevitabilmente la mia mente si sofferma su un pensiero piuttosto pericoloso, soprattutto in situazione del genere.
La vedo, davanti a me, come se fosse lì ad aspettarmi. Una bottiglietta d’acqua ghiacciata bagnata dalle goccioline di umidità. La sento, mi sta quasi chiamando…
Prendo un respiro e scuoto la testa. Un’insolazione non farebbe proprio al caso mio.
Sto ancora osservando quella pubblicità e, ne sono sicura, i miei piedi sono saldamente ancorati a terra, quando improvvisamente vado a sbattere contro qualcosa che mi sbalza all’indietro.
-Hey!- è ciò che sento uscire dalla mia bocca poco prima di trovarmi seduta sul cemento caldo.
- Pf, ragazzine. – dice invece lo sconosciuto scortese davanti a me.
Un po’ confusa alzo lo sguardo e nella controluce non vedo niente, perché, benché i miei occhiali siano molto costosi, non valgono nulla più che un fondo di bottiglia.
Ovviamente non mi viene offerta nessuno mano per aiutarmi.
Avevo detto scortese? Intendevo maledettamente maleducato.
-Tutto ok?- il suo tono è così indifferente ed irritante.
Ecco: scortese, maleducato ed irritante. Quanto sto scoprendo di lui in questi brevi istanti!
Perché è un lui, decisamente. Una volta che mi sono alzata in piedi lo osservo per bene dato che il ragazzo non accenna a volersi allontanare.
È un lui ed è un ragazzo, forse della mia età.
È più alto di me, ma non troppo, ha i capelli scuri, scurissimi anche sotto il sole di mezzogiorno, gli occhi non riesco a vederli bene (stupidi fenomeni di rifrazione!) ma potrei scommettere che sono azzurri, di quel blu chiaro chiaro, come il cielo terso in un giorno d’autunno quando…
Cosa cosa? Perché adesso fantastico sui suoi occhi?
Scortese, maleducato, irritante e bellissimo. Fortunatamente i primi tre aggettivi mi aiutano a ritrovare la parola.
-Sì, tutto bene. - il grazie proprio non se lo merita.
-Sta più attenta la prossima volta e ogni tanto guarda dove cammini, magari. -  il tono è sempre lo stesso e questa volta è anche accompagnato da un brillante sorriso obliquo.
Il fatto di essere bellissimo non ti ha fatto guadagnare abbastanza punti bell’imbusto.
-Certo potrei…potrei sperare che il saggio ascolti il suo magistrale consiglio, anche…- il sarcasmo è l’arma più potente che ho, e non esiterò a utilizzarla, mio caro.
Che fai? Non ti è piaciuta la mia risposta? Scommetto che le ragazze, le poche che ammetti alla tua regale presenza, non riescono nemmeno a parlare sfolgorate da te.
Ma non io.
Insomma, non se posso evitarlo.
Alza il capo, mi squadra ancora un attimo con la testa inclinata, da sotto le lunghissime ciglia e poi…se ne va. 
Fantastico, un nuovo amico da aggiungere al mio personale elenco. Ma lui avrà di certo cose più importanti da fare che scrivermi nel suo libro nero, no?
In effetti è vestito in modo un po’ strano. Non capisco se è una divisa o cos’altro, ma quella giacca nera ha un che di inquietante. Deglutisco e mi fermo ancora una volta chiedendomi perché non riesco mai a stare zitta.
È proprio vero che esistono domande senza risposta.
Sento in lontananza il treno che fischia.
Correre in quel clima desertico non sarà per nulla piacevole.
 
 
Note:questa storia è stata scritta per puro e semplice divertimento. Non mi aspetto sinceramente che siano in molti ad interessarsene, ma vi assicuro che scrivere i primi capitoli è stato davvero fantastico.
Mi piacerebbe che qualcuno facesse un commento, questo è certo, ma l’Erba Voglio non cresce nemmeno nel giardino del re, giusto?

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

 
Quando varco la soglia del negozio la mia mente è ancora ferma su quell’incontro, così che mi accordo dello sguardo di Pàmela solo all’ultimo momento.
Arrivare in ritardo è stato un terribile, terribile errore.
-Buongiorno Pàmela, come andiamo oggi?- dico io, ostentando una finta indifferenza. Come tecnica è piuttosto scarsa, me ne rendo conto perfettamente, ma al momento non ho molte idee. Peccato che quella flebile speranza di riuscita si dissolva in pochi stentati secondi.
Pàmela, la proprietaria e tecnicamente il mio datore di lavoro, è una donna piuttosto tozza con dei capelli che cambiano colore puntualmente ogni due o tre mesi (confesso di non aver mai capito se mutino a seconda delle mode o vadano a ritmo con la fine/inizio dei suoi flirt…) e dei vestiti che alcuni potrebbero definire “pacchiani” , soprattutto zebrati, leopardati o di qualsivoglia altro animale (una volta indossava una maglietta fucsia e una gonna lunga e ricoperta totalmente di piccole scaglie argentate, mi sarebbe tanto piaciuto spiegarle che la caccia alle sirene è illegale, ma temo di non averne avuto la possibilità…).
Ha un carattere semplice e, devo proprio dirlo, questo è sicuramente l’aspetto che più apprezzo di lei. Pur essendo terribilmente logorroica e, benché abbia un’età avanzata, piuttosto ingenua, sa essere simpatica, se presa nel modo giusto, e generalmente è poco incline alla rabbia.
Dico “generalmente” perché se fosse in grado di sparare fulmini dagli occhi, in questo momento non sarei niente più che un mucchietto di polvere scura sul pavimento immacolato.
Deglutisco lentamente e attendo la sfuriata.
Lavoro in questo buco da ormai tre estati e, in tutto questo tempo, ne ho sentita una sola, e allora non era nemmeno colpa mia.
Quando aveva scoperto che dei soldi mancavano dalla cassa settimanale aveva urlato per almeno un’ora dicendo che da me non si sarebbe mai aspettata una cosa del genere, che si era sempre fidata senza remore e un’altra lunga serie di esclamazioni intercalata da qualche parolaccia qua e là. Io, completamente ammutolita (cosa piuttosto insolita per i miei standard), ero rimasta lì, immobile, ad occhi sbarrati.
Poi inaspettatamente Katrina, l’altra ragazza che lavorava con me part-time in negozio, aveva fatto cadere la sua borsa colma di contanti (quelli rubati, era abbastanza evidente) per terra, disperdendone il contenuto sulle piastrelle candide.
Non avevo parlato a Pàmela fino alla fine dell’estate. Forse mi sarei addirittura licenziata se non avessi avuto disperatamente bisogno di quel, seppur misero, compenso.
Katrina, da quando era stata licenziata, era completamente svanita nel nulla.
Insomma, sono consapevole di abitare in una grande città, ma che non fossi riuscita più a rivederla, nemmeno una misera fugace volta, era piuttosto strano.
E quella borsetta! L’aveva lasciata cadere apposta? O le era semplicemente scivolata nel posto sbagliato al momento sbagliato? Benché probabile, mi sembrava così assurdo considerare questa possibilità.
Ma comunque ciò non importa un gran che in questo momento.
Pàmela prende un respiro profondo e, sbuffando come un toro pronto alla carica, si prepara all’attacco.
Che esagerazione! Tutte queste moine per un misero, ridicolo, trascurabile ritardo?
Sì, mi aveva chiesto di venire prima proprio quel giorno perché dovevano venire in visita dalla città delle sue care “amiche” (il tono con il quale le descriveva si addiceva a ben altro sostantivo a mio parere) a cui voleva mostrare la sua ridente attività con l’aiuto della fida e professionale commessa (io. Benché non particolarmente brava né con la merce né tanto meno con i clienti, vengo presa in considerazione perché simpatica alla titolare…cosa che sarebbe da considerarsi un’ingiustizia, anzi di certo, a quanto si dice. Comunque…).
D’accordo, la situazione non è evidentemente delle migliori, ma non arriverà a licenziarmi, so di certo che non ci arriverà. In fondo non ha mai licenziato nessuno per meno di una goccia di caffè rovesciata sul suo cavolo di pavimento sempre lucidato come uno specchio. Che cosa volete che sia a confronto un ritardo piccolo piccolo?
Inizio a preparare mentalmente la mia difesa: mi sono fatta male cadendo dal marciapiede? No, è troppo tardi per fingere di zoppicare.
Ero imbottigliata nel traffico? Macche, sa che vengo in treno.
In treno? Ecco ecco, il treno è una buona scusa. Era in ritardo, un indicibile ritardo…potrebbe anche funzionare, ma… 

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