Il sangue delle Fenici

di kejti
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Seymour ***
Capitolo 2: *** Il cattivo ragazzo... ***
Capitolo 3: *** la F ***
Capitolo 4: *** Orfana ***
Capitolo 5: *** La nuova fenice ***
Capitolo 6: *** La Loggia ***



Capitolo 1
*** La Seymour ***


-Correte sorelle! Correte! Dobbiamo difendere la città!-

Tutto bruciava, ogni centimetro di quella terra stava andando a fuoco. Le persone stavano andando a fuoco. Alcuni correvano per allontanarsi dalle loro case in fiamme, altri cercavano di aiutare i loro cari che stavano bruciando.

I vecchi stanchi di correre si sdraiavano per terra, il fumo era entrato nei loro polmoni da troppo tempo e ormai la loro sorte era certa: il fuoco maledetto gli avrebbe portati all'inferno. Ma in quello scenario di morte, la cosa peggiore era il pianto dei bambini. Alcuni di loro piangevano trascinati dai genitori che correvano fuori dalla città, altri vicino al corpo della propria madre o del proprio padre. Erano di quest'ultimi anche le grida: tra un singhiozzo e l'altro invocavano il nome dei loro parenti. Poco dopo anche le loro urla cessavano : erano morti, bruciati vivi.

-Non ce la faremo mai madre! L'incendio è troppo esteso!- gridava una ragazza bionda di circa vent'anni. Vestiva una lunga tunica bianca identica a quella della donna con cui stava parlando, ma diversa da qualsiasi degli abiti delle altre persone.

-Non voglio sentire queste parole! Il nostro compito è proteggere questa città e queste persone e lo faremo a costo stesso della nostra vita! Chiama le tue sorelle e i loro signori, che si mettano intorno al Wuldren... se fermeranno il fuoco lì, anche il resto della città sarà salva...

 

Trenta giorni. Erano trenta giorni che non faceva altro che sognare quella città in fiamme, non ne poteva più. Certo i visi di quelle due signore si erano presentati nella sua mente anche altre volte, ma mai così di frequente. Ashley non riusciva proprio a capire cosa stesse succedendo alla sua testa in quel periodo. Si svegliava in mezzo la notte con l'affanno e aveva sempre in mente quel sogno. Costantemente . Non riusciva a pensare ad altro. Quelle donne erano ormai diventate il suo chiodo fisso, le sembrava addirittura di conoscerle, ma lei quelle due era certa di non averle mai viste.

Si alzò dal letto ancora un po' turbata,si avvicinò alla finestra e la aprì lentamente. Aveva bisogno di aria per riprendersi. Rimase qualche minuto lì e poi sempre più stanca si sdraiò e si addormentò nuovamente.

Ashley Halliwell era una ragazzina di sedici anni, non troppo alta e neanche troppo bella. Era la tipica adolescente che per strada passava inosservata. Aveva lunghi capelli castani che le incorniciavano il viso ovale. La sua pelle bianca metteva in evidenza ancora di più gli occhi azzurri.

Proveniva da una famiglia benestante e aveva trascorso i primi dodici anni della sua vita in una villa con troppe stanze per una famiglia di tre persone. Amava quella casa, lì aveva trascorso tante avventure da piccola, ma poi un giorno era stata costretta ad andarsene: i suoi genitori, Micol e Steven Halliwell, morirono in un terribile incidente d'auto, lasciando Ashley sola. Fu un trauma per lei. Il suo perfetto mondo crollò completamente e non le rimase più niente. Fu costretta a trasferirsi da sua zia Mel, sorella minore della madre, una donna giovane e molto bella, ma inadatta a prendersi cura di una bambina. Qualche anno dopo l'arrivo di Ashley nella sua casa, Mel si sposò con un uomo d'affari sempre in viaggio e la nipote stanca di vedere la zia sempre triste per la lontananza si trasferì dall'altra sorella della madre, Autume.

Autume era divorziata e aveva due figlie: Betsy e Laila. A differenza di Mel, lei riuscì a instaurare subito un ottimo rapporto con Ashley. Riusciva a comprendere la ragazza meglio di qualsiasi altro, era divertente, allegra, amorevole. Aveva ciò che serviva a una persona a cui la vita ha tolto tutto in giovane età. Autume aveva circa trentotto anni, in bellezza non poteva competere con Mel, il suo aspetto era sempre un po' trascurato, ma aveva una grande capacità di piacere alla gente a primo impatto. Era una di quelle persone che a primo impatto piacciono: ironica e intelligente a diciannove anni era riuscito a far perdutamente innamorare di lei il giovane più ricco e affascinante della città, John DuGray. Il matrimonio dei due però non si era rivelato semplice: John, dopo la morte del padre era diventato il presidente della sua azienda, ma ancora troppo giovane e inesperto aveva fatto investimenti sbagliati, portando tutta la sua famiglia sull' astrico. Autume si era fatta coraggio e grazie anche all'aiuto dei suoi genitori era riuscita in qualche maniera a risollevare economicamente la famiglia. Nel periodo in cui la moglie cercava di riparare ai suoi errori, però John aveva conosciuto una giovane ragazza e dopo aver prosciugato nuovamente il conto in banca della famiglia, era scappato con lei. Autume si era ritrovata costretta a risollevare una seconda volta le finanze, ma anche a dover risollevare ciò che rimaneva della sua famiglia: Betsy e Laila, a quei tempi di 13 e 11 anni. Betsy tra le due era quella che aveva sofferto di più la separazione dei suoi genitori. Era molto affezionato al padre e quando lui lasciò le passò un periodo di depressione. Nessuno in sua presenza apriva il discorso “papà”, era tabù. Dopo l'abbandono aveva passato circa un anno a cercare di dimenticare il padre, ma era stato tutto inutile, perchè a lei bastava il suo riflesso allo specchio per ricordarlo. Erano uguali quei due: i capelli, gli occhi, le labbra, il modo in cui metteva il broncio. Tutto di lei gridava “ John DuGray” e non poteva farci nulla. Crescendo però aveva imparato ad accettare la situazione e a cercare di continuare la sua vita nella maniera più normale possibile. A scuola era una delle più popolari, era impossibile per un uomo non notarla : se pur non avesse una bellezza sconvolgente, il suo modo di fare la rendeva estremamente attraente agli occhi dell'altro sesso. Al contrario di lei, Laila, la sorella, era la ribelle della famiglia: non c'era una protesta che non fosse stata organizzata da lei o a cui lei non avesse partecipato. Le sue battaglie le aveva iniziate alle elementari: una settimana rimase a digiuno tre giorni e alla fine pur di farla smettere,il preside fu costretto a stabilire i venerdì senza carne. Non accettava facilmente un no, aveva un carattere deciso ed era terribilmente testarda e questa la portava qualche volta in

Quando Ashley arrivò da loro si accorse che alla sofferenza e alla disperazione in cui era caduta lei, c'era un 'altra scelta. Era così sorpresa dalla forza d'animo di sua zia, che lentamente anche lei cominciò a ricominciare ad avere una vita. Dopo tre anni passati nella più totale solitudine, si ritrovò improvvisamente ad avere voglia di conoscere nuove persone, di fare nuove esperienze e di cercare di realizzare i sogni che aveva fin da quando era bambina. Ricominciò a leggere: tolse dagli scatoloni i vecchi libri di suo padre e li sistemò sugli scaffali della sua piccola biblioteca. Ricominciò ad ascoltare i vecchi dischi della madre e come poté cercò di allargare la collezione. Ritrovò se stessa e anche una nuova famiglia.

Quella mattina, quando suonò la sveglia, Ashley era già in piedi da circa un quarto d'ora, era andata in bagno e si stava vestendo per andare a scuola. Una volta pronta aprì la porta e scese le scale, giù in cucina c'era già Betsy che finiva di ricontrollare lo zaino.

-Buongiorno!Dormito male un'altra volta?- chiese Betsy.

-Già... non ne posso più...-

-perchè non provi a cambiare letto? Magari il tuo è scomodo... possiamo chiedere alla mamma di andare a comprarne uno nuovo questo fine settimana? Che ne dici?-

-Non è il letto... insomma dormo lì da quando mi sono trasferita qui e non ho mai avuto problemi, deve essere qualcos'altro... comunque stanotte prendo un sonnifero, domani ho un compito importante e non posso arrivarci ridotta in questa maniera...-

-'giorno gente!-

il discorso fu interrotto da Autume, che era appena scesa.

-uh Ashley,tesoro, che brutte occhiaie... ancora quei sogni, eh?-

-esatto ... cosa ho fatto di male per meritarmeli? non vedo l'ora che finiscano...-

-oh vedrai cara tra qualche giorno ritornerai a dormire tranquilla, non possono mica durare in eterno,no?-

-Si, ma io non ho qualche giorno... il professor Smith, quello di letteratura hai presente? Mi ha già richiamato quattro volte questa settimana e ha detto che se non mi do una regolata la prossima volta che mi becca disattenta mi esonera dalla sua classe...-

-che idiota questo Smith! Da adolescente ho sempre odiato gli insegnati come lui, infatti non ne sopportavo nemmeno uno del corpo docente della mia scuola... Tremendi! A proposito dov'è Laila?-

-Dovrebbe essere qui a momenti... dai rumori proveniente dalla sua stanza, oggi si è svegliata su di giri... non oso immaginare cosa le sia venuto in mente stavolta- rispose Betsy mentre prendeva il suo cappotto.

-Buongiorno!!- salutò Laila entusiasta. Scese le scale rumorosamente e prese il suo capotto. Era un uragano quella mattina.

-senti senti che allegria! Che succede oggi di bello?-

-Dimentichi che oggi è il mio primo giorno come presidentessa degli studenti, Ashley. Oggi ho la mia prima riunione dopo scuola-

-E' vero!! ora che diventerai importante ti ricorderai di noi nullità?- disse Ashley scherzando

-Cercherò di fare il più possibile per poter dedicare del tempo anche a voi!-

Dopo qualche altro scambio di battute si diressero tutte e quattro ad un ristorantino vicino a casa che faceva delle ottime frittelle. Autume non era mai stata una buona cuoca e così fin da quando si era trasferita in quella piccola cittadina dopo il divorzio si era preoccupata di trovare un buon locale. Ben presto era diventata assieme alle sue figlie una cliente abitudinaria del posto ed aveva anche stretto amicizia col proprietario

 

A scuola, Ashley passò le prime due ore a cercare di rimanere concentrata, ma poi alla fine della terza non ce la fece più e la sua testa incominciò a vagare nel vuoto. La giornata passò velocemente e non ebbe nemmeno grossi problemi con Smith, che quel giorno era troppo occupato a farsi gli affari suoi per preoccuparsi di Ashley. Quando arrivò a casa trovo Autume in cucina esultante.

-ma che succede?- chiese sorpresa.

-leggi tu stessa-

Autume le diede una lettera: veniva dalla Seymour.

La Seymour era un liceo privato tra i più prestigiosi dello stato, se volevi frequentare un college importante la Seymour era una tappa indispensabile. Ashley aveva fatto domanda qualche mese prima per poter entrare, ma poi non ricevendo una risposta aveva perso le speranze di poter entrare in quella scuola.

-Sei stata ammessa! Da lunedì prossimo inizierai a frequentare e guarda! Sono così fiera di te! -Cavoli! Non pensavo di riuscirci... insomma loro non avevano risposto...- l'entusiasmo iniziale si spense subito, quando pensò subito al periodo dell'anno in cui avrebbe iniziato a frequentare il nuovo liceo. Entrare al''incirca a metà anno significa doversi impegnare il triplo degli altri.

-Che c'è non sei felice? Desideravi così tanto entrare alla Seymour... non capisco questa faccia...-

-No niente... E' solo un po' di sorpresa...-

-Sembra che ti abbiano appena rifiutato... sicura che vada tutto bene?-

-E' solo un po' di paura, ma vedrai che ora passa... oggi è venerdì dobbiamo andare a comprare la divisa!-

-Tua zia, nonché la donna migliore di questo mondo, ha già provvisto a questo... Tadà- disse facendo uscire da una grossa busta grigia una gonnella modello scozzese a quadrati blu e grigi e un giacchetto blu scuro.

-E' la mia divisa?! Wow, non ho mai avuto una divisa!-

-Fidati allora, in questi ultimi anni non ti è andata male, nelle scuole in cui mi mandava tua nonna dovevamo sempre portarne una. Mi ricordo che alle medie, la mia era orrenda, rossa e verde... sembravamo tutti dei piccoli mostri... ma tu hai avuto fortuna! Si intona anche ai tuoi occhi! Certo dobbiamo accorciare un po' la gonna, perchè secondo me è troppo lunga, ma ti starà benissimo-

Per festeggiare la notizia quella sera, ritornate a casa anche Betsy e Laila, andarono a cenare in un ristorantino fuori città di cui Ashley si era innamorata.

Ashley non aveva mai avuto particolari talenti,ma si era sempre applicata molto negli studi ed aveva raggiunto sempre degli ottimi risultati. Un giorno all'età di circa otto anni, aveva letto degli opuscoli su dei college prestigiosi e aveva finito per innamorarsi di Yale. Quel giorno aveva deciso che quando sarebbe diventata grande avrebbe sicuramente frequentato quel college e così con un visino tutta serie e con un tono di voce da adulto aveva informato i suoi genitori che aveva scelto la sua università, dopo degli attenti studi. Micol e Steven vedendo la loro figlia così seria e presa avevano a stento trattenuto la risata, ma alla fine l'avevano incoraggiata a realizzare il suo sogno.

Essere stata accettata alla Seymour significava aver fatto già metà della strada

 

Il lunedì successivo Ashley si svegliò una mezz'ora prima del solito dall'agitazione. Lentamente andò in bagno, si vestì, facendo attenzione affinché la divisa non avesse nemmeno una piccola ruga e poi sempre con quella calma ricca di tensione andò fuori, in giardino. Rimase lì un quarto d'ora ad osservare il nulla. Quella sera fortunatamente non aveva fatto strani sogni, era stata una notte tranquilla e per questo era molto grata alla sua testa. Dopo un po' sentì la porta d'ingresso aprirsi, era Autume.

-Ehi Agitazione, vuoi che ti accompagni io con la macchina o vai da sola con la tua?-

-Mi piacerebbe andarci da sola...-

-Vedrai andrà bene, i tuoi compagni saranno degli snob con un pessimo senso dell'umorismo e i tuoi insegnanti saranno delle iene, ma vedrai che la Seymour ti piacerà-

-sei realista mi piace-

-dai lo sai che stavo scherzando... e ora vieni dentro che sennò ti ammali-

-arrivo...-

una decina di minuti dopo scesero anche Betsy e Laila e come da rituale tutte e quattro andarono a fare colazione. A forza di vedere Ashley agitata, anche Autume e le ragazze cominciarono a diventare ansiose. Era una scenetta vista da fuori: quattro persone sedute allo stesso tavolo, con quattro piatti pieni di cibo, continuavano a guardarsi i piedi nervosamente e nessuna di loro cercava di fare conversazione. Laila aveva provato a parlare un paio di volte, ma entrambe le volte era stata zitta scoraggiata dalla faccia delle altre tre. Alla fine, qualche minuto prima di dover andare via, Autume stanca della situazione iniziò a raccontare di uno strano uomo che qualche giorno era venuto al suo negozio di antiquariato, non finì il suo discorso perchè capì che nessuna la stava ascoltando e si mise ad osservarle.

-ok, io vado... fatemi l' in bocca al lupo- se ne uscì qualche minuto dopo ,Ashley.

-In bocca al lupo- dissero le tre in coro e videro la moretta uscire dal locale e andare verso l'auto.

Da dove viveva, il piccolo paesino di Howard, si impiegavano circa trenta minuti per arrivare alla Seymour e quel giorno fu indispensabile per non pensare a niente ascoltare a tutto volume un vecchio cd, che non le era mai piaciuto, ma che in quel momento faceva al caso suo.

Quando arrivò a destinazione mancava venti alle otto. Aveva ancora molto tempo.

La Seymour era un grosso edificio imponente bianco, fornito di un gran giardino. Poco lontano dal portone di entrata, c'era una fontana con al centro la statua di una donna con dei lunghi capelli, sul bordo del lungo vestito che le ricopriva il corpo c'era stata scolpita una grossa lettera L e accanto a questa la scritta Fenice. Dopo aver ammirato per qualche altro minuto l'edificio da fuori, Ashley entrò. Se da fuori l'edifico sembrava infinito, dentro era infinito. Resasi conto che da sola non avrebbe mai trovato la segreteria, chiese aiuto a qualche ragazzo che camminava per i corridoi. Le dissero che doveva arrivare fino in fondo e girare a sinistra, poi avrebbe trovato una stanza con una grossa porta celeste : quella era la segreteria. Senza grosse difficoltà riuscì a raggiungerla. In quella stanza era tutto perfettamente in ordine: le pareti erano state da poco ridipinte e sui banconi non c'era nemmeno un foglio fuori posto. Una signora di circa sessant'anni (doveva chiamarsi Mary)la salutò gentile. Aveva due grandi occhi verdi e dei capelli biondi, da ragazza doveva essere stata molto carina : nonostante le rughe, nel tempo aveva mantenuto quello sguardo da bambina, che le dava l'aria di essere una persona simpatica e disponibile. Vestiva un golf rosso molto semplice e una gonna nera lunga fino in fondo ai piedi.

-Buongiorno, come posso aiutarti?-

-Buongiorno... ecco... oggi è il mio primo giorno qui e quando mia zia aveva chiamato per informarsi le avevano detto che dovevo venire qui per avere l'orario delle lezioni.-

-Oh si cara, di che anno sei?-

-Secondo-

-Perfetto, ecco a te-

-La ringrazio-

Ashley prese velocemente il foglietto: le prime due ore aveva francese, poi un ora di matematica, letteratura, spagnolo, ginnastica e scienze. Mentre stava per uscire dalla segreteria, sentì Mary che la stava chiamando. Dai suoi occhi sembrava chiaro che si era appena ricordata di qualcosa di importante

-Non mi hai detto il tuo nome, cara-

-Oh, ehm scusi è che sono un po' agitata... mi chiamo Ashley Halliwell-

-Halliwell?!- chiese quella sorpresa.

-Si... oh beh in tal caso prima devi andare dal preside... lui vuole sempre parlare con i nuovi studenti- disse un po' agitata. Chissà perchè aveva reagito in quella maniera? Nessuno l'aveva informata che doveva parlare con il preside, si chiese Ashley.-Proseguendo per questo corridoio, troverai delle scale, giunta al primo piano la seconda, a sinistra è il suo ufficio- aggiunse subito dopo Mary.

-Grazie-

Mentre raggiungeva l'ufficio del preside, Ashley si accorse che il numero degli studenti era assai aumentato: tutti camminavano velocemente, alcuni in gruppo, altri da soli. Non c'era uno che non sembrasse di fretta ed era strano perchè mancavano ancora dieci minuti all'inizio delle lezioni.

Giunta alla sua metà, bussò due volte e una voce un po' rauca le disse che poteva entrare. Da quel che aveva letto il preside della Seymour si chiamava Edward Hayden e aveva una settantina d'anni. Da ragazzo era stato il migliore del suo corso al liceo e poi si era laureato come primo della classe ad Harvard, ora era il dirigente di una delle scuole private più prestigiose del paese.

Quando Ashley entrò, le sembrò di trovarsi dentro lo studio di un vecchio nobile inglese: la stanza grande e spaziosa era provvista di una biblioteca che doveva contenere a occhio e croce almeno 150 libri e due enciclopedie. C'erano diverse quadri: in alcuni erano rappresentati uomini e donne, che dovevano essere stati importanti per la Seymour, in altri erano raffigurati dei paesaggi. Al centro della stanza c'era la sua scrivania di un legno pregiato; per terra un raffinato tappeto. Non c'era una sola cosa in quella stanza che potesse costare meno di trecento dollari, se si escludevano le penne.

-Buongiorno signor preside. Mi chiamo Ashley Halliwell, sono una delle nuove studentesse-

-Ashley accomodati pure qui- disse gentilmente Edward indicando una sedia di fronte a lui.

Il sign. Hayden era un uomo alto e distinto. Non era molto grasso e aveva dei lineamenti distinti, a primo impatto sembrava una persona rigida, ma se si osservava bene i suoi occhi erano molto vispi e sempre alla ricerca di qualcosa di divertente da fare o da scoprire.

Lentamente Ashley si avvicinò e si sedette alla sedia. Si osservò un paio di volte i piedi, aspettando che lui dicesse qualcosa. Hayden la osservò per un paio di minuti e poi prese la parola.

-Ashley Halliwell, eh? Figlia di Micol VandeCamp in Halliwell e di Steven Halliwell e nipote di Amelia e Christopher VandeCamp. Hai sedici anni e vivi con tua zia Autume DuGray. Mi sono dimenticato qualcosa?-

-Solo il mio codice fiscale-

-Oh, scusa hai ragione- disse ridendo- vedi conosco i tuoi nonni da quando avevo vent'anni, sono stato il loro testimone di nozze e ero presente a tutti i battesimi delle loro figlie... in pratica ho visto crescere quelle ragazze... sai qual è la cosa più buffa di questa storia? Che tuo padre era uno dei miei migliori studenti quando insegnavo alla Richardson... che ragazzo brillante... mi è dispiaciuto così tanto quando ho saputo dell'incidente.... Amelia mi aveva detto che avevano avuto una bambina, ma non pensavo che sarebbe stata anche lei una mia allieva...-

-A questo punto mi sarebbe sembrato strano il contrario...-

-eh già... bene ti voglio trattenere altro, quello che volevo sapere l'ho capito... ti do il benvenuto alla Seymour!-

-Grazie... senta... scusi la domanda un po' strana, ma qui non si occupa lei delle ammissioni?- chiese a bassa voce, un po' intimidita da quell'uomo

-Non sei stata ammessa per la tua famiglia Ashley, ma per la tua media scolastica e spero che tu in questi anni ci mostrerai il tuo potenziale...-

-Lo spero, signore...Arrivederci-

-Buona lezione, signorina Halliwell-

Ashley uscì dalla stanza, ancora un po' sorpresa dall'incontro con il preside della scuola. Che uomo singolare... non se lo aspettava così, a dir la verità non s'aspettava nemmeno che lui conoscesse la sua famiglia... l'andamento di quell'incontro era stato inaspettato.

Scese al primo piano e con sua grande sorpresa riuscì a trovare facilmente l'aula di francese. Dopo un appello veloce, la signorina Person, l'insegnante di quell'ora la presentò brevemente ai suoi compagni di classe, che non prestarono per nulla attenzione alla nuova arrivata, tranne una ragazza bionda che la guardò in cagnesco. La giornata in generale continuò così: qualche professore che la presentava, i compagni che la ignoravano e una montagna di compiti assegnati per il giorno successivo. Il momento più brutto e imbarazzante fu la pausa pranzo. Quando Ashley arrivo alla mensa, vide tutti i tavoli occupati e quelli in cui c'era un posto libero e in cui cercava di sedersi, la gente la guardava male. Alla fine si arrese: prese la sua coca cola e il suo panino e andò a mangiare in macchina. Non si era mai sentita così male come in quella situazione. Quei ragazzi o la ignoravano o la guardavano male, nessuno aveva cercato di fare un po' di amicizia con lei e qualche studentessa a cui si era avvicinata per parlare un po' le aveva risposto in modo freddo. Era tutto così assurdo. Ashley passò tutta la pausa pranzo in macchina ad ascoltare nuovamente quel vecchio cd orrendo, era tentata a chiamare Autume, ma sapeva che una sua telefonata avrebbe potuto allarmare la zia e allora preferì starsene sola soletta per i fatti suoi.

Dopo il tempo di mangiare un panino, bersi una coca cola e anche un succo di frutto, la sua attenzione fu catturata da un ragazzo che stava andando alla sua macchina. Doveva essere il tipico ragazzo ricco, viziato e ribelle. La camicia per metà fuori dai pantaloni, la cravatta slacciata,lo sguardo sicuro, di chi aveva conosciuto il mondo (o probabilmente, pensò Ashley, di chi pensava di aver conosciuto il mondo) lo rendevano probabilmente lo stereotipo del “ragazzo cattivo della Seymour”. Lo vide girarsi dalla sua parte e capì che l'aveva beccata mentre lo spiava dal finestrino della sua auto. Ashley per un attimo pensò che avesse cambiato idea e che stesse venendo verso di lei, ma lui con lo sguardo di chi aveva intuito tutti i pensieri dell'altra persona, sorrise arrogante e si fermò alla sua macchina, parcheggiata a qualche metro di distanza da quella di Ashley. Salì nell'auto e dopo averla accesa uscì ad alta velocità dal cancello della scuola. Guidava una porsche ultimo modello, grigio metallizzata. Che esibizionista quel figlio di papà.

Quando la campanella che segnava la fine della pausa pranzo suonò, Ashley scese lentamente dall'auto e poi dopo un grosso respirone per farsi forza, si diresse verso l'interno della Seymour. Durante l'ora di scienze ebbe la possibilità di interagire durante la lezione. Il professor Byron, l'insegnante di quell'ora, cercava di far partecipare i suoi studenti durante l'ora: faceva qualche battuta... era piacevole stare con lui. Ashley rispose a due o tre domande dell'insegnate e come anche durante la lezione di letteratura fu incenerita con lo sguardo dalla stessa ragazza.

Quando la scuola per quel giorno finì, decise di rimanere un quarto d'ora in più per poter cercare il su armadietto e poter metterci qualcuno dei suoi libri. Alla fine dopo un lungo peregrinare per la scuola, riuscì a trovarlo: il numero 12 . Era sorprendente come in quella scuola non mancassero mai il blu e il grigio, c'era quasi un attaccamento morboso a quei due colori. Nel suo liceo precedente e anche in qualche altro che era andata a visitare prima di fare domanda alla Seymour, le pareti,gli armadietti e i vari ambienti della scuola erano colorati, in quella scuola invece no. Gli armadietti erano tutti grigi o blu. Con qualche difficoltà riuscì ad aprire il suo e ci ripose dentro i libri che non le sarebbero serviti per studiare a casa, mentre stava per richiuderlo però sentì una voce femminile dietro che la fece sobbalzare. La” ragazza dallo sguardo torvo “ era a qualche centimetro di lei in modalità guerra.

-Che ti salta in mente?- le domandò arrogante. Ashley rimase qualche minuto in silenzio non sapendo bene cosa rispondere, poi vedendo sempre di più il suo sguardo impaziente su di lei cerco di dire qualcosa.

-Volevo mettere qualche libro dentro il mio armadietto- che frase idiota pensò subito dopo aver parlato.

-Non mi riferivo a quello. Voglio mettere subito le cose in chiaro con te, santarellina. Io sono sempre stata la migliore del mio anno e tu non hai nessuna possibilità di potermi battere,chiara?-

-oh, ehm...ok- non sapeva che rispondere, non si era mai ritrovata in una situazione del genere.

-Io sono Michelle Gellar. Ciao – disse alzando un sopraciglio.

-ciao-

Michelle Gellar aveva corti capelli rossi e due occhi scuri imperscrutabili , era di qualche centimetro più bassa di Ashley ed era molto magra. All'apparenza poteva sembrare anche un po' fragile, ma quando la si conosceva si capiva immediatamente che aveva un carattere molto deciso ed arrogante.

Ashley di persone e di conversazioni strane ne aveva avute diverse, ma di gran lunga quella con Michelle le batteva tutte. Fatto sta che proprio in quel momento, mentre sentiva il rumore dei passi della ragazza allontanarsi, decise che avrebbe dimostrato a quei ragazzi di che pasta era fatta e che nessuno le avrebbe messo in piedi di testa.

La strada del ritornò sembrò più lunga di quella dell'andata e quando giunse a casa trovò Autume, Betsy e Laila, sedute sul divano ad aspettarla. Fu subito immersa da un sacco domande: come era la scuola, se erano simpatici i ragazzi, se aveva conosciuto qualcuno di carino ecc..ecc. Cercò di rispondere a tutte con sincerità, ma cercando di rendere i cuoi compagni di scuola più simpatici di quel che erano. Sapeva bene che Autume si preoccupava molto quando lei aveva da incontrare persone nuova, aveva sempre paura che la ferissero e faceva sempre del suo meglio per proteggerla da incontri indesiderati.

Il giorno dopo se possibile andò anche peggio, la sera prima per finire tutta la lezione era andata a letto verso l'una e la mattina nessuno, né Autume, né Betsy e né Laila la andarono a svegliare, poiché credevano che andando a scuola con la macchina preferiva svegliarsi un po' più tardi. Dopo aver guidato più veloce del consentito e essersi persa un paio di volte all'interno della scuola, alla fine riuscì ad entrare in classe con il suono della campanella. L'unica sua fortuna era stata che l'insegnante quel giorno era più in ritardo di lei. La vera tragedia comunque fu a pranzo: quel giorno infatti mentre la maggior parte dei ragazzi continuava a non degnarla di uno sguardo, quelli del suo anno quando lei passava sogghignavano. Inizialmente pensava di essere sporca in faccia o di avere qualche macchia sui vestiti, ma dopo un controllo veloce vide che andava tutto bene. La gente quando la vedeva continuava a ridacchiare e lei non capì il motivo fino a quando un ragazzo non la chiamò Heidi, al che fu tutto più chiaro. L'avevano soprannominata Heidi come la protagonista del cartone animato: anche lei veniva da un paesino fuori città e non aveva più i genitori, no? Evidentemente qualcuno (sicuramente Michelle) aveva rubato la sua scheda personale. Facendosi forza, si sedette a un tavolo che miracolosamente trovò libero e lì cercò incurante di leggere un libro che si era portata da casa. Dopo una prima iniziale difficoltà a concentrarsi alla fine riuscì a farsi prendere completamente dal libro. A fine giornata arrivò a casa distrutta in tutti i sensi e pur di non pensare a quella orrenda giornata si mise subito a studiare. Verso le sette Laila la venne a chiamare per dirle che stavano andando a mangiare una pizza. Ashley si cambiò velocemente i vestiti e raggiunse la zia e le cugine. La cena fu l'unico momento rilassante di quel secondo giorno alla Seymour. Alla pizzeria venne a sapere che quel venerdì Betsy era stata invitata ad uscire da un ragazzo molto carino di nome Bryan. Era così eccitata all'idea dell'appuntamento.

-Sapete credo di piacergli già da qualche tempo, a scuola avevo notato che mi guardava sempre, ma non pensavo che si sarebbe mai fatto coraggio a parlarmi e invece!- raccontava entusiasta.

Alla fine Autume,Laila e Ashley quella sera non parlarono molto, lasciarono fare tutto a Betsy. Tutte e tre avevano avuto una giornata molto stancante e nessuna aveva voglia di dire qualcosa.

Il terzo giorno non ci furono grandi cambiamenti, se non per il fatto che i suoi compagni non ridevano, ma si riferivano a lei chiamandola esclusivamente Heidi. Era frustante, ma alla fine ci fece l'abitudine,in fondo però se tolti gli studenti di quel liceo, la Seymour a Ashley piaceva.

Passò circa un mese così, poi alla fine quei ragazzini viziati si stancarono di prenderla in giro e anche se non erano diventati più gentili, almeno ora la chiamavano con il suo nome. Per quanto riguardava Michelle, Ashley era convinta di essere odiata da lei sempre di più e in questo caso il sentimento era ricambiato. Di relativa importanza, oltre all'ammissione alla Seymour, quel mese avvennero altre due cose:Ashley aveva smesso di avere incubi e sua nonna, dopo mesi che non la sentiva, le telefonò.

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Capitolo 2
*** Il cattivo ragazzo... ***


Non era molto frequente che Amelia Van De Camp telefonasse a una delle sue nipoti. Era sempre troppo occupata con qualche cena di beneficenza o qualche festa dell'alta società, per questo quando Ashley lesse sul display del suo telefonino la parola “nonna” si sorprese molto. Aspettò qualche minuto prima di rispondere e poi dopo aver preso un grosso respirone per farsi coraggio, accettò la chiamata.

-Pronto?-

-Pronto, Ashley... come va? Ho saputo che hai cominciato a frequentare la Seymour?-

Dalla voce, Amelia sembrava piuttosto allegra e accondiscendente, il che poteva significare solamente che voleva chiederle qualcosa che andava oltre la scuola.

-Tutto bene... tu e il nonno, invece?-

-Oh anche noi stiamo bene, volevo chiamarti prima per farti i nostri complimenti, ma qui non c'è mai un momento libero..-

-Oh si ti capisco... anche per me è la stessa cosa... insomma avrei voluto parlarti prima della Seymour, ma poi non ho trovato mai il tempo...-

Dopo quelle domande di rito e quelle risposte false e superficiali, ci fu qualche minuto di silenzio. Era chiaro che Amelia avesse bisogno di qualcosa, ma era anche altrettanto evidente che non sapesse come chiedere. Probabilmente se avesse avuto a che fare con Betsy sarebbe stato più facile, quelle due si capivano alla perfezione, ma con Laila e Ashley era tutta un'altra storia: la prima era troppo determinata a non sopportare il mondo in cui viveva Amelia e la seconda... beh con la seconda non aveva mai avuto un vero rapporto...

-Senti mi chiedevo se oggi dopo la scuola ti andasse di prendere un caffè con me... so che hai molto da studiare, quindi non ti tratterò troppo. C'è una questione importante di cui vorrei parlarti...-

-A me andrebbe anche bene, ma dovrei chiedere a Autume il permesso, sai forse noi due oggi avevamo già un impegno...-

-Devi chiedere a tua zia il permesso di uscire con tua nonna?-

-beh non lo posso mica chiedere alle mie cugine... scusa, battuta idiota... senti la chiamerei io Autume, ma non ho quasi più credito..quindi...-

-va bene, va bene... ci penso io. Immagino tu abbia la macchina, quindi ci vediamo al Karen's alle quattro e mezza. E' a tre isolati da casa mia, non avrai difficoltà a trovarlo-

-ok... allora-

-allora a dopo e niente ritardi per favore-

-va bene-

Da come aveva chiuso la telefonata Amelia doveva essere piuttosto seccata, evidentemente non le andava giù il fatto di dover chiamare sua figlia per poter vedere sua nipote. A Ashley era pure dispiaciuto farla arrabbiare, ma quella era l'unica maniera per saperne qualcosa di più. Aspettò un quarto d'ora e poi chiamò Autume.

-Pronto zia?-

-Oh ma guarda un po' chi c'è al telefono, la mia nipotina preferita che proprio ieri ha ricaricato il telefonino e che proprio oggi si è ritrovata misteriosamente senza più credito. Come è strana la vita, vero Ashley?-

-Oh dai... cerca di capire, era l'unica maniera per saperne di più su questo incontro... che ti ha detto?-

-Beh dopo che per circa dieci mi ha ripetuto una ventina di volte che lei è tua nonna e che io, in quanto tua zia, non posso impedirti di vederla, ha detto che voleva parlarti di una cosa riguardante i tuoi genitori...-

-mmh... ti ha dato qualche informazione in più?-

-no, mi dispiace... era troppo occupata a riattaccarmi il telefono in faccia-

-mi dispiace...-

-oh tranquilla... io e mia madre abbiamo questo tipo di conversazioni da quando io ho formulato la mia prima parola...-

-sei la migliore!-

-lo so cara, lo so... ora però devo chiudere, sono arrivati dei clienti. Ti aspetto a casa voglio sapere tutto dell'incontro-

-ok,ciao!-

Per tutto il pomeriggio, Ashley non fece altro che chiedersi cosa volesse dirle sua nonna sui suoi genitori. Per un po' aveva preso in considerazione la possibilità che ci fosse qualche novità sull'incidente o che magari fosse uscito fuori qualcosa sul patrimonio. Tra i tanti motivi aveva anche pensato che qualcuno dei famigliari di suo padre volesse incontrarla. Magari i suoi zii o i suoi nonni non avevano altri indirizzi se non quelli di Amelia? Steven aveva chiuso i rapporti con i suoi genitori già da prima che Ashley nascesse e lei non aveva mai visto nessuno dei parenti del padre. Era poi un mistero la causa della rottura, quando aveva chiesto qualcosa da piccola tutti sviavano sempre l'argomento e lei alla fine si era arresa.

Non fu così semplice, come Amelia credeva, trovare il Karen's. Ashley dovette fare il giro della zona tre volte prima riuscire ad arrivarci e in più dovette ritardare anche di un quarto d'ora per poter trovare parcheggio. Quando alla fine il cameriere l'accompagnò al tavolo della nonna mancava dieci alle cinque. Amelia non amava i ritardi e questo Ashley lo sapeva bene, per di più doveva essere ancora piuttosto innervosita per la storia di Autume, quindi non la sorpresero né i suoi freddi saluti, né tanto meno il suo comportamento silenzioso. Amelia VanDeCamp, agli occhi di sua nipote, non era mai stato un esempio di gentilezza e dolcezza. Era cortese quando le situazioni lo richiedevano, tagliente quando doveva mortificare qualcuno e sopratutto era sempre rispettosa delle regole. Seduta di fronte a lei, Ashley poteva rivedere nei lineamenti di sua nonna, sua madre: erano quasi del tutto identiche. I capelli scuri e lisci, il naso all'insù, le labbra carnose erano identiche, l'unica cosa in cui differivano erano gli occhi, quelli della nonna quasi neri, mentre quelli della madre di un intenso color nocciola.

-Scusa il ritardo, ma ci ho messo un po' di tempo tra trovare il locale e parcheggio-

-Non fa niente.- lo disse con un tono così duro che a Ashley pareva di farsi ogni minuto più piccola. Abbassò gli occhi per non guardare Amelia, che al contrario era ogni istante più compiaciuta dell'effetto che aveva avuto il suo tono sulla nipote: una piccola, ma a suo parere giusta vendetta. Piuttosto soddisfatta della situazione, dopo qualche momento di imbarazzante silenzio, decise che la punizione potesse pure terminare, così aggiunse che le aveva ordinato una fetta di torta alle fragole e una tazza di thè. Ashley la ringraziò e poi, prendendo un grosso respirone, le chiese il motivo dell'incontro. -Qualche giorno fa ho sentito i parenti di tuo padre e assieme a loro abbiamo deciso che dopo quattro anni, sia arrivato il momento di fare una piccola commemorazione in onore di Micol e Steven-

-Una commemorazione?- non sapeva nemmeno lei cosa dire era così sorpresa che preferì rimanere per qualche minuto zitta.

-Esatto... ho già organizzato tutto e ho mandato gli inviti... ti ho chiamata oggi per chiederti di scrivere qualcosa da dire sui tuoi genitori-

-Cosa?-

-Esatto-

-Hai già spedito gli inviti, senza nemmeno chiedermi se volessi o meno una commemorazione?!

-Beh si, cosa c'è di strano?-

-Sono i miei genitori, prima di organizzare qualsiasi cosa dovevi chiedermi il permesso! Io non la voglio, trovo questa idea assurda quanto è assurdo che i parenti di papà si rifacciano vivi ora, dopo che non sono venuti nemmeno ai funerali! Annulla tutto!-

Amelia non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase, perchè Ashley spinta da una rabbia che nemmeno lei pensava di poter avere le urlò contro.

-Non alzare la voce con me! E poi è già tutto deciso...-

-perchè?! Che senso ha? Tu e il resto dell'allegra comitiva invece di perdere tempo ad organizzare commemorazioni, dovreste chiedere giustizia per i vostri figli! Non hanno trovato ancora l'uomo ubriaco che ha causato l'incidente! Perchè non fate qualcosa per questo?!-

-Quello non dipende da noi!-

-Si invece! siete ricchi,no? quanto ci potreste mettere a trovare qualcuno che indaghi più affondo! Questa è la miglior commemorazione che i miei genitori potrebbero avere: vedere il loro assassino in una cella!-

Amelia la guardò un attimo negli occhi e poi disse semplicemente che avrebbe avvisato la famiglia di Steven che la nipote non era disposta ad aiutarli ad organizzare l'evento, al che Ashley si alzò e se ne andò infuriata.

Mentre loro però erano troppo prese a litigare, buona parte dei clienti del Karen's furono spaventati da un guasto alla luce elettrica: le lampadine si accendevano e si spegnevano da sole. I camerieri controllarono più volte il contatore, che però non aveva alcun problema. Una signora seduta qualche tavolo più in là rispetto ad Ashley e Amelia, le sembrò quasi che quelli sbalzi di corrente dipendessero dalle due donne che discutevano. Più i toni salivano, più il fenomeno si ripeteva velocemente. La signora in questione lo fece notare anche al marito, il quale però ci fece una risata sopra senza dare conto a ciò che diceva la moglie. Certo però entrambi si stupirono quando la luce ricominciò a funzionare normalmente quando la ragazza più giovane se ne andò.

L'oretta che impiegò per ritornare a casa non servì ad Ashley di certo per calmarsi: capiva che aveva esagerato con i toni, ma non si capacitava del perchè i suoi nonni fossero così decisi a voler dare una cena di commemorazione. Non aveva senso a distanza di quattro anni e in più quando nessuno delle due famiglie si era mossa per cercare l'uomo che aveva provocato l'incidente.

Giunta a casa non ebbe nemmeno bisogno di suonare il campanello, che Betsy e Autume sentendo il rumore della macchina avevano già aperto.

-Allora come è andata con la nonna?- chiese Betsy impaziente.

-Male vuole fare una cena di commemorazione per papà e mamma. Ha già organizzato tutto! E' stata persino aiutata dalla famiglia di papà! Vi rendete conto dell'assurdità della cosa? Loro che non sono nemmeno venuti al funerale ora si ricordano di avere un figlio! Ce ipocriti! Falsi! E in più cosa significa fare una cena di commemorazione dopo quattro anni dalla loro morte, quando ancora nessuno sa chi abbia causato l'incidente! E' roba da matti! La nonna ha... ha esagerato!- Ashley si fermò un attimo vedendo che né Betsy e né Autume stavano reagendo nella maniera in cui si aspettava. - Scusate mi spiegate perchè non state inveendo con me in questo momento? Non mi direte che siete d'accordo con Amelia-

-Beh- disse Betsy- non mi sembra l'idea più malvagia del mondo. Lo so che a te fa sempre molto male e di certo prima di organizzare tutto la nonna doveva avvisarti, ma secondo me non te la saresti dovuta prendere così tanto. E' vero non si sa bene come sia successo l'incidente e hai ragione a chiedere giustizia... ma prova... ecco guarda un lato positivo di questa situazione: incontrerai la famiglia di tuo padre e secondo me avvicinarti a loro non potrà che farti bene...-

Ashley rimase in silenzio, ma mentre i minuti scorrevano non poté che dare ragione, seppur a malincuore, a Betsy. Per quanto le dispiacesse ammetterlo, sua cugina non aveva tutti i torti: forse pensandoci con più calma quella cena non sarebbe stata la cosa peggiore del mondo. Certo,però, faceva male dover pensare per un intera serata ai suoi genitori come “morti”. Lo sapeva che non c'erano più. Lo sapeva bene. Però quando si svegliava la mattina e non vedeva sua madre in cucina, non pensava mai che questa mancanza dipendesse dalla morte di Micol. Seppur inconsciamente, nella sua mente, Micol e Steven erano semplicemente lontani, magari per un lungo viaggio. Involontariamente e stupidamente, si accorse ,mentre Betsy parlava, che in verità lei s'aspettava di vedere i suoi genitori entrare da quella porta e una cena di commemorazione significava andare contro questa convinzione.

-Ci penserò- disse semplicemente, mentre sua zia la guardava un po' preoccupata. Sembrava che Betsy volesse aggiungere qualcosa, ma le fu impedito da Laila che entrò proprio in quel momento esultante.

-Salve gente!! allora dovreste venire con me un attimo fuori, ho una sorpresa per voi!-

Betsy la guardò con aria di rimprovero, ma non disse nulla e la seguì in giardino assieme a Ashley e Autume. Laila le portò di fronte al garage, dove aveva lasciato quattro biciclette.

-Delle biciclette? Che ci facciamo scusa con delle biciclette?- chiese Autume.

-Ci pedaliamo!-

-Ma davvero? E io che pensavo di farci un tuffo... andiamo dicci cosa hai in mente...- aggiunse Betsy.

-Sentite... il signor Mosby, quello che si è trasferito in città qualche mese fa e che ha rilevato il supermarket della vecchia signora Swan, avete presente? Ecco lui ha indetto una gara cittadina in bici e chi arriverà primo si aggiudicherà un computer della Apple, l'ultimo modello a essere precisi... ed ecco io desidero quel computer tanto e se noi partecipassimo tutte e quattro avremmo più probabilità di vincerlo! Per favore, per favore!!- ci fu un grande momento di silenzio, in cui tutte guardarono male Laila. A nessuna di loro piaceva fare sport, erano negate e in più erano fermamene convinto che fosse un spreco di tempo.

-Oh Laila ma noi odiamo fare sport! Lo sai!- si lamentò Autume.

-Andiamo mamma ti prego... e' per una buona causa!-

-eh va bene, ti darò una mano, ma questo va ben oltre i doveri di una madre-

-Grazie, sei la migliore. E voi due, siete in vena di fare un po' di carità?- chiese Laila speranzosa.

Ashley e Betsy si guardarono un attimo e poi fecero sì con la testa.

La gara si sarebbe tenuta il sabato successivo per i boschi di Howard . Per quanto non le andasse di parteciparci , Ashley non ci pensò molto, era troppo presa dalla cena di commemorazione e in più da quando era andata via dal Karen's le era iniziata una forte emicrania e due o tre volte quella serata aveva avuto le vertigini. Si addormentò speranzosa di avere un po' di pace ,ma così non fu.

 

-Madre! Madre! Dove siete! Vi prego rispondete!- gridava la ragazza bionda. Non era più nella città in fiamme, si trovava in una specie di sentiero segreto, che doveva conoscere molto bene. Un urlo tremendo la fece tremare tutta: era la madre. Non ci potevano essere dubbi. Corse più veloce che poteva verso la zona da cui credeva fosse venuto l'urlo. Entrò in una stanza grande: al centro una grossa tavola rotonda, sopra di essa un bellissimo ragazzo dagli occhi che sembravano due gemme brillanti.

Il ragazzo stava lì fermo e minaccioso,mentre la guardava affascinato.

-Dov'è la madre?! Rispondimi e ti risparmierò la vita!- disse la ragazza.

-Mi risparmierai la vita?- chiese l'altro ridendo-Tu? Ma guardati stai tremando dalla paura e in più ...io sono più forte di te- disse avvicinandosi a lei.

-Dov'è la madre?-

-E' morta... si è sacrificata per proteggere la città dalle fiamme...-

-Cosa?! Non è possibile...- disse la ragazza più a se stessa che al suo avversario.

-Dispiace anche a me un po'... vorrei aver avuto io il piacere di ucciderla... noi due avevamo qualche conto in sospeso...comunque... come ti chiami?-

-Non è un problema tuo! Sei uno di loro, vero?! Vi si riconosce anche da chilometri di distanza! - gli urlò.

Lui piuttosto seccato, le si avvicinò e prima che lei potesse fare qualcosa, le strinse forte il braccio.

-Come ti chiami?- le ripeté con la voce più minacciosa, ma allo stesso tempo più suadente che avesse mai sentito.

-Celiane-

 

I sogni erano appena ricominciati e Ashley, che per tutto quel mese aveva sperato che non si ripresentassero più, aveva avuto la conferma che ciò non era possibile. Aprì gli occhi lentamente e si preparò per andare a scuola. Aveva degli occhiaie tremende e nemmeno il miglior correttore di Betsy era riuscito a coprirle. Dopo aver fatto colazione con i cereali (quella mattina non aveva voglia di mangiare fuori), ancora mezza assonata , andò a scuola. Un quarto d'ora prima che iniziassero le lezioni, certa che Amelia fosse già sveglia, la chiamò e si scusò per il comportamento del giorno prima. Sua nonna fu poi felicissima di sapere che Ashley era anche disposta a darle una mano per organizzare la cena di commemorazione e che voleva anche il numero dei parenti di Steven per mettersi d'accordo sulle varie cose. Alla fine della telefonata, dal tono che aveva Amelia era facile da capire che fosse la donna più soddisfatta del mondo.

La giornata di scuola non fu troppo noiosa e poiché quel giorno avevano finito l'ora di ginnastica una decina di giorni prima, Ashley decise di dare una sistematina veloce al suo armadietto, che era sempre più sporco e disordinato.

Lo svuotò da tutti i libri e con uno straccio tolse la polvere. Mentre stava però pulendo la parte centrale dell'armadietto, quella che toccava col muro, si accorse che si muoveva. Ancora un po' sorpresa ci diede due leggeri colpi e capì che nascondeva un doppio fondo. Con un po' di difficoltà tolse l'anta dell'armadietto e trovò una specie di tagliere di legno. Lo prese e dopo aver risistemato l'armadietto, lo esaminò con calma. Ci avevano inciso qualcosa sopra, sembrava fosse un codice segreto.Ai lati era bruciacchiato e alcuni dei simboli erano rovinati, nella parte anteriore c'erano incise la lettera “L” e una parola che però era stata in parte cancellata,si leggeva solo “Fen” Se lo mise nello zaino e sempre più decisa a sapere di chi fosse, andò in segreteria. Con un po' di fortuna Mary le avrebbe dato qualche informazione.

-Buongiorno, signora Meyer-

-Buongiorno, cara di cosa hai bisogno?-

-Ecco ho trovato una vecchia collanina nel mio armadietto... e sembrava un vecchio cimelio di famiglia e-

-e quindi volevi sapere chi aveva prima il tuo armadietto, giusto?-

Ashley sorrise timida -Giusto- Era stata una buona idea quella di parlarle della collanina e non del tagliere, non l'avrebbe mai aiutata così tanto per un pezzo di legno. Arrivate alla veneranda età di sessant'anni le donne diventano sempre particolarmente sensibili alle storie di “smarrimento”. Sono migliori di qualsiasi agente della CIA per quanto riguarda il ritrovamento di un cimelio smarrito e Ashley quel pomeriggio puntava proprio a quella peculiarità.

-Ecco... allora il nome della precedente proprietaria è...oh... Sarah Hamilton- disse Mary, rabbuiandosi in viso.

-Perchè ha fatto quella voce? Sarah Hamilton ha cambiato scuola?-

-Sarah è stata ritrovata un anno fa morta affogata...povera ragazza era così dolce e gentile, mi ricordo che veniva sempre qui a salutarmi... Una vera tragedia la sua...-

-Mi dispiace...- rimase zitta per qualche secondo, non sapendo cosa dire. Chi poteva credere che la precedente proprietaria del suo armadietto fosse morta? Non sapeva bene cosa fare, magari quel tagliere non era nemmeno di Sarah e lei avrebbe portato alla sua famiglia qualcosa che non era suo. Cercando di usare tutta la sensibilità del mondo, chiese se aveva il nome degli altri ragazzi a cui era appartenuto l'armadietto. Si sentiva una specie di mostro a fare quella domanda, ma quel tagliere aveva risvegliato in lei una curiosità, che non poteva essere fermata da niente e da nessuno.

-No, il preside ha cambiato gli armadietti due anni fa, quindi...-

-Allora non c'è dubbio è proprio di Sarah... senta, credo che ai suoi genitori possa fare paicere riavere indietro la collanina, ha mica un loro indirizzo? Qualcosa con cui potrei rintracciarli?-

-Oh mi piacerebbe aiutarti, ma Sarah era una ragazza emancipata... pagava i suoi studi qui, grazie ai soldi che le davano i suoi nonni...-

-Oh capisco... beh è un vero peccato... la ringrazio comunque... arrivederci...- Non c'era nessuna possibilità di restituire il tagliere a qualcuno o di scoprire qualcosa in più sulle incisioni. Un po' triste per la sorte e delusa per quel poco che era riuscita a sapere, stava per andarsene quando Mary la richiamò di nuovo.

-Senti, mi ricordo che Sarah qui aveva legato molto con un ragazzo... Derek Brayden, quel tempista... non so se hai presente: sguardo sicuro, capelli scuri e camminata da duro... E' da un anno che quei giorni in cui non salta la scuola finisce sempre nell'ufficio del preside... Magari sei hai fortuna riesci a trovarlo, potrebbe aiutarti... Da quel che ne so io, prima non era un bravo ragazzo...non un tipo solare... quello no... però, ecco non combinava guai...-

-Capisco, Grazie!-

Finalmente una buona notizia. Corse in macchina lì tirò fuori dallo zaino il tagliere e si mise ad osservarlo attentamente: non doveva essere prezioso, eppure Sarah si era premurata di nasconderlo bene. Nessuno doveva trovarlo, quello era chiaro, ma perchè una ragazza emancipata come lei, che viveva da sola doveva nasconderlo proprio nel suo armadietto? Se voleva avere delle risposte doveva parlare con Derek. Il giorno successivo, si svegliò prima, fece velocemente colazione e poi andò direttamente a scuola. Voleva consultare gli annuari della Seymour, per sapere che faccia avesse il famoso Derek. “Sguardo sicuro, capelli scuri e camminata da duro...” non erano delle caratteristiche così speciali e molti degli studenti della scuola, corrispondevano a quelle descrizioni. La foto doveva essere precedente al suo periodo da tempista: aveva una faccia pulita, non da ragazzo della porta accanto, quello no. Lo sguardo era piuttosto duro, ma non sembrava pericoloso, sembrava arrabbiato con il mondo, ma nulla più. Il posto in cui avrebbe avuto più probabilità di incontrarlo era la sala mensa, quindi quel giorno cambiò i suoi piani e non andò in macchina a pranzare.

In ogni liceo, pubblico o privato che sia, gli studenti sono divisi in gruppi e ogni gruppo, a mensa, si siede in un certo tavolo: i secchioni, aveva capito Ashley alla Seymour, si sedevano sempre in fondo a destra, i cattivi in fondo a sinistra, i popolari al centro, gli sportivi vicino ai popolari,gli amanti della tecnologia all'inizio a destra e infine all'inizio a sinistra c'era il club degli scacchi al completo.

Ora, domanda da un milione di dollari, se Derek Brayden era dato dalla segretaria come un futuro, pericoloso criminale, dove si sarebbe seduto?

Facendosi un po' di coraggio, si diresse con falsa sicurezza verso il tavolo dei “cattivi”. Mentre camminava contò che erano circa in sette: tre ragazze e quattro ragazzi. Di loro conosceva solo una ragazza: Roxanne Agron, una ragazza del suo anno a cui aveva prestato un paio di volte la penna. Quando la videro si girarono quasi tutti dalla sua parte, tranne un ragazzo che rimase a fissare fuori dalla finestra , ragazzo, che per inciso, doveva essere proprio Derek.

Il capetto del gruppo, sembrava essere quello seduto al centro. Capelli biondi ,occhi scuri e atteggiamento arrogante. Quelli che avevano notato Ashley, diedero un veloce sguardo anche a lui, per vedere cosa avrebbe fatto.

-Stavo cercando Derek avrei bisogno di parlargli...- disse sfoggiando un falso atteggiamento sicuro.

-Oh hai sentito Derek? Ti stanno cercando... perchè non spieghi mai alle ragazze che è stata un'avventura di una notte... poi lo sai che tocca a me fare la parte del cattivo...- disse il biondino dando una pacca sulla spalla a Derek, che aveva un'espressione apatica. -Comunque- continuò facendo l'occhiolino a Ashley– ti ringrazia per la serata-. Le sue parole fecero sogghignare tutto il gruppo, che guardava l'intrusa con aria divertita.

-Quante risate in questo tavolo! Dei simpaticoni... la battuta che mi è piaciuta di più è quella in cui supponevi che io avessi passato la notte con il tuo amicone, quando è così chiaro che io non passo serate scadenti...- La risposta, che Ashley si preoccupò di non far attendere, zittì tutti i presenti , irritò parecchio il biondino e suscitò l'interesse di Derek a quella conversazione.

-Uh Derek... amico... questa sapeva anche il fatto suo,peccato che tu abbia gusti difficili...-

-Ma come mai invece che Derek da cinque minuti sta parlando il suo amichetto poco intelligente, scusa?-

L'amichetto poco intelligente” si alzò di scatto, piuttosto irritato e più di una persona nella mensa si girò verso la loro parte, curiosa di capire cosa stesse succedendo.

-Perchè non te ne vai?-

-Perchè non ti siedi e stai zitto? Voglio fare qualche domanda a Derek su Sarah Hamilton, non perdere il mio tempo con te...- Detto questo Ashley prese posto davanti a Derek, il quale con la mano fece segno al biondino di calmarsi.

Derek Brayden era il tipico esempio di ragazzo bello e dannato. I capelli castani scuro, gli occhi verdi, il naso perfetto, la bocca seducente...aveva così fascino, che per un attimo,Ashley, persa ad osservarlo, si dimenticò ciò che aveva da chiedergli. Poi imbarazzata cercò di riprendersi e di darsi una calmata.

-Cosa vuoi sapere su Sarah?- le chiese.

-Io ho il suo armadietto e ho trovato un oggetto che le apparteneva... la signora della segreteria, mi ha detto che era in buoni rapporti con i nonni, quindi volevo restituirlo a loro... tu conosci il loro indirizzo?-

-Sarah non aveva buoni rapporti con nessuno dei suoi famigliari e dubito che nel suo armadietto sia rimasto qualcosa, l'ho svuotato io...- disse ormai disinteressato alle parole di Ashley.

-Lo so, ma l'armadietto era provvisto di un doppio fondo...-

-Cosa?! Impossibile... io...-

-lo riconosci?- chiese Ashley mostrandoli il tagliere.

-Ma questo è...- quasi si lanciò bramoso per prenderlo, ma Ashley fu più veloce e lo trasse a sé.

-Sai cosa significhino i simboli?-

-Non saprei... Perchè me lo chiedi?-

-Perchè stavi per fare un triplo axel per prenderlo...-

-Mi ha sorpreso rivederlo tutto qui... comunque... non ho la minima idea di cosa significhino quei simboli e anche se lo sapessi non verrei a dirlo a te- disse duro, guardandola minaccioso.

-Va bene... ho capito... hai almeno l'indirizzo di qualche famigliare di Sarah?-

Sentendo la parola “Famigliare” Derek cambiò espressione e si fece più pallido, poi cercando di ricomporsi, fece cenno di no con la testa. Ashley capì che da lui non avrebbe saputo niente di più e se ne andò.Mentre camminava verso la porta, sentì gli occhi di circa duecento studenti su di se.

Non si era mai sentita così a disagio in vita sua, per di più era anche irritata dal comportamento di Derek. Non che se lo aspettasse gentile, in quella scuola la gentilezza non era mai stata di casa, però non se lo immaginava nemmeno così freddo e brusco. Gli studenti della Seymour le piacevano sempre meno.

Trascorse il resto della pausa pranzo in macchina, guardando attentamente il tagliere per scoprire se ci fosse scritto qualcosa di più, ma non trovò nulla di nuovo. Quando ritornò a casa, dopo aver finito verso le dieci la lezione, le venne in mente che qualche sito internet poteva aver parlato della morte di Sarah. In qualche articolo potevano aver parlato della sua famiglia o di qualsiasi altra cosa che le avrebbe potuto permettere di capire cosa fosse in realtà quella tavola di legno.

Nei primi tre siti che visitò , veniva raccontata solo la vicenda, solo nel quarto trovò qualcosa di più “interessante”: c'erano due foto del ritrovamento del corpo. Sarah aveva corti capelli biondi e il giorno della sua morte indossava una maglia rossa e un paio di jeans neri. La cosa che per prima saltava all'occhio di lei era una voglia a forma di cuore sul polso sinistro, protagonista di una delle foto.

La cosa che però risultava strana in quella vicenda era che in nessun articolo si parlasse dei suoi genitori. Quando una sedicenne muore affogata in un lago, la prima cosa di cui parlano i giornali sono i famigliari, raccontano del loro dolore, della loro sete di giustizia... Sui genitori di Sarah, invece, non c'era assolutamente niente: nessun nome, nessuna foto, nessun piccolo riferimento neanche ai nonni che le pagavano la scuola.

Era vero che la ragazza si era emancipata, ma qualche giornalista aveva pur dovuto fare qualche ricerca sugli Hamilton, no?

Ashley continuò a cercare qualche informazione in altri due siti, ma tutti ripetevano le stesse cose e nessuno permetteva di scoprire qualcosa in più. Alla fine verso le undici, Ashley spense il computer e se ne andò a dormire.

 

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Capitolo 3
*** la F ***


-Oh andiamo Ashley sbrigati, sennò faremo tardi per la gara! Dai! Tutti i concorrenti devono essere in piazza alle nove esatte!-

-Va bene... va bene ora vengo. Ma dobbiamo per forza partecipare tutte e quattro? Insomma i partecipanti sono in tutto venti e hanno quasi tutti sessant'anni...-

-No! Oh andiamo me l'avevi promesso e poi quelli sono sessantenni competitivi!Muoviti!- sbraitò

Ancora un po' assonnata, Ashley salì sulla bici. Autume e Betsy, davanti a lei, avevano la sua stessa faccia: borse sotto gli occhi, occhi socchiusi e naso rosso. Eh no... loro non erano proprio portate per quel genere di cose. Gli sport non li digerivano, erano troppo pigre.

Vedendole in quello stato, Laila spazientita, urlò di muoversi e quando capì che il gruppo non aveva ancora cominciato a pedalare, tirò fuori dalla tasca del suo giacchetto un fischietto che aveva trovato in un pacchetto di patatine. Fischiò più forte che poteva e le altre tre sobbalzarono tutte nello stesso momento.

-Laila, suona ancora quel fischietto e giuro che te lo faccio ingoiare, capito?- la minacciò Betsy, alzando un sopracciglio.

Dopo un battibecco di circa dieci minuti, alla fine partirono. Quando giunsero in piazza, videro che tutti gli altri partecipanti erano già lì. Tutti i vecchietti di Howard erano pronti all'avventura!

Quello che doveva essere il signor Mosby andò davanti alla linea di partenza e fece un discorso di incoraggiamento e poi infine elencò brevemente le regole della gara.

Allo sparo di inizio tutti i ciclisti partirono, dopo circa una trentina di minuti Laila era in testa a tutti ed era molto distante dal resto del gruppo, questo bastò ad Ashley per fermarsi a riposare. Avevano fatto già circa due chilometri per i boschi e il suo fisico poco allenato non ne poteva più. Appoggiò la bici e si sedette sopra una grossa pietra. Non le piaceva un granché stare lì tutta sola, ma pedalare sarebbe stato anche peggio.

Era così rilassante stare lì seduta, sentire il profumo degli abeti e il suono di qualche uccello. Da quanto non passava un po' di tempo all'aria aperta, per i boschi? Probabilmente da quella volta a dodici anni quando andò in campeggio con i suoi genitori. Era stata l'ultima vacanza con loro. Steven era sempre stato un amante della natura, parlava spesso alla figlia le sue estati in campeggio, le raccontava di tutto , dettagliatamente. Voleva che Ashley fosse in grado di potersi immaginarsi qualsiasi cosa, quello era stato il periodo della sua infanzia che più aveva amato o almeno l'unico che la figlia conoscesse. Suo padre non si sbottonava mai troppo quando doveva parlare di se stesso. Ashley aveva sempre provato a saperne qualcosa in più, ma non era mai stata in grado di fargli “confessare” qualcosa. Lei era curiosa: desiderava conoscere i suoi nonni, i suoi zii (doveva averne due da quanto ne sapeva), i suoi cugini (se ne aveva), ma suo padre non le concedeva mai troppe informazioni. Persino sua madre era restia a dirle qualcosa e alla fine quando Ashley si era arresa , tutti avevano fatto un sospiro di sollievo.

Poi i sui genitori erano morti, l'argomento “famiglia paterna” era stato completamente rimosso, loro non si erano presentati ai funerali, non avevano chiamato, non avevano mandato un biglietto, niente. Silenzio. Questo era servito ad Ashley per non volerne più sapere niente. Prima aveva creduto che fosse suo padre ad aver rotto i ponti con la sua famiglia, poi era stato chiaro che era il contrario. Chissà cosa era successo? Chissà perchè loro si erano fatti solamente quando Amelia aveva deciso di fare una cena di commemorazione?Magari sua nonna paterna, l'avrebbe chiamata per chiederle qualcosa, forse dopo tutti quegli anni la signora Halliwell voleva sapere come fosse fatta la nipotina, che non aveva mai visto. C'erano tanti forse e tanti se, l'unica sicurezza era che tra circa un mesetto l'avrebbe incontrata. Chissà se le sarebbe piaciuta? Ashley di lei ora non aveva avuto una buona impressione. Se la immaginava come una donna discreta, di un certo fascino, ma sicuramente molto fredda e altezzosa. Una donna che non perdonava facilmente, una che diceva sempre la sua e che non amava essere contraddetta. Probabilmente, si diceva Ashley, l'aveva stereotipata un po' troppo. In effetti la “sua” Patricia Halliwell ( il nome era sfuggito una volta a Steven) sembrava uscita da un film degli anni cinquanta, ma a cos'altro poteva aggrapparsi lei se non a quello?

Quando Ashley controllò l'ora , notò che aveva perso circa una quarantina di minuti a fantasticare, doveva essere molto lontana dal resto del gruppo e dalle nuvole che c'erano in cielo sembrava dovesse piovere da un momento all'altro. Salì sulla bici e cominciò a pedalare. Se fosse andata un po' più veloce, sarebbe riuscita se non a raggiungere gli altri a diminuire la distanza. Insomma, quanto veloci potevano essere quei vecchietti?

Indubbiamente non erano lenti, si ritrovò a pensare dopo una mezz'ora. Non si sentiva nessun rumore, il gruppo doveva averla distanziata di molto e per di più era iniziato a piovere piuttosto forte. Stava cominciando ad avere freddo e seppure fosse mattina, per quei boschi non c'era molta luce. Cominciava ad avere un po' di paura, voleva ritornare indietro, ma non riusciva a trovare il sentiero da cui erano passati. Il cellulare non prendeva e la bussola si era rotta.

Il terreno era sempre più bagnato ed era diventato difficile pedalare.

Si era persa nei boschi, d'inverno. Ma quanto poteva essere stupida e impedita?

Dopo aver abbandonato la bici da qualche parte, essersi insultata per circa una ventina minuti, riuscì a trovare un posto piuttosto asciutto dove riparasi dalla pioggia. Sembrava una specie di vecchio chalet abbandonato. Le finestre erano sporche, la porta era rotta e dal tetto entrava anche acqua. In quello che doveva essere il salotto c'erano solo due sedie e un tavolino con una gamba rotta. la camera di letto,invece, era stranamente pulita e in ordine. C'erano un letto matrimoniale, due specchi e un grosso armadio. Chiunque fosse il proprietario di quel posto doveva aver spostato i mobili da poco, per terra c'erano rimasti dei segni neri inconfondibili.

Ashley diede una veloce occhiata dentro l'armadio, con un po' di fortuna avrebbe trovato una coperta pulita. Non la trovò, sul fondo c'erano solo libri, piuttosto antichi e maltenuti. Curiosa si mise a leggere qualche titolo, ma erano tutti in latino e non riusciva a tradurre quel che c'era scritto. Che ci facevano dei testi antichi in quel posto dimenticato dal mondo?

Uscì dalla stanza e andò in quella che almeno a ragionamento doveva essere la cucina, solo che non c'era niente che la facesse sembrare tale. Niente forno, niente lavandino, solo un grande camino.... cos'era quella una cucina del cinquecento?

Alzò la testa al soffitto e si accorse che non c'erano lampadari e nemmeno lampadine. Andò in salotto e ritornò in camera da letto, pure lì mancava la luce elettrica. Ma allora cosa stava facendo luce in quel chalet? Cos'era quella la casa degli orrori?

Andò nuovamente in salotto e stavolta guardando con più attenzione, notò che l'unico armadio presente nella stanza, sembrava nascondesse qualcosa dietro di sé. Con una certa difficoltà riuscì a spostarlo. Sulla parete c'era una grande pittura, al centro della quale c'era scritto una frase:

finché le viaggiatrici il miraggio non vedranno nell'ignoranza rimarranno

Da essa si espandevano nel resto del muro come una seria di rami, che convogliavano tutti in quattro braccia umane. Nelle mani di ognuna di esse erano stati poi disegnati i simboli dei quattro elementi naturali: acqua, aria, terra e fuoco.

Ashley fece qualche passo in avanti, quasi istintivamente con la mano sfiorò il segno dell'acqua e quello si illuminò. Sorpresa e spaventata, si ritrasse indietro, ma la luce bianca continuò ad espandersi e la avvolse completamente. Più lei si allontanava più quella aumentava. La stava inseguendo. Ingenuamente mosse le braccia come per liberarsi da quella cosa bianca, ma non funzionò, allora in preda al terrore corse velocemente fuori, lì tutto ritornò normale.

Si girò un ultima volta a vedere lo chalet, sembrava tutto tranquillo, si avvicinò al vetro di una finestra,ma si ritrasse subito sentendo il rumore di un'esplosione. Cadde a terra, inciampando su un ramo, cercò di alzarsi il più velocemente possibile e prese a correre.

Mai in vita sua aveva corso più velocemente di così, non era paragonabile nemmeno a quella volta quando a sette anni il cane dei vicini, un dobermann più grosso di lei, incominciò a rincorrerla.

Alla fine la milza le fece così male che non poté fare a meno di fermarsi. Si appoggiò al tronco di un abete e riprese fiato, girandosi qualche volta a controllare se dietro di lei c'era qualcosa. Era sola.

Dalla paura non aveva fatto nemmeno attenzione alla strada ed ora era più persa e più bagnata di prima. Si alzò, cercando di farsi forza: era stanca, spaventata e nervosa. Voleva semplicemente sdraiarsi sul suo letto. Era tardi ormai, la gara doveva essere finita di un pezzo e lei era lì sola a vagare per quei boschi. Probabilmente stava girando nello stesso posto da circa dieci minuti e nulla riusciva a farle capire se era almeno un po' vicino alla strada per il centro. Si tolse il capotto e la camicia a quadri rossa che aveva messo sopra una maglietta bianca. Strappò la camicia in tante strisce e mentre camminava per il bosco, le legò a qualche ramo degli alberi , così avrebbe saputo che da lì ci era già passata.

Quel metodo che aveva visto in tanti film funzionò: non stava più girando in tondo. Per prima cosa doveva trovare un nuovo posto dove ripararsi, la pioggia aumentava e le sarebbe salita la febbre se non avesse trovato un posto asciutto dove stare.

Dopo altri venti minuti di camminata, finalmente vide una piccola casupola, lì il terreno era molto ripido e bagnato, ma era la sua unica possibilità di salvezza. Incominciò a camminare piano, facendo attenzione a non scivolare.

Piano, molto piano, facendo attenzione, molta attenzione.

Ma non servì a nulla perchè alla fine scivolò lo stesso. Mise il piede su una parte di terreno roccioso ricoperto da qualche piccolo arbusto. Era bagnato e lei non riuscì a trovare nulla a cui tenersi.

Rotolò giù velocemente, non riusciva a fermarsi. Sentì qualcuno che la chiamava, ma il dolore a un braccio e alla testa avevano offuscato tutto. Alla fine non vide più niente, svenne per il dolore e per la paura.

 

-Ashley! Ashley! Andiamo tesoro svegliati!-

Qualcuno stava gridando, sembrava preoccupato.

Doveva svegliarsi, questo urlava.

Con una certa difficoltà aprì gli occhi.

Un uomo di circa sessant'anni le stava tenendo la testa con la mano, accanto a lui Autume e un signore di circa quarantanni.

-Come ti senti? Hai preso una bella botta...- chiese il primo uomo. Non aveva più di cinquantacinque anni, ma ne dimostrava molti di più. Ashley l'aveva visto qualche volta in città, doveva essere una guardia forestale.

Pian piano si alzò e si mise a sedere, il dolore iniziale era completamente scomparso e si sentiva bene, come se non fosse successo niente.

-Sto bene ,grazie- rispose timida

-Ma non è possibile! Ti ho visto rotolare giù per circa quindici metri e... e non hai nemmeno una piccola ferita e-e ti sei messa pure seduta da sola!- esclamò il secondo uomo- che mi prenda un colpo non ho mai visto nulla del genere!-

Ashley guardò confusa sua zia, Autume sembrò non capire e continuò a toccarle i capelli con fare preoccupato.

-Io... io non so... mi sento bene... mi ero persa...ha smesso di piovere... ma guarda!-

-già- riuscì a dire Autume

-Ashley, vero? È meglio portarti in ospedale per fare qualche controllo...-

-ok , però io credo di stare bene...non so bene come, ma non mi sento male... a essere sincera mi sento meglio di prima...-

-Lo so ed è proprio questo che non è normale- disse il secondo uomo, il dottore.

In ospedale le fecero tutti i controlli possibili ed immaginabili, ma a tutti lei risultò stare meglio di una qualsiasi persona che non era rotolata giù per un dirupo. Il dottore mentre leggeva i risultati dei vari test e guardava le tac, si era tolto un paio di volte gli occhiali, guardando i fogli sempre più sorpreso. Non capiva proprio come quella ragazzina potesse stare così bene! Non era normale! Doveva essersi almeno rotta un braccio o una gamba, ma lei niente! Mentre aspettava di potersene andare Autume le spiegò che erano riuscita a ritrovarla grazie alle strisce di camicia e che poi l'avevano vista rotolare giù.

Quando tornò a casa, Betsy e Laila le saltarono quasi addosso, una più preoccupata dell'altra.

-Sto bene... sto bene.... ho solo bisogno di una doccia... sono sporca e puzzo...-

-Oh è tutta colpa mia che ti ho fatta partecipare a questa stupida gara... insomma lo sapevo che negli sport eri impedita....-

-Grazie eh... almeno hai vinto?-

-Oh si! Quei nonni non potevano nulla contro di me!-

-oh fantastico!-

-Ragazze che ne dite se lasciamo Ashley stare per qualche minuto. Si fa una bella doccia e poi appena ha finito continuiamo il nostro interrogatorio- intervenne Autume.

Ashley passò trenta minuti sotto la doccia a pensare a quello che le era successo: lo chalet che si illuminava da solo, la luce quando aveva toccato il simbolo dell'acqua e infine le sue ferite che non c'erano. Da quel che si ricordava prima di svegliarsi lei aveva sentito veramente molto dolore al braccio sinistro, mentre rotolava era sicura di esserselo rotta. Ma che diamine stava succedendo al mondo?

I dipinti non si illuminano e i bracci non guariscono da soli!

Si asciugò lentamente i capelli e poi scese giù in cucina, dopo un “interrogatorio” di circa trenta minuti, in cui omise la parte del chalet. Stanca poi delle tante domanda, disse che aveva bisogno di dormire e andò in camera sua.

 

-Celiane...- ripeté il ragazzo. Sembrava piuttosto pensieroso. Dubbioso. Muoveva il braccio e con la mano disegnava dei cerchi sul braccio della ragazza. Un estraneo avrebbe detto che la stava accarezzando, ma non era così...

Voleva forse ucciderla?

Voleva forse torturarla?

Voleva forse fare entrambe le cose?

Celiane era nervosa, non sapeva cosa fare o meglio lo sapeva, ma il suo corpo non sembrava reagire a nessuno dei suoi stimoli. Era questo il loro potere? Potevano inibire qualsiasi capacità dell'avversario,glielo avevano detto e le avevano anche detto come fare in modo che questo non accadesse. La conosceva la via di salvezza,ma qualcosa le diceva che quella strada in quel momento non era giusta...la voce le ordinava di rimanere ferma. Immobile. Inerme davanti a lui.

Era questa la morte? Lei non lo sapeva. Maledizione era giovane! Aveva sedici anni! . . . e si , certo, glielo avevano detto che la sua vita sarebbe sempre stata in pericolo... ma... ma lei non si era mai immaginata morta così giovane. Voleva vivere! E voleva urlaglielo al suo letale assassino! LEI voleva Vivere! Pretendeva di vivere!

Riuscì solamente a fare un passo indietro.

-Hai paura di me?- le chiese il ragazzo.

-IO VOGLIO VIVERE!- urlò.- E tu non mi ucciderai! Io merito di continuare la mia vita! Me lo merito! Capisci?!-

-Ti faccio così paura? Ai tuoi occhi dovrei essere irresistibile, non... non letale... ma che brava sei riuscita a mantenere una certa lucidità... e brava Celiane- la stava canzonando.

-La madre è morta, cosa ci fai ancora qui?!-

-la mia ricompensa...-

-la tua ricompensa?-

-una fenice.-

 

-No! Non lo fare!Fermo!-

Aprì gli occhi e capì che era solo un sogno. Era a scuola. In classe. Era lunedì, non domenica.

Tutti la stavano osservando divertiti. Tutti quanti.

-Non dovrei forse spiegare algebra, signorina Halliwell?- chiese il professor Lynch, spazientito.

-No, mi scusi... io non volevo...- biascicò imbarazzata.

Se Ashley in quel momento avesse avuto una pala, avrebbe sicuramente cominciato a scavare una fossa in cui nascondersi. Se avesse avuto una pala,però, e lei non ce l'aveva.

-Capisco che lei sia qui da un mese e che sia difficile abituarsi ai ritmi della Seymour... non è di certo una scuola per tutti... e lei è qui solo da un mese... tuttavia non posso far finta che lei stamattina non si sia addormentata in classe. Devo chiederle di andare dal preside, deciderà lui la giusta punizione- disse Lynch sorridendo soddisfatto. Non era esattamente l'insegnate più amato dagli studenti. Un anno gli avevano addirittura rigato la macchina. Ora Ashley capiva il perchè e avrebbe volentieri lasciato anche lei la sua firma sull'auto.

-Professore... mi dispiace io...io sono mortificata... non so come sia potuto succedere... non accadrà mai più... glielo la giuro...-

-Le regole sono regole e io non posso fare altrimenti...-

Ashley si alzò lentamente, prese la sua roba e uscì dalla classe, il più velocemente che poteva. Non le era mai successa una cosa del genere ed era tutto a causa di quei sogni. Quei maledettissimi sogni! Ora la cosa stava veramente degenerando: l'avevano appena mandato dal preside?! Laila, in famiglia, era quella che passava diverse mattinate con il dirigente della scuola, non lei! E per di più era sudata! Terribilmente sudata! Si era così spaventata vedendo quel tizio ( quel bellissimo tizio, a essere sinceri), che stava per uccidere Celiane, che aveva sudato freddo per lei. Le era sembrato tutto così reale, le pareva di esserci anche lei con quei due. Aveva percepito tutto: la paura della ragazza, la pericolosità di lui... era letale.

Lentamente salì tutte le scale che portavano al primo piano. Quegli ultimi giorni erano stati pazzeshi e ora quello!

Quando arrivò all'ufficio del preside vide che c'era una certa fila: un ragazzo era seduto su una sedia fuori ad aspettare di essere “ricevuto”.

-Oh... maledizione... non ci posso credere...- biascicò tra sé.

Doveva aspettare con il biondino della mensa di qualche giorno fa, l'amichetto di Derek di cui non sapeva neanche il nome.

-Ma guarda un po' chi si vede... credevo tu fossi una brava ragazza e invece... sono sempre le migliori che si rovinano per prime...-

-La fai finita... sono qui... per una cavolata-

-Anche io ho cominciato così... e ora sono un ospite abituale di quest'ufficio- disse mentre indicava la targhetta sulla porta.

-Ti costa tanto stare zitto.-

-Solitamente no... ma sei tu che mi ispiri... considerati pure la mia musa-

-Sono onorata...-

-E fai bene ad esserlo!-

Rimasero circa dieci minuti in silenzio. Lui preso ad ascoltare la musica sul suo Ipod e lei occupata a prendersela con il mondo. Alla fine la porta della presidenza si aprì e il signor Hayden uscì con un altro uomo. Lo sconosciuto doveva avere una quarantina d'anni, era un tipo distinto. Uno di quelli di cui ti dimentichi facilmente. L'uomo salutò educatamente il preside e poi diede una veloce occhiata ai due ragazzi che stavano aspettando la loro punizione. Non si soffermò molto sul biondino, ma non poté fare a meno di osservare attentamente Ashley. La stava squadrando con gli occhi, sembrava la conoscesse, ma la ragazza non l'aveva mai visto in tutta la sua vita. Dopo essersi accorto che la sua curiosità nei confronti di quella studentessa stava divenendo chiara agli occhi di tutti i presenti, si girò e se ne andò via ancora un po' scosso. Ashley fece finta di non accorgersi dell'attenzione che le era stata rivolta da quello sconosciuto, ma non riusciva proprio a non domandarsi perchè aveva avuto quello strano comportamento. I suoi pensieri furono interrotti da Hayden che guardava lei un po' deluso e il biondino disperato.

-Immagino che voi due non siate venuti qui per salutarmi, giusto? Signorina Halliwell lei è una sorpresa da queste parti e a solo un mese dalla sua ammissione, che ha combinato?-

Ashley guardò prima il preside e poi il ragazzo accanto a lei imbarazzata e un po' seccata, poi si fece coraggio e rispose. -Mi sono... ecco... mi sono addormentata in classe-

L'amico di Derek cominciò a ridere -oh avevi ragione sai questa è proprio una cavolata! Mai sai qual è la parte divertente? Che è una cavolata imbarazzante per te e... terribilmente divertente per me! Ahahah- disse a bassa voce, in modo tale che potesse sentirlo solo Ashley

-Cooper, tu invece che hai combinato, stavolta?- chiese Hayden.

-Credo che il professor Jenkins non abbia preso molto bene le modifiche che ho fatto alla sua auto...-

-Ovvero?-

-Sa le solite cose: ho tolto qualche ruota, ho aggiunto qualche rigatura... posso assicurarle che la macchina ora ha un aspetto a dir poco meraviglioso...-

-Non ne dubito Cooper. Entrate tutti e due nel mio ufficio, non ho tempo di farvi la ramanzina uno per volta...-

Lo seguirono entrambi dentro, uno divertito e l'altra mortificata.

-Allora cosa mi spetta sta volta? Punizione? Sospensione?- chiese Cooper in tono ironico.

-Tutte e due: due settimane di punizione e due settimane di sospensione. Domani voglio parlare coi suoi genitori. Per quanto riguarda lei signorina Halliwell, farà compagnia al signor Van Drauser in punizione e che non si ripeta mai più una cosa del genere. Ora andate entrambi...-

Ashley si alzò velocemente e uscì subito, Cooper la seguì lentamente. Quella situazione lo divertiva particolarmente. La prima volta che aveva visto quella ragazzina, una settimana fa, aveva capito immediatamente che era la tipica secchiona , un po' acida, che passava il fine settimana sui libri. Lei era la “brava ragazza” e le “ brave ragazze” odiavano andare dal preside. La vedeva camminare velocemente, irritata e imbarazzante e nessuno più di lui era così appagato in quel momento.

-Oh andiamo tesoro, molte ragazze sarebbero onorate di passare con me due settimane... perchè corri?-

Ashley fece finta di non sentire, scese velocemente le scale. Vide l'ora: aveva perso trenta minuti di lezione per quella ramanzina del preside e andare ora in classe sarebbe stato inutile. Prese lo zaino e andò direttamente in macchina, il tempo che mancava al suono della campanella l'avrebbe trascorso lì, magari se avesse avuto un po' di fortuna avrebbe finalmente dormito.

Si sdraiò, ma non riuscì a chiudere occhio: nella sua mente si affollavano le immagini dell'ultimo sogno. Il suo cervello voleva dirle qualcosa. Ma cosa?

Poi una parola, fenice,dove l'aveva già sentita?

Fenice! Fenice! Ma -Certo!- esultò ad alta voce.

Sulla statua della fontana della scuola c'era stata incisa quella parola, l'aveva letto il primo giorno che era venuta alla Seymour. Perchè nei suoi sogni e nella statua della scuola si parlava delle fenici? C'era forse qualche collegamento? Magari era solo una coincidenza, probabilmente la sua mente le stava giocando un brutto scherzo... eppure Celiane sembrava così reale. Tutto ciò che succedeva a quella ragazza sembrava reale. D'altronde non era normale che la sua mente creasse un sogno a puntate... poi Ashley si ricordò di un particolare che non aveva mai considerato: la tavola di Sarah Hamilton.

La prese da sotto il sedile della macchina, dove l'aveva nascosta ed esaminò attentamente la scritta che non si leggeva bene: “ L Fen”. E se Fen fosse Fenice?

Uscì velocemente dalla macchina con il tagliere in mano. Andò davanti alla fontana e confrontò le due scritture: erano identiche.

Per cosa stava la L? Cosa erano le fenici?

Solo una persona poteva risponderle.

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Capitolo 4
*** Orfana ***


Se c'era una cosa che aveva capito di Derek Brayden era che lui, i giorni in cui faceva a tutti il grande onore di andare a scuola, tendeva ad uscire sempre mezz'ora prima delle fine dell'ultima ora, così Ashley dovette fingere di avere un forte mal di pancia che non le permetteva più di continuare a fare ginnastica per poterlo raggiungere. Si sedette comodamente sul cofano della sua auto e lo aspettò lì.

-Cosa vuoi sta volta?- chiese Derek con tono scocciato e alzando gli occhi al cielo.

-Ciao anche a te splendore! Vedo che sei felice di vedermi... comunque ti volevo parlare di una cosa strana che avevo notato proprio oggi. Ti ricordi la scritta fenice sul tagliere di Sarah? Beh non ci crederai mai ma quella stessa parola è incisa anche sulla statua della Seymour, quella della fontanella... hai presente?-

-E allora?-

-Cosa o chi sono le fenici?-

-Rispondi prima tu a una mia domanda... qual è il tuo cognome?-

-Che? Halliwell...-

-Appunto... Perchè una Halliwell viene a farmi questa domanda?-

-Che significa... scusa?-

-Oh andiamo, mi prendi per i fondelli?! Mi credi stupido?! Ti ha mandato nonnina o zietto, qua?-

-Ma che...?-

-Sarah era all'oscuro di tutto, non sa niente né di me e né della Loggia, va bene?! Non so perchè tu abbia trovato la tavola nel suo armadietto... e ora scendi!-

Se i suoi occhi pieni di disprezzo non le avessero fatto così tanto paura, probabilmente gli avrebbe fatto qualche altra domanda, ma scese semplicemente dal cofano e lo vide allontanarsi dal parcheggio come una furia. Cosa c'entravano gli Halliwell con le fenici? E la Loggia? Cos'era una setta? L'unica cosa che ora sapeva in più era che la “ L” incisa stava per Loggia. Derek non le avrebbe più detto niente, a quanto pare l'unica cosa su cui poteva contare era il suo cognome, ma come poteva aiutarlo se lei neanche aveva mai visto sua nonna?

Camminò lentamente fino alla sua macchina e ci entrò, sarebbe rimasta lì fino al suono della campanella e poi sarebbe andata in aula punizioni.

Quando aprì la porta, in classe trovò solo l'insegnate , Cooper non c'era e probabilmente non sarebbe venuto, non che le importasse granché ma soffrire in due e sempre meglio che soffrire da soli. Non poteva fare a meno di pensare alle parole di Derek, se fossero state vere avrebbe voluto dire che Celianè non era stato del tutto frutto della sua fantasia. Anche nei suoi sogni si parlava di fenici, il ragazzo misterioso lo aveva detto chiaramente “voleva una fenice”, ma perchè?

Dopo due ore di punizione spese a pensare solo a quello, uscì da scuola con un mal di testa terribile. Arrivata a casa non riuscì nemmeno a fare la lezione e dopo una notte insonne decise che il giorno dopo non sarebbe andata a scuola, avrebbe recuperato le due ore di punizione un'altra volta. Uscì dalla camera solo per dire ad Autume che non si sentiva bene e poi ritornò a letto.

Semmai qualcuno le avesse permesso di conoscere qualcosa degli Halliwell, non avrebbe mai avuto incubi e non sarebbe stata nemmeno trattata come un idiota da Derek. Insomma quel ragazzino conosceva la sua famiglia e lei no?

Mossa da una rabbia che nemmeno lei sapeva da dove provenisse dopo due ore di autocommiserazione, si tolse il pigiama e si mise la prima maglietta e il primo paio di pantaloni che trovò, prese le chiavi dell'auto e guidò fino ad arrivare a casa di Amelia, lei era l'unica che le avrebbe potuto dare l'indirizzo degli Halliwell. Suonò il campanello tre volte, prima che la cameriera aprisse.

-La signora è in casa?- chiese decisa.

-Si... è in salotto...-

-Perfetto-

Senza aggiungere altro si diresse in salotto, quando sua nonna la vide le andò di traverso il thè che stava bevendo.

-N-no dovresti essere a scuola?-

-Non mi sentivo bene... ho bisogno di dell'indirizzo di Patricia...-

-Che? Ma ti senti bene?-

-Si, mai stata meglio in vita mia... voglio l'indirizzo... d'altronde anche loro sono la mia famiglia, no? Dammi l'indirizzo, so che ce l'hai...-

-Ashley siediti e spiegami cosa è successo, perchè vuoi andare da Patricia?-

-Perchè? I miei compagni di scuola conoscono meglio di me mia nonna... mi sono stufata di fare la figura dell'idiota, ora mi vuoi dare quell'indirizzo si o no? Se non me lo dai tu lo chiedo ad Autume, tanto anche lei lo sa e me lo darà sicuramente... quindi evita di farmi fare la stessa strada quattro volte...-

-Va bene... va bene... ma ti avverto che a Patricia Halliwell non piacciono le improvvisate come la tua...-

Amelia si alzò dal divano e prese un pezzo di foglio dove scrisse l'indirizzo, poi lo diede ad Ashley guardandola bene negli occhi.

-Hai tutto il diritto di conoscerli, ma sappi che ti conviene presentarti nella maniera giusta... loro sono gente molto fredda e molto più attenta di me all'educazione... per quanto sia tua nonna, la prima impressione su di lei sarà importantissima...-

-Va bene... grazie-

Non sapeva che altro dire, così se ne andò il più in fretta possibile. Salì in auto e senza troppe difficoltà riuscì a trovare la villa degli Halliwell. Rimase ad osservarla fuori dai cancelli per più di mezz'ora. La sicurezza che l'aveva portata fino a lì, era andata a pezzi.

La casa bianca e maestosa si ergeva di fronte a lei. Senti un tuffo al cuore. Era lì ,a qualche metro di distanza dalla parte della “famiglia” di cui non sapeva niente. Sentiva i battiti accelerare, era come se la parte del suo sangue che apparteneva a quella casa, si fosse appena svegliata da un lungo letargo e stesse rispondendo al richiamo di quelle mura bianche. Che strana sensazione! Non aveva mai provato nulla del genere. Forse inconsciamente dietro quel cancello,oltre che sua nonna, s'aspettava di trovarci anche suo padre. S'aspettava di trovare Steven. Chiudendo gli occhi, quasi se lo poteva immaginare suo padre da bambino, mentre giocava e correva in quel cortile. Quasi sentiva la sua risata. Continuava a guardare il cancello nero e si chiedeva cosa sarebbe successo se, come le aveva detto Amelia, lei conciata in quella maniera non fosse piaciuta a nessuno dei suoi parenti.

Fece retromarcia e ritornò ad Howard. Salì velocemente in camera sua e cominciò a cercare qualcosa di adatto per presentarsi da Patricia, ma non trovò niente: non ne aveva più di gonne e abiti eleganti. Era sua madre quella che si occupava di comprarle vestiti per le occasioni particolari, lei non si era mai posta il problema. E ora Micol non c'era più. Lei non c'era più.

Se ci fosse stata l'avrebbe aiutata a prepararsi, le avrebbe trovato l'abito giusto, le avrebbe raccolto i capelli in maniera elegante. Perché Micol non era lì? Perché diavolo sua madre non la stava aiutando?!

Era morta, le rispose una vocina arrogante.

Era morta, ripeté lei a bassa voce.

Come persa si sedette per terra e incominciò a piangere. Non le capitava da tanto tempo. Lei non piangeva più, era diventata forte, si ripeteva. Lei ora viveva con Autume e le ragazze, era felice, oramai!

Era felice, urlò. Non servì a niente, continuò a peggiorare. Piangeva e piangeva come una bambina. Si sentiva così sola.

Non sarebbe mai piaciuta a Patricia, lo sapeva. La nonna neanche voleva saperne della nipote e lei stava per suonare al suo campanello... ma che le era saltato in mente? Lei non ne aveva più di legami con loro. Papà e Mamma erano morti e lei non avrebbe ritrovato nessuno dei due dietro i cancelli di villa Halliwell.

Si alzò e si sdraiò in posizione fetale sul letto. Rimase così fino a quando il telefono non cominciò a squillare. Lasciò che suonasse a vuoto per un po', ma poi si stufò di sentire il rumore e rispose.

-Ho chiamato Patricia, mi ha detto che non sei più andata... ti senti bene?-

era Amelia.

-L'hai chiamata?-

-Si, le ho detto che saresti andata da lei... e lei mi ha chiamata circa cinque minuti fa dicendomi che non ti eri fatta vedere... cosa ti ha fermato?-

-Che ti ha risposto quando le hai parlato del mio arrivo?-

-Era sorpresa, ma mi ha detto che te l'avrebbe perdonata quell'improvvisata...-

-mmh...- biascicò

-Non ci vuoi più andare? Che ti prende... eri così decisa...-

-Ma chi sono io per presentarmi da lei in quella maniera... e chi è lei per permettersi di dire che m'avrebbe perdonato l'improvvisata... prima che lei debba perdonarmi qualcosa io devo scusarla della sua assenza negli ultimi sedici anni della mia esistenza...-

-Ashley vuoi che venga lì? Stiamo un po' insieme...-

-No... grazie nonna... preferisco rimanere un po' da sola...-

-Ma-

-Ciao nonna- e riattaccò.

Passò la giornata in camera sua, chiuse a chiave e non aprì nemmeno quando Autume bussò preoccupata. La sentì sedersi vicino alla porta e questo le fece ritornare alla mente quella volta che suo padre non era potuto ritornare in tempo per il suo compleanno da un viaggio di lavoro. Anche quella volta si era sdraiata sul letto e aveva chiuso la porta a chiave. Sua madre l'aveva chiamata più volte e alla fine stanca di rimanere in piedi, si sedette fuori dalla porta. Micol per convincerla ad uscire, le iniziò a raccontare vecchi aneddoti della sua infanzia. Dopo un quarto d'ora speso a parlarsi da dietro a una porta, Ashley aprì e si sedette accanto alla madre. La rabbia e la tristezza passarono. Doveva essere stato il suo decimo compleanno, perchè per gli altri non se la sarebbe mai presa così tanto per l'assenza del padre.

Quel giorno Ashley non uscì dalla sua camera, non servirono a niente neanche le preghiere di sua nonna, che era venuta allarmata dopo la telefonata. Ashley, verso le dieci di sera la sentì dire a sua zia che ritornava a casa e che nel caso fosse uscita di chiamarla. Poi un'oretta dopo sentì Autume andare in camera sua. Le sarebbe piaciuto chiederle scusa per quel comportamento idiota, ma il suo corpo non si muoveva, le sue labbra rimanevano ferme. Nulla più rispondeva ai suoi comandi, solo le sue palpebre che si chiusero e le permisero di addormentarsi.

Quando si svegliò, era ancora tutto buio, accese il cellulare e vide che erano all'incirca le 4 di mattina. Lentamente si alzò dal letto e aprì la porta: sulla soglia c'era un vassoio con quella che doveva essere la cena. Prese il vassoio e scese le scale, voleva riportarlo in cucina e magari mangiare qualcosa lì. Si sedette su una sedia e prese un tramezzino dal piatto. Diede qualche morso e poi non lo toccò più , la sua attenzione fu presa da una luce blu che proveniva dal salotto. Frastornata e sorpresa si alzò e “andò” dalla luce.

Non credeva ai suoi occhi, se non fosse stato per il dolore che sentiva ancora , avrebbe pensare di stare ancora sognando. Una grande sfera azzurra era davanti a lei,simile a quella dello chalet nel bosco.

Spinta da un coraggio che non le era mai appartenuto si avvicinò alla sfera e la toccò. La luce la avvolse e lei non ebbe il tempo di ritirarsi, prima di poter provare ad allontanarsi, si ritrovò nuovamente nello chalet del bosco. Stavolta però non c'erano porte e finestre da cui poter scappare, c'erano solo lei e il muro con la pittura con le quattro braccia e la strana frase. Il suo corpo si mosse nuovamente da solo e con le dita sfiorò il simbolo dell'acqua. Appena la sua pelle fu a contatto il muro freddo, le altre tre braccia che tenevano nella mano gli altri simboli dell'aria, del fuoco e della terra scomparirono assieme al resto del chalet.

Fu circondata dall'acqua, ma non si bagnò.

Subito dopo arrivò il fuoco, ma non si bruciò.

Fu sollevata dall'aria e non cadde giù.

Poi la terra la portò giù e la avvolse, ma lei continuò a respirare.

Infine venne l'acqua nuovamente e le sembrò di nascere una seconda volta.

Chiuse gli occhi e quando gli riaprì si ritrovò sdraiata sul pavimento di casa.

La casa di Micol e Steven Halliwell, quella in cui era nata.

Era pomeriggio e i mobili non erano coperti dalle lenzuola bianche, anzi era tutto come prima. Sentì delle voci provenire dalla cucina. Si alzò di scatto e corse velocemente verso la stanza. C'erano i suoi genitori lì dentro e c'era anche lei, all'età di circa dieci anni.

-Mamma! Papà!-urlò,ma nessuno dei due rispose. Riprovò un'altra volta, ma le sue grida non ebbero risposta nuovamente.

Rimase ad osservarli in silenzio, era strano ma seppure lei lì fosse inutile, nessuno in quel momento poteva essere più felice di lei. Toccò con la mano il viso di sua madre, sentì il suo buonissimo profumo di lavanda, poi andò da sua padre. Lo baciò sulla guancia, come faceva da piccola. Poteva vivere in quella dimensione o in quel sogno (non sapeva bene cosa fosse) per sempre. Il cuore cominciò a battere e le uscì qualche lacrima: mamma e papà erano lì, si disse a bassa voce.

La sua versione da bambina finì la merenda e se ne andò in camera sua, Ashley intanto rimase ad osservare i genitori per qualche altro minuto, quando sentì i suoi piedi bagnarsi. Abbassò gli occhi: il pavimento era bagnato! Alzò nuovamente lo sguardo: Steven non c'era più, era scomparso.

Seduta sulla sua vecchia sedia a dondolo, Micol la stava osservando e stavolta Ashley era sicura che stesse guardando proprio lei.

-Mamma?-

-mio Dio come sei diventata bella...-

-Mamma tu mi vedi?! Tu mi vedi?-

-Ashley... sono così fiera di te... risplendi mia cara, risplendi!-

-Mamma ma che...-

Ashley non ebbe il tempo di finire, un coro di voci femminili aveva preso il pieno possesso di tutta la stanza.

-Risplendi fenice, risplendi!- dicevano.

Improvvisamente le mura della stanza furono attraversate da undici donne bellissime, tutte vestite con elegante mantello bianco ornato sulla vita con delle perle bianche e delle fantasie in oro.

Circondarono Ashley, che nel frattempo era rimasta in silenzio, frastornata da tutti quegli eventi.

Dopo qualche minuto calò il silenzio e le donne che si trovavano di fronte a lei fecero spazio a una dodicesima figura incappucciata. Quest'ultima si scoprì il volto: era Micol ed era vestita come tutte le altre.

Ashley la guardò sorpresa. Micol sorrise per darle coraggio e poi le prese la mano.

-Matriarche! Mie madri! Mie sorelle! Siamo qui oggi per accogliere nella nostra famiglia una nuova fenice! Ashley Charlotte Mayson Halliwell, che possa essere la sua vita piena di coraggio e di felicità!- poi Micol si rivolse alla figlia -Benvenuta figlia mia nella Loggia, che tu possa essere la fenice più splendente-

Ashley che non sapeva bene né cosa dire e né cosa fare, rispose con un timido grazie. Non capiva neanche cosa stesse veramente succedendo, ma qualcosa le diceva che era positivo. Qualche istante dopo, le dodici donne attorno a lei (sua madre compresa) alzarono le braccia in alto e poi le abbassarono, come a indicare Ashley. Una potente luce bianca la avvolse e la sollevò. L 'Acqua la avvolse nuovamente e quando riaprì gli occhi, Ashley si trovò sdraiata sul pavimento del salotto di sua zia: sul suo polso destro, unica prova di quello che era appena successo, il simbolo dell'acqua. Spaventata si alzò velocemente e corse in camera sua. Non credeva nemmeno lei a quello che era successo. Aveva forse sognato per tutto quel tempo?

Guardò l'orologio: non erano passati che dieci minuti da quando si era svegliata. Frastornata e spaventata prese un sonnifero: doveva dormire. Il farmaco ci mise un po' a fare effetto ma alla fine riuscì ad addormentarsi.

Quando si alzò erano all'incirca le nove e mezza. Di andare a scuola non se la sentiva, ma non voleva nemmeno stare a casa da sola, non dopo tutto quello che si era immaginata quella notte. Per essere sicura che la luce celeste e quelle donne erano solo un'invenzione, alzò la manica destra della maglia, sicura che non ci avrebbe trovato niente.

Si sbagliava perchè il simbolo dell'acqua era ben inciso sulla sua pelle. Era tutto vero e quindi lei era una fenice? Ma che cosa assurda...

Prese un grosso respirone e poi con lo sguardo cercò il cellulare : doveva chiamare Autume e dirle che ora stava meglio. Lo vide sulla scrivania e ingenuamente alzò il bracciò come per chiamarlo.

Il telefonino in meno di un secondo fu nella sua mano. 

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Capitolo 5
*** La nuova fenice ***


Non essere mai troppo sicura di quello che sai o di quello che succederà, perchè vedi... la vita è alquanto ironica e proprio quando tu, ti sei creato le tue certezze, lei arriva e come un ciclone spazza via ogni certezza...

Chi glielo aveva detto questo? Suo padre, probabilmente. Lui era il filosofo di casa. Quando c'era un problema, lui l'affrontava sempre con una calma imperturbabile e aveva sempre pronta una delle sue frasi. Le “frasi d' effetto”, le chiamava sua madre.

In quel momento, in cui la vita si era appena fatta gioco delle sue certezze, le sarebbe piaciuto ricordare quando suo padre glielo aveva detto. Ma nonostante tutti gli sforzi lei proprio non si ricordava...

Guardò per qualche altro istante le donne accanto a lei: le loro vesti bianche, esattamente come quelle di Celianè, i loro sguardi incoraggianti e lei, lì con loro, a cercare ancora di capire cosa fosse successo... ma non ci riusciva, eppure lei era una ragazza intelligente (o perlomeno così la definivano i suoi insegnanti), ma perchè non riusciva proprio a comprendere che strada stesse per prendere la sua vita?

Le uniche cose di cui era certa, erano due: primo lei era appena entrata a far parte della legge, secondo lei era una fenice.

15 Giorni Prima

Il telefonino era sempre nella sua mano, sembrava quasi la stesse osservando (o così credeva, era più probabile che lei stesse osservando il suo cellulare alla stessa maniera di un uomo di neanderthal teletrasportato nel ventunesimo secolo). Cercò di darsi un contegno, come se oltre ai muri, alla scrivania e all'armadio, ci fosse qualcuno di sconosciuto che la stava osservando. Si lisciò nervosamente con la mano i capelli, poi sempre con il telefonino in mano si alzò dal letto.

Cosa diavolo era successo?

Ripose il cellulare sopra la scrivania lentamente, poi camminando all'indietro per non perderlo d'occhio, se ne ritornò a letto. Lo osservò per cinque minuti, terrorizzata. Poi la sua stupidità le divenne così evidente che si alzò di getto e lo riprese in mano. Ma cosa poteva mai essere successo? Il cellulare doveva essere sopra il comodino, lei l'aveva preso istintivamente e se ne era dimenticata. Era ovvio, no? Mica si muovevano da soli gli oggetti...

Eppure quello l'aveva fatto.

 

Le disse quella vocina bastarda, che ormai sentiva da qualche giorno.

Decisa però a non ascoltarla se ne andò i bagno e si fece una doccia. Scese in cucina e si preparò qualcosa da mangiare con gli unici tre alimenti su cinque presenti nel frigorifero che non erano ancora scaduti. In casa la spesa non si faceva mai, tanto nessuna di loro sapeva cucinare e si sarebbero comunque ritrovate a dover ordinare qualcosa o ad andare da qualche parte a mangiare.

Velocemente finì la colazione, aveva così fame che pure quel “obbrobrio” che doveva essere la sua gustosa colazione le sembrò delizioso. Una giornata e mezza, quasi due, passata ad autocommiserarsi e tutto, persino ciò che cucinava, le sembrava più buono. Il suo cervello o i suoi sensi (non sapeva bene chi incolpare) erano veramente strani.

Guardò l'orologio : erano all'incirca le dieci e mezza. Che poteva fare? Avrebbe potuto andare da Autume a parlare, ma non aveva una gran voglia di parlare. Poteva chiamare Amelia, ma anche in quell'attività doveva aprire bocca e far uscire la voce...

Mise un boccone in bocca lentamente, il suo stomaco era completamente in subbuglio. Sentiva come una specie di strano formicolio nella pancia, le pareva di avere quelle “farfalline” che sentono gli innamorati. Ma lei non era innamorata. Lei fino a ventiquattro ore prima era cupa e triste, una depressa, in pratica e in quel momento invece si sentiva pervadere da una forza nuova.

Da quando in qua delle farfalline ti facevano sentire la padrona del mondo?

Una giornata passata a piangere, una notte passata a fare strani sogni e lei si immaginava cellulari in grado di teletrasportarsi e farfalle nello stomaco? Magari era giunto il momento di andare a farsi vedere da uno bravo.

In fondo però quella nuova sensazione le piaceva, non si sentiva così viva da un po'. Rinata. Forse era quello il termine giusto.

Quel formicolio, che iniziava dalla punta dei piedi e si concentrava tutto nel suo stomaco, la faceva sentire nuova e piena di vita.

Meno cinica e meno “dolorante”doveva trovare una maniera per scaricare da qualche parte quella strana sensazione che sentiva dentro, quella nuova forza che stava prendendo pienamente controllo del suo corpo. Quell'adrenalina, pensò, doveva essere un specie di segno, uno di quelli che ti mandano qualcuno che ti vuole bene. Magari i suoi genitori erano veramente lì accanto a lei in quel momento e la volevano vedere resistente a tutto. Magari... magari c'era veramente della roba buona nel suo piatto...

Dopo aver guardato per non più di qualche secondo la televisione, decise che quella mattina sarebbe andata alla spiaggia. Voleva sentire il rumore del mare e quel buonissimo profumo.

Da Howard non ci avrebbe impiegato più di mezz'ora e quello sarebbe stato l'unico posto in cui potersene veramente rimanere per i fatti suoi. La sua “ nuova” Ashley sarebbe andata lì.

Si mise velocemente un paio di jeans, una maglia pesante e il capotto, poi prese le chiavi e si diresse verso la macchina. Durante la strada trovò un po' di traffico e la mezz'ora si trasformò in tre quarti d'ora di noia.

Quando arrivò, però, e vide le onde che si infrangevano, ritrovò nuovamente quella stessa forza. Osservò attentamente il paesaggio davanti a sé: l'acqua la stava chiamando. Lo sentiva, lo percepiva. Tutto l'oceano in quel momento, stava ballando per lei. Le stava dando il benvenuto?!

Lentamente si avvicinò alla riva e toccò con le dita l'acqua.

Purificata.

Ecco come si sentiva.

Si tolse le scarpe e il capotto, mantenne solo i jeans e la canottiera. Entrò lentamente in acqua. Tutto ciò era assurdo, mancava meno di una settimana a Natale! Sarebbe morta di freddo!

Lentamente entrò. L'acqua ghiacciata la paralizzò in un attimo, ma poi avvenne qualcosa di impossibile. Il mare si arrampicò lentamente sulle sue gambe. Aveva immerso solo poco i piedi e l'acqua aveva incominciato ad accarezzarla? Le stava dicendo di stare tranquilla, ma lei non ci riusciva. Francamente tutto in quel momento la stava pregando di calmarsi, tutto tranne il suo cervello. Quello le stava chiaramente dicendo qualcosa tipo “Muovi quel culo da lì imbecille o morirai!” Cercò di ritornare indietro,il suo cervello era stato appena licenziato dal resto del corpo. Tutti se ne stavano ampiamente fregando e anzi avevano preso il sopravvento. Continuava a camminare e veniva sempre più sommersa dall'acqua.

Poi i suoi piedi non toccarono più e fu ricoperta del tutto, ma lei respirava.

La miseria, lei respirava!!

Chiuse gli occhi, e quando gli riaprì, non era più sola. Delle ragazze, non molto più grandi di lei, erano nella sua stessa situazione. Tutte sommerse dall'acqua, ma tutte perfettamente in grado di respirare. L' acqua invece di ucciderle, le stava proteggendo. Provò a chiamarle, ma nessuna di loro rispose. In mezzo a tutte comparì, una luce azzurra accecante. Una luce in fondo al mare? Sembrava di essere in un film.

Tutto ritornò normale o almeno quasi tutto tutto, ora anche anche le altre ragazze si erano voltate. Di fronte a loro, la luce aveva lasciato il posto a colei che regnava padrona nei sogni di Ashley : Celianè. Bellissima, la osservava e le sorrideva. I capelli biondi e il viso angelico, la rendevano l'essere più bello che lei avesse mai potuto osservare.

Celianè le fece cenno di avvicinarsi e Ashley obbedì, Celianè le fece cenno di guardare davanti a se e immediatamente una seconda figura comparve. Una ragazza con dei lunghi boccoli corvini e degli occhi verdi, le labbra carnose e rosse la rendevano quasi l'incarnazione stessa della seduzione femminile. La ragazza teneva una corona d'oro con una serie di ramificazioni al centro in cui erano incastonate dei diamanti. Quasi automaticamente, Ashley si abbassò e la corona le fu messa sulla testa. Una luce la avvolse e le sensazioni di invincibilità , l'adrenalina di prima prese nuovamente controllo del corpo di Ashley. Si sentiva l'essere più potente mai esistito, quando in realtà , almeno apparentemente , lei non era cambiata.

Quando la luce finì, si ritrovò sulla spiaggia con addosso tutti i suoi vestiti e le scarpe e i capelli che lei s'aspettava bagnati, completamente asciutti.

L'adrenalina era finita, ora era ritornata ad essere nuovamente se stessa, solo priva di forze, completamente esausta come se avesse appena scalato una montagna. Si sedette sulla sabbia e solo dopo una mezz'oretta, riuscì nuovamente ad alzarsi.

Cos'era successo? Si era forse immaginata tutto? Era forse un sogno, d'altronde non aveva mai preso veramente in considerazione il fatto che Celianè potesse essere vera … e come avrebbe mai tutto esserlo? Tutte le leggi della natura dimostravano che era impossibile che lei stesse rivivendo nei suoi sogni la vita di Celianè... indubbiamente anche quella doveva essere tutta un'invenzione.

-Che stupida che sono, questa storia è tutta una sciocchezza!- esclamò ad alta voce.

Appena finì la frase senti come una piccola scossa provenire dal polso destro. Alzò la manica del cappotto e chiaramente visibile vide inciso sulla sua pelle il segno dell'acqua con accanto la scritta “Fenice”.

Come se fosse un tatuaggio di quelli che si tolgono facilmente, cerco di cancellare anche quel simbolo, ma non era possibile, perchè quel simbolo era apparso solo in quella specie del sogno della sera prima... non poteva essere realtà.

Ma se lo fosse stato? Se sua madre poche ore fa fosse stata veramente accanto a lei? E se lei fosse stata una fenice proprio come le aveva detto?

Fece di no con la testa come a scacciare l'idea, che per quanto assurda e inspiegabile fosse, in fondo le piaceva.

Le piaceva l'idea di poter essere in una qualche maniera “diversa” .

Speciale.

Non erano passati più di cinque minuti da quando era arrivata alla spiaggia, ma sentiva che era il momento di ritornare a casa.

Quando entrò nel vialetto, notò una renault nera parcheggiata proprio davanti all'unico grande abete del giardino di sua zia.

Appena scese dall'auto , la portiera della renault si aprì e uscì una donna di circa sessantacinque anni. Ben vestita, distinta. La versione femminile di suo padre.

Patricia Halliwell era davanti a lei e la stava squadrando.

 

Si sentì una deficente, perchè non sapeva assolutamente cosa dirle. Doveva salutarla? Se si come? Era da escludere un “ehila bella, come ti butta?!”,ma poteva provare con un buongiorno, ma le sembrava troppo formale e un ciao invece era troppo confidenziale. Magari avrebbe potuto evitare i saluti e dire semplicemente “Ero così curiosa di conoscerti”, ma in quel caso sarebbe sembrata una deficiente desiderosa di affetto (eh si, forse un pochinino lo era, ma solo un pochinino!) e non voleva. Sicuramente a Patricia dovevano piacere le persone forti, quelle che ti dicono le cose in faccia, quelle decise insomma, quindi forse sarebbe stato meglio un “Piacere di conoscerti”, ma lei non era quel tipo di ragazza e probabilmente sarebbe sembrata una cretina che si finge dura. No... niente andava bene...

-E quindi pensi di continuare a stare lì a guardarmi o credi che prima o poi il tuo grazioso cervellino ti ricorderà qualche regola di buona educazione e mi farai entrare in casa?- disse Patricia interrompendo i suoi pensieri.

Quello indubbiamente non era indubbiamente un modo gentile per iniziare una relazione, ma cavoli che stile! Pensò Ashley. Forse doveva imparare anche lei a essere così fredda, Derek magari le avrebbe dato qualche risposta in più...

-Allora... sei sorda?!- continuò spazientita la cara nonnina.

-No... entr-

non finì la frase: le venne in mente in che condizioni aveva lasciato la casa quando se ne era andato, era un porcile.

-Perchè non andiamo a bere qualcosa fuori... Howard è una piccolissima città, si gira a piedi facilmente e c'è un ristorantino in cui fanno dei piatti buonissimo e considerando l'ora direi che sarebbe perfetto...eh?-

-Non ho voglia di camminare-

-Non hai voglia di camminare, eh? Beh in tal caso nessuno ci impedisce di entrare... Però quel ristorantino è davvero ottimo!-

Patricia la fulminò con gli occhi e Ashley non ebbe altra scelta se non quella di aprire lentamente la porta di casa , accompagnarla in salotto e fare finta di non vedere i suoi sguardi di muta condanna quando vedeva vestiti e tutti sparsi per casa. Patricia si sedette sulla poltrona con la faccia di una che voleva chiamare la disinfestazione, una sua smorfia di disgusto fece sprofondare completamente sul divano Ashley.

-E un pochino in disordine...-

-Già un pochino... beh.... ti faccio subito la domanda per cui sono qui, non voglio perdere più tempo... come diavolo hai fatto a rovinare in meno di una mattinata l' ottima reputazione che noi Halliwell ci siamo costruiti in più di tre secoli?-

Lo disse in una maniera così tranquilla che Ashley in un primo momento pensò stesse scherzando, infatti la guardò come per dirle di continuare, quella battuta le era stata chiara e l'aveva trovata anche abbastanza divertente. Poi quando Patricia si fece ancora più scura in volta, capì che quello non era uno scherzo.

-Io non saprei...-

-Non lo sai? Ma certo che non lo sai... voi giovani non sapete mai niente! Mi riferisco al rito di iniziazione! Come ti sei permessa di diventare una fenice, così?! Come diavolo hai fatto a battezzarti da sola?! Te la insegnato tua madre,vero?! Lei è sempre stata una maestra in questo...-

-Fenice? Mia madre?! Lei non mi ha insegnato niente... e poi mi spieghi cosa sono queste fenici... ne parlati tutti quanti e tutti quanti pensate che io sappia, quando io invece non so niente!-

Patricia si era alzata e si muoveva nervosamente in tutta la stanza per cercare di calmarsi.

-Non sai cosa siano le fenici?! Alza le maniche della tua maglietta, troverai su uno dei due polsi il simbolo dell'acqua, sei la nuova fenice dell'acqua... e il tuo compito è quello di proteggere e guidare il prescelto dell'acqua...-

-Eh?- Ashley non ebbe bisogno di alzare le maniche della maglia, sapeva già quel segno c'era, solo che non capiva ancora bene che la sua vita stava per cambiare completamente.

-Comunque bellissimo spettacolo! Bella iniziazione! Alcuni l'hanno definita la più bella iniziazione degli ultimi cinquant'anni... ma che diavolo ti è saltato in mente?! Tu non puoi essere una fenice! Hai perso quel diritto quando quella poco di buono di tua madre e quel ingenuotto di mio figlio hanno deciso di lasciare la Loggia!-

Ashley non aveva capito nemmeno metà del discorso che aveva fatto Patricia, aveva compreso solo la parte degli insulti ai suoi genitori e quello le era bastato per arrabbiarsi.

-Non si permetta neanche di chiamare mia madre poco di buono e mio padre ingenuotto! Ha capito? Non si azzardi! Loro erano i migliori! E nemmeno il fatto di essere una donna fredda e piuttosto idiota le può permettere di offenderli! E ora se ne vada! Fuori da questa casa! Non me ne frega nulla della Loggia o delle ultime cavolate che ha detto fin'ora! Se ne vada!-

Mentre parlava, la strana sensazione che aveva provato poche ore prima si manifestò nuovamente, ma più potente e ancora più travolgente. Sentiva il suo corpo completamente elettrizzato, una nuova entità si era completamente impossessata di lei. Mentre urlava con Patricia non era nemmeno lei, le pareva di stare vedendo un film, in cui l'unico contatto che poteva avere ancora con il suo defunto padre una ragazzina di sedici anni era una donna fredda e cattiva, che mai l'avrebbe potuta amare.

-Cosa?!-

-Se ne vada? Non ha sentito,forse?!-

-C.. come ti permetti?-

-Ma lei è davvero sorda! Prenda la sua stupida borsa di pelle nera, il suo cappotto ed esca da questa casa!- mentre glielo urlava prese i suddetti oggetti e glieli mise fra la mani.

-Ascoltami molto attentamente ragazzina, perchè questa è l'ultima volta che te lo ripeto: forse ora sarai anche una fenice, ma rimani sempre e comunque figlia di una donna che è sempre valsa poca!-

VALSA POCO”

Probabilmente furono quelle parole che causarono il temporale peggiore della storia di Howard.

La pioggia non permise a Patricia di ritornare a casa prima di quattro ore passate da sola in un ristorantino che cucinava dei piatti deliziosi ( quel giorno la signora Halliwell non potè gustarseli a pieno sfortunatamente)...

I giorni successivi fu un susseguirsi di situazioni strane: quando ritornò alla Seymour , metà degli studenti la osservava curioso mentre camminava. In diversi la uccidevano con lo sguardo, ma qualcuno invece la guardava orgoglioso come se lei avesse appena vinto una battaglia.

Le pareva che almeno la metà del corpo studentesco sapesse qualcosa di lei, tipo un segreto che solo a pochi era permesso conoscere, ma di cui a nessuno era permesso parlare. Il fatto che però le fece seriamente capire che qualcosa era cambiato e che un segreto c'era veramente, fu quando tra la terza e la quarta ora dell'ultimo giorno prima delle vacanze, Derek Brayden la spinse dentro il bagno dei ragazzi.

Una rabbia ceca nei suoi occhi, la fece completamente andare nel panico.

-E' così, quindi? L'hai fatto apposta? Cosa hai capito di Sarah? Cosa sai su Rebecca?!-

-Io... non lo so...-

-La nuova fenice dell'acqua... l'hai fatto apposta vero?-

La Nuova Fenice Dell'Acqua sono parole queste che in un'intera vita si sentono raramente insieme e in quell'ordine.

Acqua è una parola che qualsiasi essere umano dice e sente molto spesso.

Ma Fenice? E' un termine che puoi leggere su qualche libro di mitologia o magari, se sei un appassionato, nei libri di Harry Potter. Era lì che Ashley l'aveva sentito nominare la prima volta: ”Harry Potter e L'Ordine della Fenice”, che bel titolo per il quinto libro aveva pensato. Che animale bellissimo si era detta quando aveva letto cosa era.

La prima volta che aveva sentito quella parola aveva all'incirca dieci e ora a distanza di sei anni tutti non facevano che ripeterle che lei era “La Nuova Fenice Dell'Acqua”. Buffo tutti sapevano il significato di quella parola e lei, la diretta interessata, era l'unica all'oscuro di tutto.

Spinse via da se con tutta la forza che aveva Derek.

-Mi avete stufati tutti! Ma cosa diavolo è una fenice per voi?! Continuate a ripetermelo! A brontolarmi! Senza capire che io non ho la più pallida idea di quello che voi state dicendo!!-

-Tu davvero non sai niente?- chiese confuso.

-No! E non mi dire di chiedere a nonnina o zietto, perchè nonnina è un mostro e zietto non l'ho mai visto in vita mia.... e poi se anche chiedessi a loro non mi darebbero nessuna risposta dato che io sono qualcosa di simile “alla nipote inesistente”-

-Mi dispiace... cosa ho fatto... io devo andare, scusa!-

Derek raccolse velocemente la borsa che aveva buttato sul pavimento con noncuranza e uscì velocemente dal bagno, la sciandola sola.

Cos'era una Fenice, Ashley lo scoprì solamente quando la donna più bella che mai lei avesse visto si presentò il giorno di Natale davanti alla sua porta.

Il vestito bianco e i capelli d'oro, rendevano quella donna simile ad un angelo, ma probabilmente Lizbeth Whitecastle era un angelo.

Lei era la madre Fenice.

Cos'erano le Fenici? Probabilmente le donne più potenti mai esistite.

PRESENTE

Ora Ashley era seduta su un'antica sedia di legno pregiato mentre le veniva racconta la storia delle sue origini.

La storia delle più grandi combattenti donne, la storia delle Fenici.

 

 

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Capitolo 6
*** La Loggia ***


-Prima che il mondo fosse abitato dagli uomini, la Terra era lo scenario della guerra tra le creature del bene e del male, potentissimi e bellissimi esseri che si scontravano fra loro senza mai darsi pace. Questi esseri traevano i loro poteri dalla natura: acqua, aria, fuoco e terra.

Il mondo era completamente nel caos, nessuna delle due forze riusciva a prevalere sull'altra, la rivalità e l'odio aumentavano sempre di più. Gli scontri erano sempre più sanguinosi, senza pietà i due eserciti del bene e del male si scontravano ogni giorno e ogni giorno i morti e i feriti aumentavano.

Un giorno, mentre le due parti erano allo stremo delle forze, dal nulla comparve una creatura mai vista prima: non era né bene né. Non aveva volto, nè sensazioni, era privo di tutto. Il bene e il male per lui erano uguali; non c'era differenza tra la cosa giusta e quella sbagliata. Tutto per lui era uguale, nulla aveva valore.

Lui era il vuoto e niente poteva essere peggio del vuoto. Le creature del bene e del male, però, a quel tempo non lo sapevano: vedevano in lui qualcosa di potente da poter sfruttare contro l'altro e così il vuoto li ingannò. Lentamente prosciugava le forze dei due schieramenti e diveniva sempre più forte: l'acqua, l'aria, il fuoco e la terra si indebolivano sempre di più. Il mondo stava cadendo in rovina e coloro a cui apparteneva non se ne accorgevano, si indebolivano e credevano di essere più forti, perdevano la loro vitalità ed erano convinti di essere più vivi.

Il vuoto si stava impossessando di tutto fino a quando un giorno i massimi capi del bene e del male presero coscienza di ciò che stava accadendo e decisero di allearsi, quella fu probabilmente la battaglia più difficile che avessero affrontato, il vuoto fu rinchiuso in un potente specchio magico e degli essere che prima erano stati bene e male rimase solo l'essenza.

La situazione rimase così per molto tempo, sino a quando cinquecento anni fa il male riprese ad avere una forma. Il mondo divenne spietato: gli uomini, che prima venivano influenzate sia dal bene che dal male, divennero dei terribili assassini.

Gli esseri del male avevano ottenuto il loro mondo ideale: niente coscienza, nessuna pietà o cognizione di cosa fosse giusto o sbagliato. Nessuna provava dolore vedendo un famigliare morto a terra. Nessuno. Né le madri e né i padri.

Ma poi, come sempre succede, nacquero quattro bambine speciali: nel loro cuore era presente quel bene, che per tanto tempo era rimasto inerme a guardare lo scempio. E così lo scontro tra ciò che è bene e ciò che è male ricominciò, ma stavolta il prezzo era più alto: si decidevano le sorti dell'umanità.

Le bambine crescendo divennero sempre più coscienti dei loro poteri : ognuna di loro poteva manovrare uno dei quattro elementi, proprio come le creature del bene anticamente, e ognuna di loro era più potente di mille esseri del male, in loro era racchiuso tutto.

Loro iniziarono a far ricordare agli uomini cosa voleva dire tenere a qualcuno, avere fede e speranza. Fecero riscoprire il confine tra la felicità e il dolore, il giusto e lo sbagliato.

L'uomo ridivenne uomo e la terra non era più sporca del sangue di innocenti, ma una guerra che non riguardava più il genere umano ricominciò: tra bene e male la tregua era cessata.

Le quattro prescelte del bene passarono i loro poteri alle loro figlie e le loro figlie, a loro volta, alle proprie figlie, creando, in questa maniera, la congrega delle Fenici, le combattenti più forti mai esistite.

Quattrocento anni fa i più grandi nemici delle fenici furono gli Ancelchi o Prescelti, che comandati dal loro capo Zagaria riuscirono a mettere a ferro e fuoco il Wuldren, la roccaforte delle Fenici. Gli Ancelchi erano combattenti molto simili alle Fenici. Come loro traevano i poteri dai quattro elementi. Gli scontri con questo popolo furono tra i più sanguinosi e cessarono solo quando il figlio di Zagaria, nato da una relazione con una umana, riuscì a portare dalla parte del bene buona parte degli Ancelchi e grazie alle Fenici riuscì a sconfiggere il padre e gli ultimi a lui rimasti fedeli.

Il figlio di Zagaria era un essere buono, aveva conosciuto l'amore di una madre ed il bene più puro. Grazie alla sua conversione e da quella dei suoi uomini , le Fenici si unirono con i Prescelti creando la Loggia. Oggi, ogni vent'anni, i quattro elementi i scelgono quattro persone tra le Fenici e quattro tra i Prescelti, che entrando in piena simbiosi con l'acqua, l'aria, la terra e il fuoco possano proteggere la Loggia dai nemici. Questa è la nostra storia ed ora è anche la tua, Ashley.-

 

La sua storia... le aveva procurato un brivido lungo tutta la schiena quella frase. Non la storia del bene contro il male o degli Ancelchi, no. Solo quella frase. Era da un po' che lei non aveva più una storia. Insomma, aveva un passato, certo, ma era così doloroso che non amava ricordarlo. La sua storia, specialmente dopo la ricaduta dell'ultima settimana, era diventata per lei un tabù. E ora, proprio nel momento in cui cercava di non avere più una storia, qualcuno o qualcosa entrava nella sua vita e le proponeva un nuovo passato, delle origini nuove, più eroiche.

-Anche i tuoi genitori facevano parte della Loggia: tua madre era la Fenice dell'acqua e tuo padre il Prescelto del Fuoco- aggiunse la signora dai corti capelli rossi, che aveva parlato fino a quel momento.

Le sue nuove origine scomparvero in un attimo. Anche i suoi genitori si erano ritrovati in quella stanza prima di lei? Magari si erano seduti anche sulla sua stessa sedia o magari anche loro erano spaventati all'idea di essere stati prescelti da un elemento? Il suo cuore cominciò a battere forte. Ecco che la sua piccola ossessione, che non le dava scampo da un po' si ripresentava ancora più forte. Aveva il bisogno incessante di sapere come erano stati i suoi genitori, cosa avevano pensato quando si erano ritrovati lì. Probabilmente, se non si fosse sentita così imbarazzata davanti a quelle donne, che la osservavano attentamente, l'avrebbe anche chiesto alla signora dai capelli rossi.

-E... e io ora cosa dovrei fare?- Chiese fissando le scarpe.

-I nuovi Prescelti e le nuove Fenici erano stati scelte l'anno scorso, ma la Fenice dell'acqua è morta qualche mese dopo aver accettato la carica per questo tu sei stata scelta dall'acqua... Ora a te spetta imparare a controllare ad usare i tuoi poteri e stare al passo con gli altri sette ragazzi-

- in che senso l'altra prescelta aveva accettato la carica?-

-Solitamente si può scegliere se diventare o meno una fenice protettrice... nel tuo caso la scelta è stata fatta nello stesso momento in cui sei stata incoronata-

-Incoronata?... Io non.. come è morta l'altra fenice?-

Sentì lo sguardo di disapprovazione di tutte le donne presenti nella stanza. La donna dai capelli rossi la fulminò mentalmente. Quello che doveva essere un semplice pensiero, era appena uscito dalla sue labbra. Imbarazzata abbassò la testa.

-Nell'acqua. Quando hai respirato quel giorno nell'acqua la tua incoronazione ha avuto inizio e.... Rebecca è morta suicida-

-Oh... mi dispiace tanto...-

Non ebbe il tempo di scusarsi che la porta della stanza si aprì. Un uomo di quarant'anni entrò sconvolto. Tutte quando lo videro rimasero in silenzio, come in segno di rispetto per qualcosa. Lui nel frattempo incurante di qualsiasi cosa, si avvicinò con passo svelto verso Ashley e si inginocchiò davanti a lei nella stessa maniera in cui si inginocchia un uomo che ha appena perso la più grande guerra della sua vita. La osservava attentamente sempre più sconvolto, con le lacrime agli occhi, qualche volta abbassava la testa come a dirsi che non era possibile. LizBeth, che nel frattempo era entrata nella stanza, si avvicinò a lui e gli mise una mano sulla spalla. Gli disse dolcemente di alzarsi e di andare a con lei. Lo chiamò James.

James come un bambino mosse la testa a destra e a sinistra per dirle di no e poi, dopo essersi sistemato quasi meccanicamente la giacca beige sgualcita, avvicinò lentamente la sua mano al viso di Ashley, ripetendosi a bassa voce che non era possibile. La stava per toccare, quando improvvisamente ritrasse la mano indietro e rimase fermo ad osservarla. Cercava nel viso di Ashley quello di un'altra persona. Era un padre, un padre che aveva appena perso l'ultima speranza di poter vedere ancora sua figlia viva. Rebecca, la sua Rebecca dicevano che si fosse suicidata. L'avevano trovata priva di vita con le vene tagliate nella sua vasca. Lui era stato il secondo a vederla in quella pozza di sangue, ma non si era mai dato pace. Rebecca non aveva motivi per uccidersi, si era ripetuto, lui era sicuro che prima o poi lei sarebbe entrata dalla porta di casa e l'avrebbe abbracciato. Per un anno si era convinto che il corpo ritrovato in quel bagno era frutto di una magia, che Rebecca stava scappando da qualcosa e che una volta salva sarebbe ritornata. Ciò che gli permetteva di essere così certo delle sue convinzioni era proprio l'assenza di una nuova fenice dell'acqua. Se la sua Rebecca fosse morta veramente, l'acqua avrebbe scelto qualcuno.

Per più di trecentosessantacinque giorni era stato così, poi aveva visto l'inaspettata incoronazione di quella ragazza e lui era completamente, definitivamente morto assieme alla sua bambina. Ora era lì davanti a quella ragazzina, che lo guardava sorpresa e terrorizzata e capiva quanto fosse stato folle per tutto quel tempo. Capiva,anche, quanto male facesse quella verità. Ora capiva tutto tranne una cosa: perchè sua figlia non c'era più?

Perché?

Gli occhi gli si appannarono, stava piangendo. Aveva 45 anni e l'ultima volta che aveva pianto aveva avuto undici anni, sua madre aveva buttato la sua collezione di fumetti. Ora qualcuno aveva gettato via tutto le sue sensazioni. Non sentiva niente, per quanto ne sapeva lui poteva anche essere anche morto: non sentiva più il suo battito del cuore. Cosa ci faceva in quella stanza? Terrorizzare una ragazzina non era da lui. Ma oramai di lui cosa era rimasto? Lentamente, si alzò, rimase un altro po' in silenzio e poi spinto più dalla situazione che da vero interesse chiese se la moretta davanti a lui era la nuova fenice dell'acqua. Come se non la sapesse già. La consapevolezza della realtà l'aveva già massacrato.

-Lei è la nuova Fenice dell'acqua?- chiese alle persone dietro di lui. La donna dai capelli rossi gli disse di si.

-Quindi la mia Rebecca non c'è più?- fu un sussurro, lo disse così piano che Ashley pensava che oltre a lei non lo potesse aver sentito nessun altro.

-No, James... mi dispiace- fu sempre la donna dai capelli rossi a rispondere.

-Ti dispiace?... e perchè mai? E' mia figlia quella morta, non la tua...-

Gli occhi di quell'uomo erano due pozzi neri pieni di dolore, Ashley gli avrebbe voluto dire qualcosa, ma non riusciva ad aprire bocca: ogni muscolo e ogni terminazione nervosa del suo corpo era come ghiacciate. Non poteva fare niente, solo osservare la scena come spettatore. Rebecca. Era la terza volta che sentiva quel nome e ogni volta era stata una persona diversa a pronunciarla. Rebecca era la vecchia fenice dell'acqua. Chissà come doveva sentirsi quel padre vedendo una sconosciuta che prendeva il posto di sua figlia. Lei non era nessuno eppure la sua presenza lì aveva appena dato la conferma ad un uomo che la sua bambina non era più lì. Ashley era colei che aveva il compito rimpiazzare la fenice morta e magari ci sarebbe riuscita anche bene, ma chi avrebbe rimpiazzato nel cuore di quel uomo sua figlia? Probabilmente, pensò, doveva sentirsi nello stesso modo di quando, aprendo la porta di casa le avevano detto che non aveva più una mamma e un papà.

-I-io...- provò a parlare, ma fu peggio, perchè tutta l'attenzione ritornò su di lei. le due pozze nere la guardavano.

Fece un grosso respirone per calmarsi.

-So come si sente... non ho mai perso una figlia, ma ho perso i miei genitori... io conosco il suo dolore... è da quando ho dodici anni che accompagna la mia vita.... e per quanto possa valere, mi dispiace per sua figlia-

-Ti assomiglia un po' sai, siete alte uguali e anche lei è dolce in viso come te, però è un pochino più magra di te... Ma questo a te non deve importare... tu sei solo la certezza che lei non c'è più...-

Detto quello si asciugò gli occhi e lentamente si incamminò fuori dalla stanza seguito da LizBeth, che richiuse lentamente la porta.

Ci fu silenzio per qualche minuto.

Poi Ashley si sentì autorizzata ad andare via o meglio l'autorizzazione se la diede da sola, ma nessuno si lamentò o disse niente, quindi salutò e chiuse la porta.

Fuori seduta su una sedia trovò Autume che la osservava preoccuppata.

-Che è successo?-

-Io credo di dover andare in bagno? Sai se ce ne è uno qui?-

-l'ultima volta che sono venuta qui ovvero vent'anni fa era l'ultima porta a sinistra alla fine del corridoio-

-Grazie-

corse velocemente verso il bagno, non riusciva più a trattenere i conati di vomito. Era stato troppo. Quel uomo l'aveva sconvolta. Ricordava il volto di James. Le due pozze nere.

Quegli occhi erano tremendi, non riusciva a dimenticarli e più provava a cancellare quell'uomo dalla sua mente, più si sentiva sporca e più vomitava.

Si sentì tirare i capelli indietro da Autume.

-Che cosa hai?! Cos'è successo lì dentro?- le chiese

-Quell'uomo... hai visto l'uomo che è uscito poco prima di me dalla stanza?!-

-si -

-Era il padre della ragazza che era Fenice dell'acqua prima di me. Sua figlia è morta-

-Oh...-

Lentamente cercò di riprendere il controllo del suo corpo.

-Cosa ti hanno detto là dentro?-

-Sai benissimo cosa mi hanno detto o non saresti qui... tu sai già cos'è una fenice vero?-

-Si... tua nonna lo era, tua madre... io e tua zia siamo delle anomalie... siamo le uniche che non abbiamo manifestato poteri-

-Addirittura? Cavoli...-

-Eh già... come ti senti...-

-Non saprei... in pratica là dentro mi hanno rivelato di essere qualcosa tra un X-men e Superman... chissà se anche le fenici hanno la loro kriptonite verde... -

-L'hai presa abbastanza bene vedo-

-Poteva andarmi peggio in effetti... beh almeno so perchè Patricia voleva mandarmi all'altro mondo quel giorno-

-Già... lo sai che lei doveva essere dentro quella stanza oggi? Anche Amelia...-

-Davvero? E perchè?-

-Halliwell e Van deCamp sono tra la famiglie più antiche della congrega, una delle prime fenici era una Van deCamp. Solo che un'iniziata, secondo la tradizione, non deve sapere le sue origini da una di famiglia. A me, tua madre e tua zia ce l'ha raccontò Rachel deFray... me lo ricordo come se fosse ieri-

-Wow-

-Anche io dissi la stessa cosa : Wow....- rimase un attimo in silenzio, immersa nei suoi ricordi -Andiamo a casa?- aggiunse, dopo

-Ok... Betsy e Laila sanno qualcosa?-

-Alla fine sono stata costretta a raccontare tutto...-

-E la tradizione?-

-Al diavolo le tradizione... Rachel deFray è una strega-

-Rachel aveva i capelli rossi e corti?-

-Si-

-Hai proprio ragione... ha quasi spaventato anche me... ma questo edificio qual è?-

chiese rialzandosi da terra e andando al lavandino per sciacquarsi il viso.

-Questo è ciò che rimane dell'antico Wuldren... in pratica qui passerai la maggior parte del tempo-

-Questo posto ha i lavandini d'oro-

-lo so io accompagnava tua madre qui solo per quelli-

-Wow-

rimasero qualche minuto a fissarsi negli occhi in silenzio.

-Hai paura?- chiese Autume,mettendosi i capelli dietro l'orecchio.

-Credo di si... mi sento un po' vuota o meglio non sento niente. Non sono sorpresa, non sono spaventata, non sono niente.-

-E' normale, credo tu sia ancora un po' sotto shock... hai appena scoperto di avere dei poteri e tutto il resto, datti tempo e vedrai che i sentimenti arriveranno e si manifesteranno tutti insieme...-

-Probabile... Andiamo a casa?- chiese guardando il pavimento.

Ritornata a casa, andò direttamente in camera sua per evitare tutte le domande di Laila e Betsy. Meglio la loro rabbia domani che le domande in quell'istante. Si aspettava da un momento all'altro una telefonata di Amelia, quindi spense il telefono e si sdraiò sul letto. Senza nemmeno accorgersene in meno di qualche minuto si addormentò profondamente...

 

-CELIANE! CELIANE!- il ragazzo stava urlando da più di mezz'ora. Celianè era scomparsa improvvisamente. Un attimo prima era accanto a lui e poi non c'era più. L'aveva cercata da per tutto, ma lei era scomparsa, sembrava quasi essersi dissolta nell'aria are.

Ma perchè era scappata? Non riusciva a smettersi di chiederlo. Lui non le aveva fatto niente, non l'aveva sfiorata nemmeno con un dito. La sua ricompensa, la sua Fenice, l'aveva risparmiata ed era chiaro che non le avrebbe fatto del male.

-CELIANE!- gridò più forte stavolta, più disperato.

Era chiaro oramai che lei l'aveva abbandonato.

Ferito in ciò che erroneamente credeva essere orgoglio, ritornò dentro la vecchia capanna abbandonata dove si erano rifugiati qualche giorno prima e rivide quel letto che aveva ancora il suo profumo.

Lei lo aveva ingannato! L'aveva sedotto e poi se ne era andata! Voleva fuggire e ci era riuscita.

Che sciocco era stato. Un imbecille.

Si era fatto abbindolare da una Fenice... come aveva potuto?

Prese con forza la camicia bianca da terra e se la mise addosso. Era rimasta lì dalla sera prima, non si era preoccupato di indossarla per andarla a cercare.

Velocemente rimise apposto il letto e se ne andò.

Lui l'avrebbe ritrovata. Sicuramente.

Nulla potevo fermarlo e quando l'avrebbe trovata, finalmente avrebbe avuto una fenice, la fenice.

 

 

Ashley si svegliò di colpo. Era sudata e arrabbiata. Fosse stato per lei avrebbe distrutto tutti gli oggetti della sua camera.

Era una rabbia nera, che non le apparteneva. Era del ragazzo dei sogni, solo lui poteva provare tutta quella rabbia. Lentamente si alzò dal letto e aprì la finestra per prendere un po' d'aria, aveva bisogno di svegliarsi da quel sogno.

Rimase a guardare le stelle per qualche minuto, fino a quando non vide una luce provenire dal boschetto vicino casa. Compariva e scompariva a intervalli precisi. Incuriosita, si mise velocemente la vestaglia da notte e cercando di fare il minor rumore possibile, uscì dalla camera. Fece le scale e cercò di aprire e chiudere silenziosamente la porta d'ingresso.

Appena fu fuori, si pentì amaramente della sua curiosità: fuori si gelava e lei indossava solamente una vestaglia. Lentamente e pure un po' spaventata seguì la luce, era così luminosa che non aveva avuto bisogno di portarsi nemmeno una torcia.

Seguendo la luce si ritrovò in una radura non molto distante da casa sua, dove lei e Betsy amavano rifugiarsi nelle giornate molto calde d'estate. La luce, quando arrivò, si rivelo una specie di torcia d'argento che emetteva una forte luce gialla. Non era fuoco, sembrava più un artificio creato dall'uomo. Lentamente si avvicinò alla torcia, era così curiosa di prenderla in mano. Quando stava per prenderla però una voce maschile glielo impedì.

-Non ti consiglierei di toccarla, ti bruceresti... solo gli Ancelchi o le fenici del fuoco possono toccarlo-

Ashley si girò verso la direzione da cui proveniva la voce: sette persone la stavano osservate. Erano tutti vestiti alla stessa maniera: mantelli bianchi con rifiniture in oro che li coprivano fino in fondo ai piedi e infine delle maschere bianche, che ricordavano molto quelle di Venezia, con decorazione in argento.

-E voi chi siete?-

-Indovina- gli disse il ragazzo ironico.

Non ebbe nemmeno il tempo di capire cosa fosse successo che le sette figure davanti a lei scomparvero e ricomparirono in cerchio intorno a lei.

-Ancelchi mostratevi!- disse sempre la voce maschile

-Fenici mostratevi!- disse una voce femminile.

In contemporanea i sette ragazzi si tolsero le maschere e Ashley conobbe finalmente i prescelti dai quattro elementi.






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