Revenge

di Akil
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


«Dove hai intenzione di andare?».
«Non lo so. A nord, forse».
«Cosa farai?»
«Mi fermerò a riflettere. Magari costruirò un castello. Ne avrò tutto il tempo».
«Per quanto starai via?».
«Finché il mondo non mi sembrerà un posto meno detestabile».
Eragon annuì guardando Murtagh negli occhi.
«Devo andare», disse infine il moro.
 «Sii prudente».
«Anche tu... Fratello».
Il Cavaliere rifletté su quella parola. Sorrise. «Fratello», ripeté. D’istinto lo abbracciò. Un abbraccio forte che esprimeva la tristezza che entrambi provavano nel doversi separare dal familiare appena ritrovato.
«Abbi cura di te e di Saphira», lo salutò Murtagh staccandosi e mettendogli una mano sulla spalla. Poi si voltò e montò in sella a Castigo. «Addio, Eragon». Il drago rosso e il suo Cavaliere presero il volo, verso nord. In poco tempo non furono più visibili agli occhi del ragazzo.
Si voltò verso Saphira. Negli occhi della dragonessa lesse tutto il dolore che albergava nella sua anima, quel dolore specchio del suo.
Le ho promesso che l’avrei tenuta sempre al sicuro, disse pieno di nostalgia. Ad Alagaësia non lo potrebbe mai essere.
Cosa pensi di fare allora? gli domandò la sua compagna.
Eragon sorrise.
 
«Quindi vuoi venire con me?»
«Sì. Ti chiedo solo di fermarci in alcuni luoghi. Devo assolutamente risolvere delle questioni».
Murtagh assentì. Era felice: finalmente avrebbe riavuto la sua famiglia, quella famiglia che per colpa di suo padre, Morzan, non aveva potuto avere.
«Certamente. L’importante è non rimanere qui troppo a lungo».
«Tranquillo. Una settimana al massimo, considerando un viaggio piuttosto rilassato».
«Perfetto».
Detto questo, i due fratelli ripresero il volo.
Andarono a Vroengard, nella Rocca di Kuthian, e prelevarono le uova e gli ultimi Eldunarí. Murtagh rimase sconvolto dal male che l’isola sprigionava. Ma fu nulla in confronto alle duecentoquarantatré uova che da cento anni erano nascoste al mondo nella Volta delle Anime.
«Strabiliante, vero?», disse Eragon.
«Incredibile. Resistere a Galbatorix per un secolo! Chi l’avrebbe mai potuto immaginare?».
Il Cavaliere blu sorrise. Anche lui aveva avuto la stessa reazione. In realtà era rimasto stupito dal fatto che Murtagh potesse accedere alla Volta, ma Umaroth gli aveva spiegato che ormai lui non era più una minaccia, anzi, un altro Cavaliere esperto sarebbe stato solo d’aiuto.
Eragon, lo chiamò il compagno di Vrael. Siamo tutti d’accordo sul dover lasciare Alagaësia, poiché non è più il luogo adatto a noi. Ma non puoi portare solo noi. Molti dei nostri fratelli, per troppo tempo sono rimasti schiavi del Distruttore di Uova. Non possiamo abbandonarli.
Il ragazzo annuì. «Certamente, solo... non ho intenzione di tornare tra i Varden e gli Elfi. Credo sarebbe meno doloroso se andassi via e basta».
Eseguirai l’incantesimo che Arya usò per mandare a Brom l’uovo di Saphira. Userai la nostra energia, se ci riposiamo a dovere, dovrebbe bastare.
«Già che ci sei, prendi le armi», suggerì Murtagh.
Il fratello lo guardò curioso, e anche i draghi gli mandarono pensieri interrogativi.
«Nel Palazzo, sotto all’armeria c’è una sala segreta. Lì sono custodite tutti gli armamenti dei Cavalieri periti per mano di Galbatorix e dei Rinnegati. Spade, selle e armature incantate. Fattura elfica, senza alcun dubbio», spiegò. «Se vogliamo formare un nuovo Ordine, ci tornerebbero piuttosto utili».
Eragon assentì e si preparò per dormire. La magia che permeava la Volta, la magia dei Draghi, era così benefica in mezzo a tutto quel male, che avevano deciso di rimanere lì per la notte.
All’improvviso un particolare gli saltò in mente. «E il terzo uovo? Quello in possesso di Galbatorix. Devo...»
No, lo interruppe Umaroth. Sentiamo la volontà del cucciolo. Ha trovato il suo compagno, o meglio, compagna in Arya figlia di Islanzadi.
«Non ci seguirebbe», ammise il ragazzo, gli occhi tristi.
È un elfo, la razza prima di tutto. Era stato Glaedr a parlare. Era dalla partenza che non lo faceva. Eragon e Saphira se ne rallegrarono.
No, è vero. Ma non possiamo lasciare un Cavaliere senza qualcuno che gli insegni. Le manderemo Cuaroc perché la guidi.
L’uomo con la testa di drago, involucro dell’Eldunarí a guardia delle uova, annuì alle parole del compagno di Vrael.
Eragon annuì, addolorato di dover lasciare la sua amata elfa. Lo aveva sempre saputo, in realtà, ma sentirne parlare rendeva tutto imminente e reale. Però ormai lui aveva scelto. E aveva scelto la sua famiglia.
 
Tre giorni dopo erano di nuovo sul continente. Eragon e Saphira indicavano la strada. Stavano sorvolando le cime alberate della Grande Dorsale, nei pressi di Carvahall, quando una radura si aprì sotto di loro. Era grande abbastanza per due draghi non troppo antichi, perfettamente rotonda, un piccolo ruscello limpido la attraversava.
La casupola quasi non si vedeva, tanto era in sintonia con il paesaggio. Piccola, ma non dall’aspetto decadente, anzi, il legno ricoperto di edera, di colore così vivo, creava una visione piuttosto pittoresca e quasi... curata.
Saphira sorvolò la radura in cerchio, perdendo sempre più quota fino ad atterrare esattamente di fronte alla casa. Castigo e Murtagh li seguirono.
Smontati, i due Cavalieri si avvicinarono alla porta. Eragon bussò con forza. Tre colpi ben calibrati al centro dello spesso legno. Grazie al loro udito acuto sentirono i passi cascanti e aritmici di una persona che si avvicinava all’ingresso. Due chiavistelli sbloccati e la porta si spalancò rivelando una vecchia donna dai capelli bianchi, gli occhi scuri e profonde rughe a segnarle il viso. Il suo sguardo attento passò in rassegna i volti dei due giovani. Arrivò poi sui corpi e lì si soffermò a guardare il braccio destro di Eragon. Un nastrino di seta azzurra, legato al polso del Cavaliere, aveva attratto la sua attenzione. La vecchia riportò i suoi occhi in quelli del ragazzo.
«Eragon, immagino», disse dopo un po’ con voce roca, tipica di chi non parla da diverso tempo.
Il Cavaliere annuì semplicemente.
«E il tuo compagno chi è?».
«Murtagh, mio fratello». La vecchia gli lanciò un’occhiataccia, poi li fece entrare.
«Venite, è di qua». Li condusse nella stanza di fianco. Era tutta impolverata, tranne che per una porzione di pavimento che era completamente pulita. Di fianco a questa un tappeto dall’aria pesante stava mezzo piegato.
«Una botola», dedusse Murtagh osservando la vecchia donna cercare di spostare le assi di legno. Eragon la aiutava.
Sotto di loro si aprì un buco buio, dove s’intravedevano i primi pioli di una scala.
«Brisingr», sussurrò il Cavaliere di Castigo. Una fiamma rossa si accese fluttuante nell’aria, andando ad illuminare la stanza sotterranea.
Lentamente scesero ritrovandosi in un locale grande, freddo e umido. Oltre al fuoco magico, l’unica fonte di luce erano le pulsanti braci di un piccolo focolare che ormai andavano completamente spegnendosi. Murtagh aumentò il flusso di magia, così da ingrandire la fiamma rossa. Finalmente tutta la camera era visibile.
Non fece in tempo ad appoggiare il primo piede sul pavimento che, il moro, sentì una grande pressione contro le sue difese fisiche. D’istinto le intensificò, allontanando la minaccia che colpì qualcosa con un forte tonfo. Murtagh si girò di scatto, Zar’roc tesa all’attacco. Gli ci volle qualche secondo per distinguere la forma di un bambino, forse neanche di dieci anni, che velocemente cercava di rialzarsi, il respiro affannoso e una spranga di metallo stretta in mano. Gli colava del sangue dal naso, probabilmente per colpa del contrattacco. Un ciuffo di capelli neri come l’ebano, copriva parte degli occhi verdi chiari, quasi azzurri, decisi. Lo vide prepararsi, pronto a caricare nuovamente.
Il Cavaliere sorrise, rinfoderando subito la spada rossa. Modellò le sue difese in modo che gli coprissero solo il torace e tese una mano avanti.
Forse il bambino, troppo concentrato nel volerlo attaccare, non se ne accorse e non si accorse neanche del suo sorrisetto sfrontato. Fatto sta che iniziò a correre per quei pochi metri che li separavano, la spranga pronta ad abbattersi sul corpo dello sconosciuto. Una mano guantata sulla fronte, però, bloccò ogni suo proposito di attacco.
Murtagh si ritrovò a pensare che, se la vittima fosse stata una persona normale e non un mago o un Cavaliere, probabilmente avrebbe anche causato diversi danni. Ridacchiando, gli prese la spranga con la mano libera.
Fu improvviso: il suo piccolo avversario si allontanò di scatto, cambiando bersaglio.
Eragon, appoggiato allo stipite di una porta, guardava qualcosa attentamente. Si mordeva le labbra e i suoi occhi erano pieni di tormento. E, quasi invisibile, un leggero bagliore azzurrino avvolgeva la mano sinistra del Cavaliere.
Il bambino corse verso il ragazzo e incominciò a colpirlo ripetutamente con dei pugni. Eragon non faceva una piega, incantato da ciò che c’era nella stanza.
«Via da lei!», urlava il bambino. «Non avvicinarti! Stalle lontano». Quando poi, il Cavaliere di Saphira, mosse un passo oltre la soglia della camera, le urla si tramutarono in strilli isterici.
«Basta, ragazzino», lo riprese la vecchia. «Sono quelli che aspettavamo. La devono prendere».
Il moretto la guardò sconvolto. «No! Non possono loro...».
«Lei è loro. Ora vai nell’angolo». Il bambino tirò un ultimo pugno ad Eragon e poi si allontanò. Si sedette in un cantone vicino, le ginocchia al petto e gli occhi puntati sui due sconosciuti.
Murtagh si avvicinò al fratello, sbirciando nella stanza. Era spoglia, c’erano solo un piccolo specchio, una cassa panca chiusa e un giaciglio di paglia con un cuscino di stracci. Spostò il fuoco magico nel locale illuminandolo meglio. Si stupì nel vedere un fagotto avvolto nelle coperte sul pagliericcio. Una bambina di forse due anni, dormiva placidamente, il pollice in bocca.
Guardò Eragon riprendersi dallo stato di torpore che lo attanagliava e avvicinarsi alla piccola. Sorrideva, ma sembrava triste, notò. Lo vide allungare una mano e lasciare una leggera carezza su quel volto innocente.
«Sei uguale a lei», sussurrò. Forse fu un effetto della luce, ma a Murtagh parve proprio che una lacrima solitaria solcasse il viso del fratello.
Lentamente la piccola aprì gli occhi. Grigi. Al Cavaliere ricordavano qualcuno, ma non riuscì a capire chi.
Quello sguardo innocente si puntò in quello dell’Ammazzaspettri. Si aprirono entrambi in un sorriso. La bimba tese le mani come a voler essere presa in braccio. Eragon non esitò. Visti così vicini, si notavano tutte le somiglianze tra quei due. A parte gli occhi erano uguali.
«Identica. Nessuno dubiterebbe che tu sia sua figlia», le disse emozionato.
«E nessuno dubiterebbe che tu sia suo padre», aggiunse Murtagh avvicinandosi.
Il fratello lo guardò malinconico. Il Cavaliere si accorse che veramente c’era stata quella lacrima. «Non sono suo padre», disse semplicemente tornando a rivolgersi alla bambina che reclamava le sue attenzioni.
Stettero in silenzio per un po’, poi Eragon la girò verso l’altro. «Guarda, tesoro, questo qui è Murtagh, mio fratello. Murtagh, questa principessa bellissima è Nadja figlia di Aylins».
Le prese la mano e vi depose un lieve bacio. Nadja fece un risolino, poi, però tornò a rifugiarsi dietro al collo di Eragon.
«Però... siete così simili. Sei proprio sicuro di non esserne il padre?»
Il Cavaliere di Saphira arrossì. «Diciamo che sarebbe impossibile, adesso, che io sia padre... Ti spiegherò tutto durante il viaggio, d’accordo?».
Murtagh assentì, ma un pensiero lo colse all’improvviso. «Aspetta... ‘Sarebbe impossibile’, vuoi dire che tu...».
L’altro diventò porpora. «Sì, mai. Ora che lo sai ti prego di sorvolare, grazie».
Il moro scoppiò a ridere. «Sì, scusa è che... Tra i Varden non c’era nessuna che ti volesse? Eppure eri il grande Cavaliere!».
«MURTAGH!».
Per tutta risposta, questi, rise con più forza.
 
Stavano uscendo. La bambina non aveva niente a parte alcuni stracci spacciati per vestiti, perciò Eragon aveva solo dovuto aspettare che suo fratello si calmasse. Aveva lasciato una saccoccia di venti monete d’oro alla vecchia signora, come ringraziamento. I suoi occhi si erano illuminati nel vederle.
Erano vicini ai draghi, in procinto di montarvi, quando un urlo, «Aspettate!», li bloccò.
Il bambino si avvicinò correndo, non aveva nessuna spranga questa volta, ma la donna continuava a sgridarlo.
«Vi prego, signore», disse appena raggiunse Saphira, non sembrava intimorito dall’enorme dragonessa. «Concedetemi di salutarla», implorò. Eragon, intenerito, annuì lasciando che Nadja gli si avvicinasse.
«Addio, Nana», le disse inginocchiandosi per arrivare alla sua altezza.
«Ciao, Lo», rispose la piccola, sbilanciandosi per posare un piccolo bacio sulla guancia del bambino.
Il Cavaliere sorrise, quel momento gli ricordava tanto... no, non doveva più pensarci. Vide Lo, alzarsi il volto innocente rigato dalle lacrime. Per Eragon fu troppo. Gli posò una mano sulla spalla, delicatamente. I loro occhi si incontrarono e, per un secondo, il ragazzo vi vide la stessa luce, la stessa determinazione, e anche un po’ del dolore dei suoi. In quel momento prese una decisione. Saphira fu d’accordo, ma probabilmente anche se non lo fosse stata, non avrebbe fatto differenza.
«Come ti chiami?», gli chiese.
«Logan».
«Logan», ripeté. «Figlio di...?».
«Di nessuno». La risposta sembrava sforzata. Eragon se ne chiese il perché.
«Capisco. Quanti anni hai, Logan?».
«Sette».
«Sembri più grande. Perché sei qui?».
Prima che il bambino potesse rispondere, la vecchia signora intervenne: «Credo sia scappato. Circa un mese fa è arrivato qua, denutrito, sporco e con il corpo pieno di ferite. Non ha voluto dirmi niente».
Il Cavaliere annuì. «Vuoi tornare dalla tua famiglia?», domandò tornando a rivolgersi a Logan.
Il bambino scosse con forza il capo. «Non ho una famiglia, io», rispose con rabbia.
Solo a quel punto Murtagh capì le intenzioni del fratello. Eragon, non...
Probabilmente i suoi genitori sono morti in guerra, lo interruppe l’altro. Dannazione, Murtagh! Ha sette anni ed è già solo. Non possiamo lasciarlo qui.
Il moro sbuffò e, ancora un po’ contrario, diede il suo consenso.
«TI faccio una proposta, allora».
Logan guardò il compagno di Saphira sospettoso.
«Vieni con me e mio fratello. Baderemo a te, starai al sicuro, ti insegneremo a difenderti e forse ti mostreremo qualche trucchetto».
Il bambino era titubante. «Qual è la fregatura?», chiese. «C’è sempre una fregatura».
«Non pensi di essere un po’ piccolo per pensare questo? In ogni caso, nessuna fregatura. Forse, l’unica... ce ne andremo via da Alagaësia, forse per sempre».
Gli occhi di Logan brillarono. «Via? Per sempre?». Era incredulo, ma in modo... positivo. Si aprì in un grande sorriso. «Accetto». Strinse la mano al Cavaliere con entusiasmo. Si bloccò all’improvviso. «Aspettate... io non so il vostro nome, signore», disse imbarazzato.
Il ragazzo rise e gli scompigliò i capelli. «Eragon, io sono Eragon».



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Salve.
Sono Akil, ed è da un po' che questa idea mi frullava in mente, perciò dopo molta indecisione ho deciso di pubblicarla.
Vi confesso che ho in mente bene i primi 2/3 capitoli, qualche spezzone centrale e la fine, ma mi mancano alcuni passaggi fondamentali per lo sviluppo della trama (che ho già definita). Ma confido nella mia immaginazione.
Vi posso dire di aspettarvi diversi colpi di scena (o perlomeno a me sembrano tali, cercate di non smontarmi, grazie =D).

Avvertitemi se vedete errori nel testo, frasi che non vi sembrano scorrevoli e via dicendo, così posso rivederle.

Spero in qualche recensione.
Ciao,
Akil

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


«Signore e signori, umani, elfi, nani, Urgali e Cavalieri, benvenuti alla ventisettesima edizione degli Urgralkshad, i Giochi degli Urgali». La voce, amplificata grazie ad un incantesimo, risuonò per tutta l’Arena. «Lo svolgimento sarà lo stesso: le gare di velocità, forza, destrezza e agilità si susseguiranno in contemporanea ai tornei di combattimento. Ci sono quattro Tornei, ognuno per una specialità: mani nude, armi miste, magia e spada. Le Gare si terranno nell’Arena Bianca, i Tornei, invece, qui nell’Arena Rossa».
«Non pensate che siano nomi un po’ ridicoli? Giochi degli Urgali, Arena Bianca, Arena Rossa e via dicendo?», chiese un ragazzo mascherato, seduto nello spogliatoio del Torneo di Spada. Vicino a lui altre tre persone con il volto celato. Dalle corporature sembravano due uomini e una ragazza.
Erano tutti in attesa di essere chiamati alla Protezione, un passaggio obbligatorio per partecipare ai Tornei. Un mago della Gilda era incaricato di imporre tre incantesimi su ogni concorrente: uno sul corpo come difesa, un altro sulla spada per smussarla e renderla sensibile alla barriera, un terzo era un giuramento nell’Antica Lingua che impediva al combattente di usare la magia per tutta la durata del suo Torneo.
«Hanno tutti una motivazione», rispose una donna dai lunghi capelli corvini e gli occhi di smeraldo. Le orecchie a punta e il viso affilato la inquadravano quale elfa. «Mi stupisco che tu non le conosca».
«Sono cresciuto nel Deserto di Hadarac», disse il ragazzo a mo’ di spiegazione.
L’elfa annuì. In quella terra di nessuno era difficile la diffusione delle informazioni. Inoltre il giovane, nonostante il volto celato, sembrava avere non più di diciotto anni, troppo pochi. «Immagino tu sappia la storia di Galbatorix».
«Il tirannico imperatore che per un secolo governò Alagaësia?».
«Esatto. Prima della Guerra dei Varden, quella che trent’anni fa lo depose, gli Urgali dimostravano la loro forza distruggendo villaggi umani. Durante la Guerra erano troppo impegnati a combattere, ma quando questa finì, c’era il terrore che potessero ricominciare. Il Cavaliere che aveva guidato la rivolta consigliò loro di istituire questi Giochi. Fu l’ultima volta che Alagaësia lo vide.
Tre anni dopo inaugurarono quest’Arena. Era una sola, ma difatti, esistevano solo i Tornei ed erano aperti solo agli Urgali. Questi si annoiarono nel combattere solo contro i loro simili, perciò la seconda edizione fu aperta a tutte le altre razze. Successe durante l’incontro finale delle armi miste, non c’era ancora la Protezione e uno dei finalisti venne ucciso durante lo scontro. Da allora fu usata sabbia rossa dentro all’Arena, per ricordare il sangue versato inutilmente».
«Come si chiamava il Cavaliere? E perché scomparve?», domandò la ragazza mascherata, di fianco al giovane. Vicino a loro, uno dei due uomini si irrigidì.
«Non lo sapete? Era Eragon Ammazzaspettri, Cavaliere di Saphira. E nessuno seppe mai perché se ne andò». Forse fu solo una loro impressione, ma la voce dell’elfa assunse un tono triste quando pronunciò quel nome. «Invece, voi due come vi chiamate?».
Il ragazzo sorrise sotto la maschera. «I nomi possono essere molto potenti e pericolosi. In ogni caso puoi chiamarmi Black. La mia amica è Nay e quei due uomini sono Vrangr e Sundavr».
«Tortuoso e Ombra. Nomi del Potere e piuttosto inconsueti».
«Nomi giusti per chi ha dovuto combattere in ogni momento e per chi ormai non ha altro che ombre intorno a sé, Arya Dröttining», rispose quello che Black aveva indicato come Sundavr.
Prima che l’elfa potesse rispondere, una voce la chiamò alla Protezione.
 
Affondo, parata, risposta, parata. Nay e Black danzavano nell’Arena. Affondo, parata, risposta, parata. I loro movimenti erano fluidi, le spade naturali estensioni delle loro braccia. Affondo, parata, risposta, colpita. La lama di Black da arancione divenne rossa, decretando la fine dell’incontro. Brillò scarlatta per alcuni secondi, facendo splendere gli intarsi dorati della maschera nera, poi tornò all’originale nero pece.
Lo scopo era toccare quattro volte il corpo dell’avversario con la propria arma. I due incantesimi della Protezione, reagivano e ad ogni colpo l’arma diventava rispettivamente verde, gialla, arancione e rossa.
Black e i suoi compagni avevano presto scalato tutta la classifica e quest’ultimo incontro aveva segnato l’ingresso del ragazzo alle semifinali assieme a Sundavr, Vrangr e Arya.
Il prossimo combattimento sarebbe proprio stato tra i due uomini.
Rivolto verso Nay, si portò il braccio destro sul cuore. Una placca di metallo intarsiato faceva bella mostra sul suo polso, legato con del cuoio nero e dei fili di colori diversi. La ragazza replicò il gesto e insieme tornarono sugli spalti dei concorrenti, lei tra gli eliminati, lui con gli altri tre combattenti.
Nello stesso momento in cui si sedette, Sundavr e Vrangr si alzarono, le mani sui pomoli delle loro spade nere. Giunti nel mezzo dell’Arena le sguainarono e iniziarono lo scontro.
«Siete molto bravi», disse Arya con gli occhi puntati sui due uomini che combattevano con grazia ed eleganza.
«Io mi alleno da quando avevo otto anni. Sundavr e Vrangr sono praticamente nati con una spada in mano». Sorrise, forse pensando agli innumerevoli allenamenti con loro.
«Perché siete mascherati?»
«Un po’ di scena non fa mai male. Al pubblico sembra piacere l’aura di mistero che emaniamo».
All’improvviso l’elfa scoppiò a ridere. Black la guardò interrogativo.
«Scusa, è stato Fírnen», si giustificò.
«Fírnen?»
«Il mio drago».
«Ah, sei un Cavaliere, quindi».
Arya si tolse il guanto sinistro mostrando il suo gedwëy ignasia. «Da trent’anni ormai».
Ci fu una pausa di silenzio, interrotto solo dallo stridio delle lame gialle di Sundavr e Vrangr. Tutti avevano gli occhi puntati su di loro: finalmente era iniziato lo spettacolo. Infatti i quattro mascherati avevano vinto facilmente tutti i loro avversari, senza lasciare il tempo al pubblico di godersi lo scontro; anche contro Nay, Black aveva avuto vita abbastanza facile, ma ora il livello era quasi alla pari e Sundavr e Vrangr rendevano ogni colpo.
«Ho la continua impressione che voi sappiate molto di Alagaësia, ma vi ostiniate a sembrare degli ignoranti», confesso Arya quando la spada di Sundavr si tinse di arancione.
«In realtà io e Nay è come se non fossimo mai stati ad Alagaësia, perciò non ne conosciamo la storia e le usanze. Sundavr e Vrangr, invece, hanno viaggiato e appreso molto».
«Eppure, combattete come dei grandi maestri, conoscete l’Antica Lingua, avete delle barriere mentali impressionanti, ma non capisco se pratichiate anche la magia».
«Hai provato a sondare le nostre menti?», ripeté incredulo con un tono di rimprovero. Nonostante tutto, però, sorrideva sotto la maschera nera.
L’elfa ricambiò il sorriso colpevole. Black scosse la testa e si voltò verso il centro dell’Arena giusto per vedere la lama arancione in mano a Sundavr diventare rossa e i due combattenti che si portavano il braccio destro al petto.
«Tocca a noi, a quanto pare», disse alzandosi. Passò di fianco a Sundavr che gli diede una pacca sulla spalla.
«Ti aspetto alla finale».
 
Arya combatteva in modo quasi impeccabile: non lasciava prevalere l’istinto, ragionava ogni mossa così da prevedere quelle dell’avversario, era veloce e scattante, attenta ad ogni minimo particolare. Probabilmente era considerata la migliore spadaccina di Alagaësia. Peccato che non avesse ancora incontrato Black.
Il ragazzo l’aveva capito appena le loro lame si erano incrociate: l’avrebbe battuta ad occhi chiusi. A lui, però, piaceva giocare, perciò si era dimostrato debole, mettendo a segno una sola stoccata, mentre la lama dell’elfa brillava ormai di un arancione brillante dopo dieci minuti di combattimento. La sua tattica era difensiva, si limitava a parare gli affondi di lei, lasciando ogni tanto che lo colpisse.
Vide l’occasione di chiudere in bellezza l’incontro prima ancora che lei vedesse il buco nella sua guardia. Aspettò fino all’ultimo, la lama arancione era a un soffio dal suo stomaco, quando l’allontanò con l’elsa della sua spada. Arya non ebbe il tempo di ritrovare l’equilibrio, troppo protesa in avanti.
Black fu veloce: spalla, clavicola, cuore. La lama passò velocemente dal verde al giallo all’arancione e infine divenne rossa.  L’elfa cadde scomposta sulla compatta sabbia rossa. Attorno a loro sospiri di stupore.
Il giovane rinfoderò velocemente la spada, prima di porgerle una mano per aiutarla ad alzarsi. Arya, ferita nell’orgoglio, rifiutò, guardandolo male. Black sorrise di fronte alla caparbietà degli elfi, portò il braccio destro al cuore e, senza attendere risposta, si allontanò guardando Sundavr che si avvicinava.
 
Danzavano. Non combattevano, danzavano. Le spade erano entrambe verdi dopo venti minuti dall’inizio dell’incontro. Nessuno riusciva a staccare gli occhi da quello spettacolo, si scambiavano fendenti con innata velocità e forza, ma tutto appariva elegante, come se fossero nati per quello, per maneggiare quelle letali lame.
Se tra Sundavr e Vrangr la differenza era minima, tra Sundavr e Black era inesistente. Si notava che quei due si allenavano insieme, poiché i loro movimenti erano così legati da sembrare quasi abituali. Al fendente del ragazzo seguivano inesorabili parata e risposta dell’uomo e viceversa. I minuti scorrevano, esclamazioni di stupore si levavano dal pubblico quando una spada cambiava colore. Sembravano instancabili, mentre sostenevano quel ritmo serrato.
Arrivarono allo stallo: le due lame arancioni incrociate davanti ai loro volti celati, i vestiti neri piegati dal leggero vento, i muscoli tesi nello sforzo di far cedere l’avversario. Il silenzio regnava sovrano, tutti erano con il fiato sospeso. Passarono diversi secondi in quell’immobilità così strana dopo quasi un’ora di scontro serrato.
Fu improvviso.
Sundavr si tirò indietro con il corpo, cogliendo Black di sorpresa che si sbilanciò in avanti. Abbassò di scatto la spada abbattendola sugli stinchi del ragazzo nell’esatto momento in cui sentì un forte colpo sulla nuca. Simultaneamente entrambe le lame si tinsero di rosso.
E nel grave silenzio dell’Arena, si udì il leggero tonfo di una maschera, caduta sul terreno.
Arya guardò sconvolta il volto scoperto di Sundavr. Non ci poteva credere, lui non poteva essere...
«... Eragon».


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Salve!
Ecco il primo capitolo, spero vi sia piaciuto.
C'è stato un salto temporale di trent'anni esatti dal prologo. Ci ritroviamo di nuovo ad Alagaesia, con quattro personaggi "misteriosi" e un quinto che credo saluteremo nel prossimo capitolo. Capitolo in cui spero di dare qualche spiegazione, sempre che i personaggi me lo permettano e non facciano quello che vogliono come al solito -.-".
Ditemi se nei combattimenti si capisce qualcosa perché io trovo veramete dificili descriverli.

Ringrazio asha___98 per aver recensito lo scorso capitolo e aver messo Revenge tra le storie seguite, aleinadp per averla anche lei aggiunta alle seguite e _Cioccorane_ per averla messa tra le ricordate.

Ciao,
Akil

P.S.
Nell'Antica Lingua i plurali si formano aggiungendo -ya o -ar.
Osservando le diverse parole, sono giunta alla conclusione che quelle che finisono per vocale eliminino questa ed aggiungano -ya, mentre quelle che finiscono per consosonante aggiungano -ar direttamente.
Esempio:
Älfa (elfo) --> Älfya (elfi)
Ebrithil (maestro) --> Ebrithilar (maestri)

Ombra/Ombre invece si dimostra irregolare, in quanto si dice "Du Sundavar Frehor" (= La Morte delle Ombre) dove Frehor significa Morte e Sundavar Ombre (perciò plurale e con la A), come si dice anche "Sundavar-Vergandì" (= Ammazzaspettri) dove Vergandì vuol dire Ammazza o meglio Slayer (= uccisore, sterminatore in inglese) e Sundavar è ancora Spettri/Ombre (nuovamente plurale con la A). Mentre, invece, "Sundavrblaka" (= Ali d'ombra) è formato da Blaka che sono le ali e da Sundavr cioé Ombra (perciò singolare e senza A).
Si può quindi dedurre che sia irregolare, poiché Sundavr è singolare e Sundavar plurale e l'unica cosa che cambia è la presenza o meno della A finale.
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Erano ancora tutti sbigottiti a guardare la scena. Immobili e silenziosi, scioccati. Iniziarono a riscuotersi solo quando videro una donna bionda, scavalcare il parapetto delle tribune per avvicinarsi ai due combattenti ora seduti. Nay, Vrangr e Arya la imitarono all’istante.
Se ne accorsero appena gli furono di fianco: sul viso scoperto di Sundavr colava un rivolo di sangue.
Vrangr imprecò. «Dannazione! Myrkur ha assorbito l’incantesimo troppo presto».
Sundavr si portò una mano dietro alla testa, per poi guardare il sangue che lo macchiava. «Non è nulla, fratello», disse pacato. «Sapevamo che avrebbe potuto finire così. E poi è solo un piccolo taglietto», a sottolineare queste parole, un bagliore azzurro si sprigionò sulla sua nuca, guarendo la ferita. «Piuttosto, controllate lui, credo di aver picchiato duro con Brisingr». La spada, poggiata al suo fianco, prese fuoco all’istante e da nera divenne blu, rendendo visibile il glifo del suo nome. 
«Ho idea che tu mi abbia rotto l’osso», lo informò Black togliendosi la maschera e rivelando un sorriso che illuminava anche i suoi occhi verdi. Tese una mano verso la sua gamba destra, mormorò qualche parola nell’Antica Lingua e lasciò che l’alone nero di magia facesse il suo lavoro.
Sundavr, ancora seduto sulla sabbia, spostò lo sguardo dal giovane per rivolgerlo all’elfa che lo fissava.
«Eragon, Eragon», continuava a sussurrare sconvolta.
Le sorrise. «Ne è passato di tempo, eh Arya?», disse innocente. Vide chiaramente l’espressione della regina degli elfi mutare: da sorpresa a felice a iraconda.
La donna azzerò a grandi passi la distanza che la separava da lui. Eragon capì all’istante le sue intenzioni e avrebbe potuto scostarsi facilmente, ma attese con un’espressione sfrontata in volto, che il forte schiaffo gli colpisse la guancia.
«Mi stupisci, Ammazzaspettri, solo uno schiaffo? Immaginavo di molto peggio», la canzonò divertito. Dietro di lui i suoi compagni scuotevano la testa sorridendo.
Un ruggito risuonò nell’aria a quelle parole e un drago verde piuttosto grande fece il suo spettacolare ingresso nell’Arena.
Dovresti portare rispetto alla regina degli elfi e Capo dell’Ordine dei Cavalieri di Drago, Eragon Infrangipromesse, lo redarguì con la sua voce profonda.
«Capo dei Cavalieri, eh? Allora siamo in due». Si rialzò, sempre con quel sorrisetto strafottente stampato in faccia e Arya ebbe l’istinto di schiaffeggiarlo ancora.
Sembra così diverso, pensò con amarezza. E non solo perché adesso dimostrava ventotto anni e aveva un aspetto più maturo, ma anche i suoi occhi nocciola avevano perso quella spensieratezza di un tempo, erano duri e impassibili. Persino quel sorriso aveva un che di innaturale e cozzava con forza contro il ricordo che l’elfa ne serbava.
«E di chi saresti il Capo, Eragon? Il figlio di Morzan si è piegato al tuo comando?», domandò irritata.
Per tutta risposta, Vrangr si tolse la maschera rivelando un Murtagh che la guardava quasi con pietà.
Ignorandola, Eragon rispose: «Spero tu sia presente al nostro colloquio con Nasuada». Le voltò le spalle e alzò lo sguardo verso il cielo. Tre gigantesche ombre oscurarono il sole sopra di loro.
Il primo drago a scendere fu un bellissimo maschio nero, senza sella. Attese che Black e Nay gli salissero in groppa e tornò fra le nuvole. Poi arrivò Castigo, fiero e lucente, per prendere Murtagh e la donna bionda. Infine, Saphira atterrò nel centro esatto dell’Arena. Lei e Fírnen la occupavano quasi interamente e gli spettatori guardavano impressionati le loro code dibattersi a terra alzando grandi polveroni di sabbia.
Nel vedere la maestosità della sua compagna Eragon sorrise, un sorriso vero e sincero, di quelli che ormai raramente solcavano il suo volto. Le diede una dolce carezza sul muso prima di montare in sella e volare verso Urû’Baen.
 
La sala del trono era decisamente meglio di come i due fratelli la ricordavano: era luminosa, piena di colori e vita, con servi che andavano da una parte all’altra e nobili e consiglieri che conversavano amabilmente vicino al trono. Anche quello era cambiato: la pietra fredda era stata sostituita da fitti intrecci di grossi rami, probabilmente opera degli elfi.
Al loro passaggio, le voci squillanti della folla lentamente si spegnevano. Quando, forti e impassibili, si fermarono al centro della sala, nell’aria aleggiava un pesante silenzio.
Immobili davanti a Nasuada, tutti e cinque, si portarono il braccio destro al petto, mettendo in bella vista ognuno il proprio bracciale di cuoio e metallo.
La regina di Alagaësia guardò dubbiosa l’uomo innanzi a tutti. «Eragon?», azzardò.
«Maestà, è un piacere rivedervi», disse formale l’altro, ma sempre con quel mezzo sorriso sfrontato. Attorno a loro i circa cinquanta nobiluomini presenti iniziarono a confabulare, bisbigliando il nome del Cavaliere scomparso.
Prima che Nasuada potesse dire altro, una bambina con gli occhi gialli, felini, e il viso affilato si alzò dal suo piccolo scranno a lato del trono e si avvicinò ai cinque. Sotto lo sguardo stupito di ogni presente si portò anche lei il braccio al cuore.
«La Benedizione protegge te e i tuoi compagni, Eragon figlio di Brom. Il mio popolo vi riconosce come amici». Ricambiarono tutti il gesto, ma rimasero in silenzio, o forse parlarono con il pensiero, senza che nessuno potesse udirli. Dopo diversi seconda, la gatta mannara tornò al suo posto.
Pochi attimi dopo, Arya e Fírnen fecero il loro ingresso, entrando da una delle gigantesche finestre costruite, a loro tempo, proprio per il passaggio dei draghi e dei Cavalieri.
La regina degli elfi attraversò altera tutta la sala fino ad affiancare Nasuada.
Eragon sorrise soddisfatto. «Maestà, ora che anche Arya Dröttining ci ha raggiunti, desidereremmo parlare con voi in privato. Risponderemo ad ogni vostra domanda, per quanto ci sarà permesso», propose. «E se ciò vi farà stare più sicure», aggiunse nell’Antica Lingua, «giuro che né io né i miei compagni abbiamo alcuna intenzione di fare del male alle vostre persone».
Con un po’ di riluttanza, ma aiutata dal giuramento e dal desiderio di conoscere le ragioni della scomparsa del Cavaliere, Nasuada accettò.
 
«Atra nosu waìse vardo fra eld hòrnia*», disse Eragon appena Black chiuse la porta del piccolo studiolo. «Chiedo scusa, ma durante questo colloquio potrebbero venire fuori delle informazioni... confidenziali».
Le due regine lo guardarono con sospetto. Come sempre il Cavaliere rispose con un sorriso divertito.
«Permettetemi di presentarvi i miei accompagnatori. Conoscete già il volto di mio fratello Murtagh, Cavaliere di Freedom e Primo Generale di Sua Maestà Laskel, re di Mandras».
«Freedom?», domandò Nasuada.
«Castigo non era un nome giusto per il mio compagno», spiegò Murtagh fiero. «Freedom, Libertà, rispecchia molto di più la sua anima».
«Questo, invece», riprese il compagno di Saphira indicando Black, «è Logan Duecuori, Cavaliere di Liar il Selvatico ed Erede dell’Ordine». Arya guardò il ragazzo cercando di capire l’ultimo epiteto. «La donna vicino a mio fratello è Loralynn, ambasciatrice di Mandras e...»
«Eragon», lo interruppe Logan, «un uomo si sta avvicinando, sembra intenzionato a entrare. Credo non esiterebbe ad attaccare le guardie qui fuori. Si chiama... Roran, se non sbaglio».
Il Cavaliere annuì, si era aspettato che Fortemartello sarebbe arrivato appena gli fosse giunta voce del ritorno di Eragon Ammazzatiranni. «Nasuada, se non ti dispiace, vorrei che mio cugino assistesse».
La regina assentì e Logan aprì la porta esattamente nel momento in cui un uomo possente, ma con i capelli bianchi e il volto segnato dal tempo, metteva mano al martello che portava al fianco.
«Conte Roran, entrate pure, non occorre che lottiate».
«Grazie, Maestà».
Il conte della Valle Palancar aspettò che gli chiudessero la porta alle spalle, poi si guardò intorno, osservando attentamente i volti di Logan, Loralynn, Murtagh ed Eragon.
Respirò profondamente, si avvicinò al cugino e, infine, gli tirò un sonoro destro sul naso.
Murtagh scoppiò a ridere. «E siamo a due. Dimmi, fratello, chi altri deve pestarti?».
Eragon sorrise, guarendosi e pulendo con la mano il sangue che gli colava sulle labbra. «Credo sarà meglio tenersi lontani da Orik, soprattutto se avrà Volund vicino. E vale sia per me che per te, Murtagh». Mentre il resto della compagnia rideva, si rivolse al cugino: «Immagino di essermelo meritato... forse avrei dovuto avvertire».
«Già, forse avresti dovuto, Eragon Infrangipromesse».
«Da quel che ricordo, l’unica promessa che feci a te fu quella di salvare Katrina dai Ra’zac. E mi sembra anche di averla rispettata». Roran non poté ribattere. «E, se non ti dispiace, devo finire le presentazioni». Nay fece un passo avanti, rivelandosi per la prima volta al conte della Valle Palancar che la fissò incredulo. «Questa bellissima ragazza è...»
«Aylins», disse Fortemartello senza riuscire a trattenersi.
Lo sguardo di Eragon s’incupì. «No», rispose digrignando i denti e stingendo i pugni. «Lei è Nadja, figlia di Aylins».
«Ma Ay...?»
«Morta», rispose lapidario il Cavaliere.
Roran rimase completamente sconvolto. Il resto dei presenti, invece, stette in silenzio, chi perché non capiva, chi perché sapeva essere un argomento delicato quello.
«Morta? Ma come...? Chi...?», balbettava il conte.
Il Cavaliere gli scoccò un’occhiata di fuoco. «Non l’ho raccontato a mio fratello in trent’anni, di certo non lo racconterò a te che ormai sei quasi uno sconosciuto per me».
Arya, Nasuada e Roran lo guardarono chiedendosi dove fosse il vero Eragon, quel ragazzo che a quindici anni si era ritrovato Cavaliere, a sedici aveva ucciso uno Spettro, a diciassette era diventato l’eroe della guerra e a diciotto le aveva posto fine. Quel ragazzo pronto a dare la vita per gli amici e che tutti avevano visto crescere e diventare uomo. Davanti a loro, notò Arya, c’era solo l’ombra spenta della persona che era stato. E allora l’elfa si rese conto che Sundavr, il nome che aveva usato durante il torneo, gli calzava a pennello.
«Eragon», disse Nasuada dopo qualche secondo, spezzando il silenzio, «perché te ne sei andato? E perché adesso ritorni?».
«Ho lasciato Alagaësia per rispettare una promessa e per dare ai draghi una degna dimora, lontana da questa terra avvelenata e corrotta. Sono tornato per una questione più complicata che in seguito vi spiegherò, oltre al voler scortare Lynn».
«Parli di questi draghi, ma oltre agli Eldunarí della Rocca di Kuthian e quelli che immaginiamo tu abbia preso a Galbatorix, a chi ti riferisci? Quante uova Saphira e Castigo hanno generato, oltre al drago nero del ragazzo?», domandò Arya.
«Saphira e Freedom, non hanno generato alcun uovo. Io parlo dei cuccioli della Volta delle Anime. Duecentoquarantatré uova, centosettantasei selvatiche e sessantasette destinate ai Cavalieri. Di quest’ultime undici...», rifletté sul termine adatto, «espressero la volontà di rimanere ad Alagaësia. Le nascondemmo sul Monte Utgard e chiedemmo a Cuaroc di informartene».
Le regine lo guardavano sbalordite. «E... quante se ne sono schiuse? Quanti Cavalieri sono nati?».
«Centoventinove nuovi draghi selvatici popolano le Alture del Fuoco a est di Mandras e trentasette Cavalieri hanno riempito le file dell’Ordine, di questi ventuno sono già investiti, sedici si addestrano», le informò. «Ma voi non avete idea! Le loro magie, Arya...! Cose che voi elfi e Galbatorix neanche immaginavate. Capacità dimenticate, conoscenze immense, linguaggi antichi quanto il Popolo Grigio! In trent’anni abbiamo riscoperto così tanto…! I draghi sono rinati e la loro specie è più bella e forte che mai», aggiunse con voce sognante.
«Ehm... Eragon?», lo chiamò Roran interrompendolo. «Che sta facendo il ragazzo?».
Tutti si voltarono verso Logan. Murtagh scoppiò a ridere quando vide il fuocherello nero che volteggiava attorno alla mano del Duecuori. «È normale, Fortemartello», rispose il moro. «Logan non sopporta di starsene con le mani in mano, perciò spesso si mette a giocare col fuoco. Stiamo ancora aspettando che si bruci».
Il ragazzo gli fece una linguaccia, poi, rivolto ai tre nobili di Alagaësia, abbassò la testa imbarazzato, ma la piccola fiamma non smise di fluttuargli attorno. «Chiedo scusa, è più forte di me. Non avevo strane intenzioni».
Eragon gli sorrise, poi tornò a rivolgersi all’elfa. «Tornando alle cose serie, Arya, quanti Cavalieri sono nati ad Alagaësia?».
«Si sono schiuse cinque uova, tre femmine e due maschi. La prima dragonessa è nata ventidue anni fa. Inoltre hanno deposto sei nuove uova».
«Capisco. Noi abbiamo chiesto ai compagni dei Cavalieri di aspettare un momento di stabilità prima di procreare. I selvatici invece possono fare ciò che vogliono, purché non creino problemi a Mandras». Ci fu un attimo di silenzio, poi il Cavaliere riprese: «Adesso, chiederei a tutti eccetto Lynn e le regine di uscire da questa stanza».
Murtagh, Logan e Nadja annuirono aprendo la porta, Roran tentò di protestare, ma Nasuada gli fece segno di andarsene e fu costretto ad obbedire.
 
«D’accordo», disse Eragon una volta rimasti soli, «ecco il motivo per cui siamo venuti qui». Nasuada e Arya si fecero più attente. «Cinque anni fa, a Mandras, è stato commesso un omicidio. Sono stati uccisi la sorella della regina e i suoi figli. Non sappiamo chi sia stato, sappiamo solo che è qualcuno in grado di usare la magia».
«Onestamente è la prima volta che sento parlare di questo regno, Mandras», intervenne Nasuada. «E dubito che qualcun altro ad Alagaësia sappia della sua esistenza. Perciò cosa vi ha spinti a venire qua?».
«Evidentemente qualcuno lo sa», disse Loralynn. «Nel mio regno ci sono più maghi che normali cittadini, perciò abbiamo dovuto trovare un modo per controllarli. Sperimentando, abbiamo scoperto che ogni persona lascia una specie di impronta di sé quando usa la magia che si affievolisce con il tempo ed è possibile offuscarla, ma non scompare mai del tutto. Un mago esperto è in grado di trovare quell’impronta anche dopo mesi e così risalire a chi appartiene. Eragon è uno dei cinque più potenti maghi di Mandras - probabilmente è al primo posto, ma non abbiamo intenzione di scoprirlo. Lui conosce l’impronta dell’assassino e in cinque anni abbiamo analizzato ogni singola persona nel regno di Mandras con la capacità di usare la magia. Nessuno corrisponde al nostro ricercato».
«Perciò siete giunti alla conclusione che il colpevole proviene da Alagaësia», dedusse Arya.
Eragon annuì. «Esatto, abbiamo buone ragioni di pensare che sia così. Sono complicate da spiegare e da capire, perciò non starò qui a elencarvele, ma sono più che valide. Chiediamo quindi il vostro consenso per farci esaminare i vostri maghi e, in caso, applicare le nostre leggi».
«Cosa prevedono le vostre leggi?», domandò Nasuada.
«La morte», rispose Lynn. «Mandras è un regno pacifico, gli omicidi sono qualcosa di assolutamente inconcepibile. Sfortunatamente, però, per quanto rari, a volte ne avvengono. La famiglia della vittima ha perciò il pieno diritto di vendicarsi reclamando la vita dell’assassino e solo la sua».
«Che collegamento avevate con i morti?», chiese Arya dopo un attimo di riflessione.
Eragon sorrise leggermente. Se l’era aspettato che l’elfa collegasse in quel modo la loro presenza.
«Sirya era anche mia sorella», spiegò Lynn, «e Myra, sua figlia di sei anni, era un Cavaliere».
«Sei anni?».
«Ai draghi non importa se sei un neonato, un adolescente, un adulto od un vecchio. Ben due uova si sono schiuse davanti a bambini di pochi mesi. E inoltre, in un popolo di mezzelfi la vecchiaia è un concetto un po’ estraneo», disse Eragon.
Arya era sinceramente stupita. «Mezzelfi?».
Prima che potessero rispondere, la porta si spalancò rivelando un Logan agitato. «Eragon! Glaedr ha avvistato un drago blu che si avvicina. Non è dei nostri né di Alagaësia a quanto dicono i cittadini. Saphira ha ordinato a tutti di restare qua e gli sta andando incontro».
Lo sguardo del Capo dei Cavalieri si adombrò. «Un drago blu, hai detto?».
Il ragazzo annuì. «E la sua mente è impenetrabile. Però, appena si è accorto che l’avevamo notato, ha... gridato, se così si può dire, il tuo nome. Ma non con i tuoi soliti titoli, ha detto, se non sbaglio: “Eragon Quattrovite”».
Quasi non lo lasciò finire che il Cavaliere scattò in corsa verso la sala del trono.
 
Appena mise piede oltre il grande portone, arrivarono. Due draghi identici per colore e corporatura, indistinguibili tra di loro se non dallo sguardo. Uno era brillante, velato di malinconia, ma vivo; mentre l’altro era spento, minaccioso e rassegnato.
Eragon si avvicinò lentamente sotto lo sguardo curioso dei compagni e delle regine che lo avevano raggiunto, oltre che dei nobili i quali erano già lì.
Nadja in particolare era attratta dal drago con lo sguardo vacuo di fianco a Saphira. Osservava ogni mossa sua e del Cavaliere con attenzione, senza perdersi neanche un particolare.
«Light, quanto tempo», sussurrò Eragon - a tono così basso che i pochi che lo sentirono si chiesero se non se lo fossero immaginato - quando ormai era a due passi dal drago. Questi abbassò il capo e con il muso sfiorò delicatamente la mano sinistra, tesa verso di lui, del Cavaliere.
Per un secondo, a Nadja parve di vedere un cerchietto bianco sul palmo aperto. Poi un’accecante luce blu invase la sala e non distinse più nulla.
 



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*Che possiamo essere protetti da orecchie indiscrete


Scusate se non postavo più, il capitolo era pronto da un po', ma la scheda video del mio pc è andata, per fortuna avevo il lavoro in chiavetta, ma dovevo comunque trovare un computer. L'ho rubato a mio fratello.

Entrano in gioco novità importanti, si parla di questo "Myrkur" che assorbe gli incantesimi, si capisce che Eragon non è più il piccolo ragazzino di campagna, entrano in gioco omicidi e vendette (da qui il titolo Revenge), e si sentono questi nome, Syria, Aylins e Myra (sì, mi piacciono le Y u.u) chi saranno mai? Perché uccidere la sorella della regina? Chi potrà mai essere stato? Perché? E' di Mandras o di Alagesia? Vediamo le vostre ipotesi.
Ringrazio tutti quelli che hanno messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate, adesso non ho tempo di elencarvi tutti.
Se avete domande chiedete.
Ciao,
Akil

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


«Logan! Logan!».
Un forte ed insistente bussare alla porta lo svegliò malamente dal suo per una volta tranquillo sonno. Grugnì cercando di tornare a dormire, ma qualcuno fuori da quella stanza non la pensava come lui.
«Logan! Logan!», una voce attutita dallo spesso legno dell’uscio lo chiamava con un tono piuttosto arrabbiato.
Quando riconobbe la voce di Lynn, il ragazzo scattò subito in piedi. Non si preoccupò di indossare solo dei leggeri pantaloni di tela: quando l’ambasciatrice si irritava poteva diventare molto pericolosa.
Aprì di scatto la porta, ricevendo un forte pugno sul petto.
«Oh! Alla buon ora, ragazzino! Saranno non so quanti minuti che ti chiamo», lo rimproverò senza scusarsi del colpo datogli.
«Stavo dormendo. Per una volta da non so quanto tempo stavo felicemente dormendo. Spero che il motivo per cui mi hai brutalmente svegliato sia il ritorno di Eragon», rispose sbadigliando spazientito.
Appena la luce si era dissipata, tutti avevano notato l’assenza del Cavaliere e dei due draghi blu. Ormai era quasi passato un giorno e nessuno aveva avuto notizie di dove fosse e perché.
«No, non ancora», rispose l’ambasciatrice con tono afflitto. Lei era quella che sembrava più preoccupata per la sorte dell’uomo. «Però devo ammettere che passi decisamente troppo tempo con lui: ormai hai assorbito totalmente il suo tono sfrontato».
«Grazie, lo considero un complimento. Perché sei qui?».
«Qualcuno ti cerca da Mandras».
Logan sbuffò esasperato, ben conscio di chi fosse quel qualcuno.
«Devo proprio?»
«Mi dispiace, Murtagh le ha già detto che ci sei».
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, ma si costrinse a prendere una camicia e a seguire la donna fino alla sua stanza.
La regina Nasuada, infatti, non aveva perso tempo, assegnando ai cinque – aveva messo in conto il ritorno di Eragon - quasi un’intera ala del suo castello. Il fatto era che non si era ancora pronunciata sulla richiesta avanzata dalla delegazione di Mandras.
 
La stanza di Loralynn era molto luminosa, tutta sui toni del bianco, al contrario di quella di Logan che era invece blu scura e quasi inquietante. Sul lato destro troneggiava un grande letto matrimoniale a baldacchino, di fronte una scrivania di legno massiccio. La parete a nord, invece era soprattutto fatta di vetro e dava su un grande terrazzo.
Murtagh era seduto al tavolo nel centro della stanza, con un grande specchio in mano. Nadja, appoggiata alla scrivania con le braccia incrociate, invece, guardava male la porta, battendo freneticamente un piede. Appena il ragazzo fece il suo ingresso nella stanza, la giovane donna sbuffò arrabbiata e se ne andò, non prima di avergli brutalmente pestato un piede, però. Logan con gli occhi tristi la guardò uscire.
«Oh, eccolo! Finalmente è arrivato», disse il Cavaliere vedendolo avvicinarsi. Il ragazzo gli scoccò un’occhiata furente a cui l’altro rispose con un sorrisetto mentre gli lasciava il posto.
«Logan! Finalmente ti rivedo! Sono passati tre giorni dall’ultima volta che ci siamo contattati», esultò una ragazza bionda dall’altra parte dello specchio incantato.
Logan alzò leggermente gli occhi al cielo. «Ciao, May. Sono stato molto impegnato con il torneo. Desideravi qualcosa?», chiese con tono stanco.
«Solo vederti e sentirti, tesoro. Mi manca la tua presenza a palazzo».
Dietro di lui Murtagh rise sommessamente, poi senza spiegazioni uscì dalla stanza.
Logan si passò una mano sul volto. Odiava le attenzioni di quella ragazza. «Ascolta, May non ho decisamente tempo, adesso. Scusa, devo andare». Pronunciò qualche parola e l’incantesimo di divinazione si spezzò.
Sospirando si appoggiò allo schienale della sedia imbottita, la testa rivolta vero il soffitto e gli occhi chiusi.
«Perché non la chiudi definitivamente?», gli chiese Lynn accarezzandogli dolcemente i capelli.
«Non voglio creare problemi ad Eragon. Con tutto quello che fa per me è il minimo».
«Facendo così non lo aiuterai di certo. Sai quanto lei sia importante per lui». Avevano fatto quel discorso centinaia di volte, ormai Logan lo sapeva a memoria. «Ma come al solito, fai solo quello che ti senti».
Il ragazzo voltò la testa verso la finestra. Il sole stava tramontando.
Si alzò dalla sedia, guardò Lynn negli occhi e poi l’abbracciò. Lui era più alto e muscoloso, perciò la donna quasi spariva tra le sue braccia.
«Vorrei che tu fossi mia madre, saresti perfetta», le sussurrò.
Lynn rimase spiazzata da quella confessione. Lei aveva vent’anni quando Eragon e Murtagh erano arrivati a Mandras portando con sé quei due bambini. Li aveva visti crescere, era stata sempre vicina ad entrambi, ma Logan era quello che più le si era affezionato e aveva sempre guardato a lei come ad una madre, lo sapeva, ma sentirselo dire in modo così diretto era sconvolgente.
«E io vorrei che tu fossi sangue del mio sangue», rispose commossa.
Logan dolcemente le baciò la fronte, poi si diresse verso la porta.
«Logan!», lo fermò Lynn prima che uscisse. Si voltò a guardarla. «Ricordati che lui sarà sempre fiero di te», disse semplicemente.
Il ragazzo le sorrise riconoscente, poi varcò la soglia della stanza.
 
Nadja era seduta allo scrittoio della sua stanza, guardava un vecchio fairth, regalo di Eragon. Ritraeva lei e Logan, quando avevano rispettivamente quindici e vent’anni. Erano seduti sulla cima di un promontorio, rivolgevano la schiena ad Eragon, perciò si vedeva bene il braccio di lui attorno alla sua vita e la testa di lei poggiata sulla spalla dell’altro. I colori caldi del tramonto estivo incorniciavano i loro corpi.
A quel tempo era ancora tutto così facile…, pensò perdendosi nei ricordi.
Un bussare frenetico alla sua porta la riportò alla realtà.
«Nadja, aprimi!», urlò la voce di Logan.
«Perché dovrei?», domandò in un impeto di rabbia.
«Devo parlarti, dannazione! Per favore fammi entrare».
La ragazza si alzò, con la chiara intenzione di picchiarlo e poi cacciarlo, ma appena aprì la porta due morbide labbra si posarono sulla sua bocca, improvvise ed impetuose.
Passarono un paio di secondi prima che si rendesse conto di quello che stava facendo. Scostò brutalmente Logan da sé interrompendo il bacio e schiaffeggiandolo.
«Devi smetterla, Logan! Non puoi risolverla così ogni volta», lo sgridò voltandogli le spalle.
Il ragazzo prima di rispondere chiuse la porta. «Risolvere cosa?», domandò quasi innocentemente.
Nadja si trattenne dal girarsi per schiaffeggiarlo ancora.
«May», rispose semplicemente con la voce carica di risentimento.
Logan l’abbracciò da dietro, lentamente. «Lo sai che non provo nulla per lei», le sussurrò sul collo.
«Lo dici sempre, ma ogni volta lei ricompare. Perché oltre a me non lo spieghi anche a lei?».
«Non voglio…».
«Dare problemi ad Eragon ed ai Cavalieri?». Sorrise ironicamente. «Anche questo lo dici sempre».
«È la verità e lo sai bene. Il padre di May è uno stimatissimo nobile di Mandras e adora sua figlia alla follia. Se la ferissi in qualsivoglia modo Gahod riuscirebbe a iniziare una guerra contro l’Ordine e la maggior parte del popolo lo seguirebbe, senza rispettare l’autorità di Laskel».
Lei, stufa di sentirsi ripetere sempre la solita storia, si divincolò dall’abbraccio e andò davanti alla grande finestra della stanza, per osservare il tramonto tra le colline di Ilirea.
«E comunque sai che non faccio mai niente per incoraggiarla», aggiunse il ragazzo dopo un po’.
«Eppure lei continua».
«È una bambina in confronto a me, Nadja! Abbiamo diciannove anni di differenza, quando stavo finendo l’addestramento lei non era ancora nata».
«Io ho sei anni in meno di te, mi conosci da quando ne avevo poco più di uno. Cosa sono le differenze di età quando si è immortali?».
Logan non rispose, ma Nadja sentì chiaramente i suoi passi che si dirigevano verso lo scrittoio, verso il fairth. Un silenzio pesante aleggiava nell’aria.
«Ricordo quel giorno», disse dopo un po’ il ragazzo. «Era la sera prima della mia Investitura. Da una settimana non mi parlavi ed io ero disperato: proprio adesso, nel momento più…strano della mia vita dovevi sparire? Sembravi arrabbiata con me e non capivo cosa avessi fatto di male. Avevo paura che la notte dopo non mi saresti stata vicina durante il rito, perciò ti cercai.
Eri seduta lì, su quel promontorio, e guardavi il tramonto con gli occhi lucidi. Mi sedetti al tuo fianco, tu non mi parlasti ed io non intuii i tuoi pensieri, rimasi sconvolto: eravamo sempre stati così in sintonia, per me eri un libro aperto. Cos’era cambiato? Te lo chiesi e tu mi rispondesti che ero io a cambiare, non credevi che fossi ancora il tuo Logan. Quando ti domandai perché mi dicesti che l’essere Cavaliere mi rendeva un esaltato. Solo allora capii: avevi paura che dessi più importanza a Liar e all’Ordine che a te. Non sapevo che dirti e allora semplicemente ti abbracciai».
Nadja si voltò per guardare il ragazzo concentrato su quella tavoletta di ardesia. Logan, sentendosi osservato, la guardò, appoggiò il fairth e le si avvicinò sorridendo dolcemente.
«Allora lasciasti libero sfogo alle lacrime e mi confessasti la verità: temevi che diventando Cavaliere avrei smesso di essere tuo fratello». Le scostò una ciocca castana dagli occhi, portandogliela dietro l’orecchio. «A quel tempo ci consideravamo ancora tali», rise leggermente. «Ti promisi che non sarebbe mai successo. Sei anni dopo, il giorno del tuo compleanno, ruppi quella promessa».
Nadja abbassò gli occhi, leggermente lucidi al ricordo. «Era il giorno in cui, secondo le leggi di Mandras, sarei stata considerata adulta a tutti gli effetti. E noi ci ubriacammo», ammise ricordando bene quel giorno.
Logan l’attirò a sé, cingendole la vita con le braccia. I loro volti erano ad un soffio di distanza, ma Nadja teneva ancora lo sguardo fisso a terra.
«La prima volta sì e anche la seconda», sussurrò, «ma non la terza, non la quarta, non la quinta…». Le alzò il volto per guardarla negli occhi «E neanche adesso siamo ubriachi», concluse riducendo definitivamente la distanza che li separava.
Si baciarono lentamente, consci dei sentimenti che provavano l’uno per l’altra. E mentre gli ultimi raggi del sole si esaurivano, la passione li travolse come tante volte aveva fatto negli ultimi anni.
 
Eragon guardava il sepolcro di diamante uguale a trent’anni prima, senza la minima traccia del tempo trascorso.
Era seduto lì da ore, assediato dai vecchi ricordi, dolci ed amari. Le lacrime gli rigavano il volto. Da quanto tempo non piangeva in quel modo? Di sicuro troppo.
«È identica a te, sai?», disse al corpo immobile nel cristallo. Aveva iniziato a parlare già da un po’, sopraffatto da quel dolore impossibile da trattenere. «L’ho cresciuta come avresti fatto tu ed è diventata bellissima ed intelligentissima. La tua copia, in tutto e per tutto. Per questo l’ho anche odiata, sai? Probabilmente mi avrai maledetto in tante di quelle lingue da non poter essere elencate tutte, ma era difficile guardare il suo sorriso riflesso in quei magnifici occhi grigi e rivederci te». Accarezzò il cristallo nel punto in cui c’era il delicato e sereno volto. «Adesso, però, è passato. Lei è una donna adulta e non ha più bisogno della mia protezione. È diventata anche immortale grazie ai draghi», rise amaramente. «Sinceramente non so se sia un bene od un male, io la considero una maledizione ormai».
Stette in silenzio, non sapendo che altro aggiungere. Non aveva ancora smesso di piangere, troppo sconvolto dai ricordi per calmarsi.
La luce calda dell’alba faceva brillare il limpido diamante, dando al corpo un’aura regale.
Solo allora Eragon si rese conto di quanto tempo avesse passato lì fermo a fissare la tomba.
Si asciugò le guance, cercando di cancellare quelle lacrime.
«Mi manchi, tanto, troppo», sussurrò infine, baciando il cristallo. Poi si alzò e senza guardarsi indietro montò sul drago blu che si librò in volo. Saphira li seguì.
Nessuno disse più una parola per tutto il viaggio.



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Saaaaalve!
Lo so, è tipo un mese che non posto, ma bisogna anche dire che non mi sembra di aver mai promesso aggiornamenti regolari ^_^"
In ogni caso, questo è il capitolo 3. In realtà è più lungo, ma ho capito che, visti gli argomenti, era decisamente meglio fare capitolo 3 e capitolo 4.
Perciò sì, anche il 4 è pronto, ma non lo pubblicherò subtio, perché non vorrei abiutarvi troppo bene XD

Ora... abbiamo visto il vero rapporto tra Logan e Nadja, introduciamo questa May che non credo avrà grande importanza... o almeno spero, di solito i personaggi fanno quel cavolo che gli pare -.-"
E alla fine visitiamo una certa tomba di cristallo... chi sarà mai? =)

Passiamo ai ringraziamenti (metto solo i nuovi, tutti gli altri sono impliciti, siete grandi ragazzi!):
Preferite: Barbamanta, KiaC92, Luna94, Saphiradream, __MyOwnForgottenWorld___
Seguite: bimbaapois, Brazza, LadyAndromeda, NinaAlways, Targul
Ricordate: michelangelo35

P.S.
Ehi ragazzi, vi va di lasciare una piccola recensione? Giusto qualche parola per farmi capire che non sto parlando da sola...

P.P.S.
Se vi piacciono gli Hunger Games, vi va di leggere la mia breve storia di tre capitoli? Si intitola "Memorie" e la trovate nel mio account =)

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Il sole splendeva alto nel cielo mentre Arya sorvolava Ilirea in groppa a Fírnen. Lo faceva sempre quando aveva bisogno di pensare e parlare con il suo compagno.
Improvvisa un’ombra le passò sopra, dirigendosi verso le colline.
L’hai visto?, domandò al compagno.
Sì, lo seguiamo?
L’elfa assentì. Fírnen sbatté le possenti ali percorrendo la traiettoria dell’altro.
Rimasero diverso tempo in volo prima di fermarsi. L’essere nero - il drago di Logan, riconobbe Arya - era accucciato in mezzo ad una grande pianura vicino alle colline della città. Sembrava in attesa.
Fírnen fece diversi cerchi in aria, indeciso sul da farsi.
Scendete o restate lì a guardare le nuvole?, chiese una mente estranea, distruggendo le loro difese come se fossero burro. La voce era amichevole, ma aveva una sfumatura malinconica e ad Arya sembrava tremendamente familiare.
Scesero lentamente, attenti ad ogni minimo particolare che potesse preannunciare una minaccia.
Tranquillizzatevi, Maestà, non abbiamo motivo di attaccarvi.
«Abbiamo?», chiese quando fu a terra. «Io e Fírnen non abbiamo visto nessuno venire con te».
Il drago nero – Liar, l’aveva chiamato Eragon, se non sbagliava – scoprì i denti in un sorriso distorto e socchiuse gli occhi. L’elfa ne rimase colpita: quello destro era nero e lucido come l’ossidiana, mentre quello sinistro era completamente bianco. All’improvviso mutò e da candido divenne dorato e brillante.
Fírnen ruggì sommessamente, sospettoso.
Liar si rialzò mettendosi in una posa temibile e maestosa. Solo allora Arya si accorse che anche il suo petto e le membrane delle ali da nere erano diventate dorate.
L’elfa fece qualche passo indietro, quasi spaventata da quel cambiamento repentino.
È un piacere rivederti, Arya, disse una voce profonda ed antica nella sua mente. Solo allora la regina lo riconobbe.
«Glaedr?», sussurrò. «Sei tu? Ma come…?».
«Te l’ho detto, Arya, i draghi ci hanno mostrato capacità che Alagaësia ha dimenticato», rispose qualcuno alle sue spalle.
L’elfa si voltò di scatto, trovandosi davanti un Eragon dall’aria molto stanca.
«Cosa?».
«Andiamo lassù», indicò la collina che sovrastava Ilirea a mezz’ora di cammino da dove erano loro, «e ti spiegherò». Poi si rivolse al drago nero. «Liar, Glaedr, grazie per la vostra disponibilità», si portò il braccio destro al cuore e chinò leggermente la schiena in avanti in segno di saluto.
Il drago probabilmente gli rispose qualcosa per poi alzarsi in volo e scomparire tra le nuvole candide. Pochi istanti dopo altri due draghi blu lo seguirono.
Eragon sorrise al cielo e s’incamminò a passo sostenuto. Aspettò che l’elfa l’affiancasse e poi iniziò a correre. Arya lo imitò.
 
Si fermarono dopo diversi minuti di corsa sostenuta. Eragon sembrava fresco come una rosa, nonostante le profonde occhiaie che gli segnavano il viso, e non c’era neanche una goccia di sudore sul suo corpo, tutt’altro rispetto al ragazzo di trent’anni prima.
Fírnen non li aveva seguiti: Arya voleva stare da sola con il figlio di Brom.
Il Cavaliere si sedette con la schiena poggiata ad un albero e l’elfa gli si mise di fronte.
Stettero in silenzio per un po’. Lui guardava il suo volto confrontando la visone che aveva di lei adesso e quella che aveva da ragazzo; lei invece aspettava che parlasse, mentre si ripeteva tutto ciò che sapeva su di lui e cercava di capire quanto di tutto quello fosse ancora valido.
«Non so chi sei», disse infine guardandolo negli occhi.
Eragon rise amaramente. «È meglio così, credimi».
«Perché?».
«Perché ti aspetti di trovare Eragon Bromsson, un ingenuo diciottenne che gioca a fare la guerra e si crede un eroe solo perché un drago lo ha scelto come compagno. E rimarresti molto delusa nel sapere che quel ragazzo è morto molto tempo fa». Il suo sguardo era vacuo, perso nel vuoto, come se parlasse senza un’interlocutrice.
«Forse hai ragione, ma su una cosa ti sbagli: non cerco un ragazzino, cerco l’uomo che ha affrontato a testa alta tante, forse troppe, avversità; un uomo con degli ideali e dei sogni, sempre pronto a lottare per realizzarli. Cerco colui che ha liberato Alagaësia da un’era di oscurità e dolore, che ha ridato speranza ad un popolo, e che era un mio grande amico». Allungò una mano accarezzandogli la guancia. Il Cavaliere rimase immobile, come se neanche sentisse quel contatto. «Dov’è finita quella persona, Eragon?».
«Ha attraversato troppi ponti senza curarsi di quanto fossero resistenti, lasciando sempre indietro qualcuno. E ognuno di quei qualcuno portava una parte di lui con sé. Alla fine si è ritrovato solo e senza niente dentro».
«Ai sundavr», sussurrò l’elfa d’istinto.
Eragon annuì. «Un’ombra, esatto. Non sono altro che questo».
«Hai detto che sei solo... Ma Saphira? Sei un Cavaliere, dannazione! Come puoi non considerare il tuo drago?».
«Io non ho un drago», rispose il Cavaliere con fervore. «Nessuno possiede un drago! Sono loro che vogliono unirsi a noi e completarci. Io sono parte di Saphira, come lei lo è di me, siamo un unico essere. Ogni mio gesto, ogni mia parola, è volontà di Saphira oltre che mia. Se dico di essere un’ombra di me stesso vuol dire che anche lei pensa lo stesso di sé».
Rimasero per un po’ in silenzio, riflettendo su quelle poche battute che si erano scambiate. Alla fine Arya sospirò delusa.
«Cosa ti ha cambiato così tanto, Eragon?».
«I ponti sono crollati davanti ai miei occhi, senza che io potessi fare alcunché», rispose, ora atono. Poi tacque.
Arya capì che non sarebbe riuscita ad ottenere altro su di lui, perciò cambiò discorso. «Dove sei stato?».
«A rendere onore ai morti».
Lei lo guardò interrogativa. L’uomo scosse il capo, facendole capire che non avrebbe detto altro.
«Raccontami dei draghi, allora. Raccontami di Glaedr».
Solo allora Eragon sorrise, sorrise veramente, per un solo istante, ma lo fece. Ed anche quando la coltre di impassibilità calò di nuovo sul suo volto, i suoi occhi rimasero brillanti di emozione.
«Gli Eldunarí nascondevano molto di più di quanto ci mostravano. Anche se, in realtà, anche loro non erano a conoscenza delle loro reali capacità.
Avvenne per caso: alcuni dei cuccioli della Volta delle Anime erano stati per troppo tempo imprigionati nelle loro uova, non avevano molte speranze di sopravvivere. Non chiedermi come, non l’abbiamo ancora compreso, ma alcuni degli Antichi unirono i loro esseri con quelli dei cuccioli, salvandoli. Devi capire che le menti rinchiuse negli Eldunarí sono molto in sintonia con quelle delle uova, perciò una volta compresa la – chiamiamola così – “tecnica” è stato molto facile ripetere questa sorta d’incantesimo.
Glaedr fu il terzo. Si era affezionato alle emozioni di un uovo nero non Destinato. Di solito i selvatici sono più resistenti dei Destinati, ma lui era più piccolo degli altri e, perciò, più a rischio di morte».
«Aspetta, Glaedr ha salvato un dragoselvatico? Quello di prima?».
«Liar, esattamente».
«Ed un drago selvatico si è legato a qualcuno? Di sua volontà?».
«Esatto. Logan è diventato Cavaliere ad otto anni. Eravamo arrivati a Mandras da poche settimane e per diverse ragioni eravamo stati accolti con onore e gloria, perciò avevamo intrapreso buoni accordi con quel regno. Gli avevo spiegato tutto ciò che sapevo sui draghi – Eldunarí esclusi, ovviamente – e una sera, durante uno dei grandi banchetti di presentazione, una delle uova Destinate si schiuse per una serva quattordicenne. Da allora ci stabilimmo sulle Alture della Tempesta, una catena montuosa a ridosso del mare con alti picchi invalicabili… può sembrare un torto verso di noi relegarci in quel luogo, ma era perfetto per far crescere i cuccioli. A poco a poco cambiammo il nome di quelle montagne: adesso si chiamano le Alture del Fuoco, puoi ben capire il perché. Anche a…». Scosse la testa all’improvviso, senza un motivo apparente. «Scusa, sto divagando», si ricompose, lo sguardo ora gelido e fisso nel vuoto.
«Non… non preoccuparti. Dicevi di Logan, della serva…?», rispose Arya appoggiandogli una mano sul braccio, colpita dal repentino cambiamento di Eragon.
Il Cavaliere si riscosse a quel contatto e ritrasse di scatto la mano come se si fosse bruciato. «Sì, giusto», disse nervosamente. «Il primo drago nato a Mandras fu quel cucciolo già destinato ai Cavalieri. Dopo pochi giorni iniziarono a schiudersi i selvatici. Devi capire che Logan passava gran parte del tempo con quelle uova. Gli parlava, gli raccontava ciò che gli insegnavo e provava persino a raggiungerli con la mente. In particolare quel piccolo uovo nero lo aveva incantato, come aveva fatto con Glaedr. Ogni giorno lo sommergeva dei suoi pensieri, cercando disperatamente una risposta. E quando Liar nacque riconobbe subito quella giovane ed inesperta mente che gli aveva fatto compagnia».
«Perciò è nato comunque un collegamento? Come se Liar fosse stato veramente un drago “Destinato”, come dici tu?».
Eragon scosse la testa. «Non esattamente. Logan e Liar ricordano di più il mio omonimo ed il suo compagno: sono amici, non si tradirebbero mai, ma non sono un’unica identità».
«Eppure lo chiami comunque Cavaliere».
Eragon la fulminò con lo sguardo. «Lo sono drago e Cavaliere. Logan non sarà marchiato dal gedwëy ignasia, ma il loro rapporto è più puro della maggior parte dei legami tradizionali dei miei Cavalieri».
«Parli di lui con lo stesso tono con cui un padre orgoglioso parla del proprio figlio», considerò Arya.
Un altro breve sorriso si fece spazio sul volto serio del Cavaliere, ma venne subito cacciato da un’espressione malinconica ed addolorata. «Avrei sinceramente voluto che fosse sangue del mio sangue», ammise. «Ed anche per questo l’ho nominato mio erede».
«Non hai figli? Non hai mai trovato una compagna?».
Una singola lacrima che silenziosa rigò la guancia del giovane, fu l’unica risposta che ottenne.


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Come promesso, domenica 11 ho postato =)
E' corto, ma è pieno di informazioni ed è troppo distaccato dal resto per essere accorpato ad un altro capitolo. Spero non lo troviate troppo noioso come tutti i capitoli che servono a spiegare.
Ditemi se c'è qualcosa che non capite o se avete qualche dubbio, cos' se non è qualcosa che devo spiegare più avanti, posso chiarirvi le idee.
Per il resto, ho scritto anche il 5, ma devo capire bene come organizzare il 6 per decidere se mi va bene o no.
Qui si sono aperti nuovi questi... che io non vi illustrerò perché dovete arrivarci voi =)

Ringrazio Manta, KiaC92 ed Edoardohaitroppinumeri,nonmeliricorderòmai,peròc'èun2 per aver commentato =)
E ringrazio anche Bertuccia95, lettoreaccanito, UraniaSolanos e _Lenalee_ per aver messo Revenge tra le seguite.

Non so quando posterò il prossimo, ma lo posterò, prima o poi ;-D
Alla prossima,
Akil

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


«Arya Dröttining, regina degli Elfi,  Capo dell’Ordine dei Cavalieri ed Ammazzaspettri», annunciò l’araldo mentre l’elfa faceva il suo ingresso nella sala del banchetto.
«Aros, comandante dell’Ordine dei Cavalieri e Cavaliere di Sharan». Un elfo dai capelli biondissimi e che dimostrava circa venticinque anni, entrò sicuro di sé nella sala, ben conscio dell’effetto che scatenava nelle giovani e nobili fanciulle.
«Roran Garrowsson, signore di Carvahall e conte della Valle Palancar. Sua moglie Katrina Ismirasdaughter. Ed il suo figlio ed erede Garrow».
Eragon rimase un po’ interdetto, i conti non gli tornavano.
Posso essermene andato, ma non vi ho ignorato del tutto. So di Ismira. A chi hai lasciato la tua bambina, cugino?, si chiese guardano il giovane Garrow avanzare sorridente al fianco del padre.
L’araldo fece una pausa osservano stupito il nome successivo. Si riscosse solo quando l’uomo incoronato e vestito di blu oltrepassò il grande portone con i compagni al seguito, senza venire annunciato.
«Eragon Bromsson, Capo dell’Ordine dei Cavalieri di Mandras, re delle Alture del Fuoco, Cavaliere di Saphira, Ammazzaspettri e Liberatore di Alagaësia». L’intera sala si zittì stupita dai titoli. Re delle Alture del Fuoco? Cosa voleva dire?
«Il suo erede, Logan, Cavaliere di Liar il Selvatico e Primo Comandante della Casa Duecuori». Tutti guardarono prima Eragon e poi il ragazzo, notando le differenze nell’aspetto. Capirono tutti che non erano padre e figlio.
«Nadja Aylinssdaughter, protetta di Eragon e dei Draghi». Le persone ci stavano capendo sempre meno.
«Loralynn da Asidrea, sorella della regina Kaeli ed ambasciatrice di Mandras». Bene, ma cos’era questo Mandras?
«Murtagh Morzansson…».
Cori di disappunto  si levarono dai nobili ospiti a quel punto. Nessuno aveva dimenticato quei nomi. Come si permetteva il Traditore dei Varden di mostrarsi proprio durante la festa della Liberazione da Galbatorix?
L’araldo, a malincuore, fu costretto a continuare. «… fratello di Eragon, Salvatore di Re, Cavaliere di Freedom e Primo Generale di Sua Maestà Laskel, re di Mandras ».
Murtagh sorrise di fronte a quei titoli tanto onorevoli. Non vi aspettavate che il “crudele” Cavaliere di Galbatorix fosse capace di questo, vero?
Eragon si voltò verso di lui. Salvatore di Re… Da tempo non ti sentivo chiamare con questo titolo, gli disse mentalmente.
A corte e tra i Cavalieri si è perso, ma al popolo questo nome piace ancora… anche se quello che ho salvato era un protettodel re, perciò neanche un principe, rispose scherzando su quell’imprecisione che per diversi motivi nessuno aveva mai corretto.
Laskel però adesso lo è… e poi “Salvatore di Re” suona decisamente meglio di “Salvatore di Protettidel re”, no?
Murtagh rise e scosse la testa, continuando a seguire il fratello verso un tavolo secondario, meno appariscente e quasi nascosto.
L’intera sala li guardava avanzare silenziosa, cercando di capire perché non si stessero dirigendo verso i posti riservati ai grandi nobili al fianco della regina.
Raggiunsero il tavolo più piccolo e semplice, dove erano seduti dei soldati di rango abbastanza alto per presenziare a quel banchetto, ma non abbastanza da sedersi alla tavolata principale.
«Chiedo scusa», esordì Eragon, «questi posti sono occupati?», domandò indicando le sei sedie libere rimanenti.
I soldati lo guardavano sbalorditi e non osavano proferire parola.
«Questi cinque ancora sì, mio signore», rispose un ragazzo di forse quindici anni appoggiandosi allo schienale di fianco ad un uomo di sessant’anni circa, facendo capire al gruppo che quello era il suo posto.
Eragon gli sorrise e gli fece un cenno di ringraziamento, poi si sedette proprio al suo fianco, subito seguito dai compagni. I due fratelli davano entrambi le spalle al trono.
I soldati si alzarono di scatto, probabilmente non ritenendosi degni di stare allo stesso tavolo del Cavaliere. Solo il ragazzo rimase fermo in quella posa piuttosto irrispettosa verso qualcuno di rango così alto rispetto al suo.
Eragon sbuffò e fece un gesto annoiato con la mano. «Sedetevi e state tranquilli. Non merito questo rispetto dovuto al terrore». Poi si rivolse al quindicenne. «Come ti chiami, ragazzo?», gli chiese curioso di conoscere quel giovane con un animo più simile ai Mandrasi che agli Alagaësiani.
«Kevan, mio signore».
Il Cavaliere stava per dire qualcosa, ma la voce della regina Nasuada alle sue spalle lo interruppe.
«Rifiuti di sederti al mio fianco. Potrei considerarla una grande offesa, Eragon», gli disse piccata.
L’uomo voltò la testa quando bastava per guardarla negli occhi. «Invece, Nasuada, se io fossi tuo suddito considererei il tuo un comportamento assai offensivo nei miei confronti», rispose marcando bene il “se”. Le rivolse nuovamente le spalle. «Io sto semplicemente seguendo la condotta che un buon sovrano dovrebbe sempre avere».
«Con tutto il rispetto, Cavaliere, non credo tu possa avere un’esatta idea della condotta che un buon sovrano deve tenere».
Eragon sorrise come sempre in modo strafottente e si alzò per fronteggiarla. La guardava dall’alto in basso, essendo decisamente più alto. «Sinceramente, nonostante odii portarla, questa», indicò la corona di platino a forma di drago che portava sul capo, «non è per niente».
Nasuada l’aveva già notata, ma non era riuscita, basandosi su ciò che sapeva di Eragon, a spiegarsi perché la portasse. Ma in fondo, cosa sapeva lei veramente di Eragon? «Illuminami quindi sul tuo regno, te ne prego», rispose comunque con tono irritato. Il Cavaliere stava cercando di sminuire la sua autorità di fronte alla maggior parte dei suoi nobili.
Non fu però, Eragon a risponderle, bensì Nadja. «I draghi volano liberi, sul mare, oltre le cime innevate delle Alture, affrontando le tempeste e infuocando il cielo», raccontò sognante.
«Ed i Cavalieri si addestrano, vivono la natura, imparano a capirla e capire sé stessi e ciò che significa quel titolo, e durante tutto l’anno aiutano i contadini con i campi», aggiunse Logan.
«E tutti adorano quel sovrano che prima di tutto è un amico ed un fratello, sempre pronto ad aiutare e a difendere ciò che ritiene giusto», concluse Loralynn.
La regina di Alagaësia, sentendo ciò, si arrabbiò ulteriormente. Quegli stranieri stavano forse insinuando che lei non fosse una brava sovrana?
«Non so quanti “sudditi” tu abbia, Ammazzaspettri, ma tu hai modo di immaginare quanti ne abbia io. Conoscerli tutti ed essere loro amica è alquanto impossibile, non credi?».
Eragon la scrutò a lungo negli occhi, poi si risedette, dandole nuovamente le spalle. Non rispose, perso in chissà quali pensieri.
«Sinceramente, Maestà», intervenne a sorpresa Murtagh, mentre la regina esultava interiormente per essere riuscita a zittire il Cavaliere, «rimarrà qualcosa d’impossibile se rimarrai seduta sul tuo trono per sempre».
Nasuada lo guardò con occhi di fuoco. «Questo comportamento insolente, Cavalieri, potrebbe essere pregiudicante per la vostra richiesta».
Eragon strinse i pugni sul tavolo e digrignò i denti, l’aria si fece più elettrica e Brisingr iniziò a risplendere di una soffusa luce blu. Lynn gli appoggiò di scatto una mano sul braccio, cercando di calmarlo e di evitare l’irreparabile.
Stai tranquillo, Eragon, gli sussurrò mentalmente. Sai che ce la faremmo comunque. Stai calmo, non serve attaccarla, non adesso.
Eragon fece un respiro profondo ed annuì lentamente. Poi si rivolse alla regina. «Fallo, Nasuada», la sfidò. «Rifiuta la nostra richiesta, ma sappi che dodici altri Cavalieri e ventimila maghi guerrieri attendono solo un mio ordine per arrivare qua e prenderci ciò che è nostro di diritto. Non m’importa se per farlo dovremo scatenare una guerra, noi taglieremo quella testa, in un modo o nell’altro…». Stava per aggiunger qualcos’altro, ma, sotto lo sguardo incredulo dei nobili di Alagaësia, s’interruppe con lo sguardo perso nel vuoto.
Rimase qualche secondo così, immobile, con la bocca aperta, poi di scatto si voltò verso Logan.
«Il tuo pugnale, subito», ordinò.
Il ragazzo non esitò neanche per un istante: gli porse la lama automaticamente, senza far domande.
Il Cavaliere di Saphira prese il braccio di Kevan, scostandogli la manica della camicia bianca. Il ragazzo, troppo stupito, non reagì.
«Cosa stai facendo, Eragon?», domandò allarmata Nasuada.
L’uomo non rispose e incise la pelle del ragazzo quel tanto che bastava per far fuoriuscire del sangue. Kevan gridò di dolore e spavento.
Murtagh gli passò una piastrina di metallo che Eragon macchiò con il liquido scarlatto.
«Wyrda abr Shur’tugal*», sussurrò.
Una luce azzurra e dorata scaturì dal metallo nella sua mano. Durò solo pochi secondi ma accecò coloro che gli erano più vicini per qualche secondo.
Sospiri di stupore si levarono dai presenti quando ritornarono a vedere.
«Ma cosa…?», balbettò Kevan.
Eragon, con un po’ di affanno, si limitò a sorridere e a porgergli l’uovo rosso striato d’oro che aveva in mano.
«Scusa per il taglio, era necessario», disse curandolo con la magia. Poi si appoggiò allo schienale che aveva di fianco, sentendo per un attimo le forze venirgli meno.
«Ma… cosa dovrei farci io con questo… questo… coso?».
Murtagh rise e gli batté amichevolmente la mano sulla spalla. «Tienilo con te per il tempo di questa cena e vedrai».
Dietro al moro, non così allegramente, invece, Loralynn stava gridando contro Eragon. «Idiota! Sei un idiota ed uno stupido! Come ti è venuto in mente di usare solo la tua energia? E chissà da dove l’hai prelevato, poi!».
Il Cavaliere si passò una mano sulla nuca con un faccia colpevole, e, per un attimo, Nasuada rivide il ragazzo che aveva conosciuto trent’anni prima.
«Ehm… potrebbe provenire da Ellesmerá». Quasi non riuscì a finire che Lynn lo schiaffeggio.
«La città elfica che abbiamo evitato venendo qua? Quella in mezzo alla foresta?». Eragon sorrise colpevole, ricevendo un secondo colpo sulla faccia.
«Idiota, idiota, idiota!».
Murtagh le fermò le braccia prima che potesse colpirlo ancora. La bionda lo guardò ad occhi socchiusi, furiosa.
«Basta», le disse dolcemente. «Sai che quando si tratta di nuovi Cavalieri, Eragon non ascolta nessuno».
«Come dannazione hai fatto a superare le difese a guardia delle uova?», urlò Arya sopraggiungendo alle spalle di Nasuada. «Mi hanno appena riferito che quelle custodite nel Palazzo di Tialdarí sono state avvolte da una “accecante luce blu” e che dopo qualche secondo un uovo era “misteriosamente ed inspiegabilmente sparito”».
Eragon rise. «L’elfo a guardia della tua capitale si ricorda di Glaedr e di me. Non è stato difficile».
«Dovrà rispondere di questo…», rispose irritata. « Murtagh ha detto “nuovo Cavaliere” come fai ad esserne sicuro?», domandò poi.
«Non lo senti, Arya?», chiese Eragon, tornando serio. «Non senti il bisogno che ha Kevan di essere completo? È un grido disperato, lacerante. Non si può ignorare».
Una leggera risata si levò dall’altro capo della sala, assieme ad un piccolo applauso. «Ed io che ho sempre pensato che questa capacità fosse insegnata solo a pochi eletti», disse una voce leggermente stupita.
Eragon sorrise, riconoscendola. «A quanto pare sono rientrato tra questi. Ciao, Angela, come stai?».
«Meglio di te, Ammazzaspettri», rispose la donna, identica a trent’anni prima, avvicinandosi.
Il Cavaliere abbassò lo sguardo. «Non che ci voglia poi molto», sussurrò.
Fortunatamente l’erborista cambiò subito discorso. «Come hai fatto ad apprenderla?», chiese.
Eragon aprì i primi due bottoni della camicia, mostrando due collane con un pendaglio ciascuna. Uno di questi era d’argento, a forma di martello, mentre l’altro era un anello in platino con al centro una pietra nera e lucida, a forma di fiamma.
«Addirittura?». Angela si mise a ridere, senza dare spiegazioni. «J’kad rovoi», disse infine al Cavaliere.
«Ralakde jsk’acha», rispose Eragon.
L’erborista rise più forte, poi scosse la testa e uscì dalla stanza.
«Vi prego», disse dopo un po’ di silenzio Logan, «ditemi che non sono l’unico a non averci capito nulla degli ultimi due minuti».
«Non è previsto che voi capiate, stai tranquillo», rispose Eragon sempre sorridendo leggermente. Poi si rivolse a Nasuada. «Finiamola di giocare, Nasuada. Accetti la mia richiesta?».
La regina stette in silenzio per qualche secondo, visibilmente indecisa. Infine annuì, sconfitta. «Posso parlare solo per l’Impero, ma hai il mio appoggio».
«Anche il mio», aggiunse Arya. La minaccia di Eragon aveva sortito l’effetto sperato.
«Bene. Lynn, Murtagh, fra tre giorni partite per il Surda, poi andate a Terim. Vi darò i documenti».
I due annuirono.
«E i nani e gli Uragli?», domandò Logan. «Da quando hai fatto ampliare il…».
«L’impronta non poteva assolutamente essere di un Urgali o di un nano… quelle due razze si assomigliano molto più di quanto non pensino», lo interruppe. «In ogni caso quest’ultimi arriveranno tra due giorni, uno se saranno veloci. Ci penserò io».
Logan assentì.
«Ehm…», intervenne Kevan allarmato, impedendo di continuare il discorso. «Scusate, ma questo coso si sta muovendo…».
Istantaneamente tutti si voltarono verso il ragazzo, osservando l’uovo fra le sue mani che oscillava e si crepava. Pochi minuti dopo, nell’assoluta immobilità della sala, un piccolo muso carminio striato d’oro spuntò dal guscio. Kevan allungò la mano, attratto dal piccolo cucciolo appena nato. Gli sfiorò la testa, sentì una forte scarica d’energia nel suo corpo e poi svenne, accasciandosi a terra.
Eragon prese il draghetto prima che potesse cadere. Questi lo guardò incuriosito, gettò uno sguardo al ragazzo privo di sensi, ed infine si accoccolò tra le braccia del grande Cavaliere. Con grande stupore di Arya che aveva visto più volte la possessività dei cuccioli nei confronti dei nuovi compagni.
Logan, invece, rise piegandosi sulle ginocchia. Batté un paio di volte la mano sulla spalla del privo di sensi Kevan e disse: «Benvenuto nei Cavalieri, amico».

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*Destino di un Cavaliere

Buonsalve, ecco a voi il capitolo 5. E' da un po' che non posto, ma la buona notizia è che ho già 3/4 capitoli scritti, perciò domenica prossima posto sicuro.
Cosa dire di questo capitolo? Boh... non mi sembra di aver scritto cose troppo criptiche su cui dovete focalizzare la vostra attenzione.
Perciò siete voi che dovete dirmi se non avete capito qualcosa, se potrò vi risponderò.

Adesso passiamo ai ringraziamenti.
Oggi abbiamo un sacco di persone tra i Seguiti (siete arrivati a 16, la mia autostima vi ama!), in particolare: Annie_Bill, Bici_, Diosmira, Judith Potter, Noapta e Selene6.
Per le Recensioni, invece, ringrazio Edo e la mia Capo Stratega Trottola.

A domenica,
Akil

P.S.
@Edo: in questo sito (è in inglese, ma non è difficile da comprendere) http://inheritance.wikia.com/wiki/Ancient_Language#Suffixes sono spiegati i plurali nell'Antica Lingua... a parte qualche imprecisione non mi sono sbagliata di tanto =)
P.P.S.
Recensire non fa male, ragazzi! Su, mi bastano undici parole, vi prego *occhi alla Gatto con gli Stivali*

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Eragon era seduto tra due merli, sulla torre più alta del castello. Aveva una gamba distesa ed un ginocchio al petto. Il vento soffiava violento scompigliandogli i capelli e muovendo furiosamente lo stendardo viola e bianco di Nasuada.
Osservava attentamente il giardino molto piedi sotto di lui. Lì, Logan stava mostrando a Kevan alcune mosse della scherma. Il quindicenne aveva già delle basi, essendo figlio di un soldato, ma erano troppo frammentate ed accademiche, non adatte ad un Cavaliere.
Il piccolo drago, ancora senza nome, invece li guardava con attenzione, pigolando contrariato quando il suo compagno si feriva.
Eragon, pur essendo troppo in alto per riuscire a sentire ciò che diceva, vide perfettamente l’ingresso del Comandante Aros che interruppe come una furia l’allenamento, sbraitando. In ogni caso, immaginava che si stesse lamentando del fatto che fosse Logan, uno straniero e neanche un vero Cavaliere, ad addestrare uno dei novellini di Alagaësia.
Raggiunse la mente di Logan. La vuole tirare molto per le lunghe?
Immagino di sì. Dove sei?
Sulla torre. Il ragazzo alzò leggermente gli occhi quel tanto per sorgere l’uomo seduto tra i merli. Eragon scosse una mano in segno di saluto.
Vuole solo farsi vedere migliore di noi, gli spiegò il figlio di Brom. Perciò sarà meglio mettere ben in chiaro alcune cose. Sfidalo. Digli che il vincitore sarà il maestro di Kevan, vedrai che il suo la sua brama di mettersi in mostra lo farà subito capitolare.
D’accordo, assentì il ragazzo voglioso di combattere.
E mentre Logan ripeteva la sua proposta, l’uomo avvertì mentalmente tutti gli occupanti del castello. Scontro tra Cavalieri nel Giardino Minore. Si preannuncia interessante.
Una decina di nobili confusi si catapultò nei terrazzi che circondavano il giardino e molti altri arrivarono dopo.
Eragon vide Aros che sorrideva di fronte al pubblico, mentre estraeva la sua spada viola, certo di vincere facilmente. Anche Arya, Murtagh, Lynn e Nadja arrivarono a guardare, incuriositi dall’avviso del Cavaliere.
Logan aspettò che l’improvvisata platea fosse ricca di persone prima di mettersi in posizione di difesa. La sua spada nera con l’elsa placcata d’oro attirava gli sguardi di tutti.
Devo umiliarlo subito o ci gioco un po’?, chiese al suo re.
Porta avanti lo scontro. Fagli credere di poter vincere, poi, all’ultimo, coglilo di sorpresa.
Logan mosse la testa in segno di assenso. Poi rimase immobile guardando negli occhi il suo avversario.
Aros, impaziente, attaccò subito. Logan parò malamente, piegandosi sulle ginocchia come se fosse stato colto completamente di sorpresa. Il Cavaliere di Alagaësia sorrise spavaldo spostandosi di scatto. L’altro si costrinse a vacillare e ad esporre diversi punti deboli. Aros colse al volo l’occasione colpendolo sul costato.
Continuarono così per diversi minuti, le spade smussate che si colpivano ripetutamente, menando fendenti a destra e a manca. La lama viola continuava ad apparire più forte della nera.
Ma Arya non si faceva ingannare. Aros non era presente al torneo, però in lei ancora bruciava l’umiliazione subita con quell’eclatante sconfitta. Probabilmente il pubblico non se ne era accorto, ma l’elfa aveva capito che il suo avversario stava solo giocando. Entro pochi minuti si sarebbe stancato e lo avrebbe atterrato.
Eppure, contro le sue aspettative, Logan continuò a fingere a lungo. Fino a quando lo sbruffone non cominciò a parlare.
«Siete solo dei montati!», gli urlava ad ogni colpo. «Non sai neanche combattere! Potrei ucciderti in mezzo minuto!». E continuò così fino a quando non raggiunse il fondo. «Non sei degno di essere chiamato Cavaliere! Se fossi tuo padre mi vergognerei di te».
Murtagh portò istantaneamente la mano sull’elsa di Zar’roc, ed anche Eragon, ascoltando dalla mente consenziente di Logan, pronunciò qualche parola nell’Antica Lingua iniziando a scendere dalla torre verso i due combattenti.
Entrambi i fratelli ben sapevano che quelle parole erano troppo per Logan.
Infatti, il ragazzo non rimase indifferente. Come una furia cominciò a rispondere ad ogni colpo e ben presto Aros si ritrovò sopraffatto. La sua spada nera si abbatteva crudele sul suo corpo disteso a terra, senza pietà alcuna. Gli urli di dolore riecheggiavano strazianti.
All’improvviso la lama scura del ragazzo scivolò sulla pelle dell’avversario, tingendola di rosso. Alla vista del sangue, Eragon e Murtagh intervennero veramente. Il moro prese Logan da dietro, torcendogli l’avambraccio sinistro con forza. Ma il ragazzo non mollava la presa sulla spada, il volto stravolto dalla furia.
Eragon gli strinse le spalle guardandolo negli occhi. «Logan, calmati», gli ordinò, ma l’altro non cedette, muovendosi a scatti fino a quando non riuscì a liberarsi dalla presa di Murtagh. Lo fece con troppa potenza, però, e il braccio sinistro con la spada stretta in mano, volò verso il collo del figlio di Brom.
Brisingr intercettò il colpo prima che fosse troppo tardi.
Dietro di loro il pubblico sospirò sorpreso, mentre Arya trascinò Aros tra la folla, chiamando a sé dei guaritori. Il Cavaliere di Freedom, invece, dopo un cenno al fratello, rinfoderò Zar’roc e tornò al fianco di Loralynn.
«Se hai tanta voglia di combattere seriamente, fallo con me, non con un debole sbruffone», ordinò Eragon a Logan.
Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte, cominciando ad attaccarlo accecato dalla furia. Eppure, nonostante questo, nonostante non fosse lucido, i suoi colpi rimanevano impeccabili, perfettamente calibrati e precisi.
Fu rendendosi conto di questo che Eragon sorrise orgoglioso. Aveva passato trent’anni ad addestrare quel ragazzo, costringendolo agli allenamenti più estenuanti e alle prove più dure ed impegnative. Aveva lavorato a lungo per renderlo un grande Cavaliere, capace un giorno di diventare Capo dell’Ordine, e adesso poteva vedere che tutti quegli sforzi erano serviti. Ora avrebbe potuto mollare tutto ed andarsene con il cuore in pace, sapendo che il futuro dei suoi sudditi sarebbe stato in buone mani.
Continuarono a combattere per molto tempo, monotoni, perciò diversi nobili si stancarono e lasciarono il cortile, cercando attività più divertenti. Nel giro di mezz’ora gli unici a rimanere furono Arya, Lynn, Nadja, Murtagh, Kevan e tre altre persone.
Lentamente la rabbia di Logan si placava, lasciando spazio alla ragione e con questa si faceva largo un senso di spossatezza. Non si rese conto, perciò, della lama azzurra che gli saettò vicino alla gola, bloccandosi sulla sua pelle, esattamente a livello della giugulare.
Logan guardando le fiamme che minacciose gli ardevano davanti agli occhi, si sentì improvvisamente lucido e seppe perfettamente cosa il suo avversario avrebbe fatto.
«Se questo», sussurrò infatti Eragon, «fosse il tuo ultimo giorno, la tua ultima sera, il tuo ultimo istante, cosa faresti?».
Il ragazzo lo guardò sorpreso. Era abituato alle domande improvvise durante i combattimenti: Eragon credeva che si pensasse più liberamente mentre la mente era concentrata solo sulla sopravvivenza. Ma non era mai arrivato a domande di quel genere, così intime.
Ci mise qualche secondo a rispondere. «Penso che la saluterei per l’ultima volta e ti ringrazierei. Poi attenderei il tramonto, salirei in groppa a Liar e volerei più in alto possibile. E griderei. Griderei chi sono, dimostrando a tutti che lui ed io non abbiamo in comune niente più del nome», disse infine, con una sincerità disarmante.
Eragon sembrò ritenersi soddisfatto, perciò lasciò che il fuoco si spegnesse e rinfoderò Brisingr.
Appoggiò una mano sulla spalla di Logan e lo guardò negli occhi. «Prima di convincere il mondo di questo, convinci te stesso. O non andrai mai avanti», gli sussurrò.
Poi gli voltò le spalle e si diresse verso l’interno del castello.
«E tu?», gli urlò, però, Logan fermandolo. «Se fosse il tuo ultimo giorno, che faresti?».
Il Cavaliere si girò a guardarlo intensamente. «Ricordi la storia che ti raccontavo quando eri bambino, quella inconclusa?».
Il ragazzo annuì.
«Ti racconterei il finale». Passò sotto l’arco dell’entrata. «In ogni caso, c’è già stato», aggiunse sparendo nell’ombra.


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Scusate, avevo promesso di postare ieri, ma non ho proprio avuto tempo e solo adesso ho potuto accedere al computer.
Bene, ecco il sesto capitolo. Ci sono alcuni nuovi quesiti che si aprono, soprattutto a proposito di Eragon e Logan... Certo che è bellissimo essere l'autorice e sapere tutto mentre voi vi dannate con le supposizioni. Non mentite, anche se non vi fate sentire, so benissimo che ogni lettore che si rispetti fa le sue belle ipotesi cogliendo i piccoli indizi sparsi qua e là...
Comunque, vi informo che nei prossimi due capitoli risolveremo una questione... aprendo un'altra XD
E a questo proposito, non so quando posterò il Sette... Entro due settimane di sicuro.

Adesso ringrazio Edo, come sempre, che ha recensito e ha aggiunto Revenge nei seguiti. E diamo anche un bel benvenuto a EliMe!

Bene, ho finito...
Ciao a tutti,
Akil

P.S.
Ah, dimenticavo. Vi prego, vi imploro, se trovate qualche errore di grammatica nei miei capitoli, segnalatemelo così che possa correggerlo subito. Seriamente, ve lo chiedo per favore. Vi parlo da lettrice che ODIA certi attentati alla grammatica e non voglio di certo che anche i miei lettori trovino degli orrori nella mia storia. Insomma, io rileggo sempre due o tre volte, ma a volte qualcosa mi può sfuggire, perciò se mi faceste questo favore, ve ne sarei grata. Grazie =)
P.P.S.
Ah, avete visto l'opzione "Aggiungi personaggi"? Ecco, non so se avete notato, ma la sezione Eragon ha veramente pochi personaggi, mi aiutate a farne approvare alcuni?

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Mi è stato chiesto di fare un riassunto dei capitoli, è un po' lungo perciò lo metto sotto spoiler.
Cliccate "Spoiler" per poterlo leggere, se non vi interessa, invece, il capitolo è subito dopo =)
SPOILER (clicca per visualizzare)
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Le urla della donna erano strazianti, piene di dolore, laceravano l’anima con la loro distruttiva potenza.
L’uomo correva senza freni, cercando di raggiungerla. Preso dall’agitazione non riusciva a trovare la stanza giusta, apriva le porte del castello senza pensare, dava uno sguardo all’interno e poi continuava a correre e correre e correre. Le grida sembravano provenire da ogni parte, mandandolo in confusione.
Ma lui non si arrendeva. Le gambe imploravano invano di fermarsi senza essere ascoltate e continuavano a correre e correre e correre.
«Papà!», una voce squillante e preoccupata lo richiamò, riuscendo a fermarlo. Un bambino biondo gli veniva in contro, gli occhi verdi scuri pieni di terrore. «Papà!», urlava. «Hanno preso la Mamma, Papà! Lei gridava, ma non si sono fermati». Si buttò addosso all’uomo, piangendo a dirotto.
Il padre lo guardò intensamente. «Hai visto dove l’hanno portata?», chiese impaziente. Ma il bambino continuava a piangere e ad urlare. Gli prese il volto fra le mani, incrociando i suoi occhi. «Dove l’hanno portata? L’hai visto?», ripeté.
Il bambino annuì. «Di là», indicò un corridoio alla loro destra. «Le faranno del male, Papà?», frignò.
L’uomo non rispose e ricominciò a correre. Il figlio si appese alla sua mano, spaventato, correndo a sua volta.
Arrivarono davanti ad una grande porta di massiccio legno nero, sentendo finalmente le urla nitide e forti. Un altro uomo attendeva lì davanti. Indossava dei suntuosi abiti rossi con uno stemma ricamato sopra. Appena si accorse della presenza di padre e figlio, abbracciò il primo sorridendo felice.
«Come sta andando?», chiese l’uomo sudato ed ansante.
«Non mi lasciano entrare e dubito accetteranno anche te, ma dicono che non ci sono problemi».
«Cosa succede, Papà? Dov’è la Mamma?», domandò il bambino confuso e piangente.
Il padre non lo ascoltò, troppo impegnato a fissare il nero legno della porta, l’uomo in rosso, invece, si abbassò verso di lui. Gli scompigliò dolcemente i capelli. «La Mamma sta bene, piccolo. Fra poco tornerà e avrà una sorpresa, vedrai».
Il bambino sorrise smettendo di piangere. Mamma aveva una sorpresa e a lui piacevano le sorprese.
Un urlo improvviso, più forte degli altri, riempì l’aria, spaventando i tre. Durò qualche attimo, poi il silenzio si protrasse a lungo.
Il padre non resse che un minuto prima di buttarsi contro la porta, aprendola di scatto.
Gridolini femminili di sorpresa si levarono al suo ingresso, ma sopra ogni altro suono, spiccava un lamentoso e sano pianto, tipico dei neonati.
Una donna castana scosse la testa divertita e gli porse un piccolo urlante fagotto insanguinato.
 «Congratulazioni, è una bellissima donnina».
Il volto dell’uomo, prima contratto dalla preoccupazione, si distese in un ampio sorriso e le guance gli si rigarono di lacrime di commozione.
La piccola socchiuse leggermente gli occhi per guardarlo, incontrò il suo sguardo dolce e a poco a poco si calmò. L’uomo sentì centinaia di emozioni pervaderlo, era ebbro di felicità e di gioia.
Un flebile e stanco sussurro lo distrasse dalla contemplazione di quel piccolo miracolo. «Capisco che lei possa essere bellissima, ma vorrei anche io le mie coccole annesse alle congratulazioni».
L’uomo si girò verso il grande letto della stanza su cui una donna con il volto madido di sudore lo guardava amorevolmente. Si avvicinò a lei velocemente, rendendosi conto che non era rimasto nessun’altro nella stanza tranne loro tre.
«Non è bellissima», sussurrò sedendosi al suo fianco e scostandole i capelli biondi sparsi sui cuscini. «È magnifica, come te».
La donna sorrise ancora di più e cercò di sporgersi verso il suo volto. L’altro si abbassò quel tanto che bastava per arrivare alle sue labbra. «Ti amo», disse depositandole un piccolo bacio a stampo.
«Ti amo anche io», rispose lei.
La bambina si dimenò tra le braccia del padre, allungandosi verso la madre, curiosa. La donna felice oltre ogni dire l’accolse sul suo petto.
«Non è vero».
La guardò interrogativo.
«Non è come me, è dieci, cento, mille volte meglio. E diventerà come te. Una tua copia al femminile, vedrai», rivelò al marito.
Lui sorrise baciando la fronte ad entrambe.
Un piccolo bussare interruppe quel piccolo idillio familiare. La donna castana di prima entrò piano. «Scusate l’interruzione», sussurrò, «ma dobbiamo lavare la piccola. Mezz’ora e ve la riportiamo».
Con riluttanza l’uomo le passò il piccolo miracolo ora addormentato, poi la donna corse fuori.
I due coniugi rimasero lì per diverso tempo, semplicemente contemplandosi, sussurrandosi frasi piene di emozioni e ricordi, e scambiandosi qualche carezza e qualche fuggevole bacio.
Solo quando la bambina fu di nuovo tra le loro braccia parlarono di nuovo.
«Come vuoi chiamarla?», chiese l’uomo.
«Myra», rispose sicura la donna. «Ha un espressione da Myra».
«E Myra sia, allora».
Si guardarono sorridenti, gli occhi colmi di lacrime di felicità. E risero. Risero sentendo che nulla avrebbe potuto spezzare la perfezione di quel momento.
Ma, lentamente, le risate della donna si trasformarono in urla disperate, le lacrime divennero di dolore e si fecero di sangue. La vita si ritrasse da quel perfetto corpo lasciando solo delle fredde spoglie.
La bambina non c’era più.
E, scritto sul cuscino con la scarlatta linfa vitale, solo due parole:
Ti aspetto.
 
Eragon si svegliò gridando. Aveva il respiro affannoso ed il corpo sudato nonostante avesse lanciato chissà dove le pesanti coperte scure del letto.
Si passò una mano sul volto stravolto dalla disperazione, accorgendosi solo allora delle lacrime che continuavano a solcargli le guance. In un attimo ricordò perfettamente tutto l’incubo e il peso di tutto il suo dolore si fece più pressante sulle spalle, togliendogli il fiato, lasciandolo completamente devastato.
Era per questo che odiava dormire: ogni sua più piccola debolezza si ingigantiva e gli si rivoltava contro nei modi più subdoli. I sogni erano solo quelli più distruttivi.
Si sentì soffocare dai ricordi e da quelle quattro pareti verdi che lo circondavano. Corse al piccolo terrazzo della stanza, spalancando le porte e uscendo nella gelida aria invernale, incurante di essere vestito solo con dei leggerissimi pantaloni di tela.
Lo sbalzo termico riportò lucidità alla sua mente, ma non placò il suo pianto a cui, a poco a poco, si aggiunsero dei forti singhiozzi. Si appoggiò al parapetto, stringendo il granito così forte da vedere le sue nocche diventare bianche. Alzò il viso al cielo urlando tutta la sua disperazione. Non si curò di poter svegliare qualcuno, né di essere visto in quel momento di totale debolezza. Continuò a gridare mentre la luna piena veniva coperta dalle nuvole nere, come se condividesse il suo dolore.
Il vento freddo soffiava leggero ricordandogli le delicate carezze del sogno, gli amati brividi che lo avevano attraversato durante quei brevi baci, e come questi gli fossero stati brutalmente strappati via. Cadde a terra, completamente sopraffatto dalla potenza distruttiva dei ricordi. Saphira e Light cercarono di consolarlo, ma lui li ignorò, concentrandosi esclusivamente sui suoi lamenti e sulla sua sofferenza.
E rimase lì per tutta la notte, rannicchiato su sé stesso, senza riuscire a trovare pace, fino a quando la luce del giorno lambì il suo corpo e le trombe suonarono festive un nuovo ingresso in città.

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Bene, allora, Buon Natale, innanzi tutto =)
Il capitolo era pronto da un bel po', ma io volevo aspettare Natale (con un certo disappunto di Edo XD)
Forse può sembrarvi un po' corto come capitolo, ma mettere l'incontro con Orik nello stesso capitolo sarebbe stato troppo "indelicato". E poi non dite che non voglio bene ai personaggi di cui scrivo! XD
Parlando di ciò che è successo... devo dire che all'inizio non credevo voler scrivere questa scena, in realtà neanche esisteva, ma poi ho visto il video di "Lullaby" dei Nickelback e mi è sembrata perfetta, soprattutto per introdurre la grande devastazione mentale di Eragon che però si comprenderà meglio tra due/tre capitoli.
Se avete domande, come al solito, potete chiedere e io vedrò se posso rispondere.

Infine ringrazio Edo, Kia e Puccia per aver recensito lo scorso capitolo.

Alla prossima (che non sarà fra un mese),
Akil

P.S.
Dato che a Natale puoi fare quello che non vuoi fare mai (è corretto, fate silenzio!), che ne dite di lasciarmi una piccola recensioncina? Anche solo per dirmi (in modo educato) nella frase X hai sbagliato a scrivere Y! Suvvia, anche solo una volta in tutto l'anno *faccia implorante*
P.P.S.
@Edo: mi dispiace, ma alla cava avevano finito sia il cristallo nero che il marmo bianco... Scolpita interamente nel diamante con il cavallo in oro, zaffiro e rubino non va bene, vero?

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


«DOV’È? Dov’è quel traditore?».
Grimstnzborith Orik avanzava minaccioso verso Nasuada, con Volund al fianco. Dietro di lui una decina di nani in armatura leggera.
La regina gli si avvicinò cautamente cercando di calmarlo. «Orik, tranquillizzati…»
«Dov’è Eragon Infrangipromesse?», ripeté il nano, interrompendola senza pazienza.
«Dietro di te, maestà». Il Cavaliere fece il suo ingresso nella sala del trono seguito da Logan e Murtagh alla sua destra e Lynn e Nadja a sinistra. Indossava una tunica azzurra e la corona di platino era in bella vista sulla sua testa. Con un incantesimo aveva nascosto i segni che la notte agitata aveva lasciato su di lui, ma un osservatore attento si sarebbe subito accorto della stanchezza che lo affliggeva.
Vedendo il figlio di Morzan avvicinarsi tranquillamente a loro, Orik perse le staffe. «Come ti permetti, Regicida, di farti vedere ancora vivo?». Tutti i nani portarono le mani alle armi, pronti a uccidere il figlio di Morzan.
Anche Logan afferrò l’elsa della sua spada, ma Eragon portò il braccio davanti a lui, bloccandolo.
Non sarà spargendo il lorosangue che risolveremo la questione, gli disse.
Il ragazzo si rilassò ed annuì al suo re.
Murtagh era rimasto impassibile a guardare i suoi nemici. «Rothgar aveva stretti parenti che sono tutt’oggi in vita?», chiese con tono neutro.
«Io ero suo nipote», rispose Orik fieramente.
«Di che grado?», domandò allora il moro.
«Figlio di sua sorella».
«Non abbastanza vicino. Non potete pretendere nulla da me», disse tranquillamente il Cavaliere di Freedom.
«Cosa vai farneticando, Morzansson?», urlò il nano sguainando Volund e andandogli contro. Una lama azzurra, però, bloccò ogni suo tentativo di attacco.
Eragon guardava serio il re dell’antico popolo. Brisingr, tesa a separarli, brillava avvolta nel suo magico fuoco.
«Non toccherai mio fratello e i miei compagni, Orik figlio di Thrifk».
«Perché è ancora in vita quel bastardo, Eragon? Ricordo bene il giorno in cui giurasti di vendicare il mio re, colui che ti adottò quando eri un ragazzino sprovveduto».
«Quel giuramento venne pronunciato, appunto, da un ragazzino sprovveduto, lo stesso che ha lasciato questo mondo tanto tempo fa. Io non attaccherò mio fratello».
«Preferisci quindi tradire la tua promessa e il tuo clan?».
Eragon digrignò i denti e lo guardò intensamente negli occhi. «Se questo vuol dire non fare nulla contro Murtagh, sì».
Stai scherzando?, gli chiese Arya mentalmente. Vuoi davvero inimicarti l’intero popolo dei Monti Beor?
Il Cavaliere rimase muto.
Il silenzio si protrasse per quasi un minuto, poi Orik cedette.
«E sia», sospirò amaramente. Raddrizzò le spalle ed alzò il mento fissando gli occhi nocciola dell’altro. «Che tutto il mondo lo sappia: da questo giorno in poi, Eragon figlio di Brom, Cavaliere di Saphira ed Ammazzaspettri, sarà considerato un traditore del Dûrgrimst Ingeitum e di tutta la razza dei Nani», proclamò solenne. «Se oserai mettere piede nel territorio dei Monti Beor verrai giustiziato», lo avvisò.
Eragon annuì ed impassibile si tolse la collana a forma di martello che gli era stata donata tanti anni fa, posandola sulla mano di Orik. Poi si voltò per uscire. Il nano guardò triste ed incredulo quel ciondolo. Non aveva mai pensato che Eragon, suo fratello, potesse fare qualcosa del genere.
«Come fai?», lo fermò Murtagh alterato. Gli afferrò il braccio con forza, guardandolo intensamente. «Come fai a lasciare correre? Ti hanno appena chiamato traditore senza conoscere nulla delle tue motivazioni».
Il Cavaliere si liberò di scatto da quella presa. «Ho deciso di lasciarmi Alagaësia alle spalle, fratello, ciò che pensano qua di me non avrà importanza nella mia vita. Mai più».
«Perciò non ti importa più neanche della tua famiglia?», domandò Roran da un angolo della sala. Il conte era stato chiamato presto dalla regina Nasuada per alcuni problemi sorti recentemente nella Valle Palancar, perciò aveva avuto modo di assistere a tutta la scena.
«La mia famiglia?», rispose Eragon, di colpo furibondo. «Per la mia famiglia me ne sono andato trent’anni fa». I suoi occhi volarono ad una persona vicino a lui, ma nessuno lo notò. «E per la mia famiglia sono tornato adesso».
A quelle frasi piene di sottintesi incomprensibili, anche Fortemartello perse la pazienza. «Spiegati, una buona volta, dannazione! L’altra sera l’abbiamo capito tutti che sei qui per uccidere qualcuno, ma cosa diamine centra con la tua presunta famiglia?», urlò.
Eragon scoppiò definitivamente. «Cosa centra, mi chiedi?», si avvicinò a grandi passi al cugino, Brisingr ancora sguainata e stretta in mano. «Hanno assassinato mia moglie, dannazione! E i miei figli, dannazione!»
Il conte e tutti gli altri nobili riuniti lì lo guardarono sbalorditi.
«Sai quanti anni avevano, Roran? La maggiore aveva sei anni, era diventata Cavaliere da un mese esatto. Si chiamava Myra. Poi c’era Theo, lui aveva appena due anni. E Syria, la donna che amavo, era incinta, dannazione!». Fece un immenso sforzo nel cercare di trattenere le lacrime. Non poteva lasciarsi andare al dolore, non lì, non adesso.
«Cosa?», esclamò Loralynn stupita ed indignata, affiancandolo. «Che vuol dire che era incinta? Da quanto lo sapevi? Perché non ce l’hai mai detto?», gli strattonò il braccio agitata ed impaziente.
Eragon la guardò con occhi doloranti. «Vi avremmo fatto una sorpresa», sussurrò. «Mancavano due settimane, poco meno, al compleanno di Chloe, ve lo avremmo detto allora», fece una pausa, indeciso. Poi sospirò continuando: «Sarebbe stata una femmina, Syria lo ripeteva continuamente. L’avremmo chiamata Shaylins, in onore di entrambe... Ma quei bastardi me le hanno portate via prima che…», non finì la frase, ma tutti capirono lo stesso. Gli occhi di Eragon erano lucidi e a quelle parole anche Lynn e Nadja arrivarono sulla soglia delle lacrime.
«Adesso capisci il perché della mia fretta, Lynn?», chiese il Cavaliere «Dovessi far sprofondare Alagaësia sotto il mare, io ucciderò il colpevole, lo guarderò implorare perdono e poi il suo sangue scorrerà sulla terra come i freschi ruscelli delle montagne di Mandras». Spostò gli occhi su Nadja e dopo qualche secondo aggiunse: «Non posso lasciare questo crimine impunito. Non di nuovo».
Tutti lo guardarono in silenzio, sconvolti da quelle confessioni e profondamente dispiaciuti per il Cavaliere.
Erano così concentrati che quasi nessuno si accorse del grande drago azzurro che entrò delicatamente nella sala.
Il re delle Alture del Fuoco, notandolo, si riscosse e lo fissò intensamente. Rimase così, immobile, per qualche secondo, poi si avvicinò a Nadja. «Vuoi sapere chi era tua madre?», le sussurrò stringendole il braccio in una morsa nervosa.
La ragazza rimase sbigottita dalla domanda e fu in grado solo di annuire.
«Light allora ti racconterà di lei. Lui la conosceva bene, quanto e forse più di me».
Non aggiunse altro e lasciò la sala di corsa, senza che nessuno lo bloccasse.
Nadja lo guardò sparire oltre la porta, sbigottita. Si voltò verso Light ed il drago le fece cenno di avvicinarsi. Lasciò docile che gli montasse in sella e si allontanarono in volo lasciando tutti gli altri imbambolati e confusi.

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Avevo detto da qualche parte che avrei postato il 6, ma per diversi motivi ho preferito anticipare, anche se ho idea che nessuno tenterà di uccidermi per questo... o almeno credo... spero...
Il mistero della vendetta... Si poteva ben intuire dallo scorso capitolo, ma adesso è sicuro: Syria era la moglie di Eragon e soprattutto avevano due figli nati ed uno in arrivo, per questo motivo è quasi completamente distrutto (okay c'è anche un altro motivo, ma per quello si aspetterà... anche se si può intuire, non del tutto, ma qualcosa...)
Se qualcuno se lo chiede, okay Myra era un Cavaliere, ma solo da un mese ed aveva sei anni. Perciò era facile uccidere una bambina e poi il suo compagno disperato e giovane, soprattutto se l'assassino è un mago esperto come si evince dai primi capitoli.

Detto questo, ringrazio Edo, EliMe e Noe17 per le recensioni, Noe17 riceve un ringraziamento anche per avermi aggiunto alle storie preferite, e lo stesso elie191 per le seguite =)

Come al solito, vi chiedo di controllare se mi è sfuggito qualcosa, e se avete domande, chiedete.
Alla prossima,
Akil

P.S.
Vorrei chiedervi un piccolo favore: se cambiate nickname, vi pregherei di farmelo sapere, altrimenti è possibile che pensi che abbiate smesso di seguirmi, quando invece non è vero. Giusto per non fare confusione, grazie =)

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


«Ti ho sentito, stanotte».
Eragon era seduto a gambe incrociate contro il tronco di un grande salice piangente in uno dei tre giardini minori del castello, aspettando che la luna arrivasse nel punto più alto del cielo.
Nessuno lo aveva cercato dalla sfuriata di quella mattina. Tutti avevano ben recepito il suo desiderio di rimanere solo. Ma, evidentemente, anche l’ultimo istante di pace era finito.
Lynn gli si sedette di fianco. «È stata peggiore rispetto alle altre volte, vero?».
Lui distolse lo sguardo dalle sfumature verdi delle foglie e guardò la donna con occhi spenti. «Era iniziato bene. Era un ricordo», rispose neutro.
«Quale?».
«La nascita di Myra». Un piccolo, dolce sorriso gli si dipinse sul volto, ma si rabbuiò subito. «Lei diceva che sarebbe stata come me, ma io ero sicuro che avrebbe avuto il suo carattere. Adesso avrebbe undici anni e sarebbe bellissima».
Lynn gli strinse una mano e gli accarezzò una guancia, senza malizia, come avrebbe fatto una sorella. «Sei riuscito a vedere chi…».
«No», rispose subito, interrompendola. «Ridevamo, eravamo felici, poi tutto si è tinto di sangue». I suoi occhi erano tornati vacui, persi nelle memorie.
«C’era Keen?».
«All’inizio. Era parte del ricordo, quando mi era corso incontro, spaventato per Syria. Poi è rimasto fuori con Murtagh».
«Non dovresti avercela tanto con lui. Che colpa ne ha?».
«Lo so… è che non riesco neanche a guardarlo negli occhi, dannazione!». Chiuse gli occhi appoggiando il capo al tronco dell’albero. «È così simile a lei…».
«Ti capisco, ma rimane il fatto…», scosse la testa. Conosceva abbastanza Eragon da sapere che non avrebbe ceduto, perciò cambiò discorso. «Hai pensato alla proposta di Laskel?».
«Sì», rispose Eragon semplicemente.
«E…?».
«E non è giusto che sia io a decidere. Keen ha quasi diciotto anni, è cresciuto a corte, praticamente, e non è un Cavaliere. Di questa faccenda, Laskel ne deve parlare con lui, non con me».
«Tu non dirai nulla, perciò?».
«No, non sarebbe giusto».
«D’accordo». Lynn si alzò e gli tese la mano per aiutarlo a fare lo stesso. Eragon scoccò un’occhiata al cielo e scosse la testa. La donna guardò a sua volta la luna piena che troneggiava sul mondo e sospirò. «Vuoi davvero farlo, Eragon?», domandò preoccupata.
«Come sempre».
Lei sospirò. Ci aveva sperato per un attimo, come ogni volta. «E niente ti farà desistere, giusto?».
Il Cavaliere sorrise leggermente.
Lynn scosse la testa e si diresse verso l’entrata del castello.
«Non vi conviene restare qui», disse passando velocemente di fianco        ad Arya, nascosta dietro una colonna del porticato.
L’elfa si girò di scatto, colta in flagrante, ma l’ambasciatrice era già scomparsa. Tornò a guardare il Cavaliere e rimase interdetta.
Eragon aveva estratto un pugnale dalla lama ricurva e il lucido manico di ossidiana decorato di piccoli zaffiri. Avvicinò la lama al braccio e con assoluta delicatezza si incise la pelle da poco sotto il polso fino quasi al gomito, su entrambe le braccia.
Parlava, mentre lo faceva.
La sua testa era reclinata verso l’alto, gli occhi chiusi ed un’espressione rilassata sul volto. La sua voce era bassa e dolce mentre pronunciava parole quasi dimenticate e più potenti persino dell’Antica Lingua.
Il sangue colava placido dai due tagli e lui non sembrava soffrirne. I suoi palmi, rivolti al cielo stellato, brillavano di un’intensa luce azzurra che lentamente avvolse il suo corpo.
Arya era così concentrata nell’osservare i movimenti dell’uomo che rimase sorpresa nel vedere i bagliori caldi e colorati degli spiriti che si levavano dalla terra e circondavano il Cavaliere. Li stava richiamando, se ne rese conto quasi subito e si preoccupò all’istante. Eragon stava praticando la stregoneria, se non fosse stato abbastanza forte… Se fosse diventato uno Spettro, nessuno sarebbe stato in grado di fermarlo.
Perché lo fai, Eragon? Hai visto Durza e Varaug, vuoi davvero rischiare di essere come loro?, si chiese senza azzardarsi a sfiorare la mente dell’uomo.
Guardò incantata il vorticare delle decine di globi luminosi, rimanendo interdetta quando vide che non osavano avvicinarsi ad Eragon, ma si limitavano ad addensarsi davanti a lui.
Non capì precisamente cosa stesse succedendo, ma a poco a poco tra gli spiriti si iniziò a delineare una figura umana ed eterea. Era una donna dai capelli lunghi fino alle natiche, sciolti e traslucidi. Non riuscì a capire quanti anni avesse, sembrava una ragazzina ed allo stesso tempo una donna matura. Ma la sua espressione fu ciò che colpì di più l’elfa: pareva indecisa tra l’essere felice o triste, come se non riuscisse a decidere cosa pensare di quell’evocazione.
Allungò una mano diafana verso il volto di Eragon e lo sfiorò delicatamente. Il Cavaliere aprì gli occhi e la guardò estasiato.
Il tempo parve cristallizzarsi in quel preciso istante. Il sangue smise di scivolare via dal corpo dell’uomo e tutto il mondo tacque senza il coraggio di distruggere quella perfetta visione.
Eragon, una voce delicata penetrò nella mente di Arya che rimase ammaliata da quel tono dolce e non riuscì a difendersi.
«Ay…», sussurrò Eragon emozionato.
C’è qualcun altro qui, Eragon. Non resisterò per molto.
Il Cavaliere si rattristò visibilmente a quella frase. «Lo so», rispose, «ma dovevo rivederti», allungò una mano a toccare quella della donna posata sul proprio viso, «sentirti e ascoltare la tua voce».
Arya notò stupita che quel corpo trasparente e leggero era solido, non una semplice proiezione mentale.
Eragon, sussurrò la donna straziata. Non puoi continuare a…
«Ti prego», la interruppe lui. Una lacrima scivolò sul suo volto, pallido alla luce della luna. «Ho bisogno di averti vicina. Tutto sta crollando ed io non resisto più. Da quando non ci sei più tutto perde sempre più senso, non so più a cosa aggrapparmi».
Lo spirito si inginocchiò davanti a lui e lo strinse tra le braccia. Eragon si abbandonò a quell’abbraccio cominciando a singhiozzare convulsamente.
Lasciami andare, implorò lei.
«Non posso. Non posso», cantilenò il Cavaliere stringendola sempre di più a sé.
Devi, Eragon, devi. Ti stai distruggendo, non posso permettertelo. Non voglio essere la tua condannatrice.
«Non lo sei mai stata, né mai lo sarai. Sei l’unica ragione per cui continuo a vivere. Vivo solo per rispettare la nostra promessa».
Non sarà in queste condizioni che lo farai al meglio. La donna lo accarezzò nuovamente.
Eragon stinse la presa sulla sua mano. «Non sarà senza di te che lo farò al meglio», la corresse.
Stai impazzendo, constatò angosciata.
«È probabile», ammise neutro. Poi, si fermò a guardarla intensamente per qualche istante. «Sarei disposto a tutto per riaverti con me», sussurrò. «A tutto». La abbracciò di nuovo, stringendola a sé il più possibile come se cercasse di fonderla al suo corpo.
Eragon… La donna scosse la testa esasperata. All’improvviso, però, alzò il capo, irrigidendosi. Loro stanno arrivando, disse concitata.Devo andare. Sono troppo vicini. La prenderanno se resto. Lasciami andare, implorò e, incredibilmente, anche lei parve cominciare a piangere. Ti prego, Eragon, lasciami. Lentamente disfò l’abbraccio, cercando di distanziarsi dal corpo dell’uomo.
«No! Non andartene!», urlò lui. Le tenne stretto il polso impedendole di staccarsi del tutto. «Non così presto, ti prego!».
Un perforante grido di terrore, però, lo distrasse facendogli mollare la presa d’istinto.
Arya era uscita allo scoperto, assediata da una decina di globi violacei tendenti al nero.
Spiriti maligni, Eragon li riconobbe subito. Non se ne curò particolarmente, però. Adesso aveva altro a cui pensare.
La donna eterea si stava allontanando sempre di più, perciò si alzò di scatto, tendendo la mano sinistra verso di lei, cercando di afferrarla, di bloccarla.
«No! No!», urlava disperato, ma lei non si fermava. «Non lasciarmi!». Inciampò e cadde in ginocchio sul terreno polveroso, mentre guardava la figura farsi sempre più fioca ed impalpabile. «Ti prego», implorò sussurrando. «Non lasciarmi…». Ormai, però, la donna era scomparsa e con lei tutti gli altri spiriti.
Il mondo rimase bloccato per qualche secondo, poi la quiete si spezzò, quasi all’improvviso, e la realtà si abbatté sulla mente del Cavaliere con la stessa potenza della Cascata di Uhylía*. Il vento tornò a soffiare, facendo frusciare le fronde degli alberi; i grilli ripresero a cantare ed il sangue ricominciò a colare dalle ferite dell’uomo.
Il possente e dolorante ruggito di Saphira risuonò nell’aria notturna di Ilirea, spaventando adulti e bambini, mentre Arya urlò involontariamente un’ultima volta, ancora terrorizzata da quegli esseri che l’avevano attaccata.
Ci mise un po’ a comprendere che era tutto finito, ma appena si calmò, notò subito il Cavaliere, dall’altro lato del giardino, rimasto in ginocchio, immobile, gli occhi persi nel vuoto, il volto rigato dalle lacrime e il braccio teso verso il nulla.
Gli si avvicinò molto lentamente, mentre sentiva i passi concitati di coloro che l’avevano sentita urlare. Una piccola folla vociferante di quindici persone le si raccolse alle spalle, appena, però, videro il Cavaliere, si azzittirono. Tra di loro c’erano anche i compagni di Eragon, compresa Nadja, tornata chissà quando e con una faccia sconvolta.
L’elfa allungò una mano e sfiorò la spalla dell’uomo.
La reazione fu istantanea. Eragon si voltò di scatto afferrandole il braccio con forza e puntandole Brisingr alla gola.
«Sei stata tu!», urlo. «È colpa tua! Lei se n’è andata per colpa tua! Per colpa vostra!». Era sconvolto dalla disperazione, peggio della notte precedente.
Arya lo guardò ad occhi sgranati, spaventata da quella rabbia. Cercò disperatamente di divincolarsi, ma la presa del Cavaliere era salda, nonostante il sangue che continuava a perdere. Brisingr premette di più contro la sua pelle, incidendola leggermente. L’elfa capì subito che, in quel momento, non era la ragione a comandare Eragon e che il Cavaliere non avrebbe esitato ad ucciderla, nonostante lei non capisse la sua colpa.
Per sua fortuna Lynn intervenne. Corse al fianco dell’uomo, voltandogli la testa verso di sé. «Calmati, Eragon», gli ordinò scandendo bene le parole. «Non puoi farlo».
Lui la guardò per qualche secondo con occhi vacui, come se non la riconoscesse, poi capì, ma, invece di mollare l’elfa, strinse ancora più forte il suo braccio. «È colpa sua», ripeté a denti stretti. «Deve pagare».
«Cos’ha fatto, Eragon?», chiese l’ambasciatrice.
«L’ha mandata via, Lynn. Lei me l’ha tolta», sussurrò.
«No, Eragon». Ad ogni risposta ripeteva il suo nome, come se volesse ricordargli chi fosse. «Non è stata lei. Sono stati loro. Arya non ha colpe in questa storia».
«Invece anche lei ha delle colpe… Io sarei potuto arrivare in tempo se…».
L’arrivo di Murtagh, Logan e Nadja - che lentamente si erano avvicinati - lo interruppe. Eragon spostò istantaneamente lo sguardo sulla ragazza.
«Perché non me l’hai detto tu?», chiese d’istinto lei, con tono deluso, nonostante la grande tensione che permeava l’aria. Tranne l’uomo, nessuno capì a cosa si riferisse.
Sembrava perfino essersi dimenticato dell’elfa che stava minacciando. «Perché non voglio credere che tutto questo sia vero», rispose con voce rotta, così piano che solo loro cinque lo sentirono. «Desidero che tutto questo sia solo un incubo da cui mi sveglierò prima o poi. Raccontare tutto anche a te avrebbe significato rendere tutto reale. Io…». Scosse la testa senza continuare. Nadja, sull’orlo delle lacrime, cercò i suoi occhi ma lui continuava a fuggirle. «Scusa», disse infine il Cavaliere, ma alla ragazza parve che non si stesse riferendo a lei. «Non ce la faccio, perdonami». Detto questo, rinfoderò Brisingr e lasciò l’elfa che perse l’equilibrio, cadendo malamente a terra. Camminò rapido verso l’uscita e la folla, terrorizzata, si divise in due creandogli un corridoio.
Il silenzio si protrasse per qualche secondo, poi tutti i nobili cominciarono a parlottare e commentare, infastidendo la delegazione di Mandras.
«Andatevene tutti e non fatene parola con nessuno», ordinò Murtagh. Lo guardarono tutti intimoriti, ma nessuno si mosse. «Ora!», abbaiò e tutti corsero via. Poi, senza che nessuno riuscisse a sentirlo, pronunciò qualche parola nell’Antica Lingua.
«Credi davvero che staranno in silenzio?», gli chiese Logan.
«No, infatti ho appena fatto in modo che non riescano mai più ad aprire bocca su questa faccenda. Alla mente ci penseremo dopo».
Il ragazzo annuì, poi si voltò verso Nadja che aveva iniziato a piangere. La strinse a sé senza far domande.
«Ti prego, andiamo via», gli sussurrò lei.
Logan le tenne un braccio sulle spalle per confortarla ed insieme lasciarono il giardino.
Allora, Loralynn s’inginocchiò di fianco ad un’Arya tremante, scossa da tutti gli avvenimenti della notte.
Le prese il braccio, scostando la manica bianca macchiata dal sangue del Cavaliere, per controllare cosa le avesse fatto. Sospirò vedendo il grande ematoma nero che si stava creando e che aveva l’esatta forma della mano del suo amico.
«Ve l’avevo detto che dovevate andarvene», le sussurrò cominciando a guarirla. Non riuscì, però, a rimproverarla veramente. Infondo, anche a lei era successo una volta. Certo, era stato prima che Eragon perdesse la ragione fino a quel punto, ma comunque era qualcosa che l’aveva segnata molto ed aveva completamente cambiato il suo rapporto con il Cavaliere.
Abbracciò l’elfa ed istintivamente lei appoggiò la testa sulla sua spalla, come se fossero da sempre grandi e fidate amiche.
«Non è più lui», sussurrò la regina. «Non è più il mio Eragon».
«No», rispose Lynn. «Ora lui è solo un Sundavrsjela** e nulla lo riporterà indietro».
Arya non poté fare altro che portarsi il braccio - ancora dolorante nonostante l’incantesimo curativo - al petto e lasciarsi preda di un pianto liberatorio.

************
 
*Cascata più grande di Mandras, formata da un fiume che sfocia nel mare con uno strapiombo di 1100 metri, all’incirca. È posizionata tra le Alture del Fuoco.
**Anima d’Ombra da Sundavr (= Ombra) e Sjela (parola che mi sono inventata io a partire dal norvegese per dire Anima. Ho cercato, ma non ho trovato questa parola nell’Antica Lingua. Se qualcuno la sa, me lo può gentilmente dire, cosicché io possa correggere?)

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Molto bene! Saaaaalve!
Come state? Io bene, questa settimana ho ricevuto la pagella ed ho potuto sanamente poltrire durante le lezioni di ripasso, perciò sono serena =)
Passando al capitolo... ebbene sì: Eragon è pazzo! L'avevo più o meno annunciato nel capitolo del sogno, ma adesso è molto più chiaro. Ciò non vuol dire che adesso esce, fa una bella strage stile Urgali, e poi se ne torna tutto sorridende a cercare il suo colpevole. No, semplicemente non è più razionale in determinate questioni, e non si farà fermare da nulla per raggiungere i suoi obbiettivi.
So che in questi capitoli Arya può sembrare una persona debole e senza spina dorsale, ma diciamo che si era abiutata ad essere l'essere più potente di Alagaësia, poi si è vista arrivare Eragon e Logan che sarebbero capaci di ribaltare completamente il suo mondo.
E poi, agli elfi qualcuno che gli faccia abbassare un po' la cresta non fa mai male, non credete?

Bene, direi che, per non fare spoiler, non ho altro da dire sul capitolo, perciò passiamo ai ringraziamenti.
Grazie a Kia, Noe, Edo ed Eli per aver recensito, a_little_dreamer e michelangelo35 (che già era tra i ricordanti... uhm, si dice "ricordanti"? Va be', ci daremo ai neologismi, in caso XD) per avermi aggiunto alle seguite, e anche bertuccia95 perché ha aggiunto Memorie alle seguite.

Il prossimo aggiornamento sarà fra due settimane, sempre di domenica.
Buona domenica a tutti,
Akil

P.S.
Se per qualche strano motivo non si avessero più notizie di me, prendetevela con Edo, probabilmente mi avrà uccisa perché troppo smanioso di conoscere il seguito XD

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Per nove giorni nessuno ebbe notizie di Eragon.
Murtagh e Loralynn avevano fatto in tempo ad andare sia nel Surda che a Terim e ad ottenere il permesso di esaminare i maghi, tornando ad Ilirea con un largo anticipo rispetto al Cavaliere.
Nadja, invece, era rimasta chiusa in camera sua, per quasi tutto il tempo, rifiutando di parlare con chiunque. Nemmeno Logan, impegnato nel continuare l’addestramento di Kevan e del suo piccolo compagno Erath, era riuscito a strapparle una parola.
Fu proprio nella Sala delle Armi che Arya trovò i due Cavalieri. In particolare, li colse nel momento in cui il compagno di Liar atterrò per l’ennesima volta il giovane apprendista.
«Ti prego», implorò Kevan con il fiatone, «facciamo una pausa; è quasi un’ora che combattiamo senza tregua».
Logan ci pensò un po’ sopra, poi sorrise e gli tese una mano per aiutarlo a rialzarsi. «D’accordo, ma sappi che, se al mio posto ci fosse stato Eragon oppure Murtagh, con questa frase ti saresti guadagnato quaranta minuti supplementari. Parlo per esperienza».
Il quindicenne lo guardò stupito. «Devono essere dei tiranni. Come fate ad accettarli?».
Il Cavaliere rise amaramente scuotendo la testa. «Beata ignoranza… Tu non hai la minima idea di cosa sia un tiranno, Eragon e Murtagh non gli si avvicinano neanche lontanamente. Ora va’, continueremo questo pomeriggio».
Kevan obbedì senza fiatare correndo da Erath.
Arya attese che si fosse allontanato fino ad essere fuori portata d’orecchio e si avvicinò a Logan che, vicino ad una bacinella di acqua gelida, aveva cominciato a rinfrescarsi incurante della sua presenza.
«E tu hai idea di cosa sia un tiranno?», gli chiese mentre lui si toglieva la camicia sudata e si passava un panno bagnato sulle spalle.
«Avevo sette anni quando ho lasciato Alagaësia con Eragon. Ho vissuto sotto Galbatorix», sussurrò girandosi verso di lei, «e ricordo molto più dolore di quanto un bambino dovrebbe provare».
Gli occhi dell’elfa vennero calamitati verso una forma scura sull’addome del ragazzo. Sospirò sorpresa quando vi riconobbe una fiamma attorniata da una corona.
«Quello è…».
«Il suo stemma*», annuì atono Logan.
«Sette anni?», ripeté stupita.
Lui assentì guardandola amaramente. «Come vedi, ho idea di cosa sia un tiranno e anche di cosa sia un mostro».
«Cosa avevi fatto per meritartelo?».
«Meritarmelo?», sibilò il ragazzo ad occhi socchiusi. «Come può un bambino di sette anni meritarsi un ferro rovente sulla pelle?».
L’elfa tacque, incapace di ribattere. Cosa gli stavano facendo quegli uomini? Da quando erano arrivati, un paio di settimane prima, si sentiva sempre più debole nell’anima; una pallida copia della donna che era sempre stata. Insomma, da quando Arya Islanzadisdaughter non riusciva a tenere testa a qualcun altro durante un discorso?
«Perché non hai rimosso quel marchio? Eragon, Murtagh, o anche proprio tu, avrebbe potuto farlo, immagino».
«Eragon aveva aspettato che avessi vent’anni per chiedermelo», ammise. «Me lo propose come regalo per la mia Investitura. Disse che diventando Cavaliere sotto tutti gli aspetti avrei potuto ricominciare da capo e eliminare questo marchio avrebbe sancito questo nuovo inizio».
«E rifiutasti, a quanto vedo. Perché?».
«Perché è legato al mio passato, volente o nolente, è una parte di me. Per quanta sofferenza mi causi vederlo ogni giorno sulla mia pelle, ho paura che distruggendolo potrei dimenticare quella parte. Fuggire dai nostri dolori non fa altro che ingigantirli e renderli più pericolosi una volta che si ripresenteranno», spiegò sfiorandosi la pelle annerita.
Arya si chiese se al suo posto avrebbe fatto lo stesso. Si rispose che sarebbe tutto dipeso dal motivo per cui aveva dovuto soffrire.
«In ogni caso», continuò il ragazzo voltandosi nuovamente, «non è qualcosa che mi piace raccontare, spero capirai».
Lei annuì, rimanendo in silenzio. Abbassò lo sguardo e lo posò casualmente sul bracciale del Cavaliere.
«Che cosa significa?», chiese indicandolo. «Ho notato che ne portate tutti uno».
Logan guardò a sua volta la striscia di cuoio nero con la piastra di metallo che portava al polso. La fece ruotare per un po’ pensando a come iniziare il discorso. «È un simbolo, serve a… identificare una persona. Ogni individuo a Mandras ha uno di questi bracciali. Si chiamano Rodahi, anche se il termine dovrebbe indicare solo l’elemento metallico, ma ormai nessuno usa più il nome giusto… e in verità non me lo ricordo nemmeno io». Fece un sorriso di scuse.
Arya sorrise a sua volta, invitandolo a continuare.
Il Duecuori indicò la placca lucente.  «Comunque, ogni classe sociale – a volte anche mestiere –, ha un suo metallo specifico: la nobiltà è d’oro, i Cavalieri sono di platino, i soldati d’acciaio, i fabbri di ferro e i contadini di rame. Appena apri gli occhi per la prima volta, viene forgiata la tua Rodahi, con il materiale che ti spetta e con lo stemma della tua famiglia, o dei signori della tua famiglia», le mostrò il rilievo della sua Rodhai. Un sole tramontate dietro a delle montagne attraversate da un drago in volo. «Eragon, Murtagh, Nadja ed io portiamo lo stemma dei Cavalieri, perché arrivando a Mandras abbiamo creato questa famiglia… o meglio, Stato».
«E quando, per esempio, un contadino diventa Cavaliere? Che ne è della sua vecchia Rodahi?».
«Viene fusa insieme al platino e viene aggiunto il Drago Splendente**. Il tutto viene fatto la notte della tua Investitura, una delle rarissime occasioni in cui è concesso separartene. Nulla indica un cambiamento più del modificare la tua Rodahi».
«Il colore del bracciale ha qualche significato?».
«No. Di solito è un colore che per te è speciale, perché rappresenta la tua magia o il tuo compagno. Il mio per esempio è nero all’esterno, ma dentro è dorato, in onore di Liar e Glaedr».
«Hai detto che ad un neonato viene subito messa al polso la Rodhai, ma ovviamente un bambino cresce e hai anche detto che non ce la si può togliere quasi mai. Come puoi non separartene mai per non cambiare il bracciale in cuoio?», domandò Arya curiosa.
Logan cercò le parole più adatte per spiegarsi. Creare una Rodhai non era un processo semplice, e riferirlo, seppur in modo superficiale, era ancora più difficile. «Mentre vengono forgiate e assemblate», iniziò, «maghi esperti le incantano usando il tuo sangue. In questo modo il bracciale crescerà assieme a te, adattandosi completamente al tuo braccio e anche… ai tuoi gusti, in modo che tu possa anche decidere il colore che preferisci e che più valorizza i tuoi occhi», aggiunse con il tono frivolo delle diciottenni della corte. L’elfa sorrise a quell’imitazione. «La Rodahi rappresenta te in tutto e per tutto, è per questo che non te ne separi mai tranne per una modifica del metallo e perciò per un drastico cambiamento della tua vita», concluse tornando serio.
«Da quello che mi hai spiegato però, la placca metallica indica solo il tuo grado sociale e la famiglia a cui appartieni. Non lo definirei "tutto”».
Logan ruotò il braccio mostrandole la parte inferiore del bracciale, dove i due lembi di pelle nera erano uniti da alcuni fili ed anellini di diversi colori. Non erano piccoli e l’elfa si stupì di non averli mai notati. «Sono questi a mostrare la tua vita», le disse. Indicò il filo rosso al centro della cucitura. «Questo, per esempio, rappresenta la famiglia natale ed ogni anello è uno dei suoi membri. Questi due uniti rappresentano i genitori, di solito sono viola, ma i miei sono neri perché sono morti. I fratelli, invece, sono blu».
«E tu sei figlio unico, poiché non c’è nessun anello blu», dedusse Arya.
«Esattamente. Allo stesso modo non c’è nessun anello sul filo viola del matrimonio dove l’anello dorato indica il consorte, mentre i figli sono rossi e molto spessi».
«Ed il filo verde? Ci sono diversi anelli su quello».
«Indica gli affetti, diciamo. Le amicizie principalmente. Non tutte, ovviamente, solo quelle che consideri pilastri nella tua vita. Come vedi ne ho sette: Liar, Eragon, Nadja, Murtagh, Lynn e due persone che non conosci», spiegò. «Infine ci sono il filo nero e quello blu. Il primo è quello più disprezzato dai Mandrasi e simboleggia le persone che hai ucciso».
Arya lo guardò stupita. «Avevo capito che a Mandras non ci fossero tanti omicidi».
«Ed è così, ma ci sono state anche lì delle guerre… ed anche operare una vendetta vuol dire rubare un vita, per quanto possa essere per nobili motivi». Si fermò un secondo cercando le parole adatte a spiegarsi. «Uccidere è qualcosa di terribile e non è ammissibile che le persone dimentichino di essersi macchiate le mani di sangue, perciò l’omicidio è di piombo. Un solo anello, però, per quanto spesso non è abbastanza pesante, quindi vengono magicamente modificati sia il filo che l’anello. Il secondo perché si avverta un peso superiore a quello reale, il primo perché lo regga».
L’elfa lo ascoltò interessata, ma all’improvviso le venne in mente un dettaglio. «Eragon ha combattuto durante la Guerra. Era in prima linea e più volte ha guidato gli attacchi. Lui ha ucciso più persone di quante egli stesso possa ricordare».
Logan sospirò annuendo. «Eragon e Murtagh sono ben consci di aver spezzato molte vite, così tante che anche se conoscessero il numero sarebbe impossibile avere abbastanza anelli. L’ex-re di Mandras era “in debito” con loro - per motivi che non ti spiegherò ora - ed aveva anche proposto di cancellare il loro passato agli occhi di Mandras, infondo nessuno li conosceva ancora, nessuno avrebbe saputo. Entrambi si opposero con forza. Ricordo bene le parole di Eragon, nonostante fossi un bambino: “Negli ultimi due anni mi è stato perdonato tutto perché ero Eragon Ammazzaspettri, l’ultimo Cavaliere libero di Alagaësia, pronto a combattere con i Varden e l’unica speranza di abbattere Galbatorix. Ho iniziato rubando pelli ed ho finito rubando vite. Sono cambiato più volte, ma non ho mai dimenticato le mie colpe. E non lo farò di certo adesso, Maestà ”. Giunsero alla conclusione che la Rodhai sarebbe stata insufficiente, perciò Eragon chiese che venissero forgiati una collana, uno spallaccio e due cavigliere in maglia di piombo che potesse indossare sempre».
La regina rimase sinceramente stupita. Ricordava come Eragon si sentisse male nell’uccidere, ma non credeva fosse qualcosa di così radicato nella sua anima. Era sicura che la maggior parte degli elfi avrebbe accettato quel perdono. Probabilmente la sua razza non avrebbe neanche ammesso i propri errori.
«Hai molta stima di lui», considerò dopo un po’.
Logan sorrise. «Mi ha salvato la vita», ammise. «Se sono così adesso, lo devo a lui, principalmente. Vedi il filo blu? Non ha anelli, solo delle piccole gemme. Rappresentano i momenti fondamentali della mia vita, quelli che sento avermi cambiato profondamente. Ce ne sono cinque e per via diretta o meno, sono tutti collegati a lui.  Mi ha portato via da Alagaësia quando ero un bambino solo e senza futuro, mi ha insegnato a controllare la mia mente, ad essere un mago ed un Cavaliere razionale e giusto. Gli devo tutto».
«Lo seguiresti in ogni sua decisione?».
«Fino a quando non andrà contro i miei principi, sì».
Arya sorrise. «Immagino sia stata la prima lezione che ti ha impartito Eragon».
Logan ricambiò annuendo. Stava per aggiungere qualcosa ma dei passi veloci che si dirigevano verso la sala lo bloccarono. Si girò verso la porta esattamente nel momento in cui Murtagh fece la sua comparsa.
«Regina Arya. Logan», li salutò il Cavaliere di Freedom, per poi concentrarsi solo sul ragazzo. «Eragon non è ancora tornato, in qualità di suo erede devi occuparti degli affari del Regno. Aleis ti sta aspettando».
Logan sospirò prevedendo due ore, forse di più, di lamentele dei contadini. Per quanto i Cavalieri amministrassero bene il loro regno, era impossibile che qualcuno non fosse scontento. «Arrivo subito, grazie». Si rimise la camicia velocemente. «Spero di aver risolto i tuoi dubbi, Arya», le disse, portandosi il braccio destro al cuore e mettendo in mostra la Rodhai, per congedarsi.
«In realtà credo tu ne abbia aperti molti altri, Cavaliere», rispose l’elfa guardandolo scherzosamente male.
Logan fece un mezzo sorriso, sparendo nel corridoio.

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*Sinceramente, non mi ricordo bene lo stemma di Galbatorix, so solo che è rosso e c’è una fiamma, ma non mi vengono in mente altri particolari e andare a rivedere tutti i libri in cerca, probabilmente, di tre parole in croce, mi porterebbe solo via tempo. Perciò, ho deciso che nella mia fanfiction lo stemma del Re Nero sarà una corona nera nel cui mezzo c’è una fiamma viola, il tutto su sfondo oro e rosso a bande orizzontali. Spero che i più affezionati e tradizionalisti non me ne vogliano.
**Credo si capisca, ma meglio specificare, il Drago Splendente è il nome con cui viene generalmente indicato lo stemma dei Cavalieri di Mandras

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Okay, questo è uno dei capitoli che trovo più odiosi, perché ho dovuto spiegare. Quanti di voi si chiedevano cosa fosse quel bracciale e perché si portassero il braccio al petto? Bene, adesso direttamento e indirettamente lo sapete!
Per il resto, boh... Eragon è ancora disperso (probabilmente starà trucidando dei pucciosissimi conigli dagli occhi rossi); Nadja si è rinchiusa in camera; Murtagh corre avanti e indietro per Alagaesia senza un apparente motivo; Lynn starà dormendo; Arya va a dar fastidio a Logan e Logan è l'unico che sta veramente facendo qualcosa. Mi ricorda lo stereotipo dello stagista usato da tutti per portare il caffé in ufficio, solo che per lui il lavoro è molto più duro. XD

Avviso: sono aperte le iscrizioni al Movimento Abbassiamo la Cresta agli Elfi (MACE), per ora siamo due membri ufficiali (io ed Eli), cerchiamo qualcuno che ci segua e ci aiuti nella nostra missione: far capire agli elfi che non sono nulla di meglio del mio gatto grasso e dormiglione!

Tornando seri, ringrazio Edo ed Eli per aver recensito e un'altra volta sempre Edo perché ora ha Revenge anche nella lista dei preferiti. Evidentemente, più maltratto l'autostima degli elfi, più lui è felice. Aspetta ancora due capitoli e ti divertirai.

Ci vediamo con il prossimo capitolo tra due settimane,
Akil

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Logan sospirò sollevato quando l’ultimo contadino lasciò la Sala Grande del Palazzo Splendente*, la sede dei Cavaliere di Mandras. «Dannazione che mal di testa», esclamò prendendosi il capo fra le mani.
«Dai, Lo, è andata, hai finito. Adesso sei libero di divertirti con Nay», lo prese in giro Aleis sussurrando attraverso lo specchio perché nessuno la sentisse.
Logan lanciò un’occhiata di fuoco alla ragazza minuta, mora e dagli espressivi occhi scuri. A prima vista sembrava indifesa, ma bastava metterle in mano una daga per riconsiderarsi. Non a caso era Comandante al pari di Murtagh nei Cavalieri.
Da quando Fedha, la sua compagna, era nata, aveva lottato tanto e si era impegnata seriamente per arrivare dov’era ora. Per lei, inoltre, la schiusa dell’uovo era stata molto più traumatica che per gli altri, ma era giustificato. Infondo, essere il primo Cavaliere di un regno che, fino a poche settimane prima, credeva che i draghi fossero solo delle favole per bambini, non era esattamente facile.
Aveva sette anni in più di Logan, ma questo non aveva impedito ai due di diventare migliori amici, amicizia in cui dopo qualche tempo Nadja e Crashnir non avevano faticato ad entrare.
Erano stati sempre un gruppo affiatato, con pochi segreti tra di loro. Non a caso Aleis e Crash erano gli unici che sapessero ufficialmente della coppia.
«Sta’ zitta, ti prego. Non ho neanche la forza di risponderti come meriti», sbuffò Logan esasperato.
«Oh, andiamo, ne hai ascoltati solo cinquantadue! Eragon è abituato dai settanta in su!», intervenne il ragazzo al fianco di Aleis.
«Sempre pronto ad incoraggiare, vero Crash?».
L’amico sorrise con i suoi denti bianchi e dall’aspetto affilato. «Suvvia, Lo, sorridi un po’. È la seconda volta che ci sentiamo da quando sei partito per Alagaësia e non ti ho mai visto allegro».
«C’è poco da essere allegri», rispose il moro. «Da quando siamo arrivati Eragon si comporta in modo strano. Si perde spesso nei suoi pensieri, è irascibile e sparisce continuamente. Dannazione, è più di una settimana che non abbiamo più notizie di lui. Se n’è andato da solo, senza Saphira né quel nuovo drago, Light». Si mise le mani nei capelli nervoso. «E poi c’è il problema di Nadja. Da quando è tornata non mi parla e se ne sta chiusa nella sua stanza. Sto impazzendo, dannazione».
«Aspetta», lo fermò Aleis inarcando le sopracciglia dubbiosa. «Nay se n’era andata via?». Si erano sentiti solo la sera prima del torneo, perciò a Mandras non avevano idea dei nuovi sviluppi.
Logan sospirò annuendo. «Sì, Eragon le ha detto dove trovare informazioni su sua madre, se non sbaglio. Per un giorno è scomparsa ed è tornata proprio la sera della partenza di Eragon».
«Sua madre?». I due mandrasi erano sbigottiti. I genitori della ragazza era sempre stato un grande mistero per lei e i suoi amici ed Eragon non aveva mai osato dire una sola parola in proposito. «Ha scoperto qualcosa in più su di lei?».
Logan scosse la testa. «Non lo so, dannazione! Non mi vuole parlare, so solo che è sconvolta», sbatté violentemente il palmo aperto sulla scrivania dove sedeva.
«Calmati, Logan», lo riprese Aleis. «Sei troppo stressato. Da quanto non fai un bel voletto con Liar?».
Il ragazzo fece mentalmente qualche conto. «Io e lui soli? Troppo tempo, decisamente troppo tempo».
«D’accordo, allora adesso vai da Murtagh, gli dici di lasciarti in pace mezza giornata, monti in sella al tuo compagno e non pensi a nulla per qualche ora. Vedrai che starai meglio».
«Hai ragione. Se non ci sono altre questioni imminenti», cominciò alzandosi leggermente dalla sedia, «io potrei anche and…». Un acuto stridio lo interruppe. Logan sbuffò contrariato riconoscendo quel verso e soprattutto la zazzera bionda che avanzava nella navata. «Cosa gli succede, adesso?», domandò sottovoce scocciato.
Crash lo guardò comprensivo. «Forza, amico, se superi anche questa senza impazzire, ti prometto che distruggerò questo specchio prima che sorgano altri problemi». Stavano parlando in una lingua derivata dall’Antica Lingua, perciò anche se in modo decisamente più debole, quella promessa aveva un vero valore.
Il Cavaliere scoccò all’amico un’occhiata di fuoco. «Se sorgessero altri problemi, sappi che li scaricherei tutti a te ed andrei a farmi il mio meritato volo», lo avvisò mentre il nuovo arrivato si fermava a pochi passi dallo specchio. Era un ragazzo di diciassette anni, dal viso affilato e gli occhi a metà tra il verde ed il castano. Sulla sua spalla era ben ancorato un giovane falco.
«Keen», lo salutò l’Erede dell’Ordine.
Il ragazzo rispose con un cenno del capo. «Dov’è mio padre, Logan?». Il falco stridette ancora, aumentando il mal di testa del Cavaliere.
«Come puoi vedere, Eragon non è qui», rispose  stanco.
Keen respirò profondamente, in preda all’irritazione ed al nervosismo. «Puoi chiamarlo, per favore?», sibilò. «Ho urgente bisogno di parlargli».
Logan reclinò la testa all’indietro, capendo che se non fosse stato attento avrebbe potuto avere un esaurimento. «Il fatto, Keen», cominciò scandendo bene le parole, «è che lui non è qui a palazzo, non è qui ad Ilirea e sinceramente ormai non so più neanche se sia qui ad Alagaësia. Sono nove giorni che non si vede».
Il biondo si passò una mano sul mento, pensieroso. «Capisco… Appena sarà tornato, puoi chiedergli di contattarmi? Devo urgentemente parlargli».
Il Cavaliere annuì guardandolo stupito. Da quando Keen non perdeva la pazienza di fronte ad una risposta come la sua? Doveva trattarsi di qualcosa di serio. «Che succede? Ci sono problemi a Mandras? Laskel? Kaeli? Chloe?», domandò preoccupato.
L’altro scosse la testa. «No, stiamo tutti bene. È solo che…», si guardò intorno osservando i due Cavalieri presenti nella Sala come se li vedesse per la prima volta dalla sua entrata. «Ma perché te lo devo spiegare? In fondo tu non centri nulla con Mandras».
Per quanto Logan desiderasse chiudere al più presto quella faccenda, si sentì punto nell’orgoglio. Non fece, però, in tempo a dir nulla che Aleis lo precedette.
«Impara il rispetto, ragazzino, prima di dar fiato alla bocca», sibilò a due passi da lui. «Non stai parlando con un tuo amichetto qualunque. Quell’uomo ti ricordo essere Logan Duecuori, Cavaliere di Liar il Selvatico ed Erede dell’Ordine. Tu chi sei, invece?».
«Keenan, figlio di re Eragon, sovrano delle Alture del Fuoco e dei Cavalieri», rispose il ragazzo a testa alta.
Aleis ridacchiò ironica. «Oh, certo. Il grande figlio di Eragon! Ma dimmi, per caso, sei a tua volta un Cavaliere? Umh… non credo proprio. Sei solo un semplice cittadino di Asidrea che è venuto a visitare la dimora dell’Ordine. In questo luogo non hai alcun diritto, Keenan, mettitelo bene in testa».
Logan rise apertamente a quel discorso. «Tiri fuori gli artigli, Allie?», domandò sorridendo. Crash si unì alla sua risata, ricevendo una forte gomitata sullo stomaco da parte della ragazza.
«Fate silenzio voi due», ordinò guardando entrambi malissimo. «Io sono un Cavaliere, da più tempo di tutti voi, inoltre, al contrario del ragazz…».
Il falco pellegrino stridette fastidiosamente mentre Keen urlava un “Basta, dannazione!” perdendo ogni residuo di pazienza.
«Smettetela di darmi del ragazzino, dannazione! Ho diciassette anni e sono il futuro erede del trono di Mandras», proruppe.
I tre Cavalieri lo guardarono stralunati. «Cosa?», domandò Logan. «Laskel ti ha nominato suo erede?».
Il ragazzo boccheggiò incerto.
«Allora? È così?», rincarò Crash.
«Sì, ma sarebbe dovuto rimanere un segreto fino al voto ufficiale del Consiglio», rispose Lynn apparendo alle spalle di Logan e lanciando uno sguardo fulminante al biondo. «E da quello che so non hai ancora accettato. Sbaglio, Keen?».
«Io… no, non l’ho ancora fatto. È per questo che ho bisogno di mio padre».
«Logan ti avrà già detto che non c’è. Puoi contare sul fatto che appena lo rivedrò farò in modo che ti parli».
«Grazie zia, mi faresti un grande piacere».
La donna sorrise e lo congedò. Poi si rivolse ai Cavalieri. «Vi chiedo di giurare di non dire niente su questa faccenda di Keen fino a quando la sua nomina non sarà ufficiale».
I tre annuirono pronunciando dei giuramenti non pericolosi. All’improvviso, però, Crash estrasse la spada argentea distruggendo lo specchio e spezzando l’incantesimo di comunicazione.
Lynn si ritrasse, guardando stupita Logan che rideva.
«Aveva promesso che mi avrebbero lasciato in pace», spiegò il ragazzo. «E adesso scusa, ma vado a fare un bel volo con Liar. Fate finta che io non esista per le prossime tre, quattro ore, grazie», disse alzandosi dalla sedia e sparendo nel corridoio in direzione dell’uscita.
 
Nadja guardava attentamente il grande arazzo appeso nell’ampio corridoio. Ritraeva una città che non riconobbe, assediata da un esercito. Sopra di questo, un drago blu volava con il suo Cavaliere pronto a piegare la città.
Non era la prima volta che vedeva una rappresentazione di Eragon in battaglia, ma quell’arazzo la incuriosiva più di tutti gli altri. In realtà non aveva idea del motivo, ma comunque quell’immagine l’attirava in modo incredibile. Forse era affascinata dall’alone di luce azzurra che incorniciava il Cavaliere, illuminando l’aria nera della battaglia; oppure era il fuoco di Brisingr che, reso alla perfezione, sembrava ardere veramente; o magari…
«La conquista di Belatona», disse una voce al suo fianco facendola sobbalzare e distogliendola dai suoi pensieri.
Si girò, venendo catturata all’istante da due inquietanti occhi viola. Non riuscì a vedere altro, troppo concentrata ad osservali. Sembravano guardarle attraverso, scrutando le parti più profonde del suo essere e denudandola di tutti i suoi segreti. Nadja si sentì soffocare.
«C-cosa?», balbettò non riuscendo a distogliere lo sguardo da quelle penetranti ametiste.
«L’arazzo. Rappresenta la conquista di Belatona, una città a sud del Lago di Leona. Una delle più importanti conquistate dai Varden verso la fine della Guerra». Gli occhi incantatori si distolsero da quelli della ragazza che si sentì improvvisamente liberata da un opprimente incantesimo.
Solo allora Nadja riuscì a concentrarsi sulla persona che le stava vicino. Era una donna vestita di grigio, piuttosto alta e magra, con i capelli neri lunghi fino alle natiche ed una frangia che le copriva la fronte. Dimostrava venticinque anni all’incirca.
La ragazza sentì il disagio crescerle intorno, stando vicino a quella donna. Era come se… sembrava che fosse circondata da un’aura di dolore e cattiveria.
Nadja avrebbe desiderato voltarsi e scappare, ma allo stesso tempo quella figura misteriosa stuzzicava troppo la sua curiosità.
«Eragon parla molto raramente della Guerra dei Varden», confessò tornando a studiare l’arazzo.
«È comprensibile. Ha perso tanto in quei due anni. Mi stupisce, invece, che riesca ancora ad avere momenti di lucidità», rispose la donna.
Nadja si voltò di scatto verso la sua interlocutrice. «Lo conoscevi?».
La donna rise sarcastica. «Se lo conoscevo mi chiedi? Nella sua ignoranza, Eragon mi ha creata, plasmata e maledetta».
«Maledetta? Eragon?». Quale motivo avrebbe mai avuto Eragon per fare qualcosa del genere?
«Beata ignoranza», sospirò la donna, ridendo nuovamente. «Sei davvero convinta che Ammazzaspettri sia sempre stato com’è adesso? Lui ha commesso tanti errori ad Alagaësia, molti dei quali gli si sono rivoltati contro. Io sono stata una di questi. Non avevo neanche un anno quando ho iniziato a sentire il dolore delle persone, sono dovuta crescere in fretta per sopportarlo, per curarlo, e adesso sono costretta a vivere fino a quando il mondo smetterà di soffrire».
Per sempre, tradusse la ragazza quasi con pietà. «Da quello che so, alla fine della Guerra, però, Eragon aveva abbastanza potere da rimediare ad ogni incantesimo fatto precedentemente», commentò.
«Oh, certamente», annuì la donna. «Me lo propose, ma io rifiutai», disse tranquillamente.
Nadja la guardò dubbiosa. «E perché?».
L’altra rimase in silenzio per diverso tempo. Proprio quando la ragazza pensava non avrebbe più risposto, parlò.
«Aveva già saldato il suo debito», disse ricominciando a camminare passandole oltre.
Prima, però, che la superasse, Nadja notò di sfuggita uno scintillio bianco sotto la frangetta nera della donna.
 
Angela studiava le ossa sparse sul tavolo con un’aria crucciata. Aveva sempre creduto che certe combinazioni fossero impossibili, messe insieme, poi erano ancora più enigmatiche.
Alzò lo sguardo sull’uomo che, davanti a lei, la guardava serio e concentrato.
Gli sorrise con gli occhi che brillavano di curiosità e preoccupazione.
«Be’, ti devo fare i miei più sinceri complimenti, Eragon», disse infine. «Credo tu sia l’unica persona al mondo che è riuscita a cambiare il Fato».

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*Il nome suona molto ridicolo, ma gli è stato affibbiato dai contadini appena la sua costruzione fu conclusa. Affermavano che le imponenti mura del Castello splendessero al pari del Sole, nella luce del mattino. Da questo soprannome, sono derivati anche “Drago Splendente” e diversi appellativi poetici riferiti ai Cavalieri.
Gli stessi Cavalieri, comunemente, vengono chiamati gli “Splendenti”.

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Saaalve lettori!
Come state?
Avete visto? Apriamo ben due nuovi misteri! Eh, già. Da un paio di capitoli credo tutti vi starete chiedendo "E chi sarebbe questo Keen adesso?", ecco la risposta. E per quelli che mi chiedevano di Angela ed Elva: visto che sono ancora vive?
Mentre il nostro amato stagista sta impazzendo. Poveretto gli verrà un esaurimento nervoso peggio di quelli che provochiamo al prof di sicenze. Insomma, lui è il secondo tizio più importante tra i Cavalieri e rimane sempre all'oscuro di tutto occupandosi del lavoro sporco. Fossi in lui mi licenzerei o farei causa all'azienda XD
Però, siate felici: nonostante oggi non ci siano stati interventi del MACE, abbiamo visto un po' del movimento figlio: Movimento Abbassiamo la Cresta ai Mezzelfi (MACM). 
A proposito: siamo arrivati a quattro membri ufficiali per il MACE (a breve vi arriveranno anche le magliette). E voi lettori silenziosi, seguite il loro esempio! Entrate nel MACE, abbiamo anche i Biscotti al cioccolato! E per ogni nuovo iscritto, regaliamo una batteria di pentole antiaderenti!  Venghino, signori, venghino!

Tornando seri... sì... ehm, è un modo di dire.
Ringrazio Eli, Edo e Kia per aver recensito e do il benvenuto a _Thomas_ nella lista dei seguiti.

Avviso che è un brutto periodo questo per me: ho decine di impegni e sono sempre più stanca, perciò il prossimo capitolo che sarà di spiegazioni con anche diversi interventi del MACE, si farà un po' attendere. Spero di riuscire a postare entro l'inizio della seconda settimana di marzo. Perciò se non vederete aggiornamenti tra due settimane, non disperate, non ho la minima intenzione di abbandonare Revenge.
Alla prossima,
Akil

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Il cavallo galoppava al limite delle sue forze, spronato da un implacabile Eragon, percorrendo i crinali delle piccole colline. Cominciò a rallentare solo quando scorse nitidamente le alte mura di Ilirea incorniciate dal sole nascente.
Il Cavaliere fece ancora un paio di miglia al trotto, poi decise di smontare, sussurrando nell’Antica Lingua all’animale di seguirlo fino alla città.
Quando, dopo diverse ore di cammino, arrivò al grande cancello, sembrava un umile e povero viandante per colpa dei suoi vestiti sporchi e consumati e del mantello scuro che gli copriva il volto e le armi.
Lasciò il cavallo nella scuderia appena fuori città, pagando tre monete d’oro allo stalliere, e si nascose tra la folla, lasciandosi trasportare dalla fiumana di gente dentro il cuore della città. Riuscì ad arrivare indisturbato fino all’inizio dell’alta corte, dove due guardie lo fermarono, ma gli bastò mostrare il palmo destro per poter procedere.
Che imprudenza! A Mandras nessuno, eccetto il re, potrebbe passare così facilmente, commentò verso Saphira.
Hai già tanto per cui preoccuparti, piccolo mio, non curarti anche di ciò che non ti riguarda, gli rispose la dragonessa con fare annoiato.
Il Cavaliere assentì, continuando a camminare, avvicinandosi sempre di più al castello. Allargò la mente cercando i pensieri dei suoi amici e di Arya. Aspettatemi tutti davanti alla porta della mia stanza, ordinò seccamente. Provarono a chiedergli qualche spiegazione, ma lui si rifiutò di rispondere.
Arrivò vicino alla grande scalinata d’accesso e voltò a destra, girando verso il retro del palazzo. Nessuna guardia tentò di fermarlo. Eragon alzò gli occhi al cielo, esasperato. Infine giunse davanti alla piccola porta posteriore delle cucine da cui entravano ed uscivano diversi servi intenti a preparare il pranzo per la corte.
Qualcuno si fermò a guardare quello che per loro era un povero straniero.
«Via di qui!», gli urlò una donna in carne dall’aspetto anziano. «Non abbiamo tempo né cibo per i mendicanti come te».
Il Cavaliere sorrise divertito all’idea del grande rammarico della donna se avesse saputo chi fosse veramente. Decise di non mostrare il gedwëy ignasia, ma di azzardare e calarsi il cappuccio del mantello, mostrando il suo volto. Aveva visto una sua statua in ognuna delle maggiori città dell’Impero, immaginava, perciò, che la sua non fosse una faccia sconosciuta, nonostante adesso avesse dei tratti più maturi.
Come aveva previsto, la donna lo guardò sbalordita, inginocchiandosi all’istante e implorando perdono.
«State tranquilla, non avevate modo di riconoscermi», la rassicurò lui. «Vi chiedo solo il favore di non rivelare la mia presenza a nessuno, per le prossime ore».
La signora annuì ripetutamente. «Non vi ho mai visto, mio signore», giurò decisa.
Eragon la ringraziò, riportandosi il cappuccio sul capo ed entrando dalla semplice porta in legno.
 
Logan, Arya, Loralynn, Murtagh e Nadja erano riuniti nel corridoio, impazienti di vederlo arrivare. Il Duecuori giocherellava con un piccolo fuoco nero, divertendosi a fargli assumere le forme più stravaganti; l’elfa  e Lynn camminavano avanti ed indietro nervosamente; mentre il fratello di Eragon, appoggiato allo stipite della porta, pestava ritmicamente il piede sul pavimento. L’unica che non dava segni di agitazione era Nadja che silenziosa studiava la propria Rodahi, seduta per terra con la schiena appoggiata alla parete. Logan alternava lo sguardo dalla sua fiamma alla ragazza tentando di capire cosa stesse pensando e, soprattutto, cosa avesse scoperto di così stravolgente. Era abituato a sapere ogni cosa di lei, a farsi raccontare tutto, e adesso quel silenzio lo feriva profondamente.
Si avvicinò alla ragazza, intenzionato a parlarle chiaramente una volta per tutte. Non fece, però, in tempo ad aprire bocca che Nadja si alzò di scatto, voltandosi verso l’entrata del corridoio da cui proveniva il rumore di passi concitati. Eragon arrivò davanti a loro con un’espressione dura e concentrata.
Il re non riuscì neanche a salutarli che si ritrovò stretto in un convulso abbraccio da parte di Lynn.
«Idiota», sussurrò la donna. «Sei un idiota, non smetterò mai di ripeterlo».
Il Cavaliere sorrise leggermente ricambiando l’abbraccio. «Scusami per averti fatto preoccupare».
«Dimmi solo che adesso stai bene, Eragon».
Si guardarono negli occhi per qualche secondo ed in quello sguardo Lynn lesse tutto il peso che l’uomo era costretto a portarsi sulle spalle.
«Non potrò mai più stare bene, Lynn», rispose lui sciogliendo l’abbraccio. Si girò verso agli altri presenti, e disse: «Entriamo, non è bene che dica ciò che devo in mezzo ad un corridoio».
 
Aspettò che tutti fossero nella stanza e che la massiccia porta fosse chiusa, prima di cominciare a parlare. «D’accordo. Abbiamo atteso fin troppo, adesso dobbiamo cominciare ciò per cui siamo venuti qui. Murtagh, il Surda e Terim cos’hanno risposto?».
Il fratello gli allungò due pergamene arrotolate. Eragon spezzò i sigilli in ceralacca e lesse velocemente l’approvazione dei due stati. «Bene, perfetto. Arya inizierò controllando i Cavalieri. Hai detto che siete in sei, non contando Kevan per ovvi motivi, giusto? Ho bisogno che siano qui tutti entro una settimana. Intanto controllerò te ed Aros, se non sbaglio lui è incaricato del controllo del sud dell’Impero ed è stabile a Ilirea».
L’elfa lo fissò con uno sguardo pieno di stupore ed indignazione. «Scusa?», sibilò sconvolta. «Perciò, tu non solo scompari e riappari a tuo completo piacimento, ma pretendi anche che tutti siano pronti a compiere ogni tuo ordine come se nulla fosse? E, inoltre, chiedi che io stessa mi sottoponga al tuo esame, nonostante tu sia ben conscio della mia innocenza! È il colmo, Eragon».
Il Cavaliere restituì l’occhiataccia. «Al momento i Cavalieri sono i più potenti maghi presenti ad Alagaësia, sono pochi e sarebbe un’idiozia di dimensioni spropositate non controllare loro prima di tutti, lasciando così la possibilità che acquisiscano ancora più potere. Credo che questo anche tu lo possa comprendere. E sarebbe ancora più stupido fidarsi di una persona solo perché in una vecchia vita era tua amica. Infondo, se non sei colpevole non hai nulla da temere dal mio esame. O no?».
Arya gli si avvicinò a grandi passi. «Ti rendi conto della grande offesa che stai recando alla mia persona? Il tuo atteggiamento, Ammazzaspettri, ti porterà solo ad avere più nemici».
«Ti ho già spiegato,maestà, che non mi importa il prezzo che dovrò pagare per avere la mia vendetta, e se per ottenerla dovrò offenderti, bene, sarà facile!», rispose Eragon a tono.
Si squadrarono a lungo, combattendo una feroce battaglia di sguardi. Nessuno dei due aveva intenzione di cedere.
Dopo qualche minuto Murtagh decise di intervenire. «Smettetela entrambi», ordinò mettendosi fisicamente in mezzo a loro. Si concentrò sull’elfa. «Per favore, dovrai solo eseguire gli incantesimi che ti dirà Eragon», la pregò. «Non è facile trovare l’impronta, perciò sarà qualcosa di molto dispendioso, ma non avrai da temere per la tua incolumità».
Lei lo guardò con grande scetticismo. «Cosa mi assicura che non ci farete semplicemente perdere le energie per poi attaccarci gratuitamente? Chi mi dice che le vostre motivazioni non sono altro che menzogne?».
Murtagh respirò profondamente e parlò nell’Antica Lingua. «Ti giuro che di nostra iniziativa l’unica persona che desideriamo attaccare ed uccidere è il nostro assassino. Non posso prometterti, però, che non ci difenderemo in caso di attacco da parte vostra e che non ci prenderemo con la forza ciò che cerchiamo in caso ci venga negato». Stette un attimo in silenzio, lasciando che l’elfa comprendesse totalmente le sue parole. Infine, aggiunse: «Ciò che Eragon ti chiederà non sarà letale. In questa stanza ci siamo passati tutti». Sorrise sardonico notando la confusione dell’altra. «Esatto. Credi davvero che una persona in grado di dubitare del suo stesso fratello e del suo stesso erede, non dubiterebbe di una semplice amica? Pensavo che gli elfi avessero una mente razionale».
Murtagh le scoccò un’occhiata canzonatoria, mentre si allontana dai due tornando ad appoggiarsi allo scrittoio.
Eragon ed Arya rimasero zitti osservandosi, aspettando ciascuno che l’altro desistesse dalle sue idee. Alla fine Arya sbuffò.
«Giuri che in caso di innocenza non recherai danno a nessuno?».
Il Cavaliere annuì. «Giuro», confermò nell’Antica Lingua.
«Quanto tempo ci vorrà per ogni persona?».
«Dipende. Un mago molto inesperto può portare via attorno alle due ore. Un esperto arriva alle sette, otto ore».
L’elfa si dimostrò molto sorpresa. «Perché tutto questo tempo?».
«La natura di tutti gli esseri viventi porta all’autoconservazione. Nel momento in cui si inizia ad usare la magia, inconsciamente tendiamo a cercare di nascondere la nostra impronta; a mano a mano che diventiamo più potenti, la nostra mente diventa più abile in questo. Con il tempo si arriva a renderla quasi completamente invisibile. Un mago che sa dell’impronta e che ha un ottimo controllo di se stesso, può migliorare questo processo velocizzandolo. Li chiamiamo Coscienti.  Il problema è che è impossibile capire chi sia un Cosciente o meno, perché ogni mago è diverso ed ha tempi diversi. Ciò che io ho imparato a fare una volta divenuto Cosciente, un altro potrebbe essere in grado di eseguirlo inconsciamente già dopo cinque, dieci anni di buon addestramento».
«Perciò non sei in grado di escludere a priori i maghi meno esperti».
«No. Quanto tempo ci mettete a trovare un potenziale mago all’interno dell’Impero?».
«Dipende. Di solito la Gilda ripassa negli stessi luoghi a distanza di due anni».
«Trovano solo potenzialità latenti?».
«No, a volte delle persone usano la magia precedentemente. Non con l’Antica Lingua, solo con la mente. Magie leggere, spesso non si accorgono di avere quei poteri. Sono bambini, al massimo adolescenti, di solito».
Eragon sospirò. «Allora non è possibile escludere neanche coloro che sono diventati maghi fino a tre anni fa».
«Ma l’omicidio è stato perpetrato cinque anni fa. È impossibile che un non-mago sia il colpevole, no? Come ti ho detto sono dei ragazzini quelli che la Gilda trova».
«Non è questo il punto», la corresse il Cavaliere. «Se considerassimo “non-mago” semplicemente tutti coloro che non hanno mai usato la magia pur avendone il potenziale, non andremmo da nessuna parte. Segui il mio ragionamento: se qualcuno possedesse, senza saperlo, un grande potere latente, con il giusto aiuto, potrebbe facilmente “sbloccarlo”, no? Bene, perciò il nostro colpevole potrebbe aver usato un giovane ignaro, inducendolo a compiere una piccola magia che, opportunamente modificata, può diventare letale. Se ci pensi, infondo, anche semplicemente “Stenr rïsa” può uccidere se gli imponi una certa traiettoria e una certa potenza. Nascondere i ricordi non è poi così difficile, perciò il mago esperto avrebbe potuto rispedirlo a casa, farlo trovare dalla Gilda e lasciare che venisse addestrato senza che nessuno sapesse nulla. Quest’ipotetico ragazzo adesso potrebbe essere un ottimo mago della Gilda».
«Qualcuno che però non ha mai usato la magia prima di allora, per quanto potere latente possa avere, non riuscirebbe a sopravvivere ad un tale dispendio di energie», obbiettò Arya. «Tu stesso mi raccontasti che la prima volta che usasti la magia, quando uccidesti gli Urgali con “Brisingr”, sopravvivesti per un pelo. Se persino tu, che eri un Cavaliere – con un potere latente quasi inimmaginabile, perciò -, e che alla fin fine ti eri limitato ad incendiare una freccia, ti sei ritrovato in quelle condizioni, dubito che chiunque altro inesperto sia sopravvissuto. E se io fossi l’assassino di certo non lascerei i miei complici in vita, sebbene senza memoria; perciò se io pianificatore uccidessi senza la magia colui che ha effettivamente commesso l’omicidio, non potrei essere rintracciato, o sbaglio?».
«Infatti le difese che la mia famiglia aveva sempre alzate non sarebbero state mai infrante da un inesperto, ma se qualcuno avesse unito le proprie avanzate conoscenze e il suo potere a quello ampio ma inutilizzato di qualcun altro, le avrebbe spezzate», Eragon abbassò gli occhi tristemente. «Un errore madornale da parte mia», commentò rabbioso. «Ciò, però, gli avrebbe fatto comunque lasciare la sua impronta oltre a quella del complice. Di conseguenza, lo posso comunque ritrovare», continuò.
«Ma se per l’appunto, non avesse commesso lui l’omicidio? Da quello che ho capito puoi pretendere la vita solo di chi ha ucciso».
Eragon annuì in segno di conferma. «Sì, ma ordinare un assassinio è qualcosa di deplorevole quasi quanto compierlo e viene punito in modo, a mio parere, peggiore: gli viene amputata la mano che usa abitualmente e mozzata la lingua. Ma, soprattutto, perde la sua Rodhai».
«Da come ne parli un braccialetto di metallo e pelle vale più di poter scrivere e parlare», lo sbeffeggiò Arya.
Lynn scattò subito a quelle parole. «Attenta a quello che dici, elfa. La Rodhai è il simbolo della tua vita e dei tuoi diritti. Senza non hai diritti e la tua vita non potrebbe interessare neanche l’ultimo degli acari».
«Certo, questo a Mandras. Ma ad Alagaësia non c’è nulla che potreste fare per ottenere lo stesso risultato».
«No», ammise Eragon con un sorrisetto per nulla rassicurante. «No, ma ci sono molte altre cose che si possono fare per distruggere una vita. Fargli dire addio ad entrambe le mani e anche agli occhi oltre che alla lingua. Si può provocare la sordità, o immobilizzare per sempre un corpo. E so che Galbatorix aveva un curioso ed efficace modo per torturare. Come pensi che sia farsi crescere un tronco di bambù nel petto mentre si è ancora vivi?*».
Arya rimase attonita di fronte alla follia che illuminava gli occhi nocciola dell’uomo. Non era possibile che Eragon arrivasse veramente ad avere quei pensieri.
Provò a ribattere, ma il Cavaliere la precedette. «Voglio tutti i tuoi Cavalieri qui entro la fine della settimana. So che è possibile, ti ricordo che ho volato da Dras Leona a Vroengard in due giorni, e da Ellesméra alle Pianure Ardenti in altrettanto tempo. Conosci le conseguenze se non lo faranno».
«Due di loro sono andati a est, seguendo il fiume Elda, per una missione di ricerca. Loro non potranno arrivare qui. Sono partiti sei mesi fa, sarebbe impossibile», ribatté comunque la regina.
«Tre mesi, non di più», concesse il Cavaliere dopo un’attenta riflessione. «Dovranno essere qui entro tre mesi».
Arya comprese che non sarebbe riuscita ad ottenere di più da parte sua ed annuì rigidamente.
«Bene», accordò il re che ora sembrava un’altra persona, più calma e pacata. «Domani, alle prime luci dell’alba, aspetto te e Logan nel piano più basso delle segrete. Siete congedati». Non diede il tempo a nessuno di rispondere che aprì con la magia la grande porta della stanza, per poi voltare loro le spalle e dirigersi nella terrazza che l’aveva visto disperato la notte di diversi giorni prima.
Murtagh fece segno a tutti di uscire. Aspettò che non ci fosse più nessun’altro nella stanza, chiuse nuovamente la porta e andò anche lui nella terrazza.
«Stai perdendo il senno, Eragon», gli disse atono, come si può dire che il cielo è azzurro.
Il fratello sorrise amaramente, appoggiato con i gomiti al parapetto. «Me lo state ripetendo in tanti, ultimamente».
Rimasero per qualche istante in silenzio. «Saresti davvero in grado di farlo? Le minacce che hai fatto ad Arya, intendo, le realizzeresti?».
Eragon schioccò la lingua, distogliendo lo sguardo dalla città e voltando la testa verso il fratello. «Sai cosa c’è di più pericoloso di un pazzo con molto potere, Murtagh?», chiese cambiando apparentemente discorso.
Era ovvio che Eragon non si aspettasse una risposta, perciò stette zitto.
«Un pazzo, con molto potere e un obbiettivo», spiegò il Cavaliere. «Perché l’unica cosa che importa per lui è realizzare quell’obbiettivo, a qualunque costo», sibilò sorridendo minacciosamente. Tornò a rivolgere lo sguardo all’orizzonte. «È per questo che Galbatorix era tanto pericoloso», continuò. «È per questo che io sono tanto pericoloso».
 

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* Se ve lo state chiedendo, sì, è possibile torturare una persona facendogli crescere un tronco di bambù nel petto. L’hanno testato su Mythbusters, ma non mi ricordo se hanno confermato che era un metodo usato nella Seconda Guerra Mondiale. E non ricordo neanche quale puntata fosse.

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Ebbene sì, sono viva! Avevo detto che avrei cercato di postare entro le prime due settimane di marzo, ma non ce l'ho proprio fatta, prendetelo come un regalo di primavera XD
Seriamente tra scuola e altri impegni avevo a malapena il tempo per leggere un buon libro e nonostante le mille idee che ho su come scrivere Revenge, non riuscivo proprio ad aprire il documento di Word e metterle su "carta".

Passando al capitolo... be', il MACE continua ad operare, prima o poi Arya scoppierà a piangere in un angoletto, mi fa quasi pena... Nah, scherzo XD
Il nostro povero stagista, invece, è in crisi con Nadja... Cosa mai avrà scoperto la ragazza di così sconvolgente?
Ed Eragon è perfettamente cosciente di essere pazzo, aspettavo da un sacco di riuscire a scrivere le ultime battute finali!
Per il resto... boh, non c'è granché da dire, aspetto le vostre supposizioni ed intanto passo ai ringraziamenti.

Sono stata molto felice di notare che qualcuno ha aggiunto Revenge a qualche lista nonostante la mia piccola assenza.
Allora, innanzi tutto, un immenso grazie a a_little_dreamer, Eli ed Edo (passerò presto per rimettermi in pari con la tua storia, promesso!) per aver recensito.
Marie_ per avermi aggiunta sia alle preferite che alle seguite.
Toinfiniteandbeyond per le ricordate ed Annie_Bill per il passaggio da seguite a ricordate.
Infine, ma assolutamente non per importanza, BreakinCrystal97 e Diana_Luna per le seguite.

Alla sconosciuta data del prossimo aggiornamento, o se recensite alla risposta alle vostre idee,
Akil
 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


«D’accordo, adesso devi estrarre le essenze di tutti i metalli presenti in questa collana», spiegò Eragon con la fronte imperlata di sudore.
Porse ad Arya una pesante catena formata da molte leghe metalliche. L’elfa la studiò accuratamente per qualche minuto.
«No», disse infine con la voce resa flebile dalla fatica.
«Fallo!», ordinò il Cavaliere alzando la voce e guardandola con gli occhi iniettati di sangue.
Logan alzò di scatto la testa a quell’improvviso cambiamento di tono. Era preoccupato per quei due, da più di otto ore stavano lavorando a ritmo serrato, una compiendo incantesimi, l’altro analizzandoli.
Eragon una volta gli aveva spiegato che non era molto dispendioso solo per l’esaminato, ma anche per l’esaminatore. Gli aveva detto che ogni incantesimo andava scomposto in diverse parti da controllare separatamente. Il processo era estremamente difficile e lungo, perché più si scomponeva la magia più questa durava poco costringendo a praticare nuovi incantesimi continuamente. Il Cavaliere aveva anche provato a farglielo capire e imparare, ma Logan non ci era mai riuscito e non ne aveva mai compreso il perché.
«Fallo, dannazione!», ripeté Eragon completamente alterato.
Arya, offesa nell’orgoglio, si alzò tirandogli contro la collana. «Fallo tu, se ci tieni tanto», gli gridò di rimando.
In quel momento Logan decise di intervenire, afferrò al volo la catena e si mise fisicamente in mezzo ai due.
«Smettetela, entrambi!», ordinò. «Calmatevi e respirate, non sarà tentando di uccidervi che risolverete la questione».
«Ma sarà estraendo l’essenza di quei metalli che mi ucciderò, spiegalo al tuo caro Eragon», ringhiò Arya.
Logan si voltò verso il Cavaliere. «È proprio necessario che lo faccia?».
L’uomo respirò profondamente. «Sì, devo vedere l’impronta nella sua interezza».
«Non basta un incantesimo più semplice?».
Eragon negò, senza dare ulteriori spiegazioni.
Logan rifletté velocemente. «E se… se io le passassi un po’ della mia energia, altererei l’impronta?».
«Sì, perché saresti costretto a manipolarla lasciando parte della tua impronta».
Il ragazzo si morse l’interno della guancia cercando disperatamente una soluzione, appoggiò distrattamente una mano sulla sua spada e all’improvviso gli venne un’illuminazione. «E se fosse Arya a prelevarla dal deposito della mia spada?».
Eragon considerò l’idea per qualche istante, infine annuì. «Sì, può funzionare. Ottima idea, Logan».
Il Duecuori sorrise orgoglioso. I complimenti di Eragon erano sempre qualcosa di importante per lui. Quando era bambino e si allenava con Aleis nella scherma, il Cavaliere pretendeva da lui sempre il doppio degli sforzi, incoraggiandolo raramente, anzi spesso sgridandolo. All’inizio non capiva perché fosse così rigido nei suoi confronti e più aveva tentato di ribellarsi, con gli anni, però, aveva imparato ad eseguire gli ordini senza fiatare, fidandosi completamente di Eragon. Ma solo dopo vent’anni passati a Mandras era riuscito a comprendere le vere motivazioni del Cavaliere. Nel momento stesso in cui il figlio di Brom l’aveva ufficialmente nominato suo Erede secondo le leggi di Mandras e dei Cavalieri aveva capito tutto. Eragon lo aveva spinto sempre fino al limite, costringendolo a intere giornate di allenamento senza poter mangiare neanche mezza noce, a ore di noiosissima meditazione, a continui studi su ogni argomento esistente al mondo e a tremende nottate passate dolorante, chiuso nella sua stanza senza potersi curare con la magia le ossa rotte, e tutto questo solo per temprare il suo spirito, per renderlo resistente ad ogni sfida e pronto ad assumere il ruolo che il Cavaliere aveva destinato a lui.
L’elfa li guardò sospettosa. «Ma non è come se fosse Logan a darmi energia?», domandò riportando il ragazzo alla realtà. «Per infonderla nella spada, avrà comunque dovuto “contaminarla” con la sua impronta».
«No, non questa volta», dissentì Eragon. «È complicato da spiegare e capire, ti basti sapere che Myrkur», fece un cenno verso la spada nera, «ha “regole” tutte sue». Scoccò un’occhiata divertita a Logan che ridacchiava pensando a chissà cosa.
Il ragazzo slacciò il fodero della spada dalla cintura, porgendo l’elsa ad Arya. Lo sguardo dell’elfa venne subito calamitato dalla pietra nera, stranamente traslucida, incastonata nel pomolo placcato d’oro. «Fidati, non ti succederà nulla», la incoraggiò il Duecuori.
Arya allungò la mano, afferrando il freddo metallo, e lasciò che un piccolo filamento della sua mente entrasse in contatto con l’energia lì racchiusa. I suoi sensi si offuscarono per qualche secondo, travolti dall’ondata di magia depositata in attesa di essere utile. Era potere puro, perfetto ed incontrastabile. L’elfa fu colta da un irresistibile desiderio di possederne quanto più possibile e cominciò ad assorbire tutto ciò che la circondava, come un assetato che ha appena trovato dell’acqua in mezzo al deserto.
Improvvisamente sentì il potere svanire, impedendole di impadronirsene ancora. Protestò animatamente prima di tornare alla realtà della sudicia cella in cui si trovava. Si sentiva rinvigorita, ma la smania che l’aveva colta pochi istanti prima non accennava a sparire. Fissò famelica Myrkur stretta al fianco di Logan che la osservava con sguardo severo. La mano dell’elfa era ancora tesa, le dita arcuate come se stringesse ancora quell’elsa.
«Sì, Myrkur fa gola a molti», commentò Eragon attirando la sua attenzione. «Peccato che solo Logan sia in grado di controllarla». Fece un cenno al ragazzo che si allontanò verso la porta della cella, nascondendosi nell’ombra.
«D’accordo», continuò il Cavaliere di Saphira. «Hai la tua energia, adesso. Esegui l’incantesimo»
 
Arya era distesa sulla scomoda panca di legno della cella, senza neanche la forza di tenere gli occhi aperti. Eragon se n’era andato da diversi minuti dopo aver confermato la sua innocenza. Logan era rimasto, invece, ed adesso era seduto appoggiato alla parete opposta a lei, sempre nascosto nell’ombra.
«Non avercela troppo con lui», disse ad un certo punto il ragazzo, spezzando il rilassante silenzio.
L’elfa voltò lentamente la testa verso di lui, scoccandogli un’occhiata di fuoco. Non rispose.
«Seriamente, Arya, lui di solito non è così», continuò Logan. «È da quando siamo arrivati ad Alagaësia che è peggiorato. È diventato nervoso ed irascibile, completamente intrattabile. La persona che stai conoscendo adesso non è il vero Eragon».
Arya sbuffò. «L’essere che è tornato adesso sta sfregiando tutti i bei ricordi che avevo di trent’anni fa», ammise sussurrando.
Logan schioccò la lingua. «Lui odia parlare del prima», raccontò. «Dice sempre che Alagaësia si è preso troppo da lui, senza dargli abbastanza in cambio. Quel che so sulla vostra storia lo so principalmente grazie a Murtagh e alle poche volte in cui aveva voglia di raccontarmi qualcosa», rivelò l’altro. «Ogni tanto, però, sgattaiolavo nella Sala dei Cuori», sorrise al ricordo dei pomeriggi spesi nascosto in quella stanza, affamato di conoscenza. «Mi sedevo in un angolo e lasciavo che i draghi mi parlassero. Ciò che vedevo era qualcosa di così diverso da ciò che avevo conosciuto nel poco tempo trascorso qui che non riuscivo quasi a crederci. Mi mostravano Vroengard durante l’Età dei Cavalieri, dove Dorú Areaba spiccava grazie ai suoi colori brillanti; la Du Weldenvarden, con i suoi edifici cantati dagli elfi; i villaggi della Grande Dorsale, pieni degli allegri rumori della quotidianità umana.
A volte mi addormentavo nella Sala e i draghi mi seguivano nei sogni. Le piane solitarie del Deserto di Hadarac scorrevano sotto di me, mentre volavo libero da ogni pensiero; poi raggiungevo i Monti Beor ed era adrenalina pura mentre conquistavo le vette più alte. Immaginavo spesso di riuscire a raggiungere persino la Luna».
Anche Arya sorrise allo sguardo sognante del ragazzo. All’improvviso però le venne un dubbio. «Ed Eragon lascia entrare chiunque nella stanza dove sono custoditi tutti i Cuori dei Cuori?», domandò sospettosa.
Logan assunse un’espressione colpevole. «In realtà no. Ci sono alcune tra le più potenti difese al mondo a proteggerli, ma i draghi… ecco, diciamo che neanche l’Antica Lingua potrebbe mai opporsi al loro potere. Non chiedermi come, né perché, ma loro mi facevano passare. Credo che… sì, che li aiutasse la mia presenza. Sai, a poco a poco, gli Eldunarí corrotti da Galbatorix recuperavano la ragione. Ogni tanto ricordavano qualcosa, spesso solo delle immagini sfocate, ma abbastanza da portare loro la speranza di guarire. Ma quei labili ricordi svanivano molto in fretta, facendoli tornare praticamente al punto di partenza. Io servivo come “deposito”, mi mostravano le loro memorie così che non andassero perdute. Ha funzionato più volte ed io ho allenato la mia mente a ricordare i più piccoli dettagli per lungo tempo».
«Deve essere stato bello».
Logan annuì. «Sì, spesso strano, ma veramente bellissimo».
Rimasero in silenzio per diverso tempo, nessuno dei due sembrava aver intenzione di andarsene, perso in chissà quali pensieri.
«C’è… c’è una domanda che volevo farti da diverso tempo», disse infine Logan, sospirando. L’elfa rimase in silenzio aspettando che continuasse. «Ho detto che Eragon di solito non è come lo vedi adesso, ma in verità anche a Mandras è sempre stato una persona malinconica e io so che non era così quando viveva ad Alagaësia, perciò…», prese un respiro profondo. «Puoi raccontarmi di lui? Di com’era l’Eragon che hai conosciuto tu?».
Arya tacque diversi istanti pensando a come rispondere. «Quando l’ho conosciuto», iniziò, «era un ragazzino di appena sedici anni. Aveva appena perso suo zio Garrow e il suo maestro, Brom, entrambi vittime dei Ra’zac. Era pieno di boria e con il solo desiderio di vendicarsi. Era Cavaliere da pochi mesi e già credeva di essere invincibile. Ma aveva molto coraggio, senza alcun dubbio; per salvarmi viaggiò da Gil’ead al Farthen Dûr, alla disperata ricerca dei Varden, con gli Urgali alle spalle e Murtagh che lo accompagnava reticente.
In pochi mesi si ritrovò al centro di una guerra basata sul controllo su di lui e Saphira. Fu costretto a combattere una battaglia contro uno Spettro, pur avendo scarse conoscenze di scherma e veramente poca esperienza, riuscendo comunque ad ucciderlo, seppur con un aiuto e ad un grande prezzo. Molto coraggioso, appunto, ma era sempre un ragazzino. Non sapeva controllare i suoi sentimenti e credeva negli ideali delle fiabe. In quasi tre anni l’ho visto cambiare molto, pressato dalla guerra maturò molto, patì duramente, eppure non perse mai l’ingenua speranza che lo caratterizzava. Aveva la fortuna di essere nato nella semplicità, sognando la ricchezza, ma apprezzando sempre e comunque ciò che aveva. Credo che questo l’abbia aiutato a rimanere sempre abbastanza concreto…».
«Cosa c’era tra voi due?», domandò il ragazzo interrompendola.
L’elfa esitò prima di rispondere. «A dire la verità non l’ho mai veramente capito. All’inizio lui era attratto da me, una cotta da ragazzini che spergiurava essere amore. Con il passare del tempo, a lui non passava ed io non sapevo più cosa pensare di noi. Stava cambiando qualcosa, alla fine della guerra, ma non ho avuto tempo di comprenderlo che lui se n’era andato».
Per un breve istante a Logan parve che sospirasse con amarezza.
«Comunque sono felice che per quel che ha potuto, sia stato vicino ad una donna pronta a ricambiare il suo amore».
Il ragazzo sorrise a quelle parole. «Nessuno se l’aspettava, sai?», disse tranquillamente. «Per anni avevamo pensato che ci fosse qualcosa tra lui e Loralynn. Lei viveva con noi, nel Castello Splendente, in qualità di ambasciatrice. Loro due erano sempre insieme, in ogni momento libero, se trovavi uno trovavi anche l’altro. Era ovvio per tutti che prima o poi l’avrebbero detto ufficialmente. Però Eragon spariva periodicamente, lui e Saphira si allontanavano per tempi che variavano da poche settimane a quasi un anno. Nessuno sapeva dove andassero. E poi, un giorno qualsiasi, sono tornati. In compagnia». Appoggiò la testa al muro, stanco. «Eragon aveva in braccio un neonato, e in sella a Saphira c’era una tra le più belle donne di Mandras. Syria era alta e bionda e i suoi occhi erano così chiari da sembrare ghiaccio luccicante sotto il sole. Era quasi impossibile sostenere il suo sguardo. È stato un periodo di crisi quello».
«Perché?».
«Be’, diciamo che Syria era in rapporti molto fragili con le sue sorelle. Era la ribelle della famiglia, in sintesi. Aveva lasciato la sua casa ad Asidrea cinque anni prima che arrivassimo noi, litigando pesantemente con Lynn. Nessuno aveva più avuto notizie di lei fino a quando non tornò con Eragon. Lui, prima di allora, non sapeva nulla di questa storia e si fece in quattro per riavvicinare le due. Con Kaeli fu più facile: era convinta che Syria avesse agito solo per un capriccio».
«Non ho ancora capito, sinceramente, il legame tra Eragon e Loralynn», ammise Arya.
«Hanno un carattere simile, fin troppo, perciò non sarebbero mai in grado di essere amanti. Senza contare che lei e Murtagh hanno anche una figlia». Arya strabuzzò gli occhi a quella notizia. «Direi che “migliori amici” sia la definizione che più gli si addice…», continuò il ragazzo. «Ma non credo possa dare la vera idea del loro rapporto. Penso che Lynn sia la persona di cui Eragon si fida di più in assoluto dopo Saphira, non ha segreti per lei…».
«Eragon ha molti segreti che a me sono nascosti», lo interruppe Loralynn in persona, comparendo nella fioca luce della porta. «Ha decine di segreti per tutti».
Logan scattò in piedi mentre la donna avanzava nella cella e anche Arya si mise seduta composta.
«Vedo che ultimamente hai molta voglia di raccontare storie, Logan, ma non devi permetterti di trascurare i tuoi impegni solo per la curiosità di qualcun’altro», lo riprese bonariamente l’ambasciatrice, scoccando un’occhiata all’elfa.
Il ragazzo assunse un’espressione perplessa. Non ricordava di avere impegni per quel giorno, oltre all’esame di Arya. Certo, tranne per l’allen…
«Kevan!», esclamò colpendosi la fronte. «Dannazione, me ne sono completamente dimenticato!».
«È meglio se corri, tra poco più di un’ora ci sarà la cena».
Il Cavaliere scappò subito via, lasciando le due donne sole nella cella. Calò un pesante silenzio tra di loro.
«Mi ricorda tanto Eragon quando era ragazzo», ammise l’elfa dopo un paio di minuti.
Lynn sorrise amorevole. «Quei due si assomigliano molto di più di quanto credono». La guardò per un ultimo istante e disse: «Spero che tu riesca a riacquistare in fretta le forze, buona serata». Detto questo, uscì dalla cella scomparendo nell’oscurità del corridoio.
 
«Credi che io sia pronto per questa responsabilità?».
Eragon fissò gli occhi del ragazzo, così simili a quelli della madre. «Perché me lo chiedi?».
Keen lo guardò confuso. «Come perché? Sei mio padre, la tua opinione è importante!».
«Ripeto: perché me lo chiedi?».
Lo sguardo di Keen rimase spaesato ed Eragon sorrise lievemente. «Stai cercando la mia approvazione o la mia decisione?», domandò nuovamente. Il ragazzo boccheggiò un paio di volte, senza sapere cosa rispondere. Il re, allora, sospirò. «Se ciò che vuoi è la mia approvazione, ce l’hai, qualunque cosa tu scelga. Se invece vuoi una mia decisione è meglio che tu la smetta subito perché ho già dovuto decidere troppe volte per me e per gli altri». Il Cavaliere si alzò, pronto ad andarsene.
«Papà?», lo fermò Keen. «Credi che la Mamma… sì, insomma, credi che ne sarebbe felice?».
Eragon sentì l’aria fermarsi in gola. Tentò di rispondere un paio di volte, ma gli si bloccavano sempre le parole. Con un grande sforzo di volontà, infine, disse: «Tua madre sarebbe assolutamente fiera di te, Keen». E anche io, nonostante tutto, aggiunse mentalmente.
Gli occhi del giovane si fecero lucidi. «Grazie», sussurrò a mezza voce, mentre Eragon interrompeva l’incantesimo di comunicazione.
Il Cavaliere volse lo sguardo verso le nuvole candide che placide si spostavano nel cielo. E di me, Syria? Riusciresti mai ad essere fiera di me?
Con un immenso peso sullo stomaco si rispose realisticamente. No, né tu né lei potreste mai essere fiere di me ora.

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Ave pueri puellaeque, Akil et Vindicta remeaverunt.

Capitolo in cui si spiega un po' del periodo di Mandras e soprattutto si viene a conoscenza dell'esistenza di una piccola Murtaghsdaughter. Qualcuno lo aveva immaginato? Tutti che parlate di Eragon e Logan e nessuno che mi chieda mai: "E Murtagh? Che ha fatto in questi anni?".
Be', che dire di Logan in questo capitolo? Oltre che stagista adesso è anche apprendista di Brom il Cantastorie XD Poveretto, devo trovare qualche altro personaggio a cui si possano delegare le spiegazioni...

Bene, passiamo ai ringraziamenti:
Per la lista dei preferiti, abbiamo SabbyFantasyWarrior,  Lestrange_88, bsbina e giotto99
Per i seguiti Kahyla, DaubleGrock, Aly_1519 e stefy_81
E soprattutto per aver fatto sentire la loro voce, Edo, Eli, Kia, SabbyFantasyWarrior, DaubleGrock e la nuova iscritta al MACE Kahyla!
Inoltre sono più che felice di informarvi che, essendo nella lista dei preferiti di ben 14 persone, Revenge è entrata a tutti gli effetti nella categoria "Storie più popolari" della sezione "Eragon"!
Vi adoro.

Detto questo, ho paura che il prossimo capitolo si farà attendere non poco, perché non ho uno straccio di minuto libero. Spero saprete essere pazienti e che vi fidiate di me e della mia sentita promessa di non abbandonare Revenge senza motivi più che validi.
Alla prossima,
Akil

P.S.
Informo gli iscritti al Movimento Abbassiamo la Cresta agli Elfi che per il prossimo aggiornamento potrei avere una sorpresina per voi, se tutto va bene...

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Erano passati due mesi e mezzo dal loro arrivo ad Alagaësia. Eragon aveva esaminato tutti i Cavalieri presenti nel continente e alcuni tra i maggiori maghi della Gilda. Per ogni esame ci volevano minimo un paio di giorni perché il re riprendesse completamente le forze e la concentrazione necessaria ad iniziarne un altro.
Fino ad allora erano rimasti nella zona di Ilirea, senza muoversi in altri luoghi, ma finalmente Eragon aveva deciso che sarebbe stato utile per Logan entrare nella Du Weldenvarden.
Il ragazzo si sentiva eccitato come un bambino all’idea di passeggiare veramente tra quegli alberi cantati che solo in ricordi e sogni altrui aveva visto. Lui e Liar si erano distanziati dagli altri e sfrecciavano tra le nuvole, con nostalgia e divertimento di Glaedr. Il vecchio drago non amava esternare la sua presenza, preferiva restare chiuso in se stesso ricordando la gioventù sua e di Oromis, era raro che parlasse con Logan e Liar, ma qualche volta lasciava che le sue sensazioni uscissero. A Logan faceva sempre piacere.
Dopo mezz’ora di volo, finalmente, raggiunsero il limitare della grande foresta. Eragon li aveva avvertiti di non entrare da soli, ma di aspettare che arrivasse anche lui. Passarono poco meno di dieci minuti prima che gli altri atterrassero. Come al solito Lynn era in sella a Freedom assieme a Murtagh, ma Nadja, invece, cavalcava Light. Logan la guardò con immensa tristezza. In quei mesi si era allontanata sempre di più da lui, preferendo restare sola con quel drago. Aveva provato più volte a fermarla e a parlarle, ma lei riusciva a sfuggirgli sempre. Era frustrato e stava per perdere anche le speranze.
Cosa ci sta succedendo, Nay?
«Logan! Logan hai visto? Abbiamo resistito bene!», un entusiasta Kevan lo distrasse dai suoi pensieri. Eragon aveva deciso di far venire anche lui ed Erath con loro. Gli occhi scuri del quindicenne brillavano di eccitazione per aver portato a termine il suo primo lungo volo.
Logan gli sorrise di rimando. «Sì, siete stati molto bravi, Kev». Il ragazzo si aprì in un sorriso ancora più ampio e poi si voltò verso il proprio compagno.
Logan sentì una leggera malinconia pervaderlo mentre riconosceva in molti dei gesti di Kevan i propri di quando era un bambino. Non era difficile ritrovare nell’Alagaësiano lo stesso rispetto e ammirazione nei confronti del Duecuori che questi aveva verso Eragon.
Per un momento il giovane si chiese cosa avrebbe scelto Kevan una volta che fossero dovuti tornare a Mandras… Perché riusciremo a tornare a Mandras, vero Liar?
Ovviamente, Zikar*. Eragon può essere pazzo e concentrato solo sulla vendetta, ma non ti avrebbe mai chiesto di seguirlo senza poterti far tornare indietro.
Il ragazzo assentì, concentrandosi su Eragon che ormai era quasi entrato nella foresta.
«Adesso proseguiremo a piedi», li informò il re. «Ellesméra è protetta in modo che gli estranei non possano entrarvi e vicino alla sua barriera gli alberi diventano troppo fitti per poter atterrare. Non faremo molte pause».
Detto questo, si inoltrò tra gli alberi.
 
Un elfo dall’aspetto antico si parò di fronte a loro spuntando da dietro gli immensi tronchi che li circondavano.
«Gilderien-elda, io e i miei compagni chiediamo il permesso di entrare a Ellesméra», richiese Eragon davanti alla fila.
«Eragon-elda, a te e a Saphira Bjartskular il permesso è concesso, così come al giovane Cavaliere e al suo compagno. Ma portate con voi persone che non sono sicure per questa foresta».
Pensando alle ultime reazioni di Eragon di fronte a dei rifiuti, Logan si aspettò una sfuriata, ma il re rimase calmo e pacato mentre rispondeva cordialmente al guardiano.
«Comprendo i tuoi timori, Gilderien-elda, ma non li ritengo fondati. Porto con me un’ambasciatrice straniera, una Protetta dei Draghi e due Cavalieri oltre a Kevan. Nessuno di loro recherà danno alla foresta e a Ellesméra», promise nell’Antica Lingua.
Logan si rese conto per la prima volta, mentre l’elfo gli concedeva il passaggio, di quanto Eragon potesse diventare persuasivo con o senza l’utilizzo della Lingua del Potere.
Un uomo in grado di conquistare un regno solo con le parole, si ritrovò a considerare. Per un attimo si chiese se questo fosse un bene o un male. Non seppe rispondersi.
 
E così questa è la Rupe di Tel’naeir, considerò Logan giungendo sulla cima al fianco di Eragon.
Sentì distintamente la mente di Glaedr ritirarsi ancora più del solito per evitare di recare danno a Liar con i suoi sentimenti. Il ragazzo si avvicinò al drago nero comprensivo. Entrambi soffrivano per il compagno dorato.
Eragon li guardò tristemente. Capiva quanto fosse difficile per colui che era stato suo maestro tornare nel luogo dove per tanto tempo aveva vissuto con il suo Cavaliere. Era difficile anche per lui.
Si incamminò da solo verso la catapecchia disabitata. Era rimasto tutto uguale a trent’anni prima. C’era solo più polvere.
«Ho allevato Fírnen qui», rivelò Arya ferma sulla soglia senza però effettivamente essere dentro alla casa. «Ma non ho mai avuto il coraggio di entrare qui, come qualunque altro elfo», continuò con tono di leggera accusa verso il Cavaliere.
«Perché? Paura dei fantasmi?», domandò con un ghigno l’altro dandole le spalle.
L’elfa assottigliò lo sguardo. «Rispetto per i morti», sibilò.
Eragon rise amaramente. «Stai insinuando quindi che io non ho rispetto per i morti? Che non ho rispetto per uno dei miei mentori?». Accarezzò una vecchia pergamena lasciata sullo scrittoio. Era un antico poema  illustrato da Oromis. Uno dei suoi ultimi lavori.
«Ti stai dimostrando carente nel rispetto verso praticamente tutta Alagaësia, non mi stupirei se ne peccassi anche nei confronti della morte».
«In realtà, in questi anni ho imparato a non temere la morte, ma a vederla come una compagna di viaggio che nonostante tutto persevera nell’affiancarmi. La rispetto come unica entità minimamente “divina” su questo mondo».
Arya si zittì a quelle parole. Unite a quel tono duro e a quello sguardo privo della vecchia vivacità, dimostravano definitivamente all’elfa che il Cavaliere non sarebbe mai più stato quello di una volta.
Da parte sua, Eragon tornò ad ignorarla, continuando ad osservare ciò che era custodito nella casa del vecchio maestro. L’elfa rimase a guardarlo per qualche altro secondo, infine rinunciò a qualsiasi tentativo per parlargli e lo lasciò solo.
 
Logan li vide da lontano.
Nadja e Light erano arrivati lì un ora dopo essersi sistemati ad Ellesméra. Non avevano avvertito nessuno, forse Eragon, ma lui non aveva rivelato nulla.
In realtà Logan neanche aveva saputo dove si fossero nascosti quei due e in quel momento non li stava neanche cercando. Aveva semplicemente chiesto a Glaedr quali fossero i luoghi più importanti della capitale elfica e il drago gli aveva indicato quel posto tra gli altri.
La Rocca delle Uova Infrante.
Glaedr aveva detto che Eragon, a suo tempo, aveva capito qualcosa di molto importante per la sua missione la prima volta che ci era venuto.
All’improvviso, mentre erano distanti ancora una quarantina di iarde, il paesaggio davanti agli occhi di Logan mutò. Vide i colori accesi dei fiori che ricoprivano le gole tra le torri di basalto, le grotte immense splendenti grazie agli immensi fuochi. E draghi. Decine di draghi di ogni colore e dimensione volavano attorno all’immenso monolito, facendo la guardia alle uova.
Logan sbatté le palpebre ed in un secondo la visione sparì, mostrando al ragazzo il luogo tetro e privo di vita che era diventato. Sentì la tristezza avvolgerlo mentre cercava di tenere a bada i ricordi nostalgici dei draghi.
Gli Elfi hanno rovinato questo luogo, commentò rivolto a Liar. Hanno offeso e attaccato la razza più nobile e potente che possa mai esistere.
Ma ciò ha portato alla creazione dei Cavalieri, Zikar. Non saremmo ciò che siamo ora senza la Fyrn Skulblaka, rispose il drago.
Non devi permettere che i pensieri di altri alterino la tua mente, ragazzo, aggiunse Glaedr. Non puoi provare rancore per qualcosa che non ti ha colpito direttamente.
Logan assentì.
Finalmente atterrarono sulla cima di una delle torri. Nadja e Light erano dentro una caverna, adesso, dall’altra parte della rocca. Sicuramente li avevano notati, ma non diedero segno perché li avvicinassero.
Il Duecuori smontò dal suo compagno, sapendo che ormai era giunto il momento di parlare con la ragazza, con o senza il suo consenso.
Scese lentamente dalla torre, continuando a vedere i ricordi che si sovrapponevano alla realtà. Ogni memoria era come un pugno nello stomaco e lo riempiva amarezza. Ci mise una decina di minuti per raggiungere Nadja. Era seduta con la schiena rivolta verso l’entrata, accarezzando il fianco di Light.
Il drago ruggì irritato mentre il ragazzo ed il suo compagno si avvicinavano.
Liar rispose al ruggito, alzando la testa ed allungando il collo per mostrare tutta la maestosità selvaggia e pericolosa tipica dei draghi selvatici.
«Nay?», chiamò Logan. La ragazza rimase girata. «Ti prego, Nay, possiamo parlare?», riprovò facendo un passo avanti.
La coda di Light gli sferzò davanti bloccando la sua avanzata e precludendogli quasi completamente la vista della ragazza.
Alle spalle del Cavaliere, il drago nero si mosse irrequieto.
Liar non fare nulla. Se lo attacchi, non riuscirò mai a parlarle.
Il Selvatico ringhiò nella sua mente. Se prova ancora a minacciarti, lo faccio diventare carne per avvoltoi.
Logan sorrise di fronte all’istinto di protezione che il suo compagno dimostrava.
«Voglio solo parlare, Nadja. Solo parlare», disse alzando la voce. «Non ti chiedo altro».
Attese quasi due minuti prima di dare una ultimatum al silenzio della ragazza. «Va bene, d’accordo. Vorrà dire che resterò qui a bloccare l’uscita finché non cederai». Liar si accucciò rendendo, grazie alla sua mole, il passaggio impraticabile. Logan si sedette con la schiena appoggiata al suo ventre caldo. «Lo sai che non mi arrendo».
Attese per un tempo indefinito, semplicemente fissando le spalle di Nadja, zitto ed immobile, resistendo ai morsi della fame che gli ricordavano il pasto saltato.
«Devi smetterla di essere così testardo, Logan Duecuori».
Il ragazzo sorrise sentendola finalmente parlare. «È un mio difetto da trent’anni», ammise. «Dovresti saperlo bene. Ci conosciamo da trent’anni. E non credi che dopo trent’anni di amicizia, di amore, io mi meriti perlomeno una spiegazione sul perché tu abbia messo tanta distanza tra noi?».
«Io non sto mettendo distanza».
«Oh, Nay, non farmi ridere, per favore!», sibilò rialzandosi. «Da quando hai scoperto non-so-cosa su tua madre hai continuato ad evitarmi. Posso capire un giorno, una settimana, ma due mesi, Nadja? Non so più cosa pensare. Voglio aiutarti ma non so nemmeno in cosa aiutarti!». Fece un paio di passi, venendo fermato dalla coda di Light di nuovo. «Cosa ti tormenta? Perché non ti vuoi confidare?».
Per la prima volta Nadja si girò a guardarlo. Aveva gli occhi grigi arrossati dalle lacrime che aveva appena smesso di piangere. «Con che diritto chiedi di sapere tutto su di me? Solo tu ed Eragon potete avere dei segreti? A noi esseri non divini non è permesso?», gli urlò contro alzandosi.
«Che cosa credi che io ti nascondi? Sono sempre stato un libro aperto per te».
«Mi hai nascosto esattamente ciò che io sto nascondendo adesso». Un lampo di comprensione passò per gli occhi di Logan un istante prima che le parole uscissero dalle labbra della ragazza. «I tuoi genitori», soffiò. «Credi che non me ne sia mai accorta? È da quando siamo bambini che quel fantasma ti perseguita. Ma a te non è mai passato per la mente di parlarmene».
Logan boccheggiò cercando le parole giuste. «È… È diverso, Nay».
La giovane sbuffò ironica. «Non è diverso in nulla, Lo. Non sei il solo ad avere diritto a dei demoni che ti seguono. Non sei migliore di nessuno e neanche Eragon, che osanni tanto, lo è. Dannazione, scendi dal piedistallo dell’eroe! Non puoi pretendere nulla». Light emise un ruggito minaccioso per sottolineare le sue parole.
«Non sai niente di questa storia, Nadja».
«E tu non sai niente della mia», ribatté incamminandosi verso il drago che bloccava la caverna. «Abbiamo parlato. Ora fammi uscire», ordinò.
«Prima rispondi ad una domanda: è finita?».
Nadja si voltò nuovamente a guardarlo. «Sto per dire ad Eragon che me ne vado».
«Cosa? Vuoi tornare a Mandras? Adesso?».
«No. Non so dove andrò, so solo che non andrò a Mandras. Non per ora».
«Perché?».
«Ho bisogno di sapere delle cose. Solo viaggiando potrò farlo».
«Quando tornerai?». Gli occhi verdi si fecero più limpidi sul volto del Cavaliere, diventando quasi azzurri sotto lo strato di lacrime che si stava formando.
«Quando e se, avrò delle risposte».
«Potrebbe anche essere mai, perciò?».
Il silenzio della ragazza fu la sua unica risposta. Il Duecuori si avvicinò a lei bloccandole i polsi con le sue mani. «E a me non ci pensi, Nadja? Io ti amo. Ti ho sempre amata. E adesso vuoi buttare via tutti questi anni per un segreto?», domandò ormai piangendo. «Alagaësia ci sta distruggendo, non lo capisci? Sta distruggendo noi come ha distrutto Eragon e Murtagh trent’anni fa».
Nadja scosse la testa. «No, Alagaësia mi sta mostrando la verità che la falsa perfezione di Mandras mi ha nascosto per tutto questo tempo. Ma forse tu sei troppo cieco per capirlo». Si divincolò dalla stretta sui suoi polsi e si girò nascondendo agli occhi del ragazzo le lacrime che avevano ricominciato a bagnarle le guance. «Ora lasciami andare, Logan».
«Nay, ti prego…»
«FAMMI USCIRE», gridò lei, ormai al limite. Logan cedette, chiedendo al suo compagno di spostarsi. Liar si alzò in volo, permettendo sia alla ragazza che al drago azzurro di andarsene.
Quando furono rimasti soli, Logan si lasciò cadere in ginocchio di fronte al drago, in preda ad un pianto senza consolazione.

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*Soprannome usato dai draghi nei confronti di Logan. Parola appartenente ad uno degli Antichi Idiomi, significa “Colui che ricorda”. Gli è stato dato per i motivi spiegati nel capitolo precedente.

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Oh... Ehm, che dire...
Hello to everybody, I'm alive!

Sì, ecco... Non posto da aprile, è vero, ma a mia discolpa posso dire che volevo finire seriamente in bellezza l'anno scolastico e mantenere la media dell'8.60 negli ultimi due mesi è molto stressante, soprattutto con uno spettacolo teatrale da portare a termine e quel clima triste e grigio. Mi ero posta l'obbiettivo di non avere neanche un sette a fine anno e ho dato a questo ogni priorità. Insomma non riuscivo a trovare la voglia per aprire quel documento di Word e mettere per iscritto le mille idee che mi rimbalzano in testa. Un capitolo scritto senza voglia è insoddisfacenti in primis per l'autore e, per quanto si possa negare, anche per i lettori.
Ho preferito perciò aspettare un momento di calma anche perché in casa si doveva compiere una Maturità e indirettamente ci sentivamo tutti pressati soprattutto quando vieni rapita tre volte al giorno per aiutare a ripetere la tesina o la preparazione alla Terza Prova.
Vorrei dirvi che adesso che è estate scriverò un sacco, ma la verità è che non ne ho la minima idea. Potrei propinarvi un capitolo a settimana come un al mese. Ho rinunciato ormai a qualsiasi sorta di regolarità. Posso solo promettervi che se risponderò ad una recensione  scrivendo "Posterò di sicuro entro X", allora lo farò assolutamente.

Oltre a questo, mi devo scusare con tutti gli aderenti al MACE perché la sopresa per cui mi ero dovuta affidare ad altri sfortunatamente non è stata completata.
Ora però sono curiosa di quante fan di Logan saranno tentate di uccidermi Nay XD Nessuno se l'aspettava, vero?

Passando ai ringraziamenti, ammetto di essere stata molto molto molto felice vedendo che nonostante la mia inattività i preferiti, i seguiti e anche le recensioni sono aumentati. Io vi amo, seriamente. Perché adesso se voi cliccate su "Storie più popolari" nella sezione Eragon, Revenge invece che ventesima, adesso è settima con 21 preferiti. Non mi azzardo minimamente a pensare di poter arrivare ai 53 della prima, ma forse ai 30 della seconda si può fare =)
Detto questo, ringrazio (sperando vivamente di non dimenticare nessuno, altrimenti siete autorizzati a cruciarmi con una recensione):

 _Arya_ , Werewolf_94, hello99, ilArya01, LudoBiebs99, N1hal98 e ensomnia per la lista dei preferiti.
Eyesmint, cinereaspoint, ilArya01, Malika, Werewolf_94, _Leyla_, _Arya_ per le seguite (che sono arrivate a 35 *_*)
_Arya_, Werewolf_94, (Arya e Wolf, voi due siete come il prezzemolo XD) _Leyla_ (che si è messa a recensire gli ultimi tre capitoli tutti in una giornata per cercare di capirci qualcosa e che mi avrà maledetto non so quante volte per colpa dei cento nomi che inserisco ogni capitolo XD), hello99, Khayla, Sabby, DaubleGrock, ilArya01 e gli ormai affezionati Eli ed Edo, per aver recensito, portando così lo scorso capitolo al record di recensioni per questa storia (10 O_O)  e l'intera storia ad averne un totale di 45.  Io ho un altarino votivo per ognuno di voi in camera mia. Proprio sotto a quelli per Haymitch Abernathy e Tyrion Lannister.

Be' credo di aver finito qui. Se avete domande, come al solito chiedete.
Akil =)

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