And it feels like home

di Rota
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


*Autore: margherota

*Titolo: And it feels like home

*Fandom: Kuroko no Basket

*Personaggi: Kise Ryota/Drago!Kise, Kasamatsu Yukio, Altri

*Generi: Fantasy, Angst, Introspettivo

*Avvertimenti: Bi- Shot, AU, What if...?

*Rating: Arancione

*Credits: Like a prayer, Madonna

*Note: Storia appartenente ad una lunga serie fantasy che la sottoscritta ha intenzione di stendere per iscritto, passo dopo passo. Come altre tre che la seguiranno e quella che l'ha preceduta, questa bi- shot o storia a due capitoli prevederà una ben precisa struttura: primo capitolo incontro, secondo capitolo il disastro.

Ad ognuno dei membri della Generazione dei Miracoli è stato da me assegnato un elemento naturale, un animale e quindi anche un ruolo specifico che vedrò di illustrare man mano la cosa procederà.

Ero indecisa sulla canzone da usare per questa piccola long ma alla fine ho avuto l'illuminazione divina, è proprio il caso di dirlo XD questo testo di Madonna mi sembra più che mai appropriato a quello che voglio scrivere e quindi ho pensato bene di adoperarlo :)

Spero sia per voi una buona lettura (L)

 

 

 

 

When you call my name it's like a little prayer
I'm down on my knees, I wanna take you there
In the midnight hour I can feel your power
Just like a prayer you know I'll take you there

 

 

Suonò la campana grande, dal rimbombo grave e possente, per la terza volta mentre la corda di materiale grezzo veniva tirata assieme a tutti i suoi nodi e tutti i suoi fili usurati. Hayakawa aiutava il movimento, qualvolta toccava terra col pugno stretto, con un'esclamazione puramente liberatoria, neanche stesse spostando un masso particolarmente massiccio.

I fedeli che al primo rintocco avevano risvegliato il senso civile e sociale e al secondo avevano cominciato a muoversi in piccoli gruppi, come spinti da una volontà comune al terzo colpo avevano cominciato a sciamare attraverso le strade della piccola città dirigendosi tutti quanti verso quell'unico posto, proprio sopra la delicata collina che introduceva al grande vulcano addormentato. Dall'alto della finestra delle sue stanze private, Kasamatsu guardava tutte quelle persone che si dirigevano con passo più che solerte verso il proprio tempio, con l'espressione di chi sta soltanto aspettando il momento giusto per muoversi.

Non pensava che quella fosse ipocrisia, atta soltanto a nascondere qualche losco e poco pulito doppio fine – altrimenti si sarebbe rifiutato, dopo tutto quel tempo, di presentarsi ancora in pubblico e svolgere le funzioni a lui assegnate. Forse nel mucchio esistevano individui che nutrivano la speranza con preghiere ripetute, come se gesti del genere privi di anima avessero potuto davvero salvare qualcuno; Kasamatsu non negava che esistessero persone simili, ma lui certo non poteva far nulla per loro. Non si trattava neanche di affidarsi ciecamente ad un'entità superiore, capace di provvedere a qualsiasi cosa nel caso fosse stata invitata a farlo: divino e umano si intrecciavano non soltanto nella fiducia ma specialmente nell'atto, perché una vita unicamente contemplativa era da biasimare, nell'ottica di Yukio.

Per questo, oltre che le preghiere della sera e della mattina, passava il proprio tempo con gli abitanti della cittadina laddove ci fosse bisogno della presenza di due braccia forti e giovani, Per questo, oltre che rispettare le regole canoniche del suo credo e portare avanti col buon esempio la morale che aveva fatta propria, non dimenticava quanto fosse fragile la natura umana e, nella rabbia dell'istante e nell'irritazione del momento, ricordava sempre il perdono e la pazienza e il suo richiamo non risuonava mai senza appello ma piuttosto quasi come un incoraggiamento severo.

La fortuna era che, con l'alta carica che rivestiva, era anche capace di estendere il proprio modello di comportamento anche a tutti gli altri vescovi del tempio.

Sentì un rumore dietro di sé, abbastanza discreto e tranquillo, e indovinò ancora prima di sentire la voce chi fosse.

-Kasamatsu, è ora che tu ti mostri!-

Moriyama era quello tra di loro sempre molto attento alle esigenze del pubblico, se così si poteva definire la sua abilità nel percepire la sensibilità altrui, ed era anche quello più solerte a ricordargli che la funzione che svolgeva non era qualcosa di troppo solitario.

Yukio si avvicinò al mobile che occupava un lato della stanza, aprì uno dei cassetti di legno scuro e prelevò con garbo un cappello bianco tutto ripiegato su sé stesso. Stava aspettando così tanto, per rimirarlo, che per qualche attimo di concesse il lusso di contemplarlo. Poi però lo aprì e lo indossò, serio come doveva essere.

-Sono pronto.-

 

Aveva impiegato diverso tempo ad arrivare dov'era, anni di impegno e di preparazione per rimediare alla mancanza di raccomandazione e ad un'effettiva scarsità di mezzi e di arte intrinseca. Yukio non era un uomo eccezionale, l'aveva riconosciuto se stesso ed era sceso effettivamente a compromessi col proprio orgoglio; lavorava sodo ed era questa la qualità che le persone più di tutto apprezzavano, assieme alla serietà di ogni sua azione. Accettando di lavorare in uno dei templi minori del regno non per paura di un confronto con l'alto ma semplicemente accettando quello che era, poteva definirsi soddisfatto del risultato dei suoi sforzi: una società coesa e compatta, un buon inserimento del culto in ogni strato sociale della piccola città, un rapporto con la gente che migliore di così difficilmente poteva immaginare.

Questi risultati li poteva vedere nel riverente e rispettoso inchino che tutte le persone racchiuse nel tempio gli riservarono al proprio passaggio, quando con passo sicuro varcò la grande porta d'ingresso e attraversò la navata fino al palco bianchissimo posto al limite. Il mantello rossastro svolazzò quando una folata di vento lo investì e quasi gli fece cadere il cappello dalla testa, ricordandogli che solo tre delle pareti erano chiuse e lui era tenuto a stare sempre attento di quel particolare. Dietro il palco si ergeva splendido e possente il fianco destro del grande vulcano, simbolo di forza estrema e potente del loro Dio: dargli le spalle e osservare la funzione religiosa non era cosa che chiunque avesse il potere di fare.

Yukio arrivò al suo posto e con un gesto più teatrale di quello che desiderava si rivolse al pubblico lì radunato, ancora chino in avanti e in attesa della sua parola. Moriyama e Hayakawa si sistemarono l'uno al fianco destro e l'altro a quello sinistro, sorreggendo nelle mani sicure gli oggetti utili alla funzione – anche per loro era la prima volta e sembravano quasi affascinati dalla figura austera e severa di Yukio, come se prima di quel momento non l'avessero davvero mai visto.

Fu a quel punto che Yukio alzò le mani e le batté sopra il proprio capo, perché tutti i fedeli potessero alzare gli occhi su di lui e quindi potesse loro parlare senza distrazioni eventuali.

Tutto ebbe inizio.

 

Parlare del Fuoco era come parlare della Vita, nelle parole di un religioso del Tempio. Nei quattro elementi, il Fuoco rispecchiava la volontà più forte del Dio e per questo veniva considerata anche la più pura e la più alta – senza togliere per questo nulla all'Acqua, alla Terra e al Vento, sacre esattamente come l'elemento rosso.

La zona geografica in cui il sacro Tempio, in ogni suo edificio, si trovava era pieno di vulcani e di terremoti, concretizzando con una specie di idolo naturale un'intera etica, tuttavia Kasamatsu pensava davvero che oltre le mere parole del rituale che avrebbe dovuto ripetere ogni singola notte di Luna si nascondeva qualcosa in più. Attraverso la parola e attraverso la metafora si sprigionava un potere davvero enorme, per questo la bugia e la menzogna erano bandite dalla retta morale in quanto ingannatrici e sicuramente oscure: Kasamatsu, per quanto sgradevole fosse, aveva sempre detto solo e soltanto la verità.

Quando diceva “Preghiamo Dio perché possa donarci la forza prominente del Fuoco di fronte alle avversità del mondo e dello spirito” non relegava certo al miracolo il compito di motivare le proprie azioni, tuttavia era anche consapevole che il valore alto di un fine superiore non era da sottovalutare. E se questo portava le persone alla rettitudine e alla giustizia, senza doppi fini, allora andava più che bene abbandonarvisi senza troppi indugi.

Recitò la preghiera per i dieci minuti dovuti, senza pause e senza sbagli, invocando in ogni modo possibile l'illuminazione divina perché non inducesse mai in tentazione alcun bravo fedele e che sempre fosse forte e luminosa per tutti loro. Mentre le persone cantavano, come da rituale, lui si ritirò dietro il palco e abbandonò il primo dei suoi mantelli e il cappello bianco a terra, lasciando scoperti le spalle e il capo, parti sacre del corpo umano. Tornò quindi da loro, salendo dei pochi gradini che lo rendevano alto e ben visibile a tutti i presenti; prendendo dalle mani di Yoshitaka la torcia brillante di fuoco andò lento verso la parete a Ovest del tempio e inclinò le fiamme in avanti fino a che queste non attecchirono alla fine resina e illuminassero tutto: spirali e linee intrecciate, artistiche, erano state composte anzitempo addossate proprio al muro, brillarono di vita, non troppo forti da appiccare un incendio né troppo deboli da spegnersi alle prime folate di vento. Mentre faceva lo stesso con la parte Est, una tenda pesante fu srotolata dietro al palco in modo tale da proteggere le fiamme dal vento più forte, almeno per quei giorni che servivano. Yukio quindi tornò sul palco e batté ancora una volta le mani sul proprio capo.

Per il momento, il rituale era concluso: il giorno seguente avrebbe ripreso proprio da quel punto.

 

Con tutte quelle spirali di fuoco, che si arrotolavano e si allungavano lungo tutta la parete, sembrava davvero che il Tempio fosse illuminato da una qualche sorta di forza divina ben nascosta. Mitsuhiro era sempre rimasto affascinato da quella parte del rituale, anche quando era piccolo e manco si sarebbe mai sognato di prendere parte a quel magico tutto che stava vivendo proprio in quei giorni.

Sapeva il perché di tutto quel fuoco: il sacerdote, che rappresentava nel rituale l'umanità più elevata, doveva prendere confidenza con l'elemento e fare in modo che la paura fosse cancellata da ogni animo. Il Tempio, come sua casa, allora doveva diventare la dimora del Fuoco nel senso meno metaforico possibile e il sacerdote, come padrone della casa, doveva risiedere in quel luogo per la durata di due notti e tre giorni, bevendo solo due brocche d'acqua e mangiando assai poco. Era compito suo assicurarsi che non cadesse per la fatica o avesse quel poco di acqua consentitagli, si era infatti premunito di assumere quel ruolo proprio per assistere Kasamatsu e la magia del rituale in prima persona.

Lui era quella tipologia di fedele davvero entusiasta per ogni cosa.

Ogni sessanta minuti circa entrava da una porta nascosta, sotto il palco, e faceva un giro completo per l'intero edificio – ogni due ore durante la notte, per pietà dei suoi poveri nervi.

Trascorsero così le prime venticinque ore.

 

Nella mente di Yukio, tutto era diventato assoluto: forse era la stanchezza a rendere inesistenti muscoli e fisicità, forse anche il fatto che non avesse smesso di concentrarsi per tutte quelle ore di fila l'avevano reso estraneo a qualsiasi sensibilità terrena. Stava vivendo la descrizione più reale di “galleggiare nel vuoto”, anche se non era esattamente sicuro che il rituale prevedesse un simile risvolto.

Quale fosse l'obiettivo del loro credo, quale la funzionalità, quale lo scopo: tutto questo aveva impegnato la mente di Kasamatsu per quel lasso di tempo e non perché mai ne avesse davvero dubitato ma perché lo facesse proprio, come la familiarità del fuoco che gli stava arrostendo la pelle scoperta delle braccia, a quel punto.

Circondato da lingue di fuoco sottili, scorgeva le strisce brillanti a malapena attraverso le palpebre, mirando più che altro alla luminosità delle spirali che col vento assumevano, in aria.

Appoggiò per stanchezza, verso la seconda notte, le mani alle ginocchia, per reggere il peso di una schiena esausta e che per qualche sorta di miracolo ancora non l'aveva vinto con dolori atroci e il consiglio ben deciso di essere distesa in orizzontale. Alzò anche gli occhi al cielo, per distaccarsi dal vortice di buio e isolamento che lo stava ancora relegando entro quei confini. Mitsuhiro era appena andato via, lo si poteva notare dalla brocca piena d'acqua che giaceva quasi ai suoi piedi, fresca e trasparente – ne bevve un piccolo sorso e scoprì la propria gola completamente bruciata dalla cenere e dal caldo. Tossì e cercò di non scomporsi troppo, forte della consapevolezza che ben presto tutto quello sarebbe finito e lui avrebbe superato per davvero la prova più importante della sua vita.

Niente sbagli, mai più. Niente tentennamenti, niente errori.

Tornò in posizione meditativa e chiuse le palpebre, lasciando ancora una volta il mondo fuori da sé stesso e dalla propria spiritualità.

Intonò nei pensieri una canzone conosciuta, ai limiti della propria religione, un aneddoto che di solito i sacerdoti usavano per ricordare come il perdono in certi casi potesse davvero salvare la vita delle persone. Raccontava quasi la sua storia, di una persona che dopo aver commesso un grave peccato faceva penitenza e veniva accolta nuovamente nella casa del padre senza più rimpianti, senza rimorsi o accuse. Da quel momento, la grandezza lo investiva in ogni sua forma.

Kasamatsu non aveva mai peccato a quel livello, non almeno tanto da ricevere il biasimo della comunità tutta, e non riusciva a focalizzare il proprio ruolo religioso come “penitenza”, dal momento che lo aveva aiutato più di ogni altra cosa al mondo. Forse, di quella storia, gli piaceva tanto il concetto di casa, di luogo in cui poter stare bene e trovare rifugio, la dimora dove non ci sono ombre ad attenderti ma solo pace e serenità, il posto al quale si sente di appartenere.

Fu mentre recitava le ultime sillabe di quella preghiera che una voce si infilò nella sua testa – la voce quasi infantile di un essere che non riconosceva come umano.

-Ancora, ancora!-

Per quanto fosse gentile e priva di ostilità, Kasamatsu si spaventò e non poco dell'intromissione, non riuscendo davvero a darle una ragione. Si alzò in piedi, dimentico cosa fosse il contegno di un sacerdote, e pensando che qualche pazzo volesse interrompere con la sua presenza il rituale cominciò a urlare nel Tempio e a sondare con la vista ogni suo angolo, per quanto la luce delle lingue di fuoco glielo permettesse.

-Chi è là? Chi sei?-

Sentì come una risata un po' tirata, il timido tentativo di non essere sopraffatto da una forza tanto travolgente seppur umana, eppure l'origine di un tal suono molesto proprio non gli riuscì di individuare.

-Sono quello che voi avete sempre chiamato Dio...-

Quello era decisamente troppo: la blasfemia, come la mancanza di rispetto, era quella cosa che Yukio peggio sopportava. Preso da una tale ira, Kasamatsu afferrò un candelabro con entrambe le sue mani e si fece strada attraverso il tempio, percorrendolo tutto alla ricerca di quell'impudente. Non gli piaceva essere preso in giro ma ancora meno che si rivolgesse lo scherno ad un credo, non perché fosse depositario di una dignità alta come quella umana ma perché in quanto simbolo aveva una identità collettiva e rappresentativa: prendendo a scherno quello, si prendeva a scherno un popolo intero.

-Fatti vedere!-

Agitò il candelabro tra le fila di panche, illuminando angoli nascosti che non ricordava neppure. La voce ebbe un fremito, molto simile alla risata, e sembrò davvero che assieme a lei ridesse anche tutto il fuoco lì acceso. Per questo solo particolare Yukio si fermò e si acquietò un poco, senza però rinunciare al suo fastidio.

-Se lo vuoi davvero, allora canta ancora! La tua voce mi piace, non è come quella dei vecchi barbosi che normalmente mi nominano! Non pensavo che si potesse diventare sacerdoti così giovani!-

Effettivamente, Yukio era molto giovane per aver assunto un simile ruolo, ma quel particolare lo si doveva al fatto che il suo tempio non era assai importante e che per riciclarne il sacerdote dalla carica massima avevano aspettato la sua morte naturale, non qualche colpo di stato violento e sanguinario.

Con gli occhi chiari, Kasamatsu cercò ancora per qualche istante la fonte della fastidiosa voce; poi, per istinto, fissò lo sguardo sulle lingue di fuoco che danzavano attorno a lui ed ebbe quasi un'illuminazione.

Era quello, a parlare. O forse solo la stanchezza.

Aveva dunque fallito il suo compito? La spossatezza gli stava suggerendo una risposta affermativa tanto che le sue spalle appesantite ricaddero in basso e il candelabro fu appoggiato a terra. Sfinito, Yukio tornò al proprio posto sul palco e intonò di nuovo quella canzone, usando un tono alto e chiaro, perché persino i fantasmi nella sua testa riuscissero a sentirlo.

Fu come sentire un sorriso, caldo e dolcissimo.

 

La sera aiutava a colorare tutto di arancione, nel cielo di fuoco che sovrastava il tempio acceso da lingue incandescenti.

Gli occhi stanchi di Yukio osservavano la folla di fedeli che pian piano aumentava e occupava ogni spazio, mentre Moriyama e Hayakawa preparavano l'ultima delle vesti che avrebbe dovuto indossare.

Kasamatsu si alzò dal proprio posto solo quando le campane ebbero tre rintocchi e la toga chiara dell'ultima parte della cerimonia fu innalzata sopra la sua testa, allora lui stese le braccia in alto e si fece vestire, assolutamente docile.

Yoshitaka iniziò a cantare e con lui anche tutti gli altri fedeli mentre il fuoco del tempio veniva alimentato e cresceva di molto. L'intero palco prese vita, davanti a Kasamatsu, e qualche esclamazione accorata e spaventata si elevò dal pubblico in sospensione.

Ecco, la prova finale: la vera dimostrazione di una completa fiducia nel Dio. Ovviamente, per non finire bruciato vivo, il corpo di Kasamatsu era stato rivestito con un tessuto repellente e isolante, perché per quanto la fede potesse essere forte nessuno desiderava davvero la sua morte.

Doveva solo allungare la mano e dimostrare di non aver paura della potenza del suo credo mentre con voce sicura intonava l'ennesima canzone.

Nel silenzio che si distese ovunque, Yukio procedette.

 

Non fu una folata di vento eccessivo a rendere il Fuoco indomabile, ma un legno impuro o poco vivo. Si fece concreto, non solo nel pensiero ma anche nel reale, qualcosa di diverso, che avvolse completamente la figura del sommo sacerdote come una grande mano possente e non gli lasciò neanche il tempo di respirare nel mentre pensava con terribile e lucida chiarezza che sarebbe morto proprio in quel momento. Per l'ennesimo suo sbaglio.

Ebbe paura solo per la sorpresa del gesto e l'improvviso avvampare di tutto quel rosso, poi Kasamatsu si abbandonò al volere effettivo di un Dio che non aveva mai conosciuto davvero e chiuse gli occhi.

Ne ricevette una carezza sulla guancia e una risata divertita che invase ogni altra cosa.

-Sei bello quando ti rilassi, sacerdote!-

Riconobbe la voce ed ebbe un violento spasmo di irritazione istintiva che lo portò ad aprire gli occhi con rapidità e vedere davvero cosa gli stesse succedendo attorno.

Gli altri due sacerdoti e la folla di gente che occupava il castello aveva sui volti una tale diversità di emozione che sulle prime Yukio non capì cosa stesse succedendo: sgomento, paura, incredulità, rimasuglio di un terrore puro. Immaginò che accettare la morte davanti ai loro occhi fosse stato un gesto alquanto egoista e doloroso, al quale dover porre assolutamente rimedio. Vide anche qualcuno chino a terra, nel gesto più naturale della preghiera, e notando che sempre più persone si gettavano al suolo in una tale posizione ebbe anche la buona idea di girarsi e vedere a cosa il suo corpo vivo e incolume si stesse appoggiando.

Un drago bianchissimo, dai grandi occhi rossi e dai denti gialli, gli stava sorridendo come se sempre l'avesse conosciuto – e gli sembrò davvero così, una figura familiare come poche altre.

Ecco, quello era Dio. Quello era il segno divino che aveva disperatamente cercato nel proprio intimo.

 

Lo sentì chiaramente, come la più assoluta certezza della propria vita.

Solo e solamente a quello avrebbe votato la propria intera esistenza.

 

 

Like a child you whisper softly to me
You're in control just like a child
Now I'm dancing
It's like a dream, no end and no beginning
You're here with me, it's like a dream
Let the choir sing

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Capitolo 2
*** 2 ***


*Autore: margherota

*Titolo: And it feels like home

*Fandom: Kuroko no Basket

*Personaggi: Kise Ryota/Drago!Kise, Kasamatsu Yukio, Altri

*Generi: Fantasy, Angst, Introspettivo

*Avvertimenti: Bi- Shot, AU, What if...?

*Rating: Arancione

*Credits: Like a prayer, Madonna

*Note: Secondo e ultimo capitolo della mia piccola KasaKise (L) sono stata molto indecisa su come farla finire, mi spiace per questo piccolo ritardo èè''

Come già l'altra, anche questa si concluderà in un modo non tanto felice – e come l'altra, Kise verrà meglio presentato in modo tale da essere a tutti gli effetti un personaggio e non solo una comparsa.

Buona lettura :D

 

 


 

 

L'acqua schizzò ovunque quando la mano un poco paffutella della piccola figlia del fornaio vi si schiacciò contro con tutta la propria forza – e ripetendo il gesto accompagnò il movimento continuo con delle risa genuine e bellissime che facevano bene al cuore. Il vestito bianco che le fasciava il corpo ancora bello rotondo era ormai tutto bagnato, appiccicato alla pelle chiara sulle gambe e sulla pancia. Ad un certo punto mise le mani a coppa e cominciò a tirare acqua in tutte le direzioni, bagnandosi ancora di più.

Attorno a lei, c'erano altri due bambini. Tre bambini, in realtà, contando l'età cerebrale dell'unico essere vivente che avrebbe potuto tra loro definirsi adulto. Però, nel vedere Kise che rispondeva alla piccola Kyo con la stessa risata infantile e la stessa espressione spensierata ci si poteva tranquillamente chiedere se aveva davvero tutti gli anni di cui si vantava.

Quasi due secoli, secondo i suoi racconti.

I bimbi tentarono tutti assieme di affogarlo nel mezzo metro scarso di profondità di quel rivolo e lo presero per gli abiti cominciando a trascinarlo sempre più in basso. Ryota, allora, intuendo quello che volevano fargli, prese due di loro e li sollevò in aria, cominciando a roteare su se stesso come una trottola; inutile dire che i fanciulletti, a quel punto, furono presi da convulsioni di risa tanto potenti da dimenticare ogni altra cosa.

Il gioco continuò almeno finché l'apparentemente giovane, messo il piede storto sopra un sasso, non scivolò sulla superficie molliccia di una pianta acquatica e cadde con tanto di tonfo sonoro e un dolore parecchio acuto al sedere sul letto del corso. I bambini non si fecero male, ma aumentarono con la loro vertiginosa e velocissima discesa la quantità di schizzi sollevati e l'aggravarono con strilli abbastanza alti da far accorrere ben più di un genitore sul luogo dell'incidente, o quantomeno ad attirare la loro momentanea attenzione.

Ci fu qualche secondo di stasi, con i bimbi che si raggrupparono stretti stretti attorno ad un Kise immobile e indeciso, che poi prese a frignare sotto i loro occhi e lamentarsi di quanto gli facesse male il fondo- schiena – a quel punto, cominciarono a prenderlo spietatamente in giro come conveniva al loro ruolo.

Smisero quando un'ombra severa si stagliò su di loro, e con visi contriti in maliziose espressioni di colpa e sorrisetti furbi, scapparono in tutte le direzioni e si diramarono molto velocemente. Quando si accorse di essere rimasto solo, Kise alzò lo sguardo e incontrò due occhi chiari a fissarlo.

Abbastanza cattivi, a dire il vero.

-Kasamatsucchi, mi sono fatto male...-

Kise avrebbe potuto benissimo mettere la mano sul fuoco che si era salvato solo per il fatto che Yukio era vestito di tutto punto e non aveva la minima intenzione di bagnarsi la veste solo per dargli un colpo in testa, perché altrimenti avrebbe tentato di annegarlo con tutte le proprie forze, o almeno lo intuiva dall'intensità della cattiveria che gli stava rivolgendo con quello sguardo per nulla gentile.

-Questo è soltanto il risultato della tua idiozia!-

Altri piagnucolii, altri piagnistei, altra irritazione sul viso di Kasamatsu. Poi una mano tesa, uno sguardo prima assai sorpreso e poi quasi felice.

-Ora vieni! Dobbiamo rientrare!-

 

Gli era davvero difficile ricordare come la raggiante creatura saltellante che aveva davanti si era presentata a lui, la prima volta, sotto forma di Dragone in qualità di spirito del fuoco che l'Imperatore Celeste aveva creato per sé. Kasamatsu trovava incoerente il solo pensiero: benché avesse tutte le qualità fisiche per rappresentare qualcosa di tanto magnifico, ai suoi occhi Kise restava un bimbo troppo cresciuto, fifone e piagnone, con una mania della cura di se stesso alquanto preoccupante dal momento che viveva in un tempio assieme ad un crogiolo di sacerdoti. Di sicuro nessuno, né a prima vista né tanto meno alla seconda, lo avrebbe scambiato per un suo collega, e lo si poteva capire dalla chioma bionda e ben curata, dall'aspetto solare e dall'indole cordiale e aperta, dalla facilità con cui si relazionava a bambini e donne. Sembrava più il classico belloccio di paese che una bestia ultraterrena capace d'usare l'Elemento della distruzione a proprio piacere – eppure Kasamatsu tentava di non scordare mai questo particolare, come se dovesse suggerirgli una prudenza mai eccessiva.

Lo vide fermarsi lungo la strada, reggendo ancora il sacco di rape che gli aveva depositato in mano quando l'aveva raggiunto, e aspettarlo con un bel sorriso sulle labbra. I contadini, come ogni volta che iniziava la brutta stagione, avevano raccolto un piccolo tributo per i sacerdoti del tempo e l'avevano consegnato direttamente a Kasamatsu perché lo gestisse per sé e per i propri compagni. Che Kise fosse stato sfruttato in tutto questo dal sacerdote come fattorino certo non aveva meravigliato nessuno. Yukio lo guardò storto, senza fermare il passo, lo superò e lo sentì trottargli dietro: bastava poco per farlo felice, dava l'impressione di avere una personalità così semplice che quasi faceva tenerezza.

Quasi. Perché Kasamatsu non era certo tipo da lasciarsi addolcire da quel bel faccino.

-Perché hai quel sorriso idiota?-

L'altro fece ciondolare di lato il proprio bagaglio, senza smettere di sorridere. Guardava di tanto in tanto le rape dentro il proprio sacco, con una curiosità che era degna di chi scopriva tutto il mondo per la prima volta. Era genuino e senza pensieri.

-Ah, così! Sono felice!-

-Per cosa saresti felice?-

-Per tutto! Sono felice per tutto! Mi piace essere vivo!-

Fece un ampio gesto con le braccia e col corpo, girando su se stesso e quasi cadendo nel farlo. Rise, per la propria goffaggine, e tornò al fianco del monaco.

Kasamatsu ricordò come quella creatura avesse, all'inizio, persino paura di avvicinarsi all'acqua, di come fosse schiva con chiunque benché sorridesse a tutti, di quanto freddo fosse il suo sguardo benché la bocca fosse piena di parole socievoli. All'inizio, a Kasamatsu non piaceva per nulla averlo addosso, in ogni istante della sua giornata – e non era stata l'abitudine a risolvere la cosa l'aveva fatta la graduale trasformazione di Ryota: davvero ingenuo, davvero sorpreso, davvero libero.

Yukio fece una smorfia e accelerò il passo di marcia.

-Solo gli idioti affermano cose simili, lo sai?-

Lo sentì ridere, ancora una volta, e muoversi velocemente per arrivargli al fianco.

-Il tuo concetto di idiota è davvero particolare, Kasamatsucchi! Normalmente alla gente non piacciono gli idioti, ma dalle tue parole sembra che siano persone per bene! Quindi se tu dici che sono un idiota fa bene, no?-

Davvero, davvero insopportabile: quella prerogativa non se ne sarebbe mai andata, e Kasamatsu lo sapeva perfettamente.

Gli tirò un calcio a livello del sedere per allontanarlo da sé, abbastanza infastidito.

-Kise, sei un idiota!-

 

-La mia casa è dove sei tu, Kasamatsucchi!-

Lo aveva detto tante volte, come tante volte aveva detto cose altrettanto stupide e lo aveva infastidito con le sue richieste d'attenzione e le sue frasi sdolcinate, da ragazzina innamorata.

-La mia via è quella che tu percorri, Kasamatsucchi!-

Non la smetteva davvero più di parlare, quando iniziava, a meno che Yukio non lo prendesse a calci e lo rimproverasse aspramente con quella voce isterica che tanto faceva ridere tutti. Gli sembrava che si divertisse soltanto a provocarlo per vederlo arrabbiato e la cosa lo faceva irritare decisamente di più.

-Kasamatsucchi, tutto ciò che va bene a te va bene anche a me!-

Certe volte era difficile per Yukio ricordarsi chi fosse il Dio e chi fosse il seguace, perché Kise non era solo stupido ma badava decisamente poco all'aspetto spirituale della propria esistenza, così preso da quel mondo nuovo nelle mani del sacerdote da non badare ad altro. Dopo la prima, poche altre volte era tornato sotto forma di Drago, e di sicuro la cosa non dispiaceva ad entrambi.

-Ciò che è tuo è anche mio!-

A guardare bene, però, Yukio trovava negli occhi e nelle sue parole sempre quel fondo di verità assoluta che era andato a lungo cercando in tutto quel tempo. Importava relativamente che fosse detta con voce stridula e da un sorriso davvero poco raccomandabile: pur non ammettendolo, la parola di Kise per lui aveva la sacra importanza di una legge morale.

-La mia casa è dove ci sei tu, Kasamatsucchi!-

 

Mitsuhiro alzò la testa all'improvviso dalla terra che stava lavorando, e ancora con la zappa sporca di fango in mano poté guardare lo svolgersi di una processione assai particolare, di certo mai vista prima: una fila di uomini a cavallo stava calpestando con gli zoccoli duri e ferrati la sottile terra divisoria che separava un campo agricolo da un altro, portando con loro strane bandiere e armi di ogni tipo – fu quel particolare a mettere in allarme il monaco, che senza pensarci due volte si fece avanti di gran carriera e corse fino ad andare di fianco al primo uomo che conduceva la marcia.

-Chi siete?-

Lo disse veloce come suo solito, concitato dalla meraviglia e dalla corsa, e con quel tono sbrigativo che neppure l'educazione che aveva avuto avrebbe mai saputo piegare alla gentilezza. Hayakawa era un uomo semplice, di quelli che è impossibile cambiare nonostante il tempo e le parole.

Gli risposero due occhi neri di pece e la voce imperiosa di un uomo abituato al comando che lo guardò incuriosito solo dal drappo singolare che portava sulle spalle.

-Tu sei un sacerdote del tempio di Kaijo?-

Lo guardò non intimidatorio ma con una strana luce negli occhi, un fuoco maligno che Mitsuhiro non aveva mai visto addossato ad una persona. Ad uno sguardo più attento, notò qualcosa che avrebbe dovuto metterlo in allarme già da subito ma che per la fretta e l'agitazione aveva soprasseduto come la più stupida delle persone.

Lo stemma imperiale brillava sui loro mantelli e sui loro elmi in tutto il suo splendore.

Non per questo, rispose con meno energia.

-Sì, lo sono!-

Il cavallo nitrì dolorante quando il cavaliere diede un colpo di tacco al suo fianco e lo mandò avanti con più forza. Hayakawa non lo vide, ma il suo sguardo fiammeggiava.

-Portaci al tuo tempio, sacerdote! Quella è la nostra meta!-

 

Sentire profumo di bruciato, al Tempio del Fuoco, non era certo una cosa strana, non almeno quando l'abitudine aiutava a chiudere il naso su certi particolari. Ma le grida, le richieste di soccorso, l'odore di carne cotta erano segnali che ancora riuscivano a destare allarme in ogni sacerdote.

Yoshitaka non fece neppure in tempo a prendere tutte le toghe che gli servivano per una presentazione decente quando dal proprio giaciglio si alzò fin troppo velocemente per andare all'esterno – nonostante il turno di sorveglianza notturna era una cosa che lo fiaccasse enormemente, niente poteva essere più importante delle invocazioni dei suoi fedeli, dei suoi concittadini.

Uscì dal tempio correndo in maniera affannosa e inciampando lungo il tragitto un paio di volte. Quando spalancò il portone della Kaijo, vide fuoco ovunque. Sulle case, sul terreno, sugli animali, sulla gente.

Sconvolto come poche altre volte nella sua vita, si guardò attorno alla ricerca di un qualsiasi particolare che potesse aiutarlo a trovare una ragione per tutto quello. Avanzò nel calore e nel rosso vivo tenendosi le mani tra i capelli, strappando i ciuffi scuri con la forza e l'indifferenza di un disperato: altro dolore che quello che aveva al petto non riusciva a sentirlo.

Trovò qualcuno che già si stava dando da fare con l'acqua e trasportava con affanno secchi o recipienti di fortuna pieni da una parte all'altra della piccola città. Pensò che quella fosse la propria soluzione, perché se rimaneva ancora a pensare sarebbe arso prima di arrivare ad una conclusione.

Se ne pentì quando, cercando qualcosa da utilizzare, trovò l'ennesimo orrore che quella pazzia senza nome aveva generato. Stava ancora urlando quando lui si avvicinò ed era circondato da una serie di uomini dai mantelli neri con in mano torce accese. Il dolore straziante che emetteva con tutte le proprie forze era giustificato dalle lingue di fuoco che lambivano il suo corpo e rendevano la sua carne scura, rossa. Hayakawa era stato appeso a quella che sembrava una sorte di croce grossolana, cotto vivo sotto lo sguardo divertito di aguzzini improvvisati.

Inciampò una terza volta e attirò l'attenzione di uno di loro, un uomo dalla pelle scura e dallo sguardo assassino. Lo vide, chiaramente: stava sorridendo.

Moriyama non riuscì a scappare via da tutta quella pazzia.

 

Aveva visto il fumo elevarsi dal villaggio dalla propria posizione elevata, sui bordi della bocca aperta del vulcano. Aveva preso a correre senza badare al fiato e alla fatica, senza badare a Kise che non riusciva a stargli dietro e si perdeva troppi metri indietro a lui, nel boschetto basso che la fertilità del terreno aveva sempre fatto crescere rigoglioso.

Per quanto potesse essere veloce, nella migliore delle ipotesi sarebbe arrivato dopo più di mezz'ora.

Non lo aiutò vedere il rosso del fuoco espandersi sulle case, il nero del fumo intensificarsi, l'odore di cenere che le folate di vento trasportavano con sé.

Quel giorno, dopo così tanto tempo, aveva ceduto alle lamentele di Ryota e l'aveva portato a vedere il grande vulcano addormentato, laddove sorgeva una piccola cappella ad uso e consumo esclusivamente sacerdotale che quelli della Kaijo usavano per i propri ritiri contemplativi. Che fosse successa quella tragedia proprio in un giorno del genere sembrava al suo animo una beffa crudele e terribile, troppo grande per essere accettata.

Aveva compreso come la natura dell'incendio fosse di origine dolosa quando ormai il villaggio bruciava tutto – troppo velocemente perché il fuoco non fosse stato diretto e alimentato in qualche modo, oltre che dall'aria e dal legno. Corse più velocemente, nonostante non sentisse più i piedi.

Cadde però incontrando un sasso inaspettato, rotolò sulla terra e gli aghi di pino e tra i ricci di castagne poco mature, andò a sbattere contro un albero di schiena e si fermò in quel punto. Fece anche per alzarsi ma una voce lo fermò, all'improvviso.

-Kasamatsucchi!-

Yukio si ricordò di Kise solo in quel momento – si accorse anche di star piangendo e di sanguinare ovunque, col cuore che gli martellava in testa e i polmoni in fiamme. Ryota gli arrivò di fianco, sedendosi sul terreno in pendenza e guardandolo preoccupato. Ma c'era altro che preoccupazione nel suo sguardo: un terrore che il sacerdote non aveva mai visto prima.

Cercò di alzarsi ma non riuscì nel proprio intento, intimò a quello stupido Drago di aiutarlo ma non ricevette risposta. Quando si rivolse a lui con un'espressione al limite estremo della rabbia, non si trattenne neppure dall'urlare come un dannato.

-Maledizione, Kise! Non stare fermo come un idiota! Dobbiamo muoverci! C'è gente che ha bisogno di noi!-

Aveva paura, aveva una paura terribile e Yukio non riusciva a spiegarsi il perché. Però lo prese sulle spalle lo stesso e lo condusse, pur zoppicante e zoppicando, fino alla meta.

 

I due quando ormai era tutto cenere e pianto – qualche fuoco sopravviveva ancora tra i legni delle case più in periferia o tra gli orti di quelli che ricchi avevano piantato molti prodotti per la propria famiglia, per il resto un grigio secco copriva ogni altra cosa.

La desolazione e il vuoto che lascia il Vulcano dopo la propria opera di distruzione era sempre stata paragonata alla momentanea morte del corpo prima della rinascita dello spirito nei riti e nelle parole dei sacerdoti, eppure Yukio non riusciva a trovare niente di glorioso e niente di rassicurante in quello che vedeva attorno a sé, niente che esplicasse una metafora ormai vuota e sermoni privi di qualsivoglia senso. Kise, accanto a lui, era più pallido del solito e sembrava non avere la minima intenzione di chiacchierare.

Trovarono i corpi di Mitsuhiro e Yoshitaka appesi ai lati della porta distrutta del tempio, quasi come monito terribile e dimostrazione di una forza troppo potente per essere contrastata in qualche modo; Ryota si piegò in avanti e vomitò sul terreno quel poco che aveva ancora nello stomaco, non riuscendo a reggere la visione di quegli scheletri calvi.

Un uomo, il vecchio fornaio che reggeva quel che restava di sua figlia tra le braccia carbonizzate, si fece avanti dal nulla, sbandando. Era una maschera di dolore e odio, non più un essere umano.

Caricò Yukio con la disperazione che gli era rimasta e quella poca vita che ancora lo faceva muovere.

 

-È per cercare te che hanno distrutto tutto...-

 

Il peccato di Kasamatsu era stato quello di uccidere un uomo – Kise lo sapeva, reduce da una confidenza fatta dopo un'accorata preghiera e giorni e giorni di insistenza. Yukio non giustificava il proprio avventato gesto con l'inutile scusante di autodifesa o l'aggravante che quell'essere che avrebbe dovuto chiamare padre trascorreva il proprio tempo nell'unica attività di picchiare figli e moglie: il peccato rimaneva il peccato e solo la presa di coscienza e la penitenza potevano in qualche modo alleviare la pena. Per quanto possibile, l'uomo non aveva mai rinnegato l'atto compiuto.

Ma non era per uccidere un altro uomo che decise di abbandonare il villaggio, quello stesso giorno. Non per vendetta, non per saldare un conto mortale, ma solo per proteggere una creatura che aveva bisogno di lui come di nessun altro al mondo e alla quale aveva giurato di dedicare la propria vita nel bene e nel male. Kasamatsu aveva intuito nel momento stesso in cui era accaduto che il miracolo di cui era stato soggetto e partecipe era troppo grande per una persona come lui e che avrebbe dovuto pagarne le conseguenze in un qualche modo; certamente, se avesse mai sospettato conseguenze del genere si sarebbe comportato in maniera ben diversa, ma dopo tutto quel tempo aveva anche imparato a non rimpiangere nulla.

Aveva accettato Kise come proprio Dio e questa fede comportava nuovi rischi e nuovi problemi, come un qualsiasi cambiamento. Non sarebbe venuto meno al proprio credo in vista delle prime difficoltà.

-Sei triste, Kasamatsucchi?-

Yukio non rispose ma continuò a camminare avanti, facendosi largo tra le sterpaglie del bosco e andando verso est. Sacco in spalla, bastone in mano, compagno dietro di sé.

Non gli era facile rispondere ad una domanda del genere e non perché la risposta fosse assolutamente ovvia ma perché implicava un peso che non voleva assolutamente dare a Kise – continuò in un silenzio ostinato, facendo solamente attenzione alla continuità del rumore dei passi di lui.

-I tuoi amici sono morti...-

Sentì la tristezza, sentì il senso di colpa.

E per una volta, usufruì di una metafora sacra anche in ambito privato, par crederci davvero e per andare avanti nonostante tutto.

-Loro vivono dentro di me, non sono morti!-

Di sicuro la memoria dei suoi compagni non sarebbe andata persa e con quella neanche l'amara lezione che la loro morte aveva comportato. Oltre che per Kise, Yukio avrebbe vissuto anche per quei sacerdoti che mai avevano avuto colpa e quella era una promessa fatta davanti a Dio.

Lo sentì fischiare come d'ammirazione nel tentativo di alleviare un poco l'aria tesa che si era creata.

-Devi essere proprio grande, dentro di te, per ospitare ben due uomini!-

Ma poi, quando si voltò a guardarlo storto, la serietà aveva preso posto a qualsiasi altra cosa e pareva davvero parlare il sacro che aveva dentro, quel Drago che dice tutto con una semplice sillaba e da proprio il mondo con uno sguardo.

-Sei abbastanza grande da tenere anche me, lì dentro?-

Non c'era risposta che potesse soddisfare un simile quesito, ma solo la volontà di un uomo che si fece ancora una volta serva e schiava ubbidiente.

 

-Resta accanto a me e andrà tutto bene, Ryota...-

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